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Titolo articolo : Lutto: direttore Giovanni Sarubbi,La Redazione

Ultimo aggiornamento: April/13/2021 - 17:05:40.

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Autore Città Giorno Ora
mario pancera Milano 08/4/2021 10.23
Titolo:
Era un amico, intelligente, attivo, uomo di pace. Preghiamo per lui.
Mario Pancera
Autore Città Giorno Ora
Antonio Gimigliano Pisa 08/4/2021 19.52
Titolo:
Una notizia dolorosa e inaspettata... Ci eravamo scambiati gli auguri di Buona Pasqua e, mai e poi mai, avrei potuto immaginare che... La mia amicizia con Giovanni non risale lontano nel tempo ma mi ha dato modo di apprezzare immediatamente le Sue elevate doti intellettuali e umane. Riposi in pace!
Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 10/4/2021 19.42
Titolo:Cordoglio da Enrico Peyretti 

da Enrico Peyretti :



"Fino a questi giorni attivo e tenace come pochi, per una cultura e informazione di pace. Nel dolore della sua perdita, siamo ammirati e - osiamo dirlo! - lieti della sua esistenza, del suo passaggio tra noi, perché ha speso e consumato le sue energie, la sua azione, nella passione della pace. Un valore imperdibile della vita, ammirevole."
Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 10/4/2021 19.45
Titolo:Cordoglio di Agnese Ginocchio 
In tarda mattinata la triste notizia della sua scomparsa. Tutti noi che lo conoscevamo siamo sconvolti. Abbiamo perso una grande voce autorevole, impegnata come pochi sulle strade del dialogo e della Pace. Giornalista, fondatore e direttore del sito "Il Dialogo", autore di libri e di tanti articoli in cui ha sempre raccontato la verità, denunciando la corruzione. Che la terra ti sia lieve caro Giovanni!

Giovanni Sarubbi è l' immagine di Colui che su questa terra ha gettato un seme che ha generato un grande Albero i cui rami hanno prodotto frutti di Pace. Il suo ultimo calvario su questa terra, ovvero la sua ascesa verso il cielo, è iniziato domenica scorsa, giorno in cui si è celebrata la Pasqua. Oggi, Mercoledì in albis, è terminato il suo percorso terreno per iniziare quello celeste insieme al "Risorto" , il Maestro che ci ha insegnato la Pace, di cui era fervido seguace, figlio di una chiesa "altra" che dal basso si fa testimone di quel messaggio "scomodo" ai mercanti di morte.

Che la terra ti sia lieve caro Giovanni. A noi il compito di proseguire la tua opera di Pace, di continuare a illuminare così come tante volte ci hai insegnato attraverso i tuoi autorevoli scritti.

 
Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 10/4/2021 19.47
Titolo:Cordoglio di Raffaello Saffioti 
Carissimo Giovanni, ti scrivo in questo momento di grande dolore ,abbandonandomi all'onda dei ricordi del nostro rapporto personale.

Quanti ricordi!

Ho avuto la fortuna d' incontrarti e hai dato voce alla mia voce, pubblicando sul tuo giornale i miei contributi in tanti anni, in modo permanente.

Abbiamo camminato insieme, con la bandiera della Pace ,nella terra di Giochino da Fiore,terra di utopia e profezia. E abbiamo sognato un mondo senza armi e senza eserciti, come membri di una sola famiglia umana.

Ho bisogno di tempo per elaborare il dolore ,ma voglio continuare a camminare con te in compagnia con il tuo spirito, con speranza per inventare il futuro.

Continuo a sentirti vivo, sempre impegnato voi compagni di strada, nel dialogo interreligioso animato da spirito evangelico, per la pace e la giustizia. Ti abbraccio Raffaello.
Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 10/4/2021 19.49
Titolo:Cordoglio di Angelica Romano 
Cara Sara Sarubbi, vorrei giungesse a te e a tutta la tua famiglia il mio affetto. Le mie condizioni di salute e le norme non mi hanno permesso di essere con voi lì.

Il tuo papà era una persona speciale, intellettuale attento, umile, conciliante, accogliente. Faremo attenzione a quanto lascia e insieme dovremo decidere come valorizzarlo in modo adeguato.
Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 10/4/2021 19.57
Titolo:Cordoglio del Centro Gandhi 
Ora che vivi nel mondo della Verità,  possa il tuo aiuto assisterci nel prosieguo del cammino, facendo sempre più del Dialogo uno strumento a favore del disarmo e della pace.  
Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 10/4/2021 22.42
Titolo:Cordoglio di Francesco Pugliese 
Carissimi,

apprendo con tanta tristezza la notizia che Giovanni Sarubbi ci ha lasciato. Sono vicino a voi, alla Redazione e alla famiglia con profonda solidarietà.

Perdiamo un coerente lottatore pacifista, un uomo onesto, un intellettuale che ha dato molto alla causa della pace e grande voce al mondo del pacifismo e al dialogo tra le religioni. Mancherà molto, mancherà la sua esemplare coerenza e il suo sano radicalismo, la sua voglia di un mondo più giusto e più bello, e ne abbiamo molto bisogno.

Rimarrà quanto ha seminato, il suo esempio, la enorme documentazione raccolta e il giornale.

Vi abbraccio

Francesco Pugliese
Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 13/4/2021 17.05
Titolo:Memoria di un uomo giusto
Giovanni ci ha lasciato, ma ci rimane di lui un prezioso patrimonio di lucida analisi politica del tempo presente insieme a un nobilissimo esempio di costante solidarietà a fianco degli ultimi, dei non privilegiati. Fu sempre concretamente vicino al Centro di accoglienza di Vicofaro e siamo certi che la sua memoria ci accompagnerà dandoci forza di Resistere nel nostro impegno.

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Titolo articolo : PACE E GIUSTIZIA PER IL MYANMAR,di Centro Gandhi

Ultimo aggiornamento: March/17/2021 - 16:55:26.

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Autore Città Giorno Ora
Antonio Gimigliano Pisa 17/3/2021 16.55
Titolo:Un sincero GRAZIE a Rocco Altieri
Caro Rocco, questo lavoro di "riepilogo" e di sintesi che tu, in sincero spirito di dialogo e "comunione", hai fatto con questo intervento è estremamente utile - almeno per me, ma credo non soltanto per me... - per comprendere e interpretare quel che sta succedendo in Myanmar. Purtroppo, molte volte si esprimono opinioni senza una preliminare acquisizione di dati certi e verificabili. Da parte mia un GRAZIE SINCERO!

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Commenti Articolo 4

Titolo articolo : FARSI CONTAGIARE DALLA SPERANZA NEL TEMPO DELLA PANDEMIA PER INVENTARE IL FUTURO,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: March/15/2021 - 12:19:28.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 09/3/2021 08.03
Titolo:La regola d'oro secondo Gandhi
Nelle lettere dal carcere di Yeravda dove era detenuto dopo la marcia del sale Gandhi dettò ai compagni della sua comunità una regola: "Tutti gli ostacoli che sono sulla nostra strada si dissolveranno se saremo provvisti d'una regola d'oro, non avere cioè impazienza verso quelli che non credono di sbagliare..."
Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 10/3/2021 12.24
Titolo:
Complimenti Raffaello per il tuo costante impegno per la pace e i problemi che affliggono l'umanità.
Un importante contributo per aiutare a riflettere sui fatti accaduti in questo drammatico anno in Italia e nel mondo. Un nemico invisibile ci ha costretti a stare chiusi in casa modificando radicalmente le nostre vite, i nostri rapoporti di amicizia e parentali; abbiamo quindi avuto molto tempo a disposizione per riflettere sul nostro destino e sul destino dell'ambiente. Il virus ha messo in discussione il nostro diritto al movimento. E' necessario riconquistare la speranza nella vita e nei suoi valori.
Autore Città Giorno Ora
Mariella Ratti La Spezia 12/3/2021 19.02
Titolo:
Grazie Raffaello per questa testimonianza., che induce a riflessioni sulle nostre vite e sui modelli culturali dominanti che obbediscono a logiche di sopraffazione e di morte. Il virus, che sta mettendo sotto scacco l'umanità, dovrebbe servire a far capire quanto è inutile costruire  armi sempre più sofisticate e potenti, e che solo la cultura della cura e dell'attenzione verso la Terra tutta, vivente e non vivente, è la vera strategia vincente. Il futuro da inventare ci deve trovare non rassegnati ma consapevoli della forza della pace.
Autore Città Giorno Ora
Antonio D'Agostino Vibo Valentia 15/3/2021 12.19
Titolo:Costruire la speranza.
Come sempre Raffaello Saffioti arriva direttamente all’essenza delle grandi questioni che attraversano la nostra epoca, col fardello storico di un passato che non passa e al cui interno vi è quello più insopportabile  dei rapporti malati che hanno portato e continuano a portarci nel vicolo cieco della guerra,  alimentata dal virus del dominio anch’esso pandemico ma molto visibile, contrariamente a quello del Covid che continua ad affliggerci. E chissà che anche quest’ultimo non voglia darci un segnale chiaro, forse l’ultimo, per esortarci a quella “cultura della cura come percorso di pace” evocata da Papa Francesco e così opportunamente richiamata da Raffaello non senza gli ulteriori e sempre opportuni riferimenti ai grandi pensatori che hanno visto prima, più a fondo e più in là. Grazie.

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Commenti Articolo 5

Titolo articolo : CERCHI e SFERE: CHE FIGURE!...,di Antonio F. Gimigliano

Ultimo aggiornamento: March/12/2021 - 20:27:14.

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Autore Città Giorno Ora
Mariella Ratti La Spezia 12/3/2021 20.27
Titolo:
Grazie, Antonio! Il fascino di certi argomenti è irresistibile!

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Commenti Articolo 6

Titolo articolo : CERCHI  NELL'ACQUA  e... ALTRE  STORIE,di Antonio F. Gimigliano

Ultimo aggiornamento: March/06/2021 - 13:53:52.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 06/3/2021 13.46
Titolo:11° racconto della serie Imparare con i bambini 
Continua la felice rubrica IMPARARE COI BAMBINI, giunta ormai alla sua undicesima puntata, con centinaia e anche migliaia di visualizzazioni,  un vero successo del  docente calabrese di scienze, nativo di Mormanno il prof. FRANCESCANTONIO GIMIGLIANO.           Il suo racconto questa volta si arricchisce di colti e ricercati riferimenti storici e letterari,  sempre ben scelti, che spaziano da Shakespeare a Margaret Atwood fino a evocare nel finale il Cantico di Francesco di Assisi.  La riflessione si fa filosofica ed educativa invitando ad apprendere dall'acqua la lezione dell'agire nonviolento. 
Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 06/3/2021 13.53
Titolo:Complimenti vivissimi !
Complimenti vivissimi all'autore: uno scienziato che osserva alla maniera di Darwin, uno scrittore geniale e creativo come Rodari. 

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Commenti Articolo 7

Titolo articolo : Appello del segretario generale dell'ONU per il 3 MARZO GIORNATA MONDIALE DELLA FAUNA SELVATICA.,a cura di ALESSANDRA APREA

Ultimo aggiornamento: March/03/2021 - 18:14:38.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 03/3/2021 18.14
Titolo:Giornata mondiale della fauna selvatica!
Complimenti vivissimi e ringraziamenti per l'attrice Alessandra Aprea che ha condiviso l'appello dellONU per la difasa della natura selvatica. Ottima la scelta di uno scenario paradisiaco: il mare di Meta di Sorrento!

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Commenti Articolo 8

Titolo articolo : l diritto di sbagliare, quello di correggere, l'abuso di reprimere,di Andrea Salvoni

Ultimo aggiornamento: March/03/2021 - 18:08:29.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 03/3/2021 18.08
Titolo:Non giudicare per non essere giudicati!
La scuola non deve essere un luogo che alimenti la meritocrazia. Immaginiamo una scuola e un'università senza interrogazioni e senza voti che sia solo luogo paritario di ricerca della verità e di sviluppo della socialità e relazioni umane. 

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Commenti Articolo 9

Titolo articolo : Emanuele Parrino: il Regno di Dio,di Rosario Greco

Ultimo aggiornamento: February/24/2021 - 21:30:14.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 24/2/2021 21.30
Titolo:La Fondazione Don Elio Parrino di Palermo 
Don Elio Parrino è stato uno straordinario sacerdote palermitano che va fatto conoscere anche fuori dalla Sicilia. Salutiamo perciò con vivo interesse questa pubblicazione dedicata a un suo commento all'opera teologica più importante di Romano Guardini: "Il Signore". La pubblicazione e la presentazione del libro è a cura di Rosario Greco, Presidente della Fondazione Parrino di Palermo

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Commenti Articolo 10

Titolo articolo : La Carta dei valori che non piace a Draghi,di Vincenzo Valtriani

Ultimo aggiornamento: February/18/2021 - 01:56:46.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 18/2/2021 01.56
Titolo:Il valore dei nostri Doveri è dato dalla conseguenza di anteporlo ai nost
Vincenzo Valtriani è uno dei pochissimi studiosi di scienze per la pace ad aver compreso la lezione di Mazzini e di Gandhi che anteponevano i doveri ai diritti. Gandhi interpellato dall'ONU si rifiutò di contribuire alla scrittura della Carta dei diritti dell'uomo, un fatto che oggi risulta inspiegabile al comune sentire.
Anche lo slogan della Tavola della pace di Assisi proclama. " Diritti per tutti". Gandhi ribalta la prosepttiva e afferma con Tolstoj: Ho il dovere di  scendere subito dalle spalle dell'uomo che opprimo? La retorica dei diritti è facile da proclamare per i governi perché proieatta in un fututo indeterminato la realizzazione dei cambiamenti. L'etica dei doveri impone invece di agire subito nei fatti.

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Commenti Articolo 11

Titolo articolo : Riflessioni un po satiriche sul nuovo governo,di Vincenzo Valtriani

Ultimo aggiornamento: February/14/2021 - 21:47:21.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 14/2/2021 21.47
Titolo:Non satira, ma amara e tragica verità!
Quello di Vincenzo Valtriani è un quadro amaro, ma realistico di una situazione drammatica. Il confronto tra le due realtà serve a farci intendere quanto sia vuota e vana la retorica democratica che ci propongono ogni giorno i mass-media.  Complimenti vivissimi a Vincenzo che con i suoi interventi sta dando sostanza alla collaborazione del Centro Gandhi col Dialogo!

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Commenti Articolo 12

Titolo articolo : Roberto Cingolani è il miglior ministro possibile per il ministero della transizione ecologica?,di Centro Gandhi odv

Ultimo aggiornamento: February/14/2021 - 15:17:29.

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Autore Città Giorno Ora
Antonio Gimigliano Pisa 14/2/2021 15.13
Titolo:a titolo di documentazione

Cingolani, il fisico conteso tra Renzi e Grillo il manifesto
https://ilmanifesto.it › il-fisico-conteso-tra-renzi-e-grillo

Roberto Cingolani, il fisico-politico, manager di Leonardo ...
https://www.ilfattoquotidiano.it › 2021/02/12 › roberto-...


 








Autore Città Giorno Ora
Antonio Gimigliano Pisa 14/2/2021 15.17
Titolo:altra documentazione

«Come la scienza, cerco l'essenza delle cose» - Il Sole 24 ORE
https://www.ilsole24ore.com › art


 










5 ago 2017 — Con un briciolo di ironia e una montagna di paterna soddisfazione, Roberto Cingolani, uno dei dieci scienziati più citati del mondo per le 

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Commenti Articolo 13

Titolo articolo : GIOCHIAMO CON L'ACQUA?...,di Antonio F. Gimigliano

Ultimo aggiornamento: February/12/2021 - 22:36:32.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 12/2/2021 22.36
Titolo:Un racconto più bello dell'altro!
Per nostra gioia e fortuna il prof. Francesco Antonio Gimigliano continua a dilettarci  con i suoi istruttivi racconti. Leggerli è il modo migliore per rincuorarsi e non lasciarci deprimere dalla triste attualità. 

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Commenti Articolo 14

Titolo articolo : Il governo Draghi sarà più propenso per una politica di crescita economica o di quella sociale?,di Vincenzo Valtriani

Ultimo aggiornamento: February/08/2021 - 20:45:29.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 08/2/2021 20.45
Titolo:Condividiamo le tue analisi 
 
Grazie dott. Vincenzo Valtriani, laureato in Scienze per la pace,  grazie per i tuoi bellissimi pensieri che sono frutto di studio e di impegno. Ne riprendiamo alcuni dal tuo articolo: 

 

"Comunità il nome lo dice e il programma lo riafferma, è un movimento che tende ad unire, non a dividere, tende a collaborare, desidera insegnare, mira a costruire. Non siamo venuti dunque per dividere, ma per esaltare i migliori, per proteggere i deboli, per sollevare gli ignoranti, per scoprire le vocazioni”.
Il processo di empowerment deve essere speranza di un passaggio da un’individuale a quella collettive, e il cambio tra valorizzazione del proprio essere e contributo al riconoscimento valorizzante dell’esterno. Il potere di tutti deve essere un contesto di unione, di potenzialità che favorisce le opportunità di empowered dinamico, guidato dalle varie realtà formate della persona e da contesti in cui questo si realizza. 

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Commenti Articolo 15

Titolo articolo : Una lettera aperta ai fedeli musulmani,di Vincenzo Valtriani

Ultimo aggiornamento: February/05/2021 - 14:33:27.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 05/2/2021 14.20
Titolo:Giurare sulla Costituzione?
Davvero interessante la riflessione dedicata all'Islam politico. Mi lascia perplesso invece la proposta finale di giuramento alla Costizuzione della Repubblica Italiana, non per non aderire ai prinicipi che vi sono sanciti, che anzi andremmero applicati e resi concreti dalla politica, ma perché nel Vangelo c'è il divieto di giurare,  che significa affermare il primato della coscienza difronte a qualsiasi potere di questo mondo: "Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti; ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo, perché è il trono di Dio;  né per la terra, perché è lo sgabello per i suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran re.  Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno. "Il vostro parlare sia Sì, sì, non no!" Mt. 5,33-37.
Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 05/2/2021 14.33
Titolo:Festa del 2 giugno !
Resta valida e da condividere per il 2 giugno la proposta di una festa della Repubblica come  festa di popolo, senza forze armate e frecce tricolori, con musiche di pace e senza fanfare militari, facendo sventolare assieme ai tricolori le bandiere arcobaleno della nonviolenza. Disertiamo la parata del Colosseo con le autorità costituite e organizziamo tante multicolori feste popolari nei luoghi periferici!

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Commenti Articolo 16

Titolo articolo : VITI e TORNANTI: CHE COSA POSSONO INSEGNARCI?,di Antonio F. Gimigliano

Ultimo aggiornamento: February/05/2021 - 13:36:38.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 05/2/2021 13.36
Titolo:un racconto filosofico !
In questo nuovo racconto il prof. Francesco Antonio Gimigliano da Mormanno si fa filosofo e usa le viti e i tornanti per una metafora efficacia del metodo nonviolento. Così ammonisce alla fine del racconto:  "Molte volte, nella vita, è utile e conveniente non affrontare i problemi e le difficoltà che si presentano davanti a noi “di petto” ma con cautela, calma e prudenza. Girare in tondo, utilizzare il moto rotatorio, apparentemente fa perdere tempo, ma è utile per ottenere il risultato cercato: un moto traslatorio per fissare bene i pezzi fra loro (con le viti) o per scalare una montagna senza molta fatica... E ciò vale anche per affrontare le avversità che dovessero presentarsi nel corso della nostra esistenza!"

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Commenti Articolo 17

Titolo articolo : La Giornata della Fratellanza e la Regola Aurea,di Gianmarco Pisa

Ultimo aggiornamento: February/04/2021 - 00:37:55.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 04/2/2021 00.37
Titolo:Ottimo e tempestivo intervento! 
Ringraziamo Gianmarco Pisa per il suo prezioso contributo.
l suo entusiasmo e la sua dedizione danno una slancio vero alla nuova vita del Dialogo. 

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Commenti Articolo 18

Titolo articolo : Un ricordo di Franco Fornari,di Giuseppe Bruzzone

Ultimo aggiornamento: January/29/2021 - 21:50:51.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 29/1/2021 21.38
Titolo:Franco Fornari una grande pisocoanalista della guerra e dalla pace  da far
Grande merito va a Giuseppe Bruzzone, che ha conosciuto di persona Franco Fornari e dalla lettura giovanile dei suoi libri  ha maturato la decisione di dichiararsi OBIETTORE DI COSCIENZA AL SERVIZIO MILITARE negli anni sessanta quando si pagava col carcere il rifiuto delle armi. Oggi Giuseppe continua con coerenza il suo impegno contro la guerra  e col suo operato si propone di unire le frantumate associazioni per il disarmo e la pace nel sostenere l'approvazione da parte del parlamento italiano del Trattato per la proibizione delle armi nucleari. Il suo instacabile attivismo sia di monito alle nuove generazioni!
Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 29/1/2021 21.50
Titolo:Il ruolo della cultura nel promuovere la pace
Ringraziamo il Direttore del Dialogo per avere pubblicato i contributi di Giuseppe Bruzzone, storico obiettore di coscienza al servizio militare e tra le figure di spicco dei Disarmisti esigenti di Milano. Giovanni Sarubbi sta dando lustro alla volontà di fare del Dialogo uno strumento a servizio della cultura della pace e della nonviolenza. Giuseppe Bruzzone ha accolto il suo appello a un nuovo inizio e in questi giorni  è diventato  tra i redattori più attivi del Dialogo. Ottima questa  sua idea di far conoscere ai lettori la straordinaria figura di Franco Fornari. 

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Commenti Articolo 19

Titolo articolo : Scuole armate e militarizzazione dell’istruzione in Italia,di Antonio Mazzeo

Ultimo aggiornamento: January/28/2021 - 08:21:09.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 28/1/2021 08.21
Titolo:Propaganda militare anche in TV
La TV di Stato ha ideato e sta trasmettendo sulla rete 2 in prima serata una serie di telefilm sulla CASERMA che presenta in modo divertito e canzonatorio l'inserimento di gruppi di giovani comuni, uomini e donne,  nelle file dell'esercito. Un abile tentativo di propaganda e di seduzione rivolto agli adolescenti, ben rappresentati col loro linguaggio e nelle loro fisime,  allo scopo evidente di familiarizzarli alla disciplina militare e di  favorirne l'arruolamento. 

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Commenti Articolo 20

Titolo articolo : Cancelliamo Via Almirante nel Giorno della Memoria,di Ambasciata di Pace di Foggia

Ultimo aggiornamento: January/26/2021 - 12:58:02.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 26/1/2021 12.58
Titolo:Una proposta da condividere e sostenere
Ignoravamo questo insulto ai cittadini di Foggia e alla sua provincia! Bisogna agire con energia per porvi rimedio!

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Commenti Articolo 21

Titolo articolo : IL FUTURO DELLE RELIGIONI: "Extra mundum nulla salus",di Roberto Mancini

Ultimo aggiornamento: January/25/2021 - 13:35:42.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 21/1/2021 08.15
Titolo:Presentazione di Roberto Mancini
Roberto Mancini ha conseguito la licenza in teologia antropologica presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale (Firenze). Dal 1970 al 1984 è stato sacerdote nella parrocchia di San Francesco all’Alberino di Siena. È stato responsabile della formazione degli obiettori di coscienza al servizio militare presso la Caritas diocesana
di Siena in cui ha ricoperto anche la carica di Presidente.
Coordinatore provinciale della Campagna di obiezione alle spese militari, per anni è stato membro della segreteria nazionale della Difesa Popolare Nonviolenta.
Direcente ha pubblicato con Gandhi Edizioni il libro: Ora è uno come noi. Gesù ha abolito la violenza del sacro e del patriarcato.
Autore Città Giorno Ora
Mauro Fazzi SIENA 21/1/2021 16.19
Titolo:Cosa aggiungere ancora?
Se è vero, come è vero, che "altri banchi di prova non esistono", rimane ben poco da "commentare" sul futuro delle religioni. Ma vale la pena spendere 2 minuti di apprezzamento per chi ha scritto e per chi ha pubblicato. Chiarissimo e splendente il concetto. E profetica poi la traccia che si delinea per un sentimento "religioso del mondo". Condivido l'idea che ogni possibilità per una "soteria" che sia definitiva, stabile ed efficace, debba per forza passare da un sollecito riordino delle priorità, vissuto come "inversione/conversione" della rotta. Una “conversione” classica, che potrà distendersi sul piano spirituale e “religioso”, ma anche soltanto una riconversione morale, totalmente laica: politica e scientifica insieme.
E dovremo forse accettare di ridefinire il senso del "sacro", assegnando tale “valenza” (si perdoni il gioco di parole!) ad una serie di “valori” (che in verità possono avere molti nomi), quali la "compassione" (nel senso buddista) o la "carità" (come definita dai primi cristiani) o magari soltanto il "rispetto" e la "solidarietà" (termini in voga nelle moderne democrazie occidentali). Valori che siano capaci di muoverci incontro a tutti gli uomini e a tutte le altre creature della terra, ma soprattutto incontro a questo pianeta che è la nostra unica casa.
E sembrerebbe semplice, e infatti l’autore lo fa, individuare con certezza la traccia del cammino.
Sul perché poi questa rotta di pellegrinaggio sia oggi pressoché deserta e abbandonata dagli uomini e dalla donne di buona volontà, molto ci sarebbe da dire, ma lascio ad altri la parola e la fatica.
Mentre l'umanità intera danza da molti decenni sull'orlo del baratro, non è cosa da poco la semplice intuizione di una rotta giusta e possibile, salvifica e condivisa. Riemerge dai ricordi una immagine a definire il triste passaggio, quella di qualcuno che sta precipitando nel vuoto e che però potrebbe salvarsi "con un solo colpo d'ala un attimo prima di sfracellarsi a terra” (G. Pucci - Anni '70 del Novecento).
Mi piace qui condividere il mio personale e "religioso" (nel senso del latino "religo") sentimento del vero, in questa necessità di riconciliazione dei pensieri e delle azioni, di riconversione delle energie, sull'unico bene durevole che è la salvezza del pianeta, del quale la specie "homo sapiens sapiens” è soltanto una piccola parte, una comunità recente, appena sbarcata e già molto invasiva, piccola creatura nell’Universo Creato. Una creatura ignara che potrebbe essere magari espulsa dalla Grande Madre come un semplice aborto, una creatura perduta per estinzione ancor prima di diventare adulta, per aver giocato male le proprie carte.
In chiusura mi sia perdonato anche un piccolo cenno di realismo, che restituisca equilibrio a tutto il discorso.
Non va escluso infatti che forse questo pianeta un giorno non lontano si dimenticherà di noi.
E anzi vorrei dire che, se nel tempo futuro un’altra specie, più evoluta di noi, volesse raccontare la breve storia del nostro transito, se la potrà cavare con pochissime parole, non avrà necessità di romanzare la storia, di narrare con enfasi le gesta eroiche della “antica civiltà umana”, e meno ancora di usare toni epici, drammatici, o solenni. In fondo, se andasse davvero così, vorrà dire che non li avremo meritati.

Ringrazio “Il Dialogo” per questa opportunità e saluto chi avrà letto fino a qui. A volte scrivere è un esercizio di consolazione, e anche leggere lo può diventare. Quanto poi a trovare la dignità del nostro destino di esseri liberi, il cammino appare molto più faticoso.

Mauro Fazzi detto “Maurinho”
Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 25/1/2021 13.35
Titolo:In risposta al commento di Mauro Fazzi detto “Maurinho”
Mauro Fazzi detto “Maurinho” ha delle capacità di riflessione e di scrittura sicuramente fuori dal comune, che non possono più restare nascoste.  Bellissima la sua precedente recensione al libro Roberto Mancini "Avviso ai naviganti" e bellissimo questo suo commento qui pubblicato. Avremmo bisogno al Dialogo della sua penna e del suo eloquio anche in futuro.  

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Titolo articolo : Lettera aperta ai pacifisti di tutti i gruppi e no,di Giuseppe Bruzzone

Ultimo aggiornamento: January/24/2021 - 23:08:46.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 24/1/2021 23.08
Titolo:Un appello prezioso a favore di un impegno comune a favore del disarmo atomico e
Difronte all'evanescente opportunismo delle forze politiche presenti in parlamento, arriva davvero prezioso l'appello di Giuseppe Bruzzone a fare uno sforzo per riunire le forze disperse di una galassia in frantumi, rappresentata da una miriadi di sigle e da un soffocante personalismo. A questo obiettivo di superare l'irrilevanza politica sulle questioni vitali del disarmo e della pace, sta lavorando il Centro Gandhi insieme al Dialogo al fine di favorire la nascita di una nuova rete di informazioni e di collegamento. Dobbiamo promuovere un esteso movimento culturale che attraversi i più diversi gruppi sociali e religiosi e faccia maturare una coscenza collettiva di ripudio delle armi nucleari, dei patti militari e delle guerre! 

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Titolo articolo : PER CAMMINARE SULLA VIA DELLA PACE, DOPO “UN NUOVO INIZIO” RICORDANDO DANILO DOLCI IN CALABRIA TERRA DI UTOPIA E PROFEZIA,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: January/24/2021 - 17:59:26.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 21/1/2021 17.40
Titolo:I precursori !
E' necessario sempre indagare le radici culturali di un progetto per comprenderne la valitità e l'importanza. Raffaello Saffioti di Palmi (RC), il principale sostenitore in questi anni nel Sud Italia delle attività UNESCO di educazione alla pace, lo fa qui, da par suo, in un articolo dalle mille sfaccetature. Un testo poetico scritto da chi, amico personale e collaboratore di Danilo Dolci in Calabria, si fa ora nume tutelare di un progetto di collaborazione tra il Dialogo e il Centro Gandhi, da lui favorito e fortemente voluto. Grazie a questo suo collage poetico di ricche e ispirate citazioni, oltre che al suo operoso e diuturno lavoro di educatore, la Calabria si ripropone come terra di profezia di Pace. 
Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 21/1/2021 18.05
Titolo:Carta di intenti!
Proponiamo al Direttore del Dialogo Giovanni Sarubbi e a tutti gli amici del Centro Gandhi di adottare questo eccezionale scritto di Raffaello Saffioti come documento ispirativo del nostro progetto collaborativo.
Autore Città Giorno Ora
Antonio Gimigliano Pisa 21/1/2021 18.54
Titolo:VIVA SIA LA CALABRIA, TERRA DI CULTURA E DI PACE e non solo di malaffari!
Sono nato in Calabria e lì ho vissuto i miei primi 17 anni di vita... Mi considero calabrese vero nel sangue e nei sentimenti anche se, allo stesso tempo, mi considero cittadino del mondo. Quanta emozione e sano ogoglio a leggere le parole che Raffaello Saffioti ha voluto dedicare alla nostra terra... E da questi sentimenti non può non derivare un determinato e sincero impegno per la Calabria e per tutto il pianeta Terra e i suoi ospiti.
Autore Città Giorno Ora
Antonio D'Agostino Vibo Valentia 22/1/2021 11.36
Titolo:Storia e archeologia 
"Avviene della storia come dell'archeologia. Bisogna fare gli scavi per nutrirla"...questa, tra le tante, è la citazione che mi ha colpito particolarmente...perché è esattamente questo il lavoro tenace e instancabile che ha sempre fatto Raffaello Sffioti, dissotterrando tesori sapienziali scritti nel tempo ma senza tempo. Davvero grazie. Antonio D'Agostino
 
Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 23/1/2021 09.53
Titolo:
Caro Raffaello, ho sempre pensato che per la passione che metti in tutte le cose che fai, sei apprezzato e amato da tutti quelli che hanno avuto il privilegio di conoscerti. Il tuo interesse, il tuo amore e la tua passione  verso il progetto di collaborazione  tra "il dialogo" e il Centro Gandhi per la crescita della cultura della nonviolenza sono ammirevoli. La tua sensibilità e concretezza è indispensabile per una migliore riuscita del progetto collettivo a cui state lavorando. Penso anche io che sarebbe utile se questo tuo scritto fosse adottato come documento ispirativo del progetto di collaborazione.
Autore Città Giorno Ora
rosellina scarcella palmi (rc) 24/1/2021 10.11
Titolo:Una speranza per la Calabria e il mondo intero!
Riceviamo da Rosellina Scarcella di Palmi (RC)



Da calabrese, che ama profondamente la propria terra e che guarda quanto oggi in essa accade, da un osservatorio particolare, mi sento di poter dire, in contrasto con quanto intellettuali (come Corrado Augias), giornalisti calabresi (come Polimeni) e gente comune afferma, e per i quali non c'è niente da fare per la nostra regione, che, invece, c'è tanto da fare e subito, perché tanto è stato già fatto.

Sono stati fatti progetti, tracciate strade, trovati e perfezionati metodi, lavorando per anni con risultati efficaci di cui poco si sa e poco si parla.

Anche in tempi recenti, come Raffaello nel suo bellissimo e utile studio ci racconta in modo coinvolgente. Non resta che, come ha mostrato Danilo Dolci in 10 anni di lavoro intenso in Calabria, che mettere insieme le energie, collegarle, guardando a ciò che unisce e cominciando dal basso a lavorare, creativamente, per il risveglio delle coscienze.

Partendo dalla conoscenza delle strade già tracciate e indicate da grandi personaggi, ma anche valorizzando le esperienze di cambiamento realizzato da tanti giovani, insegnanti, imprenditori, giudici, comunità, associazioni e gente comune, possiamo vedere che cambiare è possibile. Chi, lungi dal perdersi in lamentazioni o rassegnarsi, ha continuato e continua a lavorare con impegno profondo, nonostante tutto, ha mantenuto viva la fiammella della speranza che il cambiamento di questa società, ingiusta assurda e malata, come l'emergenza Covid ci ha drammaticamente mostrato, è ormai necessario ma anche possibile. Il filosofo Cardone nel suo scritto, profetico e attualissimo, indica una strada. Leggerlo è stato importante per me, vedo nel suo pensiero sulla pace, una grande risorsa non solo per la Calabria ma per il mondo.

Ringrazio il Centro Gandhi, il Dialogo e Raffaello per quanto fanno per diffondere scritti che vanno in controtendenza rispetto al clima di paura e rassegnazione che si alimenta, in tanti modi, mentre occorrerebbe spingere, le forze più sane della società, verso l'impegno e il cambiamento di prospettiva, per costruire comunità basate sulla solidarietà, la pace, la giustizia.

Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 24/1/2021 17.21
Titolo:Un grazie di cuore a Rosellina Scarcella e a Giulia Guzzo
Gli interventi a commento del testo di Raffaello da parte di due delle principali protagoniste del percorso di educazione alla pace  che  ha presso l'avvio a Palmi in Calabria alla fine degli anni '80 del secolo scorso e che è proseguito a San Giovanni in Fiore con il nuovo millennio, corrispondono a una visione storica della nonviolenza che si propaga lentamente: "Festina lente" (avanti adagio) secondo il detto latino che Erasmo aveva trovato citato dallo  storico Aulo Gellio, e che veniva attribuito all'imperatore Augusto. Esso mirava a spiegare che i fatti storici, i grandi cambiamenti avvengono per maturazione. Le azioni, infatti,  devono maturare per portare frutti. Le stesse persone, inoltre,   maturano attraverso le azioni che compiono, secondo il detto di Sallustio: "Prima rifletti, e dopo aver riflettuto, procedi in fretta" e che Mazzini traspose nel motto risorgimentale: Pensiero e Azione. Questa filosofia sollecita la perseveranza. Infatti, un lavoro perseverante, seppure lento, porta a compimento le opere più complesse e più grandiose. E Gandhi spiegava per l'appunto  il significato di satyagraha come l'azione di chi persevera nella verità. Perciò ha fatto bene Raffaello Saffioti a collegare l'attuale progetto di confluenza tra il Centro Gandhi e il Dialogo all'antica presenza di Danilo Dolci in Calabria. Esso è oggi l'albero che è cresciuto nel tempo di quel seme messo a dimora nella terra dei filosofi e dei profeti. LENTIUS AMBULANDO LONGUM ETIAM ITER CONFICITUR "camminando lentamente si fa molta più strada"!
Autore Città Giorno Ora
Mariella Ratti La Spezia 24/1/2021 17.59
Titolo:Grazie, Raffaello!
Caro Raffaello, hai scritto un testo denso di riflessioni, di citazioni e di proposte. Un lavoro ricco e importante, che ci invita a camminare sulla giusta via della nonviolenza con consapevolezza, impegno e amore. Un cammino profetico, lungo il quale dobbiamo camminare tutti insieme, tenendoci per mano e aiutandoci l'uno con l'altro. Ben venga, quindi, il progetto di collaborazione tra il Centro Gandhi e Il Dialogo, una lanterna nel buio che stiamo attraversando. Sto pensando non tanto a noi, ma ai giovani e al loro futuro; non consegnamo loro una società malata (e non solo di coronavirus) e un ambiente devastato, cerchiamo di lasciare un segnale forte  di un cambiamento positivo e di pace.
 

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Titolo articolo : «Armi nucleari fuorilegge, atto di pace e di giustizia»,di Vescovi e laici cattolici di tutto il mondo

Ultimo aggiornamento: January/23/2021 - 03:40:22.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 23/1/2021 03.40
Titolo:Pace subito!
Dobbiamo agire subito con una pressione efficace perché questa sensibilità per il disarmo si diffonda all'interno della Chiesa, nei vertici ma anche tra tutti i semplici fedeli delle parrocchie. Questa è la strada maestra da perseguire per costringere il parlamento e il governo italiano ad aderire al Trattato di Proibizione delle armi atomiche.

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Titolo articolo : La storia degli I.M.I (internati militari italiani),di Vincenzo Valtriani

Ultimo aggiornamento: January/22/2021 - 08:22:17.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 22/1/2021 08.22
Titolo:Insegnare la storia  e l'educazione civica in modo nuovo
Vincenzo Valtriani, laureato a Pisa in Scienze per la Pace, ci popone di ridisegnare l'insegnamento della storia contemporanea dell'Italia. Figlio di uno dei militari internati nei campi di concentramento in Germania che rifiutarono di continuare la guerra e di arruolarsi nella RSI, è testimone diretto di questa pagina di nonviolenza di massa e ne ha fatto oggetto di uno studio che ora ha pubblicato in un libro che consigliamo vivamente di far conoscere e di diffondere nelle scuole.  Ci chiediamo, però, se la scuola italiana  e i suoi docenti siano in grado di recepire il suo appello a insegnare alle nuove generazioni il coraggio dell'obiezione di coscienza alle leggi ingiuste.

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Titolo articolo : Un nuovo inizio,di Giovanni Sarubbi e Rocco Altieri

Ultimo aggiornamento: January/19/2021 - 17:21:39.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 19/1/2021 08.25
Titolo:Una convergenza feconda e necessaria 

Tra Il Dialogo e il Centro Gandhi si realizza una convergenza feconda e necessaria tra filoni di culture politiche rivoluzionarie che non sono morte, ma che vanno rivitalizzate e attualizzate per costruire l’Utopia, il principio speranza di Ernest Bloch, il liberalsocialismo di Aldo Capitini, Guido Calogero e Domenico Antonio Cardone, il marxismo e il cristianesimo di Giulio Girardi e dei cristiani per il socialismo, il sandinismo poetico di Ernesto Cardenal, l’ecologia profonda di Arne Naess, il marxismo ecologico italiano di Lucio Lombardo Radice e Laura Conte, lo spirito religioso aperto, laico, anticoncordatario e nonviolento di Mazzini, Tolstoj e Gandhi. Rivive la religione dello Spirito che fu annunciata nel Medioevo da Gioacchino da Fiore e da Francesco d’Assisi, nel Rinascimento da Erasmo educatore e che poi si incarna nell’educazione aperta di Comenio, Pestalozzi, Rousseau fino ad arrivare alla Montessori, a Don Milani, a Danilo Dolci, a Paolo Freire, a Erich Fromm, a Ivan Illich, filoni di pensiero e di pratiche educative che la scuola criminalmente ignora, addormentando le coscienze, annoiando e alienando i giovani, e che il movimento nonviolento dopo Capitini ha colpevolmente dimenticato, inseguendo un machiavellismo politico superficiale, un realismo e un pragmatismo incolto senza slancio trasformativo.



Ha molto impressionato lo spirito sereno, pacato, disposto all’ascolto dell’assemblea on-line del 16 gennaio, così diverso dalle riunioni litigiose dei condomini, dei comitati elettorali e dei partiti, dove si scatenano le peggiori ambizioni personali.



Abbiamo verificato nei fatti che è possibile coltivare uno spirito nonviolento, riflettere insieme in modo maturo, senza animosità e con spirito costruttivo.



Le potenzialità sono davvero straordinarie e forse anche imprevedibili. Avere uno spazio di informazione e comunicazione a carattere quotidiano, immediato e tempestivo, è per il mondo della nonviolenza un fatto inedito. A questo progetto ognuno è chiamato a collaborare per superare la logica della disinformazione di massa e della manipolazione politica. Ognuno può farsi giornalista di pace, raccogliere documenti e informazioni in maniera veritiera e trasmetterle attraverso lo strumento del Dialogo in maniera orizzontale, circolare e auto-organizzata.

 


 
Autore Città Giorno Ora
Antonio Gimigliano Pisa 19/1/2021 17.21
Titolo:AUGURI
Ho avuto modo di seguire, anche se non in modo continuativo, il processo che ha portato all'annuncio di cui nel mattinale di stamane. Non posso, così, non esprimere la mia soddisfazione per questo "nuovo inizio" di un rapporto di collaborazione. 

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Titolo articolo : DA PARTE DI DISARMISTI ESIGENTI E WILPF ITALIA IN OCCASIONE DELL’ENTRATA IN VIGORE DEL TRATTATO PER LA PROIBIZIONE DELLE ARMI NUCLEARI,a cura di Alfonso Navarra

Ultimo aggiornamento: January/16/2021 - 14:22:33.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 16/1/2021 14.22
Titolo:Disarmo Unilaterare Subito

Ad una settimana dall'entrata in vigore del Trattato di proibizione delle armi nucleari TPNW la Rete Italiana Pace e Disarmo e Senzatomica ha avviato un' iniziativa di mobilitazione confusa e dall'ambiguo titolo: "Italia, ripensaci!" Ma di quale Italia si parla? Sono i governi, i partiti, le istituzioni parlamentari, gli esponenti politici i veri colpevoli dell' inerzia. L'on. Boldrini ospite d'onore del webinar di ieri 15 gennaio, cerca di catturare le simpatei dei pacifisti, ma fa capire chiramente che a causa dell'appartenenza alla NATO, per lei un dato di fatto intangibile, l'approvazione del Trattato da parte dell'Italia  non sarà possibile. Allora sono queste sudditanze, queste  allenanze militari che vanno rifiutate. Basta ciance e salamelecchi da parte di personaggi che vogliono strumentalizzare ICAN e fare carriera con la politica e mirano a entrare in parlamento.  Smantelliamo le basi militarie: Disarmo Unilaterale subito! 

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Commenti Articolo 28

Titolo articolo : Ppresentazione libro  su Helder Camara,a cura di Anselmo Palini

Ultimo aggiornamento: January/13/2021 - 09:16:17.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 13/1/2021 09.16
Titolo:I testimoni dela nonviolenza
Prosegue l'encomiabile lavoro di scrittura di Anselmo Palini nel presentare i tesimoni della coscienza dell'uomo : Da Socrate ai nostri giorni. Dopo le figure di Dietrich Bonhoeffer, Edith Stein, Jerzy Popieluszko, per arrivare a Primo Mazzolari, Oscar Romero e i martiri di El Salvador, Marianella Garcìa Villas. «Avvocata dei poveri, difensore degli oppressi, voce dei perseguitati e degli scomparsi», è ora il turno di Hélder Câmara. «Il clamore dei poveri è la voce di Dio». La figura del vescovio brasiliano è quella che più ha influito sul magistero sociale del Concilio e nella Chiesa del '68, e il cui messaggio trova ora la sua incarnazione del pontificato di Papa Francesco. Assolutamente da leggere !

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Commenti Articolo 29

Titolo articolo : AVVISO AI NAVIGANTI,di Mauro Fazzi

Ultimo aggiornamento: January/12/2021 - 14:03:03.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 12/1/2021 14.03
Titolo:Una bellissima recensione!
Come Casa Editrice ringraziamo di cuore Mauro Fazzi  per la sua bellissima recensione che ha scritto e che coglie in pieno lo spirito del libro e del suo autore.
Lo scritto ci riporta alla purezza del cristianesimo delle origini, a Paolo di Tarso che operò a suo tempo per liberare la religione dalla violenza della legge.  Ancora oggi quel messaggio è attuale, rivoluzionario e, perciò, scomodo. Il libro, quindi, sicuramente non sarà recensito da Bruno Vespa, esposizione mediatica che fa vendere migliaia di copie, ma potrà godere della diffusione militante come quella generosamente offerta da Mauro Fazzi a Siena. Siamo  "piccoli" editori per il volume di vendite, in quanto osteggiati dal grande mercato pubblicitario, ma grandi per le tematiche che promuoviamo come questa di Roberto Mancini, novello Paolo nel promuore una riforma religiosa adeguata alle sfide del nostro tempo.  
 

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Commenti Articolo 30

Titolo articolo : IL M0NDO CATTOLICO BRESCIANO SI MOBILITA CONTRO LA PRESENZA DI ARMI NUCLEARI SUL TERRITORIO ITALIANO,a cura di Anselmo Palini e Andrea Franchini

Ultimo aggiornamento: January/11/2021 - 20:50:20.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 11/1/2021 20.50
Titolo:Otttimo servizio di documentazione 
Ringraziamo il Direttore del Dialogo per l'ottimo servizio di informazione a servizio del disarmo e della pace!

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Commenti Articolo 31

Titolo articolo : LO STUPRO CONTINUA,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: January/06/2021 - 22:46:32.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 18/10/2020 10.43
Titolo:No all'idolatria delle armi !
Parole forti quelle usate dal Direttore Giovanni Sarubbi che possono turbare i benpensanti, ma sono necessarie per scuotere la cattiva coscienza dei tiepidi e degli indifferenti, di tanti falsi operatori di Pace!
Autore Città Giorno Ora
tullio seppi trento 06/1/2021 22.46
Titolo:Aquisire competenze aviatorie
Concordo su tutto con Sarubbi.
Perfino la nostra Samanta Cristoforetti, prima che astronauta in missione spaziale scientifica  è diventata pilota di caccia. Per imparare a sorvolare con precisione bambini o adulti a cui sganciare caremelle...?

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Commenti Articolo 32

Titolo articolo : Perchè non possiamo più dirci cristiani,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: January/06/2021 - 14:28:05.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 06/1/2021 14.24
Titolo:Perché continueremo nella sequela di Francesco d'Assisi, Pietro Valdo
 
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Mt. 5, 9-11
 
Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere. Mt 7,16-20
 
Il Signore Gesù disse, rispondendo alla Samaritana: “ I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; poiché tali sono gli adoratori che il Padre richiede. Iddio è spirito; e quelli che l'adorano, bisogna che l'adorino in spirito e verità” Gv. 4:23-24.
 
Non lasceremo a manipolatori e usurpatori di praticare l’idolatria e utilizzare il nome di Dio per giustificare la violenza e le guerre. Non lasceremo a Costantino, il primo manipolatore, di appropriarsi del nome di cristiano e di infangarlo (Costantino non si battezzò che in punto di morte, secondo la leggenda).  Nel criticare le politiche concordatarie messe in atto in ogni tempo da dominatori e oppressori, ci proponiamo di purificare le varie tradizioni religiose per arrivare a proclamare con Gandhi e con Papa Francesco: Fratelli Tutti!
Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 06/1/2021 14.28
Titolo: Continuremo con orgoglio a dirci cristian!
Continueremo con Francesco d'Assisi, Pietro Valdo, Erasmo da Rotterdam, Blaise Pascal, Lev Tolstoj, Dietrich Bonhoeffer, Helder Camara, Oscar Romero a ispirarci al Santo Vangelo e a voler vivere da cristiani.

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Commenti Articolo 33

Titolo articolo : OSSERVARE IL SOLE INSEGUENDO LE OMBRE,di Antonio F. Gimigliano

Ultimo aggiornamento: December/21/2020 - 16:54:56.

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CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 21/12/2020 16.54
Titolo:Il vero scienziato è un educatore 
Il vero scienziato è un educatore nello stile di don Milani e di Gianni Rodari che sapevano suscitare domande: come e  perché? Di questo stile che suscita interesse negli allievi è il prof. Antonio Francesco Gimigliano da Mormanno in Calabria, ora diventato pisano dopo un lunga permanenza come docente a Bari. Eccoci con un altro dei suoi  magnifici racconti didattici che viene pubblicato provvidenzialmente in coincidenza col solstizio d'inverno e in prossimità del Santo Natale! Il Natale è un nuovo inizio! "Il Bambino ci apre una nuova porta che sta nelle nostre mani aprire per il bene del mondo» Maria Montessori.

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Commenti Articolo 34

Titolo articolo : Il Parco della Reggia di Portici,di Carmelo Lombardi

Ultimo aggiornamento: December/20/2020 - 08:37:26.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 20/12/2020 08.37
Titolo:
Ricordi di gioventù del parco della Reggia di Portici annesso alla facoltà di agraria. L'autore,che oggi vive a Roma, docente in pensione, si lascia andare a una narrazione carica di nostalgia di fatti che sono rimasti nella sua mente e  nel suo cuore di giovane studente universitario proveniente da un piccolo paese del'Irpinia. Duramente provato nell'infanzia dall'essere rimasto orfano  per la morte del padre in Abissinia durante la guerra coloniale, Carmelo Lombardi  ha sviluppato un carattere aperto e gioviale  che lo ha contraddistinto nelle relazioni con gli altri. E' l'esempio vivente che sia possibile rimanere eternamente giovani.    

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Commenti Articolo 35

Titolo articolo : FINALMENTE UNA BUONA NOTIZIA: PALERMO CANTIERE MEDITERRANEO,di Agostino Spataro

Ultimo aggiornamento: December/17/2020 - 11:38:10.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 17/12/2020 11.38
Titolo:Palermo nuova Gerusalemme 
Palermo, nuova Gerusalemme,  ha la vocazione storica e geografica di capitale  aperta a Sud che abbraccia la vasta regione Afro-europea con un Mediterraneo mare della  Pace e del dialogo interreligioso. 

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Commenti Articolo 36

Titolo articolo : Severità religiosa per gli economisti di Francesco,di Rocco Altieri

Ultimo aggiornamento: December/12/2020 - 09:52:05.

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Autore Città Giorno Ora
Antonio Gimigliano Pisa 11/12/2020 05.51
Titolo:"Amerai il prossimo tuo come te stesso"
Non avevo avuto modo di conoscere Aldo Capitini nella mia formazione scolastica: l'ho scoperto in tarda età come pisano di adozione... Pisa, la città in cui si è maturata la sua vicenda umana e intellettuale, ha onorato la sua memoria ricordandolo nella toponomastica soltanto a trent'anni dalla sua morte, nel 1998, a seguito di una petizione di numerosi cittadini promossa dal Centro Gandhi e dal suo presidente, il professore Rocco Altieri, autore di questo articolo. Articolo che a me è risultato molto utile per entrare nella tematica fondamentale dell'illustre pensatore, vale a dire la conciliazione fra i bisogni della singola persona e quelli della collettività di appartenenza. L'uomo può chiedere rispetto agli altri uomini, realizzando se stesso e le sue aspirazioni, soltanto quando riconosce agli altri la stessa dignità che pretende per sé. E' il precetto evangelico “Amerai il prossimo tuo come te stesso”, al quale tutti dovrebbero ispirarsi nella vita di ogni giorno, riconoscendo come “prossimo” qualsiasi essere umano...
Autore Città Giorno Ora
Manfredi Lanza Castelvetro (MO) 12/12/2020 09.52
Titolo:Commento risposta all'articolo di Altieri
La ringrazio della fiducia che mi testimonia nell’inviarmi il suo articolo, a mio parere assai ben redatto e congegnato. Ne condivido, solo parzialmente, i contenuti e le implicite raccomandazioni.
“Liberalsocialismo” o “socialismo religioso”, scrive lei, riecheggiando le proposte di Aldo Capitini.
Certo un “socialismo religioso” sarebbe preferibile all’irriflessivo liberalismo radicale e al capitalismo selvaggio che non guarda in faccia ad alcuno. I funzionari dell’amministrazione comunale di Castelvetro (MO) si rapportano al sottoscritto come ad un’anonima targhetta, dispensandomi favori e sfavori nella più totale indifferenza.
Il punto è: un socialismo può essere religioso? Lanza del Vasto, diversamente da Capitini, ha ritenuto che la politica (in tutte le sue sfaccettature di Destra e di Sinistra) e la religione fossero tra loro incompatibili, non integrabili l’una nell’altra, così come l’acqua e l’olio. Pertanto la religione, da conversione alla vera verità che sola conta, non negherebbe la politica, né la sua legittimità relativa in un mondo che è quel che è, ma prescinderebbe da essa; “a Cesare quel ch’è di Cesare, a Dio quel ch’è di Dio”. Se ne terrebbe, quindi, discosta e lontana quanto più l’esistenza in vita lo può permettere. Anche un papa, a suo tempo, si era sbilanciato in un: non expedit!
Un socialismo qualsivoglia può essere autenticamente non violento? Solo Iddio è non violento e solo chi si impegna in religione, voltando le spalle alle ambizioni e illusioni politiche, potrebbe aspirare ad avvicinarsi entro certi limiti alla non violenza divina. La violenza è iscritta nella natura, nell’esistenza o mondo creato, che è costante gioco e tenzone tra diversi e contrari. Un eventuale socialismo potrebbe puntare ad un’equilibratura del gioco del divenire più armoniosa e riuscita rispetto ad altre ideologie e altri regimi; non a eliminare la violenza, che è parte costitutiva della realtà.
La scelta del liberalsocialismo non è la più rivoluzionaria possibile, perché è una scelta comunque politica. La scelta più rivoluzionaria – opinerebbe e ribatterebbe a Capitini Lanza del Vasto – è quella della conversione, che implica la rinuncia alla politica.
La “purificazione della prassi politica”, spesso peraltro invocata strumentalmente dai pulpiti politici più diversi, è una contraddizione in termini. La politica, in quanto tale, è strutturalmente impura, così come sono imperfette tutte le realtà del divenire (il quale diviene proprio perché imperfetto); è strutturalmente e irrimediabilmente compromissoria, spiritualmente sempre deludente.
Il “dotto di Fichte”, forse, può solo essere un aristocratico illuminato da ispirazione divina. Il borghese, troppo infognato nella melma del mondo terreno, troppo coinvolto nella mischia della vita esistenziale, troppo acciecato e fatto bersaglio dalle contumelie pesanti e anche minime della vita, crede nella politica e semmai, nel tentativo di salvare capre e cavoli, in una politica dichiarata o presunta religiosa.
Le rinnovo i miei auguri di fine e inizio anno.
 
Manfredi Lanza

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Titolo articolo : “Perché l'arcobaleno è rotondo?”,di Antonio F. Gimigliano

Ultimo aggiornamento: December/07/2020 - 08:40:05.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 07/12/2020 08.40
Titolo:Un racconto davvero suggestivo ed emozionante
L'autore, il prof. Antonio Gimigliano di Mormanno, non è solo uno scienziato, un chimico-matematico, ma anche un dotato scrittore e provetto giornalista, oltre che un implacabile censore della corruzione e un instancabile attivista politico a servizio di ogni causa giusta.

Il suo racconto dell'Arcobaleno è davvero bellissimo, un vero capolavoro, suggestivo per le sue profonde riflessioni geo-politiche estremamente attuali, rivolte non solo all'infanzia, ma anche  agli adulti e agli educatori, nello stile di Gianni Rodari.

Auspico che il successo del breve racconto tra i numerosi lettori del Dialogo lo induca ad altre performance, scavando nella memoria della sua lunga attività di docente, da poter  pubblicare periodicamente sul Dialogo.

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Titolo articolo : Immigrati, trasformazione sociale e partecipazione pubblica,di Adel Jabbar

Ultimo aggiornamento: December/02/2020 - 16:15:33.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 02/12/2020 16.15
Titolo:I migranti sono persone
Condivido pienamente l'articolo di Jabbar, che demistifica stereotipi purtroppo diffusi riguardo all'accoglienza dei migranti, che sono innanzi tutto persone con diritti e individualità da rispettare.

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Titolo articolo : L’economia di Francesco e la costruzione della pace,di Rocco Altieri

Ultimo aggiornamento: November/24/2020 - 19:39:45.

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Autore Città Giorno Ora
Ilaria Sabatini Pisa 22/11/2020 15.04
Titolo:Bell'articolo!
Concordo pienamente con la visione di Rocco Altieri: occorre ripensare integralmente il nostro modo di porsi nei confronti della natura, non ci sono alternative! 
Autore Città Giorno Ora
gabriella maria calderaro Pisa 23/11/2020 11.25
Titolo:Ripensare l'economia per costruire la pace
 Grazie Rocco per la tua denuncia e per l'insegnamento che ci porti. La teoria ormai è chiara e la prassi sembra essere  sempre la stessa all'interno del mondo accademico, un'astrazione infinita di concetti che non portano nulla in termini pratici di cambiamento. Bisogna pensare e agire diversamente, realizzando in modo comunitario e locale i principi di economia nonviolenta, attraverso un'azione consapevole e volontaria che  si organizza dal basso e realizzi  forme alternative di economia che siano favorevoli alla vita di tutti gli esseri viventi. 
Autore Città Giorno Ora
Antonio Gimigliano Pisa 24/11/2020 19.39
Titolo:Occorre combattere la guerra dovunque e comunque
L'intervento di Rocco Altieri, opportuno e lucido, mette bene in evidenza le contraddizioni profonde fra lo spirito originario del cristianesimo e il mercantilismo degli economisti cosiddetti "cattolici" che vogliono garantire la pacifica convivenza fra capre e cavoli (felice metafora utilizzata da Giovanni Sarubbi in un suo "mattinale" dedicato al convegno in questione...).

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Titolo articolo : Le incredibili esternazioni odierne di Bruno Vespa sui “meriti sociali” del fascismo,di Domenico Stimolo

Ultimo aggiornamento: November/21/2020 - 22:30:53.

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Autore Città Giorno Ora
domenico stimolo catania 21/11/2020 22.29
Titolo:
Varie voci del pensiero delle destre nazionali si sono sollevate in questi ultimi giorni per contrastare un presunto attacco alle esternazioni del giornalista Bruno Vespa.
Che cosa deve essere al centro dell’attenzione? :

E’ il dolore, che non muore mai. Il dolore, imponente e lacerante, che vive sempre nelle vivide e razionali coscienze democratiche, che sgorga dalle macerie umane e materiali che furono lasciate in eredità dall'agire della dittatura fascista. Il dolore che, come una guida indelebile, scolpì la Costituzione repubblicana e dalla Resistenza, e solidifica la memoria, che come un faro solenne, accompagna la “quotidianità” di ieri, oggi e domani. Codificando, sul piano sociale ed etico il grido del “Mai più”!

Mai più la dittatura, la distruzione violenta delle libertà e delle strutture di rappresentazione politiche, sindacali, sociali, associative e di informazione.
Mai più le orrende oppressioni subite dagli italiani oppositori del regime ( di tutte le parti politiche, anche ecclesiali) e da tanti cittadini in: assassini, carcere e torture, confini, espatri forzati, licenziamenti, discriminazioni e ritorsioni.
Mai più leggi razziali, persecutorie e deportatorie.
Mai più alle misere e sofferenze, alle affamate condizioni di vita degli italiani, specie nelle aree dei paesi e rurali dove viveva, analfabeta, la gran parte degli italiani dediti all’agricoltura.
Mai più al servaggio subito a cura dei gerarchi e dai rappresentanti della nobiltà, loro fervidi sostenitori.
Mai più le centinaia di migliaia di morti, i tanti feriti e mutilati, subiti dal popolo italiano a seguito delle guerre di aggressioni ai popoli europei e ai popoli africani vittime della colonizzazione per la conquista del famigerato” Impero”, che subirono orrende stragi ed enormi distruzioni materiali.
Mai più ad un’Italia maciullata e distrutta, così come si ritrovò alla fine dell’aprile del 1945.
Mai più la ricostruzione post bellica che costò enormi sacrifici al popolo italiano e ai milioni di cittadini che furono costretti ad emigrare, per trovare pane,lavoro e sopravvivenza di vita.


Di questo si deve parlare, non di “poetica” retorica astratta.
Autore Città Giorno Ora
domenico stimolo catania 21/11/2020 22.30
Titolo:
Varie voci del pensiero delle destre nazionali si sono sollevate in questi ultimi giorni per contrastare un presunto attacco alle esternazioni del giornalista Bruno Vespa.
Che cosa deve essere al centro dell’attenzione? :

E’ il dolore, che non muore mai. Il dolore, imponente e lacerante, che vive sempre nelle vivide e razionali coscienze democratiche, che sgorga dalle macerie umane e materiali che furono lasciate in eredità dall'agire della dittatura fascista. Il dolore che, come una guida indelebile, scolpì la Costituzione repubblicana e dalla Resistenza, e solidifica la memoria, che come un faro solenne, accompagna la “quotidianità” di ieri, oggi e domani. Codificando, sul piano sociale ed etico il grido del “Mai più”!

Mai più la dittatura, la distruzione violenta delle libertà e delle strutture di rappresentazione politiche, sindacali, sociali, associative e di informazione.
Mai più le orrende oppressioni subite dagli italiani oppositori del regime ( di tutte le parti politiche, anche ecclesiali) e da tanti cittadini in: assassini, carcere e torture, confini, espatri forzati, licenziamenti, discriminazioni e ritorsioni.
Mai più leggi razziali, persecutorie e deportatorie.
Mai più alle misere e sofferenze, alle affamate condizioni di vita degli italiani, specie nelle aree dei paesi e rurali dove viveva, analfabeta, la gran parte degli italiani dediti all’agricoltura.
Mai più al servaggio subito a cura dei gerarchi e dai rappresentanti della nobiltà, loro fervidi sostenitori.
Mai più le centinaia di migliaia di morti, i tanti feriti e mutilati, subiti dal popolo italiano a seguito delle guerre di aggressioni ai popoli europei e ai popoli africani vittime della colonizzazione per la conquista del famigerato” Impero”, che subirono orrende stragi ed enormi distruzioni materiali.
Mai più ad un’Italia maciullata e distrutta, così come si ritrovò alla fine dell’aprile del 1945.
Mai più la ricostruzione post bellica che costò enormi sacrifici al popolo italiano e ai milioni di cittadini che furono costretti ad emigrare, per trovare pane,lavoro e sopravvivenza di vita.


Di questo si deve parlare, non di “poetica” retorica astratta.

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Titolo articolo : LE FRECCE TRICOLORI SU ASSISI E LA CROCE,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: November/15/2020 - 17:19:28.

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Autore Città Giorno Ora
Antonio D'Agostino Vibo Valentia 15/11/2020 17.19
Titolo:Presente e futuro negli scritti di Raffaello  Saffioti
I testi che Raffaello Saffioti ci propone, non sono mai facili, ma una volta letti e riletti, aprono strade e sentieri sempre meno battuti. E ci ricordano che alcune Verità, se pure non mutano nel tempo, vanno comunque, in ogni tempo, disvelate, dovendo la storia e le storie fare i conti con loro.E la storia, a dir poco paradossale, delle frecce tricolori nel cielo di Assisi, col suo triste corollario, è certamente una di queste. Antonio D'Agostino

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Titolo articolo : GESU’ E L’IPOCRISIA DEI FARISEI

Ultimo aggiornamento: November/09/2020 - 07:11:45.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 07/11/2020 20.34
Titolo:Severità religiosa per i  Francescani di Assisi e per Papa Francesco
Frutto di una lunga indagine sulle aperture riformatrici di Papa Francesco il saggio, ricco di citazioni, passa al vaglio l'operato concreto della Chiesa sul temma della  pace e individua alcune palesi inconguenze dovute a un retaggio concordatario ancora non superato. 
Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 09/11/2020 07.11
Titolo:No alla  religione concordataria: si abolisca l'istituto dei cappellani
Raffaello Saffioti di Palmi è rimasto nel panorama della nonviolenza italiana  uno dei pochi a denunciare instancabilmente, sulla scia di Capitini, l'eredità  della religione concordataria, con la nefasta commistione tra Stato e Chiesa. Dopo lo scandalo di Assisi, ampiamento documentato nel suo precedente articolo sulle Frecce tricolori, prosegue ora la  sua disamina del magistrero di Papa Francesco, ritenendo che il sorvolo degli aerei militari su Assisi il 4 ottobre con il beneplacito del Custode del Sacro convento, mons. Mauro Gambini, successivamemte elevato al soglio cardinalizio, non sia un semplice incidente, un errore di percorso, ma frutto di una concezione pervertita del cristianesimo, tuttora perdurante nella Chiesa romana, che ancora una volta si fa puntello della politica di potenza degli Stati, a sostegno  della guerra e dell'industria bellica. 
Come Capitini applicò a Giovanni XXIII la sua severità di giudizio, ritenendo ancora insufficiente il cambiamanto conciliare, lo stesso viene ora riproposto difronte alla Chiesa di Papa Francesco, perchè il suo benemerito proposito  riformatore non resti vano e senza frutti. Aver dichiarato come ha fatto Papa Francesco, anche nella sua ultima Enciciclica, che "la guerra è follia", non può più consentire la legittimazione della retorica militare, la propaganda bellica, la perdurante presenza nella Chiesa dei cappellani militari.   

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Titolo articolo : Il Sacro Convento di Assisi si "smilitarizzi" nel solco dei "Fratelli tutti",di Alfonso Navarra - portavoce dei Disarmisti esigenti

Ultimo aggiornamento: October/19/2020 - 02:27:28.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 19/10/2020 02.20
Titolo:Disarmisti esigenti 
Immaginiamo nei frati francescani dei disarmisti esigenti ! L'intervento di Alfonso Navarra, segretario della Lega per il disarmo nucleare, rompe il silenzio del pacifismo tiepido e superficiale e prende posizione in modo chiaro e aperto, fuori da ogni calcolo opportunistico !
Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 19/10/2020 02.27
Titolo:Un rinnovato impegno per il disarmo e la pace !
Possa l'incidente del sorvolo di Assisi porre le premesse di un nuovo pacifismo nonviolento, fuori dalle logiche miopi che finora ne hanno  frenato l'azione !

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Commenti Articolo 44

Titolo articolo : Don Mauro Leonardi getta la spugna,di Renato Pierri

Ultimo aggiornamento: October/14/2020 - 18:47:35.

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Autore Città Giorno Ora
Adriana Molise Vibo Valentia 14/10/2020 18.47
Titolo:Amicizia finita?
Don Mauro sara stato costretto e un amicizia non puo finire solo per questo, nessuno puo piu scrivere sul blog argomenti che contrastano conle nuove linee guida del.blog,fatte da poco.Don Mauro apprezzava le tue letterine,ma altre persone no e l.obbligano a fare questa scelta drastica!

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Titolo articolo : STUPRO,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: October/12/2020 - 17:32:07.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 12/10/2020 17.32
Titolo:
Il Centro Gandhi ODV ha inviato la seguente lettera all'Ufficio Stampa del Sacro convento di Assisi e al Direttore del quotidiano cattolico Avvenire dott. Marco Tarquinio.

Non sappiamo chi abbia deciso il sorvolo delle frecce tricolori durante la celebrazione della festa di San Francesco d'Assisi.

Tale esibizione a bassa quota sul Sacro Convento il 4 ottobre ha messo in pericolo l'incolumità dei pellegrini e fatto tremare le pareti con gli affreschi di Giotto come in un terremoto.

Le frecce tricolori sono strumenti bellici, annuncio di guerra, foriere di morte, altamente inquinanti e pericolose.

Ci stupiamo perciò che i frati e il loro addetto stampa, Enzo Fortunato, abbiano dato il loro assenso

e che si siano entusiasmati per tale spettacolo di vana potenza militare e tecnologica, che oggi è seriamente messa in crisi da un invisibile coronavirus !

Basta con l'idolatria degli strumenti di morte!

Convertiamoci invece all'impegno per il disarmo, la custodia del creato e la Fratellanza universale.

https://www.facebook.com/padre.enzo.fortunato/videos/783113265858627

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Commenti Articolo 46

Titolo articolo : Tagliamo le spese militari e nucleari, non la democrazia!,di Alfonso Navarra

Ultimo aggiornamento: September/07/2020 - 17:25:13.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 07/9/2020 17.25
Titolo:Votiano NO !
Magnifica riflessione di Alfonso Navarra !

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Commenti Articolo 47

Titolo articolo : MA QUALE SCUOLA NEL TEMPO DEL CORONAVIRUS?,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: September/06/2020 - 19:37:06.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 03/9/2020 12.17
Titolo:Bellissima e tempestiva riflessione 
Bellissima e tempestiva riflessione a servizio del patto educativo globale indetto da Papa Francesco !
Autore Città Giorno Ora
Antonio D'Agostino Vibo Valentia 06/9/2020 19.35
Titolo:Chi educa chi?
Quali educatori per quale scuola? Ancora una volta Raffaello Saffioti torna su questo tema fondamentale,offrendoci testi, testimonianze e riflessioni che ci orientano verso risposte e scelte, tanto consapevoli quanto definitive, ai suoi interrogativi. E gliene siamo ancora una volta grati.
Autore Città Giorno Ora
Antonio D'Agostino Vibo Valentia 06/9/2020 19.37
Titolo:Chi educa chi?
Quali educatori per quale scuola? Ancora una volta Raffaello Saffioti torna su questo tema fondamentale,offrendoci testi, testimonianze e riflessioni che ci orientano verso risposte e scelte, tanto consapevoli quanto definitive, ai suoi interrogativi. E gliene siamo ancora una volta grati.

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Commenti Articolo 48

Titolo articolo : LA CURA DELLA CASA COMUNE,a cura di EMI, COMUNE di VALLATA, CENTRO GANDHI ONLUS

Ultimo aggiornamento: August/28/2020 - 05:58:04.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 28/8/2020 05.58
Titolo: il Grido dela terra
Chi fosse interessato a esporre la mostra in un Comune, in una scuola, in una Chiesa può contattare il prof. Paquale Crincoli, referente del Centro Gandhi per l'Alta Irpinia.: cell. 349 323 7752       IL GRIDO DELLA TERRA
Esposizione fotografica per conoscere l'enciclica Laudato si’ di Papa Francesco in 12 pannelli a colori di facile allestimento
«Un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull'ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri» Laudato si', 49
 Attraverso le parole di papa Francesco, immagini suggestive, esempi e attualizzazioni, la mostra avvicina i visitatori alle buone pratiche per adottare nuovi stili di vita e migliorare la cura della casa comune.

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Commenti Articolo 49

Titolo articolo : SALUTE E PACE AL TEMPO DEL CORONAVIRUS,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: August/22/2020 - 15:28:16.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 22/8/2020 15.28
Titolo:
Ottima riflessione che merita tutta la nostra attenzione ! Un contributo importante per il patto educativo globale promosso da Papa Francesco.

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Commenti Articolo 50

Titolo articolo : Striscione al convento di clausura. Parlano le suore: “Le parole di Gesù contro il clima di odio che si sta innalzando”,a cura della Redazione

Ultimo aggiornamento: August/17/2020 - 17:31:47.

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Autore Città Giorno Ora
tony ferguson khabib Khabib Multan 17/8/2020 17.31
Titolo:I want to share very interesting thing
Legislative Decree 81 of April 9, 2008 on occupational health and safety made the certificate of suitability mandatory for operators of license-muletto-online.com forklifts and aerial platforms. This certificate is registered with the Region and therefore becomes a legal document throughout Italy. https://patentino-muletto-online.com/

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Commenti Articolo 51

Titolo articolo : CHI FU MARIA GIUDICE,di Sebastiano SaglimbenI

Ultimo aggiornamento: August/13/2020 - 12:51:13.

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Autore Città Giorno Ora
domenico stimolo catania 13/8/2020 12.51
Titolo:In ricordo di Maria Giudice

Ottimo scritto in memoria di una delle donne più rappresentative e combattive nella lotta per i diritti sociali e dei lavoratori del novecento italiano. La sua azione fu repressa e perseguita dalla dittatura fascista.
Il marito, il catanese socialista Peppino Sapienza, era da tutti indicato come l’avvocato dei poveri, difendeva gratuitamente le persone delle classi più umili.
Fu la mamma di Goliarda, scrittrice emerita che profuse nei sui tanti libri il pensiero civile, inibito per tanto tempo dalle strutture politiche e dai poteri oscurantisti che volevano tenere ancora in catene il libero pensiero dei cittadini e l’emancipazione delle donne.
Maria Giudice, assieme alla famiglia si trasferì a Roma agli inizio degli anni quaranta. Partecipò attivamente, assieme al marito e alla figlia Goliarda, alla Resistenza romana in lotta contro l’occupazione dei nazifascisti. Fece parte della Brigata “ I vespri”, coordinata da Peppino Sapienza.
Ricordarla è un dovere di tutti i democratici.

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Commenti Articolo 53

Titolo articolo : PENSIERI E PAROLE, RELIGIONE E POLITICA, DALLA QUARESIMA ALLA PASQUA,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: April/19/2020 - 17:05:57.

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Autore Città Giorno Ora
Giovanni Sarubbi Monteforte Irpino 17/4/2020 10.53
Titolo:
Grazie all'amico Raffaello che continua a fornirci materiali di riflessioni, perle di saggezza per il nostro futuro.
Autore Città Giorno Ora
Mariella Ratti La Spezia 19/4/2020 17.05
Titolo:
Grazie Raffaello per questo articolo che ci invita a riflettere sul momento drammatico che stiamo vivendo e che mette in discussione non solo il modello di sviluppo del mondo economico e finanziario ma anche i nostri stili di vita. Mi auguro che le riflessioni sul virus e sui tanti virus che ci circondano possano segnare una svolta o meglio un capovolgimento dei comportamenti umani nei confronti di noi stessi, degli altri e dell'ambiente che ci circonda, unitamente alla consapevolezza della fragilità umana, stante che è bastata una entità microscopica per mettere in crisi potenze ed imperi. Potenze ed imperi che però sembra vogliano ristabilire l'ordine precedente scaricando sui deboli e gli indifesi le conseguenze degli effetti del virus. 

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Commenti Articolo 54

Titolo articolo : LA SCUOLA PER LA COSTITUZIONE DELLA TERRA INAUGURATA A ROMA IL 21 FEBBRAIO 2020,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: April/11/2020 - 18:05:29.

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Autore Città Giorno Ora
Antonio D'Agostino Vibo Valentia 29/2/2020 12.44
Titolo:Per un'utopia del reale
Dobbiamo essere davvero grati a Raffaello Saffioti per  averci resi partecipi di una giornata così importante. Egli si chiede se sarà considerata storica. Io dico che, comunque, potrebbe aiutare a cambiarla la storia, se i semi che ha piantato faranno crescere la pianta della speranza di cui si nutre quella "vera realtà permanente che è l'utopia". 
Autore Città Giorno Ora
Mariella Ratti La Spezia 11/4/2020 18.05
Titolo:
Grazie Raffaello per aver reso così bene le ragioni e il significato profondo di questa giornata di lavori. E' troppo importante capire l'importanza di un costituzionalismo globale per la salvezza della Terra. Complimenti!

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Commenti Articolo 55

Titolo articolo : Lettera nella tempesta,a cura di Maurizio Ambrosini , Alfonso Barbarisi , Pasquale Basta , Guido Bertagna , Anna Carfora , Giuseppe Castronuovo , P. Antonio De Luca , Crispino Di Girolamo , Pino Di Luccio , Pietro Fantozzi , Cesare Geroldi , Rosario Giannattasio , Suor Rita Giaretta , Antonio Ianniello , Lello Lanzilli , Raniero La Valle , Beppe Lavelli , Sabina Licursi , Nicola Lombardi , Fabrizio Mandreoli , Giorgio Marcello , Pierangelo Marchi , Mauro Matteucci , Luca Mazzinghi , Luigi Milano , Massimo Nevola , P. Raffaele Nogaro , Valerio Petrarca , Antonio Polidoro , Matteo Prodi , Pietro Rocco , Sergio Sala , Vincenzo Sibilio , Sergio Tanzarella , Don Giovanni Paolo Tasini , Fabrizio Valletti ,

Ultimo aggiornamento: April/04/2020 - 15:51:52.

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Autore Città Giorno Ora
Antonio Tortorella SALA CONSILINA 04/4/2020 15.51
Titolo:
Sottoscrivo anche le virgole.
Speriamo solo che non rimangano belle parole

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Commenti Articolo 56

Titolo articolo : Historia magistra vitae: la Storia è maestra di vita,di Michele Zarrella *

Ultimo aggiornamento: April/04/2020 - 10:07:17.

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Autore Città Giorno Ora
Michele Zarrella Gesualdo 04/4/2020 10.07
Titolo:
Ciao Vito. Ricambio l'abbraccio (virtuale).

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Commenti Articolo 57

Titolo articolo : COVID-19: QUALE FUTURO?,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: March/23/2020 - 21:42:27.

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Autore Città Giorno Ora
domenico stimolo catania 22/3/2020 22.46
Titolo:
Giusto in Lombardia i dati ufficiali di spesa che riguardano la sanità affermano che il 44% delle risorse totali vanno a beneficio delle strutture private. IL tasso più alto in assoluto in Italia.
Autore Città Giorno Ora
Augusta De Piero Udine 23/3/2020 22.46
Titolo:
“Occorre cambiare sistema sociale. Occorre cambiare il proprio approccio con la vita e la natura. Non più il profitto individuale al centro ma l’umanità, l’ambiente, il rapporto stretto con tutti gli altri esseri viventi, una tecnologia che non distrugga tutto ciò che la natura ha costruito in alcuni miliardi di anni di evoluzione”. Io leggo, cerco di capire, di conservare considerazioni che mi tornano utili anche in altri momenti di riflessione.
In particolare condivido le considerazioni sui NoVax che ci portano a una concezione che consente – nella critica pretestuosa e sconsiderata alle vaccinazioni – di sposare una cultura della magia, travestita da scienza new age. Chi come me ha avuto in figli nel dopo Sabin, quando quel vaccino era una novità, sa cosa vuol dire non guardare come si muovono i tuoi figli dopo una febbre alta. Aver vissuto il terrore della poliomielite non vuol dire fiducia indiscriminata al sistema vaccinale comunque, ma l’uso ragionevole del dubbio e l’accettazione di procedure validate.
Lasciare che le decisioni in materia siano prese sconsideratamente da persone la cui capacità cognitiva – e la cui libertà di valutazione è capace di umiliarsi al mercato o alla moda – non è tollerabile.
Lo abbiamo fatto e ne paghiamo le conseguenze.
Non dimentichiamo, come apriori di ogni nostra azione, l’attenzione dovuta e consapevole alla Costituzione.
Io mi occupo da anni dei nati in Italia cui è negato il certificato di nascita perché figli di non comunitari irregolari.
Vogliamo ragionare sull’affastellarsi di condizioni incongrue che mettono in fila una serie di parole , trasformandole in elementi di discriminazione funzionali a creare paura e quindi condizioni di dominio di chi della paura sa approfittarsi per ragioni propagandistiche su cui viene fondata l’espressione insensata “Prima gli italiani!”, insensata ma fonte di percorsi politici sempre più condivisi.

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Titolo articolo : VOCE DI POPOLO, VOCE DI DIO

Ultimo aggiornamento: February/07/2020 - 16:27:23.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 07/2/2020 16.27
Titolo:La novità di Papa Francesco 
Una presentazione completa ed esuastiva della novità di Papa Francesco. Riuscirà il Papa a portare a compimento  la sua straordiraria opera di rinnovamento della Chiesa ? 
Un grazie sincero al grande sforzo realizzato da Raffaello, nonostante le indubbie difficoltà procurategli in questi giorni dall'operazione agli occhi

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Titolo articolo : La “Lettera” di Memoria e Libertà,Nota a cura di Domenico Stimolo

Ultimo aggiornamento: January/22/2020 - 20:17:30.

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Autore Città Giorno Ora
domenico stimolo catania 22/1/2020 20.17
Titolo:

….A pochi giorni giorni dalla “ Giornata della Memoria”, a Verona, a seguito delle decisioni assunte dal Consiglio e dalla Giunta comunale, vorrebbero “equiparare” i deportati – conferimento della cittadinanza onoraria a Liliana Segre – ad un collaboratore dei persecutori – intitolazione di una strada cittadina a Giorgio Almirante -, tra l’altro segretario di redazione del periodico “ La difesa della Razza”, fondato nell’agosto 1938.

In un articolo - pubblicato oggi da “ Patria Indipendente” - periodico quindicinale online dell’ANPI -, il direttore Gianfranco Pagliuruli espone in maniera molto efficace “ LA BEFFA E LO SFREGIO” ( titolo dell’articolo):
https://www.patriaindipendente.it/il-quotidiano/la-beffa-e-lo-sfregio/
 

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Commenti Articolo 60

Titolo articolo : Documentazione sulla annosa questione del certificato di nascita per i nati in Italia da genitori non comunitari privi di permesso di soggiorno,a cura di Augusta De Piero

Ultimo aggiornamento: December/22/2019 - 12:58:43.

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Autore Città Giorno Ora
domenico stimolo catania 22/12/2019 12.58
Titolo:

Uno sforzo il Suo, gentile signora Augusta - in atto già da lungo tempo - al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica e le strutture politiche ed istituzionali che reggono il nostro Paese su una questione di assoluta priorità in rispetto degli elementari diritti umani, civili e democratici, di assoluta condivisione.
La mozione approvata dal Consiglio regionale Friuli Venezia Giulia rappresenta un passo in avanti di grande rilievo.
L’obiettivo vero è di annullare/ modifica strutturale, nella parte interessata, la legge 94 del 2009.
Sono passati dieci anni, le maggioranze costituenti i Governi sono cambiate varie volte, però, in maniera indegna, nulla muta.
Solo una forte , innovativa e dirompente spinta dal basso, che veda i cittadini protagonisti (...le “sardine”….?), può imporre la restituzione di una fondamentale regola di civiltà.

Cordiali saluti domenico stimolo

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Commenti Articolo 61

Titolo articolo : PAPA FRANCESCO A HIROSHIMA UN GRIDO: “MAI PIU’ LA GUERRA!” E A REDIPUGLIA NEL 2014: “LA GUERRA E’ UNA FOLLIA”,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: December/12/2019 - 00:18:37.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 08/12/2019 15.14
Titolo:L'apostolato nonviolento di Papa Francesco 
Gli interventi sul Dialogo di Raffaello Saffioti dedicati a Papa Francesco configurano un vero e proprio studio sul suo pontificato. Raffaello è uno dei pochi, insieme a Raniero La Valle, ad aver colto l'importanza innovativa di una prassi comunicativa che sta cambiando la concezione stessa del papato, da magistero assoluto a  cammino sinodale verso una chiesa che si impegni nella testimonianza della pace e della nonviolenza.
Autore Città Giorno Ora
Antonio D'Agostino Vibo Valentia 12/12/2019 00.18
Titolo:LA RIVOLUZIONE EVANGELICA DI PAPA FRANCESCO
Trovo particolarmente centrato e quindi condivisibile il commento di Mohandas Gandhi all'editoriale di Raffaello Saffioti. Quest'ulteriore, importante contributo, si inserisce nel solco di un percorso che Raffaello porta avanti da tempo, avendo, forse prima e più di altri, percepito i segni del cambiamento radicale che questo Papa sta portando avanti nella chiesa, grazie alla forza e alla determinazione attinte direttamente dal Vangelo.

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Commenti Articolo 62

Titolo articolo : PAPA FRANCESCO SCENDE DALLA CATTEDRA DI PIETRO  E CHIAMA PER UN “PATTO EDUCATIVO GLOBALE”,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: November/12/2019 - 10:48:28.

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Autore Città Giorno Ora
Antonio D'Agostino Vibo Valentia 11/11/2019 00.20
Titolo:Una foto fortemente simbolica
C'è da chiedersi: quanti hanno colto il messaggio rivoluzionario che trasmette la foto d'apertura di questo nuovo editoriale di Raffaello Saffioti? E chi meglio di lui poteva cogliere in essa questo nuovo, potente segno di cambiamento, nel solco dei grandi profeti e maieuti di ogni tempo.
Autore Città Giorno Ora
GIUSEPPE GANGEMI REGGIO CALABRIA 12/11/2019 10.48
Titolo:LA FEDE E LA POLITICA COME SERVIZIO
L'articolo dell'amico Raffaello Saffioti mi ha ispirato delle riflessioni. Si parla spesso di cambiamenti strutturali, in politica, nella Chiesa e in altri ambiti. L'articolo spiega che se le riforme non sono accompagnate da una disposizione d'animo positive, da un cambiamento interiore e da spirito di servizio che sottende umiltà, sono inutili e non efficaci.
L'esempio di umiltà, devozione e sacrificio di papa Francesco è da seguire . Le sue aperture al rinnovamento da difendere. Stringiamoci in cerchio intorno a lui .

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Commenti Articolo 63

Titolo articolo : Una fila composta da 2381 autobus – lunga 54 chilometri - ha attraversato il confine,di domenico stimolo

Ultimo aggiornamento: November/04/2019 - 14:59:48.

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Autore Città Giorno Ora
domenico stimolo catania 04/11/2019 14.59
Titolo:

Svimez, per il Sud il reddito di cittadinanza non basta: per arginare la fuga dei giovani serve il lavoro


…...Trappola demografica: il Sud ha perso due milioni di persone dal 2000 e ne perderà nei prossimi 50 anni altri 5 milioni, soprattutto giovani e laureati,

https://www.repubblica.it/economia/2019/11/04/news/svimez_il_reddito_di_cittadinanza_non_basta_per_arginare_la_fuga_dei_giovani_serve_il_lavoro-240196066/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P4-S1.8-T1
 

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Commenti Articolo 65

Titolo articolo : C’è speranza per l’Italia,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: June/20/2018 - 10:14:33.

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Autore Città Giorno Ora
Mario Puddu San Giovanni Suergiu 18/6/2018 08.32
Titolo:Economia di GUERRA
Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 20/6/2018 10.14
Titolo:Ritornare all'umano contro la disumanizzazione
La vergogna, cui assistiamo in questi giorni, con um ministro della Repubblica Italiana, che preannuncia schedature di Rom e respingimenti dei rifugiati, sembra rispondere a un'opinione pubblica incattivita e imbarbarita. Personalmente voglio credere ancora al senso di responsabilità e di solidarietà del popolo italiano. Altrimenti forse è meglio andarsene da questo Paese, che non riconosco più.
 

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Commenti Articolo 66

Titolo articolo : Possibile che la storia non ci abbia insegnato nulla?,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: June/11/2018 - 19:47:25.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 11/6/2018 19.47
Titolo:La cassa elettorale

Il tuo articolo, Giovanni, sembra duro, ma in realtà coglie l'aspeto pietrificante della Medusa, fatto di opportunismi, di miserie e di disumanizzazione. Quanto avviene in queste ore con i migranti, sballottati come cosesulla nave Aquarius, ne è la dimostrazione. II peggio è che l'opinione pubblica approva...
Mauro Matteucci 
 

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Titolo articolo : Insegnanti aggrediti,di Franco Casati

Ultimo aggiornamento: May/07/2018 - 17:08:01.

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Mauro Matteucci Pistoia 07/5/2018 17.08
Titolo: La scuola senza autorevolezza
Sono rimasto profondamente colpito dalla lettera del collega, perché ho vissuto analoghe esperienze e  ora sono in pensione, anche se il mio lavoro continua come volontario nei centri di accoglienza per immigrati e profughi. Credo che la scuola sia stata abbandonata dallo Stato e a dalle stesse famiglie (se questa parola ha ancora un significato), perdendo ogni autorevolezza, (da non confondere con "autorità"). Credo che dobbiamo ancora ispirarci al grande messaggio di don Lorenzo Milani, che seppe fare dei suoi ragazzi  "cittadini responsabili" e non dei prepotenti tirannelli spalleggiati dai genitori.

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Titolo articolo : UNA FELICE DISCONTINUITÀ,di Raniero La Valle

Ultimo aggiornamento: March/10/2018 - 18:15:38.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 10/3/2018 18.15
Titolo: dimenticati dalla politica
~~La politica è altrettanto orribile quando chi la fa crede d’essere dispensato dal sentir bruciare i bisogni immediati di quelli cui l’effetto della politica non è ancora arrivato.
                                  don Lorenzo Milani

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Commenti Articolo 71

Titolo articolo : Chi si opporrà al "cristianesimo leghista"?,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: February/27/2018 - 10:25:52.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 27/2/2018 10.25
Titolo: La blasfemia della Destra

Condivido pienamente l'indignazione di Giovanni per il gesto blasfemo e cialtrone di Salvini. Ma a Pistoia ci siamo abituati dopo la messa del 27 agosto 2017 nella chiesa di Vicofaro, alla quale ha assistito uno squadrone di Forza Nuova "per vigilare sull'ortodossia" di don Massimo Biancalani, reo, lui sì, di applicare il Vangelo accogliendo nelle canoniche delle sue chiese decine di rifugiati africani e di senzatetto!

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Commenti Articolo 72

Titolo articolo : l'ABC della politica,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: February/19/2018 - 21:05:59.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 19/2/2018 21.05
Titolo:Complimenti!
Caro Giovanni, dall'alto dei miei quasi 90 anni, approvo e condivido quanto scrivi: peccato che non trovino alcuna risonanza nei "media" "mainstream"!... Si potrebbe ottenerla?                                Bruno.

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Commenti Articolo 73

Titolo articolo : "CONVERSIONE ECOLOGICA ?",di p. Alex Zanotelli

Ultimo aggiornamento: February/18/2018 - 11:32:38.

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Autore Città Giorno Ora
Maria Grazia Palestra Como 18/2/2018 11.32
Titolo:
PADRE ZANOTELLI AL QUALE SONO SEMPRE MOLTO GRATA PER LE SUE RIFLESSIONI CHE SEMPRE MI SOLLECITANO A RIENTRARE IN ME STESSA, A INTERROGARMI E A METTERMI IN DISCUSSIONE, NON HA CERTO BISOGNO CHE GLIELO DICA IO COME GIUNGERE ALLA CONVERSIONE ECOLOGICA.......EPPURE LA DOMANDA MI COINVOLGE.....E MI FA RISPONDERE CHE L' UNICA RISPOSTA CHE PROVOCA QUANTO RICHIESTO DAL PADRE E' LA CONVERSIONE DEL CUORE.
E' IL RECUPERO DELLA SENSIBILITA'.
D' UN CUORE CHE RESPIRA IN SINTONIA E IN COMUNIONE CON LA TERRA E CHE SOLO COSI', PUO' PRENDERSI CURA DELLA TERRA MEDESIMA.
SE MI PRENDO CURA DEL MIO CUORE, INFATTI, (OSSIA DELLA MIA CASA INTERIORE), SARO' IN GRADO DI PRENDERMI CURA DI TUTTI E DI TUTTO. DELLA MIA CASA TERRENA E DEI SUOI ABITANTI......

GRAZIE!

MARIA GRAZIA PALESTRA
MARIA GRAZIA PALESTRA 
 

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Commenti Articolo 74

Titolo articolo : L’ultima utopia arriva dal Sahel e non da Davos,di Mauro Armaninp

Ultimo aggiornamento: February/08/2018 - 21:39:47.

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Autore Città Giorno Ora
Enrico Sciarini Segrate 08/2/2018 21.39
Titolo:Davos
Caro padre Mauro, per me chi sta in prima linea ad aiutare i poveri del mondo ha meriti enormemente maggiori di chi sta su un palco, davanti ad un microfono a raccontare cosa si può fare per diminuire la povertà nel mondo.Ciò non togli che sia meritevole di attenzione anche chi parla da un microfono, sopratutto se parla ad un consesso di persone che qualche leva di comando l'hanno in mano. Tra i 3000 conmvenuti al forum 2018 ce ne sono stati parecchi meritevoli di attenzione. Non sto a fare nomi, basta vederli dal sito weforu2018. Male sarebbe se a Lei fosse stata negata la partecipazione. Bene sarebbe se almeno la metà delle spese del forum fosse stata devoluta a chi ne ha bisogno. Le utopie non sono solo di sabbia, ci sono anche quelle minime che non promettono molto, ma mantengono quello che promettono.

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Commenti Articolo 75

Titolo articolo : Sciogliere le organizzazioni nazifasciste e quelle che istigano all’odio razziale,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: February/05/2018 - 21:10:35.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 05/2/2018 21.10
Titolo: Una Chiesa che si barcamena
Non aveva detto Gesù nel Vangelo: "Sia il vostro parlare: Sì, sì, no, no." ? Le parole di Bassetti riferite al criminale tentativo di strage da parte del nazifascista Traini, mi sconcertano, se non mi disgustano. Grazie Giovanni, della tua riflessione così sincera e controcorrente in un momento così squallido per il nostro Paese!

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Commenti Articolo 76

Titolo articolo : "Il vangelo della stupidità",di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: January/30/2018 - 20:34:34.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 30/1/2018 20.34
Titolo: L'invidia sociale

Purtroppo anni di cancellazione di ogni forma di lotta di classe hanno prodotto una terribile omologazione delle teste: oggi l'impoverito guarda con invidia  e con rancore non chi sta sopra e vive in un ripugnante privilegio, ma l'ultimo, temendo che gli possa strappare il brandello di benessere che ancora crede gli rimanga. Siamo proprio all'assurdo della stupidità!

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Commenti Articolo 77

Titolo articolo : Cattolici cattivi, cattolici buoni e cattolici buonissimi...,di Renato Pierri

Ultimo aggiornamento: January/22/2018 - 18:46:13.

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Autore Città Giorno Ora
Maria Grazia Palestra Como 22/1/2018 18.46
Titolo:
CURIOSA DI SAPER DOVE MI METTE.....LE VOGLIO DIRE - PER L' ESPERIENZA CHE HO IN QUESTA MATERIA - CHE NON C' E' AFFATTO AMORE TRA LE COPPIE OMOSSESSUALI - C' E' SOLTANTO UN GRANDE EROTISMO CHE VIENE SCAMBIATO PER AMORE.

C' E', INVECE, IN CIASCUNA PERSONA CHE COSTITUISCE LA COPPIA OMOSSESSUALE, UN GRANDE BISOGNO D' AMORE.
SI TRATTA DEL BISOGNO DELL' AMORE DEL GENITORE OMOLOGO, DI QUELL' UNICO AMORE CHE, RESTITUENDO LA CAPACITA' DI SENTIMENTO AI SOGGETTI IMPEGNATI NEL RAPPORTO DI COPPIA, PUO' SODDISFARNE PIENAMENTE LA NECESSITA'.
PUO' , CHIAMANDOLI PER NOME, CONFERMARLI NELLA PROPRIA IDENTITA' (MASCHILE E/O FEMMINILE).

MARIA GRAZIA PALESTRA

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Commenti Articolo 78

Titolo articolo : No ai papponi di Stato. No allo Stato pappone!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: January/22/2018 - 11:00:02.

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Autore Città Giorno Ora
Maria Grazia Palestra Como 21/1/2018 20.46
Titolo:
NON NE FAREI UNA QUESTIONE DI PECCATO, BENSI' DI IMMATURITA' AFFETTIVA.
QUANDO, INFATTI, SI SCAMBIA L' EROTISMO PER AMORE E' PERCHE' LA PERSONA, ESSENDO PRIVA DELLA CAPACITA' DI SENTIMENTO, AGISCE SOLO ASSECONDANDO LA PULSIONE SESSUALE.

NON NE FAREI NEANCHE UNA QUESTIONE LEGATA AL CATTOLICESIMO, MA A TUTTA LA REALTA' UMANA.

MARIA GRAZIA PALESTRA
Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 22/1/2018 11.00
Titolo:D'accordo
Del tutto d'accordo con la posizine di G.Sarubbi, ma anche con quella della Sig.ra Palestra, che puntualizza un aspetto imporante della questione.                                             Bruno.

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Commenti Articolo 79

Titolo articolo : La legge elettorale è una schifezza! "Merdarellum" il suo nome proprio!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: January/14/2018 - 21:06:19.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 14/1/2018 21.06
Titolo: Il massacro della democrazia
Giovanni, hai ragione. Negli anni passati si è fatta una vera e propria espropriazione di democrazia nei confronti dei cittadini. Se ne sono appropriati i capipartito con leggi-truffa dietro il maggioritario. Dov'erano gli "araldi" della democrazia, come si definiscono i "nuovissimi" D'Alema, Bersani, Rossi, Fassina e compagnia poltronante? E ancora peggio, dov'erano quando si operava da parte anche di governi cosiddetti di centro-sinistra, una vera e propria macelleria sociale, di cui le prime vittime erano i più deboli, dai giovani agli anziani, agli emigranti? A occupare poltrone e a difendere saldamente i loro privilegi!

Mauro

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Commenti Articolo 80

Titolo articolo : Catania: Infame attentato mafioso alla casa dei “Briganti Rugby”,di Domenico Stimolo

Ultimo aggiornamento: January/14/2018 - 20:53:36.

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Autore Città Giorno Ora
domenico stimolo catania 14/1/2018 20.53
Titolo:
Questa mattina ( domenica) una grande assemblea popolare di sostegno e solidarietà si è svolta sugli spalti del campo rugby “ San Teodoro Liberato” - a fianco il Club House “ G. Cunsolo” rimasto interamente distrutto-, con la partecipazione di oltre 500 persone. Tantissimi i giovani, con una folta presenza di ragazzi e ragazze di vari gruppi Scout dell’Agesci di Catania.
Nei molti interventi è stata ribadita la volontà di continuare nell’attività sportiva e nelle iniziative a supporto degli abitanti del quartiere.
A termine dell’assemblea una vera e propria “marea umana”- attrezzata con guantoni e mascherine -  si è messa al lavoro per ripulire i due grandi locali attigui costruiti come palestre e spogliatoi, rimasti chiusi, inutilizzati e abbandonati per molti anni.  Una rilevantissima massa di detriti vari è stata trasportata fuori dalle strutture.
Tutto questo insieme di opere (  un campetto da  calcetto, un campo da rugby, due palestre, uffici, foresteria, etc) doveva costituire il polo sportivo di Librino, progettato, costruito ( sulla collina di San Teodoro) e poi abbandonato incompleto, per lo svolgimento delle Universiadi del 1997. L’incuria e il vandalismo avevano depredato il tutto.
Nell’aprile del 2012 i Briganti di Librino - squadra di rugby nata dall’esperienza del centro sociale “ Iqbal Masih” operativo a Librino -, assieme ad un comitato spontaneo, ha Liberato la struttura abbandonata. Con un lungo lavoro di oltre 100 volontari è stato recuperato il campo di rugby diventata landa desertificata e alcune strutture collaterali. Alcune anni addietro l’amministrazione comunale ha formalizzato all’Associazione dei Briganti la gestione dei luoghi “liberati”.    
d.s.

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Commenti Articolo 81

Titolo articolo : Papi da usare,di Renato Sacco

Ultimo aggiornamento: January/09/2018 - 17:17:21.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 09/1/2018 17.17
Titolo:Complimenti!
Bravo, don Renato: condivido appieno il tuo intervento.             Bruno.

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Commenti Articolo 82

Titolo articolo : Tutti siamo chiamati a fare la nostra parte!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: January/09/2018 - 17:11:17.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 07/1/2018 21.31
Titolo: No ai complici del massacro sociale

Soprattutto non voterò e inviterò a non votare quanti si sono resi complici dell'espropriazione di democrazia e del massacro sociale realizzati a più mai in questi anni.
Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 09/1/2018 17.11
Titolo:Grazie!
Grazie, Giovanni, per il tuo contributo, cui auguro di cuore ampio e fecondo successo, in tempi tanto difficili.                                Bruno

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Commenti Articolo 83

Titolo articolo : "Storie italiane": storie di ordinario razzismo,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: December/30/2017 - 16:58:25.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 29/12/2017 09.49
Titolo: L'uguaglianza

La fonte di ogni razzismo è la volontà di sradicare il principio dell'uguaglianza nella condizione umana.
Autore Città Giorno Ora
Maria Grazia Palestra Como 30/12/2017 16.58
Titolo:
NON AVENDO LA TELEVISIONE NON HO POTUTO VEDERE LA TRASMISSIONE CUI FA RIFERIMENTO GIOVANNI SARRUBBI DELLA CUI BUONA FEDE NON DUBITO AFFATTO.
VORREI PERO' CHE IL GIORNALISTA TENESSE PRESENTE CHE CHI AVVERTE IL BISOGNO DI CONOSCERE I PROPRI GENITORI - SE NON E' POSSIBILE  IL PAPA' - ALMENO LA MAMMA, PROVIENE DAL FIGLIO ADOTTATO.
C' E', INFATTI, IN COLUI CHE E' STATO ADOTTATO UN PROFONDO DESIDERIO DI RISALIRE SALLE PROPRIE ORIGINI.
DI RIAPPROPRIARSI DELLA PROPRIA STORIA.
DI SENTIRSI RICONOSCIUTI COME FIGLIO DA CHI GLI HA DATO LA VITA.
DI GIUNGERE A CONSIDERARSI - GIACCHE' MOLTI FIGLI ADOTTATI SI CONSIDERANO FIGLI ABBANDONATI E QUINDI DI SERIE B - FIGLI A TUTTI GLI EFFETTI.
FIGLI RICONOSCIUTI DA COLORO CHE MAGARI STANNO SOFFRENDO PER AVER DOVUTO UN GIORNO - A CAUSA DI VICISSITUDINI GRAVI E DOLOROSE, RINUNCIARE A LORO.

CORDIALI SALUTI

MARIA GRAZIA PALESTRA

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Commenti Articolo 84

Titolo articolo : Opponiamoci al male, promuoviamo il bene!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: December/28/2017 - 12:12:45.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 25/12/2017 22.49
Titolo: L'Umanità e il Natale

Grazie Giovanni per il tuo articolo, che condivido totalmente: gli auguri del Natale in queste condizioni per l'umanità che soffrel è la peggiore mistificazione.
Autore Città Giorno Ora
Enrico Sciarini Segrate 27/12/2017 10.41
Titolo:paradigmi
Accolgo la Sua richiesta di aiuto per formulare gli auguri di natale alle persone da Lei elencate nel Suo editoriale del 24 dicembre. Posto che è difficile, se non addirittura impossibile cambiare le opinioni alle citate persone, ritengo sia più utile cambiare i parametri che usiamo per formarci le opinioni. Si potrebbe iniziare con l'augurio natalizio di pace e cambiarne il paradigma sostituendo l'aggettivo "buona" con l'aggettivo "cattiva" davanti al sostantivo "volontà". La pace in terra non verrebbe così augurata agli uomini di buona volontà, ma a quelli di cattiva volontà, proprio quelli del Suo elenco. Cordialmente.
P.s. Ho trovato un aforisma del poco noto pastore metodista statunitense Roy Lemon Smith che ho così tradotto e aggiornato: Chi non ha il natale (la pace) nel cuore, non lo/la può trovare sotto l'albero.  
Autore Città Giorno Ora
Nellina Guarnieri Bari 28/12/2017 12.12
Titolo:una variazione sul tema
La nostra madre tv (la nicchia tv vaticana e la televisione nazionalpopolare di  Panariello ha movimentato l'obsoleto rituale natalazio con una notizia"preoccupante"....;il 25 dicembre non coincide con la Natività ma sostituisce solo resistenti tradizioni pagane.Ben lungi da preoccupazioni moralistiche mi domano e le chiedo.le varainti di panariello con intellettuale al seguito sono l'esigenza di un diversivo o possono diventare (a dispetto di panariello) pausa di riflessione  e di conoscenza? grazie e un ricco anno nuovo    Nellina Guarnieri
Autore Città Giorno Ora
Nellina Guarnieri Bari 28/12/2017 12.12
Titolo:una variazione sul tema
La nostra madre tv (la nicchia tv vaticana e la televisione nazionalpopolare di  Panariello ha movimentato l'obsoleto rituale natalazio con una notizia"preoccupante"....;il 25 dicembre non coincide con la Natività ma sostituisce solo resistenti tradizioni pagane.Ben lungi da preoccupazioni moralistiche mi domano e le chiedo.le varainti di panariello con intellettuale al seguito sono l'esigenza di un diversivo o possono diventare (a dispetto di panariello) pausa di riflessione  e di conoscenza? grazie e un ricco anno nuovo    Nellina Guarnieri

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Titolo articolo : CAPORETTO,di Beppe Manni

Ultimo aggiornamento: December/26/2017 - 10:35:43.

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Mauro Matteucci Pistoia 26/12/2017 10.35
Titolo: Una guerra contro il popolo
La Grande Guerra per l'Italia, ma non solo per lei, fu innanzi tutto una guerra contro il popolo. Infatti i contadini ne pagarono gli altissimi costi: basta leggere le lapidi con i loro nomi nelle facciate delle chiese, nei giardini pubblici, nei cimiteri.

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Titolo articolo : MIGRANTI: NON C’E’ POSTO PER LORO!,di Alex Zanotelli

Ultimo aggiornamento: December/24/2017 - 18:23:34.

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Autore Città Giorno Ora
Maria Grazia Palestra Como 24/12/2017 18.23
Titolo:
GRAZIE PADRE PER ILLUMINARE LE NOSTRE COSCIENZE.
PER FORNIRCI DEGLI ELEMENTI CHE CI CONSENTONO DI POTER FARE - PER QUANTO POSSIBILE IN QUANTO TUTTI SIAMO INTRAPPOLATI IN QUESTO SISTEMA INGIUSTO E CORROTTO - DELLE SCELTE CHE CI CONSENTONO DI RICNOSCERE L' UMANITA' DI TUTTI GLI ESSERI UMANI E COSI' FACENDO, DI RICONOSCERE LA NOSTRA STESSA UMANITA'.

GRAZIE!

MARIA GRAZIA PALESTRA

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Titolo articolo : «S’ I’ FOSSI PAPA… ABOLIREI LO NATALE»,di Paolo Farinella, prete

Ultimo aggiornamento: December/24/2017 - 11:07:42.

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Mauro Matteucci Pistoia 24/12/2017 11.07
Titolo: Quale Natale?
~~Quale Natale?
Quale Natale per le popolazioni civili, martoriate da guerre interminabili in tanti Paesi del pianeta?
Quale Natale per i profughi e gli emigranti, costretti ad abbandonare le loro terre e le loro famiglie alla ricerca di speranza in Paesi lontani?
Quale Natale per i poveri privi dei beni essenziali, dal cibo alla casa, alle cure sanitarie?
Quale Natale per tanti bambini che mancano dell’istruzione e dei diritti di poter crescere serenamente?
Quale Natale per tanti disoccupati, che hanno perso con il lavoro la dignità di uomini?
Quale Natale per tanti uomini che lavorano in condizioni di nuova schiavitù?
Quale Natale per tanti giovani precari o disoccupati, privi di ogni speranza di costruire un progetto di vita?
Quale Natale per tanti anziani e malati, dimenticati perfino dai loro cari e costretti a vivere nell’abbandono e nella solitudine?
Quale Natale per tanti cittadini che vivono in terre dominate dalla criminalità e dall’ illegalità?
Quale Natale per tante donne che vivono nel terrore a causa della violenza dei loro compagni?
Quale Natale per tanti sacerdoti e uomini di Dio coerenti con il Vangelo, che la Chiesa spesso umilia ed emargina?
Il nostro Natale 2017 sarà accanto a loro
                                                                      Mauro Matteucci e Coppini Gabriella

 

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Titolo articolo : Una settimana terribile!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: December/19/2017 - 18:34:02.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 19/12/2017 18.34
Titolo:Grazie mille!
Caro Giovanni, tante grazie per le informazioni chiarificanti e giustificative di tante cose e, per questo, boicottate dai "media"... Un caldo, riconoscente e fraterno abbraccio.               Bruno.

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Titolo articolo : RICORDARE DANILO DOLCI A VENT’ANNI DALLA MORTE,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: December/10/2017 - 23:36:09.

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Mauro Matteucci Pistoia 08/12/2017 16.43
Titolo:Eclissi educativa come negazione del messaggio di Dolci

Oggi assistiamo nel concreto a una vera e propria eclissi educativa, che è la negazione più stridente del metodo maieutico di Dolci. Di fatto ci si omologa rispetto ai modelli proposti dai media e dalla politica mistificante: così assistiamo come a una forma di demolizione di ogni autorevolezza educativa basata sulla valorizzazione delle capacità dell'individuo, ridotto ormai invece a uno strumento della Grande Macchina. La regressione etica e civile, cui assistiamo, ne è l'inevitabile conseguenza. Altro che "buona scuola"! Mauro Matteucci
 
Autore Città Giorno Ora
Antonio D'Agostino Vibo Valentia 10/12/2017 23.36
Titolo:Danilo Dolci profeta del nostro tempo
Un documento completo, da conservare per la ricchezza di riferimenti, per le riflessioni alle quali ci invita e per le domande che ci pone.Un giusto tributo a un grande dei nostri tempi, per molti aspetti troppo scomodo per essere ricordato come meriterebbe. Per fortuna c'è chi continua a farlo. Grazie Raffaello!

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Titolo articolo : death penalty, deterrence, and terrorism.,di Claudio Giusti

Ultimo aggiornamento: November/14/2017 - 23:00:04.

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Alessandro Lisci Roma 14/11/2017 23.00
Titolo: Sergio D'Elia aderisce a DEAD MAN WALKING. NO ALLA PENA DI MORTE IN USA

Dopo l'adesione di Sergio D'elia molte altre coscienze si aggregano contro la pena di morte in USA.

Vogliate lasciarmi i vostri recapiti mail e telefonici whats app per inserirvi in una newsletter di aggironamento e aggregazione. Grazie . Alessandro Lisci 3316379346

Invito chiunque a lasciarsi fotografare in forma anonima in Via Amerigo Vespucci , 45 Roma
il Martedì e il Giovedi dalle 16.45 alle 18.45
con o senza appuntamento infoline Alessandro Lisci 3316379346

www.deadmanwalking.info

Segue

Registrazione video della conferenza stampa dal titolo "Conferenza stampa di presentazione della campagna internazionale di sensibilizzazione "Dead Man Walking. No alla Pena di Morte in USA" © 2017 Alessandro Lisci - SIFAL



che si è tenuta a Roma mercoledì 8 novembre 2017 alle 18:45
presso l'Antica Falegnameria di Testaccio, via Amerigo Vespucci 45 Testaccio - Roma

Con Pino Nazio (giornalista, sociologo e scrittore), Alessandro Lisci(fotoreporter), Sergio D'Elia (membro della presidenza del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito), Liliana Paganinii (attrice), Emilio Leofreddi (artista).

Sono stati trattati i seguenti argomenti: Pena Di Morte.
Questa conferenza stampa ha una durata di 1 ora e 3 minuti.
La conferenza stampa è disponibile anche nel solo formato audio.
www.deadmanwalking.info       press@deadmanwalking.info
infoline Alessandro Lisci +39 3316379346

VIDEO


https://www.radioradicale.it/scheda/524856/conferenza-stampa-di-presentazione-della-campagna-internazionale-di-sensibilizzazione

Alessandro Lisci
Photographer
mob. +39. 331.63 79 346
www.alessandrolisci.com
skype: alessandrolisci

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Titolo articolo : «Divide et impera»,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: November/13/2017 - 18:09:37.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 13/11/2017 18.09
Titolo:No alla distruzione dello spirito critico
Caro Giovanni,
                       sono "costretto" a condividere parola per parola quanto dici nel tuo editoriale. Solo la cultura e la ricostruzione dello spirito critico potranno dare una svolta alla preoccupante eclissi educativa, cui assistiamo e che ha molti responsabili, non certo i media tra gli ultimi.

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Commenti Articolo 92

Titolo articolo : Comunicato stampa Pax Christi Italia  “Con la guerra tutto è perduto”,di     Pax Christi Italia

Ultimo aggiornamento: November/04/2017 - 15:09:44.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 04/11/2017 15.09
Titolo:
AFFIANCHIAMO PAPA FRANCESCO NELL’IMPEGNO PER IL DISARMO NUCLEARE
Firma la petizione:

https://www.petizioni24.com/confrancescoperildisarmonucleare


 

 
 

 


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Titolo articolo : Siamo messi proprio male!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: November/04/2017 - 11:17:17.

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Autore Città Giorno Ora
Basilio   Buffoni Milano / Astana 22/10/2017 19.29
Titolo:Una cosa che non mi sarei aspettato di leggere 
Rispondo al tuo appello, segnalandoti un articolo che ho appena letto, e che non mi sarei mai aspettato di leggere: l'analisi di due discorsi americani, quelli del senatore John McCain, avversario di Obama, ora ferito dalla malattia, e del capo dello staff della Casa Bianca John Kelly. Diversi, contrapposti. Mai mi sarei aspettato di leggere, in qualche modo con partecipazione e un briciolo di fiducia, i discorsi di due miitari americani, entrambi repubblicani e conservatori, più seri di tanti altri personaggi politici, se non altro perché parlano con sincerità. Un richiamo a trovare ragioni di fiducia in luoghi inattesi, ed insieme a guardare intorno e non solo, come giustamente denunci, alle stesse cose di sempre, e con lo stesso attteggiamento, masticando e rimasticando le stesse quattro idee (o forse due sole ...): questo il linkhttps://www.theatlantic.com/politics/archive/2017/10/two-wounded-warriors/543612/ 
 
Autore Città Giorno Ora
Renzo Coletti Genova 04/11/2017 11.17
Titolo:
Caro Giovanni,
siamo messi davvero male, ma forse una certa responsabilità esiste da parte di tutti noi.

Tu parli di speranza, una speranza da nonperdere, una speranza che lascia uno spazio aperto a qualsiasi forma di intervento dall’alto, mentre i protagonisti si sentono impotenti.

Forse più che alla speranza si dovrebbe fare ricorso al sogno; se l’uomo cessa di sognare è un succube del proprio destino.

sogno di creare una nuova idea, una nuova volontà, un nuovo mondo, una nuova dignità.

I  Il tuo progetto ha un fine che non può essere raggiunto, la pace che celebra se stessa non è che una formula di passività.

La pace è l’equilibrio tra il bene ed il male, la pace è possibile solo se la giustizia prevale, se la dignità non viene a mancare, se la libertà non resta un mito.

Per raggiungere la pace si deve abolire la classe dominante che persegue il suo mantra di diseguaglianza sociale e sfruttamento.

siamo ormai solo dei consumatori, dei professionisti del segregazionismo. degli ignoranti che si nutrono di speranza e di indottrinamento clericale fascista.

Ma il fascismo non è mai morto, non è mai stato sconfitto, non ha mai smesso di guidare i nostri istinti peggiori.

Il dialogo è possibile solo se si aboliscono i dogmi, le certezze, lavilenza del potere.

La gente si arma non perché è dvventata assassina, non certo perché si ribella ad un comandamento, ma perché quando la legge è a vantaggio del più forte, quando la libertà non è più garantita, quando la ragione non esiste più, quando il tuo vicino, compagno, fratello, si è trasformato in un possibile nemico, allora resti tu e la tua unica scelta è la difesa di te stesso.

La Chiesa parla bene ma razzola male e dovresti saperlo.

Non può essere una enunciazione di principio, vedi Papa francesco, a modificare la realtà, anzi è la formula che serve per far credere che lee parole di solidarietà , di pace, di amore, siano sufficienti a distruggere una realtà costruita sulla falsità, l’ipocrisiaa,, lo sfruttamento e la violenza.

Occcorrono fatti, prese di posizione coerenti, chiarezza di linguaggio, lotta dura e costante.

Inoltre la Chiesa si coccola nelle sue lote intestine per schemi dogmatici che ormai sono da uomo delle caverne, mentre di fatto oi appoggia la guerra, lo sfruttamento, il traffico di denaro che finanzia il malaffare e la corruzione.

Lascia dunque la tua speranza e comincia a sognare un nuovo mondo e come un militante del mondo libero e cosciente, crea una organizzazione che si dia uno scopo più realistico e di classe.

 

Renzo.

 

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Commenti Articolo 94

Titolo articolo : Dai loro frutti li riconoscerete (Mt 7,16): Lutero,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: November/03/2017 - 19:42:02.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 03/11/2017 19.42
Titolo:Il potere e il denaro nemici del Vangelo

Come dici, il potere e il denaro sono la rovina delle chiese cristiane. Le tentazioni di Gesù da parte del diavolo nel Vangelo stanno a significare proprio questo. Perciò la Chiesa, anzi le Chiese dovrebbero guardarsene, ma in realtà ne sono state contaminate attraverso i secoli. Perché? Forse è la grande risposta che dovrebbero cercare coloro che si dicono cristiani.

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Commenti Articolo 95

Titolo articolo : Papa Francesco fa un passo indietro sul cardinale con 12 milioni in Svizzera,a cura della Redazione

Ultimo aggiornamento: October/24/2017 - 18:32:08.

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Autore Città Giorno Ora
manuel guillaume foggia 24/10/2017 18.32
Titolo:aiuto rapido di servizio finanziario

buongiorno ha tutti
Siete alla ricerca di prestito per sia rilanciare le vostre attività sia per la realizzazione di un progetto, sia per voi comperate un appartamento,ma purtroppo la banca vi pone abbastanza condizioni di cui siete incapace; più preoccupazioni! Metto a disposizione di tutto che desidera crediti personali con un tasso d'interesse che va del 3% di importo chiesto. Volete precisarli nella vostra domanda di prestito importo esatto e la durata di rimborso che desiderereste perché posso soddisfarli con precisione e non appena possibile.

Contattate per le vostre domande di prestito personali: gui.manuele@gmail.com

la vostra soddisfazione è il mio obiettivo e ciò prima.

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Commenti Articolo 96

Titolo articolo : Anniversario della Riforma Protestante: un'altra occasione persa?,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: October/23/2017 - 12:23:26.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 23/10/2017 12.23
Titolo:Complimenti!

Perfettamente d'accordo con Martino Pirrone e, ovviamente, con Giovanni Sarubbi.

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Commenti Articolo 97

Titolo articolo : Medici business-man: il vero cancro della sanità italiana,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: October/21/2017 - 12:47:15.

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Autore Città Giorno Ora
Giuseppe Fanelli Manocalzati 21/10/2017 12.47
Titolo:CODARDI
Caro Giovanni,
capisco il tuo stato d'animo, perché più volte mi sono imbattuto in persone che segnalano abusi ( nel mio caso a danno degli animali o della natura) e concludono con la famosa frase "non fare il mio nome".
E' gente, codarda, ignava e vigliacca che a mio avviso non ha il diritto di lamentarsi perchè con i propri atteggiamenti danneggia l'intera comunità, che a dire il vero, neanche merita tanta considerazione.
Mi son sfogato.
Giuseppe Fanelli.

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Commenti Articolo 98

Titolo articolo : LIBANO – “FOLLOW THE WOMEN” 2017,di Stefania Salomone

Ultimo aggiornamento: October/21/2017 - 11:24:30.

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Autore Città Giorno Ora
mario pancera Milano 21/10/2017 11.24
Titolo:women
Bravissima e bravissime. Complimenti e auguri.
Cordialmente
.mario pancera

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Commenti Articolo 99

Titolo articolo : Viva le lettere ai giornali e viva i giornalisti che pubblicano i commenti,di Renato Pierri

Ultimo aggiornamento: October/03/2017 - 11:45:24.

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Autore Città Giorno Ora
domenico stimolo catania 03/10/2017 11.45
Titolo:commento all'articolo
Conosco Renato Pierri tramite le sue note pubblicate su questo sito.
Leggo sempre con vivo piacere.
Mi è capitato anche di leggerne alcune su giornali vari.
Bene, per tutti.
Cordiali saluti

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Commenti Articolo 100

Titolo articolo : Neuromarket,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: October/03/2017 - 11:39:06.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 03/10/2017 11.39
Titolo: Pubblicità macchina per l'omologazione

La pubblicità è uno strumento formidabile per l'omologazione - termine pasoliniano, ma sempre attualissimo - nelle mani del potere economico e non solo. Crtedo che un modo per reagire sia educare all'essenzialità che non significa affatto "povertà".

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Commenti Articolo 101

Titolo articolo : A proposito di ius soli. Lettera aperta,di Augusta De Piero

Ultimo aggiornamento: October/02/2017 - 10:48:12.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 02/10/2017 10.48
Titolo:D'accordo!
Gentile Signora, sono d'accordo, pur non condividendone l'ironia. Inoltre credo che occorra augurarc ritrovino più coerenza e coraggio nelle loro posizioni. Cordiali saluti.                              Bruno.

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Commenti Articolo 102

Titolo articolo : Per il momento a pagare è l’intera umanità,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: October/02/2017 - 10:15:33.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 02/10/2017 10.15
Titolo: Condivisione
Caro G cheiovanni, d'accordo su tutto, ma, se permetti, un'osservazione: gli "STATUNITENSI", che non ammiro, non corrispondono agli "americani", che, per gran parte, amo: Si tratta di una dipendenza culturale da loro, che non dispongono di un termine equivalente a statunitense. Cordiali saluti.                           Bruno.

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Commenti Articolo 103

Titolo articolo : Sensibilità chimica, sappiamo davvero tutto?,a cura di Claudio Fiori

Ultimo aggiornamento: September/17/2017 - 10:56:48.

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Autore Città Giorno Ora
claudio Fiori crespano del grappa 17/9/2017 10.56
Titolo:grazie
Vi ringrazio davvero di cuore per la condivisone che avete dato all'evento. E' molto importante perchè, purtroppo, di questa patologia si parla poco e a volte anche in maniera distorta. Grazie

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Commenti Articolo 104

Titolo articolo : Usciamo dal baratro,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: September/04/2017 - 11:37:59.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 03/9/2017 20.42
Titolo:Una società incattivita
Grazie Giovanni,

di questa analisi terribile, ma vera come sempre. I fenomeni di distruzione della Terra, nostra madre,  quelli dell'umanità in ogni senso, sono anche per me collegati. "In quel di Pistoia" come dici, abbiamo assistito domenica scorsa, ma gli squallidi strascichi continuano, a un episodio inaudito: una forza dichiaratamente nazista e fascista si è arrogata il diritto di vigilare sull'ortodossia di un sacerdote - don Biancalani, con il quale collaboro da tempo - suscitando la reazione generosa di molti cittadini, ma con una inadeguata presa di posizione delle autorità compreso lo stesso vescovo. Inoltre una TV locale TVL-Pistoia Libera, per bocca del suo direttore, dichiaratamente cattolico, dietro un'apparente solidarietà, ha preso le distanze dal sacerdote minacciato che non doveva dichiarare  suoi nemici, i fascisti e i razzisti: come se tutti dovessero essere abbracciati in una melassa disgustosa! Siamo davvero nel baratro!
Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 04/9/2017 11.37
Titolo:D'accordo!
Perfettamente d'accordo con i precedenti contributi, ma voglio accentuare la necessità di un più corretto coinvolgimento dei mezzi di comunicazione

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Commenti Articolo 105

Titolo articolo : RICORDATO  GIUSEPPE AGNELLO,di Sebastiano Saglimbeni

Ultimo aggiornamento: August/26/2017 - 10:40:17.

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Autore Città Giorno Ora
domenico stimolo catania 26/8/2017 10.40
Titolo:
Una pregiata nota di memoria democratica, grazie
domenico stimolo

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Commenti Articolo 106

Titolo articolo : Io preferirei di no,

Ultimo aggiornamento: August/21/2017 - 16:51:33.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 13/8/2017 11.48
Titolo:Il tempo dell'indifferenza
Condivido pienamente. Posso aggiungere solo le parole che una sopravvissuta di Auschwitz, Liana Millu, disse ai miei studenti:
Il disprezzo, l’indifferenza, la violenza sono i vostri nemici,
le forze malvage che possono rovinarvi la vita.
                                                        Mauro Matteucci

 
Autore Città Giorno Ora
Maria Grazia Palestra Como 13/8/2017 11.54
Titolo:
ESPRIMO MOLTA RICONOSCENZA - UNA RICONOSCENZA COMMOSSA - A CHI HA SCRITTO L' ARTICOLO CHE RISPONDE AI MIEI SENTIMENTI E PENSIERI.
SI', VI RINGRAZIO MOLTO PER AVER DATO VOCE ALLO STATO D' ANIMO CHE MOLTI DI NOI OSPITANO IN CUORE E CHE NON SEMPRE SI RIESCE AD ESPRIMERE IN MODO ESAURIENTE ED EFFICACE

MARIA GRAZIA PALESTRA

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Commenti Articolo 107

Titolo articolo : UMANIZZARE LA CHIESA,di José M. Castillo

Ultimo aggiornamento: August/11/2017 - 20:21:21.

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Autore Città Giorno Ora
Maria Grazia Palestra Como 11/8/2017 20.21
Titolo:
QUANTO LETTO MI ARRIVA COME UN PO' AMBIGUO, COMUNQUE NON CHIARO.

MI SEMBRA, INFATTI DI AVER CAPITO CHE IL FIGLIO DI DIO, PRENDENDO IL CORPO SI SIA ABBASSATO.

A ME NON SEMBRA COSI'.

PER ME, GESU' ASSUMENDO IL CORPO, HA VOLUTO ESALTARNE LA SACRALITA' E LA PREZIOSITA'.
HA VOLUTO DIRCI CHE LI', NEL CORPO, NELLA NOSTRA CONDIZIONE UMANA, RISIEDE LA DIVINIZZAZIONE.

GRAZIE PER L' ASCOLTO

MARIA GRAZIA PALESTRA

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Commenti Articolo 108

Titolo articolo : UN SENTIERO DI PACE NEL SUD CON IL PROGETTO UNESCO,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: August/01/2017 - 15:25:00.

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Autore Città Giorno Ora
Antonio D'Agostino Vibo Valentia 01/8/2017 15.25
Titolo:La tenacia di9 Raffaello
"Tenacia" è la parola chiave che mi sovviene a commento del lavoro infaticabile di Raffaello. Ma ce ne sarebbero molte altre che rimandano tutte alla forza propulsiva che egli mette e trasmette lavorando alla costruzione del grande edificio della Pace alle cui fondazioni aggiunge ogni giorno un solido elemento costruttivo. Grazie Raffaello!

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Commenti Articolo 109

Titolo articolo : Accoglie un senzatetto in chiesa, sacerdote multato dalla questura,a cura della Redazione

Ultimo aggiornamento: July/23/2017 - 19:40:03.

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Autore Città Giorno Ora
Maria Grazia Palestra Como 23/7/2017 19.40
Titolo:
FINALMENTE UN GESTO CHE DA TEMPO, VEDENDO TANTI MIGRANTI E NON SOLO DORMIRE IN STRADA, AUSPICAVO.....QUELLO DI APRIRE LE PORTE DELLA CHIESA AI SENZA TETTO......
SONO CERTA CHE L' AUTORE DEL GESTO E' BENEDETTO NON SOLO DALLA PERSONA IN DIFFICOLTA' OSPITATA, MA SOPRATTUTTO DAL SIGNORE CHE CONSIDERA PIU' IMPORTANTI I TEMPLI DEL SUO SPIRITO CHE I TEMPLI DI MATTONI......

MARIA GRAZIA PALESTRA

 

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Commenti Articolo 111

Titolo articolo : Migranti: Marcello Pera attacca Papa Francesco,a cura della Redazione

Ultimo aggiornamento: July/18/2017 - 17:52:25.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 18/7/2017 17.52
Titolo:
Per una persona colta e "aggiornata" teologicamente, la lettura di un intervento come quello di M.Pera, non solo è una sorpresa per la presunzione e l'arretratezza della sua posizione grondante di pregiudizi, ma è una vera pena... Come si osa scrivere una "schifezza" (scusate il termine) del genere? Cordiali saluti.                               Bruno.
Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 18/7/2017 17.52
Titolo:
Per una persona colta e "aggiornata" teologicamente, la lettura di un intervento come quello di M.Pera, non solo è una sorpresa per la presunzione e l'arretratezza della sua posizione grondante di pregiudizi, ma è una vera pena... Come si osa scrivere una "schifezza" (scusate il termine) del genere? Cordiali saluti.                               Bruno.

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Commenti Articolo 112

Titolo articolo : LETTERA DEL SANTO PADRE FRANCESCO ALLA DOTTORESSA ANGELA MERKEL, IN OCCASIONE DELL'APERTURA DEI LAVORI DEL VERTICE DEL G20,di Papa Francesco

Ultimo aggiornamento: July/10/2017 - 08:38:14.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 10/7/2017 08.38
Titolo:Magnifica lezione di etica e politica !
Magnifica lezione di etica e politica !

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Commenti Articolo 113

Titolo articolo : Progetto UNESCO - I Bambini Salveranno il MONDO,Il Comune di Monteleone di Puglia

Ultimo aggiornamento: June/26/2017 - 05:57:53.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 26/6/2017 05.57
Titolo:I bambini salveranno il mondo
Una giornata strordinaria per la pace e la fratellanza dei popoli il 29 maggio 2017 a Monteleone  di Puglia (FG). Giornata finale del progetto UNESCO di educazione alla pace. Un video da vedere e condividere.

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Commenti Articolo 114

Titolo articolo : IUS  SOLI ... giù la maschera, e a ciascuno il suo!,di Domenico Stimolo

Ultimo aggiornamento: June/21/2017 - 20:35:11.

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Autore Città Giorno Ora
paolo marangoni padova 21/6/2017 20.35
Titolo:una legge sacrosanta
Voi non avete idea di quanti ,anche nel movimento cattolico a cui appartengo, siano contrari a questoa legge; c'e' da farsi cadere le braccia , ma cosa hanno capito del vangelo, poi portano argomentazioni fasulle e devianti , c'e' da piangere , speriamo venga approvata-
Sentivo su rai tre che un ragazzo marocchino anni fa dopo sacrifici incredibili per aver perso il padre ,e' riuscito a diplomarsi, migliore tra un migliaio di ragazzi, all'istituto nautico di Bari ma non ha mai potuto imbarcarsi pervhe' a 22 anni , dopo 17 anni in italia e e 14 di studio non aveva la cittadinanza italiana!Queste alcune delle ingiustizie che questa legge andrebbe a sanare.

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Commenti Articolo 115

Titolo articolo : Incendio,di Sergio Grande

Ultimo aggiornamento: June/17/2017 - 17:16:30.

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Autore Città Giorno Ora
Maria Grazia Palestra Como 17/6/2017 17.16
Titolo:
PROBABILMENTE NON HO NESSUNA PREDISPOSIZIONE PER LA SATIRA.
INFATTI, TROVO CHE UN EVENTO COSI' TRAGICO E COSI' DOLOROSO COME L'  INCENDIO DI LONDRA IN CUI HANNO PERSO LA VITA TANTE PERSONE, MI SOLLECITA SOLTANTO AD UNIRE IL MIO PIANTO AL PIANTO DI COLORO CHE HANNO PERDUTO IN QUELLA CIRCOSTANZA, DEI FIGLI O DEI PARENTI 

MARIA GRAZIA PALESTRA

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Commenti Articolo 116

Titolo articolo : 18 giugno. Per la sinistra parlare di guerre è difficile, ma le armi italiane ed europee uccidono e distruggono,di Marco Palombo

Ultimo aggiornamento: June/14/2017 - 11:18:27.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 14/6/2017 11.18
Titolo:pace non guerra !


Una denuncia concisa, ma chiara e veritiera !



Un grazie al nostro testimone di pace che ha urlato al presidente Trump in visita a Roma: Pace, non guerra!

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Commenti Articolo 117

Titolo articolo : TOTO' RIINA DENTRO O FUORI DAL CARCERE ? TERTIUM DATUR,di Augusto Cavadi

Ultimo aggiornamento: June/10/2017 - 20:57:24.

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Autore Città Giorno Ora
Maria Grazia Palestra Como 10/6/2017 20.57
Titolo:
L' ARTICOLO DI AUGUSTO CAVADI MI HA FATTO VENIRE IN MENTE IL PROTAGONISTA DEL ROMANZO "MASTRO DON GESUALDO" DI VERGA CHE SUL LETTO DI MORTE, INVECE DI RIFLETTERE SUL MOMENTO SOLENNE CHE STA VIVENDO, MAGARI PER METTERE IN DISCUSSIONE LA SUA VITA E IL SUO SMODATO ATTACCAMENTO AI BENI, PENSA ALLA "ROBBA", AL FATTO CHE DOVRA' LASCIARE TUTTO E CHE QUALCUN ALTRO SE LO GODRA'.
QUESTO PER DIRE CHE SONO CERTA CHE TOTO REINA NON E' IN GRADO DI METTERE IN DISCUSSIONE LA SUA SCELLERATA VITA.
MA QUESTO IMPEDISCE A NOI DI AVERE PIETA' DI LUI?
CHI, INFATTI, MERITA PIU' PIETA' DI COLUI CHE, A CAUSA DI UN GRANDE SQUILIBRIO MENTALE - CAUSATO DAL CONGELAMENTO DEI SENTIMENTI -  NON E' IN GRADO DI PROVARLA PER GLI ALTRI?

MARIA GRAZIA PALESTRA 

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Commenti Articolo 118

Titolo articolo : A MONTELEONE DI PUGLIA FESTA DI FINE ANNO DI SCUOLE AFFILIATE ALL’UNESCO PER L’EDUCAZIONE ALLA PACE,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: May/29/2017 - 23:14:44.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 23/5/2017 20.35
Titolo:L'attualità della  Montessori e l'educazione alla pace
Bellissime le citazione finali di Maria Montessori, scelte da Raffaello per documentare lo spirito del progetto Unesco che si è realizzato a Monteleone di Puglia. E' un progetto di pace e di nonviolenza che credo non ha eguali in Italia.
Autore Città Giorno Ora
Antonio D'Agostino Vibo Valentia 29/5/2017 23.14
Titolo:Un'altra tappa importante in questo cammino di pace per la pace nel mondo.
Mi dispiace non essere potuto essere presente in questa giornata così importante. La validità di questo grandioso progetto che segna un'altra tappa importante del suo percorso, è dimostrata dall'attenzione che viene rivolta ad esso e verso il luogo dove tutto ciò è nato: una periferia del nostro Sud, che fa sentire alto il suo grido contro la guerra insieme al proprio canto per la pace. E chi meglio dei bambini potevano essere gli attori principali di questa giornata. Perché solo i bambini, come ci ricorda Raffaello,  potranno salvare questo mondo.

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Commenti Articolo 119

Titolo articolo : "Giornalisti impiegati" o "giornalisti giornalisti"?,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: May/29/2017 - 14:32:31.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 29/5/2017 14.32
Titolo:
Certo. insieme si puo'. Diventiamo comunita' e difendiamo l'informazione libera, libera da condizionamenti e da motivi di lucro. Usiamo facebook ma facciamolo con grande consapevolezza e senso critico. Ho letto con molto interesse l'editoriale. Lo trovo vero e reale. Quella che sostiene Sarubbi e' un' analisi profonda nata da una forte capacita' di osservazione e conoscenza dei guai che puo' procurare una informazione che non sia anche controinformazione.

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Commenti Articolo 120

Titolo articolo : Buona notizia quella di  Bassetti presidente della Conferenza Episcopale,di Noi Siamo Chiesa

Ultimo aggiornamento: May/25/2017 - 03:31:08.

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Autore Città Giorno Ora
Augusta De Piero Udine 25/5/2017 03.31
Titolo:condivisione
Condivido in particolare il terzo punto

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Commenti Articolo 121

Titolo articolo : Lettera a Papa Francesco: non incontri Trump!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: May/24/2017 - 22:56:10.

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Autore Città Giorno Ora
Maria Grazia Palestra Como 21/5/2017 17.37
Titolo:
PUR CONDIVIDENDO MOLTO SPESSO GLI SCRITTI DI GIOVANNI SARRUBBI, QUESTA VOLTA NON SONO D' ACCORDO CON QUANTO SCRIVE AL PAPA'.

RITENGO, INFATTI - ANCHE SE NON SONO COSI' INGENUA DA RITENERE CHE BASTI UN COLLOQUIO COL PAPA PER UN UOMO COSI' DISTURBATO PSICOLOGICAMENTE - L' INCONTRO COL PAPA UN INCONTRO DI TIPO EDUCATIVO.
UN INCONTRO ATTRAVERSO IL QUALE IL PAPA PUO' SEMINARE UN PO' DI LUCE IN UNA COSCIENZA IN CUI VIVE SOLTANTO IL BUIO.
TUTTI - E SOPRATTUTTO I DISTURBATRI MENTALMENTE - DEVONO ESSERE AIUTATI A METTERSI IN DISCUSSIONE.
A RIFLETTERE........SE NO, COME POSSONO CAMBIARE?

SE NESSUNO RICHIAMA INFATTI IL PRESIDENTE AI SUOI DOVERI, CHE COSA CI ASPETTISAMO?

COME FA A CAMBIARE?

A RAVVEDERSI?

A PRENDER COSCIENZA DELL' ERRORE E DELL' ORRORE IN CUI VIVE?

MARIA GRAZIA PALESTRA
  
Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 22/5/2017 10.34
Titolo:Minor consenso...

Caro Giovanni, questa volta più che con il tuo intervento, che pure è più che condivisile per le critiche ai mass-media, concordo con la Sig.ra Speranza (se ben ricordo!): un tentativo "misericordioso" va fatto...
 
Autore Città Giorno Ora
Renzo Coletti Genova 24/5/2017 22.56
Titolo:
Caro Giovanni,
condivido pienamente la tua opposizione all'incontro tra il Papa ed presidente Trump, perché trovo che sia una posizione coerente con la linea pacifista della redazione de "Il Dialogo". Non è una posizione facile, sarebbe stato più comodo dichiararsi favorevoli all'incontro, adeguandosi ipocritamente al pensiero dominante. L'ipocrisia dell'evento è stata confermata dal poco che è emerso su quanto è stato discusso dai due: Trump ha ribadito il proprio no all'aborto, senza vergognarsi minimamente di aver appena concluso un accordo con l'Arabia Saudita che prevede la fornitura di armi per centinaia di milioni di dollari. Evidentemente ci sono morti accettabili ed altre no.

Renzo Coletti

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Commenti Articolo 122

Titolo articolo : Bugie e cattiva coscienza. Un appello agli uomini e alle donne di pace del nostro paese!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: May/22/2017 - 10:10:15.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 22/5/2017 10.10
Titolo:Complimenti!

Caro Giovanni, benissimo per quanto scrivi con attento e autonomo senso critico: peccato che le tue riflessioni non abbiano alcuna ricezione nei mass-media e, conseguetemente, usufruiscano di un ridotto numero di lettori. Non sarebbe possibile modificare questa situazione?... Cordiali saluti e... auguri!                                                     Bruno.

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Commenti Articolo 123

Titolo articolo : Democrazia maltrattata,di Rosario Amico Roxas

Ultimo aggiornamento: May/17/2017 - 10:05:33.

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Autore Città Giorno Ora
domenico stimolo catania 17/5/2017 10.05
Titolo:
~~Difatti, primarie ridicole sul piano dei partecipanti. Mah!, ognuno “ a casa sua” fa quel che vuole, anche ad esporsi agli sberleffi più coloriti e sonori. La cosa più inquietante è rappresentata dal modo d’essere della gran parte dell’informazione……quella dei grandi numeri. Leggi , senti,  “ in questi e in quelli”, la questione numerica dei partecipanti  è quasi nascosta.
Rimbomba forte l’elezione del nuovo segretario con il roboante…… “ oltre l’ottanta”, poi, “tra le righe” emerge ( non sempre) che i votanti sono stati 7500 a livello nazionale, cioè, poco più il 50 per cento degli “aventi diritto”. Gli “aventi diritto” erano solo gli iscritti  ………con almeno un anno di anzianità.
Ma come è possibile, quale alchimia si nasconde tra i numeri…in carne ed ossa?
Un partito che i sondaggi danno al 13 per cento sul piano nazionale ( quindi, milioni di potenziali votanti), poi….alfine………ha solo 15000 iscritti…. di “aventi diritto”. Di questi la metà rimane “ a casa sua” in meditazione!....Dopo che il segretario nell’ultimo anno ha macinato decine e decine  ( forse centinaia) di ore di trasmissione televisive.
Queste valutazioni dovrebbe essere al centro degli organi di informazione. Invece….nulla.
La cosa più comica è rappresentata dal fatto che un partito di siffatta inconsistenza…nelle sue aree storiche, pretende di venire al Sud a raccogliere voti e consensi. A proposito sarebbe interessante sapere se in occasione di queste primarie hanno predisposto seggi nelle aree territoriali del centro-sud. Con quali risultati di votanti?
Però, anche consultando siti della Lega, nulla si sa…..SILENZIO assoluto.
 

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Commenti Articolo 124

Titolo articolo : Le false profezie di Fatima,di Renato Pierri

Ultimo aggiornamento: May/15/2017 - 13:33:49.

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Autore Città Giorno Ora
Maria Grazia Palestra Como 15/5/2017 13.33
Titolo: MARIA GRAZIA PALESTRA 
RINGRAZIO PER L' ARTICOLO CHE CONDIVIDO PERCHE' MI CHIARISCE TANTE COSE.
MI CHIEDO PERO' PERCHE' MANCHI UN COMMENTO ALLA RECENTE VISITA DEL PAPA A FATIMA, VISITA CHE A ME SEMBRA, TENUTO CONTO DEL NUOVO INDIRIZZO CHE IL PAPA STA DANDO ALLA CHIESA, FATTO SULLA SCIA DEI SUOI PREDECESSORI

MARIA GRAZIA PALESTRA

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Commenti Articolo 125

Titolo articolo : “LA RESISTENZA E’ UN LAVORO SACRO”,di Alex Zanotelli

Ultimo aggiornamento: May/07/2017 - 18:01:43.

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Autore Città Giorno Ora
Maria Grazia Palestra Como 07/5/2017 18.01
Titolo:
SE SI REALIZZASSE CIO' DI CUI CI INFORMA PADRE ZANOTELLI E CIOE' CHE I PERSEGUITATI DAL POTERE POTRANNO TROVARE RIFUGIO E PROTEZIONE PRESSO LE CHIESE E I LUOGHI DI CULTO, CHISSA', FORSE POTREI ANCORA ENTRARVI.....

GRAZIE PADRE!

MARIA GRAZIA PALESTRA

 

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Commenti Articolo 126

Titolo articolo : Napoli: A  QUANDO L'ALBERGO DEI POVERI?,di COMITATO ALBERGO DEI POVERI

Ultimo aggiornamento: May/07/2017 - 12:08:15.

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Autore Città Giorno Ora
Maria Grazia Palestra Como 07/5/2017 12.08
Titolo:
MI DISPIACE MOLTO CHE SI CHIAMI L' ALBERGO DESTINATO AD OSPITARE LE PERSONE IN DIFFICOLTA' "ALBERGO DEI POVERI", IL NOME MI FA TORNARE, INFATTI, IN MENTE UN' ADOLESCENTE SICILIANA CHE, A CAUSA DI GRAVI PROBLEMI FAMIGLIARI, FU INSERITA IN UN ISTITUTO CHIAMATO:"BOCCONE DEL POVERO".
MI DISPIACE ANCHE MOLTO CHE VENGANO CHIAMATI "ULTIMI" - CERTAMENTE COSI' NON POSSONO SENTIRSI CHE LORO STESSI - COLORO CHE LA NOSTRA SOCIETA' EMARGINA.

OCCORRONO, FORSE, NOMI CHE SOLLECITANO ALLA SPERANZA.
CHE INVITANO A SPRONARE, AD AIUTARE LE PERSONE CHE VIVONO MOMENTI GRAVI, DIFFICILI, CARICHI DI DEPRESSIONE, AD AVERE SPERANZA. FIDUCIA NELLE LORO POSSIBILITA'. A RITROVARE LE LORO RICCHEZZE INTERIORI.

MARIA GRAZIA PALESTRA


 

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Commenti Articolo 127

Titolo articolo : NESSUNA COLPA !,di Mario Setta

Ultimo aggiornamento: May/03/2017 - 20:35:23.

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Autore Città Giorno Ora
Maria Grazia Palestra Como 03/5/2017 20.35
Titolo:MI SEMBRA CHE IL RITENERE EVA LA CAUSA DEL PECCATO ORIGINALE EREDITATO DA TUTTO

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Commenti Articolo 128

Titolo articolo : Auguri senza ipocrisie,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: April/17/2017 - 12:46:39.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 15/4/2017 20.34
Titolo: Risurrezione dell'umano

Mentre viviamo una Pasqua offuscata da nubi minacciose di guerra, possiamo augurarci solo una risurrezione dell'umano in una società sempre più indifferente e disumana. Con amicizia
Mauro
Autore Città Giorno Ora
Maria Grazia Palestra Como 17/4/2017 12.46
Titolo:IL BACIO DEL CROCEFISSO
NON CE L' HO FATTA, MAMA, AD ANDARE A BACIARE IL CROCEFISSO.
NON CE L' HO FATTA NEANCHE SE IL GESTO MI RICORDAVA TE.
LA TUA DEVOZIONE SINCERA.
IL TUO FERVORE SPIRITUALE E RELIGIOSO.
NON CE L' HO FATTA, MAMMA, PERCHE' MI SAREI SENTITA IPOCRITA E FINTA.
PERCHE' AVREI RECITATO UN GESTO RECITATO DAI PIU'.
HO PREFERITO BACIARE DUE AFRICANI CHE SEMBRAVANO, COME MOLTI DEI LORO COMPAGNI, DUE CROCEFISSI.
DUE CROCEFISSI VERI.
FATTI DI CARNE ED OSSA.
INTRISI DI LACRIME DOLOROSE.
AH, SE AVESSI POTUTO SCHIODARLI DALLA CROCE!
SE AVESSI POTUTO RESTITUIR LORO LA DIGNITA' CHE GLI ABBIAMO RUBATO!
LORO, COMUNQUE, ACCETTANDO IL MIO BACIO, ED ESCLAMANDO, GUARDANDOMI:"PLEURE!", LA DIGNITA' HANNO RESTITUITA A ME.

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Commenti Articolo 129

Titolo articolo : Fermare la guerra degli emuli di Hitler e Mussolini,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: April/09/2017 - 20:55:06.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 09/4/2017 20.55
Titolo:L'apice di una parabola
Caro Giovanni,
                       la tua condanna dell'azione USA - ma i morti, anche di bambini contano quando le bombe sono dell'Occidente? - è sacrosanta e nasce da uno sdegno giustissimo sia per il servilismo del governo italiano - che continua a violare vergognosamente l'art.11 - sia per l'indifferenza generale di fronte a guerre che hanno centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi. Infatti quali risultati sono stati ottenuti in Afghanistan, in Iraq, in Libia e via massacrando? D'altra parte è ormai sempre più evidente che la guerra è uno strumento indispensabile per la grande finanza che ci guadagna immensamente  sia per le industrie di armamenti. Le azioni di pace devono essere allo stesso tempo ispirate alla nonviolenza e alla denuncia aperta di chi guadagna sulle stragi delle popolazioni. Non lo aveva detto don Lorrenzo Milani, che d'ora in poi le guerre sarebbero state soprattutto contro i civili? Di nuovo grazie. Facciamo di tutto per far sentire la nostra voce.
Mauro

 

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Commenti Articolo 130

Titolo articolo : Appello per la pace, mobilitiamoci il 12 aprile insieme a Pax Christi e Caritas,di Comitato promotore nazionale della giornata ecumenica del dialogo cristiano islamico

Ultimo aggiornamento: April/08/2017 - 12:12:32.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 08/4/2017 12.12
Titolo:
Il Centro Gandhi aderisce alla giornata di digiuno e preghiera per la pace in Siria, nel vicino Oriente  e in tutta la Terra Santa !
Le armi tacciano, i popoli si dissocino dai loro governi!

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Commenti Articolo 131

Titolo articolo : Becero conformismo,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: April/03/2017 - 10:16:16.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 03/4/2017 10.16
Titolo:Complimenti
Caro Giovanni, non è la prima volta che ti complimento per la tua coerenza, sincertà e coraggio. Ci fossero tanti come te, invece di "beceri" gregari! Cordiali saluti.
Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 03/4/2017 10.16
Titolo:Complimenti
Caro Giovanni, non è la prima volta che ti complimento per la tua coerenza, sincertà e coraggio. Ci fossero tanti come te, invece di "beceri" gregari! Cordiali saluti.

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Commenti Articolo 132

Titolo articolo : IO SONO LA RISURREZIONE E LA VITA,di p. Alberto Maggi OSM

Ultimo aggiornamento: March/30/2017 - 10:55:41.

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Autore Città Giorno Ora
isabelle charlier varese 30/3/2017 10.55
Titolo:Grazie mille!
Buongiorno Fra Alberto! 
vorrei domandarle un commento sui 3 versetti seguenti:
Giovanni 12: 9-11 : "Intanto la gran folla di Giudei venne a sapere che Gesù si trovava là, e accorse non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I sommi sacerdoti allora deliberarono di uccidere anche Lazzaro, perchè molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù."
Grazie mille e sinceri saluti
Autore Città Giorno Ora
isabelle charlier varese 30/3/2017 10.55
Titolo:Grazie mille!
Buongiorno Fra Alberto! 
vorrei domandarle un commento sui 3 versetti seguenti:
Giovanni 12: 9-11 : "Intanto la gran folla di Giudei venne a sapere che Gesù si trovava là, e accorse non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I sommi sacerdoti allora deliberarono di uccidere anche Lazzaro, perchè molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù."
Grazie mille e sinceri saluti

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Commenti Articolo 133

Titolo articolo : Errare è umano, perseverare è diabolico!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: March/14/2017 - 18:24:34.

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Autore Città Giorno Ora
Enrico Sciarini Segrate 14/3/2017 09.56
Titolo:Male e rimedio
E se il rimedio fosse peggiore del male? Atteggiamenti e parole di Salvini mi suscitano indignazione, rabbia e una reazione difficile da controllare. Temo che anche Lei nello scrivere il suo editoriale abbia provato i miei stessi sentimenti e la mia reazione. Che sia di Voltaire o no, io faccio parte di coloro che credono nel valore della frase da Lei citata. Non so i motivi che hanno indotto a concedere a Salvini uno spazio pubblico, so però che diverso è concederlo ad un esponente di Cosa Nostra. Sono daccordo con Lei  che certi partiti assomigliano a quelli del primo dopoguerra, però Le chiedo: è proprio sicuro che odio e violenza si sconfiggono con le proibizioni? Non sarebbe meglio il convincimento? 
Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 14/3/2017 18.24
Titolo:Osservazioni
Mentre condivido appieno quanto scritto da G.Sarubbi, mi sollevano molti e fondati dubbi gli appunti del suo critico, forse, troppo giovane e con palesi carenze culturali, ma non esente da presunzione, certo non apprezzabile da parte di uno... storico. Cordiali saluti.

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Commenti Articolo 134

Titolo articolo : UN PERCORSO DI PACE DAL SUD DA PALMI A MONTELEONE DI PUGLIA,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: March/08/2017 - 23:07:48.

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Autore Città Giorno Ora
Antonio D'Agostino Vibo Valentia 08/3/2017 23.07
Titolo:Condivisione e speranza
Condivido parola per parola il commento di Giovanni Sarubbi. Aggiungo solo la mia speranza che la prossima amministrazione del comune di Palmi faccia propria la proposta di Raffaello, di altissimo valore civico, culturale e politico. Sarebbe un primo, grande segno di cambiamento per la città. 
 

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Commenti Articolo 135

Titolo articolo : Uscire dal paganesimo,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: March/05/2017 - 21:43:09.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 05/3/2017 21.43
Titolo: Recuperare identità e memoria

Ciao Giovanni,
                        credo - come si evince anche dalla tua riflessione - che il problema più grave del nostro Paese sia stato quello di perdere la memoria e di conseguenza identità nel senso più profondo, di coerenza ai valori che avevano fondato la Repubblica attraverso la lotta di Resistenza. Questo fu sintetizzato magnificamente nella Costituzione:proprio  quella che qualche giovincello presuntuoso voleva stravolgere. Oggi siamo di fronte a un "modernismo cinico"- dove la corruttela trionfa - che dobbiamo combattere attraverso vera informazione e educazione delle coscienze.
 

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Commenti Articolo 136

Titolo articolo : Il segno dei tempi!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: February/21/2017 - 20:45:21.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 20/2/2017 10.46
Titolo:Condivisione
D'accordo in sostanza, meno che sull'appariscente pessimismo, che si oppone a ogni speranza! Comunque, continua con i tuoi puntuali interventi, di solito, del tutto condivisibili. Cordiali saluti.
Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 21/2/2017 20.45
Titolo:I migranti come scommessa di umanità
Non posso che condividere le riflessioni di Giovanni, che, continua a interrogare le nostre coscienze. Purtroppo gli emigranti che - se ce la fanno - approdano sulle nostre coste, dimostrano con il rifiuto che ricevono, quale deriva umana e culturale attraversa la nostra società.  I fascio-leghisti hanno troppo ascolto in un generale oscuramento della mente e degli animi!

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Commenti Articolo 137

Titolo articolo : PAPA FRANCESCO IL VANGELO E GANDHI,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: February/20/2017 - 17:43:31.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 27/12/2016 13.48
Titolo:Rompere il silenzio ...
Un "silenzio assordante" circonda nella Chiesa, sia tra le alte gerarchie che tra i semplici parrorci e fedeli, l'importante documento di papa Francesco sulla nonviolenza. A rompere il silenzio viene opportunamente questo prezioso saggio di Raffaello Saffioti, che avendone colto la portata storica, lo rilancia alla nostra attenzione e riflessione.  C'è molto da lavorare e da studiare: la riforma della Chiesa andrà di pari passo con la crescita nella società mondiale della cultura della nonviolenza. Riusciranno le chiese cristiane a diventare quella Internazionale della nonviolenza che salverà l'umanità dal flagello della guerra ?
 
Autore Città Giorno Ora
Antonio D'Agostino Vibo Valentia 28/12/2016 21.45
Titolo:Le porte strette della riforma
Rigorosa e preziosa l’analisi di Raffaello Saffioti nella riproposizione di un tema cruciale nella storia dei popoli, che continua a rimanere irrisolto e che chiama in causa, ancora e sempre, la responsabilità di chi governa ma anche di ognuno di noi. I testi fondamentali che sottopone al nostro approfondimento, portano tutti ad una sola conclusione: non è più il tempo e non c’è più spazio per le omissioni, le contraddizioni, le ambiguità... Il Vangelo reclama radicalità anche e soprattutto sulla scelta della nonviolenza! E qui  facciamo nostra la domanda finale: “Fino a che punto si potrà spingere Papa Francesco per la riforma della Chiesa in senso evengelico?”Antonio D’Agostino
Autore Città Giorno Ora
Mariella Ratti La Spezia 29/12/2016 10.29
Titolo:
Splendido lavoro, grazie Raffaello! Ci invita a riflettere non solo sul futuro della Chiesa, ma anche  sul futuro dell'umanità per salvarsi. Il percorso è la nonviolenza. La vera rivoluzione è il passaggio dalla cultura dell'oppressione e delle guerre alla cultura della nonviolenza. La storia ce lo insegna, il Papa lo ha ribadito. Resta la domanda finale e la consapevolezza che il percorso è arduo, ma resta l'unico.
Autore Città Giorno Ora
Raffaello Saffioti Palmi 26/1/2017 18.54
Titolo:
Ricevo dall'amico p. Felice Scalia s.j. il seguente messaggio che con la sua autorizzazione rendo pubblico. Raffaello Saffioti




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Raffaello carissimo,
                                    devo prima di tutto chiedere scusa del mio lungo silenzio. Sono stati mesi per me molto difficili, costellati da viaggi di cui avrei fatto volentieri a meno. Questo trambusto (che però non mi esonerava dagli impegni quotidiani ...) mi ha impedito di leggere il Suo lungo articolo sulla nonviolenza di papa Francesco. Articolo prezioso perché permette di conoscere retroscena di un messaggio per la pace che ha fatto scalpore. Tante cose mi erano sfuggite e quindi... Grazie! 
La nonviolenza ed il ripudio della guerra anche giusta (se mai ci fosse) non fanno parte delle cultura cristiana almeno dal 313 quando "per miracolo" le guerre imperiali divennero guerre cristiane e non esistettero più martiri obiettori di coscienza al "sacramentum" imposto da Roma, ma vigliacchi paurosi che non volevano rischiare la pellaccia. E' una triste storia che ha impedito che il cristianesimo tracciasse una "storia altra", alternativa. Insomma c'è un pacchetto di atteggiamenti che distorcono la prassi cristiana ed offuscano il vangelo, ma portano potere e splendore ai vertici, ininterrottamente fin da Costantino. L'Occidente così solo di parata si cristianzza, non si costruisce sul Vangelo, ma sul suo svuotamento. Sulla separazione netta tra una fede da vivere in chiesa ed una vita da vivere coi parametri del mondo sui campi di battaglia, di sterminio o nelle Borse.
Papa Francesco - lo dice bene Lei - deve essere cauto, perché già ora è accusato di avere rotto con la tradizione. Non lo chiamano "protestante", "comunista", "poveraccista", illegittimo? Messori e Socci sarebbero divertenti se non avessero dietro le spalle chi ha interesse a mondanizzare il Vangelo. E non parlo solo di laici.
Grazie per il Suo lavoro, grazie per il Suo affetto, Professore carissimo.
Fraterni e cordiali saluti nella speranza.
Felice  

 
Autore Città Giorno Ora
elio cassano bari 20/2/2017 17.43
Titolo:Mai perdere la speranza, luce sempre accesa
Era davvero ora. Spero con tutto il cuore che da queste scintille divampi fiamma viva. In qualche modo si dovrebbe parlare un po' meno di Gesù e mettere al centro l'uomo, il suo senso di responsabilità. Far emergere insomma il Divino nell'uomo, quel divino che è immesso con il Soffio di vita in noi. Forse si è messo troppo l'indice sull'uomo peccatore " in pensieri, parole, opere e (persino) omissioni" e "per mia colpa mia colpa, mia grandissima colpa". Da questa premessa credo che non si riuscirà mai a fa emergere il Divino che è in me, e figuriamoci quanto di divino nel fratello. Siamo spinti forse a chiuderci, a nasconderci e temere il fratello. Come se non fossimo fatti, in tutto e pe tutto, a immagine e somiglianza di Dio. Come se Dio non ci lasciasse davvero liberi di fare qualsiasi cosa, anche malvagia. Penso che dovremmo partire da questa consapevolezza per capire e accettare la grande resposabilità affidataci. "...dominare la terra", noi, non chiedere solo a DIo di intervenire, a volte, scusate, quasi ci rivolgessimo a mago Merlino.

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Titolo articolo : “La credibilità perpetua”,di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: February/19/2017 - 17:42:41.

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Mauro Matteucci Pistoia 19/2/2017 17.42
Titolo: La colonizzazione della mente

Condivido ancora una volta l'analisi controcorrente e coraggiosa di Mariotti. Aggiungo soltanto che siamo stati colonizzati nella mente e nell'animo dal pensiero unico che il dominio e la ricchezza sono gli unici valori, io li definisco piuttosto "disvalori". Chi meglio degli USA li rappresenta? Non possiamo certo meravigliarci se oggi hanno come presidente Trump, il simbolo più lampante!

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Titolo articolo : Rwanda : per vivere bene, siamo tolleranti,di Yolande MUKAGASANA

Ultimo aggiornamento: February/13/2017 - 21:17:04.

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Mauro Matteucci Pistoia 13/2/2017 21.17
Titolo: Il rispetto della fede dell'altro come valore umano
La lettera ci è stata inviata da Yolande in seguito ai violenti attacchi rivolti a don Massimo Biancalani - parroco di Vicofaro e di Ramini-Bonelle, due parrocchie pistoiesi - in seguito alla sua proposta di costruire una moschea a Pistoia perché gli islamici possano con dignità praticare la loro fede, dato che attualmente sono costretti a pregare in uno squallido stanzone della periferia industriale. Don Biancalani accoglie nelle canoniche delle due chiese circa 25 rifugiati per la maggioranza islamici.
Mauro Matteucci

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Titolo articolo : "Poche idee, ma confuse...",di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: February/13/2017 - 09:49:36.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 11/2/2017 23.03
Titolo: La responsabilità

Basta con la trinità capitalismo, mercato, competizione. Bisogna richiamarsi alla responsabilità personale e leggere criticamente i fatti - come insegnava don Lorenzo Milani -   senza omologarsi al pensiero unico. Sono completamente d'accordo con Mariotti della sua analisi lucida e controcorrente.
Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 13/2/2017 09.49
Titolo:Ribadisco
Ovviamente d'accordo con Mariotti non solo per l'età (io = 89!),e con Matteucci. Al primo tuttavia farei osservare che gli "statunitens" sono, sì, "americani", ma non "gli" americani, che sono ben di più e anche diversi: si tratta di una dipendenza culturale da loro, che non dispongono del termine statunitensi. Scusate e cordiali saluti.

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Commenti Articolo 141

Titolo articolo : UN PATTO SCELLERATO,di Alex Zanotelli

Ultimo aggiornamento: February/05/2017 - 22:18:36.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 05/2/2017 22.18
Titolo: Una grave regressione civile e culturale

Preoccupa ogni giorno di più la gravissima regressione civile e culturale, ma anche umana che ha pervaso la società. Si diffonde ogni giorno l'indifferenza, se non il rancore, verso il più debole, mentre i potenti dominano e fanno affari sul sangue. La politica "gestisce" gli interessi dei pochi, non progetta per il bene comune!

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Commenti Articolo 142

Titolo articolo : Io vulesse truva’ pace,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: February/05/2017 - 19:47:51.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 05/2/2017 19.47
Titolo:Basta con l'odio verso l'inferiore!

Caro Giovanni,
                    stamani ho avuto una vivace discussione - proprio durante la messa - con un tizio che ce l'aveva con i rifugiati e con gli islamici mettendo avanti l'impoverimento degli italiani. Gli ho risposto per le rime con una coincidenza ideale, non certo casuale, con le tue pungenti, ma vere parole. Grazie Giovanni

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Commenti Articolo 143

Titolo articolo : Appello ai credenti, ai laici e alle persone di buona volontà,di Comitato Promotorie Nazionale della Giornata del dialogo cristiano-islamico

Ultimo aggiornamento: February/04/2017 - 19:51:37.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 04/2/2017 19.51
Titolo:Condivido e aderisco

Grazie a tutta la redazione de "Il dialogo"
ce n'era davvero bisogno di fronte a una marea di razzismo e di islamofobia che sta montando! A Pistoia, don Massimo Biancalani - che accoglie nelle sue due chiese 25 rifugiati - è oggetto di violenti e beceri attacchi, perché ha sostenuto che è favorevole alla costruzione di una moschea nella nostra città! Vorrei sottolineare che attualmente gli islamici sono costretti a pregare in uno squallido capannone della periferia pistoiese. Aderisco anche a nome del Centro di documentazione e di progetto "don Lorenzo Milani" di Pistoia
Mauro Matteucci

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Commenti Articolo 144

Titolo articolo : Altro che memoria, qui domina la smemoratezza.,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: January/28/2017 - 20:42:25.

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Mauro Matteucci Pistoia 28/1/2017 20.42
Titolo:Razzismo ieri e oggi

Alla tua giustissima analisi e razzismdi ogni tempo, vorrei aggiungere che il Parlamento Italiano nel '38 votò all'unanimità le vergognose leggi razziali,  la votazione  seguita da applausi e dal becero Eia, Eia alalà!
 In queste ore il neo-presidente americano prende ingiuriosi provvedimenti contro i cittadini di 7 Paesi islamici, cui è vietato di entrare negli USA: la Storia si ripete, non so se in commedia o in tragedia.

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Commenti Articolo 145

Titolo articolo : L'era Trump è cominciata, la guerra continua,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: January/23/2017 - 10:28:14.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 23/1/2017 10.28
Titolo:E poi?!?...
Complimenti, caro Giovanni, per la tua lodevole analisi, ma, ora, che si può fare? La gente, per lo più, è disinformata o falsamente informata, senza la capacità di potersi difendere, né sente il bisogno di farlo... Occorrerebbe disporre di un potere, che è solo in mano ad altri... Tuttavia non arrendiamoci e continuiamo a sperare: "la speranza è l'ultima a morire"!

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Commenti Articolo 146

Titolo articolo : Ci vuole più responsabilità,di Francesco Lena

Ultimo aggiornamento: January/17/2017 - 20:48:11.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 17/1/2017 20.48
Titolo:La responsabilità un valore per gli altri

Condivido pienamente la riflessione di Lena sull'importanza del principio e del valore della responsabilità per una ripresa del nostro Paese. Credo proprio che la scomparsa della responsabilità abbia prodotto danni gravissimi. Innanzi tutto la classe politica si è dimostrata irresponsabile, come ha dimostrato ampiamente la sciagurata "riforma costituzionale" bocciata dal 60% degli Italiani. Bisogna ripartire da una forte assunzione di responsabilità perché i cittadini tornino a sentirsi partecipi della cosa pubblica. Come dice va don Lorenzo Milani: "sentirsi ognuno responsabile di tutto".

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Commenti Articolo 147

Titolo articolo : Appello al presidente Obama negli ultimi giorni del suo mandato: conceda la grazia a Leonard Peltier prima di lasciare la Casa Bianca.,Primi firmatari: Alex Zanotelli e Gad Lerner

Ultimo aggiornamento: January/16/2017 - 15:19:12.

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Giacomina Monti San Piero in Bagno (FC) 16/1/2017 15.19
Titolo:Avrei firmato l'articolo per la liberazione del condannato a morte
Carissimi, avrei firmato volentieri l'articolo del condannato alla pena di morte negli Stati Uniti, per la difesa dei nativi, condanna ingiusta, e spero che Obama davvero gli offra la grazia prima di lasciare la Casa Bianca! Non sono riuscita a firmare, per inconvenienti del Computer. Grazie per la vostra difesa della pace in tutti gli aspetti, compresa la vendita di armi.

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Commenti Articolo 148

Titolo articolo : POPOLO E COSTITUZIONE DOPO IL REFERENDUM,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: January/14/2017 - 14:24:09.

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Mauro Matteucci Pistoia 11/1/2017 22.00
Titolo: Ma il 4 dicembre 2017 c'èstato un referendum costituzionale?

Carissimo Raffaello, come è tua consuetudine, richiami ai grandi maestri senza fare distinzioni - bastano le citazioni di Aldo Capitini e di papa Francesco - indicando valori alti in un momento di grave caduta etica. Certamente il voto del 4 dicembre ha significato presa di consapevolezza critica da parte di tanti cittadini. Ma ancora una volta la politica - o meglio, la cosiddetta tale - fa finta di niente ignorando e calpestando il voto di milioni di elettori che hanno difeso i pilastri della Costituzione che si volevano abbattere. Purtroppo oggi il no della Consulta al referendum sull'art.18 dà un altro colpo alla volontà di partecipazione esplosa meravigliosamente il 4 dicembre. I diritti negati, lo schiavismo imperante sui posti di lavoro, i salari da fame e via sfruttando, gridano al cielo. Per questo non dobbiamo cedere a tanta arroganza e indifferenza. Con amicizia, Mauro

 
Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 12/1/2017 10.28
Titolo:Un programma per il movimento per la pace e l'omnicrazia.
Un lucido vademecum per la nostra azione politica dei prossimi mesi. Tutto il movimento per la pace e la nonviolenza ne prenda nota !
Autore Città Giorno Ora
Antonio D'Agostino Vibo Valentia 12/1/2017 22.40
Titolo:Da una delle tante periferie italiane in lotta.
Un unico filo risso lega il pensiero e l'azione di questi grandi pensatori di ieri e di oggi. Raffaello Saffioti ce li ripropone con la solita sapiente e accurata selezione. E con l'empatia comunicativa di chi ne ha dato testimonianza nel suo percorso di  vita. In essi c'è la forza motrice per l'avvio di una rivoluzione dal basso e nonviolenta per battere l'imperante pensiero unico, opprimente e liberticida.
Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 14/1/2017 14.24
Titolo:leggendo....Raffaello
Credo che sia uno dei lavori più belli e interessantiche abbia fin qui scritto Raffaello. Il rapporto  tra le istituzioni e i cittadini,è ormai a rischio,vista  la  classe dirigente sempre più protesa verso la difesa delle banche, delle grandi aziende, della guerra. La Democrazia è in crisi...la partecipazione pure . La vittoria del NO non è bastata , deve continuare percè non è cambiato niente. ci troviamo difronte a un governo Reni bis.

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Commenti Articolo 149

Titolo articolo : Al diavolo le banche, salviamo i cittadini,di Francuccio Gesualdi

Ultimo aggiornamento: January/10/2017 - 19:43:06.

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Massimo Vicentini Pieve Ligure 09/1/2017 12.54
Titolo:Al diavolo le banche... ma perchè non in tribunale?

D'accordo con tutto quello esposto nell'articolo. Solo vorrei fare presente qualche elemento in più, che sembra passare troppo inosservato. Alla fine del 2012 il Codice Uniforme di Commercio (UCC) ha dichiarato "in default" tutte le banche del mondo. Le premesse sono lunghe, ma stringendo: in maggiore o minore misura, creano denaro assolutamente dal nulla. Esempio spiccio: io chiedo (...perchè ancora lo ignoravo!) un mutuo casa per 100 denari. La banca quei soldi NON LI HA, ma genera un credito elettronico di 100 denari. E io, ignaro, li spendo. Ma lei ha una "riserva frazionaria" (per dirla in eleganza) di soli 4-5 denari, e FA FINTA di avermene dati 100. Quando glie ne rendo 105, non ne ha guadagnati 5, ma 100. Se lo faccio io, è emissione a vuoto, e finisco in tribunale. Ma quella no! Domanda: in uno Stato di diritto, perchè invocare il diavolo, e non un tribunale?
Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 10/1/2017 19.43
Titolo: Le responsabilità della Banca d'Italia e dei governi nel crack banc
Grazie Francuccio, per tua analisi, come al solito, penetrante e controcorrente anche su questa vicenda vergognosa, in cui le responsabilità non sono soltanto delle banche fraudolente. Dov'erano la Banca d'Italia e i vari governi (ultimo il governicchio Renzi cancellato ma non del tutto, dal boato del 60% di NO alla sua deforma costituzionale), mentre le banche depredavano i risparmiatori vendendo azioni-spazzatura. E' stata l'ennesima conferma, se ce n'era bisogno, di un sistema fondato sul denaro e sulla rapina. Mauro Matteucci

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Titolo articolo : "Il problema dei problemi".,di  Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: January/08/2017 - 21:04:16.

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Mauro Matteucci Pistoia 08/1/2017 21.04
Titolo:L'umanità nella povertà

Condivido la riflessione di Mariotti, che trovo estremamente illuminante e pungente al pari di alcune pagine di un grande profetta e educatore  - che viene ricordato - da me amatissimo (che ebbi la fortuna di incontrare anche se per poche ore) don Lorenzo Milani:"Saprà il Cristo rimediare alla nostra inettitudine. E' lui che ha posto nel cuore dei poveri la sete della giustizia..."

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Commenti Articolo 151

Titolo articolo : Meditazione Natale,di Aldo Antonelli

Ultimo aggiornamento: December/18/2016 - 12:59:08.

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mario pancera Milano 18/12/2016 12.59
Titolo:
Mi spiace che sia malato. Auguri.

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Commenti Articolo 152

Titolo articolo : Il NO ha vinto, ma la battaglia continua!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: December/15/2016 - 09:20:58.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 15/12/2016 09.20
Titolo:
Vorrei anch'io fare alcune osservazioni al tuo editoriale Il No ha vinto, ma la battaglia continua, come al solito "Un fiore pungente" (l'espressione, come sai, è del grande Giuseppe Dossetti che lo riferisce alla Costituzione). Devo innanzi tutto rivolgere i complimenti a chi ha lavorato - con risultati straordinari anche nella nostra città, sicuramente superiori alle forze - per la difesa vittoriosa dei valori della nostra Costituzione. Molti di coloro che si sono battuti per la difesa della Costituzione, vengono da storie diverse: ci hanno unito  i grandi ideali della Costituzione, che un governo di Pinocchi, di irresponsabili, di servi della grande finanza voleva stravolgere e cancellare. Come dimostra la formazione del nuovo governo in totale disprezzo dell'esito referendario, si vuole continuare a calpestare la volontà del popolo italiano, come già si è fatto a proposito del referendum sull'acqua pubblica. Perciò richiamandoci proprio a valori forti come l'uguaglianza, la rappresentanza popolare, la solidarietà, dobbiamo continuare a contrapporre, lavorando nel concreto e nel sociale - da qui è venuto un NO assordante , soprattutto dei giovani disoccupati, precarizzati e schiavizzati, ai servi del neoliberismo - e condividendo le esperienze che conduciamo spesso nel silenzio e con mezzi modesti, ma nella coerenza e nella costanza dell'impegno.  Il futuro prossimo ci chiamerà senz'altro a nuovi impegni, cui dobbiamo far fronte con la stessa tenacia e rigore impiegati nella lotta alla deforma costituzionale. Con amicizia
Mauro Matteucci

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Commenti Articolo 153

Titolo articolo :   La nonviolenza: stile di una politica per la pace,di Papa Francesco

Ultimo aggiornamento: December/13/2016 - 03:56:10.

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CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 13/12/2016 03.56
Titolo:Una grande rivoluzione nonviolenta per la Chiesa e per il mondo
Il messaggio di papa Francesco per la giornta mondiale della pace 2017 è una grande rivoluzione nonviolenta per la Chiesa e per il mondo.
Delinea il puro ritorno alla nonviolenza evengelica,  svuotando e mettendo fuori gioco le passate visioni concordatarie coi potentati di questo mondo che giustificavano le guerre. Ora si può chiedere a gran voce di eliminare lo scandalo dei cappellani militari. 
 

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Commenti Articolo 154

Titolo articolo : Tutto il resto è tradimento,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: December/12/2016 - 21:34:38.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 12/12/2016 21.34
Titolo:
Caro Giovanni,
                   non posso ancora una volta che esprimere la più totale adesione al tuo puntuale e illuminante articolo. Vorrei aggiungere per i nostri delusi renziani solo il pensiero di un mio - e anche dell'ex-premier, che però si è ben guardato dal leggerlo - conterraneo toscano, Niccolò Machiavelli: i popoli, benché siano ignoranti, sono capaci della verità, e facilmente cedono, quando da uomo degno di fede è detto loro il vero. Certamente non era questo,  il caso del politico di Rignano!
Mauro Matteucci
 

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Commenti Articolo 155

Titolo articolo : Non è solo per congedarmi,di Nino Lisi

Ultimo aggiornamento: December/12/2016 - 09:59:37.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 12/12/2016 09.59
Titolo:Perché?
Caro Nino, perché vuoi tirare i remi in barca, quando hai ancora tante possibilità di intervento? Se io (che ho due anni più di te) l'ho praticamente fatto, è perché sono, di fatto, escluso da ogni incontro, dove, dibattendo, maturano idee e progetti. Purtroppo, io dipendo dagli altri... Un abbraccio e... non arrenderti!                                  Bruno.

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Commenti Articolo 156

Titolo articolo : DIFENDERSI DAL VIRUS DEL DOMINIO,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: November/30/2016 - 10:55:09.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 28/11/2016 01.39
Titolo:Riusciremo a ricostruire le basi della democrazia italiana ?
Quello che ci viene offerto dall'amico Raffaello Saffioti  come riflessione conclusiva della campagna referendaria è un documento programmatico su cui edificare le basi di una nuova convivenza civile. In queste settimane giganteschi carrarmati e bombardieri mediatici hanno bersagliato la nostra società e le nostre coscienze, provocando morte e distruzioni,  metaforicamente non dissimili da quelle di Aleppo e non meno laceranti del tessuto democratico.
L'eventuale  vittoria del Sì al Referendum sarebbe la pietra tombale sulle nostre speranze di promuovere un potere nonviolento dal basso ispirato alla omnicrazia.
 
Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 30/11/2016 10.55
Titolo:
Caro Raffaello,
                    ancora una volta ho notato una grande sintonia nell'analizzare la campagna referendaria, che i fautori del NO hanno impostato in modo arrogante (e bugiardo) sul trasmettere. Grazie di avermi citato ma soprattutto per la stupenda idea del Vademecum con i pensieri - che vanno ben oltre il referendum - di Danilo Dolci, un grandissimo maestro, che io ho accostato sempre a don Milani. Buona notte e speriamo che domenica prossima gli Italiani siano cittadini sovrani e responsabili. Con amicizia
Mauro

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Titolo articolo : Morte di Fidel Castro: l'umanità trionferà sulla disumanità,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: November/29/2016 - 12:22:21.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 29/11/2016 12.22
Titolo:Condivisione
Pienamente d'accordo, caro Giovanni: io sono vecchio e, tra l'altro, mi sono occupato delle "rivoluzioni" nella storia e mi fanno pena (per non dire altro) coloro che parlano solo in base a pregiudizi! Cordiali saluti.

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Titolo articolo : Don Milani a Niamey. Una lettera mai scritta,di mauro armanino

Ultimo aggiornamento: November/28/2016 - 21:07:16.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 28/11/2016 21.07
Titolo:Universalità del messaggio di don Milani
Grazie, padre Armanino. Credo che il messaggio di don Lorenzo sia insopprimibile, nonostante la Chiesa l'abbia a lungo ignorato e rimosso. Per non parlare della scuola che è andata in tutt'altra direzione, non formando dei cittadini sovrani, ma dei sudditi al consumismo e ai media e naturalmente al potere. E' bellissimo che arrivi in tutte le parti del mondo. Lo sto sperimentando da tempo nel fare scuola agli immigrati: quando parlo di don Lorenzo, capiscono subito che il suo messaggio si rivolgeva anche a loro.
Mauro Matteucci

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Commenti Articolo 159

Titolo articolo : Referendum: chiudete le TV e leggete il testo della riforma,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: November/28/2016 - 18:57:04.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 28/11/2016 18.57
Titolo:
Ciao Giovanni,
                  condivido parola per parola la nobilissima risposta che hai dato alle due lettere. In particolare vorrei ribadire, come cristiano anch'io impegnato nel sociale, che mi sento idealmente vicino a Dossetti e a La Pira (nobilissimi padri costituenti) e del tutto estraneo ai percorsi di Renzi, Boschi e degli altri del PD, che hanno proposto questa "riforma costituzionale". Il rispetto per posizioni diverse va da sé, ma credo che l'arroganza del potere - che si è dimostrata ad abundantiam nel monopolio dei media da parte del premier e del governo - vada sempre contrastata con fermezza. Una nota: non mi sembra che l'ANPI sia equamente divisa tra il SI' e il NO, se il documento di adesione al NO da parte del Congresso Nazionale è stato votato quasi all'unanimità! Per quanto ne so qualcosa di simile è avvenuto anche nella CGIL. Aldilà della propaganda e di facili buonismi, come cristiani bisogna dire la verità. Non diceva forse Gesù: "Il vostro linguaggio sia Sì, Sì, No, No"?
Mauro Matteucci

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Titolo articolo : Non ci sono alternative,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: November/21/2016 - 16:24:39.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 21/11/2016 16.24
Titolo:
Caro Giovanni,
                     certamente la riflessione che fai nel tuo editoriale a proposito del comportamento dei cristiani nelle ultime elezioni per la presidenza USA, è del tutto coerente con il momento attraversato dal cristianesimo nella società attuale. Senz'altro conoscerai l'episodio del parroco del centro del Polesine, che aveva messo fuori della chiesa un cartello per respingere i musulmani: se un cosiddetto "ministro di Dio" si comporta così, cosa c'è da meravigliarsi? Oggi assistiamo a un mix malefico di devozionismo e integralismo, che anche se portano nomi che si rifanno a Cristo, niente hanno a che fare con il suo messaggio incentrato sull'amore e sull'attenzione per l'altro. Il bellissimo episodio evangelico dell'emorroissa ci interroga tutti: "Chi mi ha toccato?", ma l'indifferenza domina sovrana nel cuore di tanti che pure frequentano le chiese. Così è più facile - anzi normale - obbedire, anche per i cristiani  ai richiami all'odio del miliardario Trump (personalmente non mi piaceva neppure la Clinton del tutto subalterna all'establishement) che esorta a vedere nell'altro - magari poverissimo anche lui - la causa dell'impoverimento! Cristo ha detto che i cristiani devono essere "il sale della terra", oggi sono purtroppo pasta rancida o avvelenata! La guerra torna a essere uno strumento "normale" nei rapporti tra persone e Stati, quando non abbiamo - e tu lo dici con forza altra alternativa che la pace. Credo che dobbiamo riscoprire il valore e la forza dell'obiezione a tutto ciò che è malefico per l'umanità. Forse ci possono fare da guida ancora una volta le parole di don Lorenzo Milani: Preghiamo per quegli infelici che, avvelenati dall'odio, si son sacrificati per il loro malinteso ideale di Patria calpestando senza avvedersene ogni altro nobile ideale umano. Un abbraccio
Mauro Matteucci

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Commenti Articolo 161

Titolo articolo : NON TACERE SUL TEMA “GUERRA E PACE” NELLA FASE FINALE DELLA CAMPAGNA REFERENDARIA,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: November/17/2016 - 13:14:14.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 17/11/2016 13.14
Titolo:Straordinario  contributo per trovare le vere ragioni per il  voto ref
E' in atto un vero e proprio tentativo di golpe mediatico,  messo in atto dal governo a sostegno del Sì nel referendum.
Il saggio di Raffaello Saffioti, novello Davide contro Golia, cerca di contrappore a tanta subdola arroganza le più autentiche  ragioni del voto per il NO!
 

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Commenti Articolo 162

Titolo articolo : IL 4 NOVEMBRE 2016 A PALMI E’ AVVENUTO UN MIRACOLO?,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: November/07/2016 - 17:17:14.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 07/11/2016 17.17
Titolo:Un nuovo fervore 
Raffaello Saffioti, tra i più frequenti e letti editorialisti di questo giornale, ha trovato grazie al "Dialogo" un nuovo fervore intellettuale, una nuova fresca giovinezza, uguale o forse superiore a quella della sua collaborazione con Danilo Dolci in Calabria. In questi ultimi due anni il suo  è un susseguirsi di intuizioni di alto significato simbolico: dalla marcia per la pace di San Giovanni in Fiore sulle orme dell'abate Gioacchino, al battesimo a Monteleone di Puglia il 6 dicembre 2015 del Centro internazionale per la nonviolenza Mahatma Gandhi,  infine l'incontro di preghiera ecumenico di Palmi del 4 novembre 2016  per proclamare insieme a Papa Francesco: La Guerra è follia!  
Il valore di un'iniziativa non è dato dall'accendersi dei riflettori televisivi, ma dalla forza silenziosa e perseverante di testimoniare  la Verità !

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Commenti Articolo 163

Titolo articolo : Chiariti i contenuti veri della legge Boschi-Renzi che distrugge la Costituzione,a cura della Redazione

Ultimo aggiornamento: November/06/2016 - 16:42:12.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 06/11/2016 16.42
Titolo:
Conoscere per deliberare e difendere la sovranità popolare. Ottimo il relatore! Ottimo il moderatore! Coraggiosi gli amministratori del Comune di Monteleone di Puglia !

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Commenti Articolo 164

Titolo articolo : Le statistiche della Chiesa cattolica 2016,di Agenzia FIDES del 21/10/2016

Ultimo aggiornamento: October/24/2016 - 23:16:51.

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Autore Città Giorno Ora
Primella Cattivelli Milano 24/10/2016 23.16
Titolo:Dati parziali
Mi sembra che i dati statistici siano mancanti dei dati sugli abbandoni dell'abito talare, dei dati sui preti sposati con regolare dispensa e su quelli relativi alla pedofilia nel clero. Sara' un caso?

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Commenti Articolo 165

Titolo articolo : DIECI COLTELLATE. MINIMA UNA GUIDA AL REFERENDUM,di Peppe Sini

Ultimo aggiornamento: October/24/2016 - 09:24:18.

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Autore Città Giorno Ora
maria speranza perna napoli 24/10/2016 09.24
Titolo:Non vinceranno
Forse sono troppo ottimista, il mio nome di battesimo (Speranza) è una "condanna" ad esserlo.....ma sono convinta che vinceranno i NO, non fosse altro per l'ampio schieramento politico che lo sostiene (dalla destra ai grillini), saluti, Maria Speranza Perna

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Titolo articolo : Re-nzi-ferendum,di Lucio Garofalo

Ultimo aggiornamento: October/17/2016 - 12:09:07.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 17/10/2016 12.09
Titolo: Quante perplessità
Resto indubbiamente molto perplesso di fronte a tutte le certezze che taluni sfoggiano, condite, magari, da barlumi di... profetismo! A mio avviso, ci scappa un bel po' di incoscienza di unilaterismo, nonché di pregiudizio o di partito preso. Un po' più di senso critico, frutto di preparazione e formazione intellettuale, non guasterebbe...

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Titolo articolo : IL PATRIMONIO CULTURALE DELLA CITTÀ TRA STATO E COMUNE,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: October/15/2016 - 21:57:27.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 15/10/2016 21.57
Titolo: Un calabrese uomo di pace !
I calabresi tutti, le varie associazioni di calabresi presenti in Italia e nel mondo,  l'assessore alla cultura del Comune di Pisa, Marilù Chiofalo dovrebbero conoscere e far conoscere D. A.Cardone, filosofo, poeta e autentico uomo di di pacedel XX secolo!

