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www.ildialogo.org Luca Baratto: La KEK tra nuove sfide e qualche preoccupazione  ,a cura di Gaëlle Courtens

Luca Baratto: La KEK tra nuove sfide e qualche preoccupazione  

a cura di Gaëlle Courtens

Roma (NEV), 5 giugno 2013 - Dal 3 all'8 luglio prossimi si terrà a Budapest (Ungheria) la XIV Assemblea generale della Conferenza delle chiese europee (KEK). Al centro dei lavori, la proposta di riforma strutturale dell'organismo ecumenico nato nel 1959. A questo proposito abbiamo rivolto alcune domande al pastore Luca Baratto, delegato a Budapest per la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI).

Che tipo di Assemblea sarà quella di Budapest?

Anche se si presenta come un'assemblea ordinaria, quella di Budapest sarà un'assemblea costituente. I lavori si concentreranno infatti sulla definizione della nuova struttura e della nuova costituzione della KEK. La decisione di procedere alla revisione della KEK era stata presa dall'Assemblea generale di Lione nel 2009, a seguito della quale si è costituito un apposito gruppo di lavoro. Questo gruppo - composto da 15 esperti, tra cui il pastore valdese Michel Charbonnier -, ha prodotto un documento che, dopo essere stato sottoposto all'esame delle chiese membro e delle organizzazioni associate alla KEK e dopo essere stato emendato in alcuni punti in base alle osservazioni ricevute, verrà posto all'approvazione dell'Assemblea di Budapest.

Quali sono i motivi che hanno spinto a una revisione strutturale della KEK?

Attualmente la KEK è composta da un Comitato centrale di 40 membri, all'interno del quale è eletto un Presidium, cioè un organo esecutivo; operativamente esistono delle Commissioni, come la Commissione chiesa e società o quella Chiesa in dialogo, che hanno una propria assemblea e un proprio direttore. Questa struttura è considerata unanimemente troppo pesante e macchinosa, sia nei numeri che nelle relazioni tra Comitato centrale e Commissioni. La proposta che verrà avanzata a Budapest va verso una struttura più snella, con meccanismi decisionali più chiari e semplificati, orientata a contenere i costi e a ottimizzare le competenze disponibili. Tuttavia, la revisione della struttura va inquadrata nella crisi ormai evidente degli organismi ecumenici istituzionali e multilaterali, come il Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) e la KEK stessa. Quando la KEK nasceva nel 1959 l'orizzonte era quello di un'Europa divisa dalla cortina di ferro, un confine che anche il lavoro ecumenico ha aiutato a superare. Oggi gli orizzonti sono cambiati e altre sono le sfide. Si tratta di definire una nuova struttura che tenga conto del cambiamento dei tempi.

A suo parere, quali sono i punti di forza del documento di revisione?

Riallacciandomi a quanto appena detto, il maggior punto di forza è di aver accompagnato le proposte strutturali a un'analisi in prospettiva delle nuove sfide che emergono dall'attuale contesto europeo. Tra queste, solo per citarne alcune, il passaggio da vecchi a nuovi bipolarismi: non più est/ovest, ma tra paesi europei più ricchi e meno ricchi, tra nord e sud del Mediterraneo; gli effetti sociali ed economici dell'attuale crisi; la maggiore secolarizzazione del continente, ma anche la presenza delle chiese pentecostali, oggi sostanzialmente fuori dagli organismi ecumenici esistenti, e il costituirsi di chiese dell'emigrazione ovunque in Europa. L'elenco è molto più lungo. Questa è la parte più convincente del documento, più delle proposte di modifica strutturale sulle quali esistono delle perplessità.

Quali criticità vede?

Come membri italiani della KEK, la FCEI e le chiese battiste, metodiste e valdesi hanno evidenziato alcune preoccupazioni. Ne indico tre. La nuova struttura vede l'abolizione delle Commissioni per riunire il loro lavoro in un unico segretariato. Le Commissioni, tuttavia, in questi anni hanno lavorato bene, hanno prodotto dei frutti. Chiesa e società, per esempio, si è efficacemente presentata come istanza di dialogo tra le chiese e le istituzioni europee. In più, è stata un ambito di dibattito e discussione in cui chiese di maggioranza e chiese di minoranza hanno potuto confrontarsi, un luogo di dialogo aperto a voci “grandi” e voci “piccole”. La preoccupazione è che questa metodologia non vada persa insieme alle Commissioni. Una seconda criticità è il rapporto tra efficienza tecnica e rappresentatività “politica” dei nuovi organismi dirigenziali: non mi sembra che il documento definisca in modo convincente l'equilibrio tra questi fattori fondamentali. Infine, solo le chiese saranno membri della nuova KEK. Questo significa che la FCEI, essendo una Federazione, perderà il suo attuale status e non avrà diritto di partecipazione alle future assemblee generali. Di questo non possiamo certo essere contenti, da un lato, perché si svaluta un luogo in cui le chiese italiane lavorano ecumenicamente su temi quali la libertà religiosa e l'immigrazione. Dall'altro, perché si va verso un'assemblea da cui, con poche eccezioni, vengono eliminate le voci consultive: più decisioni e meno dibattito. Non è un bel messaggio per chi teme che gli spazi di dialogo si riducano in nome della pur necessaria, ma in sé non sufficiente, idea di efficienza.



Sabato 08 Giugno,2013 Ore: 22:46
 
 
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