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www.ildialogo.org Alessandra Trotta: “Chiese in movimento. Sfide e prospettive”,a cura di Gaëlle Courtens

INTERVISTA
Alessandra Trotta: “Chiese in movimento. Sfide e prospettive”

a cura di Gaëlle Courtens

Roma (NEV), 16 giugno 2010 – La diacona Alessandra Trotta, originaria di Palermo, dove per otto anni ha diretto il Centro diaconale “La Noce”, da poco meno di un anno presiede l'Opera per le chiese evangeliche metodiste in Italia (OPCEMI) con sede a Roma. A conclusione della recente Consultazione delle chiese metodiste italiane, svoltasi presso il centro Ecumene di Velletri (28-30 maggio), l'Agenzia stampa NEV le ha chiesto di tracciare un bilancio dell'incontro.
 
La Consultazione metodista ha dedicato molto spazio al tema delle comunità multiculturali. Questa presenza come sta cambiando il volto del metodismo italiano?
Stiamo effettivamente affrontando cambiamenti profondi, nei quali credo che debba essere riconosciuta una vocazione specifica che il Signore sta rivolgendo alle nostre chiese. Non si tratta solo di una crescita numerica, che già rappresenta una sfida per chiese abituate a vivere quasi con fierezza la loro piccolezza “critica”; non si tratta solo di un pur rilevante cambiamento “sociologico”. Il vero nodo di fronte al quale ci troviamo è quello di assumere l'edificazione di comunità pienamente integrate, in cui l'incontro fra storie, culture, modi di vivere e dire la fede in Gesù Cristo - talvolta significativamente diversi - si trasformi per tutti (ed in molti casi questo sta già accadendo) in una preziosa opportunità di rilettura della propria vocazione e di costruzione di identità, individuali e comunitarie, radicalmente rinnovate.
Una scelta che impone ai membri di chiesa “autoctoni” di mettere in discussione abitudini ed assetti consolidati; ma che esige anche dai fratelli e sorelle immigrati di pensare il proprio impegno di credenti in rapporto ed in dialogo con la società italiana, con le sue domande, i suoi bisogni, le sue ansie, ma anche con le sue importanti conquiste di libertà e laicità. Un impegno che può e deve andare al di là della sola aggregazione - talvolta illusoriamente conservativa - dei propri connazionali, con il rischio di autoconfinarsi in un ghetto. E' una sfida “alta”. Ci dia il Signore il coraggio e la forza di raccoglierla!
 
Con l'arrivo di numerosi metodisti provenienti dall'Africa o dall'Asia, l'OPCEMI si trova di fronte ad un fenomeno nuovo: quello di trovare adeguati luoghi di culto dove permettere a comunità in crescita di incontrarsi. Cosa ci sa dire in proposito?
Questo specifico problema/opportunità è emblematico di quanto detto prima. La ricerca di nuovi e più ampi locali di culto si sta orientando, per necessità (collegata alle limitate risorse di cui dispongono chiese come le nostre che si mantengono solo con le libere contribuzioni dei propri membri) verso immobili originariamente destinati ad altri usi (capannoni industriali o artigianali, ad esempio). Questa situazione, da una parte, ha attivato una seria riflessione “interna” su come possa cambiare il senso stesso dell'essere chiesa in rapporto al territorio, laddove si accetti di confinarsi in aree isolate e lontane dai normali contesti di vita e di socialità delle persone; dall'altra, ci sta ponendo di fronte a grossi ostacoli per la difficoltà di ottenere da alcuni comuni, in particolare al Nord, l'autorizzazione al mutamento della destinazione d'uso degli immobili. Abbiamo la sensazione che, in qualche caso, tali difficoltà derivino da atteggiamenti di chiusura verso minoranze religiose ed immigrati. Sappiamo, le cronache di tutti i giorni lo testimoniano, che le stesse (se non maggiori) difficoltà vengono affrontate da altre comunità religiose, in particolare islamiche, ponendo un interrogativo serio sulla compatibilità di tali restrizioni “amministrative” con il principio costituzionale di libertà religiosa, di cui la disponibilità di luoghi di culto rappresenta una delle principali espressioni. Ci chiediamo, dunque, se non sia giunto il momento di provare a creare un ampio fronte comune per portare ad un più alto livello, politico e, se necessario, giudiziario, questo tema che coinvolge la difesa di alcuni fondamentali diritti di libertà.
 
Il metodismo, insieme ad altre realtà evangeliche, è una delle comunità di fede maggiormente legate al processo risorgimentale. Come vi state preparando alla ricorrenza dell’150° anniversario dell'Unità d'Italia?
Per noi metodisti si tratta di un anniversario doppiamente importante, perché il 1861 fu anche l’anno dell’avvio in Italia della missione metodista wesleyana britannica (seguita, dopo pochi anni, dalla missione metodista episcopale americana). Questo intreccio profondo fra l’avvio di un’opera di diffusione dell'Evangelo nel nostro paese da parte delle grandi chiese metodiste in Gran Bretagna e Stati Uniti e l’impegno per la costruzione di un’Italia unita, libera e democratica non fu una coincidenza: tutte le cronache, i documenti ufficiali, i rapporti, le lettere private dei primi missionari testimoniano della passione con cui si pensò di potere contribuire al rinnovamento anche politico e culturale dell’Italia portando i germi di un risveglio religioso e spirituale, di un'emancipazione ed elevazione delle coscienze degli individui a partire da una capillare diffusione della Bibbia.
Questo stesso spirito ci accompagnerà nelle iniziative che stiamo preparando, in cui la memoria del passato si intreccerà con la riflessione sul rinnovato impegno nel presente, in un paese che sta affrontando una fase certamente cruciale della sua breve vita, nella quale, fra chiusure egoistiche, tentazioni razziste e rischi di disgregazione, risuonano ancora attuali le parole del missionario Piggott, che incoraggiava le neonate chiese metodiste a “lanciare dei raggi di luce nel gran buio esterno, alimentando la ricerca religiosa e mettendo in crisi, minando la superstizione, scuotendo le false certezze, facendo sì che la gente legga le semplici storie dell'Evangelo e le applichi per sé”.
 
Quale bilancio ad un anno dal suo insediamento alla presidenza dell'OPCEMI?
E’ stato per me un anno “itinerante”, di conoscenza più approfondita di molte realtà comunitarie, con cui ho avuto la possibilità di condividere gioie e preoccupazioni, ansie e speranze, tentazioni di ripiegamento e nuove visioni. Da donna del profondo Sud, mi sono sentita particolarmente vicina alle comunità del Nord che, con sofferenza crescente, ci raccontano di un clima sociale che tende a deteriorarsi sempre più e ad incattivirsi; ma ho sentito con altrettanta forza la necessità, di fronte al lamento, qualche volta sommesso, qualche volta indignato, delle piccole e sparpagliate chiese di un Sud che arranca sempre più, asservito ad un sistema di potere clientelare e mafioso che appare invincibile, di un richiamo ad alzare la voce e la testa, a darsi quella “scossa” che proprio dal Sud, solo dal Sud può partire per produrre cambiamenti profondi e duraturi. Un anno in movimento, insomma, in mezzo a chiese in movimento che è stato un privilegio servire. Ne sono davvero grata al Signore!


Giovedě 17 Giugno,2010 Ore: 15:17
 
 
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