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Commenti Articolo 168

Titolo articolo : IL 2 OTTOBRE 2016 TRA MEMORIA E FUTURO,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: October/08/2016 - 23:33:49.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 05/10/2016 21.25
Titolo:Un convegno a sostegno dell'economia locale.
Importante documentazione del Convegno di Firenze del 2 ottobre, giornata mondiale della nonviolenza,  dove si è parlato ampiamente delle forme del sarvodaya: un 'economia a servizio di tutti.
Importante la presenza del Sindaco e del consiglio comunale di Monteleone di Puglia, che hanno testimoniato la scelta di costruire economie di pace. 
Autore Città Giorno Ora
Pasquale  Rigillo  Monteleone di Puglia  08/10/2016 23.33
Titolo:Monteleone  fra presente e futuro.
Monteleone di Puglia, il comune più alto della regione, ha partecipato con il sindaco,  la giunta e l'intero  consiglio comunale alla VIII Conferenza "l'Economia della Felicità" tenutasi a Firenze  il 2 u.s.. il sindaco, Giovanni  Campese,  nel suo breve intervento ha richiamato una parte dei temi trattati. Mi corre l'obbligo, per questo,  ringraziare  il prof. Rocco Altieri per l'invito, i suggerimenti e il costante rapporto personale  e telefonico in quanto,   grazie a Rocco,   Monteleone ha intrapreso iniziative importanti come il Centro della nonviolenza realizzato a Monteleone, il convegno sulla biodiversità orticola organizzato con l'università di Foggia, studi sull'economia  dei piccoli comuni,  tutte iniziative che hanno  consentito  al paese di fuoriuscire dall'alveo "locale" e di proiettarsi in ambito nazionale e internazionale. Un grazie a  Raffaello Saffioti  per le belle parole spese nei confronti  della nostra amministrazione.  Infine grazie al direttore del "Dialogo" per lo spazio  riservato alle iniziative  dell'amministrazione  comunale di Monteleone. 
Il VicesindacoPasquale  Rigillo 






 

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Commenti Articolo 169

Titolo articolo : LA COPPIA LESBICA A SAN SAVERIO. DUE PAROLE DI CHIARIMENTO,di Augusto Cavadi

Ultimo aggiornamento: September/30/2016 - 11:42:41.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 30/9/2016 11.42
Titolo: Complimenti
Mentre mi congratulo per la chiara e fondata presa di posizione, mi auguro che possa anche essere un attendibile profeta sul futuro della chiesa.
Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 30/9/2016 11.42
Titolo: Complimenti
Mentre mi congratulo per la chiara e fondata presa di posizione, mi auguro che possa anche essere un attendibile profeta sul futuro della chiesa.

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Commenti Articolo 172

Titolo articolo : Terremoto di Rieti: l'ennesima tragedia annunciata,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: August/25/2016 - 21:17:10.

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Mauro Matteucci Pistoia 25/8/2016 21.17
Titolo:
Ciao Giovanni,
                  ancora una volta devo condividere la tua voce fuori dal coro della retorica della solidarietà, di cui l'ineffabile presidente del Consiglio ha dato l'ennesima prova a proposito del tremendo terremoto che ha colpito l'Italia centrale. A riprova, invece delle verità del tuo  editoriale, racconto brevemente una dolorosa esperienza personale. Qualche anno fa ho acquistato una casa da una cooperativa - rossa, ma pecunia non olet - che non ha rispettato, avallata dall'amministrazione comunale,  le regole di sicurezza, costruendo terra-tetti e appartamenti sotto una collina, senza un adeguato deflusso delle acque. Così nell'ottobre 2013, una rovinosa alluvione ha provocato gravissimi danni (personalmente ne ho subiti per migliaia di euro). Ci siamo rivolti alla cooperativa - ma questa era fallita nel frattempo! -  e al Comune, che ha fatto tante promesse, di cui non si è visto alcun risultato concreto. Così dopo  gli onerosi danni subiti, abbiamo dovuto sobbarcarci altre pesanti spese per la messa in sicurezza idrogeologica: nessuno tranne noi, le vittime, ha tirato fuori un euro! Questa, è l'Italia, in cui la sicurezza del territorio - purtroppo estremamente fragile, come sottolinei giustamente - è, insieme a quella  delle vite umane, un bene comune ignorato dai nostri politici che hanno e che hanno avuto, ben altre (e, spesso inconfessabili) priorità, mentre i palazzinari di ogni risma lo saccheggiavano impunemente. Grazie della tua indignazione
Mauro Matteucci

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Commenti Articolo 173

Titolo articolo : COS’E’ DEMOCRAZIA?,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: August/13/2016 - 21:35:19.

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Autore Città Giorno Ora
Mariella Ratti La Spezia 13/8/2016 21.35
Titolo:
Ottimo lavoro, Raffaello! Come tutti gli altri, peraltro. Grazie per il tuo impegno, per la tua perseveranza, per il grande apporto che dai perché si diffonda la conoscenza e la coscienza dei diritti.

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Commenti Articolo 174

Titolo articolo : Padre Jacques Hamel : un martire comune a cristiani e musulmani,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: August/03/2016 - 22:37:05.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 03/8/2016 22.37
Titolo:
Ciao Giovanni,
                   ho letto con attenzione il tuo editoriale e ascoltato la tua intervista sul martirio di padre Jacques Hamel, veramente un grande testimone, che con il suo  sacrificio acquista grandezza anche per la miseria di tanti personaggi che in questi giorni hanno detto banalità e/o infamie. Credo che bisogna rifuggire da ogni banalizzazione o semplificazione per leggere i complessi e drammatici fatti del presente. Le strade del dialogo e della speranza, come fai pervicacemente, sono le uniche che possono darci risultati umani. Quanto successo domenica scorsa è un primo bellissimo segno. Perciò la giornata del 27 ottobre avrà un significato ancora più forte. Con amicizia
Mauro Matteucci

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Commenti Articolo 175

Titolo articolo : Osservazioni senza ipocrisie sul celibato sacerdotale,do Lillo Scaglia

Ultimo aggiornamento: August/02/2016 - 01:04:54.

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Autore Città Giorno Ora
Nadir Giuseppe Perin Vittorito (L'Aquila) 31/7/2016 08.42
Titolo:

Condivido al 100%  le osservazioni senza ipocrisie sul celibato sacerdotale, fatte da Don Lillo Scaglia.Perchè in fondo risponde alla domanda che mi sono sempre fatto - essendo anch'io un prete sposato- "che cosa si potrebbe fare di più e di meglio nella Chiesa del terco Millennio affinchè la presenza del prete sposato nelle varie comunità parrocchiali e diocesane potesse diventare per tutti, da scomoda ed ingombrante, un dono prezioso di Dio per l'avvento del "Regno di Dio", come espresso nel Padre Nostro ?
Autore Città Giorno Ora
AGOSTINO BONASSI MONTANASO LOMBARDO-LODI 02/8/2016 01.04
Titolo:GRAZIE X LA SUA SINCERITA'
Mi ha veramente aperto il cuore leggere le parole di don Lillo Scaglia. Pensavo che una Chiesa così misericordiosa e dialogante non esistesse più. Io sono uno di quegli ex sacerdoti che in seguito ha esperimentato il divorzio perché l'altra diceva di amarmi ma non in quella mia parte eternamente sacerdotale. Forse ho sbagliato, forse non ero preparato o forse non esisteva alcuna alra possibilità. Purtroppo le cronache contiunuano a riaffermare il mio pensiero: in questa Chiesa non c'è e non si vuole trovare un posto per il sacerdote sposato. E' un vero peccato perché ha in sè una miniera di possibilità, di spiritualità, di amore e di carità. Non mi rimane che pregare e continuare a vivere in pienezza sacerdotale la mia attuale, intensa, formidabile e invidiabile vita d'amore con chi mi è accanto. 
Grazie don Lillo e un abbraccio potentissimo,
AGOSTINO BONASSI.

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Commenti Articolo 176

Titolo articolo : Lo sanno anche i bambini,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: July/27/2016 - 22:36:39.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 27/7/2016 22.36
Titolo:Studiare, studiare, studiare
Carissimo Giovanni,
                             il tuo articolo, sul quale ho riflettuto a lungo prima di risponderti, pone, come al solito, grosse problematiche che ci interrogano di fronte agli ultimi tragici avvenimenti. Vorrei dare anch'io un modesto contributo alla riflessione. Innanzi tutto, perché ci turbiamo di fronte agli ultimi sanguinosi episodi, che hanno riguardato città della vecchia Europa? Credevamo di essere immuni dall'ondata di guerra e di morte, che tocca vaste aree del Mediterraneo e del Medio-Oriente? Non sappiamo che intere città e interi stati sono stati cancellati da bombardamenti e da conflitti interni su cui molti del buon mondo occidentale lucrano in modo infame? Quante centinaia di migliaia se non milioni di vittime - e non poche centinaia, come in Europa - ha fatto una guerra in essere, anche se non dichiarata? Oggi si mescolano in una miscela esplosiva denaro, religione, tecniche dell'informazione per non parlare della formazione: in pochi mesi avviene la radicalizzazione religiosa dei disperati, che poi organizzano le assurde stragi cui assistiamo.  Ma guardiamo un attimo all'Italia e in particolare alla scuola: vi ho lavorato per quasi 40 anni, credendo sempre alla sua funzione educativa secondo l'obiettivo di formare "cittadini sovrani", come insegnava il grande don Milani. Oggi ne restano brandelli miserevoli, grazie alle continue riforme, dalla Berlinguer alla "nuova scuola" del duo Renzi-Giannini! La Costituzione, baluardo di etica e di civismo, la si vuole stravolgere da politici, la cui arroganza è proporzionale alla loro inettitudine, ignoranza e  corruzione. Siamo da anni immersi in una trasformazione epocale, quella della globalizzazione, ma quanti politici, italiani e stranieri, sono all'altezza del momento storico che viviamo? Concludo ricordando r le parole sempre attuali del vecchio Marx: La politica è studio: guai a chi si perde nei vuoti giri di parole, phraseur-parolaio; odiare a morte i politicanti da strapazzo e la loro ciarlataneria. Pensare con rigore logico ed esprimere chiaramente i pensieri: ciò impone di studiare, studiare, studiare!  Un abbraccio
Mauro Matteucci

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Commenti Articolo 177

Titolo articolo : LETTERA APERTA Mio caro stalker ...,di Daniela Zini

Ultimo aggiornamento: July/20/2016 - 11:40:47.

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Autore Città Giorno Ora
Antonia Mattiuzzi Milano 20/7/2016 11.40
Titolo:Concordo. Se possibile di più.
erNon ho altro da aggiungere all'analisi di Daniela Zini.
 

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Commenti Articolo 178

Titolo articolo : Mica siamo tutti rincitrulliti!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: July/19/2016 - 15:56:14.

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Autore Città Giorno Ora
Paolo Indemini Torino 19/7/2016 15.56
Titolo:Grazie Sarubbi
Incredibile, un giornalista che descrive la Realtà!
Non sarà una svista dell'ordine dei giornalisti?
Evidentemente è un caso anomalo al quale non è ancora stato impiantato il microchip adeguato come a quanto pare prevede l'esercizio della professione.
Grazie Sarubbi, purtroppo di Galli Della Loggia sono pieni i mezzi d'informazione che, altrettanto purtroppo, sanno fare piuttosto bene il loro (squallido) mestiere.

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Commenti Articolo 179

Titolo articolo : Io so ma non ho le prove!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: July/04/2016 - 10:42:59.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 04/7/2016 10.42
Titolo:Complimenti!
Senza dilungarmi, sottolineo soltanto il mio più completo accordo con quanto scrive G.Sarubbi: è ora e giusto mettere i puntini sulle "i". Non si possono più tollerare interventi sul tipo di quelli de "Il giornale"! Auguri!

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Commenti Articolo 180

Titolo articolo : Questo presepe non mi piace,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: June/27/2016 - 21:43:35.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 27/6/2016 21.43
Titolo:
Ciao Giovanni,
                  L’importante è non perdere i propri punti di riferimento ideali e la propria condizione sociale. Il lavoratore con il lavoratore, il capitalista con il capitalista. Chi sfrutta non può avere nessuna solidarietà da chi lui sfrutta. Parto da questa bellissima affermazione - che considero centrale nel tuo editoriale - per una breve riflessione su quanto scrivi, che, come al solito, con grande intelligenza cerca di individuare il nucleo più nascosto di quanto accade di apparentemente straordinario. Oggi pochissimi centri di potere - dalla grande finanza alle industrie militari ai detentori dei media - controllano ogni giorno di più tutto. Naturalmente non si fanno scrupolo sui mezzi da usare, dalle guerre (ancora gli strumenti più efficaci) alla deprivazione del necessario nei confronti di popoli interi, all'abbattimento dello stato sociale, allo stravolgimento delle Carte Costituzionali, garanti dei diritti dei più deboli. I politici, come il Matteo di Rignano, si accodano ubbidienti. La Brexit è solo un piccolo - seppur significativo - episodio. Oggi tutti i potenti sembrano strapparsi le vesti e dichiararsi sorpresi e indignati: ma non è quello che volevano? Mi sembra impossibile che tutti siano stati così sprovveduti da non prevedere una vittoria del Leave a meno che, come dicevano i buoni Latini, Zeus excaecat quos vult perdere. Ho una sola riserva sul tuo editoriale, quella di un giudizio troppo duro sul populismo. Sono d'accordo che può avere risvolti reazionari e chiaramente di estrema destra - vedi Farage, Marine Le Penn e il nostro Matteo padano - ma credo anche che in esso si manifesti un profondo senso di impotenza dei cittadini di fronte all'espropriazione di democrazia e di diritti, cui quotidianamente sono sottoposti. Con amicizia
Mauro Matteucci

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Commenti Articolo 181

Titolo articolo : «FATE FIGLI, NOI VI PAGHIAMO»,di Mario Pancera

Ultimo aggiornamento: May/22/2016 - 16:32:17.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 22/5/2016 16.32
Titolo:
Condivido pienamente con Mario Pancera. Purtroppo le menti sono ormai omologate e non distinguono più verità e mistificazioni! Probabilmente le culle continueranno a restare vuote, ma anche le teste.
Mauro Matteucci

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Commenti Articolo 182

Titolo articolo : Un premio che offende i morti. Vergogna!,di Raffaele Nogaro, Sergio Tanzarella, Alex Zanotelli, Francesco de Notaris, Francesco La Saponara

Ultimo aggiornamento: May/03/2016 - 21:06:47.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 03/5/2016 21.03
Titolo:
Una vera e propria vergogna!  Per di più proveniente dall'Unione Cattolica Stampa Italiana: povero papa Francesco! Unisco la mia firma a quella dei promotori.
Mauro Matteucci - Centro di documentazione e di progetto "don Lorenzo Milani" di Pistoia
Autore Città Giorno Ora
Mario Pavan Vicenza 03/5/2016 21.06
Titolo:
Condivido in toto la lettera inviata al dialogo e giustamente fatta conoscere dal nostro periodico.grazie direttore.la firmo e la sottoscrivo.Mario  Pavan  Vicenza.

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Commenti Articolo 183

Titolo articolo : Riprendere il cammino per la costruzione di una nuova umanità,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: May/02/2016 - 11:13:26.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 02/5/2016 11.13
Titolo:Complimenti!
Bravo, caro Giovanni, e grazie per la tua testimonianza, anche se, purtroppo, le paole non bastano per cambiare la situazione. Occorrerebbe, quanto meno un numeroso e solido movimento. Ti sono grato poi, anche peril richiamo a Giulio Girardi, mio "fratello" acquisito, che è morto 14 anni fa, qui, a casa mia. Approfitto per segnalare, per coloro che non lo conoscessero, il sito Web di Giulio:http://host.uniroma3.it/docenti/girardi. Cordiali saluti.

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Commenti Articolo 184

Titolo articolo : Per una spiritualità della liberazione,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: April/26/2016 - 18:07:02.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 26/4/2016 18.07
Titolo:Grazie Giovanni,  che trovi sempre il modo di leggere i tempi
Carissimo Giovanni,
                           debbo dirti che sono rimasto profondamente colpito dal tuo bellissimo editoriale per una serie di ragioni. Innanzi tutto perché sostieni una tesi centrale, di cui da tempo sono sempre più convinto: che le religioni vengono usate dagli uomini per esercitare dominio e arricchimento nei confronti di altri uomini. Così è avvenuto nella Storia del passato e così avviene oggi. Anche il ritorno continuo da parte di alcuni alla sacralizzazione - citi l'esempio dell'uso del termine "Bibbia" tra i più lampanti - ma ce ne sono molti altri, vedi i vari fondamentalismi, la santificazione di quasi tutti i papi e la loro proclamata "infallibilità", la jihad, l'impegno del musulmano che è diventato "guerra santa" (e stragi di innocenti) e via stravolgendo. Mi torna in mente una frase detta da don Milani durante l'unico incontro che ho avuto con lui: ad alcuni che dicevano che il Vangelo, citato continuamente da don Lorenzo, doveva essere adattato (per non dire edulcorato), rispose molto decisamente che doveva essere vissuto pienamente nel concreto della vita e lui seppe dimostrarlo con scelte radicali, ma senz'altro evangeliche. Grazie Giovanni,  che trovi sempre il modo di leggere i tempi
Mauro

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Commenti Articolo 185

Titolo articolo : Preferiamo essere vivi che morti-viventi!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: April/18/2016 - 18:33:34.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 18/4/2016 18.33
Titolo:Condivisione
Bravissimo! Grazie per ciò che hai scritto e che conforta anche noi..."vecchi", che, per molte ragioni, non ci possiamo più permettere di scrivere cose del genere... Auguri per il futuro e un fraterno abbraccio.

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Commenti Articolo 186

Titolo articolo : DANILO DOLCI DAL TRASMETTERE AL COMUNICARE,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: April/05/2016 - 23:40:52.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 04/4/2016 12.46
Titolo:Danilo Dolci
Siamo sicuri che il prof. Tanzarella farà tesoro delle riflessioni del prof. Saffioti, degno custode del metodo creativo di Danilo Dolci
Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 05/4/2016 23.40
Titolo:
Carissimo Raffaello,
                          ho letto con una certa emozione il tuo articolo  relativo alla conferenza di Tanzarella su "Danilo Dolci dal tramettere al comunicare" e devo dire che ho avuto il piacere di sentire lo studioso in un convegno su don Milani e sono rimasto colpito dalla sua analisi. Ho letto tra l'altro dello stesso un interessantissimo libro,  sempre sul priore di Barbiana, "Gli anni difficili", che ti consiglio caldamente, se non l'hai ancora letto. Poi su don Lorenzo  e il grande educatore triestino, con la presenza del figlio Amico Dolci, pochi anni fa ho partecipato, vicino a Barbiana, a un convegno proprio sul "Trasmettere e educare": un'esperienza bellissima! Così come è molto coinvolgente il testo che tu richiami. Sono convinto che questi grandi educatori, anche se inattuali, richiamano continuamente le coscienze a una consapevolezza critica di fronte all'omologazione che i media hanno prodotto e continuano a produrre, nullificando ogni cultura per un fondamentalismo consumistico. La risultante inevitabile è una società pronta a recepire e a subire ogni più mistificante indottrinamento: l'esatto contrario cui hanno dedicato la vita i due maestri! Un abbraccio
Mauro

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Commenti Articolo 187

Titolo articolo : L’8 MARZO DI MONTELEONE DI PUGLIA, EVENTO UNICO, MEMORIA E ANNUNCIO DI FUTURO,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: March/31/2016 - 08:01:05.

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Autore Città Giorno Ora
Mariella Ratti La Spezia 31/3/2016 08.01
Titolo:
Grazie Raffaello, hai ben rappresentato questa bellissima giornata, che è stata per tutti noi che abbiamo partecipato una sorgente di vita e di speranza, una esperienza unica. Ci siamo commossi, i racconti e i ricordi ci hanno fatto riflettere intensamente, i progetti ci hanno entusiasmato. E' stato un evento che ha segnato un cammino; la strada è tracciata, occorre andare avanti.

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Commenti Articolo 188

Titolo articolo : NASCITA DEL CENTRO INTERNAZIONALE PER LA NONVIOLENZA COL NOME DI GANDHI A MONTELEONE DI PUGLIA,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: March/05/2016 - 23:12:10.

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Autore Città Giorno Ora
Mariella Ratti La Spezia 05/3/2016 23.12
Titolo:
Grazie Raffaello per questa tua testimonianza e grazie al Comune di Monteleone per questa splendida iniziativa. In questi tempi oscuri con scenari inquietanti c'è un estremo bisogno di ripetere queste parole: la guerra è follia, la pace è tutto. Non sono parole di visionari, sono parole di chi ha la saggezza e la lungimiranza di leggere il futuro in tutta la sua complessità, facendo tesoro degli insegnamenti della storia.

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Commenti Articolo 191

Titolo articolo : Marx e l'omofobia,di Lucio Garofalo

Ultimo aggiornamento: February/25/2016 - 20:43:43.

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Autore Città Giorno Ora
carlo vizzini Marsala 25/2/2016 20.43
Titolo:La storia conta fino a un certo punto!
Egregio Garofalo,
condizionamenti storico-culturali contano fino ad un certo punto! Uno zoppo è sempre uno zoppo, cioè affetto da una malattia, e così un cieco o qualunque altro disabile. Anche l'omosessuale, che pur essendo attrezzato biologicamente per avere rapporti con l'altro sesso si sente attratto da soggetti dello stesso sesso, è portatore di una patologia, anche se tale patologia acquista rilevanza etico-sociale solo ove essa venga tradotta in conseguenti e concreti comportamenti sessuali. A questo livello, né storia né cultura possono mutare le cose. D'altra parte, non abbiamo né prova né controprova empirica circa il fatto che un Marx, se vivesse oggi, non sarebbe "un omofobo": non lo sarebbe, beninteso, solo nel senso che continuerebbe a considerare patologica, sia pure con ogni umano rispetto, la condizione degli omosessuali. Cordialità, francesco.

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Commenti Articolo 192

Titolo articolo : 1° PREMIO INTERNAZIONALE per la Pace e la Nonviolenza città di Monteleone di Puglia,a cura di Comune di Monteleone di Puglia e  Centro internazionale per la Nonviolenza "Mahatma Gandhi"

Ultimo aggiornamento: February/24/2016 - 22:53:02.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 24/2/2016 22.53
Titolo: l'8 marzo
Un modo coerente  per  ricordare l'8 marzo  l'impegno delle donne  per la pace 

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Commenti Articolo 193

Titolo articolo : CATTOLICI DEL NO NEL REFERENDUM COSTITUZIONALE,a cura di don Aldo Antonelli

Ultimo aggiornamento: February/24/2016 - 19:32:38.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 24/2/2016 19.32
Titolo:Dubbi...
L'impressione è che l'intervento sappia molto di... pregiudizi. Me ne scuso: "errare humanum", ma... Cordiali saluti.

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Commenti Articolo 194

Titolo articolo : Se son rose fioriranno,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: February/15/2016 - 22:38:26.

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Autore Città Giorno Ora
moreno ceron vicenza 15/2/2016 22.38
Titolo:
Non ho letto il documento che hanno firmato,però mi piace l'analisi che fai...le preghiere del fare...un saluto e un grazie.
Moreno

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Commenti Articolo 195

Titolo articolo : CONOSCERE LA COSTITUZIONE PER AMARLA E DIFENDERLA,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: February/13/2016 - 18:00:11.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 11/2/2016 13.56
Titolo:
Bellissima riflessione di Raffaello Saffioti da leggere, meditare, farne oggetto di studio con le classi, nelle scuole, nelle parrocchie. Da diffondere e far conoscere nel corso della campagna referendaria per il NO!
Autore Città Giorno Ora
Mariella Ratti La Spezia 11/2/2016 19.07
Titolo:
Grazie per la bellissima riflessione, parole preziose e autentiche. Verissime: se non si conoscono i diritti, non li si possono conoscere e il rischio di perderli diventa realtà. Per questo la conoscenza è così fondamentale e l'analfabetismo così pericoloso. Bisogna far conoscere ciò che sta succedendo, contrastare la propaganda governativa, aiutare gli indifferenti e i delusi, c'è tanto da fare ... ma è davvero necessario!
Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 13/2/2016 18.00
Titolo:Condivido in toto
                  Ho letto la bellissima riflessione di Raffaello Saffioti sull'analfabetismo politico e, come milaniano, la condivido in toto. Purtroppo le parole degli altissimi maestri che vengono citate, sono state volutamente ignorate. Al contrario di don Milani che voleva che i suoi ragazzi diventassero "cittadini sovrani e responsabili",  dalla Chiesa ai partiti, alle altre agenzie educative,si è costantemente cercato di distruggere ogni spirito critico e consapevolezza conoscitiva. Così il valore fondamentale della scuola e della cultura come strumento di emancipazione della persona, è stato rimosso se non deriso. Oggi si vuole mettere l'ultima pietra a quest'opera di demolizione etica e civica, stravolgendo la Costituzione. Sono perciò d'accordo che dobbiamo fare di tutto per bloccare questo tentativo, che considero criminale e nefasto soprattutto per le giovani generazioni. Grazie
Mauro Matteucci - Centro di documentazione e di progetto "don Lorenzo Milani" di Pistoia

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Commenti Articolo 196

Titolo articolo : Aldo Capitini e Teresa Mattei voterebbero No!,a cura di Centro Gandhi onlus

Ultimo aggiornamento: February/01/2016 - 17:50:33.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 01/2/2016 17.50
Titolo:Divulghiamo l'appello in ogni ambito: familiare, lavorativo, ecclesiale
Siamo in un momento drammatico nella storia della democrazia italiana, a un punto di non ritorno. 
Dobbiamo diventare consapevoli del pericolo incombente e impegrarci al massimo per scongiurarlo. 
A ognuno di fare qualcosa. Abbiamo 9 mesi per contrastare la propaganda televisiva del governo.

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Commenti Articolo 198

Titolo articolo : STORIE E PENSIERI DI UN PRETE MINORE,di don Angelo Casati

Ultimo aggiornamento: January/23/2016 - 19:19:23.

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Autore Città Giorno Ora
mario pancera Milano 23/1/2016 19.19
Titolo:
Aggiungerei due parole per chi no lo conosce: don Angelo Casati è anche un grande poeta.

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Commenti Articolo 199

Titolo articolo : Guerra: continueranno ad ingrassarsi sul sangue dei poveri!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: January/21/2016 - 21:40:17.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 21/1/2016 21.40
Titolo:La guerra che verrà.....non sarà l'ultima.
La guerra la pensano e la organizzano i ricchi ma ne pagano amaramente le conseguenze i poveri. Diceva bene Brecht nella sua straordinaria poesia "La guerra che verrà".
I potenti vogliono la guerra per estendere il loro potere su altre terre ,su altre colonie, su altri popoli. Vogliono la guerra per perpetuare il loro potere economico e politico.Vogliono la guerra per sottomettere e costringere all'obbedienza.Sarebbe proprio opportuno e necessario che nessuno giovane accettasse di andare in guerra per uccidere i suoi simili, sarebbe proprio opportuna una disobbedienza collettiva, una ribellione che partisse proprio dai giovani. Sarebbe necessario capire che la guerra è una follia concepita da folli che giocano con la vita degli altri.
 

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Commenti Articolo 200

Titolo articolo : Rimettere in discussione il paradigma stesso dello sviluppo,di Lucio Garofalo

Ultimo aggiornamento: January/18/2016 - 18:33:20.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 18/1/2016 18.33
Titolo: Cambiare modello

Condivido pienamente il contenuto dell'aerticolo. Oggi dobbiamo mettere al centro i beni essenziali, il che non significa "impoverimento", ma una vera e propria metànoia, cioè cambiamento di mentalità: passare dalla quantità alla qualità in tutti i settori della vita.

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Commenti Articolo 201

Titolo articolo : Preti o ladri travestiti da samaritani?,di don Aldo Antonelli

Ultimo aggiornamento: January/17/2016 - 21:10:27.

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Autore Città Giorno Ora
mario pancera Milano 17/1/2016 21.10
Titolo:
Caro don Antonelli,dopo questa lettera, ha ricevuto risposte?
Cordialmente
Mario Pancera

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Commenti Articolo 202

Titolo articolo : Mancano le immagini,di Adriano Colafrancesco

Ultimo aggiornamento: January/14/2016 - 14:43:04.

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Autore Città Giorno Ora
domenico stimolo catania 14/1/2016 14.43
Titolo:
~~Uno scritto di grande efficacia, nell'asfittico omologato panorama dell'italica informazione  targata che ammorba le coscienze.. Grazie

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Commenti Articolo 203

Titolo articolo : Chiusura Agenzia Misna: comunicato della redazione,

Ultimo aggiornamento: January/10/2016 - 20:25:03.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 10/1/2016 20.25
Titolo:Una notizia drammatica per il mondo dell'autentica informazione. 
Si resta  davvero interdetti dalla notizia
 della chiusura dell'agenzia di stampa missionaria, che ha sempre svolto un prezioso lavoro di contro-informazione e documentazione.
In un momento drammatico per l'escalation delle guerre e delle dittature l'operato dei missionari era l'unico vero sensore delle realtà locali più periferiche, predisponendo efficaci risposte di solidarietà e di  nonviolenza.    
Possibile che la Chiesa di Papa Francesco non sia riuscita a riparare alle difficoltà economiche, indirizzando nuove risorse verso la Misna ? 
 

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Commenti Articolo 204

Titolo articolo : 2016, che sia l'anno della pace,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: December/28/2015 - 12:04:32.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 28/12/2015 12.04
Titolo:L'anno che verrà......
Caro Giovanni, che dire? I tuoi scritti .come sempre toccano i priblemi più salienti della nostra società, affrontano i priblemi più forti e ne trovano la soluzione. Che il tuo grido finale di ottimismo possa giungere al cuore e alla mente di tutte quelle persone che continuano a lottare e a credere in un Mondo migliore, ma soprattutto,possa giungere al cuore di chi un cuore non ce l'ha per la cupidigia e la sete di potere. Che il Mondo possa ritrovatre la Pace perduta, tolta, offesa , impedita da muri reali e confini mentali.Sereno 2016 a te e a tutti quelli che lavorano per il giornale.!!!

 

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Commenti Articolo 205

Titolo articolo : GESU’ E’ RITROVATO DAI GENITORI NEL TEMPIO IN MEZZO AI MAESTRI,di p. Alberto Maggi OSM

Ultimo aggiornamento: December/26/2015 - 23:07:58.

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Autore Città Giorno Ora
isabelle charlier varese 26/12/2015 20.40
Titolo:Siamo lettori fortunati
Il commento è davvero molto interessante e bellissimo!
Autore Città Giorno Ora
Diego Winter Brescia 26/12/2015 23.07
Titolo: viva la fede
Buongiorno. Bello! vorrei solo chiedere 2 cose che non ho capito
1) Lei dice che  ogniqualvolta leggiamo il vangelo dobbiamo sempre tenere presente, per comprenderlo, che non riguarda la cronaca, ma la teologia, cioè non ci riporta una serie di fatti, ma di verità. Quindi non riguarda tanto la storia, ma la fede. ALLORA, SE HO CAPITO BENE, I VANGELI SONO SOLO DEI RACCONTI TEOLOGICI? GIUSTO? CIOE', SE GESU' E' ESISTITO VERAMENTE NON è COSì IMPORTANTE, GIUSTO?
2) Lei dice  il brano termina con una speranza per Maria. Maria incomincia il suo processo di crescita che la porterà da essere madre di Gesù a discepola del Cristo. A parte che non è così importante: se non è storia, chissà poi se  Maria è veramente esistita, se era la madre di Gesù e come lo era. Ma la domanda intendeva: in questo racconto di fede teologico simbolico, Luca non aveva già affermato chiaramente che MARIA è PIENA DI GRAZIA? COME FANNO A STARE INSIEME LE 2 COSE?

Grazie; spero proprio che risponda, perchè rischio di rimanere confuso.

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Commenti Articolo 206

Titolo articolo : UN CASO DI OBIEZIONE DI COSCIENZA NELLA SCUOLA,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: December/23/2015 - 15:51:55.

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Autore Città Giorno Ora
Mariella Ratti La Spezia 23/12/2015 15.51
Titolo:Solidarietà al prof. Altieri
Come ex preside (mi piace ancora questo termine) non posso che esprimere il mio totale accordo con la lettera del prof. Altieri ed  esprimere tutta la mia solidarietà. Non si rende la scuola migliore con "un pugno di dollari" che si trasforma facilmente in ossequio al potere e in una guerra tra poveri (tali sono i docenti, come peraltro la scuola stessa). Come non capire che il denaro  non genera passione, dedizione, cura al fine della crescita umana e culturale delle alunne e degli alunni? Di ben altro ha bisogno la scuola! Prima di tutto del riconoscimento e del rispetto sociale e politico della sua funzione primaria e poi di azioni,  prassi (e anche di finanziamenti, certamente!) per far sì che il diritto allo studio non sia una frase vuota, ma un percorso di speranza e di opportunità per tutti e per tutte, nessuno escluso. Non mi pare si vada in questa direzione. Si è preferito non affrontare i problemi veri e spostare le conflittualità a livelli più bassi, a cui dall'alto si può guardare con sufficienza e un pò di commiserazione ... Ben ha fatto il prof. Altieri a manifestare la sua obiezione di coscienza. Grazie, professore!

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Commenti Articolo 207

Titolo articolo : Mosul: ora è chiaro, siamo in guerra, è finita la bugia sulle "missioni di pace",di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: December/20/2015 - 17:23:37.

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Autore Città Giorno Ora
Renzo Coletti Genova 20/12/2015 17.23
Titolo:
Caro Giovanni, credo sia importante ricordarti che dopo il trattato di Lisbona, la nostra Costituzione, come pure il nostro governo, non contano più niente. 
Pertanto appellarsi alla Costituzione è come arrampicarsi sugli specchi già rotti.
Direi che invece è necessario uscire da questi trattati e soprattutto dalla Nato e liberarci dal giogo americano.
Bisogna avere il coraggio della verità e la verità è che un premio nobel per la pace come Obama è un guerrafondaio e che Papa Francesco gli stringe la mano, mentre invita alla pace.
Insomma la guerra si fa e si amplia di continuo, mentre la menzogna e la distorsione della realtà troneggiano.
La politica del caos contempla pure l’imigrazione di massa e se la morte colpisce i bambini che fuggono dalla guerra è sempre colpa di chi vuole creare il caos anche in Europa, di chi ha interesse a ridurci ai minimi termini come è successo in Grecia.
Ecco perchè la destra sta alzando la testa, perchè c’è bisogno d’identità.
La verità è che la sinistra non c’è più e che la democrazia è solo una beffa.
Ciao.

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Commenti Articolo 208

Titolo articolo : Siamo una sola umanità!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: December/15/2015 - 12:22:48.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 15/12/2015 12.22
Titolo:D'accordo
Condivido "sostanzialmente", ma rivedrei il...linguaggio!

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Commenti Articolo 209

Titolo articolo : "Il futuro che stiamo costruendo",di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: December/15/2015 - 12:01:31.

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Autore Città Giorno Ora
Giovanni Battista Baggi Cassino 13/12/2015 18.11
Titolo:A quando il risveglio dei popoli?
Perfetta analisi e, se i popoli non si svegliano da questo letargo o per meglio dire rassegnazione, andrà sempre peggio.
Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 15/12/2015 12.00
Titolo:Precisazione
Mi scuso se approfitto di questo contributo, che aapprezzo e condivido, per denunciare una nostra ricorrente dipendenza culturale dagli USA. Loro (!!!) non dispongono di un termine corrispondente al nostro statunitense e per questo usurpano il termine americano, che compete anche a molti più soggetti degli statunitensi!
Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 15/12/2015 12.01
Titolo:Precisazione
Mi scuso se approfitto di questo contributo, che aapprezzo e condivido, per denunciare una nostra ricorrente dipendenza culturale dagli USA. Loro (!!!) non dispongono di un termine corrispondente al nostro statunitense e per questo usurpano il termine americano, che compete anche a molti più soggetti degli statunitensi!
Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 15/12/2015 12.01
Titolo:Precisazione
Mi scuso se approfitto di questo contributo, che aapprezzo e condivido, per denunciare una nostra ricorrente dipendenza culturale dagli USA. Loro (!!!) non dispongono di un termine corrispondente al nostro statunitense e per questo usurpano il termine americano, che compete anche a molti più soggetti degli statunitensi!

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Commenti Articolo 210

Titolo articolo : IL MIRACOLO DI MONTELEONE DI PUGLIA,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: December/13/2015 - 16:54:10.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 10/12/2015 04.28
Titolo:Se vuoi la pace, studia la pace

L'enfasi di Raffaello Saffioti è ben motivata dalla sorprendente e straordinaria partecipazione al convegno e dalla progettualità che esso ha espresso.

La guerra si può contrastare. Tutti i partecipanti hanno manifestato la determinazione che le armi non devono avere l'ultima parola e che la pace vada costruita attraverso la nonviolenza.
Autore Città Giorno Ora
Mariella Ratti La Spezia 13/12/2015 16.54
Titolo:
Grande l'idea di partire dal monumento inneggiante alla guerra e di trasformarlo in monumento inneggiante alla pace. E' noto che i monumenti dedicati ai caduti delle guerre sono di gran lunga più numerosi dei monumenti dedicati alla pace e pochi di essi denunciano la stupidità umana che ha deciso quelle inutili morti; pertanto l'iniziativa del Comune di Monteleone di Puglia è decisamente straordinaria e coraggiosa perché smaschera l'inganno che sta alla base del mito del caduto in guerra e dell'esaltazione dei "martiri per la patria". Ringrazio Raffaello per aver ricordato, con le sue citazioni, l'importanza di quell'oggetto misterioso che è la mente umana, perché è su quella  che si deve investire, partendo dallo studio, dall'impegno, dall'educazione. Se da questo Convegno si giunge poi, come sarà, ad azioni concrete, a buone pratiche, a progetti reali, davvero si può parlare di miracolo!
Ne avevamo (e ne abbiamo)  tanto bisogno ...

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Commenti Articolo 211

Titolo articolo : COSTRUIRE LA PACE ATTRAVERSO L’EDUCAZIONE DALLA SCUOLA ALLA CITTÀ,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: December/08/2015 - 18:10:34.

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Autore Città Giorno Ora
Mariella Ratti La Spezia 08/12/2015 18.10
Titolo:Il buio e la luce
E' un momento storico in cui percepiamo tanto buio intorno a noi e anche tanta paura indotta ... ma c'è anche luce e voglia di resistere. Questo scritto ne è testimonianza: importanti riferimenti culturali e proposte concrete. Il diritto alla pace non è un bene superfluo e nemmeno un fiorellino con cui agghindarsi ogni tanto, è il bene supremo e fondamentale dell'umanità intera senza il quale nessuna vita potrà compiutamente realizzarsi ... la pace è tutto e la guerra è davvero follia. Diffondiamo, per favore, queste proposte in ogni Comune d'Italia!

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Commenti Articolo 212

Titolo articolo : L'islamofobia, un mix di ignoranza, stupidità e mala fede,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: December/02/2015 - 13:02:23.

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Autore Città Giorno Ora
renata rusca zargar savona 29/11/2015 13.59
Titolo:commento a L'islamofobia
Gent.mo direttore,

in tutto questo periodo è stato chiesto insistentemente ai musulmani di dissociarsi dal presunto Isis come se non si dovessero soprattutto dissociare chi vende loro le armi e compra il loro petrolio. Io, però, che sono musulmana e vivo la realtà del mio paese -compreso i media- ma anche della comunità islamica che, ovviamente, nulla ha a che vedere con il terrorismo, penso che i musulmani abbiano fatto molto bene a dissociarsi e a dare pubblicità alle loro iniziative. Se tali iniziative sono del tutto inutili riguardo all'esistenza o meno di Daesh, sono molto utili per la gente comune che ha paura dei musulmani perché è poco informata. Io trovo anche che l'opinione pubblica oggi, grazie al lavoro fatto dalla Chiesa e da alcune istituzioni fornite di buon senso oltre che di umanità, non è così contraria ai musulmani quanto dopo l'11 settembre. I musulmani, però, devono essere fuori, uscire allo scoperto, farsi conoscere. Un atto simbolico come giurare la Costituzione o cantare l'inno nazionale, in questo momento, può dare a loro stessi il senso di far parte di questo paese e agli altri qualche rassicurazione, che gli permetterà di non essere, magari, perseguitati sul posto di lavoro. Se noi vivessimo in un mondo perfetto, lei avrebbe perfettamente ragione. Ma noi ci misuriamo, nel quotidiano, con tante difficoltà. L'importante è essere visibili e non ghettizzati. E' comunque vero che deve essere la comunità islamica a farsi sentire, in tutti i modi, per delegittimare chi usa il suo nome per uccidere. (come la comunità degli italiani dovrebbe delegittimare e isolare chi commercia le armi che poi uccidono noi stessi)

Renata Rusca Zargar
Autore Città Giorno Ora
Giovanni Negri Milano 29/11/2015 15.54
Titolo:¿ISLAMOFOBIA
Mi permetto di disquisire sul neologismo utilizzato dai media meinstream.
Concordo con il suo pezzo centrale nel commentare l'inizitiva del sindaco di Firenze. 
Dopo tutto il suo corretto articolo dunque mi chiedo: che significa ISLAM FOBIA?
Il problema dunque è di chi ha paura.
La preposizione articolata «dell'» NON è a senso unico!
Permette ancora una domanda per aiutare un pensiero attivo?
A che/chi serve generare paura?
Mi scusi del commento, spero in un riscontro.
Giovanni
 
Autore Città Giorno Ora
alessandro paolantoni roma 02/12/2015 13.02
Titolo:Islamofobia e giuramento imam
Caro Direttore,

pur condividendo in pieno la critica che hai fatto rispetto alla proposta del sindaco di Firenze riguardo il giuramento degli imam, hai secondo me omesso di sottolineare la responsabilità di chi quell'appello ha accolto. Il presidente ucoii con che diritto parla e giura a nome nostro? Non sono d'accordo con te quando scrivi che questi imam sono cittadini italiani credo sia vero l'opposto, ma la cosa più grave è che un responsabile di una comunità di 160 moschee accetti di andare a fare la scimmietta ammaestrata,agli ordini di un Nardella qualsiasi. (col mandato ricevuto da chi poi...)
Capisco che oggi in Italia se non stai nel Giglio Magico non hai diritto di parola ma qui si è passato il segno a mio avviso. Questa sciagurata iniziativa non farà altro che sancire il fatto che l'Islam in Italia  è religione straniera e il rapporto con le istituzioni si baserà sugli accordi tra Stato e capi tribù arabi in perfetto stile neo-coloniale.

Noi ITALIANI di religione musulmana non abbiamo bisogno di essere rappresentati da questi opportunisti. 

Grazie


 

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Commenti Articolo 213

Titolo articolo : Un convegno nazionale sulla “Follia della guerra”,di Gabriella Maria Calderaro

Ultimo aggiornamento: November/30/2015 - 13:57:45.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 23/11/2015 03.55
Titolo:Alla guerra rispondere con la nonvioleza !
 Bisogna spezzare la catena dell'odio e del risentimento, non rapinando più i popoli, condividendo equamente i beni della terra, ascoltando le ragioni dell'altro. La miglior difesa è il non attacco ! Sono anni che bombardiamo e terrorizziamo dall'alto i popoli del medio-oriente. Diamo pace e dignità ai palestinesi. Smettiamo di bombardare e di vendere armi.   Trasformiamo i nemici in amici !
Autore Città Giorno Ora
Mariella Ratti La Spezia 24/11/2015 12.44
Titolo:
Splendido convegno, complimenti a coloro che l'hanno pensato e a tutti quelli che si stanno impegnando per organizzarlo. Mi auguro che negli anni futuri possano esserci cinque, dieci, cento, mille iniziative simili, distribuite  in varie località italiane e del mondo. Perché è verissima una cosa: con le bombe e la violenza NON si risolvono i conflitti di convivenza tra persone e popoli ... la storia ci insegna che è vero il contrario! In scenari come quelli che stiamo vivendo, la conoscenza, la cultura, l'educazione alla pace e alla nonviolenza assumono un ruolo prioritario. Ancora complimenti per questo Convegno!
Autore Città Giorno Ora
Giovanni Mandorino Pisa 25/11/2015 22.08
Titolo:Una concrea azione per la pace che non deve restare isolata!
Complimenti per la bella e costruttiva iniziativa!
Mentre tutti parlano di guerra, da Monteleone e dal Centro Gandhi arriva l'unico messaggio ragionevole e razionale: per avere la Pace, occorre preparare e costruire la Pace!

Che l'esempio di Monteleone possa essere seme fecondo che germogli in mille citta` e paesi d'Italia!

 
Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 30/11/2015 13.57
Titolo:Convegno del 6 dicembre a Monteleone di Puglia
L’appuntamento di Monteleone di Puglia è di valore e significato particolari; non solo perché si tiene nel centro dove la storia registra la sollevazione popolare contro la guerra del 23 agosto 1942 con le donne in testa.
Plaudo anch’io alla coraggiosa e lungimirante decisione del Consiglio comunale della cittadina di accogliere l’idea del Centro Gandhi con le parole di Papa Francesco poste accanto al monumento ai caduti e di programmare un ricco ed esemplare progetto di pace: è un modello e spero sia lievito e un esempio che altri Comuni possano seguire.
Il Convegno è oltremodo significativo per il momento in cui cade, per il programma, per gli obiettivi che si pone. Auguro a tutti buon lavoro, auguro la sua migliore riuscita. E ringrazio tutti quanti si sono spesi per idearlo e concretizzarlo. Grazie anche per l’esposizione della mostra Abbasso la guerra.
Mi colpisce molto il valore progettuale da cui il Convegno è scaturito: non solo un utile ma occasionale momento, ma tappa di un percorso che può dare e fare molto per la diffusione della cultura della pace e per la lotta contro la guerra che hanno bisogno di continuità e di riprendere vigore e solidità. Per quel che posso non mancherà il mio contributo.
E' necessario allargare la sensibilizzazione e l'opposizione popolare contro la guerra e contro la cultura della guerra e i guerrafondai; senza la partecipazione popolare, senza la diffusione della critica della guerra e dello strumento guerra, si rischia davvero di fare testimonianza, certo da non sottovalutare e da valorizzare, ma senza dubbio non sufficiente per contrastare le nubi dei pericoli di guerra sempre più vicine e minacciose.
La situazione è assai preoccupante, troppe le scintille che si vedono in giro. Sarebbe bello che il Convegno lanciasse un forte Appello agli amanti della pace per una manifestazione nazionale contro la guerra o per una edizione straordinaria della marcia Perugia-Assisi in tempi abbastanza brevi. E’ troppo tempo che i movimenti per la pace paiono come sopiti, eppure sappiamo che il multiforme impegno contro guerre e terrorismo è presente e attivo.
Occorre insistere sull'impegno diffuso, la ripulsa per la guerra e il rifiuto della cultura della soluzione guerra per risolvere i problemi del mondo.

Grazie per il vostro impegno e buon lavoro

Francesco Pugliese

Rovereto, 28 novembre 2015

 

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Commenti Articolo 214

Titolo articolo : La guerra è follia e bisogna fermarla!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: November/19/2015 - 10:08:00.

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Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 16/11/2015 11.59
Titolo:Bravo!
Non solo d'accordo, ma complimenti per le argomentazioni e il linguaggio persuadente.
Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 19/11/2015 10.07
Titolo:La guerra è follia
Sei riuscito a colpire il mio cuore e la mia ragione. Grido insieme a te che la guerra è follia. Il nostro sgomento per quello che succede nel mondo non ha limiti. I potenti della terra decidono ,purtroppo della nostra vita senza il nostro consenso.Siamo pedine nelle loro mani. Stiamo piangendo ,stiamo avendo paura,stiamo continuando a dispiacerci per le continue morti di persone innocenti e senza responsabilità.Comunque dobbiamo capire che è necessario non farci prendere dal panico e non arrenderci mai  alla paura e ai soprusi. Bisogna andare avanti per costruire un futuro diverso alle generazioni che verranno dopo di noi.La guerra è follia concepita da folli. La progettano i potenti ma a morire sono sempre i poveri, i figli di tutti .
Un grido unico deve levarsi sulla Terra; "La guerra è follia".

 
Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 19/11/2015 10.07
Titolo:La guerra è follia
Sei riuscito a colpire il mio cuore e la mia ragione. Grido insieme a te che la guerra è follia. Il nostro sgomento per quello che succede nel mondo non ha limiti. I potenti della terra decidono ,purtroppo della nostra vita senza il nostro consenso.Siamo pedine nelle loro mani. Stiamo piangendo ,stiamo avendo paura,stiamo continuando a dispiacerci per le continue morti di persone innocenti e senza responsabilità.Comunque dobbiamo capire che è necessario non farci prendere dal panico e non arrenderci mai  alla paura e ai soprusi. Bisogna andare avanti per costruire un futuro diverso alle generazioni che verranno dopo di noi.La guerra è follia concepita da folli. La progettano i potenti ma a morire sono sempre i poveri, i figli di tutti .
Un grido unico deve levarsi sulla Terra; "La guerra è follia".

 
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giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 19/11/2015 10.07
Titolo:La guerra è follia
Sei riuscito a colpire il mio cuore e la mia ragione. Grido insieme a te che la guerra è follia. Il nostro sgomento per quello che succede nel mondo non ha limiti. I potenti della terra decidono ,purtroppo della nostra vita senza il nostro consenso.Siamo pedine nelle loro mani. Stiamo piangendo ,stiamo avendo paura,stiamo continuando a dispiacerci per le continue morti di persone innocenti e senza responsabilità.Comunque dobbiamo capire che è necessario non farci prendere dal panico e non arrenderci mai  alla paura e ai soprusi. Bisogna andare avanti per costruire un futuro diverso alle generazioni che verranno dopo di noi.La guerra è follia concepita da folli. La progettano i potenti ma a morire sono sempre i poveri, i figli di tutti .
Un grido unico deve levarsi sulla Terra; "La guerra è follia".

 
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giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 19/11/2015 10.07
Titolo:La guerra è follia
Sei riuscito a colpire il mio cuore e la mia ragione. Grido insieme a te che la guerra è follia. Il nostro sgomento per quello che succede nel mondo non ha limiti. I potenti della terra decidono ,purtroppo della nostra vita senza il nostro consenso.Siamo pedine nelle loro mani. Stiamo piangendo ,stiamo avendo paura,stiamo continuando a dispiacerci per le continue morti di persone innocenti e senza responsabilità.Comunque dobbiamo capire che è necessario non farci prendere dal panico e non arrenderci mai  alla paura e ai soprusi. Bisogna andare avanti per costruire un futuro diverso alle generazioni che verranno dopo di noi.La guerra è follia concepita da folli. La progettano i potenti ma a morire sono sempre i poveri, i figli di tutti .
Un grido unico deve levarsi sulla Terra; "La guerra è follia".

 
Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 19/11/2015 10.08
Titolo:La guerra è follia
Sei riuscito a colpire il mio cuore e la mia ragione. Grido insieme a te che la guerra è follia. Il nostro sgomento per quello che succede nel mondo non ha limiti. I potenti della terra decidono ,purtroppo della nostra vita senza il nostro consenso.Siamo pedine nelle loro mani. Stiamo piangendo ,stiamo avendo paura,stiamo continuando a dispiacerci per le continue morti di persone innocenti e senza responsabilità.Comunque dobbiamo capire che è necessario non farci prendere dal panico e non arrenderci mai  alla paura e ai soprusi. Bisogna andare avanti per costruire un futuro diverso alle generazioni che verranno dopo di noi.La guerra è follia concepita da folli. La progettano i potenti ma a morire sono sempre i poveri, i figli di tutti .
Un grido unico deve levarsi sulla Terra; "La guerra è follia".

 

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Commenti Articolo 215

Titolo articolo : Il sonno della ragione,di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: November/16/2015 - 11:48:52.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 16/11/2015 11.48
Titolo:Prudenza!
Sostanzialmente d'accordo: alcune accentuazioni... mi disturbano, ma, forse, sono funzionali!

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Commenti Articolo 216

Titolo articolo : Risorgere dalle ceneri è possibile,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: November/02/2015 - 14:32:13.

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Autore Città Giorno Ora
domenico stimolo catania 02/11/2015 14.24
Titolo:
~~Caro direttore,
condivido pienamente le valutazioni della tua nota.
Non abito a Roma. Non avendo ,quindi,   l’approccio diretto quotidiano,   non sono in grado di muovere specifiche ed appropriate  valutazioni sui parametri della vivibilità” della città.
Un dato è oggettivamente certo, i requisiti di “bontà” di una struttura urbana dipendono dalla storia della città,  con attenzione particolare  all’ultimo decennio.
Però, le vicende ultime di Roma sono improvvisamente  assurte, in maniera dirompente,  al primo posto nelle cronache nazionali. Ogni cittadino attento può  cercare di trarre le valutazioni conseguenti.
Al di là dell’ aprioristica  condivisione della “figura” dell’ex sindaco ( e dell’area politica si appartenenza), dei meriti o riprovazioni  conseguenti alle sue azioni, quello che indigna la coscienza civile e democratica di molti cittadini è il “modus operandi” che quasi scientificamente è stato costruito contro Marino.
A “memoria d’uomo” nella storia repubblicana italiana non si è mai visto una protervia di furore, concentrata in pochi mesi, contro un rappresentante istituzionale, sindaco di una città ( nella fattispecie la capitale), tra l’altro  scelto da una quota molto grande di elettori. Specie in un Paese che nella sua storia recente  ha sempre abbondato di rappresentanti politici molto “allegorici” o direttamente coinvolti nel gioco del sacco nazionale.
E non solo da parte degli organismi ufficiali del suo partito che vivono una profonda crisi di identità.
La gran parte delle strutture informative – …..un invisibile filo comandava le danze -  si sono lanciate sull’ ”osso”, come se il sindaco di Roma fosse un incallito lestofante-mafioso, dedito, nei 27 mesi di sindacatura, al saccheggio organizzato della città, dimentichi delle condizioni disastrose ereditate:  enormi dissesti economici , gestioni clientelari strutturali, sperperi giganteggianti,  consolidate connivenze con i malaffari, - con tutti i nessi giudiziari in corso-, ……. ( con il suo partito commissariato nella struttura principale  locale e in moltissimi circoli territoriali).
In particolare hanno iniziato a “calare la mano” prendendo a scusa il carro funebre trainato dai cavalli e il codazzo vociante accodatosi nell’evento funereo di un discusso personaggio romano, come se competesse al sindaco la gestione dell’ordine pubblico. Lui non era a Roma.
Gli inflessibili  ”fustigatori” richiamavano un suo rapidissimo ritorno. Dimentichi che nel corso dei decenni, specie nel sud, personaggi chiacchierati e/o già condannati per attività criminose o mafiose, avessero ricevuto, in eventi di vita o di morte, e vivissime “felicitazioni”…….scomparsi poi rapidamente dalle narrazioni informative. 
Poi….passato il funerale, se ne sono lette e sentite di tutti i colori.  Marino è rimasto al centro dell’attenzione. Numerosissime intere pagine e intensissime “radio/tv” cronache. Il “mostro” doveva pagare! Buche stradali, guasti ferroviari della metropolitana……..”fulmini” impressivamente caduti sulla città.
Per che cosa, di così grave, esattamente? Non si è mai capito, da parte delle normali ed umane intelligenze.!
E’ stata l’enfasi  dionisiaca della retorica fine a se stessa. Una nuova “magna grecia” di recente italica memoria, ritornata in auge. Marino è diventato un “mostro”. Un novello Nerone, dedito allo sfascio della capitale…..senza straccio di prova. Appassionato a dissipare i fondi comunali……addirittura bevendo in trattoria  bottiglie di vino ( con cotanta foto di scontrino sbattuta in “prima pagina”)  dallo sbalorditivo  costo ( cadauna) di decine di euro.
Anche i massimi rappresentanti del Vaticano lo hanno messo sul banco degli accusati…….. Per un “non invito” non rispettato?   Par di capire che per l&r
Autore Città Giorno Ora
domenico stimolo catania 02/11/2015 14.32
Titolo:
seconda parte

~~Par di capire che per l’anno del Giubileo non volessero  quel detto sindaco……che nel mese di ottobre dello scorso anno aveva avuto l’ardire civile e democratico di fare trascrivere nel registro di Roma il matrimonio di 15 coppie omosessuali.  Un vero e proprio affronto, proprio sul luogo del “delitto”: la profanazione di Porta Pia!
Per tutta la complessiva dinamica par proprio di capire che una sapiente e potente plurale “manina” ha guidato le danze.
Il condannato a priori, il “ venditore della Fontana di Trevi”, “ il bevitore a sbafo”, a massimo sfregio dei valori democratici, non ha meritato neanche il passaggio più elementare, quello del confronto e voto in Consiglio comunale.
Bruttissimi presagi per la nostra giovane e debole democrazia. Una grande festa per i distruttori della città-capitale.
Si sente un torvo volo di sciacalli, mentre i veri e drammatici problemi italiani ammuffiscono in soffitta,  nel quasi assoluto riverendo silenzio.
domenico stimolo



 

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Commenti Articolo 217

Titolo articolo : 4 Novembre,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: November/01/2015 - 10:30:06.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 01/11/2015 10.30
Titolo:Per ricordare
Sono pienamente d'accordo con quanto hai espresso nella poesia.
Non c'è nulla da festeggiare, c'è solo da ricordare e riflettere. Troppi dolori, troppi lutti ,troppe distruzioni hanno prodotto le guerre.Il 4 Novembre non è giornata di festa ma di lutto : ricordiamo e condividiamo l'atroce dolore delle mamme che in guerra hanno perso i figli...
ricordiamo le città distrutte,il sangue sparso. Mettiamo fina alla guerra. Il Mondo ha bisogno di Pace. Grazie Giovanni per averci dato questa opportunità con questa tua sensata poesi.
 

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Commenti Articolo 218

Titolo articolo : Il tramonto di un sogno,di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: October/14/2015 - 12:10:28.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 14/10/2015 12.10
Titolo:Prudenza...
Caro amico, condivido molte delle sue osservazioni, ma non il suo pessimismo di fondo e, ancor meno, l'attribuzione di tutto al...povro Bergoglio. E' mai possibile che un nuovo Ercole possa farsi carico del mondo intero? Non lo credo proprio...: la storia (in questo caso,) insegna! Cordiali saluti.

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Commenti Articolo 219

Titolo articolo : L’EDUCAZIONE CIVICA NELLE SCUOLE DELLA CITTA’ DI PALMI PER LA CONOSCENZA DEL PATRIMONIO CULTURALE,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: October/04/2015 - 10:55:17.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 11/9/2015 11.35
Titolo:Tuteliamo l'ambiente...
Il patrimonio artistico di un Paese va tutelato,salvaguardato ma soprattutto valorizzato, Certamente non va deturpato cosi' ferocemente come cercano di fare a Palmi.Fa parte integrante dell'economia e della culture di un posto ed è strettamente collegato al presente e  al passato di una collettività.Condivido la lotta che stanno portando avanti il prof. Saffioti e la prof. Rosellina Scarcella.La loro sensibilità verso i beni comuni va premiata con la vittoria della "battaglia" condotta tenacemente.
Autore Città Giorno Ora
Mariella Ratti La Spezia 04/10/2015 10.55
Titolo:
Condivido la vostra lotta, già troppo scempio è stato fatto in Italia delle bellezze naturali e architettoniche. La bellezza di un paesaggio è un bene unico e irripetibile, è cibo per la mente e dolcezza per l'anima. Come non capire? Perché si è così sordi? E perché i cittadini devono lottare per cose così ovvie? Siamo caduti davvero troppo, troppo in basso! Vi sono vicina col cuore e con la mente

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Commenti Articolo 220

Titolo articolo : DA NAPOLI, LA RISCOSSA,di Alex Zanotelli

Ultimo aggiornamento: September/30/2015 - 22:45:20.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 30/9/2015 22.45
Titolo:Anche gli uccelli hanno bisogno dell'acqua
L'acqua è di tutti come il cielo, il mare , l'aria, il sole.Non  deve assolutamente diventare una merce da comprare o vendere.E' un bene comune che ha bisogno di una gestione pubblica.Condivido le affermazioni di Padre Alex Zanotelli,grande difensore di questo bene-diritto.Scendiamo in piazza insieme a lui in difesa dell'acqua pubblica.

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Commenti Articolo 221

Titolo articolo : Abbiamo bisogno di futuro,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: September/28/2015 - 09:21:18.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 28/9/2015 09.21
Titolo:La sinistra è rimorta
Su il Fatto Quotidiano del 23 settembre Andrea Scanzi ,a proposito del Museo di Ghilarza che il PD non finanzia più e che quindi rischia di morire,scrive;"E' rimorto Antonio Gramsci...probabilmente un pensatore cosi' enorme,e cosi' libero,è ancora per molti imbarazzante.."A questo io aggiungo che la sinistra di oggi è una falsa sinistra,quella vera è rimorta con Renzi e i suoi più cari amici che del comunismo,di Gramsci e dell'unità dei lavoratori non conoscono granchè. C'è bisogno più che mai  oggi di una forza di sinistra che faccia gli interessi dei lavoratori e di tutti coloro che in questo nostro Paese non hanno voce e non hanno diritti.

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Commenti Articolo 222

Titolo articolo : Passare dalle parole ai fatti,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: September/27/2015 - 11:46:55.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 27/9/2015 11.46
Titolo:...In viaggio con papa Francesco
Sono pienamente d'accordo con quanto hai scritto.Le parole di papa Francesco non sono da buttare.anzi!!! sono da prendere in grande considerazione.Comunque se le parole restano tali e non si concretizzano in azioni significative capaci di modificare le condizioni di ingiustizia  e di disuguaglianza in cui versa il Mondo ,perdono il loro valore intrinseco e restano vane.Diventano come le facili promesse fatte con molta superficialità da alcuni uomini politici di turnodi cui conosciamo il percorso di vita.

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Commenti Articolo 223

Titolo articolo : Racconto di una magnifica esperienza,di Giuliana De Simone

Ultimo aggiornamento: September/14/2015 - 23:04:16.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 14/9/2015 23.04
Titolo:...Nel giardino della Duchessa della Sila.
Brava Giuliana,interessante articolo.Da quello che hai scritto viene fuori un elemento importante: hai vissuto intensamente quella esperienza della presentazione del libro "La montagna,la luce e il fiore" si sente e i capisce parola dopo parola; viene fuori altresi' quello che sei veramente:una ragazza dotata di una energia e di una vitalità che coinvolge e quasi commuove chi legge .Anche il prof. Saffioti si è commosso ,ne sono sicura.Con questo tuo scritto hai sollecitato nei componenti dell'Associazione Florense per lo Sviluppo Creativo,una nuova consapevolezza e una nuova voglia di andare avanti nel progetto e nel sogno di un futuro di pace.La mia speranza è quella che potremo "tutti noi insieme" sperimentare e realizzare ancora altre  iniziative significative come quella di cui parli in questo tuo articolo.
 

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Commenti Articolo 224

Titolo articolo : UN APPELLO PER UN'INIZIATIVA ANTIRAZZISTA,di Il Centro di ricerca per la pace e i diritti umani

Ultimo aggiornamento: September/14/2015 - 18:25:24.

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Autore Città Giorno Ora
Nellina Guarnieri Bari 14/9/2015 18.23
Titolo:la recrudescenza del razzismo e del superomismo
 Nonostante penose circostanze famigliari mi distraggano dai miei naturali impegni,credendo fortemente nel "è già avvenuto quindi può accadere di nuovo2 ho smesso da tempo di credere nella MEMORIA divenuto solo esercizio liberatorio per esibire una rinnovata coscienza. cercherò di contribuire all'appello per  non  aderire alla regola dell "Homo homini lupo"
Autore Città Giorno Ora
Nellina Guarnieri Bari 14/9/2015 18.25
Titolo:la recrudescenza del razzismo e del superomismo
 Nonostante penose circostanze famigliari mi distraggano dai miei naturali impegni,credendo fortemente nel "è già avvenuto quindi può accadere di nuovo2 ho smesso da tempo di credere nella MEMORIA divenuto solo esercizio liberatorio per esibire una rinnovata coscienza. cercherò di contribuire all'appello per  non  aderire alla regola dell "Homo homini lupo"

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Commenti Articolo 225

Titolo articolo : In gita scolastica ad Expo? No grazie.,di Giampiero Monaca

Ultimo aggiornamento: September/09/2015 - 18:30:34.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 09/9/2015 18.30
Titolo:Il carrozzone
Condivido la decisione presa dai maestri Lina e Giampiero e dagli alunni della Scuola di Rio Crosio .Sull'Expo ci sarebbe molto da dire. Abbiamo capito perfettamente che è un grande carrozzone del capitalismo.Questi due maestri penso che abbiano capito una cosa fondamentale:bisogna far ragionare gli alunni con la propria testa,renderli protagonisti e liberi di "scegliere" e di discernere ciò che di buono o di cattivo succede intorno a noi.Quello di Rio Crosio è un bell'esempio di Scuola autonoma,creativa ma soprattutto ,critica.Bravi Lina e Giampiero !!!avete tutta la mia stima e simpatia estesa anche ai vostri alunni.

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Commenti Articolo 226

Titolo articolo : È ora di fermare la follia omicida delle guerre!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: September/07/2015 - 12:10:29.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 07/9/2015 12.10
Titolo:....e la guerra continua
Condivido le tue idee sulla guerra e sugli armamenti.
Condivido altresi' il fatto che Tavola per la Pace abbia inoltrato 
quella orribile immagine del bimbo siriano perchè anche in questo modo si contribuisce a denunciare le aberrazioni dell'immigrazione,anche cosi' si invita alla riflessione e alla lotta.Condannabile è invece il silenzio e l'indifferenza diffusa.Faccio mia, a tal proposito, la celebre frase del gruppo degli "The Cranberries" che afferma:"Quando la violenza causa silenzio,vuol dire che abbiamo sbagliato qualcosa".
 

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Commenti Articolo 227

Titolo articolo : - Bozza di lettera a Papa Francesco contro la guerra

Ultimo aggiornamento: September/06/2015 - 19:00:41.

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Autore Città Giorno Ora
Sara Chierici Parma 20/4/2015 09.37
Titolo:
Sono d'accordo riguardo la modifica proposta.
Aggiungo che preferirei di gran lunga che usassimo la prima persona plurale. E che in qualche passo facessimo appello all'anelito alla pace e alla felicità presente in ogni autentico "slancio verso l'Alto e l'Altro". 
Autore Città Giorno Ora
Lucio Voltolina Padova 07/6/2015 19.05
Titolo:
anch'io sono d'accordo di sare il plurale "Papa Francesco ti scriviamo per chiederti di lanciare una mobilitazione a livello planetario contro,,,,,,"
Autore Città Giorno Ora
Piero Carini Genova 06/9/2015 19.00
Titolo:Salvaguardia del Creato
Condivido il messaggio per la Pace.
Ho letto l'enciclica di Papa Francesco ed in base alle esperienze di 22 anni, per migliorare la pulizia dell'Ambiente e aumentare la raccolta differenziata con riduzione degli scarti, propongo:
Occorrendo esortare i fedeli di tutte le religioni ad impegnarsi insieme per quanto sopra, ecc., vedrei che Papa Francesco indica ad Assisi una "TAVOLA ROTONDA OPERATIVA" con i responsabili mondiali di tutte le Religioni, nella quale gettare le linee guida da inviare ai Responsabili delle Religioni di tutto il Mondo che a sua volta inviino ai Pastori sul territorio affinché esortino più volte l'anno i Fedeli ad impegnarsi nei problemi sociali: sanità, insegnamento, persone in difficoltà, ambiente, ecc.   

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Commenti Articolo 228

Titolo articolo : Cerco,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: September/04/2015 - 17:28:56.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 04/9/2015 11.45
Titolo:Sarubbi come Ungaretti
Mi piace molto la tua poesia.
C'è in essa la ricerca di qualcosa che non si ha.
Ugnuno di noi va alla ricerca di qualcosa o di qualcuno con cui 
condividere speranze , sogni e progetti.
Ritrovo alcuni tratti di Ungaretti.

Complimenti
Autore Città Giorno Ora
mario pancera Milano 04/9/2015 17.28
Titolo:
Caro Giovanni, un abbraccio
Mario

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Commenti Articolo 229

Titolo articolo : Un marchio, la memoria, la pietà e il disprezzo,di Augusta De Piero

Ultimo aggiornamento: September/04/2015 - 11:54:40.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 04/9/2015 11.54
Titolo:Orrore!!!!!
Sono inorridita da queste terribili immagini.
Mi ritornano in mente le immagini di donne e bambini 
che durante il nazzismo venivano profondamente umiliate con il taglio dei capelli e il corpo nudo.
Ritornano le discriminazioni e le offese più terribili che un uomo possa ricevere:essere marchiato come "carne da macello".
La disumanità sta prendendo il posto dell'umanita'.
Dobbiamo correre ai ripari o sarà troppo tardi.

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Commenti Articolo 230

Titolo articolo :   TRASCURANDO IL COMANDAMENTO DI DIO, VOI OSSERVATE LA TRADIZIONE DEGLI UOMINI,di p. Alberto Maggi OSM

Ultimo aggiornamento: August/30/2015 - 08:04:03.

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Autore Città Giorno Ora
isabelle charlier varese 30/8/2015 08.04
Titolo:Buona giornata!
Commento edificante.... come sempre. Grazie!

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Commenti Articolo 231

Titolo articolo : Registrazione e foto della Presentazione del libro «La montagna, la luce e il fiore»,

Ultimo aggiornamento: August/24/2015 - 22:08:19.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 24/8/2015 22.08
Titolo:La montagna conduce alla luce
Le belle foto che Sarubbi ha pubblicato ci dicono che pace è anche stare bene insieme agli altri e averne rispetto,
Io c'ero alla presentazione del libro "La montagna ,la luce e il fiore" di Saffioti.E' stata una serata straordinaria per diversi motivi.
Non so se nell'organizzare l'evento sono riuscita a fare tutto bene.So solo che il mio impegno non è mancato in nessun momento. Ho cercato ed ho trovato le persone adatte allo scopo:Giuliana,Jò e Maria Teresa . Loro ,con la bravura e la creatività, hanno reso l'incontro anche emozionante in alcuni momenti.Encomiabili i contributi di Sarubbi e padre Felice Scalia.
Auguro al libro di Saffioti un grande successo affinchè possa contribuire alla promozione della cultura della pace e della nonviolenza e perchè no alla conoscenza di noi stessi.Inoltre auguro che possa coinvolgere il lettore in questo grande progetto ,arrivare alle coscienze e riuscire a provocare delle risposte.Possa valere come strumento originale nelle scuole per una educazione alla pace che coinvolga non solo gli studenti ma anche i docenti e le famiglie.

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Commenti Articolo 232

Titolo articolo : QUOTIDIANITA’ DELLA SOFFERENZA,di Vincenzo Andraous

Ultimo aggiornamento: August/07/2015 - 18:26:25.

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Autore Città Giorno Ora
Nellina Guarnieri Bari 07/8/2015 18.26
Titolo: La quotidianeità dells sofferenza
Ho letto e riletto l'articolo le cui
riflessioni diventano più dolorose nellamisura in cui le circostanze ti rendono testimone di come i "codici sociali" legittimano la condanna di un essere umano solo,inquanto donna .sul piano della "dialettica" c'è la tentazione di creare una sorta di gerrachia...tra violenza domestica e violenza sociale ( vedi commento) nentrambe legittimate dal MITO DEL VINCITORE.In realtà  non c'è nessuna differenza tra l'animalescocorredo di percosse e insulti e il raffinato stillicidio di un superego che smantella pensieri,progetti e sogni nel pubblico e nel PRIVATO.Rimane pertanto senza risposta la domanda:" quando con la benedizione della Chiesa ( le donne tacciano.....) e dello Stato( dirittii maritali::...) continuerà a sopravvivere nelle pieghe  della Buona  ocietà patriarcale la fatica di conquistarsi la propria identità di donna?

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Commenti Articolo 233

Titolo articolo : Appunti per l'estate,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: August/05/2015 - 06:38:39.

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Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 05/8/2015 06.38
Titolo:La rivoluzione nonviolenta dell'89

Caro direttore Giovanni Sarubbi,
proprio perché come Centro Gandhi  seguiamo  da anni con vivo interesse il prezioso e insostituibile lavoro informativo a favore della paceche svolgi col giornale in rete Il Dialogo di Monteforte irpino
e alcuni di noi come Raffaello Saffioti sono diventati
giustamente tra i tuoi principali collaboratori,
organizzando insieme a te  l'importante Marcia della Pace svoltasi l'anno scorso a san Giovanni in Fiore,
di cui è appena uscito il libro  "La montagna, la luce e il fiore", che ne racconta la storia,
ci permettiamo di sollevare forti perplessità e una certa incomprensione rispetto al tuo recente editoriale del 03/08/2015 - Appunti per l'estate
Capiamo la tua avversione verso l'attuale politica del governo tedesco e dell'attuale Europa delle banche, che condividiamo,
ma da questo arrivare a riaccreditare le dittature dell'Est Europa e il muro di Berlino, provando nostalgia
per il regime di Erich Honecker, ci pare stupefacente.
Credo che tu sia consapevole che posizioni di questo tipo oltre ad essere infondate
possono essere facilmente attaccate da chi avversa una politica di pacee rischiano di essere controproducenti, screditando e vanificando il tuo sostegno all'azione esemplare di padre Alex Zanotelli
e il valore del tuo appello a Papa Francesco per ulteriori passi
a favore della pace  e della nonviolenza (cfr. "Fermiamo la guerra
Scriviamo a Papa Francesco").
Nel tuo editoriale del 3 agosto arrivi a ironizzare sulla rivoluzione nonviolenta dell'89.
Non possiamo in questa sede riprodurre  tutte le analisi prodotte sul tema in questi anni da Nanni Salio, Tonino Drago,
  e dallo stesso  Centro Gandhi ( cfr. LE ROSE SBOCCIARONO IN AUTUNNO
La rivoluzione nonviolenta del’89 e il recente quaderno di Theodor Ebert, Il Potere dal basso
con l'azione nonviolenta ), alla cui lettura  necessariamente rimandiamo.
Qui vogliamo ribadire che furono i popoli europei a scongiurare con l'azione nonviolenta
la guerra atomica tra Est ed Ovest e a dissolvere il muro e i regimi autoritari dell'Est Europa.
Lungo questo stesso cammino bisogna proseguire per costruire
un'Europa solidale, abbattendo i nuovi muri che si stanno costruendo verso il Sud del mondo,
 chiedendo in modo prioritario un cambiamento del modello di sviluppo,
una politica di disarmo e lo scioglimento del patto militare della Nato.
Tu hai una responsabilità troppo grande per non rimediare
a questo che riteniamo un pericolo scivolone
che espone il movimento per la pace
 alle facili accuse di vetero-stalinismo.
Fraterni saluti,
Rocco Altieri
presidente del Centro Gandhi


 

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Commenti Articolo 234

Titolo articolo : PROFUGHI:“UN’ARIDA BIANCA STAGIONE”,di Alex Zanotelli

Ultimo aggiornamento: August/04/2015 - 15:51:37.

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Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 04/8/2015 15.51
Titolo: La macelleria messicana delle coscienze e delle memorie
Grazie padre Alex, che levi la tua voce coraggiosa di testimone in un'Italia, in cui le coscienze sembrano aver dimenticato che siamo stati - e riprendiamo ad esserlo con i nostri giovani che cercano speranza all'estero - un paese di emigranti. Ma non esistono né emigranti, né rifugiati né clandestini, ma umani che si rivolgono a noi, che purtroppo non riusciamo più a essere umani!
 

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Commenti Articolo 235

Titolo articolo : LA SACRALITA’ DELLE MAMELLE,di Agostino Spataro

Ultimo aggiornamento: August/02/2015 - 19:02:19.

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Autore Città Giorno Ora
Nellina Guarnieri Bari 02/8/2015 19.02
Titolo:che cosa si pretende dalla donna?
e' una domanda che mi pongo spesso ....come donna ma  venendo al tema  mi viene in mente "la venere paleolitica" riconoscibile dai seni prosperosi reinterpretata dalle donne fellliniane con valenza profondamente mutata.la dimensione mitica arricchita e modificata nel tempo dal folklore ,dai miti popolari,superstizione  è sostituiita  a mio avviso da una sorta di neofeticismo che gratifica e risarcisce...la mascolinità ferita con la raffinità dell'arte....... e con gli approcci usa e getta.D'altra parte mi sembra vche lei rimpianga l'idea della " magna mater  accusandol a sacralità violata non soltanto dal grottesco volume delle mammelle...... ma da ben altro...

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Commenti Articolo 237

Titolo articolo : A ruspe e manganelli Roma, per fortuna, ancora reagisce,di Stefania Salomone

Ultimo aggiornamento: July/24/2015 - 19:59:27.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 24/7/2015 19.59
Titolo:La violenza impera.
Non ci possono essere commenti per la crudeltà di queste immagini.
Non ci sono parole per spiegarla.
Non ci sono motivi per condividerla.
Vorrei che ci fossero uomini che la eliminassero.
Grazie mille,Stefania Salomone per questo articolo- denuncia.
 

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Commenti Articolo 238

Titolo articolo :   DISTRIBUI’ A QUELLI CHE ERANO SEDUTI QUANTO NE VOLEVANO,di p. Alberto Maggi OSM

Ultimo aggiornamento: July/24/2015 - 09:17:52.

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Autore Città Giorno Ora
isabelle charlier varese 24/7/2015 09.17
Titolo:Bellissimo!
Grazie per la sua condivisione edificante!

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Commenti Articolo 239

Titolo articolo : I docenti e la paura della meritocrazia,di Renata Rusca Zargar

Ultimo aggiornamento: July/15/2015 - 11:54:50.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 15/7/2015 11.54
Titolo:D'accordo
Complimenti! Per quanto da altro punto di vista e non senza errori, la mia esperienza mi ha portasto a risultati analoghi. Gran parte degli insegnanti, spesso anche presuntuosi, erano impermeabili a interventi esterni e chiusi nei loro comportamenti abituali! Auguri e cordiali saluti.

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Commenti Articolo 240

Titolo articolo : "La testa nel Medioevo ed i piedi nel XXI° secolo",di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: July/14/2015 - 19:47:36.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 14/7/2015 19.47
Titolo:Complimenti!
Del tutto d'accordo, anche se, a volte, il suo linguaggio è... duro! A mio avviso, però, occorrerebbero più casse di risonanza, perché queste voci..."dissidenti" possano giungere ai più! Auguri.

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Commenti Articolo 241

Titolo articolo : Se fossi greco....,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: July/05/2015 - 14:11:05.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 05/7/2015 14.11
Titolo:Tsipras.....il rosso...
Se fossi greca, arrivati a questo punto, vorrei che vincesse il NO.
Se fossi greca vorrei la cancellazione del debito.
Se fossi greca non vorrei rapporti con la Germania.
Se fossi greca sicuramente annullerie la scheda elettorale.
Se fossi greca mi batterei contro le misure di austerity
Se dovesse passare il "SI" preferirei non essere greca....

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Commenti Articolo 242

Titolo articolo : Costruttori di pace cercasi,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: June/30/2015 - 15:01:30.

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Autore Città Giorno Ora
moreno ceron vicenza 28/6/2015 19.32
Titolo:
Ciao, fai bene ricordare le persone che si sono impegnate per la pace...condivido quello che scrivi...rimaniamo fiduciosi                                 Moreno
Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 30/6/2015 15.01
Titolo:La Pace minacciata
Ciao Giovanni,sono molto contenta di leggere il tuo editoriale.Certo che oggi giorno con il terrorismo che avanza c'è molto da preoccuparsi.Tante persone hanno persino paura di andare in vacanza dopo quello che è successo giorni fa: La Pace,come hai più volte ribadito,è un valore universalmente riconosciuto ma, il più delle volte,non è difeso e custodito come si dovrebbe. Per realizzare la Pace c'è bisogno di quelli che tu chiami "costruttori di pace",persone cioè capaci di superare pregiudizi ideologici e religiosi. Voglio dirti che è difficile trovarli a quanto pare,in questo mondo che spesso si regge sulla corruzione, sull'ingiustizia, sulla guerra, sull'oppressione degli ultimi.Siamo consapevoli che gli atti di terrorismo sono una minaccia forte per la Pace internazionale,sono atti immorali perchè colpiscono il progresso,l'autodeterminazione delle persone e la loro dignità.Bisogna tentare di tutto per "salvare la Pace". Qualcuno diceva:"E se vale la pena rischiare,io mi gioco anche l'ultimo frammento di cuore".

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Commenti Articolo 243

Titolo articolo : LA SCUOLA BUONA (E QUELLA CATTIVA),di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: June/28/2015 - 21:38:55.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 28/6/2015 20.28
Titolo:L'educazione è liberazione
Paulo Freire come Don Milani affermava che l'educazione è liberazione Una sua frase era:"il dialogo serve per la liberazione,l'antidialogo serve per l'oppressione".Penso che se il metodo d'insegnamento non è fondato sul dialogo e sull'impegno costante di aiutare gli alunni svantaggiati a conoscere la realtà e a prendere coscienze delle proprie capacità ,non porta ad alcun risultato.La scuola di oggi,come quella di ieri, tende purtroppo a distinguere e separare i bambini poveri di stimoli da quelli che ne sono ricchi costruendo in tal modo una grande ingiustizia pedagogica.Ho insegnato per circa 40 anni nella Scuola Elementare ,ho amato molto il mio lavoro, ho sempre cercato di mettermi sullo stesso piano dei miei alunni e dato loro sempre e comunque la possibilità di espremere i loro desideri,le loro paure ,le loro idee. Il rispetto ,la condivisione,la collaborazione e l'impegno sono alla base di un buon insegnamento-apprendimento perchè"gli uomini si educano tra loro con la mediazione del mondo".Condivido tutto quanto scritto dal prof. Saffioti in questo articolo.
Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 28/6/2015 21.38
Titolo:Una riflessione  importante
Quanti tra i docenti conoscono oggi don Milani, Capitini e Dolci ?  
Una riflessione  importante che spinge alla lettura e
all'approfondimento.

 

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Commenti Articolo 245

Titolo articolo : Uomini e donne in lotta per la giustizia, l'amore e la pace cercasi,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: June/21/2015 - 15:28:18.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 21/6/2015 15.28
Titolo:La chiesa non è la casa dei poveri.
Molti sono i motivi per condividere il contenuto dell'editoriale di Giovanni Sarubbi,non sto certo qui ad elencarli.La lettera di papa Francesco mette in evidenza tutte le storture del Mondo in cui viviamo,dall'inquinamento dell'ambiente,alle sofferenze inflitte dalle guerre,dalla fame fino alle responsabilità dei privilegiati,dei detentori del potere. Propone un grande progetto collettivo per il superamento del disumanesimo imperante.Tutti sono chiamati ,credenti e non credenti,poveri e ricchi,dominatori e dominati,a condividere la cultura della nonviolenza,della pace e della solidarietà.Mi domando:In questo grande progetto qual è il ruolo della potente Chiesa, della Chiesa ricca, della Chiesa che esclude i poveri? La Chiesa è davvero oggi la casa dei poveri? Numerose sono le mie perplessità e i miei dubbi a proposito. Grazie Giovanni per offrirci per l'ennesima volta una grande occasione per riflettere su quanto accade intorno a noi.

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Commenti Articolo 246

Titolo articolo : E’ IL PIU’ PICCOLO DI TUTTI I SEMI, MA DIVENTA PIU’ GRANDE DI TUTTE LE PIANTE DELL’ORTO, di P. Alberto Maggi

Ultimo aggiornamento: June/14/2015 - 08:14:12.

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Autore Città Giorno Ora
isabelle charlier varese 14/6/2015 08.14
Titolo:Bellissimo! Grazie!
Accolgo nel più profondo del cuore e con gioia questa parabola e il bellissimo commento che l'accompagna.
Buona settima a tutti.

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Commenti Articolo 247

Titolo articolo : Se questa è una vittoria. I dati "reali" nel Paese "reale",di perUnaltracittà - laboratorio politico, Firenze

Ultimo aggiornamento: June/11/2015 - 10:11:24.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 11/6/2015 10.11
Titolo:Però...
Scusandomi, di primo acchito mi pare che ci sia, forse, un'idiosincrasia nei confronti del "caudillo rignanese", pur con tutti gli innegabili difetti, che possa avere. Sbaglio? Per questo le scuse iniziali.

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Commenti Articolo 248

Titolo articolo : La radice dell'amare,di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: June/11/2015 - 09:58:13.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 11/6/2015 09.58
Titolo:Dimenticanza?
Tutto condivisibile, ma, forse, c'è qualche dimenticanza. Per es. che Bergoglio ha proclamato l'anno della misericordia, che, a mio avviso, include anche la codivisione. D'altronde, sia Follerau che Bergoglio non si pongono da una prospettiva politica, bensì religiosa (con molte riserve, da parte mia), o, meglio, cristiana...

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Commenti Articolo 249

Titolo articolo : Il 2 GIUGNO FESTA DELLA REPUBBLICA,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: June/06/2015 - 11:17:06.

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Autore Città Giorno Ora
renato lombardo Palmi - RC 05/6/2015 18.44
Titolo:
Autore Città Giorno Ora
renato lombardo Palmi - RC 06/6/2015 11.17
Titolo:Se non ora quando?
Condivido l’articolo di Raffaello, vorrei aggiungere qualcosa anch’io. Dov’è il mondo della Cristianità, soprattutto cattolica?. Si è  vero siamo uno stato laico la chiesa cattolica non deve intervenire nelle questioni interne ad un altro stato, ma è anche vero che le ingerenze negli anni sono state tante(divorzio, aborto, famiglia, omosessualità, procreazione assistita, eutanasia etc. etc….) e non sempre contrastate da parte dello stato, spesso le ha subite passivamente. Tutte ingerenze fatte invocando il vangelo, allora mi chiedo perché non si è mai intervenuti  su i temi della violenza/nonviolenza, guerra, sistema militare, cappellani militari, inutili parate militari tutti in contraddizione con lo spirito del vangelo, e questo papa che tanta ammirazione sta suscitando anche in ambienti laici non ha niente da dire?. Vorrei concludere anch’io con alcune  citazioni: “la guerra è la cosa più stupida che gli uomini possano fare” –  Un vecchio Indiano d’America, tratto dal libro: “Fuori da un evidente destino” di Giorgio Faletti. “In guerra si crede di morire per la patria, ma in realtà si muore per l’industria” Anatole France Premio Nobel per la letteratura. Ciao René

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Commenti Articolo 250

Titolo articolo : SALVIAMO JURE VETERE (FIORE ANTICO) NELLA TERRA DI GIOACCHINO DA FIORE,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: June/02/2015 - 11:45:51.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 17/5/2015 19.23
Titolo:L'incompetenza...governa
Condivido quasi tutto di quanto afferma il Prof. Saffioti che conosce abbastanza bene la realtà sociale e politica di San giovanni in Fiore.
Qui da noi,come certamente anche altrove,in questi giorni di competizione elettorale c'è addirittura qualcuno che "mercifica"tutto: la dignità, la libertà di voto, distribuendo vino, panini, dolci e altro ai giovani sprovveduti e perchè no anche disoccupati in cambio di un voto.
La Politica ha perso valore e significato. Che amarezza constatare tutto ciò!!!!
Autore Città Giorno Ora
Nellina Guarnieri Bari 02/6/2015 11.45
Titolo: Se le pietre parlassero......
Eg.prof.ho letto con grande interresse i suoi interventi ricchi di stimoli su G.da fiore  strumenti che permettono di misurare la società attualr conminore autocelebrazione.in una sorta di mvolo pindarico mi succede di associare "il medioevo oscurantista" con le "magnifiche e progressive sorti" leopardiane.Nonosatente loscurantismo lo spirito pauperisticodi G. come si sa, non è che lamediazione di isatnze sociali dolorosamente contrapposte al potere assoluto.Il messaggio leopardiano nel suo laicismo non fa che prendersi beffa  di un  trionfalismo che non ha salvato la dignità degli umili.Ancora OGGI si metterebbero a gridare le pietre se i nuovi barbari  non lasciano nemmeno quelle

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Titolo articolo : UN’ONDA VERDE, DAL BASSO,di Alex Zanotelli

Ultimo aggiornamento: May/26/2015 - 17:40:37.

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Michele Zarrella Gesualdo 26/5/2015 17.40
Titolo:Tutti a Parigi
Caro Alex,
sono perfettamente d'accordo con le tue proposte. Sono a disposizione per qualunque iniziativa. Scrivo sul giornale, vado facendo conferenze nelle scuole e nelle associazioni, ho scritto  dando la mia disponibilità a presidi, docenti, vescovi e sacerdoti, presidenti di fondazioni, associazioni e quant'altro. Partecipo a convegni e a manifestazioni contro le trivellazioni in Irpinia, nel Sannio e in qualunque parte del mondo.
Sono disposto ad andare a Parigi per manifestare la nostra volontà di cambiamento a questa logica del profitto illimitato, dello strapotere ottuso delle multinazionali, del PIL che deve crescere, crescere, crescere consumando il nostro unico e bellissimo pianeta della cui capacità rigeneratrice abbiamo già superato i limiti.

Sorridi.
Michele

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Titolo articolo : TEST ELETTORALE E RETE DEL NUOVO MUNICIPIO,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: May/21/2015 - 12:02:51.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 21/5/2015 12.02
Titolo:Il monito di Gramsci
Bella e significativa la citazione relativa agli Indifferenti secondo Antonio Gramsci.La sua vita senza dubbio è stata un insegnamento che tutti i giovani di oggi dovrebbero tenere presente.Sarebbe necessario anche che i giovani conoscessero le sue opere,i suoi scritti ma soprattutto la sua vita di uomo capace di difendere le proprie idee anche a costo di stare in carcere, di affrontare la sofferenza di chi perde parte della sua libertà.Credo che oggi Gramsci sarebbe dalla parte dell'astensionismo constatato che in Italia dilagano la demagogia,la corruzione,il clientelismo,  i cattivi comportamenti ,l'incoerenza e il trsformismo.Il suo odio verso gli indifferenti ci deve servire da monito per diventare cittadini attivi.Per lui tra gli indifferenti devono essere collocati tutti coloro che non pagano le tasse,che chiedono favori ai politici,che non protestano difronte ai torti subiti,che non scelgono da che parte stare, che non lottano per il cambiamento del sistema corrotto e antidemocratico che ha preso piede ormai da molti anni, e che quindi "stanno alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano..." 

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Titolo articolo : Noi crediamo nella PACE, vogliamo la PACE, imploriamo la PACE,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: May/19/2015 - 22:41:49.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 19/5/2015 22.41
Titolo:Il dominio della crudeltà.
Il mondo è pieno di crudeltà, è amaro dirlo.
-Migranti che, durante il viaggio della speranza vengono torturati;
-donne stuprate,violentate e costrette a scendere a patti ad accettare "proposte indecenti" in cambio della possibilità di proseguire il cammino in mare;
-Rom e Sinti circondati e prigionieri di pregiudizi,di un clima violento e ostile. L'elenco delle ingiustizie  potrebbe continuare a lungo.
In questo Mondo cosi' strutturato si rischia un "nuovo olocausto", si rischiano nuovi campi di concentramento, nuovi Auschwitz.
L'Umanità è in pericolo,la Pace è in pericolo!!!

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Commenti Articolo 254

Titolo articolo : “DELL’ELMO DI SCIPIO SI E’ CINTA LA TESTA…”,di Alex Zanotelli

Ultimo aggiornamento: May/19/2015 - 17:45:44.

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giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 16/5/2015 22.43
Titolo:La crudeltà deve avere una fine....
"La guerra è follia" e chi la fa fare è un pazzo da legare subito, ne siamo pienamete convinti tutti noi che non ne possiamo più della violenza e dei soprusi che si perpetuano a danno dei ceti indifesi come sono appunto gli immigrati che"scappano" dai territori infestati dalla guerra per trovare asilo in Italia o altrove.Chi crede di risolvere questo grave e annoso problema distruggendo i barconi degli scafisti vuole solo innescare una trappola mortale che ben presto avrà brutte conseguenze per tutti. Non finirebbero certo cosi' le sofferenze per tantissime persone che cercano,ripeto,di fuggire dalla guerra e dalla povertà. Non si arresta cosi' neanche il numero dei morti. C'è bisogno urgentemente di cercare  e di trovare un'alternativa per la risoluzione,
senza crudeltà, del problema dei rifugiati.
Autore Città Giorno Ora
Nellina Guarnieri Bari 19/5/2015 17.45
Titolo:lLitalia ripudia la guerra?
E' difficile non chiamare in causa il suo aforismo degli ARRAFFATERRE.L'Europa a guardar bene compreso l'talico furore per annientare lo straniero....non sono che "una espressione geografica"impegnata a tutelarsi dalle nascenti  potenze economiche:BRICS-CINA-INDIA e non ries2cono a dimenticare le aspirazioni delle terre al sole e degli aborigeni da civilizzare"specialmente quelli che siamo costretti ad ospitare...."E' davvero  per  noi poca cosa condividere il suo sdegno e la sua straordinaria fatica ma e possibile costruire un mondo diverso  contro i farisei di nuova generazione___
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Nellina Guarnieri Bari 19/5/2015 17.45
Titolo:lLitalia ripudia la guerra?
E' difficile non chiamare in causa il suo aforismo degli ARRAFFATERRE.L'Europa a guardar bene compreso l'talico furore per annientare lo straniero....non sono che "una espressione geografica"impegnata a tutelarsi dalle nascenti  potenze economiche:BRICS-CINA-INDIA e non ries2cono a dimenticare le aspirazioni delle terre al sole e degli aborigeni da civilizzare"specialmente quelli che siamo costretti ad ospitare...."E' davvero  per  noi poca cosa condividere il suo sdegno e la sua straordinaria fatica ma e possibile costruire un mondo diverso  contro i farisei di nuova generazione___

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Titolo articolo : CHI RIMANE IN ME E IO IN LUI PORTA MOLTO FRUTTO,di P. Alberto Maggi OSM

Ultimo aggiornamento: May/04/2015 - 11:20:09.

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Autore Città Giorno Ora
isabelle charlier varese 04/5/2015 11.20
Titolo:Bellisimo....
...come sempre!
Grazie!

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Commenti Articolo 256

Titolo articolo : LA STRAGE DEGLI ARMENI: GIORNI DI SANGUE SUL MUSSA DAGH,di Daniela Zini

Ultimo aggiornamento: April/29/2015 - 17:15:48.

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Autore Città Giorno Ora
Nellina Guarnieri Bari 29/4/2015 17.15
Titolo:Negazione e genocidio
Nonostante le testimonianze e le immagini che documentano il massacro di un popolo,con un  pilatesco appreoccio si continua ad argomentare su questioni giuridiche e banalmente terminologiche sel tema "GENOCIDIO" il tutto a seconda delle circostanze solennizzato dalla".... Memoria. Ormai non ci sono più ambiguità sul progetto del nazionalismo turco e delle pretese di costruire una razza pura ma si continua da parte del governo turco ad usare anche toni "Minacciosi"sono tante le espressionidi sdegno:homo hominis lupus....Dio è morto....forse che la prima considerazione deriva dalla seconda?o forse perchè semplicemente la storia di Caino e Abele èl'archetipo della natura umana con o senza Dio?aiutatemi a capire perchè lo sdetno è tanto.....

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Commenti Articolo 257

Titolo articolo : La via della pace,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: April/27/2015 - 10:52:53.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 27/4/2015 10.52
Titolo:Il mare non è sempre azzurro...
Concordo con quanto hai scritto. Penso anch'io che  per la tratta di esseri umani che avviene nel Mare Nostrum non può essere colpevolizzato solo il trafficante di migranti.L'immigrazione clandestina è un problema troppo grosso e non può essere imputato solo all'avidità degli scafisti e alla loro voglia di guadagnare troppi soldi in poco tempo.Queste tragedie hanno una causa politica che riguarda tutta l'Europa.

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Commenti Articolo 258

Titolo articolo : IL NAUFRAGIO DELL’EUROPA,di Alex Zanotelli

Ultimo aggiornamento: April/26/2015 - 21:38:20.

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Autore Città Giorno Ora
marco donà venezia mestre 26/4/2015 21.38
Titolo:AMAREZZA E RABBIA
QUANTO CONDIVISIBLI SONO QUESTE RIFLESSIONI E VE LO SCRIVE UN COMUNISTA INCALLITO MA INTANTO IN QUESTA ITALIETTA PREVALE IL RAZZISMO E LA XENOFOBIA DI SALVINI, ED IO LA VIVO SULLA PELLE  VIVENDO NEL PROFONDO NORD EST CONTINUATE COSI' IO VI LEGGO SEMPRE CON ESTREMO INTERESSE ED IL PIU' DELLE VOLTE MI TROVO COMPLETAMENTE 
IN ACCORDO E LA COSA NON MI STUPISCE ASSOLUTAMENTE

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Commenti Articolo 259

Titolo articolo : Il mondo ha bisogno che la guerra finisca,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: April/21/2015 - 14:33:39.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 21/4/2015 14.33
Titolo:...Mare Nostrum che non sei in cielo"....
Denuncia ferrea quella di Giovenni Sarubbi a proposito dello sterminio degli Armeni avvenuto 100 anni fa per motivi chiaramente razziali.
Caro Giovanni lo sterminio di uomini, donne e bambini continua senza sosta ancora oggi, come tu ben sai.
Gli ultimi 700 immigrati morti nell'ultima strage del Mare Nostrum gridano giustizia e  chiedono chiarimenti su tutto quello che succede nel Mediterraneo da qualche tempo. Le acque di quel mare sono testimoni di fatti allucinanti. gravissimi,atroci. Se le acque potessero parlare!!.....
I viaggi di speranza alla ricerca di lavoro e di una condizione di vita più dignitosa si trasformano ...e diventano viaggi di morte e dolore. Quando l'Europa si sentirà in obbligo  di intervenire? Ripeto :se le acque  del Mediterraneo potessero parlare verrebbero fuori verità atrici.

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Commenti Articolo 260

Titolo articolo : LA CITTA’ NELLA RETE DEL NUOVO MUNICIPIO,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: April/14/2015 - 23:34:01.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 14/4/2015 23.34
Titolo:Potere al popolo
Grazie al professore Saffioti che ci ha dato l'opportunità di leggere questo notevole documento e poi grazie anche al Comitato del Forum delle Associazioni Vibonesi per l'impegno profuso nella costruzione della democrazia dal basso .L'Italia da un bel pò di tempo non è un Paese retto ed ordinato secondo i principi della democrazia.Viviamo in una forma di democrazia apparente "Senza popolo " come sostiene giustamente Rodotà. Il despota si nasconde sotto abiti eleganti e a volte anche sotto felpe molto colorate. I partiti non rappresentano neanche se stessi considerate le forti incoerenze che vivono al loro interno.I rapporti sociali,i diritti civili e politici sono calpestati,offesi e affondati.Gli eletti dal popolo sono corrotti,rubano,delinquono e nonostante tutto restano attaccati alle poltrone.Non sono all'altezza del compito loro affidato dai cittadini con il voto. Cambiamo Vibo per cambiare l'Italia.

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Commenti Articolo 261

Titolo articolo : Genocidio,di Sergio Grande

Ultimo aggiornamento: April/14/2015 - 11:56:38.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 14/4/2015 11.56
Titolo:Vignetta......
La Vignetta apparentemente "umoristica" illustra una battuta non solo di spirito ma di grande attualità. Condivido la risposta di Gesù. In giro nel mondo troppi sono i sanguinosi  genocidi che offendono l'anima dell'Umanità.

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Commenti Articolo 262

Titolo articolo : Bene la Misericordia, e contro la guerra cosa facciamo?,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: April/12/2015 - 21:43:18.

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Autore Città Giorno Ora
GIOVANNI PIPINO FOSSANO 12/4/2015 21.43
Titolo:Misericordia e la Maddalena
Apprezzo il suo impegno e, ammetto, non ho ancora letto la lettera del Papa. Tuttavia, la misericordia non è data a chiunque, ma a chi si pente ed ha, nel proposito, di non peccare più, come nel caso della confessione. Ricordare che Dio è misericordioso, significa che Dio lascia le 99 pecorelle per trovare quella dispersa, come dire fatevi coraggio, Dio è lì che ti aspetta. Gesù non dice alla Maddalena "va bene così", ma "vai e non peccare più"; come Gesù dice se mi amate fate ciò che io vi dico: Lui è la Verità, e la Verità è nel seguire la Sua Parola. Che la Chiesa apra alle indulgenze spero proprio di no ed in ogni caso senza "pagamenti": in questo caso bisognerà fare una lettera di "premessa" ai Sacerdoti: la misericordia non si compra!

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Commenti Articolo 263

Titolo articolo : La bruttezza del creato,di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: April/12/2015 - 20:28:49.

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Autore Città Giorno Ora
Alberto Bencivenga ROMA 12/4/2015 20.28
Titolo:CREATO BELLO?
Come fa il creato ad essere non un fortuito frutto del caso, ma reffetto  di una programmazione intelligente e buona, se le gazzelle sono state messe a vivere in una savana dove i leopardi ne sbranano vive il 40% al loro primo giorno di vita?

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Commenti Articolo 264

Titolo articolo : LA VIA DELLA CROCE NON E’ LA VIA DELLA CONCILIAZIONE,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: April/06/2015 - 20:20:01.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 05/4/2015 18.00
Titolo:Resurrezione come liberazione
Molte sono le persone che in questo Mondo portano la croce sulle spalle.
La croce dell'oppressione,la croce dello sfruttamento,la croce dei soprusi,la croce di ferro della guerra.Gesù rivive in tutti coloro che ingiustamente patiscono,soffrono e spesso muoiono senza averne alcuna responsabilità. Possa Gesù risorto farci ritrovare la forza di cambiare tutto ciò che "non va bene" intorno a noi e migliorare le condizioni di vita di chi vive ai margini della società.
Grazie Raffaello per questo tuo nobile contributo.
Autore Città Giorno Ora
renato lombardo Palmi - RC 06/4/2015 20.20
Titolo:Riconciliazione e coraggio
Raffaello, sono d’accordo con te è importante stabilire  perché e come Cristo è morto. Gesù ha condannato l’ingiustizia facendo nomi e cognomi. Se così non fosse stato, se avesse solo parlato di uccelli e di fiori, come qualcuno ha detto, sarebbe morto tranquillamente a ottant’anni nel suo letto. La speranza di cambiamento dicevi potrebbe venire da questo Papa. Io personalmente son cauto ancora non vedo atti concreti (nonostante i bei discorsi e qualche bel gesto), come potrebbero  essere una vera riforma, un nuovo concilio (incominciando ad applicare pienamente e concretamente il Vaticano II), l’abolizione del concordato (rinunciando, come hai detto tu, ai privilegi anche a quelli non derivanti dal concordato stesso), l’insegnamento della religione cattolica, fino ad arrivare a mettere in discussione la stessa Istituzione Papale (ancora uno degli ostacoli per l’unità dei cristiani) e  lo Stato Vaticano con i relativi privilegi . Lo so forse sto esagerando ma è ormai ora di avere CORAGGIO... in fine, se vogliamo parlare di conciliazione o riconciliazione incominciamo a sconfessare le parole di Papa Benedetto XVI quando disse che l’unica strada per il Paradiso passa attraverso la religione cattolica (già sarebbe stato inaccettabile parlare  solo di religione cristiana figuriamoci...). Concludo con una preghiera e una frase di uno scrittore;

PREGHIERA DELLA SERENITA’: “Signore, concedimi la Serenità di accettare le cose che non posso    cambiare, il Coraggio di cambiare quelle che posso, la Saggezza di conoscerne la differenza.
“Il mondo è nelle mani di coloro che hanno il Coraggio di Sognare e di correre il rischio di Vivere i propri  Sogni”. Paulo Coelho. Ciao Renè     

 

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Commenti Articolo 265

Titolo articolo : Dichiarazione di Nuova Delhi del 27 novembre 1986,a cura di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: April/01/2015 - 12:59:32.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 31/3/2015 10.29
Titolo:Venditori di ....armi
Grazie professore Saffioti.Questo ulteriore suo lavoro che ci permette di conoscere la" Dichiarazione du Nuova Delhi",è un monito su cui tutti dovremmo riflettere seriamente ed esprimere un parere.Papa Francesco in Giordania,davanti a numerosi profughi della Siria ha affermato:" Tutti vogliamo la pace ,ma guardando a quello che accade vediamo che la radice del male è l'odio e la cupidigia del denaro delle fabbriche e della vendita delle armi":Queste parole che ho cercato di analizzare e di capire mi invitano a pormi e a porre alcune domande:-Perchè l'industria della difesa continua a vendere armi in Medio Oriente anzichè garantire la sicurezza tra i popoli?
-Perchè non si interrompono le vendite di armi?
L'idea dell'aggressione mi ha sempre turbata  e a volte anche spaventata. Mi piacerebbe che tra i popoli ci fosse scambio di amicizia,di collaborazione di aiuto reciproco invece che scambio di armamenti.
Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 01/4/2015 12.59
Titolo:In Pace ....si vive meglio
La Dichiarazione di Nuova Delhi di cui ci ha fatto regalo il nostro amato Prof. Saffioti,è certamento un documento di interesse rilevante e significativo per tutti coloro che credono che ,solo attraverso la Pace e la Nonoviolenza ,si può costruire un mondo migliore.Nel Documento ad un certo punto si leggono ,tra gli altri,i seguenti principi:-La vita umana deve essere considerata il valore supremo; -La Nonviolenza deve essere alla base della comunità umana; -La comprensione reciproca e la fiducia devono sostituire la paura e il sospetto.
Oggi più che mai si vive di paura e di sospetto ,visto che la violenza attraversa la vita di tutti noi in questa società basata sulla corruzione,sulla delinguenza,la disuguaglianza,l'ingiustizia e soprattutto la guerra in molte parti del Mondo.Necessita pertanto una politica più giusta che sia quello che dovrebbe essere cioè servizio sociale teso alla risoluzione dei problemi dei cittadini e dell'ambiente,garanzia di sicurezza ,di fiducia  anche attraverso l'educazione alla Pace,alla tolleranzae al rispetto delle diversità e delle differenze tra i popoli.

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Commenti Articolo 266

Titolo articolo : "Volti e percorsi dell'Islam d'Europa",

Ultimo aggiornamento: March/31/2015 - 17:55:23.

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Autore Città Giorno Ora
Nellina Guarnieri Bari 31/3/2015 17.55
Titolo:EUROPA E ISLAM
Un tema che porta ancora i segni di un "etnocentrismo" che alimenta nostalgie da superomismo,la quotidianietà trasuda esempi da tutte le parti Farsi poi delle domande fa spesso scoprire realtà che si vogliono ignorare. Da "dilettante inquieta mi ponga  la domanda delle domande.: "perchè il confronto con la civiltà islamica non riesce ad abbattere il muro non solo fisico che impedisce il riscatto palestinese? leggittimando invece esplosioni di terrorismo che finiscono per diventare alibi? Se la visione laica della questione continua a legittimare il culto della TERRA PROMESSA  ,la fede in un Dio perchè non accomuna cristiani,ebrei,copti musulmani perseguitati ibn tutto il continente africano ?. Consentitemi poi di rivolgervi una richiesta.E possibile accedre agli atti dei master di Studi e come è possibile poter partecipare    Grazie per la fonte di riflessioni e buon lavoroe serena Pasquaz
Autore Città Giorno Ora
Nellina Guarnieri Bari 31/3/2015 17.55
Titolo:EUROPA E ISLAM
Un tema che porta ancora i segni di un "etnocentrismo" che alimenta nostalgie da superomismo,la quotidianietà trasuda esempi da tutte le parti Farsi poi delle domande fa spesso scoprire realtà che si vogliono ignorare. Da "dilettante inquieta mi ponga  la domanda delle domande.: "perchè il confronto con la civiltà islamica non riesce ad abbattere il muro non solo fisico che impedisce il riscatto palestinese? leggittimando invece esplosioni di terrorismo che finiscono per diventare alibi? Se la visione laica della questione continua a legittimare il culto della TERRA PROMESSA  ,la fede in un Dio perchè non accomuna cristiani,ebrei,copti musulmani perseguitati ibn tutto il continente africano ?. Consentitemi poi di rivolgervi una richiesta.E possibile accedre agli atti dei master di Studi e come è possibile poter partecipare    Grazie per la fonte di riflessioni e buon lavoroe serena Pasquaz

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Commenti Articolo 267

Titolo articolo : Appello: costituiamo un comitato nazionale contro le falsità dei mezzi di comunicazione,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: March/31/2015 - 17:24:16.

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Autore Città Giorno Ora
vincenza podo terni 31/3/2015 17.24
Titolo:bugie dei media
SONO D'ACCORDO A FORMARE UN COMITATO CHE DENUNCI LE BUGIE DEI MEDIA,COME?

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Commenti Articolo 268

Titolo articolo : 1. IL PROCESSO DEI CAVALIERI DEL TEMPIO,di Daniela Zini

Ultimo aggiornamento: March/26/2015 - 21:26:01.

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Autore Città Giorno Ora
Antonia Mattiuzzi Milano 26/3/2015 21.26
Titolo:
Rispondo al tuuo Augurio Pasquale con tutto il mio affetto. Sono come te una donna sola e la condizione che avevo scelto precocemente di cui non mi sono mai pentita. La convivenza co Gloria è avvenuta solo in seguito alla malattia, gli ultimi tredicianni della sua esistenza. Prima, il nostro legame era comunque fortissimo, ma nessuna delle due aveva programmato una convivenza. Tutto è ststo giusto e col senno dipoi  stato quello che doveva essere, Il discorso sui templari mi ha chiarito molte cose. C'era sempre qualcosa di vago nelle letture che precedenti.
Mi hai chiarito moltiaspetti, Eravamo state in Libano al Crak des chevaliers, ma tuttoè soffuso di nebbia.
 

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Commenti Articolo 269

Titolo articolo : Papa Francesco a Napoli: inizia una storia tutta da scrivere,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: March/23/2015 - 21:18:20.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 23/3/2015 21.18
Titolo:Riscoprire l'umanità
Racconto particolareggiato.ordinato e....colorato. Complimenti.
Papa Francesco che va a pranzo con i carcerati di Poggireale; Papa Francesco che afferma che l'acqua è un bene comune e nessuno deve essere escluso dal suo uso; Papa Francesco che tiene le distanze da una chiesa " succube dei poteri che opprimono gli uomini e le donne"..Papa Francesco che sta dalla parte degli sfruttati e dei poveri,che condanna la corruzione e la delinguenza,che afferma che l'uomo deve ritrovare l'umanità perduta...
Vorrei poter avere Papa Francesco come amico oppure avere l'occasione di incontrarlo da vicino per potergli parlare di ciò che succede nel mio paese........

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Commenti Articolo 270

Titolo articolo : IN CENTRAFRICA SI MUORE LENTAMENTE NELL’INDIFFERENZA INTERNAZIONALE,di Assunta Daniela Veruschka Zini

Ultimo aggiornamento: March/23/2015 - 18:51:40.

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Autore Città Giorno Ora
Nellina Guarnieri Bari 23/3/2015 18.51
Titolo: GLI ARRAFFATERRE
utilizzo l'espressione usata da padre Zanotelli che rende perfettamente una prassi che haradici nel passato ..remoto... uno degli slogans dei movimenti africani di liberazione recitava.un tempo noi avevamole terre e voi la bibbia,ora voi avete le terre e noi la Bibbia".non è cambiato niente,non c'è più il salvacondotto della Bibbia.Speculatori di ogni razza BRICS)  arraffano tutto quello che puo risolvere  le istanze del potere.oltre che indignarsi  come si può intervenire come semplici cittadini che non hannopiù nessun ruolo  o quasi?

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Commenti Articolo 271

Titolo articolo : Mistero della fede,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: March/17/2015 - 12:12:14.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 17/3/2015 10.34
Titolo:"Il silenzio è d'oro!"
Farebbe bene a ricordarlo l'ex-ricercatore universitaio Floresd'Arcais, piuttosto presuntuoso, per quel che lo conosco: senza dubbi o esitazioni, tutto è "certo" ciò che lui dice. A me, ormai, fa più pena che altro...: così si torna indietro, almeno, di decenni, ben al di là delle "ideologie"! Comunque, complimenti, caro direttore, per la sua... pazienza dialettica nel discutere con un... sordo!
Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 17/3/2015 12.12
Titolo:Perchè le guerre?
Voltaire scriveva:"Ogni capo degli assassini invoca solennemente Dio e fa benedire le sue bandiere prima di andare a sterminare il prossimo".Purtroppo in passato e ancora oggi la stragrande maggioranza delle guerre è stata o è combattuta in nome di Dio.Basti pensare alle Crociate condotte al grido di "Dio lo vuole"oppure alle lotte tra le diverse confessioni;ortodossi contro cattolici,luterani,protestantiecc..Ancora oggi gli Americani ,quando fanno le guerre affermano di confidare in Dio e scrivono addirittura sui biglietti da un dollaro"In god we trust".Personalmente (per quanto può valere il mio modesto giudizio) penso che le guerre nascono anche per la sete di potere,di ricchezza e di controllo sulle materie prime,siano esse "sante o giuste" come spesso sono definite da uomini stolti.Però credo anche che la Chiesa,quindi le religioni abbiano in tutto questo una responsabilità non indifferente proprio perchè ,esercitando un potere oppressivo e coercitivo sui sentimenti e sulla volontà,ne determinano spesso anche la coscienza.

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Titolo articolo : Cercasi un popolo senza eroi,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: March/10/2015 - 21:58:57.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 10/3/2015 12.20
Titolo:Mai con i falsi eroi
Penso anch'io che nessun popolo abbia bisogno di falsi eroi per sollevare le sue sorti ma "di uomini e donne che non si piegano difronte alle ingiustizie e alla violenza". Dico "falsi eroi "perchè la figura dell'eroe potrebbe essere molto positiva se considerata nella sua accezione più profonda. L'eroe è di solito colui che da prova di coraggio e di virtù e che suscita l'ammirazione di chi lo conosce.Oggi la nostra bella e amata Italia sta conoscendo purtroppo politici che si atteggiano a personaggi di eccezione ma che sono appunto falsi eroi .Dovrebbero amministrare la cosa pubblica,invece vogliono solo comandare e usare il potere contro chi non può difendersi:Rom,Sinti,immigrati.Salvini ,per esempio,pensa di essere l'eroe dell'ultima ora ,invece è solo il personaggio di una vicenda frivola e non molto impegnativa per questo è altamente pericoloso per la collettività considerate le discriminazioni sociali che vorrebbe mettere in atto.Abbasso i falsi eroi.
Autore Città Giorno Ora
Nellina Guarnieri Bari 10/3/2015 12.46
Titolo:Per un popolo senza EROI ?
Nella parte 2 destruens2 del suo intervento contesta"laspwttativa di un supereroe...."che risolve situazuioni drammatiche...nonostante non manchino analisi che denunciano in utti gli anbitii drammi della umanità"   A mio avviso è una aspettativa checontinua a coltivare l'idea mitica di unb dem,iurgo ,ordinatore vdel mondo.In realtà l'identificazione dell'eroe è una sssorta di riuconoscimento"post eventum" da parte di quanti prendono le ddistanze dall'etica dilagante degli " ANTIERO(adroni questi si del mondo).un pragmatismo che coinvolge tutti gli aspetti della società anche delle identità religiose.,come lei sottolinea." scribi e farisei/( impegnati solo a scrivere leggi) sono m( sepolcri imbiancati che legano pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente) dobbiamo identificare in Cristo un EROE perchè " fattosi una di cordicella sferza cacciò tutti dal tempio? o pittosto è un giusto che non rimane estraneoalla rovina del TEMPIO".Oggi scribi e farisei continuano a produrre leggi che rimangono sterili perchè servono soltanto  a preparare le successive generazioni di scribi e ANTIEROI

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Titolo articolo : IL DIRITTO UMANO ALLA PACE VERSO IL RICONOSCIMENTO INTERNAZIONALE,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: March/07/2015 - 14:55:31.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 07/3/2015 14.55
Titolo:Tra Guerra e Pace
Complimenti vivissimi al caro prof. Raffaello Saffioti per il suo notevole contributo per la difesa della Pace e dei Diritti Umani e complimenti anche agli organizzatori del convegno"1915-1975-Anni di guerra,anni di pace".Rispondo alla domanda posta alla fine dell'articolo del professore.Personalmente credo che la guerra non sia un diritto bensi' il sopruso ,la violazione,la violenza più efferata verso la vita e verso l'Umanità.So che c'è il diritto allo sciopero,il diritto alla casa,il diritto all'istrizione,il diritto alla resistenza ecc.ma non certo il diritto alla guerra e alla distruzione. La Storia ci insegna che chi comanda nel Mondo di tanto in tanto decide di "eliminare" una fetta dell'Umanità e lo fa senza scrupolo alcuno; è come quando un pescecane decide di "eliminare" tutti i pesciolini che incontra lungo il suo cammino.....Indignamoci finchè siamo in tempo!!!Abbiamo il dovere di difendere il diritto alla Pace....

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Titolo articolo : La pace ha bisogno di idee e azioni,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: March/03/2015 - 10:54:09.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 23/2/2015 10.28
Titolo:La guerra mai più
Ho l'impressione che la guerra che viviamo oggi arriva nelle nostre case da lontano attraverso Internet ,attraverso i giornali ma soprattutto attraverso la televisione tra un film e uno spot pubblicitario ,tra un dibattito e l'altro e cosi si realizza quella che si chiama "distrazione di massa".Un tempo invece la guerra significava bombe e sirene sulla testa ,significava paura,terrore e morte.Basterebbe rileggere il diario di Anna Frank per portare alla memoria gli orrori della guerra.Oggi dobbiamo provare ancora più paura di questa guerra subdola e nascosta dai masss media,perchè solo cosi potremo impegnarci a salvare la pace non solo con le parole ma anche con i fatti e le azioni concrete come ben dice Sarubbi.
Autore Città Giorno Ora
Nellina Guarnieri Bari 03/3/2015 10.54
Titolo: La distrazione di massa
Nell'ambito di un ciclo dedicato alla Grande Guerra è stato proiettato il film " joyeux noel2,a prescindere dal giudizio controverso sukll'opera accusata di una logica manichea tra bene e male distina tra soldati e pèotenti trincea e salotto tra cappellano lilitare e potere ecclesiastico che ordina di distruggere il nemico,mi sembra che ancota oggi i pacifisti ( visti come fastidioso diversivo) dall'altra la massa distratta educata a c a risolvere i propri drammi annientando un immaginario nemicoPerchè non esibire le immagini di morte della Grande Guerra?.....

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Commenti Articolo 275

Titolo articolo : Don Milani: un profeta contro la guerra,di Mauro Matteucci e Don Massimo Biancalani

Ultimo aggiornamento: February/24/2015 - 13:00:11.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 24/2/2015 13.00
Titolo:Il ricordo di Barbiana
"Allora non esiste più una guerra giusta nè per la Chiesa nè per la Costituzione"...."Non posso non avvertire i miei ragazzi che i loro infelici babbi han sofferto e fatto soffrire per difendere gli interessi di una classe ristretta(di cui non facevano nemmeno parte)non gli interessi della Patria"...Queste sono alcune delle affermazioni che Don Milani fa nella sua Lettera ai giudici dell'ottobre 1965.Condivido pienamente pertanto il fatto che Don Milani sia condsiderato anche da coloro che hanno scritto l'articolo su il dialogo un profeta contro la guerra.Le sue lettere sono attuali e non solo. Dovrebbero entrare in tutte le biblioteche scolastiche per contribuire ad educare i giovani studenti al rifiuto e al ripudio della guerra.

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Commenti Articolo 276

Titolo articolo : NON IN MIO NOME LA GUERRA E’ FOLLIA,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: February/17/2015 - 15:10:36.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 17/2/2015 15.10
Titolo:Saffioti e Don Milani
Quando leggo Saffioti che ricorda Don Milani la mia mente ed il mio cuore ritornano agli anni '70 ,periodo in cui fraquentavo il Magistrale e il mio professore di filosofia era appunto Saffioti.Lui ci ha fatto "incontrare"con Don Mliani ,ce lo ha fatto amare,è diventato per noi un punto di riferimento costante,un grande esempio di scuola rivoluzionaria,che sta dalla parte degli svantaggiati e da grande valore all'istruzione.Lettera ad una Professoressa e Lettera ai Cappellani Militari erano per noi pane quotidiano.Ci siamo formati anche grazie a Don Milani e ai suoi grandi insegnamenti.Penso che Saffioti abbia fatto molto bene a ricordarci queste significative lettere di Don MIlani.Tutti i giovani dovrebbero leggerle e discuterle insieme agli insegnanti.Sono attualissime e di grande valore educativo.Grazie amato professore Raffaello per averci ricordato le due importanti date del 15 Febbraio 2003 e del 23 febbraio 1965.Anche oggi,più che mai, sarebbe di grande utilità organizzare una manifestazione globale contro la guerra considerato che il pericolo di una terza guerra mondiale forse è imminente .La seconda guerra in Libia dovrebbe scuotere le coscienze e far prendere posizione.Concordo pienamente sul fatto che la guerra è follia e va ripudiata fermamente.

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Commenti Articolo 277

Titolo articolo : Nessun razzismo e nessuna guerra potranno mai sconfiggerci!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: February/17/2015 - 12:55:37.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 17/2/2015 12.55
Titolo:La guerra è alle nostre porte
CONCORDO CON SARUBBI .MENTRE L'ITALIA E' AMMALIATA DAL FESTIVAL DI SANREMO,CHI CI GOVERNA MASSACRA LA COSTITUZIONE,NATA DALLA RESISTENZA,MENTRE OLTRE I CONFINI DELL'ITALIA SUCCEDONO COSE ASSURDE E INCONCEPIBILI COME LA GUERRA IN LIBIA LA STRAGRANDE MAGGIORANZA DEGLI ITALIANI è IPNOTIZZATA DAI PROGRAMMI -SPAZZATURA DI BARBARA D'URSO E MARIA DE FILIPPI.QUESTI PROGRAMMI SONO NATI CON LO SCOPO DI CONDIZIONARE LE COSCIENZE EIL PENSIERO DI CHI LI GUARDA.LA GUERRA E' ALLE NOSTRE PORTE E NOI DORMIAMO SUGLI ALLORI.

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Commenti Articolo 278

Titolo articolo : PICCOLO BREVIARIO DELLA NONVIOLENZA,A cura di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: February/16/2015 - 20:00:09.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 25/1/2015 15.37
Titolo:Quale sara' il prossimo obiettivo?
Documento coraggioso,audace e interessante questo del prof.Saffioti perchè contribuisce magnificamente al dibattito in corso sul giornale on-line di Giovanni Sarubbi.Dovremmo essere tutti consapevoli che in Francia c'è stato UN PESANTE ATTACCO TERRORISTICO,SIMILE PER ALCUNI VERSI A QUELLO DELL'11 SETTEMBRE ALLE TORRI GEMELLE. ALLORA FU COLPITO UN SIMBOLO FINANZIARIO,ORA INVECE A PARIGI,LA LIBERTA' DI ESPRESSIONE E DI STAMPA. CON QUESTO METODO BASATO SU VIOLENZE INTIMIDATORIE E ATTENTAI SI TENTA EVIDENTEMENTE DI DESTABILIZZARE LA DEMOCRAZIA ED IL DIALOGO TRA LE GENTI..QUESTO MI PREOCCUPA MOLTO.rileggiamo DolciI,Buber,King,Muller,Cassola,Gandhi.Ci aiutano a capire meglio.
Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 29/1/2015 18.44
Titolo:Voglia di rileggere
Ho riletto con molto interesse e piacere il "Piccolo breviario della nonviolenza" del prof. Raffaello Saffioti soffermandomi in modo particolare sulla teoria di Carlo Cassola,di Martin Buber,e di Jean-Marie Muller.Mi sonon quindi convinta che questo magnifico contributo del professore dovrebbe entrare di diritto nelle scuole della Calabria per i seguenti motivi: aiutare i giovani a riflettre sul terrorismo e sulle sue conseguenze;  aiutarli a capire il rispetto della vita umana;  offrire loro alcuni mezzi per difendere i valori della civiltà primi fra tutti la libertà e la democrazia.
Autore Città Giorno Ora
Mariella Ratti La Spezia 05/2/2015 08.13
Titolo:  
Ottima la scelta dei testi, ciascuno meriterebbe essere letto e commentato nelle scuole, anche per capire cosa pensano i ragazzi in merito. C’è bisogno di maggiore cultura e conoscenza (quanti conoscono davvero la storia, anche solo del dopoguerra?), e anche più capacità empatica. Riuscire a capire le ragioni degli altri, oltre che le nostre ragioni, e confrontarle dentro e fuori di noi. Ma soprattutto è importante la consapevolezza che, come giustamente tu dici, Raffaello, una sola è la razza umana … e che i razzismi, i fondamentalismi, tutti gli anti (islamismi, semitismi, ecc. ecc.) portano solo macerie, morte, dolore e sofferenza. Per tutti, nessuno escluso. .Perché il dolore degli altri deve essere anche il nostro dolore.
 
Autore Città Giorno Ora
vincenza podo terni 15/2/2015 13.40
Titolo:
Da leggere,un ottimo lavoro di recupero di una memoria che sta scomparendo.
Autore Città Giorno Ora
Nellina Guarnieri Bari 16/2/2015 20.00
Titolo: il silenzio di Dio
premesso che il Breviario presuppone una seria riflessione...non posso non condividere  la sofferenza che sempre accompagna le paroledi padre Turoldo.Dopo lo scempio della Shoah  da più parti si annunciava la2 Morte di Dio" come se  lgi uomini avvessroconquistato un dominio assoluto del malegarantendosi il controllo del mondo.ma le parole di padre turoldoci convincono che dobbiamo fare i conti con un Dio che può fare a meno di noi e quindi non siamo noi che abbiamio la pretesa di un libero arbitrio e di condannare il nostro simili in suo nome' ?

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Commenti Articolo 280

Titolo articolo : In Grecia solo se vince Syriza l’Europa si salva,di Gennaro Carotenuto *

Ultimo aggiornamento: February/09/2015 - 18:48:16.

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Autore Città Giorno Ora
Nellina Guarnieri Bari 09/2/2015 18.48
Titolo: La rinascita dell'Europa ?
 Se Maasstricht ha distrutto l'idea di una vera Europa a mia avviso costruita su il progetto Ventotene  molto ingenuamente da cittadino ridotto a suddito come contribuire a far rinascere una europa che èimpigliata dalle anbizioni americane a dalla Russia che non vuole rninciare ai suoi limiti territoriali?

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Titolo articolo : Giornali, associazioni, comunità religiose, una piattaforma comune per una nuova umanità,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: February/09/2015 - 12:41:06.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 09/2/2015 11.00
Titolo:Un'idea strategica
Non molto semplice l'idea di vedere giornali,associazioni e comunità religiose alternative impegnate nella realizzazione di una piattaforma comune.L'idea però è strategica perchè  fa sognare ad occhi aperti. 
"L'unione fa la forza" diceva qualcuno. Uniti si vince soprattutto quando si condividono obiettivi da raggiungere , mezzi e metodi da usare.
 
Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 09/2/2015 12.41
Titolo:Giusto
Complimenti, caro direttore: "chi la dura la vince"! Purtroppo, io sono troppo vecchio e... dipendente, per cui mi devo accontentare di incoraggiamenti! Perseverando, anche ciò che pare impossibile, può diventare possibile! Avanti dunque, senza mollare: i frutti verranno. Augurissimi.

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Commenti Articolo 282

Titolo articolo : Buon lavoro Presidente,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: February/02/2015 - 10:53:34.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 01/2/2015 17.57
Titolo:Presidente e dintorni
L'etica della politica negli ultimi anni si è abbassata a causa di scandali,privilegi e corruzione .La povertà è raddoppiata e tra il mondo degli ultraricchi e quello dei diseredati c'è davvero di mezzo il mare.La politica ha delle ragioni che noi poveri mortali non possiamo comprendere.Abbiamo corso un brutto pericolo .Nella rosa dei nomi per la Presidenza della Repubblica ce n'erano alcuni che mi spaventavano.L'elezione di Mattarella mi fa sentire si  distaccata ma anche un pò fiduciosa.Il primo gesto che ha fatto e le prime parole che ha pronunciato dopo l'elezione mi fanno sperare che potrebbe stare dalla parte degli ultimi e anche difendere la tanto amata Costituzione.....
Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 02/2/2015 10.53
Titolo:Due "riserve"
La prima: non credo che "noi, poveri mortali" non siamo in grado di capire la politica; la seconda: d'accordo sul "rispetto" della Costituzione, ma non su un suo "culto", che ne faccia... un  feticcio, un tabù! Tutto ciò che è umano è modificabile e, a volte, va modificato.

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Commenti Articolo 284

Titolo articolo :   Vittoria elettorale di Syriza,di Christos Katsioulis

Ultimo aggiornamento: January/30/2015 - 12:26:00.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 30/1/2015 12.25
Titolo:Tsipras
Condivido quanto scritto nell'articolo e aggiungo che che la vittoria di Tsipras mi ha reso molto felice. Finalmente qualcuno che che cercherà di abrogare le brutte condizioni imposte dalla Troika. I poveri della Grecia hanno bisogno di un Robin Rood che toglie ai ricchi per dare ai poveri. La Grecia esiste e l'Europa ne deve avere consapevolezza..

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Commenti Articolo 285

Titolo articolo : Una storia che abbiamo già vista,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: January/25/2015 - 16:16:42.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 25/1/2015 16.16
Titolo:No al razzismo
Terribili e disumane le misure naziste contro gli Ebrei,non meno brutali , discriminatorie e ingiuste quelle del diritto(diritto?) canonico. Solo una mente malata può pensare per esempio che a un cristiano è vietato di prendere cibo insieme agli Ebrei. Da queste misure si capisce perchè il razzismo si fonda sulla presunta superiorità di una razza sulle altre e determina sempre e indiscutibilmente discriminazioni,violenze o addirittura genocidi. Quello che è più assurdo è che il razzismo nella maggior parte dei casi  diventa una teoria leggittimata dalla legge fatta da uomini cosidetti "giusti".Il razzismo è simile al classismo perchè divide i popoli o le classi sociali in superiori e inferiori,è una teoria politica assurda da rigettare categoricamente.L'umanità se non vuole autodistruggersi deve lottare per l'affermazione dei diritti umani di tutti popoli della Terra. Siamo giunti al capolinea. Bisogna decidere da che parte stare.Bisogna lavorare insieme per un mondo migliore che rifiuta con decisione ogni forma di discriminazione. Grazie a Sarubbi che ci da questa bella opportunità di discutere su un tema cosi' delicato e importante.

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Commenti Articolo 286

Titolo articolo : Più vita e più amore per tutti,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: January/21/2015 - 12:38:59.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 21/1/2015 12.38
Titolo:Giusto!
Bravissimo! Speriamo che... qualcuno cominci a capire! Continua così: "chi la dura la vince!". Auguri sempre...

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Commenti Articolo 287

Titolo articolo : Pace o guerra? Razzismo o civiltà?,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: January/12/2015 - 19:51:53.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 12/1/2015 19.51
Titolo:Bisogna capire
Impegnativo e serio l'articolo del direttore Sarubbi. Non è facile commentare quello che è accaduto a Parigi. Difronte alla morte di tante persone innocenti non ci resta che riflettere per capire,capire fino in fondo quello che succede nel Mondo e perchè succede. Magnifica la Marcia di Parigi, magnifici i parigini però in testa a loro c'erano anche capi di stati che spendono soldi pubblici per la guerra che per la sete di potere dichiarano e fanno guerre senza pensarci troppo.L'egoismo dell'uomo potente è grande,  è immenso .Saremo capaci di sostituire all'egoismo il dialogo,la cooprerazione.l'intesa tra i popoli? 

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Commenti Articolo 288

Titolo articolo : Scolaretti per conto terzi,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: January/06/2015 - 19:26:45.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 06/1/2015 19.26
Titolo:Un... appuntino!
Caro Direttore: d'accordo, praticamente, su tutto. Un solo rilievo: pensa che il "Corriere", mandatario, secondo Messori, dell'articolo in questione, avrebbe accettato interventi contro il medesimo? Secondo me, no. Inoltre non tutti potrebbero scrivere articoli come quello di Boff, mentre è a tutti possibile una firma su un appello, per quanto non molto significativo ed efficace, ma testimonianza di una posizione chiara. Cordiali saluti ed auguri di Buon Anno (speriamo!).

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Commenti Articolo 289

Titolo articolo : BILANCIO DI FINE D’ANNO. CHE DELUSIONE LA POLITICA!,di Nino Lanzetta

Ultimo aggiornamento: January/06/2015 - 19:08:03.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 06/1/2015 19.08
Titolo:Est modus in rebus!
Cari Lanzetta e... commentatrice di Venezia: non accetto che il senso critico sia usato verso gli avversari e del tutto dimenticato nei propri confronti. A parte il "Caso", che Lanzetta si e ci augura più favorevole, i due interventi sono palesemente di parte: dei due mi sorprende soprattutto la tentata e, in parte, inaccettabile difesa del M5S: certo, onesti alcuni, molto obbedienti i più, studiosi (forse) delle leggi italiane, ma del tutto ignoranti e, si potrebbe dire, ignorati a livello internazionale. Le pare intelligente e proponibile, specie, in questo momento storico (ma i M5S sanno che è la storia?...), un referendum per uscire dall'euro?... Comunque cordiali saluti e auguri.

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Commenti Articolo 290

Titolo articolo : Epifania del Signore A-B-C– 6 Gennaio 2012 –,di Paolo Farinella, prete

Ultimo aggiornamento: January/03/2015 - 22:40:08.

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Autore Città Giorno Ora
milvia fracassi campli 05/1/2012 22.03
Titolo:auguri
Auguro a Lei e a tutti i collaboratori del sito un anno nuovo pieno di grazie e di benedizioni, per l'aiuto che trovo nel mio cammino.
Autore Città Giorno Ora
Carlo Di Stefano udine 03/1/2015 22.40
Titolo:Epifania
la Chiesa oroentale celebra il Natale il 7 gennaio per via del calendario giuliano che è indietro di 13 giorni. e celebra l'Epifania il 20 giusto i giorni esatti che vanno dal Natale all'Epifania

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Commenti Articolo 291

Titolo articolo : Buon Natale e buon 2015,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: December/21/2014 - 18:39:29.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 21/12/2014 18.39
Titolo:Più ottimismo non guasta!
Caro direttore, condivido appieno quanto scrivi, ma il tono potrebbe essere più incoraggiante che... deprimente (anche se qualche spiraglio c'è). Oggi ci manca ... quasi tutto e anche spinte efficaci ad agire per il meglio. Mi pare che in questo il vescovo di Roma dia un buon esempio: ci sono le denunce (e molte!), ma non è mai assente l'incoraggiamento, magari fondato su una teologia che sa... di passato. Utile, comunque, il suo sprigionante ottimismo in ogni intervento.

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Commenti Articolo 292

Titolo articolo : L'incubo continua,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: December/16/2014 - 19:50:46.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 16/12/2014 19.50
Titolo:Oltre ......il divano
Questo articolo ha ,secondo me, l'efficacia di un film perchè il dott. Sarubbi è riuscito ad armonizzare tre cose fondamentali:
-le parole e il racconto;
-le domande che chi legge si pone necessariamente;
-la velocità con la quale si succedono le immagini del sogno-incubo.
La televisione è nata come strumento culturale,come strumento di conoscenza e di comunicazione ed è diventata l'antitesi della libertà e della verità.

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Commenti Articolo 293

Titolo articolo : L’EMERGENZA “CORRUZIONE” DOPO L’EMERGENZA “DISOCCUPAZIONE”,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: December/16/2014 - 19:20:34.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 16/12/2014 19.20
Titolo:
Grande il contributo all'indagine della realtà e all'analisi critica del presente messo in relazione con un passato molto preciso:quello di Danilo Dolci.In uno Stato moderno e democratico come l'Italia la classe dominante conserva e esercita il potere anche attraverso l'apparato politico e della informazione.Purtroppo sia la politica che l'informazione hanno preso strade sbagliate e si stanno abbrutendo.Qualcuno mi ha insegnato,quando andavo a scuola ,che la Politica è"servizio sociale"cioè amministrazione dello Stato e direzione della vita pubblica nell'interesse dei cittadini.Oggi invece constato amaramente che la politica è un affare anzi un malaffare volto solo al vantaggio personale.Nella nostra bella  Italia dilaga il fango,la corruzione che porta via con sè la legalità e e i grandi valori della vita come l'onestà.Meno male che sono ancora tante le persone oneste che pagano le tasse ,anche se sfiduciate e deluse da politici furbi e truffaldini che tradiscono le promesse fatte.Cosa fare?Gli Italiani meritano di meglio?Dobbiamo aumentare il livello di controllo  e di denuncia o starcene alla finestra a guardare?

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Commenti Articolo 294

Titolo articolo : Mass-media: “discariche di notizie”, TV spazzatura, distruttori di speranza,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: December/10/2014 - 09:49:09.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 10/12/2014 09.49
Titolo:Speranza o Sfiducia?
I valori sono scomparsi da tempo  e in troppi luoghi.La corruzione da quella piccola a quella enorme ha infettato il Paese da nord a sud.I mezzi di comunicazione sono secondo me, i primi imputati .La Tv entra nelle nostre case di prepotenza,condiziona la nostra vita privata. ..I programmi spazzatura sono quelli che hanno il maggiore ascolto .Poi ,con la spettacolarizzazione del dolore e delle sofferenze dei"poveri cristi",si arricchiscono,si tengono a galla.Condannano e dichiarano colpevoli la persone prima di un regolare processo,speculano anche sulla morte di un bambino,Sono "distruttori di speranza" come ben afferma Giovanni Sarubbi nel suo realistico articolo,quindi diseducativi e dannosi.
Ci riprenderemo? Personalmente ho solo un residuo di fiducia e di speranza.

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Commenti Articolo 295

Titolo articolo : Piccolo, grande , inclusivo/a,  internazionale, comune, d'uso,di Lidia Menapace

Ultimo aggiornamento: December/07/2014 - 19:19:58.

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Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 07/12/2014 19.19
Titolo:Complimenti.
Stimata Sig.ra Lidia, a volte, ho avuto da ridire su suoi interventi, ma, questa volta, non posso che complimentarmi. Grazie!

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Commenti Articolo 296

Titolo articolo : LO STORICO “SCIOPERO ALLA ROVESCIA” (1956) DI DANILO DOLCI,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: December/01/2014 - 19:42:09.

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giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 30/11/2014 11.05
Titolo:Diritto o privilegio?
Notevole,senza dubbio alcuno ,il lavoro svolto dal professore Raffaello Saffioti su tematiche di grande attualità come il lavoro,lo sciopero,la disoccupazione.Dobbiamo ringraziarlo di cuore per la domande stimolanti che ci pone e per le riflessioni che ci invita a fare.Mi voglio soffermare su un punto da lui sviluppato e rispondere in modo molto semplice,perchè diverasmente non so fare. In una società come la nostra verticistica,ingiusta,apparentemente moderna il diritto al lavoro non esiste,visto che la disoccupazione giovanile ha raggiunto punte elevatissime sia la Nord che al Sud del paese.Poi chi governa le Province,le Regioni ed altro fa del lavoro un privilegio per avere in cambio voti al momento opportuno.Privilegia i parenti,gli amici,gli amici degli amici e cisi' via. I cosidetti padroni assumono per chiamata diretta,quindi si danno incarichi a persone allineate e coperte,incapaci di disobbedire e quindi disponibili a perpetuare le ingiustizie e le malefatte.Come è possibile sancire il diritto al lavoro se nella nostra società non c'è lavoro per tutti?Come dobbiamo interpretare l'articolo 1 dellla Costituzione che afferma L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro?Che dire del Primo Maggio nato per ricordare l'impegno del movimento sindacale e le lotte degli operai per la conquista di diritti ben precisi?Dobbiamo considerarla la Festa del Lavoro o della disoccupazione dello sfruttamento?Perchè il lavoro diventi un diritto bisogna creare e promuovere le condizioni che lo rendano effettivo,ad oggi ancora rimane un diritto da garantire.Che fare?Intanto secondo me bisogna diffondere in modo capillare il documento del professore Saffioti .poi incontrarsi ,discutere e coinvolgere le istituzioni più vicine a noi per metterle difronte alle proprie responsabilità e ai propri doveri e aprire un varco verso quell'utopia chiamata"diritto al lavoro".
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Alberto Panzanini Lainate 01/12/2014 19.42
Titolo:Cosa è successo?
Ringrazio Saffiotti per aver richiamato la straordinaria figura di Danilo Dolci e per averci ricordato
gli articoli della Costituzione che dichiarano il lavoro come un diritto/dovere per tutti i cittadini.
A ottobre 2014 la disoccupazione ha raggiunto su scala nazionale il 13,2 % (fonte ISTAT) pari a 3,4
milioni di persone in cerca di lavoro.
Per arrivare a questa situazione da decenni è stato ignorato e aggirato il dettato costituzionale aderendo a modelli
di sviluppo che hanno come obiettivo l'ottimizzazione degli investimenti finanziari; l'adesione a questi modelli
è stata inconsapevole o ritenuta obbligata e scontata da parte parte della quasi totalità delle forze politiche
e di gran parte di quelle sociali e ancora oggi non si intravede una proposta credibile e articolata in grado
di proporre una prospettiva diversa.
Pur disponendo di una Costituzione chiara, precisa, difficile da scalfire come è potuto succedere?

 

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Commenti Articolo 297

Titolo articolo : RENZI E LA SINISTRA ANEMICA,di Aldo Antonelli

Ultimo aggiornamento: December/01/2014 - 12:51:34.

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Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 01/12/2014 12.51
Titolo:Che pena!
Mi spiace, rev.do don Aldo, ma mi sorprende molto negativamente! Avevo già tentato di scriverle una volta, ma non mi riuscì: vediamo questa. La negatività della sorpresa mi deriva, anzitutto, dal fatto che sia prete (non so di quale generazione!): per caso, conoscce papa Francesco?... Le pare che il linguaggio che lei usa sia almeno lontano parente di quello di Francesco?
Inoltre, entrare nel discorso politico porterebbe molto lontano: ma non si accorge di essere notevolmente vittima di pregiudizi e di gregarismo, nonché di un lessico equivoco (i sindacati, per es., che hanno a che vedere con il PD, come partito?)? Più prudenza, serenità e informazione non guasterebbero, certo. Saluti e scusi la sincerità.

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Commenti Articolo 298

Titolo articolo : "Speranza o indignazione?",di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: November/30/2014 - 13:18:12.

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Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 30/11/2014 13.18
Titolo:Sorpreso!
Caro Mariotti, la leggo sempre e, di solito, apprezzo i suoi interventi: non questo! Anch'io ho insegnato per più di 40 anni, ma non me la sono mai sentita di esprimere tante certezze come fa lei qui. Da dove viene questa sicurezza? Inoltre, perché ignora il "nuovo" sia pure relativo? (Leggi papa Francesco). Per tutto questo (e senza entrare nei particolari) mi ha sorpreso e deluso: che cosa pensa di ottenere con questo suo intervento?

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Commenti Articolo 299

Titolo articolo : Ora, adesso, immediatamente!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: November/19/2014 - 11:19:27.

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giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 19/11/2014 11.19
Titolo:Tor Sapienza
Quello che è successo a Tor Sapienza deve farci riflettere molto.Gli attacchi violenti contro gli immigrati devono farci preoccupare. In Italia ,secondo il mio modesto parere,c'è una immagine  molto distorta sugli immigrati.Non si può fare di tutte le erbe un fascio.In questo caso particolare,come tutti sappiamo, si tratta di minori non accompagnati che scappano dalle brutture della guerra e dalle persecuzioni o di persone che chiedono semplicemente asilo.Ciò che mi indigna maggiormente è che sono calpestati non solo i diritti degli immigrati e questo è assodato da parecchio tempo,ma anche i diritti degli italiani diseredati e quindi si scatena una guerra tra poveri senza fine.E' necessario pertanto affrontare e frenare il sentimento razzista che prevale sulla solidarietà e la giustizia.,altrimenti si va verso un baratro da cui sarà difficile risalire.Lo storico Tito Livio,vissuto ai tempi di Gesù,ebbe a scrivere ,riferendosi alle guerre puniche:"Dum Romae consilitur,Saguntum expugnatur".Mi sembra che stia succedendo la stessa cosa di allora.L'Italia povera sta morendo mentre i politici discutono di aria fritta e mangiano a sbaffo.Sono lontani mille miglia dai problemi veri dei cittadini.Tra la loro vita e quella dei diseredati ,degli immigrati e dei senza tetto c'è una differenza abissale.Non possono capire,non possono comprendere....Cosa fare per colamre questa differenza abissale e stabilire l'uguaglianza scritta sulla Costituzione Italiana?

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Commenti Articolo 300

Titolo articolo : Le due chiese,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: November/10/2014 - 18:55:09.

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giuseppe castellese altofonte 09/11/2014 17.32
Titolo:Non ti arrendi mai e questa è la cosa più importante!
Da quanti anni ti conosco e ti seguo?
Certamente sono una ventina! probabilmente hai trovato nuovo alimento nella parola e nella figura di papa Francesco che sembra venir fuori dai tempi apostolici. Certo quel dualismo che tu, salamonicamente, affermi essere presente non solo nella chiesa cattolica, resiste e resisterà come la zizzania fino al tempo della mietitura. E' Parola del Signore!
 
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giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 10/11/2014 18.55
Titolo:incontro con la pace
Sarubbi è riuscito,questa volta come sempre,a fare un'analisi puntuale e precisa sulle due facce della Chiesa. Chiaro il contrasto tra ciò che viene detto nel Vangelo e quello che viene praticato in terra da preti, vescovi e cardinali.Chiaro il contrasto  tra la povertà,l'umiltà predicata da Gesù e lo sfarzo del Vaticano. Emblematica la canzone di Endrigo "La Guerra"posta all'inizio dell'Editoriale.Significativi i riferimenti all'esperienza vissuta dal prof. Raffaello Saffioti il 4 Novembre scorso a Palmi.Chi conosce un pò la storia della chiesa sa che papa Giovanni xxlll dichiarò,nella sua enciclica Pacem in Terris,"follia" la guerra ed invocò il bando delle armi.Il Sindaco di Palmi convintamente ha affermato che la guerra è qualcosa di giusto.Il suo pensiero è da prendere con le pinze.Dovrebbe,quando ha un pò di tempo libero,recarsi nelle zone di conflitto ,per rendersi conto di persona della bruttura della guerra e delle sue conseguenze nefande.

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Commenti Articolo 301

Titolo articolo : Una rilettura di San Francesco,di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: November/09/2014 - 14:41:53.

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Alfredo Stirati Montelanico 09/11/2014 14.41
Titolo:San Francesco redivivo
Condivido le critiche che vengono mosse ad alcune convinzioni professate da Francesco, ma non bisogna dimenticare l'epoca in cui visse. A quei tempi, il suo operato era opportuno e si mostrava in linea con i movimenti pauperistici diffusi in tutta Eurppa. Se tornasse a vivere oggi, di certo modificherebbe molti comportamenti od affermazioni sostenuti a suo tempo.. Non possiamo insomma, col senno di poi e con le mutate condizioni storiche, esprimere giudizi negativi su epoche o personaggi del passato.

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Commenti Articolo 302

Titolo articolo : IL 4 NOVEMBRE IN CHIESA S’ODE UNO SQUILLO DI TROMBA COME IN CASERMA,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: November/05/2014 - 19:14:20.

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giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 05/11/2014 19.14
Titolo:Si alla Pace,no alla guerra
Sono solidale con Lei stimatissimo professore Raffaello Saffioti per avere avuto il coraggio di dare vita ad una iniziativa di alto valore sociale: diffondere il discorso di Papa Francesco fatto a Redipuglia contro la guerra e contro i soprusi che da essa derivano. Il comportamento del signor sindaco di Palmi non è certo encomiabile ;scegliere il pulpito di una chiesa per fare il suo bel comizio sulla necessità della guerra come forma di difesa non le da ragione.Poteva fare il suo comizio in piazza ,li' avrebbe avuto maggior ascolto.La chiesa è il luogo meno adatto per le parate militari e per i suoni di tromba. La chiesa è il luogo dove ogni giorno si parla di solidarietà verso chi soffre,verso  chi è oppresso. La guerra e' un pericolo gravissimo per tutta l'UmanitàE' l'aggressione più crudel verso donne e bambini,e' un crimine.Il sindaco dovrebbe schierarsi per la pace per sconfiggere i mostri criminal e i rigurgiti razzisti.dovrebbe impegnarsi come fa il pro. Saffioti ,nella  costruzione di  un una vita migliore per tutti,senza guerra e senza violenza.Dovrebbe impegnarsi per la cultura della Pace, Signor sindaco la invito a riflettere....

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Commenti Articolo 303

Titolo articolo : L'umanità te ne sarà grata,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: November/03/2014 - 13:01:48.

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elio cassano bari 02/11/2014 18.46
Titolo:
Come milioni di altre persone, condivido e sottoscrivo ogni riga di questo articolo. E poi ce ne stiamo belli comodi in poltrona, al tran tran quotidiano perchè nn si sa come partire, di chi fidarsi, e certi impegni costano molto cari in termini tempo, di difficoltà inverosimili da a ffrontare da parte di chi, e sono tanti, ha interessi contrari. Ho appena finito di vedere in TV il film di oliver Stone "Tra terra e cielo", un vero monumento al riguardo. Speriamo che Francesco riesca a mettere in moto qualcosa, qualcuno!
Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 03/11/2014 13.01
Titolo:Cristo è con noi
Qualcuno che ho conosciuto anni fa soleva dire:"Se domani ci sarà una pietra sulle mie ceneri,per favore scriveteci sopra,comunista"Penso che la parola comunista sia carica di enormi significati e Gesù che aveva scelto di stare dalla parte degfli ultimi certamente può essere definito tale.La figura di Cristo rappresenta colui che continua ad essere ricercato,perseguitato perchè portatore di un messaggio rivoluzionario estremamente pericoloso per ogni sistema,per ogni potere,per ogni ordine costituito.Perchè continua ad essere perseguitato? Perchè ancora oggi la società è fatta da sfruttatori e sfruttati,da oppressori ed oppressi.Quindi Gesù incarna ogni ultimo,ogni senza tetto,ogni povero.ogni diseredato.Papa Francesco ha fatto una scelta.E' rivoluzionario e comunista?

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Commenti Articolo 304

Titolo articolo : Una iniziativa da Palmi: diffondere il discorso di Papa Francesco a Redipuglia,a cura del CENTRO GANDHI di Palmi

Ultimo aggiornamento: November/01/2014 - 18:55:45.

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giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 01/11/2014 18.55
Titolo:Ripudiamo la guerra!
Diffondere per il 4 Novembre il discorso di Papa Francesco sul Sacrario militare di Redipuglia,è un dovere che dovrebbe sentire ogni persona,ogni cittadino che "ripudia la guerra".Un elogio al professore Raffaello Saffioti che ha avuto l'idea di diffondere a Palmi il testo dell'omelia.L'iniziativa di Saffioti è da condividere e fare propria.E' necessario far conoscere e diffondere le "idee buone" che contribuiscono al miglioramento dei rapporti tra gli uomini e i popoli e portano al ripudio della guerra e al rifiuto dell'uso delle armi.La guerra è distruzione e dolore.

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Commenti Articolo 305

Titolo articolo : La strada giusta,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: October/30/2014 - 19:27:18.

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GIOVANNI PIPINO FOSSANO 26/10/2014 17.52
Titolo:Piccoli spunti di riflessione.....
~~Sono un pensionato, nel cui lavoro ho perso anche la salute. Pur avendo assunto incarichi sindacali ( a livello aziendale), devo dire che sono molte le cause che posso imputare ai Sindacati e che, anche a causa loro, ci troviamo con le braghe di tela. I Sindacati hanno difeso soprattutto coloro che di lavoro non avevano voglia, gli assenteisti, ecc., tant'è, tanto per fare un esempio, quando alla FIAT ne hanno lasciato a casa oltre 2.000 lavoratori, i loro colleghi di lavoro dicevano che da licenziare ce ne sarebbero stati almeno 4.000, tale era la loro inefficienza. Fino ad allora chi governava erano i Sindacati. Ma chi, come per me, se ne andò in pensione con gravi danni, gli avvocati? già,erano impegnati a difendere chi passava quasi metà anno alle vacanze in Sicilia! Un'ultima cosa: chi è che ci dà il lavoro? Renzi? Ne può facilitare con le tasse, ma non il lavoro, per cui non dimentichiamo che operaio e Azienda funzionano se entrambi "sono onesti". Ci sono tanti operai onesti, certo, ma quanti operano sulle spalle degli altri? E nessuna Azienda onesta? Neppure questa è un' affermazione onesta.
Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 27/10/2014 17.59
Titolo:Più equilibrio...
Sì, caro Sarubbi (di cui ho condiviso tanti documenti), più equilibrio e meno retorica, tanto più se inquinata da pregiudizio. Il discorso sui leaders, per es., non è un po' superficiale e carente di una più ampia visione storico-geografica? Mi pare più esperienziale e condivisibile il commento dell'ex-sindacalista.
Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 30/10/2014 19.27
Titolo:Quando, se non ora?
La manifestazione a Roma di cui parla Sarubbi nel suo articolo ,segna,secondo me,l'inizio di una nuova fase.
L'inizio di una presa di coscienza necessaria più che mai, l'inizio di una lotta per la conquista di obiettivi che rispondono ai bisogni delle classi meno agiate,l'inizio della necessità di una nuova politica economica. Quello che mi ha colpito di quella manifestazione è stato senz'altro il protagonisìmo del popolo dei lavoratori e dei giovani che ancora non hanno perso la forza di lottare per una organizzazione migliore della società italiana. La disoccupazione fa parte ormai del Paese ed è frutto del capitalismo .Questo è il problema principale di cui si devono occupare i Sindacati e il primo luogo la C.G.I.L che si vanta da tempo di difendere i diritti dei lavoratori.Personalmente ho più fiducia in Landini che nella Camusso.

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Commenti Articolo 306

Titolo articolo : Famiglia: cosa vuole la Chiesa?,p. José María CASTILLO

Ultimo aggiornamento: October/27/2014 - 18:37:01.

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Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 27/10/2014 18.37
Titolo:Bravo!
Grazie per questo splendido e dettagliato contributo: speriamo nel futuro, anche se sono tante le difficoltà.

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Commenti Articolo 307

Titolo articolo : A che gioco giochiamo?,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: October/20/2014 - 19:22:35.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 20/10/2014 16.48
Titolo:E "l'ottimismo della volontà"?
Caro amico, scontato "il pessimismo dell'intelligenza", ma, d'accordo con Gramsci, non ci si deve fermare lì. D'accordo anche sulla proprietà - furto, ma quali sono le alternative? Respingo anche la rassegnazione del precedente commento... Non si dovrebbe impegnarsi ad allargare i consensi alla base? (Vedi, per es. don Ciotti, che non perde tempo ad inveire contro i governanti; inoltre non suggeriscono nulla gli zapatisti?) Di parole non si vive e, almeno personalmente, sono stufo! Saluti cari.
Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 20/10/2014 19.22
Titolo:Il Premier in Tv
A che gioco sta giocando Renzi è molto chiaro....Dobbiamo renderci conto che la Sinistra non è Renzi nè tanto meno il Pd visto che Renzi è il garante di Berlusconi e che entrambi traggono benefici dal patto che hanno stretto. E poi....andare dalla D'Urso mentre Genova è sotto il fango e la disoccupazione giovanile raggiunge punta 44 per cento è proprio grave e inammissibile. 

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Commenti Articolo 308

Titolo articolo : "Un triste destino...",di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: October/20/2014 - 16:23:38.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 20/10/2014 16.23
Titolo:Troppo pessimista?
Caro amico, da quel che scrivi sembri appartenere alla mia generazione (1928), ma mi sembri troppo pessimista! Condivido i tuoi presupposti, i punti di partenza..., ma non di arrivo. Gesù ha predicato l'amore, pur senza disconoscere ipocrisie e ingiustizie, ma ha aperto nuovi orizzonti, fino all'amore dei nemici..., al non giudicare..., al perdonare 70 x 7 ecc. Tuttavia non prendermi per un renziano: sono un osservatore "critico", senza preclusioni però. Pensi che il tuo pessimismo possa dar frutti? Scusami e cordiali saluti.

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Commenti Articolo 309

Titolo articolo : Il tempo della parresia,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: October/14/2014 - 11:44:22.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 13/10/2014 18.42
Titolo:Sotto scacco
Mentre leggevo l'editoriale "Il tempo della parresia" pensavo di dover esprimere il mio apprezzamento . Ognuno di noi dovrebbe sentire l'esigenza di  esprimere il proprio parere su quanto scritto da Giovanni Sarubbi. La riflessione sull'ingordigia di chi detiene il potere economico,culturale e plolitico è da condividere in pieno. Penso anch'io che non c'è limite all'egoismo ,alla sete di potere di alcuni uomini che purtroppo tracciano la linea della vita di chi invece non ha nessuna possibilità di "difesa". Gli ingordi fanno tutto in nome del profitto e dell'accumulo di ricchezza. 
Credo più che mai che la libertà di parola è in pericolo, credo che la comunicazione è asservita ,credo che i cittadini sono continuamente mortificati e tenuti sotto scacco.La speranza di un mondo migliore sta venendo meno.
Autore Città Giorno Ora
RAFFAELLO SAFFIOTI PALMI 14/10/2014 11.38
Titolo:

Carissimo Direttore,
ho atteso e letto avidamente il tuo nuovo editoriale, col titolo "Il tempo della parresia".
Non mi limito a esprimerti, come sempre, il mio apprezzamento, dicendo anche che mi ritrovo in quanto vai scrivendo. Dietro quanto hai scritto oggi nel nuovo editoriale ho visto molta dottrina, molte letture, esprimendoti, giornalisticamente, con grande capacità di sintesi e in forma semplice, senza fare dotte e noiose, pur autorevoli, citazioni che avrebbero reso pesante il testo.
 
Il tema della "parresia" come anche il tuo richiamo, frequente, all'Apocalisse, mi stanno molto a cuore. Nella mia vita, fin dai tempi di Pio  XII, i tempi del mio impegno associativo all'interno della  Chiesa cattolica, ho sempre difeso strenuamente il diritto della libertà di parola ed il senso auentico della "parresia" di fronte all'autoritarismo ecclesiastico.
Se non ricordo male, "La libertà di parola nella Chiesa" era il titolo di un libro pubblicato dalla Borla, in anni molto lontani.
E' trascorso, quindi, più di mezzo secolo.
Quindi mi ha fatto senso il recente richiamo alla "parresia" da parte di Papa Francesco.
 
Dall'Apocalisse ho tratto ripetutamente per i miei documenti il versetto "Vidi cieli nuovi e terre nuove", come motto epigrafico.
Ho sempre visto quel versetto come ispiratore della mia visione del mondo e della vita.
Prima del recente numero della rivista internazionale di teologia "Concilium" (3, 2014), pubblicata dalla Editrice Queriniana, col titolo "Ritorno della coscienza apocalittica?", tra le mie varie letture, una che mi ha molto aiutato è stata quella del tuo testo "L'Apocalisse, il libro sconosciuto o bistrattato", pubblicato dalla Chiesa Cristiana Libera, Avellino, (seconda edizione del 2006).
Questo testo mi fa capire meglio i tuoi frequenti richiami all'Apocalisse, libro profetico, valido per ogni tempo di crisi.
Valido anche nel nostro tempo, come "tempo della fine".
E' un tempo di gravissima crisi, "crisi di un sistema" come lo ha definito Padre Alex Zanotelli in un recente discorso a San Giovanni in Fiore, la città del profeta Gioacchino.
 
Ora cerco di collegare i tuoi ultimi tre editoriali, e intendo valermi dell'ultimo, "Il tempo della parresia", in riferimento alla Marcia Perugia-Assisi che avrà luogo domenica prossima, 19 ottobre.
 
Richiamo la mia "Lettera al Direttore" pubblicata lo scorso 6 ottobre col titolo "Un dibattito sullo stato attuale del movimento per la pace".
La nostra amica Giulia Guzzo, valorosa ed attivissima animatrice dell'Associazione Florense per lo Sviluppo Creativo di San Giovanni in Fiore, ieri mi ha scritto:
 
"Sono andata su "il dialogo" e ho riletto sia la tua "Lettera al Direttore" che la tua "Letttera aperta".
(Si riferiva alla Lettera pubblicata col titolo "La pace si studia La pace s'impara Proposte per educare alla pace contro la terza guerra mondiale nella città di Gioacchino da Fiore")
"Ho notato che le visite ricevute dalla Lettera aperta ad oggi sono 584, mentre le visite ricevute dalla Lettera al Direttore sono solo 53. Una differenza abissale, si vede che nel movimento non c'è molto spazio per la discussione della tua proposta di aprire un dibattito sul movimento e sulla sua funzione, proposta che piace a pochi. Sarebbe stato davvero interessante che la proposta venisse accettata.
 Personalmente penso che quando si discute, si riflette sulla vita di un partito, di un movimento, di un'associazione, significa che ancora c'è speranza per la democrazia, la partecipazione, la critica costruttiva. Al contrario, invece, se tutto tace, tutto scorre senza scossoni, senza dibattito, significa che si vuole lasciare le cose come sono, immutate, per non cambiare nulla".
 
Mi ritrovo nelle parole di Giulia Guzzo ed ho pensato che fosse utile riprenderle per fartele conoscere e provocare la tua riflessione.
M'interessa moltissimo, come al solito, conoscere la tua opinione.
Intanto non mi resta che prendere atto che la "Lettera al Direttore", dopo una settimana, sembra caduta nel vuoto.
Attendo l'esito della Marcia Perugia-Assisi per proseguire con lo studio e con l'iniziativa.
 
Raffaello Saffioti

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Commenti Articolo 310

Titolo articolo : TUTTI QUELLI CHE TROVERETE CHIAMATELI ALLE NOZZE,di p. Alberto Maggi OSM

Ultimo aggiornamento: October/11/2014 - 18:29:21.

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Autore Città Giorno Ora
isabelle charlier varese 11/10/2014 18.29
Titolo:Troppo bello!
Attraverso il suo commento, c'è sempre qualcosa da imparare. Analizzo spesso commenti di diverse persone (il Papa, il parocco del quartiere,  etc...) dello stesso Vangelo della Domenica e poi, medito sopra. Tutt'ora, per me, i suoi commenti sono i migliori nell'assoluto ; lasciano il segno e ci danno la possibilità di crescere.

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Commenti Articolo 311

Titolo articolo : Il tempo della fine,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: October/01/2014 - 13:07:11.

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Autore Città Giorno Ora
martino pirone arcisate 28/9/2014 16.52
Titolo:
Una valutazione allucinante, ma vera e indiscutibile, per descrivere il tempo in cui viviamo. Il clou di questa analisi sta nell'ultimo periodo e un esempio pratico ce lo ha fornito recentemente il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che alla sua giovane età di 89 anni e nonostante percepisca un altissimo appannaggio, oltre ad innumerevoli privilegi, non ha disdegnato di incamerare un rimborso spese di 900 € per un viaggio a Bruxelles, quando il costo era di 90 €. E non ha voluto rispondere al giornalista che gli ha contestato il fatto.
Difficilmente ci salveremo. 
Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 01/10/2014 13.07
Titolo:ricercare la verità
Condivido e apprezzo le parole del Direttore Giovanni Sarubbi. E' tempo di verità perchè la menzogna e l'inganno ci hanno portato a gravi conseguenze siano sul piano politico che morale, E' ora che i politici di turno  mettino via la maschera che per troppo tempo ha coperto i loro volti,vengano allo scoperto ad ammettere le proprie responsabilità difronte alla classe operaia ingannata e derisa,difronte ai disoccupati,agli immigrati e a tutti quelli che non hanno il diritto alla parola,il diritto alla casa,all'assistenza e quantaltro. L'azione sociale e politica continua ad essere cieca,vuota,ingiusta.Troppe sono le ricadute sulla spesa pubblica e le spese sociali. La sicurezza individuale e collettiva sono a rischio.Ognuno di noi deve scegliere se stare dalla parte dei deboli oppure dalla parte degli ingiusti.

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Titolo articolo : LA PACE SI STUDIA LA PACE S’IMPARA

Ultimo aggiornamento: September/28/2014 - 13:48:42.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 28/9/2014 13.48
Titolo:La Pace inizia dalla Scuola
Eccellente l'ipotesi di programmazione redatta dal prof. Raffaello Saffioti ,eccellenti le proposte in essa contenute. La Scuola è certamente il terreno più adatto per cominciare il  discorso,il percorso , il cammino verso la Pace,oggi più che mai necessaria considerati gli incerti rapporti di cooperazione internazionale.Quindi dalla Scuola, dal terrritorio ,dalle Città bisogna partire per una formazione alla Pace duratura, alla Pace come diritto e valore fondamentale per la  convivenza civile. Le nuove generazione devono essere i portatori ,i pionieri di questo grande valore,difenderlo e proteggerlo dagli attacchi che provengono dalle Grandi Potenze ,le quali per continuare a dominare il Mondo, per  perpetuare il loro potere ,calpestano il sacrosanto diritto alla vita di milioni di  bambini,uomini e donne.

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Commenti Articolo 313

Titolo articolo : GUAI, GUAI, GUAI A CHI FA PROFITTO SULL’ACQUA,di p. Alex Zanotelli

Ultimo aggiornamento: September/21/2014 - 14:31:15.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 04/8/2014 12.47
Titolo:L'acqua è di tutti!
L'acqua, come il sole,  il mare , l'aria, è di tutti non può assolutamente essere privatizzata. Non si possono calpestare in modo cosi' ignobile i diritti dei cittadini.Aderisco convinta all'appello di padre Alex Zanotelli.
Autore Città Giorno Ora
martino pirone arcisate 21/9/2014 14.31
Titolo:Acqua pubblica e MAI privata !
Confermo, sostengo e ribadisco quanto detto da Giulia Guzzo. L'acqua è un bene indispensabile alla vita e quindi inalienabile e cioè non può essere ceduto né venduto. Intervenga subito la Corte Costituzionale e se quei signori sono addormentati intervenga qualche parlamentare per presentare un disegno legge che vieti, una volta per tutte, a qualsiasi Ente od Istituzione pubblica, dalle Alpi a Pantelleria, di cedere a privati la gestione del servizio idrico. Gli Enti: Regioni, Province, Comuni provvedano a controllare e potenziare gli acquedotti e garantire la fornitura di acqua potabile a tutti i Cittadini, specialmente al Sud Italia. 

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Commenti Articolo 314

Titolo articolo : Per la pace occorre un lavoro duro, faticoso, paziente,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: September/20/2014 - 22:02:22.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 20/9/2014 22.02
Titolo:La pace è un valore
Condivido l'articolo e il messaggio in esso contenuto.
La Pace  è tra i valori quello fondamentale perchè contiene in sè il diritto alla vita,però non tutti la vogliono. Non la vogliono certamente  e detentori e venditori di armi che si arricchiscono con la morte degli altri,che umiliano e calpestano la dignità che c'è in ogni uomo.Il ripudio della guerra di cui parla la nostra Costituzione  è più urgente e attuale che mai.Auguro che questo interessante articolo possa contribuire  a far  prendere coscienza del fatto che la guerra è una follia e a combattere l'indifferenza e l'apatia di cui parla Giovanni Sarubbi.

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Commenti Articolo 315

Titolo articolo : 100 MILIONI DI EURO AL GIORNO IN ARMI!,di Alex Zanotelli

Ultimo aggiornamento: September/11/2014 - 11:55:12.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 11/9/2014 11.55
Titolo:Abbasso la guerra!!!
La guerra è un mostro a sette teste che devasta,,porta distruzione  e dolore,ma un mostro ancora più pericoloso sono coloro che la determinano , gli assetati di potere, i padroni del mondo,i venditori di armi colpevoli della morte degli innocenti. Sono d'accordo con la mobilitazione di tutti ,con il volantinaggio,lo scendere in piazza per far sentire forte la nostra voce. Mi chiedo invece come possono i momenti di preghiera essere efficaci  contro la guerra? Credo che anche Dio non vuole più preghiere ,anche Lui è stanco dei sorprusi e delle ingiustizie perpetuate dagli uomini su questa Terra dilaniata da continue guerre e anche Lui non sopporta più di vedere morire i bambini.

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Commenti Articolo 317

Titolo articolo : Hanno ucciso l'Uomo Ragno,di Lucio Garofalo

Ultimo aggiornamento: August/03/2014 - 11:31:53.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 03/8/2014 11.31
Titolo:L'uomo Ragno non si arrampica più....
Semplicemente:bravo,bravo ,bravo Lucio ! Permettimi di darti del tu. I tuoi articoli concisi,incisivi e secchi mi piacciono tantissimo.Condivido il tuo pensiero e anche...il tuo stile di scrittura.
L'Unità non è  più da tempo  il nostro giornale preferito.Gramsci non ha niente in comune con Renzi e gli altri suoi affiliati.

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Titolo articolo : La buona notizia secondo Giorgio Agamben,di Gianni Mula

Ultimo aggiornamento: August/02/2014 - 12:50:41.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 02/8/2014 12.50
Titolo:Ruminare!
A prescindere da altre onsiderazioni, ho trovato molto interessante e ricco questo contributo, che merita di essere (lungamente?) ruminato per poterne trarre tutti benefici effetti, che se ne possono ricavare. Auguri ai suoi lettori.

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Commenti Articolo 319

Titolo articolo : NON LASCIAMO SOLI I PALESTINESI,di p. Alex Zanotelli

Ultimo aggiornamento: August/01/2014 - 15:09:37.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 01/8/2014 15.09
Titolo:Palestina libera!
La mia condivisione piena delle parole di padre Alex Zanotelli.La violenza che sta subendo il popolo palestinese è inaccettabile,come è inaccettabile il silenzio e l'indifferenza delle democrazie occidentali e di chi è colpevole di questo storico conflitto che dura dal 1948 .Troppi bambini e troppe donne stanno perdendo la vita in questo sterminio. I palestinesi hanno perso  la terra,l'acqua,la libertà,tutto.L'umiliazione e la violenza subite  dei palestinesi deve scuotere i nostri cuori e le nostre coscienzeTutti indistintammente dovremmo aiutare i palestinesi a raggiungere l'autodeterminazione e la libertà.

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Titolo articolo : Il progetto sionista.,di Rosario Amico Roxas

Ultimo aggiornamento: July/27/2014 - 15:40:15.

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Autore Città Giorno Ora
susanna sinigaglia milano 27/7/2014 15.40
Titolo:un paio di appunti sull'articolo di roxas
è inutile e dannoso tirare in ballo l'argomento dell'antisemitismo come se fosse anti-semitismo. il vocabolo è stato coniato nella seconda metà dell'800 da un tedesco a unico uso e consunmo degli ebrei. e infatti i tedeschi non ebbero problemi ad allearsi con alcuni lerader arabi.
secondo, non tutti i sionisti erano allineati con le posizioni di ben gurion, anche se hanno vinto nel tempo (ricordo l'hashomer hatzair che voleva a tutti i costi accordarsi con i palestinesi e gli arabi in genere; lo stesso weitzman, per non parlare di martin buber
susanna sinigaglia

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Titolo articolo : Il silenzio dei colpevoli,di Lucio Garofalo

Ultimo aggiornamento: July/26/2014 - 22:29:08.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 26/7/2014 22.29
Titolo:Palestina libera!
Condivido tutto ,parola per parola del breve ma intenso articolo di Lucio Garofalo. Il popolo palestinese piange 805 morti,di cui 150 bambini e 5.220 feriti.Dopo il bombardamento della scuola dell'Unrwa il bilancio è salito.Dall'inizio dell'offensiva"margine protettivo",cosi' come dall'inizio delle operazioni coloniali ,la principale vittima è la popolazione civile:donne e bambini.Il popolo palestinese è un popolo coraggioso. Ha bisogno del sostegno di tutti coloro che credono nella Resistenza.

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Titolo articolo : Progetto NUSCO … qui TERRA,di Michele Zarrella

Ultimo aggiornamento: July/26/2014 - 15:49:40.

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Autore Città Giorno Ora
LUIGI RAUZZINO ZANICA 26/7/2014 15.49
Titolo:Resistenza ad oltranza.
Sono d'accordo con te e con tutti quelli che la pensano come te a proposito della nostra bella Irpinia. E' ora di dire basta a tutti gli sfruttatori e i parassiti che pur di accumulare ricchezze, sono pronti a passare anche sul cadavere delle loro madri e di tutti i propri simili. Bisogna fare muro contro muro perchè essi non capiscono e non vogliono capire che l'aria, l'acqua e la terra sono di tutti.
 

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Commenti Articolo 323

Titolo articolo : Genocidio del popolo palestinese, chiamiamo pure le cose con il loro nome.,di Renata Rusca Zargar

Ultimo aggiornamento: July/25/2014 - 21:54:28.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 25/7/2014 21.54
Titolo:"Restiamo umani"
Qualcuno diceva"restiamo umani".Io mi chiedo come possono rimanere umani gli israeliani che stanno distruggendo un popolo intero,che stanno  bombardando ospedali,cliniche private, ospedali , scuole e tutto ciò che serve per una vita normale?quello che sta succedendo in Palestina è un genocidio in atto ,uno stermino conseguenza del capitalismo e del sionismo.Cosa fanno le domocrazie occidentali difronte a tutto questo? In conclusione del suo articolo Renata Rusca Zargar dice:"Detesto la violenza persino verbale(altro che fisica!). Io mi dico che sentimenti devono provare i Palestinesi che sono privati della vita e dell'amore delle persone più care?che sono privati dei figli,delle mogli,delle madri?E' possibile vincere la guerra con la pace? Personalmente lo desidererei tanto ...perchè  la Palestina sarebbe finalmente libera.Speriamo che non rimanga solo un desiderio!

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Commenti Articolo 324

Titolo articolo : L'ombra del Grande Inquisitore,Gianni Mula

Ultimo aggiornamento: July/20/2014 - 22:25:19.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 20/7/2014 22.25
Titolo:L'arrivo di un nuovo carpentiere
Più che la leggenda del Grande Inquisitore mi affascina la storia del carpentiere ebreo soprattutto perchè il suo messaggio e la sua vita sono serviti agli ultimi,agli oppressi che ne hanno compreso il senso intrinseco a differenza degli scribi e dei farisei che, come si suol dire ,facevano orecchie da mercante.Per gli ultimi Gesù è il simbolo della speranza e dell'amore tra gli uomini.Oggi più che mai ,ci sarebbe bisogno in questo mondo ingiusto, di un Gesù armato che difendesse la vita dei tanti bambini e delle tante donne  che continuano a morire in Palestina sotto gli occhi incuranti e indifferenti dei potenti del Mondo .

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Commenti Articolo 326

Titolo articolo : Pace, pace, pace!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: July/13/2014 - 10:51:15.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 13/7/2014 10.51
Titolo:su la testa
Il ripudio della guerra non deve essere scritto solo sulle carte costituzionali,ma deve essere praticato nei rapporti con gli altri popoli.L'articolo di Sarubbi è efficace ed invita a non rassegnarsi.
La guerra la fanno gli uomini potenti e muoiono gli ultimi ,gli indifesi,i bambini e le donne.La guerra deve essere fermata!! Ognuno deve fare tutto ciò che può .

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Commenti Articolo 327

Titolo articolo : Dov'è la buona notizia? Il senso di una proposta,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: July/10/2014 - 15:49:00.

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Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 10/7/2014 15.49
Titolo:bisogno di buone notizie
Ho letto con interesse l'articolo e faccio i miei complimenti a chi l'ha scritto.Condivido l'analisi fatta completamente.

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Commenti Articolo 328

Titolo articolo : STOP TTIP ITALIA,

Ultimo aggiornamento: July/09/2014 - 15:10:10.

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Autore Città Giorno Ora
Cristina Vaccani Rogeno - LC 09/7/2014 15.10
Titolo:
Buongiorno, ma l'appello si può firmare come singoli? Nel sito non trovo il modo di poterlo sottoscrivere.
Grazie
Cristina

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Commenti Articolo 329

Titolo articolo : Un brutto bellissimo muso da fotografare!,di Carmelo Dini

Ultimo aggiornamento: June/30/2014 - 11:33:01.

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Autore Città Giorno Ora
martino pirone arcisate 30/6/2014 11.33
Titolo:Bellissimo "brutto muso" !  
Perché non ci rende partecipi pubblicando la Sua foto ?

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Commenti Articolo 330

Titolo articolo : Amore, bellezza, poesia, le cose da ricercare nelle religioni,a cura della Redazione

Ultimo aggiornamento: June/25/2014 - 21:18:42.

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Autore Città Giorno Ora
orsetta arno' frateschi reggio emilia 25/6/2014 21.18
Titolo:
Sono cristiana, e vorrei esprimere questo pensiero.
E' la prima volta, forse, che sento citare la fede Bahai. 
Vorrei che potesse essere meglio conosciuta in quanto è portatrice di valori universali,  e contestualizzati al tempo in cui viviamo.
Può essere di grande arricchimento, e ognuno di noi può condividerlo, a qualsiasi fede appartenga.

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Commenti Articolo 332

Titolo articolo : L'AMICIZIA VIRTUALE E' AMICIZIA?,di Daniela Zini

Ultimo aggiornamento: June/17/2014 - 18:01:59.

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Autore Città Giorno Ora
Antonia Mattiuzzi Milano 17/6/2014 18.01
Titolo:

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Commenti Articolo 333

Titolo articolo : DIO HA MANDATO IL FIGLIO SUO PERCHE’ IL MONDO SIA SALVATO PER MEZZO DI LUI,di P. Alberto Maggi OSM

Ultimo aggiornamento: June/14/2014 - 18:42:44.

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Autore Città Giorno Ora
isabelle charlier varese 14/6/2014 18.42
Titolo:Grazie!
Questo commento è meraviglioso, prezioso, grande, ..ecc.!

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Commenti Articolo 335

Titolo articolo : Per la pace la preghiera dei fatti!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: June/10/2014 - 15:47:38.

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Autore Città Giorno Ora
moreno ceron vicenza 09/6/2014 22.41
Titolo:
Ciao,
Grazie per la riflessione, la pace nei fatti.
Moreno
Autore Città Giorno Ora
Carla Lavarino Parabiago MI 10/6/2014 15.47
Titolo: La pace non deve essere solo un miraggio

Condivido quanto espresso dall'amico (posso permettermi di annoverala fra gli amici?) Giovanni Sarubbi, del quale ho anche visto la partecipazone alla marcia per la pace di San Giovanni in Fiore. Condivido non solo perchè quanto espresso collima con i miei sentimenti, che sono anche quanto dichiarato e sostenuto a più riprese da EMERGENCY, un'organizzazione della quale faccio parte come volontaria e a favore della quale vado anche a parlare nelle scuole di ogni ordine e grado, avendo come oggetto proprio i temi dei  diritti umani, della pace e dell'uguaglianza. Peccato che la nostra società spesso faccia sì che i giovani, i quali nell'età scolare per lo più condividono certi valori, crescendo si discostino da essi.

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Commenti Articolo 336

Titolo articolo : Viva la pace!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: June/03/2014 - 11:46:36.

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Autore Città Giorno Ora
liliana altoe godega s. urbano 02/6/2014 15.44
Titolo:La Pace é un seme!
La Pace va coltivata..... Bellissima la poesia della bimba!
Autore Città Giorno Ora
martino pirone arcisate 03/6/2014 11.46
Titolo:
Cari lettori, diffondete il più possibile questo editoriale e facciamo che in Italia ci siano tante, tantissime persone a predicare la PACE come Giovanni Sarubbi. (questo invito l'ho postato anche su facebook).
Martino Pirone

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Commenti Articolo 337

Titolo articolo : Santo subito?,di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: June/02/2014 - 10:01:11.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 02/6/2014 10.01
Titolo:Semplificazione
Benché condivida sostanzialmente l'intervento, ritengo che abbia un po' semplificato le cose, attribuendo a Giov.Paolo II meriti che non ha avuto (!). La caduta del socialismo non è stata dovuta a lui, quanto a difficoltà interne economico-socio-politiche, sebbene sia innegabile la sua viscerale allergia verso il comunismo.

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Commenti Articolo 338

Titolo articolo : Un subdolo razzismo,di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: May/25/2014 - 22:37:45.

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Autore Città Giorno Ora
isabelle charlier varese 25/5/2014 22.37
Titolo:Buona settimana  
Dal testo riprendo una frase che mi colpisce; mi colpisce perché mi trovo abbastanza in sintonia con essa:
"Tutte le religioni sono un negativo. Gesù era venuto per liberarci da loro; è stato assassinato da loro, e trasformato a sua volta in religione"
Davanti a tale evidenza da lei esposta, bisogna dunque operare con costanza, saggezza e amore per raddrizzare la situazione. Ci provo.
Buona settimana.

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Commenti Articolo 339

Titolo articolo : IO SONO LA VIA, LA VERITA’ E LA VITA,di p. Alberto Maggi OSM

Ultimo aggiornamento: May/19/2014 - 10:14:56.

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Autore Città Giorno Ora
isabelle charlier varese 19/5/2014 10.14
Titolo:Grazie
Grazie per i commenti del Vangelo che ascolto sempre con grande interesse. Buona settimana!

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Commenti Articolo 340

Titolo articolo : I perché di una scelta di Roberto Gervasini,di Roberto Gervasini

Ultimo aggiornamento: May/16/2014 - 13:37:58.

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Autore Città Giorno Ora
martino pirone arcisate 16/5/2014 13.37
Titolo:

   Io non sono per nessuna secessione, ma si continua a portarla avanti, a rischio di tutti gli Italiani. Ricordiamoci che alle spalle delle nostre frontiere, vicine e lontane, vi sono sempre i LUPI.     La Storia ci ha insegnato che tutti erano pronti, nel lontano passato, a fagocitarci. La Francia, la Germania, la Iugoslavia, l'Inghilterra troverebbero nella secessione di territori Italiani dei terreni fertili per riconquistare aree che un tempo avevano occupato.
   La Russia non spera sempre di avere una base solida in Sicilia per avere una maggiore governabilità nel Mediterraneo? Su tutto il bacino del Mediterraneo non abbiamo dei Leaders capaci di comprendere che invece di fare i Monarca assolutisti e sanguinari dovrebbero affratellarsi per creare in parallelo col potere economico del Nord Europa, un forte potere economico del Mediterraneo, esteso a tutti gli Stati del Sud.
   Questa dovrebbe essere la politica da edificare, altro che il secessionismo, che porterebbe nuovamente l'Italia ad essere  a disposizione di tutti. L'Italia Unita va difesa dall'Unione di tutti gli Italiani. Non dimentichiamo le Grandi Guerre combattute per la LIbertà degli Italiani. In Calabria vi è un detto che recita: "si pecura si, 'u lupu ti mangia" (se sei pecora, il lupo ti mangia). Perciò manteniamoci la nostra Libertà e la nostra Unione, tutto il resto è frutto di ignoranza e di inconsapevole incoscienza.
Angelo Di Lieto (storico)
 
 

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Commenti Articolo 341

Titolo articolo : IL BUON PASTORE DA LA PROPRIA VITA PER LE PECORE,di P. Alberto Maggi OSM

Ultimo aggiornamento: May/10/2014 - 13:55:30.

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Autore Città Giorno Ora
Fortunato Binoni Rho 10/5/2014 13.55
Titolo:segnalazione
In uno spirito di collaborazione . . . segnalo un errore di trascrizione nel pdf odierno.
 - Poi Gessù continua (invece dovrebbe essere contrappone).
- Ho notato che in alcuni casi dà (voce del verbo dare è scritto senza accento (anche nel titolo di questo commento).
Nulla di male ma . . . meglio evitare critiche dai . . . farisei.

Cordialmente
Fortunato Binoni
 

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Commenti Articolo 342

Titolo articolo : Testi di riferimento,a cura della Redazione

Ultimo aggiornamento: May/09/2014 - 03:45:06.

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Autore Città Giorno Ora
Claudio Gagliasso San Raffaele Cimena (TO) 09/5/2014 03.45
Titolo:contributo a: http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/mese/
Mi permetto di segnalare due notevoli saggi usciti negli ultimi mesi:
http://www.deriveapprodi.org/2012/06/la-fabbrica-delluomo-indebitato/  
e: http://www.deriveapprodi.org/2013/09/il-governo-delluomo-indebitato/  
entrambi di Maurizio Lazzarato - Derive Approdi.
Una diversa visione delle società occidentali dal punto di vista sociologico dopo la devastazione operata dal capitalismo neoliberista.

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Commenti Articolo 343

Titolo articolo : Rompere le catene,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: April/27/2014 - 18:15:25.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 27/4/2014 18.15
Titolo:Complimenti
Bene! Pienamente d'accordo!

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Commenti Articolo 344

Titolo articolo : Che sia Pasqua tutti i giorni,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: April/21/2014 - 15:14:18.

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Autore Città Giorno Ora
moreno ceron vicenza 21/4/2014 15.14
Titolo:mea colpa
Ciao,
Condivido il tuo messaggio, "mea colpa " come cristiano nel mio piccolo cercherò di fare qualche cosa per il modo ed il mondo dove vivo.
Auguri
CIAO

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Commenti Articolo 345

Titolo articolo : Quando? Adesso!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: April/19/2014 - 21:06:16.

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Mario Nigrotti Barbania (TO) 19/4/2014 21.06
Titolo:troppo pochi
Di questo editoriale drammatico ma semplice, chiaro anche per chi "non ha fatto le scuole alte", condivisibile da chiunque sia dotato di buon senso e buona volontà, credente o no, la cosa che colpisce di più è il numero di persone che l'hanno letto: 156, di cui 10 (dieci) oggi. Che speranze possiamo avere, se siamo così pochi?

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Commenti Articolo 346

Titolo articolo : LETTERA APERTA AL CARD: KASPER,di Pietro Taffari, presbitero uxorato

Ultimo aggiornamento: April/06/2014 - 22:13:57.

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AGOSTINO BONASSI MONTANASO LOMBARDO-LODI 06/4/2014 22.13
Titolo:
Ciao carissimo fratello. Le tue parole,che condivido nella mia esperienza quotidiana,chissà se troveranno attenzione...
Ma con realismo sappiamo entrambi che le nostre scelte non solo ci hanno allontanato dalla Chiesa ma sono occasione di emarginazione da parte degli stessi cristiani!
E' veramente un peccato perché quali risorse potremmo apportare!
Grazie.
Un abbraccio.
Agostino.

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Commenti Articolo 347

Titolo articolo : Dio è morto, ... ma per tre giorni,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: April/03/2014 - 14:48:27.

