Da: nonviolenza-request@peacelink.it per conto di Centro di ricerca per la pace [nbawac@tin.it] Inviato: luned́ 27 agosto 2007 11.48 A: nonviolenza@peacelink.it Oggetto: Coi piedi per terra. 13 =================== COI PIEDI PER TERRA =================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 13 del 27 agosto 2007 In questo numero: 1. Angelo Baracca: Scelte folli e irresponsabili 2. La solidarieta' della senatrice Giovanna Capelli 3. Carla Biavati: Un patto mortale 4. Enrico Peyretti: Aderisco alla vostra opposizione all'aeroporto 5. Serge Latouche: Cos'e' la decrescita? Un'introduzione 6. Vandana Shiva: Principi costitutivi di una democrazia della comunita' terrena 7. Per contattare il comitato che si oppone all'aeroporto di Viterbo 1. EDITORIALE. ANGELO BARACCA: SCELTE FOLLI E IRRESPONSABILI [Ringraziamo Angelo Baracca (per contatti: baracca@fi.infn.it) per questo intervento. Angelo Baracca, nato a Lugo (Ravenna) il 25 giugno 1939, prestigioso scienziato, docente di Fisica all'Universita' di Firenze, ha pubblicato diversi libri e svolto rilevanti ricerche in varie aree della fisica e di storia e critica della scienza; fa parte del comitato "Scienziate e scienziati contro la guerra"; da sempre impegnato per la pace e l'ambiente, partecipa attivamente ai movimenti per la pace, il disarmo, la difesa della biosfera; collabora a varie riviste. Tra le molte opere di Angelo Baracca segnaliamo: (con Roberto Livi), Natura e storia. Fisica e sviluppo del capitalismo nell'Ottocento, D'Anna, Palermo 1976; (con Arcangelo Rossi), Scienza e produzione nel '700, Guaraldi, Rimini-Firenze 1977; (con Arcangelo Rossi), Scienza e industria 1848-1915 : gli sviluppi scientifici connessi alla seconda rivoluzione industriale; (con Ugo Besson), Introduzione storica al concetto di energia, Le Monnier, Firenze 1991; (con Mira Fischetti e Riccardo Rigatti), Fisica e realta', 3 voll., Cappelli, 1999; A volte ritornano: il nucleare. La proliferazione nucleare ieri, oggi e soprattutto domani, Jaca Book, Milano 2005] Desidero aderire all'appello contro la realizzazione di un aeroporto a Viterbo. Gli squilibri, gli sprechi, le diseconomie del sistema di trasporti hanno gravissime conseguenze sugli equilibri territoriali, sulle sperequazioni nella popolazione, nonche' sulla salute e l'ambiente. In generale le scelte sono folli, insensate, irresponsabili. Soprattutto ora, quando si profila una fase di difficolta' energetiche a livello mondiale (che innescano conflitti sanguinosi), e' irresponsabile insistere ad aggravare scelte profondamente sbagliate. L'aereo - come a suo tempo l'automobile, o piu' recentemente il telefono cellulare - ha costituito una grande opportunita' di progresso, ma si e' trasformato, in una logica di puro profitto, in un fattore di grave squilibrio: le innovazioni tecnologiche non sono buone "di per se'", ma devono essere gestite; e chi si oppone a certe logiche di uso non e' "contro il progresso" tout court. Come le automobili si sono purtroppo trasformate da mezzi utili per le comunicazioni in trappole che ci ingabbiano e ci avvelenano nel traffico urbano ormai insostenibile, qualcosa di simile sta avvenendo per l'abuso del mezzo aereo. Mentre ci si strappano le vesti (a parole) per le emissioni di anidride carbonica che aggravano la crisi climatica, nessuno menziona il gravissimo danno arrecato in questo senso dalla propulsione aerea a reazione. I meccanismi di sfruttamento sfrenato del neoliberismo hanno innescato il business dei voli low cost, che hanno innescato meccanismi assurdi: c'era proprio il bisogno, con tutti i problemi che abbiamo, di un weekend a migliaia di chilometri di distanza? Tanto piu' quando il low cost si realizza sulla pelle di lavoratori supersfruttati e spogliati di qualsiasi diritto! Sappiamo perche' queste compagnie cercano di aggirare lo scalo di Ciampino. Ma piu' assurdo e' che i nostri amministratori, spesso sedicenti di sinistra, assecondino queste richieste, sulla pelle dei lavoratori e dei cittadini. E' venuto il momento - e diverra' presto una vera necessita', che dovra' imporsi anche all'irresponsabilita' degli amministratori e dei politici - di trasformare radicalmente i nostri modi di vivere, di comunicare e di muoverci. Ormai la vita quotidiana e' divenuta uno stress continuo, rendendo ancora piu' appetibili le "fughe" alla (frenetica, quanto illusoria) ricerca di relax, sia pure in un weekend in citta' non meno caotiche, o in paradisi artificiali. Dobbiamo pretendere modi di vita che siano piu' in equilibrio con la natura umana e con l'ambiente. Il progetto del nuovo aeroporto va proprio nella direzione sbagliata, e deve venire contrastato con tutte le forze. 2. ADESIONI. LA SOLIDARIETA' DELLA SENATRICE GIOVANNA CAPELLI La senatrice Giovanna Capelli, del gruppo parlamentare Prc - Sinistra Europea, ha espresso piena solidarieta' al comitato che si oppone all'aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, in difesa dell'ambiente, della salute, della democrazia, dei diritti umani di tutti gli esseri umani. La senatrice Giovanna Capelli, nata il 26 maggio 1945 a Milano, docente e dirigente scolastica, fa parte della VII Commissione permanente (Istruzione pubblica, Beni culturali) del Senato della Repubblica. In un messaggio inviato alla portavoce del comitato scrive: "Condivido le vostre posizioni e aderisco all'appello". 