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www.ildialogo.org Morte Padovese: le reazioni ecumeniche,Da Giorgio Bernardelli, inviato a Edimburgo (03/06/2010) (missionline.org@missionline.org)

IN MORTE DI UN VESCOVO
Morte Padovese: le reazioni ecumeniche

Da Giorgio Bernardelli, inviato a Edimburgo (03/06/2010) (missionline.org@missionline.org)

Con un articolo di Luigi Padovese del 2002


Il segretario del Consiglio ecumenico delle Chiese: "Vicinanza e stima alla Chiesa cattolica in questo momento". La storica della missione Dana Robert: "Per capire questa morte e per non trasformarla in occasione di odio ripensiamo ad Annalena Tonelli"
La notizia dell'uccisione del vescovo Padovese è arrivata alla Conferenza ecumenica di Edimburgo proprio mentre si stava riflettendo su che cosa significhi essere missionari in mezzo ai fedeli di altre religioni.
Siamo noi di MissiOnLine a raccontare che cosa è successo in Turchia al pastore norvegese Olav Fykse Tveit, il segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese (l'organismo che raggruppo oltre 300 Chiese cristiane di tutto il mondo), Tveit ci risponde esprimendo la sua vicinanza alla Chiesa cattolica in questo momento: "Esprimo tutta la mia partecipazione al dolore della Chiesa cattolica, colpita in questo momento da questa notizia così shockante - commenta-. Non conosco bene le circostanze di questa morte, ma ogni essere umano ucciso è una ferita che rinnova la Passione di Cristo. E voglio qui rinnovare la mia stima e la mia ammirazione per chiunque lavora per la Chiesa anche in situazioni difficili che possono comportare dei rischi".
Ma questa morte - gli chiediamo - che cosa dice rispetto alla sfida di una presenza cristiana in un Paese musulmano come la Turchia? "Penso che in questo momento - risponde il pastore Tveit - sia importante per tutti riflettere su come vivere insieme da fratelli, indipendentemente dal fatto che siamo cristiani o musulmani. Siamo chiamati a vivere in pace e a rendere testimonianza del fatto che è possibile. Non so se questa morte sia da attribuire a qualche tensione specifica. Ma come Consiglio siamo fermamente convinti che i cristiani sono chiamati a dare testimonianza della propria fede là dove sono. E siamo sicuri che questo è anche lo stile della Chiesa cattolica". 
Oggi a Edimburgo è stato il giorno dell'intervento della professoressa Dana Robert, dell'Università di Boston, una delle maggiori esperte mondiali della storia della missione. Anche a lei chiediamo che cosa rappresenti questo ritorno del tema del martirio nell'oggi della missione. E questa laica metodista che conosce molto bene l'Africa ci sorprende citando l'esempio e la spiritualità di Annalena Tonelli, la missionaria italiana morta in Somalia qualche anno fa, a cui lei ha dedicato un capitolo nel suo ultimo libro Christian Mission. How christianity became a world religion.
"La tragedia di oggi - spiega la professoressa Robeert - è che il martirio sembra proprio ritornare a crescere, perché molti posti dove sono presenti i missionari e i leader cristiani oggi hanno una popolazione mista: vi abitano genti che professano fedi e visioni del mondo differenti. E poi con i moderni mezzi di comunicazione qualcosa che succede in un determinato posto rimbalza immediatamente dall'altra parte del mondo. A volte capita che il martirio non accada nemmeno per fatti o situazioni legate a una situazione locale, ma perché qualcuno si lascia influenzare da qualcosa che ha letto o ascolto, ma che in realtà è accaduto molto lontano. Penso all'esperienza di Annalena Tonelli. La sua morte in Somalia fu proprio un simbolo di come queste tensioni globali possono portare ad alzare la mano della violenza anche in mezzo alla gente che serviva. E questo nonostante il fatto che fosse amata da tante persone in Somalia. Il martirio - aggiunge - sta diventando una caratteristica della missione dell'era della globalizzazione. Ma anche per questo l'unità dei cristiani in missione è così importante: dobbiamo assolutamente imparare a testimoniare insieme Gesù Cristo in questo XXI secolo".
In che modo questo può aiutare? - le chiediamo. "Dobbiamo aiutarci a vicenda - risponde - a vivere anche questa esperienza nel modo in cui ci ha insegnato Gesù, che nonostante fosse vittima dell'ingiustizia non ha opposto resistenza ai suoi persecutori. Il martirio ci chiede anche una spiritualità: siamo davvero disposti ad accettare questo volto della missione? Lungo la storia il martirio ha sempre ispirato i cristiani ad approfondire la propria fede, a rafforzarla. Il pericolo oggi è che possa trasformarsi in un'occasione di odio. Per questo dobbiamo concentrarci sulla formazione spirituale, aiutare a cogliere il cuore del messaggio cristiano e non coltivare noi stessi il rancore"
Chiude con un pensiero sulla Turchia, il luogo di questa nuova pagina di sangue per la missione. "La Turchia - ricorda - è stata la culla di tante nostre comunità cristiane e per questo la tenacia con cui questi fratelli cercano di tener viva là la nostra fede non può lasciarci indifferenti. Ma anche dentro la stessa Turchia è in corsa una lotta tra modi diversi di vedere l'islam. E poi c'è tutta la questione dell'adesione all'Europa. È uno dei crocevia più importanti oggi per la globalizzazione".
Giorgio Bernardelli
 