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Autore Città Giorno Ora
Giovanni Dotti VARESE 03/4/2014 14.48
Titolo:

Profonde e condivisibili le considerazioni del dott. Sarubbi, ma non vedo alcuna possibilità di uscirne a meno di una ..... rivoluzione. Intanto continuiamo a soffrire in silenzio, al massimo esprimendo il nostro dissenso, e accontentandoci di quelle riforme (piccole o grandi che siano) che il nuovo Governo, costituito in gran parte da giovani non compromessi con le improvvide scelte del passato, cerca tra mille difficoltà di portare avanti. Meglio senz'altro di niente, piuttosto che continuare sulla strada dell'immobilismo dei governi precedenti. Non vi pare?

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Commenti Articolo 348

Titolo articolo : Il Cinquantesimo di ordinazione presbiterale di un prete-sposato.,di Perin Nadir Giuseppe

Ultimo aggiornamento: April/01/2014 - 22:59:56.

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AGOSTINO BONASSI MONTANASO LOMBARDO-LODI 01/4/2014 22.59
Titolo:AUGURI!
Carissimo,leggo sempre con molta attenzione i tuoi interventi,che spesso mi aiutano a far luce nelle mie scelte quotidiane di ex. Mi ritrovo pienamente là dove affermi che la nostra scelta presbiterale è continuata a fianco dell'umanità di chi abbiamo amato,ma troppo frequentemente si è frantumata di fronte a quella Chiesa che non sa più interpretare il pensiero del suo Signore.
Grazie per la tua viva speranza.
Un abbraccio di cuore:AUGURI VIVISSIMI!
Agostino(ago.bonas@libero.it)

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Commenti Articolo 349

Titolo articolo : Intervista a Gianni Mula,a cura di Michele Zarrella

Ultimo aggiornamento: March/27/2014 - 18:32:27.

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Autore Città Giorno Ora
Sergio Canova Seveso 27/3/2014 18.32
Titolo:Ritorno al Club di Roma
Caro Gianni, nella tua intervista tu dici che occorre studiare sistematicamente i dati e correlarli tra loro, per poi prendere decisioni politico-normative, sapendo che a problemi complessi non si potranno dare risposte semplici. Bene, io dico che occorre tornare all'approccio usato 40 anni fa dal Club di Roma, che coinvolse il MIT per lo studio dei parametri e la costruzione di modelli previsionali, e allo spirito di Salisburgo (5 febbraio 1974), per coinvolgere i capi di stato nelle valutazioni più attendibili e nelle decisioni più corrette. La domanda è: esiste una volontà generale di fare questo?  e anche: siamo ancora in tempo per intervenire? Questi sono temi sui quali i nostri opinionisti dovrebbero impegnarsi sui vari mezzi di comunicazione, ma a me pare che solo Giovanni Sartori, quando a ferragosto è di malumore, li vuole affrontare. Ciao. Sergio

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Commenti Articolo 350

Titolo articolo : Brutti segnali: cambia la forma, resta la sostanza?,di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: March/24/2014 - 10:31:00.

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Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 05/1/2014 12.21
Titolo:Non ammetto la faziosità
Condivido molto dell'articolo, specie le critiche agli USA, cui aggiungo anche quella al loro dominio culturale, di cui, pesso, non ci si rende conto. Però non sono d'accordo sulla faziosità, che, talora, acceca al punto di non consentire se non una visione unidimensionale. Per es., anch'io sono stato sorpreso dalla dichiarazione di Francesco come l'uomo dell'anno. Ma non potrebbe trattarsi di uno "specchio per le allodole" o di un tentativo per conquistarlo? Tuttavia anch'io non condivido atteggiamenti populisti di Francesco, mentre non condanno i suoi richiami alla speranza, tanto più che li ha spesso associati a spinte per una ribellione... Che altro resta agli "esclusi"?
Autore Città Giorno Ora
ivano poppi MODENA 24/3/2014 10.31
Titolo:richiesta 
IL prossimo mese OBAMA sara a ROMA , chiedo  al papa FRANCESCO di chiedere ad OBAMA di fermare le guerre che sta conducendo nel mondo .Di cessare di produrre armi . di rinunciare al NOBEL per la PACE . DI IMPORRE agli ISRAELIANI DI CESSARE LA PULIZIA ETNICA CONTRO I PALESTINESI ai quali rubano le terre e il diritto di vivere senza essere COLONIZZATI come gli indiani in AMERICA. CHIEDA LA LIBERTA PER GAZA , i palestinesi liberi manderanno al diavolo anche HAMAS 

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Commenti Articolo 351

Titolo articolo : I RIFIUTI,di Beppe Manni

Ultimo aggiornamento: March/24/2014 - 09:47:59.

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ivano poppi MODENA 24/3/2014 09.47
Titolo:conscilio
sono  d'accordo sull'uso televisivo sbagliato , ma la TV ci tratta come polli d'allevamento che devono mangiare e sopratutto PENSARE come vogliono gli affari delle lobbi . SE INSEGNARE UNA RACCOLTA DIFFERENZIATA FATTA BENE NON RENDE DENARO ,NON LO FANNO . PREFERISCONO  UNA RACCOLTA FATTA MALE PERCHE' DA COMBUSTIBILE AI  CANCRO INCENERITORI MENTRE LORO SI ARRICHISCONO. NON C'E' DIFFERENZA TRA  LA TERRA DEI FUOCHI IN CAMPAGNA E UN INCENERITORE CHE DISTRUGGE MATERIE PRIME .NON INSEGNARE A BRUCIARE L'IMMONDIZIA DI OGGI E' DIVERSA E MOLTO PERICOLOSA RISPETTO A QUELLA DEI NOSTRI NONNI.chi ha una secona casa?
IVANO

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Commenti Articolo 352

Titolo articolo : FU BELLEZZA davvero GRANDE?,di Paolo Farinella, prete

Ultimo aggiornamento: March/10/2014 - 10:40:32.

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Autore Città Giorno Ora
don Pietro Taffari Poeto Empedocle 09/3/2014 18.28
Titolo:film gradito a Morfeo
Condivido in tutto il tuo giudizio sul film. Io, cme tanti mi ci sono addormentato, accanto alla grande bellezza dia moglie e dei miei due bambini.
Pietro Taffari, prete uxorato.
Autore Città Giorno Ora
roberto montanaro torino 09/3/2014 18.40
Titolo:Concordo
Concordo pienamente con il parere di Paolo Farinella, prete.
Se ne fossi stato capace avrei voluto scrivere io stesso le stesse sue parole.
Grazie.

Roberto, nonprete
Autore Città Giorno Ora
Maria Sarubbi Azzate 10/3/2014 10.40
Titolo:
Sono perfettamente d'accordo con   Paolo Farinella prete Maria

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Commenti Articolo 353

Titolo articolo : Lettera aperta a Matteo Renzi, (che non leggerà mai !)  ,di Rosario Amico Roxas

Ultimo aggiornamento: March/07/2014 - 09:12:39.

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Autore Città Giorno Ora
martino pirone arcisate 07/3/2014 09.04
Titolo:Lettera aperta a Matteo Renzi
Sig. Lorenzo non disperi ! Se lei invia la sua lettera a: matteo@governo.it, lui o chi per lui la leggerà. Infatti ieri (6.3) ho ricevuto l'avviso dell'avvenuta lettura della mia lettera che gli ho inviato il 28.2 "Gli sprechi nella Pubblica Amministrazione" pubblicata anche su questo blog.  Speriamo che le nostre denunce e i nostri pungoli servino a qualcosa!
Martino Pirone
Autore Città Giorno Ora
martino pirone arcisate 07/3/2014 09.12
Titolo:Lettera aperta a Matteo Renzi
Sig. Rosario, mi scusi ! Ho sbagliato chiamandola Lorenzo.

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Commenti Articolo 354

Titolo articolo : Le tasse: un infarto malato di cancro!,di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: February/25/2014 - 16:01:17.

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Autore Città Giorno Ora
isabelle charlier varese 25/2/2014 16.01
Titolo:E' davvero così!
Dal suo testo mi piace riprendere una verità divina da lei spesso evidenziata e ripetuta: " L'onnipotenza di Dio passa per il nostro impegno ad incarnarlo nel mondo, nella concretezza della nostra esperienza quotidiana. Ecco allora che noi diventiamo la risposta di Dio a quello che Gli chiediamo"!

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Commenti Articolo 355

Titolo articolo : BASTA ESTRAZIONI FOSSILI,

Ultimo aggiornamento: February/22/2014 - 17:56:00.

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Autore Città Giorno Ora
vincenzo cogliano gesualdo 22/2/2014 17.48
Titolo:............ è una questione di "liberismo finanziario globalizzato&
............ è una questione di "liberismo finanziario globalizzato".
Pensateci !
Autore Città Giorno Ora
vincenzo cogliano gesualdo 22/2/2014 17.56
Titolo:chi ha capito le cose come stanno così si esprime ...
http://youtu.be/3SxkMKTn7aQ


 

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Commenti Articolo 357

Titolo articolo : L’ INCONCLUDENZA DI GRILLO,di Giovanni Dotti

Ultimo aggiornamento: February/21/2014 - 10:48:06.

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Giovanni Dotti VARESE 21/2/2014 10.21
Titolo:
Egregio dott.Sarubbi,
  ho sempre apprezzato Grillo per la sua coraggiosa denuncia del marciume di questo nostro sistema, ma mi permetta di non condividere certi comportamenti. Quanto a Renzi non posseggo tante informazioni come Lei, sto solo a quello che vedo, forse mi sbaglio, pecco d'ingenuità, ma allora in chi un normale Cittadino può credere? A chi può accordare la propria fiducia? E perché Grillo anziché limitarsi alla denuncia non passa a fare qualche proposta? O vuole solo la rivoluzione?
Autore Città Giorno Ora
martino pirone arcisate 21/2/2014 10.48
Titolo:Le incognite di Renzi e di Grillo
Le incognite di Renzi e di Grillo
 
Gentile Dott. Sarubbi,
a mio modesto parere sono più che giuste le osservazioni che rivolge a ciò che ha scritto l’amico Dotti.  Però, mi domando, quale migliore occasione per Grillo di ascoltare le proposte di Renzi per correggere le storture dell’attuale sistema ? Perché Grillo ha fatto di tutto per non dialogare ? Avremmo anche potuto sapere  ciò che anche i mass-media, come Lei giustamente fa presente nella prima parte del commento, non ci dicono e cioè: 1) “non si parla dei contenuti veri di ciò che Renzi e chi gli sta dietro vogliono fare”;   2) “quale ruolo effettivamente sta giocando Grillo e il suo movimento in questo momento”.
    Martino Pirone

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Commenti Articolo 358

Titolo articolo : Una politica economica folle,di Gianni Mula

Ultimo aggiornamento: February/21/2014 - 09:34:45.

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Autore Città Giorno Ora
Giovanni Dotti VARESE 21/2/2014 09.34
Titolo:
Più che un articolo questo di Gianni Mula è un piccolo trattato aggiornato di macroeconomia, che invita il lettore a riflettere sul problema "mondiale" della diseguaglianza sociale, di cui al momento non si intravedono vie di facile soluzione. Mi permetto di chiedere all'Autore cosa ne pensa di Renzi e del suo programma di riforme istituzionali e sociali, tanto per restare in ambito "nazionale". Grazie se vorrà scrivere qualcosa in proposito, perché io come tanti abbiamo le idee piuttosto confuse (anche se finora ho sostenuto il giovane "rottamatore")

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Commenti Articolo 359

Titolo articolo : «ALL’ARMI, SIAM FASCISTI TERROR DEI COMUNISTI»,di Mario Pancera

Ultimo aggiornamento: February/19/2014 - 18:01:07.

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Autore Città Giorno Ora
elio cassano bari 19/2/2014 18.01
Titolo:Speriamo bene
Ed oggi ho visto in streaming il colloquio (anche se assolutamente non è stato tale) di Grillo con Renzi, e subito dopo l'intervista di quest'ultimo alla stampa. Un insieme di parloe e discorsi senza capo nè coda, mettendo dentro di tutto e di più. Il peggio è che ha accusato Renzi di avergli copiato metà del programma, per questo lo ha bistrattato. Boh? Se uno copiasse metà del MIO programma lo abbraccerei e lo sosterrei a spada tratta. purtroppo, con la grave incultura e il profondo scontento per le "schifezze" che troppo subiamo, senza che i responsabili paghino sul serio, fa si che il sig. Grillo trovi un consenso immeritato, visti gli spropositi che proferisce. Forse sbaglio io, chissà, vedremo!

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Commenti Articolo 360

Titolo articolo : Chiamiamo le cose con il loro nome,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: February/18/2014 - 13:44:43.

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Giovanni Dotti VARESE 18/2/2014 13.44
Titolo:Commento all'editoriale del dr. Sarubbi
Egregio Direttore,
condivido quanto Lei denuncia ma non il suo pessimismo "cosmico" e il giudizio negativo su Renzi. Gli darei almeno un minimo di fiducia prima di bollarlo con giudizi assolutamente negativi(a proposito ieri ho inviato una lettera che però non vedo pubblicata): prima starei a vedere almeno le sue prossime mosse. Mi lasci almeno un po' di speranza !

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Commenti Articolo 361

Titolo articolo : A proposito di GRILLO: IL M5S E LA DEMOCRAZIA,di Nino Lanzetta

Ultimo aggiornamento: February/13/2014 - 09:21:10.

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raffaello resti arezzo 13/2/2014 09.21
Titolo:Tutti questi saggi cosa hanno fatto negli ultimi 20 anni per il bene comune
Confesso di non conoscere il Prof.Lanzetta! Ha una sua idea sull'operato del Movimento 5 stelle che rispetto ma non condivido.
Mi piacerebbe sapere dallo stesso e da tanti altri professori cosa hanno fatto nella loro vita di tutti i giorni di concreto in questi ultimi 20 anni (vedi accenno al berlusconismo) per il bene comune. Conosco tanti sconosciuti che tutti i giorni faticosamente dedicano, in forme diverse, la loro vita per gli altri. Credo che questi avrebbero il diritto di dire la loro rispetto ai tanti che ci propinano idee, commenti, proposte ecc.....! saluti
raffaello resti

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Commenti Articolo 362

Titolo articolo : FOTO SIGNIFICATIVE,di Giuseppe Zanon

Ultimo aggiornamento: February/10/2014 - 15:38:50.

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Gualtiero Sollazzi Carrara 10/2/2014 15.38
Titolo:
Carissimo, ho letto con piacere il tuo scritto, così ben scritto e, per me, conferma di una scelta convintissima: la protesta non costruisce un cavolo, mentre l‘atteggiamento positivo sarà un giorno sicuramente vincente.  Il tuo ‘racconto’ lo trovo gemellare al mio. Anch’io ho una collocazione (termine improprio…) assai interessante all’interno della parrocchia e, anche della Diocesi. Guido un gruppo biblico di parecchie persone ormai da anni.
Responsabile del mensile parrocchiale da 16 anni, lettissimo; organista ufficiale, etc.etc.  Da tempo, segretario del Vicariato di Carrara, e delegato al Sinodo diocesano (ora terminato) attraverso regolare votazione. In più sono una ‘firma’ del settimanale della Diocesi dove curo una rubrica settimanale che è posta acconto al titolo, alla Ravasi, dicono gli amici quando scriveva su Avvenire. – Questo elenco non è di compiacimento, ma segnale che lavorare in
positivo ha sicuramente il sapore di una seminagione. Sparo questo: se ci fosse un referendum se farmi o no ri-celebrare l’Eucarestia, ri-esercitare il presbiterato, il risultato sarebbe schiacciante. Queste righe confidenziali, ribadiscono quanto penso da sempre, e i fatti sembrano darmi ragione. Grazie ancora di avermi fatto partecipe della tua bella e interessante esperienza.
Un abbraccio,
Gualtiero

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Commenti Articolo 363

Titolo articolo : Il senso di una ricerca e una presenza,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: February/09/2014 - 19:07:09.

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moreno ceron vicenza 09/2/2014 19.07
Titolo:italiani
Ciao,
Condivido pienamente quello che scrivi ma.........la strada è lunga ed in salita per molti italiani nel cambiare le cose, per avere più solidarietà.
Per altri la strada i è ancora in discesa per ora...........
Siamo italiani

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Commenti Articolo 364

Titolo articolo : Solidarietà alla Boldrini dalle pastore e diacone battiste, metodiste e valdesi,di Agenzia NEV del 05/02/2014

Ultimo aggiornamento: February/08/2014 - 23:47:38.

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Maria Pia Di Caro Torino 08/2/2014 23.47
Titolo:La maschera del nulla  per nascodere i fatti,ovvero, dove finisce l'oro
Scusate ma è troppo divertente e illuminanate.

http://risveglioglobale.blogspot.it/2014/02/marco-travaglio-la-boldrini-le-tecniche.html

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Commenti Articolo 365

Titolo articolo : Ridateci la legge truffa!,di Domenico Gallo

Ultimo aggiornamento: February/03/2014 - 12:13:02.

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Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 03/2/2014 12.13
Titolo:Un'opposizione c'è!
Eccellenza, d'accordo sulla legge truffa (che ricordo bene!), ma mi permetto di far notare che, oggi, un'opposizione c'è: il M5S! Che poi funzioni "molto a modo suo", è un altro discorso ed è, per certo, un peccato!

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Commenti Articolo 366

Titolo articolo : Speranza e utopia il dovere di crederci,di Renato Piccini

Ultimo aggiornamento: February/03/2014 - 12:00:24.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 03/2/2014 12.00
Titolo:Da approfondire
Non ho controllato chi sia e dove viva l'Autore (visto che riporta un testo in portoghese, come se fosse suo...), ma, pur condividendo appieno il suo discorso e obiettivo, mi permetterei far notare che il discorso sull' utopia, almeno in Europa, ha goduto si significativi e storici approfondimenti, da molti decenni a questa parte (vedi Bloch e altri).

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Commenti Articolo 367

Titolo articolo : Proteggere i saperi tradizionali dei popoli autoctoni,di Clara Delpas e Pierre Williamjohnson

Ultimo aggiornamento: February/02/2014 - 18:53:07.

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Autore Città Giorno Ora
Paola Veronese Monselice 02/2/2014 18.53
Titolo:
forse, anziché "alicamenti", in italiano si usa "nutraceutica"

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Commenti Articolo 368

Titolo articolo : La prassi e la fede,di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: February/02/2014 - 18:02:22.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 02/2/2014 18.02
Titolo:Non esageriamo!
Condivido del tutto la sostanza dell'intervento e anche molti particolari, però è esagerat (e non provato) il numero di centinai di migliaia di ortodossi uccisi dai cattolici croati.

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Commenti Articolo 369

Titolo articolo : GRILLO, che delusione !,di Giovanni Dotti

Ultimo aggiornamento: January/28/2014 - 20:37:07.

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Autore Città Giorno Ora
Giovanni Dotti VARESE 24/1/2014 09.13
Titolo:
Gentile dott.Sarubbi, posso anche concordare con le sue osservazioni ma il contenuto della mia lettera non verteva tanto sul "decisionismo" di Renzi (che mi auguro non somigli troppo a quello di certi suoi predecessori) quanto piuttosto sull'indecisionismo e sulla inazione di Grillo, nè tantomeno ipotizzava la necessità di "poteri forti", che purtroppo già ci sono e avanzano (ed anzi andrebbero ridimensionati). Intendevo solo evidenziare l'impressione negativa che molti traggono dall' "astensionismo" di Grillo che dovrebbe, anziché limitarsi a contestare, entrare attivamente nel dibattito politico per concorrere a riscrivere quelle norme che anche il suo elettorato gradirebbe fossero cambiate. Il suo comportamento è incompreso e irritante per molti, che vorrebbero veder messi a frutto e non ibernati i voti che gli hanno accordato.  Personalmente mi auguro che si svegli e collabori con Renzi per non lasciarlo solo in balia del caimano nella difficile trattativa in corso.
Autore Città Giorno Ora
Marcello Girone Daloli Ferrara 28/1/2014 20.37
Titolo:Quando si ignora è sempre più saggio tacere
Ritengo di dover segnalare che espressioni come "schiera di incapaci", riferita ai rappresentanti del Movimento 5 Stelle, nella lettera di Giovanni Dotti denota la superficialità dell'autore che non si è certo informato sull'operato dei parlamentari e senatori del M5S ripetendo quel che la propaganda di pseudosinistra offre al suo popolo. Altro che "Grillini", discepoli di un comico! E' sempre triste assistere a insulti gratuiti da parte di chi ignora.

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Commenti Articolo 371

Titolo articolo : Senza giustizia sociale non c'è futuro,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: January/20/2014 - 18:19:54.

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Autore Città Giorno Ora
eva maio Italia 19/1/2014 19.14
Titolo:Grazie!
Grazie per questa analisi che condivido in toto.
Mi meraviglio che  le persone davvero di sinistra o davvero cristiane possano stare ancora dentro il PD.

E' giunto il tempo di scelte pulite, non per utopismo o superbia.
E' giunto il tempo di scelte nette per semplice onestà intellettuale.

 
Autore Città Giorno Ora
elio cassano bari 20/1/2014 08.24
Titolo:
Caro Giovanni, ho apprezzato moltissimo i due articoli Speranza o Imbroglio e Maeglio Cambiar Canale, ma dissento dasto sulle modalità di voto. In linea di principio ciò che dici è ineccepibile al 100%, ma nei fatti sappiamo bene che da oltre 60 anni non ha mai funzionato. Io ne ho 65 e ricordo bene quando il potere di ricatto dei partititni blocava l'intera Nazione. Allora si andava avanti facendo debito pubblico ed avanti o popolo, un rimpasto e poi un altro dopo 4 mesi, ricordo i famosi "govrni balneari". Oggi, sono tutti molto più incattiviti in politica e non credo che funzionerebbe. Il maggioritario secondo me costringe i famosi partiti minori a mettersi d'accordo e coalizzarsi, portare avanti battaglie condivise. E, non ultimo, ad essere più riconoscibili. Siamo stanchi di non andare da nessuna parte, ed ognuno si giustifica dietro i condizionamenti, veri o presunti, di una miriade di individui che, alla fine, rappresentano solo se stessi. buona giornata a tutti i ... 4 lettori!
Autore Città Giorno Ora
Giovanni Dotti VARESE 20/1/2014 18.19
Titolo:
Se anche le osservazioni del dr Sarubbi sono giuste e motivate, riteniamo che prima di dare un giudizio definitivo si debba aspettare il testo definitivo dell'eventuale accordo tra i due "venditori di fumo". Si vedrà solo allora se anche Renzi sarà meritevole di tale appellativo. Speriamo che la trattativa resti nell'ambito delle raccomandazioni della Corte Costituzionale, come espresso nell'editoriale, e che comunque l'accordo siglato venga esaminato o dalla stessa Corte o da Costituzionalisti esperti prima di sottoporlo al Parlamento. 

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Titolo articolo : 2014: l’anno della ripresa,di Michele Zarrella

Ultimo aggiornamento: January/13/2014 - 15:52:46.

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Autore Città Giorno Ora
elio cassano bari 13/1/2014 15.52
Titolo:MAGARI!
Magari riempissimo i telegiornali e i tanti supervacui talk show di argomenti come questo. Ma come è possibile che abbiamo perso il gusto, la voglia, di fare scuola, di proporre qualcosa di vero, di autentico, di necessario come e più del pane? Come è possibile che in TV si vedano così tante ricette su ricette, omicìdii, violenze di ogni sorta a cui col tempo ci si abitua, ci si fa la scorza, si desidera vedere dal vivo, e non si sentano parole costruttive, proposte di vita? Siamo solo un budello da riempire sino alla gola e morire strafocati, o poi andare dal dottore per denunciare i mali che conseguono alla sovralimentazione? Che Dio ci perdoni e ci faccia rinsavire prima di qualche terrible guerra. Purtroppo è solo dopo aver sperimentato il bisogno vero che si scopre la solidarietà, è dopo che sperimento sulla mia carne la sofferenza che comincio a non tollerare la sofferenza di mio fratello, sin che si sta bene ... lascia che lui si arrangi da sè. Nonostante tutto, buon anno e speriamo che qualcosa accada sul serio.

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Commenti Articolo 373

Titolo articolo : Speranza o imbroglio?,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: January/12/2014 - 15:25:36.

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Autore Città Giorno Ora
maria speranza perna napoli 12/1/2014 15.25
Titolo:Finalmente, una cririca intelligente! !
Caro sig. Carrubi, ironia della sorte, io mi chiamo proprio "SPERANZA", il "Maria" fu aggiunto, al mio battesimo, dal sacerdote che, ligio al dovere, si rifiutava di dare u nome "pagano" in un battesimo cristiano...ma sono passati sessant'anni dal mio battesimo. Le scrivoper dirLe che sono pienamente d'accordo con Lei, ho gli stessi dubbi e le stesse domande. Auguri per tutti noi che cerchiamo di capire sempre la realtà, sia quella "religuiosa", sia quella "laica", o entrambe. La saluto cordialmente, Maria Speranza Perna

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Commenti Articolo 374

Titolo articolo : La conversione di color che sanno (o credono di sapere),di Carlamaria Cannas

Ultimo aggiornamento: January/11/2014 - 19:45:24.

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Autore Città Giorno Ora
Graziella Argiolu Cagliari 11/1/2014 19.45
Titolo:
Cara Carla Maria,
mi è piaciuto molto il tuo articolo con il quale concordo in pieno. L'ho inoltrato ad altri amici. Ciao 
Graziella

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Commenti Articolo 375

Titolo articolo : I nostri auguri per il 2014,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: January/07/2014 - 19:50:55.

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moreno ceron vicenza 31/12/2013 18.22
Titolo:
Grazie per il commento che condivido come moltri altri.
UN GROSSO AUGURIO DI BUON ANNO 2014 ...CHE TUTTO CIO' CHE DESIDERATE SI REALIZZI...
BUON LAVORO CON IL DIALOGO...
Moreno
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Renzo Coletti Genova 01/1/2014 17.03
Titolo:
Caro Giovanni,
per stimolare lil senso critico e diffondere la conoscenza bisogna partire dall’evento iniziale che ci ha condotti alla situazione attuale, che non è quello che citi tu, il quale pur essendo importante non costituisce l’origine, ma è una conseguenza. L’evento scatenante (un incontro molto riservato tenutosi presso la residenza privata del mega-banchiere John Pierpont Morgan sull’isola di Jekyll, al largo della Georgia, nel novembre 1910)  è indicato nell’articolo di cui riporto il link, dove è anche descritta la successione di guerre e crisi economiche, politiche e sociali che ha originato la situazione presente. 
La violenza non è uno strumento spregevole e inaccettabile a priori, ma in determinate condizioni può essere l’unica soluzione possibile (vedi guerra di liberazione partigiana) per combattere la repressione, lo stato di polizia, il fascismo ed il totalitarismo in generale. Non credo che Gesù fosse dalla parte dei poveri o dei ricchi, ma dalla parte dei giusti e di coloro che mettono la dignità umana al centro dei valori. Il pacifismo fine a se stesso è solo una via di fuga dalla realtà come l’ipocrisia dei benpensanti che la chiesa cattolica da sempre suggerisce, mettendo nelle mani di Dio ogni probelma e responsabilità. La pace è un equilibrio che si ottiene controbilanciando rapporti di forza attualmente rappresentati da classi, nazionalismi, strategie militari  e controllo sulle materie prime e i beni comuni primari. 

In questo nuovo anno auguro a tutti una nuova coscienza e che Gesù, inteso come giustø, scenda dentro di voi e chieda alla vostra mente di evolversi e di non attendere l’intervendto divino, ma di agire in prima persona per cambiare questa situazione di barbarie.

Renzo Coletti

http://byebyeunclesam.wordpress.com/2013/12/27/la-fed-e-finita-cento-anni-di-manipolazioni-del-dollaro-americano/
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Guglielmo Loffredi Brescia 07/1/2014 19.50
Titolo:
Grazie per questo articolo che chiarisce molte cose e che azzera tutti gli alibi. Guglielmo Loffredi

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Commenti Articolo 376

Titolo articolo : SIAMO VENUTI DALL'ORIENTE PER ADORARE IL RE,di p. Alberto MAGGI OSM

Ultimo aggiornamento: January/07/2014 - 09:50:57.

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isabelle charlier varese 07/1/2014 09.50
Titolo:E oggi?
Riprendo una frase del commento: "Erode era un re illegittimo"

E oggi dopo più di 2000 anni dalla vita terrena di Gesù, a che punto siamo? Molti poteri illegittimi sono ancora in corso. Il problema rimane ancora da risolvere. Non è così?

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Commenti Articolo 377

Titolo articolo : Sindaco d'Italia? Non va bene,di Enrico Peyretti

Ultimo aggiornamento: January/05/2014 - 11:52:07.

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Bruno Antonio Prof.Bellerate Rocca di Papa (RM) 05/1/2014 11.52
Titolo:Complimenti
La saggezza storica, per lo più, trascurata, dovrebbe ricordare a tutti che "la gattina frettolosa ha fatto i gattini ciechi!

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Commenti Articolo 378

Titolo articolo : Ministro Mauro, si fermi!,d. Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi

Ultimo aggiornamento: December/31/2013 - 18:48:11.

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moreno ceron vicenza 31/12/2013 18.48
Titolo:
Speriamo che il ministro Vi ascolti......e riffletta...
BUON ANNO
Moreno

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Commenti Articolo 379

Titolo articolo : SCANDALO IN VATICANO: UN PAPA COMUNISTA!,di Elio Rindone

Ultimo aggiornamento: December/31/2013 - 18:38:03.

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moreno ceron vicenza 31/12/2013 18.38
Titolo:
IL VESCOVO DI ROMA FRANCESCO .......UN NOME UNA GARANZIA.....
GRAZIE PER L'EDITORIALE.
BUON ANNO
Moreno

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Commenti Articolo 380

Titolo articolo : FINISCE IL 2013, ANNO COSTANTINIANO FINIRA’ L’ ERA COSTANTINIANA?,di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: December/31/2013 - 09:28:10.

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don Pietro Taffari Porto Empedocle 31/12/2013 09.28
Titolo:Perche' abolire solo i cappellani militari?
Sono presbitero sposato,gia' capp. militare e so cosa significhi servire il Regno di Dio li' senza farsi tappare la bocca. Il problema non e' abolirli, ma essere sale e lievito in quell'ambiente senza compromessi silenziosi.Altrimenti aboliamo i cappellani nelle carceri,negli ospedali, nelle fabbriche...Ma Gesu' non si e' incarnato nella storia di ogn uomo? Giovanni Battista non ha predicato la conversione ai soldati. E quale professione di fede da due centurioni nei Vangeli. don Pietro
 

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Commenti Articolo 381

Titolo articolo : MA CHE NATALE CELEBRA QUESTO PAESE?,di Alex Zanotelli

Ultimo aggiornamento: December/31/2013 - 09:25:39.

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elio cassano bari 31/12/2013 09.25
Titolo:I valori non negoziabili
Provo sempre tanta "stomacata" indignazione perchè, nel leggere articoli come quello di p. Alex, mi sovvengono le parole più volte lette "i valori non negoziabili"! E tutto ciò di cui ci parla p. Alex? E la corruzione, la compravendita di qualsiasi cosa, lo sfruttamento del lavoro, un così esoso carico fiscale senza andare a vedere dove DAVVERO c'è ricchezza mai tassata? E le verie, tante, forze dell'ordine fanno sempre e soltanto il loro dovere? Di tutto ciò non c'è traccia tra gli intramontabili "valori non negoziabili" cioè aborto e omosessualità. Mi da tanto di profonda, tanto profonda, ipocrisia. E' il non voler vedere, girando la testa da un'altra parte. Ed è anche il "distrarre" la gente perchè non si accorga sino in fondo di quanto deve subire. Buon anno a tutti, grazie p. Alex

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Commenti Articolo 382

Titolo articolo : «Il cristiano non può arricchirsi; se uno possiede, deve condividere»,di Ufficio Stampa EMI

Ultimo aggiornamento: December/09/2013 - 23:18:06.

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moreno ceron vicenza 09/12/2013 23.18
Titolo:Corriamo
Corriamo ...in libreria.
Grazie Alex.....

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Commenti Articolo 383

Titolo articolo : Censura su Fidel e Mandela,di Atilio A, Boron

Ultimo aggiornamento: December/09/2013 - 12:49:42.

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martino pirone arcisate 09/12/2013 12.49
Titolo:
 Ciò che ha scritto il leghista Francesco Vartolo di Verona nei confronti del grande Mandela è inconcepibile (v. Ansa, facebook, ecc):
«Finalmente il terrorista Mandela, belva assetata di sangue bianco trasformato in eroe dalla propaganda mondialista, si troverà di fronte a tutta la gente che ha fatto ammazzare». «Con le bombe nelle chiese o con i copertoni incendiati intorno al collo».Non immaginavo che in Italia ci fossero ancora elementi del genere !  Dove ha vissuto questo impertinente ? Dove ha studiato ? Doveva diventare medico dentista per dire scemate e cattiverie del genere ?  Si vede che una carie invece di attaccare un dente ha infettato il suo cervello.  Chissà che dispiacere anche per i genitori !  Anziché allevare un figlio simile sarebbe stato meglio allevare maiali per 29 anni.  Il Capo dello Stato dovrebbe togliergli la Cittadinanza Italiana ed espellerlo dall'Italia, dal Veneto e dalla sua fantomatica Padania, come extracomunitario indegno.  Nino 39

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Commenti Articolo 384

Titolo articolo : Il nostro comune impegno,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: December/06/2013 - 17:28:09.

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Giovanni Anziani Campobasso 17/11/2013 09.21
Titolo:
Grazie per questo messaggio! Fa del bene a molti sempre impegnati per la giustizia e la pace colme è stato sancito nell'ultima Assemblea del CEC in Corea. Da parte mia voglio proseguire il cammino per una nuova educazione alla giustizia, cioè insegnare che il diritto non è materia di esami scolastici, ma il fondamento della vita democratica.
Autore Città Giorno Ora
martino pirone arcisate 06/12/2013 10.16
Titolo:il nostro comune impegno
Autore Città Giorno Ora
martino pirone arcisate 06/12/2013 17.28
Titolo:
Con sincera franchezza ringraziamo il Direttore dott. Giovanni Sarubbi ed i suoi Collaboratori per aver aperrto questa finestra di cultura sul mondo. Riteniamo questo giornale online un mezzo importante per far "dialogare", anche a distanza, persone di diversa estrazione sociale, culturale e politica in un confronto aperto, civile e democratico. Numerose, forse anche troppe, sono le rubriche che intrattengono i suoi affezionati lettori, comunque sempre molto interessanti.  Un solo suggerimento: ridurre il numero delle rubriche raggruppando alcuni argomenti (es.lettere al direttore,, opinioni, politica) sotto un'unica voce, in modo da facilitarne l'accesso ai lettori.  Ci auguriamo che "Il Dialogo" abbia lunga vita e continui ad essere un riferimento per quanti cencano un'informazione indipendente ed aggiornata e vogliono approfondire le loro conoscenze.
Martino Pirone e Giovanni Dotti
Varese, 6 dicembre 2013

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Commenti Articolo 385

Titolo articolo : Quale futuro per un PD di Sinistra?,di Aldo Antonelli

Ultimo aggiornamento: December/05/2013 - 09:46:05.

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ALDO ANTONELLI AVEZZANO 05/12/2013 09.35
Titolo:Primarie? No Grazie!
Condivido la risposta dell'amico Mauro al mio articolo, pubblicato su Huffingtonpost e, come editoriale, su Il Dialogo, e lo diffondo a tutte le amiche e gli amici della mia lunga lista.......
Voi che ne dite?
Se volete potete inviare una risposta all'amico Mauro al seguente indirizzo: bettibettio@gmail.com
Un abbraccio
Aldo

Carissimo Aldo,

di nuovo mi trovo ad essere perfettamente in linea con te...

...Ma purtroppo questa stessa cosa l'avevo detta (e la pensavo veramente) anche in occasione delle ultime elezioni politiche, quando ti scrissi che "sottoscrivevo parola per parola il tuo appello motivato ad un voto per il PD"!!

Proprio per questo, dopo quello che per me è stato il passaggio decisivo (la "non-vittoria", l'assoluta supponenza e noncuranza verso eletti ed elettori del M5S, i 101 schifosi e l'affossamento della candidatura presidenziale di Prodi ed infine, ca va sans dire, il governo con la peggior feccia berlusconiana), ti (ri)scrissi qualche mese fa chiedendoti cosa aspettavamo a dir basta a questo giochino?

Per questo, ti scrivevo che - per quanto mi riguarda - quello del 24-25 febbraio 2013 è stato senz'altro l'ultimo voto per il PD della mia vita, sia nel senso di rappresentanza politico-istituzionale (elezioni politiche ed amministrative), che nel senso di partecipazione diretta (elezioni primarie, iscrizione et similia).

Torno quindi a riproporti se non ti sembra giunto il momento che - nel nostro piccolo, cioè per il giro di persone che possiamo raggiungere personalmente e con la nostra voce (anche se amplificata dalla tecnologia elettronica) - si prenda nuovamente posizione, questa volta per dichiarare e invitare a non partecipare alle primarie farsa dell'8 dicembre e a non offrire un altra volta supinamente il nostro consenso elettorale al PD in occasione delle prossime consultazioni elettorali alle quali saremo chiamati.

Alla mail precedente, tu mi rispondesti che non ti convincevano mai posizioni astensioniste: non ti chiedo pertanto di condividere un appello di questo genere, ma solo di fare quello che stanno facendo migliaia di (ex) elettori di sinistra e centro-sinistra che, a differenza di me, sanno usare i social networks per far arrivare la loro voce alla burocrazia partitica: dire e gridare con forza che la misura è colma, che il giochino ormai è stato scoperto (anche quello per esempio di mandare avanti il Civati di turno per rastrellare un po' di scontenti!) e che questa gente non ci avrà più!

Mi piacerebbe quindi dichiarare (insieme a te?), alle persone che conosciamo e con cui abbiamo condiviso passione politica, che non voteremo alle imminenti primarie del PD e che ci riserviamo di non votare per quel partito stante la perdurante scandalosa situazione. Ti sembra troppo?

Immagino che questa sia oggi anche la tua posizione.

Se così non fosse, mi piacerebbe comunque che - come spesso fai con i dialoghi che intessi con amici - tu avessi la gentilezza di inoltrare questa mia mail al tuo corposo e attento indirizzario di interlocutori (nel caso specificando che non condividi queste conclusioni, ovviamente), giusto per raccogliere riflessioni e confronti al riguardo. Posso chiederti questa cortesia?

Grazie, un abbraccio, sperando di rivederti presto

Mauro Pellegrino

(Mail to: bettibettio@gmail.com)

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Commenti Articolo 386

Titolo articolo : ISON non ce l'ha fatta,di Michele Zarrella

Ultimo aggiornamento: November/30/2013 - 10:54:27.

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Michele Zarrella Gesualdo 30/11/2013 10.47
Titolo:
Eh sì. E' stato proprio un peccato. Queste sono occasioni uniche nella vita di un uomo.

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Commenti Articolo 387

Titolo articolo :   SIGNORE RICORDATI DI ME QUANDO ENTRERAI NEL TUO REGNO,di p. Alberto Maggi OSM

Ultimo aggiornamento: November/21/2013 - 11:26:17.

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isabelle charlier varese 21/11/2013 11.26
Titolo:Grazie!
Questo commento d'oro apre davvero alla riflessione. Grazie.

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Commenti Articolo 388

Titolo articolo : Cercasi un popolo "Davide" per abbattere i Golia di turno,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: November/17/2013 - 12:38:19.

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Renzo Coletti Genova 11/11/2013 10.33
Titolo:
Caro giovanni,
belle immagini, reali, ma il nulla è sempre il nulla e chiedere al nulla di essere anche solo piccola cosa, piccola forza, è chiedere a degli scchiavi, deivigliacchi, degli ignoranti, dei cattolici bigotti, dei servi di partito, dei ruffiani, una dignità che non hanno mai neppure immaginato di possedere.
Ed il giorno che lpignoranza salirà lo scalino della storia prenderà l'iniziativa la bandiera americana della barbarie fascista sventolerà su tutte le case. Vedi caro amico, tutti quei baracconi di demenza, tutte quelle piccole o grandi aberrazioni mentali organizzate in ogni angolo di piazza, in ogni cinema, in ogni teatro, in ogni angolo di mondo, non sono che il frutto di qualcosa che vuole produrre un risultato ben calcolato, magari proprio una solevazzione di golia, di cui sarà facile avere ragione e la bandiera dello stato di polizia sventolerà su di noi esultanti ed pieni di orgognio.
Vedi quello spettacolo in piazza Navona ora si è trasformato: è bastato un Papa buono e i davide già si sono messi la fionda in tascca, forse l'hanno buttata via, e che dire dei tuoi amici pacifisti che non farebbero male ad una mosca? Quanti sindaci hanno sventolato la bandiera della pace il 4 Novembre? Quanti sindaci hanno chiamato a racconta i loro cittadini invitandoli a lottare contro il governo che li sta costringendo a chiudere i servizi sociali, ad aumentare le tasse sulla casa, la spazzatura, a chiudere i servizi di trasporto pubbico, a lasciar ccrollare le scuole sulle teste dei ragazzi,ed alla via cos? Quanti parroci hanno suonato le campane a distesa per chiamare i fedeli a raccolta per ricordargli cosa vuole dire essere cristiani? E quel piccolo gruppo di dementi che hai visto in piazza Navona che strisciava ai piedi del CarDinal Ruini, credi sappia ancora cosa volgia dire essere cristiani? Credi gli importi saperlo?
E vedo che il tuo piccolo giornale è impegnato per il matrimonio dei sacerdoti, ma mi sfugge il senso di questo progetto, non capisco perchè questi parassiti della socità, questi venditori di fumo, questi servi meschini di una monarchia assoluta, resposnabile dell'oscurantismo di secoli di storia, responsabili della diffusione e dell'imprinting dell'ipocrisia come scenta di vita, responsabili di imporre dogmi, certezze, quindi fanatismo, personaggi instabili mentalmente, ma potrei continare, dovrebbero diventare padri e essere portatori di problematiche terrificanti in seno a una famiglia che il loro credo ha da sempre voluto modellare a suo piacimneto con risultati spesso catastrofici.
E non parliamo delle donne che ha sempre visto come il demonio, quindi come pensare di dare in sposa ad un sacerdte un demone?
Ti ricordo che non sono io a dire certe cose, ma è stata la Chiesa, facendolo per secoli.
E se non troveremo, o non troverai dei davide per la tua rivoluzione, sappi che la più resposnabile è prorpio la chiesa ed i suoi parroci.
Per il resto va tutto bene.
scusa se sono duro, ma non ne posso prorprio più.

renzo Coletti.
Autore Città Giorno Ora
Paolo Indemini Torino 17/11/2013 12.38
Titolo:Essere un piccolo "Davide"
Sottoscrivo al 100% l’articolo di Giovanni Sarubbi, e mi rendo ben conto (ho 67 anni) che non è più tempo di aspettarsi un “Davide” (un padre, per quanto piccolo) che ci guidi verso un mondo migliore. Siamo ormai grandi per non comprendere che (sia pure a diverso titolo e in diversa misura) siamo tutti responsabili della situazione che stiamo vivendo,
Purtroppo, in chi con la mente e con il cuore rifiuta questa triste realtà, prevale il senso di impotenza (e io mi sento tra questi) o la rabbia che leggo nel commento di Renzo Coletti al quale vorrei dire: “Caro amico (e bada bene che non sono un “bigotto cattolico osservante”, non vuole essere questo il tono…), comprendo la tua rabbia che in fondo è anche la mia - e che io preferisco rivestire di impotenza - perché vedo come nasca da un profonda sofferenza (il tuo ”non ne posso proprio più”), ma proprio questo è il punto. Se non siamo in grado di trasformare questa grande forza che è la rabbia in azione positiva, allora restiamo corresponsabili di questo stato di cose e allora il nostro diritto di critica rischia di trasformarsi in un inutile lamento.
Personalmente, io credo che quella della disobbedienza nonviolenta sia l’unica strada davvero alternativa al sistema che critichiamo: ma riconosco di non essere stato capace, finora, di far altro che aspettare un piccolo Davide…”.

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Commenti Articolo 389

Titolo articolo : REINHARD MARX CONTRO LE RECINZIONI ("enclosures") DEL CARDINALE MULLER (E DI PAPA FRANCESCO). Sulla "lettera ai vescovi tedeschi ( “No comunione ai divorziati risposati”), una nota di Francesco Antonio Grana  - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/12/2013 - 20:25:14.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/11/2013 19.58
Titolo:ALESSANDRO MANZONI ....
LA LEZIONE DEI "PROMESSI SPOSI".... *


Il primo che, dopo aver recintato un terreno, pensò di dire questo è mio, e trovò altri tanto ingenui da credergli, fu il fondatore della "società civile"... Quando Alessandro Manzoni intraprende la sua “guerra illustre contro il tempo”, le opere e le riflessioni di J.-J. Rousseau sull’origine della disuguaglianza (1754), su Giulia o la nuova Eloisa (1761), sul Contratto sociale (1762), su Emilio (1762), e su Emilio e Sofia o I Solitari (1762-1765), sono certamente nell’orizzonte dei suoi pensieri. La sequenza dei titoli scelti per il suo romanzo storico vi allude esplicitamente: Fermo e Lucia, Gli sposi promessi, I Promessi Sposi (1825-1827). E il problema, che in esso egli affronta e tenta di risolvere, non è molto diverso da quello già affrontato da Rousseau con le figure di Emilio e Sofia e, sulla sua scia, da Pestalozzi con le figure di Leonardo e Gertrude (1781): come uscire dalla vecchia società e dalla vecchia storia segnata dalla Legge della proprietà e della violenza e dare vita a una nuova società e a una nuova storia.

La consonanza profonda sta nel fatto che Rousseau ha colto l’immane portata e la lunga durata del fenomeno delle recinzioni delle terre (enclosures) e Manzoni quella della connessa legge del maggiorasco (o della primogenitura) su tutto l’ordine sociale e, al contempo, che entrambi guardano a una possibile trasformazione della società a partire da una nuovo matrimonio; e, ancora, che l’uno ha scritto la Professione di fede del Vicario Savoiardo (Emilio, L. IV) e l’altro le Osservazioni sulla morale cattolica.....


* Cfr. Federico La Sala

http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=1301
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/11/2013 20.25
Titolo:ZEUS MOLTO PIU’ SAGGIO DEL DIO DI RATZINGER E BERGOGLIO....
ZEUS MOLTO PIU’ SAGGIO DEL DIO DI RATZINGER

UNA "LEZIONE" di PROTAGORA *

"Allorché l’uomo divenne partecipe della sorte divina, in primo luogo, per la parentela con gli dei, unico fra gli esseri viventi, cominciò a credere in loro, e innalzò altari e statue di dei. Poi subito, attraverso la tecnica, articolò la voce con parole, e inventò case, vestiti, calzari, giacigli e l’agricoltura. Con questi mezzi in origine gli uomini vivevano sparsi qua e là, non c’erano città; perciò erano preda di animali selvatici, essendo in tutto più deboli di loro. La perizia pratica era di aiuto sufficiente per procurarsi il cibo, ma era inadeguata alla lotta contro le belve (infatti gli uomini non possedevano ancora l’arte politica, che comprende anche quella bellica). Cercarono allora di unirsi e di salvarsi costruendo città; ogni volta che stavano insieme, però, commettevano ingiustizie gli uni contro gli altri, non conoscendo ancora la politica; perciò, disperdendosi di nuovo, morivano.

Zeus dunque, temendo che la nostra specie si estinguesse del tutto, inviò Ermes per portare agli uomini rispetto e giustizia, affinché fossero fondamenti dell’ordine delle città e vincoli d’amicizia. Ermes chiese a Zeus in quale modo dovesse distribuire rispetto e giustizia agli uomini: «Devo distribuirli come sono state distribuite le arti? Per queste, infatti, ci si è regolati così: se uno solo conosce la medicina, basta per molti che non la conoscono, e questo vale anche per gli altri artigiani. Mi devo regolare allo stesso modo per rispetto e giustizia, o posso distribuirli a tutti gli uomini?« «A tutti - rispose Zeus - e tutti ne siano partecipi; infatti non esisterebbero città, se pochi fossero partecipi di rispetto e giustizia, come succede per le arti. Istituisci inoltre a nome mio una legge in base alla quale si uccida, come peste della città, chi non sia partecipe di rispetto e giustizia»"

* Platone, Protagora, 323.

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Commenti Articolo 390

Titolo articolo : Della Terra, il brillante colore,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/11/2013 - 19:57:11.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/6/2013 22.51
Titolo:ALLA SOPRINTEDENZA DI SALERNO ... LETTERA APERTA
LETTERA APERTA

ALLA SOPRINTEDENZA per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Salerno e Avellino

CH.MO SOPRINTENDENTE

Egr. dott. Miccio

Le scrivo, in riferimento allo stato della Chiesa di Maria SS. del Carmine di Contursi Terme. Del restauro di questa chiesa (convento carmelitano dal 1561 al 1652), dopo il terremoto del 1980, se ne sono occupati i tecnici della Soprintendenza, il dott. Domenico Palladino e la dott.ssa Maria Giovanna Sessa: i lavori furono conclusi nel 1989 (scheda restauro - pdf, in fondo).

Purtroppo, dopo molti anni di totale incuria, la sua situazione ora sta precipitando paurosamente. Solo per darle un’idea, Le ho qui allegato una foto relativa allo stato attuale del tetto (si veda, qui, in fondo).

Uno scenario orribile: non sono cresciute solo erbacce che intasano il corretto deflusso delle acque e che poi vanno ad infiltrarsi nel muro (con conseguenti danni - già disastrosi ed evidenti all’interno), ma si è avviato anche il cedimento dell’orditura che tiene l’intero manto delle tegole!!!

Anche se non sono un tecnico, è facile supporre che la situazione andrà peggiorando anche da un punto di vista strutturale con pericolo per la privata e pubblica incolumità.

All’interno, la parete sinistra (ormai fradicia di umidità e sempre più ricoperta di muffe verdeggianti) sta perdendo tutti i suoi preziosi affreschi (12 Sibille) portati alla luce dai lavori di restauro.

Entrando, e avanzando verso l’altare a Sx: 1. Sibilla PERSICA, 2. Sibilla LIBICA, 3. Sibilla DELFICA, 4. Sibilla CUMEA [CHIMICA], 5. Sibilla ERITREA, 6. Sibilla [SAMIA]
- a Dx: 7 Sibilla CUMANA, 8. Sibilla LESPONTICA, 9. Sibilla FRIGGIA,10. Sibilla TIBURTINA,11. Sibilla E[V]ROPEA, 12. Sibilla EGIPTIA
- In alto, dietro e sopra l’altare, una Pala del 1608 di Jacopo de Antora, con - sotto a sx, - il Profeta Elia, - e a dx, il profeta Giovanni Battista, in alto, sulla nuvola, - Maria con il Bambino, e alle loro spalle, - le colline del Carmelo, con chiese e grotte... (si veda, in fondo, tavola sinottica)

Tenga presente che le Sibille presenti sono 12 (al contrario della volta della Cappella Sistina di Michelangelo, ove ne sono rappresentate solo 5 con 7 profeti) e che questa grande novità ovviamente non è di poco rilievo per la storia dell’arte e della storia culturale e religiosa italiana.

Sulle "decorazioni parietali di modesta fattura e complessa lettura" (come accennato dai dott. Palladino-Sessa nella loro relazione), si veda la documentazione presente nel mio lavoro: Federico La Sala, Della Terra, il brillante colore. [...]

In particolare, è bene ricordarlo: "Le Sibille di Contursi hanno parentele più celebri nella Cattedrale di Siena, nell’appartamento Borgia in Vaticano, nel Tempio Malatestiano di Rimini, nella Cappella Sistina di Michelangelo. La pittura disegna l’ eclettismo ermetico-cabalistico-neoplatonico rinascimentale che colloca la filosofia e la teologia pagana in sequenza con il Cristianesimo".

Il mio unico desiderio è che il prezioso lavoro fatto dalla stessa Sovrintendenza non vada assolutamente perduto! E che questa bandiera della cultura tardo-rinascimentale piantata nell’area salernitana non ricada per sempre nell’oblio (o, diversamente, nel fango).

Mi auguro che Ella possa intervenire quanto prima, per sollecitare e contribuire a salvare il salvabile.

La ringrazio vivamente della sua attenzione e La saluto

Federico La Sala (12.03.2012)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/6/2013 21.44
Titolo:nel libro tutte le 28 xilografie del Barberi del 1481....
- Rubati due preziosi incunaboli
- di cui uno ha un valore di 24 mila euro

Mostra del libro antico con furto

- Nel corso della diciannovesima edizione alla «Permanente».
- Si tratta di due volumi stampati nella seconda metà del 1400

MILANO - Sono due rari volumi, entrambi stampati nella seconda metà del 1400, i libri rubati stamattina poco dopo l’apertura al pubblico della diciannovesima mostra del libro antico in corso alla «Permanente» di via Turati a Milano. Da due stand peraltro vicini all’ingresso sono spariti due preziosi volumi di piccole dimensioni: il primo è un testo di medicina di Marsilio Officino, «De Triplici vita» stampato a Parigi nel 1506 per il quale era richiesto un prezzo di 6 mila euro. Secondo il catalogo della mostra il volume (10 cm x 15) è il quarto esemplare completo al mondo dei sette esistenti in totale. Stampato in carattere romano su una sola colonna, senza illustrazioni, e scritto in latino con copertina in pelle scura e incisione in oro di aquila su piatti.

IL SECONDO VOLUME - Ventiquattromila euro era invece il prezzo richiesto per una raccolta di scritti di Philippus Barberiis, professore di teologia e monaco domenicano. L’Incunabolo (18 cm per 12,5) è datato 1 dicembre 1481. Il volume, restaurato nell’800, è completo di illustrazioni e rilegato con una copertina di pelle nocciola. Era esposto, insieme ad altri libri antichi, nella vetrina dello stand della Libreria Antiquaria Philobiblon di Milano.

LA DINAMICA - I ladri hanno approfittato della grande affluenza di pubblico e hanno prelevato i volumi dalle vetrine aperte all’interno degli stand. «Purtroppo - ha spiegato uno dei titolari dello stand 10 lo studio bibliografico Ozzano dell’Emilia, Giuseppe Solmi - non è possibile custodire meglio i volumi perché i compratori devono poterli toccare e osservare da vicino». I ladri, tra le 11 e le 11.30, in rapida successione hanno quindi prelevato i due piccoli volumi dai due stand e si sono allontanati senza problemi. Secondo quanto si è appreso le opere rubate sono comunque coperte da assicurazione. La mostra, che ospita 38 stand, resterà aperta fino al 16 marzo.

* Corriere della Sera, 14 marzo 2008
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/7/2013 18.03
Titolo:ERMETISMO CRISTIANO. Le Sibille del mosaico di Siena che accompagnano Ermete
STUDI

Un saggio di Claudio Moreschini getta nuova luce sul percorso e sugli intrecci dell’ ermetismo cristiano e su come fu interpretato dal tardo mondo antico a Marsilio Ficino

Ermete, dio del discorso e del silenzio, araldo di una segreta salvezza

Una visione del mondo che affonda le sue radici nell’ antico Egitto, condannata da Agostino, custodita dai sapienti medievali

di Giovanni Filoramo *

STUDI Un saggio di Claudio Moreschini getta nuova luce sul percorso e sugli intrecci dell’ ermetismo cristiano e su come fu interpretato dal tardo mondo antico a Marsilio Ficino Ermete, dio del discorso e del silenzio, araldo di una segreta salvezza

Tra i simboli che hanno contribuito a fissare in immagini pregnanti il destino dell’ ermetismo, accanto al famoso pavimento a mosaico della cattedrale di Siena (XV sec.), in cui si condensa la millenaria tradizione cristiana (fu inaugurata agli inizi del IV sec. d.C. da Lattanzio) di un Ermete, contemporaneo di Mosè, profeta pagano del cristianesimo, merita di essere evocato un emblema di Achille Bocchi (1555).

Ermete, il dio del discorso, è rappresentato con in mano un candeliere a sette braccia, mentre con l’ indice dell’ altra mano fa segno di tacere. Segreto e divulgazione: ecco il paradosso, ricco di potenzialità, di una tradizione come l’ ermetismo, in cui fin dai primordi, legati al sorgere stesso della cultura ellenistica, si mescolano, in modo quasi indistricabile, le scienze occulte tipiche dell’ antichità (alchimia magia astrologia) e un sapere filosofico-religioso che aspira a portare all’ umanità l’ annuncio salvifico di una nuova pietà, una gnosi nutrita di devozione, una pia philosophia, come dirà poi Ficino.

Le straordinarie fortune di questa tradizione, capace di conservarsi nei secoli attraverso mille metamorfosi, dalle riletture cristiane tardo-antiche alle recentissime forme di neo-ermetismo che circolano negli ambienti della New Age, si muovono continuamente tra esoterismo e propaganda.

Una dialettica creativa cui fa da contraltare, sul piano dottrinale, una cosmo-teo-sofia: una tensione a conoscere il mistero del cosmo come unità in cui si manifesta, attraverso la molteplicità delle sue forme, la stessa unità del divino cui l’ uomo è invitato a partecipare.

Oggi si è sempre più d’ accordo nel riconoscere le radici egizie di questa visione del mondo. Si tratta di una struttura di pensiero capace di mediare tra spinta centrifuga di tipo politeistico e panteistico ed intima tensione centripeta verso un monoteismo inclusivista.

È stato, però, l’ ellenismo e la simbiosi da esso promossa tra varie tradizioni culturali a costituire il terreno più favorevole perché questa visione, di per sé esoterica, assumesse valenze soteriche e, sotto il patrocinio di un dio, il tre volte grandissimo Ermete-Thoth, si diffondesse attraverso una miriade di scritti, tra cui i trattati dell’ ermetismo filosofico (per una recente messa a punto si può vedere Scritti ermetici in copto, a cura di A. Camplani, Paideia).

In realtà, la linea di divisione, che un tempo appariva chiara e invalicabile, tra ermetismo filosofico ed ermetismo popolare non ha resistito a una serie di critiche. L’ intreccio tra scienza e magia, tra procedimento scientifico e visione religiosa, è un tratto tipico del pensiero antico.

Nel tardo-antico, così come poi, con le variazioni del caso, nell’ umanesimo, alchimia e magia si mescolano coi saperi filosofici, usando un nuovo linguaggio e attingendo parte del loro materiale dalle tradizioni filosofiche, ma nel contempo imprestando tecniche e immagini alchemiche e magiche per descrivere processi cosmogonici e psicogonici: un intreccio fecondo, che costituisce una ragione profonda della fortuna di questa tradizione.

La sua storia attende ancora l’ autore in grado di disegnarne il profilo complessivo, ricostruendone i tanti rivoli, senza però perdere di vista la corrente principale. Un significativo contributo in questa direzione viene oggi dal lavoro di Claudio Moreschini (Storia dell’ ermetismo cristiano, Morcelliana, Brescia).

Senza pretese di esaustività in un campo in cui ancora molto vi è da dissodare e sulla base di una serie di lavori precedenti dedicati in particolare a Marsilio Ficino e a Ludovico Lazzarelli (di cui in appendice sono riportati alcuni testi fondamentali), l’ autore ha il merito, dopo aver ricostruito i tratti essenziali dell’ ermetismo tardo-antico e riassunto i temi fondamentali dell’ Asclepio, di abbozzare un profilo del modo in cui nell’ Occidente cristiano, sulla base soprattutto della traduzione latina dell’ Asclepio, nonostante le condanne di un Agostino, la figura di Ermete e i testi a lui attribuiti siano stati riletti, anche durante il Basso Medioevo, come una prefigurazione di aspetti fondamentali della rivelazione cristiana.

Come ricordano le Sibille del mosaico di Siena che accompagnano Ermete, la storia dell’ ermetismo medievale è anche storia dell’ intreccio con le innumerevoli tensioni profetiche che caratterizzano il Basso Medioevo. È così che lo vedrà un Ficino: non come un filosofo, ma come un profeta che preannuncia la futura rovina della religione egizia (e cioè del paganesimo) sulle cui ceneri nascerà una nuova fede. Aver contribuito a mettere in luce il fatto che questa fede ficiniana, così profondamente intrisa di succhi ermetici, fosse erede in realtà di una lunga tradizione medievale non è uno degli ultimi meriti del libro di Moreschini. Giovanni Filoramo

* Corriere della Sera, 8 ottobre 2000, Pagina 31
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/9/2013 19.12
Titolo:SIBILLE E PROFETI, OGGI, E LA DOMANDA ANTROPOLOGICA INEVASA
Il papa, i non credenti e la risposta di Agostino

di Vito Mancuso (la Repubblica, 13 settembre 2013)

Qual è la differenza essenziale tra credenti e non-credenti? Il cardinal Martini, ricordato da Cacciari quale precorritore dello stile dialogico espresso dalla straordinaria lettera di Papa Francesco a Scalfari, amava ripetere la frase di Bobbio: “La vera differenza non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa”.

Il che significa che ciò che più unisce gli esseri umani è il metodo, la modalità di disporsi di fronte alla vita e alle sue manifestazioni. Tale modalità può avvenire o con una certezza che sa a priori tutto e quindi non ha bisogno di pensare (è il dogmatismo, che si ritrova sia tra i credenti sia tra gli atei), oppure con un’apertura della mente e del cuore che vuole sempre custodire la peculiarità della situazione e quindi ha bisogno di pensare (è la laicità, che si ritrova sia tra gli atei sia tra i credenti).

Gli articoli di Scalfari e soprattutto la risposta di papa Francesco esemplare per apertura, coraggio e profondità, sono stati una lezione di laicità, una specie di “discorso sul metodo” su come incamminarsi veramente senza riserve mentali lungo i sentieri del dialogo alla ricerca del bene comune e della verità sempre più grande, cosa di cui l’Italia, e in particolare la Chiesa italiana hanno un enorme bisogno.

Rimane però che, per quanto si possa essere accomunati dalla volontà di dialogo e dallo stile rispettoso nel praticarlo, la differenza tra credenti e non-credenti non viene per questo cancellata, né deve esserlo. Un piatto irenismo conduce solo alla celebre “notte in cui tutte le vacche sono nere”, per citare l’espressione di Hegel che gli costò l’amicizia di Schelling, conduce cioè all’estinzione del pensiero, il quale per vivere ha bisogno delle differenze, delle distinzioni, talora anche dei contrasti.

È quindi particolarmente importante rispondere alla domanda sulla vera differenza tra credenti e non credenti, capire cioè quale sia la posta in gioco nella distinzione tra fede e ateismo. Pur consapevole che sono molti e diversi i modi di viverli, penso tuttavia che la loro differenza essenziale emerga dalle battute conclusive della replica di Scalfari al Papa: “Quelle che chiamiamo tenebre sono soltanto l’origine animale della nostra specie. Più volte ho scritto che noi siamo una scimmia pensante. Guai quando incliniamo troppo verso la bestia da cui proveniamo, ma non saremo mai angeli perché non è nostra la natura angelica, ove mai esista”.

“Scimmia pensante... bestia da cui proveniamo”: queste espressioni segnalano a mio avviso in modo chiaro la differenza decisiva tra fede e non-fede. Per Scalfari noi proveniamo da una “bestia” e quindi siamo sostanzialmente natura animale, per quanto dotata di pensiero; per i credenti, anche per quelli che come me accettano serenamente il dato scientifico dell’evoluzione, la nostra origine passa sì attraverso l’evolversi delle specie animali ma proviene da un Pensiero, e va verso un Pensiero, che è Bene, Armonia,Amore.

La differenza peculiare quindi non è tanto l’accettare o meno la divinità di Gesù, quanto piuttosto, più in profondità, la potenzialità divina dell’uomo. La confessione della divinità di Gesù è certo importante, ma non è la questione decisiva, prova ne sia che nei primi tempi del cristianesimo vi furono cristiani che guardavano a Gesù come a un semplice uomo in seguito “adottato” da Dio per la sua particolare santità, una prospettiva giudaico-cristiana che sempre ha percorso il cristianesimo e che anche ai nostri giorni è rappresentata tra biblisti, teologi e semplici fedeli, e di cui è possibile rintracciare qualche esempio persino nel Nuovo Testamento (si veda Romani 1,4).

Peraltro il dialogo con l’ebraismo, così elogiato da papa Francesco, passa proprio da questo nodo, dalla possibilità cioè di pensare l’umanità di Gesù quale luogo della rivelazione divina senza ledere con ciò l’unicità e la trascendenza di Dio. Naturalmente tanto meno la differenza essenziale tra credenti e non-credenti passa dall’accettare la Chiesa, efficacemente descritta dal Papa come “comunità di fede”: nessun dubbio che la Chiesa sia importante, ma quanti uomini di Chiesa del passato e del presente si potrebbero elencare che non hanno molto a che fare con la fede in Dio, e quanti uomini estranei alla Chiesa che invece hanno molto a che fare con Dio.

Il punto decisivo quindi non sono né Cristo né la Chiesa, ma è la natura dell’uomo: se orientata ontologicamente al bene oppure no, se creata a immagine del Sommo Bene oppure no, se proveniente dalla luce oppure no, ma solo dal fondo oscuro di una natura informe e ambigua, chiamata da Scalfari “bestia”.

Un passo di sant’Agostino aiuta bene a comprendere la posta in gioco nella fede in Dio. Dopo aver dichiarato di amare Dio, egli si chiede: “Quid autem amo, cum te amo?”, “Ma che cosa amo quando amo te?” (Confessioni X,6,8). Si tratta di una domanda quantomai necessaria, perché Dio nessuno lo ha mai visto e quindi nessuno può amarlo del consueto amore umano che, come tutto ciò che è umano, procede dall’esperienza dei sensi.

Nel rispondere Agostino pone dapprima una serie di negazioni per evitare ogni identificazione dell’amore per Dio con una realtà sensibile, e tra esse neppure nomina la Chiesa e la Bibbia, che appaiono così avere il loro giusto senso solo se prima si sa che cosa si ama quando si ama Dio, mentre in caso contrario diventano idolatria, idolatria della lettera (la Bibbia) o idolatria del sociale (la Chiesa), il pericolo protestante e il pericolo cattolico.

Poi Agostino espone il suo pensiero dicendo che il vero oggetto dell’amore per Dio è “la luce dell’uomo interiore che è in me, là dove splende alla mia anima ciò che non è costretto dallo spazio, e risuona ciò che non è incalzato dal tempo”. Dicendo di amare Dio, si ama la luce dell’uomo interiore che è in noi, quella dimensione che ci pone al di là dello spazio e del tempo, e che così ci permette di compiere e insieme di superare noi stessi, perché ci assegna un punto di prospettiva da cui ci possiamo vedere come dall’alto, e così distaccarci e liberarci dalle oscurità dell’ego, da quella bestia di cui parla Scalfari che certamente fa parte della condizione umana ma che, nella prospettiva di fede, non è né l’origine da cui veniamo né il fine verso cui andiamo.

Occorrerebbe chiedersi in conclusione quale pensiero sull’uomo sia più necessario al nostro tempo alle prese come mai prima d’ora con la questione antropologica. Ovviamente da credente io ritengo che la posizione della fede in Dio, che lega l’origine dell’uomo alla luce del Bene, sia complessivamente più capace di orientare la coscienza verso la giustizia e la solidarietà fattiva.

Se infatti, come scrive papa Francesco, la qualità morale di un essere umano “sta nell’obbedire alla propria coscienza”, un conto sarà ritenere che tale coscienza è orientata da sempre al bene perché da esso proviene, un altro conto sarà rintracciare nella coscienza una diversa origine da cui scaturiscono diversi orientamenti.

Se non veniamo da un’origine che in sé è bene e giustizia, se il bene e la giustizia cioè non sono da sempre la nostra più vera dimora, perché mai il bene e la giustizia dovrebbero costituire per la nostra condotta morale un imperativo categorico? In ogni caso sarà nell’assumere tale questione con spirito laico, ascoltando le ragioni altrui e argomentando le proprie, che può prendere corpo quell’invito a “fare un tratto di strada insieme” rivolto a Scalfari da papa Francesco nello spirito del più autentico umanesimo cristiano, e accolto con favore da Scalfari nello spirito del più autentico umanesimo laico.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/9/2013 19.26
Titolo:I PROTOCOLLI DI ERMETE TRISMEGISTO
I protocolli del Trismegisto

La differenza tra vero e falso non interessa chi parte già dal pregiudizio, dalla voglia, dall’ansia che gli venga rivelato un mistero

di Umberto Eco (L’Espresso/"La bustina di Minerva", 12 maggio 2005)

Sino a oggi chi voleva studiarsi il "Corpus Hermeticum" (su un’edizione critica, con testo a fronte, non attraverso le innumerevoli confezioni da strapazzo che ne circolano nelle librerie di scienze occulte) aveva a disposizione la classica edizione delle Belles Lettres, a cura di Nock e di Festugière, apparsa tra 1945 e 1954 (un’edizione precedente era quella di Scott, Oxford, 1924, in traduzione inglese).

È bella impresa editoriale che oggi il "Corpus" appaia da Bompiani, nella collana diretta da Eugenio Reale, riprendendo sì l’edizione critica delle Belles Lettres, ma aggiungendovi cose che Nock e Festugière non potevano conoscere e cioè alcuni testi ermetici dai codici di Nag Hammadi - di cui la curatrice Ilaria Ramelli ci offre a fronte, per chi volesse proprio controllare, il testo copto.

Anche se queste 1.500 pagine vengono offerte a soli 35 curo, sarebbe snobistico consigliarle come un libro che tutti possono divorarsi prima di prender sonno. È un insostituibile e prezioso strumento di studio, ma coloro che degli scritti ermetici volessero soltanto assaporare il profumo potrebbero accontentarsi dell’edizione di uno solo di questi, il "Poimandres", cento paginette edite da Marsilio nel 1987.

La storia del "Corpus Hermeticum" è in ogni caso appassionante. Si tratta di una serie di scritti attribuiti al mitico Ermete Trismegisto - il dio egizio Toth, Hermes per i greci e Mercurio per i romani, inventore della scrittura e del linguaggio, della magia, dell’astronomia, dell’astrologia, dell’alchimia, e in seguito addirittura identificato con Mosé. Naturalmente questi trattati erano opera di autori diversi, vissuti in un ambiente di cultura greca nutrita di qualche spiritualità egizia, con riferimenti platonici, tra secondo e terzo secolo dopo Cristo.

Che gli autori siano diversi è ampiamente dimostrato dalle numerose contraddizioni che si trovano tra i vari libelli, e che fossero filosofi ellenizzanti e non preti egizi è suggerito dal fatto che nei trattatelli non appaiono riferimenti consistenti né alla teurgia né ad alcuna forma di culto di tipo egizio.

Che questi testi potessero avere un fascino su molte menti assetate di nuova spiritualità è dovuto al fatto che, come annota Nock nella sua prefazione, rappresentavano «un mosaico di idee antiche, spesso formulate per mezzo di allusioni brevi... e prive di logica nel pensiero quanto erano prive della purezza classica nella lingua». Come vedete (accade anche per molti filosofi moderni) il borborigmo è fatto apposta per scatenare la deriva infinita delle interpretazioni.

Questi trattatelli (salvo uno, "Asclepio", che da secoli circolava in latino) erano rimasti a lungo dimenticati sino a che un loro manoscritto non era pervenuto a Firenze nel 1460, in periodo umanistico, proprio quando ci si volgeva a una saggezza antica e precristiana. Affascinato, Cosimo de’ Medici ne affida la traduzione a Marsilio Ficino, che intitola l’opera "Pimandro", dal nome del primo trattatello, e la presenta come opera autentica del Trismegisto, fonte della più antica delle sapienze a cui non solo lo stesso Platone, ma la stessa rivelazione cristiana avevano attinto. Ed ecco che inizia la straordinaria fortuna e influenza culturale di questi scritti. Come diceva Frances Yates nel suo libro su Giordano Bruno, «questo enorme errore storico era destinato a produrre risultati sorprendenti».

Ora accade che nel 1614 il filologo ginevrino Isaac Casaubon dimostri con argomenti inoppugnabili che il "Corpus" altro non era che una raccolta di scritti tardo ellenistici - come ormai oggi non mettiamo in dubbio.

Ma la storia veramente straordinaria è che la denuncia di Casaubon rimane confinata agli ambienti degli studiosi, ma non scalfisce di un millimetro l’autorità del "Corpus". Basta vedere lo sviluppo di tutta la letteratura occultistica, cabalistica, mistica e - appunto - "ermetica" dei secoli successivi (sino a insospettabili autori del nostro tempo): si è continuato a considerare il "Corpus" come prodotto, se non proprio del divino Trismegisto, almeno di sapienza arcaica su cui giurare come sul Vangelo.

La storia del "Corpus" mi tornava in mente un mese fa, quando era apparso "The Plot" di Will Eisner (New York, Norton): Eisner, uno dei geni del fumetto contemporaneo (scomparso proprio mentre il libro era in bozze) racconta per testo e immagini la storia dei "Protocolli dei savi anziani di Sion".

La parte interessante del suo racconto non è tanto quella della fabbricazione di questo falso antisemita, ma proprio quello che è accaduto dopo, quando il "Times" nel 1921 e poi tutti gli studiosi seri hanno dimostrato e scritto dappertutto che si trattava di un falso. Direi che è proprio da allora che i "Protocolli" hanno intensificato la loro circolazione in tutti i paesi e sono stati presi ancora più sul serio (basta andare per Internet...).

Segno che, si tratti di Ermete o dei i savi di Sion, la differenza tra vero e falso non interessa chi parte già dal pregiudizio, dalla voglia, dall’ansia che gli venga rivelato un mistero, qualche sconvolgente preludio in cielo o all’inferno.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/9/2013 12.18
Titolo:DONNE E UOMINI, SIBILLE E PROFETI, OGGI ....
Anche gli uomini recitano il rosario

di Katie Grimes (Adista” - documenti - n. 33 del 28 settembre 2013)

Il mese scorso, di ritorno dal suo celebratissimo viaggio in Brasile, papa Francesco ha espresso alcuni commenti a braccio, producendo reazioni in tutta la blogosfera cattolica. Pur riaffermando il perenne divieto della Chiesa all’ordinazione delle donne, il papa ha fatto appello a ciò che ha definito «una vera e profonda teologia delle donne nella Chiesa».

In molti hanno accolto con favore le sue parole, interpretandole come prova del suo apprezzamento per il genere femminile. Ma io non sono così sicura che dovremmo leggere queste parole come “una buona notizia”. Il problema sembra esattamente l’opposto di ciò che papa Francesco ha sostenuto. Io non biasimo la mancanza di questa “teologia delle donne”, ma il fatto che tanti rappresentanti della Chiesa la considerino necessaria.

Prima di lui, Giovanni Paolo II aveva già tentato di delineare “una teologia delle donne” con la sua lettera apostolica del 1988 Mulieris dignitatem, individuando due dimensioni della vocazione delle donne: la maternità di stile mariano e la verginità. Tuttavia, piuttosto che criticare questa specifica teologia delle donne, voglio individuare i problemi legati ai presupposti di tale progetto.

La ricerca di una teologia delle donne, sostengo io, rende queste ulteriormente estranee, ponendole sotto la luce circoscritta dello sguardo maschile. Perché nessun papa ha mai scritto una lettera sul ruolo degli uomini nella Chiesa e nella società? O ha mai riflettuto su una “teologia dei maschi”?

La risposta è semplice: i papi non hanno mai messo in discussione il significato teologico del loro sesso, perché il potere ha trovato nella mascolinità la propria giustificazione. Esercitando il potere sociale ed ecclesiale, i maschi hanno voluto dare l’impressione di legiferare in quanto esseri umani. Gli autori del Magistero hanno anche utilizzato la parola “uomini” per indicare l’intera specie umana: le donne possono essere uomini, ma gli uomini non possono mai essere donne. Le donne non sono mai il metro di paragone, rappresentano l’eccezione.

Ciò vale per tutti i gruppi socialmente potenti. Ad esempio, negli Stati Uniti, i tradizionali opinionisti hanno sempre fatto riferimento alla costante supremazia bianca nel Paese non come al “problema bianco”, ma come al “problema nero”, o alla “questione razziale”. Allora come oggi, il fatto di essere bianco appare normativo, scontato e subliminale. Solo i neri devono spiegarsi. Invece di chiedere una «vera e profonda teologia delle donne», avrei preferito che il papa invocasse una critica più incisiva del sessismo, della misoginia e dell’androcentrismo. Invece di una teologia più profonda delle donne, avrei voluto che riconoscesse la necessità di più teologia fatta dalle donne.

Un papa non ha mai scritto una lettera affermando la dignità della popolazione maschile, anche perché questa non è mai stata messa in dubbio. La Chiesa ha sempre onorato e rispettato la dignità della mascolinità. Noi di solito dobbiamo affermare esplicitamente la dignità solo di quei gruppi a cui essa viene negata nelle vicende concrete della vita quotidiana.

Analogamente, il posto degli uomini nella Chiesa è stato dato sempre per scontato: sembra così ovvio da non dover essere discusso. Ma se papa Francesco parla della mancanza di un’adeguata teologia delle donne, vuol dire che 2000 anni non sono stati sufficienti per capire ciò che Dio vuole per le donne. Come può essere? Cosa c’è di così difficile da capire delle donne?

Forse gli autori contemporanei del Magistero considerano le donne così fastidiosamente complesse perché mirano all’impossibile: la produzione di una teoria che le renda sostanzialmente e complessivamente diverse dagli uomini, ma fondamentalmente uguali a loro. Le autorità cattoliche non hanno mai trovato questo problema così complicato. Tommaso d’Aquino ha dedicato una sola quaestio (ST 92 I.) in tutta la sua Summa alla discussione esplicita sulle donne. Ha parlato più spesso degli angeli che della “donna”.

Per gran parte della sua storia, la Chiesa non ha avuto bisogno di giustificare la sua fede nella supremazia maschile dinanzi a un coro di scettici. Le società in cui la Chiesa era inserita erano in genere d’accordo con loro. Gli autori cattolici hanno dunque investito la maggior parte delle risorse della retorica ecclesiale nella difesa della posizione della Chiesa su punti controversi.

Nel XX secolo, però, qualcosa ha iniziato a cambiare. La fede della Chiesa nella superiorità degli uomini rispetto alle donne non è sembrata più così ovvia. Nel tentativo di difendere la Chiesa da un fiorente movimento per i diritti delle donne, Pio XI ha scritto nel 1930 la Casti Connubii. Riaffermando la condizione dell’uomo come capo famiglia, ha insistito sull’importanza della sottomissione coniugale delle mogli, criticando aspramente tutti coloro che sostenevano «essere quella una indegna servitù di un coniuge all’altro» e che «i diritti tra i coniugi devono essere tutti uguali».

Quando Giovanni Paolo II è stato eletto, tali proclami erano caduti in disgrazia anche presso le donne cattoliche più conservatrici. I vecchi insegnamenti non erano più difendibili. Capovolgendo le posizioni, Giovanni Paolo II ha affermato l’incondizionata uguaglianza di donne e uomini per la prima volta nella storia della Chiesa.

Ma questo non ha risolto tutti i problemi. Non volendo in alcun modo aprire il sacerdozio a “uomini di genere femminile”, la Chiesa aveva bisogno di giustificare la sua intenzione di continuare a riservare l’ordinazione solo agli “uomini di genere maschile”. E dal momento che il divieto in relazione al sacerdozio femminile aveva sempre poggiato in maniera piuttosto decisa sull’evidente disuguaglianza delle donne rispetto agli uomini, la Chiesa si è trovata in un vicolo cieco. La complementarità sessuale, che fonda il sacerdozio esclusivamente maschile sulla differenza sessuale, piuttosto che sulla disuguaglianza sessuale, è diventata la soluzione a questo problema.

Tale ideologia divide sempre più il discepolato in base a criteri sessuali, sottolineando nelle donne l’iconica rappresentazione di Maria e negli uomini la rappresentazione di Gesù. Solo gli uomini possono stare sull’altare in persona Christi, perché Gesù Cristo era un uomo. Una “teologia del corpo” che tenta di attribuire importanza teologica e ontologica agli organi riproduttivi. Cosicché il significato di “donna” e di “uomo” può essere colto nel funzionamento eterosessuale dei loro organi genitali.

Nel suo libro del 2010, In cielo e in terra, l’allora cardinal Bergoglio ha descritto perfettamente questa linea di pensiero: «La tradizione fondata teologicamente vuole che ciò che è sacerdotale passi per l’uomo. La donna ha un’altra funzione nel cristianesimo, riflessa nella figura di Marta. È colei che accoglie, colei che contiene, la madre della comunità. La donna ha il dono della maternità, della tenerezza: se tutte queste ricchezze non si integrano, una comunità religiosa si trasforma in una società non solo maschilista, ma anche austera, dura ed erroneamente sacralizzata. Il fatto che la donna non possa esercitare il sacerdozio non significa che valga meno dell’uomo. Nella nostra concezione, in realtà, la Vergine Maria è superiore agli apostoli. Secondo un monaco del II secolo, tra i cristiani esistono tre dimensioni femminili: Maria, come madre del Signore, la Chiesa e l’Anima. La presenza femminile nella Chiesa non è stata sottolineata molto perché la tentazione del maschilismo non ha permesso di dare visibilità al ruolo che spetta alle donne nella comunità».

Giovanni Paolo II presenta nella Mulieris dignitatem una descrizione più completa di Maria come icona della femminilità. Come «il nuovo principio» della dignità e della vocazione della donna, di tutte le donne e di ciascuna, vanificando la disobbedienza di Eva. Attraverso il suo “fiat” liberamente esercitato, Maria ha la funzione di «rappresentante e archetipo di tutto il genere umano». In questo, «rappresenta l’umanità che appartiene a tutti gli esseri umani, sia uomini che donne». Ma «d’altra parte, l’evento di Nazareth mette in rilievo una forma di unione col Dio vivo che può appartenere solo alla “donna”, Maria: l’unione tra madre e figlio». Allo stesso modo in cui Maria agisce come un modello per le donne più che per gli uomini, così Gesù serve da modello per gli uomini più che per le donne. «Proprio perché l’amore divino di Cristo è amore di Sposo», argomenta Giovanni Paolo II, «esso è il paradigma e l’esemplare di ogni amore umano, in particolare dell’amore degli uomini-maschi».

I papi identificano giustamente la gravidanza come una capacità unica delle donne, ma interpretandola in modo teologicamente discutibile. Stando a loro, ci troviamo nella strana posizione di sostenere che il semplice possesso di un utero fornisce alle donne una più intensa esperienza di unione corporale con Dio rispetto a quanto possa fare un uomo. Tuttavia, se Maria ha effettivamente raggiunto l’unione con Dio portando il Figlio di Dio nel suo corpo, e se unicamente le donne possono rimanere incinte, nessuna donna prima o dopo Maria ha mai dato vita a Dio. La gravidanza di Maria si pone come un evento storico unico e irripetibile. (...). Contrariamente a quanto sostenuto dal papa, con la sua gravidanza Maria rivela la sua differenza da tutte le altre donne almeno tanto quanto la sua somiglianza come loro rappresentante. Nessuna donna, tranne Maria, è giunta all’unione del corpo con Dio attraverso la gravidanza. Esattamente come gli uomini cattolici, le donne cattoliche vivono l’unione corporale con Dio durante l’Eucaristia.

Dobbiamo affrontare un altro problema. Giovanni Paolo II crede che Maria e Gesù rappresentino un modello di genere per una seconda ragione. La femminilità, sostiene Giovanni Paolo II, esprime una passività essenziale, mentre la mascolinità incarna l’attività. «Lo Sposo è colui che ama. La Sposa viene amata: è colei che riceve l’amore, per amare a sua volta».

Ma il “sì” di Maria alla gravidanza è davvero così diverso dal “sì” offerto da Gesù nel giardino del Getsemani? Entrambi i “fiat” sono stati una risposta di sottomissione alla volontà di Dio. Proprio come Maria ha accolto la gravidanza, così Gesù ha accettato la crocifissione. (...). Sia Maria che Gesù rispondono all’amore offerto da Dio e dicono di sì con i loro corpi. Come spose, accettano il dono del loro amante e lo restituiscono con i loro corpi. Seguendo lo schema di Giovanni Paolo II, Dio Padre ha amato sia Maria che Gesù in modo maschile e sia Maria che Gesù lo hanno riamato in modo femminile. (...).

Le donne non rappresentano né un problema da risolvere né un mistero da spiegare. Contro la volontà di papa Francesco di attribuire alle donne una categoria teologica a se stante, affermiamo l’esistenza di un solo discepolato e di una sola salvezza.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/10/2013 20.53
Titolo:LA TERRA E LA QUESTIONE ANTROPOLOGICA
LA TERRA E LA QUESTIONE ANTROPOLOGICA

di Michele Zarrella *


- Recensione del libro di Federico La Sala
- DELLA TERRA IL BRILLANTE COLORE
- Parmenide, una ”Cappella Sistina” carmelitana con 12 Sibille (1608), le xilografie di Filippo Barbieri (1481) e la domanda antropologica
- Edizioni Nuove Scritture, Milano 2013, pp. 156, € 15,00


Un libro di eccezionale rarità che tenta a grandi linee, di mettere in evidenza una inedita prospettiva di ricerca e una possibile via di uscita da duemila e più anni di labirinto: un’ontologia non più zoppa e segnata dalla cieca cupidigia del sapere-potere, ma chiasmatica e illuminata dal sapere-amore.

Il luogo di inizio del ’viaggio’ è dalla chiesetta di S. Maria del Carmine (monastero carmelitano dal 1561 al 1652) di Contursi Terme (SA), e dall’antica Elea (Velia, Ascea), ma subito ci si trasferisce a Firenze, a Rimini, a Siena, a Roma, e, infine, fuori dal pianeta Terra, da dove, finalmente, è possibile vedere "il brillante colore"! Il pianeta in cui viviamo non è una caverna e, con lo sbarco sulla Luna, ora tutti lo sappiamo - anche fisicamente! Siamo tutti nella stessa barca e che siamo tutti fratelli, ... è ora di cambiare strada, di riorganizzare e riformulare tutto il nostro sapere - a partire da questa nostra nuova consapevolezza acquisita”: il pianeta è un granello nell’Universo ed è necessario un cambiamento radicale di prospettiva altrimenti non riusciremo mai a capire chi siamo.

La società moderna non può più accontentarsi di una filosofia e di una scienza ancora legate alla catena della dea Giustizia-Necessità di Parmenide e ancor più non deve contare sul sapere che il Platone o il politico di turno porta a noi prigionieri nella «caverna». Abbiamo preso coscienza di dove siamo nell’Universo e non possiamo più far finta di nulla. Sarà compito nostro mostrare come è la nostra casa: non era e non è né una caverna, né un’arena per gladiatori.

Sulla base di questa coscienza l’autore ci spinge a lavorare a una nuova cultura e a una nuova scienza che siano all’altezza del nostro orizzonte. “Non è più concepibile né possibile (il rischio è altissimo - la fine della nostra avventura, quella dell’intero genere umano) seguire le tracce di Parmenide, né di Platone.”

Il nostro orizzonte si è elevato e non è più possibile pensare che: «Per lo scienziato esiste solo l’essere, non il desiderio, il valore, il bene, il male, l’aspirazione» (Einstein, 1950). La posizione einsteiniana è parziale, unilaterale, e soprattutto pericolosa, perché ci fa vedere e agire - rispetto a noi stessi e rispetto agli altri e rispetto alla natura che ci circonda e sostiene - ancora con gli occhi e la mente di chi vede il pianeta Terra ridotto a un campo di guerra ove i mortali che nulla sanno giocano le loro battaglie. La Terra è di un colore brillante: è azzurra. «La Terra è blu [...] Che meraviglia. È incredibile», esclamò Jurij AlekseeviÄ Gagarin quando, il 12 aprile 1961, la vide, primo fra tutti gli uomini, dallo spazio.

Se vogliamo migliorare non è a Parmenide che dobbiamo pensare. Ma, se si vuole, a Talete, il quale sapeva che l’azzurro circondava la Terra. E Federico La Sala, al pari di Gagarin, ci invita ad uscire fuori a guardare dalla reale prospettiva la questione della nascita nostra, del nostro pianeta, del nostro sistema solare e del nostro Universo. La Sala si pone, al pari di Talete, la domanda delle domande: qual è il principio di tutte le cose? Questi sono i problemi così nasce la filosofia, così nasce il suo bellissimo libro DELLA TERRA IL BRILANTE COLORE.

Come Talete, La Sala riporta a galla dalle profondità oceaniche dell’essere i due problemi fondamentali del sapere (tutte le cose e il principio) e soprattutto sollecita a pensarli insieme. Spesso l’uomo moderno dimentica il secondo: il principio. L’autore, sulla base delle nuove conoscenze acquisite, invita a partire, anzi, a nascere nuova-mente - da capo, guardando al nostro ombelico e a ri-pensare l’Uno a partire dal Due. Noi (ognuno e ognuna) siamo uno ma siamo nati da due: nati da un uomo e una donna, e di entrambi siamo portatori non tanto e non solo dei loro geni, quanto e soprattutto lo spirito delle loro Unità.

E allora, conclude l’autore, il problema dei problemi non è più né quello metafisico («che cosa posso sapere?») né quello morale («che cosa devo fare?») né quello religioso («che cosa posso sperare?»), ma quello antropologico («che cos’è l’uomo?»).

Il problema dei problemi è rispondere alla domanda «chi siamo noi in realtà?» (Nietzsche). A questa domanda l’autore risponde in termini di speranza e di salvezza e ci invita a guardare al nostro ombelico, a qual è la nostra origine? Riconosciamoci, come siamo, figli di un uomo e una donna, di una maternità e di una paternità alla pari e che la Terra sia il luogo del nostro fiorire e non il luogo delle nostre dualistiche contrapposizioni e scissioni.

A tale permeante domanda non può rispondere solo un genere che domina sull’altro, ma insieme con le Due metà del genere umano. Solo così, con la parità, autonomia e dignità fra uomo e donna, potremo dar vita a una nuova antropologia (e, con essa, a una nuova scienza e, ovviamente, a una nuova politica) - oltre l’edipo e oltre il capitalismo - finalmente degna del nostro pianeta dal brillante colore.

Buona lettura.

Michele Zarrella

Gesualdo, 30-09-2013

* Il dialogo, Lunedì 30 Settembre, 2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/11/2013 19.57
Titolo:OLTRE IL SACRO E LE RELIGIONI. ALLA RICERCA DI DIO....
ALLA RICERCA DI DIO. OLTRE IL SACRO E LE RELIGIONI. IL XXXIV INCONTRO NAZIONALE DELLE CDB


Adista Notizie n. 40 del 16/11/2013



37375. CASTEL SAN PIETRO (BO)-ADISTA. (dall’inviato) È la prima volta, negli oltre quarant’anni dalla nascita del loro movimento, che le Comunità Cristiane di Base scelgono Dio come “oggetto” di un loro incontro nazionale, il XXXIV, svoltosi a Castel San Pietro Terme dal 1° al 3 novembre scorso. A tutta prima, una contraddizione, visto che alla fine degli anni ‘60 la storia delle CdB iniziava proprio mentre si affermava la teologia della morte di Dio, si discuteva di alienazione religiosa e si rifletteva sull’affermazione della fede senza religione proposta da Bonhöffer. C’era, all’epoca, una certa diffidenza verso la teologia che si considerava scienza impegnata a investigare sull’esistenza di una realtà di cui nulla dice la ricerca scientifica e su cui si sono date, e si danno, definizioni le più disparate. Si preferiva allora guardare alla teologia “negativa” (di Dio si può dire solo che nulla si può dire) o a quella della liberazione, che incentrava sull’essere umano e sulla sua liberazione “l’evangelo” di Gesù e il messaggio della Bibbia.


Ma oggi siamo in un contesto storico ed ecclesiale radicalmente mutato, in cui prepotente è il “ritorno di Dio” e più in generale, un’attenzione al divino che si traduce in tanta parte della società laica e credente in una risposta al senso di smarrimento, alla mancanza di senso, alla difficoltà di leggere ed interpretare il presente in termini prettamente, se non esclusivamente, religiosi (è la religione, infatti, che si è sempre occupata di veicolare l’immagine di Dio). Valeva certo la pena da parte delle CdB di proporre la loro particolare lettura di Dio. Un Dio non consolatorio, ma la cui ricerca spinge ad un rinnovato impegno alla cittadinanza, lontano da stereotipi vecchi e nuovi, dall’immagine patriarcale come da quello tradizionale veicolato da secoli di teologia.



Si fa presto a dire Dio?


Forti anche dell’esperienza più che ventennale dei gruppi donne delle CdB italiane, che, insieme ad altri gruppi di donne, hanno avviato innovativi percorsi di ricerca e che sono state tra le organizzatrici e tra le animatrici del seminario, le CdB, nel corso del dibattito che ha caratterizzato i lavori del loro seminario nazionale – dal significativo titolo “Si fa presto a dire Dio…” – hanno così ribadito il loro saldo ancoraggio ad una visione militante della fede, alla preferenza per il Dio di Gesù, che non si fa attrarre da tentazioni “accademiche” o spiritualistiche. Soprattutto, il seminario ha ribadito l’istanza, portata avanti in questi anni soprattutto dalle donne delle comunità, di demistificare il modello di «Dio come uno, maschio, onnipotente, universale», per dare spazio, come è stato rilevato nel momento di spiritualità e condivisione di domenica 3 novembre, «ad una lettura aperta» in campo teologico, per «decostruire e rinominare un divino che supera concetti astratti come “trascendenza” e “immanenza”»; per «far nascere una relazione fra il divino che è in noi e quello fuori di noi, il “Dio” cosmico», che è sempre stata l’opzione radicale delle Comunità di base, oltre che di altre realtà ecclesiali di base.


In questo percorso di “riscoperta”, ma soprattutto di rivelamento di un Dio sottratto al monopolio del sacro, le CdB non sono sole. Anche “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”, il cartello di realtà ecclesiali che diede vita al partecipato incontro al “Massimo” di Roma per i 50 anni dell’apertura del Vaticano II (settembre 2012), dedicherà il suo prossimo appuntamento (maggio 2014) ad una riflessione su quale Dio per quale Chiesa.


Importanti e significativi i contributi al convegno portati dai relatori “interni” ed “esterni” al movimento delle Comunità: nei tre giorni dei lavori sono intervenuti Giancarlo Biondi, ordinario di Antropologia all’Università de L’Aquila (il titolo della sua relazione era: “Prodotti dalla sola evoluzione”), Giulio Giorello, ordinario di Filosofia della Scienza all’Università di Milano (“Ateismo tra giustizia e libertà”), Luciana Percovich, scrittrice e ricercatrice della Libera Università delle Donne di Milano (“Dipanando il mito di Adamo ed Eva”), Letizia Tomassone, teologa e pastora valdese (“Al di là di Dio Padre. Il percorso di fede e di ricerca di Mary Daly”), i gruppi Donne delle CdB italiane e altri gruppi femminili/femministi (“Una sottile striscia di futuro”); Giovanni Franzoni, della CdB S. di Paolo, Roma (“Misericordia chiedo, non sacrifici. Come parliamo di Dio nelle CdB italiane”).



A confronto con chi non crede


Diversi i contributi al dibattito di studiosi e ricercatori non credenti. Tra essi, Biondi ha spiegato i meccanismi che regolano l’evoluzione all’interno delle specie viventi. Ha poi parlato del difficile rapporto tra la teoria darwiniana e la Chiesa istituzionale. Dalla condanna irrevocabile dell’800, all’accettazione dell’evoluzionismo da parte di Pio XII, che la considerava una ipotesi con la stessa dignità di quella creazionista; fino a Giovanni Paolo II, che accettava l’evoluzionismo asserendo che è più di un’ipotesi, ma escludeva che il criterio evoluzionista fosse integralmente applicabile all’essere umano, cui ad una natura biologica si affianca una natura non biologica, l’anima, che viene direttamente da Dio. Per Biondi tutto, anche i comportamenti morali, è frutto dell’evoluzione, perché legato alla dimensione sociale di molte specie animali. In particolare dei primati. Tra essi, e Biondi lo spiega con dovizia di esempi tratti da esperimenti scientifici fatti su animali in cattività, esiste un diffuso sentimento compassionevole che porta a stare vicini a chi soffre.


Giorello ha raccontato come il suo rapporto con la religione sia sempre stato molto conflittuale, sin da quando, «giovane e intemperante», era «drastico nel sostenere che la condizione del religioso è servile perché presume una forma di obbedienza a figure, istituzioni o tradizioni che è contraria all’attività scientifica». La religione come sottomissione aveva per Giorello la sola “giustificazione” storica di essere una schiavitù – indotta da abitudine, o volontaria – da mostrare alle persone che volevano essere libere affinché evitassero di ripeterne meccanismi e forme. Allo stesso modo però Giorello ha sostenuto con forza il rifiuto di una qualsiasi forma di “religione della scienza”, perché – ha detto – anche nel campo scientifico ci sono forme di opportunismo, dogmatismo, esistono lotte di potere, condizionamenti economici e politici che fanno degli scienziati uomini e donne come tutti gli altri. La religione come distruzione del dubbio e del pensiero critico, che Giorello ha detto di aver conosciuto sui banchi del liceo Berchet, durante le lezioni di religione cattolica tenute da don Luigi Giussani, è un modello da continuare a rifiutare con forza; ma a cui si può oggi contrapporre un dialogo franco e paritario tra chi sceglie di essere ateo come metodo, cioè per sondare quali possibilità si aprano a chi decida di procedere senza Dio e senza fondamenti teleologici, e quella parte dei credenti che, come ha mostrato il card. Carlo Maria Martini, prediligono il dubbio alla certezza, una religione positiva nel contesto di una società pluralistica.


Percovich, studiosa attiva nel movimento delle donne sin dagli anni ’70, ha indagato il mito ebraico di Adamo ed Eva collegandolo alle tantissime narrazioni fondanti dell’intera umanità, che chiamano in causa il tema del rapporto tra femminile e maschile. Le più antiche civiltà, ha sottolineato Percovich, hanno immaginato un’origine esclusivamente femminile, dove la Madre o la Dea, l’elemento femminile che rappresentava il ciclo della natura e dell’esistenza, il mistero della nascita e della riproduzione, dava la vita ma anche la forma, ossia quell’insieme di regole, insegnamenti e strumenti indispensabili per continuare la creazione. Attraverso la partenogenesi o una qualche emanazione di sé, questa prima Madre generava una o più figlie, poi i figli maschi, e tutte e tutti venivano educati all’armonia e all’equilibrio. Nel nuovo ordine patriarcale, l’energia femminile è stata progressivamente o traumaticamente compressa, marginalizzata finché, snervata e chiusa in gabbia, non ha più saputo fornire nessun insegnamento né contenimento.


I lavori, seguiti da oltre 170 persone, mostrano una forte vitalità del movimento delle CdB, nonostante siano molte le realtà ecclesiali nate in tempi recenti che non vi si riconoscono, anche se in alcuni casi esprimono istanze simili di partecipazione del Popolo di Dio nel cammino di una fede adulta, responsabile, liberante. Segno che la radicalità di una scelta che da oltre quarant’anni rivendica il diritto di essere Popolo di Dio fatto di cittadini e non di sudditi, dentro la Chiesa come nella società, produce ancora frutti. (valerio gigante)

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Commenti Articolo 391

Titolo articolo : Come ci vedono da fuori: letture dal New York Times,di Gianni Mula

Ultimo aggiornamento: November/11/2013 - 11:34:35.

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Autore Città Giorno Ora
Gianni Mula Cagliari 11/11/2013 11.34
Titolo:Risposta a Dario Maggi
La mia risposta al commento di Dario Maggi si trova nel post dell\'11 novembre, dal titolo: Qualcuno aiuti il povero ministro Maria Chiara Carrozza!
GM

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Commenti Articolo 392

Titolo articolo : ABRAMO E IL "PADRE NOSTRO": INTERI MILLENNI DI IMBROGLI. L' Amore non induce in tentazione!  Un lettera aperta (a filosofi, teologi, e psicoanalisti),di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/09/2013 - 16:23:57.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/11/2013 18.22
Titolo:il "non ci indurrre in tentazione", i vescovi francofoni, e il Vaticano...
Esce una nuova traduzione a cura dei vescovi francofoni

La Bibbia nella liturgia parla il linguaggio dell’uomo di oggi *

Se ne è parlato solo per il cambiamento di una frase del Padre nostro (da ne nous soumets pas à la tentation a et ne nous laisse pas entrer en tentation), che deve fra l’altro ancora ricevere la recognitio vaticana, facendo quasi passare in secondo piano l’intera opera, frutto di diciassette anni di complesso lavoro. La Bible. Traduction officielle liturgique, che per le edizioni Mame uscirà nelle librerie francesi il prossimo 22 novembre, rappresenta un’opera eminentemente ecclesiale in virtù della molteplicità degli esperti che vi hanno partecipato, tra esegeti, linguisti, innografi, liturgisti, vescovi.

Cinquant’anni dopo l’apertura del concilio Vaticano ii, la traduzione ufficiale liturgica della Bibbia pubblicata dall’Associazione episcopale liturgica per i Paesi francofoni è, per padre Jacques Rideau, direttore del Servizio nazionale della pastorale liturgica e sacramentale, «un frutto della Sacrosanctum Concilium e della Dei Verbum; essa segna questo legame intimo che la Scrittura e la liturgia mantengono l’una con l’altra». Sempre in Francia, intanto, si è aperta l’assemblea plenaria della Conferenza episcopale, per la prima volta presieduta dall’arcivescovo Georges Pontier.

*

©L’Osservatore Romano 4-5 novembre 2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/11/2013 18.25
Titolo:TU NON CI INDUCI IN TENTAZIONE. Omaggio a p. G. Vannucci....
[Il "Padre nostro", nella versione di] Giovanni Vannucci*:

Il tentativo forse più riuscito è quello di padre Giovanni Vannucci (1913-1984), il quale era solito dire che «nella Chiesa cattolica il più grande martire è il Padre nostro», a motivo della trascuratezza con cui viene recitato e... vissuto. Padre Giovanni, dell’ordine dei Servi di Maria, fu valente esegeta, e in spirito sinceramente ecumenico visse e operò nell’eremo della Stinche (Firenze).

Egli faceva notare che nell’ebraico ci sono due lingue: quella delle comunicazioni ordinarie e quella sacra che, diceva, «va riscoperta pazientemente, tenacemente, attentamente, ma soprattutto nel silenzio e nell’ascesa del nostro essere. Ora, la lingua sacra ebraica conosce soltanto due tempi: lo stato di perfezione e lo stato di imperfezione».

Questo, secondo padre Vannucci, si applica anche al Padre nostro, le cui espressioni non indicano un puro desiderio condizionato alla fallibile volontà dell’uomo, ma contengono un’affermazione di fede nella quale si riflettono gli immutabili disegni divini.

Tenendo conto di questo, dovremmo tradurre - precisa padre Vannucci - non "sia santificato il tuo nome", ma santo è il tuo nome; non "venga il tuo regno", ma il tuo regno viene; non "sia fatta la tua volontà...", ma la tua volontà si compie nella terra come nel cielo; non "dacci oggi il nostro pane quotidiano", ma tu doni a noi il pane di oggi e di domani ("quotidiano" traduce un termine che ha il doppio significato di pane terreno e pane celeste). E ancora: tu perdoni i nostri debiti nell’istante in cui li perdoniamo ai nostri debitori; tu non ci induci in tentazione, ma nella tentazione tu ci liberi dal male.

Anche per padre Vannucci, come per santa Teresa d’Avila, questa fu una vera e propria scoperta. «Dovete scusarmi, ma prima d’ora non me ne ero accorto», furono le parole pronunciate sommessamente, e con un accenno di sorriso che chiedeva comprensione, alcuni mesi prima della morte.

Secondo padre Giovanni Vannucci, questa versione nel nostro idioma della preghiera di Gesù, così diversa da quella che solitamente siamo abituati a recitare, era più fedele all’autentico senso originario della lingua parlata da Cristo ed era coerente con altre parole di lui riportate nei racconti evangelici: «Padre nostro che sei nei cieli, / santo è il Tuo Nome, / il Tuo Regno viene, / la Tua volontà si compie / nella terra come nel cielo. / Tu doni a noi il pane di oggi / e di domani. / Tu perdoni i nostri debiti / nell’istante in cui / li perdoniamo ai nostri debitori. / Tu non ci induci in tentazione, / ma nella tentazione / tu ci liberi dal male».

* Cfr.: Antonio Gentili, Il Vangelo in una sola preghiera (Jesus, n. 8, 1999 - http://www.stpauls.it/jesus00/0899je/0899je70.htm)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/11/2013 21.32
Titolo:FRANCIA. Ci sono voluti 50 anni perché il Vaticano non bestemmiasse ...
“Padre Nostro”: ci sono voluti 50 anni perché il Vaticano non bestemmiasse più Dio

di Henri Tincq

in “www.slate.fr” del 30 ottobre 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Rivoluzione nelle fila cattoliche. Ad una scadenza ancora incerta - 2014? 2015? - i fedeli francofoni non reciteranno più la loro preghiera quotidiana favorita, il Padre Nostro, secondo la formulazione in uso da subito dopo il Concilio Vaticano II, quasi cinquanta anni fa (1966). La sesta “domanda” di questa celebre preghiera in forma di suppliche successive fatte a Dio - “Et ne nous soumets pas à la tentation” (non sottoporci alla tentazione) - sarà soppressa e sostituita da “Et ne nous laisse pas entrer en tentation” (non lasciarci entrare in tentazione). Non si tratta di un dettaglio o di una disputa bizantina. È l’epilogo di una battaglia di esperti che dura da mezzo secolo.

La Chiesa pensa di avere l’eternità davanti a sé. Le sono stati necessari 17 anni di lavoro e la collaborazione di 70 traduttori - esegeti, biblisti, innografi - per giungere a questo risultato. 17 anni, è il tempo che è stato necessario per la nuova traduzione integrale della Bibbia liturgica, che, per la Francia, sarà adottata l’8 novembre dai vescovi e che sarà in vendita nelle librerie a partire dal 22 novembre.

Quegli eminenti traduttori sono partiti dai testi originali in aramaico, in greco, in ebraico, e non più dalle traduzioni già esistenti. Ed è questo aggiornamento radicale che ha permesso a questi studiosi, con l’accordo del Vaticano, di giungere alla redazione di un nuovo Padre Nostro, più soddisfacente e più corretto teologicamente.

Il Padre Nostro è la preghiera di base di tutti i cristiani, indipendentemente dalla loro confessione, cattolica, protestante, ortodossa o anglicana. Essa è tanto più sacra in quanto, secondo i vangeli di Luca e di Matteo, è stata insegnata direttamente da Cristo stesso. “Signore, insegnaci a pregare”, gli chiedevano gli apostoli. La risposta di Gesù si trova nelle parole del Padre Nostro, preziosamente riprodotte - “Padre Nostro che sei nei cieli...” - che risalgono così a due millenni fa. Ritrascritta dal greco al latino, è stata poi tradotta nelle lingue parlate del mondo intero.

Questa preghiera, la più comune dei cristiani, può essere recitata o cantata in qualsiasi momento della giornata. Non è codificata come la preghiera dell’islam (cinque volte al giorno e ad ore fisse). Compare in ogni celebrazione della messa dopo la preghiera eucaristica. È anche recitata in tutte le assemblee ecumeniche. È il segno di una volontà di riconciliazione e di unità di tutte le confessioni cristiane, nate dallo stesso vangelo, ma separate dalle loro istituzioni.

[Perversité de Dieu]
Ma perché cambiare oggi un simile monumento della spiritualità cristiana, sul punto preciso della tentazione? Un punto centrale nell’antropologia cristiana. Secondo i vangeli, Cristo ha trascorso quaranta giorni nel deserto ed è stato tentato da Satana: tentazione dell’orgoglio, del potere, del possesso (Matteo 4,11). Gesù stesso ha detto ai suoi apostoli nel giardino del Getzemani, la sera della sua passione, proprio prima del suo processo e della sua morte in croce: “Pregate per non entrare in tentazione”.

Precisamente, cinquant’anni fa, un errore di traduzione è stato commesso a partire dal verbo greco eisphérô che significa letteralmente “portar dentro”, “far entrare”.Questo verbo avrebbe dovuto essere tradotto con: “Ne nous induis pas en tentation” (non indurci in tentazione) o con “Ne nous fais pas entrer en tentation” (non farci entrare in tentazione). I traduttori del 1966 hanno preferito la formula “Ne nous soumets pas à la tentation” (non sottoporci alla tentazione).

Formula contestata. Controsenso, se non addirittura bestemmia, si protesta in seguito. Come è possibile che Dio, che nell’immaginario cristiano è “infinitamente buono”, possa “sottoporre” l’uomo alla tentazione del peccato e del male? È insostenibile.

Tale forma equivoca è stata tuttavia letta dal pulpito in tutte le chiese del mondo francofono, pregata pubblicamente o intimamente da milioni e milioni di cristiani, inducendo, in menti non competenti, l’idea di una sorta di perversità di Dio, che chiede ai suoi sudditi di supplicarlo per sfuggire al male che lui stesso susciterebbe!

Oggi si torna quindi ad una formulazione più corretta: “Et ne nous laisse pas entrer en tentation” (non lasciarci entrare in tentazione). Così il ruolo di Dio è compreso meglio, riabilitato. Dio non può tentare l’uomo. La tentazione è opera del diavolo. È Dio, invece, che può impedire all’uomo di soccombere alla tentazione.

Ora occorre che i protestanti, gli ortodossi, gli anglicani si allineino su questa nuova formulazione cattolica. Nel 1966, i teologi cattolici, protestanti, ortodossi si erano alleati per riflettere su una traduzione veramente ecumenica (con gli stessi termini) del Padre Nostro, che non esisteva prima della rivoluzione del Concilio Vaticano II. Avevano proposto un testo comune alle loro Chiese, che lo avevano adottato. Senza dubbio oggi si metteranno nuovamente d’accordo per ratificare la nuova preghiera nei termini già definiti dai cattolici. Anche solo per smentire coloro che si lamentano dello stato di avvicinamento ecumenico che avrebbe perso vigore e si preoccupano del risveglio di riflessi comunitari.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/11/2013 21.28
Titolo:EBRAISMO E DEMOCRAZIA. Lo Stato d’ Israele al posto della Torah ...
Perché lascio la «mia» comunità ebraica

di Moni Ovadia (il manifesto, 8 novembre 2013)

Lunedì scorso tramite un’intervista chiestami dal Fatto Quotidiano, ho dato notizia della mia decisione definitiva di uscire dalla comunità ebraica di Milano, di cui facevo parte, oramai solo virtualmente, ed esclusivamente per il rispetto dovuto alla memoria dei miei genitori.

A seguito di questa intervista il manifesto mi ha invitato a riflettere e ad approfondire le ragioni e il senso del mio gesto, invito che ho accolto con estremo piacere. Premetto che io tengo molto alla mia identità di ebreo pur essendo agnostico.

Ci tengo, sia chiaro, per come la vedo e la sento io. La mia visione ovviamente non impegna nessun altro essere umano, ebreo o non ebreo che sia, se non in base a consonanze e risonanze per sua libera scelta. Sono molteplici le ragioni che mi legano a questa «appartenenza».

Una delle più importanti è lo splendore paradossale che caratterizza l’ebraismo: la fondazione dell’universalismo e dell’umanesimo monoteista - prima radice dirompente dell’umanesimo tout court - attraverso un particolarismo geniale che si esprime in una "elezione" dal basso. Il concetto di popolo eletto è uno dei più equivocati e fraintesi di tutta la storia.

Chi sono dunque gli ebrei e perché vengono eletti? Il grande rabbino Chaim Potok, direttore del Jewish Seminar di New York, nel suo «Storia degli ebrei» li descrive grosso modo così : «Erano una massa terrorizzata e piagnucolosa di asiatici sbandati. Ed erano: Israeliti discendenti di Giacobbe, Accadi, Ittiti, transfughi Egizi e molti habiru, parola di derivazione accadica che indica i briganti vagabondi a vario titolo: ribelli, sovversivi, ladri, ruffiani, contrabbandieri. Ma soprattutto gli ebrei erano schiavi e stranieri, la schiuma della terra». Il divino che incontrano si dichiara Dio dello schiavo e dello Straniero. E, inevitabilmente, legittimandosi dal basso non può che essere il Dio della fratellanza universale e dell’uguaglianza.

Non si dimentichi mai che il «comandamento più ripetuto nella Torah sarà: Amerai lo straniero! Ricordati che fosti straniero in terra d’Egitto! Io sono il Signore!» L’amore per lo straniero è fondativo dell’Ethos ebraico. Questo «mucchio selvaggio» segue un profeta balbuziente, un vecchio di ottant’anni che ha fatto per sessant’anni il pastore, mestiere da donne e da bambini. Lo segue verso la libertà e verso un’elezione dal basso che fa dell’ultimo, dell’infimo, l’eletto - avanguardia di un processo di liberazione/redenzione.

Ritroveremo la stessa prospettiva nell’ebreo Gesù: «Beati gli ultimi che saranno i primi» e nell’ebreo Marx: «La classe operaia, gli ultimi della scala sociale, con la sua lotta riscatterà l’umanità tutta dallo sfruttamento e dall’alienazione».

Il popolo di Mosé fu inoltre una minoranza. Solo il venti per cento degli ebrei intrapresero il progetto, la stragrande maggioranza preferì la dura ma rassicurante certezza della schiavitù all’aspra e difficile vertigine della libertà.

Dalla rivoluzionaria impresa di questi meticci «dalla dura cervice», scaturì un orizzonte inaudito che fu certamente anche un’istanza di fede e di religione, ma fu soprattutto una sconvolgente idea di società e di umanità fondata sulla giustizia sociale.

Lo possiamo ascoltare nelle parole infiammate del profeta Isaia. Il profeta mette la sua voce e la sua indignazione al servizio del Santo Benedetto che è il vero latore del messaggio: «Che mi importa dei vostri sacrifici senza numero, sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso dei giovenchi. Il sangue di tori, di capri e di agnelli Io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi che veniate a calpestare i Miei Atri? Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio, noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità. I vostri noviluni e le vostre feste io li detesto, sono per me un peso sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, Io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, Io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova».( Isaia I, cap 1 vv 11- 17).

Il messaggio è inequivocabile. Il divino rifiuta la religione dei baciapile e chiede la giustizia sociale, la lotta a fianco dell’oppresso, la difesa dei diritti dei deboli. Un corto circuito della sensibilità fa sì che molti ebrei leggano e non ascoltino, guardino e non vedano. Per questo malfunzionamento delle sinapsi della giustizia, i palestinesi non vengono percepiti come oppressi, i loro diritti come sacrosanti, la loro oppressione innegabile.

Qual’è il guasto che ha creato il corto circuito. Uno smottamento del senso che ha provocato la sostituzione del fine con il mezzo. La creazione di uno Stato ebraico non è stato più pensato come un modo per dare vita ad un modello di società giusta per tutti, per se stessi e per i vicini, ma un mezzo per l’affermazione con la forza di un nazionalismo idolatrico nutrito dalla mistica della terra, sì che molti ebrei, in Israele stesso e nella diaspora, progressivamente hanno messo lo Stato d’ Israele al posto della Torah e lo Stato d’Israele, per essi, ha cessato di essere l’entità legittimata dal diritto il internazionale, nelle giuste condizioni di sicurezza, che ha il suo confine nella Green Line, ed è diventato sempre più la Grande Israele, legittimata dal fanatismo religioso e dai governi della destra più aggressiva. Essi si pretendono depositari di una ragione a priori.

Per questi ebrei, diversi dei quali alla testa delle istituzioni comunitarie, il buon ebreo deve attenersi allo slogan: un popolo, una terra, un governo, in tedesco suona: ein Folk, ein Reich, ein Land. Sinistro non è vero? Questi ebrei proclamano ad ogni piè sospinto che Israele è l’unico Stato democratico in Medio Oriente. Ma se qualcuno si azzarda a criticare con fermezza democratica la scellerata politica di estensione delle colonizzazioni, lo linciano con accuse infamanti e criminogene e lo ostracizzano come si fa nelle peggiori dittature.

Ecco perché posso con disinvoltura lasciare una comunità ebraica che si è ridotta a questo livello di indegnità, ma non posso rinunciare a battermi con tutte le mie forze per i valori più sacrali dell’ebraismo che sono poi i valori universali dell’uomo.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/11/2013 16.23
Titolo:Qualche domanda sul rapporto tra uomini e donne ...
Documento preparatorio del Sinodo sulla famiglia: qualche domanda sul rapporto tra uomini e donne

di Rita Torti (www.teologhe.org, 8 novembre 2013)

Sulle caratteristiche e sulle importanti implicazioni del Documento preparatorio alla III Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi, reso pubblico in questi giorni, molto è già stato scritto. Tuttavia alcuni aspetti rimasti per il momento in ombra suscitano interrogativi che credo valga la pena di condividere, raccogliendo così anche l’invito contenuto nell’ultima domanda del Questionario allegato al testo introduttivo: “Ci sono altre sfide e proposte riguardo ai temi trattati in questo questionario, avvertite come urgenti o utili da parte dei destinatari?”.

1) Un primo dato che balza agli occhi è che nell’elenco delle “numerose nuove situazioni che richiedono l’attenzione e l’impegno pastorale della Chiesa” sono contemplati fenomeni di vario tipo - dai matrimoni misti alle famiglie monoparentali, dai fenomeni migratori ai messaggi dei mass media, dalle legislazioni civili alle madri surrogate -; a dire il vero alcuni di essi non rientrano propriamente nella categoria della “novità” (ad esempio la poligamia o i matrimoni combinati - questi ultimi abbondantemente conosciuti anche dalle società europee).

Manca però qualunque accenno, nel testo e nel Questionario, a un fenomeno drammatico, documentato e diffuso in modo trasversale nei diversi contesti geografici, culturali e sociali: quello della violenza di genere (fisica, sessuale, economica...) all’interno delle famiglie.

La domanda che ci si può porre è allora questa: come mai a parere degli estensori del documento la violenza maschile nei confronti delle donne non è un problema da mettere in luce, da indagare e da evangelizzare?

E’ improbabile che in un testo così ufficiale e importante l’assenza sia casuale. Tuttavia sarà utile ricordare che questa mancanza può aggravare la situazione di milioni di donne - spose, ma anche figlie - di ogni parte del mondo, che a questo punto non solo subiscono violenze all’interno della famiglia, ma si trovano ad essere anche invisibili agli occhi dei pastori della Chiesa.

2) Il silenzio su questa ferita endemica delle relazioni familiari è rafforzato, sempre nell’elenco delle situazioni che richiedono “attenzione e impegno pastorale”, da un’altra scelta: quella di segnalare esplicitamente la presenza di “forme di femminismo ostile alla Chiesa”, e di ignorare invece la presenza - certamente più concreta, diffusa e radicata, anche in contesti cattolici - di mentalità e prassi maschiliste.

Anche in questo caso, in molte donne - e auspicabilmente in altrettanti uomini - può sorgere una domanda: davvero il maschilismo nelle sue varie declinazioni non è un problema per le relazioni familiari, e per le donne e gli uomini che ne sperimentano gli effetti? Davvero è un fatto che non suscita alcun interesse nei pastori della Chiesa, e su cui essi non ritengono quindi di dover sollecitare esplicitamente la riflessione delle comunità cristiane?.

3) Passando alla parte del Documento in cui si illustra “la buona novella dell’amore divino” che “va proclamata a quanti vivono questa fondamentale esperienza umana personale, di coppia e di comunione aperta al dono dei figli, che è la comunità familiare”, un altro interrogativo sorge nel seguire quelli che il testo definisce “riferimenti essenziali” delle fonti bibliche su matrimonio e famiglia.

Dopo alcuni rimandi a passi della Scrittura che mostrano l’importanza attribuita al matrimonio, all’amore e all’indissolubilità del legame coniugale, il paragrafo intitolato “L’insegnamento della Chiesa sulla famiglia” si apre con questa enunciazione: “Anche nella comunità cristiana primitiva la famiglia apparve come la ‘Chiesa domestica’ (cf. CCC,1655). Nei cosiddetti “codici familiari” delle Lettere apostoliche neotestamentarie, la grande famiglia del mondo antico è identificata come il luogo della solidarietà più profonda tra mogli e mariti, tra genitori e figli, tra ricchi e poveri”.

Che gli autori delle Lettere apostoliche considerassero con tanta ammirazione la “famiglia del mondo antico” è affermazione che probabilmente la maggior parte dei biblisti non sottoscriverebbe, anche volendo mettere tra parentesi le notevoli differenze che correvano tra il mondo greco e il mondo romano in questo ambito del vivere. Ma più immediata e alla portata di tutti è un’altra riflessione: in che senso si può definire “luogo della solidarietà più profonda tra mogli e mariti” la realtà che il Documento preparatorio illustra ad esempio con il rimando alla Prima lettera a Timoteo (2,8-15), che ordina fra l’altro: “La donna impari in silenzio con ogni sottomissione. Poiché non permetto alla donna d’insegnare, né di usare autorità sul marito, ma stia in silenzio. Infatti Adamo fu formato per primo, e poi Eva; e Adamo non fu sedotto; ma la donna, essendo stata sedotta, cadde in trasgressione; tuttavia sarà salvata partorendo figli, se persevererà nella fede, nell’amore e nella santificazione con modestia”?.

Quindi, l’ultima domanda: in che modo questo e gli altri testi a cui il Documento rimanda (appunto, i famosi/famigerati codici domestici) possono comunicare la buona novella alle famiglie di oggi? Sarà veramente opportuno portare come esempio di famiglia evangelica brani che per secoli sono stati usati dalla teologia, dalla predicazione e dagli uomini comuni per rafforzare con il sigillo divino quella che era considerata la legge naturale della superiorità maschile e inferiorità femminile?!

Davvero siamo sicuri che nessuno se ne approfitterà per legittimarsi padrone, e davvero siamo sicuri che nessuna penserà che allora subire è cosa buona e giusta? Le esperienze che si registrano in ogni parte del mondo - e che gli estensori del Documento certo non ignorano - sembrano dirci che no, non possiamo essere sicuri.

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Commenti Articolo 393

Titolo articolo : D'ORA IN POI IL "PADRE NOSTRO" (IN FRANCESE) NON TENTERA'  PIU' NESSUNO! I VESCOVI FRANCOFONI HANNO SCOPERCHIATO LA PENTOLA. Un breve commento  dell'Osservatore Romano - con nota,a c, di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/09/2013 - 16:21:36.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/11/2013 17.17
Titolo:SDEMONIZZARE DIO. Una “tentazione” teologicamente corretta ...
Una “tentazione” teologicamente corretta

di Stéphanie Le Bars

in “Le Monde” del 17 ottobre 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Ci sono voluti cinquant’anni alla Chiesa cattolica e ai suoi esegeti per, in un certo senso, “sdemonizzare” Dio. Dal 22 novembre prossimo, una nuova traduzione [in francese] del Padre Nostro ridarà al Dio cristiano il posto che gli spetta. E i milioni di cattolici francofoni che recitavano, pur senza saperlo, un testo erroneo, torneranno sulla retta via.

Quindi, alla sesta richiesta di tale preghiera basilare per i cristiani, non bisognerà supplicare “ne nous soumets pas à la tentation” (non sottoporci alla tentazione), ma “ne nous laisse pas entrer en tentation” (non lasciare che entriamo in tentazione). Una formula certo meno felice dal punto di vista della fluidità lessicale, ma teologicamente più corretta, secondo i numerosi specialisti che hanno studiato da decenni questa frase controversa.

La traduzione del 1966, basata su un compromesso ecumenico tra cattolici, protestanti riformati e ortodossi, era stata considerata “blasfema” da alcuni teologi fin dalla fine degli anni ’60 e rifiutata dalle correnti più tradizionaliste. La formulazione faceva infatti pensare che Dio stesso incitasse i fedeli a soccombere alla tentazione. “Quella traduzione presuppone una certa responsabilità di Dio nella tentazione che porta al peccato, al male. Ma in tutto il Nuovo Testamento, non si dice che Dio tenta la creatura umana”, ricordava nel 2011 Mons. Hervé Giraud, vescovo di Soissons e autore di un testo che riassume gli annessi e i connessi di questo tema spinoso. “Normalmente è il diavolo che si incarica di questa operazione”, insisteva.

Fin dal 1969, l’abate Jean Carmignace sottolineava nella sua tesi “Ricerche sul Padre Nostro”, le difficoltà di interpretazione sollevate dal passaggio dall’ebraico al greco e dal greco al francese. Il religioso proponeva ai fedeli una formula meno compromettente: “Fais que nous n’entrons pas dans la tentation”(Fa’ che non entriamo in tentazione). Nel corso degli anni, alcuni, tra i protestanti, hanno preferito l’espressione “ne nous laisse pas entrer en tentation” (non lasciarci entrare in tentazione), un’espressione adottata nel 2000 dalla Bibbia di Gerusalemme.

Altri hanno proposto “ne nous induis pas en tentation” (non indurci in tentazione) o anche “ne nous introduis pas en tentation” (non introdurci in tentazione), opzioni tutte giudicate inadatte. I più anziani ricordano la formula anteriore al Vaticano II (1962-1965), in cui si dava rigorosamente del “voi” a Dio: “Ne nous laissez pas succomber à la tentation” (Non lasciateci soccombere alla tentazione).

La modifica apportata ora alla preghiera che, secondo la tradizione, sarebbe stata trasmessa da Gesù stesso agli apostoli, è il risultato di un lungo lavoro iniziato diciassette anni fa da decine di traduttori. È la parte più visibile, quella di cui il grande pubblico si accorge, di un impegno molto più vasto che mira a proporre una nuova versione della Bibbia per la liturgia francofona. Si annunciano ad esempio cambiamenti nel testo delle Beatitudini.

Verosimilmente ci vorranno anni prima che le chiese risuonino del frutto di questo lavoro, convalidato in luglio dal Vaticano. In Francia, questa versione sarà presentata ai vescovi nella loro assemblea plenaria di inizio novembre a Lourdes. Poi la “Bibbia ufficiale di 2.928 pagine” sarà venduta al “prezzo di lancio di 59.90 euro”, secondo la rivista Famille chrétienne, che annunciava questo “evento importante per la Chiesa” fin dal 5 settembre.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/11/2013 17.19
Titolo:Ma CHI è il "Padre" tuo? (Erasmo da Rotterdam, 1509)
Ma CHI è il "Padre" tuo?

di Erasmo da Rotterdam *

- Quale preghiera, vorrei sapere, recitano i soldati durante [le] messe? Il Pater noster?
- Faccia di bronzo! Osi chiamarlo "padre", tu che vuoi tagliare la gola al tuo fratello?
- "Sia santificato il tuo nome". Che cosa c’è che disonori il nome di Dio più che queste vostre risse?
- "Venga il tuo Regno". Preghi così tu, che con tanto sangue hai edificato la tua tirannide?
- "Sia fatta la tua volontà così in cielo come in terra". Lui vuole la pace e tu prepari la guerra?
- "Dacci il nostro pane quotidiano". Chiedi al Padre comune il pane quotidiano tu, che incendi le messi del fratello e preferisci morire di fame tu stesso, piuttosto che egli se ne giovi? Con che fronte pronunci queste parole:
- "E rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori", tu, che ti appresti alla strage fraterna?
- "E non ci indurre in tentazione". Scongiuri il pericolo della tentazione tu, che con tuo rischio provochi il rischio del tuo fratello?
- "Ma liberaci dal male". Chiedi di essere liberato dal male tu, che dal male sei ispirato a ordire il male estremo del tuo fratello?

* Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, 1509
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/11/2013 21.48
Titolo:"TU NON CI INDUCI IN TENTAZIONE" (trad di Giovanni Vannucci)
[Il "Padre nostro", nella versione di] Giovanni Vannucci*:

Il tentativo forse più riuscito è quello di padre Giovanni Vannucci (1913-1984), il quale era solito dire che «nella Chiesa cattolica il più grande martire è il Padre nostro», a motivo della trascuratezza con cui viene recitato e... vissuto. Padre Giovanni, dell’ordine dei Servi di Maria, fu valente esegeta, e in spirito sinceramente ecumenico visse e operò nell’eremo della Stinche (Firenze).

Egli faceva notare che nell’ebraico ci sono due lingue: quella delle comunicazioni ordinarie e quella sacra che, diceva, «va riscoperta pazientemente, tenacemente, attentamente, ma soprattutto nel silenzio e nell’ascesa del nostro essere. Ora, la lingua sacra ebraica conosce soltanto due tempi: lo stato di perfezione e lo stato di imperfezione».

Questo, secondo padre Vannucci, si applica anche al Padre nostro, le cui espressioni non indicano un puro desiderio condizionato alla fallibile volontà dell’uomo, ma contengono un’affermazione di fede nella quale si riflettono gli immutabili disegni divini.

Tenendo conto di questo, dovremmo tradurre – precisa padre Vannucci – non "sia santificato il tuo nome", ma santo è il tuo nome; non "venga il tuo regno", ma il tuo regno viene; non "sia fatta la tua volontà...", ma la tua volontà si compie nella terra come nel cielo; non "dacci oggi il nostro pane quotidiano", ma tu doni a noi il pane di oggi e di domani ("quotidiano" traduce un termine che ha il doppio significato di pane terreno e pane celeste). E ancora: tu perdoni i nostri debiti nell’istante in cui li perdoniamo ai nostri debitori; tu non ci induci in tentazione, ma nella tentazione tu ci liberi dal male.

Anche per padre Vannucci, come per santa Teresa d’Avila, questa fu una vera e propria scoperta. «Dovete scusarmi, ma prima d’ora non me ne ero accorto», furono le parole pronunciate sommessamente, e con un accenno di sorriso che chiedeva comprensione, alcuni mesi prima della morte.

Secondo padre Giovanni Vannucci, questa versione nel nostro idioma della preghiera di Gesù, così diversa da quella che solitamente siamo abituati a recitare, era più fedele all’autentico senso originario della lingua parlata da Cristo ed era coerente con altre parole di lui riportate nei racconti evangelici: «Padre nostro che sei nei cieli, / santo è il Tuo Nome, / il Tuo Regno viene, / la Tua volontà si compie / nella terra come nel cielo. / Tu doni a noi il pane di oggi / e di domani. / Tu perdoni i nostri debiti / nell’istante in cui / li perdoniamo ai nostri debitori. / Tu non ci induci in tentazione, / ma nella tentazione / tu ci liberi dal male».



* Cfr.: Antonio Gentili, Il Vangelo in una sola preghiera (Jesus, n. 8, 1999 - http://www.stpauls.it/jesus00/0899je/0899je70.htm)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/11/2013 16.21
Titolo:il "Padre nostro"... e qualche domanda sul rapporto tra uomini e donne
Documento preparatorio del Sinodo sulla famiglia: qualche domanda sul rapporto tra uomini e donne

di Rita Torti (www.teologhe.org, 8 novembre 2013)

Sulle caratteristiche e sulle importanti implicazioni del Documento preparatorio alla III Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi, reso pubblico in questi giorni, molto è già stato scritto. Tuttavia alcuni aspetti rimasti per il momento in ombra suscitano interrogativi che credo valga la pena di condividere, raccogliendo così anche l’invito contenuto nell’ultima domanda del Questionario allegato al testo introduttivo: “Ci sono altre sfide e proposte riguardo ai temi trattati in questo questionario, avvertite come urgenti o utili da parte dei destinatari?”.

1) Un primo dato che balza agli occhi è che nell’elenco delle “numerose nuove situazioni che richiedono l’attenzione e l’impegno pastorale della Chiesa” sono contemplati fenomeni di vario tipo - dai matrimoni misti alle famiglie monoparentali, dai fenomeni migratori ai messaggi dei mass media, dalle legislazioni civili alle madri surrogate -; a dire il vero alcuni di essi non rientrano propriamente nella categoria della “novità” (ad esempio la poligamia o i matrimoni combinati - questi ultimi abbondantemente conosciuti anche dalle società europee).

Manca però qualunque accenno, nel testo e nel Questionario, a un fenomeno drammatico, documentato e diffuso in modo trasversale nei diversi contesti geografici, culturali e sociali: quello della violenza di genere (fisica, sessuale, economica...) all’interno delle famiglie.

La domanda che ci si può porre è allora questa: come mai a parere degli estensori del documento la violenza maschile nei confronti delle donne non è un problema da mettere in luce, da indagare e da evangelizzare?

E’ improbabile che in un testo così ufficiale e importante l’assenza sia casuale. Tuttavia sarà utile ricordare che questa mancanza può aggravare la situazione di milioni di donne - spose, ma anche figlie - di ogni parte del mondo, che a questo punto non solo subiscono violenze all’interno della famiglia, ma si trovano ad essere anche invisibili agli occhi dei pastori della Chiesa.

2) Il silenzio su questa ferita endemica delle relazioni familiari è rafforzato, sempre nell’elenco delle situazioni che richiedono “attenzione e impegno pastorale”, da un’altra scelta: quella di segnalare esplicitamente la presenza di “forme di femminismo ostile alla Chiesa”, e di ignorare invece la presenza - certamente più concreta, diffusa e radicata, anche in contesti cattolici - di mentalità e prassi maschiliste.

Anche in questo caso, in molte donne - e auspicabilmente in altrettanti uomini - può sorgere una domanda: davvero il maschilismo nelle sue varie declinazioni non è un problema per le relazioni familiari, e per le donne e gli uomini che ne sperimentano gli effetti? Davvero è un fatto che non suscita alcun interesse nei pastori della Chiesa, e su cui essi non ritengono quindi di dover sollecitare esplicitamente la riflessione delle comunità cristiane?.

3) Passando alla parte del Documento in cui si illustra “la buona novella dell’amore divino” che “va proclamata a quanti vivono questa fondamentale esperienza umana personale, di coppia e di comunione aperta al dono dei figli, che è la comunità familiare”, un altro interrogativo sorge nel seguire quelli che il testo definisce “riferimenti essenziali” delle fonti bibliche su matrimonio e famiglia.

Dopo alcuni rimandi a passi della Scrittura che mostrano l’importanza attribuita al matrimonio, all’amore e all’indissolubilità del legame coniugale, il paragrafo intitolato “L’insegnamento della Chiesa sulla famiglia” si apre con questa enunciazione: “Anche nella comunità cristiana primitiva la famiglia apparve come la ‘Chiesa domestica’ (cf. CCC,1655). Nei cosiddetti “codici familiari” delle Lettere apostoliche neotestamentarie, la grande famiglia del mondo antico è identificata come il luogo della solidarietà più profonda tra mogli e mariti, tra genitori e figli, tra ricchi e poveri”.

Che gli autori delle Lettere apostoliche considerassero con tanta ammirazione la “famiglia del mondo antico” è affermazione che probabilmente la maggior parte dei biblisti non sottoscriverebbe, anche volendo mettere tra parentesi le notevoli differenze che correvano tra il mondo greco e il mondo romano in questo ambito del vivere. Ma più immediata e alla portata di tutti è un’altra riflessione: in che senso si può definire “luogo della solidarietà più profonda tra mogli e mariti” la realtà che il Documento preparatorio illustra ad esempio con il rimando alla Prima lettera a Timoteo (2,8-15), che ordina fra l’altro: “La donna impari in silenzio con ogni sottomissione. Poiché non permetto alla donna d’insegnare, né di usare autorità sul marito, ma stia in silenzio. Infatti Adamo fu formato per primo, e poi Eva; e Adamo non fu sedotto; ma la donna, essendo stata sedotta, cadde in trasgressione; tuttavia sarà salvata partorendo figli, se persevererà nella fede, nell’amore e nella santificazione con modestia”?.

Quindi, l’ultima domanda: in che modo questo e gli altri testi a cui il Documento rimanda (appunto, i famosi/famigerati codici domestici) possono comunicare la buona novella alle famiglie di oggi? Sarà veramente opportuno portare come esempio di famiglia evangelica brani che per secoli sono stati usati dalla teologia, dalla predicazione e dagli uomini comuni per rafforzare con il sigillo divino quella che era considerata la legge naturale della superiorità maschile e inferiorità femminile?!

Davvero siamo sicuri che nessuno se ne approfitterà per legittimarsi padrone, e davvero siamo sicuri che nessuna penserà che allora subire è cosa buona e giusta? Le esperienze che si registrano in ogni parte del mondo - e che gli estensori del Documento certo non ignorano - sembrano dirci che no, non possiamo essere sicuri.

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Commenti Articolo 394

Titolo articolo : L'EBRAISMO E' UNA COSA, LO STATO DI ISRAELE UN'ALTRA. Lascio la Comunità ebraica di Milano. Intervista a Moni Ovadia - di Silvia Truzzi, ,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/08/2013 - 13:09:42.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/11/2013 12.57
Titolo:L’addio di Ovadia che divide gli ebrei milanesi
L’addio di Ovadia che divide gli ebrei milanesi

L’artista: censurato, me ne vado

di Gian Guido Vecchi (Corriere della Sera, 6.11.13)

ROMA — Per capire il clima basterebbe il commento di Walker Meghnagi, presidente della comunità ebraica di Milano, «non mi pare una grande perdita, non credo che nessuno piangerà dopo queste parole incoscienti e pericolose». Moni Ovadia ha deciso di lasciare la comunità, cui era iscritto «per rispetto dei miei genitori», accusandola d’essere diventata «l’ufficio di propaganda» del governo israeliano.

Intervistato dal Fatto quotidiano , ieri, ha parlato di «un veto» che «qualcuno» tra gli organizzatori avrebbe posto alla sua presenza nel festival di cultura ebraica Jewish and the city, che si è svolto a Milano dal 28 settembre all’1 ottobre. E questo «per le mie posizioni critiche del governo Netanyahu».

Parole durissime, quelle del grande attore e drammaturgo, che parla degli insulti («traditore», «nemico del popolo ebraico») ricevuti sul suo sito «in gran parte da ebrei», persone che «diventano i peggiori nazionalisti» perché «qualcuno ha sostituito la Torah con Israele». Ai vertici della comunità, tra l’altro guidata da una «grande coalizione», le reazioni sono altrettanto dure. E arrivano, sul sito Moked , anche da esponenti della sinistra come Daniele Nahum, consigliere della comunità: «L’intervista è piena di falsità, suona come una ripicca per il mancato ingaggio al festival. Noi rappresentiamo l’ebraismo milanese e non siamo l’agenzia di nessuno».

Ovadia, tra l’altro, parla della «mancata presa di posizione» dei vertici alle frasi di Berlusconi (su Mussolini che «fece anche cose buone») nel giorno in cui si inaugurava il memoriale della Shoah alla stazione Centrale. Il presidente Meghnagi respinge l’accusa al mittente, «condannai quelle parole in un’intervista al Corriere». Ma intanto Ovadia rivela che anche Gad Lerner lasciò la comunità milanese in quell’occasione: «Non trovarono le parole necessarie a stigmatizzare quello sproloquio. Quella scelta era l’unico strumento che avevo per esprimere, con discrezione, la mia delusione: sono rimasto iscritto nella bellissima comunità di Casale Monferrato».

Ma il problema denunciato da Ovadia esiste? «In quella forma così esasperata riguarda lui, c’è gente che esulta perché se ne è andato ed è un atteggiamento greve e autolesionista: si misconosce il grandissimo merito che ha avuto nella diffusione della cultura ebraica», dice Lerner.

Il regista Ruggero Gabbai, consigliere pd a Milano, premette: «Come ebreo di sinistra, non potrei immaginare di vivere in diaspora senza Israele, per noi è un’ancora di salvezza». Salvo aggiungere: «Temo che sia vera la storia degli insulti. Posso non essere d’accordo con le sue idee, ma Israele è una società pluralista e l’ebraismo ha sempre insegnato il confronto di idee: quella di Moni sarebbe una perdita grave».

Più severo Guido Vitale, direttore di Pagine Ebraiche : «Non mi pare che nel mondo ebraico italiano manchi il confronto, quelli che se ne vanno sbattendo la porta hanno sempre torto. E non abbiamo bisogno di un nuovo Grillo, anche se più colto».

Emanuele Fiano, già presidente degli ebrei milanesi e ora deputato del Pd, lancia un appello: «Chiedo a Moni di riconsiderare la sua decisione. E vorrei una comunità capace di accogliere il dissenso».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/11/2013 13.09
Titolo:Perché lascio la «mia» comunità ebraica ...
Perché lascio la «mia» comunità ebraica

di Moni Ovadia (il manifesto, 8 novembre 2013)

Lunedì scorso tramite un’intervista chiestami dal Fatto Quotidiano, ho dato notizia della mia decisione definitiva di uscire dalla comunità ebraica di Milano, di cui facevo parte, oramai solo virtualmente, ed esclusivamente per il rispetto dovuto alla memoria dei miei genitori. A seguito di questa intervista il manifesto mi ha invitato a riflettere e ad approfondire le ragioni e il senso del mio gesto, invito che ho accolto con estremo piacere. Premetto che io tengo molto alla mia identità di ebreo pur essendo agnostico.

Ci tengo, sia chiaro, per come la vedo e la sento io. La mia visione ovviamente non impegna nessun altro essere umano, ebreo o non ebreo che sia, se non in base a consonanze e risonanze per sua libera scelta. Sono molteplici le ragioni che mi legano a questa «appartenenza».

Una delle più importanti è lo splendore paradossale che caratterizza l’ebraismo: la fondazione dell’universalismo e dell’umanesimo monoteista - prima radice dirompente dell’umanesimo tout court - attraverso un particolarismo geniale che si esprime in una "elezione" dal basso. Il concetto di popolo eletto è uno dei più equivocati e fraintesi di tutta la storia.

Chi sono dunque gli ebrei e perché vengono eletti? Il grande rabbino Chaim Potok, direttore del Jewish Seminar di New York, nel suo «Storia degli ebrei» li descrive grosso modo così : «Erano una massa terrorizzata e piagnucolosa di asiatici sbandati. Ed erano: Israeliti discendenti di Giacobbe, Accadi, Ittiti, transfughi Egizi e molti habiru, parola di derivazione accadica che indica i briganti vagabondi a vario titolo: ribelli, sovversivi, ladri, ruffiani, contrabbandieri. Ma soprattutto gli ebrei erano schiavi e stranieri, la schiuma della terra». Il divino che incontrano si dichiara Dio dello schiavo e dello Straniero. E, inevitabilmente, legittimandosi dal basso non può che essere il Dio della fratellanza universale e dell’uguaglianza.

Non si dimentichi mai che il «comandamento più ripetuto nella Torah sarà: Amerai lo straniero! Ricordati che fosti straniero in terra d’Egitto! Io sono il Signore!» L’amore per lo straniero è fondativo dell’Ethos ebraico. Questo «mucchio selvaggio» segue un profeta balbuziente, un vecchio di ottant’anni che ha fatto per sessant’anni il pastore, mestiere da donne e da bambini. Lo segue verso la libertà e verso un’elezione dal basso che fa dell’ultimo, dell’infimo, l’eletto - avanguardia di un processo di liberazione/redenzione.

Ritroveremo la stessa prospettiva nell’ebreo Gesù: «Beati gli ultimi che saranno i primi» e nell’ebreo Marx: «La classe operaia, gli ultimi della scala sociale, con la sua lotta riscatterà l’umanità tutta dallo sfruttamento e dall’alienazione».

Il popolo di Mosé fu inoltre una minoranza. Solo il venti per cento degli ebrei intrapresero il progetto, la stragrande maggioranza preferì la dura ma rassicurante certezza della schiavitù all’aspra e difficile vertigine della libertà.

Dalla rivoluzionaria impresa di questi meticci «dalla dura cervice», scaturì un orizzonte inaudito che fu certamente anche un’istanza di fede e di religione, ma fu soprattutto una sconvolgente idea di società e di umanità fondata sulla giustizia sociale.

Lo possiamo ascoltare nelle parole infiammate del profeta Isaia. Il profeta mette la sua voce e la sua indignazione al servizio del Santo Benedetto che è il vero latore del messaggio: «Che mi importa dei vostri sacrifici senza numero, sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso dei giovenchi. Il sangue di tori, di capri e di agnelli Io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi che veniate a calpestare i Miei Atri? Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio, noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità. I vostri noviluni e le vostre feste io li detesto, sono per me un peso sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, Io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, Io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova».( Isaia I, cap 1 vv 11- 17). Il messaggio è inequivocabile. Il divino rifiuta la religione dei baciapile e chiede la giustizia sociale, la lotta a fianco dell’oppresso, la difesa dei diritti dei deboli. Un corto circuito della sensibilità fa sì che molti ebrei leggano e non ascoltino, guardino e non vedano. Per questo malfunzionamento delle sinapsi della giustizia, i palestinesi non vengono percepiti come oppressi, i loro diritti come sacrosanti, la loro oppressione innegabile.

Qual’è il guasto che ha creato il corto circuito. Uno smottamento del senso che ha provocato la sostituzione del fine con il mezzo. La creazione di uno Stato ebraico non è stato più pensato come un modo per dare vita ad un modello di società giusta per tutti, per se stessi e per i vicini, ma un mezzo per l’affermazione con la forza di un nazionalismo idolatrico nutrito dalla mistica della terra, sì che molti ebrei, in Israele stesso e nella diaspora, progressivamente hanno messo lo Stato d’ Israele al posto della Torah e lo Stato d’Israele, per essi, ha cessato di essere l’entità legittimata dal diritto il internazionale, nelle giuste condizioni di sicurezza, che ha il suo confine nella Green Line, ed è diventato sempre più la Grande Israele, legittimata dal fanatismo religioso e dai governi della destra più aggressiva. Essi si pretendono depositari di una ragione a priori.

Per questi ebrei, diversi dei quali alla testa delle istituzioni comunitarie, il buon ebreo deve attenersi allo slogan: un popolo, una terra, un governo, in tedesco suona: ein Folk, ein Reich, ein Land. Sinistro non è vero? Questi ebrei proclamano ad ogni piè sospinto che Israele è l’unico Stato democratico in Medio Oriente. Ma se qualcuno si azzarda a criticare con fermezza democratica la scellerata politica di estensione delle colonizzazioni, lo linciano con accuse infamanti e criminogene e lo ostracizzano come si fa nelle peggiori dittature.

Ecco perché posso con disinvoltura lasciare una comunità ebraica che si è ridotta a questo livello di indegnità, ma non posso rinunciare a battermi con tutte le mie forze per i valori più sacrali dell’ebraismo che sono poi i valori universali dell’uomo.

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Commenti Articolo 395

Titolo articolo : Il segreto che uccide,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: November/06/2013 - 09:25:10.

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Autore Città Giorno Ora
vittorio pedrali marigliano 02/11/2013 12.29
Titolo:terra del fuoco
Carissimo Giovanni,
è da una vita che non ci sentiamo, ma i tuoi articoli sono sempre ben graditi.
Non ho ancora letto quello odierno con l'acclusa "desecretazione". La domanda è: c'era bisogno di Schiavone? non lo sapevamo tutti che la zona ASI è stata costruita per "coprire" i rifiuti? non lo sapevamo tutti che TUTTA la zona è contaminata? non lo sapevamo tutti che anche le zone "cittadine" sono contaminate anche grazie alle complicità (forse pagate) dei proprietari di terre? Il resto è inutile aggiungerlo: se uno volesse denunciare, a chi dovrebbe farlo, ai complici? e dunque? Naturalmente non dico che non c'è soluzione, ma questa si fa ogni giorno sempre più lontata

Un abbraccio
Vittorio
Autore Città Giorno Ora
Francesco Santamaria Vimercate 05/11/2013 16.04
Titolo:
"è per questo che chiediamo con forza, con tutta l'indignazione e la rabbia e il disgusto possibile, l'abolizione di tutti i segreti di Stato finora esistenti e l'adozione di tutte le misure necessarie a risanare le zone contaminate".
A chi lo chiede, Sig. Sarubbi?
A coloro che hanno commesso o coperto questi crimini e che sono ancora li a governarci?
Lei su questa pagina ha ancora il coraggio di parlare male del Movimento 5 Stelle?
Gente, forse poco esperta, ma onesta!
Io piuttosto che dare il voto ad uno di quegli "assassini" mi farei tagliare la mano!
Ma la gente, purtroppo, legge e s'informa poco, lasciandosi guidare dalle televisioni.
Ed è per questo che siamo ridotti in "braghe di tela".
E la disoccupazione e la povertà creerà ancora più spazio per i disonesti.
Autore Città Giorno Ora
Francesco Santamaria Vimercate 05/11/2013 16.15
Titolo:
Mi scuso per il tono ma io sono molto arrabbiato.
Pur vivendo al nord, sono anch'io originario della Basilicata.
Sono letteralmente indignato per come i politici hanno trattato il sud, a mio parere con il silenzio, assenso della popolazione e con false promesse.
Vedi cos'hanno fatto in Val d'Agri, con la falsa promessa di creare nuovi posti di lavoro.
Ed hanno ancora la "faccia di bronzo" di ripresentarsi alle elezioni.
Ma la cosa più grave è che la gente gli crede ancora.
Concordo con molti suoi ragionamenti, ma al momento di trarre le conclusioni, andiamo in direzioni completamente opposte, perché io penso semplicemente che "non si può far risanare un'azienda a chi l'ha portata al fallimento!"
Autore Città Giorno Ora
Francesco Santamaria Vimercate 06/11/2013 09.25
Titolo:
Suggerisco a Lei ed ai suoi lettori la lettura di un intervento del giornalista Pino Aprile sul blog di Beppe grillo al seguente link:
http://www.beppegrillo.it/2013/11/passaparola_il_4.html?s=n2013-11-04

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Commenti Articolo 396

Titolo articolo : IL PADRE NOSTRO CHE INDUCE IN TENTAZIONE: UNA BESTEMMIA DI DUEMILA ANNI. Ci sono voluti 50 anni perché il Vaticano non bestemmiasse più Dio. Una nota di Henri Tincq - con premessa,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/05/2013 - 21:51:04.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/11/2013 20.18
Titolo:«Non dire: Mi sono sviato per colpa del Signore, perché Egli non fa ciò che det...
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA LETTERA DI GIACOMO, DA *


[...] Agapan è il verso dell’amore gratuito, oblativo e
fedele capace di porre l’amato al di sopra di tutto, anche di se stessi e di ogni proprio interesse. È la
prima indicazione dello shema’ Israel: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta
l’anima, con tutte le forze» (Dt 6,4-5; Mt 22,34-40).


1,13-15: Riprendendo una riflessione del Siracide (Sir 15,11-17: «Non dire: Mi sono sviato per colpa
del Signore, perché Egli non fa ciò che detesta»), Giacomo ribadisce che la tentazione non viene da
Dio, che detesta il male e non spinge nessuno al male. Essa viene piuttosto dal cuore dell’uomo, da
cui si producono pensieri desideri e azioni cattive, che contaminano l’uomo (Mt 15,15-20). Si
descrive poi la genesi del peccato a partire dal cuore: la concupiscenza (epithymia), desiderio
smodato e possessivo, che pretende l’afferrare immediato dell’oggetto del proprio godimento,
trascina (exelkomenos) e seduce (deleazomenos), portando a concepire (syllabousa) il peccato già
nell’intimo del cuore, sino a partorirlo (tiktei amartian). Una volta portato a compimento
(apotelestheisa), il peccato procura la morte (apokyei thanaton). La seduzione da parte della
concupiscenza è descritta al pari del fascino perverso della donna sfacciata, della maritata in veste di
prostituta che compare nei Proverbi (Pr 7,6-27): essa si fa strada con dolce lusinga, sino a far cadere
in trappola. Analoga descrizione quasi psicologica del generarsi del peccato dal desiderio la si trova
nei Salmi: «Ecco, l’empio produce ingiustizia, concepisce malizia, partorisce menzogna» (Sal 7,15).
Il processo verso il peccato, sotto il pungolo lusinghiero della tentazione è descritto in Gen 3: la
donna fa spazio nel suo cuore alla parola del tentatore che fa concepire al suo cuore il desiderio, sino
alla consumazione dell’atto trasgressivo, che tende a propagarsi, procurando divisione e morte.
Giacomo descrive in modo paradossale un processo generativo interno al cuore, pari a quello che
accade nel grembo di una donna, il quale, tuttavia, anziché produrre vita genera morte. Non si tratta
qui con buona probabilità della morte in senso escatologico, quale pena eterna dei dannati; si tratta
piuttosto di una situazione esistenziale e spirituale ormai incapace di produrre frutti di opere buone.
Più avanti, nella terza parte, l’apostolo riprende la riflessione sui desideri smodati del soggetto che
procurano guerre e divisioni, diventando peccati sociali, generatori di una cultura di morte (4,1-2).
b) 1,16-17: Il secondo passo, descrive un movimento contrapposto al primo: l’uomo, cogliendo la sua
fragilità apre il suo cuore verso l’alto, implorando il dono buono e perfetto (pasa dosis agathe kai
19pan dorema teleion) della Sapienza, che proviene dal Padre della luce. Questi è descritto ancora nei
suoi tratti essenziali di chi non ha alterazione (parallaghe), né ombra di mutazione (tropes
aposkiasma), tratti che rafforzano l’idea già sopra espressa di una generosità tutta luminosa, senza
ombre né pentimento [...]


*

http://www.diocesilucca.it/documenti/sussidio_lettera_giacomo.pdf
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/11/2013 12.45
Titolo:SUL "PADRE NOSTRO", LE RIFLESSIONI DI ERASMO DI ROTTERDAM
Come osi dire \"Padre\"? Ma CHI è il \"Padre\" tuo?

di Erasmo da Rotterdam *

- Quale preghiera, vorrei sapere, recitano i soldati durante [le] messe? Il Pater noster?
- Faccia di bronzo! Osi chiamarlo \"padre\", tu che vuoi tagliare la gola al tuo fratello?
- \"Sia santificato il tuo nome\". Che cosa c’è che disonori il nome di Dio più che queste vostre risse?
- \"Venga il tuo Regno\". Preghi così tu, che con tanto sangue hai edificato la tua tirannide?
- \"Sia fatta la tua volontà così in cielo come in terra\". Lui vuole la pace e tu prepari la guerra?
- \"Dacci il nostro pane quotidiano\". Chiedi al Padre comune il pane quotidiano tu, che incendi le messi del fratello e preferisci morire di fame tu stesso, piuttosto che egli se ne giovi? Con che fronte pronunci queste parole:
- \"E rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori\", tu, che ti appresti alla strage fraterna?
- \"E non ci indurre in tentazione\". Scongiuri il pericolo della tentazione tu, che con tuo rischio provochi il rischio del tuo fratello?
- \"Ma liberaci dal male\". Chiedi di essere liberato dal male tu, che dal male sei ispirato a ordire il male estremo del tuo fratello?

- (Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, 1509)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/11/2013 18.00
Titolo:"SDEMONIZZARE" DIO. Una “tentazione” teologicamente corretta...
Una “tentazione” teologicamente corretta

di Stéphanie Le Bars

in “Le Monde” del 17 ottobre 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Ci sono voluti cinquant’anni alla Chiesa cattolica e ai suoi esegeti per, in un certo senso, “sdemonizzare” Dio. Dal 22 novembre prossimo, una nuova traduzione [in francese] del Padre Nostro ridarà al Dio cristiano il posto che gli spetta. E i milioni di cattolici francofoni che recitavano, pur senza saperlo, un testo erroneo, torneranno sulla retta via.

Quindi, alla sesta richiesta di tale preghiera basilare per i cristiani, non bisognerà supplicare “ne nous soumets pas à la tentation” (non sottoporci alla tentazione), ma “ne nous laisse pas entrer en tentation” (non lasciare che entriamo in tentazione). Una formula certo meno felice dal punto di vista della fluidità lessicale, ma teologicamente più corretta, secondo i numerosi specialisti che hanno studiato da decenni questa frase controversa.

La traduzione del 1966, basata su un compromesso ecumenico tra cattolici, protestanti riformati e ortodossi, era stata considerata “blasfema” da alcuni teologi fin dalla fine degli anni ’60 e rifiutata dalle correnti più tradizionaliste. La formulazione faceva infatti pensare che Dio stesso incitasse i fedeli a soccombere alla tentazione. “Quella traduzione presuppone una certa responsabilità di Dio nella tentazione che porta al peccato, al male. Ma in tutto il Nuovo Testamento, non si dice che Dio tenta la creatura umana”, ricordava nel 2011 Mons. Hervé Giraud, vescovo di Soissons e autore di un testo che riassume gli annessi e i connessi di questo tema spinoso. “Normalmente è il diavolo che si incarica di questa operazione”, insisteva.

Fin dal 1969, l’abate Jean Carmignace sottolineava nella sua tesi “Ricerche sul Padre Nostro”, le difficoltà di interpretazione sollevate dal passaggio dall’ebraico al greco e dal greco al francese. Il religioso proponeva ai fedeli una formula meno compromettente: “Fais que nous n’entrons pas dans la tentation”(Fa’ che non entriamo in tentazione). Nel corso degli anni, alcuni, tra i protestanti, hanno preferito l’espressione “ne nous laisse pas entrer en tentation” (non lasciarci entrare in tentazione), un’espressione adottata nel 2000 dalla Bibbia di Gerusalemme.

Altri hanno proposto “ne nous induis pas en tentation” (non indurci in tentazione) o anche “ne nous introduis pas en tentation” (non introdurci in tentazione), opzioni tutte giudicate inadatte. I più anziani ricordano la formula anteriore al Vaticano II (1962-1965), in cui si dava rigorosamente del “voi” a Dio: “Ne nous laissez pas succomber à la tentation” (Non lasciateci soccombere alla tentazione).

La modifica apportata ora alla preghiera che, secondo la tradizione, sarebbe stata trasmessa da Gesù stesso agli apostoli, è il risultato di un lungo lavoro iniziato diciassette anni fa da decine di traduttori. È la parte più visibile, quella di cui il grande pubblico si accorge, di un impegno molto più vasto che mira a proporre una nuova versione della Bibbia per la liturgia francofona. Si annunciano ad esempio cambiamenti nel testo delle Beatitudini.

Verosimilmente ci vorranno anni prima che le chiese risuonino del frutto di questo lavoro, convalidato in luglio dal Vaticano. In Francia, questa versione sarà presentata ai vescovi nella loro assemblea plenaria di inizio novembre a Lourdes. Poi la “Bibbia ufficiale di 2.928 pagine” sarà venduta al “prezzo di lancio di 59.90 euro”, secondo la rivista Famille chrétienne, che annunciava questo “evento importante per la Chiesa” fin dal 5 settembre.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/11/2013 12.43
Titolo:I VESCOVI FRANCESI E LA "RECOGNITIO" VATICANA...
Esce una nuova traduzione a cura dei vescovi francofoni

La Bibbia nella liturgia
parla il linguaggio dell’uomo di oggi *

Se ne è parlato solo per il cambiamento di una frase del Padre nostro (da ne nous soumets pas à la tentation a et ne nous laisse pas entrer en tentation), che deve fra l’altro ancora ricevere la recognitio vaticana, facendo quasi passare in secondo piano l’intera opera, frutto di diciassette anni di complesso lavoro. La Bible. Traduction officielle liturgique, che per le edizioni Mame uscirà nelle librerie francesi il prossimo 22 novembre, rappresenta un’opera eminentemente ecclesiale in virtù della molteplicità degli esperti che vi hanno partecipato, tra esegeti, linguisti, innografi, liturgisti, vescovi.

Cinquant’anni dopo l’apertura del concilio Vaticano ii, la traduzione ufficiale liturgica della Bibbia pubblicata dall’Associazione episcopale liturgica per i Paesi francofoni è, per padre Jacques Rideau, direttore del Servizio nazionale della pastorale liturgica e sacramentale, «un frutto della Sacrosanctum Concilium e della Dei Verbum; essa segna questo legame intimo che la Scrittura e la liturgia mantengono l’una con l’altra». Sempre in Francia, intanto, si è aperta l'assemblea plenaria della Conferenza episcopale, per la prima volta presieduta dall'arcivescovo Georges Pontier.

*

©L'Osservatore Romano 4-5 novembre 2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/11/2013 21.51
Titolo:TU NON CI INDUCI IN TENTAZIONE. Il "Padre nostro" di G. VVannucci...
[Il "Padre nostro", nella versione di] Giovanni Vannucci*:

Il tentativo forse più riuscito è quello di padre Giovanni Vannucci (1913-1984), il quale era solito dire che «nella Chiesa cattolica il più grande martire è il Padre nostro», a motivo della trascuratezza con cui viene recitato e... vissuto. Padre Giovanni, dell’ordine dei Servi di Maria, fu valente esegeta, e in spirito sinceramente ecumenico visse e operò nell’eremo della Stinche (Firenze).

Egli faceva notare che nell’ebraico ci sono due lingue: quella delle comunicazioni ordinarie e quella sacra che, diceva, «va riscoperta pazientemente, tenacemente, attentamente, ma soprattutto nel silenzio e nell’ascesa del nostro essere. Ora, la lingua sacra ebraica conosce soltanto due tempi: lo stato di perfezione e lo stato di imperfezione».

Questo, secondo padre Vannucci, si applica anche al Padre nostro, le cui espressioni non indicano un puro desiderio condizionato alla fallibile volontà dell’uomo, ma contengono un’affermazione di fede nella quale si riflettono gli immutabili disegni divini.

Tenendo conto di questo, dovremmo tradurre – precisa padre Vannucci – non "sia santificato il tuo nome", ma santo è il tuo nome; non "venga il tuo regno", ma il tuo regno viene; non "sia fatta la tua volontà...", ma la tua volontà si compie nella terra come nel cielo; non "dacci oggi il nostro pane quotidiano", ma tu doni a noi il pane di oggi e di domani ("quotidiano" traduce un termine che ha il doppio significato di pane terreno e pane celeste). E ancora: tu perdoni i nostri debiti nell’istante in cui li perdoniamo ai nostri debitori; tu non ci induci in tentazione, ma nella tentazione tu ci liberi dal male.

Anche per padre Vannucci, come per santa Teresa d’Avila, questa fu una vera e propria scoperta. «Dovete scusarmi, ma prima d’ora non me ne ero accorto», furono le parole pronunciate sommessamente, e con un accenno di sorriso che chiedeva comprensione, alcuni mesi prima della morte.

Secondo padre Giovanni Vannucci, questa versione nel nostro idioma della preghiera di Gesù, così diversa da quella che solitamente siamo abituati a recitare, era più fedele all’autentico senso originario della lingua parlata da Cristo ed era coerente con altre parole di lui riportate nei racconti evangelici: «Padre nostro che sei nei cieli, / santo è il Tuo Nome, / il Tuo Regno viene, / la Tua volontà si compie / nella terra come nel cielo. / Tu doni a noi il pane di oggi / e di domani. / Tu perdoni i nostri debiti / nell’istante in cui / li perdoniamo ai nostri debitori. / Tu non ci induci in tentazione, / ma nella tentazione / tu ci liberi dal male».



* Cfr.: Antonio Gentili, Il Vangelo in una sola preghiera (Jesus, n. 8, 1999 - http://www.stpauls.it/jesus00/0899je/0899je70.htm)

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Commenti Articolo 397

Titolo articolo : LAMPEDUSA 2013,di Lisetta Rota

Ultimo aggiornamento: November/03/2013 - 18:09:12.

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Autore Città Giorno Ora
Daniele Bettenzoli Varese 03/11/2013 18.09
Titolo:Lampedusa
Brava Lisetta. E' bella, scolpita la tua poesia, ma ancora più ha scolpito il mio cuore.

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Commenti Articolo 398

Titolo articolo : IL FIGLIO DELL’UOMO ERA VENUTO A CERCARE E A SALVARE CIO’ CHE ERA PERDUTO,di p. Alberto Maggi OSM

Ultimo aggiornamento: November/02/2013 - 20:13:55.

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Autore Città Giorno Ora
Diego Winter Brescia 02/11/2013 20.13
Titolo:commento al vangelo domenica XXXI
Per fortuna, che c'è la giustizia sociale. Per fortuna che il ricco lascia tutto, e quindi si riempia di gioia.
Ma nel commento di qualche settimana fa, non aveva detto che per il ricco è impossibile salvarsi?
PER FORTUNA CHE C'E' GESU', che nel suo commento è quasi scomparso.
Infatti, Zaccheo è salvo perchè GESU' VUOLE ENTRARE IN CASA SUA, e lo fa senza vergogna (benchè è ricco); non fa moralismi sulla ricchezza: ama tutti (anche i ricchi, incredibile!!); vuole entrare nella vita di Zaccheo, per salvarlo.
Il problema del notabile che non volle seguire Gesù, perchè ricco, è che non segue Gesù: non perchè punta alla vita eterna (non sembra proprio che gli interessi), ma, al contrario, perchè è fisso sul presente (appunto: è ricco)
La grazia di Zaccheo è invece che decide di stare con l'unico ricco: GESU', unico vero protagonista; la salvezza di Zaccheo NON E' che entra in un percorso di GIUSTIZIA SOCIALE; e' perchè, per seguire e amare Gesù, vera ricchezza, lascia tutto il resto; la salvezza è Gesù, qui, ora; non un moralismo egualitario, che non salva nessuno.
Ma forse che tanti ricchi non si convertono perchè ci sono tanti giustizialisti presunti cristiani che condannano senza speranza? Gesù, per fortuna, entra nella vita di tutti, con intelligenza, arguzia e al momento giusto.
Gesù è riuscito ad entrare in Gerico (città fortificata per eccellenza)
Gesù è riuscito ad entrare nella casa-vita di Zaccheo, ricco-ladro!
RIuscirà Gesù ad entrare nella vita di chi giudica ideologicamente la realtà; nella vita di chi, orgogliosamente, giudica gli altri peccatori?

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Commenti Articolo 401

Titolo articolo : “Vergogna”,di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: October/28/2013 - 16:01:52.

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Autore Città Giorno Ora
isabelle charlier varese 28/10/2013 16.01
Titolo:
Gentile Signore Mariotti,

Il contenuto della sua lettera è di massimo importanza, credo. Tuttavia, il tono utilizzato non va bene a mio avviso. Lei non può essere arrabbiato con il mondo. Addirittura non deve proprio essere arrabbiato con nessuno perché questo sentimento sbagliato in tutti casi distrugge di sicuro la personalità. Arrabbiarsi, accusare gli altri non è mai il modo appropriato per porre il problema e risolverlo. Quante volte ha utilizzato la parola "vergogna"? Lei è troppo dominato dai suoi giusti ragionamenti. Invece i nostri pensieri devono essere al nostro servizio per liberarci ed elevarci ad un livello superiore di questi pensieri, altrimenti ci fermiamo alla rabbia, alla disperazione, alla frustrazione, ecc..... Non?

Ho davvero apprezzato che Lei ha ricordato un concetto fondamentale: "L'80 % della ricchezza del Pianeta non può essere divorato dal 20 % della popolazione mondiale". Assolutamente. E la sua proposta della cultura del necessario in un'economia di comunione" va davvero in pieno accordo all'ideale della mia coscienza originale. Il problema è di poter attuare questo principio.

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Commenti Articolo 402

Titolo articolo :  L'AMORE AL TEMPO DI MULLER (E DI PAPA FRANCESCO): "LA FORZA DELLA GRAZIA" DI COSTANTINO! L'intervento del prefetto della Congregazione per la dottrina della fede sull'indissolubilità del matrimonio e dibattito sui divorziati risposati e i sacramenti - con note ,a c, di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/28/2013 - 11:52:51.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/10/2013 19.54
Titolo:Matrimonio: una riflessione da aprire, non da chiudere...
Matrimonio: una riflessione da aprire, non da chiudere (2)
di Christian Albini


in “Sperare per tutti” (http://sperarepertutti.typepad.com) del 24 ottobre 2013 *







3. L'essenziale del matrimonio


Parlare di matrimonio in termini eminentemente dottrinali o giuridici non ne coglie in pieno la
verità. Quando leggo o ascolto certi discorsi che vengono da uomini di chiesa mi viene da scuotere
la testa. Si coglie che ci sono aspetti fondamentali che sfuggono. Non ci si sposa né si rimane
insieme a motivo di una dottrina o del diritto canonico. Se si perde di vista questo assunto, quelli
che sono degli strumenti che dovrebbero essere di aiuto, diventano un fine, producendo una
comprensione squilibrata del matrimonio.


Sinceramente, devo dire di aver avuto questa impressione nella lettura dell'intervento
dell'arcivescovo Müller su cui ho iniziato ieri a riflettere. Lo affermo con il rispetto per un eminente
prelato e studioso che stimo, per come ha riaperto la questione spinosa della teologia della
liberazione. Qui però siamo alle prese con qualcosa di vitale per me e per tante persone, qualcosa
che ha un profondo significato di fede. E' la via su cui, con i miei errori e le mie fragilità, ho giocato
la mia vita, è un aspetto sostanziale della mia sequela del Signore. E, se sono profondamente
convinto che c'è qualcosa che non va nel modo in cui se ne parla, lo devo dire. Per quel poco che
vale la mia povera voce, lo devo dire, cercando di portare buone ragioni nella misura in cui ne sono
capace. Non è un fatto di polemica, ma di onestà come uomo, battezzato, sposo.

Tutto l'intervento di Müller è imperniato sulla dottrina dell'indissolubilità del matrimonio, come se
fosse il centro della fede cristiana su questo sacramento. Detto così, si riduce il matrimonio a un
vincolo, a un comando amministrato dalla chiesa e dai suoi tribunali che ne possono eventualmente
stabilire la nullità. E' come se il sacramento fosse qualcosa che si sovrappone all'umano e lo
vincola. Una visione del genere è povera. Il sacramento, piuttosto, abita l'umano per portarlo a
realizzarsi in pienezza. Il sacramento umanizza, alimenta la nostra umanità per giungere alla statura
di Cristo. Però, senza mai togliere la nostra libertà che è anche libertà di rifiutare il dono e di
peccare.

L'umanità abitata dal sacramento del matrimonio è l'amore umano, né più né meno. Un amore che
inizia con l'attrazione e il desiderio; diventa scoperta, conoscenza, condivisione e il desiderio
assume un carattere di totalità. E' il desiderio di essere una sola carne, di un amore che non finisce.
E' l'essere a immagine e somiglianza di Dio, inscritto dentro di noi. Genesi 3,24 non dice un
comando di Dio, dice come noi siamo. L'indissolubilità non è un decreto arbitrario, è intrinseca
all'amore. Indissolubile è l'amore di Dio per il suo popolo, di Cristo per la sua chiesa, del Padre per
ciascuno di noi. Di qui il nostro poter amare: siamo capaci di amare perché Dio è amore.


Questo credono, o quanto meno intuiscono, due sposi. Se manca, almeno in minima misura, questa
consapevolezza, sono convinto anch'io che il matrimonio religioso sia nullo. Gli sposi hanno fiducia
che il loro amarsi viene da Dio, che continua la storia iniziata con il battesimo (di cui si fa
memoria), che ha come vertice e alimento l'eucaristia, segno dell'amore di Gesù che arriva fino alla
croce. Sposarsi è avere fiducia che il proprio amore può durare tutta la vita, perché non siamo soli,
Dio è presente nella storia d'amore umana, la benedice. Ecco l'indissolubilità: è una promessa del
Signore in cui si pone fiducia, non una regola. La chiesa è la comunità che accompagna e sostiene
questo amore, questa fede. Non può essere presente solo per esercitare un giudizio.

4. Peccato e misericordia

C'è però il dramma della libertà che può prendere la via del peccato: nell'amare possiamo fallire,
essere infedeli, indurire il nostro cuore. In molti modi, non solo sessualmente. Questo può avvenireanche a persone che si sono sposate con fede. Nessuno è esente a priori. Quando avviene, è un fatto
grave e c'è una componente di peccato, d'infedeltà, se il matrimonio era reale e non solo facciata.

E' un peccato che la chiesa può perdonare? La missione affidata da Gesù agli apostoli non è proprio
il perdono dei peccati?
Qui bisognerebbe distinguere da una rottura del matrimonio che nasce là dove uno degli sposi, con
leggerezza, "passa ad altro" seguendo una pulsione egoistica e disinteressandosi del coniuge (ma,
allora, mancava già in partenza la consapevolezza che rende valido il matrimonio) da un
deterioramento dei rapporti che nasce da limiti e fragilità delle persone implicate, con un carico di
fatica e sofferenza per entrambi.


In quest'ultima situazione, il non accesso all'eucaristia dipende dallo stringere una nuova unione
affettiva là dove c'è un'intimità sessuale e non continenza.
Questo costituirebbe un peccato imperdonabile? Ma come: la chiesa può perdonare un'omicida, può
perdonare un pedofilo, può perdonare un prete che rinuncia al ministero, ma non può perdonare un
divorziato che vive un'altra storia perché ha dei rapporti sessuali? La misericordia lì non arriva?
Si dice: ah, ma ci vuole il pentimento. Se no, è falsa misericordia, senza giustizia, che incoraggia il
peccato, perché non lo tratta seriamente e lo svuota della sua gravità.


Prima osservazione: Dio nella Bibbia non agisce così. Il suo perdono precede la conversione e la
suscita, non è una conseguenza della conversione. Lo vediamo in Osea. Lo vediamo in Gesù, con
l'adultera, per esempio (Gv 8,1-11). E' vero che le dice di non peccare più, ma intanto la perdona.
Non aspetta di verificare che si sia convertita, la perdona prima, in anticipo! Gesù non vuole
l'adulterio, lo condanna, ma con il peccatore esercita grande misericordia ed è così che si pongono
le premesse della conversione.

Si dice: sì, ma la chiesa accoglie i divorziati risposati. L'esclusione dall'eucaristia non è una
punizione. E' che non si può, è per far capire che sono in una situazione di peccato; se non vivono in
continenza, vuol dire che non c'è pentimento, e la chiesa per essere nella verità non può ammetterli
all'eucarestia.


E' falso! Chi conosce persone divorziate che hanno fatto un cammino interiore serio, sa che il
pentimento c'è, che la consapevolezza c'è. E con sofferenza, non con noncuranza. Ma pentirsi non
può voler dire far rinascere artificialmente una convivenza che non c'è più e distruggere di colpo un
rapporto che si è creato, quando è profondo e consolidato. Il punto è che qui c'è un'enfatizzazione
del peccato sessuale che è una brutta eredità che il cattolicesimo si porta ancora dietro.
Davvero, l'omicidio può essere perdonato, ma se c'è una nuova unione di cui fa parte l'esercizio
dell'affettività sessuale (non una sessualità disordinata ed egoistica) non si può dare il perdono?
Eppure, ovunque si sposano in chiesa persone che prima sono state conviventi e hanno avuto
rapporti sessuali e non sono affatto pentite di questo. E succede ovunque. Però, siccome si sposano,
si "regolarizzano".

Ecco il problema: alla radice del divieto dell'eucaristia non c'è l'ordine sacramentale, l'intima
essenza dei sacramenti. I sacramenti non sono riservati ai puri e ai perfetti: accompagnano il nostro
cammino di conversione, ci sostengono. La questione vera non è di teologia dei sacramenti,
secondo me, è di teologia morale e prima ancora di antropologia: la sessualità.
Sulla sessualità pesa ancora un'impostazione giuridica che deriva da una visione peccaminosa: se è
dentro il matrimonio ed è aperta alla procreazione è lecita, se no c'è peccato. Semplifico, ma
stringendo la sostanza è questa.

La sessualità è un cammino, per gli sposati come per i celibi, un esercitarsi nell'umanità e
nell'amore in cui è sempre presente la zizzania della nostra insufficienza. Farla rientrare in un
dualismo lecito/non lecito è falsarla, è parlare di qualcosa che non è realmente la sessualità. E far
dipendere da questo l'accesso all'eucaristia, secondo me, deriva da questa concezione inesatta.Dire questo non è non credere all'indissolubilità del matrimonio. Neppure è negare il peccato e
giustificare ogni comportamento. Penso sempre a persone che fanno un cammino serio di penitenza,
di fede, di preghiera.


Quello che intendo è dare la possibilità di continuare un cammino di vita
cristiana di cui l'eucaristia è parte essenziale, pur con la ferita del matrimonio che si è celebrato. Le
ferite non si possono cancellare, ma possono curare e guarire. Ci può essere vita anche dopo la
ferita. Non è questa la via mostrataci da Gesù, la via su cui seguirlo come chiesa?

Ecco perché vorrei si prendesse in considerazione questa prospettiva nel guardare a una realtà del
genere. E' la prospettiva che ci fa vedere come praticabile una via, piuttosto che un'altra, e io ho
voluto suggerire una prospettiva che so non essere soltanto mia.


* PER LA PRIMA PARTE, SI CFR.:

“Sperare per tutti” (http://sperarepertutti.typepad.com) del 23 ottobre 2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/10/2013 11.52
Titolo:Ripensare il relativismo (di Christian Albini)
Ripensare il relativismo

di Christian Albini

in “Viandanti” (www.viandanti.org) del 27 ottobre 2013


Credenti e no sono necessariamente avversari? Da sempre sostengo che non sia vero. Premetto che
queste sono etichette fuorvianti, come ormai sostengono molti. Il «credente» è abitato dal dubbio e
anche il «non-credente» conosce una sua fede e la ricerca. Tuttavia, sono categorie comode per
semplificare i nostri discorsi, a patto di disinnescare alcuni luoghi comuni fuorvianti e dannosi.
Uno dei più importanti riguarda il significato del linguaggio del relativismo, che ha segnato il
pontificato di Benedetto XVI, e l’uso che se ne fa. A lungo, il dissenso rispetto alle posizioni
prevalenti tra i vertici della gerarchia cattolica, soprattutto in campo etico-legislativo, è stato
respinto ricorrendo a quest’accusa. Il relativismo fa parte di quei concetti il cui significato è stato
irrigidito e che vanno ri-compresi e ri-letti. C’è bisogno di una nuova comprensione di parole che
sono state sequestrate dai settori più chiusi del cattolicesimo.

La laicità non è relativista

Gustavo Zagrebelsky, intervenendo nel dialogo aperto da papa Francesco con Eugenio Scalfari,
scrive: «In ogni spirito che s’ispira alla laicità e crede alla necessità che forze morali possono unirsi
per combattere il materialismo nichilistico e autodistruttivo delle società basate sull’egoismo
mercantile, l’invito a “reimpostare in profondità la questione” suscita non solo interesse, ma perfino
entusiasmo. La premessa è che il vero, il bene e il giusto esistono, che dunque non è insensato
cercarli e cercarli insieme, ma che nessuno li possiede da solo, unilateralmente, onde possa imporli
agli altri. Il centro del discorso è la coscienza e la sua insopprimibile libertà» (la Repubblica, 23
settembre 2013).

In anni recenti, vale la pena ricordarlo, Zagrebelsky ha portato avanti una critica serrata all’etica dei
principi non negoziabili e della legge naturale, così com’era impostata anche da voci autorevoli del
magistero. Questa sua posizione, come si evince dalle parole che ho riportato, non significa la
negazione della verità, del bene e della giustizia. Il suo è il rifiuto di una certa impostazione etica e
degli argomenti di cui si avvale, più che di ogni etica. E nemmeno è il sostenere una posizione
radicalmente individualista e perciò relativista.

Ultimamente, alcuni fatti tragici hanno dimostrato come sia possibile trovare una sintonia tra
portatori di visioni del mondo diverse in nome del bene della persona. È accaduto in occasione della
giornata di preghiera e digiuno per la pace e in seguito alle tragiche morti di Lampedusa. Qui è in
causa la persona con il suo volto, la sua carne, il suo sangue: un bene univoco, evidente, da
difendere nei confronti di un male indubitabile.

Alle radici delle divergenze

Ci sono altre situazioni – soprattutto quelle riguardanti l’etica d’inizio e fine vita e la famiglia – in
cui questa sintonia non si riscontra. Perché? Bisogna avere l’accortezza di chiedersi se questa è una
divergenza che nasce da una negazione della vita e della famiglia, o piuttosto da una differente
concezione del bene. Il nichilismo certamente esiste, ma sarebbe irrealistico considerarlo un fronte
ben identificabile e schierato in armi contro i cattolici che lo fronteggiano. Solo un’esigua
minoranza, tra gli atei e i non cattolici, può essere considerata effettivamente nichilista.
Nietzsche e Heidegger hanno ben spiegato come il nichilismo sia piuttosto un clima di pensiero,
un’atmosfera che tutti respiriamo, cattolici compresi. Si può essere perfettamente ortodossi sul
piano dottrinale, eppure assumere un atteggiamento nichilista: è il caso del fondamentalismo, che
divide il mondo in due e demonizza l’alterità negandone il bene.

Il punto è: chi sostiene su questioni di vita e famiglia una posizione “altra” rispetto a quella
prevalente nella Chiesa – scrivo prevalente, perché in ambito teologico-morale interrogativi e dibattiti hanno uno spazio molto più ampio di quanto generalmente non si pensi, al punto che nella
storia si rilevano cambiamenti anche notevoli nel magistero – è sostenitore di un male? E se, invece,
sostenesse un bene differente, oppure una differente attuazione del medesimo bene che la Chiesa
sostiene?

La prospettiva dell’incontro


Se in una relazione omosessuale caratterizzata da fedeltà e dedizione c’è un bene, riconoscerlo non
significa negare il matrimonio.
Chi sostiene, a certe condizioni e in certe situazioni, l’interruzione della ventilazione o della
nutrizione artificiale è per la morte, o invece discerne una sproporzione tra i costi soggettivi, in
termini di disagio psicologico, di queste pratiche e il fine che perseguono? Si tratterebbe allora di un
giudizio morale su come coniugare la cura della vita con la libertà e la dignità della persona umana.

Non è affatto l’avvallo dell’eutanasia e di una cultura dello scarto, ma accettare che oltre un certo
limite può diventare disumanizzante persistere nell’impedire la morte.
Affrontare queste e altre questioni non significa entrare in una prospettiva di permissivismo senza
freni, in cui tutto va bene. Sarebbe caricaturale porre le cose in questi termini. È più corretto dire
che è una prospettiva d’incontro, la quale nasce dalla disponibilità a riconoscere il bene di cui l’altro
è portatore dentro a una relazione. Senza che questo significhi necessariamente trovare un accordo
facile e totale. Allo stesso modo, non è attraverso la vittoria in una disputa, bensì nella relazione che
l’altro arriva a ritenere credibile me e il bene di cui sono portatore.
Scrive Paolo: «Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono» (1 Ts 5,21).

Il relativismo, allora, non è dato da posizioni non pienamente coincidenti con le mie, ma
dall’indifferenza per la persona e il suo bene, che inizia dal non riconoscerlo come soggetto
portatore di un’autenticità etica che si manifesta nella sua coscienza. È in questi termini che si può
leggere l’esortazione di papa Francesco a seguire il bene percepito dalla propria coscienza, che non
è avvallo di tutto. Nel mercante di clandestini o nell’aguzzino nazista non c’è autenticità etica,
perché c’è indifferenza verso l’altro. Ben diverso è il caso di chi entra nei dibattiti su vita e famiglia.

Christian Albini

Socio fondatore e membro del Consiglio direttivo di Viandanti

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Commenti Articolo 403

Titolo articolo : DIO FARA’ GIUSTIZIA AI SUOI ELETTI CHE GRIDANO VERSO DI LUI,di p. Alberto Maggi OSM

Ultimo aggiornamento: October/20/2013 - 16:54:22.

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Autore Città Giorno Ora
isabelle charlier varese 20/10/2013 16.54
Titolo:Grazie!
Nel secondo video al momento (1':23''- 2':00) ho ascoltato con attenzione queste parole di Fr. Alberto Maggi:
"Non riuscivo a capire la figura di Maria così come veniva presentata dalla Chiesa: questa creatura celestiale, perfetta, straordinaria, ricca di doni,di privilegi, questa creatura sempre a un livello superiore a quello della umanità. E allora ho fatto tutta un'indagine per vedere la Maria dei Vangeli ed è venuta fuori una donna completamente diversa, una donna vicina, non una donna da ammirare, da venerare ma una compagna di strada nel cammino della fede di ogni credente"

Queste parole sono davvero interessanti!

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Commenti Articolo 404

Titolo articolo : L’abbraccio mortale,di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: October/14/2013 - 10:39:18.

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Autore Città Giorno Ora
Elena Milazzo Covini Milano 14/10/2013 10.39
Titolo:approvo
Approvo quanto scritto in questo articolo, ma mi chiedo perché queste cose dette in moodo tanto chiaro, non si sentano quasi mai. Come fare per aiutare la gente a riflettere? Come fare per colmare il vuoto culturale della nostra gente? Certo, con internet, condividiamo e comunichiamo, ma quanto incide? Le passerelle in TV ottengono molto di più. Comunque io non mollo, anche se sono classe 1936. Grazie di tutto.

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Commenti Articolo 405

Titolo articolo : Strade Sempre Pulite,di Piero Carini

Ultimo aggiornamento: October/13/2013 - 09:14:11.

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Autore Città Giorno Ora
Piero Carini Genova 13/10/2013 09.14
Titolo:Ringraziamenti e stimolo dei Cittadini-Turisti
Grazie 1000, sperando che nel tempo ci siano moltissimi scatti di volontà.
Solo così le forze negative troveranno i giusti ostacoli.

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Commenti Articolo 406

Titolo articolo : LaTerra e la crisi della civiltà. Una nota,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/08/2013 - 23:00:35.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/10/2013 17.47
Titolo:GUARIRE LA NOSTRA TERRA .....
I DUE CORPI DEL PAPA-RE E LA NOSTRA SOVRANITA’.

Lettera aperta al filosofo Karol Wojtyla (in occasione della visita di Giovanni Paolo II a Gerusalemme) - [21.03.2000] *

Caro WOJTYLA

sono anch’io un filosofo e Le scrivo in quanto tale. Non ho scritto molto, né sono tanto famoso come Lei, ma, se permette e vuole, desidererei sottoporre alla sua attenzione alcune mie idee e riflessioni relative al comportamento della persona, di cui Lei è autorevole e strettissimo collaboratore e consigliere, il Papa Giovanni Paolo II.