3. SOLIDARIETA'. CARLA BIAVATI: UN PATTO MORTALE [Ringraziamo Carla Biavati (per contatti: mcfoto@interfree.it) per questo intervento. Carla Biavati e' impegnata nelle rilevanti esperienze di interposizione nonviolenta in zone di conflitto dei "Berretti bianchi" (www.berrettibianchi.org) e della rete "Verso i corpi civili di pace" (www.reteccp.org)] Eccomi qui per sostenere la vostra giusta mobilitazione. Oggi assistiamo ad un patto mortale (per noi cittadini, ovviamente) tra una classe di amministratori locali ed alcuni gruppi di sempre piu' spregiudicati imprenditori che cercano di spacciare per progresso e crescita economica i loro propri affari ed interessi. Non si pianifica piu' lo sviluppo delle aree secondo logiche programmate e concordate tra gli abitanti, gli amministratori e gli imprenditori tenendo come modello uno sviluppo coerente con un innalzamento complessivo della qualita' della vita, che per attuarsi deve comprendere buoni servizi, basso impatto sull'ambiente, valorizzazione delle aree soggette a interventi, capacita' di trasporti coerenti con i fabbisogni degli abitanti e vivibilita'del territorio, con la creazione di spazi pubblici fruibili dalla cittadinanza dove sia possibile lo scambio e la relazione cosi' da facilitare la costruzione di una cittadinanza partecipata. No. Oggi si insegue invece una pianificazione emergenziale che propone l'edilizia urbana selvaggia e le "grandi opere" tra cui appunto areoporti, superstrade, ecc.. come soluzione ottimale. Negando completamente le grida di allerta che si levano da tutti i ricercatori e gli studiosi dell'andamento delle condizioni di vita del pianeta. Non avrei voluto essere cosi' generale, ma dopo anni di lotta, anche locale, credo che il problema sia macroscopicamente a monte e riguardi una nuova etica, sia dello sviluppo sia della consapevolezza di una cittadinanza attiva. E quindi, per terminare, mi aggiungo nel sostenere la vostra mobilitazione augurandovi che attraverso la partecipazione al vostro appello si riesca ad ottenere una seria riconsiderazione dei piani di intervento da parte delle autorita' locali e delle imprese coinvolte. Ma soprattutto si riattivi un rapporto ed una partecipazione attiva tra cittadini cosi' da costruire una nuova e piu' forte capacita' di dialogo con le isituzioni sul futuro del nosto territorio nazionale. Saluti di pace, Maria Carla Biavati 4. SOLIDARIETA'. ENRICO PEYRETTI: ADERISCO ALLA VOSTRA OPPOSIZIONE ALL'AEROPORTO [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey@libero.it) per questo intervento. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei maestri della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le opere di Enrico Peyretti: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo foglio; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.info e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Un'ampia bibliografia degli scritti di Enrico Peyretti e' in "Voci e volti della nonviolenza" n. 68] Per essere breve, mi riconosco in pieno nella seguente frase di Angelo Baracca, con la quale aderisco alla vostra opposizione che, per quanto posso valutare, trovo giusta. "L'aereo - come a suo tempo l'automobile, o piu' recentemente il telefono cellulare - ha costituito una grande opportunita' di progresso, ma si e' trasformato, in una logica di puro profitto, in un fattore di grave squilibrio: le innovazioni tecnologiche non sono buone "di per se'", ma devono essere gestite; e chi si oppone a certe logiche di uso non e' 'contro il progresso' tout court". 5. TESTI. SERGE LATOUCHE: COS'E' LA DECRESCITA? UN'INTRODUZIONE [Riproponiamo il seguente estratto dall'introduzione del recente libro di Serge Latouche, La scommessa della decrescita, Feltrinelli, Milano 2007. Serge Latouche, docente universitario a Parigi, sociologo dell'economia ed epistemologo delle scienze umane, antropologo, esperto di rapporti economici e culturali Nord/Sud, promotre del Mauss (Movimento antiutilitarista nelle scienze sociali), propotore della rpoposta della decrescita, e' una delle figure piu' significative dell'odierno impegno per i diritti dell'umanita' e la difesa della biosfera. Opere di Serge Latouche: L'occidentalizzazione del mondo, Bollati Boringhieri, Torino 1992; Il pianeta dei naufraghi, Bollati Boringhieri, Torino 1993; I profeti sconfessati. Lo sviluppo e la deculturazione, La Meridiana, Molfetta (Bari) 1995; La megamacchina. Ragione tecnoscientifica, ragione economica e mito del progresso, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Il pianeta uniforme. Significato, portata e limiti dell'occidentalizzazione del mondo, Paravia, Torino 1997; L'altra Africa. Tra dono e mercato, Bollati Boringhieri, Torino 1997, 2000; Il mondo ridotto a mercato, Edizioni Lavoro, Roma 2000; La sfida di Minerva. Razionalita' occidentale e ragione mediterranea, Bollati Boringhieri, Torino 2000; L'invenzione dell'economia. L'artificio culturale della naturalita' del mercato, Arianna Editrice, 2001; La fine del sogno occidentale. Saggio sull'americanizzazione del