2 – Cosa diceva il francescano Luigi Padovese
(in “l'Unità” del 19 dicembre 2002)
Francesco e la scelta di servire gli ultimi
Secolarizzazione e globalizzazione rendono più attuale la proposta del santo d’Assisi
 
Paolo di Tarso riassume la vicenda terrena di Gesù, dalla nascita sino alla morte in croce, in due espressioni umanamente paradossali «spogliò se stesso assumendo la condizione di servo» (Filippesi 2,7) e «divenne un mendico pur essendo ricco» (2 Corinti 8,9). Non entriamo in merito ai presupposti teologici dai quali muove, ma senz’altro egli ha inteso l’esperienza umana di Gesù nei termini di una solidarietà espressa nella libera condivisione con chi è servo e in situazione di povertà. Tale convinzione affiora anche nei Vangeli.
Ad un lettore attento dei testi sacri quale Francesco d’Assisi questo aspetto è apparso talmente predominante da ispirare un nuovo genere di vita espresso dalla scelta sua e dei suoi compagni di chiamarsi «fratelli minori e servi». Questa qualifica, prima di divenire una sigla d’identità, è stata un’esperienza maturata a contatto con i lebbrosi e con i mendicanti. Presso di loro il santo di Assisi ha inteso il senso esatto del divenire servo e povero da parte di Cristo. Dall’em-patia che capisce è nata così la sim-patia che unisce. Quanto ha reso Francesco e i suoi compagni «fratelli minori» di ogni uomo non è stata perciò la condivisione di uno stesso credo o l’appartenenza ad un gruppo particolare, ma l’universalità della sofferenza che comprende tutti e che diviene universalità di compassione. Nella scelta di mettersi al di sotto degli altri Francesco ha inoltre messo in questione gli equilibri della società nelle sue dimensioni di gruppo interno e di gruppo esterno, di sopra e di sotto. Questo atteggiamento è riflesso nell’atto dello spogliamento dinanzi al vescovo che segna il passaggio da un rapporto parentale ristretto ad uno universale, espresso dal sostituire al «padre mio, Pietro di Bernardone», il «Padre nostro che sei nei cieli».
 Vengono così annullate le distinzioni prodotte dalla classe, dal censo. Chi è senza padre e svincolato dal particolarismo clanico, diviene libero rispetto alla pressione della società che stabilisce distinzioni quali noi/loro, dentro/fuori, superiore/inferiore, nobili/plebei. Rispetto al proprio universo familiare, incapace di realizzare un’effettiva solidarietà, Francesco ha sostituito una fraternità elettiva universale che lo lega ad ogni uomo, anzi, ad ogni creatura, vista come sorella e fratello. Queste considerazioni ci permettono d’intendere perché, alla scelta di «minorità» quale rinuncia al precedente status sociale, egli abbini logicamente la vita in fraternità. I due termini sono inseparabili e si richiamano reciprocamente, poiché l’amore riconosce il valore che è nell’altro e si traduce in termini di servizio. Certamente nell’esperienza del santo di Assisi ci sono degli elementi improponibili a causa del mutato contesto storico-culturale, eppure non v’è dubbio che la sua intuizione mantenga cifre di verità valide anche per l’oggi.
Tanto per esemplificare il suo concetto di «minorità», come l’abbiamo delineato rimanda all’impegno di sensibilizzazione e di sostegno verso i gruppi oggi socialmente deboli. Il diffuso benessere prodottosi nella cosiddetta «società dei consumi», ha concorso a svuotare quella che nel passato è stata la lotta di classe, originata dall’idea che la ricchezza capitalista fosse denaro sporco di sangue e frutto della sopraffazione. Oggi, quanti vivono in una situazione di piccola o media borghesia, non nutrono più il risentimento verso i ricchi. Lo hanno, invece, per chi sta peggio: i poveri, le minoranze razziali, gli immigrati. Proprio perché costoro non hanno adito ai beni sui quali la «gente per bene» costruisce la propria vita, da de-privati quali sono, tendono ad essere considerati depravati. È la brutalizzazione della povertà che talora diventa realmente brutale ma per una previa mancanza di giustizia. La minorità solidale con i piccoli, i poveri e gli esclusi di Francesco, si pone contro questo crudele principio di selezione o contro la legge del più forte che nega agli altri il diritto alla sopravvivenza. Essa è compassione, ossia attenzione alla sofferenza degli altri che porta alla condivisione e che reclama giustizia e implicitamente denuncia l’ingiustizia.