Entriamo subito in argomento. Il Suo recente, spettacolare, MEA CULPA, lo trovo inconsistente e, per così dire, furbetto ("Di voi pastor s’accorse il Vangelista, / quando colei che siede sopra l’acque / puttaneggiar coi regi a lui fu vista; [...] Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, non la tua conversion, ma quella dote / che da te prese il primo ricco patre!": Dante, Inf., XIX, vv 105-7, 113-7).

Mi spiego, velocemente: ha notato i segni (io, di origini contadine, a queste cose sono stato abituato da mia madre, mio padre, e dai miei nonni e dalle mie nonne, a farci attenzione: sono piccole conoscenze tecniche di interpretazione che servono - come dice il Galileo della Toscana, non della Galilea, per vedere come va il cielo e per leggere il grande libro della Natura e del mondo, non per capire come si va in cielo) apparsi, nella carne, sulla fronte del Papa (L. Accattoli, Spunta un "graffio" sulla fronte. La Santa sede: "Nulla di grave", Corriere della Sera, 19.04.2000)? Sono due vere e proprie piccole corna, da capretto. E, come Lei sa, molti possono essere i significati del fatto: i fatti sono stupidi - diceva giustamente Nietzsche (ma anche Marx e Freud... ma lasciamo correre. Torniamo al problema).

L’ interpretazione, la più ovvia, è che la gatta, il diavolo, o, più semplicemente, lo stesso Papa - agitandosi nel sonno e nei sogni (per i tanti conflitti latenti sul fronte interno ed esterno del suo Stato), si sia graffiato con le proprie mani - ha messo lo zampino... e tracciati i graffi-ti. Comunque sia, io trovo la cosa molto interessante, e da rifletterci su.

Io penso che, da parte sua, sia meglio invitarLo a farlo. Glielo dica: Papa, si guardi allo specchio, rifletta su se stesso. E lo faccia, sia persuasivo, con il suo cuore e con la sua intelligenza. Glielo dica: Ora, Basta! Non può andare nella Terra Santa con quella faccia, non può più giocare a fare il furbo... deve togliersi di dosso le insegne imperiali di quello Stato Romano del passato, che, con la fede delle armi e con le armi della fede, dovunque arrivava faceva il deserto e lo chiamava pace!

Glielo dica - Gli illumini la mente: il Dio dei nostri padri, come dicono gli ebrei, e come diceva Pascal come Kierkegaard, faceva tutto il contrario, trasformava il deserto in giardini, nel deserto portava l’acqua, non induceva [ripetiamo. 23.03.2000 d. C) e non induce in tentazione nessuno il Padre nostro, non chiedeva né chiede sacrifici di esseri umani (come il dio di quelli e di quelle che tenevano per Baal e che ne dicevano di menzogne!) ma di caproni e capretti...

Glielo dica: Ora, Basta! Lo fermi... prima che si identifichi con l’agnello da sacrificare al suo dio, o che il suo dio vuole sacrificare, e trovi coloro che fanno il ‘gioco’ dello specchio e lo sacrifichino. O, per caso e per assurdo, questi già esistono e sono tutti i suoi Generali che hanno iniziato la lotta di tutti contro tutti (sono solo uomini... Giuseppe e i suoi fratelli!) per prendere il Suo posto e vestire le insegne della Sua carica?

Nessun essere umano è un agnello [Lezione del Dio della Vita ad ABRAMO e ISACCO: Non confondete Baal (l’amore d uno solo, cieco, egoistico, narcisistico, ed edipico) con Me. Io sono UNO, l’Unità dell’uno e dell’altro (di tutte e due). L’Amore non induce in tentazioni! 23.03.2000 d.C] - solo nel sogno, nella follia, o nel gioco vero e terribile della guerra-specchio, questo avviene. Lo svegli: questo è il ‘gioco’ del dio delle menzogne e degli imbrogli - altro che il Dio dei nostri padri e delle nostre madri, degli uomini e delle donne di tutto il mondo.

Caro Illustre collega, riconsideriamo la questione fondamentale - è più attuale che mai. E vediamo, da uomo (io sono colui che sono...) a uomo (io sono colui che sono...) e, più correttamente, da esseri umani (=gli animali che hanno la capacità e la facoltà di ascoltare, pensare, e parlare a un altro animale, e dire io sono colui che sono capace di trattare l’essere umano che ho in me, fuori di me, come un animale ... che non ha questa capacità e facoltà, e lo fa), di sciogliere l’enigma, e finire la partita tra filosofi atei, materialisti, scettici, spiritualisti... e poi vedrà e valuterà se darsi da fare, subito, e di corsa, per salvare il suo Papa dalle grinfie del diavolo - cioè, di quei problemi che si mettono di traverso e rischiano di bloccarlo o farlo cadere rovinosamente. E noi, noi tutti e noi tutte, con lui.

Riepiloghiamo, e chiariamo, per sommi capi:
- 1) La tradizione ebraica ci dice che " il Signore [SOVRANO, RE, PAPA, SAPIENTE...] è il nostro Dio, il Signore è UNO solo", e che il posto e il ruolo, di questo Uno che regge e governa il Tutto, sul piccolo tutto della nostra Terra, può essere occupato e interpretato solo da un Uomo, Israele, appunto, Giuseppe....e così anche nel campo della tradizione cattolico-romana, fino a Giovanni Paolo II, il Suo Papa;
- 2) La tradizione greca ci dice che il principio di tutte le cose, è Uno solo, la Natura, che l’Uno è il Dio, l’Essere, che non ha ... né esseri né il Non essere (Parmenide); e che, infine, l’UNO, al di sopra degli esseri e del non -essere e dello stesso Essere, è il Bene, la Misura-Valore di tutte le ricchezze, materiali e spirituali (Platone). Pitagora, come Parmenide, e come Platone (e anche Aristotele) interpreta la cosa come Parmenide: solo l’Uomo che sa giungere a conoscere l’Idea del Bene-Valore può diventare sapiente e re , come e un DIO, sposare la DEA Giustizia (e possedere l’Idea del Bene-Valore).

Le ho reso l’idea di chi ha nella tradizione greca chi ha il diritto di avere in mano la Bilancia e la Misura delle cose e della società? Mi spiego meglio: un figlio (uomo) di Madre Natura, con la conoscenza - furba e astuta, come quella di Zeus (Meti) e di Ulisse (Atena) - di chi non sa del proprio (e di tutti e tutte) padre, nega di non saperlo, lo uccide, e prende il suo posto, quello del RE, il Padre di tutti gli uomini (e quindi anche di lui stesso) e di tutte le donne (e quindi anche della donna che è sua madre) della Città - e si fa sposo della stessa REGINA, la Madre-Città, di tutti (quindi anche di lui stesso!) e tutte (quindi anche della donna che è sua madre), e della stessa Madre Natura.

Chiariamo. Egli, l’uomo-figlio, cieco, ignorante e avido di potere, prende il posto del Padre-RE (di tutti e tutte) e sposa (si allea con) la donna-madre, che ha preso il posto della Madre-REGINA (di tutti e tutte). Ella, cieca e ignorante, avida di potere e corresponsabile (con l’uomo-sposo, della negazione del loro figlio, e della negazione della loro stessa sovrana e reciproca RELAZIONE di Amore e di Amicizia e della vita di loro stessi), come e più del figlio, sposa (si allea con) l’uomo-figlio e, alla fine, resasi conto di cosa ha fatto, si impicca ...

Come l’uomo, così la donna, sono caduti nella stessa trappola - dello specchio, della morte e della cecità... Siamo, alla preistoria - di ciò che è tuttora la nostra storia, all’omicidio del padre Laio, all’incesto, alla follia e alla cecità di Edipo e al suicidio della madre Giocasta, alla peste, alla morte della Città - e della stessa Natura...

Il mio grande amico ebreo, Sigmund Freud, ne ha parlato molto e ha messo a disposizione di tutti e di tutte la chiave per risolvere l’enigma della Sfinge di Tebe di Grecia, come della Tebe di Egitto, del Faraone e di Mosè.

Mi auguro che Lei e il Suo Papa lo conosciate, e che non l’abbiate solo condannato!, e che lo ‘incontriate’ - certamente sarà pure lui a Gerusalemme. E mi auguro che l’incontro a Gerusalemme con il popolo di Israele, di Giuseppe e tutti gli altri fratelli, e con lo stesso Sigmund Freud, sia l’occasione per chiarirsi le idee e ristabilire rapporti di giustizia, verità, di amore e amicizia..

Ricordi tutte queste cose al Papa, quando insieme a tutto il popolo di Israele ("I figli di Giacobbe furono dodici. I figli di Lia: il primogenito di Giacobbe, Ruben, poi Simeone, Levi, Giuda, Issacar e Zàbulon. I figli di Rachele: Giuseppe e Beniamino. I figli di Bila, schiava di Rachele: Dan e Nèftali. I figli di Zilpa, schiava di Lia: Gad e Aser": Genesi, 21-26), riaffermerà e ripeterà dentro di sé le parole-chiavi "Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è Uno solo".

Forse Ognuno dell’uno e l’altro campo, armato della propria fede, non potrà non riconoscere l’errore e capire la cecità in cui, insieme ai greci e ai romani, era - ed eravamo tutti e tutte - caduto, e, tutti e tutte apriranno gli occhi, si riconosceranno, e si abbracceranno come figli e figlie dello stesso UNO, il DIO dei nostri padri e delle nostre madri - la RELAZIONE di AMORE e di AMICIZIA, che fa di ogni io di fronte a un altro io, di tutti e tutte, re e regine, figli e figlie dello stesso Dio (così dentro di sé, così nella famiglia, nella società civile, e nello Stato).

Il Padre nostro di Gesù, il figlio del popolo ebraico e della Madre Terra, era ed è lo stesso Padre nostro di Giuseppe e Maria! Dinanzi a Gesù, nel suo tempo, siamo stati tutti ciechi e tutte cieche: era troppo luminoso per i nostri occhi, e tutti e tutte - come ha detto il nobilissimo e straordinario figlio del popolo ebraico, Franz Kafka - abbiamo abbassato e dovuto abbassare gli occhi ... e poi ci siamo dimenticati di riaprirli e alzarli. Oggi, forse, possiamo capire... e prima che sia troppo tardi.

Ciò che è successo in Sudafrica. Può succedere anche a Gerusalemme... Se l’ho persuasa, e ritiene che nelle cose dette ci sia un granellino di verità, agisca, agisca subito. Anche il Suo Papa, forse, lo sa, e sotto il Sinai ha detto: "Dobbiamo fare presto". Cosa voleva dire? Questo? Allora, glielo ricordi. Consigli il suo Amico. Lo esorti a portare a compimento la sua grande Riforma della Chiesa Cattolica, che faccia un grande dono a stesso, a suo padre e a sua madre, e a tutti gli uomini e a tutte le donne, e al Dio dei nostri padri e delle nostre madri. Lo solleciti a togliersi dal posto che occupa, e a dichiarare che mai più nessun uomo e nessuna donna più lo faccia.

Egli lo sa già, e benissimo. Glielo ricordi! Solo Dio è il Signore - Egli è il Padre nostro - di tutti i nostri padri e di tutte le nostre madri, degli uomini e delle donne, senza nessuna eccezione ed esclusione, di tutto il Pianeta Azzurro - della Terra, la Madre nostra.

Come ha deciso di fare, e sta facendo, già dal 1995, Nelson Mandela, con Frederik De Klerk, Desmond Tutu, anche ebrei e cattolici, tutti i popoli, e tutti gli uomini e tutte le donne, possono ritrovare la fiducia in se stessi e se stesse e la speranza e, finalmente, fare la pace, fare la verità, e "GUARIRE LA NOSTRA TERRA"...

Intorno a noi, la Terra, c’è il "cielo puro" e il "libero mare" - come scriveva Nietzsche, non ci sono gli extra-terrestri, che ci verranno a salvare o a distruggere. Gli extra-terrestri siamo noi! Cosa vogliamo fare? Forse ci conviene deporre le armi e cominciare a dialogare in spirito di verità. Cominciamo.

La discussione è appena agli inizi, continuiamo .... La ringrazio della umana e filosofica attenzione e La saluto. Molto cordialmente.

- Milano, 21.03.2000 d.C.

Federico La Sala


http://www.ildialogo.org/filosofia/unconsiglionp13042005.htm
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/10/2013 13.03
Titolo:UN NUOVO PARADIGMA. L’amore la suprema forma del pensare....
Il bene del mondo e la Chiesa

di Vito Mancuso (la Repubblica, 04.10.2013)

Inizierà davvero una nuova epoca per la Chiesa, e quindi inevitabilmente anche per la società, come prefigurava Scalfari a conclusione dell’intervista a papa Francesco?
Ciò che sorprende nelle risposte del Papa è il punto di vista assunto, un inedito sguardo extra moenia o “fuori le mura” che non pensa il mondo a partire dalla fortezza-Chiesa, ma, esattamente all’opposto, pensa la Chiesa a partire dal mondo. Nei suoi ragionamenti non c’è traccia della consueta prospettiva ecclesiastica centrata sul bene della Chiesa e la difesa a priori della sua dottrina, della sua storia, dei suoi privilegi e dei suoi beni così spesso oggetto di cura gelosa da parte degli ecclesiastici di ogni tempo (un monumento del pensiero cattolico quale il Dictionnaire de Théologie Catholique dedica 9 pagine alla voce “Bene” e 18 alla voce “Beni ecclesiastici”!).

C’è al contrario un pensiero che ha di mira unicamente il bene del mondo e per questo il Papa può dire che il problema più urgente della Chiesa è la disoccupazione dei giovani e la solitudine dei vecchi. Non le chiese, i conventi e i seminari semivuoti; non il relativismo culturale; non il sentire morale del nostro tempo così difforme dalla morale cattolica; non la minaccia alla vita e al modello tradizionale di famiglia. No, la disoccupazione dei giovani e la solitudine degli anziani.

L’aver assunto il bene del mondo quale punto di vista privilegiato ha condotto il Papa alle seguenti due affermazioni capitali: 1) la Chiesa non è preparata al primato della dimensione sociale, anzi c’è in essa una prospettiva vaticanocentrica che produce una nociva dimensione cortigiana («la corte è la lebbra del papato»); 2) storicamente essa non è quasi mai stata libera dalle commistioni con la politica – e a questo proposito la Chiesa italiana di Ruini e Bagnasco dovrebbe recitare non pochi mea culpa per non aver denunciato l’immoralità pubblica e privata di chi per anni governava l’Italia, di cui al contrario si è giunti persino a contestualizzare benignamente le pubbliche bestemmie.

Ma l’azione del papa e la nuova epoca per la Chiesa che prefigura può non avere effetti anche sul mondo laico? Dei mali della Chiesa e delle riforme di cui necessita si è detto, ma penso sia saggio domandarsi se non esista anche qualcosa nella mente laica che occorre riformare. È solo la Chiesa che deve cambiare, oppure il cambiamento e la riforma interessano anche chi si dichiara laico e non credente? Naturalmente sotto queste insegne si ritrovano gli ideali più vari, dall’estrema destra all’estrema sinistra, e io qui mi limito a discutere il pensiero laico progressista rappresentato da Scalfari.

Alla domanda del Papa sull’oggetto del suo credere, Scalfari ha risposto dicendo «io credo nell’Essere, cioè nel tessuto dal quale sorgono le forme, gli Enti», e poco dopo ha precisato che «l’Essere è un tessuto di energia, energia caotica ma indistruttibile e in eterna caoticità», attribuendo a combinazioni casuali l’emergere delle forme tra cui l’uomo, «il solo animale dotato di pensiero, animato da istinti e desideri», ma che contiene dentro di sé anche «una vocazione di caos». Insomma Scalfari si è professato, come già nei suoi libri, discepolo di Nietzsche.

Ma cosa manca a questa visione del mondo? Trattandosi di un’eredità di colui che volle andare “al di là del bene e del male”, manca ovviamente la possibilità di fondare l’etica in quanto primato incondizionato del bene e della giustizia. Per Nietzsche infatti l’Essere è un “mostro di forza, senza principio, senza fine, una quantità di energia fissa e bronzea”, il mondo “è la volontà di potenza e nient’altro”.

Ma se il mondo è questo, ne consegue che il liberismo, in quanto volontà di potenza che vuole solo incrementare se stessa, ne è la più logica conseguenza. Perché mai quindi si dovrebbe lottare nel nome della giustizia, della solidarietà, dell’uguaglianza? Come non dare ragione a Nietzsche che considerava questi ideali solo un trucco vigliacco dei deboli, incapaci di lottare ad armi pari coi forti? Se l’essere è solo caos e forza, l’azione che ricerca la pace e la giustizia è destinata inevitabilmente a rimanere senza fondamento.

Da tempo vado pensando che la cultura progressista viva la grande aporia dell’incapacità di fondare teoreticamente la propria stessa idea-madre, cioè la giustizia. Darwin ha sostituito Marx, e Nietzsche (attento lettore di Darwin) è diventato il punto di riferimento per molti. Il risultato è Darwin + Nietzsche, ovvero “l’eterno ritorno della forza”, cioè una cupa e maschilista visione del mondo secondo cui la forza e la lotta sono la logica fondamentale della vita.

Se è giunto il tempo di una Chiesa che dia più spazio al femminile, è altresì tempo di un pensiero laico altrettanto capace di ospitare il femminile, intendendo con ciò una visione del mondo e della natura che fa dell’armonia e della relazionalità il punto di vista privilegiato. Da Aristotele a Spinoza a Nietzsche, la sostanza è sempre stata pensata come prioritaria rispetto alla relazione: prima gli enti e poi le relazioni tra essi.

Oggi la scienza ci insegna (questo è il senso filosofico della scoperta del bosone di Higgs) che è vero il contrario, che prima c’è la relazione e poi la sostanza, nel senso che tutti gli enti sono il risultato di un intreccio di relazioni e tanto più consistono quanto più si nutrono di feconde relazioni. Questo è il pensiero femminile, un pensiero del primato della relazione, di contro al pensiero maschile basato sul primato della sostanza, e va da sé che pensiero femminile non significa necessariamente pensiero delle donne, perché ogni essere umano contiene la dimensione femminile e vi sono donne che pensano e agiscono al maschile (si consideri per esempio Margaret Thatcher, per tacere di alcune politiche italiane), mentre vi sono uomini che pensano e agiscono al femminile (si pensi per esempio a Gandhi e prima ancora al Buddha o a Gesù).

Io penso che il nostro tempo abbia veramente bisogno di un nuovo paradigma della mente, di una ecologia della mente nel senso etimologico di riscopertadellogosche informa oikos,il termine greco per “casa” da cui viene la radice “eco” e che rimanda alla natura. Scalfari nel suo credo insiste sul caos e non sbaglia, perché il caos è una dimensione costitutiva della natura; non è la sola però, c’è anche il logos, alla cui azione organizzatrice si deve l’emersione dalla polvere cosmica primordiale degli enti e della loro meraviglia, tra cui la mente e il cuore dell’uomo.

I grandi sapienti dell’umanità l’hanno sempre compreso, chiamando il logos anche dharma, tao, hokmà ecc. a seconda della loro tradizione. Cito volutamente un pensatore non cristiano, il pagano Plotino: «Più di una volta mi è capitato di riavermi, uscendo dal sonno del corpo, e di estraniarmi da tutto, nel profondo del mio io; in quelle occasioni godevo della visione di una bellezza tanto grande quanto affascinante che mi convinceva, allora come non mai, di fare parte di una sorte più elevata, realizzando una vita più nobile: insomma di essere equiparato al divino, costituito sullo stesso fondamento di un dio» (Enneadi IV, 8, 1).


L’unione di logos + caos è la dinamica dentro cui il mondo si muove ed evolve. Essa ci fa comprendere che la verità non è un’esattezza, una formula, un’equazione, un dogma o una dottrina, insomma qualcosa di statico; la verità è la logica della vita in quanto tesa all’armonia, quindi è un processo, una dinamica, un flusso, un’energia, un metodo, una via. La verità è il bene in quanto armonia delle relazioni. In questo senso Gesù diceva “io sono la via, la verità e la vita”, non intendendo certo con ciò innalzare il suo ego in un supremo narcisismo cosmico, ma prefigurando il suo stile di vita basato sull’amore come ciò che al meglio serve l’Essere. Ne viene una visione del mondo nella quale l’ontologia cede il primato all’etica, nella quale cioè il vero non si può attingere se non passando attraverso i sentieri del bene, e l’amore diviene la suprema forma del pensare.
Amor ipse intellectus,insegnava il mistico medievale Guglielmo di Saint-Thierry.

I credenti sono chiamati a rinnovarsi e penso che con umiltà sotto la guida di questo papa straordinario in molti stiano iniziando a farlo; anche i non credenti però sono chiamati a rinnovare la loro mente alla luce dell’Essere non solo caos ma anche logos, cioè relazionalità originaria a livello fisico che fonda il bene a livello etico. Forse così l’ideale della giustizia e dell’uguaglianza al centro del pensiero progressista mondiale sarà distolto dalle nebbie del buonismo dei singoli e radicato su una più armoniosa visione del mondo.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/10/2013 23.00
Titolo:LA CRISI: E L'ALTALENA ...
LA COSTITUZIONE E LA NASCITA DEI BAMBINI: RIMEDITARE LA LEZIONE DI ESCHILO. Cosa succede in casa - nella “camera nuziale”, e cosa succede in Parlamento - nella“camera reale”?! Per un nuovo "romanzo familiare", politico e teologico!!! *

L’ALTALENA E LA CRISI: UN RIMEDIO PER ATENE DALL’ORACOLO DI APOLLO. Un’ottima indicazione terapeutica, valida ancora oggi, per i tragici fantasmi di un falso modo di pensare alla generazione degli esseri umani. Una nota di Eva Cantarella

L’invenzione dell’altalena che salvò le ragazze di Atene

di Eva Cantarella (Corriere della Sera, 28.08.2010)

Pochi giochi ci hanno reso felici, nell’infanzia, come l’altalena: la sensazione di volare, di toccare il cielo, il vento tra i capelli... Un gioco semplice, universale. Vien fatto di pensare che sia sempre esistito. Ma i greci non la pensavano così. L’altalena, per loro, aveva un luogo e un momento di nascita ben precisi, e anche, quantomeno ad Atene, una importantissima funzione sociale. A raccontarci quale fosse questa funzione è, come sempre, un mito. Nella specie, un mito poco noto, ma legato a uno celeberrimo: quello degli Atridi raccontato da Eschilo nell’Orestea.

La perfida Clitennestra, che d’accordo con il suo amante Egisto ha ucciso il marito Agamennone, viene uccisa dal figlio Oreste, che vuole - e nella mentalità dell’epoca deve - vendicare il padre. Ma, anche in quel mondo, il terribile mondo della vendetta, il matricidio è una colpa inespiabile.

Perseguitato dal rimorso Oreste fugge, inseguito, oltre che dalle Erinni che vogliono fargli pagare il terribile gesto, anche dalla sorellastra Erigone, la figlia che Clitennestra ha avuto da Egisto.

Ma quando giunge ad Atene Oreste viene assolto: «Il vero genitore - decreta la dea Atena, esprimendo quel che pensavano se non tutti, quantomeno molti greci - non è la madre, bensì il padre». A questo punto Erigone, disperata, si impicca. Senonché, quando la notizia si sparge, le vergini ateniesi, come se fossero state contagiate, prendono a impiccarsi in massa. La città rischia di estinguersi.

Preoccupatissimi, gli ateniesi si precipitano a interpellare l’oracolo di Apollo, che suggerisce un rimedio: basta costruire delle altalene, così che le ragazze possano dondolarsi nell’aria, come quelle che si impiccano, ma senza perdere la vita. La città è salva, gli ateniesi sono felici, le ragazze ateniesi ancor più di loro, e l’altalena diventa il gioco preferito delle ragazze di tutti i tempi.

E cosi’ Apollo rubo’ i figli alle madri

di DACIA MARAINI (Corriere della sera, 26 febbraio 2008)

"Non e’ la madre che crea / il figlio, come si pensa. / Ella e’ solo nutrice e niente altro, della creatura paterna / ...Soltanto chi getta il seme nella terra fertile e’ da considerarsi genitore. / La madre coltiva, ospite all’ospite, il germoglio, / quando non l’abbia disperso un demone". Questa frase messa in bocca ad Apollo da Eschilo, e pronunciata in un sacro spazio teatrale nel 458 a.C. segna un punto di svolta che ha marcato la storia della maternita’ in Occidente.

Presso i Pelasgi del II millennio, popolo antenato dei greci, chi creava il mondo era la dea Eurinome, nel cui uovo erano compresi tutti i mari, le montagne, i fiumi, le foreste del mondo. Solo lei poteva fare maturare quell’uovo, romperne il guscio e spargere i beni di cui avrebbero vissuto gli esseri umani.

Apollo, il nuovo dio della democrazia ateniese, invece sancisce un principio che avra’ conseguenze disastrose per le donne dei millenni a venire: non e’ la madre che crea il figlio. Il suo ventre e’ da considerarsi solo un vaso che custodisce il seme paterno. Ecco come nasce una societa’ dei Padri. Persino la religione cristiana, che e’ stata rivoluzionaria nel riconoscere un’anima anche alle donne, si e’ tenuta, per quanto riguarda la gerarchia, ai principi apollinei: nella Santa Trinita’ non appare la figura materna. E quando Dio decide di diventare padre, forma prima l’uomo a sua immagine e somiglianza, poi prende una costole di Adamo e da quella fa nascere la donna. Insomma capovolge la realta’ per sancire una gerarchia inamovibile.

Tutta la nostra cultura viene da questi grandi e originari avvenimenti simbolici. Poi, il laicismo, le rivoluzioni, l’illuminismo, i movimenti di emancipazione hanno cercato di rompere il dogma, riconoscendo alle donne la partecipazione al processo di riproduzione. Ma sempre sotto il controllo dei Padri e dentro le leggi stabilite da loro. Il diritto alla riproduzione non si e’ mai trasformato in liberta’ di riproduzione.

E la rete millenaria dei divieti e’ profonda e radicata anche quando non viene scritta. Da li’ derivano il culto della verginita’, la proibizione degli anticoncezionali, l’aborto clandestino, l’ignoranza indotta e tante altre disperanti piaghe della storia femminile. Se c’e’ una cosa su cui le donne hanno competenza e’ la maternita’: un processo che avviene nel loro corpo, di cui conoscono le pene e le gioie profonde, i tempi e le trasformazioni, il peso e le responsabilita’. Ma di questa competenza sono state espropriate e ogni movimento di riappropriazione viene visto come un attentato alla morale. Il processo procreativo si e’ complicato da ultimo per le scoperte della scienza: anticoncezionali meccanici e chimici, aborti chirurgici e chimici, possibilita’ di spiare e fotografare l’embrione nella sua formazione, mezzi per fare crescere un feto anche in assenza del corpo materno.

Ma tutto questo, anziche’ dare potere alle donne, le deruba ancora una volta dei loro saperi profondi, per stabilire sui loro corpi cosa fare e non fare, secondo principi assoluti stabiliti a tavolino da chi questi saperi non li conosce affatto e non vuole neanche fare lo sforzo di immaginarli.

"Duemila anni fa, un ovulo fu miracolosamente fecondato dall’azione soprannaturale di Dio, da questa meravigliosa unione risultò uno zigote con un patrimonio cromosomico proprio. Però in quello zigote stava il Verbo di Dio"(dichiarazione del Cardinale Dario Castrillon Hoyos alla XV conferenza internazionale del Pontificio consiglio, La Repubblica del 17 novembre 2000, p. 35)

Avrei voluto con mio honore poter lasciar questo capitolo, accioche non diventassero le Donne più superbe di quel, che sono, sapendo, che elleno hanno anchora i testicoli, come gli uomini; e che non solo sopportano il travaglio di nutrire la creatura dentro suoi corpi, come si mantiene qual si voglia altro seme nella terra, ma che anche vi pongono la sua parte, e non manco fertile, che quella degli uomini, poi che non mancano loro le membra, nelle quali si fa; pure sforzato dall’historia medesima non ho potuto far altro. Dico adunque che le Donne non meno hanno testicoli, che gli huomini, benche non si veggiano per esser posti dentro del corpo [...]: così inizia il cap.15 dell’Anatomia di Giovanni Valverde, stampata a Roma nel 1560, intitolato “De Testicoli delle donne” (p. 91).

Dopo queste timide e tuttavia coraggiose ammissioni, ci vorranno altri secoli di ricerche e di lotte: “[...] fino al 1906, data in cui l’insegnamento adotta la tesi della fecondazione dell’ovulo con un solo spermatozoo e della collaborazione di entrambi i sessi alla riproduzione e la Facoltà di Parigi proclama questa verità ex cathedra, i medici si dividevano ancora in due partiti, quelli che credevano, come Claude Bernard, che solo la donna detenesse il principio della vita, proprio come i nostri avi delle società prepatriarcali (teoria ovista), e quelli che ritenevano [...] che l’uomo emettesse con l’eiaculazione un minuscolo omuncolo perfettamente formato che il ventre della donna accoglieva, nutriva e sviluppava come l’humus fa crescere il seme”(Françoise D’Eaubonne).

Dopo e nonostante questo - l’acquisizione che i soggetti sono due e che tutto avrebbe dovuto essere ripensato, si continua come prima e peggio di prima...

* Federico La Sala

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Commenti Articolo 407

Titolo articolo : Un sistema da cambiare,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: October/07/2013 - 18:11:23.

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Autore Città Giorno Ora
Giuliana Dall'Aglio vercelli 07/10/2013 18.11
Titolo:Basta!
Condivido; preciso soltanto che grida vendetta:
1) il fatto che questi poveri disgraziati, dopo tutto quello che hanno subito, se per caso sono riusciti a raggiungere la "terra" vengano considerati perseguibili come fossero dei delinquenti
2) il fatto che il "nostro" stato, anzichè contribuire in tanti modi a rendere la vita di questi poveretti, più umana, perseguiti chi li aiuta
3) il fatto che un sindaco si sia rifiutato di esporre la bandiera a mezz'asta...potrebbe capitare a lui un giorno
Mi auguro che queste leggi vergognose siano presto abolite
Giuly

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Commenti Articolo 408

Titolo articolo : OCCUPAZIONE, NON F35!  ,di Riforma, Adista, Mosaico di pace, Missione Oggi, Popoli, Nigrizia, , Gioventù evangelica, Il Margine, il foglio, Coordinamento radio evangeliche in Italia (Crei), CEM Mondialità, Qol, Radio Beckwith evangelica, Narcomafie 

Ultimo aggiornamento: October/06/2013 - 14:13:34.

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Autore Città Giorno Ora
Gaia Zanini Teolo 06/10/2013 14.13
Titolo:Raccolta online
Non è possibile organizzare una raccolta firme online? Questo faciliterebbe e sveltirebbe molto la procedura.
In ogni caso io e mio marito Giovanni Lazzaro (stessa residenza) siamo d'accordo per non acquistare gli aerei da guerra. Assolutamente d'accordo.
Grazie!
Gaia Zanini

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Commenti Articolo 409

Titolo articolo : Presentazione del libro "Della Terra il brillante colore",

Ultimo aggiornamento: October/04/2013 - 21:23:05.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/10/2013 19.51
Titolo:LA TERRA E LA QUESTIONE ANTROPOLOFICA (M. ZARRELLA)....
- Recensione del libro di Federico La Sala
- DELLA TERRA IL BRILLANTE COLORE
- Parmenide, una ”Cappella Sistina” carmelitana con 12 Sibille (1608), le xilografie di Filippo Barbieri (1481) e la domanda antropologica
- Edizioni Nuove Scritture, Milano 2013, pp. 156, € 15,00

LA TERRA E LA QUESTIONE ANTROPOLOGICA

di Michele Zarrella *

Un libro di eccezionale rarità che tenta a grandi linee, di mettere in evidenza una inedita prospettiva di ricerca e una possibile via di uscita da duemila e più anni di labirinto: un’ontologia non più zoppa e segnata dalla cieca cupidigia del sapere-potere, ma chiasmatica e illuminata dal sapere-amore.

Il luogo di inizio del ’viaggio’ è dalla chiesetta di S. Maria del Carmine (monastero carmelitano dal 1561 al 1652) di Contursi Terme (SA), e dall’antica Elea (Velia, Ascea), ma subito ci si trasferisce a Firenze, a Rimini, a Siena, a Roma, e, infine, fuori dal pianeta Terra, da dove, finalmente, è possibile vedere "il brillante colore"! Il pianeta in cui viviamo non è una caverna e, con lo sbarco sulla Luna, ora tutti lo sappiamo - anche fisicamente! Siamo tutti nella stessa barca e che siamo tutti fratelli, ... è ora di cambiare strada, di riorganizzare e riformulare tutto il nostro sapere - a partire da questa nostra nuova consapevolezza acquisita”: il pianeta è un granello nell’Universo ed è necessario un cambiamento radicale di prospettiva altrimenti non riusciremo mai a capire chi siamo.

La società moderna non può più accontentarsi di una filosofia e di una scienza ancora legate alla catena della dea Giustizia-Necessità di Parmenide e ancor più non deve contare sul sapere che il Platone o il politico di turno porta a noi prigionieri nella «caverna». Abbiamo preso coscienza di dove siamo nell’Universo e non possiamo più far finta di nulla. Sarà compito nostro mostrare come è la nostra casa: non era e non è né una caverna, né un’arena per gladiatori.

Sulla base di questa coscienza l’autore ci spinge a lavorare a una nuova cultura e a una nuova scienza che siano all’altezza del nostro orizzonte. “Non è più concepibile né possibile (il rischio è altissimo - la fine della nostra avventura, quella dell’intero genere umano) seguire le tracce di Parmenide, né di Platone.”

Il nostro orizzonte si è elevato e non è più possibile pensare che: «Per lo scienziato esiste solo l’essere, non il desiderio, il valore, il bene, il male, l’aspirazione» (Einstein, 1950). La posizione einsteiniana è parziale, unilaterale, e soprattutto pericolosa, perché ci fa vedere e agire - rispetto a noi stessi e rispetto agli altri e rispetto alla natura che ci circonda e sostiene - ancora con gli occhi e la mente di chi vede il pianeta Terra ridotto a un campo di guerra ove i mortali che nulla sanno giocano le loro battaglie. La Terra è di un colore brillante: è azzurra. «La Terra è blu [...] Che meraviglia. È incredibile», esclamò Jurij AlekseeviÄ Gagarin quando, il 12 aprile 1961, la vide, primo fra tutti gli uomini, dallo spazio.

Se vogliamo migliorare non è a Parmenide che dobbiamo pensare. Ma, se si vuole, a Talete, il quale sapeva che l’azzurro circondava la Terra. E Federico La Sala, al pari di Gagarin, ci invita ad uscire fuori a guardare dalla reale prospettiva la questione della nascita nostra, del nostro pianeta, del nostro sistema solare e del nostro Universo. La Sala si pone, al pari di Talete, la domanda delle domande: qual è il principio di tutte le cose? Questi sono i problemi così nasce la filosofia, così nasce il suo bellissimo libro DELLA TERRA IL BRILANTE COLORE.

Come Talete, La Sala riporta a galla dalle profondità oceaniche dell’essere i due problemi fondamentali del sapere (tutte le cose e il principio) e soprattutto sollecita a pensarli insieme. Spesso l’uomo moderno dimentica il secondo: il principio. L’autore, sulla base delle nuove conoscenze acquisite, invita a partire, anzi, a nascere nuova-mente - da capo, guardando al nostro ombelico e a ri-pensare l’Uno a partire dal Due. Noi (ognuno e ognuna) siamo uno ma siamo nati da due: nati da un uomo e una donna, e di entrambi siamo portatori non tanto e non solo dei loro geni, quanto e soprattutto lo spirito delle loro Unità.

E allora, conclude l’autore, il problema dei problemi non è più né quello metafisico («che cosa posso sapere?») né quello morale («che cosa devo fare?») né quello religioso («che cosa posso sperare?»), ma quello antropologico («che cos’è l’uomo?»).

Il problema dei problemi è rispondere alla domanda «chi siamo noi in realtà?» (Nietzsche). A questa domanda l’autore risponde in termini di speranza e di salvezza e ci invita a guardare al nostro ombelico, a qual è la nostra origine? Riconosciamoci, come siamo, figli di un uomo e una donna, di una maternità e di una paternità alla pari e che la Terra sia il luogo del nostro fiorire e non il luogo delle nostre dualistiche contrapposizioni e scissioni.

A tale permeante domanda non può rispondere solo un genere che domina sull’altro, ma insieme con le Due metà del genere umano. Solo così, con la parità, autonomia e dignità fra uomo e donna, potremo dar vita a una nuova antropologia (e, con essa, a una nuova scienza e, ovviamente, a una nuova politica) - oltre l’edipo e oltre il capitalismo - finalmente degna del nostro pianeta dal brillante colore.

Buona lettura.

Michele Zarrella

Gesualdo, 30-09-2013

* Il dialogo, Lunedì 30 Settembre, 2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/10/2013 21.23
Titolo:PER LA CHIESA DEL CARMINE LETT. ALLA SOVRINTENDENZA
LETTERA APERTA (martedì 13 marzo 2012) *

ALLA SOPRINTEDENZA per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Salerno e Avellino

DI FEDERICO LA SALA

CH.MO SOPRINTENDENTE

Egr. dott. Miccio

Le scrivo, in riferimento allo stato della Chiesa di Maria SS. del Carmine di Contursi Terme. Del restauro di questa chiesa (convento carmelitano dal 1561 al 1652), dopo il terremoto del 1980, se ne sono occupati i tecnici della Soprintendenza, il dott. Domenico Palladino e la dott.ssa Maria Giovanna Sessa: i lavori furono conclusi nel 1989 (scheda restauro - pdf, in fondo).

Purtroppo, dopo molti anni di totale incuria, la sua situazione ora sta precipitando paurosamente. Solo per darle un’idea, Le ho qui allegato una foto relativa allo stato attuale del tetto (si veda, qui, in fondo).

Uno scenario orribile: non sono cresciute solo erbacce che intasano il corretto deflusso delle acque e che poi vanno ad infiltrarsi nel muro (con conseguenti danni - già disastrosi ed evidenti all’interno), ma si è avviato anche il cedimento dell’orditura che tiene l’intero manto delle tegole!!!

Anche se non sono un tecnico, è facile supporre che la situazione andrà peggiorando anche da un punto di vista strutturale con pericolo per la privata e pubblica incolumità.

All’interno, la parete sinistra (ormai fradicia di umidità e sempre più ricoperta di muffe verdeggianti) sta perdendo tutti i suoi preziosi affreschi (12 Sibille) portati alla luce dai lavori di restauro.

Entrando, e avanzando verso l’altare a Sx: 1. Sibilla PERSICA, 2. Sibilla LIBICA, 3. Sibilla DELFICA, 4. Sibilla CUMEA [CHIMICA], 5. Sibilla ERITREA, 6. Sibilla [SAMIA]
- a Dx: 7 Sibilla CUMANA, 8. Sibilla LESPONTICA, 9. Sibilla FRIGGIA,10. Sibilla TIBURTINA,11. Sibilla E[V]ROPEA, 12. Sibilla EGIPTIA
- In alto, dietro e sopra l’altare, una Pala del 1608 di Jacopo de Antora, con - sotto a sx, - il Profeta Elia, - e a dx, il profeta Giovanni Battista, in alto, sulla nuvola, - Maria con il Bambino, e alle loro spalle, - le colline del Carmelo, con chiese e grotte... (si veda, in fondo, tavola sinottica)

Tenga presente che le Sibille presenti sono 12 (al contrario della volta della Cappella Sistina di Michelangelo, ove ne sono rappresentate solo 5 con 7 profeti) e che questa grande novità ovviamente non è di poco rilievo per la storia dell’arte e della storia culturale e religiosa italiana.

Sulle "decorazioni parietali di modesta fattura e complessa lettura" (come accennato dai dott. Palladino-Sessa nella loro relazione), si veda la documentazione presente nel mio lavoro: Federico La Sala, Della Terra, il brillante colore. [...].

In particolare, è bene ricordarlo: "Le Sibille di Contursi hanno parentele più celebri nella Cattedrale di Siena, nell’appartamento Borgia in Vaticano, nel Tempio Malatestiano di Rimini, nella Cappella Sistina di Michelangelo. La pittura disegna l’ eclettismo ermetico-cabalistico-neoplatonico rinascimentale che colloca la filosofia e la teologia pagana in sequenza con il Cristianesimo".

Il mio unico desiderio è che il prezioso lavoro fatto dalla stessa Sovrintendenza non vada assolutamente perduto! E che questa bandiera della cultura tardo-rinascimentale piantata nell’area salernitana non ricada per sempre nell’oblio (o, diversamente, nel fango).

Mi auguro che Ella possa intervenire quanto prima, per sollecitare e contribuire a salvare il salvabile.

La ringrazio vivamente della sua attenzione e La saluto

Federico La Sala


* http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/cultura/AppelliInterventi_1331650525.htm

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Commenti Articolo 410

Titolo articolo : DELLA TERRA IL BRILLANTE COLORE,di Michele Zarrella

Ultimo aggiornamento: October/04/2013 - 13:06:09.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/9/2013 20.07
Titolo:QUESTIONE ANTROPOLOGICA: SIBILLE E PROFETI ....
LETTERA APERTA

ALLA SOPRINTEDENZA per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Salerno e Avellino

DI FEDERICO LA SALA

CH.MO SOPRINTENDENTE

Egr. dott. Miccio

Le scrivo, in riferimento allo stato della Chiesa di Maria SS. del Carmine di Contursi Terme. Del restauro di questa chiesa (convento carmelitano dal 1561 al 1652), dopo il terremoto del 1980, se ne sono occupati i tecnici della Soprintendenza, il dott. Domenico Palladino e la dott.ssa Maria Giovanna Sessa: i lavori furono conclusi nel 1989 (scheda restauro - pdf, in fondo).

Purtroppo, dopo molti anni di totale incuria, la sua situazione ora sta precipitando paurosamente. Solo per darle un’idea, Le ho qui allegato una foto relativa allo stato attuale del tetto (si veda, qui, in fondo).

Uno scenario orribile: non sono cresciute solo erbacce che intasano il corretto deflusso delle acque e che poi vanno ad infiltrarsi nel muro (con conseguenti danni - già disastrosi ed evidenti all’interno), ma si è avviato anche il cedimento dell’orditura che tiene l’intero manto delle tegole!!!

Anche se non sono un tecnico, è facile supporre che la situazione andrà peggiorando anche da un punto di vista strutturale con pericolo per la privata e pubblica incolumità.

All’interno, la parete sinistra (ormai fradicia di umidità e sempre più ricoperta di muffe verdeggianti) sta perdendo tutti i suoi preziosi affreschi (12 Sibille) portati alla luce dai lavori di restauro.

Entrando, e avanzando verso l’altare a Sx: 1. Sibilla PERSICA, 2. Sibilla LIBICA, 3. Sibilla DELFICA, 4. Sibilla CUMEA [CHIMICA], 5. Sibilla ERITREA, 6. Sibilla [SAMIA]
- a Dx: 7 Sibilla CUMANA, 8. Sibilla LESPONTICA, 9. Sibilla FRIGGIA,10. Sibilla TIBURTINA,11. Sibilla E[V]ROPEA, 12. Sibilla EGIPTIA
- In alto, dietro e sopra l’altare, una Pala del 1608 di Jacopo de Antora, con - sotto a sx, - il Profeta Elia, - e a dx, il profeta Giovanni Battista, in alto, sulla nuvola, - Maria con il Bambino, e alle loro spalle, - le colline del Carmelo, con chiese e grotte... (si veda, in fondo, tavola sinottica)

Tenga presente che le Sibille presenti sono 12 (al contrario della volta della Cappella Sistina di Michelangelo, ove ne sono rappresentate solo 5 con 7 profeti) e che questa grande novità ovviamente non è di poco rilievo per la storia dell’arte e della storia culturale e religiosa italiana.

Sulle "decorazioni parietali di modesta fattura e complessa lettura" (come accennato dai dott. Palladino-Sessa nella loro relazione), si veda la documentazione presente nel mio lavoro: Federico La Sala, Della Terra, il brillante colore. [...].

In particolare, è bene ricordarlo: "Le Sibille di Contursi hanno parentele più celebri nella Cattedrale di Siena, nell’appartamento Borgia in Vaticano, nel Tempio Malatestiano di Rimini, nella Cappella Sistina di Michelangelo. La pittura disegna l’ eclettismo ermetico-cabalistico-neoplatonico rinascimentale che colloca la filosofia e la teologia pagana in sequenza con il Cristianesimo".

Il mio unico desiderio è che il prezioso lavoro fatto dalla stessa Sovrintendenza non vada assolutamente perduto! E che questa bandiera della cultura tardo-rinascimentale piantata nell’area salernitana non ricada per sempre nell’oblio (o, diversamente, nel fango).

Mi auguro che Ella possa intervenire quanto prima, per sollecitare e contribuire a salvare il salvabile.

La ringrazio vivamente della sua attenzione e La saluto

Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/10/2013 18.39
Titolo:LA TERRA E LA CRISI DELLA CIVILTA' ....
Un nota sul “disagio della civiltà”

Costituzione dogmatica della chiesa "cattolica"... e costituzione dell’Impero del Sol Levante.

di Federico La Sala (Il Dialogo, 17 novembre 2005)

Il ’delirio’ della Gerarchia della Chiesa ’cattolico’-romana è ormai galoppante!!! E se vogliamo aiutarla a guarire o, che è lo stesso, se vogliamo aiutarci a guarire (il ’delirio’ è generale, e non solo suo!!!) non possiamo non riprendere a pensare - a partire da noi stessi, e da noi stesse!!! Il problema è pensare proprio a partire da noi, dagli esseri umani in carne ed ossa - dalle persone, quale siamo e quale vogliamo essere, da quell’individuo che non sia un (o una) “Robinson”, come voleva il ’vecchio’ Marx non marxista e non hegeliano!!!

Basta con le robinsonate! La questione è la Relazione (Dio è Amore), e una relazione non edipica!!! Una relazione edipica (sia dal lato della donna sia dell’uomo) porta a postulare l’esistenza di un “dio” (un dio-uomo o un dio-donna) e, di qui, la concezione di un ’mondo’ dove il diritto di comandare in cielo e in terra sia del “dio” (del dio-uomo o del dio-donna)!!!

Da questo punto di vista, la Chiesa ’cattolico’-romana è solo l’ultimo baluardo di quel “dio” che garantisce la proprietà privata dei mezzi di produzione e l’educazione edipico-capitalistica. Perché i sacerdoti (se vogliono) non si possono sposare?!, o perché le donne non possono diventare sacerdot-esse?!, ma perché il “dio” è concepito come dio-uomo e, come tale, solo il dio-figlio può essere come il dio-padre... e la donna solo come la madre-dea.

Sulla terra (e per tutti e per tutte) il Dio-Figlio è il figlio-dio e il fratello di tutti e di tutte, ma in cielo solo Lui può essere il Padre... e lo Sposo della Madre - e, siccome è solo lui che può avere rapporti con il cielo (ma il messaggio di Gesù proprio perché è un buon-messaggio dice che tutti e tutte siamo tutti e tutte figli e figlie di Dio-Amore... e tutti e tutte possiamo avere rapporti con “Lui”!!!), deve essere anche ’donna’ (perciò si traveste così come si traveste) per ’generare’ e ’riprodurre’ se stesso, in circolo...e comandare su tutti, su tutte, e su tutto! Che follia, senza alcuna saggezza - sconsolatamente!!!

Vedere il caso del Giappone - nella cultura giapponese c’è la Dea in cielo, e l’imperatore sulla terra; ora-oggi!!!, dal momento che alla coppia imperiale è nata una bambina, si parla di cambiare la Costituzione per far sì che Lei possa accedere al trono ... ma il problema è più complesso - come si può ben immaginare - perché ... deve essere cambiata anche la Costituzione celeste dell’Impero del Sol Levante!!! Se no, l’Imperatrice con Chi si ’sposerà’?! Con la Dea?!!

Non è questa forse la ragione nascosta del “disagio della civiltà” dell’Oriente e dell’Occidente ..... e anche della sua fine, se non ci portiamo velocemente fuori da questo orizzonte edipico-capitalistico di peste, di guerra e di morte? Non è ora di andare al di là della tragedia, e riprendere il filo dall’ “Inizio” (filosoficamente, parlando)?! Cosa significa essere EU-ROPEUO?!! In principio cosa c’era, il Logos buono o il Logos cattivo?! Sta a noi, tutti e tutte, deciderlo - qui ed ora (come sempre, del resto)!!!

Federico La Sala

http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/filosofia/interventi_1380641843.htm
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/10/2013 09.42
Titolo:Yuri Gagarin e la Trascendenza.....
TRASCENDENZA

Pensieri e interrogativi sparsi, passeggiando in campagna…ieri mattina....

di don Aldo Antonelli (2-ott-2013 6.23)


Perché la trascendenza, che è una categoria dello spirito (per dirla con il linguaggio hegeliano) è stata tradotta nel linguaggio spaziale?



Trascendenza come pensare altro e andare oltre…. Tanto per riprendere il titolo del mio libro…..



Il primo astronauta russo, Yuri Gagarin, di ritorno dal suo volo spaziale disse: «Sono andato nel cielo e non ho incontrato nessuno»; contro la Fede, per dire che Dio non esiste.

Io dico che la sede di Dio non è un luogo geografico/spaziale, ma antropologico/esistenziale; contro la fede imbecille!



E volendo usare le categorie spaziali perché ricorrere all’ “ALTO” che si contrappone e schiaccia il “BASSO” e non, invece, all’ “AVANTI” che pro-muove (animandolo) il “QUI”; o al “FUTURO” che pro-voca (fermentandolo) il “PRESENTE”?



Una trascendenza che non mummifichi la realtà e non fossilizzi le verità!



Il “Dio” che siede in alto, vicino il trono dei poteri e dei potenti, non è il “Dio” di Gesù di Nazareth, né il “Dio” di Maria del Magnificat (che depose i potenti dai troni…).



Quindi “trascendenza” non come lo stare sopra ma come l'’andare oltre.


Una trascendenza che non consacri la conservazione ma promuova la rivoluzione!
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/10/2013 17.58
Titolo:Tracendenza antropologica e trascendenza spaziale ....
TRASCENDENZA 2

Pensieri e interrogativi sparsi, passeggiando in campagna…ieri mattina....

di don Aldo Antonelli (2-ott-2013 6.23)

Perché la trascendenza, che è una categoria dello spirito (per dirla con il linguaggio hegeliano) è stata tradotta nel linguaggio spaziale?

Trascendenza come pensare altro e andare oltre…. Tanto per riprendere il titolo del mio libro…..

Il primo astronauta russo, Yuri Gagarin, di ritorno dal suo volo spaziale disse: «Sono andato nel cielo e non ho incontrato nessuno»; contro la Fede, per dire che Dio non esiste.

Io dico che la sede di Dio non è un luogo geografico/spaziale, ma antropologico/esistenziale; contro la fede imbecille!

E volendo usare le categorie spaziali perché ricorrere all’ “ALTO” che si contrappone e schiaccia il “BASSO” e non, invece, all’ “AVANTI” che pro-muove (animandolo) il “QUI”; o al “FUTURO” che pro-voca (fermentandolo) il “PRESENTE”?

Una trascendenza che non mummifichi la realtà e non fossilizzi le verità!

Il “Dio” che siede in alto, vicino il trono dei poteri e dei potenti, non è il “Dio” di Gesù di Nazareth, né il “Dio” di Maria del Magnificat (che depose i potenti dai troni…).

Quindi “trascendenza” non come lo stare sopra ma come l’’andare oltre.

Una trascendenza che non consacri la conservazione ma promuova la rivoluzione!
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/10/2013 13.06
Titolo:UN NUOVO PARADIGMA. L’amore la suprema forma del pensare.
Il bene del mondo e la Chiesa

di Vito Mancuso (la Repubblica, 04.10.2013)

Inizierà davvero una nuova epoca per la Chiesa, e quindi inevitabilmente anche per la società, come prefigurava Scalfari a conclusione dell’intervista a papa Francesco?
Ciò che sorprende nelle risposte del Papa è il punto di vista assunto, un inedito sguardo extra moenia o “fuori le mura” che non pensa il mondo a partire dalla fortezza-Chiesa, ma, esattamente all’opposto, pensa la Chiesa a partire dal mondo. Nei suoi ragionamenti non c’è traccia della consueta prospettiva ecclesiastica centrata sul bene della Chiesa e la difesa a priori della sua dottrina, della sua storia, dei suoi privilegi e dei suoi beni così spesso oggetto di cura gelosa da parte degli ecclesiastici di ogni tempo (un monumento del pensiero cattolico quale il Dictionnaire de Théologie Catholique dedica 9 pagine alla voce “Bene” e 18 alla voce “Beni ecclesiastici”!).

C’è al contrario un pensiero che ha di mira unicamente il bene del mondo e per questo il Papa può dire che il problema più urgente della Chiesa è la disoccupazione dei giovani e la solitudine dei vecchi. Non le chiese, i conventi e i seminari semivuoti; non il relativismo culturale; non il sentire morale del nostro tempo così difforme dalla morale cattolica; non la minaccia alla vita e al modello tradizionale di famiglia. No, la disoccupazione dei giovani e la solitudine degli anziani.

L’aver assunto il bene del mondo quale punto di vista privilegiato ha condotto il Papa alle seguenti due affermazioni capitali: 1) la Chiesa non è preparata al primato della dimensione sociale, anzi c’è in essa una prospettiva vaticanocentrica che produce una nociva dimensione cortigiana («la corte è la lebbra del papato»); 2) storicamente essa non è quasi mai stata libera dalle commistioni con la politica – e a questo proposito la Chiesa italiana di Ruini e Bagnasco dovrebbe recitare non pochi mea culpa per non aver denunciato l’immoralità pubblica e privata di chi per anni governava l’Italia, di cui al contrario si è giunti persino a contestualizzare benignamente le pubbliche bestemmie.

Ma l’azione del papa e la nuova epoca per la Chiesa che prefigura può non avere effetti anche sul mondo laico? Dei mali della Chiesa e delle riforme di cui necessita si è detto, ma penso sia saggio domandarsi se non esista anche qualcosa nella mente laica che occorre riformare. È solo la Chiesa che deve cambiare, oppure il cambiamento e la riforma interessano anche chi si dichiara laico e non credente? Naturalmente sotto queste insegne si ritrovano gli ideali più vari, dall’estrema destra all’estrema sinistra, e io qui mi limito a discutere il pensiero laico progressista rappresentato da Scalfari.

Alla domanda del Papa sull’oggetto del suo credere, Scalfari ha risposto dicendo «io credo nell’Essere, cioè nel tessuto dal quale sorgono le forme, gli Enti», e poco dopo ha precisato che «l’Essere è un tessuto di energia, energia caotica ma indistruttibile e in eterna caoticità», attribuendo a combinazioni casuali l’emergere delle forme tra cui l’uomo, «il solo animale dotato di pensiero, animato da istinti e desideri», ma che contiene dentro di sé anche «una vocazione di caos». Insomma Scalfari si è professato, come già nei suoi libri, discepolo di Nietzsche.

Ma cosa manca a questa visione del mondo? Trattandosi di un’eredità di colui che volle andare “al di là del bene e del male”, manca ovviamente la possibilità di fondare l’etica in quanto primato incondizionato del bene e della giustizia. Per Nietzsche infatti l’Essere è un “mostro di forza, senza principio, senza fine, una quantità di energia fissa e bronzea”, il mondo “è la volontà di potenza e nient’altro”.

Ma se il mondo è questo, ne consegue che il liberismo, in quanto volontà di potenza che vuole solo incrementare se stessa, ne è la più logica conseguenza. Perché mai quindi si dovrebbe lottare nel nome della giustizia, della solidarietà, dell’uguaglianza? Come non dare ragione a Nietzsche che considerava questi ideali solo un trucco vigliacco dei deboli, incapaci di lottare ad armi pari coi forti? Se l’essere è solo caos e forza, l’azione che ricerca la pace e la giustizia è destinata inevitabilmente a rimanere senza fondamento.

Da tempo vado pensando che la cultura progressista viva la grande aporia dell’incapacità di fondare teoreticamente la propria stessa idea-madre, cioè la giustizia. Darwin ha sostituito Marx, e Nietzsche (attento lettore di Darwin) è diventato il punto di riferimento per molti. Il risultato è Darwin + Nietzsche, ovvero “l’eterno ritorno della forza”, cioè una cupa e maschilista visione del mondo secondo cui la forza e la lotta sono la logica fondamentale della vita.

Se è giunto il tempo di una Chiesa che dia più spazio al femminile, è altresì tempo di un pensiero laico altrettanto capace di ospitare il femminile, intendendo con ciò una visione del mondo e della natura che fa dell’armonia e della relazionalità il punto di vista privilegiato. Da Aristotele a Spinoza a Nietzsche, la sostanza è sempre stata pensata come prioritaria rispetto alla relazione: prima gli enti e poi le relazioni tra essi.

Oggi la scienza ci insegna (questo è il senso filosofico della scoperta del bosone di Higgs) che è vero il contrario, che prima c’è la relazione e poi la sostanza, nel senso che tutti gli enti sono il risultato di un intreccio di relazioni e tanto più consistono quanto più si nutrono di feconde relazioni. Questo è il pensiero femminile, un pensiero del primato della relazione, di contro al pensiero maschile basato sul primato della sostanza, e va da sé che pensiero femminile non significa necessariamente pensiero delle donne, perché ogni essere umano contiene la dimensione femminile e vi sono donne che pensano e agiscono al maschile (si consideri per esempio Margaret Thatcher, per tacere di alcune politiche italiane), mentre vi sono uomini che pensano e agiscono al femminile (si pensi per esempio a Gandhi e prima ancora al Buddha o a Gesù).

Io penso che il nostro tempo abbia veramente bisogno di un nuovo paradigma della mente, di una ecologia della mente nel senso etimologico di riscopertadellogosche informa oikos,il termine greco per “casa” da cui viene la radice “eco” e che rimanda alla natura. Scalfari nel suo credo insiste sul caos e non sbaglia, perché il caos è una dimensione costitutiva della natura; non è la sola però, c’è anche il logos, alla cui azione organizzatrice si deve l’emersione dalla polvere cosmica primordiale degli enti e della loro meraviglia, tra cui la mente e il cuore dell’uomo.

I grandi sapienti dell’umanità l’hanno sempre compreso, chiamando il logos anche dharma, tao, hokmà ecc. a seconda della loro tradizione. Cito volutamente un pensatore non cristiano, il pagano Plotino: «Più di una volta mi è capitato di riavermi, uscendo dal sonno del corpo, e di estraniarmi da tutto, nel profondo del mio io; in quelle occasioni godevo della visione di una bellezza tanto grande quanto affascinante che mi convinceva, allora come non mai, di fare parte di una sorte più elevata, realizzando una vita più nobile: insomma di essere equiparato al divino, costituito sullo stesso fondamento di un dio» (Enneadi IV, 8, 1).


L’unione di logos + caos è la dinamica dentro cui il mondo si muove ed evolve. Essa ci fa comprendere che la verità non è un’esattezza, una formula, un’equazione, un dogma o una dottrina, insomma qualcosa di statico; la verità è la logica della vita in quanto tesa all’armonia, quindi è un processo, una dinamica, un flusso, un’energia, un metodo, una via. La verità è il bene in quanto armonia delle relazioni. In questo senso Gesù diceva “io sono la via, la verità e la vita”, non intendendo certo con ciò innalzare il suo ego in un supremo narcisismo cosmico, ma prefigurando il suo stile di vita basato sull’amore come ciò che al meglio serve l’Essere. Ne viene una visione del mondo nella quale l’ontologia cede il primato all’etica, nella quale cioè il vero non si può attingere se non passando attraverso i sentieri del bene, e l’amore diviene la suprema forma del pensare.
Amor ipse intellectus,insegnava il mistico medievale Guglielmo di Saint-Thierry.

I credenti sono chiamati a rinnovarsi e penso che con umiltà sotto la guida di questo papa straordinario in molti stiano iniziando a farlo; anche i non credenti però sono chiamati a rinnovare la loro mente alla luce dell’Essere non solo caos ma anche logos, cioè relazionalità originaria a livello fisico che fonda il bene a livello etico. Forse così l’ideale della giustizia e dell’uguaglianza al centro del pensiero progressista mondiale sarà distolto dalle nebbie del buonismo dei singoli e radicato su una più armoniosa visione del mondo.

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Commenti Articolo 411

Titolo articolo : PUBBLICITA' E REALTA'.  PAPA FRANCESCO SCOMUNICA  IL PRETE AUSTRALIANO CHE SOSTIENE IL SACERDOZIO FEMMINILE. Una nota di Ingrid Colanicchia ("Adista) - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/03/2013 - 10:33:24.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/10/2013 23.39
Titolo:SI FACCIA CHIAREZZA ...
E ora si faccia chiarezza

di Vitaliano Della Sala

«Non aspettatevi cambiamenti del prodotto, aspettatevi cambiamenti della pubblicità». A sei mesi dall'elezione di papa Francesco la risposta del cardinale di New York, Timothy Dolan, ad una domanda sul nuovo papa, sembra racchiudere l'essenza di questo pontificato. Non so se sono l'unico, ma di fronte a questo papa mi sento combattuto tra due sentimenti: sta solo cambiando la forma o anche la sostanza della gerarchia cattolica? Bergoglio è solo un papa che guarda ottimisticamente il bicchiere mezzo pieno, mentre finora quasi tutti i papi hanno fatto il contrario? Fa gesti straordinari o appaiono tali solo perché nessun altro papa ne ha mai fatti di tanto normali? E quello che dice è scontato e già detto da altri o è la banalità che diventa eccezionalità solo per il contesto azzeccato in cui lo si pronuncia?

Insomma, papa Francesco rappresenta quella Chiesa-altra che in molti abbiamo sognato e ci siamo sforzati di costruire o è la solita musica suonata diversamente? Certo è che c'è credibilità e coerenza nelle sue parole chiare, semplici, incisive, che si accompagnano ai gesti “nuovi”. E c’è da sperare che non sia soltanto una squallida – e riuscita – operazione di marketing a favore di una gerarchia della quale, fino a sei mesi fa, si parlava quasi esclusivamente in relazione agli scandali sessuali e finanziari.«Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e metodi contraccettivi», dice, tra l'altro papa Bergoglio nell'intervista a Civiltà Cattolica. Parole chiare e gesti concreti: questo papa sembra aver spiazzato e sorpassato anche quella parte di Chiesa “progressista” e di base.

Ma la storia della Chiesa ci insegna che per una volta che si sceglie un papa buono “che puzza di pecora” e di Spirito Santo, ne possono poi venir fuori altri che invece “puzzano” di interessi personali o di cordata, di troppa teologia e di poca pastoralità, di più o meno autoritarismo, di più o meno democraticità. E il volto della Chiesa, la percezione che fedeli e non fedeli laici hanno di essa, non può cambiare dopo ogni Conclave come se la Chiesa fosse l'espressione di questa o quella cordata e non la sposa di Cristo.

Lo confesso, sono anche arrabbiato perché troppa parte di Chiesa “progressista” sembra subire e acriticamente applaudire le parole e i gesti del papa, senza ricordarsi quanto sia preoccupante, se non pericoloso, quando gli annunci di cambiamento vengono dal vertice: il Francesco poverello d'Assisi che restaura la Chiesa cadente, può veramente coincidere con un papa, solo perché si chiama anch'egli Francesco, o non si rischia di creare un inevitabile corto circuito?

Qualche fedele meno plaudente e più attento, mi ha ricordato che «tante cose di quelle che oggi dice e fa il papa, le hai dette e fatte anche tu anni fa». È vero, ovviamente con le dovute proporzioni, e sono stato solo l'ultimo tra tanti che, per parole e gesti che oggi sembrerebbero scontati, è stato pesantemente punito e ancora vive gli strascichi di assurdi e ingiusti provvedimenti canonici. Come me e molto peggio di me, altri hanno subìto la moderna inquisizione, e non nel Medioevo, ma solo pochi anni fa, sotto il pontificato mediatico e reazionario di Woityla/Ratzinger, mentre Bergoglio era già cardinale, senza che abbia speso una parola di giustizia. Forse che nella Chiesa bisogna aspirare o brigare per diventare papa prima di poter parlare liberamente?

Invece oggi papa Bergoglio dice: «Ci vuole audacia e coraggio. Trovare strade nuove per chi se ne è andato», e spero che intenda anche dire: per chi è stato cacciato, e per chi è rimasto, punito, calpestato, ridotto al silenzio, umiliato, senza un briciolo di quella tenerezza di Dio, che i vertici della Chiesa avrebbero dovuto incarnare. Se il clima sembra realmente cambiato, chi restituirà il tempo perso a doversi difendere, l'insegnamento tolto ingiustamente a bravi docenti, la serenità a comunità punite e sconvolte, la salute compromessa? Chi dirà al mio vecchio ed ex vescovo che aveva torto lui, e alla mia ex comunità parrocchiale che avevamo ragione noi?

Alle sue parole chiare, ai suoi gesti coerenti, papa Francesco dovrebbe far corrispondere scelte e fatti concreti. Si potrebbe iniziare dal dire apertamente se ha ragione o torto, chi ipocritamente e per intraprendere una carriera senza meriti, si è accodato al pensiero dominante di una gerarchia tesa solo ad accontentare un papa polacco e un inquisitore tedesco, divenuto a sua volta pontefice, che hanno portato avanti un'idea di Chiesa autoritaria, immischiata nella peggiore politica, invischiata nei peggiori scandali, senza un briciolo di misericordia, che ha sguazzato nella contraddizione per cui si pretende il rispetto dei diritti umani all’esterno della Chiesa, mentre li si nega al proprio interno.

Sì, è indispensabile iniziare con un chiarimento, senza meschine vendette o ritorsioni, ma per «fare la verità nella carità».Sono certo che è comunque saggio e lungimirante vivere questo momento come una grande opportunità storica per la Chiesa. E per non ridurre le parole e i gesti di papa Francesco a qualcosa di stravagante; e per non arrivare ancora una volta tardi all'appuntamento con la Storia, non bastano più le parole e i gesti di “Pietro”, occorre che si coinvolga tutta la Chiesa in questo cammino. Forse è veramente giunto il tempo di un nuovo Concilio, da celebrare in una delle tante periferie del mondo, con vescovi e cardinali invitati come periti, esperti o osservatori. E con protagonisti questa volta donne e uomini fedeli laici.

*Amministratore parrocchiale a Mercogliano (Av)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 03/10/2013 10.33
Titolo:MICHELANGELO (1512-2012): I PROFETI INSIEME ALLE SIBILLE PER LA CHIESA UN GROS...
DOPO 500 ANNI, PER IL CARDINALE RAVASI LA PRESENZA DELLE SIBILLE NELLA SISTINA E’ ANCORA L’ELEMENTO PIU’ CURIOSO.

In un bel documentario dal titolo «1512. La volta di Michelangelo nella Sistina compie 500 anni» mandato in onda, ieri, 31 ottobre 2012 (giorno dell’anniversario) su TV2000 alle ore 13.05 (e replicato alle 23.05) con Antonio Paolucci, Gianluigi Colalucci e cardinale Gianfranco Ravasi, il cardinale

dichiara, con la massima autorevolezza e con la massima ’innocenza’,

che nella Volta della Sistina insieme alle figure centrali relative al testo del Genesi, ci sono i profeti e le sibille, e la presenza di "queste donne" è definita come "il più curioso" elemento della narrazione michelangiolesca.

Evidentemente, dopo 500 anni, per la teologia della Chiesa cattolico-romana, la loro presenza è decisamente ancora un problema, un grosso problema! (Federico La Sala, 01.11.2012)

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Commenti Articolo 412

Titolo articolo : IL "DIO" DEI MERCANTI E IL SILENZIO DEI FILOSOFI (OLTRE CHE DEI TEOLOGI). «Agàpe eros e philia» nell'orizzonte ratzingeriano. L'intervento di Vincenzo Paglia al festival di filosofia di Modena - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/02/2013 - 22:53:42.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/9/2013 18.14
Titolo:C’era una volta un’Acca....
L’Acca in fuga

- di Gianni Rodari

- C’era una volta un’Acca.

- Era una povera Acca da poco: valeva un’acca, e lo
- sapeva. Perciò non montava in superbia, restava
- al suo posto e sopportava con pazienza le beffe
- delle sue compagne.
- Esse le dicevano:

- E così, saresti anche tu una lettera dell’alfabeto?
- Con quella faccia?

- Lo sai o non lo sai che nessuno ti pronuncia?

- Lo sapeva, lo sapeva. Ma sapeva anche che all’estero ci
- sono paesi, e lingue, in cui l’acca ci fa la sua figura.

- " Voglio andare in Germania, - pensava l’Acca,
- quand’era più triste del solito. - Mi hanno detto
- che lassù le Acca sono importantissime ".

- Un giorno la fecero proprio arrabbiare. E lei, senza
- dire né uno né due, mise le sue poche robe in un
- fagotto e si mise in viaggio con l’autostop.

- Apriti cielo! Quel che successe da un momento
- all’altro, a causa di quella fuga, non si può
- nemmeno descrivere.

- Le chiese, rimaste senz’acca, crollarono come sotto i
- bombardamenti. I chioschi, diventati di colpo troppo
- leggeri, volarono per aria seminando giornali, birre,
- aranciate e granatine in ghiaccio un po’ dappertutto.

- In compenso, dal cielo caddero giù i cherubini:
- levargli l’acca, era stato come levargli le ali.

- Le chiavi non aprivano più, e chi era rimasto
- fuori casa dovette rassegnarsi a dormire all’aperto.

- Le chitarre perdettero tutte le corde e suonavano
- meno delle casseruole.

- Non vi dico il Chianti, senz’acca, che sapore
- disgustoso. Del resto era impossibile berlo, perché
- i bicchieri, diventati " biccieri", schiattavano in
- mille pezzi.

- Mio zio stava piantando un chiodo nel muro, quando
- le Acca sparirono: il "ciodo" si squagliò sotto il
- martello peggio che se fosse stato di burro.

- La mattina dopo, dalle Alpi al Mar Jonio, non
- un solo gallo riuscì a fare chicchirichi’: facevano
- tutti ciccirici, e pareva che starnutissero.
- Si temette un’epidemia.

- Cominciò una gran caccia all’uomo, anzi, scusate,
- all’Acca. I posti di frontiera furono avvertiti di
- raddoppiare la vigilanza. L’Acca fu scoperta nelle
- vicinanze del Brennero, mentre tentava di entrare
- clandestinamente in Austria, perché non aveva
- passaporto. Ma dovettero pregarla in ginocchio: Resti
- con noi, non ci faccia questo torto! Senza di lei, non
- riusciremmo a pronunciare bene nemmeno il nome di
- Dante Alighieri. Guardi, qui c’è una petizione degli
- abitanti di Chiavari, che le offrono una villa al mare.
- E questa è una lettera del capo-stazione di
- Chiusi-Chianciano, che senza di lei
- diventerebbe il capo-stazione di Ciusi-Cianciano:
- sarebbe una degradazione

- L’Acca era di buon cuore, ve l’ho già detto. È rimasta,
- con gran sollievo del verbo chiacchierare e del pronome
- chicchessia. Ma bisogna trattarla con rispetto,
- altrimenti ci pianterà in asso un’altra volta.

- Per me che sono miope, sarebbe gravissimo: con
- gli "occiali" senz’acca non ci vedo da qui a lì.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/9/2013 20.49
Titolo:LA "CHARITAS" E IL TUTORAGGIO DI PAOLO DI TARSO....
PAOLO DI TARSO, L’ASTUTO APOSTOLO DELLA GRAZIA ("CHARIS") E DELL’ AMORE ("CHARITAS"), E LA NASCITA DEL CATTOLICESIMO-ROMANO! UNA NOTA

di Federico La Sala *

(...) non equivochiamo! Qui non siamo sulla via di Damasco, nel senso e nella direzione di Paolo di Tarso, del Papa, e della Gerarchia Cattolico-Romana: “[... ] noi non siamo più sotto un pedagogo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Galati: 3, 25-28).
- Nella presa di distanza, nel porsi sopra tutti e tutte, e nell’arrogarsi il potere di tutoraggio da parte di Paolo, in questo passaggio dal noi siamo al voi siete, l’inizio di una storia di sterminate conseguenze, che ha toccato tutti e tutte. Il persecutore accanito dei cristiani, “conquistato da Gesù Cristo”, si pente - a modo suo - e si mette a “correre per conquistarlo” (Filippesi: 3, 12): come Platone (con tutto il carico di positivo e di negativo storico dell’operazione, come ho detto), afferra l’anima della vita evangelica degli apostoli, delle cristiane e dei cristiani, approfittando delle incertezze e dei tentennamenti di Pietro, si fa apostolo (la ‘donazione’ di Pietro) dei pagani e, da cittadino romano, la porta e consegna nelle mani di Roma. Nasce la Chiesa ... dell’Impero Romano d’Occidente (la ‘donazione’ di Costantino). La persecuzione dei cristiani, prima e degli stessi ebrei dopo deve essere portata fino ai confini della terra e fino alla fine del mondo: tutti e tutte, nella polvere, nel deserto, sotto l’occhio del Paolo di Tarso che ha conquistato l’anima di Gesù Cristo, e la sventola contro il vento come segno della sua vittoria... Tutti e tutte sulla romana croce della morte.

Egli, il vicario di Gesù Cristo, ha vinto: è Cristo stesso, è Dio, è il Dio del deserto... Un cristo-foro dell’imbroglio e della vergogna - con la ‘croce’ in pugno (e non piantata nella roccia del proprio cuore, come indicava Gesù) - comincia a portare la pace cattolico-romana nel mondo. Iniziano le Crociate e la Conquista. Il Dio lo vuole: tutti i popoli della Terra vanno portati nel gelo eterno - questo è il comando dei Papi e dei Concili, cioè delle massime espressioni dell’intelligenza astuta (quella del Dio di Ulisse e della vergine Atena, non del Dio di Giuseppe e di Maria) del Magistero della Chiesa, alle proprie forze armate... fino a Giovanni Paolo II, al suo cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e alla Commissione teologica internazionale, che ha preparato il documento “Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato”.

Uno spirito e un proposito lontano mille miglia, e mille anni prima di Cristo, da quello della “Commissione per la verità e la riconciliazione”, istituita in Sudafrica nel 1995 da Nelson Mandela, per curare e guarire le ferite del suo popolo. Il motto della Commissione bello, coraggioso, e significativo è stato ed è: “Guariamo la nostra terra”!

*

Si cfr.: Federico La Sala, L’enigma della Sfinge e il segreto della Piramide, Ripostes, Roma-Salerno 2001, pp.23-25.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/9/2013 09.04
Titolo:GESU' E "GESU"!!! Due note ....
"È significativo che l’espressione di Tertulliano: "Il cristiano è un altro Cristo", sia diventata: "Il prete è un altro Cristo"" (Albert Rouet, arcivescovo di Poitiers, 2010).

______________________________________________________________________

Gesù del messaggio evangelico

- Marco 7,31-37:

- Di ritorno dalla regione di Tiro, passò per Sidone, dirigendosi verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
- E gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano.
- E portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: «Effatà» cioè: «Apriti!».
- E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
- E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
"Gesù" del cattolicesimo-romano

***

James Joyce, Finnegans Wake:

"He lifts the lifewand and the dumb speak
- Quoiquoiquoiquoiquoiquoiquoiq"

"Egli brandisce la bacchetta della vita e i muti parlano
- Quoiquoiquoiquoiquoiquoiquoiq" *

Variazioni (mie, fls):

Quàquàquàquàquàquàquàquàquàq
Quoìquoìquoìquoìquoiquoiquoìq...

* Cfr.: James Joyce, Finnegans Wake, Libro Primo V-VIII, Oscar Mondadori, Milano 2001, pp. 195-195 bis.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/9/2013 09.40
Titolo:ROUSSEAU, KANT, E L'ASTUTA MEDIAZIONE DEL "MENTITORE" DEVOTO E ATEO
Liberali, laici e credenti

di Pawel Gaiewski

in “Riforma” - settimanale delle Chiese Evangeliche Battiste Metodiste e Valdesi - del 20 settembre 2013

Il carteggio Scalfari-Bergoglio è già entrato nella storia del pensiero contemporaneo e ho l’impressione che presto leggeremo un instant book contenente l’intera documentazione. Si tratta in ogni caso di un’operazione mediatica senza precedenti. È stato il fondatore del quotidiano La Repubblica con il suo editoriale del 7 luglio ad aprire il dibattito sull’enciclica Lumen Fidei . Dopo un mese esatto Eugenio Scalfari pubblicava nuovamente un testo particolarmente denso, ponendo «al papa gesuita» tre domande «da illuminista» circa la possibilità di salvezza di un non credente, l’assolutezza della verità e il concetto di Dio, inteso come proiezione della mente umana.

Le risposte del papa dovevano dunque arrivare e ovviamente i tempi sono stati calcolati perfettamente: la lettera è datata 4 settembre ed è stata pubblicata esattamente una settimana più tardi. Per dovere di cronaca è giusto segnalare che ad agosto c’è stato anche uno scambio epistolare tra il pastore Peter Ciaccio ed Eugenio Scalfari (si può leggere all’indirizzo Internet http://vociprotestanti . it/2013/08/11/la-risposta-di-eugenioscalfari- al-pastore-peter-ciaccio/).

La risposta di Francesco contiene elementi inediti per un papa ma ben elaborati da altre scuole del pensiero cristiano finora non molto apprezzate dal Vaticano: teologia femminista, teologia della liberazione, teologia del pluralismo religioso. Si tratta prima di tutto della problematizzazione dell’assolutezza della verità a favore della sua dimensione relazionale e del primato della coscienza individuale e di conseguenza della possibilità di salvarsi aperta a chi non crede o crede «diversamente». Entrambi gli argomenti nella teologia contemporanea sono oggetti di un dibattito che è ancora lontano da qualunque conclusione definitiva. La coscienza intesa nel senso della Critica della ragion pratica di Immanuel Kant è un tema caro anche a chi si professa agnostico o ateo.

Chi invece legge la lettera del papa attraverso la lente del pensiero protestante non può che apprezzare l’enfasi sull’amore salvifico e la chiara impostazione cristocentrica dell’intero ragionamento che rasentano i Sola Gratia e Solus Christus della Riforma.

La dimensione in cui bisogna collocare in ogni caso sia la lettera di Bergoglio a Scalfari sia l’enciclica Lumen fidei (redatta, di fatto, dalla coppia Ratzinger-Bergoglio) non è quella del confronto con il pensiero protestante. Il vero problema è l’illuminismo; l’enfasi sulla luce non è casuale.

Tra le pieghe di questo documento, precisamente nel paragrafo 14, il documento critica la celebre esclamazione contenuta nell’ Émile di Jean-Jacques Rousseau: «Quanti uomini tra Dio e me!». Ecco la frase con cui l’enciclica commenta il pensiero del filosofo illuminista: «A partire da una concezione individualista e limitata della conoscenza non si può capire il senso della mediazione».

Non mi sembra giusto attribuire a Rousseau «una concezione limitata della conoscenza» e ravviso in questo atteggiamento intellettuale una notevole distanza tra le posizioni protestanti e quelle di Ratzinger e Bergoglio. Qualunque forma di mediazione nel rapporto tra Dio e l’essere umano è stata respinta con forza dalla Riforma. Successivamente il motto ginevrino Post tenebras lux e il nostro valdese Lux lucet in tenebris sono stati elaborati in chiave illuminista, dando luogo a un cristianesimo dialogante e accogliente.

Grazie all’influsso del pensiero illuminista le nostre chiese si impegnano oggi per la totale neutralità confessionale dello Stato e delle sue istituzioni, invocando con convinzione gli stessi diritti e doveri per tutte le comunità di fede. In tutto questo siamo «orgogliosamente liberali», parafrasando il succo del discorso tenuto dal moderatore Eugenio Bernardini alla fine dell’ultimo Sinodo. Liberali e laici ma al tempo stesso credenti che annunciano con convinzione Gesù Cristo.

È una cosa che Scalfari e i cosiddetti laici italiani sembrano non comprendere. Scalfari nel suo articolo del 7 agosto (quello contestato dal pastore Peter Ciaccio) liquida il protestantesimo con la seguente definizione: «sette luterane che non hanno impedito la laicizzazione anzi ne hanno favorito l’espansione».

Nel suo commento alla lettera di Francesco, pubblicato il 12 settembre, pur citando l’inizio del Vangelo secondo Giovanni, il nestore del giornalismo italiano esprime una sorta di speranza quasi escatologica concentrata sulla persona di questo papa. Non metto in discussione che Francesco sia un ottimo pastore d’anime e un eccellente comunicatore. La sua empatia è profonda.

Mi preoccupa soltanto il Solus Franciscus che comincia a diffondersi dentro e fuori della Chiesa cattolica romana.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/10/2013 22.53
Titolo:VINCENZO PAGLIA E LA FAMIGLIA del Pontificio Consiglio ...
UN CONVEGNO IN VATICANO DENUNCIA LE FAMIGLIE “SINTETICHE”, «FRUTTO DI UNA SOCIETÀ MALATA»

Adista Notizie n. 34 del 05/10/2013

37314. CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Proprio mentre su Civiltà cattolica veniva pubblicata la lunga intervista a Bergoglio (vedi notizia su questo numero) nella quale il papa lascia intravedere non un aggiornamento della dottrina ma sicuramente un atteggiamento pastorale meno rigido e più inclusivo nei confronti di divorziati ed omosessuali, in Vaticano (dal 19 al 21 settembre) si svolgeva il Convegno internazionale “I diritti della famiglia e le sfide del mondo contemporaneo” durante il quale di quella prassi più accogliente non si è vista traccia. Anzi alcuni interventi – in particolare quelli di mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, e di Francesco D’Agostino, già presidente del Comitato nazionale di bioetica e ora al vertice dell’Unione giuristi cattolici italiani –, oltre a ribadire per filo e per segno i capisaldi dei «principi non negoziabili», hanno mostrato una durezza inusitata.

Mons. Paglia, auspicando la redazione di una Carta internazionale dei diritti della famiglia – sul modello della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 – ha messo in guardia contro gli «attacchi violentissimi» e le «usurpazioni» cui è sottoposta la «famiglia naturale» composta da un uomo e una donna, fondata sul matrimonio e finalizzata alla procreazione. Un allarme – ha precisato il presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia – a cui devono prestare particolare attenzione i Parlamenti e i governi, affinché i processi legislativi non siano inficiati «da pregiudizi ideologici» e «da lobbies che portano avanti interessi di parte». Non lo dice apertamente mons. Paglia, ma è indubbio l’altolà contro ogni tentazione di regolare giuridicamente le unioni civili, sia eterosessuali sia, soprattutto, omosessuali.

«Famiglia sintetica» è invece l’espressione coniata da D’Agostino per definire tutte le famiglie non tradizionali: «Un modo di pensare la famiglia che non è più in grado di percepirne la naturalità e l’universalità», ha detto l’ex presidente del Comitato di bioetica, «perché la percepisce unicamente come costruzione sociale». La famiglia sintetica non è un’unione solida che pensa al futuro, ma assomiglia «ad una macchina, assemblata in base a un progetto, ma le cui parti costitutive potrebbero, ad libitum, essere smontate e rimontate e comunque riutilizzate per costruire un altro meccanismo». «Quando i rapporti sintetici si estinguono – ha proseguito –, di essi può restar traccia nella memoria, individuale o collettiva, ma in essa soltanto; sotto ogni altro profilo della famiglia sintetica non resta nulla, perché di essa non deve restar nulla, perché è proprio per questo che essa è stata pensata e voluta».

Per illustrare meglio la sua idea di famiglia, D’Agostino ha scelto una metafora letteraria: «La mia tesi – spiega – è che la famiglia naturale ha una radice mentre quella sintetica ha una radice romantica», precisando però «che lo spirito romantico è uno spirito malato». «Il infatti – ha argomentato D’Agostino, che insegna anche alla Pontificia Università Lateranense di Roma, facendo ricorso a una serie di immagini ormai ampiamente superate anche dai manuali di storia della letteratura utilizzati dagli studenti delle scuole superiori – è amore per la luce, la serenità, l'ordine, il logos, la compostezza, l'autocontrollo, l’impegno, la fedeltà, la bellezza; non subisce il fascino, né meno che mai la tentazione dell’orrido; odia l'irrequietudine, la sproporzione, l'oscurità, la contraddizione, ogni forma di patetismo, l'irrazionalità, la stravaganza, il tradimento». Il romanticismo, ovviamente, l’esatto contrario. E di conseguenza la «famiglia sintetica», che è «intrinsecamente romantica», «non si fonda su di un progetto, ma sull’immediatezza dei sentimenti», ha detto il presidente dei giuristi cattolici. «Pensa al futuro come orizzonte indiscriminato di possibilità. E quando essa entra in crisi, non assume la crisi come negatività da fronteggiare e da riparare, bensì come apertura di nuove possibilità. La famiglia sintetica non percepisce la scansione dei tempi, né ama modellare o prendersi cura dei ruoli familiari», «le sue passioni si accendono improvvisamente e altrettanto improvvisamente si spengono. Esse hanno il fascino che possiede la sperimentazione pura, non vincolata a finalità predeterminate, completamente cangiante nelle forme e nelle tecniche. La sua identità è analogabile a quell’identità di genere, di cui tanto oggi si parla, che si determinerebbe attraverso impulsi interiori e che si manifesterebbe all’esterno solo nelle modalità, assolutamente non predeterminabili, che il soggetto decide occasionalmente di adottare».

Se questo è il quadro, la «famiglia sintetica non ha futuro e non può averlo», sentenzia D’Agostino che, dopo aver attraversato il ‘700 e l’800, si avventura anche nell’età «Si hanno rapporti con le prostitute, sosteneva Demostene, per soddisfare i propri bisogni sessuali; si hanno rapporti con le etere, per soddisfare le proprie esigenze relazionali; ma ci si sposa, egli concludeva, per avere figli». E «la famiglia sintetica non è in grado di elaborare né di essere espressiva di alcunché di analogo, per la semplice ragione che non tematizza l’esperienza della relazione uomo-donna né come strutturata, né come caratterizzata da durata, ma solo come mera evenienza fattuale». La famiglia sintetica, conclude D’Agostino – che come Paglia si preoccupa di chiudere ad ogni possibilità di riconoscimento giuridico –, coltiva «una duplice pretesa: quella di restare ai margini di ogni sistema ordinamentale e quella, ancor più radicale, di non costituire in nessun caso, essa stessa, un sistema».

La sintesi – ed è l’ultimo riferimento letterario del professore di diritto della Lateranense – è l’affermazione del conte di Suffolk nell’Enrico VI di Shakespeare: «“Beh, a scuola di diritto io sono sempre stato un allievo svogliato; non ho potuto mai piegare la mia volontà alla legge; e perciò piego la legge alla mia volontà”. Di qui il paradosso insolubile della famiglia sintetica: la sua pretesa di essere riconosciuta istituzionalmente, ma non come vincolo, bensì come espressione di libertà arbitraria e insindacabile. Riuscirà il diritto, che è nella sua struttura antiromantico, a difendere la naturalità della famiglia?». (luca kocci)

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Commenti Articolo 413

Titolo articolo : Appello per la dodicesima Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico del 27 ottobre 2013  ,di Comitato promotore

Ultimo aggiornamento: October/01/2013 - 23:58:54.

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Autore Città Giorno Ora
youssef salmi campagnola emilia 01/10/2013 23.58
Titolo:12° Giornata ecumenica del dialogo cristian-islamico
il Papa Giovanni Paolo II disse, non ci sarà pace nel mondo fin che non ci sarà pace in medio oriente... purtroppo non fu e non è ancora ascoltato.. continuiamo a creare guerre in quella culla delle religione e delle cultura.... speriamo che sorga presto la luce che ci aiuterà al risveglio

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Commenti Articolo 414

Titolo articolo : Papa Francesco e i preti-sposati : quale speranza ?  ,di p. Giuseppe dall’Abruzzo

Ultimo aggiornamento: September/30/2013 - 11:49:30.

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Autore Città Giorno Ora
Ernesto Miragoli Como 30/9/2013 11.49
Titolo:LA SPERANZA NON DELUDE
Caro Giuseppe,
grazie per quel che hai scritto.
La tua riflessione, articolata e profonda, induce molti di noi a pensare che lo Spirito, che soffia dove vuole, rinnovi la Pentecoste nella chiesa contemporanea anche per quanto attiene il tema del clero uxorato.
Anch'io spero in un'apertura almeno a livello di discussione del tema, anche con il nostro contributo. Ma non riesco a fondare la speranza su qualcosa di concreto. Al di là di tutte le qualità che hai elencato in papa Bergoglio (e che riconosco) non credo che vi siano spiragli di apertura, almeno a breve. Almeno per iniziare un dialogo. Sto cercando di informarmi sul suo comportamento in diocesi sia quando era vescovo ausiliare che vescovo titolare e non riesco ad avere informazioni che mi consentano di "sperare".
Però so che "la speranza non delude" e so che lo Spirito soffia dove vuole (e anche come e quando vuole) e in questo credo.
Ernesto Miragoli - Como

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Commenti Articolo 415

Titolo articolo :   I preti sposati europei chiedono un dibattito aperto sul celibato opzionale,

Ultimo aggiornamento: September/30/2013 - 11:40:21.

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Autore Città Giorno Ora
Ernesto Miragoli Como 30/9/2013 11.40
Titolo:sottoscrivo
Ho visto il messaggio della federazione europea.
Concordo con il tenore del testo.
Mi auguro che tale auspicio possa essere presto realtà
Ernesto Miragoli - Como

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Commenti Articolo 416

Titolo articolo : LA CHIESA E L'UOMO DELLA PROVVIDENZA. Che ne pensano i tanti cattolici “berluscones”? Un intervento di Mons Giuseppe Casale - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/29/2013 - 14:35:17.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/9/2013 10.55
Titolo:PER RICORDARE. Povero Cristo! (don Paolo Farinella, 2009)
Povero Cristo!

di Paolo Farinella*

- 5 novembre 2009
- Genova.

I giornali del giorno 5 novembre 2009, riportano la foto di Berlusconi che tiene in mano un Crocifisso, abbastanza grande. Le cronache dicono che glielo abbia dato il prete di Fossa, nell’ambito della consegna delle case.

Se c’è una immagine blasfema è appunto questa: colui che ha varato una legge incivile contro i «cristi immigrati», che parla di «difesa dei valori cristiani». Un prete che consegna il crocifisso a Berlusconi è uno spergiuro come e peggio di lui. Povero Cristo! Difeso da una massa di ladroni che non solo lo beffeggiano, ma lo crocifiggono di nuovo con la benedizione del Vaticano, che per bocca del suo esimio segretario di Stato, ringrazia il governo per il ricorso che presenterà alla Corte di appello di Strasburgo.

Possiamo dire che c’è una nuova «Compagnia di Gesù» fatta di corrotti, di corruttori, di ladri, di evasori, di mafiosi, di alti prelati còrrei di blasfemìa e di indecenza, di atei opportunisti, di cultori di valori e radic(ch)i(o) cristiani ... chi prepara la croce, chi le fune, chi i chiodi, chi le spine, chi l’aceto ... e i sommi sacerdoti a fare spettacolo ad applaudire. Intanto sul «povero Cristo» di nome Stefano Cucchi, morto per mancanza di «nutrizione e idratazione», da nessuno è venuta una parola di condanna verso i colpevoli di omicidio, nemmeno dai monsignori che hanno gridato «assassino» al papà di Eluana Englaro.

Povero Cristo, difeso dai preti come suppellettile e raccoglitore di polvere nei luoghi pubblici e da tutti dimenticato come Uomo-Dio che accoglie tutti e dichiara che sono beati i poveri, i miti, coloro che piangono, i costruttori di pace, i perseguitati, gli affamati! Povero Cristo, difeso dagli adoratori del dio Po e di Odino che ne fanno un segno di civiltà, mentre lasciano morire di fame e di freddo poveri sventurati in cerca di uno scampolo di vita. Povero Cristo, difeso dalla “minestra” Gelimini che trasforma il Crocifisso in un pezzo di tradizione “de noantri”, esattamente come la pizza, il pecorino, i tortellini. Povero Cristo, difeso da Bertone che lo mette sullo stesso piano delle zucche traforate.

Povero Cristo! Gli tocca ringraziare la Corte di Strasburgo, l’unica che si sia alzata in piedi per difenderlo dagli insulti di chi fa finta di onorarlo. Signore, pietà!

Guardando a quel Cristo che è il senso della mia vita di uomo e di prete, ho la netta sensazione che dalla sua comoda posizione di inchiodato alla croce, dica: Beati voi, difensori d’ufficio ... beati voi che ho i piedi inchiodati, perché se fossi libero, un calcio ben assestato non ve lo leverebbe nessuno.

[Domenica pubblico su la Repubblica/Il Lavoro di Genova un pezzo con argomenti pertinenti a favore della sentenza della Corte]

*Prete

Tratto da: facebook.com
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/9/2013 14.35
Titolo:AGGIORNAMENTO DELLA CHIESA .....
Le due rivoluzioni, aggiornamento della chiesa e riforma del papato

di Raniero La Valle (Rocca, n. 18 del 15 settembre 2013)

Cari Amici, dunque c’è una rivo luzione interrotta da riprende re. Non un sogno, perché un so gno interrotto è un incubo: si tratta di una rivoluzione. E se questo è il tema che dobbiamo sviluppare, vuol dire che questo deve essere un discorso programmatico. Come svegliare oggi questa rivoluzione? E dico oggi, «nun» come dice il greco di San Paolo, perché di tempo ne abbiamo poco, «nun», ora, il tempo si è fatto breve (1).

Però qualcuno di voi potrebbe dire: che bisogno c’è oggi di darsi da fare per riprendere la rivoluzione del Concilio, dopo che per cinquant’anni non siamo riusciti a farla, e anzi il Concilio è stato imbalsamato e sepolto nei sarcofagi, magari anche sfarzosi, della Chiesa? Che bisogno c’è di correre oggi dietro alla rivoluzione del Concilio, quando ormai è esplosa un’altra rivoluzione, quella di papa Francesco, che addirittura mette sotto inchiesta lo Ior, apre ai divorziati risposati, si rifiuta di giudicare i gay, e dice che se la donna non potrà diventare prete perché ormai Giovanni Paolo II ha chiuso d’autorità la questione, tuttavia senza le donne le Chiese diventano sterili, e in ogni caso Maria era più importante degli apostoli e dei vescovi?

due rivoluzioni invece di una

Se ragionassimo così, il Concilio ce lo potremmo anche scordare. Non guardate le cose antiche, ecco che io faccio una cosa nuova, sembra ancora una volta dire il Signore (2). Del resto il Concilio già era sulla via dell’archiviazione. Esso sembrava ormai caduto dal cuore della Chiesa, ed era caduto non solo dal cuore della Chiesa che lo aveva avversato e combattuto fino a fare uno scisma per ottenerne la revoca, come avevano fatto i lefebvriani, ma anche era caduto dal cuore della Chiesa cosiddetta conciliare. Anche la Chiesa conciliare dava infatti il Concilio Vaticano II come esaurito, al punto da invocare un Concilio Vaticano III. Basta ricordare la lucida disperazione del cardinale Martini.

Il papa poi che c’era prima di Bergoglio era così poco convinto del Concilio, che per celebrarlo 50 anni dopo dal suo inizio non trovò di meglio che unire i due anniversari, i 50 anni dal Concilio e i vent’anni dalla pubblicazione del catechismo della Chiesa cattolica, ciò che voleva dire mettere la catechesi del Concilio nella scansia dei catechismi papali e rovesciare l’autorità delle fonti facendo del catechismo il vaglio del Concilio, invece di fare del Concilio lo scrigno da cui far scaturire il catechismo, come peraltro è avvenuto almeno per il catechismo della Chiesa italiana.

Tuttavia c’è un altro modo di vedere le cose. Il Concilio Vaticano II non finisce nel catechismo del Sant’Uffizio, come avrebbe voluto il cardinale Levada; ma neppure la rivoluzione del Concilio è superata e resa obsoleta dalla rivoluzione di papa Francesco. Le due cose al contrario vanno insieme. Quella del Concilio può oggi riprendere, perché la rinunzia di Ratzinger al pontificato ha tolto le ganasce con cui esso era stato immobilizzato e messo fuori uso, e l’avvento di Bergoglio gli ridà vita; cosicché in effetti oggi abbiamo due rivoluzioni invece di una. E anzi credo che possiamo dire che l’evento del Concilio e l’avvento di papa Francesco non siano due avvenimenti che si succedono occasionalmente a distanza di mezzo secolo l’uno dall’altro, ma siano due momenti di uno stesso evento complesso che è la costruzione della Chiesa del III millennio; e forse potremmo dire, dato che siamo qui ad Assisi vicino a San Damiano, che sono due momenti della «ricostruzione» della Chiesa per il III millennio. Perciò dovremmo chiederci come mai è arrivato papa Francesco, nel momento di massimo trauma della Chiesa, quando la fiducia nei suoi confronti era arrivata ai minimi storici. Certo, c’è la provvidenza. Però io credo che l’elezione di Francesco non sia stata solo un’opera dello Spirito Santo, secondo una concezione magica del Conclave, ma sia stata un evento umano ecclesiale che la Chiesa stessa si è preparata e si è propiziata attraverso la lunga sofferenza e la lunga resistenza di questi cinquant’anni; credo che il pontificato di papa Bergoglio non sia solo un dono che abbiamo ricevuto per grazia, ma sia anche una conquista che ci siamo guadagnata per merito.

sarà vera rivoluzione?

Ma qui interviene la domanda: Quella di papa Francesco sarà vera rivoluzione? La sua teologia è molto cauta e la sua devozione assai tradizionale. Né la rivoluzione di Francesco sta nel fatto che bacia i bambini, lascia vuota la sedia del concerto di corte e viaggia con una borsa in cui c’è un libro il breviario e il rasoio. Questa non è vera rivoluzione. La rivoluzione, se rivoluzione ci sarà, starà nel fatto che l’azione di Francesco annunci e realizzi la riforma del papato, perché nella riforma del papato, se questa avverrà, si compirà la rivoluzione della Chiesa avviata dal Concilio. Concilio e papato, questo diventa perciò il nostro tema.

l’anello debole del concilio

Quale è stato infatti il punto di caduta, l’anello debole della catena che non ha permesso alla rivoluzione della Chiesa intrapresa dal Concilio di andare a buon fine?

L’anello debole è stato che è venuta a mancare la riforma del papato. La rivoluzione della Chiesa comportava che ci fosse la riforma del papato, ma questa riforma non c’è stata e anzi c’è stata una restaurazione; il Concilio, che non voleva passare per conciliarista, né voleva in alcun modo intaccare il primato petrino, non ha osato andare avanti nella costruzione della collegialità episcopale e nell’avvio di forme concrete di partecipazione dei vescovi, insieme col papa, all’esercizio del potere sulla Chiesa universale; su questo punto il Concilio è stato intercettato dalla Curia e dal papa, e si è fermato.

Eppure in molte altre cose il Concilio aveva potuto andare avanti ed esercitare la sua libertà, anche sul piano propriamente dottrinale; esso si era riscritto da sé gli schemi dei documenti conciliare, rifiutando quelli della Curia, aveva riletto la storia della salvezza negando la maledizione divina contro l’uomo dopo il peccato originale, aveva ristabilito la destinazione universale alla salvezza di tutti gli uomini avanti e dopo Cristo indipendentemente dall’appartenenza alla Chiesa visibile, lasciando cadere l’ «extra Ecclesiam nulla salus», aveva esaltato la tanto deprecata libertà religiosa e aveva contraddetto il magistero pontificio dell’800 sulla libertà politica, sullo statuto della scienza e sullo Stato moderno; ma sul papato il Concilio si era bloccato; anzi la restaurazione romana era cominciata già subito, durante il Concilio, con la «Nota explicativa prae via» che Paolo VI d’autorità aveva voluto che fosse aggiunta al capitolo III della Costituzione sulla Chiesa, a valere come sua interpretazione vincolante e autentica; poi c’era stata l’avocazione al papa da solo di temi come la contraccezione, il celibato dei preti, l’ordinazione delle donne; c’era stata la riduzione del Sinodo dei vescovi a organo puramente cerimoniale e consultivo, e poi c’era stato il grande ritorno del trionfalismo papale, del papa universale, del «papa santo subito» con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Ma la mancata riforma del papato non è stata solo una lacuna del Concilio; essa ha bloccato tutto il processo di aggiornamento della Chiesa del post-Concilio, ne ha frenato e svigorito la novità, ha tenuto aperta per decenni la questione lefebvriana, ha reintrodotto il rito latino nella Messa, rompendo l’unità vitale tra lex orandi e lex cre dendi.

La mancata riforma del papato ha messo oggettivamente i papi postconciliari in rotta di collisione col Concilio, indipendentemente dalla loro personale lealtà verso di esso; e anche quando i papi hanno voluto in buona fede attuare il Concilio, ne hanno gestito l’eredità con circospezione e disagio.

Paolo VI pensò addirittura che il diavolo ci si fosse messo di mezzo. Disse il 29 giugno 1972 nel giorno solennissimo di San Pietro, che mentre si era creduto che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa, era «venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza». Come era avvenuto? La sua idea era che ci fosse stato l’intervento di un potere avverso, preternaturale, il diavolo, «venuto nel mondo proprio per turbare, per soffocare i frutti del Concilio». Invece di irrompere la grazia, a seguito del Concilio, la sensazione del Papa era che «da qualche fessura fosse entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio». Questo disagio per il Concilio è poi continuato nella Chiesa.

una ricezione senza amore

L’esempio più eclatante è quello di Benedetto XVI che fin dal suo discorso alla Curia del 22 dicembre 2005, poco tempo dopo essere stato eletto, paragonò gli effetti prodotti dal Concilio a quelli di una batt aglia navale combattuta nel buio, di notte, senza esclusione di colpi. Poi ripeté questa cosa più estesamente parlando nel 2007, durante una vacanza in Cadore, con il clero delle diocesi di Belluno e Treviso. Pur esaltando la grande eredità del Concilio, Benedetto XVI stigmatizzò tutta la fase postconciliare facendo appello a San Basilio, che aveva paragonato la situazione della Chiesa dopo il Concilio di Nicea «ad una battaglia navale di notte dove nessuno più conosce l’altro, dove tutti sono contro tutti». L’idea era che anche dopo un grande Concilio, come era stato quello di Nicea, non c’era stata una situa zione di riconciliazione e di unità, ma una situazione realmente caotica di lite di tut ti contro tutti. E perciò non c’era da mera vigliarsi che così fosse stato anche dopo il Concilio Vaticano II; ma se il paragone funziona, allora si capisce perché papa Benedetto abbia aggiunto subito dopo che il Concilio dovesse essere assimilato nella sofferenza, e il termine usato per questa operazione fosse quello che si dovesse «di gerire» il Concilio.

Digerire il Concilio non significa amarlo. Significa assumerlo, non significa amarlo. Il Concilio non è stato amato e perciò non è stato nemmeno digerito, è rimasto sullo stomaco della Chiesa. E infatti a livello di Chiesa istituzionale la ricezione del Concilio è stata una ricezione senza amore. E questo è stato il problema. Perché come il Concilio era stato un grande atto di amore di Dio, della Chiesa, di papa Giovanni, dei padri conciliari, così una ricezione del Concilio senza amore non è possibile. In effetti una ricezione senza amore tende a ripristinare, con un rivestimento diverso, lo stato di cose passato, come se il Concilio non ci fosse stato. Così è avvenuto con la liturgia, con l’ecumenismo, con le religioni non cristiane, col tentativo fallito di mettere la Chiesa nella camicia di forza di una Lex Ecclesiae fun damentalis, con il catechismo e, almeno in Italia, con la politica, dove, venuto meno il partito cattolico, si è giunti a rivendicare una sorta di potestas directa in tempora libus, insofferente di «cattolici adulti».

la rinuncia di Benedetto XVI

Tutto ciò non è stato senza conseguenze. La ricezione contrastata del Concilio e alla fine la non riuscita restaurazione ratzingeriana hanno reso la Chiesa e la Curia romana non più governabili; ed è per questo che si è giunti alla drammatica rinuncia di Benedetto XVI, che è venuta così a porsi, dopo il Concilio, come il primo atto potente di una riforma del papato.

È grazie a questo atto di libertà e di coraggio di Benedetto XVI che oggi tutto può ricominciare. Perché c’è una lezione che si può trarre da tutta questa vicenda. E la lezione è questa: che non si dà riforma della Chiesa senza riforma del papato, ma nello stesso tempo non si dà riforma del papato se non è il papato stesso, insieme con tutta la Chiesa, a riformare il papato.

La Chiesa infatti, da sola non ce la fa. Storicamente la Chiesa, se non è il papa stesso a farlo, non riesce a riformare il papato. Il Vaticano II non ci è riuscito. E vero che c’è stato un inizio, perché il Concilio sulla questione della libertà religiosa e dei rapporti con la modernità ha rovesciato il magistero pontificio dell’800: ma questo il Concilio non l’avrebbe fatto, se non fosse stato il papa stesso, Giovanni XXIII, a revocare consapevolmente quel magistero papale scrivendo un’enciclica, la «Pacem in Terris», che si poneva all’opposto della «Mirari vos» di Gregorio XVI, della «Quanta cura» e del Sillabo di Pio IX e, sul punto della parità femminile, diceva il contrario del discorso di Pio XII alle ostetriche.

Però riguardo alla riforma del papato, il Concilio non è riuscito ad andare oltre l’affermazione di principio della collegialità; certo non era una cosa da poco e non era affatto scontata; ma poi nulla è cambiato per 50 anni, e quel principio è andato smarrito. perché la riforma del papato è necessaria per la chiesa A questo punto però dobbiamo farci un’altra domanda. Perché la riforma del papato necessaria per la riforma della Chiesa? È necessaria perché la Chiesa cattolica non sarebbe quale è oggi, se così non fosse stata plasmata e forgiata dal papato lungo tutto il secondo millennio cristiano. Non può esserci oggi una rivoluzione del Concilio, non può esserci una rivoluzione della Chiesa, se non si fanno i conti con un’altra rivoluzione che ha investito la Chiesa d’Occidente nell’XI secolo. Si tratta di quella che gli storici hanno chiamato la «rivoluzione papale», la prima delle grandi rivoluzioni della modernità, cioè la riforma di Gregorio VII (3). Essa aveva prodotto una Chiesa molto diversa da quella passata.

La riforma gregoriana del primo secolo dopo l’anno Mille aveva concepito un sistema per il quale il mondo interamente si risolvesse nella Chiesa, e la Chiesa interamente si risolvesse nel papa, e l’inedito divino fosse assorbito e dissolto nella potenza visibile della Chiesa e del papa, e la cattura del cielo fosse realizzata dall’egemonia del sacro sulla terra. La Chiesa veniva identificata come il supremo regno terreno, contrapposta al «secolo» che in tal modo veniva a costituirsi come tutto ciò che non è Chiesa e ad essa si sottrae, e il papato veniva costruito come un potere superiore ad ogni altro potere, cioè come potere sovrano ed unico sovrano. Su questa linea si poneva il «Dictatus pa pae» di Gregorio VII del 1075, che nelle sue 27 proposizioni stabiliva la superiorità del sacerdotium, faceva del romano pontefice il solo episcopus universalis, il solo che po tesse rivestirsi delle insegne imperiali e del quale i principi dovessero baciare i piedi, il solo che potesse deporre imperatori e ve scovi, il solo a essere santo d’ufficio per la partecipazione ai meriti di san Pietro. Sarà poi Innocenzo III, la figura dialettica di San Francesco, che farà del peccato la grande risorsa che dava il diritto al papa di esercit are il potere anche temporale sui principi terreni, appunto «ratione peccati», e che tenterà, nel IV Concilio lateranense del 1215 di stabilire un generale controllo del le coscienze con l’obbligo della confessio ne almeno una volta all’anno al sacerdote proprio di ciascuno, inteso come suo giu dice naturale; per giungere poi alla Bolla «Unam Sanctam» del 1302 di Bonifacio VIII, nella quale si diceva che la Chiesa non è un mostro con due teste, cioè Cristo e Pietro; a tutti gli effetti c’è Pietro vicario di Cristo e i suoi successori; e a quest’unico capo sono state date in affidamento non alcune, ma tutte le pecore; e non ci sono due poteri, uno temporale e l’altro spiritua le, ma un solo potere con due spade, una spirituale, l’altra temporale, ambedue in potestate Ecclesiae, di cui la prima deve es sere esercitata dal sacerdote, l’altra dalle mani dei re e dei soldati, ma agli ordini e sotto il controllo del sacerdote; e si stabili va che per la salvezza è assolutamente ne cessaria la sottomissione al Romano Pon tefice di ogni umana creatura. Nel Vaticano I si concludeva, con l’infallibilità, la messa in opera di questa gigantografia del papato, ma nello stesso tempo la si arginava, e si ammetteva che, fatto salvo il magistero infallibile, il resto era esposto al vento e anche agli errori della storicità; perciò lo stesso magistero ordinario, per quanto autorevole, risultava suscettibile di correzioni e di innovazioni: cioè anche il papato si può riformare. Papa Giovanni aveva cominciato a farlo. Può ora il papa Francesco riprendere l’opera e avviare seriamente la riforma del papato?

le prime risposte

Molte parole e gesti di questi primi cinque mesi di pontificato sembrano andare in questa direzione. E dico parole e gesti perché per papa Francesco gesto e parola sono una cosa sola; il Vangelo non è solo annunciato, è reso visibile, lo si fa toccare, come si faceva toccare Gesù, non meditando ma uscendo fuori della porta per andare ad abbracciare il corpo del fratello piagato, come si è visto nel gesto più eloquente di tutti, lo sbarco di Francesco nel porto dei clandestini di Lampedusa. Del resto come dice la «Dei Verbum» del Concilio la rivelazione di Dio si manifesta attraverso eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, svelano le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e spiegano gli eventi. Così fa papa Bergoglio. Quali sono le parole e i gesti di Bergoglio in cui si può rintracciare un preannuncio di una riforma del papato? Anzitutto, naturalmente, c’è stata la scelta del nome. Quello di Francesco rappresenta nella storia della Chiesa un nome che si è contrapposto a quello di papa Innocenzo III, richiamando a un modello alternativo di Chiesa; e dunque è un nome che allude a una Chiesa che ricomincia non dal potere, ma dal servizio, non dal sovraccarico dell’istituzione, ma dalla leggerezza della profezia. Poi c’è stata la scelta di presentarsi come vescovo di Roma, senza la mozzetta rossa e le altre insegne imperiali che i papi si erano portate dietro fin da Costantino; c’è stato il chinarsi al bacio del piede dei detenuti, la sera del giovedì santo, che riscattava l’antica pretesa del papa che a lui tutti i principi baciassero i piedi; c’è stato il bacio del piede della giovane reclusa dai lunghi capelli neri, che restituiva alla donna quel gesto di venerazione e di affetto che la peccatrice aveva compiuto bagnando di lagrime i piedi di Gesù, baciandoli e cospargendoli di olio profumato; con quel gesto il lontano successore di Pietro pagava il debito d’amore del suo maestro, di nuovo toccava il corpo di una donna finora sempre tenuto nascosto e temuto nella Chiesa. C’è stato poi, insistente, il mutamento d’accenti del papa nel parlare di Dio; un Dio che, come non si stanca di ripetere, è solo «fascinans» e non «tremendum», un Dio che sempre perdona e anzi che solamente perdona; un Dio che «giudica amandoci», come ha detto nella via Crucis al Colosseo.

Non un Dio che giudica e ama, come subito hanno tradotto i volgarizzatori che non si accorgono delle novità; perché que sto, di dispensare insieme amore e giudizio, lo faceva anche la Chiesa dell’Inquisizione; si tratta invece di un Dio in cui non c’è giudizio, perché l’amore è il giudizio: quello che il papa ha detto è che non c’è una misericordia accanto al giudizio ma, come pensava Isacco di Ninive, la misericordia stessa è il giudizio; e questa misericordia il papa l’ha imparata dai libri dei teologi non meno che dalle parole delle umili donne di Buenos Aires, come ha detto nel suo primo Angelus dalla finestra di una stanza che non è più la sua.

Tutti questi sono stati annunci di novità. Ma io qui vorrei soffermarmi su alcune enunciazioni e scelte fatte dal papa a Roma, a Lampedusa e in Brasile, che più mi sembrano contenere una promessa di cambiamenti istituzi onali sia riguardo alla Chiesa che al papato.

scelte che annunciano novità

La prima scelta è quella di abitare a Santa Marta. Non è una questione di povertà, ché anzi a Santa Marta si sta meglio che nel palazzo apostolico. Santa Marta non è certo il sasso che usava per dormire San Francesco a La Verna. La questione è di identità. Quando i due discepoli di Giovanni il Battista videro per la prima volta Gesù gli chiesero: dove abiti? Gesù rispose loro: venite e vedrete.

E dopo essere andati e aver visto dove abitava capirono che era il Messia (erano circa le quattro del pomeriggio, precisa l’evangelista Giovanni) e così cominciò la storia di Andrea e suo fratello Pietro al seguito di Gesù. Dunque l’abitare è rivelazione dell’identità. Essere l’inquilino del palazzo apostolico, come essere l’inquilino del Quirinale, o l’inquilino della Casa Bianca, identifica con il ruolo, la persona scompare. Non si dice più Ratzinger, Napolitano, Obama, si dice la Santa Sede, il Colle, la Casa Bianca. Abitare in albergo, sia pure entro le mura vaticane (di più oggi non si può fare) vuol dire invece essere uno dei tanti, avere il numero di una stanza, mangiare in sala da pranzo, e continuare a chiamarsi Francesco. Cioè non c’è l’istituzione che si identifica col Palazzo, c’è un uomo, un prete, un vescovo che fa il papa e va in ufficio al Palazzo. Sembra un parti colare da poco, ma cambia la percezione del papato.

E c’è un’altra conseguenza decisiva: ogni mattina il papa dice la Messa non nella sua cappella privata, ma nella cappella di Santa Marta, frequentata da ospiti e persone diverse, e tiene l’omelia, cioè ogni matti na il papa legge e spiega il Vangelo; e si è visto come le omelie di Santa Marta, di cui non esiste un testo ufficiale, sono tra le cose più belle del ministero di papa Francesco; non sono i discorsi pontifici, per leggere i quali bisogna pagare i diritti alla Libreria Editrice Vaticana, ma è il papa che apre il Vangelo e col suo popolo lo commenta, come faceva san Gregorio Magno con le sue «Omelie sui Vangeli» al popolo romano.

riforma della curia

La seconda scelta di papa Francesco che potrà avere un enorme impatto sul futuro modo di essere del papato, è naturalmente la scelta di riformare la Curia (con l’aiuto degli otto cardinali convocati a questo scopo) in modo che le strutture e i comportamenti della Curia assomiglino sempre più alle parole con cui viene descritto l’operare della Chiesa.

E se la parola è povertà, allora sempre più la Chiesa, e quindi anche la Curia, dovrà operare con mezzi poveri, fino al punto da chiedersi se davvero abbia bisogno di una banca, quando Pietro non aveva una banca, e, ricorda Bergoglio, per pagare le tasse a Cesare dovette andare a prendersi i soldi nella bocca di un pesce.

E se la parola è gratuità, allora non bisogna stare nella Chiesa per fare carriera, non bisogna pensare al proprio tornaconto, non bisogna avere «una mentalità da principi», e dovrebbero essere nominati vescovi proprio quelli che non vi aspirano e che non vorrebbero esserlo; e se il vescovo è sposo di una Chiesa, non dovrebbe tradirla con animo di bigamo, aspirando a diventare vescovo e sposo di una Chiesa più importante.

E se la parola è comunione, o addirittura collegialità, allora il Sinodo dei vescovi non dovrebbe essere un organo ornamentale consultivo, ma un istituto conciliare di cogoverno della Chiesa col papa.

la teologia dello scarto

Ma a che cosa deve servire questa riforma della Curia, a che cosa veramente deve servire la Chiesa? Qui c’è una scelta dirimente che, se sviluppata, è destinata ad avere decisive conseguenze istituzionali. È quella che deriva dalla piena consapevolezza, dichiarata dal papa in Brasile, che oggi non siamo in un’epoca di cambiamento, ma siamo a un cambiamento d’epoca. Ciò vuol dire un mutamento anche nel regime di incarnazione: perché se l’incarnazione è consistita, come dice il decreto «Ad Gentes» del Concilio, nel fatto che Dio, per realizzare tra tutti gli uomini una unione fraterna e stabilirli in comunione con sé, «decise di entrare in maniera nuova e definitiva nella storia umana inviando il suo Figlio a noi con un corpo simile al nostro», allora il passaggio da un’epoca a un’altra della storia umana cambia anche il modo in cui Dio è presente in questa storia, e anche la Chiesa non può avere più come orizzonte se stessa, così come si è pensata fin qui, ma il nuovo disegno di Dio per l’intera umanità.

E qui viene una indicazione preziosa, quando il papa pone sotto giudizio l’intera ideologia della globalizzazione, mettendola in conto alla cultura dello scarto. Il mondo di quest’epoca nuova non è concepito, non è pensato per tutti.

Esso è dominato dal denaro, che è selettivo. «Uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo: è la cultura dello scarto», ha detto Francesco il 5 giugno in piazza san Pietro; e più volte ha citato un midrash ebraico che, a proposito della torre di Babele, diceva che se si rompeva un mattone d’argilla tutti facevano un grande pianto, ma se un operaio cadeva dall’impalcatura e moriva, nessuno si preoccupava. Dalla torre di Babele a via Ottaviano, diceva il papa: «Se una notte d’inverno qui vicino, in via Ottaviano per esempio, muore una persona, quella non è una notizia. Se in tante parti del mondo ci sono bambini che non hanno da mangiare, quella non è una notizia, sembra normale. Se si rompe un computer è una tragedia, ma la povertà, i bisogni, i drammi di tante persone finiscono per entrare nella normalità». Ora questo non è un problema economico-sociale. Per il papa, per la Chiesa, è un problema teologico. La Chiesa esiste perché Dio è entrato nella storia umana per debellare la cultura dello scarto. C’era un solo popolo eletto, c’era una sola «gente santa» che grazie all’obbedienza alla legge era destinata alla salvezza. Gli altri erano scartati, gli altri erano i gojm, i pagani, i Gentili, gli esuberi, gli «esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio in questo mondo» (Ef. 2, 12).

E ciò veniva messo in capo a Dio stesso e attribuito alla sua volontà, all’economia di salvezza di un Dio visto come il grande Discriminatore, il grande spartitore. Per smentire e rovesciare questa ideologia della salvezza, questa teologia dello scarto, Dio si è fatto uomo e in tal modo, come dice la «Gaudium et Spes» si è unito in qualche modo a ogni uomo, senza scarti, né esuberi, né inferiorità femminili, né stranieri, né gay.

E allora è a questa salvezza non più scarsa da portare all’intera umanità che si devono attrezzare il papato, la Chiesa e le grandi religioni storiche nel nuovo dialogo tra loro.

chiesa e papato, mondo e popolo di Dio

Da qui allora derivano le altre scelte cui ha posto mano papa Francesco e che tutti insieme dobbiamo realizzare. Queste scelte dovrebbero rimettere in movimento i rapporti non solo tra il papato e la Chiesa, ma tra la Chiesa e il mondo, e tra il mondo e quello che in esso è il popolo di Dio.

Questo vuol dire rimettere il papa, la Chiesa, e il mondo dei fedeli al loro posto nell’ordine storico, cioè nell’ordine delle cose relative che è proprio della nostra condizione umana.

Come ha detto Francesco ancora ai vescovi brasiliani, c’è bisogno di una Chiesa che faccia spazio al mistero di Dio, e dunque non si sostituisca ad esso; ed anche il papa non è il sostituto di Dio, non è il Paraclito, ne è il testimone e l’inviato. C’è una parola decisiva che il papa ha detto sull’aereo parlando ai giornalisti. Questi lo interrogavano sui gay. Si era dunque vicini al terreno dei principi cosiddetti non negoziabili, ai temi bio-etici, su cui la Chiesa e i papi hanno avuto sempre la risposta pronta e irrevocabile. Ma, sorprendentemente, il papa ha detto: Chi sono io per giudicare una persona che è gay, che magari cerca il Signore e ha buona volontà?

I siti web fondamentalisti che sono furibondi con papa Francesco, subito hanno replicato: come, chi sei tu? Non sei tu il papa che ha le chiavi per aprire e chiudere il regno dei cieli?

Ma appunto, dicendo «chi sono io?», il papa ha rifiutato questa lettura materialista e fondamentalista della parola evangelica, ha fatto proprio il «non giudicare» di Gesù, e come si dice di Pietro con Cornelio negli Atti degli Apostoli, ha ripetuto con Pietro: alzati, anch’io sono un uomo. Per come si è costruito il papato romano negli ultimi secoli, è una rivoluzione copernicana.

magistero dei fedeli

Ma allora qui sopraggiunge il problema decisivo. Chi è il vero depositario del disegno di Dio per la salvezza del mondo? La Chiesa, certo, ma la Chiesa da Abele il giusto fino all’ultimo degli eletti, la Chiesa nella figura evangelica del gregge, e nella figura conciliare del popolo di Dio.

E qui c’è la vera novità di papa Francesco, che corrisponde a una potente intuizione biblica e che può avere grandi ricadute istituzionali. È la novità di considerare variabile la propria collocazione come pastore rispetto al gregge. Non basta «sentire l’odore del gregge», come deve fare la Chiesa la cui dimensione pastorale, come ha detto il papa ai vescovi brasiliani il 27 luglio scorso, «altro non è che l’esercizio della sua maternità». Bisogna anche chiedersi dove mettersi rispetto al gregge. Secondo una concezione tradizionale del papato, il problema neanche dovrebbe esistere: è chiaro che il papa, come supremo pastore che esercita la sua giurisdizione immediata e diretta su tutti i fedeli, deve stare alla testa del gregge, per guidarlo e condurlo sul buon sentiero.

Ma in una visione più ecclesiale, il papa si può mettere non alla testa, ma nel mezzo del gregge, per tenerlo unito, e ancor più, come papa Francesco ha detto prima a Roma ai Nunzi, poi a Rio de Janeiro ai vescovi, poi sull’aereo ai giornalisti, e ri pete sempre, si deve mettere dietro al greg ge perché nessuno si perda e soprattutto perché lo stesso gregge ha il fiuto per tro vare nuove strade; e dunque non il pasto re indica la strada al gregge, ma il gregge al pastore; è il gregge che guida; è questo il sensus fidelium, è questa la tradizione dei discepoli che si trasmette nella Chiesa non meno della tradizione apostolica; e qui di nuovo siamo nella visione di San Gre gorio Magno, che chiamava i fedeli «organ a veritatis», organi della verità e diceva loro: «So infatti che per lo più molte cose nella Sacra Scrittura che da solo non sono riuscito a capire, le ho capite mettendomi di fronte ai miei fratelli», e aggiungeva: «per voi imparo ciò che in mezzo a voi insegno, e con voi ascolto quello che dico».

Ed è qui che arriviamo ad affacciarci sulla nuova frontiera della Chiesa e del mondo di domani. C’è una tradizione apostolica che dai Dodici giunge fino a noi, da Pietro arri va al papa, e c’è una tradizione discepolare che dai discepoli di Emmaus, dal cieco nato, dalla donna peccatrice, dalle donne del se polcro vuoto, dal discepolo che Gesù amava giunge fino a noi; c’è un magistero dei ve scovi, e c’è un magistero dei fedeli; c’è un popolo di Dio che è, come la Chiesa, pater et magister, non solo impara, ma insegna; non profetano solo i dottori della legge, ma pro feteranno, come dice Gioele, i vostri figli e le vostre figlie (Gioele, 3, 1; Atti, 2, 17).

Del resto ci sono esperienze educative straordinarie che si sono fatte e si fanno nella società civile, che tanto più possono fiorire nella Chiesa. Unica, in essa, è la missione del popolo di Dio. In una relazione tenuta a Praga nell’aprile scorso, e pubblicata sul n. 14 de «Il regno-Attualità» 2013, il teologo Severino Dianich dice che «rispetto al dettato di Pio X, per il quale ’la moltitudine non ha altro dovere che lasciarsi guidare e seguire docilmente le direttive dei pastori’ (4)», il Vaticano II mostra «come al fondo della distinzione dei compiti ci sia una missione comune a tutti... Per evangelizzare, quindi, i fedeli non hanno bisogno di alcun mandato da parte dei vescovi, anzi ne hanno un nativo diritto e dovere. In questo compito essi non sono né puri esecutori, né collaboratori per mandato, dei pastori della Chiesa». Ciò, tra l’altro, «corrisponde al dato di fatto di tutta la grande tradizione delle Chiese nelle quali i laici, cioè gli sposi cristiani, non già i preti o i vescovi, hanno garantito per secoli la trasmissione della fede all’interno delle loro famiglie» (5).

Così i grandi temi dell’amore, del matrimonio, della vita, della morte, delle comunità e della politica, i nuovi temi della bioetica e i grandi temi universali del costituzionalismo democratico e dei diritti, che né i papi né le Chiese possono avocare al proprio esclusivo giudizio, sono rimessi nelle mani del popolo di Dio, lo stesso popolo che vive, lavora e veste panni nella società civile, gregge e pastori, cittadini ed eletti, genitori e figli, maestri e discepoli. Non popoli identitari, ma un solo e plurale popolo di Dio, non popoli sovrani, ma popoli liberi: la comunione tra gli uomini e degli uomini con Dio, che era proprio la rivoluzione che il Concilio voleva fare.

Raniero La Valle

Note

- (1) V. Raniero La Valle, «Come se Dio non ci fosse», relazione al corso di studi cristiani, Assisi, 23 agosto 2001.
- (2) Isaia, 43, 18-19.
- (3) V. Paolo Prodi, Una storia della giustizia, Il Mulino, Bologna 2000.
- (4) Pio X, lettera enciclica Vehementer nos dell’11 febbraio 1906.
- (5) Severino Dianich, La Chiesa dopo la Chiesa, «Il regno-Attualità» 14/2013.

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Commenti Articolo 417

Titolo articolo : ALLE RADICI DELLA BELLICOSA POLITICA DEL VATICANO. LA GUERRA NELLA TESTA DELLA GERARCHIA DELLA CHIESA CATTOLICO-ROMANA E L'INDICAZIONE 'DIMENTICATA' DI GIOVANNI PAOLO II. Una nota di Federico La Sala,a cura di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/28/2013 - 14:19:44.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/10/2011 09.53
Titolo:L'INDICAZIONE DEL QUEBEC .....
“La Chiesa mancherebbe al suo dovere di agire da «esperta in umanità» se non riconoscesse il posto delle donne”

dell’episcopato del Québec (1990)

in “www.comitedelajupe.fr” del 17 ottobre 2011 (traduzione: www.finesettimana.org)

Davanti a 1000 persone tra le quali i rappresentanti dell’Assemblea nazionale del Québec e di gruppi di donne, l’episcopato del Québec ha saputo fare un atto di pentimento. Preghiamo perché queste dichiarazioni dei vescovi del Québec nel 1990 possano ispirare le nostre Chiese d’Europa! (Comité de la Jupe)

«L’episcopato del Québec, in quest’anno che segna il cinquantesimo anniversario dell’ottenimento del diritto di voto delle donne in Québec, vuole celebrare, in un incontro di amicizia e di festa, questo avvenimento storico che ha riconosciuto alle donne del Québec il loro pieno diritto di cittadine. Questa festa avrà anche, diciamolo, una dimensione riparatrice poiché a quel tempo, l’episcopato e il governo avevano manifestato una lunga opposizione all’attribuzione di quel diritto. (...)

Quelle donne non sono sempre state riconosciute nel loro tempo. I loro inviti, spesso direttamente ispirati dal Vangelo, non sono sempre stati accolti con la necessaria disponibilità. A volte persino sono state frenate dalla diffidenza e dai pregiudizi dei loro capi politici e religiosi. Chi potrà raccontare le sofferenze di una Marguerite Bourgeois, desiderosa di portare l’istruzione alle Amerindiane nomadi, e alla quale Mons. de Saint-Vallier si è lungamente ostinato ad imporre il velo e la clausura? Quelle di una Marie Lacoste-Gérin-Lajoie, militante impegnata nella causa nazionale ed ecclesiale, ma alla quale i suoi capi spirituali tolsero il sostegno quando pretese di estendere alla sfera politica l’azione della Federazione nazionale San Giovanni Battista? (...)

Henri Bourassa e i vescovi dell’America del Nord (...) stigmatizzando il femminismo erano convinti di denunciare una pericolosa eresia. (...) Solo nel 1940 il Governo del Québec (...) si arrende alla fine agli argomenti delle donne. Ma si sente bene, nei commenti riservati dell’episcopato, che il femminismo vittorioso di quelle pioniere è ben lungi dall’essere riconosciuto come una forza positiva di cambiamento sociale. (...)

L’analisi femminista della storia e della tradizione cristiana (condotta nello specifico dalle teologhe) porta a volte scompiglio nelle nostre certezze e nelle nostre maniere secolari di vedere. Ma un numero sempre maggiore di teologi uomini si sentono solidali con il cammino delle donne e cercano di parteciparvi. Perché in questo procedere collettivo abbiamo acquisito la convinzione che la Chiesa, come la società, deve riconoscere il posto delle donne. Altrimenti si impoverisce essa stessa e manca al suo dovere di agire, secondo le parole di Paolo VI, come “esperta in umanità”. Questa convinzione ispira ampiamente la creazione, avviata dieci anni fa nelle nostre diocesi, di una rete di referenti per la condizione delle donne. E più recentemente, l’attuazione di forum diocesani di riflessione riguardanti il partenariato uomini-donne nella Chiesa.

Certo tutte queste donne che partecipano attivamente - spesso da volontarie - alla missione della Chiesa sono ancora troppo poco numerose. Ma soprattutto, il loro statuto nella Chiesa resta profondamente ambiguo. Ostacoli di ordine canonico, che dipendono per lo più dalla forza d’inerzia e dall’abitudine, dovranno essere tolti. Altri, molto più fondamentali, perché di ordine teologico, dovranno esser affrontati con umiltà e coraggio. L’universalità della Chiesa e la diversità delle culture che vi si trovano rappresentate non devono servire di pretesto per mantenere nella Chiesa, nei confronti della donna e della sua missione, una posizione minimalista. Posizione che, se incontra ancora qualche indulgenza storica presso una minoranza di cristiane, viene sempre più considerata un anacronismo, se non un ostacolo insormontabile, presso le credenti della generazione successiva. (...)

Non ce lo nascondiamo: è ad un’autentica conversione evangelica che siamo chiamati. Si tratta per tutti noi, credenti del Québec, di andare incontro allo Spirito che riconosciamo all’opera nelmovimento di affermazione delle donne, che caratterizza questo ultimo decennio del nostro secolo.

Vogliamo contribuire, come segno di riconciliazione e di pace, alla realizzazione del progetto di Dio sulla coppia umana, che si estende non solo alla famiglia, ma anche alla società e alla Chiesa. (...) “Obbedire, è anche resistere”. Resistere al venir meno della speranza di vedere un giorno abolite tutte le disuguaglianze, riconosciute tutte le competenze, realizzata finalmente la giustizia tra uomini e donne, nella Chiesa come nell’intera società. (19 aprile 1990)

Tratto da: Mons. Gilles Ouellet, “Messaggio del presidente dell’Assemblea dei vescovi del Québec in occasione del 50° anniversario dell’ottenimento del diritto di voto delle donne in Québec”, Assemblea dei vescovi del Québec, 1990. Recueil de Gonzague J.D.

Voir le texte complet.

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Il Québec, laboratorio della modernità? (2)

di Jean-François Bouchard

in “www.baptises.fr” del 16 ottobre 2011 (traduzione: www.finesettimana.org)

La storia del cattolicesimo e dei cattolici nel Québec degli ultimi cinquant’anni è ricca e complessa. Per motivi di sintesi, ci limiteremo qui a tre punti di vista, che sono rivelatori di quanto è avvenuto in questo paese. Analizzeremo la questione del posto delle donne e del femminismo nella configurazione ecclesiale; poi vedremo il percorso degli intellettuali all’interno della Chiesa; infine affronteremo il fallimento dei nuovi movimenti nel rinnovare il tessuto della comunità.

1. Il posto delle donne e del femminismo

Non si può capire nulla del Québec contemporaneo se non si valuta l’importanza dell’emancipazione femminile e della cultura femminista nella costruzione sociale. Poche società occidentali hanno fatto entrare fino a questo punto il dato dell’uguaglianza dei sessi e dell’importanza della promozione delle donne in tutte le sfere della collettività.

Siamo passati in trent’anni da una società patriarcale nelle sue istituzioni sociali (e matriarcale nello spazio domestico) ad una società nella quale l’uguaglianza è un’esigenza di tutti i momenti. Certo, niente è perfetto, e soprattutto niente è mai del tutto acquisito. Ma, oggi, i progressi oggettivi renderebbero difficili i tentativi di far fare dei passi indietro. Questo dato di fatto ha avuto due conseguenze tra i battezzati.

La prima è stata una diserzione massiccia delle donne dalla Chiesa e dalle chiese. Per un gran numero di donne che oggi hanno più di 70 anni era diventato inimmaginabile trasmettere il cattolicesimo ai loro figli, e alle loro figlie in primo luogo, tanto l’istituzione era subito apparsa loro passatista, sessista e maschilista. Ci sono state persone che lo hanno proclamato a voce alta. Tuttavia, la maggior parte ne ha preso atto senza rumore, allontanandosi de facto da una Chiesa che rappresentava ormai un elemento nocivo nell’educazione all’emancipazione. In conseguenza di ciò, molte persone della mia generazione (io ho 50 anni) sono cresciute nel silenzio domestico su Dio e sulla Chiesa.

La seconda conseguenza del femminismo è stata la sua influenza diffusa all’interno stesso della Chiesa del Québec. Infatti, benché un gran numero di donne abbiano disertato la Chiesa a partire dagli anni ’60, molte sono però rimaste, motivate dalle riforme nate dal Concilio. E queste donne, molte delle quali hanno, a partire da quel periodo, invaso le facoltà di teologia e di scienze religiose, hanno sviluppato una riflessione nuova che ha introdotto il femminismo nella teologia e nell’ecclesiologia. Negli anni ’70 e ’80 un certo numero di vescovi hanno prestato attenzione a questo, e alcuni di loro hanno preso delle decisioni d’avanguardia nominando delle donne a funzioni riservate fino ad allora a degli uomini (ordinati, evidentemente).

Meglio ancora, i vescovi del Québec hanno promosso la questione femminile presso le istituzioni romane, e nei sinodi. Cosa che è valsa loro a volte di essere ridicolizzati, non tanto da prelati romani, quanto da confratelli francesi! Questa dinamica felice col tempo si è indebolita. Perché da parte della Chiesa universale sono venuti in risposta pochi segni di evoluzione. Perché il discorso ufficiale si è a poco a poco riclericalizzato. Da una quindicina d’anni, domina nettamente la sensazione di blocco. Ciò detto, bisogna ricordare che le organizzazioni fondamentali della Chiesa, in particolare le parrocchie, non vivrebbero oggi senza l’apporto delle donne. Senza il loro impegno, la Chiesa del Québec sarebbe in brevissimo tempo una conchiglia vuota.

2. Il percorso degli intellettuali

Come le femministe, una forte percentuale di intellettuali del Québec si è allontanata dalla Chiesa a grande velocità dall’inizio della Rivoluzione tranquilla. Ma anche in questa categoria certi sono rimasti. Il Concilio ha svolto un ruolo di motivazione. Molti vi hanno visto la porta aperta ad un dialogo con la modernità, e quindi, ad un contributo delle scienze umane al pensiero cristiano. Come altrove, le facoltà di teologia e i centri di formazione hanno dato ampio spazio allasociologia, alla psicologia, alla pedagogia... Il campo dei possibili appariva vasto, senza limiti. Dei battezzati, uomini e donne, hanno creduto possibile partecipare a pieno titolo alla riflessione della Chiesa.

In Québec, il segno più forte di quella speranza è stato lo svolgimento di una commissione di inchiesta sui laici e sulla Chiesa, istituita dall’episcopato, e presieduta dal sociologo Fernand Dumont, uno dei massimi intellettuali del secolo. I lavori della commissione hanno permesso di affrontare tutte le questioni del momento, e di condurre una riflessione molto articolata in un dialogo franco ed esigente.

Fino alla metà degli anni ’80, la riflessione comune “dei battezzati e della gerarchia” è stata portata avanti dall’episcopato. I vescovi del Québec sono stati a lungo riconosciuti per l’audacia di cui davano prova nei testi che pubblicavano su questioni sociali, culturali e religiose. I messaggi annuali del 1° maggio hanno alimentato la riflessione delle parti sociali a diverse riprese. In quel contesto, degli intellettuali sono stati motivati ad alimentare la riflessione, spinti dalla sensazione di contribuire tanto all’edificazione del pensiero credente che al dibattito sociale.

Dobbiamo constatare che anche questo bello slancio è venuto meno. Tra le altre cose per il fatto che i vescovi sono stati seriamente occupati dalla crisi del declino istituzionale che devono affrontare (diminuzione del clero, chiusura di parrocchie, deficit finanziari...). Ma anche perché il discorso istituzionale cattolico si è ricentrato sulla dottrina e sull’affermazione identitaria. I luoghi di dialogo con la modernità diventano rari. E poche persone ne vedono la pertinenza per la credibilità del cristianesimo. Cosicché si assiste ad un secondo esodo dei cervelli in cinquant’anni. Questo è grave per il futuro del cristianesimo in questo paese.

3. I nuovi movimenti religiosi

Come in quasi tutte le Chiese occidentali, l’influenza dei movimenti evangelical ha preso la forma del “Rinnovamento carismatico” presso i cattolici di qui. Il Rinnovamento ha riunito migliaia di persone. È arrivato a riunire 70 000 persone allo Stadio olimpico di Montréal nel 1970! La forza di un tale movimento ha lasciato tracce in certe Chiese in vari paesi del mondo, sono nate delle “comunità nuove”. La cosa che sorprende, è che (quasi) niente di simile è avvenuto nel Québec. Il “soufflé” è lievitato in maniera spettacolare. E si è afflosciato in modo altrettanto sorprendente.

Mentre si sarebbe potuto credere che sarebbe stato una fonte di rivitalizzazione del cattolicesimo di qui, ne sono derivate poche cose. Certo, ci sono state alcune comunità nuove che continuano a vivere in alcune zone del paese. Ma non hanno nulla a che vedere con la creazione di un nuovo tessuto sociale portatore di un futuro significativo per il cattolicesimo del Québec.

Per ragioni difficili da spiegare, poco di quanto è avvenuto dopo il Concilio, e dopo la Rivoluzione tranquilla, ha portato frutti durevoli per un avvenire possibile.

La Chiesa in Québec si trova oggi in uno stato di grande fragilità. Molti battezzati, pure motivati a vivere sinceramente la loro fede, si trovano smarriti. I luoghi dove ritrovarsi diventano rari. E l’Istituzione sembra spesso più occupata a “gestire la decrescita” che ad aprire la porta alla speranza.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/3/2012 21.32
Titolo:Nel terzo millennio le religioni dovrebbero andare in analisi ...
Se la responsabilità delle religioni monoteiste è particolarmente grave per l’immagine anche non raffigurata di una divinità di fatto maschile, più precisa è quella dei cristiani ...
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8 marzo 2012, ancora streghe

di Giancarla Codrignani (“Adista” - Segni Nuovi, - n. 10, 10 marzo 2012)

A Bologna, un islamico osservante ha sentito «impuro» il proprio rapporto con una donna cristianoortodossa e ha tentato di decapitarla «come Abramo fece con Isacco» (la donna, un’u-craina di 45 anni, se la scampa, rischia di ritrovarsi paraplegica).

Non è solo un caso di fondamentalismo maniacale. In questi giorni, si apre a Palmi un processo di stupro che testimonia il persistere italico della maledizione di Eva: a San Martino di Taurianova una bambina di 12 anni (che oggi ne ha 24 e vive sotto protezione perché alcuni dei persecutori che ha denunciato erano mafiosi) per anni è stata considerata da tutto il paese la colpevole degli stupri di gruppo, delle violenze e dei ricatti subiti e anche il parroco a cui aveva tentato di confidarsi giudicava peccatrice una dodicenne violata che solo la penitenza poteva redimere. Sembra incredibile, ma nella santità delle religioni albergano tabù ancestrali che gli studi antropologici e le secolarizzazioni non sono riusciti a eliminare. Sono i tabù peggiori perché responsabili dei pregiudizi sessuofobici e misogini che, sacralizzati, hanno prodotto, nel nome di dio, discriminazioni e violenze.

Nel terzo millennio le religioni dovrebbero andare in analisi e domandarsi quanto la sessuofobia e la misoginia insidino nel profondo la loro possibilità di futuro. Il concetto di “purezza” che ha represso, nell’ipocrisia mercantile e proprietaria dei valori familiari, milioni di ragazze non è nato certo dalla scelta delle donne. Alla Lucy delle origini, mestruata e responsabile della riproduzione, non sarebbe mai venuto in mente di sentirsi sporca o colpevole. Forse percepiva già come colpa, certo non sua, la violenza che connotava la bassa qualità di molte prestazioni maschili. Tanto meno, quando si fosse inventato il diritto, avrebbe distinto i “suoi” figli in legittimi o illegittimi. Eppure si continua a credere che la mestruata faccia ingiallire le foglie e inacidire il latte; in Africa, in “quei giorni”, è confinata in capanne speciali per non contaminare le case; a Roma Paolo la voleva velata e zittita, mentre i papi, forse senza sapere perché, le hanno vietato di consacrare. Siamo ancora qui, a fare conti sul puro e l’impuro e a ripetere il capro espiatorio nel corpo di qualche altro Isacco per volere di qualche Abramo che credeva di interpretare Dio, di qualche altra Ifigenia proprietà di Agamennone padrone della sua morte.

Noi donne non siamo certo migliori degli uomini, ma nelle società maschili permangono residui di paure che neppure Darwin ha fatto sparire. I responsabili delle religioni che intendono salvare la fede per le generazioni future debbono purificarle dalle ombre del sacro antropologico: il papa cattolico deve non condannare, bensì accogliere come servizio di verità nelle scuole un’educazione sessuale che dia valore all’affettività non solo biologica delle relazioni fra i generi e al rispetto delle diverse tendenze sessuali; l’islam che fa imparare a memoria fin da piccoli le sure del Corano, si deve rendere conto che i tabù violenti producono strani effetti se un uomo si sente un dio punitore davanti a donne-Isacco; i rabbini dovrebbero fare i conti con Levy Strauss e smettere di chiedere autobus separati per genere e di insultare le bambine non velate; in Cina e in India non si deve perpetuare l’insignificanza femminile trasferendo gli infanticidi delle neonate alla “scelta” ecografica, mortale solo per le bimbe. Sono tutte scelte di morte. Per ragioni di genere.

Ma, se la responsabilità delle religioni monoteiste è particolarmente grave per l’immagine anche non raffigurata di una divinità di fatto maschile, più precisa è quella dei cristiani. Si è detto infinite volte: perché il nostro clero, ancora così pronto a chiedere cerimonie riparatrici per spettacoli che non ha visto, non pensa ad evangelizzare i maschi invece di sospettare costantemente peccati di cui non può essere giudice, condannato com’è al masochismo celibatario per paura della purezza originaria della sessualità umana?

C’è un salto logico - certamente non illogico per le donne che stanno leggendo i pezzi sull’8 marzo - ma anche la società civile persevera troppo nel negare rispetto al corpo delle donne: i tre caporali del 33esimo reggimento Acqui indagati per lo stupro di Pizzoli (L’Aquila) sono rientrati in servizio nei servizi di pattugliamento del centro storico nell’ambito dell’operazione “Strade Sicure”...
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/8/2012 13.52
Titolo:Femminicidio, questione maschile e Chiesa ...
Siamo alla violenza di genere? Femminicidio, questione maschile e
Chiesa

di Andrea Lebra (Settimana, n. 31, 2 settembre 2012)

Caro Direttore,

secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la prima causa di uccisione nel mondo e in Europa delle donne tra i 16 e i 44 anni è l’omicidio da parte di persone conosciute. Nel nostro Paese non trascorre settimana senza che i mass-media diano notizie di donne assassinate da congiunti stretti o, comunque, nell’ambito familiare.

Dall’inizio del 2012 al momento in cui vengono stese queste note, 73 risultano essere le vittime. Nel 2011 le donne assassinate in Italia sono state 120 (58 al Nord, 21 al Centro, 30 al Sud e 11 nelle isole). Nel 2010 se ne sono contate 127 e 119 nel 2009. Nel 2008 sono state 112 e 107 nel 2007. In media, dunque, più di due femminicidi alla settimana. L’ultima vittima, in ordine di tempo, si chiamava Maria Anastasi, 39 anni, siciliana, madre di tre figli, al nono mese di gravidanza, presa a picconate e data alle fiamme dal marito il 5 luglio nella campagna di Trapani.

Scorrendo le storie delle donne assassinate c’è da rimanere sbigottiti, anche solo nel prendere atto delle modalità con le quali il delitto è stato perpetrato: accoltellata, strangolata, soffocata, uccisa a pugni, picchiata a morte, bruciata viva, sgozzata, buttata dal balcone, presa a martellate, colpita con un’arma da fuoco... I nomi, l’età, le città cambiano. Le storie invece si ripetono: sono per lo più gli uomini più vicini alle donne a ucciderle. Gli organi di stampa parlano di omicidi passionali, di storie di raptus, di amori sbagliati, di gelosia, di follia omicida, ingenerando nell’opinione pubblica la falsa idea che i crimini vengano per lo più commessi da persone portatrici di disagi psicologici o preda di attacchi di aggressività improvvisa.

In ambito sociologico, criminologico e antropologico, da un po’ di tempo è stato coniato un neologismo per descrivere il fenomeno: femminicidio (o femmicidio). Un termine inventato per indicare l’omicidio della donna in quanto donna, ovvero l’omicidio basato sul genere. Secondo i criminologi, la “colpa” delle vittime del femminicidio è fondamentalmente quella di aver trasgredito al ruolo ideale di donna imposto dalla tradizione e da certa cultura che continua a non accettare che uomo e donna sono ontologicamente uguali e radicalmente differenti.

Ne ha dato una definizione compiuta l’antropologa messicana Marcela Lagarde: “Femminicidio è la forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine - maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, lavorativa, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria, istituzionale - che comportano l’impunità delle condotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all’insicurezza, al disinteresse delle istituzioni e alla esclusione dalla sviluppo e dalla democrazia”.

Un termine che qualcuno ha criticato, ma che è stato utilizzato anche dall’inviata dell’ONU, nel rendere noto, pochi giorni fa, il primo rapporto sul femminicidio (appunto) in Italia. Rashida Manjoo ha definito “grave e insostenibile” la situazione. “Queste morti - ha affermato - non sono incidenti isolati che arrivano in maniera inaspettata e immediata: sono l’ultimo efferato atto di violenza che pone fine a una serie di violenze continuative nel tempo. La gran parte di violenze non è denunciata perché non è sempre percepita come un crimine”.

Il rapporto dell’Onu mette sotto accusa la cultura patriarcale ed evidenzia come l’origine di questa forma di violenza, fuori e dentro la famiglia, sia imputabile al persistere, in taluni soggetti maschili, del bisogno ancestrale di esercitare dominio sulle donne, considerate oggetti e non soggetti. Rashida Manjoo, nel valutare ciò che l’Italia sta facendo per porre rimedio ad un dato così allarmante, è piuttosto severa: stigmatizza come “non appropriate” le “risposte” dello Stato italiano, ed arriva a definire il femminicidio “crimine di Stato” perché di fatto “tollerato dalle pubbliche istituzioni”. Vale la pena ricordare, in questi giorni di tagli e di spending review, quanto ancora affermato dalla relatrice speciale ONU contro la violenza sulle donne: “L’attuale situazione politica ed economica dell’Italia non può essere utilizzata come giustificazione della violenza su donne e bambine in questo Paese”.

Il problema, molto serio, dovrebbe essere affrontato a più livelli, soprattutto nei luoghi della formazione e dell’informazione. Siamo, infatti, indubbiamente di fronte ad una nuova e irrimandabile “questione maschile” che, in verità, rimane ancora da comprendere nel suo significato più profondo, a livello sociale, culturale ed etico.

La cultura in mille modi rafforza la concezione per cui la violenza maschile sulle donne è un qualcosa di naturale: un messaggio devastante alimentato da una proiezione permanente di immagini, dossier, pubblicità che legittimano la violenza. Si ha l’impressione che, soprattutto in certe zone dell’Italia, persistano attitudini socioculturali inclini a “condonare” la violenza domestica. Forse è proprio da questo dato allarmante che bisogna partire per prevenire e contrastare il femminicidio.

Inutile dire che di passi avanti in questi ultimi anni ci sono stati. L’attenzione alla protezione delle donne che decidono di uscire da situazioni di violenza è sempre maggiore. Tuttavia troppe sono ancora le donne ammazzate perché è carente una reazione collettiva forte ad una cultura assassina, che riporta in auge pregiudizi e stereotipi antichissimi legati alla virilità, all’onore, al ruolo degli uomini e delle donne nella coppia e nella società.

Per sconfiggere la cultura androcentrica e patriarcale è necessaria una più ferma presa di posizione netta da parte di tutte le persone responsabili fortunatamente presenti nelle istituzioni e nella società. La violenza nei confronti delle donne deve essere considerata socialmente inaccettabile. Le nostre città devono distinguersi per come scelgono di prevenire e contrastare la violenza contro le donne e non per l’inerzia o la stanchezza con le quali, tacendo, finiscono di fatto con l’assecondarla. In questo contesto il ruolo della Chiesa è (dovrebbe essere) di assoluta importanza.

Ed allora mi chiedo e le chiedo, caro direttore: perché questo argomento non è quasi mai affrontato in ambito ecclesiale? perché la tutela della dignità della donna è per lo più ritenuta di competenza di specifiche organizzazioni sociali femminili? perché il tema della violenza domestica o dello sfruttamento sessuale della donna viene sistematicamente ignorato a livello di pastorale ordinaria? perché i presbiteri, nelle loro omelie, preferiscono per lo più “glissare” su argomenti così scabrosi? perché le nostre comunità sembrano impreparate a ripensare con coraggio la questione di genere, con una sguardo che non si fermi alla sola “questione femminile”, ma affronti anche il grande tema rimosso della “mascolinità!”?

Educare alla vita buona del vangelo non andrebbe declinato anche al femminile, se non altro per prendere atto che società civile e mondo ecclesiale hanno un debito nei confronti della donna e molto da farsi perdonare? E’ sufficiente riempirsi la bocca di proclami sulla raggiunta parità delle donne e, davanti al grido e all’urlo degli abusi compiuti a loro danno, rinunciare ad aggredire il male alla radice, non sapendo fare altro che limitarsi ad invocare misure repressive più incisive?
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/11/2012 18.58
Titolo:LA NUOVA ALLEANZA è UN «patto» (per una Chiesa e) un Paese davvero civile
Un «patto» per un Paese davvero civile

di Vittoria Franco (l’Unità, 26.11.2012)

QUEST’ANNO SIAMO ARRIVATI ALL’APPUNTAMENTO CON IL 25 NOVEMBRE, GIORNATA INTERNAZIONE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE, CON IL PESO DI 113 FEMMINICIDI DALL’INIZIO DEL 2012. Un peso insostenibile e un dramma intollerabile per un Paese civile. Le azioni possibili per affrontare e combattere questo fenomeno sono molte, e noi donne del Pd le elenchiamo spesso: ratificare subito la Convenzione di Istanbul contro la violenza domestica e sulle donne, investire sui centri antiviolenza, fare prevenzione, approvare le nostre proposte, da tempo depositate in Parlamento, per realizzare tutto questo. Ma il cambiamento necessario è di natura culturale, ne siamo consapevoli. Le donne italiane, con il loro traguardo di un peso specifico sempre più alto nella società, fondato sul successo nella scolarizzazione e nelle professioni e sulla fatica di interpretare sempre il welfare complementare, stanno mettendo in discussione l’ordine costituito, ma senza reale riconoscimento della loro dignità, del loro valore e del loro potere.

È per questo che serve un «patto» per un nuovo mondo comune. Patto fra uomini e donne che sono e si considerano pari. Un nuovo orizzonte anche per costruire un esito positivo della crisi economica. A differenza del contratto classico, il patto per un nuovo mondo comune viene stipulato espressamente fra donne e uomini e indica un orizzonte di conquiste da realizzare su un terreno diverso rispetto al passato, perché presuppone il contesto di una nuova cultura della convivenza, basata sull’eguale riconoscimento reciproco di libertà e dignità.

Patto per che cosa? Per condividere il potere in ogni settore di attività: nella rappresentanza istituzionale, sul mercato del lavoro e nelle carriere; per affermare una rappresentanza eguale nei luoghi in cui si assumono le decisioni; per condividere il lavoro di cura e la genitorialità, per realizzare la parità salariale. Insomma, per dare gambe e realtà al principio della democrazia paritaria. Tutto questo vuol dire ricontrattare i ruoli, scardinare la dicotomia tra sfera pubblica e sfera privata che si è creata all’origine dello Stato moderno e che si definisce in base a ruoli predefiniti dei due generi.

Noi stiamo mettendo in discussione questo racconto archetipico per costruire una nuova storia, che racconta di un processo di democratizzazione nel quale l’uomo e la donna divengono «cofondatori» della cittadinanza universale stringendo un patto di non discriminazione, fondato sulla valorizzazione e il rispetto delle persone, delle competenze, del saper fare. Patto vuol dire allora, ad esempio, che il rispetto del corpo femminile entra nel lessico e nell’educazione. Patto significa che le donne cedono più spazio agli uomini per la cura familiare e gli uomini più spazio pubblico alle donne (e i congedi paterni obbligatori della legge Fornero, anche se da estendere, vanno in questa direzione). Insomma, il patto va insieme con la giustizia di genere e non solo più con la giustizia sociale. Cominciamo a parlarne.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/9/2013 14.19
Titolo:«Religioni e sessualità». Tesi non convincenti di teologi su “confronti”
Tesi non convincenti di teologi su “confronti”

di David Gabrielli

in “confronti” - il mensile di fede politica e vita quotidiana - n. 10 dell’ottobre 2013

H o letto con particolare interesse il numero monografico di settembre di Confronti , curato dal sempre solerte Brunetto Salvarani e dedicato quest’anno al tema «Religioni e sessualità». Ho trovato assai stimolanti molti dei contributi che l’arricchiscono. Qui, a quattro di essi (dedicati, si potrebbe dire, a «Cattolicesimo e sessualità»), vorrei esprimere una mia opinione, assai critica, su alcune tesi. Concordo pienamente con Giancarla Codrignani, quando tra l’altro afferma: «Il nuovo catechismo [della Chiesa cattolica, varato da Giovanni Paolo II nel 1992] unifica - parr. 2351-57 - adulterio, masturbazione, omosessualità, prostituzione e stupro, mostrando totale ignoranza di ciò di cui intende fare dottrina». Mi ritrovo, poi, abbastanza, nelle riflessioni di Luca Zottoli su «Il Concilio Vaticano II e la sessualità»; mi pare invece indifendibile quanto lo stesso autore, docente di teologia morale a Modena, afferma ne «Il dibattito sulla Humanae vitae fra dottrina e vita quotidiana», cioè sull’enciclica con cui Paolo VI, nel 1968, dichiarava immorale la contraccezione.

Da una parte lo studioso difende quel testo come un atto del magistero che i fedeli debbono accogliere; dall’altra tiene però conto delle difficoltà di molti coniugi a seguire quelle indicazioni e dunque, nel contempo, suggerisce ai confessori di valutarli con misericordia, secondo la «legge della gradualità», e sperando che essi arriveranno infine a fare proprie le normative papali.

L’ Humanae vitae - è bene ricordare - fu accolta con disagio da molti episcopati, con malessere da gran parte del mondo teologico, con aperto dissenso da diversi teologi/e e da moltissimi fedeli: come mai? Il quesito, riproposto anche oggi, all’osso si può riassumere così: chi rifiuta l’enciclica lo fa perché indisposto ad assumersi il peso che comporta seguire il Vangelo o non, invece, perché ha fondati motivi di ritenere quella normativa estranea al messaggio di Gesù e legata piuttosto ad una radicata sessuofobia e ad una mentalità - rispettabile ma in nessun modo obbligante - che quasi eleva a divinità la «legge naturale» come intesa dal magistero ecclesiastico? Condivido il secondo corno del dilemma, e perciò tutte le argomentazioni di Zottoli mi sembrano un castello di carta ideologico per salvare comunque il principio dell’autorità papale; non lo sfiora l’idea che la normativa espressa da Paolo VI sia un abuso di potere. Eppure fior di teologi e teologhe hanno dimostrato, con una logica ardua da contrastare, l’impossibilità di fondare biblicamente e antropologicamente i no dell’enciclica, pur sempre ripetuti con instancabile zelo anche da papa Wojtyla. Insomma, dal labirinto di quel testo non si esce, pensano in molti, se non rifiutandone le tesi di fondo.

D’altronde, senza dover citare teologi... pericolosi, trovo davvero strano che su Confronti non si siano ricordate le parole del cardinale Carlo Maria Martini nel 2011: dall’ Humanae vitae «è derivato un grave danno» giacché, a causa del divieto della contraccezione, «molte persone si sono allontanate dalla Chiesa e la Chiesa dalle persone». E, evidenziata la decisione «personale» di Paolo VI, il porporato aggiungeva: «In passato la Chiesa si è forse pronunciata anche troppo intorno al sesto comandamento. Talvolta sarebbe stato meglio tacere».

Analoga critica vorrei fare alle tesi di Giacomo Coccolini ne «La teologia del corpo in Giovanni Paolo II». Egli - a ragione - sottolinea la novità e, direi, l’arditezza delle catechesi proposte da papa Wojtyla in 133 udienze generali dal 1979 all’84; ma, poi, il docente presso l’Istituto di scienze religiose di Bologna bypassa tranquillamente quella che non si può non definire una lampante contraddizione: quel pontefice, infatti, dopo tante alate parole sull’amore, ribadì con tenacia le normative di Paolo VI e del cardinale Ratzinger in materia di sessualità, che pur erano figlie di un’altra ed avversa teologia.

Altri si ritroveranno nelle tesi dei due teologi citati, e avranno le loro ragioni; ma io resto del parere che con i silenzi sulle aporie del magistero papale si faccia un’analisi monca e fragilissima della tensione norma/coscienza, e una teologia che non ha futuro.

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Commenti Articolo 418

Titolo articolo : Papa Francesco «non si rende conto dei danni che sta facendo». Intervista al filosofo cattolico americano Michael Novak di Paolo Mastrolilli - con note,

Ultimo aggiornamento: September/28/2013 - 10:20:39.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/9/2013 15.44
Titolo:Ora la Chiesa italiana dovrà cambiare, e non poco
- Ora la Chiesa italiana dovrà cambiare, e non poco

- di Domenico Rosati ex presidente delle associazioni cattoliche dei lavoratori italiani

- l’Unità, 21.09.2013

DOPO L’EMOZIONE LA RIFLESSIONE. L’INTERVISTA DI PAPA FRANCESCO ALLE RIVISTE DEI GESUITI chiarifica in modo ormai inequivocabile il suo atteggiamento fondamentale. Contrariamente a quel che traspare da qualche entusiasmo, egli non innova, e non intende innovare, nell’insegnamento della Chiesa. In chiaro: la sua non è un’apertura... al peccato. È invece, e fortemente, una diversa considerazione del peccatore. Diversa da quella che nei secoli si è stratificata in una sequenza di condanne e di diffide, e anche scomuniche.

Ora viceversa l’accento cade sull’esigenza di rifiutare la pratica dell’«ingerenza spirituale nella vita delle persone», ciò che avviene quando le libere coscienze dei singoli s’imbattono non nell’abbraccio misericordioso di un Dio che «gioisce quando perdona», ma nell’accigliata asprezza ecclesiastica di una richiesta di ossequio a una regola uniforme.

Ha ragione chi osserva che tutto questo era già scritto nel messaggio del Concilio Vaticano II. Ma è altrettanto vero che decenni di polvere hanno offuscato la luce. Tant’è che in molti s’è addirittura fiaccata l’aspettativa di vederne realizzato il disegno. La riflessione dovrà quindi concentrarsi sull’osservazione dell’impatto del ritorno evangelico di Francesco su una prassi di tipo clericale invalsa nelle comunità cattoliche e, parallelamente, su un giudizio sul mondo contemporaneo inteso come una «cosa altra», un pericolo da fronteggiare piuttosto che una realtà evolutiva in cui immergersi per decifrarla ed umanizzarla.

La questione si pone in modo diversificato nelle molteplici realtà in cui vivono i cattolici, in rapporto alle differenti storie e tradizioni. Ma se c’è un luogo in cui è presumibile che il «fatto nuovo» della pastorale francescana produrrà qualche effetto questo luogo è l’Italia. Da noi, infatti, più che altrove ha attecchito l’applicazione del metodo dottrinale-deduttivo, dai principi alla prassi, fino alla concatenazione tra principi, valori ed... emendamenti legislativi non negoziabili, previa selezione di temi sensibili rispetto ad altri reputati, arbitrariamente, meno degni di tutela.

C’è quindi da immaginare che qualcosa accadrà nella realtà cattolica italiana, a partire dall’episcopato. Ma che cosa? È scontato il fenomeno classico dell’allineamento diffuso al dettato papale, con le annesse disinvolture argomentative. Più problematico, ma più desiderabile, è un mutamento che corrisponda ad una reale assimilazione del carattere impegnativo di questa «strategia della misericordia» anche nelle sue conseguenze rispetto alla realtà sociale e politica.

È lecito domandarsi se siano in campo o possano esprimersi adeguatamente le energie necessarie per reggere un simile processo di riconversione. Perché queste possano sprigionarsi è necessario però che ad ogni livello si trovi il modo di dare diritto di parola effettivamente a tutti coloro che ne abbiano titolo e vocazione. Si ritrovi cioè quel coraggio che, ad esempio, consentì negli anni Settanta, dopo il trauma del referendum sul divorzio, di convocare un’assemblea di credenti nella quale poterono confrontarsi, senza diaframmi, i sostenitori delle due posizioni in conflitto.

Tanti negli ultimi anni hanno rinunciato a parlare, tanti si sono collocati nel perimetro dell’acqua bassa. Tanti, tra i laici cristiani, hanno smesso di aiutare i vescovi a comprendere il mondo e si sono accontentati di svolgere un compito di trasmissione. Ma anche a quelli che, non senza sofferenza, hanno continuato a coltivare la speranza si rivolge oggi la provocazione di Francesco: che non credano, come dopo il Concilio, di aver ottenuto una vittoria definitiva. Reclamino lo spazio dovuto, ma poi si diano da fare ha detto: immischiarsi nella chiesa e nella società.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/9/2013 22.20
Titolo:Il magistero sui «principi non negoziabili» però non si incrina ...
Bergoglio ai medici: «Diffondete la cultura della vita»


di Luca Kocci (il manifesto, 21 settembre 2013)

Dopo aver letto l’intervista di Bergoglio pubblicata giovedì da Civiltà cattolica, molti hanno parlato
di un papa rivoluzionario («Le parole rivoluzionarie del Papa», titolava in prima pagina il Corriere
della sera). Ascoltando invece il discorso che ieri Francesco ha rivolto ai ginecologi cattolici
ricevuti in Vaticano – tutte incentrate sul tema della difesa della vita e della lotta contro l’aborto –,
sembrava di sentire le parole di Ratzinger, pacate nei toni, identiche nei contenuti.

Eppure il pensiero di Bergoglio non è sdoppiato ma unico, e fino ad ora tiene insieme i due aspetti:
l’addio ai toni da crociata dei suoi predecessori contro gli infedeli relativisti e la conferma degli
aspetti fondamentali della dottrina cattolica («Pop e conservatore» titolava il manifesto all’indomani
dell’elezione al soglio pontificio).

Una pastorale meno rigida e più inclusiva nei confronti dei
“lontani” sembra essere la vera novità di questi primi mesi. Insieme ad una riforma della Curia e
degli organismi finanziari che forse verrà nei prossimi mesi. E c’è da aspettarsi che entrambe
saranno ostacolate dai settori più conservatori.

A questo proposito, oggi potrebbe essere annunciata
la nomina del prefetto della Congregazione per il clero (il dicastero che si occupa dei preti di tutto il
mondo): va via il cardinale ratzingeriano e ultraconservatore Mauro Piacenza (molto legato al card.
Bertone, segretario di Stato uscente), che andrà alla Penitenzieria apostolica, il tribunale che si
occupa di indulgenze e confessioni.

Al suo posto arriva l’arcivescovo Beniamino Stella, un
diplomatico come il nuovo segretario di Stato entrante Pietro Parolin, in passato nunzio a Cuba e in
Colombia, ora presidente della Pontificia accademia ecclesiastica, la scuola di formazione dei
diplomatici della Santa sede. Lo spoil system continua.
Il magistero sui «principi non negoziabili» però non si incrina, come dimostra il discorso di ieri ai
ginecologi: la battaglia contro l’aborto resta la “linea del Piave”.

Constatiamo «i progressi della
medicina», ma «riscontriamo il pericolo che il medico smarrisca la propria identità di servitore della
vita», ha detto Bergoglio. Colpa del «disorientamento culturale» che «ha intaccato» anche «la
medicina», per cui «pur essendo per loro natura al servizio della vita, le professioni sanitarie sono
indotte a volte a non rispettare la vita stessa». «Si attribuiscono alla persona nuovi diritti, a volte
anche presunti diritti», aggiunge, e «non sempre si tutela la vita come valore primario». «Ogni
bambino non nato ma condannato ingiustamente ad essere abortito – affonda Bergoglio – ha il volto
di Gesù Cristo».

C’è poi l’appello ai medici ad essere «testimoni e diffusori di questa cultura della
vita» all’interno delle strutture sanitarie: «I reparti di ginecologia sono luoghi privilegiati di
testimonianza e di evangelizzazione».

Il papa non la nomina, ma l’invito all’obiezione di coscienza
pare evidente. E a ribadire l’inamovibilità dei principi non negoziabili è anche il convegno
internazionale sulla famiglia che si conclude oggi in Vaticano.

Mons. Paglia, “ministro” della
famiglia, auspica la redazione di una Carta internazionale dei diritti della famiglia per difenderla
dalle «usurpazioni» e dagli «attacchi violentissimi» cui è sottoposta. E il presidente dei giuristi
cattolici, D’Agostino bolla come «famiglia sintetica» tutti i tipi di unione che non siano quelle fra
uomo e donna fondate sul matrimonio: frutto di uno «spirito malato», non basate su un progetto
«ma sull’immediatezza dei sentimenti», senza futuro.


In mattinata, nella quotidiana messa a Santa Marta, Bergoglio ha avuto un’uscita delle sue, a
testimonianza della sua capacità di tenere insieme dottrina e popolo. «L’avidità del denaro è la
radice di tutti mali», ha detto nella breve omelia, aggiungendo subito: «E questo non è comunismo,
è Vangelo». E così ha riequilibrato quanto aveva detto a Civiltà cattolica: «Non sono mai stato di
destra».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/9/2013 10.20
Titolo:LA CONCEZIONE DEL POTERE. «G8» vaticano e viaggio ad Assisi
«G8» vaticano e viaggio ad Assisi Settimana di svolta per la Chiesa

di Alberto Melloni (Corriere della Sera, 28 settembre 2013)

Con il primo incontro del «consilium» degli otto cardinali e il pellegrinaggio ad Assisi in calendario la prossima settimana papa Francesco attraverserà due appuntamenti decisivi per la fisionomia del suo pontificato. È vero, infatti, che Bergoglio ha già segnato con tratto sicuro i binari spirituali del proprio ministero. Trasformare lo Stato della Città del Vaticano in una parrocchia e diventarne parroco ha già legato il suo papato a quella cura animarum rimasta in ombra negli anni che egli stesso ha definito della «ingerenza spirituale».

L’aver indossato con lieta eleganza l’abito della povertà ha già oscurato i disastri che negli anni scorsi avevano disgustato la Chiesa. L’aver scelto Gesù come registro del suo discorso l’ha già reso invulnerabile sia alla stizza di chi s’inchina solo al suo «ruolo» sia alle patetiche adulazioni che punteggiano questi mesi.

Eppure nella prossima settimana Francesco si misura (e per sua scelta) con «la» questione del cattolicesimo romano dell’ultimo mezzo secolo: quella della collegialità. Questo è il senso del «G8» dei porporati che comincia il 1° ottobre. Essi si adunano senza una bolla, una lettera, un’omelia che ne definisca lo statuto.

Uno scarno comunicato istitutivo evocava una loro funzione di consiglio «ad gubernandam ecclesiam», che andava nella direzione della collegialità conciliare. In predica Francesco ha alluso al bisogno di sinodalità di cui sono la risonanza. Un accenno agostano sugli otto come outsider lasciava intendere che non era per cavar da lì dei prefetti di curia che il Papa li aveva scelti. Ma di specifico null’altro.

Quasi che Francesco volesse fare «con» gli otto e non «prima» di loro un passo che avrebbe, quello sì, una portata storica. Perché quando il Papa dice in aereo le cose che tutti i parroci dicono in confessionale, colpisce un immaginario e soprattutto quell’immaginario incolto che vede nella Chiesa l’ottusa custode di un assolutismo della verità. Ma quando si misura - e con gli otto ha deciso di misurarsi - con «la» questione della collegialità scrive davvero la sua pagina di storia: quella che deciderà se Francesco vuol obbedire ora al concilio, rinviare questa obbedienza o delegarla al successore.

Chi per interesse o diffidenza vuol minimizzare Francesco dice che gli otto saranno soltanto l’analogo dei consultori che i superiori gesuiti si mettono accanto. Cioè uno strumento vuoto, reso amabile dalla personalità di Francesco, ma incapace di esprimere la comunione. Chi ha fiducia pensa che convocando un organo con atto primaziale il Papa ha mostrato che non ha in mente di mettersi attorno dei potenti chiamati a diluire «democraticamente» un potere monarchico, ma dei vescovi, capaci di far sentire nella Chiesa universale la voce delle chiese locali, «nelle quali e dalle quali esiste la Chiesa una e cattolica». Come già sognavano i gesuiti, padre Tucci e padre Bertuletti alla fine del Vaticano II e poi Martini.

Da questa «obbedienza» dipenderà anche la riforma della curia. Una riforma della curia che migliori gli standard etico-culturali del personale (come il Papa ha iniziato a fare) o che ottimizzi le procedure decisionali, ma che rimanga all’interno di una ecclesiologia universalista sarà effimera come quelle che l’hanno preceduta nel secolo XX. Se la curia, come ha detto papa Francesco, deve servire le chiese locali e le conferenze episcopali, bisogna cambiarne la posizione, l’atteggiamento, la mentalità. In altri termini la concezione del potere.

Ed è qui che si inserisce l’andata del Francesco papa da Francesco mendicante, il 4 ottobre. Bergoglio è cristiano troppo limpido per salire ad Assisi con l’intento di appropriarsi del dialogo interreligioso, di polemizzare con le fantasie antiche e recenti sulla nazione cattolica, di elogiare «il più italiano dei santi» o di usare il palcoscenico di Assisi per un ennesimo exploit.

Se Francesco va da Francesco è per dire che quel papato che aveva cercato di imbrigliare nella «forma della santa Chiesa romana», come scrive il testamento del Poverello, la chiamata dell’Altissimo a vivere «secondo la forma del santo Vangelo», cerca oggi di compiere la sua spoliazione: sull’onda di una profezia di papa Giovanni XXIII sulla chiesa dei poveri del 1962, di un paragrafo della «Lumen Gentium» del 1964, del Patto delle catacombe del 1965 con il quale i vescovi promettono le cose di cui Bergoglio vive, dopo il compromesso con il povero dell’assemblea di Medellín del 1968 - un papa di nome Francesco porta ad Assisi nel 2013 col suo nome, col suo stile il riconoscimento che la povertà si oppone e cura l’idolatria del potere, cura e sbriciola la persuasiva seduzione dei mezzi di potere.

È questo che disegnerà il profilo di una settimana difficile e la fisionomia di un pontificato che ha già segnato un tempo: il nostro.

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Commenti Articolo 419

Titolo articolo : A CHE STA LAVORANDO FRANCESCO? ALLA RESTAURAZIONE DEL POTERE DEL "DOMINUS IESUS" PER MOLTI  O  ALLA RESTITUZIONE DEL "LUMEN GENTIUM" A TUTTI?! Il papa è demagogo? Un commento  di Jean Mercier - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/28/2013 - 10:18:15.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/9/2013 21.00
Titolo:Francesco ai vescovi. Saper accogliere tutti gli uomini e le donne...
Papa Francesco ai vescovi: "Non cadete nel carrierismo"

"Non cercate promozioni e viaggi in aereo", ha detto Bergoglio ai 120 vescovi ricevuti in Vaticano. E ancora: "Vi invito a saper accogliere tutti gli uomini e le donne che incontrate e lasciate aperta la porta della vostra casa" *

CITTA’ DEL VATICANO - Saper accogliere tutti gli uomini e le donne, lasciare aperta la porta della propria casa e non usare le diocesi per fare carriera. E’ il messaggio rivolto da Papa Francesco nell’incontro con 120 vescovi di recente nomina, ricevuti in udienza oggi nella sala Clementina del Palazzo apostolico.

Non siate carrieristi - Il papa torna poi a fustigare il carrierismo ecclesiastico: "Noi pastori - ha detto - non siamo uomini con la ’psicologia da principi’, uomini ambiziosi, che sono sposi di una chiesa, nell’attesa di un’altra più bella, più importante o più ricca. State bene attenti di non cadere nello spirito del carrierismo!". Francesco ha anche invitato i vescovi alla "stabilità", cioè a "rimanere nella diocesi", "senza cercare cambi o promozioni". "Evitate lo scandalo di essere ’Vescovi di aeroporto’! Siate Pastori accoglienti, in cammino con il vostro popolo". "Il nostro - ha detto - è un tempo in cui si può viaggiare, muoversi da un punto all’altro con facilità, un tempo in cui i rapporti sono veloci, l’epoca di internet. Ma l’antica legge della residenza non è passata di moda!".

La metafora del vescovo - Il papa è partito dalla metafora del vescovo come pastore che, secondo costituzione apostolica conciliare Lumen gentium, ha "abituale e quotidiana cura del gregge". Per Francesco, il vescovo "è in cammino con e nel suo gregge", il che vuole dire "mettersi in cammino con i propri fedeli e con tutti coloro che si rivolgeranno a voi, condividendone gioie e speranze, difficoltà e sofferenze, come fratelli e amici, ma ancora di più come padri, che sono capaci di ascoltare, comprendere, aiutare, orientare". Un vescovo che vive in mezzo ai suoi fedeli "ha le orecchie aperte per ascoltare ’ciò che lo spirito dice alle chiesè e la ’voce delle pecore’, anche attraverso quegli organismi diocesani che hanno il compito di consigliare il vescovo, promuovendo un dialogo leale e costruttivo. Questa presenza pastorale vi consentirà di conoscere a fondo anche la cultura, le usanze, i costumi del territorio, la ricchezza di santità che vi è presente. Immergersi nel proprio gregge!".

I pastori - I pastori devono avere "l’odore delle pecore", ha peraltro ricordato Bergoglio, ricordando ciò che aveva detto più volte in Argentina e nell’omelia della messa crismale e poi: "siate pastori con l’odore delle pecore, presenti in mezzo al vostro popolo come gesù buon pastore". Per il Papa, infine, "non è mai tempo perso quello passato con i sacerdoti! riceverli quando lo chiedono; non lasciare senza risposta una chiamata telefonica; essere in continua vicinanza, in contatto continuo con loro".

Affetto per i sacerdoti - Francesco richiama anche i nuovi vescovi alla necessità di avere "affetto per i vostri sacerdoti: sono il primo prossimo del vescovo, indispensabili collaboratori di cui ricercare il consiglio e l’aiuto e di cui prendersi cura come padri, fratelli e amici". Esorta il Papa: "Non dimenticate le necessità umane di ciascun sacerdote, soprattutto nei momenti più delicati e importanti del loro ministero e della loro vita".

Scendete in mezzo ai fedeli - Da qui, l’appello del Papa: "Non chiudetevi! Scendete in mezzo ai vostri fedeli, anche nelle periferie delle vostre diocesi e in tutte quelle periferie esistenziali dove c’è sofferenza, solitudine, degrado umano. Presenza pastorale - spiega ancora Francesco - significa camminare con il popolo di Dio: davanti per indicare la via, in mezzo per rafforzarlo nell’unità, dietro perché nessuno rimanga indietro ma soprattutto per seguire il fiuto che ha il popolo di Dio per trovare nuove strade".

* la Repubblica, 19 settembre 2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/9/2013 10.07
Titolo:Francesco: “La mia chiesa è come un ospedale da campo”.
Francesco: “La mia chiesa è come un ospedale da campo”.
- Apertura su gay, divorzio e aborto

- di Marco Ansaldo (la Repubblica, 20 settembre 2013)

«Vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia». Dove ci vogliono cambiamenti e riforme». Ma non subito, perché questo «è il tempo del discernimento ». Soprattutto, «non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e metodi contraccettivi». Dopo la lettera indirizzata al fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, Papa Francesco mette a segno un altro colpo mediatico. E concede la sua prima intervista al direttore de La Civiltà Cattolica, gesuita come lui, padre Antonio Spadaro. Un colloquio lungo oltre 6 ore, svolto in 3 giorni alla fine di agosto, saltando dall’italiano allo spagnolo, e che si dipana in 30 pagine della rivista. Un testo zeppo di novità e di spunti interessantissimi. Bergoglio parla di sé personalmente e di come intende procedere nel suo pontificato. Ecco una sintesi della conversazione.

UN PECCATORE

Chi è Jorge Mario Bergoglio? «Sì, posso forse dire che sono un po’ furbo, so muovermi, ma è vero che sono anche un po’ ingenuo. Sono un peccatore al quale il Signore ha guardato. Sono un indisciplinato nato».

IL CONCLAVE

Francesco rivela a Spadaro che quando si rese conto di rischiare l’elezione, il mercoledì 13 marzo a pranzo, sentì scendere su di lui una profonda e inspiegabile pace e consolazione interiore, insieme a un buio totale. Questi sentimenti lo accompagnarono fino all’elezione.

«Ho bisogno di comunità. E lo si capisce dal fatto che sono qui a Santa Marta. L’appartamento pontificio nel Palazzo Apostolico non è lussuoso. È antico. Ma alla fine è come un imbuto al rovescio. È grande e spazioso, ma l’ingresso è davvero stretto. Si entra col contagocce, e io no, senza gente non posso vivere».

RIFORME

«Molti pensano che i cambiamenti e le riforme possano avvenire in breve tempo. Io credo che ci sia sempre bisogno di tempo per porre le basi di un cambiamento efficace. E questo è il tempo del discernimento. Diffido delle decisioni prese in maniera improvvisa. Devo attendere, valutare interiormente, prendendo il tempo necessario».

MAI STATO DI DESTRA

Da superiore provinciale della Compagnia di Gesù «il mio modo autoritario e rapido di prendere decisioni mi ha portato ad avere seri problemi e ad essere accusato di essere ultraconservatore. Ma non sono mai stato di destra».

CONSULTAZIONI REALI

«I Concistori, i Sinodi sono luoghi importanti per rendere vera e attiva la consultazione. Bisogna renderli però meno rigidi nella forma. Voglio consultazioni reali, non formali. La Consulta degli otto cardinali, questo gruppo consultivo outsider, non è una decisione solamente mia, ma è frutto della volontà dei cardinali, così come è stata espressa nelle Congregazioni Generali prima del Conclave. Il popolo è soggetto. E l’insieme dei fedeli è infallibile nel credere».

CURARE LE FERITE

«Vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. I ministri del Vangelo devono saper dialogare. Il popolo di Dio vuole pastori e non funzionari o chierici di Stato. Io vedo la santità nel popolodi Dio paziente: una donna che fa crescere i figli, un uomo che lavora per portare a casa il pane, gli ammalati».

GAY, ABORTO E DIVORZIATI

«A Buenos Aires ricevevo lettere di persone omosessuali, che sono “feriti sociali” perché mi dicono che sentono come la Chiesa li abbia sempre condannati. Dio nella creazione ci ha resi liberi. Una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito, si è risposata e vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Cosa fa il confessore? Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto».

NO A TROPPA DOTTRINA

«Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, ciò che appassiona e attira di più. Dobbiamo trovare un nuovo equilibrio, altrimenti l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte».

LA CURIA E IL SINODO

«I dicasteri romani sono al servizio del Papa e dei Vescovi: meccanismi di aiuto. Quando non sono bene intesi corrono il rischio di diventare organismi di censura. Forse è il tempo di mutare la metodologia del Sinodo, perché quella attuale mi sembra statica. Dai fratelli Ortodossi si può imparare di più sul senso della collegialità episcopale».

LA DONNA

«È necessario ampliare gli spazi di una presenza femminile più incisiva nella Chiesa. Temo la soluzione del “machismo in gonnella”. La sfida oggi è riflettere sul posto specifico della donna ».

I PROMESSI SPOSI.

Bergoglio si sofferma a lungo sulle sue passioni artistiche. La letteratura con Dostoevskij, Hoelderlin, Cervantes, Borges, Manzoni. «Ho letto I Promessi Sposi trevolte e ce l’ho adesso sul tavolo per rileggerlo». La pittura: Caravaggio e Chagall. La musica: «Mozart mi riempie. Beethoven mi piace ascoltarlo, ma prometeicamente. E poi lePassioni di Bach. A un livello diverso, non intimo allo stesso modo, amo Wagner». Il cinema: «La stradadi Fellini è il film che forse ho amato di più. Mi identifico con quel film, nel quale c’è un implicito riferimento a san Francesco. Credo poi di aver visto tutti i film con Anna Magnani e Aldo Fabrizi».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/9/2013 21.58
Titolo:Il fascino pericoloso del postsecolarismo ...
- Il fascino pericoloso del postsecolarismo
- In Italia siamo in presenza di una religione predominante. Non esiste nella cultura etica quel pluralismo che fa da contenimento
- Il rischio è quello di un maggioritarismo potenziato da un credo religioso
- Parla Nadia Urbinati, autrice con Marco Marzano di un saggio su Stato e Chiesa

- di Simonetta Fiori (la Repubblica, 14.09.2013)

IL LIBRO Missione impossibile di Marco Marzano e Nadia Urbinati, l Mulino pagg. 144 euro 14

«Papa Francesco rappresenta la realizzazione compiuta del postsecolarismo di Habermas», dice Nadia Urbinati, al telefono dalla Columbia University dove ha la cattedra di Teoria politica. «Ma proprio per questo occorre ancor più distinguere tra diritto e morale, Stato e religione, ristabilendo quelle paratie che sono necessarie in democrazia». All’indomani della lettera «scandalosamente affascinante» scritta dal pontefice a Eugenio Scalfari, e a pochi giorni dall’appello alla pace che ha raccolto in piazza San Pietro cattolici, musulmani, atei e perfino anticlericali, esce dal Mulino uno stimolante saggio di Nadia Urbinati e Marco Marzano dal titolo provocatorio: Missione impossibile. La riconquista cattolica della sfera pubblica.Ma è davvero una missione impossibile? La rivoluzione introdotta da papa Francesco, anche il suo nuovo stile di dialogo, non costringe a rovesciare i termini della questione? «Il suo stile e il suo linguaggio certo scompaginano il progetto culturale inseguito per sedici anni dal cardinal Ruini: è su questo schema che abbiamo costruito molti dei no-stri ragionamenti. Ma restano in piedi tutti i rischi della democrazia postsecolare».

Professoressa Urbinati, che cosa è il postsecolarismo?

«Designa il superamento del secolarismo, ossia dell’esclusione della religione dalla sfera pubblica. Secondo Jürgen Habermas, che ne è il principale teorico, la religione - avendo accettato le regole del gioco democratico - non deve essere più tenuta in un recinto, ma al contrario deve essere accolta nel dibattito pubblico perché porta un prezioso nutrimento morale. E qui interviene l’argomento di un importante teologo tedesco, Böckenförde, secondo il quale la democrazia ha bisogno di religione proprio perché è un metodo di decisione, privo della sostanza etica che lo può tenere in vita. Questo è l’aspetto più preoccupante. Secondo la teoria postsecolare, la democrazia diventa un guscio vuoto, mentre sappiamo che le regole democratiche sono dense di principi morali».

Lei e Marzano denunciate gli “effetti perversi” del postsecolarismo, soprattutto in una cultura monoreligiosa come quella italiana.

«Una delle pecche più gravi di questa teoria è la sua astrattezza, che non tiene conto dei contesti storici e sociali specifici. In Italia siamo in presenza di una religione nettamente predominante. Non esiste nella società e nella cultura etica quel pluralismo che fa da contenimento naturale. Il rischio per la nostra democrazia è quello di un maggioritarismo potenziato da un credo religioso. E le leggi possono diventare laiche al rovescio: non perché distanti da tutte le fedi religiose, ma perché vicine alla fede della maggioranza».

Marco Marzano insiste sullo scarso fondamento in Italia della teoria postsecolare, essendo profondo il divorzio tra fede dichiarata e pratica di vita. Una divaricazione denunciata pochi giorni fa dall’arcivescovo di Milano.

«Sì, è in gioco non solo la riconquista della società liberale, ma della stessa Chiesa dei cristiani. Marzano mostra in modo molto dettagliato anche lo scollamento tra la religione rappresentata dalle gerarchie e la religione vissuta dai credenti. La Chiesa del potere e la Chiesa della fede».

Questo schema però viene rovesciato da papa Francesco, che introduce una rottura netta rispetto ai simboli e alle pratiche di potere della precedente curia romana, anche nei suoi rapporti con la politica italiana. E si propone come cerniera tra Chiesa istituzionale e Chiesa missionaria.