mondo, Eleuthera, Milano 2002; Giustizia senza limiti. La sfida dell'etica in una economia globalizzata, Bollati Boringhieri, Torino 2003; Il ritorno dell'etnocentrismo, Bollati Boringhieri, Torino 2003; Altri mondi, altre menti, altrimenti. Oikonomia vernacolare e societa' conviviale, Rubbettino, Soveria Mannelli 2004; Decolonizzare l'immaginario. Il pensiero creativo contro l'economia dell'assurdo, Emi, Bologna 2004; Come sopravvivere allo sviluppo. Dalla decolonizzazione dell'immaginario economico alla costruzione di una societa' alternativa, Bollati Boringhieri, Torino 2005; La scommessa della decrescita, Feltrinelli, Milano 2007. Cfr. anche il libro-intervista curato da Antonio Torrenzano, Immaginare il nuovo. Mutamenti sociali, globalizzazione, interdipendenza Nord-Sud, L'Harmattan Italia, Torino 2000] "L'ecologia e' sovversiva poiche' mette in discussione l'immaginario capitalista dominante. Ne contesta l'assunto fondamentale secondo cui il nostro orizzonte e' il continuo aumento della produzione e dei consumi. L'ecologia mette in luce l'impatto catastrofico della logica capitalistica sull'ambiente naturale e sulla vita degli esseri umani" (Cornelius Castoriadis) Sembra ormai chiaro che oggi viviamo nell'epoca della sesta estinzione delle specie. Quotidianamente, infatti, si registra la scomparsa di un numero di specie (tra vegetali e animali) che va da cinquanta a duecento, un dato drammatico superiore da mille a trentamila volte quello dell'ecatombe delle ere geologiche passate. Come scrive Jean-Paul Besset: "Dopo l'era dei ghiacci polari, non c'e' mai stato un ritmo di estinzione paragonabile a quello attuale". Durante la quinta estinzione, avvenuta nell'era del Cretaceo 65 milioni di anni fa, si e' prodotta la fine dei dinosauri e di altri animali di grosse dimensioni, probabilmente a causa dell'impatto della Terra con un asteroide, ma questi mutamenti sono avvenuti in un arco di tempo ben piu' lungo rispetto a quello delle catastrofi attuali. Oggi, inoltre, a differenza delle epoche precedenti, l'uomo e' direttamente responsabile della "deplezione" in corso della materia vivente e potrebbe addirittura esserne vittima. Secondo il rapporto di Belpomme sui tumori e le analisi del rinomato tossicologo Narbonne, la fine dell'umanita' dovrebbe avvenire ancor prima del previsto, ovvero verso il 2060, a causa della sterilita' diffusa dello sperma maschile prodotta dall'effetto di pesticidi e altri Pop o Cmr (i tossicologi definiscono Pop gli inquinanti organici persistenti di cui i Cmr - cancerogeni, mutageni, reprotossici - rappresentano la specie piu' "innocua"). Dopo decenni di frenetico spreco, siamo entrati in una zona di turbolenza, in senso proprio e figurato. L'accelerazione delle catastrofi naturali - siccita', inondazioni, cicloni - e' gia' in atto. Ai cambiamenti climatici si aggiungono le guerre del petrolio (alle quali seguiranno quelle dell'acqua) e probabili pandemie, e si prevedono addirittura catastrofi di tipo biogenetico. Ormai e' noto a tutti che stiamo andando verso il collasso definitivo. Restano da calcolare solo la velocita' con cui stiamo precipitando nel baratro e il momento dello schianto. Secondo Peter Barrett, direttore del Centro di ricerca sull'Antartico all'universita' neozelandese di Victoria, "proseguire con questa dinamica di crescita ci mettera' di fronte alla prospettiva di una scomparsa della civilta' cosi' come la conosciamo, non fra milioni di anni o qualche millennio, ma entro la fine di questo secolo". Quando i nostri figli avranno sessant'anni, se il mondo esistera' ancora, sara' molto diverso. E' noto inoltre che la causa di tutto cio' sono i nostri stili di vita fondati su una crescita economica illimitata. Parlare di "decrescita" significa dunque lanciare una sfida, azzardare una provocazione: all'interno del nostro immaginario dominato dalla religione della crescita e dell'economia, asserire la necessita' della decrescita risulta letteralmente blasfemo e chi sostiene simili posizioni e' quantomeno considerato iconoclasta, ma la realta' e' che viviamo semplicemente in una condizione del tutto schizofrenica. Il presidente francese Chirac, per esempio, ha dichiarato alla Conferenza dell'Onu sull'ambiente di Johannesburg (2002): "La casa brucia e noi intanto guardiamo da un'altra parte". Inoltre, ha affermato che i nostri stili di vita sono insostenibili, dal momento che gli europei consumano l'equivalente di tre pianeti. Parole sante. Purtroppo, mentre pronunciava questi discorsi, i suoi uomini, dietro suo mandato, lavoravano all'Unione europea affinche' il Gaucho e il Paraquat, terribili pesticidi che uccidono le api, provocano il cancro negli uomini e li rendono sterili, non fossero iscritti nell'elenco dei prodotti proibiti. Inoltre, Chirac, Blair e Schroeder si sono adoperati per ridurre drasticamente l'impatto della direttiva Reach (Registration Evalutation and Authorisation of Chemicals). E' inutile stilare la lista delle catastrofi ecologiche gia' in atto o preannunciate, lo scenario e' fin troppo noto, il problema e' che non riusciamo ad afferrarne la portata: la catastrofe e' inimmaginabile fino a quando non si e' realmente prodotta. Siamo anche perfettamente