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www.ildialogo.org Articolo 27,di Massimo Aprile

Articolo 27

di Massimo Aprile

Roma, (NEV), 16 ottobre 2013 - Proponiamo in anteprima il testo della rubrica “Finestra aperta”, curata dal pastore Massimo Aprile, che andrà in onda domenica 20 ottobre in chiusura della trasmissione di RAI Radiouno Culto evangelico.
L'articolo 27 della Costituzione italiana recita: “Le pene non possono consistere in trattamento contrario al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. L'autorevole richiesta del presidente della Repubblica, rivolta al Parlamento, nel messaggio inviato alle camere del combinato disposto di amnistia e indulto, risponde alla necessità, indicata anche dalla Corte Europea per i Diritti dell'Uomo, di alleggerire il sovraffollamento delle nostre carceri che ha trasformato la detenzione in una condizione assimilabile alla tortura. Se a Sollicciano, il più grande carcere di Firenze, ai volontari è stato richiesto di portare la pasta, perché quella a disposizione non è sufficiente a nutrire tutti i detenuti, sicché le ultime celle restano talvolta senza cibo, vuol dire che siamo in una condizione non più accettabile per un paese civile.
Il provvedimento combinato di amnistia e indulto ridurrebbe la popolazione carceraria, eccedente di quasi 20 mila unità in tutto il paese, e smaltirebbe una parte del lavoro che attualmente intasa i tribunali. Va detto, per inciso, che nel nostro Paese circa 170.000 processi ogni anno finiscono in prescrizione e che quindi esiste già, per così dire, un'amnistia preventiva per i ricchi che quasi mai finiscono in carcere. Perciò adesso, si spera che il provvedimento di clemenza riguardi i poveri, i tanti criminalizzati da leggi contestate come la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi. Speriamo che così sia davvero.
Ma l'art. 27 della Costituzione ricorda a tutti noi il compito di uscire da provvedimenti d'emergenza, che, come accaduto in passato, rischiano di essere vanificati nel giro di un anno o due. Il compito che ci affida la Costituzione è infatti quello di rieducare ed aiutare il detenuto a risocializzarsi. E' evidente che se teniamo in carcere in condizioni inumane, soggetti che hanno violato la legge, perdiamo gran parte della credibilità nel compito rieducativo. E' poi necessario pensare anche al “giorno dopo”. Quando un condannato esce, e magari ha maturato la seria intenzione di cambiar vita, quale sostegno riceve? Se non può contare sulla solidarietà familiare, la tentazione a commettere nuovi delitti è molto forte. Le chiese cristiane, per mezzo dei propri ministri e volontari, svolgono un lavoro importante in carcere, per cercare di aprire varchi di speranza in persone la cui vita appare segnata, e vi è anche chi cerca di seguire i detenuti anche quando escono. Ma certo non basta. Si deve lavorare ad una riforma vera e ad una politica sulla giustizia che favorisca davvero il reinserimento nella società.
Gesù disse: “Venite voi i benedetti del Padre mio” aggiungendo tra l'altro: “perché ebbi fame e mi deste da mangiare, fui straniero e mi accoglieste, fui ammalato e mi visitaste, fui in prigione e veniste a trovarmi?”. Oggi, quando si visitano le carceri, si constata che, spesso, queste condizioni si sommano insieme tra loro, per divenire un carico di dolore che va ben al di là della pena inflitta dalla giustizia. Riconoscere e rispettare l'umanità dei condannati è condizione indispensabile per incoraggiare un processo di profondo rinnovamento della vita. Questa la proposta che fa l'Evangelo e questo è il compito che ci consegna la Costituzione.
NEV - Notizie Evangeliche, Servizio stampa della Federazione delle chiese evangeliche in Italia - via Firenze 38, 00184 Roma, Italia tel. 064825120/06483768, fax 064828728, e-mail: nev@fcei.it, sito web: http://www.fcei.it .


Giovedì 17 Ottobre,2013 Ore: 20:10
 
 
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