«Se mi si consente il termine, è un papa grillino. Egli salta tutto il corpo intermedio per arrivare direttamente all’incontro con i fedeli: basti pensare alla frequenza delle sue telefonate o al suo quotidiano uso del twitter. Questo è un dato interessante perché riflette un fenomeno diffuso in tutte le istituzioni generatrici di autorità, religiose o politiche che siano: i cittadini non si sentono più rappresentati da questi corpi intermedi, sia che si chiamino prelati o rappresentanti politici, clero o partiti. Papa Francesco avverte questo divorzio, e riesce a colmarlo con straordinaria abilità».

Per le sue idee e per le sue azioni Francesco appare come l’incarnazione esemplare del postsecolarismo di Habermas: non introduce mai nella sfera pubblica uno stile dogmatico o una prevaricazione sullo Stato. Ma così operando non rischia di demolire le vostre critiche a quella teoria?

«Non credo. Semmai il contrario. Grazie alla sua efficace predicazione, che arriva dalla grande tradizione gesuita, con la rievangelizzazione l’infiltrazione religiosa rischia di diventare ancora più dilagante e capillare. E questo rende ancor più necessario preservare le staccionate per distinguere le varie sfere, quella civile e quella religiosa per esempio».

Nel libro non mancano critiche al «postsecolarismo all’italiana», da Giuliano Amato a Giancarlo Bosetti e Alessandro Ferrara. «Habermas riflette nelle sue idee la democrazia dell’Europa protestante e degli Stati Uniti, ossia realtà caratterizzate da pluralismo effettivo, mentre questi studiosi provengono da una tradizione che è imbevuta in modo egemonico di una sola religione. Quando si parla del rapporto tra Stato e fede religiosa, la teoria dovrebbe prestare più attenzione al contesto».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/9/2013 10.18
Titolo:«G8» vaticano e viaggio ad Assisi ...
«G8» vaticano e viaggio ad Assisi Settimana di svolta per la Chiesa

di Alberto Melloni (Corriere della Sera, 28 settembre 2013)

Con il primo incontro del «consilium» degli otto cardinali e il pellegrinaggio ad Assisi in calendario la prossima settimana papa Francesco attraverserà due appuntamenti decisivi per la fisionomia del suo pontificato. È vero, infatti, che Bergoglio ha già segnato con tratto sicuro i binari spirituali del proprio ministero. Trasformare lo Stato della Città del Vaticano in una parrocchia e diventarne parroco ha già legato il suo papato a quella cura animarum rimasta in ombra negli anni che egli stesso ha definito della «ingerenza spirituale».

L’aver indossato con lieta eleganza l’abito della povertà ha già oscurato i disastri che negli anni scorsi avevano disgustato la Chiesa. L’aver scelto Gesù come registro del suo discorso l’ha già reso invulnerabile sia alla stizza di chi s’inchina solo al suo «ruolo» sia alle patetiche adulazioni che punteggiano questi mesi.

Eppure nella prossima settimana Francesco si misura (e per sua scelta) con «la» questione del cattolicesimo romano dell’ultimo mezzo secolo: quella della collegialità. Questo è il senso del «G8» dei porporati che comincia il 1° ottobre. Essi si adunano senza una bolla, una lettera, un’omelia che ne definisca lo statuto.

Uno scarno comunicato istitutivo evocava una loro funzione di consiglio «ad gubernandam ecclesiam», che andava nella direzione della collegialità conciliare. In predica Francesco ha alluso al bisogno di sinodalità di cui sono la risonanza. Un accenno agostano sugli otto come outsider lasciava intendere che non era per cavar da lì dei prefetti di curia che il Papa li aveva scelti. Ma di specifico null’altro.

Quasi che Francesco volesse fare «con» gli otto e non «prima» di loro un passo che avrebbe, quello sì, una portata storica. Perché quando il Papa dice in aereo le cose che tutti i parroci dicono in confessionale, colpisce un immaginario e soprattutto quell’immaginario incolto che vede nella Chiesa l’ottusa custode di un assolutismo della verità. Ma quando si misura - e con gli otto ha deciso di misurarsi - con «la» questione della collegialità scrive davvero la sua pagina di storia: quella che deciderà se Francesco vuol obbedire ora al concilio, rinviare questa obbedienza o delegarla al successore.

Chi per interesse o diffidenza vuol minimizzare Francesco dice che gli otto saranno soltanto l’analogo dei consultori che i superiori gesuiti si mettono accanto. Cioè uno strumento vuoto, reso amabile dalla personalità di Francesco, ma incapace di esprimere la comunione. Chi ha fiducia pensa che convocando un organo con atto primaziale il Papa ha mostrato che non ha in mente di mettersi attorno dei potenti chiamati a diluire «democraticamente» un potere monarchico, ma dei vescovi, capaci di far sentire nella Chiesa universale la voce delle chiese locali, «nelle quali e dalle quali esiste la Chiesa una e cattolica». Come già sognavano i gesuiti, padre Tucci e padre Bertuletti alla fine del Vaticano II e poi Martini.

Da questa «obbedienza» dipenderà anche la riforma della curia. Una riforma della curia che migliori gli standard etico-culturali del personale (come il Papa ha iniziato a fare) o che ottimizzi le procedure decisionali, ma che rimanga all’interno di una ecclesiologia universalista sarà effimera come quelle che l’hanno preceduta nel secolo XX. Se la curia, come ha detto papa Francesco, deve servire le chiese locali e le conferenze episcopali, bisogna cambiarne la posizione, l’atteggiamento, la mentalità. In altri termini la concezione del potere.

Ed è qui che si inserisce l’andata del Francesco papa da Francesco mendicante, il 4 ottobre. Bergoglio è cristiano troppo limpido per salire ad Assisi con l’intento di appropriarsi del dialogo interreligioso, di polemizzare con le fantasie antiche e recenti sulla nazione cattolica, di elogiare «il più italiano dei santi» o di usare il palcoscenico di Assisi per un ennesimo exploit.

Se Francesco va da Francesco è per dire che quel papato che aveva cercato di imbrigliare nella «forma della santa Chiesa romana», come scrive il testamento del Poverello, la chiamata dell’Altissimo a vivere «secondo la forma del santo Vangelo», cerca oggi di compiere la sua spoliazione: sull’onda di una profezia di papa Giovanni XXIII sulla chiesa dei poveri del 1962, di un paragrafo della «Lumen Gentium» del 1964, del Patto delle catacombe del 1965 con il quale i vescovi promettono le cose di cui Bergoglio vive, dopo il compromesso con il povero dell’assemblea di Medellín del 1968 - un papa di nome Francesco porta ad Assisi nel 2013 col suo nome, col suo stile il riconoscimento che la povertà si oppone e cura l’idolatria del potere, cura e sbriciola la persuasiva seduzione dei mezzi di potere.

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Commenti Articolo 420

Titolo articolo : QUANDO LA MENZOGNA SI TRAVESTE DA VERITÀ  ,di Daniela Zini

Ultimo aggiornamento: September/28/2013 - 09:35:58.

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Autore Città Giorno Ora
Fabio Borrometi Modica 28/9/2013 09.35
Titolo:Disilluso
L'illusione mediatica della capacità taumaturgica di un solo uomo, così sapientemente veicolata, sono alla base delle nostre disavventure politiche e del suo degrado. L'identificazione tra Menzogna e Politica non può essere più sovvertita, perché pur essendo divenuta endemica, viene negata da coloro che ne pagamento le conseguenze giorno per giorno. Non intravedo barlumi di speranza...

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Commenti Articolo 421

Titolo articolo : LA VERA "RELAZIONE"  SECONDO FRANCESCO E BAGNASCO E L'UGUAGLIANZA DEGLI ESSERI UMANI  DINANZI  A DIO E DINANZI ALLA LEGGE. Una nota sul messaggio inviato dal Papa alla 47esima Settimana Sociale dei cattolici italiani aperta a Torino - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/24/2013 - 19:03:00.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/9/2013 08.23
Titolo:LA RELAZIONE E IL TUTORAGGIO DI PAOLO... E FRANCESCO
PAOLO DI TARSO, L’ASTUTO APOSTOLO DELLA GRAZIA ("CHARIS") E DELL’ AMORE ("CHARITAS"), E LA NASCITA DEL CATTOLICESIMO-ROMANO! UNA NOTA

di Federico La Sala *

(...) non equivochiamo! Qui non siamo sulla via di Damasco, nel senso e nella direzione di Paolo di Tarso, del Papa, e della Gerarchia Cattolico-Romana: “[... ] noi non siamo più sotto un pedagogo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Galati: 3, 25-28).
- Nella presa di distanza, nel porsi sopra tutti e tutte, e nell’arrogarsi il potere di tutoraggio da parte di Paolo, in questo passaggio dal noi siamo al voi siete, l’inizio di una storia di sterminate conseguenze, che ha toccato tutti e tutte. Il persecutore accanito dei cristiani, “conquistato da Gesù Cristo”, si pente - a modo suo - e si mette a “correre per conquistarlo” (Filippesi: 3, 12): come Platone (con tutto il carico di positivo e di negativo storico dell’operazione, come ho detto), afferra l’anima della vita evangelica degli apostoli, delle cristiane e dei cristiani, approfittando delle incertezze e dei tentennamenti di Pietro, si fa apostolo (la ‘donazione’ di Pietro) dei pagani e, da cittadino romano, la porta e consegna nelle mani di Roma. Nasce la Chiesa ... dell’Impero Romano d’Occidente (la ‘donazione’ di Costantino). La persecuzione dei cristiani, prima e degli stessi ebrei dopo deve essere portata fino ai confini della terra e fino alla fine del mondo: tutti e tutte, nella polvere, nel deserto, sotto l’occhio del Paolo di Tarso che ha conquistato l’anima di Gesù Cristo, e la sventola contro il vento come segno della sua vittoria... Tutti e tutte sulla romana croce della morte.

Egli, il vicario di Gesù Cristo, ha vinto: è Cristo stesso, è Dio, è il Dio del deserto... Un cristo-foro dell’imbroglio e della vergogna - con la ‘croce’ in pugno (e non piantata nella roccia del proprio cuore, come indicava Gesù) - comincia a portare la pace cattolico-romana nel mondo. Iniziano le Crociate e la Conquista. Il Dio lo vuole: tutti i popoli della Terra vanno portati nel gelo eterno - questo è il comando dei Papi e dei Concili, cioè delle massime espressioni dell’intelligenza astuta (quella del Dio di Ulisse e della vergine Atena, non del Dio di Giuseppe e di Maria) del Magistero della Chiesa, alle proprie forze armate... fino a Giovanni Paolo II, al suo cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e alla Commissione teologica internazionale, che ha preparato il documento “Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato”.

Uno spirito e un proposito lontano mille miglia, e mille anni prima di Cristo, da quello della “Commissione per la verità e la riconciliazione”, istituita in Sudafrica nel 1995 da Nelson Mandela, per curare e guarire le ferite del suo popolo. Il motto della Commissione bello, coraggioso, e significativo è stato ed è: “Guariamo la nostra terra”!

*

Si cfr.: Federico La Sala, L’enigma della Sfinge e il segreto della Piramide, Ripostes, Roma-Salerno 2001, pp.23-25.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/9/2013 18.32
Titolo:Il fascino pericoloso del postsecolarismo
- Il fascino pericoloso del postsecolarismo
- In Italia siamo in presenza di una religione predominante. Non esiste nella cultura etica quel pluralismo che fa da contenimento
- Il rischio è quello di un maggioritarismo potenziato da un credo religioso
- Parla Nadia Urbinati, autrice con Marco Marzano di un saggio su Stato e Chiesa

- di Simonetta Fiori (la Repubblica, 14.09.2013)

IL LIBRO Missione impossibile di Marco Marzano e Nadia Urbinati, l Mulino pagg. 144 euro 14

«Papa Francesco rappresenta la realizzazione compiuta del postsecolarismo di Habermas», dice Nadia Urbinati, al telefono dalla Columbia University dove ha la cattedra di Teoria politica. «Ma proprio per questo occorre ancor più distinguere tra diritto e morale, Stato e religione, ristabilendo quelle paratie che sono necessarie in democrazia». All’indomani della lettera «scandalosamente affascinante» scritta dal pontefice a Eugenio Scalfari, e a pochi giorni dall’appello alla pace che ha raccolto in piazza San Pietro cattolici, musulmani, atei e perfino anticlericali, esce dal Mulino uno stimolante saggio di Nadia Urbinati e Marco Marzano dal titolo provocatorio: Missione impossibile. La riconquista cattolica della sfera pubblica.Ma è davvero una missione impossibile? La rivoluzione introdotta da papa Francesco, anche il suo nuovo stile di dialogo, non costringe a rovesciare i termini della questione? «Il suo stile e il suo linguaggio certo scompaginano il progetto culturale inseguito per sedici anni dal cardinal Ruini: è su questo schema che abbiamo costruito molti dei no-stri ragionamenti. Ma restano in piedi tutti i rischi della democrazia postsecolare».

Professoressa Urbinati, che cosa è il postsecolarismo?

«Designa il superamento del secolarismo, ossia dell’esclusione della religione dalla sfera pubblica. Secondo Jürgen Habermas, che ne è il principale teorico, la religione - avendo accettato le regole del gioco democratico - non deve essere più tenuta in un recinto, ma al contrario deve essere accolta nel dibattito pubblico perché porta un prezioso nutrimento morale. E qui interviene l’argomento di un importante teologo tedesco, Böckenförde, secondo il quale la democrazia ha bisogno di religione proprio perché è un metodo di decisione, privo della sostanza etica che lo può tenere in vita. Questo è l’aspetto più preoccupante. Secondo la teoria postsecolare, la democrazia diventa un guscio vuoto, mentre sappiamo che le regole democratiche sono dense di principi morali».

Lei e Marzano denunciate gli “effetti perversi” del postsecolarismo, soprattutto in una cultura monoreligiosa come quella italiana.

«Una delle pecche più gravi di questa teoria è la sua astrattezza, che non tiene conto dei contesti storici e sociali specifici. In Italia siamo in presenza di una religione nettamente predominante. Non esiste nella società e nella cultura etica quel pluralismo che fa da contenimento naturale. Il rischio per la nostra democrazia è quello di un maggioritarismo potenziato da un credo religioso. E le leggi possono diventare laiche al rovescio: non perché distanti da tutte le fedi religiose, ma perché vicine alla fede della maggioranza».

Marco Marzano insiste sullo scarso fondamento in Italia della teoria postsecolare, essendo profondo il divorzio tra fede dichiarata e pratica di vita. Una divaricazione denunciata pochi giorni fa dall’arcivescovo di Milano.

«Sì, è in gioco non solo la riconquista della società liberale, ma della stessa Chiesa dei cristiani. Marzano mostra in modo molto dettagliato anche lo scollamento tra la religione rappresentata dalle gerarchie e la religione vissuta dai credenti. La Chiesa del potere e la Chiesa della fede».

Questo schema però viene rovesciato da papa Francesco, che introduce una rottura netta rispetto ai simboli e alle pratiche di potere della precedente curia romana, anche nei suoi rapporti con la politica italiana. E si propone come cerniera tra Chiesa istituzionale e Chiesa missionaria.

«Se mi si consente il termine, è un papa grillino. Egli salta tutto il corpo intermedio per arrivare direttamente all’incontro con i fedeli: basti pensare alla frequenza delle sue telefonate o al suo quotidiano uso del twitter. Questo è un dato interessante perché riflette un fenomeno diffuso in tutte le istituzioni generatrici di autorità, religiose o politiche che siano: i cittadini non si sentono più rappresentati da questi corpi intermedi, sia che si chiamino prelati o rappresentanti politici, clero o partiti. Papa Francesco avverte questo divorzio, e riesce a colmarlo con straordinaria abilità».

Per le sue idee e per le sue azioni Francesco appare come l’incarnazione esemplare del postsecolarismo di Habermas: non introduce mai nella sfera pubblica uno stile dogmatico o una prevaricazione sullo Stato. Ma così operando non rischia di demolire le vostre critiche a quella teoria?

«Non credo. Semmai il contrario. Grazie alla sua efficace predicazione, che arriva dalla grande tradizione gesuita, con la rievangelizzazione l’infiltrazione religiosa rischia di diventare ancora più dilagante e capillare. E questo rende ancor più necessario preservare le staccionate per distinguere le varie sfere, quella civile e quella religiosa per esempio».

Nel libro non mancano critiche al «postsecolarismo all’italiana», da Giuliano Amato a Giancarlo Bosetti e Alessandro Ferrara. «Habermas riflette nelle sue idee la democrazia dell’Europa protestante e degli Stati Uniti, ossia realtà caratterizzate da pluralismo effettivo, mentre questi studiosi provengono da una tradizione che è imbevuta in modo egemonico di una sola religione. Quando si parla del rapporto tra Stato e fede religiosa, la teoria dovrebbe prestare più attenzione al contesto».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/9/2013 19.03
Titolo:A PAPA BERGOGLIO, NON SCGERZIAMO CON IL FUOCO. Un solo discepolato e di una sola...
Anche gli uomini recitano il rosario

di Katie Grimes (Adista” - documenti - n. 33 del 28 settembre 2013)

Il mese scorso, di ritorno dal suo celebratissimo viaggio in Brasile, papa Francesco ha espresso alcuni commenti a braccio, producendo reazioni in tutta la blogosfera cattolica. Pur riaffermando il perenne divieto della Chiesa all’ordinazione delle donne, il papa ha fatto appello a ciò che ha definito «una vera e profonda teologia delle donne nella Chiesa».

In molti hanno accolto con favore le sue parole, interpretandole come prova del suo apprezzamento per il genere femminile. Ma io non sono così sicura che dovremmo leggere queste parole come “una buona notizia”. Il problema sembra esattamente l’opposto di ciò che papa Francesco ha sostenuto. Io non biasimo la mancanza di questa “teologia delle donne”, ma il fatto che tanti rappresentanti della Chiesa la considerino necessaria.

Prima di lui, Giovanni Paolo II aveva già tentato di delineare “una teologia delle donne” con la sua lettera apostolica del 1988 Mulieris dignitatem, individuando due dimensioni della vocazione delle donne: la maternità di stile mariano e la verginità. Tuttavia, piuttosto che criticare questa specifica teologia delle donne, voglio individuare i problemi legati ai presupposti di tale progetto.

La ricerca di una teologia delle donne, sostengo io, rende queste ulteriormente estranee, ponendole sotto la luce circoscritta dello sguardo maschile. Perché nessun papa ha mai scritto una lettera sul ruolo degli uomini nella Chiesa e nella società? O ha mai riflettuto su una “teologia dei maschi”?

La risposta è semplice: i papi non hanno mai messo in discussione il significato teologico del loro sesso, perché il potere ha trovato nella mascolinità la propria giustificazione. Esercitando il potere sociale ed ecclesiale, i maschi hanno voluto dare l’impressione di legiferare in quanto esseri umani. Gli autori del Magistero hanno anche utilizzato la parola “uomini” per indicare l’intera specie umana: le donne possono essere uomini, ma gli uomini non possono mai essere donne. Le donne non sono mai il metro di paragone, rappresentano l’eccezione.

Ciò vale per tutti i gruppi socialmente potenti. Ad esempio, negli Stati Uniti, i tradizionali opinionisti hanno sempre fatto riferimento alla costante supremazia bianca nel Paese non come al “problema bianco”, ma come al “problema nero”, o alla “questione razziale”. Allora come oggi, il fatto di essere bianco appare normativo, scontato e subliminale. Solo i neri devono spiegarsi. Invece di chiedere una «vera e profonda teologia delle donne», avrei preferito che il papa invocasse una critica più incisiva del sessismo, della misoginia e dell’androcentrismo. Invece di una teologia più profonda delle donne, avrei voluto che riconoscesse la necessità di più teologia fatta dalle donne.

Un papa non ha mai scritto una lettera affermando la dignità della popolazione maschile, anche perché questa non è mai stata messa in dubbio. La Chiesa ha sempre onorato e rispettato la dignità della mascolinità. Noi di solito dobbiamo affermare esplicitamente la dignità solo di quei gruppi a cui essa viene negata nelle vicende concrete della vita quotidiana.

Analogamente, il posto degli uomini nella Chiesa è stato dato sempre per scontato: sembra così ovvio da non dover essere discusso. Ma se papa Francesco parla della mancanza di un’adeguata teologia delle donne, vuol dire che 2000 anni non sono stati sufficienti per capire ciò che Dio vuole per le donne. Come può essere? Cosa c’è di così difficile da capire delle donne?

Forse gli autori contemporanei del Magistero considerano le donne così fastidiosamente complesse perché mirano all’impossibile: la produzione di una teoria che le renda sostanzialmente e complessivamente diverse dagli uomini, ma fondamentalmente uguali a loro. Le autorità cattoliche non hanno mai trovato questo problema così complicato. Tommaso d’Aquino ha dedicato una sola quaestio (ST 92 I.) in tutta la sua Summa alla discussione esplicita sulle donne. Ha parlato più spesso degli angeli che della “donna”.

Per gran parte della sua storia, la Chiesa non ha avuto bisogno di giustificare la sua fede nella supremazia maschile dinanzi a un coro di scettici. Le società in cui la Chiesa era inserita erano in genere d’accordo con loro. Gli autori cattolici hanno dunque investito la maggior parte delle risorse della retorica ecclesiale nella difesa della posizione della Chiesa su punti controversi.

Nel XX secolo, però, qualcosa ha iniziato a cambiare. La fede della Chiesa nella superiorità degli uomini rispetto alle donne non è sembrata più così ovvia. Nel tentativo di difendere la Chiesa da un fiorente movimento per i diritti delle donne, Pio XI ha scritto nel 1930 la Casti Connubii. Riaffermando la condizione dell’uomo come capo famiglia, ha insistito sull’importanza della sottomissione coniugale delle mogli, criticando aspramente tutti coloro che sostenevano «essere quella una indegna servitù di un coniuge all’altro» e che «i diritti tra i coniugi devono essere tutti uguali». Quando Giovanni Paolo II è stato eletto, tali proclami erano caduti in disgrazia anche presso le donne cattoliche più conservatrici. I vecchi insegnamenti non erano più difendibili. Capovolgendo le posizioni, Giovanni Paolo II ha affermato l’incondizionata uguaglianza di donne e uomini per la prima volta nella storia della Chiesa.

Ma questo non ha risolto tutti i problemi. Non volendo in alcun modo aprire il sacerdozio a “uomini di genere femminile”, la Chiesa aveva bisogno di giustificare la sua intenzione di continuare a riservare l’ordinazione solo agli “uomini di genere maschile”. E dal momento che il divieto in relazione al sacerdozio femminile aveva sempre poggiato in maniera piuttosto decisa sull’evidente disuguaglianza delle donne rispetto agli uomini, la Chiesa si è trovata in un vicolo cieco. La complementarità sessuale, che fonda il sacerdozio esclusivamente maschile sulla differenza sessuale, piuttosto che sulla disuguaglianza sessuale, è diventata la soluzione a questo problema.

Tale ideologia divide sempre più il discepolato in base a criteri sessuali, sottolineando nelle donne l’iconica rappresentazione di Maria e negli uomini la rappresentazione di Gesù. Solo gli uomini possono stare sull’altare in persona Christi, perché Gesù Cristo era un uomo. Una “teologia del corpo” che tenta di attribuire importanza teologica e ontologica agli organi riproduttivi. Cosicché il significato di “donna” e di “uomo” può essere colto nel funzionamento eterosessuale dei loro organi genitali.

Nel suo libro del 2010, In cielo e in terra, l’allora cardinal Bergoglio ha descritto perfettamente questa linea di pensiero: «La tradizione fondata teologicamente vuole che ciò che è sacerdotale passi per l’uomo. La donna ha un’altra funzione nel cristianesimo, riflessa nella figura di Marta. È colei che accoglie, colei che contiene, la madre della comunità. La donna ha il dono della maternità, della tenerezza: se tutte queste ricchezze non si integrano, una comunità religiosa si trasforma in una società non solo maschilista, ma anche austera, dura ed erroneamente sacralizzata. Il fatto che la donna non possa esercitare il sacerdozio non significa che valga meno dell’uomo. Nella nostra concezione, in realtà, la Vergine Maria è superiore agli apostoli. Secondo un monaco del II secolo, tra i cristiani esistono tre dimensioni femminili: Maria, come madre del Signore, la Chiesa e l’Anima. La presenza femminile nella Chiesa non è stata sottolineata molto perché la tentazione del maschilismo non ha permesso di dare visibilità al ruolo che spetta alle donne nella comunità».

Giovanni Paolo II presenta nella Mulieris dignitatem una descrizione più completa di Maria come icona della femminilità. Come «il nuovo principio» della dignità e della vocazione della donna, di tutte le donne e di ciascuna, vanificando la disobbedienza di Eva. Attraverso il suo “fiat” liberamente esercitato, Maria ha la funzione di «rappresentante e archetipo di tutto il genere umano». In questo, «rappresenta l’umanità che appartiene a tutti gli esseri umani, sia uomini che donne». Ma «d’altra parte, l’evento di Nazareth mette in rilievo una forma di unione col Dio vivo che può appartenere solo alla “donna”, Maria: l’unione tra madre e figlio». Allo stesso modo in cui Maria agisce come un modello per le donne più che per gli uomini, così Gesù serve da modello per gli uomini più che per le donne. «Proprio perché l’amore divino di Cristo è amore di Sposo», argomenta Giovanni Paolo II, «esso è il paradigma e l’esemplare di ogni amore umano, in particolare dell’amore degli uomini-maschi».

I papi identificano giustamente la gravidanza come una capacità unica delle donne, ma interpretandola in modo teologicamente discutibile. Stando a loro, ci troviamo nella strana posizione di sostenere che il semplice possesso di un utero fornisce alle donne una più intensa esperienza di unione corporale con Dio rispetto a quanto possa fare un uomo. Tuttavia, se Maria ha effettivamente raggiunto l’unione con Dio portando il Figlio di Dio nel suo corpo, e se unicamente le donne possono rimanere incinte, nessuna donna prima o dopo Maria ha mai dato vita a Dio. La gravidanza di Maria si pone come un evento storico unico e irripetibile. (...). Contrariamente a quanto sostenuto dal papa, con la sua gravidanza Maria rivela la sua differenza da tutte le altre donne almeno tanto quanto la sua somiglianza come loro rappresentante. Nessuna donna, tranne Maria, è giunta all’unione del corpo con Dio attraverso la gravidanza. Esattamente come gli uomini cattolici, le donne cattoliche vivono l’unione corporale con Dio durante l’Eucaristia.

Dobbiamo affrontare un altro problema. Giovanni Paolo II crede che Maria e Gesù rappresentino un modello di genere per una seconda ragione. La femminilità, sostiene Giovanni Paolo II, esprime una passività essenziale, mentre la mascolinità incarna l’attività. «Lo Sposo è colui che ama. La Sposa viene amata: è colei che riceve l’amore, per amare a sua volta».

Ma il “sì” di Maria alla gravidanza è davvero così diverso dal “sì” offerto da Gesù nel giardino del Getsemani? Entrambi i “fiat” sono stati una risposta di sottomissione alla volontà di Dio. Proprio come Maria ha accolto la gravidanza, così Gesù ha accettato la crocifissione. (...). Sia Maria che Gesù rispondono all’amore offerto da Dio e dicono di sì con i loro corpi. Come spose, accettano il dono del loro amante e lo restituiscono con i loro corpi. Seguendo lo schema di Giovanni Paolo II, Dio Padre ha amato sia Maria che Gesù in modo maschile e sia Maria che Gesù lo hanno riamato in modo femminile. (...).

Le donne non rappresentano né un problema da risolvere né un mistero da spiegare. Contro la volontà di papa Francesco di attribuire alle donne una categoria teologica a se stante, affermiamo l’esistenza di un solo discepolato e di una sola salvezza.

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Commenti Articolo 422

Titolo articolo : "AVE MARY" E LA TEOLOGIA DI DIO COME "UOMO SUPREMO". Un saggio di Michela Murgia, recensito da Natalia Aspesi - con una premessa,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/24/2013 - 16:33:36.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/5/2011 18.01
Titolo:RISVEGLI. Nostra Signora degli eretici, di Alberto Maggi ....
Risvegli


di Mirella Camera

in “a latere...” (http://alatere.myblog.it/)del 15 maggio 2011


Promette bene l’ultimo libro di Michela Murgia, Ave Mary, che rilegge la figura di Maria nella tradizione cattolica rovesciando molti luoghi comuni che ne hanno pietrificato l’icona secondo un’immaginario molto più maschile (e clericale) di quanto fosse plausibile.


A dire il vero, una rilettura con occhi nuovi era giù tata fatta tanto per dirne una, con Nostra Signora degli eretici, di Alberto Maggi, Cittadella 1988, che sarebbe da rileggere. Anzi, in quel clima da laboratorio teologico che ha seguito il Concilio, proprio l’immagine “liberata” dagli archetipi più tradizionalisti della Madonna, insieme ad altre figure di donne della Bibbia, ha permesso di elaborare un nucleo di teologia femminile fervido e interessante. Peccato che, insieme al femminismo, tutto quanto sia finito in un riflusso che ha sepolto - o forse solo “addormentato” - quei semi di novità.


Semi che pare si stiano risvegliando. E se l’ultimo ventennio è riuscito a ricacciare di nuovo le donne dentro forme e modelli gradite ai maschi, non più “per bene” come un tempo (cioè spose e madri accudenti e pronte al sacrificio) ma “desiderabili e disinibite” (cioè inclini a liberarsi dai fardelli tradizionali e quindi molto più disponibili e malleabili), oggi si sentono qua e là voci fuori
dal coro, sussurri e risvegli che suggerirebbero una voglia di riprendere un discorso interrotto.


Speriamo. Speriamolo per la donna nella società, soggetta a un femminicidio la cui frequenza implacabile nelle cronache è direttamente proporzionale al silenzio più totale nei luoghi
ordinari della riflessione sociale.


E speriamolo per la donna nella Chiesa dove, al di là delle belle parole, essa è tenuta ben a distanza dalla possibilità di spartire tutte le responsabilità, anche quelle pastorali e decisionali, magari con la scusa che il genio femminile, è specializzato in questa funzione di privilegiare la carità. Detto in termini ecclesiali: è un loro specifico carisma (1). Come dire: attente, non va bene ricercare il potere, non “cascateci”: la carità evangelica chiede il servizio. Il potere, che è così spiritualmente pericoloso, lasciatelo a noi maschi...

E infatti, il vescovo australiano William Morris, reo di aver detto che non si sarebbe scandalizzato se la Chiesa avesse cominciato a ordinare presbiteri - donne per ovviare alla scarsità dei preti, è
stato rimosso al volo. Ma questa è un’altra storia.

(1) Le donne della “spazzadora” di Vittorio Cristelli in “vita trentina” del 15 maggio 2011 riportato
da Fine settimana
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/5/2011 20.52
Titolo:Maria a suo modo era una donna sovversiva..... Così anche Giuseppe!!!
“Nelle donne di oggi c’è molto di Maria”
Colloquio con Michela Murgia

a cura di Alain Elkann (La Stampa, 22 maggio 2011)


L’ultimo libro di Michela Murgia, pubblicato da Einaudi, s’intitola «Ave Mary». C’è un
motivo particolare?

«Sì, è un titolo che richiama proprio l’incipit dell’Ave Maria. Ma Mary è anche il simbolo della
donna di oggi».

In che senso?

«Intendo dire che il titolo cerca di sintetizzare una precisa domanda, ossia: “Quanto c’è
dell’immaginario religioso intorno a Maria nel modo in cui le donne si pensano o vengono pensate
al giorno d’oggi?»

Ce lo dica lei: quanto c’è di Maria in queste donne di oggi?

«Direi molto, anzi moltissimo, anche se spesso ciò non viene sufficientemente indagato, per cui si
rischia di muoversi senza consapevolezza».

Per quale ragione accade quello che lei dice?

«Non lo so con esattezza, ma penso che ciò riguardi le donne credenti e quelle che non lo sono. Il
cristianesimo è una matrice culturale trasversale che prescinde dalla dimensione di fede».

Che tipo di donna è Maria?

«È una donna fraintesa, descritta malamente, quasi in maniera strumentale. Di Maria è stata
costruita una falsa immagine, a cui le donne vengono obbligate a conformarsi. E credo che il
fenomeno dell’annunciazione di Maria abbia una portata veramente straordinaria».
E per quale ragione?
«Perché per secoli si è cercato di dare a intendere alle donne normali che con quel “sì” Maria
avrebbe dovuto essere per loro il modello della docilità».

E invece non era così?

«Quando l’Angelo fa l’annunciazione, per una serie di ragioni non si rivolge né al padre né alla
madre di Maria, ma direttamente a lei. Una cosa a quei tempi non abituale. E lei, prima di dire sì,
avrebbe dovuto chiedere il permesso, visto che era una ragazza di soli sedici anni. Invece decise da
sola di pronunciare la fatidica risposta positiva, senza consultarsi con nessuno, e soprattutto senza
parlarne neppure con il fidanzato. Così facendo, Maria ha rischiato la lapidazione, perché a suo
modo era una donna sovversiva».

Maria è veramente esistita?

«Assolutamente sì. Lo testimoniano i Vangeli, che rappresentano un fondamentale documento
storico che mette nero su bianco alcune prove molto concrete».

Lei ci crede alla storia di Maria così come è raccontata dalla tradizione?

«In quanto credente, non posso certo dire di avere difficoltà a credere a quanto è scritto».

Lei si definirebbe comunque una scrittrice laica?

«Sì, se si pensa significato greco di “laico”, che significa “del popolo”. Ma è solo oggi che laico è
contrapposto alla religione. Invece credo che si possa tranquillamente essere al contempo laici e
religiosi».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/9/2013 16.33
Titolo:MESSAGGIO A PAPA FRANCESCO . Un solo discepolato e di una sola salvezza.
Anche gli uomini recitano il rosario

di Katie Grimes (Adista” - documenti - n. 33 del 28 settembre 2013)

Il mese scorso, di ritorno dal suo celebratissimo viaggio in Brasile, papa Francesco ha espresso alcuni commenti a braccio, producendo reazioni in tutta la blogosfera cattolica. Pur riaffermando il perenne divieto della Chiesa all’ordinazione delle donne, il papa ha fatto appello a ciò che ha definito «una vera e profonda teologia delle donne nella Chiesa».

In molti hanno accolto con favore le sue parole, interpretandole come prova del suo apprezzamento per il genere femminile. Ma io non sono così sicura che dovremmo leggere queste parole come “una buona notizia”. Il problema sembra esattamente l’opposto di ciò che papa Francesco ha sostenuto. Io non biasimo la mancanza di questa “teologia delle donne”, ma il fatto che tanti rappresentanti della Chiesa la considerino necessaria.

Prima di lui, Giovanni Paolo II aveva già tentato di delineare “una teologia delle donne” con la sua lettera apostolica del 1988 Mulieris dignitatem, individuando due dimensioni della vocazione delle donne: la maternità di stile mariano e la verginità. Tuttavia, piuttosto che criticare questa specifica teologia delle donne, voglio individuare i problemi legati ai presupposti di tale progetto.

La ricerca di una teologia delle donne, sostengo io, rende queste ulteriormente estranee, ponendole sotto la luce circoscritta dello sguardo maschile. Perché nessun papa ha mai scritto una lettera sul ruolo degli uomini nella Chiesa e nella società? O ha mai riflettuto su una “teologia dei maschi”?

La risposta è semplice: i papi non hanno mai messo in discussione il significato teologico del loro sesso, perché il potere ha trovato nella mascolinità la propria giustificazione. Esercitando il potere sociale ed ecclesiale, i maschi hanno voluto dare l’impressione di legiferare in quanto esseri umani. Gli autori del Magistero hanno anche utilizzato la parola “uomini” per indicare l’intera specie umana: le donne possono essere uomini, ma gli uomini non possono mai essere donne. Le donne non sono mai il metro di paragone, rappresentano l’eccezione.

Ciò vale per tutti i gruppi socialmente potenti. Ad esempio, negli Stati Uniti, i tradizionali opinionisti hanno sempre fatto riferimento alla costante supremazia bianca nel Paese non come al “problema bianco”, ma come al “problema nero”, o alla “questione razziale”. Allora come oggi, il fatto di essere bianco appare normativo, scontato e subliminale. Solo i neri devono spiegarsi. Invece di chiedere una «vera e profonda teologia delle donne», avrei preferito che il papa invocasse una critica più incisiva del sessismo, della misoginia e dell’androcentrismo. Invece di una teologia più profonda delle donne, avrei voluto che riconoscesse la necessità di più teologia fatta dalle donne.

Un papa non ha mai scritto una lettera affermando la dignità della popolazione maschile, anche perché questa non è mai stata messa in dubbio. La Chiesa ha sempre onorato e rispettato la dignità della mascolinità. Noi di solito dobbiamo affermare esplicitamente la dignità solo di quei gruppi a cui essa viene negata nelle vicende concrete della vita quotidiana.

Analogamente, il posto degli uomini nella Chiesa è stato dato sempre per scontato: sembra così ovvio da non dover essere discusso. Ma se papa Francesco parla della mancanza di un’adeguata teologia delle donne, vuol dire che 2000 anni non sono stati sufficienti per capire ciò che Dio vuole per le donne. Come può essere? Cosa c’è di così difficile da capire delle donne?

Forse gli autori contemporanei del Magistero considerano le donne così fastidiosamente complesse perché mirano all’impossibile: la produzione di una teoria che le renda sostanzialmente e complessivamente diverse dagli uomini, ma fondamentalmente uguali a loro. Le autorità cattoliche non hanno mai trovato questo problema così complicato. Tommaso d’Aquino ha dedicato una sola quaestio (ST 92 I.) in tutta la sua Summa alla discussione esplicita sulle donne. Ha parlato più spesso degli angeli che della “donna”.

Per gran parte della sua storia, la Chiesa non ha avuto bisogno di giustificare la sua fede nella supremazia maschile dinanzi a un coro di scettici. Le società in cui la Chiesa era inserita erano in genere d’accordo con loro. Gli autori cattolici hanno dunque investito la maggior parte delle risorse della retorica ecclesiale nella difesa della posizione della Chiesa su punti controversi.

Nel XX secolo, però, qualcosa ha iniziato a cambiare. La fede della Chiesa nella superiorità degli uomini rispetto alle donne non è sembrata più così ovvia. Nel tentativo di difendere la Chiesa da un fiorente movimento per i diritti delle donne, Pio XI ha scritto nel 1930 la Casti Connubii. Riaffermando la condizione dell’uomo come capo famiglia, ha insistito sull’importanza della sottomissione coniugale delle mogli, criticando aspramente tutti coloro che sostenevano «essere quella una indegna servitù di un coniuge all’altro» e che «i diritti tra i coniugi devono essere tutti uguali».

Quando Giovanni Paolo II è stato eletto, tali proclami erano caduti in disgrazia anche presso le donne cattoliche più conservatrici. I vecchi insegnamenti non erano più difendibili. Capovolgendo le posizioni, Giovanni Paolo II ha affermato l’incondizionata uguaglianza di donne e uomini per la prima volta nella storia della Chiesa.

Ma questo non ha risolto tutti i problemi. Non volendo in alcun modo aprire il sacerdozio a “uomini di genere femminile”, la Chiesa aveva bisogno di giustificare la sua intenzione di continuare a riservare l’ordinazione solo agli “uomini di genere maschile”. E dal momento che il divieto in relazione al sacerdozio femminile aveva sempre poggiato in maniera piuttosto decisa sull’evidente disuguaglianza delle donne rispetto agli uomini, la Chiesa si è trovata in un vicolo cieco. La complementarità sessuale, che fonda il sacerdozio esclusivamente maschile sulla differenza sessuale, piuttosto che sulla disuguaglianza sessuale, è diventata la soluzione a questo problema.

Tale ideologia divide sempre più il discepolato in base a criteri sessuali, sottolineando nelle donne l’iconica rappresentazione di Maria e negli uomini la rappresentazione di Gesù. Solo gli uomini possono stare sull’altare in persona Christi, perché Gesù Cristo era un uomo. Una “teologia del corpo” che tenta di attribuire importanza teologica e ontologica agli organi riproduttivi. Cosicché il significato di “donna” e di “uomo” può essere colto nel funzionamento eterosessuale dei loro organi genitali.

Nel suo libro del 2010, In cielo e in terra, l’allora cardinal Bergoglio ha descritto perfettamente questa linea di pensiero: «La tradizione fondata teologicamente vuole che ciò che è sacerdotale passi per l’uomo. La donna ha un’altra funzione nel cristianesimo, riflessa nella figura di Marta. È colei che accoglie, colei che contiene, la madre della comunità. La donna ha il dono della maternità, della tenerezza: se tutte queste ricchezze non si integrano, una comunità religiosa si trasforma in una società non solo maschilista, ma anche austera, dura ed erroneamente sacralizzata. Il fatto che la donna non possa esercitare il sacerdozio non significa che valga meno dell’uomo. Nella nostra concezione, in realtà, la Vergine Maria è superiore agli apostoli. Secondo un monaco del II secolo, tra i cristiani esistono tre dimensioni femminili: Maria, come madre del Signore, la Chiesa e l’Anima. La presenza femminile nella Chiesa non è stata sottolineata molto perché la tentazione del maschilismo non ha permesso di dare visibilità al ruolo che spetta alle donne nella comunità».

Giovanni Paolo II presenta nella Mulieris dignitatem una descrizione più completa di Maria come icona della femminilità. Come «il nuovo principio» della dignità e della vocazione della donna, di tutte le donne e di ciascuna, vanificando la disobbedienza di Eva. Attraverso il suo “fiat” liberamente esercitato, Maria ha la funzione di «rappresentante e archetipo di tutto il genere umano». In questo, «rappresenta l’umanità che appartiene a tutti gli esseri umani, sia uomini che donne». Ma «d’altra parte, l’evento di Nazareth mette in rilievo una forma di unione col Dio vivo che può appartenere solo alla “donna”, Maria: l’unione tra madre e figlio». Allo stesso modo in cui Maria agisce come un modello per le donne più che per gli uomini, così Gesù serve da modello per gli uomini più che per le donne. «Proprio perché l’amore divino di Cristo è amore di Sposo», argomenta Giovanni Paolo II, «esso è il paradigma e l’esemplare di ogni amore umano, in particolare dell’amore degli uomini-maschi».

I papi identificano giustamente la gravidanza come una capacità unica delle donne, ma interpretandola in modo teologicamente discutibile. Stando a loro, ci troviamo nella strana posizione di sostenere che il semplice possesso di un utero fornisce alle donne una più intensa esperienza di unione corporale con Dio rispetto a quanto possa fare un uomo. Tuttavia, se Maria ha effettivamente raggiunto l’unione con Dio portando il Figlio di Dio nel suo corpo, e se unicamente le donne possono rimanere incinte, nessuna donna prima o dopo Maria ha mai dato vita a Dio. La gravidanza di Maria si pone come un evento storico unico e irripetibile. (...). Contrariamente a quanto sostenuto dal papa, con la sua gravidanza Maria rivela la sua differenza da tutte le altre donne almeno tanto quanto la sua somiglianza come loro rappresentante. Nessuna donna, tranne Maria, è giunta all’unione del corpo con Dio attraverso la gravidanza. Esattamente come gli uomini cattolici, le donne cattoliche vivono l’unione corporale con Dio durante l’Eucaristia.

Dobbiamo affrontare un altro problema. Giovanni Paolo II crede che Maria e Gesù rappresentino un modello di genere per una seconda ragione. La femminilità, sostiene Giovanni Paolo II, esprime una passività essenziale, mentre la mascolinità incarna l’attività. «Lo Sposo è colui che ama. La Sposa viene amata: è colei che riceve l’amore, per amare a sua volta».

Ma il “sì” di Maria alla gravidanza è davvero così diverso dal “sì” offerto da Gesù nel giardino del Getsemani? Entrambi i “fiat” sono stati una risposta di sottomissione alla volontà di Dio. Proprio come Maria ha accolto la gravidanza, così Gesù ha accettato la crocifissione. (...). Sia Maria che Gesù rispondono all’amore offerto da Dio e dicono di sì con i loro corpi. Come spose, accettano il dono del loro amante e lo restituiscono con i loro corpi. Seguendo lo schema di Giovanni Paolo II, Dio Padre ha amato sia Maria che Gesù in modo maschile e sia Maria che Gesù lo hanno riamato in modo femminile. (...).

Le donne non rappresentano né un problema da risolvere né un mistero da spiegare. Contro la volontà di papa Francesco di attribuire alle donne una categoria teologica a se stante, affermiamo l’esistenza di un solo discepolato e di una sola salvezza.

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Titolo articolo : Una lettera per sostenere Papa Francesco,di Enrico Peyretti, Torino

Ultimo aggiornamento: September/24/2013 - 09:38:47.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/9/2013 09.38
Titolo:MA PAPA BERGOGLIO PER QUALE "DIO" STA LAVORANDO??!
MA A CHE GIOCO GIOCA LA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA?!

Cristo è la luce delle genti ("Lumen Gentium", 21 novembre 1964); "Il Signore Gesù, prima di ascendere al cielo, affidò ai suoi discepoli il mandato" (J. Ratzinger, "Dominus Iesus", 6 Agosto 2000).

"Di quale Dio parliamo quando parliamo di Dio, e di quale Dio parlano quando parlano di Dio? La domanda è cruciale. Infatti non è per niente chiaro, non è sempre lo stesso, e sovente non è un Dio innocuo" (Raniero La Valle)

Dio ("Deus charitas est") o Mammona (Benedetto XVI, "Deus caritas est", 2006)?!

MA A CHE STA LAVORANDO FRANCESCO? ALLA RESTAURAZIONE DEL POTERE DEL "DOMINUS IESUS" PER MOLTI O ALLA RESTITUZIONE DEL "LUMEN GENTIUM" A TUTTI?!

Federico La Sala

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Commenti Articolo 424

Titolo articolo : IN PRINCIPIO ERA IL PANE E LA CONDIVISIONE, LA COMUNIONE ("EU-CHARISTIA"), NON LA CARESTIA ("CARITAS"). La lezione del Talmud. L'intervento di  Marc-Alain Ouaknin al Festival Internazionale di cultura ebraica (Milano, 28 settembre.- 01 ottobre 2013) - con note ,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/23/2013 - 22:21:56.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/9/2013 19.43
Titolo:La santita' primordiale...
La santità primordiale

di Jon Sobrino (Adista Documenti n. 33 del 28/09/2013)

I. NELLE SITUAZIONI LIMITE

Nella decisione primaria, personale e di gruppo, di vivere e di dare vita, così come appare in occasione di talune atrocità storiche e catastrofi naturali, si rende - si può rendere - presente qualcosa che possiamo definire santità primordiale.

1/ Africa

Nel 1994 apparvero sui nostri teleschermi carovane di migliaia di donne che fuggivano dal genocidio in Rwanda e camminavano verso il Congo con i bambini aggrappati alle mani e con la casa - ciò che di essa rimaneva - dentro ceste sopra la testa. Camminavano insieme, le une con le altre, come sorreggendosi l’una con l’altra. Sui loro volti appariva la distanza infinita rispetto a ciò che sono le nostre vite, alterità che imponeva un silenzio totale e per esprimere la quale penso non vi siano parole adeguate. Tuttavia, dal di dentro, senza ragionarci tanto, mi sono uscite le parole che danno il titolo a quest’articolo: la santità primordiale. Si rendevano presenti ultimità, eccezionalità e capacità di salvezza.

Il luogo. Detto con sommo rispetto, l’Africa è nella nostra epoca uno dei luoghi in cui appare con maggior forza questa santità primordiale. Normalmente ciò appare in televisione e nei racconti di coloro che lì hanno vissuto. In Mozambico, durante le inondazioni di alcuni anni fa, si potevano vedere esseri umani in preda a una totale disperazione e nello stesso tempo con una speranza incrollabile mentre levavano le loro mani verso elicotteri che potevano soccorrerli. In Biafra, Etiopia, Somalia, spesso si vedono madri con bambini famelici, e moltitudini di uomini e donne condannati alla morte per AIDS. Da carceri e campi profughi arrivano racconti di incredibile miseria e crudeltà. E altrettanto impressionante è la loro lotta per la vita.

In tutto ciò si rende presente l’enigma dell’iniquità, espressione che preferiamo a quella di mysterium iniquitatis (riserviamo il termine "mistero" per riferirci alla realtà del bene. Almeno nel linguaggio vogliamo interrompere una totale simmetria tra il bene e il male). E simultaneamente si rende presente l’anelito e la volontà di vivere - e di convivere gli uni con gli altri - in mezzo a grandi sofferenze, fatiche, per tirare avanti con creatività, resistenza e. fortezza senza limiti, sfidando ostacoli immensi. In ciò appare la dignità delle vittime e la solidarietà tra di loro. L’abbiamo chiamata santità primordiale .È il mysterium salutis. Soggettivamente questa realtà mette paura e fa tremare. Ma può produrre fascino e incanto. Ricordiamo le parole di Rudolf Otto: il sacro è fascinans et tremendum. Di conseguenza, là dove sperimentiamo qualcosa che affascina e che atterrisce siamo di fronte a ciò che possiamo chiamare sacro. Tale sacralità primordiale appare prevalentemente in situazioni-limite di esseri umani che sono poveri e vittime. A noi che non siamo poveri né vittime non viene facile, né credo sia possibile, comprendere pienamente questa santità, anche se, spero, possiamo dire qualche parola sensata su di essa.

E si dà a conoscere a noi come dono. Non c’è stato bisogno di scoprire una santità primordiale per fare di necessità virtù, affinché la ragione potesse trovare un po’ di quiete. Lo affermiamo perché è così, ci è stato dato. A coloro che hanno lo sguardo pulito si impone. L’esperienza ha, dunque, una dimensione di grazia: la realtà si lascia vedere.

Infine, la santità primordiale porta salvezza. Può essere soltanto un debole assioma, ma penso che ogni santità salva. Se e come la santità primordiale salva poveri e vittime solo loro lo sanno, ma a noi che siamo quelli di fuori porta salvezza: ci può ricondurre a quanto vi è di più originario in noi. E ci può riportare a Dio. Lo proclama in questi termini la testimonianza - ed è una fra le tante - di una religiosa che ha trascorso svariati anni in Africa: «Non è difficile lodare e cantare quando si ha tutto assicurato. La cosa meravigliosa è che coloro che ricostruiscono le loro vite dopo catastrofi e terremoti, e i prigionieri di Kigali che oggi riceveranno le visite dei loro familiari (che con fatica e sudore potranno portare loro qualcosa da mangiare), benedicono e rendono grazie a Dio. Non saranno per caso loro i prediletti e coloro dai quali abbiamo da imparare la gratuità? Oggi ho ricevuto una loro lettera. A volte non ci rendiamo conto di quanto riceviamo da loro e come essi ci salvano».

2/ El Salvador

Abbiamo iniziato dalla lontana Africa, poiché a noi che diamo la vita per scontata e viviamo un qualche grado di benessere l’Africa appare come prototipo di alterità, alterità che in qualche modo è sempre una dimensione della santità. Ma realtà come quella descritta in Biafra, non sempre in un grado così estremo, si verificano anche altrove e in altri tempi.

Nel Salvador è accaduto durante gli anni di repressione e di guerra, dal 1975 al 1992. Vi sono molte storie del tremendum et fascinans: contadini che scappavano di corsa durante la notte, donne con i piccoli in braccio, a cui tappavano la bocca perché non se ne udisse il pianto - e un bambino è morto asfissiato. Tra di loro si rincuoravano a vicenda. Fino a oggi tutto ciò lascia stupefatti. E ci pone davanti a qualcosa di sacro.

Il tremendum et fascinans apparve anche nel terremoto del gennaio 2001, seguito da un altro nel febbraio dello stesso anno, nei dintorni della città di Santa Tecla, luogo dove io risiedo. La morte a causa dei crolli, la distruzione di abitazioni, il dover vivere esposti alle intemperie, ha prodotto un orrore tremendo. E l’ingiustizia sfacciata ha prodotto indignazione: il terremoto colpì immensamente di più i poveri di sempre anziché coloro che possono edificare con materiale adeguato. Il Salvador, come il Terzo mondo nel suo insieme, non è adeguato per la vita delle maggioranze povere (solo un dato: nel terremoto morirono più di 1.250 persone. Un esperto ha calcolato che in Svizzera un terremoto delle stesse dimensioni sismologiche avrebbe causato il decesso di cinque o sei vittime al massimo).

E apparve nuovamente la santità primordiale. Donne con quel che poterono salvare, sempre pronte a prendersi cura della vita, cucinavano e condividevano. Uomini, sempre pronti quando la vita richiede vigore fisico, smuovevano montagne di terra e si davano da fare per recuperare cadaveri e persone rimaste sotterrate. Apparve la tragedia e l’incanto dell’umano.Ho pubblicato in quell’occasione alcune riflessioni, che possono sembrare superflue in tempi di normalità e scomode in contesti di abbondanza dove la vita si dà per scontata e quando gli effetti delle catastrofi si riparano con relativa celerità. Mi sembrano necessarie, e spero che possano dare un po’ di luce.

E non voglio terminare questa parte introduttiva senza segnalare che, in situazioni-limite, la santità primordiale può dare molto e può raggiungere altezze insospettabili. Massimiliano Kolbe, in un campo di concentramento, ne è un esempio eminente.

II. LA SANTITÀ PRIMORDIALE NELLA VITA QUOTIDIANA

Abbiamo descritto la santità primordiale così come appare in situazioni-limite, ma si dà anche, come si può sperare, nella vita quotidiana della gente povera e semplice. Per molti esseri umani questo è il modo abituale di vita. E ciò avviene in gradi diversi all’interno di una gamma molto ampia.

Ci sembra importante evidenziarlo. Circa 925 milioni di persone soffrono la fame, e nei Paesi poveri muoiono ogni anno circa 11 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni. Esistono popoli depredati come il Congo o ignorati come Haiti. Negli ultimi quindici anni in Centroamerica si è sviluppata un’ondata di omicidi che è diventata come un’epidemia: la malattia che produce il maggior numero di morti.

Queste immense moltitudini sono gli anawim della Bibbia. Vivono ricurvi sotto un pesante carico e non danno la vita per scontata. E sono gli oppressi, gli emarginati e i disprezzati, i pubblicani e le prostitute. Vivono nei bassifondi e ai margini della società.

Credo tuttavia che poche volte la teologia si sia chiesta quale eccezionalità abbia la vita di queste moltitudini. Ciò è stato fatto in America latina, tra gli altri con Ignàcio Ellacuría, Pedro Trigo e Puebla. Vediamo come.

Nel Salvador, Ignacio Ellacuría ha definito le maggioranze popolari “popolo crocifisso”. Storicamente è «quella collettività che forma la maggioranza dell’umanità e deve la sua situazione di crocifissione a un ordinamento sociale promosso e sostenuto da una minoranza che esercita il dominio grazie a un insieme di fattori, i quali, essendo interconnessi e data la loro concretezza storica, devono ritenersi come peccato». La citazione fa riferimento a Gesù di Nazareth, grazie al quale si attribuisce eccezionalità cristiana al popolo crocifisso. E sub specie contrarii, a partire dal peccato che dà morte, la citazione esprime la ultimità che è presente in queste maggioranze.

In un altro testo, con riferimento al Concilio Vaticano Il, Ellacuría ha affermato teologicamente che «il popolo crocifisso è sempre il segno dei tempi». Caratterizza il nostro mondo (cfr GS 4) ed è luogo della presenza di Dio (cfr GS 11). «E la continuazione storica del servo di Yhwh, a cui il peccato del mondo continua a togliere ogni apparenza umana e che i poteri di questo mondo continuano a spogliare di tutto, continuandogli a strappare perfino la vita, soprattutto la vita». E il popolo crocifisso, come il servo sofferente di Yhwh, porta salvezza.

Ellacuría ha insistito sulla negatività del peccato che dà morte. Tuttavia, la grande novità che egli afferma è che il popolo crocifisso porta salvezza. L’affermazione è così scandalosa che solo «in un difficile atto di fede il cantore del servo è capace di scoprire ciò che appare come tutto il contrario agli occhi della storia». In questo modo Ellacuría riconosceva eccezionalità alla vita e al destino delle maggioranze popolari. In esse emerge una santità primordiale.

Pedro Trigo, dopo molti anni trascorsi in Venezuela, in una realtà difficilissima per le maggioranze, anche se non caratterizzata da una violenza così funesta come quelle che abbiamo ricordato, a partire dalla convivenza con la gente povera e semplice, scrive: «Al livello minimo dell’umano si dà il passaggio pasquale del Dio di Gesù Cristo per la Nostra America». È un testo magnifico per comprendere la santità primordiale vissuta quotidianamente e durevolmente. (...).

A Puebla, nel 1979, i vescovi dissero cose nuove e importanti sulle maggioranze del continente. Le ricordiamo, poiché purtroppo quelle cose sono andate perdendo di vigore. E perché, tenendo conto del tema di questo articolo, sono precorritrici nel proclamare l’eccezionalità della vita dei poveri. (...).

Puebla mostra compassione per i poveri ed esige dai cristiani di metterla in pratica: è l’opzione per i poveri. Ma poi si concentra sulla eccezionalità di vita di questi poveri, cosa che fa in due modi. In primo luogo, i poveri sono amati da Dio, senza condizioni, «qualunque sia la situazione morale o personale in cui si trovano». E lo spiega. «Fatti a immagine e somiglianza di Dio, per essere suoi figli, questa immagine è stata offuscata e persino oltraggiata. Per questo motivo Dio prende le loro difese e li ama» (n. 1142) (vorrei richiamare l’attenzione sul «prendere la loro difesa». È una forma di amore molto particolare. Comporta entrare in conflitti storici e rischiare privilegi, onorabilità e vita. Implica disponibilità cosciente e attiva a subire il martirio. In America Latina la storia lo mostra chiaramente. E mostra anche che non si ammazza chi solamente ama i poveri: si ammazza chi prende le loro difese). In secondo luogo, i poveri possiedono un «potenziale evangelizzatore» e «molti di essi realizzano nella loro vita i valori evangelici di solidarietà, servizio, semplicità e disponibilità ad accogliere il dono di Dio» (n. 1147).

Per quello che sono, amati da Dio incondizionatamente, per quello che hanno, valori evangelici, e per quello che fanno, evangelizzano, nei poveri si rende presente - si può rendere presente - una santità primordiale di grado notevole.

III. SANTITÀ PRIMORDIALE E SANTITÀ DELLE CANONIZZAZIONI

In America Latina teologi e vescovi si sono schierati in difesa dei poveri e inoltre hanno messo in evidenza l’eccezionalità nella loro vita. In altri luoghi non sempre accade che la vita delle maggioranze possa essere intessuta di santità. E, meno ancora, che esse possano portare salvezza. Radici di questa cecità si possono trovare nella Chiesa e nella teologia nei punti di vista tradizionali sulle maggioranze, che in definitiva sono borghesi. Ma ciò può essere dovuto anche al concetto che si ha di “santità”. Credo che normalmente la santità si concepisca nella linea della “perfezione”, quella del Padre celeste.

La santità primordiale, tuttavia, senza escluderlo, va più nella linea di rispondere e corrispondere a un Dio della vita, un Dio di poveri e vittime, un Dio di crocifissi. Se si vuole, a un Dio della creazione, ma in media res, cioè una creazione che si va facendo in mezzo ad atrocità e catastrofi, senza scendere a patti con esse. Vivere, voler vivere e lottare per vivere in questa creazione, non solo per ciò che formalmente vi è di graduale ed evolutivo, bensì per ciò che vi è di contenuto distruttivo, può essere un modo per comprendere la santità primordiale.

Questa visione della santità facilita la scoperta di forme di santità nelle maggioranze. Ciò che capita è che, coscientemente o meno, per approvare o per protestare, ancora vediamo l’analogatum princeps della santità in ciò che viene riconosciuto nei processi di canonizzazione. È bene riconoscere ufficialmente l’eccezionalità di cristiani come Francesco di Assisi e Charles de Foucauld, e di cristiane come Giovanna d’Arco e Teresa di Gesù. Ma è importante tenere conto che questo riconoscimento ignora altre forme di eccezionalità di vita.

A differenza della santità convenzionale, della santità primordiale non ci si domanda ancora ciò che vi è in essa di libertà o di necessità, di virtù o di obbligo, di grazia o di merito. Non ve n’è motivo, poiché non è la santità che si accompagna a virtù eroiche, ma quella che si esprime in una vita quotidianamente eroica. Non sappiamo se i poveri e le vittime sono santi intercessori per smuovere Dio - il che non è possibile né necessario -, ma hanno forza per smuovere il cuore. Non fanno miracoli, intesi come superamento delle leggi della natura (per la canonizzazione se ne richiedono due per i confessori e uno per i martiri), con cui i canonizzati rinviano a un Dio-potere infinitamente al di sopra dell’umano. Però fanno miracoli che violano le leggi della storia: il miracolo di sopravvivere in un mondo ostile. Con ciò rimandano a un Dio con uno spirito capace di mantenere l’anelito a vivere, e anche a un Dio senza potere, alla mercé della volontà degli esseri umani, come diranno i teologi.

La santità primordiale ha una logica diversa da quella della santità convenzionale. E diverse sono le sue conseguenze. Poveri e vittime non esigono imitazione, a cui, secondo la dottrina ufficiale, i santi possono invitare. E i santi primordiali rare volte ottengono che qualcuno li imiti: l’imitazione, piuttosto, è rifuggita quasi da tutti. Però dove c’è bontà di cuore, essi generano invece un sentimento di venerazione e il voler vivere in comunione con loro.

Non prendendo sul serio la santità primordiale, le canonizzazioni ufficiali comportano pericoli che si dovrebbero evitare.

1) Le canonizzazioni possono aumentare la distanza tra i santi e i comuni mortali, compresi i santi primordiali. Allora si cade nell’elitarismo e si considerano i poveri e i semplici, con i loro difetti e con le loro virtù, cristiani ed esseri umani di infima categoria, atteggiamento questo che sicuramente non si può far risalire a Gesù di Nazareth. I santi canonizzati possono trasformarsi in oggetto di ammirazione e di culto, però possono cessare di essere nostri fratelli e sorelle, distanziandosi così da Gesù, il quale «non si vergogna di chiamarci fratelli» (Eb 2,11).

2) Le canonizzazioni possono portare a una disistima verso i comuni mortali, se non al disprezzo. In epoche passate si sono disprezzati esseri umani di inferiore, neri e indigeni, che non potevano ricevere ministeri ecclesiastici. I modi cambiano, ma può persistere un disprezzo larvato verso i laici, specialmente verso le donne. E questo può essere favorito dall’entusiasmo elitario di fronte a santi irraggiungibili.

3) I santi canonizzati possono intercedere e far sì che Dio ci conceda favori, ma non consiste in questo il nocciolo della santità. Dio non ha bisogno che alcuno lo spinga ad amare gli esseri umani, tanto meno i poveri: ne va del suo essere Dio. Ciò di cui invece ha bisogno per rendersi presente nella storia sono i sacramenti, esseri umani che lo rendano visibile e tangibile nella sua vicinanza salvatrice. Sacramenti suoi possono esserlo tutti gli esseri umani. Gesù è il sacramento principale. Lo sono anche Agostino di Ippona e monsignor Romero.

4) E possono esserlo sia santi canonizzati sia santi primordiali. Nei noti versi di César Vallejo:«L’uomo della lotteria che grida: “Comprate un biglietto per pochi soldi” contiene un non so che di Dio». Nel Medioevo i poveri venivano chiamati “vicari di Cristo”. La signora Rufina di El Mozote è Emmanuel, “Dio con noi”.

5) Il più grande pericolo dell’elitarismo non consiste nell’eccedenza, quando si innalzano i santi fino ad altezze infinite, come appare nelle antiche vite dei santi, con i loro miracoli, le loro apparizioni. Bensì nel non raggiungere quegli esseri umani di cui parla Pedro Trigo, non abbassarsi per vedere i “santi primordiali” là dove sono.

6) Da ultimo, aver presente la santità primordiale può umanizzare i processi di canonizzazione e sanarne i limiti, molte volte evidenti. Vi è un sensus fidei e un senso comune che non si lasciano sottomettere a canoni, norme, misure, e da qui le resistenze alla canonizzazione del fondatore dell’Opus Dei, o al “santo subito” dopo la morte di Giovanni Paolo II. E da qui il rimanere senza parole perché monsignor Romero continua a restare impigliato nelle norme per la canonizzazione. Per cui non gli si può dedicare culto pubblico, quando l’amore che la gente ha per lui è più commovente di qualsiasi culto. Esternarlo è qualcosa che esce dal profondo del cuore.

Nel XIII secolo è stato ragionevole cercare norme di canonizzazione per dichiarare l’eccezionalità di una vita cristiana ed evitare abusi. È evidente che oggi è necessaria una maggiore creatività. E la ragione fondamentale non è perché così sarà possibile “canonizzare” monsignor Romero, ma perché sarà più naturale riconoscere l’eccezionalità e ringraziare le maggioranze povere e semplici di questo mondo, gli emigranti del Congo, le madri dei desaparecidos, coloro che lottano contro l’AIDS. Sarà più possibile ascoltare da essi una parola d’incoraggiamento e poterci rivolgere a loro con una parola di ringraziamento.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/9/2013 22.21
Titolo:CONTINUAZIONE --- IV PARTE
CONTINUAZIONE ....


IV. «ALLAH NON È MICA OBBLIGATO»: I BAMBINI-SOLDATO

Di fronte alle carovane del Rwanda erompe una parola. Altre volte non esce parola alcuna. Nel 2005, in un Congresso per la pace, Melquisedek Sikuli, vescovo di Butembo (Repubblica Democratica del Congo), pronunciò una relazione dai toni forti. Enumerò i gravissimi problemi del suo Paese, la miseria quotidiana e l'ingiustizia strutturale. Approfondì le conseguenze terribili delle guerre nella regione: profughi, donne violentate, villaggi saccheggiati. Ricordò il colonialismo che continua a essere responsabile dell'invio di armi. Alla fine, interrompendo la litania delle denunce, terminò con «il dramma dei bambini-soldato»: «Quando non si ha nessuno al mondo né padre, né madre, né sorella, e se si è ancora un bambino, in un Paese rovinato e barbaro, dove tutti si ammazzano, che si fa? Si comincia a essere bambino-soldato per mangiare e ammazzare: è tutto ciò che ci rimane».

Di fronte a tale dramma resta solamente il silenzio. Parlare di “santità primordiale” suonerebbe blasfemo. Ma può anche accadere che di fronte ai bambini-soldato ci sentiamo sulla soglia di uno spazio sacro. Il vescovo Sikuli ha oltrepassato la soglia. E ha lasciato parlare Dio: Allah non è mica obbligato, disse, utilizzando il titolo di un libro di Ahmadou Kourouma.

Non vi è un concetto adeguato che lo racchiuda né parola adatta per parlare di questi bambini-soldato. Il dramma è evidente. Si possono conoscere le cause e si possono condannare i colpevoli. Ma sulla realtà in se stessa non si sa che dire. È un caso limite della tragedia dei poveri, del loro “voler vivere”.

Tuttavia, possiamo fare una riflessione teologale. Non possiamo dire una parola sull'enigma-mistero dei bambini-soldato, ma ci rimane sempre, come ultima riserva, il mettere mano al mistero di Dio. Così ha fatto il vescovo Sikuli: «Dio non è contento». Questo lo possono fare i credenti. I non credenti potranno mettere mano ad altre cose per loro ultime e formularlo con altre parole. Ma ciò che è fondamentale può aiutare tutti: «Qualcuno, Qualcosa, non è contento».

E possiamo fare anche un'altra riflessione sulla salvezza. Forse solo questa. In un mondo che vive distante dalle molte afriche, senza empatia, per la maggior parte indifferente e ignaro delle tragedie umane, che reagisce con ritardo e senza una volontà adeguata all'enormità di queste tragedie, forse i bambini-soldato potrebbero fare in modo che noi superiamo la banalizzazione dell'esistenza e trabocchiamo invece di compassione e giustizia.

Di fronte ad alcune realtà di importanza decisiva possono sorgere parole che vanno oltre le convenzioni, parole paradossali, scioccanti. Sono parole insostituibili e non intercambiabili. Esempio risaputo è il passo di Dostoevskij ne L'idiota: «La bellezza salverà il mondo». Oppure, il tema di un libro di J.I. Gonzàlez Faus: «Vicari di Cristo? I poveri».Anche in America Latina si dice questo; tipo di parole. «Tutto è relativo, meno Dio e la fame», sentenzia dom Pedro Casaldáliga. Monsignor Romero un mucchio di volte disse frasi lapidarie: «Questo è l'impero dell'inferno»; «Su queste rovine brillerà la gloria del Signore», «La gloria di Dio è il povero che vive». Ignacio Ellacuría ha ripetuto sino alla fine della sua vita che «solo la civiltà della povertà potrà superare questa civiltà della ricchezza che ha prodotto una società gravemente malata».

Sulla scia di questi visionari, e con molta modestia, abbiamo scritto che «fuori dai poveri non c'è salvezza». In quest'articolo sosteniamo di riconoscere con gratitudine «la santità primordiale» dei poveri, dei semplici e delle vittime.

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Commenti Articolo 425

Titolo articolo : DOPO BENEDETTO XVI, CON PAPA FRANCESCO, ANCORA L'AMORE DI DIO SENZA GRAZIA: VINCENZO PAGLIA CONFERMA LA LINEA DEL "LATINORUM". La sua lezione  su «agàpe eros e philia» al festival di filosofia di Modena - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/16/2013 - 21:43:29.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/9/2013 21.43
Titolo:Di quale Gesu' parliamo?! La lezione di Joyce ....
Gesù del messaggio evangelico

- Marco 7,31-37:

- Di ritorno dalla regione di Tiro, passò per Sidone, dirigendosi verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
- E gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano.
- E portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: «Effatà» cioè: «Apriti!».
- E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
- E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
"Gesù" del cattolicesimo-romano

James Joyce, Finnegans Wake:

"He lifts the lifewand and the dumb speak
- Quoiquoiquoiquoiquoiquoiquoiq"

"Egli brandisce la bacchetta della vita e i muti parlano
- Quoiquoiquoiquoiquoiquoiquoiq" *

Variazioni (mie, fls):

Quàquàquàquàquàquàquàquàquàq
Quoìquoìquoìquoìquoiquoiquoìq...

* Cfr.: James Joyce, Finnegans Wake, Libro Primo V-VIII, Oscar Mondadori, Milano 2001, pp. 195-195 bis.

_________________________________________________________________

"È significativo che l’espressione di Tertulliano: "Il cristiano è un altro Cristo", sia diventata: "Il prete è un altro Cristo"" (Albert Rouet, arcivescovo di Poitiers, 2010).

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Commenti Articolo 426

Titolo articolo : La ripresa economica è solo dei ricchi,di Paul Krugman

Ultimo aggiornamento: September/14/2013 - 09:14:36.

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Autore Città Giorno Ora
Gianni Mula Cagliari 14/9/2013 09.14
Titolo:Link al grafico mancante
Purtroppo per un errore tecnico nel testo del mio commento è stata riportata la foto di Paul Krugman anziché quella del grafico dell'articolo di Annie Lowrey. Penso che il rimedio più semplice e rapido sia segnalare qui il link originale dell'articolo della Lowrey
http://economix.blogs.nytimes.com/2013/09/10/the-rich-get-richer-through-the-recovery/?_r=0

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Commenti Articolo 427

Titolo articolo : Papa Francesco risponde a Eugenio Scalfari e ai non credenti e rispiega la sua ratzingeriana "Lumen fidei". Il testo della lettera - con note ,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/13/2013 - 14:01:15.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/9/2013 17.22
Titolo:acalfari. Il dialogo del Pontefice con la pecora smarrita
Gesù, fede e ragione, il dialogo del Pontefice con la pecora smarrita


di Eugenio Scalfari (la Repubblica, 11.09.2013)

PAPA Francesco ha deciso di rispondere alle domande che gli avevo indirizzato in due articoli, rispettivamente pubblicati sul nostro giornale il 7 luglio e il 7 agosto scorsi.

Francamente non mi aspettavo che lo facesse così diffusamente e con spirito così affettuosamente fraterno. Forse perché la pecora smarrita merita maggiore attenzione e cura? Lo dico perché negli articoli sopra citati ho precisato al Papa che io sono un «non credente e non cerco Dio» anche se «sono da molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazareth, figlio di Maria e Giuseppe, ebreo della stirpe di David». E più oltre scrivo che «Dio, secondo me, è un’invenzione consolatoria della mente degli uomini».

Mi permetto di ricordare questa mia posizione di interlocutore anche perché essa rende ai nostri occhi ancor più «scandalosamente affascinante» la lettera che Papa Francesco mi ha inviato, una prova ulteriore della sua capacità e desiderio di superare gli steccati dialogando con tutti alla ricerca della pace, dell’amore e della testimonianza.

CIÒ detto, riassumo le domande e le riflessioni che ho fatto e alle quali il Papa risponde, affinché i lettori abbiano ben chiaro il quadro entro il quale si svolge questo dialogo.

1 — La modernità illuminista ha messo in discussione il tema dell’“assoluto”, a cominciare dalla verità. Esiste una sola verità o tante quante ciascuno individuo ne configura?

2 — I Vangeli e la dottrina della Chiesa affermano che l’Unigenito di Dio si è fatto carne non certo indossando un abito e imitando le movenze degli uomini e restando Dio, bensì assumendone anche i dolori, le gioie e i desideri. Ciò significa che Gesù ha avuto tutte le tentazioni della carne e le ha vinte non in quanto Dio ma in quanto uomo che si era posto il fine di portare l’amore per gli altri allo stesso livello d’intensità dell’amore per sé. Di qui l’incitamento: ama il prossimo tuo come te stesso. Fino a che punto la predicazione di Gesù e della Chiesa fondata dai suoi discepoli ha realizzato questo obiettivo?

3 — Le altre religioni monoteiste, l’ebraica e l’Islam, prevedono un solo Dio, il mistero della Trinità gli è del tutto estraneo. Il cristianesimo è dunque un monoteismo alquanto particolare. Come si spiega per una religione che ha come radice il Dio biblico, che non ha alcun Figlio Unigenito e non può essere né nominato né tantomeno raffigurato, come del resto Allah?

4 — Il Dio incarnato ha sempre affermato che il suo regno non era e non sarebbe mai stato di questo mondo. Di qui il “Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”. Questo “limite” ha avuto come logica conseguenza che il cristianesimo non avrebbe mai dovuto avere la tentazione della teocrazia, che invece domina nelle terre islamiche. Tuttavia anche il cristianesimo soprattutto nella sua versione cattolica, ha sentito fortemente la tentazione del potere terreno, la temporalità ha spesso superato la pastoralità della Chiesa. Papa Francesco rappresenta finalmente la prevalenza della Chiesa povera e pastorale su quella istituzionale e temporalistica?

5 — Dio promise ad Abramo e al popolo eletto di Israele prosperità e felicità, ma questa promessa non fu mai realizzata e culminò, dopo molti secoli di persecuzioni e discriminazioni, nell’orrore della Shoah. Il Dio di Abramo, che è anche quello dei cristiani, non ha dunque mantenuto la sua promessa?

6 — Se una persona non ha fede né la cerca ma commette quello che per la Chiesa è un peccato, sarà perdonato dal Dio cristiano?

7 — Il credente crede nella verità rivelata, il non credente crede che non esista alcun “assoluto” ma una serie di verità relative e soggettive. Questo modo di pensare per la Chiesa è un errore o un peccato?

8 — Il Papa ha detto durante il suo viaggio in Brasile che anche la nostra specie finirà come tutte le cose che hanno un inizio e una fine. Ma quando la nostra specie sarà scomparsa anche il pensiero sarà scomparso e nessuno penserà più Dio. Quindi, a quel punto, Dio sarà morto insieme a tutti gli uomini?

I lettori troveranno in queste pagine le risposte del Papa contenute nella sua lettera, della quale ancora con grande affetto e rispetto lo ringrazio.

Nel nostro giornale di domani formulerò alcune riflessioni per approfondire i temi e portare avanti un dialogo che penso anch’io, come il Papa, sia utile ed anzi prezioso per i lettori, credenti in Gesù Cristo o in altre religioni o in nessuna, ma animati dal desiderio di conoscenza e dalla buona volontà di collaborare al bene comune.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/9/2013 08.02
Titolo:DON ANTONELLI PAPA! Molte delle cose che che scrive il papa io le dico da temp...
DE VERITATE

di don Aldo ANtonelli


Vi giuro!
Ieri mattina, mentre leggevo la lettera di Francesco a Scalfari, mi sono lussato il polso a forza di sbattere il pugno sulla mia scrivania!
Scusatemi, ma sento una soddisfazione incontenibile.
"Debbo vantarmi? Ebbene mi vanterò?" direbbe san Paolo.
Molte delle cose che che scrive il papa io le dico da tempo, da troppo tempo; e in tempi non di moda e non sospetti!
E non da "codino"!

Il papa scrive:
«risulta chiaro che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l’altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti» (Citando la Lumen Fidei, n. 34 ).

Ed ancora:
«Per cominciare, io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità «assoluta», nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo.
Dunque, la verità è una relazione! Tant’è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc. Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro. Ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita. Non ha detto forse Gesù stesso: "Io sono la via, la verità, la vita"? In altri termini, la verità essendo in definitiva tutt’uno con l’amore, richiede l’umiltà e l’apertura per essere cercata, accolta ed espressa».

Ebbene quante volta ci siamo detti che è una pretesa assurda quella della Chiesa di "possedere la Verità", da cui invece ci si deve sentire posseduti?
Mi permetto solo di riportarvi tre passi specifici, così come mi sovvengono:

La Chiesa prigioniera e saccente (Messaggio del 29.5.2010)
La Verità non è tutta data e non sta tutta e solo nelle Sacre Scritture. Dio continua a parlare “in mille modi” e “in tutti i tempi”, attraverso la chiesa ma anche attraverso la storia, attraverso la gerarchia (non tanto) ma anche attraverso i comuni mortali (molto!), siano essi credenti e siano pure atei.

Come in Cielo…. (Trasmissione del 9.2.2013)
Nella fede la verità è impossedibile, non può essere posseduta, va ricercata di continuo. Gesù diceva: io sono la via. La via indica un cammino, un continuo andare avanti, un continuo sorpassare, lasciare indietro le cose sorpassate. Invece nella religione la verità diventa un possesso, un possesso in base al quale puoi fare anche delle guerre. Anche qui, vedete subito come la differenza tra l’uomo di fede (che non è l’uomo del relativismo, ma è l’uomo che ha la coscienza che la sua conoscenza della verità è relativa e che quindi ha bisogno di una continua scoperta) ha bisogno di una continua ricerca, ha bisogno di posizioni sempre nuove da acquisire.
«Non è vero che chi cerca non crede e che chi crede non cerca; non si può fare a meno di cercare per credere e si cessa di cercare quando si cessa di credere».
Non possessori né custodi ( Messaggio del 22.5.2013)
Mi chiedo perché mai noi cristiani, la gerarchia soprattutto, ci si sia ridotti al falso e prepotente ruolo di "possessori" e/o "custodi", e quindi "difensori della "Verità"!
La Verità, come Dio, non può mai essere posseduta, ma sempre e solo ricercata. Il momento stesso in cui pretendiamo di averla trovata e quindi di possederla, la perdiamo. E' urgentemente necessario fare della fede non la custodia dei "simboli" antichi, ma una corsa nel mondo che corre, una crescita in prospettiva sul futuro.

Ecco, questo solo per dirvi, che da oggi non siamo più soli, se mai lo siamo stati.
Da oggi, sulle nostre "eresie", portiamo anche la benedizione del Papa!

Buona giornata
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/9/2013 10.04
Titolo:Scalfari: una grande emozione!
Quel passo di Francesco per far camminare insieme la Chiesa e i non credenti

di Eugenio Scalfari (la Repubblica, 12 settembre 2013)

La lettera di papa Francesco da noi pubblicata ieri ha suscitato in me, nel nostro direttore Ezio Mauro e in tutti i colleghi una grande emozione. Penso che la stessa emozione l’abbiano avuta tutti coloro che l’hanno letta.

Non parlo di quello che nel nostro linguaggio gergale chiamiamo “scoop”. Gli scoop alimentano le chiacchiere, non il pensiero e qui, leggendo le parole del Papa, il nostro pensiero è chiamato e stimolato a riflettere di fronte alla concezione del tutto originale che papa Francesco esprime sul tema “fede e ragione”, uno dei cardini dell’architettura spirituale, religiosa e teologica della Chiesa. Ma non soltanto della Chiesa: la cultura moderna dell’Occidente nasce esattamente da quel tema e papa Francesco lo ricorda nella sua lettera quando scrive: «La fede cristiana, la cui incidenza sulla vita dell’uomo è stata espressa attraverso il simbolo della luce, spesso fu bollata come il buio della superstizione. Così tra la Chiesa da una parte e la cultura moderna dall’altra, si è giunti all’incomunicabilità. Ma è venuto ormai il tempo - e il Vaticano II ne ha aperto la stagione - d’un dialogo senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro».

Queste parole sono al tempo stesso una rottura e un’apertura; rottura con una tradizione del passato, già effettuata dal Vaticano II voluto da papa Giovanni, ma poi trascurata se non addirittura contrastata dai due pontefici che precedono quello attuale; e apertura ad un dialogo senza più steccati. L’intera lettera di papa Francesco ruota attorno a questa premessa, ma c’è una frase nelle parole del Papa sopra citate che merita a mio avviso una particolare attenzione: «La fede cristiana... è stata espressa attraverso il simbolo della luce».

Bisogna tornare all’“incipit” del Vangelo di Giovanni per trovare questo simbolo, laddove l’evangelista scrive: «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio ed era Dio il Verbo. Le cose tutte furono fatte per mezzo di Lui e senza di lui nulla fu fatto di quanto esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini e la luce risplende tra le tenebre ma le tenebre non l’hanno ricevuta».

Qui, in questi tre ultimi versi poetici e profetici come tutto quel quarto Vangelo, nasce la visione cristiana del bene e del male: la vita era la luce degli uomini, ma le tenebre non l’hanno ricevuta. Papa Francesco sviluppa questa visione della contrapposizione tra luce e tenebre, tra bene e male, in modo originalissimo. In un punto della sua lettera scrive: «Per chi non crede in Dio la questione: [del bene e del male] sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza. Ascoltare ed obbedire ad essa significa infatti decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene e male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire ».

Un’apertura verso la cultura moderna e laica di questa ampiezza, una visione così profonda tra la coscienza e la sua autonomia, non si era mai sentita finora dalla cattedra di San Pietro. Neppure papa Giovanni era arrivato a tanto e neppure le conclusioni del Vaticano II, che avevano auspicato l’inizio del percorso ai pontefici che sarebbero venuti dopo e ai Sinodi che avrebbero convocato.

Papa Francesco quel passo l’ha fatto ed io lo sento profondamente echeggiare nella mia coscienza. Ricordo con grande affetto che visione analoga l’ho ascoltata nei miei colloqui con il cardinale Carlo Maria Martini, che non a caso era amico del cardinale Bergoglio. Ma Martini non era un Papa quando diceva queste cose, Bergoglio ora lo è.

C’è un altro aspetto assai importante - questo sì - politico, quando il Papa scrive della distinzione tra la sfera religiosa e quella politica («Date a Cesare»): «Alla società civile e politica tocca il compito arduo di articolare e incarnare nella giustizia e nella solidarietà, nel diritto e nella pace, una vita sempre più umana. Ciò non significa fuga dal mondo o ricerca di qualsivoglia egemonia, ma servizio all’uomo, a tutti gli uomini, a partire dalle periferie della storia e tenendo desto il senso della speranza».

La visione dell’autonomia della politica mi sembra che sfugga al Papa, ed è comprensibile che sia così. Uno come lui non può concepire la politica che nel quadro di un servizio ai cittadini. Questa opinione è perfettamente condivisibile ma non può escludere l’egemonia. In un regime di libertà e di democrazia convivono diverse visioni del bene comune, che si confrontano e si scontrano tra loro. Chi ottiene la maggioranza dei consensi e quindi l’egemonia, cerca di realizzare la sua visione del bene comune. Resta o dovrebbe restare un servizio, che passa però attraverso la conquista del potere. Questo, papa Francesco lo sa, e la Chiesa cattolica infatti l’ha sperimentato facendo del potere temporale uno dei cardini della sua storia.

Se vogliamo riandare ad uno dei più importanti esempi, ricordiamo la lotta per le investiture culminata nello scontro tra Ildebrando da Soana Gregorio VII e Enrico imperatore di Germania, colpito dalla scomunica e costretto ad inginocchiarsi vestito da mendicante ai piedi del Papa nel castello di Canossa. Raccontano le storie che quando Enrico dovette baciare il piede del Papa in segno di sottomissione, abbia detto: «Non tibi sed Petro» e Gregorio gli abbia risposto: «Et mihi et Petro».

Poi vennero le Crociate e tutta la storia della Chiesa come istituzione di potere e di guerra. Così durò fino al 1870, ma anche dopo la temporalità cattolica è continuata sotto altre forme che specialmente in Italia, ma non soltanto, ben conosciamo. La pastoralità, la Chiesa predicante e missionaria, c’è sempre stata e Francesco d’Assisi ne ha rappresentato la più fulgida ma non certo la sola manifestazione. Tuttavia non ha quasi mai avuto la prevalenza sulla Chiesa istituzionale. Papa Francesco ha interrotto e sta cercando di capovolgere questa situazione. La trasformazione in corso nella Curia e nella Segreteria di Stato sono segnali estremamente importanti. Temo però che molto difficilmente ci sarà un Francesco II e del resto non è un caso se quel nome non sia stato fin qui mai usato per il successore di Pietro.

La lettera del Papa è comunque chiarissima, risponde alle domande che mi ero permesso di porre e su certe questioni va anche molto più in là. Sicché non la commenterò più oltre, salvo due ultimi aspetti.

Il tema degli ebrei, del loro esser considerati dai cattolici come fratelli maggiori, la fine dell’accusa di «deicidio» che i cristiani hanno sempre lanciato contro di loro, ed infine la comune discendenza dal Dio mosaico del Sinai e dei dieci comandamenti, era già stato sollevato da papa Giovanni e da papa Wojtyla, ma non con la chiarezza definitiva di papa Francesco. È un passo molto importante che segna finalmente un capovolgimento nell’atteggiamento durato quasi due millenni. Infine c’è il racconto che il Papa fa del suo incontro con la fede. Rileggiamo quel brano.

«La fede per me è nata dall’incontro con Gesù. Un incontro personale, che ha toccato il mio cuore e ha dato un senso nuovo alla mia esistenza. Ma al tempo stesso un incontro che è stato possibile nella comunità di fede in cui ho vissuto e grazie alla quale ho trovato l’accesso all’intelligenza della Sacra Scrittura, alla vita nuova che come acqua zampillante scaturisce da Gesù attraverso i Sacramenti, alla fraternità con tutti e al servizio dei poveri, vera immagine del Signore. Senza la Chiesa - mi creda - non avrei potuto incontrare Gesù, pur nella consapevolezza che quell’immenso dono della fede è custodito nei vasi d’argilla della nostra umanità».

Un racconto splendido, un’autobiografia affascinante. Ci si sente sotto, per quanto posso intuire, più Bernardo, più Agostino, più Benedetto che Tommaso e la Scolastica, che tuttavia è ancora assai presente nella dottrina tradizionale. Chi come me non solo non ha la fede ma neppure la cerca; chi come me sente il fascino della predicazione di Gesù e lo ritiene uomo e figlio dell’uomo, non può che ammirare un successore di Pietro che rivendica la Chiesa come luogo eletto affinché il sentimento di umanità custodito in vasi d’argilla non venga distrutto dai vasi di piombo che fuori e dentro la Chiesa spezzano i vasi d’argilla.

Il Papa mi fa l’onore di voler fare un tratto di percorso insieme. Ne sarei felice. Anch’io vorrei che la luce riuscisse a penetrare e a dissolvere le tenebre anche se so che quelle che chiamiamo tenebre sono soltanto l’origine animale della nostra specie. Più volte ho scritto che noi siamo una scimmia pensante. Guai quando incliniamo troppo verso la bestia da cui proveniamo, ma non saremo mai angeli perché non è nostra la natura angelica, ove mai esista.

Perciò lunga vita e affettuosa fraternità con Francesco, Vescovo di Roma e capo d’una Chiesa che lotta anch’essa tra il bene e il male.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/9/2013 14.01
Titolo:DOMANDA ANTROPOLOGICA E IMPERATIVO CATEGORICO ....
Il papa, i non credenti e la risposta di Agostino

di Vito Mancuso (la Repubblica, 13 settembre 2013)

Qual è la differenza essenziale tra credenti e non-credenti? Il cardinal Martini, ricordato da Cacciari quale precorritore dello stile dialogico espresso dalla straordinaria lettera di Papa Francesco a Scalfari, amava ripetere la frase di Bobbio: “La vera differenza non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa”.

Il che significa che ciò che più unisce gli esseri umani è il metodo, la modalità di disporsi di fronte alla vita e alle sue manifestazioni. Tale modalità può avvenire o con una certezza che sa a priori tutto e quindi non ha bisogno di pensare (è il dogmatismo, che si ritrova sia tra i credenti sia tra gli atei), oppure con un’apertura della mente e del cuore che vuole sempre custodire la peculiarità della situazione e quindi ha bisogno di pensare (è la laicità, che si ritrova sia tra gli atei sia tra i credenti).

Gli articoli di Scalfari e soprattutto la risposta di papa Francesco esemplare per apertura, coraggio e profondità, sono stati una lezione di laicità, una specie di “discorso sul metodo” su come incamminarsi veramente senza riserve mentali lungo i sentieri del dialogo alla ricerca del bene comune e della verità sempre più grande, cosa di cui l’Italia, e in particolare la Chiesa italiana hanno un enorme bisogno.

Rimane però che, per quanto si possa essere accomunati dalla volontà di dialogo e dallo stile rispettoso nel praticarlo, la differenza tra credenti e non-credenti non viene per questo cancellata, né deve esserlo. Un piatto irenismo conduce solo alla celebre “notte in cui tutte le vacche sono nere”, per citare l’espressione di Hegel che gli costò l’amicizia di Schelling, conduce cioè all’estinzione del pensiero, il quale per vivere ha bisogno delle differenze, delle distinzioni, talora anche dei contrasti.

È quindi particolarmente importante rispondere alla domanda sulla vera differenza tra credenti e non credenti, capire cioè quale sia la posta in gioco nella distinzione tra fede e ateismo. Pur consapevole che sono molti e diversi i modi di viverli, penso tuttavia che la loro differenza essenziale emerga dalle battute conclusive della replica di Scalfari al Papa: “Quelle che chiamiamo tenebre sono soltanto l’origine animale della nostra specie. Più volte ho scritto che noi siamo una scimmia pensante. Guai quando incliniamo troppo verso la bestia da cui proveniamo, ma non saremo mai angeli perché non è nostra la natura angelica, ove mai esista”.

“Scimmia pensante... bestia da cui proveniamo”: queste espressioni segnalano a mio avviso in modo chiaro la differenza decisiva tra fede e non-fede. Per Scalfari noi proveniamo da una “bestia” e quindi siamo sostanzialmente natura animale, per quanto dotata di pensiero; per i credenti, anche per quelli che come me accettano serenamente il dato scientifico dell’evoluzione, la nostra origine passa sì attraverso l’evolversi delle specie animali ma proviene da un Pensiero, e va verso un Pensiero, che è Bene, Armonia,Amore.

La differenza peculiare quindi non è tanto l’accettare o meno la divinità di Gesù, quanto piuttosto, più in profondità, la potenzialità divina dell’uomo. La confessione della divinità di Gesù è certo importante, ma non è la questione decisiva, prova ne sia che nei primi tempi del cristianesimo vi furono cristiani che guardavano a Gesù come a un semplice uomo in seguito “adottato” da Dio per la sua particolare santità, una prospettiva giudaico-cristiana che sempre ha percorso il cristianesimo e che anche ai nostri giorni è rappresentata tra biblisti, teologi e semplici fedeli, e di cui è possibile rintracciare qualche esempio persino nel Nuovo Testamento (si veda Romani 1,4).

Peraltro il dialogo con l’ebraismo, così elogiato da papa Francesco, passa proprio da questo nodo, dalla possibilità cioè di pensare l’umanità di Gesù quale luogo della rivelazione divina senza ledere con ciò l’unicità e la trascendenza di Dio. Naturalmente tanto meno la differenza essenziale tra credenti e non-credenti passa dall’accettare la Chiesa, efficacemente descritta dal Papa come “comunità di fede”: nessun dubbio che la Chiesa sia importante, ma quanti uomini di Chiesa del passato e del presente si potrebbero elencare che non hanno molto a che fare con la fede in Dio, e quanti uomini estranei alla Chiesa che invece hanno molto a che fare con Dio.

Il punto decisivo quindi non sono né Cristo né la Chiesa, ma è la natura dell’uomo: se orientata ontologicamente al bene oppure no, se creata a immagine del Sommo Bene oppure no, se proveniente dalla luce oppure no, ma solo dal fondo oscuro di una natura informe e ambigua, chiamata da Scalfari “bestia”.

Un passo di sant’Agostino aiuta bene a comprendere la posta in gioco nella fede in Dio. Dopo aver dichiarato di amare Dio, egli si chiede: “Quid autem amo, cum te amo?”, “Ma che cosa amo quando amo te?” (Confessioni X,6,8). Si tratta di una domanda quantomai necessaria, perché Dio nessuno lo ha mai visto e quindi nessuno può amarlo del consueto amore umano che, come tutto ciò che è umano, procede dall’esperienza dei sensi.

Nel rispondere Agostino pone dapprima una serie di negazioni per evitare ogni identificazione dell’amore per Dio con una realtà sensibile, e tra esse neppure nomina la Chiesa e la Bibbia, che appaiono così avere il loro giusto senso solo se prima si sa che cosa si ama quando si ama Dio, mentre in caso contrario diventano idolatria, idolatria della lettera (la Bibbia) o idolatria del sociale (la Chiesa), il pericolo protestante e il pericolo cattolico.

Poi Agostino espone il suo pensiero dicendo che il vero oggetto dell’amore per Dio è “la luce dell’uomo interiore che è in me, là dove splende alla mia anima ciò che non è costretto dallo spazio, e risuona ciò che non è incalzato dal tempo”. Dicendo di amare Dio, si ama la luce dell’uomo interiore che è in noi, quella dimensione che ci pone al di là dello spazio e del tempo, e che così ci permette di compiere e insieme di superare noi stessi, perché ci assegna un punto di prospettiva da cui ci possiamo vedere come dall’alto, e così distaccarci e liberarci dalle oscurità dell’ego, da quella bestia di cui parla Scalfari che certamente fa parte della condizione umana ma che, nella prospettiva di fede, non è né l’origine da cui veniamo né il fine verso cui andiamo.

Occorrerebbe chiedersi in conclusione quale pensiero sull’uomo sia più necessario al nostro tempo alle prese come mai prima d’ora con la questione antropologica. Ovviamente da credente io ritengo che la posizione della fede in Dio, che lega l’origine dell’uomo alla luce del Bene, sia complessivamente più capace di orientare la coscienza verso la giustizia e la solidarietà fattiva.

Se infatti, come scrive papa Francesco, la qualità morale di un essere umano “sta nell’obbedire alla propria coscienza”, un conto sarà ritenere che tale coscienza è orientata da sempre al bene perché da esso proviene, un altro conto sarà rintracciare nella coscienza una diversa origine da cui scaturiscono diversi orientamenti.

Se non veniamo da un’origine che in sé è bene e giustizia, se il bene e la giustizia cioè non sono da sempre la nostra più vera dimora, perché mai il bene e la giustizia dovrebbero costituire per la nostra condotta morale un imperativo categorico? In ogni caso sarà nell’assumere tale questione con spirito laico, ascoltando le ragioni altrui e argomentando le proprie, che può prendere corpo quell’invito a “fare un tratto di strada insieme” rivolto a Scalfari da papa Francesco nello spirito del più autentico umanesimo cristiano, e accolto con favore da Scalfari nello spirito del più autentico umanesimo laico.

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Commenti Articolo 428

Titolo articolo : CONTRO LA GUERRA, MA IN NOME DI QUALE DIO?!  Digiuno per la pace? No, grazie! Un intervento di don Aldo Antonelli,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/12/2013 - 09:23:29.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/9/2013 09.23
Titolo:VI GIURO! Molte delle cose che che scrive il papa io le dico da tempo, da tropp...
DE VERITATE

di don Aldo Antonelli

Vi giuro!

Ieri mattina, mentre leggevo la lettera di Francesco a Scalfari, mi sono lussato il polso a forza di sbattere il pugno sulla mia scrivania! Scusatemi, ma sento una soddisfazione incontenibile.

"Debbo vantarmi? Ebbene mi vanterò?" direbbe san Paolo.

Molte delle cose che che scrive il papa io le dico da tempo, da troppo tempo; e in tempi non di moda e non sospetti! E non da "codino"!

Il papa scrive:

«risulta chiaro che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l’altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti» (Citando la Lumen Fidei, n. 34 ).

Ed ancora:

«Per cominciare, io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità «assoluta», nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo.

Dunque, la verità è una relazione! Tant’è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc. Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro. Ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita. Non ha detto forse Gesù stesso: "Io sono la via, la verità, la vita"? In altri termini, la verità essendo in definitiva tutt’uno con l’amore, richiede l’umiltà e l’apertura per essere cercata, accolta ed espressa».

Ebbene quante volta ci siamo detti che è una pretesa assurda quella della Chiesa di "possedere la Verità", da cui invece ci si deve sentire posseduti?

Mi permetto solo di riportarvi tre passi specifici, così come mi sovvengono:

La Chiesa prigioniera e saccente (Messaggio del 29.5.2010)

La Verità non è tutta data e non sta tutta e solo nelle Sacre Scritture. Dio continua a parlare “in mille modi” e “in tutti i tempi”, attraverso la chiesa ma anche attraverso la storia, attraverso la gerarchia (non tanto) ma anche attraverso i comuni mortali (molto!), siano essi credenti e siano pure atei.

Come in Cielo.... (Trasmissione del 9.2.2013)

Nella fede la verità è impossedibile, non può essere posseduta, va ricercata di continuo. Gesù diceva: io sono la via. La via indica un cammino, un continuo andare avanti, un continuo sorpassare, lasciare indietro le cose sorpassate. Invece nella religione la verità diventa un possesso, un possesso in base al quale puoi fare anche delle guerre. Anche qui, vedete subito come la differenza tra l’uomo di fede (che non è l’uomo del relativismo, ma è l’uomo che ha la coscienza che la sua conoscenza della verità è relativa e che quindi ha bisogno di una continua scoperta) ha bisogno di una continua ricerca, ha bisogno di posizioni sempre nuove da acquisire.

«Non è vero che chi cerca non crede e che chi crede non cerca; non si può fare a meno di cercare per credere e si cessa di cercare quando si cessa di credere».

Non possessori né custodi ( Messaggio del 22.5.2013)

Mi chiedo perché mai noi cristiani, la gerarchia soprattutto, ci si sia ridotti al falso e prepotente ruolo di "possessori" e/o "custodi", e quindi "difensori della "Verità"!

La Verità, come Dio, non può mai essere posseduta, ma sempre e solo ricercata. Il momento stesso in cui pretendiamo di averla trovata e quindi di possederla, la perdiamo. E’ urgentemente necessario fare della fede non la custodia dei "simboli" antichi, ma una corsa nel mondo che corre, una crescita in prospettiva sul futuro.

Ecco, questo solo per dirvi, che da oggi non siamo più soli, se mai lo siamo stati.

Da oggi, sulle nostre "eresie", portiamo anche la benedizione del Papa!

Buona giornata

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Commenti Articolo 429

Titolo articolo : Perchè  firmare contro il carcere a vita?,di Carmelo Musumeci

Ultimo aggiornamento: September/10/2013 - 22:53:39.

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Autore Città Giorno Ora
raffaella gerevini piadena (cr) 10/9/2013 22.53
Titolo:sono d'accordo
Bisogna lasciar crescere, pentire, vivere con una speranza di redenzione qui e nell'aldilà. il carcere a vita è disumano.

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Commenti Articolo 430

Titolo articolo : IN DIGIUNO CONTRO LA GUERRA,di Il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo

Ultimo aggiornamento: September/06/2013 - 20:36:48.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/9/2013 17.20
Titolo:DIGIUNO? NO GRAZIE! (don Aldo Antonelli)
DIGIUNO? NO GRAZIE! *

Paolo Farinella, amico e compagno, scrive:

«Volevo anche io aderire all’invito di Francesco papa per un giorno di digiuno per la Pace in Siria, sabato 7 settembre 2013, mentre i G20 a San Pietroburgo, mangiano caviale e salmone e decidono la guerra o meglio la vendita di armi, sempre redditizia. Poi leggo che vi aderiscono: Mario Mauro, ministro italiano della guerra, sempre in quota CL, già Pdl ora montiano e favorevole alla grazia per Berlusconi; Formigoni Roberto, CL celestiale, non nuovo ai rapporti con i Dittatori e indagato anche lui e strenuo difensore di Berlusconi.

Potrei continuare nella litania dei colpevoli che non dovrebbero nemmeno farsi vedere, se avessero un minimo di coscienza e di dignità. Invece ...

A questo punto più che un digiuno per la pace mi pare un coffe break dalle larghe intese con delinquenti e guerrafondai e immorali in passerella da primo piano. No, il casino non fa per me!»

A ciò che scrive l’amico Paolo, aggiungo che un vero e serio discorso sulla Pace non può non comprendere e coinvolgere anche il discorso "politica" e il discorso "economia". Una politica ed una economia che nulla hanno a che fare con l’affarume, politico ed economico, di CL, PdL e compagnia brutta!

E non per essere "puritani" e/o "schizzinosi".

Ma per non essere conniventi!

*

Aldo [don Antonelli]
Autore Città Giorno Ora
Giovanni Sarubbi Monteforte Irpino 06/9/2013 20.36
Titolo:
Non condivido quello che afferma don Aldo che riporta una affermazione di di Paolo Farinella. A questo scritto si attaglia perfettamente il detto "QUANDO IL SAGGIO INDICA LA LUNA, LO STOLTO GUARDA IL DITO". Non comprendere la drammaticità della situazione del mondo e perdersi in discussioni come quelle di don Paolo e don Aldo significa essere proprio fuori dalla realtà. Chiunque oggi dica qualcosa contro la guerra deve essere sostenuto al di la delle proprie contraddizioni. E dico questo con stima e affetto per don Aldo e don Paolo.

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Commenti Articolo 431

Titolo articolo : TEOLOGIA DELLA CHIESA (ANCORA COSTANTINIANA!) E TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE. Una nota di Paolo Rodari, con i testi di Gustavo Gutierrez e Gerhard Ludwig Muller (dall’Osservatore Romano),a c. di Federico LA Sala

Ultimo aggiornamento: September/05/2013 - 17:21:55.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/9/2013 17.45
Titolo:MESSAGGIO EVANGELICO E CATTOLICESIMO ROMANO. Una nota...
Gesù del messaggio evangelico

- Marco 7,31-37:

- Di ritorno dalla regione di Tiro, passò per Sidone, dirigendosi verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
- E gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano.
- E portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: «Effatà» cioè: «Apriti!».
- E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
- E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

***

"Gesù" del cattolicesimo-romano

James Joyce, Finnegans Wake:

"He lifts the lifewand and the dumb speak
- Quoiquoiquoiquoiquoiquoiquoiq"

"Egli brandisce la bacchetta della vita e i muti parlano
- Quoiquoiquoiquoiquoiquoiquoiq" *

Variazioni (mie, fls):

Quàquàquàquàquàquàquàquàquàq
Quoìquoìquoìquoìquoiquoiquoìq...

* Cfr.: James Joyce, Finnegans Wake, Libro Primo V-VIII, Oscar Mondadori, Milano 2001, pp. 195-195 bis.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/9/2013 17.21
Titolo:GUERRA: DIGIUNO? NO GRAZIE! (don Aldo Antonelli)
DIGIUNO? NO GRAZIE! *

Paolo Farinella, amico e compagno, scrive:

«Volevo anche io aderire all’invito di Francesco papa per un giorno di digiuno per la Pace in Siria, sabato 7 settembre 2013, mentre i G20 a San Pietroburgo, mangiano caviale e salmone e decidono la guerra o meglio la vendita di armi, sempre redditizia. Poi leggo che vi aderiscono: Mario Mauro, ministro italiano della guerra, sempre in quota CL, già Pdl ora montiano e favorevole alla grazia per Berlusconi; Formigoni Roberto, CL celestiale, non nuovo ai rapporti con i Dittatori e indagato anche lui e strenuo difensore di Berlusconi.

Potrei continuare nella litania dei colpevoli che non dovrebbero nemmeno farsi vedere, se avessero un minimo di coscienza e di dignità. Invece ...

A questo punto più che un digiuno per la pace mi pare un coffe break dalle larghe intese con delinquenti e guerrafondai e immorali in passerella da primo piano. No, il casino non fa per me!»

A ciò che scrive l’amico Paolo, aggiungo che un vero e serio discorso sulla Pace non può non comprendere e coinvolgere anche il discorso "politica" e il discorso "economia". Una politica ed una economia che nulla hanno a che fare con l’affarume, politico ed economico, di CL, PdL e compagnia brutta!

E non per essere "puritani" e/o "schizzinosi".

Ma per non essere conniventi!

*

Aldo [don Antonelli]

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Commenti Articolo 433

Titolo articolo : FRANCESCO, LE DONNE, E L'ASTUZIA DELLA GERARCHIA. L'Osservatore romano (costantiniano) contro femminicidio e stupri. Una nota di Marida Lombardo Pijola - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/03/2013 - 09:01:22.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/9/2013 21.03
Titolo:CRISTIANI E CRISTIANE ... E LA LOGICA DEL PRETE (MENITORE)!!!
"È significativo che l’espressione di Tertulliano: "Il cristiano è un altro Cristo", sia diventata: "Il prete è un altro Cristo"" (Albert Rouet, arcivescovo di Poitiers, 2010.)

_______________________________________________________________

PAOLO DI TARSO, L’ASTUTO APOSTOLO DELLA GRAZIA ("CHARIS") E DELL’ AMORE ("CHARITAS"), E LA NASCITA DEL CATTOLICESIMO-ROMANO! UNA NOTA

di Federico La Sala *

(...) non equivochiamo! Qui non siamo sulla via di Damasco, nel senso e nella direzione di Paolo di Tarso, del Papa, e della Gerarchia Cattolico-Romana: “[... ] noi non siamo più sotto un pedagogo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Galati: 3, 25-28).
- Nella presa di distanza, nel porsi sopra tutti e tutte, e nell’arrogarsi il potere di tutoraggio da parte di Paolo, in questo passaggio dal noi siamo al voi siete, l’inizio di una storia di sterminate conseguenze, che ha toccato tutti e tutte. Il persecutore accanito dei cristiani, “conquistato da Gesù Cristo”, si pente - a modo suo - e si mette a “correre per conquistarlo” (Filippesi: 3, 12): come Platone (con tutto il carico di positivo e di negativo storico dell’operazione, come ho detto), afferra l’anima della vita evangelica degli apostoli, delle cristiane e dei cristiani, approfittando delle incertezze e dei tentennamenti di Pietro, si fa apostolo (la ‘donazione’ di Pietro) dei pagani e, da cittadino romano, la porta e consegna nelle mani di Roma. Nasce la Chiesa ... dell’Impero Romano d’Occidente (la ‘donazione’ di Costantino). La persecuzione dei cristiani, prima e degli stessi ebrei dopo deve essere portata fino ai confini della terra e fino alla fine del mondo: tutti e tutte, nella polvere, nel deserto, sotto l’occhio del Paolo di Tarso che ha conquistato l’anima di Gesù Cristo, e la sventola contro il vento come segno della sua vittoria... Tutti e tutte sulla romana croce della morte.

Egli, il vicario di Gesù Cristo, ha vinto: è Cristo stesso, è Dio, è il Dio del deserto... Un cristo-foro dell’imbroglio e della vergogna - con la ‘croce’ in pugno (e non piantata nella roccia del proprio cuore, come indicava Gesù) - comincia a portare la pace cattolico-romana nel mondo. Iniziano le Crociate e la Conquista. Il Dio lo vuole: tutti i popoli della Terra vanno portati nel gelo eterno - questo è il comando dei Papi e dei Concili, cioè delle massime espressioni dell’intelligenza astuta (quella del Dio di Ulisse e della vergine Atena, non del Dio di Giuseppe e di Maria) del Magistero della Chiesa, alle proprie forze armate... fino a Giovanni Paolo II, al suo cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e alla Commissione teologica internazionale, che ha preparato il documento “Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato”.

Uno spirito e un proposito lontano mille miglia, e mille anni prima di Cristo, da quello della “Commissione per la verità e la riconciliazione”, istituita in Sudafrica nel 1995 da Nelson Mandela, per curare e guarire le ferite del suo popolo. Il motto della Commissione bello, coraggioso, e significativo è stato ed è: “Guariamo la nostra terra”!

*

Si cfr.: Federico La Sala, L’enigma della Sfinge e il segreto della Piramide, Ripostes, Roma-Salerno 2001, pp.23-25.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 03/9/2013 09.01
Titolo:AVE MARIA LAICA
Ave Maria laica

di Vito Mancuso (la Repubblica, 2 settembre 2013)

Dopo l’Inchiesta su Gesù con Mauro Pesce (2006) e sul Cristianesimo con Remo Cacitti (2008), Corrado Augias giunge al tema delicatissimo di Maria, l’umile donna diventata con il tempo Madonna, cioè Mea Domina, Mia Signora, termine di origine aulica che prima di entrare nel lessico religioso ricorreva nella poesia cortese della Scuola siciliana e del Dolce Stil Novo. La guida cui Augias si affida per districarsi nel labirinto di testi sacri, dogmi, apparizioni e devozioni mariane è Marco Vannini, noto studioso di mistica e autore di numerosi saggi che sfidano la concezione tradizionale della religione.

Ho parlato di labirinto perché in effetti questa è la condizione della lussureggiante costruzione teologica e devozionale cresciuta nei secoli sulla base dei pochi passi evangelici concernenti la madre di Gesù. In singolare contrasto con la sobrietà biblica, la tradizione cattolica ha infatti elaborato la massima «de Maria numquam satis», «su Maria mai abbastanza», generando così più di 30 celebrazioni mariane all’anno, 4 dogmi, le 150 avemarie del Rosario (di recente diventate 200 con l’aggiunta di nuovi “Misteri”), le 50 Litanie lauretane e una serie sterminata di altre devozioni, chiese, ordini religiosi, antifone, musiche, immagini, santuari.

Leggendo il libro (che esce poco prima dell’arrivo a Roma, il 13 ottobre prossimo, della statua della Madonna di Fatima, una delle più celebri Madonne accanto a quelle di Loreto, Lourdes, Czestochowa, Guadalupe, Medjugorje) pensavo spesso al padre domenicano Yves Congar (1904- 1995), benché nel libro non sia nominato. Teologo stimatissimo, creato cardinale da Giovanni Paolo II per la preziosità del suo pensiero, Congar annotava nel diario tenuto durante il Vaticano II e pubblicato postumo nel 2002: «Mi rendo conto del dramma che accompagna tutta la mia vita: la necessità di lottare, in nome del Vangelo e della fede apostolica, contro lo sviluppo, la proliferazione mediterranea e irlandese, di una mariologia che non procede dalla Rivelazione ma ha l’appoggio dei testi pontifici » (22.9.61).

Eccoci al punto critico: la vera fonte della proliferazione mariologica non è la Rivelazione, ma un singolare connubio tra potere pontificio e devozione popolare. Maria è sì «una madre d’amore voluta dal popolo» come scrive Augias, ma tale volontà popolare è stata sistematicamente utilizzata dal potere ecclesiastico per rafforzare se stesso: tra mariologia ed ecclesiologia il legame è d’acciaio.

Congar proseguiva: «Questa mariologia accrescitiva è un cancro» (13.3.64), «un vero cancro nel tessuto della Chiesa» (21.11.63). Il protestante Karl Barth aveva definito la mariologia «un’escrescenza, una formazione malata del pensiero teologico», il cattolico Congar indurisce l’immagine. Come spiegare il paradosso? Il fatto è che quanto più crescono il desiderio di onestà intellettuale, la fedeltà al dettato evangelico, la volontà di reale promozione della donna all’interno della Chiesa, tanto più decresce l’afflato mariologico con la sua tendenza baroccheggiante.

E ovviamente viceversa. Prova ne sia che nel protestantesimo, dove la dottrina su Maria è contenuta nei limiti indicati dal Vangelo, il ruolo della donna nella Chiesa è del tutto equivalente a quello del maschio (è di questi giorni la notizia che alla presidenza della Chiesa luterana degli Stati Uniti è giunta una donna), e viceversa nel mondo cattolico i più devoti a Maria sono anche i più contrari al diaconato e al sacerdozio femminile, basti pensare a Giovanni Paolo II.

Ma non era solo Congar, anche il giovane Ratzinger, allora teologo dell’università di Tubinga, scriveva nell’Introduzione al Cristianesimo del 1967: «La dottrina affermante la divinità di Gesù non verrebbe minimamente inficiata quand’anche Gesù fosse nato da un normale matrimonio umano», parole da cui appare che il dogma della Verginità di Maria non è per nulla necessario al nucleo della fede cristiana, e ovviamente meno ancora lo sono i dogmi recenti dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione. È l’opinione anche di teologi del livello di Rahner e di Küng.

Eppure sembra non ci sia nulla da fare: Ratzinger cambiò presto idea giungendo a fare della Verginità di Maria «un elemento fondamentale della nostra fede» e anche papa Francesco farà arrivare a Roma la statua della Madonna di Fatima consacrando il mondo al Cuore immacolato di Maria come già fecero Pio XII nel 1942, Paolo VI nel 1964, Giovanni Paolo II nel 1984, con i risultati, per quanto attiene al mondo, che ognuno può valutare da sé.

Tornando al libro in oggetto, la sua forza consiste nella ricchezza della documentazione e nella piacevolezza con cui viene offerta: i testi biblici vengono scandagliati con competenza filologica, si analizza lo sviluppo del culto mariano, i quattro dogmi, le preghiere tradizionali, i nessi con il culto mediterraneo della Grande Madre e con le altre religioni, la lettura femminista, le altre Marie dei Vangeli e in particolare la Maddalena, le apparizioni e in particolare quella di Lourdes del 1858 con le guarigioni miracolose attestate ancora oggi e quella di Fatima del 1917 con i famigerati tre segreti. Vi sono anche due dotti capitoli finali su Maria nell’arte, nella poesia, nella musica, nel cinema.

Il libro è solido dal punto di vista dei testi. Vengono citati Sant’Agostino in latino, l’esegesi dei testi del Vaticano II, si ricorda persino la setta di un certo Valesio sconosciuto ai principali dizionari teologici, anche se poi gli autori scrivono che nelle Scritture «nessun riferimento si fa mai alla sua miracolosa maternità verginale», dimenticando Matteo 1,18 secondo cui Maria «si trovò incinta per opera dello Spirito Santo» e Luca 1,35 che ribadisce il messaggio.

Ma il risultato dell’inchiesta alla fine qual è? La demolizione della dottrina tradizionale. Avversata da Augias fin dall’inizio, da Vannini è sì difesa («la devozione a Maria è segno di maturità spirituale») ma in modo inaccettabile per il cattolicesimo. Per esso infatti vi è una connessione inscindibile tra fatto storico-biologico e significato spirituale, mentre a Vannini interessa unicamente il secondo, per lui la verginità e maternità di Maria sono «non una storia esteriore ma una realtà interiore», e Maria è «l’anima che ha rinunciato all’amore di sé». Con ciò egli si colloca volutamente, come recita il titolo del suo ultimo saggio, oltre il Cristianesimo. Ne viene il paradosso di un libro sulla più cattolica delle dottrine scritto da un non credente e da un “oltrecristiano”! Ma questo, lungi dall’essere un difetto, è stata la condizione che ha concesso loro obiettività nel presentare lucidamente lo sterminato materiale sulla «fanciulla che divenne mito» e di offrire uno strumento utile e soprattutto onesto per ritornare alla verità evangelica su Maria.

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Titolo articolo : IL MONDO ALLA ROVESCIA,di Peppe Sini

Ultimo aggiornamento: September/02/2013 - 08:41:19.

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Autore Città Giorno Ora
filippo angileri trapani 02/9/2013 08.41
Titolo:Bravissimo!
Grazie, grazie tante Peppe Sini. Condivido il tuo appello e penso, come me, milioni di italiani.
Un saluto.
filippo a.

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Commenti Articolo 435

Titolo articolo : No, non sono contento!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: September/02/2013 - 08:34:50.

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Autore Città Giorno Ora
Giovanni Dotti VARESE 09/8/2013 22.37
Titolo:BRAVISSIMO !
Perfetto, non ho nulla da aggiungere.Fossero tutti i commentatori e giornalisti così lucidi e chiari nelle analisi, probabilmente i lettori capirebbero tante cose e si comporterebbero diversamente quando vanno a votare.
Autore Città Giorno Ora
filippo angileri trapani 02/9/2013 08.34
Titolo:non sono contento
Grazie, Giovanni il tuo editoriale è chiarissimo e condivisibilissimo!complimenti per la lucida analisi.Concordo.Povera Italia!!
Ti apprezzo.
Con la solita stima,
tanti saluti
filippo a.

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Commenti Articolo 436

Titolo articolo : L’anima venduta per uno spicciolo,di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: September/01/2013 - 12:35:49.

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Autore Città Giorno Ora
Giovanna Melone Torino 01/9/2013 12.35
Titolo:PAPA FRANCESCO
Condivido quanto lei scrive nell'articolo in oggetto , espresso con chiarezza e acutezza .
è soltanto sull' idea che lei ha dell'attuale Papa che nutro perplessità , nel senso che , a differnza di Papa Luciani , assolutamente autentico e genuino , questa figura appare costruita , "giocata" come ultima carta da una Chiesa decadente che , nn sapendo più a quale santo votarsi , si rivolge al grande san Francesco ..... il nome scelto non è certo una casualità !!!
Complimenti per il suo articolo , le auguro di cuore di avere tanti lettori !!!

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Commenti Articolo 437

Titolo articolo : COME E' STATO POSSIBILE?  Chiesa cattolica italiana e Berlusconi: a quando un esame di coscienza? di Aldo Maria Valli,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/01/2013 - 11:39:37.

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Autore Città Giorno Ora
Ugo Agnoletto Susegana 01/9/2013 11.39
Titolo:come è potuto accadere
proprio alcuni giorni fa scrivevo questa domanda: come è potuto accadere? E mi riferivo a fatti del medioevo. Non basta dire abbiamo chiesto scusa (se mai questo avverrà) oppure ci siamo sbagliati. Si tratta di capire e rendersi conto della mentalità che ha portato a questo, delle letture sbagliate del vangelo che hanno portato a questo, delle strutture di potere interne alla chiesa che hanno reso possibile questo. Non mi interessa una autocondanna o una colpevolizzazione che lascia le cose come stanno. E' necessario capire i presupposti ideologici, culturali, teologici. Altrimenti si continuerà sempre così.

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Commenti Articolo 438

Titolo articolo : GRAZIE ALLA VITA. GRACIAS A LA VIDA.,di CArlo CAstellini

Ultimo aggiornamento: August/16/2013 - 16:39:02.

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Autore Città Giorno Ora
Carlo Castellini Brescia 16/8/2013 16.39
Titolo:
Cari amici del DIALOGO,
VI INFORMIAMO CHE QUESTA MATTINA
ALLE ORE 9.34 DI QUESTO VENERDÌ
SONO VENUTI ALLA LUCE JACOPO E FILIPPO, GEMELLI
DA PARTE DI MARCO MIO FIGLIO E SUA MOGLIE ALICE.
JACOPO PESA 1,7O KG MENTRE FILIPPO PESA 2,1 KG.
GRAZIE DELLA VS PARTECIPAZIONE DA PARTE DI CARLO E VINCENZINA,
NONNI IN POCHI MESI PER LA TERZA VOLTA.

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Commenti Articolo 439

Titolo articolo : Catania, 14 agosto: “Freedom” – libertà – gridano i bambini siriani.  ,di Domenico Stimolo

Ultimo aggiornamento: August/15/2013 - 19:49:07.

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Autore Città Giorno Ora
domenico stimolo catania 15/8/2013 19.49
Titolo:
VIDEO:
http://www.youtube.com/watch?v=nC0frtdupWs

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Commenti Articolo 440

Titolo articolo : II confronto col drago,di Ernesto Balducci

Ultimo aggiornamento: August/14/2013 - 15:16:33.

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Autore Città Giorno Ora
isabelle charlier varese 14/8/2013 15.16
Titolo:In conferma e aggiunta all'ultimo paragrafo ......
Va davvero precisato!

Secondo la Bibbia, Gesù non gradisce il titolo di "Beata" per sua madre, come ripreso in Luca 11: 27-28 "Mentre diceva questo, una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: 'Beato il grembo che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!'. Ma egli disse: 'Beati PIUTTOSTO coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!"

Non si tratta affatto di un dettaglio senza importanza!

Per informazione: paridi.franco.isa@gmail.com

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Commenti Articolo 441

Titolo articolo : Da quel cavalcavia è andato giù lo Stato,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: August/13/2013 - 17:02:14.

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Autore Città Giorno Ora
Sara Sarubbi Ospedaletto d\'alpinolo 29/7/2013 23.47
Titolo:
Giusta osservazione... Dovremmo essere tutti più solidali a partire dalla fonte... Un dolore del genere non si può spiegare perché nn si può neanche immaginare...
Mariti rimasti d'improvviso senza mogli, bambini rimasti orfani famiglie sterminate, dilaniate....come si può soltanto immaginare una sciagura del genere in dolore così grande?semplicemente non si può.....
Autore Città Giorno Ora
Giuseppe Fanelli Manocalzati 01/8/2013 01.31
Titolo:Lo Stato è morto, ma le carte...
L'Italia è una specie di Repubblica fondata sulle "carte"! Se una strada è dissestata, pericolosa, non idonea al transito veicolare, ma le "carte" dicono che è buona, la strada è ottima. Se un pullman è una carcassa vagante, ma le "carte" dicono che è buono, il pullman è ottimo.
Quanto possono valere queste "carte" in un Paese corrotto a tal punto che si può ordinare impunemente l'uccisione di magistrati, poliziotti e chiunque vorrebbe fare chiarezza su vicende scomode?
Autore Città Giorno Ora
Carlo Castellini Brescia 13/8/2013 17.02
Titolo:non fermiamoci ai soliti commenti
Cari amici tutto vero quello che dite.
Però non fermiamoci ai soliti commenti ma facciamo girare e conoscere questo come altri articoli. E' importante far conoscere queste riflessioni,che si allargano e applicano anche ad altri problemi. Carlo

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Commenti Articolo 442

Titolo articolo : I CRISTIANI DA SALOTTO CONTRO LA CHIESA DEI POVERI,  di Mario Pancera

Ultimo aggiornamento: August/08/2013 - 13:31:46.

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Autore Città Giorno Ora
Margherita Galliano pino torinese 08/8/2013 01.54
Titolo:Riflessioni dopo tante letture
Ho letto con attenzione lo scritto, non ho molte cose da dire, perchè ognuno è libero di esprimere le proprie opinioni. Abbiamo tutti un cervello pensante, l\'unica cosa che si dovrebbe fare, è una lunga meditazione sulle parole che escono, pensando che possono anche far del male o suscitare dei conflitti. Quindi personalmente inviterei tutti quelli che scrivono a rileggere il loro scritto pensando intensamente a chi li leggerà.Si possono fare tante cose con l\'esempio, non è il caso di prendere sempre le autostrade ma si può cominciare camminando in un piccolo sentiero scostando i massi che ostacolano la camminata. Il tutto si può fare in silenzio. C\'è troppo rumore.Il cristiano da salotto lo chiamerei \"cattolico\". E sono convinta che qualcuno gli ha insegnato a comportarsi in quel modo. Non bisogna colpevolizzarlo. Non sentiamoci tutti giudici. Non lo siamo per niente.
Siamo uomini pieni di difetti, nessuno esente, ma molti non lo vogliono riconoscere e si arrabbiano molto se glielo si dice apertamente. Gesù pare non abbia mai scritto niente.Eppure che successo.
Mi sento già contraddittoria perchè ho scritto troppo ma non ne posso fare a meno.
Con affetto. Margherita
Autore Città Giorno Ora
mario pancera Milano 08/8/2013 13.31
Titolo:Papa Francesco:"La grazia di dare fastido"
Gentile lettrice, l’espressione “cristiani da salotto” è stata usata da papa Francesco, il 16 maggio scorso durante la messa a Santa Marta, a Roma. Si riferiva ai cattolici, proprio come vorrebbe anche lei. Certamente qualcuno ha insegnato loro a comportarsi in quel modo, ma il papa di oggi dice che occorre cambiare. Andare avanti: chiedere allo Spirito santo “la grazia di dare fastidio alla cose troppo tranquille nella Chiesa”. Cambiare. Dare cristianamente fastidio.
Le segnalo un brano del papa:
“Anche ci sono i cristiani da salotto, no? Quelli educati, tutto bene, ma non sanno fare figli alla Chiesa con l’annunzio e il fervore apostolico. Oggi possiamo chiedere allo Spirito Santo che ci dia questo fervore apostolico a tutti noi, anche ci dia la grazia di dare fastidio alle cose che sono troppo tranquille nella Chiesa; la grazia di andare avanti verso le periferie esistenziali. Tanto bisogno ha la Chiesa di questo! Non soltanto in terra lontana, nelle chiese giovani, nei popoli che ancora non conoscono Gesù Cristo, ma qui in città, in città proprio, hanno bisogno di questo annuncio di Gesù Cristo. Dunque chiediamo allo Spirito Santo questa grazia dello zelo apostolico, cristiani con zelo apostolico. E se diamo fastidio, benedetto sia il Signore. Avanti, come dice il Signore a Paolo: ‘Coraggio’”!
È ovvio che i commenti miei sono soltanto miei, per quel che valgono rispondo soltanto io.
Cordialmente

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Commenti Articolo 443

Titolo articolo : Lettera a Papa Francesco di un Prete Sposato,di Perin Nadir Giuseppe

Ultimo aggiornamento: August/07/2013 - 20:46:23.

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Autore Città Giorno Ora
Giuseppe Zanon Cottolengo-Brescia 07/8/2013 10.19
Titolo:Complimenti
Giuseppe Nadir,
complimenti,come sempre, per il tuo articolo pensato, profon-do e vissuto intensamente. Vorrei commentarlo, facendo alcune domande a papa Francesco, in libertà, nella libertà dei figli di Dio.

1) Papa Francesco hai colto con quanta stima e con quanto amore si rivolge a te Giuseppe Nadir, prete sposato, sacerdote non più in ministero?
‘Ho provato una grande gioia e una profonda commozione’ al suo primo saluto,
‘Ho ringraziato Dio per il dono..’ d’averlo come papa, ‘Benvenuto, amato Papa Francesco’ ti dice, ‘Possa lo Spirito Santo sostenerLa , guidarLa, illuminarLa, confortarLa…’ è la sua preghiera.
Ma lo sai, papa Francesco, che questo presbitero è uno dei 100.000 (cento-mila) messi bruscamente alla porta da Santa Matrigna Chiesa per il solo fatto che optavano anche per il sacramento del matrimonio?

2) Hai presente quanti ce ne sono che, come Giuseppe, avrebbero tutte le carte in regola per riprendere ad esercitare il ministero sacerdotale?. E in questo momento di carenza di preti e di tentativi estemporanei per rimediar-
vi (ordinazione di pastori protestanti, organizzazione di Unità pastorali), essi sarebbero una vera manna. Quanti ce ne sono! Ed io, nel mio piccolo, ne conosco molti che potrebbero essere ottimi sacerdoti e che nel frattempo lavorano ‘…come umili servitori nella vigna del Signore’.

3)Dopo i tuoi successi in Brasile, hai fatto capire decisamente che la Chiesa deve cambiare. Lo pensi anche per quanto riguarda la questione del celibato obbligatorio dei preti? Hai voglia veramente di vederci dentro in modo chiaro,
in modo sincero, in modo evangelico, in modo francescano? Sei stato in Brasile, vieni dall’America latina, tu sai bene cosa avviene laggiù! Possiamo sperare di non sentir più la retorica della ‘Fulgida gemma del celibato’, ma gustarci invece un celibato scelto liberamente, vissuto con convinzione, alla luce del sole, a bene e ad esempio di tutto il popolo di Dio?

Questo si aspettano da te e per questo pregano (come tu desideri) i due Giuseppe veneti: Giuseppe Perin e Giuseppe Zanon
Autore Città Giorno Ora
francesca salvador falconara albanese 07/8/2013 20.46
Titolo:dal mio osservatorio
Dal mio osservatorio dico che: la Chiesa da un bel po' sta perdendo le migliori risorse. E dover fare i conti con chi resta, è un sfida, perchè non sempre gli interlocutori che ci si trova davanti capiscono la vita reale. E'anche vero, per il mio modo di accostare le cose che: l'ostacolo che ho fuori ce l'ho dentro, e sempre a me devo tornare. Quanto al papa, conoscendo un po' la Chiesa del sud America, sì mi aspettavo una posizione più coraggiosa. E' anche vero che, se non si "vedono" e se non ci si mette tutti d'impegno a lavorare su una serie di questioni culturali di fondo, non è una legge che cambia le situazioni.

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Commenti Articolo 444

Titolo articolo : FRANCESCO E LE ULTIME ILLUSIONI DELLA CHIESA CATTOLICA. Francesco, un volto nuovo per una Chiesa più fragile. Editoriale di "Le Monde",a c, di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: July/30/2013 - 18:11:45.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/7/2013 14.53
Titolo:«Bisogna fare una profonda teologia della donna».
Gay e donne, la «svolta» del Papa

di Eleonora Martini (il manifesto, 30 luglio 2013)

Le lobby? «Sono tutte cattive». Gli omosessuali? «Chi sono io per giudicarli?». La protesta giovanile? «Un giovane che non protesta non mi piace». Le donne? «La Chiesa è femminile, madre, e la donna non è solo la maternità, la madre di famiglia». Papa Francesco I sceglie di lasciare il Brasile lanciando al mondo un messaggio che sembra attinto direttamente dalla Teologia della liberazione. Ed è già come una promessa: «Oggi è arrivato il tempo della misericordia, un cambiamento d’epoca», dice rispondendo alle domande dei giornalisti sull’aereo che lo riporta a Ciampino, dove ad accoglierlo ieri pomeriggio ha trovato il vice premier Angelino Alfano. Un nuovo orizzonte, quello descritto dal Papa argentino con parole che assumono però corpo e sostanza soprattutto con la notizia lanciata simultaneamente da Radio Vaticana e dalla Banca d’Italia di un protocollo d’intesa siglato nei giorni scorsi dall’Aif, l’Autorità di informazione finanziaria della Santa Sede, e dal suo corrispettivo italiano di via Nazionale, l’Uif, l’Unità di informazione finanziaria. Un accordo che «consentirà di scambiare informazioni utili all’approfondimento di casi di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo di interesse per le due Autorità».

Dunque, sembrerebbe procedere sul serio sulla via del cambiamento, Jorge Mario Bergoglio. A cominciare da se stesso, visto che quando era cardinale in Argentina si era distinto per la sua campagna contro le unioni omosessuali. Ma, come testimoniò il padre della Teologia della liberazione, Leonardo Boff, al manifesto, fu anche capace di grande flessibilità, al punto da permettere l’adozione di un bambino da parte di una coppia gay.

«Si scrive tanto delle lobby gay in Vaticano - ha detto ieri ai giornalisti Francesco I - ma io ancora non ho trovato nessuno che si presenti con la carta d’identità da gay. Ce ne saranno, ma bisogna distinguere: le lobby sono tutte non buone, ma se c’è una persona gay che cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarlo?». Parole che risultano felicemente «spiazzanti» agli occhi di Nichi Vendola soprattutto perché, dice il governatore pugliese, «Papa Francesco ha fatto un’operazione strabiliante: ha separato l’omosessualità dalla pedofilia», ricordando che è la seconda ad essere «un peccato, un delitto, un reato». Incredibilmente anche questo Bergoglio piace a tutti.

Perfino alla teocon Eugenia Roccella che nella predica trova la conferma alle proprie teorie: «Vedete? Il Papa ribadisce che i cattolici non sono omofobi». A darle ragione in qualche modo è Aurelio Mancuso, presidente dell’associazione glbt Equality Italia, che delle parole di Bergoglio apprezza più il cambiamento di stile che di sostanza: «Francesco rimanda alla morale cattolica in vigore che nulla concede alla condizione omosessuale quando è felice e praticata. L’articolo 2359 del Catechismo infatti recita: "Le persone omosessuali sono chiamate alla castità"».

Più che altro una pretesa, quella dell’ex presidente dell’Arcigay. Nemmeno Bergoglio ha il potere, per esempio, di aprire il sacerdozio alle donne: «La Chiesa ha parlato chiaro e ha detto no - spiega Francesco I - La porta è chiusa, lo ha detto Giovanni Paolo II». Eppure, aggiunge il Papa in carica, non basta aprire alle donne com’è stato finora, «metterle a capo della Caritas o permettere loro di prendere la parola durante la messa»: «Bisogna fare una profonda teologia della donna». «Questo - sembra scusarsi Bergoglio - è ciò che penso io».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/7/2013 18.11
Titolo:Un Wojtyla di sinistra?
Un Wojtyla di sinistra?

di Massimo Faggioli (Europa, 30 luglio 2013)

La prima Giornata mondiale della Gioventù di papa Francesco ha sancito in qualche modo il vero inizio del pontificato di Bergoglio: ironia della storia, con un evento di massa di stile wojtyliano, e in un luogo deciso dal pontificato di Benedetto XVI ben prima delle sue inattese dimissioni. Assodate le differenze rispetto al predecessore (basti ricordare la fredda accoglienza riservata a Benedetto XVI in Brasile nel 2007), che tipo di pontificato sta prendendo forma? Un ritorno al “pontificato carismatico” di Giovanni Paolo II, o qualcosa di diverso?

Non v’è dubbio che papa Bergoglio sia più vicino a Giovanni Paolo II che a Benedetto XVI, ma le dimensioni e la formula della Giornata mondiale della gioventù potrebbero alterare la prospettiva.

La Gmg è pur sempre un evento che si basa su una partecipazione di massa, di giovani da tutto il mondo, insieme al papa, e che pertanto focalizza l’attenzione sulle parole e sui gesti del papa. È uno dei motivi per cui il cattolicesimo liberal ha sempre visto con sospetto queste manifestazioni di massa, e vorrebbe al posto della Gmg raduni su base nazionale o continentale - ai quali ovviamente il papa non potrebbe partecipare per motivi pratici.

Tuttavia pare che papa Francesco sia cosciente dei rischi di una carismatizzazione del papato oltremisura. In primo luogo, i tempi e i modi della transizione da Benedetto XVI a Francesco hanno in qualche modo “vaccinato” il cattolicesimo dall’ideologia del papato monarchico. In secondo luogo, papa Francesco ha più volte dato segnali di voler essere, come vescovo di Roma, soltanto il “segnale” che riconduce al vero capo della Chiesa, Gesù Cristo.

Dal punto di vista del funzionamento del cattolicesimo, poi, il Conclave del 2013 ha presentato alla Chiesa il conto di un eccessivo accentramento del governo della chiesa, non solo nella gestione burocratica ma anche quanto ai risultati pastorali provenienti da meccanismi di nomina e carriera tesi a premiare le cordate e gli “yesman”.

La Gmg di Rio ha però offerto segnali ulteriori per comprendere il tipo di pontificato di papa Francesco: una continuità rispetto alla formula coniata da papa Wojtyla, e una continuità con Giovanni Paolo II anche nell’abbracciare ogni cultura come “capace del Vangelo”, senza illudersi nel ricondurre il cattolicesimo globale sotto il giogo della cultura europea figlia di Atene e Roma.

Una continuità con Giovanni Paolo II si è vista anche rispetto ad un certo stile liturgico e paraliturgico di tipo “evangelicale”: musiche, danze, happening di vario tipo. Questo ha a che fare con la giovane età dei partecipanti, ma anche con la consapevolezza della Chiesa che la sfida del cattolicesimo su scala mondiale è col cristianesimo post-ecclesiale dei carismatici e pentecostali, ovvero sul terreno di una pietà meno “illuminista” e più “emozionale”.

Il cattolicesimo del cuore di papa Francesco non è lontano dall’evangelicalismo di nuovo conio (in America, un “evangelicalismo sociale” reduce dai disastri dell’era di George W. Bush), quello che coniuga ad un forte senso della tradizione cristiana una sensibilità sociale e politica in senso alto: un cristianesimo pro-life che non si accontenta di denunciare la mentalità abortista, ma include il discorso pro-life in un quadro di dottrina sociale cristiana sul lavoro, la salute, la giustizia sociale.

La Gmg del 2013 ha fatto sfilare sulla spiaggia di Copacabana un “evangelical Catholicism”: un evangelicalismo che non ha come modello quello statunitense anni Settanta-Novanta di tipo politico-ideologico e che non si rifà, per intenderci, all’evangelicalismo cattolico auspicato da neoconservatori come George Weigel. Si tratta di un evangelismo cattolico, che non ha nulla in comune col fondamentalismo biblico ma piuttosto si rifà ad una sapienza spirituale ben poco calvinista e molto misericordiosa e inclusiva.

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Commenti Articolo 445

Titolo articolo : Mistica e Politica,di Laura Guadagnin

Ultimo aggiornamento: July/17/2013 - 18:50:04.

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Autore Città Giorno Ora
Ugo Agnoletto Susegana 17/7/2013 18.50
Titolo:ancora?
ancora qualcuno crede alla verginità di Maria? Quando i cristiani hanno occupato i templi delle dee greche che erano venerate come vergini, anche la chiesa ha dovuto adeguarsi, e per non essere da meno ecco che Maria è diventata vergine, regina, ecc. Ma per due secoli nessuno ne ha aveva mai parlato!

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Commenti Articolo 446

Titolo articolo : Il potere nella Chiesa: storia di un tradimento,da Adista Documenti n. 26 del 13/07/2013

Ultimo aggiornamento: July/17/2013 - 18:44:58.

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Autore Città Giorno Ora
Ugo Agnoletto Susegana 14/7/2013 21.13
Titolo:falsità del cristianesimo
non sono false soltanto le decretali o la donatio constantini. E' falso il metodo della chiesa cattolica perché anche i vangeli sono stati falsificati. Sono falsi anche i nomi dei dodici apostoli perché non coincidono da vangelo a vangelo. Noi di Gesù sappiamo solo quello che i cristiani dei primi secoli astutamente hanno voluto raccontarci. Quindi tra Gesù e Chiesa cattolica c'è uno iato insanabile. Oggi una persona sana di mente non può più credere nella chiesa cattolica, perché, se vuole, ha tutti i mezzi che vuole per capire gli imbrogli fatti dalla chiesa cattolica.
Autore Città Giorno Ora
Andres Dato Genova 16/7/2013 20.29
Titolo:falsità e cristianesimo delle origini
Ho letto l'articolo di J.M. CAstillo e il commenti di U. Agnoletto. Desidero avere riferimenti bibliografici a sostegno delle tesi ivi contenute.
Sentiti ringraziamenti.
Andrès Dato
Autore Città Giorno Ora
Ugo Agnoletto Susegana 17/7/2013 18.44
Titolo:riferimenti
riferimenti: Il Gallo cantò ancora e Storia criminale del cristianesimo, ambedue di Deschener. Comunque ha visto che anche riguardo gli F35 la chiesa è dalla parte del potere e di una chiesa così non c'è proprio bisogno, anzi

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Commenti Articolo 447

Titolo articolo : LA POTENZA DELLA POVERTA'  CONTRO LA CARITA' (COME ELEMOSINA!). Un'intervista a Muhammad Yunus di Cosma Orsi - con note,

Ultimo aggiornamento: July/16/2013 - 21:58:36.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/7/2013 15.36
Titolo:Una lezione di james joyce
Gesù del messaggio evangelico

- Marco 7,31-37:

- Di ritorno dalla regione di Tiro, passò per Sidone, dirigendosi verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
- E gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano.
- E portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: «Effatà» cioè: «Apriti!».
- E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
- E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
"Gesù" del cattolicesimo-romano

James Joyce, Finnegans Wake:

"He lifts the lifewand and the dumb speak
- Quoiquoiquoiquoiquoiquoiquoiq"

"Egli brandisce la bacchetta della vita e i muti parlano
- Quoiquoiquoiquoiquoiquoiquoiq" *

Variazioni (mie, fls):

Quàquàquàquàquàquàquàquàquàq
Quoìquoìquoìquoìquoiquoiquoìq...

* Cfr.: James Joyce, Finnegans Wake, Libro Primo V-VIII, Oscar Mondadori, Milano 2001, pp. 195-195 bis.
Autore Città Giorno Ora
Antonio Caruso Milano 16/7/2013 21.58
Titolo:Un uomo nuovo
I risultati delle politiche economiche finalizzate al profitto, ben descritti dal premio Nobel Muhammad Yunus come deludenti e dolorosi, evidenziano la volontà generale di prolungare l’agonia del morente capitalismo finanziario, respingendo l’idea di ridistribuzione della ricchezza e perpetuando la condizione di assoggettamento dei più deboli.
L’economia dominante ha usurpato il valore reale dell’uomo sostituendolo con un valore nominale che ne ha azzerato le qualità innate di solidarietà e altruismo e ha trasformato l’umanità in un esercito di “robots” ubbidienti e “cacciatori di denaro” dediti alla crescita, ad ogni costo, del “profitto fine a se stesso”.
Yunus contrappone all’idea di automa un uomo positivo “contemporaneamente cooperativo e altruista”, ci esorta a riconsiderare, in modo migliorativo, l’umanità rivalutandone le doti altruistiche, la personalità multi dimensionale e la creatività. Sollecita l’allargamento degli orizzonti economici ricordandoci che “la distanza tra il possibile e l’impossibile si sta assottigliando.” L’impossibile prende forma nel momento in cui si colloca l’uomo al centro di un processo evolutivo di crescita individuale e collettiva in cui l’economia si conforma alle esigenze dei singoli e non a quelle finanziarie e in cui il profitto si misura anche in termini di gioia e di benessere. Il premio Nobel mette di fronte alla classificazione economica della disoccupazione, una definizione semplice che, ancora una volta, mette in risalto le doti e la centralità dell’uomo:” Che cos’è la disoccupazione ? Una massa di persone potenzialmente creative il cui potenziale giace inutilizzato.”
Le “illimitate capacità” e il potenziale creativo inutilizzato descrivono la figura di un uomo nuovo, sovrano e consapevole della fitta rete di relazioni che ne affermano l’identità e la sopravvivenza e in quanto tale capace di estendere, a ragion veduta, il concetto di comunità ad una più ampia collettività di esseri viventi. In conclusione, Yunus ci esorta a cambiare rotta, ad abbandonare il modello esistente a favore di un’economia antropocentrica che restituisca dignità e libertà all’uomo, lo consideri nella sua interezza e sia capace di rivalutare il senso profondo delle relazioni. Gli economisti tutti farebbero bene a raccogliere e far proprie, con umiltà, le parole di Yunus. Essi dovrebbero affrontare con coraggio la sfida e contribuire alla realizzazione di un cambiamento radicale ed epocale così che “Un giorno i nostri nipoti andranno a visitare i musei della povertà per vedere che cosa era la povertà.”

Antonio Caruso

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Commenti Articolo 448

Titolo articolo : PEDOFILIA TRA IL CLERO: L’AJA RIGETTA LA RICHIESTA DI INCRIMINAZIONE DI BENEDETTO XVI,da Adista Notizie n. 24 del 29/06/2013

Ultimo aggiornamento: July/15/2013 - 23:44:54.

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Autore Città Giorno Ora
alessio di benedetto pratola peligna (AQ) 15/7/2013 23.44
Titolo:PEDOFILIA DI MARCIEL DEGOLLIADO
PEDOFILIA DI 2^ E 3^ GENERAZIONE, MACIEL DEGOLLADO, FONDATORE DEI LEGIONARI DI CRISTO
Denuncia a carico di Ratzinger per crimini contro l'umanità--SCARICA GRATIS IL LIBRO al link
http://www.compraebook.com/749/RATZINGER-E-I-LEGIONARI-DI-CRISTO
http://alessiodibenedetto.jimdo.com/i-legionari-di-cristo/ oppure:
http://alessiodibenedetto.blogspot.it/
http://www.wallstreetitalia.com/comment/229715/le-dimissioni-di-ratzinger.aspx
BUONA LETTURA e munitevi di una busta di plastica dove vomitare

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Commenti Articolo 449

Titolo articolo : F35: LA “GUERRA” SI SPOSTA IN PARLAMENTO,di Adista Notizie n. 26 del 13/07/2013

Ultimo aggiornamento: July/15/2013 - 12:48:28.

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Autore Città Giorno Ora
Enrico De Giorgi Milano 15/7/2013 12.48
Titolo:Perchè "dobbiamo" comperare gli F35?
Ma i 378 parlamentari che hanno detto "no" alla mozione, mi sanno dire con quali argomenti CONCRETI sostengono che una tale spesa si debba fare? Gli argomenti CONCRETI per NON farla mi sembrano più che evidenti, ma quali sono quelli che invece dovrebbero convincermi a lasciare che i MIEI soldi vengano spesi per una tale nefandezza???
Aspetto delle risposte... Che non siano le "cause di forza maggiore" o gli "impegni già presi" e via discorrendo; questi non sono argomenti CONCRETI.

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Commenti Articolo 450

Titolo articolo : LETTERA ENCICLICA LUMEN FIDEI DEL SOMMO PONTEFICE FRANCESCO AI VESCOVI AI PRESBITERI E AI DIACONI ALLE PERSONE CONSACRATE E A TUTTI I FEDELI LAICI SULLA FEDE,

Ultimo aggiornamento: July/15/2013 - 10:06:21.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/7/2013 18.23
Titolo:SONNAMBULISMO: LA "LUMEN FIDEI" - LA VECCHIA MEDIAZIONE "MERCANTI"!!!
- “DEUS CARITAS EST”:
- IL “LOGO” DEL GRANDE MERCANTE
- E DEL CAPITALISMO

- di Federico La Sala *

In principio era il Logos, non il “Logo”!!! “Arbeit Macht Frei”: “il lavoro rende liberi”, così sul campo recintato degli esseri umani!!! “Deus caritas est”: Dio è caro (prezzo), così sul campo recintato della Parola (del Verbo, del Logos)!!! “La prima enciclica di Ratzinger è a pagamento”, L’Unità, 26.01.2006 )!!!

Il grande discendente dei mercanti del Tempio si sarà ripetuto in cor suo e riscritto davanti ai suoi occhi il vecchio slogan: con questo ‘logo’ vincerai! Ha preso ‘carta e penna’ e, sul campo recintato della Parola, ha cancellato la vecchia ‘dicitura’ e ri-scritto la ‘nuova’: “Deus caritas est” [Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2006]!

Nell’anniversario del “Giorno della memoria”, il 27 gennaio, non poteva essere ‘lanciato’ nel ‘mondo’ un “Logo” ... più ‘bello’ e più ‘accattivante’, molto ‘ac-captivante’!!!

Il Faraone, travestito da Mosè, da Elia, e da Gesù, ha dato inizio alla ‘campagna’ del Terzo Millennio - avanti Cristo!!! (Federico La Sala)

*www.ildialogo.org/filosofia, Giovedì, 26 gennaio 2006.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/7/2013 13.15
Titolo:IL LAVORO MORTO VINCE SUL LAVORO VIVO. FRANCESCO HA FIRMATO
La paura della modernità

di Vito Mancuso (la Repubblica, 6 luglio 2013)

La questione preliminare sollevata dalla prima enciclica di papa Francesco riguarda la sua effettiva paternità. Chi è il vero padre del testo da oggi noto con il titolo classico di Lumen fidei , “Luce della fede”? Sarà compito degli studiosi futuri stabilire con precisione quanto vi sia di Ratzinger e quanto di Bergoglio in questo importante documento, ma, come si può leggere nello stesso testo, già oggi è noto che è stato scritto per la gran parte da papa Benedetto («egli aveva già quasi completato una prima stesura»), mentre papa Francesco dice di aver contribuito aggiungendo «alcuni ulteriori ritocchi».

L’origine a più mani del testo non costituisce di per sé una novità per il papato, perché sono molti i testi del magistero quali encicliche, esortazioni apostoliche, catechesi o semplici discorsi, che hanno alle spalle un autore diverso rispetto al Romano Pontefice che poi li ha firmati, né penso che potrebbe essere altrimenti vista l’ampia esposizione a cui oggi un Papa è quotidianamente chiamato. Decisamente nuovo però è il fatto che, dietro a un testo solenne come un’enciclica, di pontefici ve ne siano due, visto che Benedetto XVI ha scritto le pagine oggi firmate da papa Francesco quando ancora il papa era lui. A quale pontefice quindi attribuire la sostanza degli insegnamenti contenuti nella Lumen fidei ? E chi tra i due papi ha scelto il titolo, che in un’enciclica ha sempre tanta importanza?

C’è poi un’altra non piccola questione preliminare: se l’enciclica è il documento più importante che un papa ha a disposizione, e se la prima enciclica rappresenta solitamente l’atto programmatico del nuovo pontificato, che significato occorre dare al fatto che papa Francesco ha scelto di fare suo un testo scritto quasi integralmente da papa Benedetto? Se Francesco avesse sempre seguito in tutto il suo predecessore la cosa sarebbe perfettamente coerente, ma egli finora ha fatto piuttosto il contrario: altra qualifica nel presentarsi (“vescovo di Roma”), altra abitazione (Santa Marta e non l’appartamento papale), altra croce pettorale, altre scarpe, altro piglio nell’affrontare i nodi del governo vaticano, altre priorità come appare dall’aver disertato un concerto di musica classica dov’era prevista la sua presenza, cosa che un cultore della buona musica e dell’etichetta quale Benedetto XVI non avrebbe mai fatto... O forse l’assunzione del testo ratzingeriano sotto la propria firma è funzionale proprio al desiderio di papa Francesco di voler sottolineare, al di là di differenze contingenti, la totale consonanza dottrinale con papa Benedetto sulle cose fondamentali quali la fede e la morale? Io penso che a questa domanda occorra rispondere positivamente e che solo così si spieghi l’effetto un po’ stucchevole di vedere a firma di papa Francesco un testo integralmente ratzingeriano.

L’enciclica infatti riproduce con andamento lineare e senza particolari novità la tradizione della dottrina cristiana in ordine all’insegnamento sulla fede, intesa sia come fides qua creditur , cioè l’atteggiamento interiore o la fiducia con cui si crede, sia come fides quae creditur , cioè il patrimonio dottrinale cui si aderisce con ossequio dell’intelligenza ovvero i cosiddetti articoli di fede. E lo fa all’insegna della più limpida teologia ratzingeriana che nel testo emerge con voce inconfondibile.

La Lumen fidei spiega l’origine della fede unicamente a partire dall’alto, riconducendola a Dio e dichiarandola “dono di Dio”, “virtù soprannaturale da Lui infusa”, “dono originario”, “chiamata” (il termine dono ricorre 21 volte, chiamata 11). La domanda sorge spontanea: chi non ha la fede non ha quindi ricevuto questo dono divino? E se fosse così, non si tratterebbe in questo caso di un’inspiegabile ingiustizia? Verso la fine della vita Indro Montanelli scriveva: “Io ho sempre sentito e sento la mancanza di fede come una profonda ingiustizia che toglie alla mia vita, ora che ne sono al rendiconto finale, ogni senso. Se è per chiudere gli occhi senza aver saputo di dove vengo, dove vado, e cosa sono venuto a fare qui, tanto valeva non aprirli”. Invano il lettore cercherebbe nell’enciclica dei due papi non dico la risposta, ma anche solo l’assunzione del problema sollevato da Montanelli e da molti altri prima e dopo di lui, problema che è poi l’espressione dell’inquietudine alla base della modernità. Come sempre nella teologia ratzingeriana, anche in questa enciclica la modernità diviene solo un avversario da combattere, non un interlocutore con cui istituire un dialogo fecondo.

La Lumen fidei sottolinea continuamente che c’è una “chiamata” da parte di Dio, cui deve corrispondere un “ascolto” da parte dell’uomo. La fede cioè non è interpretata come una disposizione che sorge dal basso, come una modalità di articolare il sentimento, come un atto di fiducia verso la vita: è piuttosto pensata come una creazione unilaterale di Dio, il quale, così come è apparso nella storia di Abramo e poi degli altri protagonisti della Bibbia, si presenta allo stesso modo nell’interiorità dei singoli chiamandoli a sé.

Naturalmente il testo papale afferma che la pienezza della fede si ha con la venuta di Gesù, sia in quanto verità dottrinale da credere e consistente nell’evento della sua morte e risurrezione, sia in quanto forma del credere, perché Gesù non è solo l’oggetto della fede ma anche il modello: vi è una fede in Gesù e vi è una fede di Gesù, e al riguardo nel testo vi sono passaggi molto belli, soprattutto laddove si parla di Gesù come di “Colui che ci spiega Dio”.

La centralità cristologica in ordine all’esperienza di Dio non può non rimandare però al delicatissimo nodo della salvezza mediante la fede: se è tramite la fede in Cristo che ci si salva, chi è privo della fede in Lui è necessariamente destinato alla perdizione? I non credenti e i fedeli di altre religioni possono partecipare in qualche modo alla salvezza oppure ne sono necessariamente esclusi?

La risposta dell’enciclica papale si configura all’insegna del modello teologico noto come “inclusivismo”, teso ad affermare che la fede “riguarda anche la vita degli uomini che, pur non credendo, desiderano credere e non cessano di cercare”. Il testo arriva a sottolineare che “nella misura in cui si aprono all’amore con cuore sincero già vivono, senza saperlo, nella strada verso la fede”. Si tratta in sostanza della teologia dei “cristiani anonimi” del gesuita Karl Rahner che papa Francesco (oppure papa Benedetto?) fa propria. Resta da vedere quanto questa posizione sia veramente rispettosa verso i non credenti o verso i fedeli di altre religioni: che cosa direbbe un cattolico di essere considerato un buddhista o un musulmano anonimo?

Alcune delle pagine più belle sono quelle dedicate alla relazione tra verità e amore, laddove la Lumen fidei afferma che “se l’amore ha bisogno della verità, anche la verità ha bisogno dell’amore”, e che “amore e verità non si possono separare”. E ancora: “Senza amore, la verità diventa fredda, impersonale... La verità che cerchiamo, quella che offre significato ai nostri passi, ci illumina quando siamo toccati dall’amore”. Penso che il senso della vita cristiana risieda esattamente in queste parole che destituiscono il freddo primato della dottrina e sanno ritrasmettere al meglio il senso evangelico della verità. Penso altresì che se la dottrina cattolica a livello di prassi sacramentale (vedi sacramenti negati ai divorziati risposati), di etica sessuale e soprattutto di bioetica considerasse sempre la portata di queste parole arriverebbe a rivedere molte posizioni dottrinali attuali che oggi appaiono veramente fredde e impersonali.

Più in generale penso che il testo della Lumen fidei riproduca la teologia ratzingeriana soprattutto in alcuni capisaldi come la contrapposizione tra fede cristiana e mondo moderno, la polemica contro il relativismo, il radicamento della ricerca teologica nell’obbedienza al Magistero. Sotto quest’ultimo profilo è netta la riconduzione dell’esperienza di fede alla dimensione dottrinale nella sua integralità, perché la fede, scrive la Lumen fidei , “deve essere confessata in tutta la sua integralità”, visto che “tutti gli articoli di fede sono collegati in unità e negare uno di essi equivale a danneggiare il tutto”.

Ma se qualcuno di questi articoli appare in contraddizione con le esigenze dell’amore, come nel caso della dannazione eterna, oppure del peccato originale che macchierebbe l’anima di ogni bambino al suo concepimento, che cosa deve fare l’intelligenza teologica? Continuare a ripetere affermazioni magisteriali che appaiono infondate? Anche a questo riguardo però si cercherebbe invano una risposta nell’enciclica dei due papi, la quale si limita a ribadire l’obbedienza incondizionata che la ricerca teologica è tenuta a portare al Magistero romano.

Ma il limite più grave del testo papale riguarda la teologia spirituale. L’enciclica infatti, insistendo così tanto sulla luce della fede e sulla sua capacità di spiegazione, finisce per ignorare abbastanza clamorosamente che l’esperienza spirituale cristiana si conclude non con la luce ma con le tenebre, come attesta la comune testimonianza della mistica dell’oriente e dell’occidente cristiano, parlando di “notte oscura”, di “silenzio”, di ingresso nella “nube della non conoscenza”, e sottolineando la necessità di andare al di là della dimensione intellettuale. Proprio in questo ignorare la fecondità delle tenebre, del non-sapere, del vuoto, del silenzio, risiede il grande limite della teologia ratzingeriana e del suo intellettualismo, che questo testo firmato da papa Francesco, come fosse un sigillo, riproduce in toto . Rimane da spiegare perché il papa venuto dalla fine del mondo l’abbia fatto proprio senza veramente “ritoccarlo” con il suo carisma umano e spirituale, ma a questa domanda per ora non ci sono risposte.
Autore Città Giorno Ora
luigina cometto cuneo 15/7/2013 10.06
Titolo:
Sta diventando una lagna questo charitas e questo caritas! basta!!! c\\\'è da praticarlo invece di tante polemiche!!! Stufate tutti

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Commenti Articolo 451

Titolo articolo : Un altro santo laico,di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: July/15/2013 - 00:14:12.

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Autore Città Giorno Ora
isabelle charlier varese 13/7/2013 17.04
Titolo:Applicare la logica del Vero Amore
Apprezzo sempre i suoi articoli. Grazie! Ma lei non deve ragionare da perdente.

La sua conclusione "Ho infine capito che non abbiamo futuro" è da brividi e non va bene. Lei non può arrendersi in questo modo. Perché non applicare la logica del Vero Amore e diventare vittoriosi?
Autore Città Giorno Ora
martino pirone arcisate 15/7/2013 00.10
Titolo:Contraddizioni e dicotomie dei politici
Il penultimo periodo del Suo editoriale, che ho trovato molto interessante e significativo, mi ha fatto ricordare una mia lettera inviata ai giornali tre anni fa e che qui di seguito ripropongo.
Cordialmente. Martino Pirone
>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>...
Autore Città Giorno Ora
martino pirone arcisate 15/7/2013 00.14
Titolo:Contraddizioni e dicotomie dei politici
Contraddizioni e dicotomie – le discordanze della politica italiana.

Da un bel po’ di tempo penso e rifletto su alcuni appelli che spesso alcuni nostri benpensanti Ministri lanciano al popolo italiano. Ho notato che se tutti i cittadini dovessero ascoltare un Ministro, per raggiungere un collettivo e determinato obiettivo giusto, si andrebbe a rovinare il programma e l’obiettivo che si prefigge un altro Ministro.
Sarebbe pertanto utile anzi indispensabile che valutassero congiuntamente i vari aspetti di un problema e poi lanciare un appello univoco, senza lasciare noi come “color che son sopesi”.
Il Ministro della salute, giustamente, anche tramite luminari della scienza medica, invita a non fumare, per la salute del cittadino e per l’enorme spesa sanitaria conseguente le gravi patologie che il fumo comporta.
Nella favorevole ipotesi che tutti ascoltassero l’invito a non fumare, cosa direbbe il Ministro dell’Economia, giacché verrebbe a mancare un’entrata per l’Erario di tal entità da mettere in crisi il bilancio dello Stato ? Qual è il rapporto tra il risparmio delle spese sanitarie e le minori entrate per il mancato commercio delle sigarette ? Non è dato sapere.
Il Ministro dell’ambiente ed altri, giustamente, invita i cittadini ad usare i mezzi pubblici per ridurre il consumo dei carburanti e diminuire il più possibile l’inquinamento atmosferico.
A parte il fatto che rimane oltremodo difficoltoso per i cittadini, nonostante ogni buona volontà, poter seguire tale invito, visto la mancanza ed inefficienza dei servizi di trasporto pubblico, anche in questo caso mi domando cosa direbbe il Ministro dell’Economia se fosse ridotto sensibilmente il commercio dei carburanti ?
Lo stesso dicasi infine per l’eterno, discusso, amletico problema riguardante l’utilizzo serio, reale e veritiero delle fonti d’energie alternative:solare, eolica, geotermica, idraulica.
Il motivo è sempre e soltanto, anche se ufficialmente non lo dicono, quello di non ridurre le ingenti entrate all’Erario derivanti dal consumo del petrolio.
I signori Ministri, non soltanto questi ma anche quelli del passato, non vogliono capire che i conti li devono pareggiare non con i proventi delle sigarette, la benzina ed il petrolio in genere, ma principalmente riducendo sensibilmente le spese della Pubblica Amministrazione (tagliare alla grande) ed una vera ed efficace lotta all’evasione fiscale (vedano lor signori i modi). Ove mi sbagli sono pronto a chiedere scusa. Un cordiale saluto.
Martino Pirone

1° marzo 2010

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Commenti Articolo 452

Titolo articolo : VA E FA ANCHE TU LO STESSO,di p. Alberto Maggi OSM

Ultimo aggiornamento: July/13/2013 - 09:35:22.

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Autore Città Giorno Ora
rosa bornaghi treviglio (bg) 13/7/2013 09.35
Titolo:ringraziamento commento alla PAROLA di Domenica 14 luglio 2013
Padre Alberto,
Grazie Padre! Grazie ancora per il commento della Parola di domani, Domenica 14 luglio, per me neccessario quale aiuto alla comprensione
della Parola di Dio e supporto indiapenabile alla preparazione allcelebrazione dell'Eucarestia di domani. Buona Domenica


Rosa Bornaghi

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Commenti Articolo 453

Titolo articolo : "ADAMO, DOVE SEI?". PAPA FRANCESCO A LAMPEDUSA:  LA FIGURA DELL'INNOMINATO DI MANZONI E LA LITURGIA DELLA PENITENZA. La sua omelia - con alcune note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: July/11/2013 - 17:25:47.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/7/2013 13.17
Titolo:Mi vergogno di essere italiano e cristiano .(Alex Zanotelli)..
Mi vergogno di essere italiano e cristiano

di Alex Zanotelli

Di seguito anche il link ad una intervista audio realizzata da Micromega *

E’ agghiacciante quello che sta avvenendo sotto i nostri occhi in questo nostro paese.

I campi Rom di Ponticelli (Na) in fiamme, il nuovo pacchetto di sicurezza del ministro Maroni, il montante razzismo e la pervasiva xenofobia, la caccia al diverso, la fobia della sicurezza, la nascita delle ronde notturne offrono una agghiacciante fotografia dell’Italia 2008.

«Mi vergogno di essere italiano e cristiano», fu la mia reazione rientrato in Italia da Korogocho, all’approvazione della legge Bossi-Fini (2002). Questi sei anni hanno visto un notevole peggioramento del razzismo e xenofobia nella società? italiana, cavalcata dalla Lega (la vera vincitrice delle elezioni 2008) e incarnata oggi nel governo Berlusconi (posso dire questo perché sono stato altrettanto duro con il governo Prodi e con i sindaci di sinistra da Cofferati a Domenici...). Oggi doppiamente mi vergogno di essere italiano e cristiano.

Mi vergogno di appartenere ad una società sempre più razzista verso l’altro, il diverso, la gente di colore e soprattutto il musulmano che é diventato oggi il nemico per eccellenza.

Mi vergogno di appartenere ad un paese il cui governo ha varato un pacchetto-sicurezza dove essere clandestino é uguale a criminale. Ritengo che non é un crimine migrare, ma che invece criminale é un sistema economico-finanziario mondiale (l’11% della popolazione mondiale consuma l’88% delle risorse) che forza la gente a fuggire dalla propria terra per sopravvivere.

L’Onu prevede che entro il 2050 avremo per i cambiamenti climatici un miliardo di rifugiati climatici. I ricchi inquinano, i poveri pagano. Dove andranno? Stiamo criminalizzando i poveri?

Mi vergogno di appartenere ad un paese che ha assoluto bisogno degli immigrati per funzionare, ma poi li rifiuta, li emargina, li umilia con un linguaggio leghista da far inorridire.

Mi vergogno di appartenere ad un paese che dà la caccia ai Rom come se fossero la feccia della società . Questa é la strada che ci porta dritti all’Olocausto (ricordiamoci che molti dei cremati nei lager nazisti erano Rom!). Noi abbiamo fatto dei Rom il nuovo capro espiatorio.

Mi vergogno di appartenere ad un popolo che non si ricorda che é stato fino a ieri un popolo di migranti («quando gli albanesi eravamo noi»): si tratta di oltre sessanta milioni di italiani che vivono oggi all’estero. I nostri migranti sono stati trattati male un po’ ovunque e hanno dovuto lottare per i loro diritti. Perché ora trattiamo allo stesso modo gli immigrati in mezzo a noi?

Cos’é che ci ha fatto perdere la memoria in tempi così brevi? Il benessere?

Come possiamo criminalizzare il clandestino in mezzo a noi? Come possiamo accettare che migliaia di persone muoiano nel tentativo di attraversare il Mediterraneo per arrivare nel nostro "Paradiso"? E’ la nuova tratta degli schiavi che lascia una lunga scia di cadaveri dal cuore dell’Africa all’Europa.

Mi vergogno di appartenere ad un paese che si dice cristiano ma che di cristiano ha ben poco. I cristiani sono i seguaci di quel povero Gesù di Nazareth crocifisso fuori le mura e che si é identificato con gli affamati, carcerati, stranieri. «Quello che avrete fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli lo avrete fatto a me».

Come possiamo dirci cristiani mentre dalla nostra bocca escono parole di odio e disprezzo verso gli immigrati e i Rom? Come possiamo gloriarci di fare le adozioni a distanza mentre ci rifiutiamo di fare le "adozioni da vicino"?

Come è possibile avere comunità cristiane che non si ribellano contro queste tendenze razziste e xenofobe? E quand’è che i pastori prenderanno posizione forte contro tutto questo, proprio perché tendenze necrofile?

Come missionario, che da una vita si é impegnato a fianco degli impoveriti della terra, oggi che opero su Napoli, sento che devo schierarmi dalla parte degli emarginati, degli immigrati, dei Rom contro ogni tendenza razzista della società e del nostro governo.

Rimanere in silenzio oggi vuol dire essere responsabili dei disastri di domani.

Vorrei ricordare le parole del pastore Martin Niemoeller della Chiesa confessante sotto Hitler: «Quando le SS sono venute ad arrestare i sindacalisti, non ho protestato perché non ero un sindacalista. Quando sono venute ad arrestare i Rom non ho protestato perché non ero un Rom. Quando sono venute ad arrestare gli Ebrei non ho protestato perché non ero un Ebreo. Quando alla fine sono venute ad arrestare me non c’era più nessuno a protestare».

Non possiamo stare zitti, dobbiamo parlare, gridare, urlare. E’ in ballo il futuro del nostro paese, ma soprattutto é in ballo il futuro dell’umanità anzi della vita stessa.

Diamoci da fare perché vinca la vita!

24/05/2008

*

- Emergenza xenofobia

- Intervista di Roberto Vignoli

- Alex Zanotelli:
- "La criminalizzazione dei poveri"-( AUDIO) (23 maggio 2008)
- Prodotto da Micromega

* Il Dialogo, Sabato, 24 maggio 2008
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/7/2013 17.25
Titolo:PER LA NASCITA DI UN NUOVO ADAMO. NON E' ANCORA TEMPO?! Si continua a dormire ....
E si continua a dormire: una lettera del 2002

DEPONIAMO LE ARMI, APRIAMO UN DIBATTITO

di Federico La Sala*

Bisogna cominciare a vaccinarsi: il conto alla rovescia è partito. L’allineamento dei “pianeti” si fa sempre più stretto e minaccioso (Usa, Uk, Spagna, Italia, Grecia, Turchia, Israele..) e il papa - accerchiato e costretto alla rassegnazione - lo ha detto con decisione e rassegnazione: “Dio sembra quasi disgustato dalle azioni dell’umanità”. Io credo che non si riferisse solo e tanto all’umanità degli altri, ma anche e soprattutto delle sue stesse “truppe” che lavorano dietro le quinte e alacremente a tale progetto. Come è già apparso chiaro in varie occasioni (ultima, plateale, nel Kazakistan nel 2001) la gerarchia della Chiesa Cattolico-Romana ha il cuore duro come quello dei consiglieri del faraone. Si è mantenuta a connivente distanza da Hitler, ha appoggiato Mussolini, sta appoggiando il governo Berlusconi, e non finirà per appoggiare Bush? Figuriamoci. Lo sforzo di memoria e riconciliazione non è stato fatto per riprendere la strada della verità, ma per proseguire imperterrita sulla via della volontà di potenza... Non ha sentito e non vuole sentire ragioni - nemmeno quelle del cuore: la “risata” di Giuseppe (cfr. Luigi Pirandello, Un goj, 1918, “Novelle per un anno”) contro il suo modello-presepe di famiglia (e di società) continua e cresce sempre di più, ma fanno sempre e più orecchi da mercanti! Cosa vogliono che tutti e tutte puntino le armi non solo contro Betlemme (come già si è fatto) ma anche contro il Vaticano?

Credo con Zanotelli che “stiamo attraversando la più grave crisi che l’homo sapiens abbia mai vissuto: il genio della violenza è fuggito dalla bottiglia e non esiste più alcun potere che potrà rimettervelo dentro; e credo - antropologicamente - che sia l’ora di smetterla con l’interpretazione greco-romana del messaggio evangelico!Bisogna invertire la rotta e lavorare a guarire le ferite, e proporre il modello-presepe correttamente.

Lo abbiamo sempre saputo, ma ora nessuno lo ignora più! Chi lo sa lo sa, chi non lo sa non lo sa, ma lo sanno tutti e tutte. Sulla terra, nessuno e nessuna è senza padre e senza madre! Dio “è amore” (1Gv.: 4,8) e Gesù (non Edipo, né tanto meno Romolo!) è figlio dell’amore di un uomo (Giuseppe, non Laio né tanto meno Marte, ma un nuovo Adamo) e una Donna (Maria) e non Giocasta né tanto meno Rea Silvia, ma una nuova Eva. Cerchiamo di sentire la “risata”. Deponiamo le armi: tutti e tutte siamo “terroni” - nativi del pianeta Terra, cittadini e cittadine d’Italia, d’Europa, degli Stati Uniti d’America, di Asia, di Africa ecc., come di Betlemme, come di Assisi e di Greccio... E non si può continuare con le menzogne e la violenza! Non siamo più nella “fattoria degli animali”: fermiamo il gioco, facciamo tutti e tutte un passo indietro se vogliamo saltare innanzi e liberarci dalla volontà di potenza che ha segnato la storia dell’Occidente da duemila anni e più! Si tratta di avere il coraggio - quello di don Milani - di dire ai nostri e alle nostre giovani che sono tutti e tutte sovrani e sovrane o, che è lo stesso, figli e figlie dell’amore di D(ue)IO... dell’amore di "due Soli" esseri umani, come anche Dante aveva già intuito, sul piano politico ma anche sul piano antropologico.

Cerchiamo finalmente di guardarci in faccia e intorno: apriamo il dibattito - o, perché no, un Concilio Vaticano III (come voleva già il cardinale Martini) tra credenti e non credenti - e teniamo presente che Amore non è forte come la morte, ma è più forte di Morte (Cantico dei cantici: 8,6, trad. di G. Garbini, non degli interpreti greco-romani della Chiesa Cattolica).



* Pubblicata su l’Unità del 29 dicembre 2002, p. 30.

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Commenti Articolo 454

Titolo articolo : Vogliamo fingere di non aver sentito?,di Flavio Lotti, Coordinatore Nazionale Tavola della pace

Ultimo aggiornamento: July/11/2013 - 17:16:04.

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Autore Città Giorno Ora
Augusta De Piero Udine 11/7/2013 17.16
Titolo:
Mi fa piacere che il Tavolo della pace abbia ripreso il tema proposto da papa Francesco.

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Commenti Articolo 455

Titolo articolo : Sifra e Pua, coraggio di donne,di ALESSANDRO ESPOSITO

Ultimo aggiornamento: July/11/2013 - 17:11:38.

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Autore Città Giorno Ora
Augusta De Piero Udine 11/7/2013 17.11
Titolo:levatrici ironiche e coraggiose
Bel commento.
Aggiungo una parte del passo non citata dove emerge l’ironia di due donne disarmate come strumento attraverso cui si realizza una solidarietà senza violenza. Fra sangue, cavallette e morte è un vero conforto!
15 Il re d'Egitto parlò anche alle levatrici ebree, delle quali una si chiamava Sifra e l'altra Pua, e disse: 16 «Quando assisterete le donne ebree al tempo del parto, quando sono sulla sedia, se è un maschio, fatelo morire; se è una femmina, lasciatela vivere». 17 Ma le levatrici temettero Dio, non fecero quello che il re d'Egitto aveva ordinato loro e lasciarono vivere anche i maschi. 18 Allora il re d'Egitto chiamò le levatrici e disse loro: «Perché avete fatto questo e avete lasciato vivere i maschi?» 19 Le levatrici risposero al faraone: «Le donne ebree non sono come le egiziane; esse sono vigorose e, prima che la levatrice arrivi da loro, hanno partorito

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Commenti Articolo 456

Titolo articolo : “LA CARNE DEI RIFUGIATI E’ LA CARNE DI CRISTO”,di Alex Zanotelli

Ultimo aggiornamento: July/09/2013 - 22:22:24.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/7/2013 22.22
Titolo:Alex Zanotelli: Mi vergogno di essere italiano e cristiano...
Mi vergogno di essere italiano e cristiano

di Alex Zanotelli

Di seguito anche il link ad una intervista audio realizzata da Micromega *

E’ agghiacciante quello che sta avvenendo sotto i nostri occhi in questo nostro paese.

I campi Rom di Ponticelli (Na) in fiamme, il nuovo pacchetto di sicurezza del ministro Maroni, il montante razzismo e la pervasiva xenofobia, la caccia al diverso, la fobia della sicurezza, la nascita delle ronde notturne offrono una agghiacciante fotografia dell’Italia 2008.

«Mi vergogno di essere italiano e cristiano», fu la mia reazione rientrato in Italia da Korogocho, all’approvazione della legge Bossi-Fini (2002). Questi sei anni hanno visto un notevole peggioramento del razzismo e xenofobia nella società? italiana, cavalcata dalla Lega (la vera vincitrice delle elezioni 2008) e incarnata oggi nel governo Berlusconi (posso dire questo perché sono stato altrettanto duro con il governo Prodi e con i sindaci di sinistra da Cofferati a Domenici...). Oggi doppiamente mi vergogno di essere italiano e cristiano.

Mi vergogno di appartenere ad una società sempre più razzista verso l’altro, il diverso, la gente di colore e soprattutto il musulmano che é diventato oggi il nemico per eccellenza.

Mi vergogno di appartenere ad un paese il cui governo ha varato un pacchetto-sicurezza dove essere clandestino é uguale a criminale. Ritengo che non é un crimine migrare, ma che invece criminale é un sistema economico-finanziario mondiale (l’11% della popolazione mondiale consuma l’88% delle risorse) che forza la gente a fuggire dalla propria terra per sopravvivere.

L’Onu prevede che entro il 2050 avremo per i cambiamenti climatici un miliardo di rifugiati climatici. I ricchi inquinano, i poveri pagano. Dove andranno? Stiamo criminalizzando i poveri?

Mi vergogno di appartenere ad un paese che ha assoluto bisogno degli immigrati per funzionare, ma poi li rifiuta, li emargina, li umilia con un linguaggio leghista da far inorridire.

Mi vergogno di appartenere ad un paese che dà la caccia ai Rom come se fossero la feccia della società . Questa é la strada che ci porta dritti all’Olocausto (ricordiamoci che molti dei cremati nei lager nazisti erano Rom!). Noi abbiamo fatto dei Rom il nuovo capro espiatorio.

Mi vergogno di appartenere ad un popolo che non si ricorda che é stato fino a ieri un popolo di migranti («quando gli albanesi eravamo noi»): si tratta di oltre sessanta milioni di italiani che vivono oggi all’estero. I nostri migranti sono stati trattati male un po’ ovunque e hanno dovuto lottare per i loro diritti. Perché ora trattiamo allo stesso modo gli immigrati in mezzo a noi?

Cos’é che ci ha fatto perdere la memoria in tempi così brevi? Il benessere?

Come possiamo criminalizzare il clandestino in mezzo a noi? Come possiamo accettare che migliaia di persone muoiano nel tentativo di attraversare il Mediterraneo per arrivare nel nostro "Paradiso"? E’ la nuova tratta degli schiavi che lascia una lunga scia di cadaveri dal cuore dell’Africa all’Europa.

Mi vergogno di appartenere ad un paese che si dice cristiano ma che di cristiano ha ben poco. I cristiani sono i seguaci di quel povero Gesù di Nazareth crocifisso fuori le mura e che si é identificato con gli affamati, carcerati, stranieri. «Quello che avrete fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli lo avrete fatto a me».

Come possiamo dirci cristiani mentre dalla nostra bocca escono parole di odio e disprezzo verso gli immigrati e i Rom? Come possiamo gloriarci di fare le adozioni a distanza mentre ci rifiutiamo di fare le "adozioni da vicino"?

Come è possibile avere comunità cristiane che non si ribellano contro queste tendenze razziste e xenofobe? E quand’è che i pastori prenderanno posizione forte contro tutto questo, proprio perché tendenze necrofile?

Come missionario, che da una vita si é impegnato a fianco degli impoveriti della terra, oggi che opero su Napoli, sento che devo schierarmi dalla parte degli emarginati, degli immigrati, dei Rom contro ogni tendenza razzista della società e del nostro governo.

Rimanere in silenzio oggi vuol dire essere responsabili dei disastri di domani.

Vorrei ricordare le parole del pastore Martin Niemoeller della Chiesa confessante sotto Hitler: «Quando le SS sono venute ad arrestare i sindacalisti, non ho protestato perché non ero un sindacalista. Quando sono venute ad arrestare i Rom non ho protestato perché non ero un Rom. Quando sono venute ad arrestare gli Ebrei non ho protestato perché non ero un Ebreo. Quando alla fine sono venute ad arrestare me non c’era più nessuno a protestare».

Non possiamo stare zitti, dobbiamo parlare, gridare, urlare. E’ in ballo il futuro del nostro paese, ma soprattutto é in ballo il futuro dell’umanità anzi della vita stessa.

Diamoci da fare perché vinca la vita!

24/05/2008

*

- Emergenza xenofobia

- Intervista di Roberto Vignoli

- Alex Zanotelli:
- "La criminalizzazione dei poveri"-( AUDIO) (23 maggio 2008)
- Prodotto da Micromega

* Il Dialogo, Sabato, 24 maggio 2008

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Commenti Articolo 457

Titolo articolo : LAMPEDUSA E LA VERITA' NON NEGOZIABILE: PER FAVORE, PER FAVORE, NON FATELO PIU'!   Ciò che i governi (compreso il Vaticano) hanno taciuto. Una nota di Furio Colombo,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: July/09/2013 - 15:47:40.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/7/2013 10.14
Titolo:ZAMNOTELLI (2008). Mi vergogno di essere italiano e cristiano ...
Mi vergogno di essere italiano e cristiano

di Alex Zanotelli

Di seguito anche il link ad una intervista audio realizzata da Micromega *

E’ agghiacciante quello che sta avvenendo sotto i nostri occhi in questo nostro paese.

I campi Rom di Ponticelli (Na) in fiamme, il nuovo pacchetto di sicurezza del ministro Maroni, il montante razzismo e la pervasiva xenofobia, la caccia al diverso, la fobia della sicurezza, la nascita delle ronde notturne offrono una agghiacciante fotografia dell’Italia 2008.

«Mi vergogno di essere italiano e cristiano», fu la mia reazione rientrato in Italia da Korogocho, all’approvazione della legge Bossi-Fini (2002). Questi sei anni hanno visto un notevole peggioramento del razzismo e xenofobia nella società? italiana, cavalcata dalla Lega (la vera vincitrice delle elezioni 2008) e incarnata oggi nel governo Berlusconi (posso dire questo perché sono stato altrettanto duro con il governo Prodi e con i sindaci di sinistra da Cofferati a Domenici...). Oggi doppiamente mi vergogno di essere italiano e cristiano.

Mi vergogno di appartenere ad una società sempre più razzista verso l’altro, il diverso, la gente di colore e soprattutto il musulmano che é diventato oggi il nemico per eccellenza.

Mi vergogno di appartenere ad un paese il cui governo ha varato un pacchetto-sicurezza dove essere clandestino é uguale a criminale. Ritengo che non é un crimine migrare, ma che invece criminale é un sistema economico-finanziario mondiale (l’11% della popolazione mondiale consuma l’88% delle risorse) che forza la gente a fuggire dalla propria terra per sopravvivere.

L’Onu prevede che entro il 2050 avremo per i cambiamenti climatici un miliardo di rifugiati climatici. I ricchi inquinano, i poveri pagano. Dove andranno? Stiamo criminalizzando i poveri?

Mi vergogno di appartenere ad un paese che ha assoluto bisogno degli immigrati per funzionare, ma poi li rifiuta, li emargina, li umilia con un linguaggio leghista da far inorridire.

Mi vergogno di appartenere ad un paese che dà la caccia ai Rom come se fossero la feccia della società . Questa é la strada che ci porta dritti all’Olocausto (ricordiamoci che molti dei cremati nei lager nazisti erano Rom!). Noi abbiamo fatto dei Rom il nuovo capro espiatorio.

Mi vergogno di appartenere ad un popolo che non si ricorda che é stato fino a ieri un popolo di migranti («quando gli albanesi eravamo noi»): si tratta di oltre sessanta milioni di italiani che vivono oggi all’estero. I nostri migranti sono stati trattati male un po’ ovunque e hanno dovuto lottare per i loro diritti. Perché ora trattiamo allo stesso modo gli immigrati in mezzo a noi?

Cos’é che ci ha fatto perdere la memoria in tempi così brevi? Il benessere?

Come possiamo criminalizzare il clandestino in mezzo a noi? Come possiamo accettare che migliaia di persone muoiano nel tentativo di attraversare il Mediterraneo per arrivare nel nostro "Paradiso"? E’ la nuova tratta degli schiavi che lascia una lunga scia di cadaveri dal cuore dell’Africa all’Europa.

Mi vergogno di appartenere ad un paese che si dice cristiano ma che di cristiano ha ben poco. I cristiani sono i seguaci di quel povero Gesù di Nazareth crocifisso fuori le mura e che si é identificato con gli affamati, carcerati, stranieri. «Quello che avrete fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli lo avrete fatto a me».

Come possiamo dirci cristiani mentre dalla nostra bocca escono parole di odio e disprezzo verso gli immigrati e i Rom? Come possiamo gloriarci di fare le adozioni a distanza mentre ci rifiutiamo di fare le "adozioni da vicino"?

Come è possibile avere comunità cristiane che non si ribellano contro queste tendenze razziste e xenofobe? E quand’è che i pastori prenderanno posizione forte contro tutto questo, proprio perché tendenze necrofile?

Come missionario, che da una vita si é impegnato a fianco degli impoveriti della terra, oggi che opero su Napoli, sento che devo schierarmi dalla parte degli emarginati, degli immigrati, dei Rom contro ogni tendenza razzista della società e del nostro governo.

Rimanere in silenzio oggi vuol dire essere responsabili dei disastri di domani.

Vorrei ricordare le parole del pastore Martin Niemoeller della Chiesa confessante sotto Hitler: «Quando le SS sono venute ad arrestare i sindacalisti, non ho protestato perché non ero un sindacalista. Quando sono venute ad arrestare i Rom non ho protestato perché non ero un Rom. Quando sono venute ad arrestare gli Ebrei non ho protestato perché non ero un Ebreo. Quando alla fine sono venute ad arrestare me non c’era più nessuno a protestare».

Non possiamo stare zitti, dobbiamo parlare, gridare, urlare. E’ in ballo il futuro del nostro paese, ma soprattutto é in ballo il futuro dell’umanità anzi della vita stessa.

Diamoci da fare perché vinca la vita!

24/05/2008

*

- Emergenza xenofobia

- Intervista di Roberto Vignoli

- Alex Zanotelli:
- "La criminalizzazione dei poveri"-( AUDIO) (23 maggio 2008)
- Prodotto da Micromega

* Il Dialogo, Sabato, 24 maggio 2008
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/7/2013 15.47
Titolo:L'INDIFFERENZA CHE GENERA SOFFERENZA - DUE INTERVENTI ...
L'INDIFFERENZA CHE GENERA SOFFERENZA

di Stefano Liberti (il manifesto, 09.07.2013)

Un messaggio denso e chiaro. Un monito al mondo intero e all'indifferenza con cui si è guardato negli ultimi vent'anni a quell'immensa tragedia che è stata la morte di migliaia di uomini e donne inghiottiti dal mare mentre cercavano di solcare il Mediterraneo. «La cultura del benessere ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l'illusione del futile, del provvisorio, che porta all'indifferenza verso gli altri, anzi alla globalizzazione dell'indifferenza», ha detto Mario José Bergoglio dall'altare sopra al campo di calcio di Lampedusa davanti a una folla di isolani ancora increduli che il Papa abbia scelto questo avamposto di frontiera a due passi dall'Africa per il suo primo viaggio ufficiale fuori dal Vaticano.