consapevoli di cio' che sarebbe necessario fare, ovvero cambiare orientamento, ma in pratica non facciamo nulla. "Guardiamo altrove", e intanto la casa continua a bruciare. A nostra discolpa e' possibile affermare che i grandi uomini della politica e dell'economia lavorano per lasciarci in questo immobilismo - per esempio il World Business Council for Sustainable Development (Wbcsd), il gruppo di industriali desiderosi di preservare i loro profitti e il pianeta, ha al proprio interno i principali inquinatori del pianeta ed e' stato definito da un ex ministro francese dell'Ambiente "un club di criminali in giacca e cravatta". Sono proprio loro a continuare a gettare benzina (proveniente dagli ultimi barili di petrolio) sul fuoco e intanto continuano a dire a gran voce che questo e' l'unico modo per spegnerlo. Si continua a mantenere i medesimi orientamenti, addirittura perseguendoli con maggior forza, al punto che e' lecito riformulare la domanda posta gia' nel 1987 dal sociologo Jacques Godbout all'interno di un libro premonitore e poco noto: "La crescita e' davvero l'unica via d'uscita alla crisi della crescita?". Secondo l'amministratore delegato del nostro villaggio globale, George W. Bush, la risposta e' ovviamente affermativa. Il 14 febbraio 2002, a Silver Spring, davanti all'Amministrazione americana della meteorologia, ha infatti dichiarato che "la crescita e' la chiave del progresso dell'ambiente, poiche' fornisce le risorse che permettono di investire nelle tecnologie pulite; rappresenta dunque la soluzione e non il problema". Non e' da meno Chirac quando, in occasione del discorso di auguri alla nazione per il 2006, ha scandito in modo quasi incantatorio: "Crescita! Crescita! Crescita!". Simili orientamenti si conformano alla piu' stretta ortodossia economica. Secondo l'economista Wilfred Beckerman, "e' evidente che, per quanto la crescita economica sia, abitualmente e in un primo tempo, causa di degrado ambientale, in fin dei conti, per la maggior parte dei paesi, il modo migliore - e probabilmente l'unico - per avere condizioni ambientali decenti e' arricchirsi". Questa posizione "filocrescita" e' ampiamente condivisa. Sulla stampa, l'annuncio della ripresa americana o cinese e' sempre dato con toni trionfalistici. I piani di rilancio (franco-tedeschi, italiani o europei) si fondano sempre tutti su grandi opere (infrastrutture e trasporti), che non possono che deteriorare ulteriormente le condizioni, in particolare quelle climatiche. A fronte di questa situazione, il silenzio della sinistra, di socialisti, comunisti, verdi, dell'estrema sinistra e addirittura dei movimenti "altermondialisti", lascia interdetti. A sinistra la crescita e', infatti, considerata come fonte di soluzione della questione sociale, poiche' crea posti di lavoro e ne favorirebbe una ripartizione piu' equa. Jean Gadrey sintetizza bene questa posizione: "Se e' vero che la crescita non puo' risolvere tutti i problemi, e' giustamente considerata da molti come chiave in grado di creare margini di manovra e di migliorare alcune dimensioni della vita quotidiana, dell'impiego ecc... Tuttavia, cosi' facendo, si elude la questione del suo contenuto qualitativo (chi si e' migliorato?), o della sua ripartizione (la 'condivisione del valore aggiunto'), e soprattutto si eludono alcune questioni relative alla sua reale entita' che, se dovessero essere rese note, rischierebbero di indebolire la 'religione' dei tassi di crescita". Solo qualche rara voce (Jean-Marie Haribey, Alain Lipietz e i responsabili di Attac) esce dal coro e sostiene una "decelerazione della crescita". Anche se si tratta di una posizione che, pur partendo da buone intenzioni, si rivela in fin dei conti inefficace, poiche' ci priva nel contempo dei benefici della crescita e dei vantaggi della decrescita. Michel Serres paragona l'ecologia riformista "a una nave che si dirige alla velocita' di 25 nodi verso una parete rocciosa e sulla quale si scagliera' inevitabilmente, mentre sul ponte di comando il capitano ordina di diminuire la velocita' di un decimo, ma non di invertire la rotta". Decelerare significa esattamente questo. Nel 2004, il giornalista del settimanale francese "Politis" specializzato nelle questioni riguardanti l'ecologia e' stato costretto alle dimissioni dopo aver messo in luce in un suo articolo la debolezza dell'opposizione su questi temi. Il dibattito che ne e' scaturito ha rivelato tutto il disagio della sinistra. Il nodo della questione, scrive un lettore della rivista, sta certamente "nella capacita' di sfidare una sorta di pensiero unico, condiviso da quasi tutta la classe politica francese, secondo cui la nostra felicita' deve passare per un aumento della crescita, della produttivita', del potere d'acquisto e dunque per un aumento dei consumi". Come ha osservato Herve' Kempf a proposito di questo caso: "La sinistra e' davvero disposta a proclamare la necessita' di ridurre il consumo materiale, cardine dell'ecologismo?". A rigor del vero e' necessario ammettere che, da non molto, in Francia, il tema della decrescita e' oggetto di dibattito all'interno dei verdi, della Confe'deration paysanne, del movimento altermondialista, ma anche in alcuni settori