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www.ildialogo.org Un altro centenario: “Fede e Costituzione”,di Paolo Ricca, teologo valdese

EDITORIALE
Un altro centenario: “Fede e Costituzione”

di Paolo Ricca, teologo valdese

Il 1910 non è solo l’anno di nascita del movimento ecumenico, alla Conferenza Missionaria mondiale di Edimburgo. È anche l’anno di nascita di “Fede e Costituzione”, una delle due “anime” del movimento ecumenico. L’altra è “Vita e Azione” che, dopo l’esperienza traumatica della prima guerra mondiale, cominciò a prendere corpo nell’agosto del 1920 con un incontro, a Ginevra, di ben 90 capi di chiese protestanti, i quali progettarono una assemblea mondiale per affrontare insieme, come chiese, le questioni urgenti della pace, della giustizia sociale e in genere di tutti i grandi problemi che travagliavano la società del tempo. Questa assemblea, davvero memorabile, ebbe poi luogo a Stoccolma, nel 1925. La parola-guida di “Vita e Azione” era: “La dottrina divide, l’azione unisce”. Anche se i fatti non hanno poi confermato questa speranza (l’unità non è venuta attraverso un’azione comune, che si è rivelata anch’essa molto più difficile del previsto), il contributo di “Vita e Azione” al movimento ecumenico è stato e resta tuttora fondamentale. Ma dieci anni prima di “Vita e Azione” era nata “Fede e Costituzione” in base alla convinzione che, siccome le ragioni fondamentali della divisone tra le chiese sono di natura teologica, non è possibile giungere all’unità cristiana, se non si superano le divergenze profonde che esistono nelle questioni di “fede” e di “costituzione” (in inglese Order = “ordinamento”), cioè le questioni relative alla struttura, all’organizzazione e alla disciplina della chiesa. È vero che un’azione comune, ad esempio per la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato può unire dei cristiani che appartengono a chiese tra loro divise, e questo sta già accadendo ed è molto bello e promettente che accada. Ma questa azione comune, estremamente importante e quindi senz’altro da promuovere e incoraggiare in ogni modo, non può (né vuole) cancellare le divergenze di ordine dottrinale che tuttora dividono le chiese e che, se non impediscono iniziative comuni come quelle ricordate, impediscono però la piena comunione tra le chiese, cioè l’unità cristiana.
Il lavoro di “Fede e Costituzione” è dunque indispensabile e insostituibile. L’idea di dar vita a questo organismo venne nel 1910 a un vescovo episcopaliano (= anglicano d’America) di nome Charles Brent, il quale, di ritorno dalla Conferenza missionaria di Edimburgo, parlò della necessità dell’unità alla assemblea generale della sua Chiesa e manifestò la sua convinzione che “fosse necessario convocare una conferenza mondiale su ‘Fede e Costituzione’”. Fu subito creata in quella Chiesa una Commissione ad hoc che cominciò a lavorare e in seguito, nel 1920, fu allargata ad altre Chiese e preparò la prima assemblea mondiale del movimento, che ebbe luogo a Losanna nel 1927. Vi presero parte oltre 400 rappresentanti di ben 127 Chiese ortodosse, anglicane, protestanti e libere. L’assemblea rivolse alle Chiese un forte appello all’unità: “Dio vuole l’unità della Chiesa. La nostra presenza qui attesta la nostra determinazione a piegare la nostra volontà davanti alla sua”. E ancora: “Abbiamo osato, e Dio ha legittimato la nostra audacia. Non saremo mai più quelli di prima”. Oggi, dopo cento anni, “Fede e Costituzione” è una Commissione del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC), di 120 membri che appartengono, si può dire, a tutte le Chiese cristiane, anche a quelle che non sono membri del CEC: così, ad esempio, 12 rappresentanti della Chiesa cattolica romana partecipano, dal 1968, a questo organismo, che può quindi essere legittimamente considerato “la tribuna teologica cristiana più rappresentativa del mondo”.
Qual è il suo scopo? Secondo i suoi statuti è di “proclamare l’unicità della Chiesa di Gesù Cristo e di spingere le Chiese verso l’unità visibile di un’unica fede e un’unica comunione eucaristica, espressa nel culto e nella vita comune in Cristo, in modo che il mondo creda”. Come raggiungere questo alto obbiettivo ? In due modi. Il primo è affrontare insieme le divergenze dottrinali che dividono le Chiese (ad esempio la successione apostolica, o il ministero, o il papato, o il culto mariano, e tante altre) e cercare, attraverso il dialogo, punti di incontro o di convergenza che consentano di trasformare in differenze compatibili con l’unità le divergenze che attualmente impediscono la comunione. Unità infatti - tutti lo sanno - non vuol dire uniformità. Non c’è bisogno di essere uguali per essere uniti. L’unità cristiana non può essere altro che un’unità plurale. La diversità è costitutiva dell’unità e bisogna amare l’unità amando la diversità, e amare la diversità amando l’unità. Chi non ama la diversità non ama neppure l’unità. Purtroppo in passato la diversità non è stata amata, ma piuttosto, spesso, scomunicata. “Fede e Costituzione” vuole aiutare le Chiese a transitare dalla diversità scomunicata alla diversità riconciliata. Il secondo modo con cui “Fede e Costituzione” persegue il suo obbiettivo è elaborare una visione comune dell’unità della Chiesa da costruire e manifestare insieme nel quadro del movimento ecumenico. La visione dell’unità cristiana oggi più largamente condivisa è quella della “comunione conciliare”, cioè di Chiese diverse ma tra loro riconciliate, che affermano ed esprimono la loro unità in una struttura conciliare o sinodale, come avveniva nella Chiesa antica. “Fede e Costituzione” lavora per creare le condizioni che rendano possibile la convocazione di un “concilio cristiano veramente universale”.
Ho avuto il privilegio di essere membro di “Fede e Costituzione” per una quindicina d’anni. È stata un’esperienza indimenticabile, di inestimabile valore, un’impagabile palestra di ecumenismo vissuto, e non solo teorizzato. Tutte le grandi confessioni e tradizioni cristiane vi erano rappresentate, come pure tutti i continenti, quindi tutte le razze e le culture. Lì ho potuto ammirare la straordinaria varietà dei doni e delle operazioni dello Spirito Santo. Lì ho per così dire toccato con mano la grande diversità e al tempo stesso la profonda unità, pur attraverso forti tensioni, della comunità cristiana mondiale. Lì ho imparato a conoscere e ad amare tanto l’unità quanto la diversità cristiana. Lì ho capito o almeno intuito che cosa significa “cattolicità”, cioè universalità. Lì ho avvertito l’importanza decisiva (ma anche relativa) dei diversi contesti in cui il messaggio evangelico si è, come si dice, “inculturato”. Lì, ho potuto più volte constatare, la sorprendente giovinezza della religione cristiana. (NEV-42/2010)


Giovedě 21 Ottobre,2010 Ore: 16:41
 
 
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