Invitato dal parroco locale, don Stefano Nastasi, e dall'arcivescovo di Agrigento Francesco Montenegro - lo stesso che nel 2009 allestì nella sua cattedrale un presepe con un cartello in cui si leggeva «quest'anno i re magi non sono venuti perché sono stati respinti alla frontiera» - Papa Francesco ha fatto un discorso eminentemente politico. Un discorso diretto a tutti, all'indifferenza generale con cui si assiste a questo eccidio, ma soprattutto a quanti prendono le decisioni in Italia come in Europa, a quanti hanno costruito e poi blindato quella fortezza ai cui margini si è andato allestendo un cimitero di vittime senza nome. E non è un caso che la Santa sede ha fatto sapere che per l'occasione non erano graditi esponenti politici e ha invitato il ministro degli interni Angelino Alfano - desideroso di partecipare in quanto «cittadino della provincia di Agrigento» - che sarebbe dovuto rimanere a casa.

«Gli immigrati morti in mare sono una spina nel cuore», ha detto il Papa all'inizio della sua omelia, dopo aver fatto un giro a bordo di una motovedetta della capitaneria di porto e aver lanciato in acqua una corona di fiori in memoria dei migranti morti. E quasi a sottolineare le sue parole, negli stessi momenti in cui il pontefice atterrava all'aeroporto dell'isola, un gruppo di 166 immigrati è stato soccorso in mare e trasbordato dagli uomini della capitaneria di porto nel centro di primo soccorso e accoglienza (Cpsa). Poi papa Francesco è arrivato al campo da calcio, dove lo aspettavano migliaia di isolani, di turisti e qualche decina di immigrati di nazionalità somala ed eritrea momentaneamente alloggiati all'interno del Cpsa, in attesa di essere trasbordati verso altri centri sul territorio della penisola.

Mentre il Papa parla, Lampedusa incredula assiste a questo evento storico, a quest'uomo che dice parole semplici ma durissime e spera di uscire dalla bolla di indifferenza e di oblio in cui è stata abbandonata negli ultimi anni - quando si è lasciato che contasse le vittime in mare in perfetta solitudine o si è cercato di trasformarla a più riprese in una specie di carcere a cielo aperto, cambiando destinazione d'uso al centro di accoglienza e di parcheggiarvi per mesi gli stranieri in attesa di espulsione. Erano i tempi di Roberto Maroni al Viminale e del «dobbiamo essere cattivi con gli immigrati», degli accordi con i paesi della riva sud per i «pattugliamenti congiunti» delle frontiere, dei respingimenti in mare sanzionati infine dalla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo. Erano i tempi del Trattato di amicizia con Gheddafi celebrato dall'allora premier Silvio Berlusconi con le parole «avremo più petrolio e meno clandestini». Anni lontani ma molto vicini. Perché tutti i governi che si sono poi succeduti - da quello tecnico guidato da Mario Monti all'attuale esecutivo di larghe intese di Enrico Letta - hanno perseguito più o meno la stessa politica, tanto che solo pochi giorni fa il ministro degli interni Alfano ha fatto sapere che «lavoreremo con la Libia per cercare di arginare il fenomeno dell'immigrazione clandestina». E perché l'Europa continua a tenere saldamente chiuse le frontiere sud, mentre sperimenta un regime di libera circolazione con i vicini orientali, ritenuti forse meno pericolosi delle masse di diseredati neri che si riverserebbero da noi secondo una visione politica che non tiene conto del fatto che via mare arrivano solo richiedenti asilo e rifugiati in fuga e che i migranti economici mirano ormai a mete più appetibili di un'Europa in recessione ripiegata su se stessa.

«Il Mediterraneo è sempre stato un crocevia di scambi e di sviluppo. È stato trasformato in una fossa comune. Questo ha voluto denunciare il Santo padre», dice il sindaco Giusi Nicolini, affaticata ma visibilmente contenta. All'inizio del suo mandato, nell'estate dell'anno scorso, la combattiva prima cittadina dell'isola aveva mandato una lettera-appello all'Unione europea in cui - all'indomani dell'ennesimo naufragio e del ritrovamento di undici cadaveri - scriveva: «Sono indignata dall'assuefazione che sembra avere contagiato tutti, sono scandalizzata dal silenzio dell'Europa che ha appena ricevuto il Nobel della Pace e che tace di fronte ad una strage che ha i numeri di una vera e propria guerra». Per poi aggiungere: «Sono sempre più convinta che la politica europea sull'immigrazione consideri questo tributo di vite umane un modo per calmierare i flussi, se non un deterrente. Ma se per queste persone il viaggio sui barconi è tuttora l'unica possibilità di sperare, io credo che la loro morte in mare debba essere per l'Europa motivo di vergogna e disonore».

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L'APOCALISSE DELLE PERIFERIE

di Franco Cardini (il maqnifesto, 09.07.2013)

«Dov'è tuo fratello?». È la domanda severa, terribile, che il Signore rivolge nel Genesi a Caino: il quale risponde con qualcosa di peggio di un'ammissione, magari arrogante, del fratricidio. «Sono forse io il guardiano di mio fratello?». Sono io il responsabile del suo diritto alla vita? Quest'uomo mite vestito di bianco, questo compìto argentino d'origine piemontese, ha dato una risposta che mozza il fiato. L'ha data ieri, 8 luglio 2013, esattamente in quelle stesse acque che ventisei mesi or sono, l'8 maggio del 2011, assisterono allo spettacolo tremendo del naufragio di un barcone di poveracci molti dei quali trovarono la morte. Ieri, arrivando a Lampedusa, il papa ha gettato dei fiori in quelle acque; poco prima del battello le lo conduceva nell'isola «Porta d'Europa», era arrivata un'altra imbarcazione di profughi. Un'umanità dolente, di gente sfuggita alla guerra, alla tirannia, alla violenza, alla fame; di gente che per arrivare ha dovuto sopportare un'altra volta la durezza delle condizioni poste da un'altra umanità, quella degli eterni figli di caino, i mercanti di carne umana che per danaro fanno il turpe mestiere dei traghettatori clandestini, tanto vicino a quello del negriero di qualche secolo fa. Perché bisogna viverla, la storia appena cominciata del XXI secolo, per convincerci che forme di barbarie che credevamo definitivamente superate e cancellate sono tornate per un malvagio incantesimo a rivivere.

Mesi fa, papa Francesco ci stupì con alcuni gesti che tuttavia scandalizzarono qualcuno e lasciarono nel dubbio qualcun altro. La Chiesa deve tornare povera e al servizio dei poveri, disse: e scelse di mutare dall'oro all'argento il metallo dell'Anello del pescatore, simbolo del suo ruolo di successore di un ebreo che duemila anni fa pescava per vivere, sul lago di Galilea. Dove vuole arrivare?, si chiesero i soliti sostenitori della Chiesa a qualunque costo, purché al Chiesa si faccia o si mantenga paladina dell'ordine costituito. Sono gesti, sono parole, ribatterono quelli che sognano il tutto-e-subito: vedrete che al teatrino dei simboli non terrà dietro nulla di concreto o quasi.

Ma ieri papa Francesco è arrivato all'isola ch'è Porta d'Europa scegliendo quelli che sono sul serio gli «ultimi» come oggetto primario e privilegiato della sua visita; e, insieme con loro, gli abitanti di Lampedusa che da mese, nella semindifferenza generale del nostro paese e della Comunità Europea, si fanno in quattro pagando di persona con le loro povere tasche - anch'esse, in gran parte, di pescatori - il peso di un'ospitalità che, in poche spanne di terra, è divenuta un'attività travolgente e totalizzante. La carità, la solidarietà, hanno letteralmente sconvolto la vita di questi isolani: e non pare che politici, amministratori, manovratori dei media, se ne siano accorti più di tanto. In fondo, un omicidio - meglio se efferato - «fa notizia»: qualche centinaio di poveracci che danno fondo alle loro risorse e accettano che la loro esistenza stessa sia sconvolta per aiutare altri più poveracci di loro, questo «non fa notizia».

La profezia di Malachia - un testo strano e forse del tutto inattendibile: sia chiaro - ha dato papa Francesco come l'ultimo dei pontefici: quello dopo il quale ci sarà la fine di Roma e del mondo. Profetismo medievale: in fondo, un genere letterario. Ma il fatto è che papa Bergoglio sta compiendo gesti e scelte che a loro volta hanno un sapore apocalittico: come se ci stesse dicendo - e sta dicendocelo - che l'umanità del nostro tempo è andata troppo oltre in termini di ingiustizia, di rapacità, di violenza, d'indifferenza per i più deboli, com'è andata troppo oltre in termini di concentrazione della ricchezza e di sfruttamento incontrollato delle risorse del pianeta.

Domenica 6, in Vaticano, il papa dichiarava letteralmente: «La gente oggi ha bisogno costante di parole; ma soprattutto ha bisogno che sia testimoniata la misericordia di Dio». Un pensiero sistematicamente tradotto, all'Angelus, in un motto: «Gioia e coraggio».

Ed eccoli tradotti nei fatti, la gioia e il coraggio. La scena è quasi la stessa di duemila anni fa, quando le folle sulle rive del Mare di Galilea videro scendere da una barca uno venuto per sfamarli, per guarirli, per confortarli. Colui che porta l'Anello del Pescatore è giunto di nuovo dal mare in quest'isola di pescatori e ha compiuto - lui, l'uomo forse più celebre e sotto certi aspetti più potente della terra - quello che legioni di tangheri politicastri si sono in tutti questi mesi ben guardati dal fare. È sceso tra i bisognosi, li ha ascoltati, ha letteralmente pianto con loro: ha dichiarato che se loro, i rifugiati, sono la stirpe di Abele, noialtri che in un modo o nell'altro facciamo parte della società opulenta e privilegiata siamo la maledetta razza di Caino. Una razza che non ha nemmeno il coraggio di ammazzare con le proprie mani: che uccide con l'indifferenza.

E allora, quelle barche troppo spesso naufragate, quei vascelli assassini, eccoli a loro volta diventare strumento di redenzione. Il legno di quelle barche si è fatto fisicamente altare, trono, pulpito, croce pastorale, calice eucaristico. Tutta la liturgia della messa pontificia si è svolta all'insegna di quei pezzi di legno relitti di naufragi: perché a quel legno il Cristo, nella persona degli Ultimi della Terra, è stato crocifisso di nuovo. Ed è di questo che Bergoglio ha chiesto perdono a loro, a nome di tutti noi.

E non saranno più, non potranno più essere solo parole. Questo papa che ha commissariato lo Ior, che ha lasciato arrestare un prelato-manager, che ha imposto austerità se non proprio povertà a tutta la curia, dopo aver visitato ieri la periferia delle periferie del mondo, tra qualche settimana incontrerà i giovani nel suo continente latinoamericano: un altro continente-martire, al pari dell'Africa. Un paese dove la Chiesa cattolica è attualmente messa a dura prova dall'offensiva delle sètte finanziate dai centri di propaganda statunitense: le stesse che si fanno finanziare dalla United Fruits e dai gorilas protetti dalla Cia (un nome per tutti: Rios Montt in Guatemala) e poi convertono i campesinos per insegnar loro la sottomissione che fa il gioco dei padroni. Contro questo infame gioco, che in fondo dura da secoli, Bartolomé de las Casas insorse nel Cinquecento, seguito qualche decennio più tardi dai gesuiti (anche Bergoglio è gesuita) delle reducciones e, nel nostro secolo, da preti-martiri come padre Stanley Rother fatto ammazzare nel 1981 dalla Cia proprio in Guatemala. Già Giovanni Paolo II, planato in America latina nel 1979 per bacchettarvi la Teologia della Liberazione, vi tornò anni dopo con un atteggiamento del tutto nuovo. Papa Francesco proseguirà su questa linea, e forse griderà ai giovani ancora una volta «Gioia e Coraggio». Abbiamo bisogno di entrambe queste cose.

La visita di Papa Bergoglio è una risposta più che eloquente alla lettera di Nicolini. Quella risposta che i politici non hanno mai dato, per ignavia, per malafede o per incapacità. Chissà se nei prossimi giorni qualcuno a Roma o a Bruxelles raccoglierà la sfida lanciata dal Papa e cercherà di invertire la rotta e contrastare quella «globalizzazione dell'indifferenza» denunciata con tanta forza dall'avamposto più meridionale della fortezza Europa.

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Commenti Articolo 458

Titolo articolo : Papa Francesco trascende la legge dell’etica, della perfezione, della mortificazione, e rende visibile la fede,di Raniero La Valle

Ultimo aggiornamento: July/09/2013 - 10:24:10.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/7/2013 16.48
Titolo:LO SPETTACOLO E LA REGIA: UNA SOLA "LUMEN FIDEI"
PAPA FRANCESCO ... RENDE VISIBILE LA FEDE: QUALE FEDE DI QUALE DIO DI QUALE CHIESA?! DEL CRISTIANESIMO O DEL CATTOLICESIMO-ROMANO?!

AGLI INIZI DEL TERZO MILLENNIO DOPO CRISTO, NON SAPPIAMO ANCORA DISTINGUERE "papa" DA "papà", "caritas" da "charitas"!!!




"He lifts the lifewand and the dumb speak
- Quoiquoiquoiquoiquoiquoiquoiq"

"Egli brandisce la bacchetta della vita e i muti parlano
- Quoiquoiquoiquoiquoiquoiquoiq" (James Joyce, Finnegans Wake)


"È significativo che l’espressione di Tertulliano: "Il cristiano è un altro Cristo", sia diventata: "Il prete è un altro Cristo"" (Albert Rouet, arcivescovo di Poitiers, 2010.)

Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/7/2013 10.24
Titolo:Ciò che i governi (compreso quello del Vaticano ) hanno taciuto
Ciò che i governi hanno taciuto

di Furio Colombo (il Fatto Quotidiano, 9 luglio 2013)

“Ha gettato fiori sul mare per ricordare i morti fantasma”, hanno scritto molti giornali per parlare della visita di papa Francesco a Lampedusa. Nessuno ha voluto dire senza ipocrisia che nel Mediterraneo non si muore per la violenza della natura o per la crudeltà del destino, ma a causa di un accurato piano elaborato con coscienza di causa (pena di morte) di un governo italiano. Lo ha detto il Papa dall’altare costruito alla buona, con legno di barche affondate, rivolto a chi comanda, a qualunque grado di responsabilità: “Per favore, non fatelo più”.

Non c’era aria da cerimonia o l’astuzia di dire cose buone. C’era verità e dolore del primo Papa che ha scelto di accorgersi che i profughi, i rifugiati, i migranti morti in mare non sono le dolorose vittime di una disgrazia. Sono morti ammazzati.

Ricordate? C’erano, in base a un trattato, veloci e armate motovedette italiane, con marinai italiani e ufficiali o poliziotti libici con il compito di “respingere”, negando non solo le leggi umanitarie, ma i doveri del mare. Finalmente si è saputo con chiarezza il numero: “almeno” 20 mila morti. Che vuol dire uomini e donne giovani, mamme incinte, adolescenti, bambini, che stavano fuggendo da guerre, persecuzioni e fame credendo che l’Italia fosse un Paese civile. Ma l’Italia era un Paese governato da Maroni e da Berlusconi, firmatari del tragico patto con la Libia.

Sapevamo, prima del Papa, che gli annegati a causa del nostro governo leghista, affarista, indifferente, crudele e stupido, erano “almeno” 20 mila? Lo sapevamo. Lo aveva detto Laura Boldrini, allora coraggiosa portavoce dell’Onu, al Comitato per i diritti umani della Camera dei deputati che io presiedevo. Lo aveva detto e testimoniato il solo deputato del Pd che era venuto con me a Lampedusa, Andrea Sarubbi (prontamente non più ricandidato). Lo avevano detto i sei deputati Radicali che non avevano smesso mai di denunciare con allarme ciò che stava accadendo.

Purtroppo i media hanno taciuto temendo il potere vendicativo Maroni-Berlusconi. Per questo dobbiamo dire grazie al Papa. Con un calice e una croce di legno e un timone ripescato dal mare accanto, ha detto, lui capo di un altro Stato, ciò che nessun italiano, inclusi i presunti buoni, aveva mai detto: “Per favore, per favore, non fatelo più”.

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Commenti Articolo 459

Titolo articolo : LA "LUMEN FIDEI" DI RATZINGER E LA "LAMPEDUSA" DI FRANCESCO: LA REGIA E LO SPETTACOLO DI UNA SOLA FEDE.  Una domanda - di Federico La Sala,

Ultimo aggiornamento: July/08/2013 - 17:51:23.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/7/2013 17.51
Titolo:LAMPEDUSA. Il calore dopo la dottrina....
Pochi ritocchi danno calore al documento

Il calore dopo la dottrina

Otto pagine su ottanta sono opera di Francesco

di Luigi Accattoli (Corriere della Sera, 6 luglio 2013)

L’enciclica è «quasi tutta» di Benedetto e la stima dell’apporto di Francesco - azzardata dagli addetti ai lavori - è di appena un dieci per cento del totale: circa 8 pagine su 80, ma sufficienti perché si possa dire che il documento ha la ricchezza dottrinale di Papa Ratzinger e il calore comunicativo di Papa Bergoglio.

Certezza nell’attribuire una pagina all’uno o all’altro non può esservi ed è necessario procedere per ipotesi. Per esempio più volte Francesco ha usato l’espressione esortativa «non facciamoci rubare la speranza» (a partire dalla visita al carcere minorile il Giovedì Santo) e dunque quando l’incontriamo al paragrafo 57 potremo essere certi che in quel contesto è lui che scrive, o riscrive.

Analogamente abbiamo ascoltato almeno dieci volte il Papa teologo affermare che «è impossibile credere da soli» e perciò attribuiremo alla sua mano il paragrafo 39 che inizia con queste parole. Ma va tenuta in conto la possibilità che il Papa che firma l’enciclica abbia non solo aggiunto dei brani
- o forse un intero capitolo: il quarto e ultimo, intitolato «Dio prepara per loro una città» - ma abbia anche modificato qualcuna delle pagine ricevute dal predecessore.

Conviene partire dalla dichiarazione iniziale di Francesco, contenuta nel paragrafo 7, che è certamente tutto del Papa argentino: «Egli aveva già quasi completato una prima stesura di Lettera enciclica sulla fede. Gliene sono profondamente grato e, nella fraternità di Cristo, assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi».

Sono tra chi ritiene che i «contributi» di Francesco siano minimi e da restringere - a volere un’attribuzione moralmente certa - ai soli paragrafi 7 e 55-60. Di eventuali ritocchi che Francesco abbia apportato al testo ratzingeriano (poco verosimili stante il prestigio dottrinale del Papa tedesco e l’intenzione di papa Francesco di rendergliene merito) potrà accertarsi solo chi, poniamo tra settant’anni, stante la tempistica di apertura degli Archivi Vaticani, potrà confrontare il testo ratzingeriano con la stesura finale a firma Francesco.

Di Ratzinger è dunque l’impianto in quattro capitoli e in esso hanno forte l’impronta della sua scrittura i richiami a Nietzsche (paragrafo 2), alle «piccole luci che illuminano il breve istante» (par. 3) che avevano un pendant nelle «piccole speranze» dell’enciclica «Spe Salvi» (2007), a Martin Buber (13), a Rousseau (14), a Dostoevskij (16), alla fede cristiana come «fede in un Dio che si è fatto vicino» (18), al teologo tedesco Romano Guardini (22: «La fede ha una forma necessariamente ecclesiale»), al «relativismo» contemporaneo che pretende di staccare la fede dalla verità (25). Suona ratzingeriano il felice assioma: «Se l’amore ha bisogno della verità, anche la verità ha bisogno dell’amore» (27). Vanno nella stessa direzione la discussione sulla fede «come ascolto e visione» (29-31), i frequenti richiami ad Agostino (per esempio nei paragrafi 23 e 33), il monito alla teologia perché «non consideri il, Magistero del Papa e dei vescovi come un limite alla sua libertà» (36), la trattazione del legame tra la fede e i sacramenti, il Padre Nostro e il Decalogo, che si ispira al Catechismo della Chiesa Cattolica (40-49).

L’impronta bergogliana è palese a partire dal paragrafo 50: «La fede nel rivelarci l’amore di Dio Creatore ci fa rispettare maggiormente la natura, facendoci riconoscere in essa una grammatica da Lui scritta e una dimora a noi affidata perché sia coltivata e custodita».

Sempre in questo paragrafo vi è un brano che ripete nella sostanza un testo del cardinale Bergoglio (vedi il capoverso «L’unità è superiore al conflitto» del volumetto «Noi come cittadini noi come popolo», Jaca Book, p. 63): «L’unità è superiore al conflitto; dobbiamo farci carico anche del conflitto, ma il viverlo deve portarci a risolverlo, a superarlo, trasformandolo in un anello di una catena, in uno sviluppo verso l’unità».

Dallo stesso volumetto bergogliano deriva quest’altro passaggio del paragrafo 57 dell’enciclica: «Il tempo è sempre superiore allo spazio. Lo spazio cristallizza i processi, il tempo proietta invece verso il futuro e spinge a camminare con speranza».

Il legame tra la fede e la sofferenza è così richiamato al paragrafo 57, con chiara derivazione del riferimento a Madre Teresa e a San Francesco dal volume bergogliano «Il Cielo e la terra» (ed. Mondadori, p. 206s): «Per quanti uomini e donne di fede i sofferenti sono stati mediatori di luce! Così per San Francesco d’Assisi il lebbroso, o per la Beata Madre Teresa di Calcutta i suoi poveri». La preghiera «a Maria madre della Chiesa» che chiude l’enciclica ha un andamento simile all’invocazione «a Maria nostra Signora» con cui Francesco aveva chiuso il 23 maggio l’incontro con i vescovi italiani.

Credo di aver trovato un solo passaggio di sapore bergogliano nel mezzo di un capitolo ratzingeriano, al paragrafo 34: «Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti». Parole simili ha il cardinale Bergoglio a pagina 149 del volume «Solo l’amore ci può salvare»

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Commenti Articolo 460

Titolo articolo : 36 Partiti Comunisti e Operai contro l'aggressione imperialista alla Siria,

Ultimo aggiornamento: July/07/2013 - 18:13:47.

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Autore Città Giorno Ora
vincenzo lombardo raffadali 07/7/2013 18.13
Titolo:Nessun comunista in Italia?
Ho letto la risoluzione, che condivido totalmente. Strano che non ci sia nessuna organizzazione del bel paese tra i sottoscrittori. Eppure pare che ci sisano in Italia oltre 120 gruppi che nel logo riportano il termine comunista. O si tratta di 120 specchietti per le allodole? Che pena!

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Commenti Articolo 461

Titolo articolo : "LUMEN FIDEI": LA "LUCE DELLA FEDE" MORTA E SEPOLTA SOTTO LA VOLONTA' DI POTENZA DI RATZINGER: PAPA FRANCESCO HA FIRMATO! Una nota di Vito Mancuso - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: July/06/2013 - 14:53:40.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/7/2013 14.53
Titolo:LA "LUMEN FIDEI" DEL PAPA EMERITO : 80 PAGINE DI RATZINGER E 8 DI BERGOGLIO
Pochi ritocchi danno calore al documento

Il calore dopo la dottrina

Otto pagine su ottanta sono opera di Francesco

di Luigi Accattoli (Corriere della Sera, 6 luglio 2013)

L’enciclica è «quasi tutta» di Benedetto e la stima dell’apporto di Francesco - azzardata dagli addetti ai lavori - è di appena un dieci per cento del totale: circa 8 pagine su 80, ma sufficienti perché si possa dire che il documento ha la ricchezza dottrinale di Papa Ratzinger e il calore comunicativo di Papa Bergoglio.

Certezza nell’attribuire una pagina all’uno o all’altro non può esservi ed è necessario procedere per ipotesi. Per esempio più volte Francesco ha usato l’espressione esortativa «non facciamoci rubare la speranza» (a partire dalla visita al carcere minorile il Giovedì Santo) e dunque quando l’incontriamo al paragrafo 57 potremo essere certi che in quel contesto è lui che scrive, o riscrive.

Analogamente abbiamo ascoltato almeno dieci volte il Papa teologo affermare che «è impossibile credere da soli» e perciò attribuiremo alla sua mano il paragrafo 39 che inizia con queste parole. Ma va tenuta in conto la possibilità che il Papa che firma l’enciclica abbia non solo aggiunto dei brani
- o forse un intero capitolo: il quarto e ultimo, intitolato «Dio prepara per loro una città» - ma abbia anche modificato qualcuna delle pagine ricevute dal predecessore.

Conviene partire dalla dichiarazione iniziale di Francesco, contenuta nel paragrafo 7, che è certamente tutto del Papa argentino: «Egli aveva già quasi completato una prima stesura di Lettera enciclica sulla fede. Gliene sono profondamente grato e, nella fraternità di Cristo, assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi».

Sono tra chi ritiene che i «contributi» di Francesco siano minimi e da restringere - a volere un’attribuzione moralmente certa - ai soli paragrafi 7 e 55-60. Di eventuali ritocchi che Francesco abbia apportato al testo ratzingeriano (poco verosimili stante il prestigio dottrinale del Papa tedesco e l’intenzione di papa Francesco di rendergliene merito) potrà accertarsi solo chi, poniamo tra settant’anni, stante la tempistica di apertura degli Archivi Vaticani, potrà confrontare il testo ratzingeriano con la stesura finale a firma Francesco.

Di Ratzinger è dunque l’impianto in quattro capitoli e in esso hanno forte l’impronta della sua scrittura i richiami a Nietzsche (paragrafo 2), alle «piccole luci che illuminano il breve istante» (par. 3) che avevano un pendant nelle «piccole speranze» dell’enciclica «Spe Salvi» (2007), a Martin Buber (13), a Rousseau (14), a Dostoevskij (16), alla fede cristiana come «fede in un Dio che si è fatto vicino» (18), al teologo tedesco Romano Guardini (22: «La fede ha una forma necessariamente ecclesiale»), al «relativismo» contemporaneo che pretende di staccare la fede dalla verità (25). Suona ratzingeriano il felice assioma: «Se l’amore ha bisogno della verità, anche la verità ha bisogno dell’amore» (27). Vanno nella stessa direzione la discussione sulla fede «come ascolto e visione» (29-31), i frequenti richiami ad Agostino (per esempio nei paragrafi 23 e 33), il monito alla teologia perché «non consideri il, Magistero del Papa e dei vescovi come un limite alla sua libertà» (36), la trattazione del legame tra la fede e i sacramenti, il Padre Nostro e il Decalogo, che si ispira al Catechismo della Chiesa Cattolica (40-49).

L’impronta bergogliana è palese a partire dal paragrafo 50: «La fede nel rivelarci l’amore di Dio Creatore ci fa rispettare maggiormente la natura, facendoci riconoscere in essa una grammatica da Lui scritta e una dimora a noi affidata perché sia coltivata e custodita».

Sempre in questo paragrafo vi è un brano che ripete nella sostanza un testo del cardinale Bergoglio (vedi il capoverso «L’unità è superiore al conflitto» del volumetto «Noi come cittadini noi come popolo», Jaca Book, p. 63): «L’unità è superiore al conflitto; dobbiamo farci carico anche del conflitto, ma il viverlo deve portarci a risolverlo, a superarlo, trasformandolo in un anello di una catena, in uno sviluppo verso l’unità».

Dallo stesso volumetto bergogliano deriva quest’altro passaggio del paragrafo 57 dell’enciclica: «Il tempo è sempre superiore allo spazio. Lo spazio cristallizza i processi, il tempo proietta invece verso il futuro e spinge a camminare con speranza».

Il legame tra la fede e la sofferenza è così richiamato al paragrafo 57, con chiara derivazione del riferimento a Madre Teresa e a San Francesco dal volume bergogliano «Il Cielo e la terra» (ed. Mondadori, p. 206s): «Per quanti uomini e donne di fede i sofferenti sono stati mediatori di luce! Così per San Francesco d’Assisi il lebbroso, o per la Beata Madre Teresa di Calcutta i suoi poveri». La preghiera «a Maria madre della Chiesa» che chiude l’enciclica ha un andamento simile all’invocazione «a Maria nostra Signora» con cui Francesco aveva chiuso il 23 maggio l’incontro con i vescovi italiani.

Credo di aver trovato un solo passaggio di sapore bergogliano nel mezzo di un capitolo ratzingeriano, al paragrafo 34: «Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti». Parole simili ha il cardinale Bergoglio a pagina 149 del volume «Solo l’amore ci può salvare»

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Commenti Articolo 462

Titolo articolo : PAPA FRANCESCO I,  ALL'OMBRA DEL PAPA EMERITO, RIUSCIRA' A CAMBIARE REGISTRO? L’outsider che cambia tutto. Il commento  entusiastico di Franco Cardini - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: July/06/2013 - 13:42:19.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/3/2013 13.26
Titolo:Le ombre del passato ....
Il nuovo papa Bergoglio: la dittatura argentina e le ombre sul passato

Il successore di Benedetto XVI un "progressista"? Sulla sua biografia pesa il silenzio della Chiesa negli anni in cui il regime dei generali uccise 9mila oppositori. Nel libro inchiesta del giornalista Verbitsky l’accusa di aver isolato due confratelli finiti poi nel famigerato centro di torture dell’Esma

di Redazione (Il Fatto Quotidiano, 13 marzo 2013)

Il primo gesuita ad essere papa, il primo a prendere il nome di Francesco. Il primo papa latinoamericano. E’ un progressista Jorge Mario Bergoglio? Forse può essere considerato tale a Roma, perché la sua è una candidatura esterna alla Curia (il candidato curiale argentino era Leonardo Sandri) e perché viene da un luogo geografico lontano dal potere romano. In Argentina però ha sempre rappresentato l’ala conservatrice della Chiesa. Non è mai stato amico della teologia della liberazione. Ha sempre mantenuto posizioni di destra nella gestione del potere a Buenos Aires.

Di certo è il più temibile avversario di Cristina Kirchner, la presidente argentina. Che difficilmente stasera festeggerà di cuore la sua elezione. Questo non ne fa automaticamente un esponente della destra argentina, ma sì il simbolo dell’opposizione conservatrice (e sempre detestato dall’opposizione di sinistra al governo) alla presidenta Kirchner. “Tanto aperta è stata la battaglia politica di Bergoglio contro il governo dei Kirchner, prima di Nestor, poi di sua moglie Cristina, che la presidente ha deciso da tempo di non festeggiare più il 25 de julio, principale festa patriottica in Argentina, nella cattedrale di Buenos Aires”, ricorda alla notizia dell’elezione un funzionario dell’ambasciata argentina a Roma.

Ombre su Bergoglio riguardano il periodo della dittatura militare (1976-83). Tutta la gerarchia ecclesiastica argentina non fece una gran figura in quel periodo. I dubbi su di lui li ha sollevati il giornalista argentino Horacio Verbitsky, l’autore del celebre libro “Il volo” in cui per la prima volta si svela l’esistenza del piano sistematico di soppressione degli oppositori al regime attarverso i voli della morte (30mila vittime secondo le Madri di plaza de Mayo, ottomila secondo altre fonti).

Verbitsky ha ricostruito le responsabilità e le omertà della chiesa in Argentina durante la dittatura. Da quell’inchiesta Bergoglio non ne esce benissimo. Non ci sono testimonianze che lo inchiodano, come ci sono invece per monsignor Pio Laghi, che amava passare i pomeriggi a giocare a tennis con i capi della dittatura. Ma non risulta nemmeno essere stato un eroe nella difesa dai perseguitati del regime.

Non ci sono prove né indizi pesanti sulle sue responsabilità. C’è però una storia molto chiara raccontata da Verbitsky nel suo libro. Subito dopo il golpe del 24 marzo 1976 Bergoglio era Superiore provinciale della Compagnia di Gesù in Argentina. Da gesuita aveva un potere enorme sulle comunità ecclesiastiche di base, che lavoravano molto nelle baraccopoli di Buenos Aires.

Nel febbraio del ’76, un mese prima del colpo di stato, Bergoglio avrebbe chiesto a due sacerdoti, Orlando Yorio e Francisco Jalics, che lavoravano nelle comunità di base, di lasciar perdere, di andarsene, di abbandonare quel lavoro. Loro si rifiutarono. Verbitsky racconta che Bergoglio, dopo averli cacciati dalla Compagnia di Gesù senza averli informati della decisione, fece pressione sull’allora arcivescovo di Buenos Aires perché impedisse loro di dir messa.

Non è una accusa da poco. In quei tempi a Buenos Aires bastava essere lontanamente riconducibili a un’area progressista, risultare impegnati in un lavoro considerato “di sinistra” nelle baraccopoli, per essere additati come potenziali sovversivi. Togliere ai due sacerdoti protezione e ancora più punirli come disobbedienti - è il ragionamento di Verbitsky - equivaleva a far correre loro il serio rischio di finire nelle liste nere dei militari. Così fu.

Pochi giorni dopo il golpe i due sacerdoti furono rapiti. Erano i giorni in cui sparirono anche decine di sindacalisti, i primi ad essere segnalati come potenziali sovversivi poiché, appunto, considerati inclini alla disobbedienza. Dopo sei mesi di prigionia nei solai della Escuela mecanica del armada (Esma), il centro clandestino da cui partirono poi i voli della morte, i due religiosi furono rilasciati. Pare che furono pressioni esercitate dalla Chiesa da Roma a salvar loro la vita.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/3/2013 15.15
Titolo:Bergoglio, i latinos e il muro panamericano
Bergoglio, i latinos e il muro panamericano

di Massimo Faggioli (Europa, 15 marzo 2013)

Papa Francesco è il primo papa che viene da una chiesa latinoamericana, ma anche il primo papa dalle Americhe, un continente in cui il diritto di primogenitura del cristianesimo - tra America centrale, Nordamerica e Sudamerica - è da sempre una disputa non solo teologica e storica ma anche geopolitica.

L’elezione di Bergoglio al pontificato assume il significato di una correzione di rotta impressa alla chiesa cattolica anche dal punto di vista della geopolitica del cattolicesimo. La chiesa latinoamericana, che venne elevata a laboratorio della dottrina sociale della chiesa sotto Paolo VI, ha sofferto durante il pontificato di Giovanni Paolo II e ancora di più durante quello di Benedetto XVI: per la lotta contro la teologia della liberazione prima, e per un chiaro eurocentrismo del papa teologo poi.

Questa parte negletta del cattolicesimo mondiale è emersa dal conclave con il cardinale gesuita, nonostante un’evidente mancanza di rappresentanza nel collegio cardinalizio: l’America Latina ha il 42% dei fedeli cattolici di tutto il mondo (mezzo miliardo su un totale di 1,2 miliardi), ma solo 19 cardinali su 117, contro i 62 dall’Europa (dove oggi vive il 25% di tutti i cattolici).

Giovanni Paolo II aveva visto l’unità del continente quando convocò il Sinodo dei vescovi per le Americhe del 1997: ma da allora in poi gli Stati Uniti hanno iniziato a percorrere una propria strada sulla mappa mondiale e oggi i legami delle chiese cattoliche degli Stati Uniti con quelle latinoamericane sono molto più tenui di una volta - a riprova che la geopolitica degli stati e quella delle chiese non sono mai completamente indipendenti.

Ma alla luce dei cambiamenti nella demografia religiosa del continente americano, è ancora legittimo parlare di un’unità tra le Americhe: negli Stati Uniti la componente latinos è crescente e diventerà maggioranza relativa all’interno del cattolicesimo prima della metà del secolo. Dall’altro lato, sebbene la maggioranza degli ispanici negli Stati Uniti siano cattolici, quelli di origine cattolica sono più secolarizzati dei latinos protestanti.

Le radici ispanofone del nuovo papa risuonano particolarmente in tutto il continente, anche a nord del Messico. Ma è anche la biografia di papa Francesco che avvicina il pontefice ad una gran parte dei cattolici americani: un papa figlio di migranti come papa Francesco potrà capire le sfide di un cattolicesimo di emigrazione come quello dei latinos negli Stati Uniti, che divide famiglie tra i confini degli Stati. Giovanni Paolo II aveva il Muro di Berlino, papa Francesco ha il muro del confine tra Stati Uniti e Messico. Papa Francesco potrebbe riunire il continente americano come Giovanni Paolo II riunì l’Europa della guerra fredda. La ricomprensione cattolica del continente americano sarebbe il primo passo per ricomprendere un mondo che è evidentemente meno europeo di cento o cinquanta o venti anni fa.

Con un papa filippino (di madre cinese) come il cardinal Luis Antonio Tagle, la chiesa avrebbe cavalcato la tigre asiatica e lo spostamento del baricentro del mondo verso l’Asia-Pacifico.

Ma, come si sa, “la chiesa è sempre in ritardo di una rivoluzione” - in questo caso, la rivoluzione geopolitica - e per ora la chiesa guarda a sud. Potrebbe essere un ritardo salutare: ripartire dall’America Latina equivale anche ad una sorta di ricompensa per le umiliazioni inflitte alla teologia latinoamericana nel lungo periodo Wojtyla-Ratzinger, e un nuovo modo di guardare al Concilio Vaticano II, senza il quale è impossibile comprendere la chiesa in America Latina.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/7/2013 13.42
Titolo:"LUMEN FIDEI". IL PAPA TEOLOGO SCRIVE, IL PAPA PASTORE FIRMA
La paura della modernità

di Vito Mancuso (la Repubblica, 6 luglio 2013)

La questione preliminare sollevata dalla prima enciclica di papa Francesco riguarda la sua effettiva paternità. Chi è il vero padre del testo da oggi noto con il titolo classico di Lumen fidei , “Luce della fede”? Sarà compito degli studiosi futuri stabilire con precisione quanto vi sia di Ratzinger e quanto di Bergoglio in questo importante documento, ma, come si può leggere nello stesso testo, già oggi è noto che è stato scritto per la gran parte da papa Benedetto («egli aveva già quasi completato una prima stesura»), mentre papa Francesco dice di aver contribuito aggiungendo «alcuni ulteriori ritocchi».

L’origine a più mani del testo non costituisce di per sé una novità per il papato, perché sono molti i testi del magistero quali encicliche, esortazioni apostoliche, catechesi o semplici discorsi, che hanno alle spalle un autore diverso rispetto al Romano Pontefice che poi li ha firmati, né penso che potrebbe essere altrimenti vista l’ampia esposizione a cui oggi un Papa è quotidianamente chiamato. Decisamente nuovo però è il fatto che, dietro a un testo solenne come un’enciclica, di pontefici ve ne siano due, visto che Benedetto XVI ha scritto le pagine oggi firmate da papa Francesco quando ancora il papa era lui. A quale pontefice quindi attribuire la sostanza degli insegnamenti contenuti nella Lumen fidei ? E chi tra i due papi ha scelto il titolo, che in un’enciclica ha sempre tanta importanza?

C’è poi un’altra non piccola questione preliminare: se l’enciclica è il documento più importante che un papa ha a disposizione, e se la prima enciclica rappresenta solitamente l’atto programmatico del nuovo pontificato, che significato occorre dare al fatto che papa Francesco ha scelto di fare suo un testo scritto quasi integralmente da papa Benedetto? Se Francesco avesse sempre seguito in tutto il suo predecessore la cosa sarebbe perfettamente coerente, ma egli finora ha fatto piuttosto il contrario: altra qualifica nel presentarsi (“vescovo di Roma”), altra abitazione (Santa Marta e non l’appartamento papale), altra croce pettorale, altre scarpe, altro piglio nell’affrontare i nodi del governo vaticano, altre priorità come appare dall’aver disertato un concerto di musica classica dov’era prevista la sua presenza, cosa che un cultore della buona musica e dell’etichetta quale Benedetto XVI non avrebbe mai fatto... O forse l’assunzione del testo ratzingeriano sotto la propria firma è funzionale proprio al desiderio di papa Francesco di voler sottolineare, al di là di differenze contingenti, la totale consonanza dottrinale con papa Benedetto sulle cose fondamentali quali la fede e la morale? Io penso che a questa domanda occorra rispondere positivamente e che solo così si spieghi l’effetto un po’ stucchevole di vedere a firma di papa Francesco un testo integralmente ratzingeriano.

L’enciclica infatti riproduce con andamento lineare e senza particolari novità la tradizione della dottrina cristiana in ordine all’insegnamento sulla fede, intesa sia come fides qua creditur , cioè l’atteggiamento interiore o la fiducia con cui si crede, sia come fides quae creditur , cioè il patrimonio dottrinale cui si aderisce con ossequio dell’intelligenza ovvero i cosiddetti articoli di fede. E lo fa all’insegna della più limpida teologia ratzingeriana che nel testo emerge con voce inconfondibile.

La Lumen fidei spiega l’origine della fede unicamente a partire dall’alto, riconducendola a Dio e dichiarandola “dono di Dio”, “virtù soprannaturale da Lui infusa”, “dono originario”, “chiamata” (il termine dono ricorre 21 volte, chiamata 11). La domanda sorge spontanea: chi non ha la fede non ha quindi ricevuto questo dono divino? E se fosse così, non si tratterebbe in questo caso di un’inspiegabile ingiustizia? Verso la fine della vita Indro Montanelli scriveva: “Io ho sempre sentito e sento la mancanza di fede come una profonda ingiustizia che toglie alla mia vita, ora che ne sono al rendiconto finale, ogni senso. Se è per chiudere gli occhi senza aver saputo di dove vengo, dove vado, e cosa sono venuto a fare qui, tanto valeva non aprirli”. Invano il lettore cercherebbe nell’enciclica dei due papi non dico la risposta, ma anche solo l’assunzione del problema sollevato da Montanelli e da molti altri prima e dopo di lui, problema che è poi l’espressione dell’inquietudine alla base della modernità. Come sempre nella teologia ratzingeriana, anche in questa enciclica la modernità diviene solo un avversario da combattere, non un interlocutore con cui istituire un dialogo fecondo.

La Lumen fidei sottolinea continuamente che c’è una “chiamata” da parte di Dio, cui deve corrispondere un “ascolto” da parte dell’uomo. La fede cioè non è interpretata come una disposizione che sorge dal basso, come una modalità di articolare il sentimento, come un atto di fiducia verso la vita: è piuttosto pensata come una creazione unilaterale di Dio, il quale, così come è apparso nella storia di Abramo e poi degli altri protagonisti della Bibbia, si presenta allo stesso modo nell’interiorità dei singoli chiamandoli a sé.

Naturalmente il testo papale afferma che la pienezza della fede si ha con la venuta di Gesù, sia in quanto verità dottrinale da credere e consistente nell’evento della sua morte e risurrezione, sia in quanto forma del credere, perché Gesù non è solo l’oggetto della fede ma anche il modello: vi è una fede in Gesù e vi è una fede di Gesù, e al riguardo nel testo vi sono passaggi molto belli, soprattutto laddove si parla di Gesù come di “Colui che ci spiega Dio”.

La centralità cristologica in ordine all’esperienza di Dio non può non rimandare però al delicatissimo nodo della salvezza mediante la fede: se è tramite la fede in Cristo che ci si salva, chi è privo della fede in Lui è necessariamente destinato alla perdizione? I non credenti e i fedeli di altre religioni possono partecipare in qualche modo alla salvezza oppure ne sono necessariamente esclusi?

La risposta dell’enciclica papale si configura all’insegna del modello teologico noto come “inclusivismo”, teso ad affermare che la fede “riguarda anche la vita degli uomini che, pur non credendo, desiderano credere e non cessano di cercare”. Il testo arriva a sottolineare che “nella misura in cui si aprono all’amore con cuore sincero già vivono, senza saperlo, nella strada verso la fede”. Si tratta in sostanza della teologia dei “cristiani anonimi” del gesuita Karl Rahner che papa Francesco (oppure papa Benedetto?) fa propria. Resta da vedere quanto questa posizione sia veramente rispettosa verso i non credenti o verso i fedeli di altre religioni: che cosa direbbe un cattolico di essere considerato un buddhista o un musulmano anonimo?

Alcune delle pagine più belle sono quelle dedicate alla relazione tra verità e amore, laddove la Lumen fidei afferma che “se l’amore ha bisogno della verità, anche la verità ha bisogno dell’amore”, e che “amore e verità non si possono separare”. E ancora: “Senza amore, la verità diventa fredda, impersonale... La verità che cerchiamo, quella che offre significato ai nostri passi, ci illumina quando siamo toccati dall’amore”. Penso che il senso della vita cristiana risieda esattamente in queste parole che destituiscono il freddo primato della dottrina e sanno ritrasmettere al meglio il senso evangelico della verità. Penso altresì che se la dottrina cattolica a livello di prassi sacramentale (vedi sacramenti negati ai divorziati risposati), di etica sessuale e soprattutto di bioetica considerasse sempre la portata di queste parole arriverebbe a rivedere molte posizioni dottrinali attuali che oggi appaiono veramente fredde e impersonali.

Più in generale penso che il testo della Lumen fidei riproduca la teologia ratzingeriana soprattutto in alcuni capisaldi come la contrapposizione tra fede cristiana e mondo moderno, la polemica contro il relativismo, il radicamento della ricerca teologica nell’obbedienza al Magistero. Sotto quest’ultimo profilo è netta la riconduzione dell’esperienza di fede alla dimensione dottrinale nella sua integralità, perché la fede, scrive la Lumen fidei , “deve essere confessata in tutta la sua integralità”, visto che “tutti gli articoli di fede sono collegati in unità e negare uno di essi equivale a danneggiare il tutto”.

Ma se qualcuno di questi articoli appare in contraddizione con le esigenze dell’amore, come nel caso della dannazione eterna, oppure del peccato originale che macchierebbe l’anima di ogni bambino al suo concepimento, che cosa deve fare l’intelligenza teologica? Continuare a ripetere affermazioni magisteriali che appaiono infondate? Anche a questo riguardo però si cercherebbe invano una risposta nell’enciclica dei due papi, la quale si limita a ribadire l’obbedienza incondizionata che la ricerca teologica è tenuta a portare al Magistero romano.

Ma il limite più grave del testo papale riguarda la teologia spirituale. L’enciclica infatti, insistendo così tanto sulla luce della fede e sulla sua capacità di spiegazione, finisce per ignorare abbastanza clamorosamente che l’esperienza spirituale cristiana si conclude non con la luce ma con le tenebre, come attesta la comune testimonianza della mistica dell’oriente e dell’occidente cristiano, parlando di “notte oscura”, di “silenzio”, di ingresso nella “nube della non conoscenza”, e sottolineando la necessità di andare al di là della dimensione intellettuale. Proprio in questo ignorare la fecondità delle tenebre, del non-sapere, del vuoto, del silenzio, risiede il grande limite della teologia ratzingeriana e del suo intellettualismo, che questo testo firmato da papa Francesco, come fosse un sigillo, riproduce in toto . Rimane da spiegare perché il papa venuto dalla fine del mondo l’abbia fatto proprio senza veramente “ritoccarlo” con il suo carisma umano e spirituale, ma a questa domanda per ora non ci sono risposte.

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Titolo articolo : "LUMEN FIDEI",  "LUMEN GENTIUM", E CARTA Di IDENTITA'. Omelia di Papa Francesco a Santa Marta. Un resoconto di Sergio Centofanti - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: July/05/2013 - 15:01:30.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/7/2013 19.15
Titolo:Gesu', il Tempio, e i Mercanti. Le riforme e il denaro un intreccio secolare....
Le riforme e il denaro un intreccio secolare nella storia del papato

di Agostino Paravicini Bagliani (la Repubblica, 4 luglio 2013)

Le cronache di questi giorni ci parlano di un nuovo scandalo che coinvolge l’Istituto per le opere di religione (Ior), sulla cui esistenza papa Francesco espresse pubblicamente dubbi, affermando: «Lo Ior è necessario fino a un certo punto»; e «San Pietro non aveva un conto in banca». Sono affermazioni che nascono da una profonda riflessione sul rapporto tra Chiesa e denaro e preannunciano una radicale riforma della Curia.

Anche nel corso della lunga storia del papato, le riforme della Curia (peraltro frequenti) sono state sovente motivate da problemi di natura finanziaria. E in momenti particolarmente importanti non mancarono decisioni radicali.

Nel pieno della cosiddetta Riforma gregoriana, un papa francese, Urbano II (1088-1099), già monaco di Cluny, decise persino di affidare l’intera amministrazione papale. Lo fece perché Cluny era allora forse l’istituzione europea più efficiente in termini di amministrazione finanziaria. Ma Urbano II voleva anche proseguire nel programma della Riforma, e rendere il papato sempre più autonomo dall’aristocrazia romana. Questo legame tra Cluny e il papato introdusse a Roma due termini - quello di Camera e di Camerlengo - che sono ancor oggi in uso. Il cardinale Camerlengo è responsabile dell’amministrazione papale durante la Vacanza della Sede apostolica.

Quando Benedetto Caetani fu eletto papa Bonifacio VIII (1294), la Curia non era in buone condizioni. La debolezza, in termini amministrativi, del pontificato di Celestino V, il papa del “gran rifiuto”, aveva provocato gravi disfunzioni, permettendo persino a prelati di curia di disporre di bolle papali in bianco... Che cosa fece Bonifacio VIII? Congedò - lo dice un cronista inglese bene informato - tutti «i banchieri della Camera apostolica, conservando ai propri servizi solo tre società, quelle dei Mori, degli Spini e dei Chiarenti». A questi banchieri “esterni” alla Curia, assegnò l’intera amministrazione papale, sottoponendoli ad uno stretto controllo. Tutti i venerdì dovevano far verificare i loro registri dal Camerlengo.

Bonifacio VIII fu uno dei primi papi ad essere stato eletto da cardinali “chiusi in conclave”. Ora, anche il conclave fu introdotto (nel 1274 da Gregorio X) per risolvere problemi di natura finanziaria. I cardinali avevano infatti preso l’abitudine di prolungare le Vacanze della Sede apostolica perché così potevano fruire dei proventi della Camera apostolica. Proprio Gregorio X era stato eletto al termine di una Vacanza durata quasi tre anni...

Innumerevoli parodie e testi satirici di quei secoli mettono in evidenza l’avidità della Curia. Per i Carmina Burana, «Roma è la capitale del mondo ma non conserva nulla di pulito». Il poema si serviva del gioco di parole tra mundi (del mondo) e mundum (pulito). Non si trattava di retorica.

Il 16 giugno 1281, il vescovo di Hereford Tommaso di Cantilupo sapeva che «gli affari in curia non possono progredire se non si organizzano “visite” generali e individuali», ossia offrendo doni. Anche in natura. Il maestro generale dei Serviti (un ordine mendicante) regalò sovente libbre di zafferano, di un altissimo valore economico, a diversi cardinali, tra i quali il futuro Bonifacio VIII. Il giorno dell’elezione di questo papa, il procuratore della città di Bruges gli fece pervenire tessuti del valore di 220 fiorini per «ringraziarlo dei servizi resi alla sua città quando era avvocato di curia». A questo generale “sistema di doni”- certo non circoscritto allora alla sola curia romana - alcuni papi cercarono di porre rimedio.

Per tagliare alla radice “ogni occasione di cupidità”, Innocenzo IV (1243-1254) decretò che coloro che avrebbero offerto ad un curiale una somma superiore a 20 soldi (una cifra relativamente alta) dovevano farsi rilasciare una quietanza, il che significa che tale dono non era di per sé illecito.

Non mancarono nemmeno tentativi per imporre più austerità in termini di vita di corte. Soltanto due settimane dopo la sua elezione, il terzo papa avignonese, Giovanni XXII (1314), decretò che i cardinali avrebbero dovuto accontentarsi di due sole portate, o di solo pesce o di pesce e carne. La selvaggina (caprioli, cervi, pavoni, fagiani, cigni) poteva essere aggiunta alle due portate di base, ad esclusione di lepri, conigli, pernici (molto abbondanti in Provenza).

Malgrado queste restrizioni, la mensa dei cardinali continuò però ad essere eccezionalmente ricca e varia. Ed anche la circolazione di doni in Curia continuò a imperversare ben al di là del Medioevo, diventando persino una delle principali polemiche, nei primi decenni del Cinquecento, da parte dei protagonisti della Riforma protestante.

Insomma, il legame tra riforma della Curia e denaro attraversa i secoli. Tentativi di riforma, anche radicali, non mancarono, né nel Medioevo né in epoca moderna, ma il loro successo fu relativo. La riforma medievale più duratura fu l’introduzione del conclave, che riuscì ad eliminare le lunghe Sedi vacanti, togliendo ai cardinali la possibilità di interessanti proventi.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/7/2013 11.33
Titolo:SULLE SPALLE DEL PAPA PASTORE IL PAPA TEOLOGO segna la strada ...
“Lumen Fidei”, la prima enciclica scritta da due papi

di Frédéric Mounier

in “La Croix” del 5 luglio 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Ci saranno le firme di entrambi i papi sulla “loro” enciclica, pubblicata oggi a metà giornata? Si può pensare di no, dato che la Sala stampa della Santa Sede la presenta come l’enciclica di papa Francesco. Resta il fatto che Lumen Fidei, che sarà ampiamente diffusa in Italia, dove la Libreria editrice del Vaticano ne ha già stampato 500 000 copie (pp. 90, € 3,50), è sicuramente, e la cosa è già di per sé un evento nuovo, frutto del lavoro “a quattro mani”, come ha detto lo stesso papa Francesco, dei due papi viventi, l’emerito e il regnante.

L’indomani della rinuncia di papa Ratzinger, l’11 febbraio scorso, la sorte di questo testo era ancora molto incerta. Si sapeva che Benedetto XVI aveva deciso di completare la sua trilogia cominciata il 25 gennaio 2006 con Deus caritas est sulla carità, proseguita il 30 novembre 2007 con Spe salvi sulla speranza, con un’enciclica sulla prima delle tre virtù cardinali: la fede.

Questo testo, che si dava già per molto avanzato, avrebbe potuto restare nella grande scatola bianca posta sul tavolo di Castel Gandolfo durante l’incontro storico tra i due uomini in bianco, il 23 marzo scorso. Joseph Ratzinger avrebbe anche potuto, come aveva scelto per la sua trilogia su Gesù, di firmarla con il suo nome personale, e non come atto del suo magistero.

Papa Francesco ha deciso altrimenti, spazzando via le previsioni ufficiali. Il 13 giugno, improvvisando davanti ai membri della Segreteria generale del Sinodo dei vescovi, si è lasciato andare ad una confidenza: “Ora deve uscire un’enciclica a quattro mani”. Proprio quella che Benedetto XVI aveva cominciato: “Me l’ha trasmessa. È un documento forte. È lui che ha fatto il grosso del lavoro, e io lo proseguirò”.

Ormai è cosa fatta. Segnando così una continuità pontificia evidente sui contenuti, se non sulla forma, il papa argentino, pastore dei poveri, riprende in prima persona il lavoro minuzioso e preciso realizzato dal teologo professore universitario tedesco. Sia l’uno che l’altro si preoccupano di un ritorno essenziale ai dati fondamentali della fede cristiana, che deve essere sempre e ovunque approfondita. Come ha ripetuto nella sua omelia a Santa Marta martedì scorso, papa Francesco rifiuta sia il pelagianesimo che lo gnosticismo, sia il rigorismo formale che l’evanescenza spirituale.

Per i due papi, l’incontro con Cristo è centrale. Sarà probabilmente al centro di questa enciclica. Firmando la sua prima enciclica esattamente a quattro mesi dalla sua elezione, papa Francesco ha, anche in questo ambito, sconvolto i tempi pontifici. Il suo predecessore aveva aspettato otto mesi.

È vero che già Deus caritas est aveva beneficiato di apporti importanti lasciati da Giovanni Paolo II. Che aveva dedicato sei mesi a redigere Redemptoris hominis , il suo primo testo forte. Paolo VI aveva avuto bisogno, invece, di quattordici mesi per Ecclesiam suam del 6 agosto 1964.

Se l’impostazione ratzingeriana di Lumen Fidei suscita pochi interrogativi, l’apporto del papa argentino sarà invece scrutato con grande interesse. In effetti, le fonti “bergogliane” in materia di teologia fondamentale non sono così numerose.

Nell’ottobre 2012, l’arcivescovo di Buenos Aires aveva scritto alla sua diocesi in occasione dell’apertura dell’Anno della fede. Invitava gli uomini di buona volontà a “varcare la soglia della fede” poiché “Gesù ne è la porta”.

Precedentemente, nel 2007, ricordiamo che era stato uno dei redattori essenziali del documento detto “di Aparecida” , pubblicato al termine dell’incontro di tutti gli episcopati latino-americani. Insieme, avevano lanciato un appello alla “missione continentale”.

Più recentemente, il 18 maggio scorso, la vigilia di Pentecoste, papa Francesco aveva improvvisato in Vaticano davanti ad una folla composta di membri di movimenti di evangelizzazione. Si era situato in una prospettiva molto dinamica, insistendo sulla persona di Cristo, sulla necessità della preghiera “che non è una strategia”.

Ai suoi occhi, la testimonianza è vitale, così come l’attenzione ai poveri, “carne di Cristo”. E il battezzato, facendo di tutto per evitare di “chiudersi”, deve però coltivare la modestia, l’umiltà. Questi elementi, rielaborati da papa Francesco, potrebbero costituire la prefazione, o la conclusione, di questa prima enciclica comune ai due papi viventi.

Lumen Fidei aprirà la strada ad altri testi molto attesi del papa argentino. Dedicherà il mese d’agosto, in Vaticano, ma senza udienze, a lavorare sulla esortazione apostolica successiva al sinodo del 2012 sulla nuova evangelizzazione. Riprendendo le proposizioni e il messaggio finale, ha previsto di dare loro maggiore ampiezza, anche in questo caso spianando la via a prospettive dinamiche aperte a tutti. Ma di quel testo, sarà autore lui solo.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/7/2013 14.01
Titolo:"DOMINUS IESUS"!!! FIRMA DI FRANCESCO MA SI LEGGE BENEDETTO XVI ...
- Lumen Fidei, enciclica a quattro mani.
- "La luce della Fede illumina la vita"

Il testo porta la firma di Bergoglio ma in controluce si legge la prima stesura di Ratzinger. Una riflessione sull’amore e sulla natura dell’uomo. Con riferimenti al matrimonio, alla famiglia e ad un mondo che non si basi solo su utili e profitti. "Papa Giovanni e Woytjla saranno santi"

di ANDREA GUALTIERI (la Repubblica, 05.07.2013)

Lumen Fidei, enciclica a quattro mani. "La luce della Fede illumina la vita" (ansa) QUATTRO capitoli più un’introduzione e una conclusione. E una traccia chiara: anche se si è pensato che "non servisse per i nuovi tempi, per l’uomo diventato adulto, fiero della sua ragione, desideroso di esplorare in modo nuovo il futuro", la "luce della fede" è "capace di illuminare tutta l’esistenza" perché è "in grado di valorizzare la ricchezza delle relazioni umane, la loro capacità di mantenersi, di essere affidabili, di arricchire la vita comune". Appaiono tredici volte le espressioni "vita comune" e "bene comune" nel testo dell’enciclica "Lumen fidei", presentata stamattina in Vaticano dai cardinali Mark Ouellet e Gerhard Muller, prefetti della Congregazioni dei vescovi e della dottrina della fede, e dall’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione.

UN’ENCICLICA A QUATTRO MANI - Ottantadue pagine scritte a quattro mani. Nell’ultima c’è la firma autografa di Francesco, il pontefice regnante. Ma in controluce si legge anche quella di Benedetto XVI, il papa emerito, che proprio stamattina insieme al suo successore argentino ha benedetto la statua di San Michele Arcangelo davanti al Governatorato. Nella Lumen Fidei è lo stesso Bergoglio a scrivere senza remore che dopo le lettere sulla carità e sulla speranza, Ratzinger "aveva già quasi completato una prima stesura di Lettera enciclica sulla fede": "Gliene sono profondamente grato - afferma Francesco - e, nella fraternità di Cristo, assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi".

Alcuni appaiono evidenti. Come la metafora usata nel primo capitolo: "In tanti ambiti della vita ci affidiamo ad altre persone che conoscono le cose meglio di noi. Abbiamo fiducia nell’architetto che costruisce la nostra casa, nel farmacista che ci offre il medicamento per la guarigione, nell’avvocato che ci difende in tribunale". Papa Francesco, che è solito usare immagini vicine al vissuto comune, sottolinea che "abbiamo anche bisogno di qualcuno che sia affidabile ed esperto nelle cose di Dio" e inquadra in questo modo la figura di Cristo come "colui che ci spiega Dio", attraverso "il suo modo di conoscere il Padre, di vivere totalmente nella relazione con lui".

SENZA FEDE SI STA UNITI PER PAURA E INTERESSI - Parte da lì, spiega il pontefice, la propagazione della fede che "si trasmette nella forma del contatto, come una fiamma che si accende dall’altra" tanto che "è impossibile credere da soli" perché non si tratta di "un’opzione individuale". Proprio sulla base dell’esperienza cristiana, si comprende, secondo il Papa, anche "l’architettura dei rapporti umani": "Senza un amore affidabile - si legge nell’enciclica - nulla potrebbe tenere veramente uniti gli uomini. L’unità tra loro sarebbe concepibile solo come fondata sull’utilità, sulla composizione degli interessi, sulla paura, ma non sulla bontà di vivere insieme, non sulla gioia che la semplice presenza dell’altro può suscitare". Proprio nell’amore, invece, "è possibile avere una visione comune", imparando a vedere la realtà con gli occhi dell’altro, in un atteggiamento che "non ci impoverisce, ma arricchisce il nostro sguardo".

NELLA SOCIETA’ MA SENZA ARROGANZA - Ed è in questo spirito che il Papa afferma che "la luce della fede si pone al servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace". Nel quarto capitolo si legge infatti del rispetto per il creato e di come i credenti siano chiamati a trovare per il pianeta "modelli di sviluppo che non si basino solo sull’utilità e sul profitto". Si affronta il tema dei rapporti sociali, con un richiamo alla fraternità, inseguita in tutta la storia della fede che, ammette Francesco, non è stata priva di conflitti. E si fa appello alla ricerca di forme giuste di governo, "riconoscendo che l’autorità viene da Dio per essere al servizio del bene comune".

Una fede che si riflette sulla società, nell’ambito della quale però il credente non può mostrarsi "arrogante" perché la sicurezza "lungi dall’irrigidirci - scrive il Papa - rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti".

MATRIMONIO UOMO-DONNA GENERA FEDE - Una fede, poi, che deve maturare dalla famiglia. E in questo c’è un richiamo al matrimonio, che nasca "dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della differenza sessuale" e che trovi la forza di essere una promessa "per sempre" nell’ottica di un disegno più grande dei propri progetti, "che ci sostiene e ci permette di donare l’intero futuro alla persona amata". Fondati su quest’amore, sottolinea il Papa, "uomo e donna possono promettersi l’amore mutuo con un gesto che coinvolge tutta la vita e che ricorda tanti tratti della fede".

"NON FACCIAMOCI RUBARE LA SPERANZA" - Uno spazio Bergoglio lo dedica anche ai giovani e al loro modo di vivere la fede con gioia, come manifestato nelle Giornate mondiali della gioventù. Di contro, però, citando l’esempio di san Francesco e madre Teresa di Calcutta come testimoni della carità, Bergoglio ricorda che Dio parla anche "all’uomo che soffre": non dona loro un ragionamento che spieghi tutto, ma "offre la sua risposta nella forma di una presenza che accompagna, di una storia di bene che si unisce ad ogni storia di sofferenza per aprire in essa un varco di luce". E’ il preludio di un passaggio che cristallizza nel documento un’espressione molto ricorrente in papa Francesco: "Non facciamoci rubare la speranza, non permettiamo che sia vanificata con soluzioni e proposte immediate che ci bloccano nel cammino".

WOJTYLA E RONCALLI SARANNO SANTI - L’enciclica, che porta la data del 29 giugno, è stata divulgata stamattina, nel giorno in cui papa Francesco ha pure firmato i decreti per la canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II che saranno proclamati santi insieme entro la fine dell’anno. Il pontefice ha approvato il miracolo attribuito all’intercessione del suo predecessore polacco e ha sottoscritto i voti favorevoli della sessione ordinaria della Congregazione delle cause dei santi sul fascicolo del "Papa buono". Un’espressione, quest’ultima, che conferma che la canonizzazione di Roncalli avverrà derogando dall’accertamento del miracolo con una decisione che solo il pontefice poteva prendere e che permette all’ideatore del Concilio di compiere l’ultimo passo verso la gloria degli altari proprio a cinquant’anni dalla morte. La data precisa sarà annunciata nel corso di un concistoro convocato da Bergoglio, ma è probabile che si converga sull’8 dicembre. Approvati oggi anche i decreti relativi a miracoli che aprono la via alla beatificazione del primo successore di Escrivà alla guida dell’Opus Dei, il vescovo Alvaro del Portillo, e di Madre Speranza, la spagnola suor Maria Giuseppa Alhama Valera, fondatrice delle Congregazioni delle Ancelle dell’Amore Misericordioso e dei Figli dell’Amore Misericordioso.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/7/2013 15.01
Titolo:Ecco la Lumen Fidei. Una sintesi ....
Ecco la Lumen Fidei, la prima enciclica di papa Francesco ma redatta a quattro mani con Joseph Ratzinger. Il documento ripercorre la storia della fede cristiana

di Alessandro Speciale *

Città del Vaticano

La lettura della prima enciclica di papa Francesco, Lumen Fidei, pubblicata oggi, è un tuffo nel passato - un passato recente che pure sembra lontanissimo alla luce di quanto è accaduto nella Chiesa negli ultimi cinque mesi.

Il testo, come ha spiegato lo stesso papa argentino durante un incontro con il Sinodo dei vescovi, è di fatto frutto di un lavoro “a quattro mani”: Benedetto XVI aveva praticamente completato il testo prima delle sue dimissioni lo scorso 28 febbraio, e ha consegnato quanto aveva fatto al suo successore, che lo ha rivisto, integrato e lo ha fatto suo mettendoci la propria firma.

Sfogliandone le pagine, però, risulta evidente che nel testo - un testo relativamente breve, 91 pagine per 58 paragrafi - la mano prevalente è quella del pontefice tedesco. E non solo perché l’enciclica sulla fede conclude il trittico sulle virtù teologali iniziato con Deus Caritas Est sulla carità e proseguito con Spe Salvi sulla speranza. L’impianto del testo, i frequenti rimandi a filosofi e dibattiti vivi nella cultura tedesca degli anni ’60, l’insistere su alcuni temi, persino il paragone tra la fede e le cattedrali gotiche, dove “la luce arriva dal cielo attraverso le vetrate dove si raffigura la storia sacra”: tutto testimonia come papa Francesco abbia fondamentalmente deciso di rispettare e accogliere il lavoro del suo predecessore.

Francesco lo dice esplicitamente al paragrafo 7 dell’enciclica: “Queste considerazioni sulla fede - in continuità con tutto quello che il Magistero della Chiesa ha pronunciato circa questa virtù teologale -, intendono aggiungersi a quanto Benedetto XVI ha scritto nelle Lettere encicliche sulla carità e sulla speranza. Egli aveva già quasi completato una prima stesura di Lettera enciclica sulla fede. Gliene sono profondamente grato e, nella fraternità di Cristo, assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi”.

Il titolo dell’enciclica, Lumen Fidei, “La luce della fede”, riassume la dinamica fondamentale lungo cui si muove il testo: la tradizione della Chiesa ha sempre associato la fede alla luce che disperde le tenebre e illumina il cammino; ma nella modernità la fede “ha finito per essere associata al buio”, è diventata sinonimo di oscurantismo: “Si è pensato che una tale luce potesse bastare per le società antiche, ma non servisse per i nuovi tempi, per l’uomo diventato adulto, fiero della sua ragione, desideroso di esplorare in modo nuovo il futuro. In questo senso, la fede appariva come una luce illusoria, che impediva all’uomo di coltivare l’audacia del sapere”.

Il testo cita Nietzsche, uno dei punti di riferimento costanti - anche se naturalmente in negativo - del pensiero di Ratzinger, per il quale “il credere si opporrebbe al cercare”. Ma negli ultimi decenni, aggiunge, si è scoperto che la “luce della ragione”, da sola, “non riesce a illuminare abbastanza il futuro”: “L’uomo ha rinunciato alla ricerca di una luce grande, di una verità grande, per accontentarsi delle piccole luci che illuminano il breve istante”. Per questo, nel mondo di oggi, “è urgente recuperare il carattere di luce proprio della fede”, riscoprendo che sola la luce che deriva dal credere in Dio è “capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo”.

La strada per questa riscoperta del carattere ’luminoso’ della fede passa, naturalmente, dall’incontro con Cristo e con il suo amore: “Trasformati da questo amore riceviamo occhi nuovi, sperimentiamo che in esso c’è una grande promessa di pienezza e si apre a noi lo sguardo del futuro”.

Dopo l’introduzione, l’enciclica in quattro capitoli ripercorre la storia della fede cristiana, dalla chiamata di Abramo e del popolo di Israele fino alla risurrezione di Gesù e alla diffusione della Chiesa (Capitolo 1, “Abbiamo creduto all’amore”), il rapporto tra fede e ragione (Capitolo 2, “Se non crederete, non comprenderete”), il ruolo della Chiesa nella trasmissione della fede nella storia (Capitolo 3, “Vi trasmetto quello che ho ricevuto) e infine quel che la fede opera nella costruzione di società che mirano al bene comune (Capitolo 4, “Dio prepara per loro una città”). Lumen Fidei si conclude con una preghiera alla Madonna, modello di fede.

I due papi ricordano che la fede “ci apre il cammino e accompagna i nostri passi nella storia”. Per capire che cosa è la fede è necessario quindi “raccontare il suo percorso, la via degli uomini credenti, testimoniata in primo luogo nell’Antico Testamento”. La fede, infatti, affonda sì le radici nel passato ma è nello stesso tempo “memoria futuri”, memoria del futuro, e per questo è “strettamente legata alla speranza”.

È un tema che ritorna anche nella conclusione dell’enciclica, in uno dei passi in cui è forse possibile riscontrare più evidente la collaborazione dei due pontefici. È infatti la speranza, “nell’unità con la fede e la carità”, a collocare l’uomo in una prospettiva diversa rispetto alle “proposte illusorie degli idoli del mondo”, donando “nuovo slancio e nuova forza” alla vita di ogni giorno. Il punto di incontro tra fede e speranza è soprattutto la sofferenza: “La fede è congiunta alla speranza perché, anche se la nostra dimora quaggiù si va distruggendo, c’è una dimora eterna che Dio ha ormai inaugurato in Cristo, nel suo corpo”. Di qui l’appello agli uomini affinché non si lascino “rubare la speranza”.

Per questo la morte e risurrezione di Gesù sono centrali nella fede cristiana: mostrano che la fede è “veramente potente, veramente reale”, che è in grado di incidere sulla realtà in modo concreto - qualcosa che la nostra cultura ha ormai perso la capacità di concepire: “Pensiamo che Dio si trovi solo al di là, in un altro livello di realtà, separato dai nostri rapporti concreti”.

La fede, poi, è una e crea unità mentre il suo opposto, l’idolatria, è sempre un “politeismo” che “non offre un cammino ma una molteplicità di sentieri che non conducono a una meta certa e configurano piuttosto un labirinto”. Questa unità della fede implica quindi che essa non è mai qualcosa di individuale ma è sempre vissuta in mezzo ed insieme agli altri, nella comunità della Chiesa, senza che per questo il singolo con la sua individualità ne risulti schiacciato (sta qui, tra l’altro, la ragione del battesimo dei neonati). La Chiesa non vuole ridurre “il credente a semplice parte di un tutto anonimo, a mero elemento di un grande ingranaggio”.

L’unità della fede significa anche che non c’è distinzione tra il credere dei ’semplici’ e quello degli intellettuali - un rifiuto dello “gnosticismo” che ritorna spesso in papa Francesco - ma anche che non si può assumere la fede ’a pezzi’, scegliendo solo quello che più piace: “Ogni epoca può trovare punti della fede più facili o difficili da accettare: per questo è importante vigilare perché si trasmetta tutto il deposito della fede”.

E questo vale anche per il teologo, che deve mettere la sua ricerca “al servizio della fede dei cristiani”, nella Chiesa, senza considerare “il Magistero del Papa e dei Vescovi in comunione con lui come qualcosa di estrinseco, un limite alla sua libertà, ma, al contrario, come uno dei suoi momenti interni, costitutivi”.

Nel secondo capitolo, quello dedicato al rapporto tra fede e ragione, torna il classico tema ratzingeriano del relativismo, legato al rifiuto del mondo moderno di accettare ogni affermazione della “verità”, vista come una prevaricazione dell’altro e come la radice del “fondamentalismo” che andrà inevitabilmente a sfociare nella “violenza”. Quello della verità è il “grande oblio” del mondo moderno, in un clima di pensiero relativista in cui la “domanda sulla verità di tutto, che è in fondo anche la domanda su Dio, non interessa più”. Invece, per i due papi, “la fede, senza verità, non salva” né “rende sicuri i nostri passi”.

Allo stesso tempo, se da una parte “l’amore ha bisogno di verità” per trovare un fondamento stabile e non ridursi “a un sentimento che va e viene”, dall’altra anche “la verità ha bisogno dell’amore”, perché “senza amore, la verità diventa fredda, impersonale, oppressiva per la vita concreta della persona”. Il vero credente, infatti, “non è arrogante” perché “la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti”.

E questo cammino è aperto anche per quei non credenti che tuttavia “desiderano credere e non cessano di cercare”. L’enciclica valuta positivamente gli sforzi di quegli ’atei devoti’ che “cercano di agire come se Dio esistesse, a volte perché riconoscono la sua importanza per trovare orientamenti saldi nella vita comune”.

Infine, la fede è un “bene comune” che non allontana il credente dal mondo ma lo pone “al servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace”: “Essa ci aiuta a edificare le nostre società, in modo che camminino verso un futuro di speranza”. Grazie ad essa le famiglie scoprono la forza e i motivi di rimanere assieme “per sempre” e giovani, in eventi come le Gmg, assaporano il desiderio di una “vita grande”. La fede, infatti, “non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita”.

* La Stampa, 05/07/2013

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Titolo articolo : PERCHE' SONO CRISTIANO (NON CATTOLICO-ROMANO). Una 'dichiarazione' di Gianni Vattimo  - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: July/04/2013 - 16:12:46.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/7/2013 16.12
Titolo:Siamo figli di Dio nessuno ci può rubare questa carta d’identità. - Nemmeno il ...
4 luglio 2013

IL PAPA A SANTA MARTA

Siamo figli di Dio
nessuno ci può rubare
questa carta d’identità

Noi siamo figli di Dio grazie a Gesù, nessuno ci può rubare questa carta d’identità: è quanto ha affermato stamani Papa Francesco durante la Messa a “Casa Santa Marta”. Ha concelebrato con il Papa, il cardinale indiano Telesphore Placidus Toppo, arcivescovo di Ranchi. *

Al centro dell’omelia del Papa il Vangelo della guarigione di un paralitico. Gesù all’inizio gli dice: “Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati”. Forse – afferma Papa Francesco - questa persona è rimasta un po’ “sconcertata“ perché desiderava guarire fisicamente.

Poi, dinanzi alle critiche degli scribi che fra sè lo accusavano di bestemmiare - “perché soltanto Dio può perdonare i peccati“ - Gesù lo guarisce anche nel corpo. In realtà – spiega il Pontefice – le guarigioni, l’insegnamento, le parole forti contro l’ipocrisia, erano “soltanto un segno, un segno di qualcosa di più che Gesù stava facendo“, cioè il perdono dei peccati: in Gesù il mondo viene riconciliato con Dio, questo è il “miracolo più profondo”

“Questa riconciliazione è la ricreazione del mondo: questa è la missione più profonda di Gesù. La redenzione di tutti noi peccatori e Gesù questo lo fa non con parole, non con gesti, non camminando sulla strada, no! Lo fa con la sua carne! E’ proprio Lui, Dio, che diventa uno di noi, uomo, per guarirci da dentro, a noi peccatori“.
Gesù ci libera dal peccato facendosi Lui stesso “peccato“, prendendo su di sé “tutto il peccato“ e “questa – ha detto il Papa - è la nuova creazione“. Gesù “scende dalla gloria e si abbassa, fino alla morte, alla morte di Croce“ fino a gridare: “Padre, perché mi hai abbandonato!”. Questa “è la sua gloria e questa è la nostra salvezza“.

“Questo è il miracolo più grande e con questo cosa fa Gesù? Ci fa figli, con la libertà dei figli. Per questo che ha fatto Gesù noi possiamo dire: ’Padre’. Al contrario, mai avremmo potuto dire questo: ’Padre!’. E dire ’Padre’ con un atteggiamento tanto buono e tanto bello, con libertà! Questo è il grande miracolo di Gesù. Noi, schiavi del peccato, ci ha fatto tutti liberi, ci ha guarito proprio nel fondo della nostra esistenza. Ci farà bene pensare a questo e pensare che è tanto bello essere figlio, è tanto bella questa libertà dei figli, perché il figlio è a casa e Gesù ci ha aperto le porte di casa… Noi adesso siamo a casa!“.

Adesso – ha concluso il Papa - si capisce quando Gesù dice: “Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati!”. “Quella è la radice del nostro coraggio. Sono libero, sono figlio… Mi ama il Padre e io amo il Padre! Chiediamo al Signore la grazia di capire bene questa opera sua, questo che Dio ha fatto in Lui: Dio ha riconciliato con sé il mondo in Cristo, affidando a noi la parola della riconciliazione e la grazia di portare avanti con forza, con la libertà dei figli, questa parola di riconciliazione. Noi siamo salvati in Gesù Cristo! E nessuno ci può rubare questa carta di identità. Mi chiamo così: figlio di Dio! Che bella carta di identità! Stato civile: libero! Così sia“.

Sergio Centofanti - Radio Vaticana

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Titolo articolo : La mia Santiago (8),di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: June/28/2013 - 00:17:49.

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Autore Città Giorno Ora
martino pirone arcisate 28/6/2013 00.17
Titolo:Ma a Monteforte ci sono gli Amministratori pubblici ?
E' mai possibile che gli Amministratori di Monteforte non girano, non vedono e non leggono i giornali locali ? "il dialogo" lo leggono ? E se sono al corrente di questi spettacoli perché non intervengono ?

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Commenti Articolo 466

Titolo articolo : UNA QUESTIONE "BIBLICA". UOMINI E DONNE, MASCHILE E FEMMINILE, E OMOFOBIA. Un'analisi filologica di Pierre-Israel Trigano - con note    ,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: June/27/2013 - 14:23:36.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/6/2013 14.23
Titolo:Usa, la Corte Suprema spiana la strada ai matrimoni omosessuali ...
La Stampa, 26/06/2013

Usa, la Corte Suprema spiana
la strada ai matrimoni omosessuali


Un boato di gioia, grida e applausi della folla emozionata fuori dalla Corte Suprema hanno accolto la notizia della decisione di abrogare la Doma, la legge federale Usa che nega in sostanza le nozze gay. Tantissimi con bandiere con i colori del movimento gay e striscioni da giorni attendevano questa sentenza che ha un carattere storico



maurizio molinari
corrispondente da new york

E’ incostituzionale la legge che definisce il matrimonio come l’unione fra un uomo e una donna, e il bando delle nozze gay in California deve essere abolito: con queste due sentenze, emesse a pochi minuti di distanza l’una dall’altra, la Corte Suprema di Washington consegna altrettante vittorie alla campagna per la parità dei diritty fra gay e etero negli Stati Uniti.



La prima sentenza riguarda la legge “Defense of Marriage Act” del 1996. Con un verdetto di 5 a 4, scritto dal giudice Anthony Kennedy, viene definita “incostituzionale” perché affermare che il matrimonio è solo l’unione fra un uomo e una donna “viola la pari tutela davanti alla legge di tutti i cittadini che il governo deve garantire”. Inoltre, secondo il testo scritto da Kennedy e sostenuto dai quattro giudici liberal della Corte Suprema, “il Defense of Marriage Act viola il diritto degli Stati di legiferare sul tema del matrimonio”.



L’altra sentenza, scritta dal giudice John Roberts che è anche il presidente della Corte Suprema, riflette un’opinione bipartisan su “Proposition 8” ovvero il bando delle nozze gay approvato con un referendum in California nel 2008. La tesi espressa da Roberts è che a decidere su “Propotision 8” deve essere una Corte della California ma l’indicazione data è a favore dell’abolizione, destinata a consentire il ritorno alla legalità delle nozze gay. Su questa posizione, che accomuna la difesa del diritto degli Stati a legiferare sul matrimonio e il sostegno alle nozze gay, si è ritrovata una maggioranza di 5 giudici che include oltre al presidente il conservatore Antonin Scalia e i liberal Ruth Bader Ginsburg, Stephen Breyer, Elena Kagan.



Fuori dalla sede della Corte Suprema i militanti per i diritti gay hanno reagito alle sentenze con espressioni di giubilo. Il presidente americano Barack Obama ha saputo delle sentenze della Corte Suprema mentre era a bordo dell’Air Force One in volo verso il Senegal. “Applaudo la decisione della Corte Suprema di abolire il Defense of Marriage Act perché si tratta di una legge che discrimina - dichiara Obama - trattando le coppie gay e lesbiche come se fossero di una classe inferiore. La Corte Suprema ha corretto quanto era sbagliato ed ora l’America è un posto migliore”. Da qui l’omaggio alle “coppie che si sono battute a lungo per ottenere il riconoscimento della parità dei diritti” e la disposizione al ministero della Giustizia per “mettere in atto legalmente” il pronunciamento della Corte Suprema.

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Commenti Articolo 467

Titolo articolo : La mia Santiago (7),di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: June/25/2013 - 10:23:59.

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Autore Città Giorno Ora
isabelle charlier varese 25/6/2013 10.23
Titolo:Il tempo della verità
Distinto Direttore,

Non conosceva la storia di Giovanni Palatucci e così ho fatto una piccola ricerca per documentarmi. Interessante! Il contrasto fra le opinioni diverse è davvero buffo, anche se non c'è niente da ridere su una vicenda così seria.

Giovanni Palatucci:

"Il testimone verace di Cristo tra e per i suoi fratelli", "il giusto tra le nazioni", un esempio di altruismo estremo"

oppure

"persecutore di ebrei"

Muniti dello spirito giusto (non è però scontato), oggi ricercatori e i promotori della verità avranno sempre più successo perché, appunto, siamo giunti nel tempo favorevole alla verità.

Di solito, la verità attraversa tre stadi: prima viene ridicolizzata; poi viene avversata violentemente; infine, viene accettata come auto-evidente.

La verità è leggera, più leggera di ogni cosa, per questo viene a galla, in qualsiasi situazione sia immersa.

Io, ieri ho scritto un saggio su Giovanni Battista: santo o oppositore di Gesù?

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Commenti Articolo 468

Titolo articolo : «DON ANDREA È MORTO. IN MARCIA COL GALLO CHE CANTA CON NOI»,di Paolo Farinella

Ultimo aggiornamento: June/24/2013 - 23:06:46.

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Autore Città Giorno Ora
Rosanna Zitelli Caserta 24/6/2013 23.06
Titolo:
Un articolo questo di don Paolo che ho molto apprezzato, a tratti commovente.
Con piacere ho potuto conoscere qualcosa in più della vita di don Gallo ed amarlo ancora di più.
Grazie.
Grazie.
Rosanna

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Commenti Articolo 469

Titolo articolo : Museo dell'omeopatia: il parere della scienza,di Ufficio Stampa - CICAP

Ultimo aggiornamento: June/24/2013 - 10:50:07.

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Autore Città Giorno Ora
Maurizio Piano CREAZZO (VI) 24/6/2013 10.50
Titolo:L'inquisizione è ancora attuale
Ma di cosa stanno parlando questi grandissimi Illuminati della Scienza Ufficiale,quella che crea ogni anno milioni di morti. Una delle prime cause delle mortalità è proprio dato dai farmaci allopatici. La pratica della medicina omeopatica è talmente antica (1800) da essere stata testata ormai da milioni di persone con risultati eccellenti,tanto da far scegliere da moltissimi di curarsi quasi esclusivamente così,scelta fatta anche dalla mia famiglia da più di trent’anni. Sarebbe bello raggiungere l’auspicata Libertà Terapeutica,dove il paziente può scegliere come farsi curare e lo stato pagare per la scelta. La prescrizione di questi farmaci viene fatta da tantissimi medici e da tantissimi farmacisti,perché non si ha rispetto per questi professionisti? Lo stato è giusto che li garantisca perché sono anche loro medici e quindi se indirizzano i pazienti verso questa medicina,chiamata alternativa,è perché i risultati si hanno realmente. Non è così dannosa come ci vogliono far credere,al contrario della medicina sponsorizzata dalle lobbies del farmaco,fra le prime potenze economiche al mondo,che indirizzano a se le scelte di tutti gli stati del mondo. A queste persone che fanno considerazioni ufficiali,sarebbe bello chiedere da dove prendono i loro dati di ricerca e chiedere chi le paga.
Buona salute a tutti.
Maurizio Piano

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Commenti Articolo 470

Titolo articolo : “La Camera voti lo stop agli F35″,promosso da Ascanio Celestini, Luigi Ciotti, Riccardo Iacona, Chiara Ingrao, Gad Lerner, Savino Pezzotta, Roberto Saviano, Cecilia Strada, Umberto Veronesi e Alex Zanotelli

Ultimo aggiornamento: June/21/2013 - 14:41:43.

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Autore Città Giorno Ora
Giovanni Pierno Napoli 21/6/2013 14.41
Titolo:

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Commenti Articolo 471

Titolo articolo : PER SAN GIUSEPPE UN NUOVO LOOK:  UN DECRETO DI PAPA FRANCESCO. E' un modello sempre attuale. Una nota di Matteo Liut - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: June/21/2013 - 09:38:40.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/6/2013 09.38
Titolo:COME E' NATO IL "DOMINUS IESUS" .....
LA "SACRA FAMIGLIA" CATTOLICO-COSTANTINIANA E IL "DOMINUS IESUS":


"Duemila anni fa, un ovulo fu miracolosamente fecondato dall’azione soprannaturale di Dio, da questa meravigliosa unione risultò uno zigote con un patrimonio cromosomico proprio. Però in quello zigote stava il Verbo di Dio"


Dichiarazione del Cardinale Dario Castrillon Hoyos alla XV conferenza internazionale del Pontificio consiglio (la Repubblica, 17 novembre 2000, p. 35)

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Commenti Articolo 472

Titolo articolo : AL VERTICE DELLA CHIESA, NELLA CURIA ROMANA, UNA LOBBBY CONTRO L' INTERA UMANITA'. Papa Francesco ne prende atto e conferma- Una nota di Marco Politi - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: June/20/2013 - 10:54:49.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/6/2013 20.35
Titolo:“Lobby gay in Vaticano” la denuncia di Francesco ...
“Lobby gay in Vaticano” la denuncia di Francesco

di Carlo Tecce (il Fatto Quotidiano, 12 giugno 2013)

C’erano aneddoti e indiscrezioni, ora ci sono le ammissioni di papa Francesco: “La Curia romana ha una corrente di corruzione. Esiste anche una lobby gay. Bisogna vedere cosa possiamo fare a riguardo”.

Il detonatore si aziona in Cile, il sito Reflexion y Libéracion riporta la notizia travolgente, estratto di un’udienza privata tenutasi giovedì scorso fra il pontefice e una delegazione religiosa che riuniva latino americani e caraibici, in sigla Clar.

Quando il fragoroso rumore colpisce il colonnato di San Pietro, ci si aspetta una smentita o una correzione, e invece il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, non commenta: “Non ho dichiarazioni da fare sui contenuti della conversazione. Si trattava di un incontro privato”. Accanto all’ex cardinale Jorge Bergoglio, come testimoniano le fotografie, Lombardi non c’era: il Papa era solo, assieme ai sei religiosi.

In pubblico, mai un’accusa così grave ha colpito il Vaticano. E chi l’aveva evocato per iscritto ne ha pagato le conseguenze. Prima di scomparire a Washington per custodire la nunziatura, l’ex direttore del governatorato - la struttura che gestisce commesse e appalti - monsignor Carlo Maria Viganò aveva più volte avvertito i suoi superiori: “Un mio trasferimento provocherebbe smarrimento in quanti hanno creduto fosse possibile risanare tante situazioni di corruzione e prevaricazione”.

In una lettera inviata al segretario di Stato, Tarcisio Bertone, Viganò aveva scucito il sistema che, a suo dire, l’aveva destinato all’esilio oltreoceano: “Su mons. Nicolini (responsabile dei Musei Vaticani, ndr) sono emersi comportamenti gravemente riprovevoli per quanto si riferisce alla correttezza della sua amministrazione, a partire dal periodo presso la Pontificia Università Lateranense, dove, a testimonianza di mons. Rino Fisichella furono riscontrate a suo carico: contraffazioni di fatture e un ammanco di almeno settantamila euro”. Il nunzio apostolico vedeva ovunque malaffare e pericoli. Ha denunciato le “volgarità di comportamenti e di linguaggio” sempre di Nicolini; la costante “opera di calunnia”; le preferenze sessuali e il ruolo di “Marco Simeon vicino a sua eminenza” Bertone.

E chissà se lo stesso Viganò, interrogato a ottobre in gran segreto dai tre cardinali incaricati da Ratzinger di svelare le trame di Vatileaks, abbia confermato le sue invettive contro il potere vaticano.

C’è un passaggio di consegne, un po’ sottovalutato, che ha determinato l’opinione di Francesco e forse provocato lo sfogo con i latino americani: un documento che Benedetto XVI ha lasciato in eredità al successore, pagine dense di riferimenti precisi al funzionamento del governo curiale e pure alle influenze esterne, non esclusivamente di carattere sessuale. La relazione dei porporati di Vatileaks - De Giorgi, Herranz e Tomko - pare contenesse deposizioni di testimoni su derive sessuali (le famose saune) che ufficialmente in Vaticano fanno inorridire soltanto a parlarne.

Bergoglio non s’è fatto cogliere di sorpresa, conosce il governo iperterreno che resiste in Curia e così si fa aiutare da un gruppo di otto cardinali: “Non posso essere io a fare la riforma, queste sono questioni di gestione e io sono molto disorganizzato, non sono mai stato bravo per questo”, ha confidato ai suoi interlocutori di Clar.

Francesco sarà pure desideroso di snellire la Curia e di ripulire il Vaticano - e lo ripete spesso nei discorsi, ieri ha detto che “San Pietro non aveva un conto in banca” - ma c’è un piccolo e ineludibile dato di fatto: il cardinale Bertone, il primo ministro al centro di innumerevoli polemiche, non è stato sostituito. E pare inamovibile (almeno) per i prossimi 12 mesi
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/6/2013 16.31
Titolo:RESISTERE E CAMBIARE. Francesco in trincea contro i conservatori...
Francesco in trincea contro i conservatori: resistere e cambiare

di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 13 giugno 2013)

Le critiche sono già cominciate. Sotterranee e micidiali. “È ripetitivo... demagogico... imprudente... pauperista... non è all’altezza del pensiero di Ratzinger... non decide... troppo folclore latino-americano... speriamo che la smetta di fare il parroco”.

Passati i primi tre mesi, papa Bergoglio si sta accorgendo che esiste in Vaticano la grande palude di quelli che non vogliono cambiare e spargono veleni contro chi intende dar la vuelta a la tortilla (copyright Bergoglio): noi diremmo ‘rivoltare il calzino’.

Poi ci sono i timorosi come l’ Avvenire , che riferisce della corruzione in Vaticano, ma nasconde in fondo all’articolo il tema dei carrieristi gay in tonaca.

Papa Francesco incassa. Ieri ha criticato i conservatori con la testa rivolta all’indietro e i progressisti frettolosi. Prima del conclave diceva che il futuro pontefice doveva “ripulire la Curia”.

Adesso , dal suo colloquio a ruota libera con i vertici dei religiosi sudamericani (CLAR), avvenuto il 6 giugno scorso, affiora un certo affanno. Affrontare i problemi della Curia, ha confessato, “è difficile... dobbiamo vedere cosa fare... non posso fare la riforma da solo... pregate che faccia meno errori possibile!”. Dice un vip curiale che Francesco intende “cambiare con l’esempio”. Certo non basterà.

Lo zoccolo conservatore della Curia resiste. C’è da cambiare strutture e quadri in Vaticano e nella Chiesa universale, se la rivoluzione di Francesco non intende arenarsi nei segnali personali lanciati dal pontefice.

Perciò ha rinunciato alle vacanze, tranne due giorni a Ferragosto. Bergoglio si alza alle 5 del mattino, prega e medita sulle Scritture fino alle 6, poi prepara l’omelia per la messa in Santa Marta, alle 10 si sposta negli appartamenti del Palazzo apostolico per udienze rese note e per incontri tenuti riservati.

Nel pomeriggio lavora nella sua suite alberghiera. Resta ad abitare lì, non vuole sentirsi isolato, ha spiegato. Nella sala mensa si siede a tavola con chi vuole o lascia che venga a mangiare con lui chi ha bisogno di scambiare due parole con il pontefice.

Quando interrompe il lavoro, esce dalla sua stanza a Santa Marta e va tranquillamente nel corridoio alla macchinetta del caffè, cava di tasca la monetina e si serve un espresso. Rifiutando l’appartamento papale, ha smitizzato di colpo l’Appartamento che in gergo vaticano ha sempre significato la suprema stanza dei bottoni, accessibile solo a pochi eletti.

La sua attività in questi primi mesi è tutta concentrata in una ricognizione a tappeto degli uffici vaticani (le Congregazioni e i Consigli), i loro dirigenti, il modo di lavorare. “Riflettere, pregare, dialogare” ha dichiarato ai cardinali come metodologia del suo lavoro. “È un uomo che rumina e ascolta molto”, lo descrive un veterano di Curia. Settimana dopo settimana Francesco riceve i capi dicastero, si intrattiene con loro anche un’ora di seguito. Confronti “concreti e senza formalismi”.

Il Papa analizza ciò che si fa e chiede ciò che si può cambiare. Bergoglio progetta una Curia più snella, meno burocratica, più collegata con l’episcopato mondiale e che - spiega un monsignore - “sia attenta alla condizione degli uomini di oggi”.

Questo implica anche un nuovo sguardo sulla sessualità nel mondo odierno come richiesto sottovoce da parecchi cardinali e vescovi nell’ultima fase del pontificato ratzingeriano. Senza annacquare la dottrina (fa notare chi lo frequenta), ma con una sensibilità reale ai problemi quotidiani dei divorziati, delle coppie di fatto e persino delle convivenze gay. Matrimonio omosessuale escluso. Citando i libretti d’opera, un uomo di Curia ha esclamato riferendosi ai fondamenti dottrinali di Ratzinger e Bergoglio: “Il testo è uguale, la musica è diversa”.

Più volte Bergoglio ha già incontrato il cardinale Maradiaga, coordinatore dello speciale gruppo di lavoro consultivo di otto cardinali di tutto il mondo, che farà una sua proposta organica di riforma della Curia ai primi di ottobre.

Si attendono novità in primo luogo nel settore economico della Santa Sede. Governatorato vaticano e Amministrazione del Patrimonio apostolico (Apsa) potrebbero essere unificati sotto una direzione comune. Non si pensa all’abolizione dello Ior, ma ad una accelerazione in direzione di una piena trasparenza e rispondenza alle regole del comitato europeo Moneyval.

Alla Frankfurter Allgemeine Zeitung il nuovo presidente dello Ior, von Freyberg, ha dichiarato “tolleranza zero” sulle operazioni opache e garantito una verifica totale dei conti correnti: “Nei prossimi mesi faremo controllare ogni singolo rapporto dei clienti (i correntisti dello Ior, ndr) da un’agenzia esterna, la Promontory, internazionalmente riconosciuta”. D’altronde sono già partite nel 2012 le prime indagini interne su sospetto riciclaggio.

I più accesi fautori della riforma della Curia - e ce ne sono all’interno del Vaticano - lamentano che papa Francesco non abbia ancora sostituito il Segretario di Stato cardinale Bertone. C’è chi spera in un annuncio per il 29 giugno, ‘festa del papato’ dedicata ai santi Pietro e Paolo, ma Bertone ha annunciato ufficialmente che andrà in vacanza dal 1 al 13 agosto e dunque lascia intendere che dopo sarà ancora al suo posto. Forse spera in una proroga di un anno come fu per Sodano all’avvento sul trono papale di Benedetto XVI, però in Curia la maggioranza pensa che al massimo il 2 dicembre, quando compirà 79 anni, dovrà ritirarsi. Per molti trascinare la scelta del nuovo Segretario di Stato è un errore.

Come successore circola il nome del cardinale Bertello, attuale Governatore della Città del Vaticano. Fa parte del “consiglio della corona” di Bergoglio, il gruppo di otto porporati chiamati a dargli consigli per il governo. Eppure c’è suggerisce altri nomi: i nunzi Ventura di Parigi e Mennini di Londra. In Francia hanno anche preconizzato un Segretario di Stato francese: il nunzio vaticano in Messico, Christophe Pierre. Per gli Esteri è in pole position mons. Parolin, già viceministro per le relazioni internazionali.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/6/2013 16.45
Titolo:SUPERARE LE IPOCRISIE SULLA SESSUALITA'....
“La Chiesa dovrebbe superare le ipocrisie sulla sessualità”

intervista a Gianni Vattimo,

a cura di Marco Neirotti (La Stampa, 13 giugno 2013)

Il filosofo Gianni Vattimo, parlamentare europeo eletto con l’Italia dei Valori, guarda con attenzione e su diversi piani la frase di Papa Francesco sulla «lobby gay». Sono in realtà poche parole, dette durante un’udienza privata e appaiono più che altro conferma di una voce diffusa e giunta concretamente fino a lui.

Professor Vattimo, riesce a immaginarla questa struttura di potere?

«Non so se esista realmente, ma se c’è è perché raccoglie qualcosa di segreto e ricattabile. Non si parla di lobby degli eterosessuali, ma non mi vengano a dire che non esistono monsignori che si accompagnano con donne».

In altre parole, una sorta di autodifesa contro una repressione?

«Contro un’ipocrisia. È come il formarsi di una delinquenza intorno alle droghe: se fossero libere non nascerebbe nulla. Così qui si vuole negare, soffocare una realtà e se ne ottiene la riunione delle persone».

In poche parole, essendo un’autodifesa è lecita o quasi?

«Assolutamente no. Dico soltanto come può generarsi, i meccanismi di una possibile nascita. Le lobby di per sé sono comunque negative, pericolose, in quanto centri di potere e vanno combattute indipendentemente dal tipo di soggetti che riuniscono, eterosessuali o omosessuali per esempio. In questo senso Papa Francesco, il cui cammino osservo amichevolmente, con simpatia, può avere ragione».

I gay nella Chiesa passerebbero in questo modo da emarginati a potenti...

«Un potere di questo genere si combatte eliminando il pregiudizio e tutta la gran polvere sulla sessualità. È un problema della Chiesa istituzione: Cristo non ha mai detto nulla contro i gay. Il discorso religioso deve riguardare in generale la sessualità del clero. Lo stesso Papa ha parlato dei concetti di peccato (un problema individuale che il credente deve affrontare prima di tutto con se stesso) e di corruzione, cioè un sistema di potere».

Il passo dall’autodifesa all’organizzazione di potere non è molto lungo.

«Per questo dico che le lobby vanno combattute comunque. Ma i problemi profondi non stanno nell’omosessualità rispetto all’eterosessualità, alla demonizzazione. Magari ci si occupasse, all’interno del Vaticano, un po’ di più dello Ior».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/6/2013 16.52
Titolo:LOBBY GAY? "Io, cattolico gay, vi dico è il regno dell'ipocrisia"
"Io, cattolico gay, vi dico
è il regno dell'ipocrisia"



Da Aurelio Mancuso, presidente Equality Italia, riceviamo e pubblichiamo *


Il termine gay ha un valore politico ben preciso: si tratta degli omosessuali che hanno fatto un percorso personale e che vivono alla luce del sole e felici il proprio orientamento sessuale.

Parlare di lobby gay in Vaticano è, quindi, una assurdità perché tra quelle mura e più diffusamente dentro la chiesa cattolica non è possibile vivere la propria condizione omosessuale liberamente. Tutto questo continuo riferirsi a una supposta potente lobby gay in Vaticano, così come anche questa mattina si legge su tutti i giornali con roboanti titoloni, tende a confondere realtà lontanissime e in conflitto fra loro.

I gay contestano politicamente e culturalmente la repressione dell'omosessualità da parte dei vertici cattolici, e sanno bene che le consorterie omosessuali all'interno della gerarchia esistono da secoli e spesso utilizzano il ricatto sessuale come strumento di controllo e sottomissione nei confronti di altri omosessuali di grado inferiore.

Da cattolico gay comprendo benissimo, che vi sia il tentativo di accreditare che la Chiesa sia stata invasa da orde di gay che vogliono corrompere e distruggere la sua santità, la verità è che l'organizzazione verticistica e unisessuale favorisce il nascondimento, l'ipocrisia, l'estensione di reti segrete operanti solamente per il mantenimento e consolidamento di posizioni di potere.

L'omosessualità in Vaticano è usata come elemento strumentale per rafforzare influenze personali e collettive, per danneggiarne altre, per costruire dossier contro possibili competitor. Niente di nuovo Oltre il Tevere!



* la Repubblica, 12 giugno 2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/6/2013 10.13
Titolo:SALVEZZA PER TUTTI. O PER NESSUNO. IN GERMANIA ...
SALVEZZA PER TUTTI. O PER NESSUNO. IN GERMANIA, 500 PARROCI CONTESTANO IL NUOVO MESSALE *

37212. BERLINO-ADISTA. La nuova traduzione in lingua tedesca del Messale voluta dal Vaticano non piace, da un punto di vista sia formale che sostanziale e teologico. Lo affermano, in un appello ai membri della Conferenza episcopale tedesca, circa 500 parroci tedeschi aderenti alla Pfarrer-Initiative, timorosi che questa traduzione venga approvata e definitivamente adottata in occasione della prossima assemblea generale dei vescovi, in programma a Fulda per settembre.

A costituire il maggiore problema, per i parroci, sono le parole che il prete pronuncia al momento della consacrazione eucaristica: «Questo è il mio sangue, versato per voi e per molti». La modifica al testo era stata annunciata ai vescovi germanofoni da Benedetto XVI nell’aprile 2012: l’espressione latina pro multis avrebbe dovuto essere tradotta con “per molti”, e non più “per tutti” modificando così sostanzialmente l’uso in vigore.

La richiesta è contenuta in una lettera indirizzata all’arcivescovo di Monaco, card. Reinhard Marx, ai vescovi ausiliari della stessa diocesi, mons. Bernhard Hasslberger e mons. Woflgang Bischof, e al vicario episcopale mons. Rupert Graf zu Stolberg, e porta la firma dei portavoce del movimento dei parroci Albert Bauernfeind, Walter Hofmeister, Hans-Jörg Steichele, Christoph Nobs, Karl Feser e Klaus Kempter.

Il documento esprime anche la speranza che nel corso della celebrazione eucaristica sia utilizzata una lingua che «aiuti gli uomini e le donne di oggi ad avere un dialogo con Dio e a partecipare, dunque, attivamente alla liturgia». La nuova traduzione, si legge nel testo della lettera, «è ben poco poetica e suggestiva» e non fa che amplificare i problemi già esistenti, tanto da rischiare di spingere molti preti a rifiutarne il ricorso per motivi di coscienza.

Il documento fa anche riferimento alle prime fasi del pontificato di papa Francesco, il quale ha mostrato segnali che fanno presagire la volontà di instaurare un più intenso rapporto collegiale con i vescovi e di adottare misure che riducano il ruolo di Roma e il centralismo vaticano; i parroci auspicano, infatti, che il nuovo papa «riconosca nuovamente ai vescovi il diritto di esercitare le funzioni di loro competenza senza la tutela della Curia romana». Alla luce di queste considerazioni, chiedono dunque fermamente ai vescovi dell’arcidiocesi di Monaco di non dare la loro approvazione al nuovo testo e di continuare, invece, ad utilizzare la traduzione usata fino a questo momento.

Nella loro lettera i parroci riportano le parole del papa sul concetto di armonia nella diversità, contenute in un’intervista rilasciata da Bergoglio al mensile 30Giorni nel 2007 (n. 11/07), quando era arcivescovo di Buenos Aires: «Nella Chiesa l’armonia la fa lo Spirito Santo. Uno dei primi padri della Chiesa scrisse che lo Spirito Santo “ipse harmonia est”, lui stesso è l’armonia. Lui solo è autore al medesimo tempo della pluralità e dell’unità. Solo lo Spirito può suscitare la diversità, la pluralità, la molteplicità e allo stesso tempo fare l’unità. Perché quando siamo noi a voler fare la diversità facciamo gli scismi e quando siamo noi a voler fare l’unità facciamo l’uniformità, l’omologazione. Ad Aparecida abbiamo collaborato a questo lavoro dello Spirito Santo». E ancora: «Il restare, il rimanere fedeli implica un’uscita. Proprio se si rimane nel Signore si esce da sé stessi. Paradossalmente proprio perché si rimane, proprio se si è fedeli si cambia. Non si rimane fedeli, come i tradizionalisti o i fondamentalisti, alla lettera. La fedeltà è sempre un cambiamento, un fiorire, una crescita. Il Signore opera un cambiamento in colui che gli è fedele. È la dottrina cattolica».

Già nel 2007, il Consiglio presbiterale di Rottenburg-Stuttgart aveva votato a favore del mantenimento della traduzione inclusiva per tutti, giudicando quella del Vaticano, per molti, ambigua. «La promessa di salvezza di Dio - recitava un comunicato stampa diffuso dal Consiglio presbiterale - vale per tutte le persone. Verità di fede espressa in modo più chiaro nella formula “per tutti”».

Un mese e mezzo prima, era stato il Consiglio presbiterale di Augsburg a dire lo stesso chiedendo al vescovo, mons. Walter Mixa, di «promuovere presso il Vaticano e presso la Conferenza episcopale tedesca» la possibilità di continuare a tradurre l’espressione del Messale romano pro multis con per tutti. Subito prima del voto, era intervenuto alla riunione del Consiglio presbiterale il preside dell’Accademia Cattolica della Baviera, p. Florian Schuller, sottolineando che la storia dei testi centrali della liturgia è «profondamente iscritta nelle coscienze» e che un cambiamento come quello prescritto da Roma rischia di provocare polarizzazioni e proteste a livello di parrocchie. (ludovica eugenio)

* Adista Notizie n. 23 del 22/06/2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/6/2013 10.54
Titolo:ONU dovrebbe chiamare il Vaticano a rispondere degli abusi commessi dai preti
Pedofilia: associazione vittime, Onu chiami a risponderne il Vaticano


ASCA, 18 Giugno 2013 - 19:22

(ASCA) - Roma, 18 giu - Le Nazioni Unite dovrebbero chiamare il Vaticano a rispondere degli abusi commessi dai preti pedofili, avendo fatto ben poco per impedirli. A sostenerlo e' David Clohessy, direttore del Survivors Network of those Abused by Priests (SNAP), associazione di vittime della pedofilia, il quale ha detto di avere poche speranze che il nuovo papa Francesco possa invertire la rotta.

''Possono tirar fuori tutte le politiche, le procedure impressionanti e le promesse che vogliono'', ha detto Clohessy in vista dell'incontro con la Commissione per i diritti dei minori delle Nazioni Unite, che dovrebbe esaminare il caso nei mesi prossimi.

''Noi abbiamo a che fare con una monarchia globale e potente, ben radicata, il cui potere e' sottoposto a ben pochi controlli. Ecco perche' ci rivolgiamo sempre piu' spesso alle istituzioni internazionali che riteniamo abbiano il peso, la portata e il dovere di intervenire''.

La SNAP sta anche facendo pressioni sul Tribunale Penale Internazionale, affinche' accolga il ricorso delle vittime di tutto il mondo emerse in questi anni, dall'Irlanda agli Stati Uniti, dall'Australia alla Germania. (fonte AFP). red-uda/

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Commenti Articolo 473

Titolo articolo : Capitalismo finanziario e democrazia,di Centro Studi "Federico Caffè", Assopopolari

Ultimo aggiornamento: June/16/2013 - 15:34:36.

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Autore Città Giorno Ora
franco viganò milano 16/6/2013 15.34
Titolo:"sanità controllo bilancio e finanza"
Ciao!

Ho lanciato la petizione "Italiani, aiutatevi "sanità controllo bilancio e finanza": Diffondere" e ho bisogno del tuo aiuto per diffonderla.

Puoi prenderti 30 secondi per firmare? Ecco il link:

http://www.change.org/it/petizioni/italiani-aiutatevi-sanità-controllo-bilancio-e-finanza-dif...

Ecco perché è importante:

Tutti gli Italiani sanno che il segreto bancario e il segreto del reddito è solo una presa in giro, e vale solo per i soliti noti, e che negli anni non si è voluto colpire gli evasori, ma semmai agevolarli con vari provvedimenti che tutti conoscono, stravolgendo, a volte, anche la sana economia favorendo distorsioni di mercato e falsa concorrenza.

Vorrei proporre un sistema che, attraverso la Tessera Sanitaria Unica Nazionale controlli la spesa Sanitaria ma nel contempo diventi il mezzo che sconfigga l’evasione, permettendo attraverso il suo utilizzo lo scarico delle spese sostenute con il proprio reddito.

Il sistema dovrà essere sviluppato dalle università tenendo presente che l’ente finale di controllo sia INPS che risponde al Ministero Finanze, il tutto utilizzando conoscenze ed esperienze già sviscerate in quelle già in uso, e valutazione di risparmio tenendo VALIDE quelle i uso uniformandole, in altre parole validandole come tessere nazionali.

Nella tessera, prevedendo per tempo varie cartelle si potrà memorizzare:
1) Sanita personale e stato di salute
2) Spese detraibili e reddito
3) Controllo proprietà mobili ed immobili
4) Sistema di calcolo ISEU con controllo diretto dei dati presenti
5) Ecc-Ecc. tenendo conto della memoria elettronica inserita nella tessera

Ora potrebbe diventare oltre che tessera sanitaria regio nazionale strumento di comunicazione e controllo stato –cittadino e cittadino-stato

ATTENZIONE!!!! VOGLIONO TOGLIERE IL CHIP
Ecco la Tessera sanitaria nazionale. Chip addio
PER GARANTIRE ANCORA GLI EVASORI

AUGURI A TUTTI

Puoi firmare la mia petizione cliccando qui.

Grazie!
franco viganò

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Commenti Articolo 474

Titolo articolo : Non per essere servito, ma per servire,di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: June/16/2013 - 10:27:15.

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Autore Città Giorno Ora
franco garavini forli 16/6/2013 10.27
Titolo:a... Mario Mariotti
Ti seguo da decenni, prima attraverso Amici dei lebbrosi, ore col sito il dialogo..
E' possibile avere contatti diretti...cioè la tua mail , per scambiarci 'critiche positive'...??!

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Commenti Articolo 475

Titolo articolo : NON SANNO ANCORA NEMMENO "CHI" E' DIO! Per papa Francesco Dio ama gli uomini “come una madre”. Una nota di Paolo Rodari  - con approfondimenti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: June/12/2013 - 11:01:50.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/6/2013 20.15
Titolo:DIO E' MAMMONA ("CARITAS")! LO IOR IN STILE FRANCESCO....
DEBUTTA LO IOR IN STILE FRANCESCO. MA PER ORA LE RIFORME SONO SOLO PAROLE

37195. ROMA-ADISTA. «Che cosa succederà ora allo Ior con papa Francesco?»: se lo sono chiesti in molti negli ultimi mesi, dentro e fuori la Chiesa. Per la verità, per ora, è successo ben poco. A parte qualche discorso sui mali dell’economia e della finanza, come quello pronunciato nel corso dell’udienza generale del 5 giugno scorso, quando il papa se l’è presa con «una economia e una finanza carenti di etica» e con un sistema in cui «uomini e donne vengono sacrificati all'idolo del profitto e del consumo»; a parte alcuni riferimenti diretti allo Ior, come il passaggio dell’omelia pronunciata nel corso della Messa celebrata il 24 aprile scorso davanti ai dipendenti della “banca” vaticana, quando Bergoglio disse: «Ci sono quelli dello Ior, scusatemi eh, tutto è necessario, gli uffici sono necessari, ma sono necessari fino a un certo punto».

A parte questo, di concreto ancora nulla. Qualcuno aveva anche ventilato l’ipotesi che il papa potesse compiere qualche gesto eclatante. Tempo fa una notizia, battuta dal vaticanista del National Catholic Reporter e della Cnn, John Allen, aveva fatto il giro del mondo in poco tempo, e sosteneva – citando le parole dell’ex portavoce del cardinale Bergoglio, Federico Wals, secondo il quale «è del tutto possibile che papa Francesco applichi in Vaticano le stesse ricette di gestione amministrativa usate quando era arcivescovo di Buenos Aires» – che lo Ior potesse essere chiuso.

Voci cui si erano aggiunte le dichiarazioni del cardinale di Abuja John Olorunfemi Onaiyekan rilasciate ai microfoni di La7 (11/3): «Lo Ior non è essenziale al ministero del Santo Padre. Non so se san Pietro avesse una banca. Lo Ior non è fondamentale, non è sacramentale, non è dogmatico».Ma lo Ior è ancora lì. Così come i suoi vertici, al momento ben saldi al loro posto. In testa il presidente dell’Istituto, Ernest von Freyberg, al centro di polemiche dentro e fuori il mondo cattolico perché presidente anche della Blohm&Voss, cantieristica navale tedesca che costruisce tra l’altro navi da guerra.

Se dal punto di vista sostanziale tutto è rimasto come ai tempi di Benedetto XVI, sotto l’aspetto dell’immagine, e della comunicazione, qualcosa di nuovo c’è. Complice il nuovo stile papale, ma soprattutto il giudizio di Moneyval (l’organismo del Consiglio d’Europa incaricato di monitorare i sistemi antiriciclaggio dei Paesi europei), che pende tuttora sullo Ior, e che pare arriverà entro dicembre, lo Ior ha cambiato strategia. Passando dall’assoluto riserbo ad una strategia di apertura e dialogo con i media. Laici e cattolici. Così il presidente della "banca" della Santa Sede ha dato avvio ad una offensiva mediatica che sembra finalizzata a ridare credibilità all’istituto che presiede, oltre che a se stesso (anche se per ora le “riforme”, restano solo quelle annunciate).

Ad inaugurare questa nuova fase, l’intervista a von Freyberg, raccolta, in lingua inglese dal direttore della sezione tedesca dell’emittente, il gesuita Bernd Hagenkord, trasmessa dalla Radio Vaticana il 31 maggio. Le domande (e le risposte) sono più nel segno del “colore”, della volontà cioè di raccontare la quotidianità dello Ior, la sua “mission”, oltre che l’inedita esperienza romana del suo nuovo presidente tedesco.

Un’intervista ampia e pacata, per tranquillizzare l’opinione pubblica cattolica sull’assoluta normalità dello Ior, non senza una ulteriore rassicurazione sulla vigile attività dell’Istituto contro il malaffare: «Applichiamo una politica di tolleranza zero nei riguardi di clienti e di impiegati coinvolti in attività di riciclaggio», ha chiarito infatti von Freyberg nel corso della chiacchierata. Diverso invece il contenuto dell’intervista concessa dallo stesso von Freyberg a Maria Antonietta Calabrò del Corriere della Sera e pubblicata il 3 giugno scorso.

In quella occasione il presidente dello Ior ha snocciolato dati e cifre, non sottraendosi a nessuna domanda. Von Freyberg ha chiarito che nel 2012 lo Ior ha generato profitti per 86,6 milioni di euro, contro una media di 69 milioni nei tre anni precedenti; che ne versa 55 al papa; che i correntisti sono scesi a circa 19mila (spiegando che le ragioni della repentina chiusura di molti conti, circa 6mila in pochi mesi, risiederebbero nel fatto che si trattava di «conti dormienti o con depositi minimi, spesso inferiori a 100 euro»), assicurando che di questi conti almeno 12mila posizioni-cliente saranno controllate entro il 2013, al ritmo di circa mille al mese, «a cominciare da quelle più a rischio».

L’attività di vigilanza messa in atto dall’Istituto, e dall’organismo creato appositamente per vigilare su di esso, l’Aif, ha comunque già prodotto risultati concreti: oltre ai sei casi di sospetta irregolarità individuati nel 2012, altri sette casi sospetti sono venuti alla luce dal 1 gennaio del 2013: due segnalati dall'Aif e cinque dallo stesso Ior. Ancora: von Freyberg ha chiarito che lo studio legale Grande Stevens continua ad essere consulente dello Ior, «ma non attraverso l'avvocato Michele Briamonte», indagato dalla Procura di Siena e da quella di Roma per insider trading e riciclaggio. Ma, ha incalzato Calabrò, il Rapporto Moneyval del luglio 2012 chiedeva che l'indagine conoscitiva sui clienti (Customer Due Diligence) fosse completata entro il 31 dicembre, cioè oltre cinque mesi fa. «Ho posto a tutti, dirigenti, funzionari e impiegati dello Ior, la deadline del 31 luglio per concludere questo progetto di aggiornamento. Lo scriva: 31 luglio, così tutti vedono pubblicata questa data e se la ricordano, 31 luglio 2013».

Infine la questione, rilevata con preoccupazione dall’Aif, del flusso di denaro contante che attraversa quotidianamente Porta Sant'Anna. «I numeri forniti dall'Aif sono i nostri sulle transazioni in contanti. La nostra impressione è che la maggioranza dei fondi dichiarati alla dogana sono per depositi o prelievi da e per lo Ior. Nel 2012 lo Ior ha eseguito circa il 20 per cento delle sue transazioni in contanti. Questo ha a che fare con la natura dei nostri clienti. Il nostro sistema di monitoraggio deve essere adeguato per controllare un flusso di contanti più alto della media di un altro istituto, perché le offerte in chiesa si fanno ancora oggi per la maggior parte in contanti». (valerio gigante)

Adista Notizie n. 22 del 15/06/2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/6/2013 11.01
Titolo:Quel muro che ostacola il cambiamento in Curia...
L’operazione pulizia contro i nemici interni

Quel muro che ostacola il cambiamento in Curia

di Marco Politi (il Fatto, 12.06.2013)

Tra i requisiti del pontefice da eleggere – disse il cardinale Bergoglio pochi giorni prima di lasciare Buenos Aires in partenza per il conclave del marzo scorso – c’è anche quello che “il nuovo Papa deve essere in grado di ripulire la Curia romana”.

BASTA QUESTA frase lapidaria, riportata dalla giornalista argentina Evangelina Himitian, unitamente ai gesti fortemente innovatori compiuti da Francesco nei primi tre mesi di governo, per dare un’idea delle fortissime resistenze con cui il pontefice argentino deve misurarsi per riportare trasparenza nella Curia e – compito ancora più gravoso – per riformare la Chiesa, il suo personale, il suo stile di agire allo scopo di darle credibilità nel XXI secolo.

Le sue parole, rimbalzate da un sito cileno a Roma, dove aveva incontrato una delegazione di ordini religiosi latino-americani, sono veramente una “voce dal sen fuggita…”. Si capisce che il pontefice ha risposto con l’abituale sincerità a domande rivoltegli dai partecipanti all’udienza, dando sfogo alle preoccupazioni nascoste che lo tormentano in questa fase di ricognizione dei problemi vaticani. “Sì, esiste un problema di corruzione” nella Santa Sede: quella corruzione che mons. Viganò aveva invano cercato di denunciare allo stesso Benedetto XVI prima di essere mandato in esilio a Washington. E sì, esistono cordate composte di persone dalla doppia vita, che agiscono a fini di potere.

Il silenzio di padre Lombardi, che insiste sul carattere “privato” dell’incontro, esprime l’imbarazzo di quanti non sanno come gestire questa bomba. Papa Francesco ha letto il rapporto di trecento pagine, che i cardinali Herranz, Tomko e De Giorgi hanno redatto per Benedetto XVI indagando sullo scandalo Vatileaks.

E sa che in quelle pagine scottanti sono indicati tre vizi capitali, che minano l’immagine della Curia romana: carrierismo, sesso e soldi. Ma è anche consapevole che sradicare tanti microtessuti di interessi e di potere, ben sedimentati, richiede uno sforzo gigantesco. Remando contro forze conservatrici, che hanno già cominciato a seminare mugugni contro il papa argentino, accusandolo di parlare troppo imprudentemente.

Il problema non è la mera sostituzione del Segretario di Stato Bertone, che entro l’anno lascerà necessariamente il suo posto. Il problema è il coagulo di personalità dentro la Curia e nella Chiesa universale, che vuole mantenere un papato autoritario, conservatore e garante di quella omertà che in passato ha sempre “condonato” ogni tipo di storture se non veri e propri crimini come la pedofilia.

NON C’È DUBBIO che le ammissioni di Bergoglio sulla corruzione in Vaticano e sulla cosiddetta “lobby gay” (che poi in quanto tale non opera, ma si esprime piuttosto con l’aggregarsi di singoli personaggi a varie cordate di potere dove si annidano monsignori dalla doppia vita etero ed omosessuale) saranno sfruttate dai suoi nemici per rimproverargli di gettare fango sul governo centrale della Chiesa e saranno usate per frapporre macigni dietro le quinte alla sua volontà innovatrice.

Per molto meno, una sua battuta su “San Pietro (che) non aveva un conto in banca”, lo scrittore Messori – dando voce a malumori conservatori – ha messo ieri in guardia Francesco dal “rischio di demagogia”, invitandolo alla prudenza e a fermarsi in tempo. Un segnale inquietante.

La verità è che in Vaticano è iniziata una rivoluzione. Che non sarà affatto indolore. E sarebbe ingenuo pensare che non vi sia chi spera di stoppare il papa venuto dalla fine del mondo.

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Titolo articolo : Adesione all'appello per la Nona giornata del dialogo cristiano-islamico,

Ultimo aggiornamento: June/09/2013 - 19:14:06.

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Autore Città Giorno Ora
Franco Mella Milano 27/10/2010 05.35
Titolo:Dialogo di vita
Qui a Kaifeng in centro Cina sono nella chiesa che i nostri missionari del Pime hanno costruito negli anni '20 accanto alla moschea islamica, vicino a un tempio buddista e all'ex sinagoga ebraica. Il Regno di Dio comprende tutti, anche i comunisti atei con i quali e' oggi piu' importante che mai dialogare perche' venga finalmente la nuova societa' in cui saremo tutti uguali!
Autore Città Giorno Ora
OIKOS \"P. AGOSTINO LUNDIN\" CENTRO ECUMENICO GALATINA 21/10/2011 15.38
Titolo:importanza del dialogo
Grazie per l'ivito, condividiamo con gioia la vostra iniziativa. Siamo, infatti, convinti che attraverso il dialogo si possano abbattere le barriere dei pregiudizi e gettare le basi di una società più giusta. Il dialogo e la solidarietà reciproca sono due condizioni fondamentali per dare il via alla nascita di una società solidale in cui tutti sono disposti a scrivere insieme la storia della nuova umanità.

Centro Ecumenico Oikos "p. Agostino Lundin" Galatina
Autore Città Giorno Ora
Florestana Piccoli Sfredda Rovereto TN 09/6/2013 19.14
Titolo:costruire ponti, abbattere muri
Con profonda convinzione, rinnovo anche quest'anno la mia adesione all'appello per una Giornata di Dialogo Cristiano-Islamico, certa di condividere come sempre l'adesione con il mio compianto marito. Con lui abbiamo sempre combattuto le battaglie finalizzate a costruire ponti e ad abbattere tutti i muri di separazione.
Florestana Piccoli Sfredda - Responsabile della Sala Valdese di Rovereto/TN.

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Commenti Articolo 477

Titolo articolo : Per dare un futuro all'umanità,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: June/09/2013 - 16:37:18.

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Autore Città Giorno Ora
Bruno Antonio Bellerate Rocca di Papa (RM) 09/6/2013 16.37
Titolo:Complimenti
Caro Giovanni, bravissimo, ma quando queste e analoghe parole troveranno un\'efficacia? Salutoni.

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Commenti Articolo 479

Titolo articolo : VICO E L’ERRORE DI PLATONE E CARTESIO.,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: June/05/2013 - 10:00:06.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/5/2013 19.08
Titolo:Prima il corpo, poi la mente. La doppia genesi dell’uomo
Ian Tattersall

“Prima il corpo, poi la mente. La doppia genesi dell’uomo”

di Gabriele Beccaria (La Stampa TuttoScienze, 22.05.2013)

Ian Tattersall è paleo­ antropologo e curatore al Museo di storia naturale di New York


Immaginiamo il nostro cervello come le piume dei dinosauri, prima, e degli uccelli, poi. Non c’era proprio niente di prevedibile in ciò che è diventato e che ora ci troviamo intrappolato nella scatola cranica.

Ci siamo trasformati nei «signori del pianeta» - dice il celebre paleoantropologo Ian Tattersall - dopo una rivoluzione improvvisa e tutt’altro che scontata: è secondo queste due declinazioni che dobbiamo pensare alla nostra specie, se vogliamo credere alle ricerche più recenti, sparse tra l’analisi dei resti fossili e le decifrazioni del Dna. Siamo comparsi 200 mila anni fa, eppure, se tornassimo indietro a quei momenti, faticheremmo a riconoscerci, come se incontrassimo un fratello tonto. Per immedesimarci (e provare un’esplosione liberatoria di empatia) dovremmo aspettare e approdare a tempi recenti.

Solo 60 mila anni fa - spiega il curatore del Museo di storia naturale di New York - siamo diventati pienamente umani. Per decine di migliaia di anni abbiamo continuato a comportarci come gli altri ominidi, per esempio i Neanderthal. Laboriosi, piuttosto socievoli, ma poco ciarlieri e quasi per nulla creativi. Poi, di colpo, siamo diventati gli esseri simbolici che siamo.

Tattersall ha scritto un saggio («I signori del pianeta», edito da Codice) per indagare il mistero. E a Torino, al Salone del Libro, ha tenuto una conferenza per raccontare questo viaggio a ritroso nel tempo e nei neuroni. Gli universi alternativi che rielaboriamo continuamente nella mente - ha spiegato - non sono «la glassa sulla torta», ma «la perlina di zucchero che sta in cima alla ciliegia sopra la glassa».

Una metafora di pasticceria che serve a rimettere in discussione le idee preconcette sulla nostra evoluzione. Che è stata tormentata: invece di un’esplosione lineare di metamorfosi, il sempre citato «albero della vita» equivale a una folla di ominidi diversi, che per milioni di anni si sono succeduti (e spesso hanno convissuto), sperimentando sulla propria pelle, e nel cranio, tanti esperimenti, alcuni imperfetti e altri meglio riusciti.

E infatti ciò che oggi è il cervello è - probabilmente - il risultato di tante proprietà emergenti, frutto di modificazioni e aggiunte, piccole e accidentali, di una struttura che era già pronta (o quasi) a sviluppare il pensiero simbolico. Per molto tempo siamo stati sulla soglia del pensiero vero e proprio, come indecisi, prima di compiere l’ultimo e decisivo passo.

Non è successo per «adaptation», cioè per adattamento, ma - sottolinea Tattersall - per un altro processo, tempestoso, che gli studiosi chiamano «exaptation», exattamento. La spettacolare riorganizzazione dei neuroni, infatti, non è stato un adeguamento puro e semplice, semmai un recupero e una cooptazione.

Ciò che era nato per una certa funzione ha finito per assolverne un’altra, inedita. Esattamente come le piume termoregolatrici dei dinosauri, diventate strumenti per spiccare il volo negli uccelli.

Le cellule nervose, inizialmente ideate per trasformare in astuto cacciatore l’Homo Ergaster, tra 2 milioni e un milione di anni fa, sono servite ai Sapiens di 77 mila anni fa come scintilla intellettuale per intagliare motivi geometrici su una placca d’ocra, rinvenuta nella Grotta di Blombos in Sud Africa: è questo il manufatto più antico che testimonia il raggiungimento di un nuovo mondo simbolico. Mai esistito prima.

Il «silver bullet», così lo chiama Tattersall - l’evento che ha fatto deflagrare tutto - sarebbe stato il linguaggio: «Lo concepiamo sempre come sinonimo di comunicazione. Provate invece a immaginarlo come il portale d’accesso all’io interiore. Si pensa anche con le mani, mentre si fanno le cose». Inventando e manipolando parole. Così abbiamo spalancato la mente, che - ammonisce il paleoantropologo - proprio per la sua doppia genesi, 200 mila e 60 mila anni fa, resta un groviglio irrisolto. Di bene e di male.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/5/2013 18.20
Titolo:NON C’E’ VERA STORIA SENZA LA FILOSOFIA. MA QUALE FILOSOFIA?!
NON C’E’ VERA STORIA SENZA LA FILOSOFIA. MA QUALE FILOSOFIA?!:

L’IDENTITA’ ("TAUTOTES") E IL DESTINO DELL’ITALIA, NELLE MANI DI UN "UOMO PRIVATO" ("IDIOTES") E DEL SUO PARTITO ("FORZA ITALIA")!!! Gloria e destino della Necessità?! Boh?! Bah?!
-http://www.lavocedifiore.org/SPIP/breve.php3?id_breve=376

LA CULTURA AL LAVORO PER LA NUOVA IDENTITA’ ("Tautotes", in greco) ITALIANA: UNA BARA ("Taùto", in greco-napoletano) PER L’ITALIA. Grandi contributi (più che decennali) di filosofi, giuristi, matematici, scrittori ... Appunti per i posteri
-http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=3965

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Idee

Non c’è vera storia senza la filosofia

Perché Vico resta attuale, mentre ogni forma di conoscenza riconosce i propri limiti

di Enanuele Severino*

Oggi si tende a considerare la scienza moderna come la forma più alta di sapere. Ma la scienza stessa riconosce ormai il proprio carattere ipotetico. Anche le scienze storiche lo riconoscono. Anzi, a questa consapevolezza sono giunte prima delle scienze della natura e logico-matematiche. In modo indiretto Giambattista Vico, nel XVIII secolo, ha aperto la strada in questa direzione. «Ci è mancata sinora - scrive - una scienza la quale fosse, insieme, istoria e filosofia dell’umanità». Passa la vita a tracciare la configurazione di questa nuova scienza.

Al di fuori di essa, esiste una «istoria» senza filosofia, cioè, per lui, senza «verità»: una conoscenza storica che mostra sì un immenso cumulo di notizie, ma senza indicare alcuna Legge immutabile, «eterna» che dia loro un senso unitario, e quindi lasciandole allo stato di ipotesi. La «Scienza nuova» deve procedere pertanto «senza veruna ipotesi»: senza le «incertezze» e «dubbiezze» che competono alle scienze storiche sino a che rimangono separate dalla filosofia.

Ma il nostro tempo - e innanzitutto l’essenza (tendenzialmente nascosta) della filosofia del nostro tempo - esclude l’esistenza di una qualsiasi Legge immutabile ed eterna, sì che le scienze storiche si trovano oggi a conservare proprio quel carattere di «incertezza», «dubbiezza», ipoteticità che Vico aveva consapevolmente colto in esse in quanto separate dalla filosofia.

La Scienza nuova è ora ripubblicata da Bompiani nelle tre edizioni del 1725, 1730, 1744, a cura di Manuela Sanna e Vincenzo Vitiello, che inoltre premette al testo un saggio introduttivo di grande ampiezza e profondo impegno speculativo. Il testo è riproposto secondo l’edizione fattane dalla stessa Sanna, da Fulvio Tessitore e Fausto Nicolini, con alcuni restauri per le edizioni del ’30 e del ’44. Un’imponente operazione culturale.

Molto opportunamente, Vitiello inizia il suo saggio al pensiero di Vico mettendo in luce il carattere problematico della conoscenza storica e in generale della nostra memoria. Vico e tutte le successive riflessioni sulla conoscenza storica non mettono però in questione l’esistenza della storia. E nemmeno le scienze naturali mettono in questione l’esistenza della natura. Storia e natura sono cioè trattate come indubitabilmente esistenti: la loro esistenza è considerata una verità incontrovertibile. Ma a chi va affidato il compito di mostrare la verità non ipotetica dell’esistenza del mondo? Che esista il mondo è una conoscenza scientifica - quindi problematica -, oppure è una conoscenza innegabilmente vera, e quindi non scientifica? Né il «senso comune» può farsi avanti con la pretesa di saper lui rispondere: non può avere la pretesa di possedere una conoscenza superiore a quella della scienza.

Affermare che l’esistenza del mondo è una verità innegabile significa affidare alla filosofia il compito di mostrarlo. È sempre stato il suo compito metter tutto in questione e spingersi in vari modi fino al luogo che «non può» esser messo in questione. Da questo punto di vista, non mettendo in questione l’esistenza della storia, lasciandola cioè implicitamente valere come verità innegabile, Vico rimane indietro rispetto al compito essenziale della filosofia. Ma per altro verso egli coglie nel segno intuendo che la filosofia non può, a sua volta, chiudere gli occhi di fronte alla storia, alla natura, al mondo. Proviamo a chiarire quest’ultima affermazione.

Il «senso comune», in cui si trova ognuno di noi da quando nasce, non ha dubbi sull’esistenza del mondo e della ricchezza dei suoi contenuti: vi crede con tutte le sue forze. (Vi crede anche la scienza, anche quando essa si discosta dal senso comune). Ma, appunto, lo crede, ha fede nella sua esistenza, e non può fare a meno di crederlo - così come non può fare a meno di credere che il sole si muova da oriente a occidente anche se la scienza gli dice che è la terra a muoversi attorno al sole, che sta fermo rispetto ad essa.

Ma la fede non è la verità innegabile. La fede mette in manicomio o distrugge chi mostra di dissentire da essa; sebbene faccia questo quando il dissenziente ha meno forza del credente. Sennonché la verità non è una forza o violenza vincente. Quando la filosofia del nostro tempo lo sostiene, lo può sostenere sul fondamento di ciò che per essa è la verità innegabile: l’esistenza del divenire del mondo, cioè del divenire le cui forze sono capaci di travolgere e vincere ogni «verità» che pretenda imporsi su di esse e regolarle. Affermando che la verità innegabile è il divenire del mondo (implicante l’inesistenza di ogni eterno e di ogni immutabile al di sopra di sé), nemmeno la filosofia del nostro tempo lo afferma perché è riuscita a mettere in manicomio o a distruggere chi la pensa diversamente da essa.

In verità, il mondo non è il mondo (storia, natura, lo stesso altro dal mondo) quale appare all’interno della fede nella sua esistenza e nei suoi molteplici contenuti - ossia all’interno della non-verità. Tuttavia è necessario che nella verità appaia la non-verità: innanzitutto perché la verità è negazione della non-verità e per esserne la negazione è necessario che la veda. È necessario cioè che nella verità appaia la fede nel mondo, al cui interno si costituisce ogni altra fede (ad esempio la fede nella storia e nella natura, o la fede religiosa), ossia ogni altra non-verità, ogni altro errare. Ciò significa che, in verità, il mondo è la fede nel mondo e che la non verità della fede nel mondo appartiene necessariamente, come negata, al contenuto della verità.

Quando Vico pensa una «scienza la quale sia insieme istoria e filosofia dell’umanità», non scorge che l’esistenza della storia (e del mondo) è il contenuto di una fede, ma crede che nell’unione di storia e filosofia la storia sia illuminata dalla verità della filosofia e divenga essa stessa verità; e tuttavia egli intuisce che la verità è inseparabile dal proprio opposto, cioè dalla fede, dall’errore.

Quale volto deve avere la verità che si mette autenticamente in rapporto col proprio opposto? Nel capitolo conclusivo della sua introduzione, intitolato «Prospezioni vichiane», Vincenzo Vitiello scrive: «Al presente spetta la cura della "possibilità" del futuro, che non solo, in quanto futuro non è, ma neppure è necessario che sia». Sono d’accordo che questa sia una «prospezione vichiana», un proseguire cioè lungo il sentiero percorso da Vico. Ma aggiungo che questo sentiero è solo un tratto del grande Sentiero aperto dalla filosofia greca e in cui consiste la storia dell’Occidente: il Sentiero per il quale il divenire delle cose (di cui sopra si parlava) è il loro uscire dal nulla del futuro e ritornare nel nulla del passato. E Vitiello sa bene che, servendomi di un’espressione dell’antico Parmenide, lo chiamo «Sentiero della Notte» - dove la «Notte» è l’errare estremo. Quella «prospezione vichiana» raggiunge il proprio culmine e la propria estrema coerenza in ciò che prima ho chiamato essenza (tendenzialmente nascosta) della filosofia del nostro tempo, ossia nella distruzione di ogni Legge e di ogni Essere immutabile ed eterno. Da gran tempo vado mostrando la malattia mortale - l’essenziale non-verità del mondo - che sta al fondamento di quel Sentiero e che impedisce alla verità di essere l’autentica negazione dell’errore, cioè della malattia mortale che, appunto, fa dire a tutti gli abitatori del Pianeta che il futuro e il passato non sono e non è necessario che siano. Ho detto che tutto questo vado mostrandolo «da gran tempo»? Mi son lasciato andare. Rispetto alla grandezza della posta in gioco quel tempo è minimo.

Emanuele Severino

* Corriere della Sera, 4 gennaio 2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/5/2013 12.57
Titolo:SENZA GRAZIA E SENZA VICO, L' "ATEOLOGIA POLITICA" DI R. ESPOSITO ...
Ateologia politica

“Basta con quel pensiero che ci tiene prigionieri”

Intervista a Roberto Esposito che in un libro affronta il rapporto tra religione e potere

Contro una tradizione che ha identificato il debito con una colpa personale

Intervista di Leopoldo Fabiani (la Repubblica, 27.05.2013)

«Tutti i concetti politici sono concetti teologici secolarizzati ». La celebre definizione di Carl Schmitt ha segnato per tutto il Novecento la riflessione filosofica sulla politica. “Teologia politica” è divenuto così un paradigma irrinunciabile per comprendere non solo i rapporti tra potere e religione, tra Stato e chiesa, ma tutta l’evoluzione della civiltà occidentale.

Ma “teologia politica” è anche una “macchina” di pensiero dentro la quale siamo da sempre imprigionati. La “cattura” non riguarda solo le menti ma, nell’era della biopolitica, anche i corpi, per mezzo del debito, figura centrale della “teologia economica”. È arrivato il momento di liberarcene. Questo è il tema dell’ultimo libro di Roberto Esposito, Due. La macchina della teologia politica e il posto del pensiero (Einaudi, 234 pagine, 21 euro) che esce in questi giorni. Un testo che mentre ricostruisce la genealogia di questa categoria concettuale, ne mina allo stesso tempo le fondamenta.

E sostiene che se vogliamo uscirne non si tratta solo di abbandonare una millenaria tradizione di pensiero, ma anche di ritrovare le ragioni profonde del vivere insieme in una collettività.

Professor Esposito, l’idea della fede come “instrumentum regni” è solo funzionale a una ideologia conservatrice o nasconde qualcosa di più profondo?

«L’idea che senza valori religiosi dominanti non si tenga insieme una società non è solo degli “atei devoti” come Giuliano Ferrara. Anche pensatori raffinati come Massimo Cacciari o Mario Tronti credono che il riferimento alle radici teologiche sia decisivo. Ecco dimostrato, se ce ne fosse bisogno, quanto sia persistente e pervasivo questo modo di pensare».

Altri però ritengono che viviamo nell’era della secolarizzazione, del relativismo, della morale “fai da te”.

«Ma questo non significa affatto che ci siamo “liberati”. Categorie come “secolarizzazione”, “disincanto” “ateismo” sono concetti teologici negativi o rovesciati. Esistono solo all’interno di quell’orizzonte che si vorrebbe invece oltrepassare».

Possiamo fare un esempio di qualche concetto “teologico” operante nell’attualità politica di questi giorni?

«Se ne possono fare molti, pensiamo al dibattito recente sul presidenzialismo. Si è sostenuto che siamo una società che non può fare a meno della figura del padre. Ora, l’azione del presidente Napolitano è stata un bene per tutti, ha trovato soluzioni, ha sbloccato una situazione che era arrivata alla paralisi. Sul piano simbolico però c’è qualcosa che non va. Perché la democrazia non deve essere un regime di “figli”, bensì di “fratelli”. Non è vero che abbiamo bisogno di un riferimento superiore, trascendente».

Ma in cosa consiste il meccanismo oppressivo che lei attribuisce alla teologia politica?

«È una tradizione di pensiero che taglia in due le nostre vite. Che tende a realizzare l’unità attraverso l’emarginazione di una delle parti. Che esclude mentre pretende di includere. L’uguaglianza, storicamente, è stata sempre “tagliata”: tra bianchi e neri, uomini e donne. Ecco, l’Occidente che sottomette il resto del mondo, la globalizzazione che impoverisce tante parti di umanità».

Secondo lei è giunto il momento di uscire da questo “dispositivo” che ci ha catturati e impedisce un’autentica libertà di pensiero. Ma come è possibile riuscirci?

«Non è certo un compito facile, al contrario, è difficilissimo. Io credo che la cappa che ci tiene prigionieri e che dobbiamo provare a rompere, sia fondata sul concetto di persona. Più precisamente, sull’idea che il pensiero appartenga al singolo, all’individuo. Dopo Cartesio, ci pare ovvio. Invece occorre tornare a una tradizione che da Aristotele arriva a Bergson e Deleuze, passando per Averroè, Dante e Spinoza. È una catena che risale all’antichità dove il pensiero è visto come un luogo che tutti possiamo attraversare, un patrimonio cui tutti possiamo attingere. Il primo e più importante, si potrebbe dire, dei beni comuni».

Arriviamo alla “teologia economica” dove la parte centrale del suo ragionamento si svolge attorno all’idea di debito.

«Intanto pensiamo all’ironia di definire i debiti degli stati con l’espressione “debito sovrano” (concetto, quello di sovranità eminentemente teologico). Oggi, chiaramente, la sovranità non appartiene più ai singoli stati, ma alla finanza».

Cosa c’è di teologico nel concetto di debito?

«Walter Benjamin definiva il capitalismo “l’unico culto che non purifica ma colpevolizza”. L’origine teologica di questo concetto è chiarissima. Se pensiamo che nella lingua tedesca la stessa parola significa sia debito sia colpa, capiamo molte cose. Comprendiamo perché i tedeschi vivano se stessi come virtuosi e considerino ad esempio i greci non solo indebitati, ma anche colpevoli. Ma oggi, attraverso il debito pubblico, siamo tutti indebitati».

Siamo tutti “prigionieri” del debito?

«Nietzsche diceva che il debito ci ha reso tutti schiavi gli uni degli altri. E non solo in senso simbolico. Il cerchio biopolitico che lega il corpo del debitore al creditore ha origini lontane. L’istituzione romana del “nexum” consegnava il destino della persona indebitata al suo creditore, che ne poteva disporre liberamente, per la vita e per la morte. Il mercante di Venezia di Shakespeare pretende di essere ripagato con una libbra di carne da chi non può farlo col denaro. Ma anche oggi il debito si paga con la vita. Pensiamo agli immigrati che devono ripagare per sempre con il lavoro chi gli ha prestato i soldi per uscire dai loro paesi. Pensiamo ai suicidi per debiti».

Se siamo arrivati a questo punto non è solo frutto della “macchina” teologica, ci sono anche responsabilità più recenti.

«Senza dubbio tutto questo processo è stato agevolato dalla governance liberale, attuata a partire dagli anni di Margaret Thatcher e Ronald Reagan, che non ci ha affatto liberato, anzi. Ha trasformato il welfare in un peso insostenibile, teorizzando il “Lightfare”, lo stato leggero. È l’ideologia dell’“ognuno per sé” che ha portato alla crisi e reso il 99% della popolazione più povera».

Per liberarci come individui, lei sostiene, bisogna agire collettivamente.

«Io credo di sì. Il meccanismo di sviluppo va cambiato, dobbiamo tornare a pensare agli investimenti socialmente utili, non al guadagno personale. In questo ci aiuta il concetto di “communitas”. Che significa avere in comune un “munus”, parola che originariamente significava al tempo stesso debito e dono. Nelle società arcaiche il debito era vissuto come un legame sociale. Essere comunità non significa cercare di sopraffarsi uno con l’altro, ma sentirsi vincolati da un dono di fratellanza ».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/6/2013 12.30
Titolo:SULLE RADICI DEL COGITO ERGO SUM
Quel senso interno che ci dice: “sei vivo"

Il nuovo saggio di Daniel Heller-Roazen sulle radici del “Cogito ergo sum”

di Valerio Magrelli (la Repubblica, 01.06.2013) *

Daniel Heller-Roazen, professore di letteratura comparata a Princeton e traduttore di Giorgio Agamben, è un autore piuttosto eterodosso, o meglio, come è stato affermato da Carlo Ginzburg, “eclettico”. Dopo aver pubblicato Ecolalie, un saggio sull’oblio delle lingue, e Il nemico di tutti, uno studio sulla figura del pirata, Quodlibet propone adesso Il tatto interno. Archeologia di una sensazione.

Il primo titolo, spaziando fra mitologia, psicoanalisi, teologia, linguistica e letteratura (con Ovidio, Dante, Poe, Canetti), partiva da un punto di vista medico. Indagando l’ecolalia, cioè quel «disturbo che consiste nel ripetere involontariamente parole o frasi pronunciate da altre persone», le sue pagine ampliavano il senso di questa patologia, riconducendola alle origini del linguaggio stesso. Così facendo, dischiudeva nuove prospettive sul rapporto fra oralità e scrittura, memoria e l’oblio: «Ogni lingua è l’eco di quella babele infantile la cui cancellazione rende possibile la parola».

Con il secondo volume, la scena cambia radicalmente, passando dalla lallazione del bambino alla predazione del bandito. Qui Heller-Roazen muove da Cicerone, per ricordare che, se esistono nemici con i quali si può negoziare e stabilire una tregua, ne esistono altri con cui i trattati restano lettera morta e la guerra continua senza fine. Si tratta dei pirati, che gli antichi consideravano “i nemici di tutti”.

Il pensiero giuridico e politico ha approfondito questa tema per secoli, ma mai come oggi, afferma l’autore, il pirata costituisce l’immagine dell’avversario universale. Dopo essere stato considerato un personaggio del lontano passato, il nemico di tutti è oggi più vicino a noi di quanto si possa pensare, anzi, forse non è mai stato così vicino. Siamo così al terzo volume, nel quale, tra “paradigma ecolalico” e al “paradigma piratico”, Heller-Roazen cambia ancora una volta paesaggio esperienziale.

Abbandonato l’universo linguistico, accantonata la dimensione bellica, adesso la sua indagine ruota attorno a una facoltà chiamata “senso comune”, e assimilata a una sorta di “tatto interiore, attraverso il quale percepiamo noi stessi”. Anche in questo caso ritroviamo una mescolanza di discipline, una predilezione per la letteratura, un rigore documentativo (cento pagine di note e bibliografia), che devono molto alla lezione di Walter Benjamin.

Cominciando con un racconto di E.T.A. Hoffmann sul celebre gatto Murr e terminando con le ultime scoperte della neurologia, venticinque brevi capitoli passano in rassegna filosofi dell’Antichità, pensatori arabi, ebrei e latini del Medio Evo, Montaigne, Francis Bacon, Locke, Leibniz, Rousseau, Proust, fino agli psichiatri del XIX secolo. Al centro delle indagini sta il confronto fra natura umana e animale, da Crisippo a Plutarco, che all’intelligenza dei cani dedicò un celebre trattato.

Ma scendiamo nel vivo del testo, esaminando il quinto capitolo, arricchito da un sottotitolo che suona: «In cui Aristotele e i suoi antichi commentatori spiegano perché gli animali, lungo tutta la loro vita, non possono mancare di accorgersi di esistere ».

Confrontato con il De anima del sommo filosofo greco, il suo De sensu appare un trattato più modesto. Eppure, gli studiosi novecenteschi sono rimasti colpiti dalla sua somiglianza con la famosa prova cartesiana, tesa a dimostrare come l’essere pensante non possa dubitare della propria esistenza: noi percepiamo sempre noi stessi, noi siamo sempre consci di esistere. Ma qui occorre introdurre una precisazione.

Infatti, a differenza del Cogito ergo sum (“penso dunque sono”) di Cartesio, Aristotele, con il suo Sentio ergo sum (“sento dunque sono”), sposta l’accento dalla sfera razionale a quella percettiva. Inoltre, mentre il primo sostiene la continuità fra specie umana e animali, il secondo vede in queste ultime delle semplici macchine: basti citare l’aneddoto di un suo allievo che prese a calci una cagna incinta, ritenendola appunto nient’altro che un mero congegno organico. Distinguendolo quindi da Cartesio, Heller-Roazen preferisce avvicinare le posizioni di Aristotele al concetto di “continuum” in Leibniz. Tornando all’oggetto di queste esplorazioni, ci si trova dunque ad affrontare la storia della percezione che ogni creatura ha della propria vita.

Secondo Agamben, una simile archeologia della sensazione permetterà di porre un problema su cui filosofi e scienziati non potranno evitare di interrogarsi: qual è il senso col quale, al di qua o al di là della coscienza, sentiamo di esistere? Cosa vuol dire, cioè, sentirsi vivi?

A tale domanda Heller-Roazen risponde analizzando un insieme di fenomeni che giocano un ruolo cruciale proprio nella definizione dell’esistenza animale. Ecco venire allora in primo piano alcuni argomenti sul rapporto che lega il corpo alla mente: sonno e veglia, percezione e anestesia, coscienza e incoscienza. Dopo l’apparizione di gatti e cani, lepri, cozze, granchi, ora è la volta dell’uomo, colto però nei suoi stati più labili e alterati. Quali disturbi avvengono al nostro risveglio? Oppure: cosa accade quando si verifica il fenomeno del cosiddetto “arto fantasma”? Lunga è la storia del nostro “tatto interno”, e questo testo la ricostruisce in maniera tanto rigorosa quanto avvincente.

* IL LIBRO Tatto interno di Daniel Heller-Roazen (Quodlibet trad. di G. Lucchesini pagg. 364 euro 26)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/6/2013 10.00
Titolo:ALLE RADICI DELLA FILOSOFIA DI VICO
Alle radici della filosofia di Vico

di Massimo Cacciari ( La Repubblica - 26/01/2008)

In un volume intitolato "Metafisica e metodo" tornano due opere giovanili con molti temi che resteranno centrali fino alla "Scienza Nuova"
- Un grandioso sforzo di ripensamento del senso dell’Umanesimo
- Un sapere che procede per tracce e ricorre alla forza dell’intuizione e dell’immaginazione

In un grandioso sforzo di ripensamento teoretico del senso dell’Umanesimo, Vico coglie l’accordo con la filologia come dimensione essenziale della filosofia stessa. La boria dei dotti si esprime con maggiore evidenza forse proprio nella pretesa di intendere la parola come semplice mezzo per comunicare il pensiero, strumento a sua disposizione. Ma non si dà pensiero che non sia pensato dalle sue stesse parole.

Un pensiero che non riflette su tale "presupposto" non solo sarà un pensiero "sordo alla storia, ai sensi, alla vita sociale" (Gentile), ma neppure sarà in sé teoreticamente fondato. Già il dire "cogito" significa appartenere ad un linguaggio, ad una tradizione, indicare una provenienza, ek-sistere. Ed un "cogito" che non abbia coscienza di ciò non potrà mai fondare una scienza.

Nessuna scienza senza coscienza della propria origine; nessun logos che non sia fenomenologia: storia della sua "materia" e, in uno, sapere che mostra le forme della sua genesi e del suo apparire (la Krisis delle scienze europee non maturerà, per Husserl, proprio su questo stesso terreno? e cioè dall’oblio della co-scienza di sè da parte del progetto scientifico?).

Autentica genealogia. Prima dei filosofi le leggi, prima delle leggi la lingua, prima della lingua la non-lingua. Prima del "sum" che risuona "vittorioso" nell’"io sono-io penso", il sum "astrattissimo", è il "sum" che dice il mangiare, che indica l’alimento che ci sostiene, la "sostanza" che sta sotto, «ne’ talloni, perocché sulle piante de’ piedi l’uomo sussiste; ond’Achille...». Lì, «ne’ talloni», occorrerà perciò pervenire, se non si vuole pensare l’"essere" senza alcun fondamento, se non si vuole fare della filosofia esattamente il contrario di ciò che deve essere: ritorno alla cosa, comprensione dell’effettuale oltre la doxa, l’opinio, il parlare in-cosciente. Il pensare si costituisce così come pensiero dell’origine e la filologia non ne esprime che l’intrinseca, rammemorante dimensione.

Ma il cerchio è lungi, a questo punto, dal chiudersi "virtuosamente"; proprio qui, anzi, viene alla luce tutta la drammatica della "nuova scienza". L’ordine delle idee procedente secondo l’ordine delle cose non giunge ad un fondamento. Il "discendere" alla coscienza dell’origine, che tanta pena comporta, non mette capo a una solida terra su cui poggiare quei nostri "talloni", ma propriamente all’opposto: a un "luogo" appena intendibile e nient’affatto immaginabile. Al toglimento di ogni fondamento.

L’etymon, la radice ultima e vera delle parole, che è oggetto di una "etimologia filosofica" o di una «filologia nata in Platonia» (Warburg), sprofonda oltre ogni filologicamente-filosoficamente accertabile. Si apre un abisso della e nella parola che proprio le "nozze di filologia e filosofia" rivelano: ogni origine "certa" si affaccia all’incertissimo che ne è arché, ogni elemento noto contiene in sé costitutivamente l’ignoto, ogni dimensione definita l’ancora definiendum. Ecco, abbiamo raggiunto coscienza del significato latino di questo termine; ma quale ne è l’etymon? quale l’origine?

Di nuovo, il "descensus" di Vico, a differenza di quello di Enea, non ha termine. E perciò "revocare gradus" gli sarà tanto più penoso. Entrambi, nell’itinerario, compiono straordinarie esperienze, scoprono volti e luoghi; non c’è spazio per accidiose disperazioni; ma l’antico giunge tuttavia "alle madri", mentre il nuovo, il "moderno" alla domanda, la stessa di Goethe: giù, via da ciò che appare ben definito e formato, giù al gioco eterno della metamorfosi - «ma la madre, dove è?». La parola ci inghiotte al suono, al corpo, alle immagini primordiali del suo agire (...), così come l’immagine della milizia rinviava a ferocia, mercatura a avarizia, l’eleganza del cortigiano a ambizione, la monarchia alla barbarie eroica. (...)

Piena coerenza dell’analogia: come l’uomo fa la sua storia senza tuttavia mai poter sapere gli effetti del suo agire, così egli pensa e dice senza mai poter giungere a perfetta co-scienza del "fondo" del suo dire, proprio perché cosciente che tale "fondo" non è linguaggio. L’inopia magna del nostro pre-vedere è l’altra faccia del limite costitutivo della nostra memoria - che perviene al suo ultimo soltanto quando ricorda l’immemorabile.

E sulla soglia dell’immemorabile non stanno gli Zoroastri e gli Orfei, ma «ci rimangono i bestioni» nessun paradiso o età dell’oro, nessun mito edenico; provvida sventura la cacciata da Eden, ma non perché, come per Hegel o Schelling, da quel "momento" abbia inizio la disvelatrice marcia trionfale dello Spirito; solo il corso della storia umana, provvidenzialmente e non progressisticamente, come vedremo, ordinato genera la perdita di ogni paradiso in terra.

La filosofia che si ostina a meditare soltanto «sulla natura umana incivilita» si ritrae atterrita dal thauma, dallo spettacolo meraviglioso-tremendo, della natura umana dalla quale provengono religioni e leggi, ma perché quella natura non sembra dotata di logos - e non è per la filosofia l’uomo quel vivente caratterizzato proprio dall’"arma" del logos? In questa natura, in questa physis, il nascimento più sorgivo, getta invece lo sguardo con cosciente ardimento la "scienza nuova", "armata" dei suoi assiomi e delle tradizioni «lacere e sparte» che la filologia permette di accertare.

Il viaggio nella memoria fino al suo stesso fondo-non-fonda va fatto valere, dunque, come co-scienza della modernità. Nessun culto antiquario dell’Antico, nessuna sedentaria erudizione, e così critica radicale della pretesa auto-referenzialità dell’Io penso, fondamento del moderno sapere. Ma scienza, comunque, avrà da essere, e ciò comporta comprensione e comunicazione della materia che essa raccoglie. Qui la nuova aporia: come potremo conoscere ciò che ci appare così essenzialmente diverso? come potremo comprendere ciò che "i bestioni" avvertono? partecipare a quella, per dirla con Hegel, «ebbrezza del sentire».

Le domande centrali dell’ermeneutica sono tutte palpitanti in Vico. Come avanzare la pretesa di conoscere l’altro? Qui non può essere in gioco una forma "cartesiana" di conoscenza; anzi, orgogliosamente Cartesio inizia affermando la sua assoluta indifferenza, prima ancora che estraneità, ad ogni linguaggio che egli giudichi "straniero". Il sapere della "nuova scienza", un sapere indisgiungibile dal rammemorare (straordinaria "re-invenzione" dell’anamnesis platonica!), dovrà non solo essere indiziario, procedere per tracce, ma anche necessariamente ricorrere alla forza dell’intuizione e della immaginazione.

Che è autentica vis, e non pensiero degradato, sapere dimidiato. La vis imaginativa si sposa all’acribia filologica, all’evidenza delle idee che la metafisica contempla nella Mente divina. La facoltà dell’immaginare, Einbildungskraft, è, possiamo davvero dire, facoltà del giudizio. Non si giudica del passato, dell’altro, senza di essa. Senza con-sentire in qualche modo con la forza della sua fantasia, con la violenza delle sue passioni, sentimenti e affetti, mai potremmo intenderlo. Non si pensa non immaginando.

Come si pensa-in- parole, come non c’è "cogito" se non nella sua espressione linguistica, così non v’è logos che sia astratto da pathos. Ed è per questo che possiamo, nonostante la abissale distanza, nonostante la differenza che ci divide da "ciò" che non è lingua, che non è logos, tuttavia con-sentirlo e intenderne la voce ("prima" voce, o grido o canto, che a sua volta si apre ad un silenzio insondabile: quello cui si è prima accennato, della storia davvero sacra, la generazione del proprio Verbum uni-genitum da Dio-in Dio).

La visione del passato, co-scienza della filosofia, esige filologia e immaginazione. Esso deve perciò trasmettersi anche per immagini. Senza la loro "guida" e senza un profondo con-sentire sarà impossibile condurre la nostra "visita". Ma syn-pathein è possibile, a sua volta, solo se in noi permane l’eco di ciò che andiamo "visitando". Ciò che nel "moderno" è il valore emeneutico del pathos, in quanto capacità di connessione, in quanto organo di una "logica dell’analogia", deve "ricordare" in sé, per poterci permettere di intendere il più profondo passato, l’esperienza che di esso, come del loro presente, compirono gli uomini che lo attraversarono.

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Commenti Articolo 480

Titolo articolo : ATTUALITA' DI GIAMBATTISTA VICO. Un invito a rileggere la "Scienza nuova" (in pdf, scaricabile)   ,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: June/05/2013 - 09:57:44.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/5/2013 17.09
Titolo:LA "BIBBIA" CIVILE RAGIONATA DELLE ITALIANE E DEGLI ITALIANI ....
Salviamo la Costituzione e la Repubblica che è in noi

di Federico La Sala (Libertà - quotidiano di Piacenza, 08.06.2006, p. 35)

Il 60° anniversario della nascita della Repubblica italiana e dell’Assemblea Costituente, l’Avvenire (il giornale dei vescovi della Chiesa cattolico-romana) lo ha commentato con un “editoriale” di Giuseppe Anzani, titolato (molto pertinentemente) “Primato della persona. La repubblica in noi” (02 giugno 2006), in cui si ragiona in particolar modo degli articoli 2 e 3 del Patto dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti.

Salvo qualche ’battuta’ ambigua, come quando si scrive e si sostiene che “il baricentro dell’equilibrio resta il primato della persona umana di cui è matrice la cultura cattolica” - dove non si comprende se si parla della cultura universale, di tutto il genere umano o della cultura che si richiama alla particolare istituzione che si chiama Chiesa ’cattolica’ (un po’ come se si parlasse in nome dell’Italia e qualcuno chiedesse: scusa, ma parli come italiano o come esponente di un partito che si chiama “forza...Italia”!?), - il discorso è tuttavia, per lo più, accettabile...

Premesso questo, si può certamente condividere quanto viene sostenuto, alla fine dell’editoriale, relativamente al “diritto alla vita” (“esso sta in cima al catalogo ’aperto’ dell’articolo 2, sta in cima alla promessa irretrattabile dell’art. 3”) e alla necessità di una responsabile attenzione verso di essa (“Non declini mai la difesa della vita; senza di essa è la Repubblica che declina”).

Ma, detto questo, l’ambiguità immediatamente ritorna e sollecita a riporsi forti interrogativi su che cosa stia sostenendo chi ha scritto quanto ha scritto, e da dove e in nome di Chi parla?!

Parla un uomo che parla, con se stesso e con un altro cittadino o con un’altra cittadina, come un italiano comune (- universale, cattolico) o come un esponente del partito ’comune’ (’universale’, ’cattolico’)?

O, ancora, come un cittadino di un partito che dialoga col cittadino o con la cittadina di un altro partito per discutere e decidere su quali decisioni prendere per meglio seguire l’indicazione della Costituzione, della Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ che ci ha fatti - e invita a volerci! - uomini liberi e donne libere, cittadini-sovrani e cittadine-sovrane?!

Nonostante tante sollecitazioni a sciogliere i nodi e chiarirsi le idee da ogni parte - dentro e fuori le istituzioni cattoliche, c’è ancora molta confusione nel cielo del partito ’cattolico’ italiano: non hanno affatto ben capito né la unità-distinzione tra la “Bibbia civile” e la “Bibbia religiosa”, né tantomeno la radicale differenza che corre tra “Dio” [Amore - Charitas] e “Mammona” [Caro-Prezzo - Caritas] o, che è lo stesso, tra la Legge del Faraone o del Vitello d’oro e la Legge di Mosè!!! E non hanno ancora ben-capito che Repubblica dentro di noi ... non significa affatto Monarchia o Repubblica ’cattolica’ né dentro né fuori di noi, e nemmeno Repubblica delle banane in noi o fuori di noi!!!

Il messaggio del patto costituzionale, come quello del patto eu-angelico ...e della montagna è ben-altro!!! La Costituzione è - ripetiamo: come ha detto e testimoniato con il lavoro di tutto il suo settennato il nostro Presidente, Carlo A. Ciampi - la nostra “Bibbia civile”, la Legge e il Patto di Alleanza dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti (21 cittadine-sovrane presero parte ai lavori dell’Assemblea), e non la ’Legge’ di “mammasantissima” e del “grande fratello” ... che si spaccia per eterno Padre nostro e Sposo della Madre nostra: quale cecità e quanta zoppìa nella testa e nel cuore, e quale offesa nei confronti della nostra Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’- di tutti e tutte noi, e anche dei nostri cari italiani cattolici e delle nostre care italiane cattoliche!!!

Nel 60° Anniversario della nascita della Repubblica italiana, e della Assemblea dei nostri ’Padri e delle nostre ’Madri’ Costituenti, tutti i cittadini e tutte le cittadine di Italia non possono che essere memori, riconoscenti, e orgogliosi e orgogliose di essere cittadine italiane e cittadini italiani, e festeggiare con milioni di voci e con milioni di colori la Repubblica e la Costituzione di Italia, e cercare con tutto il loro cuore, con tutto il loro corpo, e con tutto il loro spirito, di agire in modo che sia per loro stessi e stesse sia per i loro figli e le loro figlie ... l’ “avvenire” sia più bello, degno di esseri umani liberi, giusti, e pacifici! Che l’Amore Charitas dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ illumini sempre il cammino di tutti gli italiani e di tutte le italiane...

Viva la Costituzione, Viva l’Italia!!!

Federico La Sala

DA RICORDARE:

- Alla Costituente, su 556 eletti, 21 erano donne:

- 9 NEL GRUPPO DC, SU 207 MEMBRI - LAURA BIANCHINI, ELISABETTA CONCI, FILOMENA DELLI CASTELLI, MARIA IERVOLINO, MARIA FEDERICI, ANGELA GOTELLI, ANGELA GUIDI CINGOLANI, MARIA NICOTRA, VITTORIA TITOMANLIO;
- 9 NEL GRUPPO PCI, SU 104 MEMBRI - ADELE BEI, NADIA GALLICO SPANO, NILDE IOTTI, TERESA MATTEI, ANGIOLA MINELLA, RITA MONTAGNANA TOGLIATTI, TERESA NOCE LONGO, ELETTRA POLLASTRINI, MARIA MADDALENA ROSSI;
- 2 NEL GRUPPO PSI, SU 115 MEMBRI - BIANCA BIANCHI, ANGELINA MERLIN;
- 1 NEL GRUPPO DELL’UOMO QUALUNQUE: OTTAVIA PENNA BUSCEMI.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/5/2013 09.01
Titolo:PER VICO (E PER NOI), UNA NOTA SU "ERCOLE AL BIVIO"
ERCOLE AL BIVIO

«Il giovane Ercole si trova da tutt’altra parte che a un “bivio” ma, incalzato dai dubbi su quale “via” intraprendere nella vita, si è appartato in un luogo solitario non ben precisato, dove se ne sta in meditabondo raccoglimento. Ecco allora apparirgli due donne dai tratti riconoscibili, “grandi”, vale a dire due figure ultraterrene. L’una, riconosciuta da tutti come Virtù, ha un aspetto sano e nobile, veste di bianco: la pulizia dello stile è il suo unico ornamento, ed essa si avvicina con sguardo modesto e portamento pudico. L’altra, al contrario, conosciuta dagli amici come Felicità, dai nemici come Vizio, ha forme morbide ed esuberanti, truccata, così da sembrare più bianca e più rossa di quanto non sia nella realtà, e con un portamento che dà l’illusione di una figura ben più eretta di quanto non sia: si guarda intorno con occhiate impudiche, mentre le vesti non lesinano la vista delle sue grazie. In due discorsi e in una replica entrambe gli promettono, ciascuna a modo suo, di condurlo alla felicità - l’una mediante il piacere e l’ignavia, vale a dire percorrendo la via “più piacevole e comoda”, l’altra attraverso fatiche e pericoli, e cioè salendo per un sentiero “lungo e difficile”. La decisione di Ercole ci è nota»
- Erwin Panofsky
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Al bivio

di Antonio Gnoli («La Repubblica», 15-01-2011)

Essere a un bivio. Quante volte nella vita ci è accaduto di chiederci che fare. Si tratta di scegliere: dove andare, che decisione accollarsi. Il bivio riveste il carattere dell’ eccezione. Una scelta può cambiarci la vita. Ma non è solo riconducibile a un gesto individuale: gli operai di Mirafiori, il Pd, l’ Europa, il Pianeta, diciamo a volte, sono a un bivio.

Il mondo dell’ antichità mise un personaggio della mitologia, Ercole, davanti a un bivio: dovette scegliere tra la virtù e il vizio. Quel tema passò dalla narrazione del sofista Prodico a una densa e ricca testimonianza pittorica, come dimostra Erwin Panofsky nello straordinario Ercole al bivio (curato ottimamente da Monica Ferrandi, ed. Quodlibet). Nel passaggio dal mondo antico al nostro, il bivio cambia in parte la sua natura. Diciamo si complica.

Ercole sapeva scegliere (e fare) la cosa giusta. Per noi la scelta implica il rischio di sbagliare. Richiede non solo calcolo e azzardo ma anche un diverso modo di intendere la libertà come spiega Sheena Iyengar in The Art of Choosing (ed. Hachette Book). Il Novecento si è spesso interrogato sulla decisione. Attraversoi suoi personaggi, Kafka mostra l’ impossibilità di decidere. Carl Schmitt ne fa la leva della sua concezione politica. E noi? L’ Italia, maestra dell’ arabesco, ha quasi sempre preferito l’ arte del rimando, come dire: è sempre meglio che la decisione la prenda qualcun’ altro.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/5/2013 18.57
Titolo:Prima il corpo, poi la mente. La doppia genesi dell’uomo
Ian Tattersall

“Prima il corpo, poi la mente. La doppia genesi dell’uomo”

di Gabriele Beccaria (La Stampa TuttoScienze, 22.05.2013)

Ian Tattersall è paleo­ antropologo e curatore al Museo di storia naturale di New York


Immaginiamo il nostro cervello come le piume dei dinosauri, prima, e degli uccelli, poi. Non c’era proprio niente di prevedibile in ciò che è diventato e che ora ci troviamo intrappolato nella scatola cranica.

Ci siamo trasformati nei «signori del pianeta» - dice il celebre paleoantropologo Ian Tattersall - dopo una rivoluzione improvvisa e tutt’altro che scontata: è secondo queste due declinazioni che dobbiamo pensare alla nostra specie, se vogliamo credere alle ricerche più recenti, sparse tra l’analisi dei resti fossili e le decifrazioni del Dna. Siamo comparsi 200 mila anni fa, eppure, se tornassimo indietro a quei momenti, faticheremmo a riconoscerci, come se incontrassimo un fratello tonto. Per immedesimarci (e provare un’esplosione liberatoria di empatia) dovremmo aspettare e approdare a tempi recenti.

Solo 60 mila anni fa - spiega il curatore del Museo di storia naturale di New York - siamo diventati pienamente umani. Per decine di migliaia di anni abbiamo continuato a comportarci come gli altri ominidi, per esempio i Neanderthal. Laboriosi, piuttosto socievoli, ma poco ciarlieri e quasi per nulla creativi. Poi, di colpo, siamo diventati gli esseri simbolici che siamo.

Tattersall ha scritto un saggio («I signori del pianeta», edito da Codice) per indagare il mistero. E a Torino, al Salone del Libro, ha tenuto una conferenza per raccontare questo viaggio a ritroso nel tempo e nei neuroni. Gli universi alternativi che rielaboriamo continuamente nella mente - ha spiegato - non sono «la glassa sulla torta», ma «la perlina di zucchero che sta in cima alla ciliegia sopra la glassa».

Una metafora di pasticceria che serve a rimettere in discussione le idee preconcette sulla nostra evoluzione. Che è stata tormentata: invece di un’esplosione lineare di metamorfosi, il sempre citato «albero della vita» equivale a una folla di ominidi diversi, che per milioni di anni si sono succeduti (e spesso hanno convissuto), sperimentando sulla propria pelle, e nel cranio, tanti esperimenti, alcuni imperfetti e altri meglio riusciti.

E infatti ciò che oggi è il cervello è - probabilmente - il risultato di tante proprietà emergenti, frutto di modificazioni e aggiunte, piccole e accidentali, di una struttura che era già pronta (o quasi) a sviluppare il pensiero simbolico. Per molto tempo siamo stati sulla soglia del pensiero vero e proprio, come indecisi, prima di compiere l’ultimo e decisivo passo.

Non è successo per «adaptation», cioè per adattamento, ma - sottolinea Tattersall - per un altro processo, tempestoso, che gli studiosi chiamano «exaptation», exattamento. La spettacolare riorganizzazione dei neuroni, infatti, non è stato un adeguamento puro e semplice, semmai un recupero e una cooptazione.

Ciò che era nato per una certa funzione ha finito per assolverne un’altra, inedita. Esattamente come le piume termoregolatrici dei dinosauri, diventate strumenti per spiccare il volo negli uccelli.

Le cellule nervose, inizialmente ideate per trasformare in astuto cacciatore l’Homo Ergaster, tra 2 milioni e un milione di anni fa, sono servite ai Sapiens di 77 mila anni fa come scintilla intellettuale per intagliare motivi geometrici su una placca d’ocra, rinvenuta nella Grotta di Blombos in Sud Africa: è questo il manufatto più antico che testimonia il raggiungimento di un nuovo mondo simbolico. Mai esistito prima.

Il «silver bullet», così lo chiama Tattersall - l’evento che ha fatto deflagrare tutto - sarebbe stato il linguaggio: «Lo concepiamo sempre come sinonimo di comunicazione. Provate invece a immaginarlo come il portale d’accesso all’io interiore. Si pensa anche con le mani, mentre si fanno le cose». Inventando e manipolando parole. Così abbiamo spalancato la mente, che - ammonisce il paleoantropologo - proprio per la sua doppia genesi, 200 mila e 60 mila anni fa, resta un groviglio irrisolto. Di bene e di male.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/5/2013 18.18
Titolo:PERCHE' VICO RESTA ATTUALE ...
NON C’E’ VERA STORIA SENZA LA FILOSOFIA. MA QUALE FILOSOFIA?!:

L’IDENTITA’ ("TAUTOTES") E IL DESTINO DELL’ITALIA, NELLE MANI DI UN "UOMO PRIVATO" ("IDIOTES") E DEL SUO PARTITO ("FORZA ITALIA")!!! Gloria e destino della Necessità?! Boh?! Bah?!
-http://www.lavocedifiore.org/SPIP/breve.php3?id_breve=376

LA CULTURA AL LAVORO PER LA NUOVA IDENTITA’ ("Tautotes", in greco) ITALIANA: UNA BARA ("Taùto", in greco-napoletano) PER L’ITALIA. Grandi contributi (più che decennali) di filosofi, giuristi, matematici, scrittori ... Appunti per i posteri
-http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=3965

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Idee

Non c’è vera storia senza la filosofia

Perché Vico resta attuale, mentre ogni forma di conoscenza riconosce i propri limiti

di Enanuele Severino*

Oggi si tende a considerare la scienza moderna come la forma più alta di sapere. Ma la scienza stessa riconosce ormai il proprio carattere ipotetico. Anche le scienze storiche lo riconoscono. Anzi, a questa consapevolezza sono giunte prima delle scienze della natura e logico-matematiche. In modo indiretto Giambattista Vico, nel XVIII secolo, ha aperto la strada in questa direzione. «Ci è mancata sinora - scrive - una scienza la quale fosse, insieme, istoria e filosofia dell’umanità». Passa la vita a tracciare la configurazione di questa nuova scienza.

Al di fuori di essa, esiste una «istoria» senza filosofia, cioè, per lui, senza «verità»: una conoscenza storica che mostra sì un immenso cumulo di notizie, ma senza indicare alcuna Legge immutabile, «eterna» che dia loro un senso unitario, e quindi lasciandole allo stato di ipotesi. La «Scienza nuova» deve procedere pertanto «senza veruna ipotesi»: senza le «incertezze» e «dubbiezze» che competono alle scienze storiche sino a che rimangono separate dalla filosofia.

Ma il nostro tempo - e innanzitutto l’essenza (tendenzialmente nascosta) della filosofia del nostro tempo - esclude l’esistenza di una qualsiasi Legge immutabile ed eterna, sì che le scienze storiche si trovano oggi a conservare proprio quel carattere di «incertezza», «dubbiezza», ipoteticità che Vico aveva consapevolmente colto in esse in quanto separate dalla filosofia.

La Scienza nuova è ora ripubblicata da Bompiani nelle tre edizioni del 1725, 1730, 1744, a cura di Manuela Sanna e Vincenzo Vitiello, che inoltre premette al testo un saggio introduttivo di grande ampiezza e profondo impegno speculativo. Il testo è riproposto secondo l’edizione fattane dalla stessa Sanna, da Fulvio Tessitore e Fausto Nicolini, con alcuni restauri per le edizioni del ’30 e del ’44. Un’imponente operazione culturale.

Molto opportunamente, Vitiello inizia il suo saggio al pensiero di Vico mettendo in luce il carattere problematico della conoscenza storica e in generale della nostra memoria. Vico e tutte le successive riflessioni sulla conoscenza storica non mettono però in questione l’esistenza della storia. E nemmeno le scienze naturali mettono in questione l’esistenza della natura. Storia e natura sono cioè trattate come indubitabilmente esistenti: la loro esistenza è considerata una verità incontrovertibile. Ma a chi va affidato il compito di mostrare la verità non ipotetica dell’esistenza del mondo? Che esista il mondo è una conoscenza scientifica - quindi problematica -, oppure è una conoscenza innegabilmente vera, e quindi non scientifica? Né il «senso comune» può farsi avanti con la pretesa di saper lui rispondere: non può avere la pretesa di possedere una conoscenza superiore a quella della scienza.

Affermare che l’esistenza del mondo è una verità innegabile significa affidare alla filosofia il compito di mostrarlo. È sempre stato il suo compito metter tutto in questione e spingersi in vari modi fino al luogo che «non può» esser messo in questione. Da questo punto di vista, non mettendo in questione l’esistenza della storia, lasciandola cioè implicitamente valere come verità innegabile, Vico rimane indietro rispetto al compito essenziale della filosofia. Ma per altro verso egli coglie nel segno intuendo che la filosofia non può, a sua volta, chiudere gli occhi di fronte alla storia, alla natura, al mondo. Proviamo a chiarire quest’ultima affermazione.

Il «senso comune», in cui si trova ognuno di noi da quando nasce, non ha dubbi sull’esistenza del mondo e della ricchezza dei suoi contenuti: vi crede con tutte le sue forze. (Vi crede anche la scienza, anche quando essa si discosta dal senso comune). Ma, appunto, lo crede, ha fede nella sua esistenza, e non può fare a meno di crederlo - così come non può fare a meno di credere che il sole si muova da oriente a occidente anche se la scienza gli dice che è la terra a muoversi attorno al sole, che sta fermo rispetto ad essa.

Ma la fede non è la verità innegabile. La fede mette in manicomio o distrugge chi mostra di dissentire da essa; sebbene faccia questo quando il dissenziente ha meno forza del credente. Sennonché la verità non è una forza o violenza vincente. Quando la filosofia del nostro tempo lo sostiene, lo può sostenere sul fondamento di ciò che per essa è la verità innegabile: l’esistenza del divenire del mondo, cioè del divenire le cui forze sono capaci di travolgere e vincere ogni «verità» che pretenda imporsi su di esse e regolarle. Affermando che la verità innegabile è il divenire del mondo (implicante l’inesistenza di ogni eterno e di ogni immutabile al di sopra di sé), nemmeno la filosofia del nostro tempo lo afferma perché è riuscita a mettere in manicomio o a distruggere chi la pensa diversamente da essa.

In verità, il mondo non è il mondo (storia, natura, lo stesso altro dal mondo) quale appare all’interno della fede nella sua esistenza e nei suoi molteplici contenuti - ossia all’interno della non-verità. Tuttavia è necessario che nella verità appaia la non-verità: innanzitutto perché la verità è negazione della non-verità e per esserne la negazione è necessario che la veda. È necessario cioè che nella verità appaia la fede nel mondo, al cui interno si costituisce ogni altra fede (ad esempio la fede nella storia e nella natura, o la fede religiosa), ossia ogni altra non-verità, ogni altro errare. Ciò significa che, in verità, il mondo è la fede nel mondo e che la non verità della fede nel mondo appartiene necessariamente, come negata, al contenuto della verità.

Quando Vico pensa una «scienza la quale sia insieme istoria e filosofia dell’umanità», non scorge che l’esistenza della storia (e del mondo) è il contenuto di una fede, ma crede che nell’unione di storia e filosofia la storia sia illuminata dalla verità della filosofia e divenga essa stessa verità; e tuttavia egli intuisce che la verità è inseparabile dal proprio opposto, cioè dalla fede, dall’errore.

Quale volto deve avere la verità che si mette autenticamente in rapporto col proprio opposto? Nel capitolo conclusivo della sua introduzione, intitolato «Prospezioni vichiane», Vincenzo Vitiello scrive: «Al presente spetta la cura della "possibilità" del futuro, che non solo, in quanto futuro non è, ma neppure è necessario che sia». Sono d’accordo che questa sia una «prospezione vichiana», un proseguire cioè lungo il sentiero percorso da Vico. Ma aggiungo che questo sentiero è solo un tratto del grande Sentiero aperto dalla filosofia greca e in cui consiste la storia dell’Occidente: il Sentiero per il quale il divenire delle cose (di cui sopra si parlava) è il loro uscire dal nulla del futuro e ritornare nel nulla del passato. E Vitiello sa bene che, servendomi di un’espressione dell’antico Parmenide, lo chiamo «Sentiero della Notte» - dove la «Notte» è l’errare estremo. Quella «prospezione vichiana» raggiunge il proprio culmine e la propria estrema coerenza in ciò che prima ho chiamato essenza (tendenzialmente nascosta) della filosofia del nostro tempo, ossia nella distruzione di ogni Legge e di ogni Essere immutabile ed eterno. Da gran tempo vado mostrando la malattia mortale - l’essenziale non-verità del mondo - che sta al fondamento di quel Sentiero e che impedisce alla verità di essere l’autentica negazione dell’errore, cioè della malattia mortale che, appunto, fa dire a tutti gli abitatori del Pianeta che il futuro e il passato non sono e non è necessario che siano. Ho detto che tutto questo vado mostrandolo «da gran tempo»? Mi son lasciato andare. Rispetto alla grandezza della posta in gioco quel tempo è minimo.

Emanuele Severino

* Corriere della Sera, 4 gennaio 2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/5/2013 12.59
Titolo:SENZA GRAZIA E SENZA VICO, L' "ATEOLOGIA POLITICA" DI R. ESPOSITO ...
Ateologia politica

“Basta con quel pensiero che ci tiene prigionieri”

Intervista a Roberto Esposito che in un libro affronta il rapporto tra religione e potere

Contro una tradizione che ha identificato il debito con una colpa personale

Intervista di Leopoldo Fabiani (la Repubblica, 27.05.2013)

«Tutti i concetti politici sono concetti teologici secolarizzati ». La celebre definizione di Carl Schmitt ha segnato per tutto il Novecento la riflessione filosofica sulla politica. “Teologia politica” è divenuto così un paradigma irrinunciabile per comprendere non solo i rapporti tra potere e religione, tra Stato e chiesa, ma tutta l’evoluzione della civiltà occidentale.

Ma “teologia politica” è anche una “macchina” di pensiero dentro la quale siamo da sempre imprigionati. La “cattura” non riguarda solo le menti ma, nell’era della biopolitica, anche i corpi, per mezzo del debito, figura centrale della “teologia economica”. È arrivato il momento di liberarcene. Questo è il tema dell’ultimo libro di Roberto Esposito, Due. La macchina della teologia politica e il posto del pensiero (Einaudi, 234 pagine, 21 euro) che esce in questi giorni. Un testo che mentre ricostruisce la genealogia di questa categoria concettuale, ne mina allo stesso tempo le fondamenta.

E sostiene che se vogliamo uscirne non si tratta solo di abbandonare una millenaria tradizione di pensiero, ma anche di ritrovare le ragioni profonde del vivere insieme in una collettività.

Professor Esposito, l’idea della fede come “instrumentum regni” è solo funzionale a una ideologia conservatrice o nasconde qualcosa di più profondo?

«L’idea che senza valori religiosi dominanti non si tenga insieme una società non è solo degli “atei devoti” come Giuliano Ferrara. Anche pensatori raffinati come Massimo Cacciari o Mario Tronti credono che il riferimento alle radici teologiche sia decisivo. Ecco dimostrato, se ce ne fosse bisogno, quanto sia persistente e pervasivo questo modo di pensare».

Altri però ritengono che viviamo nell’era della secolarizzazione, del relativismo, della morale “fai da te”.

«Ma questo non significa affatto che ci siamo “liberati”. Categorie come “secolarizzazione”, “disincanto” “ateismo” sono concetti teologici negativi o rovesciati. Esistono solo all’interno di quell’orizzonte che si vorrebbe invece oltrepassare».

Possiamo fare un esempio di qualche concetto “teologico” operante nell’attualità politica di questi giorni?

«Se ne possono fare molti, pensiamo al dibattito recente sul presidenzialismo. Si è sostenuto che siamo una società che non può fare a meno della figura del padre. Ora, l’azione del presidente Napolitano è stata un bene per tutti, ha trovato soluzioni, ha sbloccato una situazione che era arrivata alla paralisi. Sul piano simbolico però c’è qualcosa che non va. Perché la democrazia non deve essere un regime di “figli”, bensì di “fratelli”. Non è vero che abbiamo bisogno di un riferimento superiore, trascendente».

Ma in cosa consiste il meccanismo oppressivo che lei attribuisce alla teologia politica?

«È una tradizione di pensiero che taglia in due le nostre vite. Che tende a realizzare l’unità attraverso l’emarginazione di una delle parti. Che esclude mentre pretende di includere. L’uguaglianza, storicamente, è stata sempre “tagliata”: tra bianchi e neri, uomini e donne. Ecco, l’Occidente che sottomette il resto del mondo, la globalizzazione che impoverisce tante parti di umanità».

Secondo lei è giunto il momento di uscire da questo “dispositivo” che ci ha catturati e impedisce un’autentica libertà di pensiero. Ma come è possibile riuscirci?

«Non è certo un compito facile, al contrario, è difficilissimo. Io credo che la cappa che ci tiene prigionieri e che dobbiamo provare a rompere, sia fondata sul concetto di persona. Più precisamente, sull’idea che il pensiero appartenga al singolo, all’individuo. Dopo Cartesio, ci pare ovvio. Invece occorre tornare a una tradizione che da Aristotele arriva a Bergson e Deleuze, passando per Averroè, Dante e Spinoza. È una catena che risale all’antichità dove il pensiero è visto come un luogo che tutti possiamo attraversare, un patrimonio cui tutti possiamo attingere. Il primo e più importante, si potrebbe dire, dei beni comuni».

Arriviamo alla “teologia economica” dove la parte centrale del suo ragionamento si svolge attorno all’idea di debito.

«Intanto pensiamo all’ironia di definire i debiti degli stati con l’espressione “debito sovrano” (concetto, quello di sovranità eminentemente teologico). Oggi, chiaramente, la sovranità non appartiene più ai singoli stati, ma alla finanza».

Cosa c’è di teologico nel concetto di debito?

«Walter Benjamin definiva il capitalismo “l’unico culto che non purifica ma colpevolizza”. L’origine teologica di questo concetto è chiarissima. Se pensiamo che nella lingua tedesca la stessa parola significa sia debito sia colpa, capiamo molte cose. Comprendiamo perché i tedeschi vivano se stessi come virtuosi e considerino ad esempio i greci non solo indebitati, ma anche colpevoli. Ma oggi, attraverso il debito pubblico, siamo tutti indebitati».

Siamo tutti “prigionieri” del debito?