dell'opinione pubblica, soprattutto grazie al giornale "La Decroissance" promosso dall'associazione Casseurs de pub. Tuttavia, molti hanno preso posizioni aprioristicamente a favore o contro, senza preoccuparsi di informarsi ulteriormente e deformando, se necessario, le rare analisi proposte. Poiche' sono stato spesso chiamato in causa come "teorico della decrescita" (anche da "Le Monde diplomatique"), mi pare opportuno dissipare alcuni malintesi e chiarire in modo preciso i termini della questione. La mia posizione e' esattamente questa: dal momento che un cambiamento radicale e' una necessita' assoluta, la scelta di una societa' della decrescita rappresenta una sfida che vale la pena di cogliere per evitare una brutale e drammatica catastrofe. Questo e' il tema del libro. * Il termine "decrescita" in realta' e' stato introdotto solo di recente all'interno del dibattito economico, politico e sociale, nonostante le idee sulle quali si fonda abbiano una storia molto lunga. Senza dover risalire alle utopie del primo socialismo, ne' alla tradizione anarchica rinnovata dal situazionismo, il progetto di una societa' paragonabile a quella che intendo per societa' della decrescita era gia' stato formulato alla fine degli anni Sessanta da teorici come Ivan Illich, Andre' Gorz, Francois Partant e Cornelius Castoriadis. Il fallimento dello sviluppo nel Sud del pianeta e la perdita di punti di riferimento nel Nord hanno portato molti analisti a mettere in discussione la societa' dei consumi, il sistema di rappresentazione che la sottende, il progresso, la scienza, la tecnica. A questo si e' aggiunta la presa di coscienza della crisi dell'ambiente. L'idea di decrescita nasce dunque sia dalla consapevolezza della crisi ecologica sia dalla critica della tecnica e dello sviluppo. Fino a qualche anno fa, tuttavia, il termine "decrescita" non figurava in alcun dizionario che trattasse di economia e societa', mentre si potevano trovare alcuni concetti simili, come "crescita zero", "sviluppo sostenibile" e naturalmente "stato stazionario". Nondimeno, l'espressione "decrescita" ha gia' una storia relativamente complessa ed e' ricca di significati sul piano politico ed economico. E' tuttavia necessario chiarirne il significato. Alcuni analisti malevoli sostengono che si tratta di un concetto vecchio per poter cosi' liquidare piu' facilmente le proposte sovversive avanzate dagli attuali "obiettori della crescita". Francois Vatin, per esempio, sostiene che gia' Adam Smith aveva proposto una teoria della decrescita nei capitoli 7 e 9 de La ricchezza della nazioni in cui evoca un ciclo di vita delle societa' "che le fa passare dalla crescita accelerata (il caso delle colonie dell'America del Nord) alla decrescita (il caso del Bengala) attraverso uno stato stazionario (il caso della Cina)". In realta', Vatin confonde il concetto di regressione con quello di decrescita. Nella mia accezione, decrescita non identifica ne' lo stato stazionario dei classici dell'economia, ne' una forma di regressione, di recessione o di "crescita negativa", e neppure la crescita zero - benche' alcuni aspetti della decrescita si ritrovino in quest'ultimo concetto. In linea con i pubblicitari, i media chiamano ormai "concept" qualsiasi progetto alla base del lancio di un nuovo prodotto, anche di tipo culturale, e non stupisce dunque il fatto che mi sia stato chiesto quali siano i contenuti del "nuovo concept" decrescita. A costo di far dispiacere qualcuno, dichiaro subito che decrescita non e' un concetto, almeno non nel senso tradizionale del termine, e' improprio parlare di "teoria della decrescita", come gli economisti hanno fatto per le teorie della crescita, e soprattutto che decrescita non identifica un modello pronto per l'uso. Decrescita non e' il termine simmetrico di crescita, ma e' uno slogan politico con implicazioni teoriche, e' un "termine esplosivo", dice Paul Aries, che cerca di interrompere la cantilena dei drogati del produttivismo. Decrescita e' una parola d'ordine che significa abbandonare radicalmente l'obiettivo della crescita per la crescita, un obiettivo il cui motore non e' altro che la ricerca del profitto da parte dei detentori del capitale e le cui conseguenze sono disastrose per l'ambiente. A rigor del vero, piu' che di "de-crescita", bisognerebbe parlare di "a-crescita", utilizzando la stessa radice di "a-teismo", poiche' si tratta di abbandonare la fede e la religione della crescita, del progresso e dello sviluppo. Decrescita e' semplicemente uno slogan che raccoglie gruppi e individui che hanno formulato una critica radicale dello sviluppo e interessati a individuare gli elementi di un progetto alternativo per una politica del doposviluppo. Decrescita e' dunque una proposta per restituire spazio alla creativita' e alla fecondita' di un sistema di rappresentazioni dominato dal totalitarismo dell'economicismo, dello sviluppo e del progresso. I limiti della crescita sono definiti, nel contempo, sia dalla quantita' disponibile di risorse naturali non rinnovabili sia dalla velocita' di rigenerazione della biosfera per le risorse rinnovabili. Storicamente, nella maggior parte delle societa', queste risorse erano considerate essenzialmente beni