Essere «minori» indica perciò la volontà di reagire all’indifferenza e alla desolidarizzazione delle nostre società che ignora i poveri, gli intoccabili di oggi o che li emargina in «ghetti di disperazione» ( L.M.Friedman) perché non siano visibili, esattamente come avveniva con i lebbrosi confinati al di fuori della città di Assisi. La loro invisibilità, infatti, non fa nascere problemi di coscienza, non genera turbamento, ma neppure quella empatia che sta alla base della solidarietà. Gli stessi media ci tengono asetticamente al riparo dalle tragedie del nostro tempo come, ad esempio, quella dei 40.000 bambini che giornalmente muoiono di fame o per cause collegate alla malnutrizione. Le cifre non ci impressionano quanto la miseria sperimentata di persona. Se la società occidentale non conosce il sistema delle caste, conosce nondimeno un sistema di inquadramento e di valutazione delle persone e oggi è il mercato a stabilire la differenziazione sociale: ci sono quanti producono e consumano, poi i consumatori imperfetti, infine la gran massa di poveri, inutili come produttori, vani come consumatori e quindi del tutto superflui se non addirittura nocivi, come dei parassiti che vivono alle spalle di quanti sono inseriti nel ciclo produttivo e pagano le tasse!
Per sé la povertà economica non è una tragedia se le persone appartengono ad una società con un forte senso di solidarietà. Di fatto, però il capitalismo industriale ha condotto alla disintegrazione sociale. Non si può credere perciò che il risanamento si produrrà con una più equa distribuzione della ricchezza e tramite la crescita economica che, come vediamo, non produce, ma soffoca l’occupazione attraverso progetti di razionalizzazione tesi a ridurre la manodopera con la conseguenza di aumentare il numero dei disoccupati, cioè dei nuovi poveri. Più disperati degli altri perché in precedenza hanno partecipato al benessere dal quale ora sono improvvisamente esclusi. La risoluzione dei problemi sociali non è insomma legata alla sola equa distribuzione delle ricchezze, ma alla crescita della solidarietà che si ottiene acquistando una nozione comunitaria e non individualistica della dignità della persona umana.
Chi come Francesco ha tirato le conseguenze del significato dell’incarnazione di Cristo, ossia del suo farsi servo, sa che il criterio di valore delle persone è indipendente dalla loro appartenenza sociale e proviene dall’incommensurabile importanza di ognuno davanti a Dio. Da qui scaturisce l’impegno di solidarietà e di attenzione per i più deboli ma anche l’obbligo di smascherare le effimere sicurezze della società consumistica. Chi può chiarire, infatti, che il progresso non sta nello sviluppo tecnologico o nell’accrescimento e nella diffusione dei beni di consumo se non colui che ha scelto di essere solidale con gli ultimi e si mantiene al limite del sistema per non smarrire la forza di una critica costruttiva che serve a tutti, specialmente a quanti di questo sistema sono vittime inconsapevoli? In una società che genera sogni ma non li appaga o che crea frustrazione sociale e rabbia poiché venera il successo personale ed ha il culto della celebrità alla quale poi permette che pochi pervengano, chi è in grado di demitizzare questi pseudovalori se non chi ha scelto di stare fuori della gara? Soltanto chi ha fatto questa scelta può neutralizzare la vacuità della cultura odierna aiutando quei milioni di «senza tetto», (in senso metaforico) ormai privi di radici, ossia di riferimenti nella vita a trovare una casa, cioè un senso.
Un tempo la teologia della liberazione insisteva sui poveri dell’America latina. Oggi ci sono forme più subdole, più nascoste e più generalizzate di oppressione che richiedono una riflessione accurata. Se per molti l’offerta commerciale di avere beni di consumo viene presentata come un’offerta maggiore di libertà, espressa dalla soddisfazione immediata di bisogni, il compito di chi vuol servire gli altri, sta nell’aiutarli a liberarsi da questo costume della gratificazione istantanea. Se si può parlare dell’attualità della proposta di Francesco credo si debba ricercare nel suo essere, ad un tempo, segno e denuncia di una mentalità che produce e si nutre di illusioni, ma che alla fine lascia l’amaro in bocca.
La tradizione anticotestamentaria e poi quella cristiana insegna che la redenzione viene dai poveri. Sono essi a risvegliare dall’illusione di un mondo unito e più giusto. La strada tracciata dal santo d'Assisi nel voler essere «minore e servo» parte da qui: dalla considerazione verso chi è nato senza tetto, ha scelto di annunciare il suo messaggio di liberazione ai poveri, liberando persino Dio dalle maglie degli interessi umani ed è morto su un legno come un qualsiasi schiavo malfattore.
Luigi Padovese
preside Istituto di Spiritualità
Pontificio Ateneo Antonianum

Articolo tratto da:

FORUM (208 - 5 giugno 2010) Koinonia

http://www.koinonia-online.it

Convento S.Domenico - Piazza S.Domenico, 1 - Pistoia - Tel. 0573/22046



Luned́ 07 Giugno,2010 Ore: 15:44
 
 
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