«Nietzsche diceva che il debito ci ha reso tutti schiavi gli uni degli altri. E non solo in senso simbolico. Il cerchio biopolitico che lega il corpo del debitore al creditore ha origini lontane. L’istituzione romana del “nexum” consegnava il destino della persona indebitata al suo creditore, che ne poteva disporre liberamente, per la vita e per la morte. Il mercante di Venezia di Shakespeare pretende di essere ripagato con una libbra di carne da chi non può farlo col denaro. Ma anche oggi il debito si paga con la vita. Pensiamo agli immigrati che devono ripagare per sempre con il lavoro chi gli ha prestato i soldi per uscire dai loro paesi. Pensiamo ai suicidi per debiti».

Se siamo arrivati a questo punto non è solo frutto della “macchina” teologica, ci sono anche responsabilità più recenti.

«Senza dubbio tutto questo processo è stato agevolato dalla governance liberale, attuata a partire dagli anni di Margaret Thatcher e Ronald Reagan, che non ci ha affatto liberato, anzi. Ha trasformato il welfare in un peso insostenibile, teorizzando il “Lightfare”, lo stato leggero. È l’ideologia dell’“ognuno per sé” che ha portato alla crisi e reso il 99% della popolazione più povera».

Per liberarci come individui, lei sostiene, bisogna agire collettivamente.

«Io credo di sì. Il meccanismo di sviluppo va cambiato, dobbiamo tornare a pensare agli investimenti socialmente utili, non al guadagno personale. In questo ci aiuta il concetto di “communitas”. Che significa avere in comune un “munus”, parola che originariamente significava al tempo stesso debito e dono. Nelle società arcaiche il debito era vissuto come un legame sociale. Essere comunità non significa cercare di sopraffarsi uno con l’altro, ma sentirsi vincolati da un dono di fratellanza ».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/6/2013 12.28
Titolo:SENTIO ERGO SUM. Sulle radici del “Cogito ergo sum”
Quel senso interno che ci dice: “sei vivo"

Il nuovo saggio di Daniel Heller-Roazen sulle radici del “Cogito ergo sum”

di Valerio Magrelli (la Repubblica, 01.06.2013) *

Daniel Heller-Roazen, professore di letteratura comparata a Princeton e traduttore di Giorgio Agamben, è un autore piuttosto eterodosso, o meglio, come è stato affermato da Carlo Ginzburg, “eclettico”. Dopo aver pubblicato Ecolalie, un saggio sull’oblio delle lingue, e Il nemico di tutti, uno studio sulla figura del pirata, Quodlibet propone adesso Il tatto interno. Archeologia di una sensazione.

Il primo titolo, spaziando fra mitologia, psicoanalisi, teologia, linguistica e letteratura (con Ovidio, Dante, Poe, Canetti), partiva da un punto di vista medico. Indagando l’ecolalia, cioè quel «disturbo che consiste nel ripetere involontariamente parole o frasi pronunciate da altre persone», le sue pagine ampliavano il senso di questa patologia, riconducendola alle origini del linguaggio stesso. Così facendo, dischiudeva nuove prospettive sul rapporto fra oralità e scrittura, memoria e l’oblio: «Ogni lingua è l’eco di quella babele infantile la cui cancellazione rende possibile la parola».

Con il secondo volume, la scena cambia radicalmente, passando dalla lallazione del bambino alla predazione del bandito. Qui Heller-Roazen muove da Cicerone, per ricordare che, se esistono nemici con i quali si può negoziare e stabilire una tregua, ne esistono altri con cui i trattati restano lettera morta e la guerra continua senza fine. Si tratta dei pirati, che gli antichi consideravano “i nemici di tutti”.

Il pensiero giuridico e politico ha approfondito questa tema per secoli, ma mai come oggi, afferma l’autore, il pirata costituisce l’immagine dell’avversario universale. Dopo essere stato considerato un personaggio del lontano passato, il nemico di tutti è oggi più vicino a noi di quanto si possa pensare, anzi, forse non è mai stato così vicino. Siamo così al terzo volume, nel quale, tra “paradigma ecolalico” e al “paradigma piratico”, Heller-Roazen cambia ancora una volta paesaggio esperienziale.

Abbandonato l’universo linguistico, accantonata la dimensione bellica, adesso la sua indagine ruota attorno a una facoltà chiamata “senso comune”, e assimilata a una sorta di “tatto interiore, attraverso il quale percepiamo noi stessi”. Anche in questo caso ritroviamo una mescolanza di discipline, una predilezione per la letteratura, un rigore documentativo (cento pagine di note e bibliografia), che devono molto alla lezione di Walter Benjamin.

Cominciando con un racconto di E.T.A. Hoffmann sul celebre gatto Murr e terminando con le ultime scoperte della neurologia, venticinque brevi capitoli passano in rassegna filosofi dell’Antichità, pensatori arabi, ebrei e latini del Medio Evo, Montaigne, Francis Bacon, Locke, Leibniz, Rousseau, Proust, fino agli psichiatri del XIX secolo. Al centro delle indagini sta il confronto fra natura umana e animale, da Crisippo a Plutarco, che all’intelligenza dei cani dedicò un celebre trattato.

Ma scendiamo nel vivo del testo, esaminando il quinto capitolo, arricchito da un sottotitolo che suona: «In cui Aristotele e i suoi antichi commentatori spiegano perché gli animali, lungo tutta la loro vita, non possono mancare di accorgersi di esistere ».

Confrontato con il De anima del sommo filosofo greco, il suo De sensu appare un trattato più modesto. Eppure, gli studiosi novecenteschi sono rimasti colpiti dalla sua somiglianza con la famosa prova cartesiana, tesa a dimostrare come l’essere pensante non possa dubitare della propria esistenza: noi percepiamo sempre noi stessi, noi siamo sempre consci di esistere. Ma qui occorre introdurre una precisazione.

Infatti, a differenza del Cogito ergo sum (“penso dunque sono”) di Cartesio, Aristotele, con il suo Sentio ergo sum (“sento dunque sono”), sposta l’accento dalla sfera razionale a quella percettiva. Inoltre, mentre il primo sostiene la continuità fra specie umana e animali, il secondo vede in queste ultime delle semplici macchine: basti citare l’aneddoto di un suo allievo che prese a calci una cagna incinta, ritenendola appunto nient’altro che un mero congegno organico. Distinguendolo quindi da Cartesio, Heller-Roazen preferisce avvicinare le posizioni di Aristotele al concetto di “continuum” in Leibniz. Tornando all’oggetto di queste esplorazioni, ci si trova dunque ad affrontare la storia della percezione che ogni creatura ha della propria vita.

Secondo Agamben, una simile archeologia della sensazione permetterà di porre un problema su cui filosofi e scienziati non potranno evitare di interrogarsi: qual è il senso col quale, al di qua o al di là della coscienza, sentiamo di esistere? Cosa vuol dire, cioè, sentirsi vivi?

A tale domanda Heller-Roazen risponde analizzando un insieme di fenomeni che giocano un ruolo cruciale proprio nella definizione dell’esistenza animale. Ecco venire allora in primo piano alcuni argomenti sul rapporto che lega il corpo alla mente: sonno e veglia, percezione e anestesia, coscienza e incoscienza. Dopo l’apparizione di gatti e cani, lepri, cozze, granchi, ora è la volta dell’uomo, colto però nei suoi stati più labili e alterati. Quali disturbi avvengono al nostro risveglio? Oppure: cosa accade quando si verifica il fenomeno del cosiddetto “arto fantasma”? Lunga è la storia del nostro “tatto interno”, e questo testo la ricostruisce in maniera tanto rigorosa quanto avvincente.

* IL LIBRO Tatto interno di Daniel Heller-Roazen (Quodlibet trad. di G. Lucchesini pagg. 364 euro 26)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/6/2013 09.57
Titolo:ALLE RADICI DELLA FILOSOFIA DI VICO
Alle radici della filosofia di Vico

di Massimo Cacciari ( La Repubblica - 26/01/2008)

In un volume intitolato "Metafisica e metodo" tornano due opere giovanili con molti temi che resteranno centrali fino alla "Scienza Nuova"
- Un grandioso sforzo di ripensamento del senso dell’Umanesimo
- Un sapere che procede per tracce e ricorre alla forza dell’intuizione e dell’immaginazione

In un grandioso sforzo di ripensamento teoretico del senso dell’Umanesimo, Vico coglie l’accordo con la filologia come dimensione essenziale della filosofia stessa. La boria dei dotti si esprime con maggiore evidenza forse proprio nella pretesa di intendere la parola come semplice mezzo per comunicare il pensiero, strumento a sua disposizione. Ma non si dà pensiero che non sia pensato dalle sue stesse parole.

Un pensiero che non riflette su tale "presupposto" non solo sarà un pensiero "sordo alla storia, ai sensi, alla vita sociale" (Gentile), ma neppure sarà in sé teoreticamente fondato. Già il dire "cogito" significa appartenere ad un linguaggio, ad una tradizione, indicare una provenienza, ek-sistere. Ed un "cogito" che non abbia coscienza di ciò non potrà mai fondare una scienza.

Nessuna scienza senza coscienza della propria origine; nessun logos che non sia fenomenologia: storia della sua "materia" e, in uno, sapere che mostra le forme della sua genesi e del suo apparire (la Krisis delle scienze europee non maturerà, per Husserl, proprio su questo stesso terreno? e cioè dall’oblio della co-scienza di sè da parte del progetto scientifico?).

Autentica genealogia. Prima dei filosofi le leggi, prima delle leggi la lingua, prima della lingua la non-lingua. Prima del "sum" che risuona "vittorioso" nell’"io sono-io penso", il sum "astrattissimo", è il "sum" che dice il mangiare, che indica l’alimento che ci sostiene, la "sostanza" che sta sotto, «ne’ talloni, perocché sulle piante de’ piedi l’uomo sussiste; ond’Achille...». Lì, «ne’ talloni», occorrerà perciò pervenire, se non si vuole pensare l’"essere" senza alcun fondamento, se non si vuole fare della filosofia esattamente il contrario di ciò che deve essere: ritorno alla cosa, comprensione dell’effettuale oltre la doxa, l’opinio, il parlare in-cosciente. Il pensare si costituisce così come pensiero dell’origine e la filologia non ne esprime che l’intrinseca, rammemorante dimensione.

Ma il cerchio è lungi, a questo punto, dal chiudersi "virtuosamente"; proprio qui, anzi, viene alla luce tutta la drammatica della "nuova scienza". L’ordine delle idee procedente secondo l’ordine delle cose non giunge ad un fondamento. Il "discendere" alla coscienza dell’origine, che tanta pena comporta, non mette capo a una solida terra su cui poggiare quei nostri "talloni", ma propriamente all’opposto: a un "luogo" appena intendibile e nient’affatto immaginabile. Al toglimento di ogni fondamento.

L’etymon, la radice ultima e vera delle parole, che è oggetto di una "etimologia filosofica" o di una «filologia nata in Platonia» (Warburg), sprofonda oltre ogni filologicamente-filosoficamente accertabile. Si apre un abisso della e nella parola che proprio le "nozze di filologia e filosofia" rivelano: ogni origine "certa" si affaccia all’incertissimo che ne è arché, ogni elemento noto contiene in sé costitutivamente l’ignoto, ogni dimensione definita l’ancora definiendum. Ecco, abbiamo raggiunto coscienza del significato latino di questo termine; ma quale ne è l’etymon? quale l’origine?

Di nuovo, il "descensus" di Vico, a differenza di quello di Enea, non ha termine. E perciò "revocare gradus" gli sarà tanto più penoso. Entrambi, nell’itinerario, compiono straordinarie esperienze, scoprono volti e luoghi; non c’è spazio per accidiose disperazioni; ma l’antico giunge tuttavia "alle madri", mentre il nuovo, il "moderno" alla domanda, la stessa di Goethe: giù, via da ciò che appare ben definito e formato, giù al gioco eterno della metamorfosi - «ma la madre, dove è?». La parola ci inghiotte al suono, al corpo, alle immagini primordiali del suo agire (...), così come l’immagine della milizia rinviava a ferocia, mercatura a avarizia, l’eleganza del cortigiano a ambizione, la monarchia alla barbarie eroica. (...)

Piena coerenza dell’analogia: come l’uomo fa la sua storia senza tuttavia mai poter sapere gli effetti del suo agire, così egli pensa e dice senza mai poter giungere a perfetta co-scienza del "fondo" del suo dire, proprio perché cosciente che tale "fondo" non è linguaggio. L’inopia magna del nostro pre-vedere è l’altra faccia del limite costitutivo della nostra memoria - che perviene al suo ultimo soltanto quando ricorda l’immemorabile.

E sulla soglia dell’immemorabile non stanno gli Zoroastri e gli Orfei, ma «ci rimangono i bestioni» nessun paradiso o età dell’oro, nessun mito edenico; provvida sventura la cacciata da Eden, ma non perché, come per Hegel o Schelling, da quel "momento" abbia inizio la disvelatrice marcia trionfale dello Spirito; solo il corso della storia umana, provvidenzialmente e non progressisticamente, come vedremo, ordinato genera la perdita di ogni paradiso in terra.

La filosofia che si ostina a meditare soltanto «sulla natura umana incivilita» si ritrae atterrita dal thauma, dallo spettacolo meraviglioso-tremendo, della natura umana dalla quale provengono religioni e leggi, ma perché quella natura non sembra dotata di logos - e non è per la filosofia l’uomo quel vivente caratterizzato proprio dall’"arma" del logos? In questa natura, in questa physis, il nascimento più sorgivo, getta invece lo sguardo con cosciente ardimento la "scienza nuova", "armata" dei suoi assiomi e delle tradizioni «lacere e sparte» che la filologia permette di accertare.

Il viaggio nella memoria fino al suo stesso fondo-non-fonda va fatto valere, dunque, come co-scienza della modernità. Nessun culto antiquario dell’Antico, nessuna sedentaria erudizione, e così critica radicale della pretesa auto-referenzialità dell’Io penso, fondamento del moderno sapere. Ma scienza, comunque, avrà da essere, e ciò comporta comprensione e comunicazione della materia che essa raccoglie. Qui la nuova aporia: come potremo conoscere ciò che ci appare così essenzialmente diverso? come potremo comprendere ciò che "i bestioni" avvertono? partecipare a quella, per dirla con Hegel, «ebbrezza del sentire».

Le domande centrali dell’ermeneutica sono tutte palpitanti in Vico. Come avanzare la pretesa di conoscere l’altro? Qui non può essere in gioco una forma "cartesiana" di conoscenza; anzi, orgogliosamente Cartesio inizia affermando la sua assoluta indifferenza, prima ancora che estraneità, ad ogni linguaggio che egli giudichi "straniero". Il sapere della "nuova scienza", un sapere indisgiungibile dal rammemorare (straordinaria "re-invenzione" dell’anamnesis platonica!), dovrà non solo essere indiziario, procedere per tracce, ma anche necessariamente ricorrere alla forza dell’intuizione e della immaginazione.

Che è autentica vis, e non pensiero degradato, sapere dimidiato. La vis imaginativa si sposa all’acribia filologica, all’evidenza delle idee che la metafisica contempla nella Mente divina. La facoltà dell’immaginare, Einbildungskraft, è, possiamo davvero dire, facoltà del giudizio. Non si giudica del passato, dell’altro, senza di essa. Senza con-sentire in qualche modo con la forza della sua fantasia, con la violenza delle sue passioni, sentimenti e affetti, mai potremmo intenderlo. Non si pensa non immaginando.

Come si pensa-in- parole, come non c’è "cogito" se non nella sua espressione linguistica, così non v’è logos che sia astratto da pathos. Ed è per questo che possiamo, nonostante la abissale distanza, nonostante la differenza che ci divide da "ciò" che non è lingua, che non è logos, tuttavia con-sentirlo e intenderne la voce ("prima" voce, o grido o canto, che a sua volta si apre ad un silenzio insondabile: quello cui si è prima accennato, della storia davvero sacra, la generazione del proprio Verbum uni-genitum da Dio-in Dio).

La visione del passato, co-scienza della filosofia, esige filologia e immaginazione. Esso deve perciò trasmettersi anche per immagini. Senza la loro "guida" e senza un profondo con-sentire sarà impossibile condurre la nostra "visita". Ma syn-pathein è possibile, a sua volta, solo se in noi permane l’eco di ciò che andiamo "visitando". Ciò che nel "moderno" è il valore emeneutico del pathos, in quanto capacità di connessione, in quanto organo di una "logica dell’analogia", deve "ricordare" in sé, per poterci permettere di intendere il più profondo passato, l’esperienza che di esso, come del loro presente, compirono gli uomini che lo attraversarono.

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Titolo articolo : A proposito di Gesù e della Bibbia,di Walter Peruzzi

Ultimo aggiornamento: June/04/2013 - 22:00:11.

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Autore Città Giorno Ora
Ugo Agnoletto Susegana 04/6/2013 22.00
Titolo:ok
completamente d'accordo (mi succede raramente). Sulla Bibbia i cattolici cambiano continuamente opinione, a secondo delle convenienze. Almeno si mettessero d'accordo una volta per tutte. Oppure dicano che ognuno può pensare come vuole, ma questo è appunto un'altra religione che non ha più niente a che fare con il cattolicesimo del papa.

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Titolo articolo :   TUTTI MANGIARONO A SAZIETA’,di p. Alberto Maggi OSM

Ultimo aggiornamento: June/03/2013 - 21:52:30.

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Autore Città Giorno Ora
isabelle charlier varese 03/6/2013 21.52
Titolo:Grazie!
Ogni settimana non manco mai di leggere il commento di p. Maggi. Mi sento fortunata di aver l'occasione di ascoltare tali preziosissimi commenti!

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Titolo articolo : La crisi secondo Papa Francesco,di Tonio Dell'Olio

Ultimo aggiornamento: June/02/2013 - 18:31:30.

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Autore Città Giorno Ora
Ugo Agnoletto Susegana 02/6/2013 18.31
Titolo:per chiarezza
papa Francesco dimentica che il suo predecessore aveva dato l'appoggio a un santerello di nome Mario Monti, icona dell'ipocrisia cattolica, il quale ha ingannato gli italiani e rovinato l'Italia

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Commenti Articolo 484

Titolo articolo : Un dibattito su Dio, Gesù, la Bibbia,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: June/02/2013 - 18:20:21.

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Autore Città Giorno Ora
Renzo Coletti Genova 27/5/2013 08.38
Titolo:
Grazie Giovanni,
un editoriale di quelli che lasciano il segno e faranno riflettere coloro che ancora hanno il bisogno di cercare Dio e se stessi, consapevoli che in fondo sono la stessa cosa.
Non ho le basi culturali per affrontare un argomento di questo genere, ma proprio per questo lo affronto senza schemi mentali e senza inibizioni.
Ho sempre pensato che Dio fosse l'intera umanità, la somma di tutte le parti, che non è il tutto, ma qualcosa che sfugge alla comprensione ed alla ricerca più accurata che la mente può esercitare sia su se stessa, sia sulla struttura che la connette con il resto dell'habitat che la circonda e con cui interagisce.
Vedi caro Giovanni, ho conosciuto un prete intelligente, don Prospero, che affermava che la bestemmia è ad un passo oltre la preghiera, ma allora non avevo capito molto. Ora so che aveva ragione e quando sento che tu citi le canzoni anarchiche, mi viene in mente quella frase.
Chi come me a avuto l'esperienza di entrare in un istituto per ciechi alla giovane etàà di 16 anni, che ha visto in faccia il suo futuro di emarginato, che ha visto svanire le sue illusioni ad una età in cui si crede di possedere il mondo e di poterne godere a piacimento i suoi beni e le sue meraviglie, sa che la bestemmia diventa preghiera e vaga per le stanze e le camerate dei ragazzi assumendo a volte la melodia di una canzone, sì proprio una canzone fatta di bestemmie, di bestemmie ricercate, pensate, studiate e rese quasi poetiche.
E poi sono diventato adulto, padre, ed ho incontrato ancora una volta la bestemmia che vagava come una preghiera infinita e si perdeva nei meandri della mente malata, ma era la mente dei sani che credevano di rinchiudere le malattie mentali tra le mura di un ospedale psichiatrico.
E così ho vissuto i miei ultimi dieci anni di lavoro tra le mura di un ex ospedale psichiatrico, che aveva le caratteristiche dell'istituto per ciechi, aveva le stesse motivazioni per trovare nella bestemmia una forma di preghiera, la stessa che usi tu quando ascolti le canzoni anarchiche e che uso io quando ascolto Guccini o De Andrè. Ognuno di noi ha un modo di essere Dio di se stesso, sa dove ricercare quel valore che sa esistere nel suo profondo, sa dove può trovare la sua pace, la sua forza vitale, la sua vera natura, il suo bisogno di libertà, il suo coraggio, la sua viltà, la sua tenerezza, il suo egoismo, la sua natura selvaggia , la sua rabbia, la sua cattiveria, il suo amore, ma è un percorso che richiede sacrificio, impegno costante, volontà ferrea e la maggior parte della gente rinuncia ancor prima di iniziare, vede la salita, vede la difficoltà e si arrende subito.
Per me non c'è stata scelta, o lottare o soccombere, quindi la lotta è diventata la mia forma di vita.
La chiesa ha il compito di svuotare sul nascere ogni tentativo di ricerca di quel Dio che tu hai visto e che io vedo nell'uomo, la chiesa ha il compito di distruggere la mente e renderla serva del Dio che lei rappresenta, ha l'arroganza di tutti i poteri che vogliono sottomettere e schiavizzare, ha la sete di dominio nel suo dna e noi possiamo solo cantare le canzoni anarchiche, cantare le canzoni fatte di bestemmie, recitare poesie fatte di insutli alla Madonna e Gesù, ma non possiamo modificare la mente malata che secoli di dominio clericale hanno imposto alle masse.
Sarà la scienza, se saprà liberarsi dal giogo del potere, a riportare l'umanità verso un nuovo mito, verso un Dio Universale, verso un Dio che è ricerca continua , sapere senza confini, volontà di conoscenza e libertà da ogni certezza o dogma
ora attendo le tue prossime elugubrazioni, non puoi fermarti quì, sarà interessante scoprire il tuo percorso di fede, la tua strada che ti ha respirato mentre respiravi, ma sarà storia che dovrai vivere alla luce della ragione e la ragione mente sempre, ma restiamo tutti in attesa del tuo prossimo editoriale.
Autore Città Giorno Ora
Ugo Agnoletto Susegana 02/6/2013 18.20
Titolo:a quello che si attrinuiscono l'autorità di saper leggere il vangelo
innanzitutto ritengo che uno crede in quello che vuole credere. Poi io prendo la bibbia per quello che vi è scritto, un libro come gli altri, non ho bisogno di sapere che è ispirato da Dio. Vi si parla di Gesù, ma chi fosse veramente Gesù, nessuno ancora lo sa. Il Gesù storico è quello che corrisponde ai vangeli? E chi può saperlo? E chi può dire: la bibbia va interpretata così? Sono solo le religioni che si attribuiscono questo potere. Come di fatto succede, ogni religione che si rifà a Cristo dice una cosa diversa dagli altri e ognuno pretende di avere ragione. La cosa non mi stupisce perché appunto ognuno crede in quello in cui vuol credere.

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Titolo articolo : DON GALLO, LA CARITA', E PAPA FRANCESCO. «Per lui la Chiesa userà poco inchiostro». Una lettera di don Antonio Mazzi - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: May/30/2013 - 16:58:47.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/5/2013 11.33
Titolo:IL PROFETA DI STRADA (DI MONI OVADIA)
Il profeta di strada, profeta dei nostri tempi

di Moni Ovadia *

Don Andrea Gallo, mio fratello, ci ha lasciato. Io che non credo ma che conoscevo la sua forte fibra e resistenza, pure fino all’ultimo ho sperato che il suo sorriso potesse fare il miracolo. Prete da marciapiede come si è sempre definito, è stato uno dei sacerdoti più noti e più amati del nostro sempre più disastrato Paese. Non solo per me, siamo in centinaia di migliaia di persone che da sempre lo abbiamo sentito come un fratello, una guida, un maestro, un compagno. Ma il «Gallo» è stato prima di tutto e soprattutto un essere umano autentico. Che in yiddish si dice «a mentsch».

La nostra nascita nel mondo come donne e uomini, è un evento deciso da altri anche se la costruzione in noi del capolavoro che è un essere umano autentico, dipende in gran parte dalle nostre scelte. Il tratto saliente di questo percorso, è l’apertura all’altro laddove si manifesta nella sua più intima e lancinante verità ovvero nella sua dimensione di ultimo, sia egli l’oppresso, il relitto, il povero, l’emarginato, il disprezzato, l’escluso, il segregato, il diverso.

L’apertura all’altro, sia chiaro, non si manifesta nel melenso atto caritativo che sazia la falsa coscienza e lascia l’ingiustizia integra e perversamente operante, ma si esprime nella lotta contro le ingiustizie, nell’impegno diuturno per la costruzione di una società di uguaglianza, di giustizia sociale in una vibrante interazione di pensiero e prassi con una prospettiva tanto laicamente rivoluzionaria, quanto spiritualmente evangelica.

Il «Gallo» è stato radicalmente cristiano, sapendo che il messaggio di Gesù è un messaggio rivoluzionario, radicale e non moderato ed è per questo che l’hanno messo in croce, per la destabilizzante radicalità del cammino che indicava. «Beati gli ultimi perché saranno i primi» non è un invito a bearsi in una permanente condizione di minorità per il compiacimento delle classi dominanti, ma è un’incitazione a mettersi in cammino per liberare l’umanità dalla violenza del potere, per redimerla con l’uguaglianza.

La parola ebraica ashrei, tradotta correntemente con beato, si traduce meno proditoriamente con in marcia come propone il grandissimo traduttore delle scritture André Chouraqui.

È questa consapevolezza che ha fatto di don Gallo un profeta e non nell’accezione volgare e stereotipata con cui spesso si vuole sminuire o sbeffeggiare il ruolo di questa figura, ma nel senso più profondo di uomo che ha incarnato la verità dei grandi pensieri ripetutamente e capziosamente pervertiti dai funzionari del potere, siano essi i soloni del regno terreno, siano essi i chierici del cosiddetto regno celeste.

Questa è la ragione per la quale il profeta trasmette la parola del divino e il divino del monoteismo ha eletto come suo popolo lo schiavo e lo straniero, l’esule, lo sbandato, il fuoriuscito, il diverso, il meticcio avventizio perché tali erano gli ebrei e non un popolo etnicamente omogeneo come oggi vorrebbe uno sconcio delirio nazionalista.

Nella sua fondamentale opera «Se non ora adesso» (pubblicata da Chiarelettere) che deve essere letta da chiunque voglia capire le parole illuminate di questo prete da marciapiede, Gallo ci ha ricordato che l’etica è più importante della fede, come il filosofo e grande pensatore dell’ebraismo Emmanuel Lévinas suggerisce nel suo saggio «Amare la Torah più di Dio».

Come già il profeta d’Israele Isaia dichiara con parole infiammate, il Santo Benedetto stesso chiede agli uomini di praticare etica e giustizia perché disprezza la fede vuota e ipocrita dei baciapile:
- «Che mi importa dei vostri sacrifici senza numero. Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso dei giovenchi. Il sangue di tori, di capri e di agnelli Io non lo gradisco...
- Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio, noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità.
- I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un peso, sono stanco di sopportarli.
- Quando stendete le mani, Io allontano gli occhi da voi. -Anche se moltiplicate le preghiere, Io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista.
- Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova».

Il profeta autentico non predice il futuro, non è una vox clamans nel deserto, è l’appassionata coscienza critica di una gente, di una comunità, di un’intera società, ed è questa coscienza che si incide nella prole perché le parole diventino fatti, azioni militanti ad ogni livello della relazione interumana e per riconfluire in parole ancora più gravide di quella coscienza trasformatrice.

Questo è a mio parere il senso che don Gallo attribuisce al Primato della Coscienza espresso mirabilmente nel documento conciliare «Nostra Aetate» uscito dal Concilio Vaticano Secondo voluto da Giovanni XXIII, il «papa buono», ma buono perché giusto.

Con il poderoso strumento della sua coscienza cristiana, antifascista, critica, militante, laica ed evangelicamente rivoluzionaria, il prete cattolico Gallo, è riuscito a confrontarsi con i temi socialmente più urgenti ed eticamente più scabrosi smascherando i moralismi, le rigidità dottrinarie, le ipocrisie che maldestramente travestono le intolleranze per indicare il cammino forte della fragilità umana come via per la liberazione.

Quest’ultima e intima verità dell’uomo, Andrea Gallo la sapeva, la sentiva e la riconosceva nelle parole più impegnative delle scritture perché istituiscono l’umanesimo monoteista ma anche l’umanesimo tout court nella sua dirompente radicalità: «Ama il prossimo tuo come te stesso, ama lo straniero come te stesso, ciò che fai allo straniero lo fai a Me».

La passione per l’uomo, per la vita e per l’accoglienza dell’altro, si sono così coniugate in questo specialissimo uomo di fede con un folgorante humor che dissìpa ogni esemplarità predicatoria per aprire la porta del dialogo fra pari a chiunque voglia entrare, cristiano o mussulmano, ebreo o buddista, credente o ateo.

In don Gallo si è compiuto il miracolo dell’ubiquità: lui è stato radicalmente cristiano e anche irriducibilmente cattolico, ma potrebbe anche essere ricordato come uno tzaddik chassidico, così come è stato un militante antifascista ed un laicissimo libero pensatore.

Per me il Gallo resta un fratello, un amico, una guida certa, un imprescindibile e costante riferimento.

Per me personalmente, la speranza tiene fra le labbra un immancabile sigaro e ha il volto scanzonato di questo prete ribelle.

* il manifesto, 23 maggio 2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/5/2013 21.21
Titolo:PAPA FRANCESCO, LE BANCHE E LA DIFESA DEI POVERI ....
Il Papa, le banche e la difesa dei poveri

di Moni Ovadia (l'Unità, 25 maggio 2013)

Papa Francesco, in una delle ultime esternazioni rivolte ai fedeli che gremiscono piazza San Pietro per ascoltarlo e festeggiarlo, ha scelto di contrapporre le banche, ovvero la grande finanza, ai poveri, il «popolo eletto» della Chiesa Universale.

Il
Corriere della Seraha riportato le sue parole con questo titolo: «La politica si occupa di finanza e banche, non di chi muore di fame».
Il Fatto Quotidiano ha titolato così: «Oggi la tragedia è crisi
delle banche, non gente che muore di fame».

La novità significativa in questo pensiero del Vescovo di Roma, è la scelta di non parlare dei poveri in modo generico e, se vogliamo, neutro, ma di indicarli come priorità in «contrapposizione» alle banche. Papa Francesco punta il dito sullo scandalo del modello di sviluppo dominante.

Chissà se qualche tedoforo delle vocazioni «pacificazioniste», giudicherà le parole e le espressioni preoccupate di Papa Francesco, «divisive » o, peggio, demagogiche. In quest’epoca depressa e mediocre, non si perde occasione per tacciare di demagogia chiunque metta il dito nella piaga.

Eppure è proprio negli ultimi anni segnati dalle vergognose discriminazioni e dalla disperazione sociale che la cosiddetta demagogia sembra essere diventata una scienza. E quando il quadro
demagogico si sovrappone a quello reale, ci si ritrova sospesi sull’orlo del baratro in equilibrio precario.

Oggi chi è in grado di fare uscire il nostro Paese da questo stato di pericolo? Il governo? Un governo nato da uno stallo ricattatorio, con le due forze principali che lo costituiscono tenute insieme solo dalla paura del meno peggio per entrambe?

Il presidente del consiglio dichiara in ogni occasione che il lavoro è la sua priorità, mala priorità del dominus del destino del fragile esecutivo, Silvio Berlusconi, sono i suoi guai giudiziari i cui nodi stanno arrivando al pettine. Anche a prescindere da tutto questo, per rispondere al monito lanciato dal pontefice Bergoglio, ci vuole ben
altro che la fragile espressione di buona volontà di questo o quel politico.

I palliativi utilizzati per sfiammare temporaneamente i picchi patologici della malattia sociale, rischiano solo di procrastinarne e renderne più gravi gli effetti.

Francesco denuncia la perversione del senso, lo strabismo dell’orizzonte che confina la vita reale degli esseri umani in carne ed ossa ed in particolare i più fragili e marginali nell’irrilevanza. È come se la vita reale fosse stata sfrattata dalla vita stessa a causa dell’invasione dello strapotere dell’idolo della virtualità finanziaria. Per uscire da quest’incubo, è necessario impegnarsi a cambiare la cultura del mondo.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/5/2013 08.38
Titolo:DON GALLO E DON PUGLISI (di don Aldo Antonelli)
DIVERSI E UNITI

di don Aldo Antonelli

- Ieri sono stato a Genova per il funerale di don Gallo.
- Ho sudato sulla pelle la sofferenza di due mondi che non si incontrano: uno sfrego su una ferita sanguinante.

- Mentre dentro la chiesa un cardinale, il card, Bagnasco, ingessato nel suo ruolo, balbettava di don Gallo non riuscendo a dire una parola "calda" a gente assetata di vita e affamata di sogni, fuori gli "Out" cantavano a scuarciagola "Bella ciao" e applaudivano. -Ad un certo punto l’applauso di contestazione è entrato dentro la chiesa ed il cardinale è stato costretto ad interrompere la sua fredda e scontata omelia.

- Peccato.
- Occasione persa!
- Tra la gerarchia e la chiesa istituzionale da una parte e la genete sparsa ed i movimenti dall’altra c’è un muro diifficile da abbattere.
- Don Gallo lo ha fatto.
- Lui ha a abbattuto il muro della separazione.

- Don Puglisi, di cui ieri è stata proclamata la beatificazione, ha invece risuscitato le parole morte restituendole alla loro vera funzione di denuncia e svelamento.

- Due sacerdoti, diversi nella testimonianza, uniti dall’amore.

- A noi continuare l’opera.

- Buona domenica

Aldo [don Antonelli]
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/5/2013 20.59
Titolo:Bagnasco, i fischi e la trans. Il miracolo di don Gallo
Bagnasco, i fischi e la trans. Il miracolo di don Gallo

di Gad Lerner (la Repubblica, 26 maggio 2013)

Poteva succedere solo a Genova, città collerica ma giusta. E ci sarebbe voluto Fabrizio De Andrè per raccontare i due minuti in cui la folla dei devoti riunita nella chiesa del Carmine ha zittito il suo porporato arcivescovo per regalare subito dopo un applauso che sembrava un abbraccio al transessuale, succedutogli al medesimo pulpito.

A tutti noi, in quel momento, è parso di sentirla scendere di lassù la risata così familiare del defunto, don Andrea Gallo, disteso nella bara ornata dai paramenti del sacerdozio e da una sciarpa rossa.

Così il cardinale Angelo Bagnasco, che è anche il presidente dei vescovi italiani, il cui giornale Avvenire aveva relegato tra le notizie minori la morte di uno dei preti più amati della penisola, ha dovuto misurare in prima persona quanto aspro possa diventare il contrasto fra le due Chiese in cui sta dividendosi il popolo dei fedeli. Perché ieri, sia detto a suo merito, Bagnasco s’è concesso a una di quelle rarissime occasioni in cui tale confronto non viene eluso ma vissuto pubblicamente. E non ci si venga a dire che i contestatori appartenevano all’area dell’estremismo politico dei NoTav o dei centri sociali, rimasti fuori sulla piazza. Perché dentro al Carmine era riunito il popolo cristiano dell’angiporto che aveva partecipato con commossa devozione alla liturgia, fino a che l’omelia di Bagnasco l’ha spazientito. Dando luogo a uno di quei moti proverbiali dell’animo genovese cui sarebbe impossibile negare rilevanza nazionale.

Dove è inciampato il cardinale Bagnasco? Nel suo riflesso d’ordine che l’ha indotto a edulcorare l’asperità dei contrasti fra la gerarchia e l’altra Chiesa testimoniata da don Gallo, compartecipe delle devianze che insorgono dentro la vita sofferente degli ultimi, e perciò anche prete ribelle.

Col suo discorso scritto Bagnasco stava riducendo don Gallo a quella indubbia appartenenza ecclesiale che però gli era stata fatta pagare duramente. Accettata per fede, certo, ma per fede anche strattonata, con coraggio, lungo la sua intera esistenza. Come la volta che il prete di strada, nel suo candore, aveva ammesso di aver accompagnato una prostituta disperata a interrompere la gravidanza. Come le tante volte in cui la gerarchia aveva tentato di ghettizzarlo lontano dai fedeli.

Non stava dicendo il falso, Angelo Bagnasco, quando ricordava i rapporti affettuosi mantenuti dal cardinale Giuseppe Siri, principe della Chiesa più conservatrice, col sacerdote rosso. Ma lo ha fatto censurando il prezzo fatto pagare a don Gallo dai suoi superiori, e allora dai banchi si sono cominciati a udire dei colpi di tosse - singolare forma di contestazione - fino a che tutto il Carmine s’è messo a tossire. Qualcuno ha gridato «ipocrita », altri mormoravano e uscivano.

Sinché dalla piazza s’è levato il canto “Bella ciao” e in chiesa i fedeli si sono messi ad applaudire tanto a lungo, ostentatamente, da fargli capire che era meglio farla finita lì.

Protetto da Lilli, l’anziana segretaria della Comunità di San Benedetto al Porto - «Ragazzi, basta, se volete bene a Andrea!» - l’arcivescovo ha avuto il buon senso di cedere la parola a Vladimir Luxuria. Che contrasto, quando la chiesa ha acclamato il transessuale che ringraziava don Gallo per la sua evangelica accoglienza. E che sorpresa quando lo stesso Bagnasco ha dato la comunione proprio a Luxuria.

Si sono confrontate due Chiese ieri a Genova. E la Chiesa degli ultimi, impersonata da don Luigi Ciotti, si è premurosamente incaricata di proteggere la Chiesa titolare della dottrina. Inchinandosi a essa, ma non senza accenti burberi: «All’ extra omnes del conclave io e don Gallo rispondiamo con il “dentro tutti”, dentro i gay, dentro le lesbiche, dentro i divorziati».

Il fondatore del Gruppo Abele poteva farsi forza delle parole di Francesco contro «i cristiani da salotto». Perciò si è rivolto con ironia a Bagnasco ricordandoglielo: l’ha detto proprio il nuovo Papa! Prima però aveva rivolto una raccomandazione ai fedeli, a nome di don Gallo: «Se incontrate per la strada qualcuno che sostiene di avere capito tutto, girate al largo!».

Nei giorni scorsi lo stesso giornale cattolico Avvenire che minimizzava l’esperienza di don Gallo, giustamente ha reso onore al magistero di don Pino Puglisi assassinato dai mafiosi e proprio ieri beatificato a Palermo. Ma contrapporre l’uno all’altro questi due preti di strada significherebbe negare una vitalità del cristianesimo reale, vissuto nel mezzo del dolore degli uomini e dell’ingiustizia sociale da cui in larga misura scaturisce, che purtroppo la Chiesa ufficiale sembra vivere con timore.

Ricordo don Gallo a un comizio della Fiom in piazza del Duomo a Milano, quando ebbe l’ispirazione di mettersi a dialogare con la Madonnina raccontandole le ingiustizie subite dalle migliaia di operai là riuniti. Un predicatore formidabile del Vangelo, come in altri tempi fu Davide Maria Turoldo. Indimenticabile resta quella giornata del novembre 1991 in cui l’arcivescovo di Milano, Carlo Maria Martini, sentì il bisogno di chiedere pubblicamente scusa al vecchio, morente frate dei Servi di Maria per i torti che la Chiesa gli aveva inflitto. Turoldo, incredulo, scoppiò a piangere.

Don Gallo non ha ricevuto questo bene. Ieri nella chiesa del Carmine avrebbe meritato un atto di riparazione da parte del suo vescovo. Glielo hanno tributato in vece sua, a migliaia, i portuali, gli operai, le parrocchiane, i tossicodipendenti, i transessuali, le prostitute, i militanti di un nuovo ordine sociale, il sindaco, gli amici. Con quei colpi di tosse e con lacrime di riconoscenza.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/5/2013 09.31
Titolo:QUALE DIO? 3 (Frei Betto)
QUALE DIO? 3

di don Aldo Antonelli


Nel concludere il trittico che tenta di esprimere le fede, la mia fede e di fronte alla titolazione volutamente provocatoria: "QUALE DIO?", e con il punto interrogativo, qualcuno potrebbe dire: "Ma perché, quanti dii ci sono? Dio non è uno e sempre lo stesso?".
No, amici!
Soprettutto nella mente delle persone e nella loro coscienza, di dii ce ne sono a iosa.
E il dio di Begnasco e il dio di don Gallo non è lo stesso.
E il dio dei fascisti e il dio dei sognanti non è lo stesso.
E il dio dei bigotti e il dio degli atei non è lo stesso.
E il dio dei narcisi e il dio dei reietti non è lo stesso.

Ed allora è bene anche che io specifichi quale è il Dio in cui credo.
E faccio mio allora il credo di Frei Betto che qui riporto.

«Credo nel Dio liberato dal Vaticano e da tutte le religioni esistenti e che esisteranno.

Il Dio che è antecedente a tutti i battesimi, pre-esistente ai sacramenti e che và oltre tutte le dottrine religiose. Libero dai teologi, si dirama gratuitamente nel cuore di tutti, credenti e atei, buoni e cattivi, di quelli che si credono salvati e di quelli che si credono figli della perdizione, e anche di quelli che sono indifferenti al mistero di ciò che sarà dopo la morte.

Credo nel Dio che non ha religione, creatore dell’universo, donatore della vita e della fede, presente in pienezza nella natura e nell’essere umano.

Credo nel Dio che si fa sacramento in tutto ciò che cerca, attrae, collega e unisce: l’amore. Tutto l’amore è Dio e Dio è il reale. E trattandosi di Dio, non si tratta dell’assetato che cerca l’acqua ma dell’acqua che cerca l’assetato.

Credo nel Dio che si fa rifrazione nella storia umana e riscatta tutte le vittime di tutti i poteri capaci di far soffrire gli altri.

Credo nel Dio che si nasconde nel rovescio della ragione atea, che osserva l’impegno dei scienziati per decifrare il suo gioco, che si incanta con la liturgia amorosa dei corpi che giocano per ubriacare lo spirito.

Credo nel Dio intangibile all’odio più crudele, alle diatribe esplosive, al cuore disgustoso di quelli che si alimentano con la morte altrui».

(Frei Betto 30 Luglio 2008)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/5/2013 14.23
Titolo:Papa Francesco non ti sei ricordato anche di don Gallo?
Don Puglisi e don Gallo, due pesi due misure

di Elisabetta Reguitti *

Perché Papa Francesco stamattina nel tuo Angelus non ti sei ricordato anche di don Gallo? Le tue parole di condanna contro gli sfruttatori, le mafiose e i mafiosi, contro quanti rendono schiavi donne e uomini di questo tempo mi avevano fatto sperare. Il ricordo di don Puglisi ucciso dalla mafia nel 1993 e da ieri Beato, come un esempio da seguire. Tu stesso visitando la parrocchia romana dei santi Elisabetta e Zaccaria hai sottolineato con la tua autenticità come: “La realtà si capisce meglio dalle periferie” proprio come aveva scelto di fare don Andrea Gallo che così come don Puglisi ha vissuto immerso nella realtà di chi sfrutta con violenza animale ogni debolezza o fragilità umana.

Don Ciotti riferendosi al prete della minuscola chiesa di San Benedetto al Porto ha affermato: “Andrea ha incarnato la Chiesa che non dimentica la dottrina”. E ancora: “Era innamorato di Dio, era innamorato dei poveri e saldava la terra con il cielo. Ha sempre inteso saldare la dimensione spirituale con l’impegno civile”. Proprio come ripeti sempre tu, Papa Francesco: “No ai cristiani da salotto”. Don Gallo era uno di questi, sono certa ti sarebbe piaciuto. Sarebbe stato bello sentirti ricordarlo nella tua preghiera domenicale.

* Il Fatto, 26 maggio 2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/5/2013 13.35
Titolo:DON GALLO, "RESTIAMO UMANI". Testimonianza esclusiva....
Tu sei chi escludi

intervista a don Andrea Gallo

a cura di Fulvio Renzi (il manifesto, 28 maggio 2013)

Testimonianza esclusiva raccolta da Fulvio Renzi il 28 settembre 2012 presso la Comunità San Benedetto al Porto a Genova, durante le riprese di "Restiamo umani"(www.restiamoumani.com), il film della lettura integrale dei 19 capitoli del libro Gaza - Restiamo Umani scritto da Vittorio Arrigoni. La scelta irrinunciabile della non-violenza attiva, la lotta contro tutti gli imperialismi possibili, l’amore incondizionato per l’altro.

«Restiamo Umani»: per me è diventato proprio un motto, vuol dire riconoscere la nazionalità unica di tutti gli esseri umani: noi abbiamo tutti nazionalità umana. Questo è fondamentale. Ormai per me è una specie di deformazione professionale, è la mia prima giaculatoria, come prete cattolico (sai che i preti usano molto le giaculatorie....) Ovunque io vada, e ormai giro l’Italia, e non solo, mi invitano e io incomincio e dico: «Vi dò intanto la mia giaculatoria: Restiamo Umani!».

E ne faccio seguire un’altra, imparata per strada, sostituendo quel vecchio proverbio molto noto, «Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei», con quello che mi è stato suggerito per strada: «Dimmi chi escludi e ti dirò chi sei». Ecco quindi il mio motto, è fondamentale. Se ciascuno di noi riconosce la sua appartenenza a questa umanità, senza nessuna distinzione di razza, di religione, di sesso, superando tutte le discriminazioni, allora diventiamo veramente «uomini» e camminiamo insieme verso l’obiettivo comune di una civiltà che, grazie all’impegno personale, rendiamo a misura d’uomo.

Intanto vorrei fare una piccola premessa: quando io parlo di Vittorio Arrigoni, rivedo la mia storia, perché io a 16 anni, al termine della tragica seconda guerra mondiale, grazie a mio fratello maggiore, tenente del Genio Pontieri, disertore che aveva formato una brigata partigiana, io divento partigiano, cioè entro nella Resistenza. Ti dirò che allora la nostra era una resistenza armata, e approvata addirittura dalle gerarchie cattoliche; ma dopo gli anni ’50 ho incontrato i partigiani della Selva Lacandona, i Sem Terra, le cooperative indiane, in Africa il Burkina Faso, il Frelimo... Tutti han fatto la loro resistenza e io mi inchino... Pensa alla rivoluzione cubana! Ma la svolta epocale - e questo è Vittorio - è la scelta della non violenza. Altrimenti si andrebbe in contraddizione anche con il grande grido «Restiamo Umani».

La scelta della non violenza è la svolta fondamentale dell’umanità, ma una non violenza che vuol dire pacifismo attivo; ripercorrendo le antiche radici dell’uomo, via via nei secoli, ecco che arriva Gesù di Nazareth, arrivano altri profeti, arriva Gandhi... E arriva anche la scelta dell’autentica non violenza.

Il potere ormai è onnipresente, il potere è di per sé crudele, i poteri sono diventati così (crudeli) per difendere il loro modello di sviluppo imperialistico - basato sull’assenza e sulla brama del lucro, quindi le uccisioni, gli esuberi... È chiaro che ormai il potere schiaccia tutti e poi oggi il monopolio dei mass media ha causato una perdita di coscienza, ed ecco che si accentuano le divisioni. E allora qual è l’unico valore,la sola speranza di questo nuovo terzo millennio? È la non violenza. L’umanità stessa. Però dev’essere contagiosa, cioè si deve allargare.

La democrazia è l’unico limite per un sistema economico ancora così - come dire? - da genocidio, che ricorre a tutti i mezzi, comprese le armi, per far prevalere l’imperialismo occidentale (ma il discorso vale anche per altre forme di imperialismo che si potrebbero creare); l’imperialismo si sconfigge con la democrazia partecipata, la partecipazione democratica - e pertanto anche libera, indipendente e pacifica. È un cammino duro, difficile, è un cammino faticoso, ma è questa secondo me la strada.

Qui devo citare il mio Papa Giovanni XXIII, che lascia l’ultima sua lettera del ’63, e dice: «Chi sostiene di portare la democrazia con le armi è pazzo!». Il testo latino dell’enciclica papale dice alienum est a ratione: è pazzo! Quindi la non violenza è proprio guarire da tutte le nostre malattie mentali. È chiaro che per diventare come Vittorio, e come tantissimi altri in tutto il mondo, è necessario, alla greca, una metànoia, cioè bisogna non solo migliorare, approfondire, avere sempre altre motivazioni, no: bisogna tagliare la nostra testa e metterne una nuova... Il termine greco intende proprio questo.

Devo ricordare il mio incontro con i Sem Terra del Brasile. Essi, per sopravvivere, decidono di coltivare gli immensi campi abbandonati dai padroni terrieri, e lo fanno, restando fedeli alla non violenza. Il succo di questo incontro qual è stato? «Vedi Don Gallo, noi in questi anni abbiamo avuto già 3000 morti tra i nostri ragazzi, uccisi dagli squadroni paramilitari» e, qui in questa stanzetta, ho visto brillare gli occhi di questi Sem Terra, orgogliosamente... Sì, era vero. «...almeno 3000 ce ne hanno uccisi, però noi abbiamo già 3000 iscritti alle università brasiliane, il futuro del Brasile!»

Vedi, questa fiducia immensa, come dire, quasi una certezza che la non violenza è l’unica strada per vincere... Cioè praticamente dice: «Il male grida forte e tutti si accorgono della realtà, ma la speranza in un mondo migliore è ancora più forte e proprio attraverso l’umano, donando la propria vita. Perché si rischia...»

Donare la vita: io la chiamerei proprio - se così si può dire - una religione universale, che racchiude tutte le altre, nel senso che a un certo momento uno si alza la mattina, è uscito fuori dalla società dello spettacolo, dove tutto è dovuto e allora nascono nuovi consumismi e garantismi. No! Il pacifista umano si alza la mattina e dice: «Cosa posso fare per gli altri?». A cominciare dalla propria famiglia fino ad allargare lo sguardo al mondo intero.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/5/2013 16.58
Titolo:L’intervento di Lilly le sue parole,ci hanno ricordato chi è stato ed è ancora d...
Quando don Andrea non era ancora don Gallo

di Luca Rolandi

in “Vino Nuovo” (www.vinonuovo.it) del 25 maggio 2013

Don Andrea Gallo ora è partito per il viaggio più lungo, verso quella Meta che ha costruito sulla terra. Penso sia giusto ricordare la sua figura e anima, adesso che naturalmente i riflettori della ribalta mediatica si spegneranno e non avremo più notizia del prete genovese. Ci mancheranno le sue provocazioni di "bene" e ne avvertiremo la mancanza. La sua "fama" di bene e amore, il suo essere segno di contraddizione erano già vive nella comunità ecclesiale e civile genovese e non, ben prima che don Andrea, diventasse il "famoso" don Gallo di Genova. Nell’era della comunicazione ci hanno pensato dalla fine degli anni Ottanta i salotti di Costanzo e Fabio Fazio, i libri e le interviste, una serie di incontri con personaggi importanti del mondo della politica, della cultura e dello spettacolo, che hanno trasformato don Andrea in una "icona".

Ma i primi cinquanta-sessant’anni della sua vita, sono stati fondamentali forse più di quelli più noti. La sua genovesità era un marchio indelebile nel mondo con il quale aveva scelto la strada del sacerdozio, un modo di dire eccomi al vangelo di Gesù Cristo, intenso nella sua radicale dimensione di dono totale all’umanità, che è immagine di Dio. Il fratello Dino, partigiano e memoria storica della Democrazia Cristiana, antifascista e repubblicana, ha avuto grande influenza, soprattutto nella scelta di indirizzarsi verso la formazione salesiana: i giovani, l’oratorio, la strada nelle sua dimensione positiva e anche negativa e pericolosa.

Gli anni della formazione sono decisivi: la Resistenza e la ricostruzione, lo scontro ideologico tra comunisti e cattolici, la miseria e la fame che mordono la città e la popolazione che vive nella zona bassa: i carruggi, le vie strette e scure del centro storico. Gli "ultimi" sono lì: i primi tossicodipendenti, le prostitute, cantate da Fabrizio De Andrè, gli immigrati dell’Italia meridionale, i portuali e i marinai senza fissa dimora.

Il giovane Andrea è attratto dal modello di un cristianesimo radicale, senza retorica e intellettualismi. Don Zeno di Nomadelfia, don Lorenzo Milani, don Primo Mazzolari a loro è debitore. Vive il Concilio Vaticano II nella sua dimensione di ritorno alla radice del cristianesimo: amare il prossimo sempre e comunque. Don Andrea è prete della Chiesa cattolica senza se e senza ma. A modo suo fedele, molte volte in contrasto, obbediente, ma con la schiena dritta.

Andrea Gallo deve all’insegnamento di don Bosco la sua dedizione a vivere a tempo pieno "con" gli ultimi, i poveri, gli emarginati, per sviluppare un metodo educativo che ritroveremo simile all’esperienza di Don Milani, lontano da ogni forma di coercizione e regola definita. Attratto dalla vita salesiana, inizia il noviziato nel 1948 a Varazze, proseguendo poi a Roma il Liceo e gli studi filosofici.

Nel 1953 chiede di partire per le missioni e viene mandato in Brasile a San Paolo dove compie studi teologici: la dittatura che vigeva in Brasile, lo costringe, in un clima per lui insopportabile, a ritornare in Italia l’anno dopo. A Genova è accolto dal cardinale Siri. Con lui sarà sempre un rapporto di amore filiale e contrasto nell’interpretare la visione del messaggio. Per Andrea meno rigido e dottrinale, più misericordioso e aperto a tutti, in particolare i "peccatori".

Prosegue gli studi ad Ivrea ed è ordinato sacerdote il 1 luglio 1959. Il suo amico Baget, giovane compagno partigiano, diventerà sacerdote solo nel 1967, diventando per molti anni uno dei più fedeli collaboratori del cardinale Siri.

Quando a Genova, operano tanti religiosi, preti e suore anonimi, schivi, operatori del bene, in situazioni estreme, ma fecondi nella loro visione evangelica della carità, irrompe la personalità di don Gallo.

Dopo l’allontanamento dalla chiesa del Carmine, negli anni della contestazione forte alle istituzioni ecclesiastiche, con la Comunità di Oregina di don Zerbinati, i giovani che escono dalle associazioni cattoliche tradizionali, la ventata di trasformazione che porta effetti positivi, ma anche derive pericolose e violente, don Gallo riparte dal porto, dalla Comunità di San Benedetto, accolto dal parroco, don Federico Rebora, ed insieme ad un piccolo gruppo nasce la comunità di base.

I confratelli lo guardano sospettosi, qualcuno lo aiuta e lo sostiene, cercando di non dare troppi fastidi al cardinale. Inizia un lavoro sulla strada unico: quanti giovani strappati alla droga, le ragazze e le donne che sono costrette alla prostituzione, per tutti c’è un aiuto. La condivisione di tutto, del pane e dei beni, della vita e della sofferenza è il motto di don Gallo.

Tanti uomini e donne molto lontani nella fede e nel modo di intendere la vita si avvicinano a don Andrea. Istituzioni anche civili e benpensanti non vedono di buon occhio l’azione di don Andrea. I giornali ne parlano con un certo distacco. La messa di condivisione delle 12 nella Parrocchia di San Benedetto al Porto, è un’Eucarestia nella quale al centro c’è il sacrificio di Gesù, impresso nei volti segnati dei compagni di strada di don Andrea. Che però parla con tutti, è tollerante a 360 gradi. La pace prima di tutto, le battaglie contro le armi e per la non violenza, la Mostra Navale Bellica, i missili a Comiso, il G8 del 2001. Le sue sfide sono state sempre estreme. La sua fede salda.

Nonostante le "sbandate" e i richiami e i distinguo di coloro che, comodi nelle tranquille e tragiche sicurezze pensano di poter giudicare, senza agire, senza condividere, gioie e dolori dell’umana miseria umana. In don Andrea la contraddizione era nel quotidiano. L’assurdo del vivere, che premia alcuni a svantaggio di altri, un tarlo che ha consumato il suo pensiero che è quello di Cristo.

Tutti gli uomini sono uguali di fronte a Dio. Ha agito sui fronti "minati" per la dottrina cattolica: diritti, libertà andando contro il magistero, ma senza mai abbandonare la Chiesa, popolo di Dio. A Siri, si succedono i cardinali, Canestri, Tettamanzi, Bertone e Bagnasco, don Gallo c’è sempre, con le sue verità, le mani sporche e le contraddizioni della vita. Poi arrivano le telecamere e le luci dei talk, le interviste e la voglia, anche legittima di emergere non per se stesso, ma per le battaglie ideali promosse. Don Gallo diventa pubblico e noto. Non perde la sua coerenza, ma il rischio della strumentalizzazione è stato sempre presente.

Tutti hanno parlato di don Gallo, fiumi di inchiostro e servizi televisivi, agenzie e web, social network impazziti per lodare o denigrare il prete degli ultimi. Un episodio mi ha colpito e penso di interpretare la sensibilità di molti. Nel corso delle esequie, Lilly, una anziana, malata e forte signora genovese, da quarant’anni custode insieme a don Gallo dei progetti della Comunità di San Benedetto, si è alzata per zittire i fischi partiti nella chiesa del Carmine dai contestatori che non avevano apprezzato alcune espressioni del cardinale Bagnasco. L’intervento di Lilly le sue parole, più d’ogni altra analisi ci hanno ricordato chi è stato ed è ancora don Andrea Gallo.

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Commenti Articolo 486

Titolo articolo : DOPO DON MILANI E DOPO BOLOGNA: LA LIBERTA' E LA GIUSTIZIA EDUCATIVA, (ANCORA)  ALL'OMBRA  DELLA CARITA' "POMPOSA! Una riflessione di Fulvio De Giorgi - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: May/30/2013 - 16:34:16.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/5/2013 16.34
Titolo:ROMA. la santa alleanza tra Curia e Alemanno....
No al laicista Marino, la santa alleanza tra Alemanno e Curia

I cardinali Vallini e Fisichella offrono aiuti e consigli al sindaco: incontro negato al chirurgo Pd

di Carlo Tecce (il Fatto, 30.05.2013)

Se vuoi un miracolo, terreno, non puoi che bussare in Vaticano. E il privilegio di cui gode Gianni Alemanno, il sindaco uscente, non è poco rilevante: non deve bussare ai portoni santi perché quei portoni, già aperti per il primo turno, sono spalancati per il ballottaggio con Ignazio Marino, cattolico adulto, troppo per essere un interlocutore affidabile.

NON È UN MISTERO, e di trasparenze spesse il Vaticano si ammanta, che Alemanno (giorni fa) abbia incontrato il cardinale Agostino Vallini, plenipotenziario per la diocesi di Roma e monsignor Rino Fisichella, presidente del Consiglio pontificio per la nuova evangelizzazione: strategie, consigli, rassicurazioni.

E non stupisce che la stessa Santa Sede, che osserva con tensione e timore la caduta di Alemanno, abbia rifiutato qualsiasi contatto con il chirurgo, qualsiasi colloquio, seppur diplomatico e formale, che il candidato democratico ha chiesto nelle scorse settimane. In questi dieci giorni abbondanti che separano la capitale dal prossimo sindaco, il Vaticano è mobilitato, non sono rassegnati, non sono schiacciati dal peso di una rimonta numericamente improbabile, se non proprio impossibile: 12 punti di distacco, il doppio rispetto al primo turno con Rutelli di cinque anni fa, ma Alemanno ci crede, “ce la faremo”. Un aiuto santo può servire: “Non possiamo consentire la vittoria di Marino, un uomo che vuole secolarizzare la società italiana. Le parrocchie, i sacerdoti e persino le suore sono chiamate a svolgere un ruolo di protezione”, dicono con enfasi dentro le mura leonine.

Marino ha cominciato la compagna elettorale con quel tratto laico, e non laicista, di un medico che si definisce un cattolico praticante. Ha promesso il testamento biologico e le unioni civili, temi che fanno inorridire la curia romana: voleva rimarcare i suoi principi, quasi rompere la tradizione che spinge il Campidoglio verso il Vaticano per cancellarne le distanze. I sondaggi (e il pragmatismo) hanno persuaso Marino: meglio dare segnali distensivi, meglio allargare i confini. Si è concesso persino un saluto in udienza pubblica con papa Francesco.

E COSÌ, mentre Alemanno reggeva lo striscione durante la “Marcia per la vita”, il chirurgo ha smussato, precisato, finanche emanato segnali di comprensione e vicinanza al movimento ultracattolico: “Non partecipo perché non voglio strumentalizzare politicamente un’iniziativa giusta. Io sono per la difesa della vita in ogni suo stadio, ma non si può prendere parte alla marcia solo perché le elezioni comunali sono vicine.

L’impegno deve essere quotidiano e lontano dai riflettori mediatici”. Non è bastato, però, per il candidato che vuole condizionare, parole sue, “il governo nazionale istituendo un registro per le coppie omosessuali”. I collaboratori di Alemanno, per agire in simbiosi e sincrono con la Chiesa, preparano l’offensiva: cartelloni e manifesti per dire che soltanto Gianni da Bari può garantire la famiglia tradizionale.

Il sindaco ha recuperato le varie incomprensioni con il cardinale Vallini e, caso più unico che raro, riesce a mettere insieme, fra i suoi grandi elettori, anche Tarcisio Bertone, il segretario di Stato e monsignor Georg Ganswein, assistente personale di Benedetto XVI e asse portante fra il papa emerito e papa Francesco. L’arcivescovo Rino Fisichella, che conosce la politica e ne espiava i peccati quando era cappellano di Montecitorio, fa da raccordo fra il Campidoglio e il Vaticano, fra Alemanno e i curiali. Per riconoscenza e ammirazione, il sindaco di Roma - unico amministratore assieme al collega di Brescia, Adriano Paroli - lo scorso gennaio è andato in pellegrinaggio in Terra Santa proprio con Fisichella.

LA CONFERENZA episcopale, attraverso il quotidiano Avvenire, non ha coperto le sue posizioni: Marino significa pericolo. L’ex ministro nel governo di Berlusconi, discepolo non fedelissimo di Gianfranco Fini, ha piazzato capolista l’ex assessore per la famiglia, Gianluigi De Palo, politico di origine ruiniana, nel senso del cardinale Camillo Ruini e del suo metodo pratico di affrontare le istituzioni. Né Ignazio Marino né Alfio Marchini hanno ricevuto ospitalità dal Vaticano e pensare che Alemanno, per il funerale di Pino Rauti (suocero) ha convocato a Roma Giovanni D’Ercole, vescovo ausiliare a L’Aquila. D’Ercole, fra i saluti romani, si è dovuto giustificare: “Sono qui per amicizia con Gianni”.

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Commenti Articolo 488

Titolo articolo : PAPA FRANCESCO E IL DIO DELLA CARITA' ("DEUS CHARITAS"). La porta e la chiave. Una riflessione di Piero Stefani - con note  ,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: May/29/2013 - 14:05:41.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/5/2013 06.35
Titolo:PAPA FRANCESCO CLONE DEL PREDECESSORE?
Clone del predecessore?

di Klaus Nientiedt

- in “www.konradsblatt-online.de” del 28 maggio 2013
- (traduzione: www.finesettimana.org)

Alcuni osservatori dell’attualità ecclesiale si preoccupano molto in questo momento di chiarire che tra papa Benedetto e papa Francesco non c’è la minima differenza. Con questo si vuol dire che sarebbe irrealistico presumere di poter sperare, con papa Francesco, in progetti di riforma che non erano fattibili con Benedetto.

Che ora con Francesco si realizzi tutto ciò che sotto Benedetto non è stato realizzato, è una speranza effettivamente irrealistica e decisamente anche lontana dall’ecclesialità. Ma bisogna proprio sostenere che tra Benedetto e Francesco non ci sia la minima differenza, in altri termini: che il nuovo papa faccia e pensi tutto esattissimamente come il predecessore? Ma che immagine di Chiesa e di papato sta dunque dietro a questa idea?

Anche a prescindere dal fatto che Francesco ha già posto una serie di segni con cui si è assolutamente distinto dal predecessore, sarebbe forse giusto attendersi una totale uguaglianza tra i vescovi di Roma?

Ma veramente alcuni pensano che la Chiesa cattolica possa garantire la sua unità solo tramite il fatto che in un certo senso un papa sia il clone del suo predecessore? Sarebbe un’immagine di Chiesa lontana dalla realtà. In passato non è stato così - e perché mai dovrebbe essere così oggi?

Prendiamo ad esempio Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Per quanto queste due persone possano essere state vicine - tra le due c’era ben più di una “minima” differenza. Dichiarare la messa tridentina rito straordinario della messa romana era qualcosa da non farsi con Giovanni Paolo II. Si possono anche citare le differenze di opinione tra Giovanni Paolo II e il cardinale Joseph Ratzinger a proposito dell’incontro di Assisi. O anche sul diverso atteggiamento rispetto alle richieste di perdono di papa Wojtyla nel 2000.

L’idea che tra due papi non ci debba essere la minima differenza mi pare un po’ infantile. C’è solo da sperare che non si stia prima di tutto attenti a che non avvenga mai nulla di diverso rispetto a quanto voleva il predecessore del papa in carica. Altrimenti come sarebbe possibile qualsiasi sviluppo?
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/5/2013 14.05
Titolo:"Anche il Papa e la chiesa hanno peccati e imperfezioni". Papa Bergoglio ...
Papa: "Anche io e Chiesa abbiamo peccati,
ma Dio è misericordioso e perdona sempre"


Sotto una pioggia battente e senza nessun riparo, Bergoglio ha percorso Piazza San Pietro a bpordo della jeep scoperta per salutare i fedeli che lo attendevano per l'Udienza generale: "Non abbiate paura di essere genitori"


CITTA' DEL VATICANO - "Anche il Papa e la chiesa hanno peccati e imperfezioni". Papa Bergoglio, sfidando la pioggia battente che anche oggi cade sulla Capitale, così ha parlato ai 90mila fedeli riuniti in Piazza San Pietro per l'Udienza generale del mercoledì. "Alcuni dicono- continua Bergoglio - : 'Cristo sì, la Chiesa no', ovvero: 'credo in Dio ma non nei preti'. Ma la Chiesa è la grande famiglia dei figli di Dio e ha anche aspetti umani, ci sono nei suoi membri imperfezioni, peccati. Anche il Papa ne ha, e ne ha tanti". "Ma il bello - ha detto ancora il Pontefice - è che quando ci accorgiamo di essere peccatori, allora troviamo la misericordia di Dio. Dio sempre perdona".

"Amate la Chiesa cari fratelli e sorelle - ha esortato rivolto ai pellegrini di lingua francese -, essa è l'opera di Dio". "Quando leggiamo i Vangeli, vediamo che Gesù raduna intorno a sè una piccola comunità che accoglie la sua parola, lo segue, condivide il suo cammino, diventa la sua famiglia, e con questa comunità Egli prepara e costruisce la sua Chiesa", ha detto ancora il Pontefice ricordando che "la Chiesa è famiglia in cui si ama e si è amati". "Domandiamoci oggi: quanto amo io la Chiesa? Prego per lei? Mi sento parte della famiglia della Chiesa? Che cosa faccio perché sia una comunità in cui ognuno si senta accolto e compreso, senta la misericordia e l'amore di Dio che rinnova la vita?", ha suggerito. "La fede - ha poi concluso - è un dono e un atto che ci riguarda personalmente, ma Dio ci chiama a vivere insieme la nostra fede, come famiglia, come Chiesa".

"Non abbiate paura di essere genitori". "La paternità è un dono di Dio e una grande responsabilità per dare una nuova vita, la quale è un'irripetibile immagine di Dio. Non abbiate paura di essere genitori. Molti di voi certamente diventeranno padri!", ha aggiunto Papa Francesco, rivolgendosi ai giovani presenti oggi all'Udienza generale. "Siate anche aperti alla paternità spirituale, un grande tesoro della nostra fede. Dio vi doni la ricchezza e la irradiazione della sua paternità e vi colmi della sua gioia", ha chiesto loro. "Ricordate - ha aggiunto - che Dio è padre di ciascuno di noi. È modello di ogni paternità, anche di quella terrena. Non dimenticate di rendere grazie a Dio per il vostro genitore". "Ciascuno di noi - ha detto ancora - deve tanto al padre eterno che ci ha trasmesso la vita".

"Dio dà quello che chiediamo, ma a modo divino". Bergogno ha ricordato, durante la messa a Santa Marta, che "il Signore sempre ci dà quello che chiediamo, ma al suo modo divino". "Io ricordo una volta, - ha raccontato Francesco - ero in un momento buio della mia vita spirituale e chiedevo una grazia dal signore. Poi sono andato a predicare gli esercizi alle suore e l'ultimo giorno si confessano. È venuta a confessarsi una suora anziana, più di 80 anni, ma con gli occhi chiari, proprio luminosi: era una donna di Dio. Poi alla fine l'ho vista tanto donna di Dio che le ho detto: 'Ma suora, come penitenza preghi per me, perché ho bisogno di una grazia, eh? Se lei la chiede al Signore, me la darà sicurò. Lei si è fermata un attimo, come se pregasse, e mi ha detto questo: 'Sicuro che il signore le darà la grazia ma, non si sbagli: al suo modo divino'. Questo mi ha fatto tanto bene. Sentire che il Signore sempre ci dà quello che chiediamo, ma al suo modo divino. E il modo divino è questo fino alla fine". "Il modo divino - ha spiegato Francesco - coinvolge la croce, non per masochismo: no, no! Per amore. Per amore fino alla fine".

Il tweet. "La Chiesa nasce dal gesto supremo di amore della Croce, dal costato aperto di Gesù. La Chiesa è una famiglia in cui si ama e si è amati", è il nuovo tweet di Papa Francesco

* LA REPUBBLICA, 29 maggio 2013

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Commenti Articolo 491

Titolo articolo : IL PORCELLUM IL MALE MAGGIORE - IL VOTO DI PREFERENZA, PER FAVORE,di Agostino Spataro

Ultimo aggiornamento: May/26/2013 - 23:07:51.

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Autore Città Giorno Ora
domenico stimolo catania 26/5/2013 23.07
Titolo:
Per oltre 45 anni la democrazia in Italia sull’uso del voto è stata elementare, per come si addice alla democrazia. Voto con il proporzionale e con preferenza, per tutti i livelli nella gerarchia competitiva (specificità dell’ambito territoriale). Semplice e trasparente.
Poi, sono arrivate le “menti fini”. I contorsionisti dell’equilibrismo….ad uso e consumo. Risultato: ormai tutte le tecniche operative del voto sono differenziate, tra di loro. Circoscrizionali, comunali, provinciali, regionali, camera, senato, europee.
Preferenza sì, e poi no. Maggioranze nazionali, camera, che esistono solo in virtù di enormi regali, frutto della più bizzarra ed infausta fantasia. Al senato, vale la regione.
Per chi si allea vale una soglia, per gli altri, singoli, il metro si espande a dismisura.
In alcuni ambiti solo il primo turno, per altri, più che la singola tornata vale la doppia.
In più c’è la bellezza del voto unico o del voto disgiunto. Si veda le comunali. La scelta del sindaco si accavalla e si separa rispetto ai partiti.
La nostra democrazia di voto è diventata un vero e proprio casino…..secondi i gusti di questi o di quelli.
Poi, come nel caso di Roma, dato che ormai tutti…. gli amici degli amici, diretti ed indiretti, presentano lista, giusto per allegro gioco, la scheda si allunga…..arriva a un metro e quaranta. La cabina, però, è sempre la stessa, e non permette la stiratura completa.
I cittadini sono diventate cavie degli esperimenti di laboratorio degli “scienziati pazzi”. Si incazzano e non vanno più a votare.
I Padri costituenti si rivoltano nelle tombe, ma non frega proprio a nessuno…..dei “soloni” manovratori.
E poi, tutti i ciarlanti di turno, che con il loro continuo chiacchiericcio si mantengono lauto soldo, dicono che la nostra democrazia è in crisi.

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Titolo articolo : GIAMBATTISTA VICO, LA STORIA E LA FILOSOFIA. Un intervento di Emanuele Severino - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: May/26/2013 - 08:58:30.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/5/2013 11.21
Titolo:VICO ( DON GALLO E DON MAZZI ) E LA "LEGGE ETERNA".....
IL NOME DI DIO: AMORE GRATUITO ("CHARITAS") O MAMMONA ("CARITAS")?! LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita (nemmeno papa Francesco) la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!

DON GALLO, LA CARITA', E PAPA FRANCESCO. Una lettera di don Antonio Mazzi
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«Per lui la Chiesa userà poco inchiostro»

di Antonio Mazzi (Corriere della Sera, 24 maggio 2013)

Caro direttore,

si è consumato anche il cuore di don Gallo. Uno alla volta ce ne stiamo andando senza chiasso e senza gloria. Dico «stiamo andando» perché, nel bene e nel male, faccio parte anch’io di quei pochi preti stimati più dai laici che dai cattolici. Le loro disobbedienze, il loro fuori «testo» hanno pesato e pesano molto di più dei rischi apostolici, delle appassionate e squilibrate scelte di campo per la difesa scriteriata degli ultimi e dei perdenti.

Noi siamo nati per camminare con Caino, per aspettare sull’uscio di casa il figliol prodigo, per cercare giorno e notte la pecorella smarrita. Noi siamo diventati grandi supplicando il Dio, del settanta volte sette, di lasciare qualche mese di ferie anche a Giuda. Esiste una categoria di persone che, se giudicate con il codice, con il testo dei comandamenti, non avranno mai speranza e collocazione dignitosa. Al massimo, secondo alcuni studiosi, moralisti, sociologi, meriterebbero l’alternativa al carcere e qualche programmino in comunità.

Tanti parleranno di lui perché, negli ultimi tempi, sono uscite biografie dell’uomo con il cappello e il sigaro. Il mondo ecclesiastico consumerà poco inchiostro. Per i funerali, come accade sempre, l’epigrafe sarà generosa.

Il papa Francesco diceva, qualche settimana fa, che vorrebbe un clero «con gli odori del gregge». Don Gallo questo odore lo spargeva in abbondanza, incurante di coloro che avevano rancurato (l’odore) e furbescamente raccolto in micro boccette «di elisir di pecora». Se lo spargevano (e se lo spargono) nei momenti giusti, nelle quantità giuste e nei luoghi adatti. La «tenuta» di questi profumi è sempre meno apprezzata e meno frequente. Aumentano invece, con abbondanza, i paludamenti da sinedrio, i discorsi da accademici e le analisi bibliche raffinate. Tanti sono i preti dispersi nelle università romane e rintanati nelle curie, nelle biblioteche e santuari. Questi preti la gente li capisce di più.

I don Gallo, invece, forse, verranno riconosciuti post mortem . Quando i ragionamenti scompariranno e riaffioreranno, invece, gli episodi eroici e profetici, carichi di altruismo, gratuità totale, misericordia radicale, tutto sarà più chiaro ed evangelico. Il cuore è un luogo senza regole, senza confini.

Il cuore osserva un solo comandamento: ama gli altri come te stesso, con la stessa «quantità» di amore con cui ama Dio. L’ha detto Cristo, l’ha detto Paolo, l’ha detto Francesco, l’ha detto Agostino. L’amore non fa peccati! Per don Gallo la paternità era legge, la parolaccia era carezza, la fede carnale, la speranza era Politica. Addio cappello sciupato: addio sigaro mai spento, addio parolaccia che affettava, come una lama affilatissima, l’egoismo, la borghesia e l’ipocrisia.

don Antonio Mazzi
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/5/2013 11.35
Titolo:Il profeta di strada, profeta dei nostri tempi ...
Il profeta di strada, profeta dei nostri tempi

di Moni Ovadia *

Don Andrea Gallo, mio fratello, ci ha lasciato. Io che non credo ma che conoscevo la sua forte fibra e resistenza, pure fino all’ultimo ho sperato che il suo sorriso potesse fare il miracolo. Prete da marciapiede come si è sempre definito, è stato uno dei sacerdoti più noti e più amati del nostro sempre più disastrato Paese. Non solo per me, siamo in centinaia di migliaia di persone che da sempre lo abbiamo sentito come un fratello, una guida, un maestro, un compagno. Ma il «Gallo» è stato prima di tutto e soprattutto un essere umano autentico. Che in yiddish si dice «a mentsch».

La nostra nascita nel mondo come donne e uomini, è un evento deciso da altri anche se la costruzione in noi del capolavoro che è un essere umano autentico, dipende in gran parte dalle nostre scelte. Il tratto saliente di questo percorso, è l’apertura all’altro laddove si manifesta nella sua più intima e lancinante verità ovvero nella sua dimensione di ultimo, sia egli l’oppresso, il relitto, il povero, l’emarginato, il disprezzato, l’escluso, il segregato, il diverso.

L’apertura all’altro, sia chiaro, non si manifesta nel melenso atto caritativo che sazia la falsa coscienza e lascia l’ingiustizia integra e perversamente operante, ma si esprime nella lotta contro le ingiustizie, nell’impegno diuturno per la costruzione di una società di uguaglianza, di giustizia sociale in una vibrante interazione di pensiero e prassi con una prospettiva tanto laicamente rivoluzionaria, quanto spiritualmente evangelica.

Il «Gallo» è stato radicalmente cristiano, sapendo che il messaggio di Gesù è un messaggio rivoluzionario, radicale e non moderato ed è per questo che l’hanno messo in croce, per la destabilizzante radicalità del cammino che indicava. «Beati gli ultimi perché saranno i primi» non è un invito a bearsi in una permanente condizione di minorità per il compiacimento delle classi dominanti, ma è un’incitazione a mettersi in cammino per liberare l’umanità dalla violenza del potere, per redimerla con l’uguaglianza.

La parola ebraica ashrei, tradotta correntemente con beato, si traduce meno proditoriamente con in marcia come propone il grandissimo traduttore delle scritture André Chouraqui.

È questa consapevolezza che ha fatto di don Gallo un profeta e non nell’accezione volgare e stereotipata con cui spesso si vuole sminuire o sbeffeggiare il ruolo di questa figura, ma nel senso più profondo di uomo che ha incarnato la verità dei grandi pensieri ripetutamente e capziosamente pervertiti dai funzionari del potere, siano essi i soloni del regno terreno, siano essi i chierici del cosiddetto regno celeste.

Questa è la ragione per la quale il profeta trasmette la parola del divino e il divino del monoteismo ha eletto come suo popolo lo schiavo e lo straniero, l’esule, lo sbandato, il fuoriuscito, il diverso, il meticcio avventizio perché tali erano gli ebrei e non un popolo etnicamente omogeneo come oggi vorrebbe uno sconcio delirio nazionalista.

Nella sua fondamentale opera «Se non ora adesso» (pubblicata da Chiarelettere) che deve essere letta da chiunque voglia capire le parole illuminate di questo prete da marciapiede, Gallo ci ha ricordato che l’etica è più importante della fede, come il filosofo e grande pensatore dell’ebraismo Emmanuel Lévinas suggerisce nel suo saggio «Amare la Torah più di Dio».

Come già il profeta d’Israele Isaia dichiara con parole infiammate, il Santo Benedetto stesso chiede agli uomini di praticare etica e giustizia perché disprezza la fede vuota e ipocrita dei baciapile:
- «Che mi importa dei vostri sacrifici senza numero. Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso dei giovenchi. Il sangue di tori, di capri e di agnelli Io non lo gradisco...
- Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio, noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità.
- I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un peso, sono stanco di sopportarli.
- Quando stendete le mani, Io allontano gli occhi da voi. -Anche se moltiplicate le preghiere, Io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista.
- Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova».

Il profeta autentico non predice il futuro, non è una vox clamans nel deserto, è l’appassionata coscienza critica di una gente, di una comunità, di un’intera società, ed è questa coscienza che si incide nella prole perché le parole diventino fatti, azioni militanti ad ogni livello della relazione interumana e per riconfluire in parole ancora più gravide di quella coscienza trasformatrice.

Questo è a mio parere il senso che don Gallo attribuisce al Primato della Coscienza espresso mirabilmente nel documento conciliare «Nostra Aetate» uscito dal Concilio Vaticano Secondo voluto da Giovanni XXIII, il «papa buono», ma buono perché giusto.

Con il poderoso strumento della sua coscienza cristiana, antifascista, critica, militante, laica ed evangelicamente rivoluzionaria, il prete cattolico Gallo, è riuscito a confrontarsi con i temi socialmente più urgenti ed eticamente più scabrosi smascherando i moralismi, le rigidità dottrinarie, le ipocrisie che maldestramente travestono le intolleranze per indicare il cammino forte della fragilità umana come via per la liberazione.

Quest’ultima e intima verità dell’uomo, Andrea Gallo la sapeva, la sentiva e la riconosceva nelle parole più impegnative delle scritture perché istituiscono l’umanesimo monoteista ma anche l’umanesimo tout court nella sua dirompente radicalità: «Ama il prossimo tuo come te stesso, ama lo straniero come te stesso, ciò che fai allo straniero lo fai a Me».

La passione per l’uomo, per la vita e per l’accoglienza dell’altro, si sono così coniugate in questo specialissimo uomo di fede con un folgorante humor che dissìpa ogni esemplarità predicatoria per aprire la porta del dialogo fra pari a chiunque voglia entrare, cristiano o mussulmano, ebreo o buddista, credente o ateo.

In don Gallo si è compiuto il miracolo dell’ubiquità: lui è stato radicalmente cristiano e anche irriducibilmente cattolico, ma potrebbe anche essere ricordato come uno tzaddik chassidico, così come è stato un militante antifascista ed un laicissimo libero pensatore.

Per me il Gallo resta un fratello, un amico, una guida certa, un imprescindibile e costante riferimento.

Per me personalmente, la speranza tiene fra le labbra un immancabile sigaro e ha il volto scanzonato di questo prete ribelle.

* il manifesto, 23 maggio 2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/5/2013 08.58
Titolo:L'IDIOZIA SOCIALE (di Nicola Fanizza)
Sull’idiozia sociale

di Nicola Fanizza *

La genialità e l’idiozia, pur configurandosi come situazioni estreme e complementari della nostra coscienza sociale, sono comunque coestensive. L’idiozia abita a pieno titolo nei sotterranei del nostro immaginario e vive e vegeta proprio nel cono d’ombra della genialità. Si può dire che l’idiozia pervade a tal punto la nostra vita, è così immanente ad essa da risultare quasi del tutto assente. Da qui la scarsa attenzione nei confronti di una modalità della nostra esistenza che nelle sue molteplici declinazioni presenta risvolti davvero interessanti.

L’idiozia può essere divertente. Questo accade, specialmente, quando si presenta commista con la pazzia. A tale proposito, l’altro ieri, sulla Linea rossa della Metropolitana milanese, un folle vivente con la sua perfomance - un monologo, in cui trovavano posto simpatici rilievi sui viaggiatori, canzonature dei politici, ardite analogie e frammenti di lucida follia - ha sortito un inconsapevole sorriso su tutti i volti dei viaggiatori. Ho rivisto in lui i tratti del filosofo cinico che dice la verità (parresia) e, insieme, l’immagine dei Santi folli di Bisanzio, che, al fine di riattivare la comunicazione con la città che non li voleva più ascoltare, ricorrevano a gesti estremi, privi di senso e comunque spettacolari.

A volte l’idiozia è disarmante. Ciò accade in particolare quando ci troviamo di fronte all’idiozia dei bambini o degli stupidi. Nondimeno questi ultimi non sono tutti uguali, poiché accanto agli stupidi disarmanti come i bambini ci sono quelli che Ciano, icasticamente - in riferimento a Starace -, chiamava i «coglioni che fanno girare i coglioni». Quando li incontriamo, corriamo quasi sempre il rischio di perdere il controllo delle nostre azioni. La collera, infatti, in quelle rare e fuggitive occasioni, pervade a tal punto la nostra coscienza da offuscare le nostre stesse capacità razionali.

L’idiozia produce i maggiori disastri, quando si coniuga con l’insipienza di chi svolge una funzione di potere: gli ufficiali, specialmente, in caso di guerra, i docenti e i politici. Questi ultimi - in quanto conoscitori delle diverse tecniche e, insieme, possessori della phronesis (l’astuzia, la capacità di mediare fra le esigenze tecniche e la necessità di salvaguardare i legami sociali) - dovrebbero essere i migliori. Eppure non è sempre così.

Nondimeno, nell’inedito spazio sociale prodotto dalle dinamiche della globalizzazione - accanto alle idiozie di cui sopra -, è possibile cogliere il fantasma di una nuova forma di idiozia. Si tratta dell’idiozia sociale che si configura come un vero e proprio ossimoro. La cifra di tale ossimoro, tuttavia, può diventare intellegibile solo se si fanno i conti con il significato che la parola idiota aveva nella lingua greca. Il termine idiotes stava, infatti, a indicare l’uomo privato in contrapposizione all’uomo pubblico, il quale ultimo rivestiva cariche politiche proprio perché era colto, capace ed esperto. Ebbene, oggi, la dissoluzione dei vincoli sociali - determinata dalle politiche neoliberiste - si configura come lo sfondo da cui si origina l’idiozia sociale e, insieme, l’incanaglimento che sempre più pervade il tessuto delle nostre relazioni. Di fatto l’idiozia sociale si dà nella misura in cui ciò che è privato pervade lo spazio pubblico. Non sta pertanto in alcun modo a indicare l’insipienza, ma l’assenza dell’obbligo nei confronti degli altri.

L’idiozia sociale è ormai onnipervasiva. Gli interessi privati signoreggiano nello spazio pubblico, che è stato colonizzato da politici che hanno per lo più lo stesso stile. Quelli di destra - si dice - sono volgari; quelli di sinistra, invece, sono spocchiosi. Se è vero che la plebaglia con la sua volgarità trova sempre più spazio sulle reti televisive di Berlusconi (vedi il talk show Quinta Colonna), è altresì certo che la maggior parte i nipotini di Togliatti continua ad aver come proprio modello il gaga degli anni Trenta (D’Alema). Non si tratta di una grande differenza! La volgarità e la spocchia sono termini coestensivi e, insieme, coessenziali: ambedue rimandano, infatti, alla mancanza di rispetto nei confronti degli altri.

L’insipienza, la supponenza e il sussiego si configurano come i tratti più rilevanti che ineriscono allo stile dei nostri politici, i quali svolgono la loro funzione senza avvertire alcun obbligo nei confronti dello spazio pubblico. Alcuni anni fa mi è capitato di assistere - in occasione della presentazione a Mola di Bari di un libro di Gino Giugni - a uno spettacolo oltremodo vergognoso. Nonostante alcuni dirigenti del Pd avessero accolto a tempo debito l’invito del padre dello statuto dei lavoratori a presentare il suo libro, dichiararono senza alcun pudore di non aver trovato il tempo per leggerlo. E la stessa cosa è accaduta in altre occasioni: gli intellettuali squillo presentano i libri senza averli letti!

D’altra parte, i mezzi di comunicazione di massa ci offrono ogni giorno quantità industriali di idiozia condita in tutte le salse, e con l’arrivo della televisione e dei giornali e di facebook non c’è neppure bisogno di mescolarsi agli idioti, perché l’idiozia ci viene portata a domicilio in modo quasi gratuito.

* Pubblicato il 26 maggio 2013 · in alfapiù, società

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OTTIMO INTERVENTO. UNA RIFLESSIONE SINTETICA SU VENTANNI DI SONNAMBULISMO, ALL’OMBRA DELL’UOMO DELLA PROVVIDENZA

IN ITALIA, NEL 1994 UN CITTADINO REGISTRA IL NOME DEL SUO PARTITO E COMINCIA A FARE IL “PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA” DEL “POPOLO DELLA LIBERTA’”: “FORZA ITALIA”!!! E ANCOR OGGI, IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE CONTINUA. “DUE PRESIDENTI” DELLA REPUBBLICA CONTINUANO A GRIDARE: FORZA ITALIA!!! LA SCHIZOFRENIA ISTITUZIONALE IMPERVERSA E DEVASTA ISTITUZIONI E CERVELLI ….

L’IDENTITA’ (“TAUTOTES”) E IL DESTINO DELL’ITALIA, NELLE MANI DI UN “UOMO PRIVATO” (“IDIOTES”) E DEL SUO PARTITO (“FORZA ITALIA”)!!! Gloria e destino della Necessità (e.sEVERINO)?! Boh?! Bah?!

DOVE SONO I FILOSOFI ITALIANI OGGI?! POCO CORAGGIOSI A SERVIRSI DELLA PROPRIA INTELLIGENZA E A PENSARE BENE “DIO”, “IO” E “L’ITALIA”, CHI PIU’ CHI MENO, TUTTI VIVONO DENTRO LA PIU’ GRANDE BOLLA SPECULATIVA DELLA STORIA FILOSOFICA E POLITICA ITALIANA, NEL REGNO DI “FORZA ITALIA”!!!

Federico La Sala

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Commenti Articolo 493

Titolo articolo :   LETTERA APERTA AL PRIMO CITTADINO PRESIDENTE GIORGIO NAPOLITANO,di

Ultimo aggiornamento: May/25/2013 - 08:02:01.

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Autore Città Giorno Ora
rosanna rossi cagliari 25/5/2013 08.02
Titolo:senza titolo
cara Daniela, se solo la metà deigli argomenti da te trattati , andassero in porto, l'Italia sarebbe una nazione diversa. Se poi, invece fossero tutti, sarebbel'Italia che vorrei
Grazie per avermi mandato questo tuo appello al Presidente Napolitano
Un abbraccio , Rosanna.

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Commenti Articolo 494

Titolo articolo : CINA E CHIESA CATTOLICA: MANOVRE IMPERIALI. "Il Papa gesuita e la primavera cinese. E se Matteo Ricci fosse beatificato?".  Una nota di Alberto Melloni -  con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: May/24/2013 - 07:30:47.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/5/2013 18.28
Titolo:La partita è appena all’inizio ...
La rete cinese dall’India fino ai Caraibi

di Guido Santevecchi (Corriere della Sera, 22.05.2013)

PECHINO - C’è un nuovo «consenso strategico» tra la Cina e l’India, come annuncia il premier Li Keqiang di fronte al suo collega di New Delhi Manmohan Singh? Di fatto, il capo del governo cinese ha scelto il vicino-rivale per la sua prima missione all’estero; il tradizionale alleato Pakistan è solo la seconda tappa del viaggio. E i due Paesi sono già partner nel club dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) che riunisce il gruppo di economie che crescono più rapidamente in un mondo ancora investito dalla crisi globalizzata.

Però i rapporti per decenni sono stati tesi. Ancora all’inizio di maggio, i militari cinesi e indiani si sono sfidati per tre settimane nella regione himalayana, dove nel 1962 i due Paesi si fecero guerra. Reparti dell’Esercito di Liberazione Popolare si sono spinti per 18 km in territorio controllato dagli indiani. Poi c’è il disappunto di Pechino perché New Delhi ospita il Dalai Lama, leader tibetano in esilio.

E soprattutto, c’è la rivalità economica. Il Prodotto interno lordo della Cina è sei volte più grande di quello indiano, l’interscambio commerciale vale oltre 66 miliardi di dollari l’anno, ma è sbilanciato a favore dei cinesi, che hanno un surplus di 28 miliardi. La Cina è il secondo partner dell’India, che rappresenta per Pechino solo il 12°. Ma i due giganti non si possono ignorare, i loro sistemi produttivi hanno bisogno l’uno dell’altro per bilanciare la crisi dell’Europa e la lentezza della ripresa Usa.

Così Li Keqiang ha giocato la carta dell’umiltà, tattica preferita della Cina che ama ancora definirsi «Paese in via di sviluppo». Il premier si è presentato portando «a un popolo di 1,2 miliardi di persone il saluto di un popolo di 1,3 miliardi di persone» e ha insistito che l’obiettivo di Pechino «è sempre di soddisfare le sette necessità di base quotidiane dei cinesi che sono: legna, riso, olio per cucinare, sale, salsa di soia, aceto e tè». Poi ha detto di capire le preoccupazioni indiane per lo squilibrio nella bilancia commerciale e ha promesso che l’accesso delle merci di New Delhi sarà facilitato, per raggiungere quota 100 miliardi di dollari di scambi nel 2015. Sono seguiti accordi sull’agricoltura, le risorse idriche, per lo sviluppo di zone industriali e la costruzione di infrastrutture. Si è discusso del progetto di aprire un corridoio commerciale attraverso Birmania e Bangladesh.

Non sembra un caso che proprio nel corso di queste cerimonie da Washington sia arrivato l’annuncio che il 7 e l’8 giugno Obama incontrerà il presidente Xi Jinping in California per un vertice tra la prima e la seconda economia del mondo.

Ma intanto Pechino continua ad allargare la sua rete, fino ai Caraibi: gli inviati (e i miliardi) cinesi sono arrivati in quello che George Bush chiamava «il terzo confine» degli Stati Uniti. Hanno stretto accordi con Grenada, Barbados, Giamaica. Il primo ministro di Grenada ha detto al Financial Times che «Pechino aiuta i Caraibi perché ha colto la frustrazione della regione per il disinteresse Usa». Colpisce questa avanzata cinese a Grenada: nel 1983 Ronald Reagan spedì nell’isola i Rangers dopo aver accusato il governo (golpista) locale di essersi venduto a cubani e sovietici. Ora la Cina compra tutto in blocco.

Alle Bahamas i cinesi stanno costruendo un resort da diversi miliardi di dollari; alla Giamaica hanno concesso 300 milioni per strade e ponti; ad Antigua hanno costruito uno stadio per il cricket. Questi investimenti non hanno significato economico per la Cina, perché i Caraibi non sono un gran mercato e non hanno particolari risorse naturali: si tratta di espansione politica.

La partita è appena all’inizio e la Cina conosce l’arte dell’attesa.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/5/2013 08.20
Titolo:QUALE DIO? (Ernesto Balducci)
In questo tempo che intercorre tra la Pentecoste e la Trinità, si pne il problema, per noi cristiani, di QUALE DIO.

Mi permetto di consegnarvo una serie di riflessioni in tre tappe.
Iniziamo con una necessaria premessa che prendo da una delle tante omelie di padre Ernesto balducci (Il Vangelo della Pace- Borla - p.214)

«Più e più volte, quando la liturgia della Parola ce ne ha dato l'occasione, ho sottolineato con forza che nel tempo in cui siamo dobbiamo recuperare la no¬stra fede in Dio distinguendo il Dio di Gesù Cristo dal Dio delle ideologie, dal Dio dei sistemi politici. Di fatto il Dio che Gesù annunciò si contrapponeva al Dio della realtà culturale del suo tempo, al Dio della stessa Sinagoga. Il suo era il Dio la cui sostan¬za misteriosa è l'amore di oblazione che si manifesta nella scelta dei reietti, e si contrappone direttamen¬te alla presunzione del mondo che nelle sue realtà strutturali è il potere politico, la cultura con cui le classi al potere dominano le classi oppresse, è la ric¬chezza che è come la divinità — "mammona di ini¬quità" — che governa praticamente tutta la macchi¬na di questo mondo. Pronunciare con fede evangeli¬ca il nome di Dio, significa perciò preoccuparsi che questo nome non faccia numero col nome di Dio che pronunciano i grandi, i tiranni, i ricchi, i soddi¬sfatti, i filosofi...».

Buona giornata.

Aldo [don Antonelli)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/5/2013 07.30
Titolo:QUALE DIO 2 (di don Aldo Antonelli - don Paolo Farinella).
Io capisco come i ricchi, i padroni di sempre e la borghesia che fa loro da reggicoda possano avere una visione delle cose a giustificazione dello statu quo. Capisco anche come, in questa visione, la religione sia stata ridotta al ruolo servile di "consacrazione" del dato di fatto che, così, diventa anche dato di diritto: è così perché così deve essere! E in ciò viene trascinato anche Dio nel ruolo di "reggitore" di questo "universo": è così perché dio lo vuole!
Ciò che si capisce di meno è come mai i poveri, gli esclusi, le vittime del sistema possano aver fatto proprio questa vera e propria ideologia (intesa questa nel senso più negativo e retrivo)!
Naturalmente questo dio non esiste se non nella coscienza malata di un mondo che altro non vuole che gratificare se stesso e benedire le disgrazie che lo affliggono. Un dio tutto da rinnegare.

Di qui l'abiura che prendo dall'ultimo libro di don Paolo farinella: Cristo non abita più qui; (pp. 20-22).

Abiuro il Dio della «identità nazionale e/o europea», sbandierato dal clericalismo in combutta con la destra e la Lega del «dio Po».
Abiuro il Dio della (in)civiltà occidentale che presume di essere superiore alle civiltà africana, asiatica e cinese.
Abiuro il Dio «non neutrale» che Europa e Usa, nel promuovere guerre, si annettono come blasfemo esportatore di democrazia, la loro.
Abiuro il Dio (s)cristiano e terrorista dei guerrafondai che millantano le guerre d'invasione come «interventi umanitari» per giustificare il loro furto di petrolio, gas e materie prime.
Abiuro il Dio dei politicanti italiani, sedicenti cattolici e che sostengono la degradazione morale e istituzionale del piduista Berlusconi Silvio, simbolo fisico della decadenza democratica.
Abiuro il Dio che le religioni usano come martello pneumatico per farsi guerra tra loro.
Abiuro il Dio che cappellani militari, servi della guerra e della morte in¬vocano prima di ogni azione di guerra a favore dei propri «ragazzi» e contro i «ragazzi nemici» (?).
Abiuro il Dio invocato dai militari (s)cristiani che prima ammazzano e, se qualcuno di loro muore, lo inneggiano «eroe» della patria con funerali religiosi e di Stato.
Abiuro il Dio invocato nelle «missioni umanitarie» tra inni e canti di bom¬be, razzi, missili e mitra.
Abiuro il Dio dei soldati (s)cristiani che torturano i figli di un altro Dio o di nessun dio, comunque loro simile, tutelato dai trattati internazionali.
Abiuro il Dio invocato dai vescovi ai funerali di soldati o mercenari di guerre preventive, cioè di invasione.
Abiuro il Dio invocato dal cardinale Tarcisio Bertone perché benedica na¬vi portaerei militari, costruite appositamente per uccidere «con professio¬nalità» e scientificità.
Abiuro il Dio dei ricchi, se prima non si convertono al Dio della cruna dell'ago che abbatte i potenti e innalza i poveri.
Abiuro il Dio di chi si asside alla mensa dei potenti, rinnegando il desco dei poveri.
Abiuro il Dio dei fondamentalisti di qualunque religione, cultura, nazio¬ne e identità.
Abiuro il Dio usato dagli ecclesiastici come stupefacente per addormen¬tare le coscienze dei singoli e dei popoli.
Abiuro il Dio delle gerarchie religiose, omertosamente mute, perché col¬luse con il potere corrente.
Abiuro il Dio delle liturgie sgargianti di porpora e bisso che rinnega il Dio della Storia.
Abiuro il Dio delle diplomazie, convenienze e compiacenze, negazione esplicita del Dio di Gesù Cristo.
Abiuro il Dio del Vaticano, dio di comodo, dio denaro, dio strumento di ignominia e corruzione.
Abiuro il Dio dei vescovi, venduti nell'anima e nel corpo ai politici cor¬rotti e delinquenti.
Abiuro il Dio dei «moderati» svuotato dalla dirompenza rivoluzionaria del suo messaggio.
Abiuro il Dio dei «principi non negoziabili» che annulla la croce come se¬gno di contraddizione.
Abiuro il Dio dei politicanti clericali che respinge gli immigrati ucciden¬doli nel mare Mediterraneo.

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Commenti Articolo 495

Titolo articolo : E' morto don Andrea Gallo,

Ultimo aggiornamento: May/23/2013 - 16:31:19.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/5/2013 16.31
Titolo:note di Moni Ovadia, don Ciotti, e altri....
Il profeta di strada, profeta dei nostri tempi

di Moni Ovadia *

Don Andrea Gallo, mio fratello, ci ha lasciato. Io che non credo ma che conoscevo la sua forte fibra e resistenza, pure fino all’ultimo ho sperato che il suo sorriso potesse fare il miracolo. Prete da marciapiede come si è sempre definito, è stato uno dei sacerdoti più noti e più amati del nostro sempre più disastrato Paese. Non solo per me, siamo in centinaia di migliaia di persone che da sempre lo abbiamo sentito come un fratello, una guida, un maestro, un compagno. Ma il «Gallo» è stato prima di tutto e soprattutto un essere umano autentico. Che in yiddish si dice «a mentsch».

La nostra nascita nel mondo come donne e uomini, è un evento deciso da altri anche se la costruzione in noi del capolavoro che è un essere umano autentico, dipende in gran parte dalle nostre scelte. Il tratto saliente di questo percorso, è l’apertura all’altro laddove si manifesta nella sua più intima e lancinante verità ovvero nella sua dimensione di ultimo, sia egli l’oppresso, il relitto, il povero, l’emarginato, il disprezzato, l’escluso, il segregato, il diverso.

L’apertura all’altro, sia chiaro, non si manifesta nel melenso atto caritativo che sazia la falsa coscienza e lascia l’ingiustizia integra e perversamente operante, ma si esprime nella lotta contro le ingiustizie, nell’impegno diuturno per la costruzione di una società di uguaglianza, di giustizia sociale in una vibrante interazione di pensiero e prassi con una prospettiva tanto laicamente rivoluzionaria, quanto spiritualmente evangelica.

Il «Gallo» è stato radicalmente cristiano, sapendo che il messaggio di Gesù è un messaggio rivoluzionario, radicale e non moderato ed è per questo che l’hanno messo in croce, per la destabilizzante radicalità del cammino che indicava. «Beati gli ultimi perché saranno i primi» non è un invito a bearsi in una permanente condizione di minorità per il compiacimento delle classi dominanti, ma è un’incitazione a mettersi in cammino per liberare l’umanità dalla violenza del potere, per redimerla con l’uguaglianza.

La parola ebraica ashrei, tradotta correntemente con beato, si traduce meno proditoriamente con in marcia come propone il grandissimo traduttore delle scritture André Chouraqui.

È questa consapevolezza che ha fatto di don Gallo un profeta e non nell’accezione volgare e stereotipata con cui spesso si vuole sminuire o sbeffeggiare il ruolo di questa figura, ma nel senso più profondo di uomo che ha incarnato la verità dei grandi pensieri ripetutamente e capziosamente pervertiti dai funzionari del potere, siano essi i soloni del regno terreno, siano essi i chierici del cosiddetto regno celeste.

Questa è la ragione per la quale il profeta trasmette la parola del divino e il divino del monoteismo ha eletto come suo popolo lo schiavo e lo straniero, l’esule, lo sbandato, il fuoriuscito, il diverso, il meticcio avventizio perché tali erano gli ebrei e non un popolo etnicamente omogeneo come oggi vorrebbe uno sconcio delirio nazionalista.

Nella sua fondamentale opera «Se non ora adesso» (pubblicata da Chiarelettere) che deve essere letta da chiunque voglia capire le parole illuminate di questo prete da marciapiede, Gallo ci ha ricordato che l’etica è più importante della fede, come il filosofo e grande pensatore dell’ebraismo Emmanuel Lévinas suggerisce nel suo saggio «Amare la Torah più di Dio».

Come già il profeta d’Israele Isaia dichiara con parole infiammate, il Santo Benedetto stesso chiede agli uomini di praticare etica e giustizia perché disprezza la fede vuota e ipocrita dei baciapile:
«Che mi importa dei vostri sacrifici senza numero. Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso dei giovenchi. Il sangue di tori, di capri e di agnelli Io non lo gradisco...
Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio, noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità.
I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un peso, sono stanco di sopportarli.
Quando stendete le mani, Io allontano gli occhi da voi. -Anche se moltiplicate le preghiere, Io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista.
Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova».

Il profeta autentico non predice il futuro, non è una vox clamans nel deserto, è l’appassionata coscienza critica di una gente, di una comunità, di un’intera società, ed è questa coscienza che si incide nella prole perché le parole diventino fatti, azioni militanti ad ogni livello della relazione interumana e per riconfluire in parole ancora più gravide di quella coscienza trasformatrice.

Questo è a mio parere il senso che don Gallo attribuisce al Primato della Coscienza espresso mirabilmente nel documento conciliare «Nostra Aetate» uscito dal Concilio Vaticano Secondo voluto da Giovanni XXIII, il «papa buono», ma buono perché giusto.

Con il poderoso strumento della sua coscienza cristiana, antifascista, critica, militante, laica ed evangelicamente rivoluzionaria, il prete cattolico Gallo, è riuscito a confrontarsi con i temi socialmente più urgenti ed eticamente più scabrosi smascherando i moralismi, le rigidità dottrinarie, le ipocrisie che maldestramente travestono le intolleranze per indicare il cammino forte della fragilità umana come via per la liberazione.

Quest’ultima e intima verità dell’uomo, Andrea Gallo la sapeva, la sentiva e la riconosceva nelle parole più impegnative delle scritture perché istituiscono l’umanesimo monoteista ma anche l’umanesimo tout court nella sua dirompente radicalità: «Ama il prossimo tuo come te stesso, ama lo straniero come te stesso, ciò che fai allo straniero lo fai a Me».

La passione per l’uomo, per la vita e per l’accoglienza dell’altro, si sono così coniugate in questo specialissimo uomo di fede con un folgorante humor che dissìpa ogni esemplarità predicatoria per aprire la porta del dialogo fra pari a chiunque voglia entrare, cristiano o mussulmano, ebreo o buddista, credente o ateo.

In don Gallo si è compiuto il miracolo dell’ubiquità: lui è stato radicalmente cristiano e anche irriducibilmente cattolico, ma potrebbe anche essere ricordato come uno tzaddik chassidico, così come è stato un militante antifascista ed un laicissimo libero pensatore.

Per me il Gallo resta un fratello, un amico, una guida certa, un imprescindibile e costante riferimento.

Per me personalmente, la speranza tiene fra le labbra un immancabile sigaro e ha il volto scanzonato di questo prete ribelle.

* il manifesto, 23 maggio 2013

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Ha saputo unire cielo e terra

di Luigi Ciotti (La Stampa, 23 maggio 2013)

Don Andrea Gallo ha rappresentato - anzi incarnato - la Chiesa che non dimentica la dottrina, ma non permette che diventi più importante dell’attenzione per gli indifesi, per i fragili, per i dimenticati.

Mi piace ricordarlo così: come un prete che ha dato un nome a chi non lo aveva o se lo era visto negare. Ma il suo dare un nome alle persone nelle strade, nelle carceri, nei luoghi dei bisogni e della fatica, è andato di pari passo con un chiamare per nome le cose.

Andrea non è mai stato reticente, diplomatico, opportunista. Non ha mai mancato di denunciare che la povertà e l’emarginazione non sono fatalità, ma il prodotto di precise scelte politiche ed economiche.

Ha sempre voluto saldare il Cielo e la Terra, la sfera spirituale con l’impegno civile, la solidarietà e i diritti, il messaggio del Vangelo con le pagine della Costituzione. Le sue parole pungenti, a volte sferzanti, nascevano da un grande desiderio di giustizia, da un grande amore per le persone.

Ci mancherai tanto, Andrea, e ti dico grazie. Grazie per i tratti di cammino percorsi insieme. Grazie per le porte che hai aperto e che hai lasciato aperte. Grazie per aver testimoniato una Chiesa capace davvero di stare dalla parte degli ultimi, dalla parte della dignità inviolabile della persona umana.

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“Non temeva di sporcarsi l’anima la sua era una carità militante”

intervista a Vinicio Capossela,

a cura di Carlo Moretti (la Repubblica, 23 maggio 2013)

Fino a qualche settimana fa il cantautore Vinicio Capossela non aveva ancora mai incontrato Don Gallo.

Quando l’ha conosciuto?

«L’ho incontrato a Genova il 18 aprile scorso per un concerto organizzato con i ragazzi della sua associazione. Esprimeva molta forza, sembrava una sinfonia in movimento in un corpo ossuto. Continuava a ripetere: “Abbiamo così tanto lottato per vedere nascere la democrazia, ora me ne dovrò forse andare vedendola morire? Sta a voi, a tutti voi tenerla viva».

Qual è la cosa che l’ha colpita di più?

«Mi ha colpito la fermezza con la quale trattava i ragazzi della sua comunità, che pure erano sempre nei suoi pensieri. Era una carità militante, la sua, che non faceva sconti e non tollerava scuse».

Cosa perdiamo con la sua scomparsa?

«Don Gallo si preoccupava degli ultimi e gli ultimi sono sempre di più, si allarga il bisogno e diminuiscono le persone che l’hanno a cuore. Lui mi ha dato l’impressione di non avere paura di sporcarsi con la vita. Ora abbiamo tutti un motivo in più per fare qualcosa. Il messaggio cristiano è stata la più grande rivoluzione della storia e Don Gallo l’ha portato nelle strade, riuscendo ad unire laici e cattolici. Non per umanizzare Dio, ma per divinizzare gli uomini. Avendo cura del divino che c’è in ognuno: la dignità».

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Addio a don Gallo il prete dei dimenticati

di Vito Mancuso (la Repubblica, 23 maggio 2013)

Don Andrea Gallo vivrà nell’immaginario degli italiani con il suo sigaro, il cappello nero e l’immancabile colletto da prete, i segni più caratteristici della doppia appartenenza che ha contraddistinto la sua lunga e felice vita: l’appartenenza al mondo e alla chiesa, alla terra e al cielo. Termini tutti ugualmente importanti per uno che vi ha dedicato la vita.

Ma il primo posto per don Gallo spettava al mondo e alla terra, perché era solo in funzione di essi che per lui aveva senso poi parlare di chiesa e di cielo. La stola sacerdotale, che egli amava e a cui è sempre stato fedele, veniva dopo la sciarpa arcobaleno con i colori della pace che spesso indossava, e veniva dopo la sciarpa rossa spesso parimenti indossata per l’ideale di giustizia e di uguaglianza che a lui richiamava.

È stato questo primato del mondo e della terra che ha condotto don Gallo a essere un prete ribelle, contestatore, mai allineato con i dettami della gerarchia, soprattutto in campo etico e sociale. Un ribelle per amore, per amore del mondo e della sua gente, mai invece contro la sua Chiesa solo per il fatto di essere contro.

Se don Gallo è giunto spesso a essere contro, lo ha fatto solo perché era la condizione per essere per, per essere al fianco dei più emarginati, dei più umili, dei più bisognosi, e per non tradire mai la sua coscienza con il dover ripetere precetti o divieti di cui non vedeva il senso o che riteneva ingiusti.

Una volta gli chiesero che cosa pensasse della Trinità, come riuscisse a conciliare il rebus di questo Dio unico in tre persone, con tutte le processioni, le missioni e gli altri complessi concetti speculativi che il dogma trinitario porta con sé. Egli rispose che non si curava di queste sottigliezze dogmatiche perché gli importava solo una cosa: che Dio fosse antifascista!

Al di là della brillante battuta che gli servì per uscire indenne dalle insidie della teologia trinitaria, l’espressione “Dio antifascista” racchiude al meglio il messaggio spirituale che la vita di don Gallo ha rappresentato e continuerà a rappresentare per tutti coloro che l’hanno amato, l’hanno applaudito e hanno letto i suoi libri: intendo riferirmi alla cultura della pace, della solidarietà e della giustizia; alla lotta contro l’arroganza del potere e del denaro; al rifiuto di ogni forma di violenza, anche solo verbale, per ricorrere invece all’arma sempre più efficace dell’ironia e dell’umorismo.

Quello che mi colpiva e mi piaceva di don Gallo era che in lui, a differenza di altri cristiani contestatori e di una certa musoneria risentita abbastanza diffusa nella sua parte politica, mancavano del tutto il risentimento e l’astio, per lasciare spazio invece a un’allegria di fondo, una bonarietà, uno sguardo pulito, un accordo armonioso con il ritmo della vita, come si percepiva anche dalla musicalità grave della sua bellissima voce.

L’ultima volta che l’ho visto è stato due mesi fa, all’indomani dell’elezione del nuovo Papa, quando Fabio Fazio ci chiamò nel suo programma per commentarla.

Don Gallo fu brillantissimo, ogni sua parola suscitava un lungo applauso del pubblico, era felice come un bambino per la speranza che il Papa venuto dalla fine del mondo stava riaprendo ai credenti come lui, quelli che sono nella chiesa non a dispetto del mondo, ma per servirne al meglio la vita, cioè cercando di dare agli uomini ciò che il mondo costitutivamente non può dare loro, vale a dire la speranza che i sacri ideali dell’umanità (il bene, la giustizia, l’amore) non sono illusioni destinate a cadere “all’apparir del vero”, ma la dimensione più vera dell’essere da cui ognuno di noi proviene e nella quale ritornerà.

Era proprio per questa speranza che don Gallo credeva in Dio e nel messaggio di Gesù. Egli vedeva in questa fede uno dei più nobili gesti d’amore verso la vita e verso gli uomini che l’attraversano spesso soffrendo.

La fede di don Gallo era un profetico atto di fedeltà al mondo e di amore per gli uomini. In un cattolicesimo quale quello del nostro Paese, spesso privo di schiettezza e di libertà di parola, calcolatore, politico, amico del potere, caratterizzato da un conformismo che fa allineare pubblicamente tutti alla voce del padrone, compresi coloro che privatamente fanno i profeti e gli innovatori, in questo cattolicesimo cortigiano e privo di coraggio, la figura di don Gallo con il suo sigaro e il suo cappello ha svettato e svetterà per onestà intellettuale e libertà di spirito, perché egli non temeva di ripetere dovunque (in tv o davanti al suo vescovo non aveva importanza) i concetti sostenuti tra nuvole di fumo nelle lunghe nottate genovesi con gli amici della sua comunità.

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Don Gallo, un prete dalla parte degli ultimi

di Oreste Pivetta (l’Unità, 23 maggio 2013)

Come ricordare don Gallo a distanza di ore soltanto dalla sua morte?

In mezzo alle «tute bianche» davanti a uno stadio, quando il corteo stava incamminandosi verso Brignole, una mattina, dodici anni fa, poche ore prima che la polizia caricasse, poche ore prima che Carletto Giuliani venisse ucciso, l’indimenticabile G8 genovese e berlusconiano. In chiesa a sentirlo cantare Bella ciao . Davanti a una telecamera, quando invitò Berlusconi, «malato», a ritirarsi nella «sua comunità».

Oppure in testa alla sfilata per un Gay Pride, accusando la sua Chiesa di incertezze, di ambiguità, di doppiezza, di poco amore insomma. Un prete in mezzo ai poveri, ai detenuti, alle prostitute dei vicoli, ai vecchi abbandonati, agli ultimi, a predicare più che la dottrina la necessità di fare, di operare, di costruire qualcosa di utile e presto, subito, perché così reclamavano e reclamano tante condizioni di disperazione, di ingiustizia, di miseria materiale e morale.

Viene in mente una bellissima frase di don Milani, il prete di Barbiana: vi è un tempo per le opere e vi è un tempo per la preghiera; ma se vi è urgenza di operare, allora si deve operare; quando tutti avranno capito che bisogna fare, per noi (per noi cristiani) verrà il momento della preghiera.

Don Andrea Gallo era così, preso dall’ansia, dalla volontà di costruire concretamente, alle prese con la vita, con le sue difficoltà, con le sue contraddizioni, con i suoi errori, con i suoi difetti, senza mai rimandare l’impegno ad apocalittiche resurrezioni.

Era un prete di chiesa e di strada come in Italia ce ne sono stati tanti, come nel mondo ce ne sono stati tanti, operatori prima che predicatori, nemici del pregiudizio e dell’ideologia, preti antimafia e preti operai, preti antifascisti e partigiani, preti delle periferie e preti di scuole di montagna.

Come don Milani, appunto, al quale richiama un’altra bella espressione don Gallo, un’espressione che fece scandalo, quando alla fine degli anni sessanta era diventato vice parroco nella chiesa del Carmine. Pare che nel quartiere fosse stata scoperta una fumeria di hashish. I cittadini si mostrarono indignati. Don Gallo, durante l’omelia domenicale, ricordò che ben più profonda indignazione avrebbe dovuto suscitare certo linguaggio, in virtù del quale, ad esempio, un ragazzo poteva diventare «inadatto agli studi», se figlio di povera gente.

Come don Milani che diceva rivolgendosi ai suoi professori e alle sue professoresse: «Voi dite che bocciate i cretini e gli svogliati. Allora sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri. Ma Dio non fa questi dispetti ai poveri. E’ più facile che i dispettosi siate voi».

Don Gallo cominciò dai giovani. Era nato a Genova il 18 luglio 1928. Ventenne entrò nel seminario salesiano di Varazze, continuò gli studi a Roma, chiese nel 1953 di partire per le missioni e venne destinato ad una comunità di San Paolo del Brasile. Tornò in Italia e venne ordinato sacerdote nel 1959. La sua prima esperienza fu come cappellano alla nave scuola della Garaventa, riformatorio per minori. Cercò di educare quei giovani, richiamandoli alla loro responsabilità, attraverso una pedagogia fondata sulla fiducia e sulla libertà, consentendo loro di uscire, di andare al cinema, di vivere momenti di autogestione, smantellando a poco a poco le condizioni brutali della detenzione.

Si era appunto al principio degli anni sessanta, quando una cultura di ispirazione libertaria cominciava a mettere in discussione le cosiddette «istituzioni totali», dalla famiglia al carcere, al manicomio, dalla scuola alla caserma, in America come più tardi in Europa e in Italia.

Don Gallo si trovò da quella parte, anti istituzionale, anti repressiva. Lo definirono, presto, un comunista, ma comunista poteva esserlo come allora poteva essere un prete, nel senso del ripristino o della esaltazione di valori comunitari, che la società consumistica, scegliendo la strada dell’individualismo, andava smantellando.

Don Gallo entrò presto in conflitto con i suoi superiori, nel 1964 lasciò la congregazione salesiana. La definì «istituzionalizzata». Entrò nella diocesi di Genova, allora diretta dal cardinal Siri, che gli affidò l’incarico di cappellano del carcere della Capraia. Rimase poco alla Capraia. Gli toccò la parrocchia del Carmine, che divenne presto luogo di diseredati e di emarginati e di quanti concepivano come primo dovere di un fedele l’aiuto ai poveri. Fu allontanato anche dal Carmine.

Siri gli indicò la via della Capraia, ancora. Don Gallo rifiutò, trovò ospitalità nella parrocchia di San Benedetto al Porto e con don Federico Rebora fondò la sua Comunità. Da lì, da quella chiesa, da quella comunità, cercò di continuare la sua opera, instancabile, generosa, sorprendente, guidato da una vocazione limpida a sostenere sempre la parte delle minoranze deboli, oppresse, costruendo alleanze, senza mai paura di dichiararsi.

Anche politicamente: magari per il candidato sindaco Marco Doria o per il leader di Sel, Nichi Vendola. Gli toccò il premio «Fabrizio De Andrè» (del cantautore era stato grande amico). Gli toccò il titolo di «Personaggio dell’anno Gay», nel 2011, quando sostenne le rivendicazioni del Gay Pride.

Gli toccarono infinite sfilate televisive, dove cercò sempre di rappresentare il suo mondo di poveri, di deboli, di emarginati, sconfinando nella politica che praticava a braccio, che probabilmente non poteva sentire sua, troppo distante nei suoi meccanismi dalla materialità dei problemi che la sua «città» viveva, la faccia opposta di un altro celeberrimo prete genovese, quel don Gianni Baget Bozzo, coltissimo, raffinatissimo nei suoi esercizi politici, alla fine precipitato tra gli ispiratori di Berlusconi, vicinissimo invece don Gallo a quella città disperata e insieme ricca di vincoli e di umanità come può essere Genova, nelle stradine antiche, nel porto, nelle periferie che furono operaie, tra i viali e i portici di un manicomio, nei ghetti sconosciuti della povertà. Di questa città Don Gallo, cappellaccio in testa, sigaro in mano, parlata roca e intonazione dialettale, era protagonista e portavoce, intatto nella sua semplicità e nella sua determinazione operosa.

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Addio a don Gallo prete a fianco dei poveri

di Gian Guido Vecchi (Corriere della Sera, 23 maggio 2013)

La cosa più divertente era sentirlo raccontare dei suoi rapporti con il cardinale Giuseppe Siri, grande arcivescovo conservatore di Genova, difficile immaginare due uomini più diversi «ma non ha mai chiesto che fossi sospeso, mai!». Certo, ogni tanto lo chiamava in arcivescovado per la canonica lavata di capo - ne aveva combinata un’altra delle sue - e alla fine gli ringhiava: «E la comunità, don Andrea, come va?». «Eh, si tira avanti, eminenza...».

Don Andrea Gallo ridacchiava masticando l’immancabile mezzo toscano quando descriveva Siri che «si voltava sospirando, apriva una piccola cassaforte e prendeva un po’ di soldi, i suoi soldi, per aiutare i miei poveri...».

Sarà che un albero, evangelicamente, si vede dai frutti. La sua comunità, l’ondata di affetto che ieri, dopo giorni di agonia, ha accompagnato la notizia della morte, alle 17.45, di don Andrea. Un affetto riassunto dalle parole del cardinale Angelo Bagnasco, «addolorato per un lutto che colpisce tutta Genova», il suo arcivescovo che sta a Roma per l’assemblea della Cei e ieri sospirava: «Tornerò venerdì, spero di poter essere io a celebrare il funerale di don Andrea».

Anche il presidente Giorgio Napolitano ha espresso «tristezza e rammarico», ricordando il «sacerdote amato per la sua forza spirituale e il suo impegno sui temi della povertà, dell’emarginazione e dell’esclusione sociale».

Ieri sera c’era la coda, davanti alla camera ardente nella chiesa della comunità di San Benedetto al Porto, sul feretro una bandiera della pace. Prete «contro», magari «comunista»: le etichette non lo sfioravano. Ma quando una volta, in curia, lo accusarono di «atteggiamenti antievangelici» lui, col suo mezzo toscano e il cappellaccio, era una furia: «Sono offeso, lo scriva: of-fe-so! Se vogliono darmi dell’arteriosclerotico facciano pure, non me la prendo, ma dell’antievangelico no!».

Classe ’28, orgoglioso della sua esperienza partigiana, era un salesiano e missionario, ma lasciò la congregazione per la diocesi della sua Genova. Dopo il Concilio si moltiplicavano le «comunità di base» e lui aveva fondato la comunità di San Benedetto al Porto a metà degli anni Settanta. Sul muro di fronte, verso il mare, un verso del suo amico Fabrizio De André: «Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior».

Ha passato quarant’anni della sua vita tra tossici, prostitute, malati, miserabili. Gente che non avrebbe mai messo piede in una chiesa e anzi ne sarebbe scappata a gambe levate, non fosse stato per don Andrea. Raggiungerlo nella canonica di San Benedetto, un vecchio edificio giallo e scrostato, significava scavalcare pile di scatoloni colmi di cibo e vestiti, «martedì e venerdì c’è la distribuzione per chi bussa, la porta è aperta a tutti». Gli altri, quelli che non arrivavano, andava a prenderli per strada.

Molto più colto di quanto non desse a vedere, amico di artisti e intellettuali (fu lui a celebrare i funerali di Fernanda Pivano), spesso le sue posizioni facevano raggelare le gerarchie, ma lui non ci faceva troppo caso. Le prostitute accompagnate al consultorio: «Avrei dovuto lasciare che i magnaccia le facessero abortire a calci in pancia?». O la contraccezione: «Vede, il mese scorso mi sono morti quattro ragazzi di Aids. E allora io continuerò a proporre la morale cattolica, la preparazione al matrimonio e tutto quanto, ma se vado in mezzo alla strada dico di usarli, i preservativi, come faccio ad aspettare?».

Tra tante opere, libri e dichiarazioni «scandalose», resta l’ultimo libro, In cammino con Francesco, una raccolta delle sue omelie (con un esergo per De André: «Caro Faber, da tanti anni canto con te, per dare voce agli ultimi, ai vinti, ai fragili, ai perdenti...») dedicata all’elezione di Bergoglio. Perché magari cantava «Bella ciao» in Chiesa, ma nell’essenziale è sempre rimasto saldo, don Gallo. «In direzione ostinata e contraria», cantava Faber.

Chi lo ha conosciuto lo sa: «La mia non è una scelta ideologica, altro che comunista, la mia Bibbia è qui, vede? Io ho scelto i poveri, ho scelto di camminare con il popolo di Dio verso cieli nuovi e terre nuove, nella centralità di Cristo. Perché chi sceglie una ideologia può sbagliare, ma chi sceglie i poveri non sbaglia mai».

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Titolo articolo : Il testamento di don Gallo: Bella ciao alla fine della messa,

Ultimo aggiornamento: May/23/2013 - 14:02:04.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/5/2013 14.02
Titolo:Il profeta di strada, profeta dei nostri tempi ...
Il profeta di strada, profeta dei nostri tempi

di Moni Ovadia *

Don Andrea Gallo, mio fratello, ci ha lasciato. Io che non credo ma che conoscevo la sua forte fibra e resistenza, pure fino all’ultimo ho sperato che il suo sorriso potesse fare il miracolo. Prete da marciapiede come si è sempre definito, è stato uno dei sacerdoti più noti e più amati del nostro sempre più disastrato Paese. Non solo per me, siamo in centinaia di migliaia di persone che da sempre lo abbiamo sentito come un fratello, una guida, un maestro, un compagno. Ma il «Gallo» è stato prima di tutto e soprattutto un essere umano autentico. Che in yiddish si dice «a mentsch».

La nostra nascita nel mondo come donne e uomini, è un evento deciso da altri anche se la costruzione in noi del capolavoro che è un essere umano autentico, dipende in gran parte dalle nostre scelte. Il tratto saliente di questo percorso, è l’apertura all’altro laddove si manifesta nella sua più intima e lancinante verità ovvero nella sua dimensione di ultimo, sia egli l’oppresso, il relitto, il povero, l’emarginato, il disprezzato, l’escluso, il segregato, il diverso.

L’apertura all’altro, sia chiaro, non si manifesta nel melenso atto caritativo che sazia la falsa coscienza e lascia l’ingiustizia integra e perversamente operante, ma si esprime nella lotta contro le ingiustizie, nell’impegno diuturno per la costruzione di una società di uguaglianza, di giustizia sociale in una vibrante interazione di pensiero e prassi con una prospettiva tanto laicamente rivoluzionaria, quanto spiritualmente evangelica.

Il «Gallo» è stato radicalmente cristiano, sapendo che il messaggio di Gesù è un messaggio rivoluzionario, radicale e non moderato ed è per questo che l’hanno messo in croce, per la destabilizzante radicalità del cammino che indicava. «Beati gli ultimi perché saranno i primi» non è un invito a bearsi in una permanente condizione di minorità per il compiacimento delle classi dominanti, ma è un’incitazione a mettersi in cammino per liberare l’umanità dalla violenza del potere, per redimerla con l’uguaglianza.

La parola ebraica ashrei, tradotta correntemente con beato, si traduce meno proditoriamente con in marcia come propone il grandissimo traduttore delle scritture André Chouraqui.

È questa consapevolezza che ha fatto di don Gallo un profeta e non nell’accezione volgare e stereotipata con cui spesso si vuole sminuire o sbeffeggiare il ruolo di questa figura, ma nel senso più profondo di uomo che ha incarnato la verità dei grandi pensieri ripetutamente e capziosamente pervertiti dai funzionari del potere, siano essi i soloni del regno terreno, siano essi i chierici del cosiddetto regno celeste.

Questa è la ragione per la quale il profeta trasmette la parola del divino e il divino del monoteismo ha eletto come suo popolo lo schiavo e lo straniero, l’esule, lo sbandato, il fuoriuscito, il diverso, il meticcio avventizio perché tali erano gli ebrei e non un popolo etnicamente omogeneo come oggi vorrebbe uno sconcio delirio nazionalista.

Nella sua fondamentale opera «Se non ora adesso» (pubblicata da Chiarelettere) che deve essere letta da chiunque voglia capire le parole illuminate di questo prete da marciapiede, Gallo ci ha ricordato che l’etica è più importante della fede, come il filosofo e grande pensatore dell’ebraismo Emmanuel Lévinas suggerisce nel suo saggio «Amare la Torah più di Dio».

Come già il profeta d’Israele Isaia dichiara con parole infiammate, il Santo Benedetto stesso chiede agli uomini di praticare etica e giustizia perché disprezza la fede vuota e ipocrita dei baciapile:
«Che mi importa dei vostri sacrifici senza numero. Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso dei giovenchi. Il sangue di tori, di capri e di agnelli Io non lo gradisco...
Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio, noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità.
I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un peso, sono stanco di sopportarli.
Quando stendete le mani, Io allontano gli occhi da voi. -Anche se moltiplicate le preghiere, Io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista.
Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova».

Il profeta autentico non predice il futuro, non è una vox clamans nel deserto, è l’appassionata coscienza critica di una gente, di una comunità, di un’intera società, ed è questa coscienza che si incide nella prole perché le parole diventino fatti, azioni militanti ad ogni livello della relazione interumana e per riconfluire in parole ancora più gravide di quella coscienza trasformatrice.

Questo è a mio parere il senso che don Gallo attribuisce al Primato della Coscienza espresso mirabilmente nel documento conciliare «Nostra Aetate» uscito dal Concilio Vaticano Secondo voluto da Giovanni XXIII, il «papa buono», ma buono perché giusto.

Con il poderoso strumento della sua coscienza cristiana, antifascista, critica, militante, laica ed evangelicamente rivoluzionaria, il prete cattolico Gallo, è riuscito a confrontarsi con i temi socialmente più urgenti ed eticamente più scabrosi smascherando i moralismi, le rigidità dottrinarie, le ipocrisie che maldestramente travestono le intolleranze per indicare il cammino forte della fragilità umana come via per la liberazione.

Quest’ultima e intima verità dell’uomo, Andrea Gallo la sapeva, la sentiva e la riconosceva nelle parole più impegnative delle scritture perché istituiscono l’umanesimo monoteista ma anche l’umanesimo tout court nella sua dirompente radicalità: «Ama il prossimo tuo come te stesso, ama lo straniero come te stesso, ciò che fai allo straniero lo fai a Me».

La passione per l’uomo, per la vita e per l’accoglienza dell’altro, si sono così coniugate in questo specialissimo uomo di fede con un folgorante humor che dissìpa ogni esemplarità predicatoria per aprire la porta del dialogo fra pari a chiunque voglia entrare, cristiano o mussulmano, ebreo o buddista, credente o ateo.

In don Gallo si è compiuto il miracolo dell’ubiquità: lui è stato radicalmente cristiano e anche irriducibilmente cattolico, ma potrebbe anche essere ricordato come uno tzaddik chassidico, così come è stato un militante antifascista ed un laicissimo libero pensatore.

Per me il Gallo resta un fratello, un amico, una guida certa, un imprescindibile e costante riferimento.

Per me personalmente, la speranza tiene fra le labbra un immancabile sigaro e ha il volto scanzonato di questo prete ribelle.

* il manifesto, 23 maggio 2013

Ha saputo unire cielo e terra

di Luigi Ciotti (La Stampa, 23 maggio 2013)

Don Andrea Gallo ha rappresentato - anzi incarnato - la Chiesa che non dimentica la dottrina, ma non permette che diventi più importante dell’attenzione per gli indifesi, per i fragili, per i dimenticati.

Mi piace ricordarlo così: come un prete che ha dato un nome a chi non lo aveva o se lo era visto negare. Ma il suo dare un nome alle persone nelle strade, nelle carceri, nei luoghi dei bisogni e della fatica, è andato di pari passo con un chiamare per nome le cose.

Andrea non è mai stato reticente, diplomatico, opportunista. Non ha mai mancato di denunciare che la povertà e l’emarginazione non sono fatalità, ma il prodotto di precise scelte politiche ed economiche.

Ha sempre voluto saldare il Cielo e la Terra, la sfera spirituale con l’impegno civile, la solidarietà e i diritti, il messaggio del Vangelo con le pagine della Costituzione. Le sue parole pungenti, a volte sferzanti, nascevano da un grande desiderio di giustizia, da un grande amore per le persone.

Ci mancherai tanto, Andrea, e ti dico grazie. Grazie per i tratti di cammino percorsi insieme. Grazie per le porte che hai aperto e che hai lasciato aperte. Grazie per aver testimoniato una Chiesa capace davvero di stare dalla parte degli ultimi, dalla parte della dignità inviolabile della persona umana.

“Non temeva di sporcarsi l’anima la sua era una carità militante”

intervista a Vinicio Capossela,

a cura di Carlo Moretti (la Repubblica, 23 maggio 2013)

Fino a qualche settimana fa il cantautore Vinicio Capossela non aveva ancora mai incontrato Don Gallo.

Quando l’ha conosciuto?

«L’ho incontrato a Genova il 18 aprile scorso per un concerto organizzato con i ragazzi della sua associazione. Esprimeva molta forza, sembrava una sinfonia in movimento in un corpo ossuto. Continuava a ripetere: “Abbiamo così tanto lottato per vedere nascere la democrazia, ora me ne dovrò forse andare vedendola morire? Sta a voi, a tutti voi tenerla viva».

Qual è la cosa che l’ha colpita di più?

«Mi ha colpito la fermezza con la quale trattava i ragazzi della sua comunità, che pure erano sempre nei suoi pensieri. Era una carità militante, la sua, che non faceva sconti e non tollerava scuse».

Cosa perdiamo con la sua scomparsa?

«Don Gallo si preoccupava degli ultimi e gli ultimi sono sempre di più, si allarga il bisogno e diminuiscono le persone che l’hanno a cuore. Lui mi ha dato l’impressione di non avere paura di sporcarsi con la vita. Ora abbiamo tutti un motivo in più per fare qualcosa. Il messaggio cristiano è stata la più grande rivoluzione della storia e Don Gallo l’ha portato nelle strade, riuscendo ad unire laici e cattolici. Non per umanizzare Dio, ma per divinizzare gli uomini. Avendo cura del divino che c’è in ognuno: la dignità».

Addio a don Gallo il prete dei dimenticati

di Vito Mancuso (la Repubblica, 23 maggio 2013)

Don Andrea Gallo vivrà nell’immaginario degli italiani con il suo sigaro, il cappello nero e l’immancabile colletto da prete, i segni più caratteristici della doppia appartenenza che ha contraddistinto la sua lunga e felice vita: l’appartenenza al mondo e alla chiesa, alla terra e al cielo. Termini tutti ugualmente importanti per uno che vi ha dedicato la vita.

Ma il primo posto per don Gallo spettava al mondo e alla terra, perché era solo in funzione di essi che per lui aveva senso poi parlare di chiesa e di cielo. La stola sacerdotale, che egli amava e a cui è sempre stato fedele, veniva dopo la sciarpa arcobaleno con i colori della pace che spesso indossava, e veniva dopo la sciarpa rossa spesso parimenti indossata per l’ideale di giustizia e di uguaglianza che a lui richiamava.

È stato questo primato del mondo e della terra che ha condotto don Gallo a essere un prete ribelle, contestatore, mai allineato con i dettami della gerarchia, soprattutto in campo etico e sociale. Un ribelle per amore, per amore del mondo e della sua gente, mai invece contro la sua Chiesa solo per il fatto di essere contro.

Se don Gallo è giunto spesso a essere contro, lo ha fatto solo perché era la condizione per essere per, per essere al fianco dei più emarginati, dei più umili, dei più bisognosi, e per non tradire mai la sua coscienza con il dover ripetere precetti o divieti di cui non vedeva il senso o che riteneva ingiusti.

Una volta gli chiesero che cosa pensasse della Trinità, come riuscisse a conciliare il rebus di questo Dio unico in tre persone, con tutte le processioni, le missioni e gli altri complessi concetti speculativi che il dogma trinitario porta con sé. Egli rispose che non si curava di queste sottigliezze dogmatiche perché gli importava solo una cosa: che Dio fosse antifascista!

Al di là della brillante battuta che gli servì per uscire indenne dalle insidie della teologia trinitaria, l’espressione “Dio antifascista” racchiude al meglio il messaggio spirituale che la vita di don Gallo ha rappresentato e continuerà a rappresentare per tutti coloro che l’hanno amato, l’hanno applaudito e hanno letto i suoi libri: intendo riferirmi alla cultura della pace, della solidarietà e della giustizia; alla lotta contro l’arroganza del potere e del denaro; al rifiuto di ogni forma di violenza, anche solo verbale, per ricorrere invece all’arma sempre più efficace dell’ironia e dell’umorismo.

Quello che mi colpiva e mi piaceva di don Gallo era che in lui, a differenza di altri cristiani contestatori e di una certa musoneria risentita abbastanza diffusa nella sua parte politica, mancavano del tutto il risentimento e l’astio, per lasciare spazio invece a un’allegria di fondo, una bonarietà, uno sguardo pulito, un accordo armonioso con il ritmo della vita, come si percepiva anche dalla musicalità grave della sua bellissima voce.

L’ultima volta che l’ho visto è stato due mesi fa, all’indomani dell’elezione del nuovo Papa, quando Fabio Fazio ci chiamò nel suo programma per commentarla.

Don Gallo fu brillantissimo, ogni sua parola suscitava un lungo applauso del pubblico, era felice come un bambino per la speranza che il Papa venuto dalla fine del mondo stava riaprendo ai credenti come lui, quelli che sono nella chiesa non a dispetto del mondo, ma per servirne al meglio la vita, cioè cercando di dare agli uomini ciò che il mondo costitutivamente non può dare loro, vale a dire la speranza che i sacri ideali dell’umanità (il bene, la giustizia, l’amore) non sono illusioni destinate a cadere “all’apparir del vero”, ma la dimensione più vera dell’essere da cui ognuno di noi proviene e nella quale ritornerà.

Era proprio per questa speranza che don Gallo credeva in Dio e nel messaggio di Gesù. Egli vedeva in questa fede uno dei più nobili gesti d’amore verso la vita e verso gli uomini che l’attraversano spesso soffrendo.

La fede di don Gallo era un profetico atto di fedeltà al mondo e di amore per gli uomini. In un cattolicesimo quale quello del nostro Paese, spesso privo di schiettezza e di libertà di parola, calcolatore, politico, amico del potere, caratterizzato da un conformismo che fa allineare pubblicamente tutti alla voce del padrone, compresi coloro che privatamente fanno i profeti e gli innovatori, in questo cattolicesimo cortigiano e privo di coraggio, la figura di don Gallo con il suo sigaro e il suo cappello ha svettato e svetterà per onestà intellettuale e libertà di spirito, perché egli non temeva di ripetere dovunque (in tv o davanti al suo vescovo non aveva importanza) i concetti sostenuti tra nuvole di fumo nelle lunghe nottate genovesi con gli amici della sua comunità.

Don Gallo, un prete dalla parte degli ultimi

di Oreste Pivetta (l’Unità, 23 maggio 2013)

Come ricordare don Gallo a distanza di ore soltanto dalla sua morte?

In mezzo alle «tute bianche» davanti a uno stadio, quando il corteo stava incamminandosi verso Brignole, una mattina, dodici anni fa, poche ore prima che la polizia caricasse, poche ore prima che Carletto Giuliani venisse ucciso, l’indimenticabile G8 genovese e berlusconiano. In chiesa a sentirlo cantare Bella ciao . Davanti a una telecamera, quando invitò Berlusconi, «malato», a ritirarsi nella «sua comunità».

Oppure in testa alla sfilata per un Gay Pride, accusando la sua Chiesa di incertezze, di ambiguità, di doppiezza, di poco amore insomma. Un prete in mezzo ai poveri, ai detenuti, alle prostitute dei vicoli, ai vecchi abbandonati, agli ultimi, a predicare più che la dottrina la necessità di fare, di operare, di costruire qualcosa di utile e presto, subito, perché così reclamavano e reclamano tante condizioni di disperazione, di ingiustizia, di miseria materiale e morale.

Viene in mente una bellissima frase di don Milani, il prete di Barbiana: vi è un tempo per le opere e vi è un tempo per la preghiera; ma se vi è urgenza di operare, allora si deve operare; quando tutti avranno capito che bisogna fare, per noi (per noi cristiani) verrà il momento della preghiera.

Don Andrea Gallo era così, preso dall’ansia, dalla volontà di costruire concretamente, alle prese con la vita, con le sue difficoltà, con le sue contraddizioni, con i suoi errori, con i suoi difetti, senza mai rimandare l’impegno ad apocalittiche resurrezioni.

Era un prete di chiesa e di strada come in Italia ce ne sono stati tanti, come nel mondo ce ne sono stati tanti, operatori prima che predicatori, nemici del pregiudizio e dell’ideologia, preti antimafia e preti operai, preti antifascisti e partigiani, preti delle periferie e preti di scuole di montagna.

Come don Milani, appunto, al quale richiama un’altra bella espressione don Gallo, un’espressione che fece scandalo, quando alla fine degli anni sessanta era diventato vice parroco nella chiesa del Carmine. Pare che nel quartiere fosse stata scoperta una fumeria di hashish. I cittadini si mostrarono indignati. Don Gallo, durante l’omelia domenicale, ricordò che ben più profonda indignazione avrebbe dovuto suscitare certo linguaggio, in virtù del quale, ad esempio, un ragazzo poteva diventare «inadatto agli studi», se figlio di povera gente.

Come don Milani che diceva rivolgendosi ai suoi professori e alle sue professoresse: «Voi dite che bocciate i cretini e gli svogliati. Allora sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri. Ma Dio non fa questi dispetti ai poveri. E’ più facile che i dispettosi siate voi».

Don Gallo cominciò dai giovani. Era nato a Genova il 18 luglio 1928. Ventenne entrò nel seminario salesiano di Varazze, continuò gli studi a Roma, chiese nel 1953 di partire per le missioni e venne destinato ad una comunità di San Paolo del Brasile. Tornò in Italia e venne ordinato sacerdote nel 1959. La sua prima esperienza fu come cappellano alla nave scuola della Garaventa, riformatorio per minori. Cercò di educare quei giovani, richiamandoli alla loro responsabilità, attraverso una pedagogia fondata sulla fiducia e sulla libertà, consentendo loro di uscire, di andare al cinema, di vivere momenti di autogestione, smantellando a poco a poco le condizioni brutali della detenzione.

Si era appunto al principio degli anni sessanta, quando una cultura di ispirazione libertaria cominciava a mettere in discussione le cosiddette «istituzioni totali», dalla famiglia al carcere, al manicomio, dalla scuola alla caserma, in America come più tardi in Europa e in Italia.

Don Gallo si trovò da quella parte, anti istituzionale, anti repressiva. Lo definirono, presto, un comunista, ma comunista poteva esserlo come allora poteva essere un prete, nel senso del ripristino o della esaltazione di valori comunitari, che la società consumistica, scegliendo la strada dell’individualismo, andava smantellando.

Don Gallo entrò presto in conflitto con i suoi superiori, nel 1964 lasciò la congregazione salesiana. La definì «istituzionalizzata». Entrò nella diocesi di Genova, allora diretta dal cardinal Siri, che gli affidò l’incarico di cappellano del carcere della Capraia. Rimase poco alla Capraia. Gli toccò la parrocchia del Carmine, che divenne presto luogo di diseredati e di emarginati e di quanti concepivano come primo dovere di un fedele l’aiuto ai poveri. Fu allontanato anche dal Carmine.

Siri gli indicò la via della Capraia, ancora. Don Gallo rifiutò, trovò ospitalità nella parrocchia di San Benedetto al Porto e con don Federico Rebora fondò la sua Comunità. Da lì, da quella chiesa, da quella comunità, cercò di continuare la sua opera, instancabile, generosa, sorprendente, guidato da una vocazione limpida a sostenere sempre la parte delle minoranze deboli, oppresse, costruendo alleanze, senza mai paura di dichiararsi.

Anche politicamente: magari per il candidato sindaco Marco Doria o per il leader di Sel, Nichi Vendola. Gli toccò il premio «Fabrizio De Andrè» (del cantautore era stato grande amico). Gli toccò il titolo di «Personaggio dell’anno Gay», nel 2011, quando sostenne le rivendicazioni del Gay Pride.

Gli toccarono infinite sfilate televisive, dove cercò sempre di rappresentare il suo mondo di poveri, di deboli, di emarginati, sconfinando nella politica che praticava a braccio, che probabilmente non poteva sentire sua, troppo distante nei suoi meccanismi dalla materialità dei problemi che la sua «città» viveva, la faccia opposta di un altro celeberrimo prete genovese, quel don Gianni Baget Bozzo, coltissimo, raffinatissimo nei suoi esercizi politici, alla fine precipitato tra gli ispiratori di Berlusconi, vicinissimo invece don Gallo a quella città disperata e insieme ricca di vincoli e di umanità come può essere Genova, nelle stradine antiche, nel porto, nelle periferie che furono operaie, tra i viali e i portici di un manicomio, nei ghetti sconosciuti della povertà. Di questa città Don Gallo, cappellaccio in testa, sigaro in mano, parlata roca e intonazione dialettale, era protagonista e portavoce, intatto nella sua semplicità e nella sua determinazione operosa.

Addio a don Gallo prete a fianco dei poveri

di Gian Guido Vecchi (Corriere della Sera, 23 maggio 2013)

La cosa più divertente era sentirlo raccontare dei suoi rapporti con il cardinale Giuseppe Siri, grande arcivescovo conservatore di Genova, difficile immaginare due uomini più diversi «ma non ha mai chiesto che fossi sospeso, mai!». Certo, ogni tanto lo chiamava in arcivescovado per la canonica lavata di capo - ne aveva combinata un’altra delle sue - e alla fine gli ringhiava: «E la comunità, don Andrea, come va?». «Eh, si tira avanti, eminenza...».

Don Andrea Gallo ridacchiava masticando l’immancabile mezzo toscano quando descriveva Siri che «si voltava sospirando, apriva una piccola cassaforte e prendeva un po’ di soldi, i suoi soldi, per aiutare i miei poveri...».

Sarà che un albero, evangelicamente, si vede dai frutti. La sua comunità, l’ondata di affetto che ieri, dopo giorni di agonia, ha accompagnato la notizia della morte, alle 17.45, di don Andrea. Un affetto riassunto dalle parole del cardinale Angelo Bagnasco, «addolorato per un lutto che colpisce tutta Genova», il suo arcivescovo che sta a Roma per l’assemblea della Cei e ieri sospirava: «Tornerò venerdì, spero di poter essere io a celebrare il funerale di don Andrea».

Anche il presidente Giorgio Napolitano ha espresso «tristezza e rammarico», ricordando il «sacerdote amato per la sua forza spirituale e il suo impegno sui temi della povertà, dell’emarginazione e dell’esclusione sociale».

Ieri sera c’era la coda, davanti alla camera ardente nella chiesa della comunità di San Benedetto al Porto, sul feretro una bandiera della pace. Prete «contro», magari «comunista»: le etichette non lo sfioravano. Ma quando una volta, in curia, lo accusarono di «atteggiamenti antievangelici» lui, col suo mezzo toscano e il cappellaccio, era una furia: «Sono offeso, lo scriva: of-fe-so! Se vogliono darmi dell’arteriosclerotico facciano pure, non me la prendo, ma dell’antievangelico no!».

Classe ’28, orgoglioso della sua esperienza partigiana, era un salesiano e missionario, ma lasciò la congregazione per la diocesi della sua Genova. Dopo il Concilio si moltiplicavano le «comunità di base» e lui aveva fondato la comunità di San Benedetto al Porto a metà degli anni Settanta. Sul muro di fronte, verso il mare, un verso del suo amico Fabrizio De André: «Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior».

Ha passato quarant’anni della sua vita tra tossici, prostitute, malati, miserabili. Gente che non avrebbe mai messo piede in una chiesa e anzi ne sarebbe scappata a gambe levate, non fosse stato per don Andrea. Raggiungerlo nella canonica di San Benedetto, un vecchio edificio giallo e scrostato, significava scavalcare pile di scatoloni colmi di cibo e vestiti, «martedì e venerdì c’è la distribuzione per chi bussa, la porta è aperta a tutti». Gli altri, quelli che non arrivavano, andava a prenderli per strada.

Molto più colto di quanto non desse a vedere, amico di artisti e intellettuali (fu lui a celebrare i funerali di Fernanda Pivano), spesso le sue posizioni facevano raggelare le gerarchie, ma lui non ci faceva troppo caso. Le prostitute accompagnate al consultorio: «Avrei dovuto lasciare che i magnaccia le facessero abortire a calci in pancia?». O la contraccezione: «Vede, il mese scorso mi sono morti quattro ragazzi di Aids. E allora io continuerò a proporre la morale cattolica, la preparazione al matrimonio e tutto quanto, ma se vado in mezzo alla strada dico di usarli, i preservativi, come faccio ad aspettare?».

Tra tante opere, libri e dichiarazioni «scandalose», resta l’ultimo libro, In cammino con Francesco, una raccolta delle sue omelie (con un esergo per De André: «Caro Faber, da tanti anni canto con te, per dare voce agli ultimi, ai vinti, ai fragili, ai perdenti...») dedicata all’elezione di Bergoglio. Perché magari cantava «Bella ciao» in Chiesa, ma nell’essenziale è sempre rimasto saldo, don Gallo. «In direzione ostinata e contraria», cantava Faber.

Chi lo ha conosciuto lo sa: «La mia non è una scelta ideologica, altro che comunista, la mia Bibbia è qui, vede? Io ho scelto i poveri, ho scelto di camminare con il popolo di Dio verso cieli nuovi e terre nuove, nella centralità di Cristo. Perché chi sceglie una ideologia può sbagliare, ma chi sceglie i poveri non sbaglia mai».

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Titolo articolo : "CAPPELLA SISTINA" IN PERICOLO.,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: May/21/2013 - 19:50:52.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/3/2012 08.17
Titolo:ANALFABETISMO FUNZIONALE. Noi, analfabeti seduti su un tesoro ...
Noi, analfabeti seduti su un tesoro

di Armando Massarenti (Il Sole-24 ore/Domenica, 11 marzo 2012)

Due dati dovrebbero impressionarci come italiani, se vogliamo vederci (anzi, diciamo pure, venderci) come cittadini del mondo. Il primo è quello che riguarda la strepitosa immagine positiva che ancora siamo in grado di diffondere all'estero. Chiunque di noi si presenti come italiano in un qualunque ambiente di New York, Parigi, Tokyo, Pechino, Singapore, non riceverà che elogi e espressioni di ammirazione.

Perché? Perché nonostante tutto il nostro brand va fortissimo. E di che cosa è fatto questo brand? Vi sembrerà strano ma la parola che lo riassume è una sola: Cultura. Noi siamo il Paese della Cultura. Ovunque nel mondo. Nel mondo che conta e che si arricchisce. Lo dico con un'enfasi che non è la mia (e neppure l'uso disinvolto di parole del marketing come brand lo è, ma è per intendersi), perché non amo la retorica e per me cultura è anche tante altre cose assai più piccole (è anche ingegnosità minuta, fumetti, videogiochi, grafica, artigianato) e anche meno piccole ma in genere poco amate dagli umanisti: scienza, diritto, economia. Ma c'è poco da fare: è quello il brand che, quando siamo bravi, riusciamo a vendere, e dobbiamo andarne fieri. Anche nelle piccole cose: nel nostro design, nelle nostre automobili, nel nostro abbigliamento, nei nostri orologi di lusso, nei nostri mobili, in tutto il made in Italy c'è un riverbero della nostra gloriosissima storia, in un'immagine in cui lo straniero vede tutta la grandezza dell'antica Roma e del nostro Rinascimento, che condisce con i nostri musicisti, gli inventori dell'Opera lirica, i poeti, i grandi navigatori, i fondatori della scienza galileiana, cioè di quel metodo che è alla base del prodigioso progresso tecnico-scientifico degli ultimi quattro secoli in Europa e nel mondo. Ma di questo si parla nelle pagine centrali di questo numero, dove si può vedere bene, dati alla mano, che nei casi migliori la cultura «fattura», anche al nostro interno, nelle nostre regioni e province.

Passiamo dunque al secondo dato che dovrebbe impressionarci. Anzi, in questo caso, allarmarci. Noi italiani appariamo come primi ‐ primi assoluti! ‐ in una ben poco encomiabile lista. Tutto il mondo la può leggere e stupirsene. È pubblicata nella voce «functional illiteracy» di Wikipedia (la voce corrispondente «analfabetismo funzionale» non c'è nella versione italiana di Wikipedia, qualcuno la allestisca!), e dice che il 47 per cento degli italiani dai 14 ai 65 anni ha forti deficienze nella semplice comprensione di un testo. All'Italia seguono il Messico (43,2%), l'Irlanda (22,6%), Gran Bretagna (21,8), Usa (20), Belgio (18,4) giù giù (anzi su su) fino alla alfabetizzatissima Svezia (7,5%!).

Il 47 per cento di analfabeti vi sembra un'esagerazione? Prima di allarmarci potremmo provare a consolarci in due modi. Primo: obiettare che i dati della voce di Wikipedia si fermano al 2003. Magra consolazione. Il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco ci ha ricordato, nel suo recentissimo Investire in conoscenza e sul Sole 24 Ore-Domenica di due settimane fa, che negli anni successivi gli analfabeti funzionali sono saliti all'80%! E un allarme simile è confermato da uno dei nostri massimi linguisti, Tullio De Mauro. Anche la tv, dopo aver fortemente contribuito alla crescita e unificazione linguistica del Paese, ora sta assecondando il movimento opposto.

Secondo modo di consolarci: si tratta di «analfabetsimo funzionale» e non di analfabetismo tout court, dal quale siamo usciti con un grande sforzo collettivo con la ricostruzione del secondo dopoguerra. Magra, magrissima consolazione anche questa, alla quale si può rispondere con la famosa battuta di Eugenio Montale, che aveva già capito tutto: «Il rapporto tra l'alfabetismo e l'analfabetismo è costante, ma al giorno d'oggi gli analfabeti sanno leggere». Sanno leggere 'tecnicamente', nel senso che per lo più riconoscono i caratteri, e sanno maldestramente far di conto. Peccato che nell'80 per cento dei casi non capiscano quello che leggono e non dispongano di quel minimo di attrezzatura intellettuale utile a orientarsi nel mondo. Non sono in grado per esempio di capire e compilare un modulo in cui vengano richieste non solo informazioni anagrafiche, ma anche riguardanti la propria posizione professionale, previdenziale o fiscale. E se nei paesi civili la media dei cittadini di questo tipo si assesta sul 20%, da noi le percentuali sono invertite!

Dove può andare il Paese più ricco di opere d'arte del mondo, che futuro può immaginare per il suoi giovani, per la qualità della vita, per riattivare quel «circolo virtuoso tra conoscenza, ricerca, arte, tutela e occupazione», se parte da questa miserevole dotazione di capitale umano?

Mettendo insieme le due immagini ‐ quella del brand e quella dell'analfabetismo ‐ viene da pensare al grande illuminista tedesco Ephraim Lessing, il quale suggellò il suo Grand Tour con una favola in cui i moderni italiani che si vantano di discendere dagli antichi romani vengono paragonati a vespe che uscendo dalla carogna di un cavallo esclamano: «Da quale nobile animale abbiamo tratto origine!». Quanto gli italiani sappiano diventare boriosi proprio in ragione della loro storia e al loro patrimonio lo ha poi ribadito un altro filosofo. «Il tratto principale del carattere nazionale degli Italiani - annotava Arthur Schopenhauer in un Taccuino del 1823 - è un'assoluta spudoratezza. Che consiste in questo: da un lato non c'è nulla di cui non ci si ritenga all'altezza, e quindi si è presuntuosi e arroganti; dall'altro non c'è nulla di cui ci si ritenga abbastanza esperti, e quindi si è codardi. Chi ha pudore, invece, è troppo timido per alcune cose, troppo orgoglioso per altre. L'Italiano non è né l'uno né l'altro, bensì, a seconda delle circostanze, o è pavido o è borioso».

Oggi dobbiamo avere l'umiltà di ricominciare da capo, di ripensare i saperi e le competenze, e acquisire piuttosto la consapevolezza di essere degli analfabeti seduti sopra un tesoro, sempre di più privi di quegli strumenti di base che ci permetterebbero non solo di capire, ma anche di far fruttare i formidabili talenti che ci circondano.

Smettiamola, con il nostro turismo d'accatto, di presentarci come degli straccioni che a un certo punto scoprono di avere il Colosseo (oggi usato come una specie di rotatoria per le automobili) e cercano di mungerlo il più possibile, senza aggiungerci nulla in termini di innovazione, intelligenza, conoscenza, capitale umano. Totò che vende la fontana di Trevi a un turista americano è un'altra immagine appropriata, e ancora attuale. Ci fa ancora ridere. Ridiamoci pure sopra. Ma allarmiamoci anche, perché Totò ci sta dicendo ancora la verità. Abbiamo capito che quell'opera ha un valore inestimabile, ma ne capiamo sempre meno il significato, mentre è proprio questo che gli altri Paesi civili ed emergenti comprendono e apprezzano, e spesso sfruttano economicamente, con maggiore lungimiranza, al nostro posto.

Ecco allora il vero senso di emergenza che il nostro Manifesto per la cultura vuole imprimere ai decisori pubblici attuali, e al Governo intero, che non possono sottrarsi a questa enorme responsabilità storica solo perché da trent'anni i loro predecessori lo hanno fatto. Il senso dell'urgenza sta in quei dati agghiaccianti, in quel misero 20% di italiani (8 milioni circa) che dispone di strumenti di lettura e scrittura minimi indispensabili. Siamo in gravissimo ritardo nel quadro internazionale e nell'ambito di una società globalizzata cosiddetta della «conoscenza». Se poi aggiungiamo i dati relativi ai ragazzi di 15-16 anni dei famosi test Pisa c'è da allarmarsi ancora di più.

Dunque prima ancora che dalla Cultura, partiamo dalle sue basi, dall'istruzione, e ripensiamola nei termini dell'unico possibile investimento per il nostro futuro dopo la crisi. Prendiamo il coraggio ‐ e i dati ‐ a due mani e diamoci da fare. Io sono certo, con la maggior parte di voi, che impegnandoci un po' possiamo tranquillamente dimostrare che Lessing e Schopenhauer avevano torto.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/3/2012 10.39
Titolo:UN VIAGGIO IN COMPAGNIA DI DON GIUSEPPE DE LUCA ...
UN VIAGGIO:

SUI LUOGHI DELLA METAFISICA. IN COMPAGNIA DI DON GIUSEPPE DE LUCA **

Tutte le volte, e non furono tante, che io son tornato nella casa dove nacqui (è in un paese montano, sul margine di faggete eterne che mai nessuno ha traversato, nel cuore più nascosto della Basilicata; e sì che vi si è a distanza pari, lassù, tra l'Adriatico, lo Ionlo, ll Tirreno, e io fanciullo coi pastori spiavo se, di tra una radura e l'altra della sommità più alta, si vedessero in lontananza scintillare insieme le tre marine); tutte le volte che sono tornato a casa, dicevo, giungendovi da Salerno per il Vallo di Diano, non appena oltrepassato il crinale che il Vallo separa dalla vallata del Pergola, d'ún subito scoprivo, là sulla costa di fronte, il mio paese nel sole, e poco più giù sulla destra il camposanto, dove dorme colei che, dando in cambio la vita sua per la mia, mi fece uomo; e accanto ad essa, dorme il prete che fece me prete.

Voi direte: il Pergola, peuh! gran fiume che è! e poi anche la valle di cotanto fiume, e poi... Adagio, lettore. Da quei monti dietro il mio paese, da quelle faggète, scende il Melandro; il Melandro per ùna matassa lenta di andirivieni va a riversarsi nel Pergola, il Pergola nel Tanagro; e così, dolce dolce, una valle appresso all'altra ora costeggiando l'uno ora.l'altro paese, antiquos subterlabentia muros, quei magri fiumi si gettano alla fine nel Sele

[nei pressi della stazione ferroviaria del Comune di CONTURSI, fls],
e il Sele entra nel mare a Pesto, dove I'acqua del mare serba ancora una sua certa luce: poco più su insomma dell'antica Elea, dove nacque un giorno la metafisica, come sullo Ionio a Metaponto, ora coltivata ma sempre solitaria, nacque un giorno la filosofia religiosa.

Lettor mio, vuoi proprio levarti la voglia e il gusto di darci di "area depressa"? Padrone. Io pure, rintronato sin da fanciullo tra nomi come Melandro, Tanagro, Sele, Palinuro, Elea, Metaponto, anche io mi sento quando perplesso e quando depresso. Non forse in quel senso che dici tu, ma è un fatto, sento che mi opprime, quasi un peso troppo grande, il peso di tre millenni continuati nella luce della civiltà; e se non ti dispiace, mi sento turbare tutte le volte da quelle terre, quei cieli,.quei boschi, quelle acque, quei luoghi senza gloria, così poveri e antichi. Tutte le volte. Te ne accorgerai tu pure, un giorno non lontano *.

*

Questo è il paesaggio in cui si trova Contursi Terme, e questo è il sorprendente avvio dell'articolo, intitolato Ballata alla Madonna di Czestochova ("Osservatore Romano", 25.2.1962), scritto da don Giuseppe De Luca (su invito di Giovanni XXIII, in occasione della visita a Roma del primate polacco, il cardinale Wyschinski), a meno di un mese dalla sua repentina morte avvenuta il 19.3.1962 (cfr. "Bailamme", nn. 5-6, 1999, pp. 11 e sgg.). Egli era nato a Sasso di Castalda, in provincia di Potenza, il 15.09.1898, da una famiglia contadina.
Della sua instancabile e preziosa attività culturale, degna di nota (per i problemi qui trattati) è la cura e la risrampa, accresciuúa con ricchi dati bibliografici, della dissertazione del 1907 di Angelo Roncalli su Il Cardinale Cesare Baronio. Per il terzo centenario della morte, cfr. Angelo Roncalli, Il Cardinale Cesare Baronio, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1961.

** Cfr. Federico La Sala, Della Terra, il brillante colore. Note sul "poema" rinascimentale di un ignoto Parmenide carmelitano (ritrovato a Contursi Terme nel 1989), Prefazione di Fulvio Papi, Edizioni Ripostes, Salerno-Roma 1996, pp. 14-15.
Autore Città Giorno Ora
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/3/2012 19.28
Titolo:IL VIAGGIO DI OGNUNO E DI OGNUNA - IL VIAGGIO DI "ADAMO" ...
La Commedia di ognuno di noi

di Carlo Ossola (Il Sole -24 Ore, 18 marzo 2012)

Siamo stati formati dalla critica a pensare alla Divina Commedia come «viaggio a Beatrice» (così suona il titolo del celebre saggio di Charles S. Singleton, Journey to Beatrice, 1958). Il fedele d'Amore mantiene la promessa che chiudeva la Vita nova: «Appresso questo sonetto apparve a me una mirabile visione, ne la quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei». Beatrice appare nel Paradiso Terrestre, al sommo della montagna del Purgatorio, ivi trionfa e ivi nomina, per la prima volta nella Commedia, Dante: «Quando mi volsi al suon del nome mio, / che di necessità qui si registra» (Purg., XXX, 62-63). La teoria romantica che da Rossetti a Gourmont ha ispirato la lettura del poema trova qui il suo sigillo.

Ma molti ostacoli presenta tuttavia una lettura siffatta: il primo ed evidente è che Dante si fa lì nominare per essere aspramente rimproverato da Beatrice: «Dante, perché Virgilio se ne vada, / non pianger anco, non piangere ancora; / ché pianger ti conven per altra spada» (Purg., XXX, 55-57). Anche a voler ammettere che Dante si pieghi a un gesto di umiltà, e poi ascenda gloriosamente con Beatrice al Paradiso, sul più bello - come si dice in maniera colorita ma calzante - Dante si fa poi abbandonare da Beatrice: «Uno intendëa, e altro mi rispuose: / credea veder Beatrice e vidi un sene / vestito con le genti glorïose» (Par., XXXI, 58-60).

La guida al mistero e alla visione finale sarà san Bernardo: su questo "transito" Jorge Luis Borges ha scritto pagine finissime e non resta che rinviare ai suoi Nove saggi danteschi. L'ipotesi romantica rimane monca e toglie anzi grandezza al «poema sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra» (Par., XXV, 1-2), toglie spessore alla lettura allegorica del testo che Dante difende spiegando, nell'Epistola a Cangrande, e citando nel poema il salmo In exitu Isräel de Aegypto (Purg., II, 46).

Occorre prendere sul serio il testo e ritornare a una ipotesi già avanzata dal Boccaccio e dai primi commentatori e ripresa nel Novecento da Ezra Pound: «In un senso ulteriore è il viaggio dell'intelletto di Dante attraverso quegli stati d'animo in cui gli uomini, di ogni sorta e condizione, permangono prima della loro morte; inoltre Dante, o intelletto di Dante, può significare "Ognuno", cioè "Umanità", per cui il suo viaggio diviene il simbolo della lotta dell'umanità nell'ascesa fuor dall'ignoranza verso la chiara luce della filosofia» (E. Pound, Dante, in Lo spirito romanzo, 1910). Se il protagonista del viaggio è «Everyman», non è più necessario attribuire a Dante viator l'esperienza eccezionale di una visione mistica, ma di riconoscere in lui il volto di Ognuno: per questo «la Commedia di Dante è, di fatto, una grande sacra rappresentazione, o meglio, un intero ciclo di sacre rappresentazioni» (ivi).

La lettura di Pound incontra, dicevamo, la chiosa che il Boccaccio propone sin dall'apertura delle sue Esposizioni sopra la Comedia di Dante, estrema opera della sua vita, suggerendo che non solo da Beatrice Dante si faccia nominare, ma soprattutto da Adamo al sommo del Paradiso: «L'altra persona, alla quale nominar si fa, è Adamo, nostro primo padre, al quale fu conceduto da Dio di nominare tutte le cose create; e perché si crede lui averle degnamente nominate, volle Dante, essendo da lui nominato, mostrare che degnamente quel nome imposto gli fosse, con la testimonianza di Adamo; la qual cosa fa nel canto XXVI del Paradiso, là dove Adamo gli dice: "Dante, la voglia tua discerno meglio", eccetera».

Ora precisamente Boccaccio adotta una lezione, per Par., XXVI, 104, trádita dai più antichi codici (il Landiano, 1336, il Trivulziano, 1337, e molti altri) e confermata dagli antichi commentatori, da Pietro Alighieri, alle Chiose ambrosiane, a Francesco da Buti; lezione che cambia profondamente il senso del poema, poiché ora - nominato da Adamo - Dante non è più solo il fedele d'Amore, ma è il «novello Adamo» di un'umanità redenta, come riassume, nel suo commento, Pietro Alighieri e, con raffinata pertinenza, ribadiscono le «Chiose ambrosiane» (da situare intorno al 1355; traduco dal bel latino): «Dante - Qui il poeta si fa nominare dal primo uomo che impose il nome a tutte le cose e senza quella excusatio alla quale ebbe a ricorrere nel Purgatorio ove disse: "Che de necessità qui se registra". Nota quindi che il poeta mai volle essere nominato nell'Inferno, e neppure nel Purgatorio nei luoghi ove si purgano i vizi, ma concesse di farsi nominare fuori dalle cornici dei vizi, sebbene dovendosi scusare (tamen cum excusatione). Ma in Paradiso senza doversi scusare, come appunto qui - essendo l'opera ormai quasi compiuta - e dopo che, esaminato, aveva fatto professione delle virtù teologali».

Quando parallelamente si osservi il comportamento di Boccaccio copista, in particolare nell'esemplare «Chigiano L VI 213 (= Chig), di mano del Boccaccio, che lo trascrisse non molto avanti la nomina a lettore di Dante, nell'agosto del 1373» (G. Petrocchi, I testi del Boccaccio, in La Commedia secondo l'antica vulgata), si dovrà concludere che anche lì un codice Chig «il quale si impone sugli altri con la qualifica di edizione ultima e definitiva del testo dantesco» (Petrocchi) mantiene la lezione «Dante, la tua voglia discerno meglio» (nel ms. a p. 330; ringrazio di cuore Rudy Abardo per il prezioso riscontro filologico e Marisa Boschi Rotiroti per la sollecitudine) con perfetta coerenza alle ragioni enunciate nelle contigue Esposizioni.

Si tratta dunque di ritornare alle origini, non solo agli autorevolissimi manoscritti che inscrivono: «Dante» o «da- te» e non «da te» (lezione minoritaria), come ha adottato il Petrocchi e con lui - snervando il vigore del testo - le edizioni moderne della Commedia («Indi spirò: "Sanz'essermi proferta / da te, la voglia tua discerno meglio"»); e di riconoscere che - nell'eliminare Dante nominato da Adamo - non si è fatta solo una "rimozione" a favore di una lettura meramente amorosa del poema, ma si è privato il testo stesso di quella grandiosa e universale coralità che Dante voleva conferire al proprio viaggio. Poiché, qui, Dante non è più il poeta della Vita nova, ma l'autore del «poema sacro»; egli è ormai, e per sempre, Everyman, il "novello Adamo" dell'umanità redenta, sì che dal «padre antico» (Par., XXVI, 92) possa ricevere la più alta consacrazione.

Occorre insomma pensare alla Commedia, come a «l'albero che vive de la cima» (Par., XVIII, 29); che si compie nella "nuova Genesi" del Paradiso di Gloria, come ben vide Giovanni Getto, sin dal 1947, sottolineando «cotesto epos della vita interiore come esultanza delle spirito elevato verso le cime vertiginose della partecipazione al Dio della gloria e dell'eterno» (Poesia e teologia nel «Paradiso» di Dante, in Aspetti della poesia di Dante); ma anche come partecipazione dell'umanità tutta alla speranza della Resurrezione della carne della storia e dei corpi, che ansiosamente i beati in Paradiso attendono («Come la carne glorïosa e santa / fia rivestita, la nostra persona / più grata fia per esser tutta quanta», Par., XIV, 43-45).

Così dunque, in questa quotidiana coralità di Everyman, è da proporre al XXI secolo la Divina Commedia, bene comune non dell'Italia soltanto, ma dell'umanità intera; e sempre così è stata intesa, dai primi commentatori al Boccaccio, come il poema al quale bussare e attingere per avere accoglienza, ospitalità, conforto. Lo testimonia ancora, al portale di un palazzo di Cannaregio il battente dantesco, e i tanti uomini che in nome di Dante, e leggendo il suo poema, hanno sfidato la barbarie, da Osip Mandel'štam a Primo Levi. Ogni giorno, Dante è davvero tutti noi.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/3/2012 16.06
Titolo:SIBILLE E PROFETI... DONNE E MINISTERI
Donne e ministeri da segno dei tempi a indice di autenticità

di Lilia Sebastiani

in “Viandanti” (www.viandanti.org) del 10 marzo 2012

Nell’enciclica ‘conciliare’ Pacem in terris di Giovanni XXIII (1963) al n.22 l’ingresso crescente delle donne nella vita pubblica veniva annoverato tra i segni dei tempi, insieme alla crescita delle classi lavoratrici (n.21) e alla fine del colonialismo (n.23).

Ricordare l’enciclica è doveroso, per il valore storico di questo semplice e cauto riconoscimento: infatti è la prima volta che un documento magisteriale rileva la cosiddetta promozione della donna senza deplorarla - anzi come un fatto positivo. I segni dei tempi sono ancora al centro della nostra attenzione, ma per quanto riguarda le donne la questione cruciale e non ignorabile è ormai quella del loro accesso al ministero nella Chiesa, a tutti i ministeri.

Venerande esclusioni

Certo il problema dei ministeri non è l’unico connesso con lo status della donna nella Chiesa, ma senza dubbio è fondamentale; guardando al futuro, è decisivo. Non solo e non tanto in se stesso, ma per la sua natura di segno.

In questo momento nella Chiesa la donna è ancora esclusa dai ministeri ecclesialmente riconosciuti: non solo da quelli ordinati (l’Ordine sacro, cioè, nei suoi tre gradi: episcopato, presbiterato, diaconato) ma anche da quelli istituiti, il lettorato e l’accolitato. Questi ultimi, chiamati un tempo “ordini minori” e considerati solo tappe di passaggio obbligatorie per accedere all’ordinazione, furono reintrodotti nel 1972 da Paolo VI (Ministeria quaedam) come “ministeri istituiti” - per distinguerli da quelli ordinati, mantenendo però l’elemento della stabilità e del riconoscimento ecclesiale - e furono aperti anche a laici non incamminati verso l’Ordine; tuttavia si specificava chiaramente che tali ministeri erano riservati agli uomini, “secondo la veneranda tradizione della chiesa latina”.

Un po’ più recente l’istituzione dei “ministri straordinari dell’Eucaristia”: con prerogative non molto diverse da quelle degli accoliti, questi possono essere anche donne. E di fatto sono più spesso donne che uomini. Un passo avanti, forse? Certo però la dichiarata ‘straordinarietà’ sembra messa lì a ricordare che si tratta di un’eccezione, di una supplenza..., di qualcosa che normalmente non dovrebbe esserci.

A parte i servizi non liturgici ma fondamentali, come la catechesi dei fanciulli, quasi interamente femminile, e le varie attività organizzative e caritative della parrocchia, le letture nella Messa vengono proclamate più spesso da donne che da uomini; ma si tratta sempre e comunque di un ministero di fatto, che in teoria sarebbe da autorizzare caso per caso, anche se poi, di solito, l’autorizzazione viene presunta.

Il Concilio e l’incompiuta apertura

Il problema dell’accesso femminile ai ministeri è diventato di attualità nella Chiesa nell’immediato post-concilio, nel fervore di dibattito che caratterizzò quell’epoca feconda e rimpianta della storia della Chiesa. Il Vaticano II aveva mostrato una notevole apertura sulle questioni che maggiormente sembravano concernere il problema della donna in generale e della donna nella Chiesa in particolare. Sulle questioni più specifiche e sul problema dei ministeri i documenti conciliari erano generici fino alla reticenza, ma senza chiusure di principio. Ciò autorizzava a sperare nel superamento, non proprio immediato ma neppure troppo lontano, di certe innegabili contraddizioni che persistevano sul piano disciplinare. Inoltre altre chiese cristiane avevano cominciato da qualche anno, certo non senza resistenze anche aspre, a riconsiderare e a superare gradualmente il problema dell’esclusione (a nostra conoscenza, la chiesa luterana svedese fu la prima ad ammettere donne al pastorato, nel 1958)

.Una chiusura fragile

Nel decennio che seguì il Concilio, il dibattito in proposito fu intenso. La Chiesa ufficiale mantenne però una posizione di cautela e di sostanziale chiusura sempre più netta, che culminò - volendo chiudere la questione una volta per sempre - nella dichiarazione vaticana Inter insigniores, che è della fine del 1976, ma resa pubblica nel 1977.

In questo documento l’esclusione delle donne dal ministero ordinato veniva ribadita con caratteri di definitività vagamente ‘infallibilista’, ma anche con un significativo mutamento di argomentazione, che ci sembra importante poiché dimostra che l’esclusione è un fatto storico-sociologico in divenire e non un fatto teologico-sacramentale. Non si dice più, come affermava Tommaso d’Aquino, che la donna è per natura inferiore all’uomo e quindi esclusa per volere divino da ogni funzione implicante autorità; si richiama invece l’ininterrotta tradizione della Chiesa (che è evidente, ma è anche evidentissimo portato della storia e delle culture) e soprattutto la maschilità dell’uomo Gesù di Nazaret, da cui deriverebbe la congruenza simbolica della maschilità del prete che, presiedendo l’assemblea, agisce in persona Christi.

Quest’ultimo argomento fragile e sconveniente è stato lasciato cadere, infatti, nei pronunciamenti successivi: questi si rifanno solo alla tradizione della Chiesa e a quella che viene indicata come l’esplicita volontà di Gesù manifestata dalla sua prassi.

Anche questo argomento non funziona. Gesù, che non mostra alcun interesse di tipo ‘istituzionale’, alle donne accorda, con naturalezza, una piena parità nel gruppo dei suoi seguaci. Sembra insieme scorretto e pleonastico dire che “non ha ordinato nessuna donna”, dal momento che, semplicemente, non ha ordinato nessuno. Non vi è sacerdozio nella sua comunità, ma servizio e testimonianza, diakonìa non formalizzata - eppure rispondente a una chiamata precisa - che, prima di essere attività, è opzione fondamentale, stile di vita, sull’esempio di Gesù stesso “venuto per servire”.

Nel Nuovo Testamento di sacerdozio si può parlare solo in riferimento al sacerdozio universale dei fedeli (cfr 1 Pt 2,9; Ap 1,6), negli ultimi decenni tanto rispettato a parole quanto sfuggente e ininfluente nel concreto del vissuto ecclesiale; oppure in riferimento all’unico sacerdote della Nuova Alleanza - sacerdote nel senso di mediatore fra Dio e gli esseri umani -, Gesù di Nazaret (cfr Ebr 9), il quale nella società religiosa era un laico, oltretutto in rapporti abbastanza conflittuali con il sacerdozio del suo tempo.

Un’esclusione che interpella tutti

Vi sono due fatti, molto modesti ma significativi, che aiutano a tenere viva la speranza. Il primo, che i pronunciamenti dell’autorità ecclesiastica volti a chiudere ‘definitivamente’ la questione sono diventati abbastanza ricorrenti, il che dimostra che non è poi tanto facile chiuderla. Il dibattito è aperto e procede. Il secondo, che l’argomentazione teologica sembra cambiata ancora: felicemente sepolto l’infelicissimo argomento della coerenza simbolica, già pilastro dell’Inter insigniores, si richiama solo la prassi ininterrotta della chiesa romana e sempre più spesso si sente riconoscere, anche dalle voci più autorevoli, che contro l’ordinazione delle donne non ci si può appellare a ragioni biblico-teologiche.

No, non si tratta di banali rivendicazioni. L’esclusione interpella tutti: nessuna/nessun credente adulto può disinteressarsi di questo problema chiave finché le donne nella chiesa non avranno di fatto le stesse possibilità degli uomini, la stessa dignità di rappresentanza.

E’ necessario ricordare che vi sono donne cattoliche di alto valore e seriamente impegnate - tra loro anche alcune teologhe - che a una domanda precisa sul problema dei ministeri istituiti rispondono o risponderebbero più o meno così: no grazie, il sacerdozio così com’è proprio non ci interessa. E’ un atteggiamento che merita rispetto: almeno in quanto manifesta il timore che insistere troppo sul tema dell’ordinazione induca ad accentuare l’importanza dei ministri ordinati nella Chiesa (mentre sarebbe urgente semmai ridurre quell’importanza, insomma ‘declericalizzare’).

Ma dobbiamo ricordare che il “sacerdozio così com’è”, nella storia e nella mentalità corrente, si fonda proprio sulla ‘separazione’, sullo spirito di casta, sul sospetto previo e sul rifiuto nei confronti della donna, che nella chiesa di Roma si esprime in una doppia modalità: l’esclusione delle donne dalle funzioni di culto, di governo e di magistero, è parallela all’obbligo istituzionale di essere “senza donna” per coloro che le esercitano. Il divieto per le donne di essere ministri ordinati el’obbligo per i ministri ordinati di restare celibi sembrano due problemi ben distinti, mentre sono congiunti alla radice. E ormai sappiamo che potranno giungere a soluzione solo insieme.

Segno dei tempi, certo. Segno di trasformazione, segno contraddittorio, segno incompleto, proprio come il tempo in cui viviamo. Per quanto riguarda la chiesa cattolica, però, non solo segno, ma indice di autenticità. Non temiamo di dire che sulla questione dei ministeri, che solo a uno sguardo superficiale o ideologico può apparire circoscritta, si gioca il futuro della chiesa.

Lilia Sebastiani

Teologa
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/3/2012 15.17
Titolo:Sebben che siamo donne non ci fa paura la filosofia ...
Sebben che siamo donne non ci fa paura la filosofia

Il «pensiero femminile» è socialmente discriminato: un condizionamento negativo

La “rabbia” di una filosofa americana del Mit: in questo campo siamo discriminate, molte di noi costrette a lasciare

di Franca D’Agostini (La Stampa, 25.03.2012)

Sally Haslanger è una delle più brillanti filosofe americane: in un articolo su Hypathia confessa che da quanto è arrivata al Mit, nel ’98, si è più volte domandata se non fosse il caso di lasciare la filosofia “C’ è in me una rabbia profonda. Rabbia per come io sono stata trattata in filosofia. Rabbia per le condizioni ingiuste in cui molte altre donne e altre minoranze si sono trovate, e hanno spinto molti a lasciare. Da quando sono arrivata al Mit, nel 1998, sono stata in costante dialogo con me stessa sull’eventualità di lasciare la filosofia. E io sono stata molto fortunata. Sono una che ha avuto successo, in base agli standard professionali dominanti». S’inizia così «Changing the Ideology and Culture of Philosophy», un articolo di Sally Haslanger, una delle più brillanti filosofe americane, apparso su Hypathia .

C’è un problema, che riguarda le donne e la filosofia: inutile negarlo. «Nella mia esperienza è veramente difficile trovare un luogo in filosofia che non sia ostile verso le donne e altre minoranze», scrive Haslanger. E se capita così al Mit, potete immaginare quel che succede in Italia. È facile vedere che, mentre in tutte le facoltà le donne iniziano a essere presenti (anche se rimane il cosiddetto «tetto di cristallo», vale a dire: ai gradi accademici più alti ci sono quasi esclusivamente uomini), in filosofia la presenza femminile scarseggia.

Non sarà forse che le donne sono refrattarie alla filosofia, non la capiscono, non la apprezzano? Stephen Stich e Wesley Buchwalter, in «Gender and Philosophical Intuition» (in Experimental Philosophy, vol. 2), hanno riproposto il problema, esaminandolo nella prospettiva della filosofia sperimentale: una tendenza filosofica emergente, che mette in collegamento le tesi e i concetti filosofici con ricerche di tipo empirico (statistico, neurologico, sociologico, ecc). La prima conclusione di Stich e Buchwalter è che effettivamente sembra esserci una «resistenza» del «pensiero femminile» di fronte ad almeno alcuni importanti problemi filosofici. Stich e Buchwalter si chiedono perché, e avanzano alcune ipotesi, ma non giungono a una conclusione definitiva.

Le femministe italiane di Diotima avrebbero pronta la risposta: la filosofia praticata nel modo previsto da Stich e compagni è espressione estrema del «logocentrismo» maschile, dunque è chiaro che le donne non la praticano: sono interessate a qualcosa di meglio, coltivano un «altro pensiero». Ma qui si presenta un classico problema: in che cosa consisterebbe «l’altro pensiero» di cui le donne sarebbero portatrici? Se si tratta per esempio di «pensiero vivente», attento alle emozioni e alla vita, come a volte è stato detto, resta sempre da chiedersi: perché mai questo pensiero sarebbe proprio delle donne? Kierkegaard, che praticava e difendeva una filosofia di questo tipo, era forse una donna?

Forse si può adottare un’altra ipotesi. Come spiega Miranda Fricker in Epistemic Injustice (Oxford University Press, 2007) le donne subiscono spesso ciò che Ficker chiama ingiustizia testimoniale, vale a dire: ciò che pensano e dicono viene sistematicamente sottovalutato e frainteso. Un’osservazione fatta da una donna che gli uomini non capiscono, per ignoranza o per altri limiti, viene all’istante rubricata come errore, o come vaga intuizione. Fricker cita Il talento di Mr. Ripley: «Un conto sono i fatti, Marge, e un conto le intuizioni femminili», dice il signor Greenleaf. Ma Marge aveva ottime ragioni nel sostenere che Ripley aveva ucciso il figlio di Greeenleaf.

In questa prospettiva il quadro muta. Consideriamo la rilevazione dell’attività cerebrale di un ragazzo e una ragazza che svolgono una prestazione intellettuale «di livello superiore», ossia risolvono per esempio un’equazione difficile. A quanto pare, mentre il cervello del ragazzo si illumina in una sezione molto circoscritta dell’emisfero frontale, il cervello della ragazza si illumina in modo diffuso, diverse zone dell’encefalo sono coinvolte. Ecco dunque la differenza emergere dai fatti cerebrali: le donne - così si dice - avrebbero un’intelligenza aperta e «diffusa». Naturalmente, questa diffusività è un limite: è appunto la ragione per cui le prestazioni intellettuali femminili sarebbero meno rapide ed efficaci. L’ipotesi differenzialista a questo punto ribatte: attenzione, l’intelligenza diffusa è un pregio, ed è il mondo che privilegia rapidità ed efficacia a essere sbagliato.

Ma l’altra ipotesi - che tanto Haslanger quanto Fricker indirettamente sostengono - sembra più ragionevole: se c’è un «pensiero femminile», la sua prima caratteristica consiste nell’essere un pensiero socialmente discriminato, che subisce sistematicamente ingiustizie testimoniali. Il cervello discriminato è coinvolto sul piano emotivo, a causa del grande quantitativo di ingiustizia che ha dovuto subire. E a questo punto il mistero è risolto: provate voi a risolvere un difficile problema filosofico in un ambiente in cui tutto vi dice che non sapete risolverlo. Provate, in più, avendo dentro di voi la rabbia descritta da Haslanger: quella che vi viene dal conoscere questa ingiustizia, che riguarda voi ma anche altre persone, e altre minoranze discriminate (anche tra i neri non ci sono molti filosofi). Poi vedete un po’ se non vi si illumina tutto il cervello.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/11/2012 08.43
Titolo:CONTURSI T. Parte la mobilitazione per la salvaguardia
COMUNE DI CONTURSI TERME

Parte la mobilitazione per la salvaguardia della Chiesa del Carmine


http://www.comune.contursiterme.sa.it/index.php?action=index&p=751


E' stato anche grazie alla sensibilità di alcuni cittadini contursani che vivono da anni a Milano come il Prof. Federico La Sala che lo scorso autunno il Sindaco e l'Amministrazione affiancando il Parroco Don Salvatore Spingi hanno ritenuto di sollecitare un intervento da parte della Soprintendenza affinchè alcuni affreschi del ciclo delle sibille all'interno della bellissima Chiesa del Carmine, danneggiato da infiltrazioni di acqua piovana non andasse definitivamente perduto.

Ed infatti dopo il sopralluogo congiunto da parte di tecnici funzionari delle due Soprintendenze di Salerno (ai Beni architettonici ed ai Beni artistici) si è riusciti ad ottenere solo indicazioni su come effettuare gli interventi di riparazione delle tegole, delle orditure e delle caditoie esterne, ma nulla di più. Nessun finanziamento e nessun contributo economico. "Il Ministero ha subito tagli drastici e non ci sono neanche le risorse per la manutenzione degli uffici" è stata la risposta delle Soprintendenze sollecitate.