comuni (commons) che, nella maggioranza dei casi, non appartenevano a nessun singolo individuo. Ciascuno poteva goderne nei limiti delle regole d'uso della comunita'. La stessa cosa avveniva per le risorse rinnovabili: l'aria, l'acqua, la fauna e la flora selvatiche, i pesci degli oceani e dei fiumi, e, con alcune restrizioni, i pascoli, gli alberi secchi o il legno marcio e i pezzi di legna. L'uso delle risorse non rinnovabili, i minerali del sottosuolo (tra cui l'olio di terra, il petrolio), era governato da regimi di regolamentazione posti sotto il controllo del principe o dello stato affinche' vi si attingesse con criteri consoni alla loro esauribilita'. Piu' generalmente, l'assenza di sistematica mercificazione dei beni naturali e la consuetudine limitavano l'uso di queste risorse a livelli accettabili. La rapacita' dell'economia moderna e la scomparsa dei vincoli comunitari, quelli che Orwell chiama "decenza comune", hanno trasformato l'uso di queste risorse in saccheggio sistematico. Da questo punto di vista, il caso delle balene rivela chiaramente la difficolta' rappresentata dalla protezione dell'ambiente. L'invenzione di Steven Foyn nel 1870 del cannone-arpione esplosivo ha favorito l'industrializzazione della caccia alla balena. Negli anni Venti e' schizzato in alto il numero di baleniere e nel 1938 e' stata raggiunta la cifra record di 54.835 balene catturate. Lo "stock" di balene, come e' noto a tutti, e' ormai in via di esaurimento. L'industria della pesca si e' dunque spostata su nuove specie di dimensioni piu' piccole - la balena blu, la balenottera, il capodoglio. L'introduzione di nuove materie grasse e' avvenuta tuttavia troppo tardi e, secondo la Commissione baleniera internazionale, nell'Antartico, prima dei recenti provvedimenti di divieto della pesca, restavano meno di 1000 balene blu, 2000 balenottere e 3000 capodogli. Diverse specie di balene sono totalmente scomparse, mentre all'inizio del XX secolo esistevano centinaia di migliaia di rappresentanti per ciascuna razza. In definitiva, si prescinde dall'ambiente, lo si pone al di fuori della sfera degli scambi mercantili e nessun dispositivo si oppone alla sua distruzione. Ma in realta', la concorrenza e il mercato, che ci forniscono il cibo alle migliori condizioni, hanno effetti disastrosi sulla biosfera. Nulla interviene a limitare il saccheggio delle risorse naturali, la cui gratuita' permette di abbassare i costi. L'ordine naturale non e', infatti, in grado di opporsi a queste dinamiche, per esempio non e' riuscito a salvare le Isole Mauritius o le balene blu della Terra del Fuoco e solo l'incredibile fecondita' naturale dei merluzzi potra' forse risparmiare loro la sorte a cui vanno incontro le balene. Anche se non possiamo esserne certi, poiche' l'inquinamento degli oceani rappresenta un grave pericolo per questa leggendaria fecondita'. Il saccheggio dei fondali marini e delle risorse alieutiche sembra irreversibile. La dilapidazione di minerali prosegue in modo irresponsabile. I cercatori d'oro individuali, come i garimpeiros d'Amazzonia, o le grandi societa' australiane in Nuova Guinea non arretrano di fronte a nulla per procurarsi l'oggetto della loro cupidigia. Peraltro, nel nostro sistema, ogni capitalista, come ogni homo oeconomicus, e' una sorta di cercatore d'oro. Gli indiani della British Columbia, costa occidentale del Canada (i kwakiutl, haida, tsimshian, tlingt ecc.), hanno invece dato un buon esempio di rapporti armoniosi tra uomo e biosfera. Secondo una leggenda, i salmoni erano esseri umani come loro che vivevano in tribu' in fondo al mare, dove avevano le tende, e d'inverno decidevano di sacrificarsi per i loro fratelli che abitavano sulla terraferma, allora diventavano salmoni e si dirigevano verso le foci dei fiumi. Nella stagione in cui risalivano il fiume, gli indiani accoglievano il primo salmone come un ospite importante e lo mangiavano durante una cerimonia. Il suo sacrificio era tuttavia considerato un prestito provvisorio e ne riportavano in mare lo scheletro e i resti permettendo cosi' la rinascita dell'ospite precedentemente mangiato. In questo modo si perpetuava l'armoniosa convivenza tra salmoni e uomini. Con l'arrivo dell'uomo bianco e l'insediamento a ogni estuario di industrie conserviere si e' realizzata una corsa al profitto che ha portato una drastica diminuzione di salmoni. Secondo gli indiani, i salmoni sono scomparsi perche' i bianchi non hanno rispettato il rituale... E non si puo' dare loro torto. La relazione di queste tribu' con la natura, come quella della maggior parte delle societa' tradizionali, si fonda sull'armonioso inserimento dell'uomo nel cosmo. In Siberia, si muore nella foresta per restituire agli animali cio' che si e' preso da loro. Queste concezioni implicano rapporti di reciprocita' tra gli uomini e il resto dell'universo: gli uomini sono pronti a darsi a Gaia (personificazione mitologica della Terra), come Gaia si e' data a loro. Eliminando la capacita' di rigenerazione della natura, riducendo le risorse naturali a una materia prima da sfruttare invece di attingerne, la modernita' ha eliminato questo rapporto di reciprocita'. La condizione della nostra sopravvivenza sta certamente