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www.ildialogo.org Religioni e mediazione culturale negli ospedali e nelle chiese,di Agenzia NEV del 23/01/2013

Essere chiesa insieme.
Religioni e mediazione culturale negli ospedali e nelle chiese

di Agenzia NEV del 23/01/2013

Roma (NEV), 23 gennaio 2013 - “Religioni e mediazione culturale nel contesto sociale e sanitario nell’area napoletana”: questo il titolo del Convegno svoltosi a Napoli dal 17 al 20 gennaio, promosso da “Essere chiesa insieme” - il programma interculturale della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) - e dalla Fondazione Evangelica Betania che gestisce l’Ospedale evangelico di Ponticelli.

L’incontro, realizzato in collaborazione con l’Opera per le chiese metodiste in Italia (OPCEMI), le chiese valdesi e metodiste della Campania e il Centro “Casa mia” di Napoli Ponticelli, si è aperto nel capoluogo campano: a confronto cappellani e antropologi, medici e mediatori culturali che hanno sottolineato come, anche in sede scientifica, oggi si tenda a proporre un approccio terapeutico “olistico”, attento cioè a considerare l’unità tra anima e corpo e quindi a intrecciare terapia e cura spirituale. Dopo i saluti di Sergio Nitti, presidente della Fondazione Betania, e l’introduzione di Alessandra Trotta, presidente dell’OPCEMI, che ha espresso il suo apprezzamento per i programmi formativi avviati dall’Ospedale evangelico di Napoli, è seguita la relazione del pastore americano Francis Rivers, cappellano in un grande ospedale del North Carolina, che ha illustrato un programma di intervento sui temi della salute attuato da reti di chiese evangeliche locali: “Non so se l’esperienza americana sia utilizzabile anche in Italia – ha affermato – ma in un sistema sanitario rigido e costoso come quello statunitense, i cappellani e le comunità di credenti che sostengono il paziente costituiscono preziosi terminali di una rete di cura che ha dimostrato di poter ottenere risultati importanti anche sul piano terapeutico. Ciò che le comunità religiose fanno per la prevenzione o per l’accompagnamento alla malattia ha una funzione sociale che sempre di più viene riconosciuta e apprezzata anche sul piano istituzionale”.

Molte le esperienze sul campo che sono state presentate: un servizio medico rivolto agli immigrati di Napoli (Luciano Gualdieri), un programma di prevenzione del cancro femminile attivato dall’Ospedale evangelico di Ponticelli (Rosa Giannatiempo e Mariella Postiglione), un intervento a sostegno delle donne vittime di tratta attivato a Palermo (Vivian Wivoloku). Di taglio più sociologico gli interventi di Valerio Petrarca (Università di Napoli) e di Paolo Naso (Università La Sapienza e “Essere chiesa insieme”) sul nesso tra immigrazione e religione. Il sindacalista africano Jean Bilongo ha quindi richiamato alcune criticità dei processi migratori nell’area napoletana.

Dopo il primo giorno, il convegno si è trasferito presso il Centro “Casa Mia” di Ponticelli: uno dei quartieri più spesso alle cronache per problemi di ordine sociale. Il focus delle varie relazioni si è spostato sul ruolo delle chiese e sulle dinamiche interculturali al loro interno: numerosi interventi di pastori italiani ed africani (George Ennin, Pordenone; Elymas Newell, Mezzano, Parma; Marco Valenza, Napoli), stimolati da domande della giornalista Marta D’Auria (Riforma) hanno illustrato i grandi cambiamenti intervenuti nel protestantesimo “in Italia”, sempre più multietnico e multiculturale. A completare il quadro, le relazioni di Donato Di Sanzo (Università di Salerno), sulla realtà migratoria a Napoli e di Silvia Zerbinati (FCEI) che ha offerto utili spunti sull’organizzazione degli interventi sociali per e con gli immigrati.

“Un convegno che ci ha consentito di mettere a fuoco la possibilità di un’azione sociale e di testimonianza tesa ad avvicinare le chiese campane alla realtà dell’immigrazione – ha concluso Salvatore Cortini (Centro “Casa Mia”) – e che ci ha posto di fronte alla doppia sfida di nuovi impegni sociali e di una nuova apertura delle nostre comunità in senso multietnico e multiculturale”.

“Un convegno impegnativo ma ben riuscito – ha commentato Luciano Cirica, vicepresidente della Fondazione Betania – che ha percorso una strada che intendiamo perseguire: quella di intrecciare il nostro lavoro sanitario alla riflessione sui modelli della cura e sulle nuove povertà che colpiscono un territorio particolare come quello in cui operiamo”.



Sabato 26 Gennaio,2013 Ore: 17:11
 
 
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