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www.ildialogo.org Paolo Naso: “Il futuro del dialogo č ‘intrareligioso’”,di Agenzia NEV del 18/04/2012

INTERVISTA
Paolo Naso: “Il futuro del dialogo č ‘intrareligioso’”

di Agenzia NEV del 18/04/2012

Roma (NEV), 18 aprile 2012 - “Cristianofobia. Un tema reale ma un’impostazione sbagliata”, titola così un articolo di Paolo Naso, pubblicato sul sito della Chiesa valdese (www.chiesavaldese.org/). “Chiese bruciate in Nigeria e in India, pastori arrestati e condannati a morte in Iran, discriminazioni nei confronti delle minoranze cristiane in alcuni paesi arabi costituiscono fatti tragicamente frequenti e innegabili – scrive Naso -. Anche per i cristiani, dunque, si pone un drammatico problema di libertà di culto, di espressione e di coscienza che alcune agenzie e alcune strutture ecclesiastiche denunciano come il frutto di una diffusa e crescente 'cristianofobia'". Pur riconoscendo la gravità e la drammaticità del problema, Naso si chiede se davvero “dopo anni di denunce contro l’islamofobia e cioè di stereotipi e di atti violenti contro i musulmani e le loro moschee siamo ora posti di fronte a una nuova emergenza dell’odio rivolto, questa volta, contro i cristiani”, e come mai “da questa singolare contrapposizione tra fobie religiose rimane in ombra l’antisemitismo”. In questo quadro – afferma Naso – non si può isolare “il tema delle persecuzioni contro i cristiani dal contesto più globale dell’intolleranza religiosa che si registra in troppe parti del mondo e che talvolta vede proprio dei cristiani come attori e non come vittime”.

A Paolo Naso, politologo della “Sapienza” di Roma, coordinatore della Commissione studi e del programma Essere chiesa insieme (ECI) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), l’Agenzia NEV ha chiesto di tornare su questi temi, con una specifica attenzione alla realtà italiana ed europea.

Istituzioni cattoliche ed ortodosse, ma anche evangelicali, denunciano il clima anticristiano del Vecchio Continente...

E’ vero: secondo autorevoli vertici della cristianità europea anche il nostro continente è vittima di una campagna cristianofobica mossa dalla cultura laica che viene identificata con la secolarizzazione e il relativismo. Si arriva a definire cristianofobiche le norme in materia di aborto, di unioni o di matrimoni omosessuali, di insegnamento aconfessionale delle religioni. Dietro il velo della “crsitianofobia” non è difficile scorgere la nostalgia di quel “regime di cristianità” che per secoli ha attribuito alle chiese una funzione di orientamento politico e persino legislativo. Chi denuncia la cristianofobia in Europa spesso non accetta l’idea di Stati laici e pluralisti nei quali la voce delle chiese è soltanto una, e talvolta non quella più ascoltata, di quelle che si esprimono nello spazio pubblico.

Questo in Europa. Ma nel resto del mondo?

E’ diverso e bisogna dirlo con forza, facendo di questo un tema del dialogo interreligioso. Troppo spesso permane un approccio irenico quasi che gli abbracci tra un imam e un prete, un rabbino ed un pope siano sufficienti a determinare una differenza nelle relazioni tra le comunità di fede e all’interno delle comunità civili in cui sono radicate. Il dialogo interreligioso ha un futuro soltanto se saprà aprire l’agenda fitta e scomoda dei conflitti tra le religioni e all’interno delle religioni. E tra i temi prioritari vi è la ripresa di un’ideologia politica-religiosa esclusivista, settaria e violenta di cui anche i cristiani – e questa forse è la novità – sono vittime. Anche i cristiani che – non dimentichiamolo – in molti paesi dell’Africa o dell’Asia sono arrivati a seguito delle truppe coloniali.

Questo argomento non rischia di giustificare la cristianofobia associando i cristiani agli invasori?

La storia non si cancella. E comunque rispondo no, se sapremo porre il problema nella dimensione globale dei diritti fondamentali che devono valere per un cristiano in Pakistan come per un musulmano a Oslo, un ebreo a Tolosa o un induista a Roma. La presenza di minoranze cristiane nei paesi arabi ed islamici ha una storia secolare ed a tratti luminosa: noi cristiani dell’Occidente non dobbiamo perdere un’occasione per rivendicare l’uguaglianza dei diritti e dei doveri di cittadinanza a prescindere dalle appartenenze confessionali. Questa rivendicazione è stata il “genio” del pensiero liberale nato e consolidatosi in Occidente. E dovremo anche spiegare, con realismo e fermezza, che un mondo arabo con i cristiani “in ritirata” o “nelle catacombe” sarebbe culturalmente e socialmente più povero e politicamente più isolato.

Ha detto dialogo “all’interno delle religioni”. Dobbiamo quindi prepararci al dialogo intrareligioso?

E’ una grande sfida. Si pensi a quello che sta accadendo nel mondo arabo islamico dove dopo secoli di conformismo teologico-politico si vive una primavera di confronto e di scontro anche sui fondamenti della fede. L’esito di questo confronto non è affatto scontato e nei tempi brevi i “riformatori” – uso un’approssimazione – potrebbero essere sconfitti, ma nei tempi lunghi è chiaro che quello che sta accadendo lascerà una traccia. In questo quadro è difficile pensare che, di fronte a fatti così importanti e gravi, le diverse anime dell’islam non si pongano il problema del dialogo e del reciproco riconoscimento.

Dialogo intrareligioso anche per il mondo evangelico?

Certamente. Da anni si sta consolidando una polarizzazione tra l’anima “storica” e quella “evangelical”: i primi forti della loro storia e del loro autorevolezza culturale, i secondi orgogliosi dei loro numeri e della loro dinamicità spirituale. E’ chiaro che le distanze – sui temi dell’etica come riguardo all’interpretazione biblica o al rapporto con le altre religioni - sono ampie, ma il muro di separazione che si sta alzando non aiuta né gli uni né gli altri. E soprattutto non aiuta la causa evangelica della quale la Riforma, nelle sue diverse espressioni, si è fatta interprete e protagonista.



Giovedě 19 Aprile,2012 Ore: 15:38
 
 
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