nella ricostruzione di un rapporto armonioso con la natura, sulle orme di una concezione prearistotelica della relazione uomo-natura. MacMillan, economista americano del XXI secolo impegnato nella salvaguardia dei condor, sosteneva: "Dobbiamo salvare i condor, non tanto perche' abbiamo bisogno dei condor, ma soprattutto perche', per poterli salvare dobbiamo sviluppare quelle qualita' umane di cui avremo bisogno per salvare noi stessi". All'interno della protezione dell'ambiente, Jean-Marie Pelt introduce i concetti di gratuita' e di bellezza. Il problema reale e' che si continua a parlare di ecologia, sono state adottate importanti misure di protezione, ma continuiamo a non invertire radicalmente la rotta. Nonostante l'ottimismo del filosofo francese Michel Serres, gli alberi dotati della capacita' di giudizio non devono nascondere la foresta minacciata. La giurisprudenza americana piu' recente va nel senso di un rafforzamento dell'appropriazione giuridica dei processi naturali da parte dell'uomo sempre piu' spinta. A questo si aggiunge che, per abitudine o incoscienza, le istituzioni tendono a incoraggiare ogni forma di inquinamento (pesticidi, concimi chimici) con esenzioni fiscali e continuano a finanziare progetti che distruggono la biosfera dei paesi del Sud con il pretesto della lotta contro la poverta'. Si e' addirittura arrivati a pensare che l'unico rimedio alla tragedia della scomparsa di numerosi beni comuni fosse la loro completa eliminazione. Secondo i convinti sostenitori della deregulation, solo l'interesse privato e la rapacita' degli individui potrebbero limitare la sua dismisura! Bisognerebbe privatizzare l'acqua e l'aria (ma anche i pesci degli oceani e i batteri delle foreste tropicali) per salvarle dai predatori. » quanto fanno le societa' transnazionali, con il sostegno degli stati nazionali e delle istituzioni internazionali, contro le quali le popolazioni insorgono in tutto il pianeta. La gestione dei limiti della crescita e' diventata una questione intellettuale e politica. La ricerca teorica sulla decrescita si colloca all'interno di un movimento piu' ampio di riflessione sulla bioeconomia, sul doposviluppo e sull'a-crescita... 6. TESTI. VANDANA SHIVA: PRINCIPI COSTITUTIVI DI UNA DEMOCRAZIA DELLA COMUNITA' TERRENA [Riproponiamo il seguente estratto dall'introduzione dell'ultimo libro di Vandana Shiva, Il bene comune della Terra, Feltrinelli, Milano 2006, alle pp. 16-19. Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi. Tra le opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002. Le guerre dell'acqua, Feltrinelli, Milano 2003; Le nuove guerre della globalizzazione, Utet, Torino 2005; Il bene comune della Terra, Feltrinelli, Milano 2006] 1. Tutte le specie, tutti gli esseri umani e tutte le culture possiedono un valore intrinseco. Tutti gli esseri viventi sono soggetti dotati di intelligenza, integrita' e di un'identita' individuale. Non possono essere ridotti al ruolo di proprieta' privata, di oggetti manipolabili, di materie prime da sfruttare o di rifiuti eliminabili. Nessun essere umano ha il diritto di possedere altre specie, altri individui, o di impadronirsi dei saperi di altre culture attraverso brevetti o altri diritti sulla proprieta' intellettuale. * 2. La comunita' terrena promuove la convivenza democratica di tutte le forme di vita. Siamo membri di un'unica famiglia terrena, uniti gli uni agli altri dalla fragile ragnatela della vita del pianeta. Pertanto e' nostro dovere assumere dei comportamenti che non compromettano l'equilibrio ecologico della Terra, nonche' i diritti fondamentali e la sopravvivenza delle altre specie e di tutta l'umanita'. Nessun essere umano ha il diritto di invadere lo spazio ecologico di altre specie o di altri individui, ne' di trattarli con crudelta' e violenza. * 3. Le diversita' biologiche e culturali devono essere difese. Le diversita' biologiche e culturali hanno un valore intrinseco che deve essere riconosciuto. Le diversita' biologiche sono fonti di ricchezza materiale e culturale che pongono le basi per la sostenibilita'. Le differenze culturali sono portatrici di pace. Tutti gli esseri umani hanno il dovere di difendere tali diversita'. * 4. Tutti gli esseri viventi hanno il diritto naturale di provvedere al loro sostentamento. Tutti i membri della comunita' terrena, inclusi gli esseri umani, hanno il diritto di provvedere al loro sostentamento: hanno diritto al cibo e all'acqua, a un ambiente sicuro e pulito, alla conservazione del loro spazio ecologico. Le risorse vitali necessarie per il sostentamento non possono essere privatizzate. Il diritto al sostentamento e' un diritto naturale perche' equivale al diritto alla vita. E' un diritto che non puo' essere accordato o negato da una nazione o da una multinazionale. Nessun paese e nessuna multinazionale ha il diritto di vanificare o compromettere questo genere di diritto, o di privatizzare le risorse comuni necessarie alla vita. * 5. La democrazia della comunita' terrena si fonda su economie che apportano la vita e su modelli di sviluppo democratici. La realizzazione di una democrazia della comunita' terrena presuppone una gestione democratica dell'economia, dei piani di sviluppo che proteggano gli ecosistemi e la loro integrita', provvedano alle esigenze di base di tutti gli esseri umani e assicurino loro un ambiente di vita sostenibile. Una concezione democratica dell'economia non prevede l'esistenza di individui, specie o culture eliminabili. L'economia della comunita' terrena e' un'economia che apporta nutrimento alla vita. I suoi modelli sono sempre sostenibili, differenziati, pluralistici, elaborati dai membri della comunita' stessa al fine di proteggere la natura e gli esseri umani e operare per il bene comune. * 6. Le economie che apportano la vita si fondano sulle economie locali. Il miglior modo di provvedere con efficienza, attenzione e creativita' alla conservazione delle risorse terrene e alla creazione di condizioni di vita soddisfacenti e sostenibili e' quello di operare all'interno delle realta' locali. Localizzare l'economia deve diventare un imperativo ecologico e sociale. Si dovrebbero importare ed esportare soltanto i beni e i servizi che non possono essere prodotti localmente, adoperando le risorse e le conoscenze del luogo. Una democrazia della comunita' terrena si fonda su delle economie locali estremamente vitali, che sostengono le economie nazionali e globali. Un'economia globale democratica non distrugge e non danneggia le economie locali, non trasforma le persone in rifiuti eliminabili. Le economie che sostengono la vita rispettano la creativita' di tutti gli esseri umani e producono contesti in grado di valorizzare al massimo le diverse competenze e capacita'. Le economie che apportano la vita sono differenziate e decentralizzate. * 7. La democrazia della comunita' terrena e' una democrazia che tutela la vita. Una democrazia che tutela la vita si fonda sul rispetto democratico di ogni forma vivente e su un comportamentodemocratico da adottare gia' a partire dalla quotidianita'. Ogni soggetto coinvolto ha il diritto di partecipare alle decisioni da prendere in merito al cibo, all'acqua, alla sanita' e all'istruzione. Una democrazia che tutela la vita cresce dal basso verso l'alto, al pari di un albero. La democrazia della comunita' terrena si fonda sulle democrazie locali, lasciando che le singole comunita' costituite nel rispetto delle differenze e delle responsabilita' ecologiche e sociali abbiano pieni poteri decisionali riguardo all'ambiente, alle risorse naturali, al sostentamento e al benessere dei loro membri. Il potere viene delegato ai livelli esecutivi piu' alti applicando il principio della sussidiarieta'. La democrazia della comunita' terrena si fonda sull'autoregolamentazione e sull'autogoverno. * 8. La democrazia della comunita' terrena si fonda su culture che valorizzano la vita. Le culture che valorizzano la vita promuovono la pace e creano degli spazi di liberta' per consentire il culto di religioni diverse e l'espressione di diverse fedi e identita'. Tali culture lasciano che le differenze culturali si sviluppino proprio a partire dalla nostra umanita' e dai nostri comuni diritti in quanto membri della comunita' terrena. * 9. Le culture che valorizzano la vita promuovono lo sviluppo della vita stessa. Le culture che valorizzano la vita si fondano sul riconoscimento della dignita' e sul rispetto di ogni forma di vita, degli uomini e delle donne di ogni provenienza e cultura, delle generazioni presenti e di quelle future. Sono culture ecologiche che non producono stili di vita distruttivi o improntati al consumismo, basati sulla sovrapproduzione, sullo spreco o sullo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali. Le culture che valorizzano la vita sono molteplici, ma ispirate da un comune rispetto per il vivente. Riconoscono la compresenza di identita' diverse che condividono lo spazio comune della comunita' locale e danno voce a un sentimento di appartenenza che correla i singoli individui alla terra e a tutte le forme di vita. * 10. La democrazia della comunita' terrena promuove un sentimento di pace e solidarieta' universale. La democrazia della comunita' terrena unisce tutti i popoli e i singoli individui sostenendo valori quali la cooperazione e l'impegno disinteressato, anziche' separarli attraverso la competizione, il conflitto, l'odio e il terrore. In alternativa a un mondo fondato sull'avidita', sulla diseguaglianza e sul consumismo sfrenato, questa democrazia si propone di globalizzare la solidarieta', la giustizia e la sostenibilita'. 7. RIFERIMENTI. PER CONTATTARE IL COMITATO CHE SI OPPONE ALL'AEROPORTO DI VITERBO Per informazioni e contatti: Comitato contro l'aeroporto di Viterbo e per la riduzione del trasporto aereo: e-mail: info@coipiediperterra.org , sito: www.coipiediperterra.org Per contattare direttamente la portavoce del comitato, la dottoressa Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta@libero.it Per ricevere questo notiziario: nbawac@tin.it =================== COI PIEDI PER TERRA =================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it Numero 13 del 27 agosto 2007 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request@peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request@peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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