Secondo il loro avviso l'intervento è di competenza della Parrocchia in quanto proprietaria della struttura. Ma, è chiaro, in Italia si rischia di morire tra i rimbalzi delle competenze amministrative, per cui l'Amministrazione intanto ha conferito incarico ad un proprio tecnico, il responsabile dell'ufficio "Edilizia e Lavori Pubblici" per la predisposizione di un progettino di intervento di consolidamento della struttura per poi ottenere la relativa prescrita autorizzazione da parte della Soprintendenza e poi, in assenza di fondi e finanziamenti pubblici, aiutare la Parrocchia nella raccolta fondi e nel coinvolgimento di cittadini, sponsor e volontari da impiegare per evitare il malaugurato degrado della bellissima Chiesa del seicento.

Si tratta di un vero e proprio gioiello, uno straordinario monumento religioso, culturale ed artistico che i contursani di oggi devono salvaguardare per i contursani di domani. Gli affreschi sono resistiti per più di quattro secoli e tutti devono attivarsi per conservarne la straordinaria bellezza ed il profondo messaggio che ne è stato tramandato.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/5/2013 19.50
Titolo:NIENTE DI FATTO!!!
DOPO UN ANNO E PIU' DALLA VISITA E DALLA RELAZIONE DEI TECNICI DELLA SOVRINTENDENZA CHE HANNO SOLLECITATO

PARROCO E SINDACO A UN INTERVENTO DI "SOMMA URGENZA", TUTTO FERMO!!!

NIENTE DI FATTO!!

COME SE NIENTE FOSSE ACCADUTO (E NIENTE POTREBBE ACCADERE)!!!

Federico La Sala

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Commenti Articolo 498

Titolo articolo : COSTITUZIONE E MESSAGGIO EVANGELICO: LE ILLUSIONI DI PRODI E IL LIEVITO IMPUTRIDITO DEI CATTOLICI. Una nota di Romano Prodi - con premessa,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: May/21/2013 - 17:00:33.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/1/2013 13.10
Titolo:UNA RIFLESSIONE NECESSARIA E POSITIVA ....
Prodi, i cattolici e il lievito della società

di Domenico Rosati (l'Unità 15 gennaio 2013)

Se ci fosse una logica nelle cose, l'articolo di Romano Prodi sul Corriere della Sera (la politica e «il lievito» dei cattolici) , oltre ad essere un'esauriente ed autorevole testimonianza sui fatti e le tendenze che hanno attraversato il mondo dei fedeli negli ultimi vent'anni, sarebbe un'eccellente traccia di lavoro per il Consiglio permanente della Cei fissato per fine di gennaio.

Potrebbe accadere se in ambito ecclesiastico ci fosse l'abitudine di tener conto delle esperienze maturate sul campo non solo per giudicare gli errori altrui ma anche per riconoscere i propri; e soprattutto per non ripeterli.

In ogni caso l'articolo offre spunti quanto mai pertinenti per aprire un confronto plausibile sul futuro dei cattolici nell'organizzazione della comunità nazionale italiana. Partendo non dalla proclamazione identitaria o dalla teorizzazione di un generico pluralismo ma dal dato empirico, ormai conclamato e documentato (e non più censurato) della «collocazione dei cattolici militanti in diverse caselle politiche»; un evento giudicato «importante e positivo per la storia religiosa e politica italiana».

A questo approdo si è giunti - Prodi ha più d'ogni altro i titoli per affermarlo e lo fa con apprezzabile discrezione - attraverso il fallimento dei tentativi volti, nel tempo, a rianimare una «presenza» tendenzialmente univoca se non unitaria, e comunque politicamente incisiva, con il simultaneo contrasto delle tendenze più aperte al dialogo e col favore accordato a chi, partito o personaggio, si mostrasse meglio disposto alle istanze cattoliche in ogni campo, spesso utilizzando quell'appartenenza come rendita di posizione o tagliando d'ingresso.

L'ultimo episodio registrato è quello della mancata intronizzazione del candidato Monti ad opera dei movimenti del cattolicesimo militante, i cui esponenti, lungi dal convergere, o si sono chiamati (o sono rimasti) fuori dal giuoco o si sono legittimamente disposti nelle diverse caselle dello scacchiere secondo valutazioni di opportunità politica e/o personale.

La questione che si pone è se tale situazione di pluralismo debba essere ancora e sempre vissuta come una menomazione dell'unità o se non sia il caso di valutare, finalmente, l'opportunità che essa offre di far agire un'ispirazione cristiana non integralistica all'interno delle diverse appartenenze.

Il concetto evangelico di «lievito della pasta» ha avuto grande vigore nell'esperienza cattolica italiana anche prima del Concilio e si è tradotto in molteplici e spesso contrastate iniziative di ricerca comune con interlocutori diversi, intesi come «gli uomini di buona volontà». Il fine perseguito non era la cristianizzazione della società ma l'umanizzazione della vita.

Tuttavia la nostalgia dell'unità non solo religiosa ma anche culturale e politica ha finora avuto un'oggettiva prevalenza nell'atteggiamento della gerarchia e nella sempre più evidente passività del laicato organizzato che ha smarrito a poco a poco la capacità (e la voglia) di esplorare in autonomia le vie del mondo su cui far procedere lo stesso magistero.

In queste condizioni è tutt'altro che agevole - per citare ancora Prodi - l'esercizio del «dovere» di «cercare di essere, seguendo la propria coscienza e i principi elementari del Vangelo, il lievito di una società sempre più secolarizzata, pluralistica e perciò sempre più bisognosa di un positivo fermento sviluppato dall'interno».

C'è qui un obiettivo di coesione nazionale che riguarda tutti. E c'è anche un tracciato in qualche modo obbligato sul quale istradare le energie necessarie, a partire dal rispetto di quei valori fondanti che per ogni cittadino italiano sono inscritti nella Costituzione della Repubblica.

Si è chiesto ultimamente il professor Giorgio Campanini sulla rivista dei gesuiti «Aggiornamenti Sociali»: «che cosa sono i valori o principi non negoziabili se non quelli che la Costituzione italiana, elaborata e votata con l'apporto determinante dei cattolici, chiama Principi fondamentali»?

È dunque ponendosi sul terreno della Costituzione che possono realizzarsi le sintesi (le mediazioni) necessarie per organizzare la società secondo le coordinate di un bene comune che raccordi la libertà dei singoli con un disegno di equità e di uguaglianza.

Purtroppo anche sulla considerazione della Costituzione come riferimento generale e univoco c'è stata nel tempo una pesante regressione culturale e politica. Per molti oggi è un orpello quando non un peso, specie nelle parti più influenzate dal pensiero «riformista» (socialista e cattolico); ed è proponendo gerarchie di valori slegati dalla Costituzione, che siano estranei o sovraordinati ad essa, che si alimentano suggestioni ideologiche e antipolitiche se non eversive.

L'errore più grave sarebbe comunque quello di leggere le osservazioni che precedono come legate alla contingenza elettorale e con essa destinate a cadere. Il lavoro è ben più vasto, impegnativo e durevole: esige una mobilitazione di energie intellettuali e morali tale da realizzare un'autentica mutazione nel modo di concepire e praticare la politica. Se ne dovrà riparlare.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/1/2013 13.28
Titolo:TANTO PER RICORDARE ....
SE FOSSI PAPA .... SUBITO UN NUOVO CONCILIO !!!

di Federico La Sala

Una nota sull'incontro di Ciampi e Ratzinger *

Se fossi nei panni di Papa Benedetto XVI e ... avessi ancora un po' di dignità di uomo, di studioso, di politico, e di cristiano , oltre che di cattolico, dopo l'incontro di ieri con il Presidente della Repubblica Italiana, di fronte all'elevato ed ecumenico discorso di Carlo Azeglio Ciampi (lodevolmente, L'Unità di oggi, 25.06.2005, a p. 25, riporta sia il discorso del Presidente Ciampi sia di Papa Benedetto XVI), considerato il vicolo cieco in cui ho portato tutta la 'cristianità' (e rischio di portare la stessa Italia), prenderei atto dei miei errori e della mia totale incapacità ad essere all'altezza del compito di "Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale", chiederei onorevolmente scusa Urbe et Orbi, e ....convocherei immediatamente un nuovo Concilio!!!

* Il Dialogo, Sabato, 25 giugno 2005:

http://www.ildialogo.org/filosofia/nuovo25062005.htm
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/5/2013 17.00
Titolo:REFERENDUM - BOLOGNA. PRODI CONTRO RODOTA', GUCCI E COSTITUZIONE
Stefano Rodotà sul referendum di Bologna contro le scuole private cattoliche
- Consultazione giusta. Pretestuoso parlare di strategie politiche

DI STEFANO RODOTA’ (Corriere della Sera, 21.05.2013)

Caro direttore,

vorrei semplicemente ristabilire la verità dei fatti a proposito di quanto scritto ieri sul suo giornale a proposito del referendum bolognese sui finanziamenti alla scuola privata, di cui vengo additato come l’ispiratore (del che, se fosse vero, sarei assai lieto). Ma il vero ispiratore è l’articolo 33 della Costituzione, dov’è scritto che i privati possono istituire scuole «senza oneri per lo Stato». E i promotori sono i cittadini bolognesi che avviarono le procedure referendarie fin dall’anno scorso, da quel 25 di luglio 2012 quando il Comitato dei garanti comunali ne approvò i quesiti. Le firme necessarie furono depositate il 5 dicembre e il referendum fu indetto dal sindaco il 9 gennaio di quest’anno.

Dopo che la procedura era già ampiamente in corso, mi fu chiesto di presiedere il comitato referendario, cosa che accettai di buon grado. Questa cronologia è utile anche per mostrare quanto sia pretestuoso e fuorviante il tentativo di presentare questa iniziativa come parte di una strategia politica che si è venuta sviluppando solo nelle ultime settimane.

Gli argomenti contro il referendum, peraltro, sono quelli che discendono da una triste interpretazione, giuridica e politica, che ha voluto aggirare la chiara lettera della Costituzione con una operazione opportunistica e strumentale, alla quale mi sono sempre pubblicamente opposto anche quando veniva condotta dal Pci e dai suoi successori.

Distinguere «finanziamenti» da «oneri», e battezzare come «pubblico» un sistema di cui i privati sono parte integrante, sono espedienti di cui ci si dovrebbe un po’ vergognare.

Si è detto, anche dal cardinale Bagnasco, che quel finanziamento permette allo Stato di risparmiare. Non si comprende che non siamo di fronte a una questione contabile.

Si tratta della qualità dell’azione pubblica, del modo in cui lo Stato adempie ai suoi doveri nei confronti dei cittadini. La consapevolezza di questi doveri si è assai affievolita in questi anni, e le conseguenze di questa deriva sono davanti a noi.

Forse varrebbe la pena di ricordare che Piero Calamandrei definiva la scuola pubblica «un organo costituzionale». E la Costituzione stabilisce pure che lo Stato debba istituire «scuole statali per tutti gli ordini e gradi».

In tempi di crisi, questa norma dovrebbe almeno imporre che le scarse risorse disponibili siano in maniera assolutamente prioritaria destinate alla scuola pubblica in modo di garantirne la massima funzionalità possibile.

Siamo ormai così disabituati alle questioni di principio che, quando ci capitano tra i piedi, cerchiamo di liberarcene tacciandole di «ideologia».

I promotori del referendum, per fortuna di tutti, sono abituati a un altro realismo e chiedono che i principi siano rispettati al di là delle convenienze e che la legalità costituzionale venga onorata.

Stefano Rodotà

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- Domenica il referendum
- Lo scontro sulla scuola sgretola la sinistra
- Soldi ai privati? Bologna decide, sinistra a pezzi
- Guccini: ”Scrivete A, per Calamandrei”

- Tra i sostenitori Stefano Rodotà, Valeria Golino, Gino Strada, Isabella Ferrari, Andrea Camilleri, Corrado Augias e Michele Serra

- di Emiliano Liuzzi (il Fatto, 21.05.2013)

I democratici e Sel sono alleati in giunta, ma divisi sulla consultazione per cancellare il milione di euro agli istituti privati. Da una parte le larghe intese, dall’altra il comitato e tante voci. Questione che rischia di diventare un precedente

Prodi contro Guccini e Rodotà

Bologna. Come ci sia finito dentro a questo inghippo, non è chiaro: il sindaco di Bologna, Virginio Merola, è uno che pur di non avere guai è capace di condividere i pensieri di Renzi, Bersani, Prodi, D’Alema o dei ragazzi di Occupy Pd. Non brilla per protagonismo, e neppure per le decisioni.

Un uomo diviso tra Guelfi e Ghibellini che si è trovato, causa di forza maggiore, a indire un referendum che non avrà nessun valore giuridico, ma che rischia di mettere in crisi la sua già vociante giunta: quello sui finanziamenti alle scuole private. Un milione di euro che ballano sui tavoli del palazzo comunale e che il sindaco vuol concedere e concederà, ma che la Bologna laica rispedisce al mittente.

UN FUOCHERELLO, all’inizio, che rischia di generare un incendio. Sul fronte opposto al sindaco di Bologna si sono schierati con il comitato Articolo 33 personaggi come Stefano Rodotà, Andrea Camilleri, Corrado Augias, Michele Serra, Francesco Guccini, Riccardo Scamarcio, Valeria Golino, Isabella Ferrari, Ivano Marescotti, giusto per citarne alcuni, tutti sul “non se ne parla”, niente soldi alle scuole private. Scuole che a Bologna, ma anche nel resto d’Italia, vuol dire cattoliche.

Così Merola si è trovato catapultato in una nuova campagna elettorale, solo che due anni fa aveva al fianco Pier Luigi Bersani, Romano Prodi e Vasco Errani, quello che allora sembrava essere il vertice di un governo prossimo venturo.

Questa volta invece i suoi principali alleati sono un cardinale, l’arcivescovo Carlo Caffarra, il Pdl, la Lega Nord, impegnatissima nel montare gazebo ovunque tra le vie medievali, con tanto di palloncini verdi. Un mix di genti a dir poco singolare: uomini del Carroccio, militanti del Pd, impiegati delle Coop rosse, parroci e suore, tutti insieme per convincere gli elettori a mettere la croce sulla B, quella che prevede il mantenimento del sistema integrato tra pubblico e privato. E quindi anche un sostanzioso finanziamento alle scuole d’infanzia convenzionate. Non un euro di più, non un euro di meno.

Tutti gli altri sono per il no al sostegno comunale dell’educazione privata, che tradotto sulla scheda elettorale vuol dire opzione A. E tutti gli altri vuol dire Sel, principale alleato al Pd in giunta, quello che la tiene in piedi, il Movimento 5 stelle, con i suoi due consiglieri comunali, Massimo Bugani e Marco Piazza, intellettuali, attori, personalità della cosiddetta società civile, molto poco politici.

Un muro contro il quale il sindaco di Bologna, la città simbolo del Pd che fu, rischia di sbattere contro. Perché il referendum, essendo puramente consultivo, non avrà nessuna conseguenza immediata e non è detto che, in caso di vittoria del comitato referendario, l’amministrazione debba invertire la rotta.

Anzi. Merola può benissimo andare avanti per la sua strada. Sarà più difficile, in questo, convincere i suoi alleati, i vendoliani, che comunque gli hanno garantito che - almeno per ora - non hanno alcuna intenzione di far cadere la giunta e rischiare un altro commissariamento dopo quello già vissuto (e non bene) con Anna Maria Cancellieri.

Una consultazione che per il momento sta dividendo molto. Due nomi su tutti: Romano Prodi e Francesco Guccini. Da sempre, il maestrone di Pavana, come lo chiamano a Bologna, sostiene il professore: lo ha fatto nel corso delle campagne elettorali, lo avrebbe voluto come sindaco di Bologna, candidato premier, presidente della Repubblica. Ieri Guccini - che nella sua vita, oltre a scrivere canzoni, è stato insegnante alla Dickinson College - ha preso una posizione netta: “Entrare nella scuola pubblica è il primo passo di ogni individuo che voglia imparare l’alterità e la condivisione. Ed è il primo passo di ogni essere umano per diventare uomo, per diventare donna”.

Prodi, da Addis Abeba, dove è al lavoro per l’Onu, spiega invece che il “referendum si doveva evitare perché apre in modo improprio un dibattito che va oltre i ristretti limiti del quesito. Il mio voto per i finanziamenti alla scuola privata è motivato da una ragione di buonsenso: perché bocciare un accordo che ha funzionato bene per tantissimi anni e che tutto sommato ha permesso con un modesto impiego di mezzi di ampliare il numero di bambini ammessi alla scuola d’infanzia? ”.

Non stupisce la dichiarazione di Prodi: nonostante la distanza abissale che si è creata tra lui e il Pd, quello del finanziamento alle scuole private è un provvedimento voluto dal suo governo il 5 agosto 1997. Se la partita fosse decisa dagli intellettuali il fronte del no avrebbe già vinto. Oltre a Prodi, di nomi spendibili il sindaco di Bologna ne ha ben pochi: Maurizio Lupi, Maurizio Gasparri, Stefano Zamagni, Giuliano Cazzola, Antonio Polito e pochi altri.

Previsioni? Per ora non ne circolano. Certo è che in una città come Bologna, la Curia e quello che fu il “partitone” la fanno da padrone. È sempre stato così, dal dopoguerra a oggi. Poteri che hanno sempre dialogato, seppur mai in pubblico, e che per la prima volta nella storia repubblicana si trovano ad amoreggiare senza nascondersi.

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- Contro l’ideologia
- 423 bambini esclusi nel 2012
- “Il diritto è all’istruzione. Gratuita”

di Francesca Coin (il Fatto, 21.05.2013) *

Il Corriere della Sera di ieri ospitava in prima pagina un articolo di Antonio Polito sul referendum consultivo sui finanziamenti pubblici alle scuole paritarie private previsto a Bologna per il 26 maggio. Polito usa toni allarmistici che poco rappresentano i contenuti e il significato della campagna referendaria, nonché i principi dei cittadini che vi partecipano.

LA CAMPAGNA sul finanziamento pubblico alle scuole paritarie private nasce qualche anno fa dalla preoccupazione di quelle famiglie costrette a confrontarsi ogni anno con l’esclusione scolastica dei loro figli. I tagli alla scuola e una rapida riforma hanno infatti colpito duramente la scuola pubblica.

A Bologna il problema più grave è stata l’incapacità del sistema integrato della scuola per l’infanzia di garantire un posto a scuola a tutti i bambini di Bologna.

Nel 2012, 423 bambini non hanno avuto accesso alla scuola per l’infanzia. E alla fine, nonostante il Comune abbia improvvisato soluzioni d’emergenza, 103 di loro sono rimasti a casa. Altre famiglie sono state costrette a iscrivere i loro figli a una scuola privata, spesso confessionale.

Sul Corriere, invece, Polito sostiene che “il referendum punta ad abbattere il sistema integrato di scuola pubblica e scuola paritaria che fu avviato in Emilia più di vent’anni fa”.

La campagna referendaria in realtà non ha mai assunto toni duri, tanto meno contro i privati. Si limita a sostenere quanto prescritto dall’articolo 33 della Costituzione, come diceva Piero Calamandrei “la scuola pubblica è il prius, quella privata è il posterius”. O per usare le parole dell’onorevole Luigi Preti nell’Assemblea Costituente nel 1947, “sarebbe un paradosso che lo Stato, che non ha nemmeno abbastanza denaro per le proprie scuole, dovesse in qualche modo finanziare delle scuole non statali”.

PER FAR FRONTE alle esigenze di tutte le famiglie ed eliminare le liste d’attesa nella scuola pubblica a Bologna servirebbero 12 nuove sezioni a un costo di 90 mila euro a sezione, come dimostra le delibera comunale del 9 ottobre 2012.

Questa cifra corrisponde esattamente a quella che al momento viene data alle scuole private: 1 milione e 80 mila euro. La richiesta dei referendari, dunque, è semplice: prima di divagare assicuriamoci che i diritti vengano garantiti. Altrimenti la “libertà di scelta” di cui parla Polito non è affatto garantita. Non vi è libertà di scelta quando l’istruzione diventa un servizio a pagamento.

Va ricordato che il referendum del 26 maggio non è abrogativo, bensì consultivo: interroga la cittadinanza su quale sia la destinazione più opportuna dei fondi pubblici.

Per fare questo, il Comitato Referendario ha chiesto il supporto di illustri costituzionalisti, come il professor Stefano Rodotà che, lungi dall’ispirare il referendum, come ha scritto Polito, ha messo le sue competenze a servizio della campagna, divenendone presidente onorario.

Spiace che una campagna così partecipata, appassionata e calorosa possa diventare pretesto per un’agenda politica altra. Polito dice che “nelle urne bolognesi si fronteggiano per la prima volta gli inediti schieramenti che si sono creati in parlamento, Pd e Pdl insieme da un lato, Sel e Movimento Cinque Stelle dall’altro”.

Non è così. Alle urne questo 26 maggio i cittadini voteranno per difendere la scuola pubblica e la Costituzione. Ogni altra interpretazione è pretestuosa e fallace.

* docente di Sociologia all’Università di Venezia

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Commenti Articolo 499

Titolo articolo : Lettera aperta ai vescovi italiani riuniti per la loro assemblea annuale sulla pedofilia del clero,di NOI SIAMO CHIESA

Ultimo aggiornamento: May/21/2013 - 15:13:02.

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Autore Città Giorno Ora
giuseppe castellese altofonte 21/5/2013 15.13
Titolo:Perché attaccare e non discutere?
Cari amici di noi siamo chiesa, vi seguo da parecchio tempo con simpatia e mi scuso anticipatamente per la considerazione che vi risulterà sgradita.
Toni e modalità sferzanti da “concilio di Trento”
Mi sembra, e ve lo dico nella carità, che questa volta nei toni e nella modalità sferzante da “concilio di Trento” (il “fino a quando?” mi rinvia alle invettive-scomuniche papali contro Lutero) mi sembra che avete superato i limiti del rispetto che pure a tutti “i fratelli vescovi” si deve, non soltanto a quei pochi che, sommessamente, ve la filano.
La coscienza come ultimo giudice
Voi non dimostrate anzitutto rispetto per quel principio di coscienza che sbandierate ai quattro venti e che pure sembra neghiate ai vescovi i quali, a mio avviso, fino a che esisterà “la casta” (cioè questo tipo di organizzazione nella chiesa di laici e clero) hanno il dovere di mediare e non quello di giudicare o peggio condannare o abbandonare alla “mano laicale” (che mi rinvia tanto ad esecuzioni tipo Giordano Bruno) di quanti, bene o male, hanno arruolato!
E poi quel rinvio al Vangelo
E poi, a difesa di una tesi, quel rinvio al Vangelo che invece bisognerebbe tenere presente nella sua interezza e nella sua lungimiranza quando afferma che purtroppo gli scandali “è necessario che avvengano”. Forse l’Evangelista aveva una visione più ampia della misera realtà umana di quanto “noi siamo chiesa”, ponendosi a inflessibile giudice di ultima istanza, pur si dice schierata a sacrosanta difesa del più debole. Ma davvero “noi siamo chiesa” ritiene di avere in mano il metro del giusto giudizio in materia che sprofonda negli abissi della psiche umana?
Il fenomeno pedofilia
Intanto da quel poco che mi consta, il fenomeno pedofilia come tante altre “devianze” (che per fortuna oggi si comincia a capire come orientamenti presenti nella natura e quindi non propriamente devianze) sono presenti in tutta la storia dell’umanità.
Il fenomeno è stato presente da sempre nella storia non solo della chiesa. L’era della comunicazione che viviamo (quasi sia arrivata l’era meravigliosa in cui tutto “sarà gridato dai tetti”) ha fatto emergere fatti di cui molte civiltà del passato si sono anche fregiate mentre la civitas cristiana ha bollato come contrarie allo spirito del Vangelo e quindi alla mens di Gesù, soprattutto se nei confronti dei “piccoli”, che tuttavia nell’esegetica nuova sono pensati non necessariamente “bambini”.
Fermo restando che i “piccoli” abusati devono essere prioritariamente tutelati, resta pure il problema dell’amore (il Padre che pure tutti ama) verso gli altri pur “piccoli” che si sono resi responsabili di nefandezze: ovviamente questo vale quando voi riuscite a porvi come soggetti “interni” alla “chiesa”.
Consentitemi, comunque, di dire che, in nessun ambito, il problema si risolve “monetizzando” il danno che poi risulta essere la prioritaria molla che ha scatenato la corsa ai “coming out” di piccoli nel frattempo piuttosto invecchiati.
L’aurea regola: la prevenzione!
Resterebbe allora da applicare l’aurea regola della prevenzione! Ma si impone qui, a mio avviso, l’ulteriore distinzione: se ragionare come chiesa o viceversa se scegliete di muoversi nell’ambito della legislazione statuale.
Prevenire come chiesa si può, solo che si riesca a “rivoluzionare” (prendendo sul serio il “semper reformanda est”) l’organizzazione ecclesiale: bisognerebbe riuscire a far passare nella chiesa che è tempo di ridimensionare alcuni “bastioni” della cosiddetta morale sessuale. Intanto perché Gesù non ha enucleato il sesto comandamento ma parlato di purezza di cuore con unico riferimento in materia sessuale l’adulterio.
Questo nuovo atteggiamento postulerebbe una “societas” di coniugati nella quale i “presbiteri” sarebbero maturi, responsabili, colti “padri” senza esclusione di quanti, per vocazione specialissima, scelgano di restare “eunuchi” per il Regno.
In questo tipo di ecclesia sarebbe risolto il problema che ci assilla? Risolto no, ma ridimensionato certamente.
Ecco dove starebbe “vostra possanza” di “noi siamo chiesa”: se riuscite (se riusciamo) a porre nella chiesa il problema alle radici e non “privilegiare”, direi con arroganza, la pur grave contingenza del momento.
Giuseppe Castellese

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Commenti Articolo 500

Titolo articolo : PRESIEDERE NELLA CARITA': LA PUNTA DI UN ICEBERG. Papa Francesco, il prete giovane e i cani «religiosi». Una nota di Bruno Forte - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: May/20/2013 - 14:17:58.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/5/2013 11.30
Titolo:RITO E RELIGIONE (DON ANGELO CASATI)
Una bellissima citazione di don Angelo Casati (dal suo libro "Ospitando libertà") che vi riporto qui appresso e aggiungendovi anche una sua premessa..... *

A volte, mi sembra, è una mia sensazione, che questa sia la stagione della menzogna. Della grande menzogna. Come fosse diventata un impero. E noi dentro, o, forse meglio, sotto questo impero. Fino quasi all’assuefazione. Non c’è indignazione, non c’è rivolta, non c’è ribellione. Troviamo normale che si dica una cosa e il giorno dopo senza perdere la faccia si dica esattamente il contrario, assistiamo ai più incredibili e spudorati trasformismi. Sì, all’assenza totale del pudore.

Come se le parole non avessero più un suono, un colore, come se non avessero più peso. Le stesse parole usate per dire una cosa e per dire il contrario, le hanno scolorite. Le parole svuotate, senza il contenuto, vuote della realtà. Perché tanto l’importante è dare annunci, anche se poi la cosa non succede. Tanto la gente ci crede! Che sia questo, me lo chiedo, il grande male? Capita a tutti noi, penso, in certi giorni di guardarci intorno con occhi disincantati e di diventare un po’ tristi.

A me capitò in un giorno della scorsa estate. E mi vennero questi pensieri che ora vorrei condividere. Avevo dato loro un titolo: Rito e menzogna. Eccoli:

- Hanno abbassato i monti,
- l’hanno chiamata religione.

- Hanno impoverito l’orizzonte,
- l’hanno chiamata fede.

- Hanno spento i sentimenti,
- l’hanno chiamata ascesi.

- Hanno svuotato il comandamento,
- l’hanno chiamata morale.

- Hanno omologato il tutto,
- l’hanno chiamata unità.

- Hanno zittito le coscienze,
- l’hanno chiamata ubbidienza.

- Hanno mummificato i riti,
- l’hanno chiamata divina liturgia.

- Hanno ucciso i profeti,
- l’hanno chiamata ortodossia.

- Hanno chiuso le porte,
- l’hanno chiamata identità.

- Hanno respinto le barche,
- l’hanno chiamata sicurezza.

- Hanno cacciato i giudici,
- l’hanno chiamata giustizia.

- Hanno succhiato i poveri,
- l’hanno chiamato equilibrio.

- Hanno deliberato leggi ingiuste,
- l’hanno chiamata legalità.

- Hanno imbavagliato un parlamento,
- l’hanno chiamata efficienza.

- Hanno manipolato un popolo,
- l’hanno chiamata democrazia.

(Angelo Casati, Ospitando libertà).

*

- Sono appena tornato da Torino, ove ho avuto la gioia di incontrare don Paolo Farinella e il piacere di presentare al pubblico, assieme a Gian Carlo Caselli, il suo bel libro "Cristo non abita più quì". E’ andato tutto molto bene e la sala era gremita di gente, con molte persone anche in piedi.
- Ho concluso il mio intervento, leggendo una bellissima citazione di don Angelo Casati (dal suo libro "Ospitando libertà") che vi riporto qui appresso e aggiungendovi anche una sua premessa.....
- Lo faccio perché più di qualcuno dei presenti all’incontro, mi ha chiesto il testo.....
- Buona riflessione! ed un abbraccio.

Aldo [don Antonelli]
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/5/2013 11.35
Titolo:L’era costantiniana mai finita ...
L’era costantiniana mai finita e giunta fino a noi

di Gianmaria Zamagni

in “Viandanti” ( www.viandanti.org ) del 13 maggio 2013

Una questione che è stata posta in questo anno 2013, centenario dell’Editto di Milano, mi ha sollecitato e fatto molto riflettere: «Fine dell’era costantiniana: è sufficiente averla dichiarata?» [1]. Credo sarebbe troppo facile replicare a questa domanda con una risposta immediata. Risposta che sarebbe, se data di getto, negativa. Tuttavia la domanda è solo apparentemente banale. E credo occorra anzitutto capire esattamente di cosa si parla quando si parla di “fine dell’era costantiniana”. Non si tratta infatti di narrare la storia di un imperatore romano del quarto secolo, né mostrare l’effetto che le sue decisioni politiche (anche l’Editto “di tolleranza” di Milano) hanno avuto sul più lungo termine. A ben guardare, né l’una né l’altra cosa ci riguardano più da vicino.

Una “simbiosi” mai finita

Un altro aspetto è invece decisivo: quello “ideale”, quello per cui un imperatore e la struttura di governo cui ha per primo dato origine si sono come ipostatizzati in un intreccio di rimandi che è durato fino ai nostri giorni. Il rapporto di «simbiosi» fra teologia e potere istituzionale inaugurato con Costantino s’è concretizzato di volta in volta in nuove forme.

Ciò è avvenuto attraverso strumentalizzazioni, anacronismi, forzature e talora vere e proprie falsificazioni storiche. Questi errori sono gli obiettivi della critica rivolta all’ ideale costantiniano. Lo stesso termine di “critica” viene spesso percepito come sinonimo del termine “polemica”. Tuttavia qui il termine greco ( krín ō ) deve indicare piuttosto la separazione, la distinzione che permette il formarsi del giudizio, termine che in questo senso è anche correlato a quello di “discernimento”.

Poco più di cinquant’anni fa, alla vigilia dell’apertura del Vaticano II, fu un teologo dell’ordine domenicano, p. Marie-Dominique Chenu, in una giornata di studi, a chiedersi come fosse da comprendere il concilio in relazione alle donne e agli uomini del proprio tempo, alla loro storia e al loro mondo. Chenu sceglieva la formula Fin de l’ère constantinienne per contestualizzare l’evento conciliare nella sua epoca, convinto che questo atteggiamento dava alla congiuntura «le dimensioni di grande fatto storico». Cosa intendeva dire esattamente con questo? Se si guarda, nella sua interna coerenza, tutta la sua opera di storico della teologia tomista e di saggista osservatore della Chiesa nella realtà contemporanea, si può comprendere senza timore di equivoci ciò che egli intendesse.

La critica all’ ideale costantiniano

Sant’Alberto Magno e san Tommaso, e poi domenicani e francescani, avevano saputo, all’irrompere del nuovo metodo scientifico aristotelico, adottarlo criticamente anche per la teologia. Così doveva comportarsi sempre il teologo autentico di fronte alle rivoluzioni scientifiche e sociali. Si tratta ogni volta di saper discernere, in esse, i luoghi spirituali, di sapervi leggere i segni dei tempi, poiché «Per la legge stessa dell’economia della rivelazione Dio si manifesta attraverso e nella storia, l’eterno si incarna nel tempo in cui soltanto lo può raggiungere lo spirito dell’uomo».

Quel concilio ecumenico, in questo senso, era un evento del secondo dopoguerra. Nella teologia della prima metà del Novecento, che esso coronava, s’era fatta strada una genealogia di studi (e di grandi teologi e storici) che avevano guardato all’ideale costantiniano in maniera assai critica: da Erik Peterson (1890-1960) a Ernesto Buonaiuti (1881-1946), da Jacques Maritain (1882-1973) a Friedrich Heer (1916-1983) e, appunto, Marie-Dominique Chenu (1885-1990), per non menzionare che alcuni grandi nomi da quattro diversi paesi europei.

Questi autori hanno in comune il rifiuto dell’acquiescenza e della conciliazione a poteri statali che mostravano il loro volto più spietato e letteralmente idolatra. Per tutti costoro era chiaro un elemento centrale: la storia del XX secolo aveva mostrato l’ideale costantiniano nel suo potenziale più devastante, ogni qualvolta l’elaborazione teologica si era messa docilmente al servizio di sovrani caratterizzati da un’ambizione totalitaria, quando la croce cristiana si era così trovata, nel vecchio continente, strettamente associata alle altre croci del secolo, quella uncinata, anzitutto, ma non solo: l’ideale costantiniano si era ripresentato, ancora, nelle guerre “giuste” di Benito Mussolini in Etiopia e di Francisco Franco in Spagna.

Tolleranza e persecuzioni

Il XVII centenario dell’Editto di Milano, in questo 2013 denso di commemorazioni (e di nuovi eventi) per la chiesa, nel cinquantesimo del concilio e dell’enciclica di Giovanni XXIII Pacem in terris , non dovrebbe essere celebrato trionfalmente e così acriticamente, in spregio alla storia, alla memoria del Novecento e dello stesso magistero conciliare, ma soprattutto senza fare una lettura che sappia discernere i segni dei tempi oggi. Alla storia, perché la “tolleranza” ai cristiani rappresentò presto per i non cristiani (a esempio Ebrei e Donatisti, tante “eresie” successive, poi con le crociate) oppressione, violenza e persecuzione. Sia detto per inciso, poi, che è semplicemente un anacronismo applicare al Tardoantico ad esempio un concetto di tolleranza che la nostra cultura deve, per il significato che le dà, all’illuminismo.

In spregio alla memoria del Novecento perché, come s’è già detto, in quel secolo è apparsa brutalmente chiara l’alleanza e la simbiosi teologico- politica, eppure - già nel corso degli eventi in alcuni lucidi pensatori, ma poi eminentemente e autorevolmente nel concilio - la Chiesa ha saputo restare coscienza critica, e aggiornarsi, anche e soprattutto rispetto alla posizione da assumere nei confronti dei diversi governi, e nel salvaguardare quella libertà religiosa di cui è titolare la persona, «essere dotato di ragione e di volontà libera».

Il bisogno di una Chiesa disinteressata

Quanto alla lettura dei segni tempi oggi, più che mai le nostre società sembrano aver bisogno della parola di una Chiesa che sappia essere testimonianza sollecita eppur disinteressata, profetica e povera. Una gamma di problemi forse s’impone nel contesto sempre più multipolare di oggi: quella costituita dalle crescenti disuguaglianze e dell’erosione dei diritti, in un’ingiustizia sociale e ambientale sempre più insostenibile assieme a fenomeni di rinascenti razzismi, negazionismi e nazionalismi, a nuove forme di schiavitù, all’apparente “normalità” della guerra. Mi pare che anche gli eventi più recenti depongano in favore di una testimonianza umile, nella mite ma ferma consapevolezza delle proprie capacità. Ciò che la scelta di Benedetto XVI enfatizza è infatti il carattere di ministero dell’ufficio petrino, ciò che depone è un altro velo di quel carattere ieratico di cui taluni suoi predecessori hanno amato ammantarsi. L’oggetto della testimonianza, quello, rimane sempre lo stesso e quello più autentico: il vangelo solo, nel suo potenziale di liberazione dal peccato d’idolatria, dall’ipocrisia e dall’ingiustizia. Il tentativo di rifugiarsi nuovamente nel modello costantiniano andrebbe misurato all’interno di questo contesto globale. Ne risulterebbe evidente, credo, tutta l’obsolescenza.

Tornando dunque alla domanda iniziale: è sufficiente averla dichiarata, la fine di quell’era? Certamente no, non è sufficiente. Quella dichiarazione nasce però da un’analisi critica dei segni dei tempi, e attraverso quest’analisi la critica genera considerazioni ad alto potenziale performativo, considerazioni cioè cui si può rispondere solo mediante un’azione, una prassi conseguente. Così si porrebbe nuovamente al centro la predicazione del Regno a venire , di contro alla nostalgia triste di chi crede che la Chiesa abbia già vissuto, altrove in un idealizzato passato, il proprio compimento.

Gianmaria Zamagni

Ricercatore all’Università di Münster (Vestfalia/Germania)

[1] Il riferimento è al Forum n. 331 di Koinonia. Vedere
- http://www.koinonia- online.it/forum331base.htm
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/5/2013 14.17
Titolo:L'incoerenza mina la credibilità della Chiesa
L'incoerenza mina la credibilità della Chiesa

di Papa Francesco

14.04.2013

Cari fratelli e sorelle!

È per me una gioia celebrare l’Eucaristia con voi in questa Basilica. Saluto l’Arciprete, il Cardinale James Harvey, e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto; con lui saluto e ringrazio le varie Istituzioni che fanno parte di questa Basilica, e tutti voi. Siamo sulla tomba di san Paolo, un umile e grande Apostolo del Signore, che lo ha annunciato con la parola, lo ha testimoniato col martirio e lo ha adorato con tutto il cuore. Sono proprio questi i tre verbi sui quali vorrei riflettere alla luce della Parola di Dio che abbiamo ascoltato: annunciare, testimoniare, adorare.

Nella Prima Lettura colpisce la forza di Pietro e degli altri Apostoli. Al comando di tacere, di non insegnare più nel nome di Gesù, di non annunciare più il suo Messaggio, essi rispondono con chiarezza: «Bisogna obbedire a Dio, invece che agli uomini». E non li ferma nemmeno l’essere flagellati, il subire oltraggi, il venire incarcerati. Pietro e gli Apostoli annunciano con coraggio, con parresia, quello che hanno ricevuto, il Vangelo di Gesù. E noi? Siamo capaci di portare la Parola di Dio nei nostri ambienti di vita? Sappiamo parlare di Cristo, di ciò che rappresenta per noi, in famiglia, con le persone che fanno parte della nostra vita quotidiana? La fede nasce dall’ascolto, e si rafforza nell’annuncio.

Ma facciamo un passo avanti: l’annuncio di Pietro e degli Apostoli non è fatto solo di parole, ma la fedeltà a Cristo tocca la loro vita, che viene cambiata, riceve una direzione nuova, ed è proprio con la loro vita che essi rendono testimonianza alla fede e all’annuncio di Cristo. Nel Vangelo, Gesù chiede a Pietro per tre volte di pascere il suo gregge e di pascerlo con il suo amore, e gli profetizza: «Quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi» (Gv 21,18). E’ una parola rivolta anzitutto a noi Pastori: non si può pascere il gregge di Dio se non si accetta di essere portati dalla volontà di Dio anche dove non vorremmo, se non si è disposti a testimoniare Cristo con il dono di noi stessi, senza riserve, senza calcoli, a volte anche a prezzo della nostra vita.

Ma questo vale per tutti: il Vangelo va annunciato e testimoniato. Ciascuno dovrebbe chiedersi: Come testimonio io Cristo con la mia fede? Ho il coraggio di Pietro e degli altri Apostoli di pensare, scegliere e vivere da cristiano, obbedendo a Dio? Certo la testimonianza della fede ha tante forme, come in un grande affresco c’è la varietà dei colori e delle sfumature; tutte però sono importanti, anche quelle che non emergono. Nel grande disegno di Dio ogni dettaglio è importante, anche la tua, la mia piccola e umile testimonianza, anche quella nascosta di chi vive con semplicità la sua fede nella quotidianità dei rapporti di famiglia, di lavoro, di amicizia. Ci sono i santi di tutti i giorni, i santi "nascosti", una sorta di "classe media della santità", come diceva uno scrittore francese, quella "classe media della santità" di cui tutti possiamo fare parte. Ma in varie parti del mondo c’è anche chi soffre, come Pietro e gli Apostoli, a causa del Vangelo; c’è chi dona la sua vita per rimanere fedele a Cristo con una testimonianza segnata dal prezzo del sangue. Ricordiamolo bene tutti: non si può annunciare il Vangelo di Gesù senza la testimonianza concreta della vita. Chi ci ascolta e ci vede deve poter leggere nelle nostre azioni ciò che ascolta dalla nostra bocca e rendere gloria a Dio! Mi viene in mente adesso un consiglio che san Francesco d’Assisi dava ai suoi fratelli: predicate il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole. Predicare con la vita: la testimonianza. L’incoerenza dei fedeli e dei Pastori tra quello che dicono e quello che fanno, tra la parola e il modo di vivere mina la credibilità della Chiesa.

Ma tutto questo è possibile soltanto se riconosciamo Gesù Cristo, perché è Lui che ci ha chiamati, ci ha invitati a percorrere la sua strada, ci ha scelti. Annunciare e testimoniare è possibile solo se siamo vicini a Lui, proprio come Pietro, Giovanni e gli altri discepoli nel brano del Vangelo di oggi sono attorno a Gesù Risorto; c’è una vicinanza quotidiana con Lui, ed essi sanno bene chi è, lo conoscono. L’Evangelista sottolinea che «nessuno osava domandargli: "Chi sei?", perché sapevano bene che era il Signore» (Gv 21,12). E questo è un punto importante per noi: vivere un rapporto intenso con Gesù, un’intimità di dialogo e di vita, così da riconoscerlo come "il Signore".

Adorarlo! Il brano dell’Apocalisse che abbiamo ascoltato ci parla dell’adorazione: le miriadi di angeli, tutte le creature, gli esseri viventi, gli anziani, si prostrano in adorazione davanti al Trono di Dio e all’Agnello immolato, che è Cristo, a cui va la lode, l’onore e la gloria (cfr Ap 5,11-14). Vorrei che ci ponessimo tutti una domanda: Tu, io, adoriamo il Signore? Andiamo da Dio solo per chiedere, per ringraziare, o andiamo da Lui anche per adorarlo? Che cosa vuol dire allora adorare Dio? Significa imparare a stare con Lui, a fermarci a dialogare con Lui, sentendo che la sua presenza è la più vera, la più buona, la più importante di tutte. Ognuno di noi, nella propria vita, in modo consapevole e forse a volte senza rendersene conto, ha un ben preciso ordine delle cose ritenute più o meno importanti. Adorare il Signore vuol dire dare a Lui il posto che deve avere; adorare il Signore vuol dire affermare, credere, non però semplicemente a parole, che Lui solo guida veramente la nostra vita; adorare il Signore vuol dire che siamo convinti davanti a Lui che è il solo Dio, il Dio della nostra vita, il Dio della nostra storia.

Questo ha una conseguenza nella nostra vita: spogliarci dei tanti idoli piccoli o grandi che abbiamo e nei quali ci rifugiamo, nei quali cerchiamo e molte volte riponiamo la nostra sicurezza. Sono idoli che spesso teniamo ben nascosti; possono essere l’ambizione, il carrierismo, il gusto del successo, il mettere al centro se stessi, la tendenza a prevalere sugli altri, la pretesa di essere gli unici padroni della nostra vita, qualche peccato a cui siamo legati, e molti altri. Questa sera vorrei che una domanda risuonasse nel cuore di ciascuno di noi e che vi rispondessimo con sincerità: ho pensato io a quale idolo nascosto ho nella mia vita, che mi impedisce di adorare il Signore? Adorare è spogliarci dei nostri idoli anche quelli più nascosti, e scegliere il Signore come centro, come via maestra della nostra vita.

Cari fratelli e sorelle, il Signore ci chiama ogni giorno a seguirlo con coraggio e fedeltà; ci ha fatto il grande dono di sceglierci come suoi discepoli; ci invita ad annunciarlo con gioia come il Risorto, ma ci chiede di farlo con la parola e con la testimonianza della nostra vita, nella quotidianità. Il Signore è l’unico, l’unico Dio della nostra vita e ci invita a spogliarci dei tanti idoli e ad adorare Lui solo. Annunciare, testimoniare, adorare. La Beata Vergine Maria e l’Apostolo Paolo ci aiutino in questo cammino e intercedano per noi. Così sia.

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Commenti Articolo 501

Titolo articolo : EDWARD O. WILSON E VICO: LA STORIA SIAMO NOI. Perché cooperare fa bene alla specie. Un suo articolo  - con una nota sulla "Scienza Nuova" (tutta da rileggere) di Vico  ,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: May/18/2013 - 20:18:49.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/3/2013 12.07
Titolo:PER LA CRITICA DELLE VERITA’ DOGMATICHE E DELLE CERTEZZE OPINABILI
VICO (E KANT), PER LA CRITICA DELLE VERITA’ DOGMATICHE E DELLE CERTEZZE OPINABILI. Una nota introduttiva alla lettura della "Scienza Nuova"

Quando Giambattista Vico, "nel fine dell’anno 1725 diede fuori in Napoli, dalle stampe di Felice Mosca, un libro in dodicesimo di dodici fogli", con il titolo "Principi di una scienza nuova intorno alla natura delle nazioni, per li quali si ritruovano altri principi del diritto naturale delle genti", con un elogio, "l’indirizza alle Università dell’Europa". Per chi non lo ricordasse, siamo già nella fase decisiva della genesi del pensiero illuministico (Kant ha già 21 anni!), nel pieno della "crisi della coscienza europea"(Paul Hazard): nella "età illuminata - come scrive appunto Vico nell’elogio-dedica - in cui nonché le favole e le volgari tradizioni della storia gentilesca ma qualunque più autorità de’ più riputati filosofi alla critica di severa ragione si sottomette" (S.N. 1725).*

Contrariamente a quanto troppo a lungo si è pensato (e questo pesa ancora sulla comprensione della sua opera) Vico non vive fuori dal tempo e dal mondo, e cammina alla grande sulla via aperta da Copernico, Galilei e Cartesio - con i suoi piedi e con la sua testa! Anzi, egli ha lavorato a dare base più ampia e più salda alla rivoluzione scientifica, alla svolta antropologica cartesiana e alla più generale rivoluzione copernicana in filosofia!

Sul piano storico e storiografico, è da dire, Vico ha subito la stessa sorte di Kant: incompreso dagli esponenti e dagli interpreti della tradizione razionalistica e illuministica, è stato ucciso e fagocitato come un ’santo’ della ’preistoria’ della grande "instaurazione" (o, meglio, restaurazione) idealistico-hegeliana. E, così, dai neoidealisti italiani (innanzitutto, Benedetto Croce con "La filosofia di Giambattista Vico", 1911) - ad eccezione di Enzo Paci("Ingens Sylva",1949) - fino a oggi (si cfr. Giambattista Vico, "La Scienza nuova. Le tre edizioni del 1725, 1730 e 1744", Bompiani, Milano 2012, con "saggio introduttivo" e "introduzione" alla S.N. del 1730 e del 1744 di Vincenzo Vitiello), non si è stati ancora né capaci di intendere né di essere giusti affatto nel giudicare la nuova arte critica di Vico né conseguentemente il grande prodotto della sua "mente heroica": la "Scienza Nuova"!

Eppure Vico, proprio nel 1725, parlando di sè in terza persona ("Vita di Giambattista Vico scritta da se medesimo"), lo scrive chiaramente: con la sua "nuova arte critica", "con la fiaccola di tal nuova arte critica", egli scopre "tutt’altre da quelle che sono immaginate finora le origini di quasi tutte le discipline, sieno scienze o arti (...). Scuopre altri princìpi storici della filosofia, e primieramente una metafisica del genere umano, cioè una teologia naturale di tutte le nazioni, con le quali ciascun popolo naturalmente si finse da se stesso i propi dèi per un certo istinto naturale che ha l’uomo della divinità, col cui timore i primi autori delle nazioni si andarono ad unire con certe donne in perpetua compagnia di vita, che fu la prima umana società de’ matrimoni; e si scuopre essere stato lo stesso il gran principio della teologia dei gentili e quello della poesia de’ poeti teologi, che furono i primi nel mondo e quelli di tutta l’umanità gentilesca".

COME E’ POTUTO GIUNGERE A QUESTE SCOPERTE? Qual è il ’segreto’, da dove la ’forza’ della sua "nuova arte critica"? Vico lo premette subito, all’inizio del suo racconto autobiografico e il senso è chiaro: si tratta di uscire da secoli di labirinto segnati dalla "doppiezza" di verità dogmatiche e certezze opinabili e seguire attentamente il principio del "verum ipsum factum".

SCIENZA NUOVA, 1725. "Napoli. Sole: gioia di vivere"(Paul Hazard)! "In quest’opera - scrive lo stesso Vico, con onestà e fierezza - egli ritruova finalmente tutto spiegato quel principio, ch’esso ancor confusamente e non con tutta distinzione aveva inteso nelle sue opere antecedenti". E immediatamente spiega e precisa: "Imperciocché egli appruova una indispensabile necesità, anche umana, di ripetere le prime origini di tal Scienza da’ princìpi della storia sacra, e, per una disperazione dimostrata così da’ filosofi come da’ filologi di ritrovarne i progressi ne’ primi auttori delle nazioni gentili, esso (..) discuopre questa nuova Scienza".

Che cosa sta dicendo Vico? Nient’altro se non come, alla luce del suo principio, e con un "doppio sguardo", ha lavorato criticamente ed è giunto ai suoi risultati: ha tenuto presente - sullo sfondo e parallelamente - i principi della storia sacra (la verità rivelata - della nazione ebraica) e ha lavorato al contempo sulla tradizione delle nazioni gentili (la verità storica - della tradizione greca e romana).

Il risultato qual è stato? Ha ritrovato - come è detto nel titolo dell’opera - altri (diversi da quelli tradizionalmente ritenuti tali) "principi del diritto naturale delle genti" non incompatibili con quelli della tradizione sacra! E, con questo, non solo e soprattutto ha aperto una importante e decisiva via a una ragione nuova, ma anche a un’inedita (critica e cristiana) possibilità di rifondazione del discorso del neoplatonismo cattolico-rinascimentale della conciliazione della tradizione degli Ebrei e della tradizione dei Gentili. Nel solco della linea di Dante, Boccaccio, di Bruno, di Galilei, amico di ebrei ma non dello spinozismo, egli guarda lontano. La “mente eroica” di Vico ha dato il “via!”. La rivoluzione copernicana in filosofia è già iniziata: “Sàpere aude!” (Orazio-Kant). [continua]

Federico La Sala

http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/filosofia/interventi_1362501182.htm
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/3/2013 21.53
Titolo:continuazione - VICO: NON INVENTO IPOTESI
“DIGNITA’ DELL’UOMO” ED “EROICI FURORI”. All’origine della svolta antropologica di Vico, e del più generale ‘ri-orientamento gestaltico’ del 1725, c’è la disavventura “per la quale disperò per l’avvenire aver mai più degno luogo nella sua patria” (le critiche al “Diritto universale” e l’impossibilità di “conseguire la cattedra” di diritto romano, a cui ambiva, nel 1723) e tuttavia anche il conforto e la consolazione del “giudizio di Giovan Clerico” apparso nella seconda parte del volume XVIII della Biblioteca antica e moderna, all’articolo VIII” ((op. cit., pp. 33-34).

Ovviamente Vico non si arrese e non si arrende e, consapevole e fiero di sé, così scrive di se medesimo nel 1725: “Ma non altronde si può intender apertamente che ‘l Vico è nato per la gloria della patria e in conseguenza dell’Italia, perché quivi nato e non Marocco esso riuscì letterato, che da questo colpo di avversa fortuna, onde altri arebbe rinunziato a tutte le lettere, se non pentito di averle mai coltivate, egli non si ritrasse punto di lavorare altre opere. Come in effetto ne aveva già lavorata una divisa in due libri” (p. 34).

E’ la “Scienza nuova in forma negativa”: nel primo libro - ancora e di nuovo - “andava a ritrovare i principi del diritto naturale delle genti dentro quegli dell’umanità delle nazioni, per via d’inverisimiglianze, sconcezze ed impossibilità di tutto ciò che ne avevano gli altri inanzi più immaginato che raggionato” (p. 34). Ma anche su questo lavoro cade “un colpo di avversa fortuna”! Allora Vico cambia marcia: “ristrinse tutto il suo spirito in un’aspra meditazione per ritrovarne un metodo positivo, e sì più stretto e quindi più ancora efficace”, e “nel fine dell’anno 1725, diede fuori in Napoli”, il suo capolavoro: la “Scienza nuova” (la prima!).

NON INVENTO IPOTESI: "HYPOTHESES NON FINGO" (Isaac Newton, Principi matematici della filosofia naturale, 1713 - si cfr. Nota). Vico ha smarrito la sua diritta via, ma non ha disperato di sé e non si è si perso nel “divagamento ferino per la gran selva della terra”: non è giunto “ a stordire ogni senso di umanità”! Ha lavorato eroicamente, ed è venuto fuori dall’“immenso oceano di dubbiezze” e ha trovato la “sola picciola terra dove si possa fermare il piede”, dove “una sola luce barluma: che ‘l mondo delle gentili nazioni egli è stato pur certamente fatto dagli uomini (...) che i di lui principi si debbono ritruovare dentro la natura della nostra mente umana e nella forza del nostro intendere, innalzando la metafisica dell’umana mente (finor contemplata dell’uom particore per condurla a Dio com’eterna verità, che è la teoria universalissima della divina filosofia) a contemplare il senso comune del genere umano come una certa mente umana delle nazioni, per condurla a Dio come eterna provvidenza, che sarebbe della divina filosofia la universalissima pratica; e, ‘n cotal guisa, senza veruna ipotesi (ché tutte si rifiutano dalla metafisica), andarli a ritrovare di fatto tra le modificazioni del nostro umano pensiero nella posterita’ di Caino innanzi, e di Cam, Giafet dopo l’universale diluvio” (p. 185).

LA STORIA DELL’UMANITA’: UNA FATICA DI ERCOLE. Quanto dura sia stata la lotta per superare ostacoli e avversità “nel divagamento ferino della gran selva” e giungere a scoprire “questa unica verità” (la “picciola terra”, “la sola luce”), Vico non lo nasconde (né a se stesso né a chi voglia capire il suo lavoro di rifondazione critica della ragione storica e della ragione filosofica e teologica dommatica - anzi, invita a profittare) e così chiarisce: “noi, in meditando i princìpi di questa Scienza, dobbiamo vestire per alquanto, non senza una violentissima forza, una sì fatta natura e, ‘n conseguenza, ridurci in uno stato di somma ignoranza di tutta l’umana e divina erudizione, come se per questa ricerca non vi fussero mai stati per noi né filosofi, né filologi. E chi vi vuol profittare, egli in tale stato si dee ridurre, perché, nel meditarvi, non ne sia egli turbato e distolto dalle comuni invecchiate anticipazioni” (p. 185).

“PRINCIPI DI UNA SCIENZA NUOVA” (1725): UN “CANTO” DI VITTORIA. Nella “Idea dell’opera, nella quale si medita una Scienza dintorno alla natura delle nazioni, dalla quale è uscita l’umanità delle medesime, che a tutte cominciò con le religioni e si è compiuta con le scienze, con le discipline e con le arti”, nell’indicare il contenuto del “libro primo” - con orgoglio e con una punta di sana ironia napoletana - premette un verso di Virgilio (“Ignari hominumque locorumque erramus: Ignoranti sia degli esseri umani sia dei luoghi erriamo)e così scrive:. “Necessità del fine e difficoltà de’ mezzi di rinvenire questa Scienza entro l’error ferino de’ licenziosi, deboli e bisognosi, di Ugone Grozio, e de’ gittati in questo mondo senza cura o aiuto divino di Samuello Pufendorfio, da’ quali le gentili nazioni son pervenute” (p. 171). [continua]
Nota

ISAAC NEWTON.

Hypotheses non fingo, ("Non formulo ipotesi") è la celebre espressione con la quale Isaac Newton esprimeva l’impossibilità di andare al di là della descrizione dei fenomeni per cercarne la causa. Gli studi di Newton spaziarono in molti campi della fisica ( ottica, meccanica classica) e della matematica (calcolo infinitesimale) e per questo è riconosciuto come uno dei padri della scienza moderna. Nel condurre le sue ricerche sulla legge gravitazionale Newton rinunciò a definire la forza di gravità limitandosi a descrivere i suoi effetti. -L’affermazione Hypotheses non fingo lascia dunque spazio a ogni tipo di interpretazione, metafisica o strettamente meccanicistica ma senza sostenerne alcuna. La famosa frase, è contenuta nella seconda edizione dei Principia del 1713, precisamente nella sezione finale intitolata Scolio Generale.
- Lì vi si legge: "[...] In verità non sono ancora riuscito a dedurre dai fenomeni la ragione di queste proprietà della gravità, e non invento ipotesi. Qualunque cosa, infatti, non deducibile dai fenomeni va chiamata ipotesi; e nella filosofia sperimentale non trovano posto le ipotesi sia metafisiche, sia fisiche, sia delle qualità occulte, sia meccaniche. [...]"
- (Cfr.: Newton, Opere, Vol. 1. Principi matematici della filosofia naturale, a cura di Alberto Pala, Classici della scienza, Torino UTET, 1997, pagg. 801-802 - da: Wikipedia, l’enciclopedia libera).
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/3/2013 22.29
Titolo:continuazione - UN FATTO ANTROPOLOGICO INDUBITALE ...
Nel 1725, Vico scrive “di se medesimo” che ha scoperto "tutt’altre da quelle che sono immaginate finora le origini di quasi tutte le discipline, sieno scienze o arti”. Che tale affermazione non sia il frutto della fantasia di un visionario, ma la determinata e fiera consapevolezza di un grande filosofo e di un grande scienziato, è più che evidente nella dichiarazione coeva della “Scienza nuova”, ove precisa in modo inequivocabile che i principi del mondo delle nazioni gentili - “senza veruna ipotesi (ché tutte si rifiutano dalla metafisica)” - bisogna “andarli a ritrovare di fatto tra le modificazioni del nostro umano pensiero”.

Se le parole vogliono significare qualcosa, già il titolo “Principi di una scienza nuova” (con tutto quel che segue) dovrebbe far pensare a un discorso da collocare entro l’orizzonte della rivoluzione scientifica (di Galilei e Newton!) e, già, della rivoluzione copernicana kantiana (1781): a ben vedere, ciò che Vico propone è una nuova concezione dell’uomo, della società, e della storia, all’interno di un nuovo orizzonte filosofico comune a tutte le scienze - senza chiusure e fondamentalismi (e riduzionismi), a nessun livello e di ogni tipo!

La sua convinzione, infatti, è che “ci è mancata finora una scienza la quale, fosse, insieme, istoria e filosofia dell’umanità. Imperciocché i filosofi han meditato sulla natura umana incivilita già dalle religioni e dalle leggi, dalle quali, e non d’altronde, erano essi provenuti filosofi, e non meditarono sulla natura umana, dalla quale eran provenute le religioni e le leggi, in mezzo alle quali provennero essi filosofi” (p. 178). E la sua sollecitazione è quella di ripartire - come è evidente - non dalla metafisica, dalla morale, e dalla religione, ma dall’antropologia!

CHI SIAMO NOI IN REALTA’? All’inizio dei “Principi”, nel capitolo primo del Libro Primo, intitolato “Motivi di meditare quest’opera”, Vico rompe ogni indugio e in una sintesi lucidissima e vertiginosa offre il filo di tutta la sua ricerca e mostra che cosa ha scoperto con “la fiaccola” della sua “nuova arte critica”. E, con una mossa geniale degna del miglior Marx (Introduzione ’57), nell’esposizione della sua indagine parte da un fatto antropologico indubitabile: un istinto naturale, un “comune desiderio della natura umana”, “un senso comune, nascosto nel fondo dell’umana mente”.

Questo è l’attacco e il primo capoverso del suo capolavoro (Scienza Nuova, 1725): “ Il diritto naturale delle nazioni egli è certamente nato coi comuni costumi delle medesime: né alcuna giammai al mondo fu nazione d’atei, perché tutte incominciarono da una qualche religione. E le religioni tutte ebbero gittate le loro radici in quel desiderio che hanno naturalmente tutti gli uomini di vivere eternamente; il qual comune desiderio della natura umana esce da un senso comune, nascosto nel fondo dell’umana mente, che gli animi umani sono immortali; il qual senso, quanto è riposto nella cagione, tanto produce quello effetto: che, negli estremi malori di morte, desideriamo esservi una forza superiore alla natura per superargli, la quale unicamente è da ritrovarsi in un Dio che non sia essa natura ma ad essa natura superiore, cioè una mente infinita ed eterna; dal qual Dio gli uomini diviando, essi sono curiosi dell’avvenire”.

E, così, continua: “Tal curiosità, per natura vietata, perché di cosa propria di un Dio mente infinita ed eterna, diede la spinta alla caduta de’ due principi del genere umano: per lo che Iddio fondò la vera religione agli ebrei sopra il culto della sua provvedenza infinita ed eterna, per quello stesso che, in pena di avere i suoi primi autori desiderato di saper l’avvenire, condannò tutta la umana generazione a fatiche dolori e morte. Quindi le false religioni tutte sursero sopra l’idolatria, o sia culto di deitadi fantasticata sulla falsa credulità d’esser corpi forni di forze superiori alal natura, che soccorrano gli uomini ne’ loro estremi malori; e l’idolatria [è] nata ad un parto con la divinazione, o sia vana scienza dell’avvenire, a certi avvisi sensibili, creduti mandati agli uomini dagli dèi. Sì fatta vana scienza, dalla quale dovette cominciare la sapienza volgare di tutte le nazioni gentili, nasconde però due gran princìpi di vero: uno, che vi sia provvidenza divina che governi le cose umane; l’altro, che negli uomini sia la libertà d’arbitrio, per lo quale, se vogliono e vi si adoperano, possono schivare ciò che, senza provvederlo, altrimenti loro apparterrebbe. Dalla qual seconda verità viene di séguito che gli uomini abbiano elezione di vivere con giustizia; il quale comun senso è comprovato da questo comun desiderio che naturalmente hanno dalle leggi, ove essi non sien tòcchi da passione di alcun proprio interesse di non volerle” (p.172).

Conquistato il fatto antropologico indubitabile, per Vico tutto diventa più chiaro. Egli ha finalmente trovato il filo d’oro per uscire da interi millenni di labirinto: l’ “impresa”e la “dipintura” che illustreranno e accompagneranno la “Scienza Nuova” del 1730 e del 1744, celebrano e precisano in immagini proprio il senso di quest’evento e questa più grande consapevolezza!

Il principio del verum-factum (con le sue articolazioni interne, relative al rapporto Uomo-Dio, vero-vero, religione ebraica e religione dei gentili) è liberato dalle sue ambiguità neoplatoniche e cattolico-rinascimentali e lo stesso programma teologico-politico di Cusano, di Ficino, di Pico della Mirandola, di Michelangelo, di Campanella, di Giordano Bruno (la riconciliazione delle fedi e delle ragioni) è ripreso e rilanciato su una base nuova - scientificamente, teologicamente, e filosoficamente critica.

PER UNA “BIBBIA CIVILE” RAGIONATA, PER LA“COSTITUZIONE”! Nel capitolo secondo, sempre del Libro Primo, intitolato “Meditazione di una scienza nuova”, Vico dà chiarimenti sulla portata e il senso del suo lavoro e invita a riflettere sulla necessità di elaborare “uno stato di perfezione” (un “quadro costituzionale”!) per meglio orientare il cammino “dell’umanità delle nazioni”. Così scrive: “Ma tutte le scienze, tutte le discipline e le arti sono state indiritte a perfezionar e regolare le facoltà dell’uomo. Però niuna ancora ve n’ha che avesse meditato sopra certi princìpi dell’umanità delle nazioni, dalla quale senza dubbio sono uscite tutte le scienze, tutte le discipline e le parti; e per sì fatti princìpi ne fosse stabilita una certa akmé, o sia uno stato di perfezione, dal quale se ne potessero misurare i gradi e gli estremi, per li quali e dentro i quali, come ogni altra cosa mortale, deve essa umanità delle nazioni correre e terminare, onde con iscienra si apprendessero le pratiche come l’umanità d’una nazione, surgendo, possa pervenire a tale stato perfetto, e come ella, quinci decadendo, possa di nuovo ridurvisi. Tale stato di perfezione unicamente sarebbe: fermarsi le nazioni in certe massime così dimostrate per ragioni costanti come praticate co’ costumi comuni, sopra le quali 1a sapienza riposta de’ filosofi dasse la mano e reggesse la sapienza volgare delle nazioni, e,‘n cotal guisa, vi convenissero gli più riputati delle accademie con tutti i sappienti delle repubbliche; e la scienza delle divine ed umane cose civili, che è quella della religione e delel leggi (che sono una teologia ed una morale comandata, la quale si acquista per abiti), fosse assistita dalla scienza delle divine ed umane cose naturali (che sono una teologia ed una morale ragionata, che si acquista co’ raziocini); talché farsi fuori da sì fatte massime fosse egli il vero errore o sia divagamento, non che di uomo, di fiera”(p. 173).

PICO DELLA MIRANDOLA, “IL MARXISMO E HEGEL”, E L’IRONIA DELLA STORIA. Anche se nel 1974, Lucio Colletti prende con determinazione, “completamente”, le distanze dal “trionfalismo dogmatico con cui, un tempo, [ha] difeso la giustezza di ogni rigo di Marx”(“Intervista politico-filosofica”, Bari 1974) e, benché abbia fatto eroici tentativi per riallacciare i fili della “critica dell’economia politica” con i fili della “critica della ragion pura”, non riesce a venir fuori dalla trappola logica e storica della metafisica dogmatica e dalle macerie degli idealismi, dei marxismi, degli scientismi, e, nel 1994, cade (abbagliato dalla figura del Cavaliere del partito “Forza Italia”!) nel pantano dei liberismi.

Nel “Il marxismo e Hegel” (Laterza, Bari 1969), a difesa di Marx, così scrive: “analisi scientifica e storia, a un parto, cioè scienza-storia e storia-scienza: ecco lo storicismo di Marx; che non è quello di Vico, né quello di Hegel e tantomeno quello di Croce” (p.141).

La catastrofe è già annunciata, e proprio nella parte più importante del lavoro (“a cui l’autore vorrebbe che fosse prestata l’attenzione maggiore”), “negli ultimi due capitoli: dedicati, rispettivamente, al concetto di “rapporti sociali di produzione” e all’idea della società “cristiano borghese” (p. VII). In questi capitoli i problemi della “Scienza nuova” di Vico sono al centro della questione. Tutti i nodi (dal rapporto essere-pensiero al verum-factum, vero-certo, uomo-dio, individuo-società e religione), vengono al pettine intorno al nodo antropologico, ma Vico non c’è - ovviamente!

Per difendere la concezione antropologica di Marx (l’uomo, un “ente naturale generico”) e chiarire il passaggio dal materialismo naturalistico al materialismo storico (contro il “materialismo dialettico” e la sua incapacità di sciogliere il nodo dei Manoscritti del ’44, cioè di intenderne il concetto dell’uomo come “ente naturale generico”), Colletti estrae il concetto di Uomo dal discorso di Pico della Mirandola (“De hominis Dignitate) e di Bovillus (“De Sapiente”) - in particolare, il tema dell’uomo artefice di se stesso, prodotto del suo farsi - e lo trapianta sul terreno del concetto dei “rapporti sociali marziani”, e finisce per perdere ogni lucidità sia sul piano antropologico sia sul piano della critica dell’economia politica e della logica hegeliana.

L’orizzonte ateo-materialistico, e la superficiale (se non inesitente) conoscenza diretta dell’opera di Vico, blocca a Colletti ogni via di uscita (quantomeno in direzione del suo stesso Kant, che era “realista”, e del suo stesso Marx, che non era “marxista”!) e lo acceca definitivamente, riconsegnandolo all’ateismo ateo-devoto non di Croce-Hegel ma di Gentile-Fichte! E, alla fine, per capire qualcosa della “miseria dello storicismo” si rivolgerà a Kar Popper, che della “società aperta e i suoi nemici” sapeva qualcosina!

E’ l’inizio della fine di un percorso “esemplare” - non solo suo, ma di grandissima parte della maggior parte degli intellettuali italiani. A onore e memoria di Colletti, è solo da dire che tenne sempre la schiena dritta e non rinunciò mai al suo diritto di critica di uomo, di cittadino e di intellettuale. A vergogna degli altri, è meglio che tacciamo! E riprendiamo a leggere Vico!

Principi di una scienza nuova”, Napoli 1725 - Per una nuova “Città della Scienza”, Napoli 2013: Che questo suo “meraviglioso libro - come scrisse Paul Hazard alla fine della seconda guerra mondiale - proietti finalmente il suo splendore sull’orizzonte dell’Europa”!
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/3/2013 16.49
Titolo:LA BORIA DEI DOTTI: HEGEL, EDWARD O. WILSON, E FERRARIS
"NUOVO REALISMO", IN FILOSOFIA. DATO L’ ADDIO A KANT, MAURIZIO FERRARIS SI PROPONE COME IL SUPERFILOSOFO DELLA CONOSCENZA (QUELLA SENZA PIU’ FACOLTA’ DI GIUDIZIO) DI HEGEL!!!

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Il nuovo saggio di Wilson sull’eusocialità

Siamo uomini o formiche?

di Maurizio Ferraris (la Repubblica, 11.03.2013) *

Leibniz ha scritto che l’asino va dritto al fieno senza aver letto una riga di Euclide. Analogamente, il dittatore che per mettere a tacere il dissenso interno dichiara guerra al paese vicino non ha verosimilmente letto il libro curato da Telmo Pievani e tradotto da Cortina, La conquista sociale della terra dell’entomologo di Harvard Edward O. Wilson, ma applica con istinto sicuro (è il caso di dirlo) la teoria della selezione naturale multipla che questi ha proposto nel 2010 con Martin Nowak e Corina Tarnita.

Contrariamente alla teoria del “gene egoista” resa celebre da Richard Dawkins, e d’accordo piuttosto con il proverbio “parenti serpenti”, la socialità umana non evolve in gruppi che condividono i geni e si aiutano a vicenda, ma si articola su un duplice livello. Uno, più alto, è la competizione tra gruppi, e uno, più basso, è la competizione (e non la cooperazione, come vuole Dawkins, e come voleva in precedenza lo stesso Wilson insieme alla maggioranza della comunità scientifica) tra individui all’interno dello stesso gruppo. Nel momento in cui si identifica il nemico (di razza, di classe) il gruppo si ricompatta e mette a tacere gli egoismi individuali, che torneranno a scatenarsi appena passato il pericolo.

Nell’elaborare questa teoria, Wilson mette a frutto le indagini che l’hanno reso celebre, quelle legate al concetto di “superorganismo” presentate in un monumentale volume scritto con Bert Hölldobler e tradotto da Adelphi due anni fa.

Contrariamente al cliché dell’evoluzionismo come esaltazione della lotta di tutti contro tutti, l’idea di fondo è che un livello di “eusocialità”, ossia di stretta collaborazione tra individui nel gruppo, con divisione del lavoro e intere caste che si sacrificano per la comunità, è un vantaggio decisivo per l’evoluzione.

È per questo che le formiche hanno iniziato il cammino dell’evoluzione milioni di anni prima che qualcosa di remotamente simile avvenisse agli ominidi. Tuttavia, nel caso delle formiche, lo sviluppo ha comportato, un solo livello di articolazione, quello sociale. È la comunità nel suo insieme che agisce come un singolo organismo, e acquisisce una potenza che esisteva molto prima di noi e con ogni probabilità esisterà molto dopo che si sarà persa ogni traccia dell’umanità.

Per gli uomini (e per la sterminata filiera di primati che li precede), che partivano da prerequisiti diversi, e in particolare il fatto banale ma decisivo di essere molto più grandi delle formiche, le cose sono andate diversamente. Il corpo più grande ha permesso lo sviluppo di un cervello più complesso, e il cervello ha reso possibili livelli di eusocialità sofisticati, la creazione del linguaggio, degli ornamenti, della religione, e ovviamente della scienza.

Purtroppo ha anche generato l’intima conflittualità che ci caratterizza come esseri umani. Le formiche sanno sempre qual è la cosa giusta da fare, noi invece siamo in lotta non solo con gli altri, ma con noi stessi. Anzitutto, viviamo il conflitto tra egoismo e altruismo, tra il vantaggio dell’individuo e quello del gruppo, tra interesse e sacrificio.

Come se non bastasse, a complicarci la vita rispetto alle formiche, interviene il conflitto tra la parte primitiva e istintiva del cervello, l’amigdala, e la corteccia capace di simboli, coscienza e ragionamenti. Insomma, se il superorganismo tutto d’un pezzo di un formicaio è perfettamente armonioso, noi viviamo un conflitto tra la nostra natura e quello che Aristotele chiamava “seconda natura”. È questo che ci rende pensosi, spirituali, tormentati. Ma il punto essenziale, e filosoficamente decisivo, è che per quanto potente e determinante possa diventare la seconda natura, rivela pienamente la propria provenienza dalla prima.

Anni fa, quando il solo parlare di “natura umana” appariva come il segno di un inaccettabile scientismo, visto che l’uomo era concepito come il frutto esclusivo di una storia e di un linguaggio venuti fuori dal nulla, il libro di Wilson sarebbe stato classificato come antifilosofico.

Ma è vero il contrario: è un libro speculativo ed hegeliano. Perché esattamente come per Hegel, lo spirito - concepito anzitutto come lacerazione - è frutto della natura, e i gradi inferiori si conservano e si superano nei gradi superiori. La cultura è costitutivamente il prolungamento della natura, non c’è indipendenza né salto (né ovviamente infusione soprannaturale). È nel fondo della natura che ha inizio la fenomenologia dello spirito, che non perde nulla del suo interesse e della sua dignità, ma anzi riceve la sua vera luce, dallo spiegare l’uomo attraverso le formiche.

*

- Oggi presenta a Harvard il Manifesto del nuovo realismo (Boylston Hall 403, ore 17). -L’incontro, organizzato da Francesco Erspamer per le attività della Lauro de Bosis Lectureship in the History of Italian Civilization, avviene in concomitanza con la nuova edizione de Il mondo esterno (Bompiani) La conquista sociale della terra di E. Wilson (Cortina a cura di T. Pievani, pagg. 356, euro 26)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/5/2013 20.18
Titolo:Homo symbolicus. Ecco il momento esatto in cui siamo diventati umani
- Homo symbolicus
- Ecco il momento esatto in cui siamo diventati umani

- La diversità rispetto agli altri viventi non è frutto dell’evoluzione, ma di un “evento” improvviso

-di Ian Tattersall (la Repubblica, 17.05.2013)

Noi esseri umani siamo parte a tutti gli effetti del Grande Albero della Vita che abbraccia l’insieme delle cose oggi viventi sulla Terra. E siamo saldamente collocati fra i primati, all’interno dell’ordine dei mammiferi. Ma è innegabile che in noi c’è anche qualcosa di fondamentalmente diverso da ogni altra creatura vivente. A prima vista, naturalmente, la cosa che più salta all’occhio sono le nostre peculiarità fisiche, in gran parte collegate al nostro strano modo di muoverci e riconducibili alla postura eretta e alla bipedalità, l’adattamento dei primi ominidi da cui è disceso tutto il resto.

Ma la cosa che veramente ci distingue e ci fa sentire così diversi da tutti gli altri esseri viventi è il modo di elaborare le informazioni nel nostro cervello. Quello che solo noi esseri umani facciamo è disassemblare mentalmente il mondo che ci circonda in un vocabolario sterminato di simboli mentali. Questa capacità unica si palesa in ogni aspetto delle nostre vite. Gli esemplari di altre specie reagiscono, più o meno direttamente e in modo più o meno sofisticato, agli stimoli dell’ambiente esterno.

Ma la nostra capacità simbolica ci mette nelle condizioni di immaginare alternative e di porci domande come «Che succede se...? ». E il risultato è che non ci limitiamo a fare semplicemente le stesse cose che fanno le altre creature, solo un po’ meglio: noi gestiamo le informazioni in modo completamente diverso.

Una delle evidenze materiali delle prime opere di menti simboliche è l’ormai famoso motivo geometrico inciso settantacinquemila anni fa su una placca di ocra levigata nella grotta di Blombos, sulla costa meridionale dell’Africa: insieme a molti altri ritrovamenti è l’indizio che centomila anni fa, nel continente nero, tirava aria di cambiamenti comportamentali di vasta portata. Quarantamila anni fa circa, questa rivoluzione comportamentale ancora embrionale trovò la sua piena realizzazione nelle straordinarie pitture rupestri della regione franco-cantabrica. Società simili produssero le prime evidenze dell’avvento della musica, sotto forma di flauti ricavati da ossa di uccello.

Per comprendere le caratteristiche di questo nuovo fenomeno è importante ricordarsi che l’Homo sapiens con capacità cognitive moderne non è semplicemente un’estrapolazione di tendenze precedenti. I ritrovamenti archeologici mostrano piuttosto chiaramente che noi non facciamo le stesse cose che facevano i nostri predecessori, solo un po’ meglio: ricreando mentalmente il mondo noi di fatto facciamo, nella nostra testa, qualcosa di completamente nuovo e diverso. E dal momento che questa innovazione radicale rappresenta una rottura totale con il passato, non siamo in grado di spiegarla ricorrendo alla classica selezione naturale, che non è un processo creativo.

Che cosa successe, allora? La produzione di cognizione simbolica è iniziata in una fase molto recente nella storia del cervello umano. Il nuovo modo di pensare sembra essere nato molto dopo la nascita dell’Homo sapiens come entità anatomicamente distinta, e dunque dopo l’acquisizione del cervello anatomicamente moderno. Non c’è niente di sorprendente in questo, perché le innovazioni comportamentali, e presumibilmente cognitive, di regola sono avvenute durante il periodo di prevalenza delle specie di ominidi esistenti, e non all’inizio.

Tutto questo rende ragionevole giungere alla conclusione che l’innovazione neurale decisiva è stata acquisita come sottoprodotto della grande riorganizzazione evolutiva che ha dato origine all’Homo sapiens come entità fisicamente distinta, circa duecentomila anni fa. In altre parole, questa innovazione è emersa non come adattamento, ma come exattamento, cioè un adattamento nato per assolvere a una certa funzione e che poi finisce per assolvere anche o soprattutto un’altra funzione indipendente da quella originaria. Queste nuove potenzialità, che hanno fornito il sostrato biologico per la cognizione simbolica, sono rimaste «in sonno» fino a quando, sotto l’impulso probabilmente di uno stimolo culturale, non si sono concretizzate.

La mia idea è che questo stimolo è stato l’invenzione del linguaggio, cioè l’attività simbolica per eccellenza. Per noi, linguaggio è praticamente sinonimo di pensiero. Come il pensiero, il linguaggio implica la formazione e la manipolazione di simboli nella mente. E in assenza del linguaggio la nostra capacità di ragionare per simboli è quasi inconcepibile. Immaginazione e creatività sono parte dello stesso processo, perché solo dopo aver creato simboli mentali siamo in grado di combinarli in modo nuovo e di chiedere: «Che cosa succede se...?».

C’è di più: se il linguaggio è venuto dopo le trasformazioni anatomiche dell’Homo sapiens, allora i primi individui linguistici possedevano già, chiaramente, l’apparato vocale necessario per esprimere il linguaggio, apparato che avevano acquisito inizialmente, una volta di più, in un contesto a tutti gli effetti di exattamento.

L’exattamento, tra l’altro, è un evento assolutamente ordinario in termini evolutivi, se si pensa che gli antenati degli uccelli hanno avuto le piume per milioni di anni prima di scoprire che potevano usarle per volare.

Non ci sono dubbi che quello che ci differenzia più di ogni altra cosa dai Neanderthal e da tutti gli altri nostri parenti estinti è il pensiero simbolico: è il pensiero simbolico che spiega perché oggi noi siamo qui e loro no.

La capacità cognitiva specifica della nostra specie, dunque, è un’acquisizione straordinariamente recente, ed è il prodotto immediato di un evento di breve durata e probabilmente casuale, che ha capitalizzato i frutti di centinaia di milioni di anni di evoluzione vertebrata.

Tutto questo a sua volta sembra indicare che noi esseri umani non siamo le creature che siamo grazie a una selezione naturale protrattasi per ere intere. E naturalmente può aiutarci a capire perché i nostri processi decisionali sono così contorti, perché i comportamenti umani sono così spesso irrazionali e autodistruttivi e perché la nostra psiche è notoriamente così impenetrabile.
- (Traduzione di Fabio Galimberti)

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Commenti Articolo 502

Titolo articolo : ANCORA COSTANTINO?! CAMBIARE REGISTRO. L’era costantiniana mai finita e giunta fino a noi. Un'analisi di Gianmaria Zamagni - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: May/18/2013 - 12:17:16.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/5/2013 23.17
Titolo:PAPA FRANCESCO: “No al feticismo del denaro e alla dittatura dell’economia”
Il Papa: “No al feticismo del denaro e alla dittatura dell’economia”

di Andrea Tornielli (La Stampa, 17 maggio 2013)

«Il denaro deve servire, non governare!». Lo ha detto ieri il Papa ricevendo i nuovi ambasciatori di Kyrgyzstan, Antigua e Barbuda, Lussemburgo e Botswana, ai quali ha parlato delle radici della crisi finanziaria e del divario tra poveri e ricchi, caratterizzato dal «feticismo del denaro» e dalla «dittatura dell’economia», che considera l’essere umano «come un bene di consumo». Si tratta del più impegnativo discorso finora tenuto da Francesco sui temi sociali.

«La maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo - ha detto il Papa - continuano a vivere in una precarietà quotidiana con conseguenze funeste». Una delle cause di questa situazione, secondo Francesco, sta «nel rapporto che abbiamo con il denaro, nell’accettare il suo dominio su di noi e sulle nostre società». L’origine della la crisi finanziaria che stiamo attraversando ha «la sua prima origine», secondo il Papa, «in una profonda crisi antropologica», cioè nella «negazione del primato dell’uomo».

«Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro ha trovato una nuova e spietata immagine nel feticismo del denaro e nella dittatura dell’economia senza volto né scopo realmente umano».

«Oggi l’essere umano - ha continuato - è considerato egli stesso come un bene di consumo che si può usare e poi gettare. Questa deriva si riscontra a livello individuale e sociale; e viene favorita!».

In questo contesto, ha spiegato ancora il Pontefice, la solidarietà «è spesso considerata controproducente, contraria alla razionalità finanziaria ed economica» e così «mentre il reddito di una minoranza cresce in maniera esponenziale, quello della maggioranza si indebolisce».

Uno squilibrio derivante, secondo Francesco, «da ideologie che promuovono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria, negando così il diritto di controllo agli Stati pur incaricati di provvedere al bene comune».

Questo processo, ha aggiunto il Papa, «instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone unilateralmente e senza rimedio possibile le sue leggi e le sue regole».

L’indebitamento e il credito allontanano i Paesi «dalla loro economia reale ed i cittadini dal loro potere d’acquisto reale». A ciò si aggiunge «una corruzione tentacolare e un’evasione fiscale egoista» che hanno assunto «dimensioni mondiali».

Dietro questo atteggiamento si nasconde, ha affermato il Papa, «il rifiuto dell’etica, il rifiuto di Dio». Un Dio che è considerato «da questi finanzieri, economisti e politici» addirittura «pericoloso» perché chiama l’uomo «all’indipendenza da ogni genere di schiavitù».

Il Papa ha auspicato «una riforma finanziaria che sia etica e che produca a sua volta una riforma economica salutare per tutti». Una riforma che «richiederebbe un coraggioso cambiamento di atteggiamento dei dirigenti politici».

«Il denaro - ha concluso - deve servire e non governare! Il Papa ama tutti, ricchi e poveri; ma il Papa ha il dovere, in nome di Cristo, di ricordare al ricco che deve aiutare il povero, rispettarlo, promuoverlo».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/5/2013 12.17
Titolo:LA CHIESA CHE VORREI. Don Andrea Gallo in cammino con papa Francesco ...
don Gallo in cammino con papa Francesco

La chiesa che vorrei

di don Andrea Gallo (il Fatto Quotidiano, 17 maggio 2013)

Questo libro stava per essere dato alle stampe quando l’11 febbraio è giunto strepitoso l’annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI. Un evento straordinario che ha scosso tutti. Non si verificava da secoli.

Nella serata burrascosa di quel lunedì, un fulmine ha improvvisamente illuminato la cupola di San Pietro. Semplice coincidenza o immagine premonitrice? Il mondo intero si è interrogato con stupore, incredulità, smarrimento. Tutti mi chiedevano: “Quali motivazioni hanno spinto il papa a una così sorprendente decisione?”. Titubante rispondevo: “Papa Ratzinger ha posto al centro il bene della Chiesa, con coraggio e assumendosi le proprie responsabilità. È stato il quarto papa del post- Concilio”. Ora è arrivato papa Francesco a farci sperare di nuovo in una Chiesa dei poveri. Un sollievo dopo tanta pena.

Sapranno i cattolici accogliere l’invito inequivocabile e sofferto a un rinnovamento radicale per ritornare a essere Lumen gentium, “luce delle genti”, un popolo di Dio in cammino per annunciare il Vangelo di liberazione per tutti, con il sostegno dello Spirito del Cristo risorto e vivo?

Con l’elezione di Francesco tutto è possibile. I primi segnali sono di rottura con il passato e con un’idea di Chiesa arroccata e chiusa in se stessa. Le questioni che il nuovo papa dovrà affrontare sono tante e gravi.

Le domande che ci attendono

Si riuscirà a dirottare la prua della nave di Pietro da una cristianità in dispersione e pesantemente attraversata dal male verso la comunione e la comunità dei discepoli, risalendo alle genuine fonti evangeliche? Nessuno può nascondere la situazione drammatica: la nostra amata Chiesa è fredda e scostante e in questi ultimi anni ha perso credibilità rispetto a questioni fondamentali.

Come ha affrontato lo scandalo degli abusi sessuali? Non sarebbe il momento di cambiare le modalità con cui vengono nominati i vescovi, prevedendo un maggiore coinvolgimento dei fedeli? Non si potrebbe mettere in discussione il celibato obbligatorio dei preti? Perché non considerare l’ordinazione femminile?

Sulla questione di genere la Chiesa è “maldestra e ambigua”.

Perché tanta difficoltà nel dire sì alla donna? Perché non riconsiderare la posizione assunta dalla Chiesa sugli anticoncezionali? E il testamento biologico? Mi chiedo nelle mie povere preghiere: non sarà grave aver trascurato i documenti del Concilio Vaticano II (1965)? Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI: è lecito chiedersi perché, trascorsi quasi cinquant’anni, il Concilio di Giovanni XXIII sia ancora tutto da tradurre.

Solo quando abbandonerà il suo statuto imperiale la Chiesa avrà da dire qualcosa agli uomini e alle donne del Terzo millennio. Auspico che il nuovo Pietro riproponga le quattro parole chiave di quella primavera della Chiesa. Si avvertono segnali incoraggianti.

La prima parola chiave è “partecipazione attiva”. Che vuol dire riconoscimento della soggettualità di tutto il popolo di Dio, dei suoi carismi e dei servizi che è chiamato a rendere. La seconda parola è sinodalità. Che investe l’interezza del popolo di Dio e non solamente un piccolo segmento di vescovi.

La Chiesa diventi un cantiere aperto, si apra a un mutato rapporto primato- episcopato, episcopato-presbiterato, chierici-laici. La terza è ascolto. Ascolto dei precetti da assimilare, da proclamare, da studiare e approfondire con la testimonianza. Infine la quarta: il dialogo. Penso soprattutto al dialogo Chiesa-mondo, ma non solo. C’è bisogno di dialogo intraecclesiale, di dialogo culturale ed ecumenico.

Solidale al fianco dei bisogni

La Chiesa che mi permetto di auspicare è una comunità in ascolto della parola di Dio e delle sue stesse membra, e capace di un annuncio e una profezia sempre nuovi. Sogno una Chiesa non separata dagli altri, che non sia sempre pronta a condannare, ma sia solidale, compagna, a fianco dei bisogni delle donne e degli uomini. L’ufficio divino della Quaresima apre con Isaia (58, 6-10): “Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo [...]. Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce”. Un consiglio per il motto papale: “Povertà, giustizia, pace”.

Le lobby del Vaticano

La crisi all’interno del Vaticano è tuttora drammatica. Ci sono fazioni, lobby, gruppi di potere, cardinali in lotta... Quando nel 2011 mi arrivò la notizia che il patriarca di Venezia, Angelo Scola, sarebbe diventato arcivescovo di Milano, mi chiesi perché mandassero un patriarca di settant’anni nella diocesi più grande del mondo. Dietro quella nomina c’era un calcolo preciso: le cause di beatificazione devono iniziare nelle diocesi di appartenenza del servo di Dio, e Scola era il cardinale giusto per avviare la pratica a favore di don Giussani. Né Martini né Tettamanzi si sarebbero mai sognati di beatificarlo. Dopo qualche mese che era a Milano, Scola ha aperto la causa di beatificazione. Sarà una coincidenza? Ecco la conferma di quanto sia forte la lobby di Comunione e liberazione dentro la Chiesa e quanto Ratzinger ne fosse influenzato.

Le lobby in Vaticano hanno indebolito e in parte costretto alle dimissioni papa Benedetto XVI: una di queste è l’Opus Dei, poi ci sono i Legionari di Cristo (il loro fondatore, monsignor Maciel, si è macchiato di colpe gravissime, provate, e Ratzinger sapeva tutto), Comunione e liberazione, gli Araldi di Cristo, Sant’Egidio, che è alle dirette dipendenze della segreteria di Stato.

C’è poi una lobby omosessuale molto forte: un gruppo di vescovi che nasconde la propria omosessualità e la sublima non nella castità, bensì nella ricerca del potere; cercano di allungare la catena che li unisce creando altri vescovi omosessuali.

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Commenti Articolo 503

Titolo articolo : IL "LUMEN GENTIUM" SPENTO: IL TESTO COSTITUZIONALE DEL VATICANO II STRACCIATO. "POVERA CHIESA! Corvi, Ior e potere". Intervista a don Andrea Gallo di Gianni Barbacetto,a c di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: May/18/2013 - 12:10:42.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/8/2012 21.56
Titolo:Ritrovare certi accenti del Vaticano II
Ritrovare certi accenti del Vaticano II

di Gaston Piétri, prete ad Ajaccio

in “La Croix” del 25 agosto 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Vi sono degli accenti, perfettamente fedeli alla tradizione cristiana più antica, che nell’opera del Vaticano II sono apparsi come innovatori. Sono quegli stessi accenti che oggi non solo si attenuano, ma addirittura scompaiono troppo frequentemente dalle parole e dalle pratiche di certe nostre comunità.

Per esprimere la condizione comune dei credenti in Cristo, la Costituzione Lumen Gentium mette al primo piano l’uguaglianza: “sussiste una vera uguaglianza nella dignità e nell’agire, e per tale uguaglianza tutti cooperano all’edificazione del corpo di Cristo” (n° 31). Al di fuori di questa uguaglianza ci sarebbero altrimenti dei cristiani di serie A e dei cristiani di serie B? Il Concilio non manca, nello stesso testo, di notare la differenza delle funzioni, e tra queste funzioni quella del pastore.

Perché parlare così poco dell’uguaglianza e aver così poca audacia per viverla in maniera più visibile? Senza dubbio per timore di “far scomparire” i pastori nella comunità. Per insufficiente comprensione della vera natura delle differenze. E in definitiva per una deplorevole svalutazione di quel nome comune di “cristiano” che i discepoli hanno ricevuto un giorno ad Antiochia (Atti 11,26). Ma che cosa ci sarebbe per noi, al di sopra dell’onore di essere cristiani, cioè di Cristo? È stato detto, ma bisogna ripeterlo: non ci sono “supercristiani”.

Talvolta si sente dire “i cristiani e i pastori”. Enunciare in questo modo la distinzione non ha alcun senso nella logica del cristianesimo. Nel decreto sul ministero e sulla vita dei presbiteri, il Vaticano II ricorda quanto il ministero dei preti sia insostituibile “nel e per il popolo di Dio”, e precisa subito: “sono discepoli del Signore come gli altri fedeli (...). In mezzo a tutti i battezzati, i presbiteri sono fratelli dei loro fratelli, membra dello stesso e unico corpo di Cristo, la cui edificazione è affidata a tutti” (n° 9). La relazione di fraternità è la più fondamentale e, se non fosse visibile nella vita quotidiana, l’aspetto di “paternità spirituale” che il ministero pastorale comporta si snaturerebbe perdendo il suo senso evangelico: “avete un unico Padre, e siete tutti fratelli”.

Durante “l’anno sacerdotale”, abbiamo fatto molta fatica, nell’abbondanza delle pubblicazioni, a scoprire delle tracce nette e insistenti di questo importante richiamo conciliare. Di che cosa abbiamo paura? Abbiamo bisogno di vocazioni al ministero presbiterale. Crediamo forse che la valorizzazione urgente di questa vocazione possa essere feconda e soprattutto ben compresa, se non tiene seriamente in considerazione il “rientro” del ministero del prete all’interno del popolo di Dio come ve lo include la dinamica di Lumen Gentium?

Nel decreto sull’ecumenismo, il Concilio raccomanda una presentazione della fede cristiana che metta nel giusto posto, cioè al centro, ciò che è direttamente “in rapporto con i fondamenti della nostra fede” (n° 11). A questo titolo parla di “una gerarchia delle verità”. Le devozioni hanno la loro ragion d’essere. Illustrano talvolta in maniera opportuna un aspetto o un altro del Mistero cristiano.

Ma in altri momenti l’eccessiva e persistente attenzione su certi aspetti finisce per occultare ciò che è al cuore della Rivelazione del Dio di Gesù Cristo e di conseguenza ciò che è comune tra confessioni cristiane. L’identità cattolica manifestata da queste devozioni nate nel corso dei secoli, deve essere subordinata alla specificità cristiana in ciò che essa ha di essenziale. È quella che bisogna far vedere innanzitutto.

La Costituzione Gaudium et Spes esamina l’originalità della Chiesa, che non può essere ridotta al alcun modello politico. Ma lo fa situando questa particolarità nella società in cui la Chiesa è solidale con tutti i protagonisti della vita comune. Il Concilio non esita a presentare la Chiesa e la società in situazione di reciprocità. Ciò che la Chiesa dona al mondo non è slegato da ciò che la Chiesa riceve dal mondo (n° da 41 a 44).

È da Cristo stesso che noi riceviamo incessantemente il Vangelo della salvezza per proporlo al mondo. È “dalla storia e dal genere umano” che la Chiesa riceve nuove indicazioni per la sua presenza effettiva tra gli uomini di questo tempo. Non possiamo prendere a pretesto degli errori individuali e collettivi dei nostri contemporanei per porre la Chiesa al di sopra di una società che non avrebbe nulla da dirci.

L’idea democratica, ad esempio, non si applica alla Chiesa allo stesso modo che nella società politica. Essa può e deve tuttavia ispirare i modi di relazione all’interno della comunità cristiana. Non basta ripetere fino alla nausea che “la Chiesa non è una democrazia”. Sarebbe meglio mostrare ciò che può offrire di vivificante un sano spirito democratico nell’attuazione di quel “momento comune” che è l’espressione del popolo di Dio. Ci crediamo veramente a questo “momento comune” dove lo Spirito stesso “parla alla Chiesa”?

Questi accenti non esauriscono certo l’opera del Vaticano II. Tuttavia è necessario rivivificarli se la Chiesa ci tiene a che non si stemperino quegli elementi importanti del rinnovamento voluto dal Concilio. La vera Tradizione ecclesiale vi perderebbe in parte il soffio che si è manifestato cinquant’anni fa e di cui la comunità cristiana ha più che mai bisogno per essere fedele testimone dello Spirito che “rinnova la faccia della terra”.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/8/2012 22.06
Titolo:PAROLA A RISCHIO. Due lezioni sulla Carità e e sulla Grazia ...
PAROLA A RISCHIO
Risalire gli abissi
La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
Perché è sorriso, liberazione, gioia.

di Giovanni Mazzillo (Teologo) *

G come gioia, come Gesù, respiro di gioia per tutti gli infelici della terra. Parliamo di Gesù, il cui corrispondente nome greco Iesoûs deriva direttamente dall’originale ebraico Je(ho)šhu e significa JHWH salva, per precisare immediatamente che il termine salvezza oggi non significa gran che per i nostri contemporanei, e di conseguenza risuona poco interessante persino quel nome, pur originariamente portatore di una gioia immensa e inaudita. Ciò avviene non solo per l’inevitabile logorio delle parole più usate e talora abusate, ma per il fatto che ha perso rilevanza e pertanto significato il valore stesso della “salvezza”.

Salvezza
Salvezza da chi e/o da che cosa? Appunto, è questo il primo problema. La salvezza appare di primo acchito un concetto immediatamente derivato dal superamento di una situazione negativa, Si salva, o come succede in questo caso, viene salvato, qualcuno che si trova in una situazione di pericolo. Il pericolo di perdere qualcosa, di perdere se stesso. Di essere cancellato, di sparire, appunto come sparisce da un computer un testo non “salvato” o un’immagine non messa al sicuro. Ma essere salvati è per noi persone umane, e pertanto non riducibili a una traccia di codificazione binaria o algoritmica, molto di più che conservare un’impronta e una presenza. Coerentemente con la nostra realtà dinamica e relazionale, essere salvati significa avere un luogo, un senso, una rilevanza nel contesto di una realtà che giustifica, sorregge, garantisce il mantenimento e la crescita qualitativa, e pertanto il conseguente riconoscimento di un originario, inalienabile, imprescindibile valore personale.

La domanda «Chi o che cosa si può dire oggi salvato?» esige pertanto una primordiale differenziazione. Altro è il concetto di ciò che è salvato (cioè il dato messo al sicuro), ben altro è l’essere umano salvato. Questi non è solo garantito in ciò che ha di più proprio e pertanto è distinto dal mero “dato”, che invece è una sorta di file compilato (non per nulla in tedesco proprio il file è chiamato Datei, leggi datai, cioè «rea-ltà data»). L’essere umano è tale solo in un incontro, in una relazione. La persona è tutta nelle relazioni delle quali vive. Proprio la relazionalità sorregge il senso e la gioia del suo esistere.

L’annuncio di Gesù, già nella sua venuta in questo nostro mondo, è l’annuncio di una relazionalità umana felicemente riuscita. Nel Vangelo è direttamente collegato alla Grazia, termine che esprime tutto ciò e anche qualcosa di più.

Nell’annuncio della sua nascita, diversamente da quanto appare nella traduzione latina, e in quella italiana da essa derivata, nella preghiera più popolare che ci sia, Maria è salutata non con il saluto che si dava all’imperatore, alle autorità o anche agli amici con l’esclamativo «Ave!», bensì con l’invito a rallegrarsi, cioè a gioire (chaîre): a entrare in un circuito di esultanza per un dono gratuito e inatteso. Colei che è piena di grazia (kecharitōménē) è invitata a rallegrarsi perché tutto in lei è frutto ed espressione della «grazia» (cháris), cioè di un dono amorevole quanto sorprendente, che sarà presto annuncio di gioia per tutto il popolo e per ogni uomo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...”. L’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia...» (Lc 1,30-31; 2,10-11).

Il resto del Vangelo, soprattutto quello di Luca, evidenzia la gioia improvvisa e incontenibile che contagia quanti vengono a contatto con Ješhu. A cominciare da Elisabetta e dal suo bambino, che le esulta nel grembo, il futuro Battista. Così esultano ancora due anziani che sembrano essere rimasti in vita per mantenere viva la speranza d’Israele: Simeone e Anna, o i pastori; mentre nel racconto di Matteo, viene detto che i Magi “provarono una grandissima gioia” nel rivedere la stella che indicava il luogo della natività di Gesù.

La stessa gioia è testimoniata dai semplici e dagli umili, dagli infelici e dai peccatori che si sentono aiutati, capiti, perdonati. A gioire sono ancora i bambini e le donne, classi tradizionalmente neglette dalla piena partecipazione alla grazia collegata alle tradizionali benedizioni di Dio. Insomma il cuore del Vangelo è la lieta notizia annunciata ai bisognosi e agli infelici della terra. Il Dio che si dona totalmente, è il Dio che dona illimitatamente la gioia agli uomini. E perché la nostra gioia fosse piena (Gv 15,11), il Figlio di Dio è arrivato umanamente a perdere se stesso.

Perché avessimo una gioia che nessuno avrebbe mai più potuto toglierci, ha permesso che fosse tolta a lui la vita, per riprenderla di nuovo, ma con la conoscenza ormai nella sua carne e nella sua psiche di cosa significhi la morte umana. Di cosa voglia dire la gioia di vivere, di vivere non con il naturale sorriso con cui vive ogni creatura per la stessa gioia dell’esistere, ma di provare e diffondere la gioia di chi conosce la sofferenza e non resta inchiodato alla sofferenza. O al limite, di chi, nonostante le ferite e talora i chiodi mai interamente rimossi della sofferenza, sa sorridere della vita, perché questa è ormai rischiarata da colui che vince la morte e la depressione della sofferenza.

La gioia è dunque uno dei nomi della salvezza, ma di una salvezza che assume di volta in volta nomi nuovi e nomi antichi: riscatto, liberazione, sensatezza, leggerezza dell’esistere... Se la parola non fosse tanto inflazionata, si potrebbe dire che la salvezza altro non è che la felicità. È la felicità nel suo senso etimologico: come abbondanza e fertilità. Possiamo tradurre: come vita sensata che raggiunge il suo scopo e nasce da relazioni benevole, tendenti al bene altrui, trovando negli altri la propria gioia e comunicandola con relazioni che fanno crescere se stessi e gli altri.

In quanto tale, la felicità è simile alla pace e ne è la forma storica: è star bene con sé e con gli altri, con il proprio passato e con il proprio futuro. Perché, soprattutto oggi, c’è bisogno paradossalmente più di ricostruire il futuro che il passato o il presente. Per poterlo fare c’è bisogno di quella gioia consapevole che non si arrende e che non si ripiega su se stessa. Si ritrova nel futuro di una convivenza che non nasconde, ma sa riconoscere e superare i conflitti attraverso uno sguardo d’amore verso ciò che ci è intorno. È uno guardo che viene da lontano e tuttavia tocca la nostra umanità, questa mia e questa tua umanità, quella assunta, attraversata e come divinizzata da quel Gesù che continuamente dà senso a ogni tentativo di superare la violenza con l’amore. È l’unico a dar senso a ogni discorso di pace, anche questo che hai appena finito di leggere.

* MOSAICO DI PACE, LUGLIO 2012

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I CARISMI

di don Mauro Agreste *

1) OGGI PARLIAMO DEI CARISMI Oggi parliamo dei carismi ed è importante averne una conoscenza un pochino più strutturata, perché come catechisti nelle vostre comunità parrocchiali, ma anche nei gruppi di preghiera, è bene che abbiate una conoscenza il più possibile ampia su questo tema. Tutto sommato è stato lasciato per molti versi ad alcuni gruppi ecclesiali, oppure a degli alti studi universitari nell’Università Pontificia. Il tema dello spirito dei carismi è un tema che fa parte della vita della Chiesa; se ne tratta nel Concilio e nella Lumen Gentium. Al n°12 dice che la Chiesa costituita dal popolo di Dio è per così dire, il luogo in cui si esercitano i carismi, ognuno per la sua propria specificità. Però la maggior parte delle persone, quando sentono dire la parola carisma non è che abbiano molto chiaro in mente di che cosa si tratti, è vero?

2) PAROLA USATA E ABUSATA DA MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA Per di più questa parola è stata usata e abusata da giornalisti, da mezzi di comunicazione di massa non per indicare il significato preciso della parola carisma, quanto invece per indicare la capacità che ha una persona di attirare l’attenzione degli altri in qualunque campo, con la sua propria capacità di emergere sugli altri. Quindi in senso generico la parola carisma o personaggio carismatico all’interno della Chiesa e di alcuni gruppi ecclesiali vieni intuita in un certo modo. All’infuori della Chiesa il personaggio carismatico è un personaggio che ha delle chances in più, ha un savoir faire diverso in tutti i campi, sportivo, politico, ecc. ecc. da emergere e attirare l’attenzione, quasi catalizzando l’attenzione degli altri.

3) CARISMA HA LA STESSA RADICE DELLA PAROLA CARITÀ Ma che cos’è dunque il carisma e da che cosa nasce? Intanto la parola carisma deriva dal greco e come voi potete benissimo accorgervi contiene dentro di sé una radice, charis, che è la stessa radice della parola carità. Ora la parola carità, anche se abbiamo una vaga intuizione, è una parola che ha significati molto complessi e molto profondi, per cui almeno nel nostro linguaggio teologico, non è facile definire la carità semplicemente come un atteggiamento. La carità è prima di tutto una caratteristica di Dio stesso, una caratteristica essenziale, tant’è vero che gli antichi dicevano: Deus est charitas da cui gli antichissimi inni, ubi charitas et amor Deus ibi est, dov’è carità e amore lì c’è Dio. Dunque carità ha in sé questa radice charis, che significa qualche cosa di forte, di caldo, di vivo, di avvolgente. Viene cantato nel Veni Creator, si parla dello Spirito Santo e si dice che lo Spirito Santo è ignis, fuoco, fuoco di carità, fuoco di amore.

4) CARITÀ E AMORE VENGONO SPESSO USATI COME SINONIMI Carità e amore vengono spesso usati come sinonimi per una semplice ragione, sono entrambi concetti estremamente profondi. Se tu dici amore, è sufficiente dire amore per capire tutto ciò che significa la parola amore? No, cioè lo usiamo convenzionalmente però noi sappiamo che l’amore autentico per esprimerlo, per significarlo è molto difficile. Ricordate questa mattina il brano del Vangelo che è stato letto: nessuno ha un amore più grande se non colui che muore per i propri amici. Quindi vedete l’amore coinvolge fino alla donazione della vita. L’amore esige per esempio il concetto, che deve essere chiaro, della capacità di donarsi. Amore e donazione totale coincidono; però quando io dico amore non dico solo donazione totale, dico anche gioia, dico anche situazione di protezione. Una persona che ama è una persona che ne sta proteggendo un’altra; una persona che si sente amata è una persona che si sente protetta. Il concetto di guida: chi ama guida; chi è amato si sente guidato non gettato allo sbaraglio. Voi potete immaginare quale grande significato c’è nella parola amore; viene considerata sinonimo di carità, però entrambe hanno una specificità; che l’amore e la carità sono due realtà vive, coincidono con Dio.

5) PARLARE DI CARITÀ SIGNIFICA PARLARE DI GRAZIA Quindi parlare di carità, significa parlare di grazia, che charis è una traslitterazione, è la radice della parola greca che significa grazia. Che cos’è la grazia? Non è la gentilezza nei movimenti, la grazia è lo Spirito Santo in azione, lo Spirito Santo mentre agisce, lo Spirito Santo che sta agendo. Vieni Padre donaci la tua santa grazia, donaci cioè lo Spirito Santo che agisce dentro di noi. Ricordatevi che anche se avete il concetto chiaro nella mente, quelli che sono davanti a voi fraintendono facilmente, soprattutto queste cose complesse. Quindi dovete avere sempre l’idea di parlare a un bambino di 5 anni e state tranquilli che le persone davanti a voi non si sentiranno umiliate e non vi disprezzeranno se voi parlerete il più semplice possibile.

6) CHIEDI CHE LO SPIRITO SANTO VENGA AD AGIRE DENTRO DI TE Allora, donaci la santa grazia, certo che vuol dire donaci la capacità e la disponibilità a seguire i suggerimenti dello Spirito, però tu chiedi proprio che lo Spirito Santo venga ad agire dentro di te, però non senza di te. Quando invochiamo la grazia di Dio su di noi, invochiamo lo Spirito Santo che venga ad animarci dall’interno, come il lievito che fa lievitare tutta la pasta; il lievito non fa sparire la pasta, la fa solo lievitare; certo se non c’è la pasta puoi mettere anche un chilo di lievito che tanto non lievita niente. Allora quando si dice grazia si dice Spirito Santo in azione. Cosa vuol dire charis? Grazia. Cosa vuol dire grazia? Spirito Santo in azione. Lo Spirito Santo aleggiava sopra le acque informi, quindi lo Spirito Santo era già in azione appena Dio ha fatto esistere qualche cosa, ancora non c’era la luce, ma già lo Spirito Santo era in azione. Lo Spirito Santo agisce continuamente. L’ultimo versetto dell’Apocalisse dice: lo Spirito Santo e la sposa gridano Maranthà, vieni Signore Gesù. Quindi attenzione bene, tutta la Bibbia è contenuta da questa azione di Spirito Santo, dunque, tutta la storia degli uomini è contenuta in questi due punti fondamentali: lo Spirito Santo che aleggia e lo Spirito Santo che anima dicendo vieni. Gli uomini non si accorgono dell’azione dello Spirito Santo.

7) NUTRIRE UNA PARTICOLARE ADORAZIONE DELLO SPIRITO SANTO Allora i catechisti hanno questo compito fondamentale, fra tutti gli altri, di nutrire una particolare adorazione dello Spirito Santo. Dico giusto quando dico adorazione, per una semplice ragione, quale? Perché lo Spirito Santo è Dio. Quindi il catechista che non adora lo Spirito Santo non so che razza di catechista voglia essere. Lo Spirito Santo è la grazia che agisce dentro di noi. Il catechista che si mette al servizio della Chiesa, come fa a mettersi al servizio dicendo l’amore per Gesù se non è lo Spirito Santo a comunicarglielo?

8) PARLARE DI SPIRITO SANTO E DIO COME DUE PERSONE SEPARATE Domanda: questo fatto di parlare di Spirito Santo e Dio come due persone separate, non rischia di confonderci? E quando parliamo del Padre separato dal Figlio, non si rischia di creare dei problemi? Nelle dispense degli anni passati c’è quel disegno molto bello che si riferisce allo schema intuitivo su Dio e le sue tre persone. Dio è Padre, è Figlio e Spirito Santo, un solo Dio, però il Padre non è il Figlio, non è lo Spirito Santo e lo Spirito Santo non è il Padre. È chiaro che la nostra mente è così limitata che noi non riusciamo a capire, possiamo solo contemplare.

9) FACCIAMO PARTE DELLA TRINITÀ Di più ancora. Facciamo parte di questa Trinità, con il Battesimo siamo entrati dentro la Trinità, perché siamo con Gesù una cosa sola. Siamo entrati nella Trinità, però non siamo Dio, siamo esseri umani, però facciamo parte della Trinità. Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; quindi la volontà di Dio è che siamo immersi ( bactizzomai verbo greco che significa essere immersi ) in tutto Dio Padre, in tutto Dio Figlio e in tutto Dio Spirito Santo. Questo vuol dire che dentro di noi c’è tutto Dio Padre, tutto Dio Figlio, tutto Dio Spirito Santo e come lo spieghi questo? Quando tu vai a fare la comunione prendi un’ostia grande così, tu sai che lì dentro c’è il Dio Eterno e Infinito, Signore della storia e dei secoli. Sotto un velo di pane c’è il mistero di tutto ciò che esiste. Possiamo intuire. Come dice l’inno Pange Lingua. Visus tactus gustus in te fallitur, la vista il tatto il sapore falliscono, perché tutto quello che i sensi constatano è fallace, non i sensi ma la fede conosce questa verità. Allora con la fede tu accetti, il mistero lo contempli, però non lo capisci. Perché capire dal latino càpere vuol dire prendere e tenere stretto, contemplare invece significa guardare, ma non da soli, sostenuti. Tu puoi guardare il mistero di Dio da solo, lo puoi contemplare cioè tu puoi entrare nel tempio insieme a qualcuno, contemplare entrare nel tempio insieme a qualcuno. Tu non possiedi il tempio è il tempio che possiede te.

10) IL CATECHISTA DEVE PARLARE UN ITALIANO SEMPLICE E COMPRENSIBILE Attenzione, perché usiamo la lingua, ma non la conosciamo e un catechista non può permettersi questo. Un catechista deve parlare un italiano semplice e comprensibile a quelli che ha di fronte però deve conoscere dieci o venti volte di più di quello che sta dicendo agli altri, se no che cosa sta comunicando? Certamente ai bambini non puoi dire le specificità dei termini che vi sto spiegando, però su tu non conosci il significato delle parole, tu insegnerai delle cose sbagliate e noi non possiamo permetterci di fare questo, se no non stiamo divulgando il Vangelo di Gesù Cristo, ma il Vangelo secondo noi. Quindi ricordatevi, è un servizio fatto a Dio quello anche di essere precisi nel linguaggio che si usa. Siate precisi cercando di conoscere il più possibile il significato delle parole che usate, anche le più comuni. E chiedete allo Spirito Santo che vi dia una struttura logica del pensiero: soggetto, predicato, complemento. Diversamente il vostro discorso non sarà compreso da chi vi ascolta; piuttosto articolate frasi e concetti brevi non un discorso lungo e strutturato. Fate discorsi brevi, frasi brevi, ma che siano chiare.

11) LA CONIUGAZIONE DEI VERBI DEVE ESSERE PRECISA State anche attenti alla coniugazione dei verbi, che deve essere precisa, perché un verbo al condizionale ha un significato diverso da un verbo all’indicativo; perché un verbo all’indicativo indica una realtà, un obbligo imprescindibile, un verbo al condizionale indica una possibilità cioè una dualità di realtà; i congiuntivi sono verbi di consequenzialità; se io nella mente non ho l’idea della consequenzialità delle cose, non userò il congiuntivo, userò l’indicativo e renderò tutto obbligante.

Ricordatevi che abbiamo a che fare con le parole, che noi abbiamo la parola di Dio nella mano e siamo i catechisti, non ci possiamo permettere di giocare con le parole, perché da come io uso le parole, favorisco o freno il passaggio del concetto di Dio. Senza diventare fanatici, senza esagerare, però o prendiamo sul serio il nostro servizio reso a Dio. Quindi tutto quello che dipende da me io cerco di farlo al meglio che posso, oppure facciamo come fanno tanti che improvvisano tutto, vanno avanti e non si rendono conto che stanno giocando con Dio. Se sul Vangelo c’è scritto: in principium erat verbum et verbum erat aput deum et verbum erat deum, allora questo ci fa capire che in principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio.

12) SE DIO SI E’ FATTO PAROLA, IO NON POSSO GIOCARE CON LE PAROLE Se Dio si è fatto la parola che noi possiamo intuire e capire, io posso giocare con le parole? No. Non dico questo perché dobbiamo spaventarci, sentirci colpevolizzati, però sentiamo la necessità di pensare le parole che usiamo e pensare le frasi che usiamo, perché se io devo parlare a dei bambini, dovrò rendere estremamente semplice un discorso difficilissimo. Però usando delle parole che siano giuste, che cerchino di generare meno equivoci possibili, adatte al vocabolario che è in possesso a un bambino di 7-10-12-15 anni, senza mai cedere ad accettare una connotazione di linguaggio che non sia più che dignitosa ed elegante.

13) IL CATECHISTA NON USA MAI PAROLE EQUIVOCHE Se ci sono dei modi di dire che esprimono il concetto di essere arrabbiati in un certo modo, il catechista non li usa mai, neanche quando sta da solo. Se ci sono parole equivoche il catechista si deve abituare non solo a non usarle lui, ma a sentirne ribrezzo quando le sente pronunciare da altri, perché il catechista sta usando con la propria lingua un mezzo di evangelizzazione. Dunque l’apostolo san Giacomo dice nella sua lettera al cap. 4 che chi domina la lingua domina tutto il resto del corpo.

Ora un catechista che non domina la lingua come può produrre negli altri un cambiamento di vita, se le parole che escono da lui sono sporcate da una incapacità di dominare la lingua? Naturalmente quando dico capacità di dominare la lingua non mi riferisco solamente a un linguaggio volgare e pesante, mi riferisco anche a un modo di gestire il linguaggio. Una persona che non è capace a non criticare, una persona dalla cui bocca esce sempre una parola di critica, di giudizio, di condanna, di curiosità, di pettegolezzo ecc. può giustamente essere catechista? Non può. Un catechista che non sente fondamentale dentro di sé l’imperativo di sapere quello che sta dicendo, come lo sta dicendo e non si domanda se le parole che sta usando le capisce prima lui, come fa a spiegarle agli altri?

14) IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE AMARE E AMORE Quante volte abbiamo esaminato il significato delle parole amare e amore. Se un catechista non sa che cosa vuol dire amare, sapete con che cosa lo confonde? Con il romanesco volemose bene. Ma amare non è quello, quello non è amare, quello lì è solo cercare di stare tranquilli, senza prendersi tanti problemi, vero? Invece amare è tutta un’altra cosa. Stamattina abbiamo sentito: dare la vita per i propri amici. Vedete che è estremamente differente. Allora non deve essere così per voi, perché voi avete sentito veramente una chiamata del Signore, se no non sareste qui al sabato mattina.

Però per non perdere tempo né io, né voi e neanche Dio, cerchiamo proprio di capire l’importanza di tutto questo. Quando nelle scuole ci facevano fare l’analisi logica, l’analisi del periodo erano molto importanti; se abbiamo dimenticato tutto questo la prima cosa che dobbiamo fare è chiedere allo Spirito Santo che venga a rispolverare dentro di noi le cose che avevamo studiato allora, che le faccia emergere. Vedrete che lo Spirito Santo vi aiuterà; poi dopo cominciate con l’analizzare il linguaggio che usate, le strutture logiche che usate, se sono chiare.

Ricordatevi che le persone che avete di fronte non sono dentro la vostra mente, dunque loro non sanno esattamente dove voi volete arrivare. Una grande carità che potete fare nei confronti del vostro prossimo, un grande servizio è quello di fare un passettino piccolo alla volta. Non date mai niente per scontato, anche se doveste ripetere cento volte in cento incontri, serve per aiutare quella persona a entrare nel difficile concetto che voi volete dire.

15) DOBBIAMO IMPARARE A PERDONARE Per es.: dobbiamo imparare a perdonare. Che vuol dire perdono? È una parola composta. Dividete a metà la parola, per e dono; quella che capite subito è dono, cosa vuol dire dono? È un regalo, non meritato, perché un dono meritato si chiama premio. Capite perché bisogna essere precisi? Perché se io non dico questo allora il perdono mi diventa un diritto, invece non è un diritto, è un dono, un regalo non meritato; quindi se il regalo non è meritato mi viene fatto perché io sono buono o è buono chi mi fa il regalo? Chi mi fa il regalo. L’altra parola da capire è per che deriva dal greco iper, che vuol dire il più grande; quindi se iper vuol dire il più e donum, regalo, mettendo insieme avete l’insegnamento che dovete fare sul concetto di perdono.

Poi ci potete parlare per sei mesi ai bambini del perdono, però se sapete cosa vuol dire voi insegnate realmente ciò che insegna la Chiesa, non ciò che insegna il mondo: vogliamoci bene perché il Signore è buono e ci perdona, tanto perdona tutto e tutti. No! Il catechista non può fare queste cose, non si può confondere il perdono con un sentimento di piacevolezza e di arrendevolezza, non è così. Allora siamo partiti dal tema dei carismi, la prossima volta ricordatemi che dobbiamo continuare sul significato della parola carisma. Abbiamo appena analizzato la radice charis che vuol dire grazia e che significa Spirito santo in azione.

* UNIONE CATECHISTI. CATECHESI. LEZIONI, 08.10.2005
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/8/2012 16.01
Titolo:FUORI DAL GREGGE. L’obbedienza non è più una virtù
Fuori dal gregge

di Antonio Thellung (mosaico di pace, luglio 2012)

L’obbedienza non è più una virtù, diceva don Milani, esortando a coltivare la presa di coscienza. Non per contrapporsi all’autorità, ma per educare ciascuno ad assumere le proprie responsabilità, senza pretendere di scaricarle su altri. L’obbedienza, infatti, può anche dirsi una virtù, ma soltanto se si mantiene entro limiti equilibrati, da valutare appunto con coscienza. Perché l’obbedienza cieca è il tipico strumento utilizzato dalle strutture autoritarie gerarchico-imperialistiche per esercitare il potere, offrendo in cambio ai sudditi lo scarico della responsabilità personale. Tipico esempio si è avuto nel dopoguerra quando pareva che nessuno dei feroci gerarchi nazisti fosse colpevole, perché sostenevano tutti di aver semplicemente obbedito a ordini superiori.

Il Vangelo è chiarissimo: "Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?", ma la cristianità che si è affermata nella storia ha preferito mutuare dall’Impero Romano un’impostazione imperialistica che si mantiene presente tuttora, sia pure adattata ai tempi odierni. Un’impostazione che riduce i fedeli a "docile gregge", come li definiva a suo tempo Pio X.

Il Vangelo, inoltre, esorta anche a non chiamare nessuno padre sulla terra, un lampante invito a non cadere nelle tentazioni del paternalismo, che svaluta la dignità delle persone. Ma l’uso di chiamare "padre" i ministri del culto la dice lunga. Nello stesso brano, poi, Gesù in persona ammonisce i suoi apostoli a non farsi chiamare maestri perché solo Cristo è il maestro, ma sorprendentemente su taluni documenti ecclesiastici anche dei tempi presenti, come ad esempio il Documento di Base del 1970, si legge nientemeno che: "Per disposizione di Cristo, gli Apostoli affidarono ai loro successori, i Vescovi, il proprio ufficio di Maestri". Incredibile!

Si potrebbe dire che il magistero ha sempre richiesto ai fedeli un’obbedienza cieca, e non pochi tra coloro che hanno cercato di opporsi hanno pagato talvolta perfino con la vita.

San Francesco, nella sua prima regola, aveva provato a scrivere che un frate non è tenuto a obbedire al superiore se questi gli ordina qualcosa di contrario alla sua coscienza, ma naturalmente papa Innocenzo III si è guardato bene dall’approvarla. In tempi più recenti, nel 1832, Gregorio XVI definiva un delirio la libertà di coscienza e nel 1954 Pio XII scriveva: "È giusto che la Chiesa respinga la tendenza di molti cattolici a essere considerati ormai adulti". Non è stupefacente?

Chi esercita il potere, di qualsiasi tipo, vorrebbe dai sudditi una delega in bianco, perché teme le coscienze adulte, che sono difficilmente governabili per il loro coraggio di esprimere dissenso, quand’è il caso. E tanto più il potere è prepotente e prevaricante, tanto più esige un’obbedienza cieca.

Il magistero ecclesiastico ha sempre mostrata una grande avversione al dissenso, trattandolo come un nemico da combattere perfino con metodi violenti, nel caso, senza capire che proprio il dissenso è il miglior amico degli insegnamenti di Cristo, perché agisce come sentinella delle coscienze.

Il dissenso, nella Chiesa, c’è sempre stato, con buona pace di coloro che nelle varie epoche storiche hanno preteso di soffocarlo usando talvolta armi che sono incompatibili con l’insegnamento di Gesù. Sarebbe ora che l’autorità prendesse atto che il dissenso non è un nemico ma, anzi, un grande amico, anche se può rendere più complesso e faticoso il cammino.

Il Concilio Vaticano II mostrava di averlo capito quando scriveva, nella Gaudium et Spes: "La Chiesa confessa che molto giovamento le è venuto e le può venire perfino dall’opposizione di quanti la avversano o la perseguitano". Ma ben presto, poi, sono prevalsi nuovamente gli atteggiamenti di repressione e condanna verso chi tenta coraggiosamente di alzare la testa. essere credibili

Personalmente non dubito che un magistero ecclesiastico sia necessario e prezioso, ma di quale tipo? Qualsiasi coscienza adulta sa che di fronte a disaccordi e perplessità non avrebbe alcun senso rifiutare l’autorità o ribellarsi tout court: non sarebbe costruttivo. Ma sente però il dovere, prima ancora che il diritto, di chiedergli maggiore credibilità, di esigere che sappia proporre senza imporre, con rispettoso ascolto delle opinioni altrui. Gli ascoltatori di Gesù "rimanevano colpiti dal suo insegnamento", perché "parlava con autorità", e non perché aveva cariche istituzionali. Così il magistero può sperare di essere creduto, dalle coscienze adulte, quando offre messaggi autorevoli e convincenti, e non per il solo fatto di essere l’autorità costituita.

Oggi la credibilità dei vertici ecclesiastici, con tutti gli scandali di questi tempi, è fortemente minata, e si potrebbe dire che solo facendo leva surrettiziamente sulla grande fede in Gesù Cristo che continua a sostenere tante persone (malgrado tutto) evita di porsi in caduta libera. Ma fino a quando, se permane la pretesa di continuare a proporsi come magistero di un "docile gregge?".

La parabola della zizzania insegna che la Chiesa è comunione di consensi e dissensi, perciò, per recuperare credibilità, le autorità dovrebbero finalmente prenderne atto e imparare a dialogare con tutti alla pari, e in particolare proprio con il dissenso. Dovrebbero educarsi ed educare ad accoglierlo con l’attenzione che merita. Perché un dissenso respinto e represso a priori diventa facilmente aspro, arrabbiato, distruttivo mentre, se accolto con benevolenza, può diventare costruttivo, benevolo, e perfino affettuoso.

Una buona educazione al dissenso potrebbe diventare la miglior scuola alla formazione di coscienze adulte, capaci di confrontarsi senza acquiescenze o confusioni e censure. Capaci, cioè, di non farsi travolgere da vergognosi intrallazzi di qualsiasi tipo.

Personalmente, cerco, nel mio piccolo, di fare quel che posso. Qualche anno fa l’editrice la meridiana ha pubblicato un mio libro dal titolo "Elogio del dissenso", e per ottobre prossimo ha in programma di pubblicare un mio nuovo saggio dal titolo "I due cristianesimi", scritto per sottolineare le differenze tra il messaggio originale di Cristo e l’imperialismo cristiano, non solo come si è affermato nella storia, ma anche come si manifesta al presente. L’interrogativo è focalizzato sulla speranza nel futuro, mentre le critiche a quanto è stato ed è contrabbandato in nome di Cristo servono solo per capire meglio come si potrebbe uscir fuori dalle tante macrocontraddizioni.

La speranza è irrinunciabilmente legata a una Chiesa delle coscienze adulte, perciò sogno un magistero impegnato a farle crescere senza sottoporle a pressioni psicologiche; un magistero capace d’insegnare a distinguere il bene dal male senza imporre valutazioni precostituite; lieto di aiutare ognuno a diventare adulto e autonomo senza costringerlo a sottomettersi; volto a stimolare una sempre maggiore consapevolezza rinunciando a imposizioni precostituite. Un magistero che affermi i suoi principi senza pretendere di stigmatizzare le opinioni diverse; che proponga la propria verità senza disprezzare le verità altrui. In altre parole, sogno una Chiesa dove sia possibile ricercare, discutere, confrontarsi, camminare assieme.

Sogno un magistero che affermi il patrimonio positivo della fede, libero dalla preoccupazione di puntualizzare il negativo; che sappia offrire gratuitamente l’acqua della vita, senza voler giudicare chi beve; che proponga la verità di Cristo, esortando a non accettarla supinamente; che tracci la strada, ammonendo a non seguirla passivamente; che offra strumenti per imparare a scegliere, a non essere acquiescenti, a non accontentarsi di un cristianesimo mediocre e tiepido. Un Magistero che preferisca circondarsi da persone esigenti, irrequiete, contestatrici, piuttosto che passive, pavide, addormentate. Esso per primo ne trarrebbe grandi benefici: sarebbe il magistero di un popolo adulto, maturo, responsabile.

Etimologicamente la parola obbedienza significa ascolto, e sarebbe ora di educarci tutti a questo tipo di obbedienza reciproca: i fedeli verso l’autorità, ma anche l’autorità verso chiunque appartenga al Popolo di Dio, non importa con quale ruolo. Solo questa obbedienza è autentica virtù. Chissà se San Paolo, quando esortava a sperare contro ogni speranza, si riferiva anche alle utopie!
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/8/2012 21.28
Titolo:DOPO la "Dominus Iesus" ratzingeriana, la "Lumen Gentium nel cestino ....
COSTITUZIONE DOGMATICA SULLA CHIESA

LUMEN GENTIUM

21 novembre 1964 *


CAPITOLO I

IL MISTERO DELLA CHIESA

La Chiesa è sacramento in Cristo

1. Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15), illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa. E siccome la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano, continuando il tema dei precedenti Concili, intende con maggiore chiarezza illustrare ai suoi fedeli e al mondo intero la propria natura e la propria missione universale. Le presenti condizioni del mondo rendono più urgente questo dovere della Chiesa, affinché tutti gli uomini, oggi più strettamente congiunti dai vari vincoli sociali, tecnici e culturali, possano anche conseguire la piena unità in Cristo.


Per il testo completo, vedi:

http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19641121_lumen...


Per la "Dominus Iesus", vedi:

http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=1167
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/9/2012 20.54
Titolo:L'ULTIMA INTERVISTA A CARLO M. MARTINI, Chiesa indietro di 200 anni ...
L’ultima intervista: «Chiesa indietro di 200 anni. Perché non si scuote, perché abbiamo paura?»

intervista a Carlo Maria Martini

a cura di Georg Sporschill e Federica Radice Fossati Confalonieri (Corriere della Sera, 1 settembre 2012)

Padre Georg Sporschill, il confratello gesuita che lo intervistò in Conversazioni notturne a Gerusalemme, e Federica Radice hanno incontrato Martini l’8 agosto: «Una sorta di testamento spirituale. Il cardinale Martini ha letto e approvato il testo».

Come vede lei la situazione della Chiesa?

«La Chiesa è stanca, nell’Europa del benessere e in America. La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l’apparato burocratico della Chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi. Queste cose però esprimono quello che noi siamo oggi? (...) Il benessere pesa. Noi ci troviamo lì come il giovane ricco che triste se ne andò via quando Gesù lo chiamò per farlo diventare suo discepolo. Lo so che non possiamo lasciare tutto con facilità. Quanto meno però potremmo cercare uomini che siano liberi e più vicini al prossimo. Come lo sono stati il vescovo Romero e i martiri gesuiti di El Salvador. Dove sono da noi gli eroi a cui ispirarci? Per nessuna ragione dobbiamo limitarli con i vincoli dell’istituzione».

Chi può aiutare la Chiesa oggi?

«Padre Karl Rahner usava volentieri l’immagine della brace che si nasconde sotto la cenere. Io vedo nella Chiesa di oggi così tanta cenere sopra la brace che spesso mi assale un senso di impotenza. Come si può liberare la brace dalla cenere in modo da far rinvigorire la fiamma dell’amore? Per prima cosa dobbiamo ricercare questa brace. Dove sono le singole persone piene di generosità come il buon samaritano? Che hanno fede come il centurione romano? Che sono entusiaste come Giovanni Battista? Che osano il nuovo come Paolo? Che sono fedeli come Maria di Magdala? Io consiglio al Papa e ai vescovi di cercare dodici persone fuori dalle righe per i posti direzionali. Uomini che siano vicini ai più poveri e che siano circondati da giovani e che sperimentino cose nuove. Abbiamo bisogno del confronto con uomini che ardono in modo che lo spirito possa diffondersi ovunque».

Che strumenti consiglia contro la stanchezza della Chiesa?

«Ne consiglio tre molto forti. Il primo è la conversione: la Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi. Gli scandali della pedofilia ci spingono a intraprendere un cammino di conversione. Le domande sulla sessualità e su tutti i temi che coinvolgono il corpo ne sono un esempio. Questi sono importanti per ognuno e a volte forse sono anche troppo importanti. Dobbiamo chiederci se la gente ascolta ancora i consigli della Chiesa in materia sessuale. La Chiesa è ancora in questo campo un’autorità di riferimento o solo una caricatura nei media?

Il secondo la Parola di Dio. Il Concilio Vaticano II ha restituito la Bibbia ai cattolici. (...) Solo chi percepisce nel suo cuore questa Parola può far parte di coloro che aiuteranno il rinnovamento della Chiesa e sapranno rispondere alle domande personali con una giusta scelta. La Parola di Dio è semplice e cerca come compagno un cuore che ascolti (...). Né il clero né il Diritto ecclesiale possono sostituirsi all’interiorità dell’uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarire la voce interna e per il discernimento degli spiriti.

Per chi sono i sacramenti? Questi sono il terzo strumento di guarigione. I sacramenti non sono uno strumento per la disciplina, ma un aiuto per gli uomini nei momenti del cammino e nelle debolezze della vita. Portiamo i sacramenti agli uomini che necessitano una nuova forza? Io penso a tutti i divorziati e alle coppie risposate, alle famiglie allargate. Questi hanno bisogno di una protezione speciale. La Chiesa sostiene l’indissolubilità del matrimonio. È una grazia quando un matrimonio e una famiglia riescono (...).

L’atteggiamento che teniamo verso le famiglie allargate determinerà l’avvicinamento alla Chiesa della generazione dei figli. Una donna è stata abbandonata dal marito e trova un nuovo compagno che si occupa di lei e dei suoi tre figli. Il secondo amore riesce. Se questa famiglia viene discriminata, viene tagliata fuori non solo la madre ma anche i suoi figli. Se i genitori si sentono esterni alla Chiesa o non ne sentono il sostegno, la Chiesa perderà la generazione futura. Prima della Comunione noi preghiamo: "Signore non sono degno..." Noi sappiamo di non essere degni (...). L’amore è grazia. L’amore è un dono. La domanda se i divorziati possano fare la Comunione dovrebbe essere capovolta. Come può la Chiesa arrivare in aiuto con la forza dei sacramenti a chi ha situazioni familiari complesse?»

Lei cosa fa personalmente?

«La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. Io sono vecchio e malato e dipendo dall’aiuto degli altri. Le persone buone intorno a me mi fanno sentire l’amore. Questo amore è più forte del sentimento di sfiducia che ogni tanto percepisco nei confronti della Chiesa in Europa. Solo l’amore vince la stanchezza. Dio è Amore. Io ho ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 03/9/2012 18.34
Titolo:IL LUMEN SPENTO. E le lampade sotto il moggio ....
Nel giorno delle esequie del Card. C. M. Martini

di Alberto Simoni op (Koinonia-forum, n. 314 del 3 settembre 2012)

Cari amici,

una chiesa che dice (senza esserlo) e una chiesa che è (senza dirlo): ecco il quadro che abbiamo sotto gli occhi in questi giorni di rivelazione in morte del card. C.M.Martini, che sembra fare da cartina di tornasole di quella che Galli della Loggia - parlando di correnti della chiesa (Corriere della Sera, 2 settembre) - chiama “Una federazione di popoli diversi”.

In questo momento di grazia, non ci sono solo riti e celebrazioni da sbrigare, ma segni dei tempi da cogliere e frammenti da raccogliere, perché niente si perda. È quanto mi permetto di fare ancora una volta con i vari messaggi che in queste ore ci mettono in comunione e ci fanno pensare.

Parlando all’Angelus del 2 settembre della Legge di Dio che “è la sua Parola che guida l’uomo nel cammino della vita”, Benedetto XVI dice tra l’altro: “Ed ecco il problema: quando il popolo si stabilisce nella terra, ed è depositario della Legge, è tentato di riporre la sua sicurezza e la sua gioia in qualcosa che non è più la Parola del Signore: nei beni, nel potere, in altre ‘divinità’ che in realtà sono vane, sono idoli. Certo, la Legge di Dio rimane, ma non è più la cosa più importante, la regola della vita; diventa piuttosto un rivestimento, una copertura, mentre la vita segue altre strade, altre regole, interessi spesso egoistici individuali e di gruppo”. Ma forse questo coraggioso guardarsi allo specchio non basta, se finisce lì.

Sarebbe bastato invece che avesse semplicemente detto che qualcuno nella chiesa ha cercato per tutta la vita di risvegliare la coscienza e la memoria di questo Popolo di Dio e di farlo uscire dalla sua falsa sicurezza. E questo qualcuno è stato il card. C.M.Martini, che però il Papa si è guardato bene dal ricordare e dal proporre come servo della Parola e come guida alla chiesa di Dio, lasciando quella chiesa che lo ascolta nella illusione di essere al sicuro nel proprio ovile e suscitando invece disillusione in quella chiesa della diaspora che, insieme a tutte le donne e gli uomini di questo mondo, è alla ricerca di un pastore e di un ovile dove si possa entrare ed uscire.

Passi che il Papa non vada a Milano per testimoniare che è Pastore di tutta la Chiesa, ma che ignori il Pastore di una chiesa che è nel cuore dei più può far parte di giochi diplomatici ma non è un bell’esempio di collegialità: perché continuare a nascondere sotto il moggio le lampade che lo Spirito accende tra il Popolo di Dio? Ma se anche tutto ciò fa tristezza, non può impedire che gridino le pietre. E forse dal card. Martini c’è da imparare a far convivere, senza confonderle, “ragioni di Stato” con istanze evangeliche...
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/9/2012 20.22
Titolo:A 50 ANNI DAL VATICANO II. NOTE A MARGINE PER IL CONVEGNO DEL 15 SETTEMBRE
NOTE A MARGINE per il Convegno "Chiesa di tutti, chiesa dei poveri", del 15 settembre a Roma ...

1. LA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA HA ROTTO I PONTI CON IL MESSAGGIO EVANGELICO. A 50 anni dall'inizio del Concilio Vaticano II, bisogna prendere atto che il terribile è già accaduto: il "Lumen Gentium" è stato spento e, sulla cattedra di Pietro, siede il Vicario del Signore e Padrone Gesù ("Dominus Iesus": J. Ratzinger, 2000). Egli regna e governa in nome del suo Dio, Mammona ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006).

2. DIO E' VALORE! Sul Vaticano, DAL 2006, sventola il "Logo" del Grande Mercante: "Deus caritas est" (Benedetto XVI, 2006)!!! Il papa teologo, ha gettato via la "pietra" su cui posava - in equilibrio instabile - l’intera Costruzione dela Chiesa cattolico-romana ("Deus charitas est": 1 Gv. 4.8).

3. TUTTO A "CARO-PREZZO" ("CARITAS"): QUESTO "IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO". QUESTO E' IL NOSTRO VANGELO: PAROLA DI RATZINGER -BENEDETTO XVI, CARDINALI E VESCOVI TUTTI. IL "PANE QUOTIDIANO" DEL "PADRE NOSTRO", SI VENDE A "CARO PREZZO", MOLTO CARO (= "CARITAS")!!!

4. ULTIMA CENA ED ECONOMIA VATICANA. Benedetto XVI cambia la formula: «Il calice fu versato per molti», non «per tutti»!!!

5. IN PRINCIPIO ERA IL "LOGO"!!! SE UN PAPA TEOLOGO LANCIA IL "LOGO" DEL SUO DIO ("DEUS CARITAS EST") E TUTTI OBBEDISCONO, E NON VIENE RISPEDITO SUBITO A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO, DI COSA VOGLIAMO PARLARE DI AFFARI E DI MERCATO?! EBBENE PARLIAMO DI AFFARI, DI MERCATO, DI "MAMMONA", "MAMMASANTISSIMA", E DI COME I PASTORI ... IMPARANO A MANGIARE LE PECORE E GLI AGNELLI, E A CONTINUANO A GOZZOVIGLIARE ALLA TAVOLA DEL LORO "DIO"!!! Avanti tutta, verso il III millennio avanti Cristo!!!

Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/5/2013 12.10
Titolo:LA CHIESA CHE VORREI. Don Gallo in cammino con papa Francesco ...
don Gallo in cammino con papa Francesco

La chiesa che vorrei

di don Andrea Gallo (il Fatto Quotidiano, 17 maggio 2013)

Questo libro stava per essere dato alle stampe quando l’11 febbraio è giunto strepitoso l’annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI. Un evento straordinario che ha scosso tutti. Non si verificava da secoli.

Nella serata burrascosa di quel lunedì, un fulmine ha improvvisamente illuminato la cupola di San Pietro. Semplice coincidenza o immagine premonitrice? Il mondo intero si è interrogato con stupore, incredulità, smarrimento. Tutti mi chiedevano: “Quali motivazioni hanno spinto il papa a una così sorprendente decisione?”. Titubante rispondevo: “Papa Ratzinger ha posto al centro il bene della Chiesa, con coraggio e assumendosi le proprie responsabilità. È stato il quarto papa del post- Concilio”. Ora è arrivato papa Francesco a farci sperare di nuovo in una Chiesa dei poveri. Un sollievo dopo tanta pena.

Sapranno i cattolici accogliere l’invito inequivocabile e sofferto a un rinnovamento radicale per ritornare a essere Lumen gentium, “luce delle genti”, un popolo di Dio in cammino per annunciare il Vangelo di liberazione per tutti, con il sostegno dello Spirito del Cristo risorto e vivo?

Con l’elezione di Francesco tutto è possibile. I primi segnali sono di rottura con il passato e con un’idea di Chiesa arroccata e chiusa in se stessa. Le questioni che il nuovo papa dovrà affrontare sono tante e gravi.

Le domande che ci attendono

Si riuscirà a dirottare la prua della nave di Pietro da una cristianità in dispersione e pesantemente attraversata dal male verso la comunione e la comunità dei discepoli, risalendo alle genuine fonti evangeliche? Nessuno può nascondere la situazione drammatica: la nostra amata Chiesa è fredda e scostante e in questi ultimi anni ha perso credibilità rispetto a questioni fondamentali.

Come ha affrontato lo scandalo degli abusi sessuali? Non sarebbe il momento di cambiare le modalità con cui vengono nominati i vescovi, prevedendo un maggiore coinvolgimento dei fedeli? Non si potrebbe mettere in discussione il celibato obbligatorio dei preti? Perché non considerare l’ordinazione femminile?

Sulla questione di genere la Chiesa è “maldestra e ambigua”.

Perché tanta difficoltà nel dire sì alla donna? Perché non riconsiderare la posizione assunta dalla Chiesa sugli anticoncezionali? E il testamento biologico? Mi chiedo nelle mie povere preghiere: non sarà grave aver trascurato i documenti del Concilio Vaticano II (1965)? Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI: è lecito chiedersi perché, trascorsi quasi cinquant’anni, il Concilio di Giovanni XXIII sia ancora tutto da tradurre.

Solo quando abbandonerà il suo statuto imperiale la Chiesa avrà da dire qualcosa agli uomini e alle donne del Terzo millennio. Auspico che il nuovo Pietro riproponga le quattro parole chiave di quella primavera della Chiesa. Si avvertono segnali incoraggianti.

La prima parola chiave è “partecipazione attiva”. Che vuol dire riconoscimento della soggettualità di tutto il popolo di Dio, dei suoi carismi e dei servizi che è chiamato a rendere. La seconda parola è sinodalità. Che investe l’interezza del popolo di Dio e non solamente un piccolo segmento di vescovi.

La Chiesa diventi un cantiere aperto, si apra a un mutato rapporto primato- episcopato, episcopato-presbiterato, chierici-laici. La terza è ascolto. Ascolto dei precetti da assimilare, da proclamare, da studiare e approfondire con la testimonianza. Infine la quarta: il dialogo. Penso soprattutto al dialogo Chiesa-mondo, ma non solo. C’è bisogno di dialogo intraecclesiale, di dialogo culturale ed ecumenico.

Solidale al fianco dei bisogni

La Chiesa che mi permetto di auspicare è una comunità in ascolto della parola di Dio e delle sue stesse membra, e capace di un annuncio e una profezia sempre nuovi. Sogno una Chiesa non separata dagli altri, che non sia sempre pronta a condannare, ma sia solidale, compagna, a fianco dei bisogni delle donne e degli uomini. L’ufficio divino della Quaresima apre con Isaia (58, 6-10): “Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo [...]. Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce”. Un consiglio per il motto papale: “Povertà, giustizia, pace”.

Le lobby del Vaticano

La crisi all’interno del Vaticano è tuttora drammatica. Ci sono fazioni, lobby, gruppi di potere, cardinali in lotta... Quando nel 2011 mi arrivò la notizia che il patriarca di Venezia, Angelo Scola, sarebbe diventato arcivescovo di Milano, mi chiesi perché mandassero un patriarca di settant’anni nella diocesi più grande del mondo. Dietro quella nomina c’era un calcolo preciso: le cause di beatificazione devono iniziare nelle diocesi di appartenenza del servo di Dio, e Scola era il cardinale giusto per avviare la pratica a favore di don Giussani. Né Martini né Tettamanzi si sarebbero mai sognati di beatificarlo. Dopo qualche mese che era a Milano, Scola ha aperto la causa di beatificazione. Sarà una coincidenza? Ecco la conferma di quanto sia forte la lobby di Comunione e liberazione dentro la Chiesa e quanto Ratzinger ne fosse influenzato.

Le lobby in Vaticano hanno indebolito e in parte costretto alle dimissioni papa Benedetto XVI: una di queste è l’Opus Dei, poi ci sono i Legionari di Cristo (il loro fondatore, monsignor Maciel, si è macchiato di colpe gravissime, provate, e Ratzinger sapeva tutto), Comunione e liberazione, gli Araldi di Cristo, Sant’Egidio, che è alle dirette dipendenze della segreteria di Stato.

C’è poi una lobby omosessuale molto forte: un gruppo di vescovi che nasconde la propria omosessualità e la sublima non nella castità, bensì nella ricerca del potere; cercano di allungare la catena che li unisce creando altri vescovi omosessuali.

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Commenti Articolo 504

Titolo articolo : IL FEMMINICIDIO E LA PRASSI DELLA "CARITA' POMPOSA" DEL CATTOLICESIMO. Un falso amore porta alla violenza. Una riflessione di Dacia Maraini - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: May/14/2013 - 14:41:26.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/5/2013 14.41
Titolo:La Chiesa, "il genere", e una contorsione intellettuale insostenibile
Noi, cattolici, ci rifiutiamo di condannare “il genere”

di Anne-Marie de la Haye e la segreteria del Comité de la Jupe

in “www.comitedelajupe.fr” del 27 gennaio 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Siamo delle cristiane e dei cristiani, fedeli al messaggio del vangelo, e viviamo lealmente questo attaccamento all’interno della Chiesa cattolica. La nostra esperienza professionale, i nostri impegni associativi e le nostre vite di uomini e di donne ci danno la competenza per analizzare le evoluzioni dei rapporti tra gli uomini e le donne nelle società contemporanee, e per discernervi i segni dei tempi.

Abbiamo preso conoscenza delle raccomandazioni del nostro Santo Padre, papa Benedetto XVI, rivolte al Pontificio Consiglio Cor Unum, nelle quali esprime la sua opposizione nei confronti di quella che chiama “la teoria del genere”, mettendola sullo stesso piano delle “ideologie che esaltavano il culto della nazione, della razza, della classe sociale”. Riteniamo questa condanna infondata ed infamante. Il rifiuto che l’accompagna di collaborare con ogni istituzione suscettibile di aderire a questo tipo di pensiero, è ai nostri occhi un errore grave, tanto dal punto di vista del percorso intellettuale che della scelta delle azioni intraprese a servizio del vangelo.

Affermiamo qui, con la massima solennità, che non possiamo aderirvi.

In primo luogo, è sterilizzante. Infatti, nel campo del pensiero, rifiutare di prender conoscenza di certe opere, o di affrontare argomenti con certi partner senza mostrare a priori un atteggiamento benevolo e disponibile al dibattito non è il modo migliore per progredire in direzione della verità.

Che cosa sarebbe successo se Tommaso D’Aquino si fosse astenuto dal leggere Aristotele, con il pretesto che non conosceva il vero Dio e che le sue opere gli erano state trasmesse da traduttori musulmani?

Del resto, sul campo, sapere se si deve o meno collaborare con soggetti animati da idee diverse dalle nostre, è una decisione che può essere presa solo in quel luogo e in quel determinato momento, in funzione delle forze presenti e dell’urgenza della situazione. Cosa sarebbe successo, a proposito della lotta contro il nazismo e il fascismo, se i resistenti cristiani avessero rifiutato di battersi accanto ai comunisti, atei e solidali di un regime criminale?

Veniamo ora al tema in questione: smettiamola di lasciare che si dica che la nozione del genere è una macchina da guerra contro la nostra concezione di umanità. È falso. Essa è frutto di una lotta sociale, e cioè la lotta per l’uguaglianza tra uomini e donne, che si è sviluppata da circa un secolo, inizialmente nei paesi sviluppati (Stati Uniti d’America ed Europa), e di cui i paesi in via di sviluppo cominciano ora a sentire i frutti. Questa lotta sociale ha stimolato la riflessione di ricercatori in numerose discipline delle scienze umane; queste ricerche non sono terminate, e non costituiscono affatto una “teoria” unica, ma un insieme diversificato e sempre in movimento, che non bisognerebbe ridurre ad alcune sue espressioni più radicali.

Il vero problema non è quindi ciò che si pensa della nozione di genere, ma ciò che si pensa dell’uguaglianza uomo/donna. E, di fatto, la lotta per i diritti delle donne rimette in discussione la concezione tradizionale, patriarcale, opposta all’uguaglianza, dei ruoli attribuiti agli uomini e alle donne nell’umanità.

Nelle società in via di sviluppo in particolare, la situazione delle donne è ancora tragicamente lontana dall’uguaglianza. L’accesso delle donne all’istruzione, alla salute, all’autonomia, al controllo della loro fecondità si scontra con forti resistenze delle società tradizionali. Peggio ancora: in certi luoghi è costantemente minacciato perfino il semplice diritto delle donne alla vita, alla sicurezza e all’integrità fisica.

Non si può, come fa il papa nei suoi interventi a questo proposito, pretendere che si accolga come autentico progresso l’accesso delle donne all’uguaglianza dei diritti, e continuare al contempo a difendere una concezione di umanità in cui la differenza dei sessi implica una differenza di natura e di vocazione tra gli uomini e le donne. C’è in questo una contorsione intellettuale insostenibile.

Come negare infatti che i rapporti uomo/donna siano oggetto di apprendimenti influenzati dal contesto storico e sociale? Pretendere di conoscere assolutamente, e col disprezzo di ogni indagine condotta con le acquisizioni delle scienze sociali, quale parte delle relazioni uomo/donna deve sfuggire all’analisi sociologica e storica, manifesta un blocco del pensiero del tutto ingiustificabile.

Dietro questo blocco del pensiero, sospettiamo un’incapacità a prender posizione nella lotta per i diritti delle donne. Eppure, questa lotta non è forse quella delle oppresse contro la loro oppressione, e il ruolo naturale dei cristiani non è forse quello di rovesciare i potenti dai troni?

Levarsi a priori contro anche solo l’uso della nozione di genere, significa confondere la difesa del Vangelo con quella di un sistema particolare. La Chiesa ha fatto questo errore due secoli e mezzo fa, confondendo difesa della fede e difesa delle istituzioni monarchiche, e più tardi dei privilegi della borghesia. Rifacendo un errore analogo, ci condanneremmo ad una emarginazione ancora maggiore di quella in cui ci troviamo già attualmente. Come non temere che questa condanna frettolosa sia uno dei tasselli di una crociata antimodernista mirante a demonizzare un’evoluzione contraria alle posizioni acquisite dell’istituzione?

Per questo motivo, con viva preoccupazione, ci appelliamo ai fedeli cattolici, ai preti, ai religiosi e alle religiose, ai diaconi, ai vescovi, affinché evitino alla nostra chiesa questa situazione di impasse intellettuale, e perché sappiano riconoscere, dietro a una disputa di termini, le vere poste in gioco della lotta per i diritti delle donne, e il giusto posto della loro Chiesa in questa lotta evangelica.

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Commenti Articolo 505

Titolo articolo : LE "ZITELLE", GLI "ZITELLI", E LA CHIESA (ANCORA!) DEL "DOMINUS IESUS" RATZINGERIANO. Il modello offerto da papa Bergoglio alle suore. Una nota di Gian Guido Vecchi  ,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: May/14/2013 - 10:58:36.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/5/2013 18.13
Titolo:PER UNA COMUNITÀ DI EGUALI di Janice Sevre-Duszynka
Disobbedendo agli uomini, obbediamo allo Spirito. L’omelia di una donna prete *

DOC-2517. ROMA-ADISTA. «Abbiamo sempre chiesto un sacerdozio rinnovato in una Chiesa riformata. Ciò comporta la creazione di una comunità di uguali in cui tutti, e non solo il prete, condividano ed esprimano i doni dello Spirito». È questo il senso delle ordinazioni delle donne prete realizzate, dal 2002, in seno alla Women Ordination Conference e all’organismo Roman Catholic Women Priests, movimenti che insistono sulla propria appartenenza alla Chiesa cattolica e sulla corretta e valida ordinazione originaria di sette donne - quattro austriache, due tedesche ed una statunitense - effettuata il 29 giugno 2002 da un vescovo in successione apostolica, l’argentino mons. Romulo Antonio Braschi, fondatore della “Chiesa cattolica apostolica carismatica di Gesù Re”, considerata però scismatica dal Vaticano. È evidente che Roma non considera né legittime né valide tali ordinazioni, provvedendo a scomunicare automaticamente le persone coinvolte.
Ma le donne prete, attualmente più di 150 in tutto il mondo, non demordono, continuando a rivendicare il sacerdozio femminile come una questione di giustizia nella Chiesa. Il 12 marzo scorso, all’apertura del Conclave che avrebbe eletto papa Jorge Mario Bergoglio, Janice Sevre-Duszynka, ordinata nel 2008, ha celebrato una messa presso la Comunità di Base di San Paolo a Roma, rivisitando le motivazioni e i valori che supportano la richiesta dell’ordinazione sacerdotale per le donne.
È stato proprio a causa della partecipazione alla sua ordinazione e dell’appoggio alla causa delle donne che il noto prete pacifista p. Roy Bourgeois, missionario di Maryknoll, è stato scomunicato e successivamente espulso dalla sua congregazione religiosa e dimesso dallo stato clericale (v. Adista Notizie nn. 69/11 e 43/12).

Di seguito pubblichiamo, in una nostra traduzione dall’inglese, l’omelia tenuta da Janice Sevre-Duszynka nel corso della celebrazione eucaristica svoltasi a Roma. (ludovica eugenio)

_________

PER UNA COMUNITÀ DI EGUALI

di Janice Sevre-Duszynka

Il Cristo risorto apparve per primo a Maria di Magdala affidandole il compito di farsi apostola presso gli apostoli. Che cosa farebbe e direbbe oggi? Come Gesù, suo maestro, sfiderebbe le autorità religiose e civili schierandosi a favore degli emarginati, tra cui le donne, e facendo appello a relazioni di giustizia e di uguaglianza.

Mentre si riunisce il Conclave, dove sono le donne? Dove sono gli uomini sposati? Dove sono i poveri? Dove sono i bambini e i giovani? Dove sono gli emarginati? Il Vaticano regala fiori alle donne, ma ciò che esse vogliono è la piena uguaglianza. Le donne prete sono qui!

Gli uomini del Vaticano sono così vincolati da scegliere di ignorare - colpevolmente - il movimento dello Spirito nel popolo di Dio? Preghiamo per loro. Come può la Chiesa parlare di giustizia quando la gerarchia non mette in pratica ciò che predica? Diciamo ai nostri fratelli: non limitatevi ad aprire le finestre, come nel Vaticano II, ma spalancate le porte del Conclave e lasciate entrare il popolo di Dio. Lasciate entrare le vostre sorelle.

La voce di Dio esprime nel nostro tempo la piena uguaglianza delle donne e degli uomini nella Chiesa e nella società, nel nostro mondo in cerca di comunità, di un legame profondo con lo Spirito presente nell’altro!

I leader della nostra Chiesa, i cardinali, hanno avuto centinaia di anni per dire sì al sacerdozio delle donne e degli uomini sposati, riconoscendo il ruolo di tutti coloro che sono impegnati nella creazione di una Chiesa più inclusiva, di una comunità d’amore in cui tutti siano i benvenuti e ricevano i sacramenti. E la sentiamo, la voce dello Spirito che sorge dalla base del popolo di Dio! Le donne prete sono qui!

Le nostre prime donne vescovo sono state ordinate da un vescovo uomo in una linea di successione apostolica, per promuovere la giustizia nella nostra Chiesa. Quante di noi hanno lavorato per anni nel movimento per l’ordinazione femminile hanno sempre affermato che, una volta che le donne fossero state ordinate, come lo siamo ora, non si sarebbe trattato solo di preti che si aggiungevano a preti. Abbiamo sempre chiesto un sacerdozio rinnovato in una Chiesa riformata. Ciò comporta la creazione di una comunità di uguali dove tutti, e non solo il prete, condividano ed esprimano i doni dello Spirito. La nostra funzione di donne prete è il servizio, non l’esercizio di un potere maggiore. Sono passati più di dieci anni da quando sette donne sono state ordinate sul Danubio, nel 2002. Nel 2006, 12 donne sono state ordinate a Pittsburgh: si è trattato delle prime ordinazioni negli Stati Uniti. Ora sono circa 150 in Europa, Stati Uniti, Canada e America Latina.

Nel nostro modello di comunità di fede, tutti sono benvenuti, tutti hanno uguali diritti. Non costituiamo una gerarchia. Non vogliamo replicare il modello clericale. Ciononostante, è molto importante per noi ottenere giustizia per le donne prete, per le immagini femminili di Dio, per il modo in cui le donne esprimono il sacro, perché i vangeli siano interpretati a partire dalla nostra vita e dalla nostra morte in quanto donne, dalla vita e dalla morte degli uomini sposati, dei poveri e degli emarginati. Lo Spirito esige che le richieste delle persone siano ovunque ascoltate, soddisfatte e considerate pienamente giuste e sane.

Le donne prete come noi sono state ordinate in una fase di passaggio. Dobbiamo rivendicare l’ordinazione come una questione di giustizia, per i nostri diritti di donne. Lo facciamo contra legem. Trasgrediamo una legge ingiusta ma restiamo all’interno della Chiesa cattolica. Il sacramento dell’Ordine deriva dal nostro battesimo, non dal genere.

Consideriamo il nostro ruolo come servizio e guida, non come potere o esclusione. Nelle nostre comunità di donne prete pratichiamo una decisionalità condivisa in un “discepolato di uguali”. Celebriamo liturgie inclusive in cui tutti vengono accolti, tutti partecipano e tutti possono avvertire un senso di appartenenza. Vogliamo appartenere, in spirito di comunione, a comunità in cui poter esprimere i nostri più profondi bisogni, desideri e aspirazioni. Qui, il nostro modello di Chiesa si eleva nello Spirito.

Poiché siamo tutti corpo di Cristo, nelle nostre celebrazioni eucaristiche tutti consacrano l’Eucaristia, tutti pronunciano l’omelia, tutti si benedicono reciprocamente. Tutti scrivono liturgie inclusive, incorporando tanto le immagini femminili quanto quelle maschili di Dio. Le donne prete rendono visibile il fatto che anche le donne sono immagini di Dio e quindi degne di presiedere all’altare. Vivono l’obbedienza profetica allo Spirito disobbedendo al diritto canonico, ingiusto, stabilito dall’uomo e discriminante nei riguardi delle donne nella nostra Chiesa. Il sessismo, come il razzismo, costituisce un peccato. Come Rosa Parks, il cui rifiuto di sedersi in fondo all’autobus nella zona riservata ai neri contribuì a innescare il movimento dei diritti civili, le donne prete non abbandonano la Chiesa, ma la traghettano verso una nuova era di giustizia e uguaglianza. Nessuna punizione, neppure la scomunica, potrà fermare questo movimento dello Spirito.

In Austria, Germania, Irlanda, Spagna, Portogallo, Svizzera, Australia e Stati Uniti, preti, vescovi e teologi hanno manifestato il loro appoggio alle donne prete, ai preti sposati e alle comunità di fede inclusive. Seguono così le orme di p. Roy Bourgeois, il prete di Maryknoll recentemente scomunicato ed espulso dall’ordine, colpevole di aver profeticamente espresso la necessità di un dialogo sulle donne prete nella nostra Chiesa. Sostiene p. Bourgeois: «Il silenzio è la voce della complicità. Perciò chiedo a tutti i cattolici, ai preti, ai vescovi, al papa e a tutti i leader della Chiesa in Vaticano di esprimersi a voce alta in merito alla grave ingiustizia dell’esclusione delle donne dal sacerdozio». L’arcivescovo di San Salvador mons. Oscar Romero è stato assassinato per la sua difesa degli oppressi. «Lasciate - diceva - che coloro che hanno voce parlino per i senza voce».

Il nostro Dio che ci ama ci ha dato la voce. Parliamo in modo chiaro e coraggioso e camminiamo, come avrebbe fatto Gesù, nella solidarietà con le donne nella nostra Chiesa, chiamate da Dio al sacerdozio.

* Adista Documenti n. 14 del 13/04/2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/5/2013 12.46
Titolo:gli uomini, le donne, e la preghiera al "Muro del pianto" .....
Vincono le donne del Muro: preghiere sotto scorta

di U.D.G. (l’Unità, 11.05.2013)

Donne contro al «Muro della discordia». Diverse centinaia di donne ebree «haredi» (timorate) hanno manifestato ieri davanti al Muro del Pianto per impedire alle «Donne del Muro» di pregare come gli uomini, così come previsto da una decisione di una Corte di Gerusalemme. Secondo i media, le fedeli ortodosse che hanno risposto all’appello diffuso dai rabbini della congregazione come Ovadia Yosefa e altri hanno lanciato spazzatura e acqua contro le donne emancipate intenzionate ad avvicinarsi al Muro per pregare indossando indumenti sacri riservati dalla tradizione ai maschi. È intervenuta la polizia per dividere i due gruppi e si sono verificati alcuni scontri. I rabbini del movimento riformato, del quale fanno parte «Le Donne del Muro» hanno sostenuto che i rabbini ortodossi nonostante questi avessero chiesto una protesta senza alcuna violenza con i fatti avvenuti ieri hanno «dissacrato la santità del posto».

SFIDA LAICA

Le femministe hanno cercato di avvicinarsi al luogo più sacro dell’ebraismo: chiedono di poter pregare come gli uomini, indossando i tallit (lo scialle da preghiera), i tefillin (scatolette di cuoio legate con le cinghie, contengono versetti sacri) e di poter recitare la Torah ad alta voce (t’fila in ebraico vuol dire preghiera). Sono le quattro «T» simbolo della protesta che gli haredim leggono come una sola parola: tradimento dell’ortodossia.

Secondo il portavoce della polizia Micky Rosenfeld, mille ultraortodossi sono stati allontanati dalla manifestazione delle «Women of the Wall», che ogni mese si danno appuntamento al Kotel (Muro del Pianto o Muro occidentale) per la rituale preghiera, ma questa volta legalmente. Gli ultraortodossi hanno tentato di forzare il passaggio, alcuni insultando i poliziotti, altri attaccando le attiviste. I dimostranti hanno lanciato bottiglie d’acqua, sacchi di immondizia, sedie di plastica o uova, sia sugli agenti, che sulle donne. La polizia ha arrestato cinque ultraortodossi con l’accusa di aver creato «disordine pubblico».

Ad aprile, un tribunale ha concesso alle donne di pregare davanti al Muro e di indossare il talled, uno scialle riservato agli uomini. Circa 400 le attiviste che si sono presentate ieri: «Siamo orgogliose e felici di avere pregato in tutta libertà e in pace», ha spiegato una responsabile, ringraziando la polizia per l’aiuto.

«È un momento storico», afferma una portavoce delle Donne del Muro, Shira Pruce, aggiungendo che «la polizia ha fatto un lavoro meraviglioso proteggendo le donne per permettere loro di pregare liberamente al Muro occidentale. Questa è la giustizia». La polizia, ha riferito la portavoce, ha poi accompagnato le donne in autobus, i quali sono stati colpiti con pietre da manifestanti mentre stavano lasciando la Città vecchia di Gerusalemme.

Shmuel Rabinowitz, un rabbino che in passato aveva definito le iniziative delle donne come «una provocazione», ha cercato di allentare le tensioni. «Nessuno in Israele vuole che ci sia una disputa al Muro occidentale», ha detto in un’intervista alla radio dell’esercito.

Il Muro, il luogo più sacro dell’ebraismo, è attualmente diviso in sezioni separate per uomini e donne. Ad aprile le autorità israeliane avevano proposto di creare una nuova sezione, in cui uomini e donne potrebbero pregare insieme. La proposta dovrà essere approvata dal governo.

Dietro lo scontro culturale la lotta fra due idee di Israele

I “fondamentalisti della Torah” fuori dal governo per la prima volta da 30 anni

di Francesca Paci (La Stampa, 11.05.2013)

Il ruolo della donna è regolato dalla «Tzanua» il concetto di modestia nei costumi
- Il gruppo delle «Donne del Muro» durante la preghiera al Muro del Pianto
- Si ispirano a un ebraismo «liberal» che si è sviluppano specie negli Stati Uniti
- Gli ortodossi sono solo il 10% ma vorrebbero imporre norme come i posti separati sui bus

Farà prima Natan Sharansky a sintonizzare le preghiere delle Women of the Wall sulle frequenze dei rabbini ultraortodossi o Tzipi Livni a rilanciare il dialogo con i palestinesi? I bookmakers israeliani puntano sulla ministra della giustizia, perché delle due mission impossible del premier Netanyahu quella assegnata al presidente dell’Agenzia ebraica tira in ballo equilibri precari assai precedenti al 1948.

La battaglia per il Muro del Pianto racconta lo scontro più ampio in corso tra la Start Up Nation proiettata verso il futuro e gli haredim, i fondamentalisti della Torah, che pur rappresentando solo il 10% della popolazione partecipano da trent’anni alle coalizioni di governo assicurandosi una buona fetta del budget tra esonero dalla leva e scuole religiose. Ma se la maggioranza degli israeliani affronta il ruolo politico di Dio al momento del voto, che quest’anno si è risolto in una disfatta per i rabbini massimalisti rimasti fuori dal gabinetto, le Women of the Wall preferiscono la prima linea, il mitico Tempio di Gerusalemme, quella porta del cielo così angusta per loro nonostante l’ebraismo sia una religione che si trasmette di madre in figlio.

La bestia nera dell’emancipazione femminile si chiama Tzanua (che in ebraico sta per modestia), un dogma più che un’auspicata virtù muliebre impresso sui cartelli intimidatori agli incroci di Mea Shearim, enclave ultraortodossa di Gerusalemme. Regola numero uno vestire di scuro, bandire i pantaloni (fascianti) e le maglie col collo a V (rivelatrici di sinuose profondità), indicare il proprio status di maritata coprendo i capelli (con cappello, foulard o parrucca) indossare calze spesse e, a voler strafare, privilegiare le scarpe chiuse. E pazienza se il lungo mare dell’iper liberale Tel Aviv pullula di bikini essenziali come neppure Copacabana: anche lì, dove coppie di militari omosessuali si abbracciano tenendo il mitra in spalla, s’è fatta spazio una spiaggia per religiosi doc con una staccionata protettiva intorno e le bagnanti rilassate nei loro austeri costumi-abiti, castigati al pari dei burqini islamici ma realizzati in sottili tessuti high tech a prova di annegamento.

Anche i rabbini più oltranzisti ammettono che alcuni divieti sono presi forse un po’ troppo alla lettera, specialmente in un paese futurista al punto che non riesce più a chiamare un taxi senza l’applicazione iPhone. L’integerrimo Moshe Feinstein per esempio, ha sempre esecrato ogni promiscuità tra i sessi (compresa la stretta di mano) facendo eccezione però per i luoghi di lavoro, i treni o l’affollatissima metropolitana di New York, situazioni limite perché considerate «contatto fisico non intenzionale».

Ciò non ha impedito che una decina di anni fa una compagnia di trasporti privata di Tel Aviv inaugurasse gli autobus con i posti separati nel sobborgo ultraortodosso di B’nai Brak mettendo il governo di fronte al fatto compiuto e le donne ribelli come la soldatessa diciottenne Doron Matalon alla stregua di una Rosa Parks israeliana costretta ad appellarsi alla Corte Suprema. Da allora si sono moltiplicate le proteste ma anche i pullman della discordia e i marciapiedi per soli uomini.

Il problema, come provano le ambizioni «ecclesiastiche» delle Women of the Wall (che vorrebbero pregare più devotamente), non è la religione di per se ma le consuetudini religiose. Soprattutto quando il brand «modestia», come qualsiasi brand identitario nell’indistinta era global, può diventare un business. «Gli autobus separati sono una grandiosa opportunità di fare soldi con gli haredim» racconta la scrittrice ebrea ortodossa Naomi Ragen, riferendo proprio la riflessione di un haredim. Basta vedere la quantità di siti che commercializzano casti abiti femminili khoser ( o quelli per single osservanti).

L’ultima parola? La sfida è donna, al Muro del Pianto come nelle cabine del Ye’elat Chen Salon, dove, in un sottoscala a dir poco nascosto, le gerosolimitane più ortodosse (e le musulmane che discretamente arrivano dalla zona araba della città) si fanno belle per il marito ma soprattutto per loro stesse.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/5/2013 23.30
Titolo:Popolo di Dio. «Ma dov’è qui l’altra metà del genere umano?»
Popolo di Dio, genere femminile

di Carmelina Chiara Canta

Adista Segni Nuovi n. 15 del 20/04/2013

Nelle ultime settimane molti si sono cimentati con le analisi e i consigli sui problemi urgenti nella Chiesa di oggi. Le indicazioni sono diventate più precise e varie: il ritorno allo spirito delle prime comunità cristiane, la scelta di povertà, la riforma della Curia, l’abolizione dello Ior, la scelta evangelica, la necessità del dialogo ecumenico e interreligioso.
Uno dei problemi più urgenti è il confronto con la postmodernità con cui la Chiesa si deve misurare se vuole annunciare il Vangelo alle donne e agli uomini di oggi; è la necessità di leggere i «segni dei tempi», come aveva intuito Giovanni XXIII quando convocò il Concilio Vaticano II. Nonostante i decenni trascorsi, la Chiesa si ritrova a confrontarsi con problemi con i quali lo stesso Concilio aveva iniziato un dialogo, interrotto negli anni successivi.
Il riferimento è al ruolo della donna nella Chiesa, tema vivo nel Concilio e presente nella Chiesa di oggi. Ci sono segnali che evidenziano come la partecipazione della donna nella società sia carente; in molte parti del mondo e in vari campi si riscontrano situazioni di disuguaglianze, ingiustizie, di disconoscimento dei diritti delle donne. È un problema che coinvolge il mondo nella sua globalità, ma nella Chiesa lo si vive con maggiore difficoltà per la sua lentezza ad adeguarsi ai cambiamenti culturali esigiti dalla postmodernità.

Ma le donne ci sono nella Chiesa cattolica? Eccome! Sono presenti in maniera rilevante rispetto agli uomini: le suore e le donne consacrate; le catechiste, le mamme che educano i figli alla fede; tutte coloro, laiche e non, che svolgono il lavoro di cura in istituzioni di solidarietà; le donne teologhe. In breve, anche le donne oggi sono Chiesa.

Eppure sono “invisibili” nei momenti più importanti e decisivi della vita della Chiesa. Dove erano le donne quando il Conclave decideva l’elezione del nuovo pontefice? Che cosa pensano le donne delle necessità della Chiesa? Dove erano (e dove sono) nei dibattiti pubblici del pre e post Conclave? Chi ha chiesto (e chiede) la loro opinione? Nei mass media, dove si celebrano tutte le liturgie della comunicazione, solo qualche donna è stata interpellata e, naturalmente, sempre in posizione ancillare. Come sarebbe la Chiesa se non ci fossero le donne? È facile rispondere che sono essenziali e che senza di loro molte attività non potrebbero continuare, come per esempio in America Latina dove tante parrocchie non potrebbero sopravvivere.

«Ma dov’è qui l’altra metà del genere umano?», chiese il cardinale Suenens il 22 ottobre 1963, a Concilio iniziato, manifestando il suo disappunto per la mancata presenza femminile. «Sono invitate anche le donne?», domandò provocatoriamente J. Teresa Münch alla conferenza stampa dei giornalisti tedeschi alla vigilia dell’ apertura del Concilio Vaticano II. Domande che gettarono un seme e lanciarono segnali forti di partecipazione.
Già in quegli anni, erano molte le donne rappresentanti di associazioni e movimenti femminili cattolici nazionali e internazionali in grado di parlare nella Chiesa. Erano donne attive, impegnate nel sociale, studiose ed esperte delle “cose di Dio”. Ma sono state soprattutto le donne tedesche, come Josefa Teresia Münch e Gertrude Heinzelmann, le più attive e desiderose di far parte a pieno titolo del popolo di Dio. Le medesime che nel 1964 scrivono un libro, Wir schweigen nicht länger (Noi non taceremo più a lungo).

A Concilio iniziato, nel settembre del 1964, Paolo VI, chiamò a partecipare 23 “uditrici” (10 religiose e 13 laiche). Esse potevano “ascoltare”, ma dovevano “tacere”. E fu così che le donne, come da sempiterna abitudine, inventarono modi per “parlare tacendo”, dentro e fuori le aule conciliari. Dentro, per citarne alcune, Rosemary Goldie, Alda Miceli, Pilar Bellosillo, Luz Maria Alvarez Icaza, suor Costantina Baldinucci, Cristina Estrada, ed altre. Fuori, ma ugualmente dentro, per citarne altre, Adriana Zarri, Maria Vingiani, Mary Daly, Elisabeth Shussler Fiorenza, Redford Ruether, ed altre. Furono “uditrici, ma non silenziose”. Da quel momento il femminile è entrato come categoria nella Chiesa e non può essere più ignorato.
È maturo il tempo che le donne, oggi competenti nella teologia, nella pastorale, nella fede, rivendichino e continuino questo cammino, che in forma mite e soft hanno proseguito, ricordando ai fratres che sono anch’esse popolo di Dio ed esprimendo a papa Francesco il desiderio di essere accolte e riconosciute come sorores. Se non ora quando?

* Università Roma Tre
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/5/2013 13.09
Titolo:UN FUOCO GRANDE: MEMORIA DI CHIARA E FRANCESCO DI ASSISI.
Come santa Chiara mangiò con santo Francesco e co’ suoi compagni frati in Santa Maria degli Agnoli. *

Santo Francesco, quando stava a Sciesi [Assisi], ispesse volte visitava Santa Chiara dandole santi ammaestramenti. Ed avendo ella grandissimi desideri di mangiare una volta con lui, e di ciò pregandolo molte volte, egli non le volle mai fare questa consolazione.

Onde vedendo li suoi compagni il desiderio di santa Chiara, dissono a santo Francesco: «Padre, a noi non pare che questa rigidità sia secondo la carità divina, che suora Chiara, vergine così santa, a Dio diletta tu non esaudisca in così piccola cosa, come è mangiare teco e spezialmente considerando ch’ella per le tue predicazioni abbandonò le ricchezze e le pompe del mondo. E di vero, s’ella ti domandasse maggiore grazia che questa non è, sì la doveresti fare alla tua pianta spirituale».

Allora santo Francesco rispuose: «Pare a voi ch’io la debba esaudire?».

Rispondono li compagni: «Padre, si degna cosa è che tu le faccia questa grazia e consolazione».

Disse allora santo Francesco: «Da poi che pare a voi, pare anche a me. Ma acciò ch’ella sia più consolata, io voglio che questo mangiare si faccia in Santa Maria degli Agnoli, imperò ch’ella è stata lungo tempo rinchiusa in santo Damiano, sicché le gioverà di vedere il luogo di santa Maria, dov’ella fu tonduta e fatta isposa di Gesù Cristo; ed ivi mangeremo insieme al nome di Dio».

Venendo adunque il dì ordinato a ciò, santa Chiara escì del monistero con una compagna, accompagnata di compagni di santo Francesco, e venne a Santa Maria degli Agnoli. E salutata divotamente la Vergine Maria dinanzi al suo altare, dov’ella era stata tonduta e velata, sì la menorono vedendo il luogo, infino a tanto che fu ora da desinare.

E in questo mezzo santo Francesco fece apparecchiare la mensa in sulla piana terra, siccome era usato di fare. E fatta l’ora di desinare si pongono a sedere insieme santo Francesco e santa Chiara, e uno delli compagni di santo Francesco e la compagna di santa Chiara, e poi tutti gli altri compagni s’acconciarono alla mensa umilmente.

E per la prima vivanda santo Francesco cominciò a parlare di Dio sì soavemente, sì altamente, maravigliosamente, che discendendo sopra di loro l’abbondanza della divina grazia, tutti furono in Dio ratti.

E stando così ratti con gli occhi e con le mani levate in cielo, gli uomini da Sciesi e da Bettona e que’ della contrada dintorno, vedeano che Santa Maria degli Agnoli e tutto il luogo e la selva ch’era allora allato al luogo, ardeano fortemente, e parea che fosse un fuoco grande che occupava la chiesa e ’l luogo e la selva insieme.

Per la qual cosa gli Ascesani con gran fretta corsono laggiù per ispegnere il fuoco, credendo veramente ch’ogni cosa ardesse. Ma giugnendo al luogo e non trovando ardere nulla, entrarono dentro e trovarono santo Francesco con santa Chiara con tutta la loro compagnia ratti in Dio per contemplazione e sedere intorno a quella mensa umile. Di che essi certamente compresono che, quello era stato fuoco divino e non materiale, il quale Iddio avea fatto apparire miracolosamente, a dimostrare e significare il fuoco de divino amore, del quale ardeano le anime di questi santi frati e sante monache; onde si partirono con grande consolazione nel cuore loro e con santa edificazione.

Poi, dopo grande spazio tornando in sé santo Francesco e santa Chiara insieme con li altri, e sentendosi bene confortati del cibo spirituale, poco si curarono del cibo corporale.

E così compiuto quel benedetto disinare, santa Chiara bene accompagnata si ritornò a Santo Damiano.

Di che le suore veggendola ebbono grande allegrezza; però ch’elle temeano che santo Francesco non l’avesse mandata a reggere qualche altro monisterio, siccome egli avea già mandata suora Agnese, santa sua sirocchia, abbadessa a reggere il monisterio di Monticelli di Firenze; e santo Francesco alcuna volta avea detto a santa Chiara: «Apparecchiati, se bisognasse ch’io ti mandassi in alcuno luogo»; ed ella come figliuola di santa obbidienza avea risposto: «Padre, io sono sempre apparecchiata ad andare dovunque voi mi manderete». E però le suore sì si rallegrarono fortemente, quando la riebbono; e santa Chiara rimase d’allora innanzi molto consolata.

A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

* Fonte: I fioretti di San Francesco (Capitolo quindicesimo). Anonimo XIV secolo (Wikisource)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/5/2013 10.58
Titolo:Un falso amore porta alla violenza
Un falso amore porta alla violenza

di Dacia Maraini (Corriere della Sera, 14 maggio 2013)

Il femminicidio è, nel suo simbolismo profondo, un atto culturale e quindi di responsabilità collettiva. Viviamo in un sistema di formazione che esalta la violenza sui deboli, che coltiva l’odio di genere e abolisce il rispetto dell’altro. La cultura di mercato sta sostituendo la cultura dei diritti e dei doveri e nel grande mercato internazionale una delle merci più richieste è il corpo femminile.

La cosa peggiore è che le donne stesse hanno talmente bene introiettato il concetto di merce da comportarsi spesso e con molta naturalezza come tale. Non che sentirsi merce porti felicità, ma può dare una inebriante sensazione di essere al centro del desiderio e dell’avidità mercantile, di smuovere un turbine di denaro. Senza rendersi conto che ogni mercificazione comporta servitù e dipendenza, umiliazione e degrado.

Se partiamo da questa constatazione ci rendiamo conto che il femminicidio non si può risolvere solo con le manette e leggi piu severe, anche se manette e leggi piu severe servono. Per cambiare veramente ci vuole una educazione dal basso, che imponga un nuovo concetto di integrità della persona, che esiga rispetto verso la libertà dell’altro. Nonostante le tante dichiarazione di emancipazione infatti la distinzione dei ruoli è ancora molto forte.

L’Italia poi, come dice l’Onu, è uno degli ultimi Paesi europei in fatto di partecipazione maschile ai lavori domestici e di accudimento. Provate ad andare in un negozio di giocattoli. Ancora oggi la divisione è netta: bambole, cucinette, piccola sartoria per le bambine; fucilini, trenini, camion, e guerra in miniatura per i bambini.

Da tempi lontanissimi si è radicata l’idea che il diritto più naturale e intoccabile del maschio umano sia la proprietà della famiglia. Proprietà che dà diritto al controllo maritale, all’impronta del proprio sangue, del proprio nome, di una propria idea di educazione. Toccare tale principio crea spesso risentimenti viscerali e selvaggi. Da quando, in un famoso processo divino, descritto così bene da Eschilo, Apollo ha stabilito che il vero motore della vita è il padre e la madre è solo il vaso che contiene il seme maschile, gli uomini si sono appropriati storicamente di un potere intimo e immutabile che costituisce, ancora per troppi, la base dell’identità virile.

Tutti i casi di violenza di questi ultimi anni mostrano una stessa struttura: una coppia che si sceglie e si ama. A un certo punto la donna decide di andare via o di rompere il rapporto. E l’uomo, che ha puntato tutto su quella proprietà, entra in crisi, diventa intollerante e violento, fino ad arrivare all’omicidio. Seguito spesso dal suicidio, segno che si tratta di una vera e propria tragedia per chi non sa accettare i cambiamenti, la perdita dei privilegi, la soppressione del concetto di proprietà.

Se vogliamo che questa violenza cessi, dobbiamo lavorare su quel sentimento di proprietà: «Io ti amo e quindi sei mia», dato troppo spesso come naturale e assecondato da troppe retoriche sentimentali.

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Titolo articolo : PER L' EMBRIONE, UNA MOBILITAZIONE ITALIANA ED EUROPEA. Papa Bergoglio, proseguendo il cammino tradizionale del papa emerito, ricorda la raccolta delle firme. Una nota di Gian Guido Vecchi - con appunti    ,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: May/14/2013 - 10:56:07.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/5/2013 20.02
Titolo:ATTORNO ALLA PISCINA COSTRUITA E GESTITA DAL VATICANO ...
- DIO E’ AMORE
- DEUS CHARITAS EST
- GESU’: L’AMORE SALVA *

- 2 V’è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzaetà, con cinque portici,
- 3 sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici.
- 4 [Un angelo infatti in certi momenti discendeva nella piscina e agitava l’acqua; il primo ad entrarvi dopo l’agitazione dell’acqua guariva da qualsiasi malattia fosse affetto.]
- 5 Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato.
- 6 Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?».
- 7 Gli rispose il malato: «Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me».
- 8 Gesù gli disse: «Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina».
- 9 E sull’istante quell’uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare. Quel giorno però era un sabato.
- 10 Dissero dunque i Giudei all’uomo guarito: «È sabato e non ti è lecito prender su il tuo lettuccio».
- 11 Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo lettuccio e cammina».
- 12 Gli chiesero allora: «Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina?».
- 13 Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, essendoci folla in quel luogo.
- 14 Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio».
- 15 Quell’uomo se ne andò e disse ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo.
- 16 Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato.
- 17 Ma Gesù rispose loro: «Il Padre mio opera sempre e anch’io opero».
- 18 Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio.

* Giovanni 5: 2-18. Testo nella traduzione della C.E.I
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/5/2013 20.09
Titolo:Abbiamo costruito una macabra civiltà della morte... di Felice Scalia
L'amore concreto di Gesù

ANNO C-9 giugno 2013-X DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 1Re 17,17-24 Sal 29 Gal 1,11-19 Lc 7,11-17

di Felice Scalia

Quando ho davanti una giovane creatura a cui nulla manca, proprio nulla, e che tuttavia si è avviluppata in una situazione senza speranza (un amore impossibile, una meta irraggiungibile, la nostalgia di un affetto perduto, le strettoie di un cura parentale al limite con l’asfissia), tanto da avere perso ogni gusto per la vita, allora quel colloquio diventa fonte in me di un malessere così profondo da “maledire” quell’incontro e volere dimenticare per sempre quegli occhi spenti. Non ci puoi far nulla contro quel “cupio dissolvi”, eppure volentieri daresti perfino gli anni che ti restano perché quelle creature avvilite riaprano gli occhi. La morte non si addice ai giovani. Mai è una soluzione.

Luca, nel brano che la liturgia oggi propone, narra un incontro simile di Gesù con la morte ed i suoi vari volti. Colui che è “la vita del mondo”, un impatto peggiore di questo con la dissoluzione non poteva averlo. Un padre scomparso precocemente, una madre precipitata ieri nell’abisso della vedovanza, ed oggi delusa, frustrata nella sua unica flebile speranza che era il figlio, un ragazzo che forse ha trovato arduo vivere e si è arreso alla morte. Certo a Gesù fu risparmiato il senso di impotenza che in casi simili attanaglia qualsiasi mortale. Disse infatti ai becchini di fermarsi, alla donna di non piangere ed al ragazzo di alzarsi: “Sono io a dirtelo!”.

Situazioni come queste sembrano costruite apposta per mettere in mostra la potenza del super-eroe (nel caso, Gesù) e la nostra mediocrità. Ma non è così. Bisogna piuttosto dire che situazioni come queste sono emblematiche della condizione umana, ci fanno comprendere chi siamo e che sentimenti ha l’Eterno di fronte al nostro dolore.

Abbiamo costruito una macabra civiltà della morte. Mettendo al centro le cose, il possesso, il denaro, il diritto della forza, abbiamo intronizzato la morte. Siamo un po’ come quel ragazzo del vangelo che senza un padre non sapeva crescere e preferiva scendere da quel treno in corsa folle verso il nulla che gli sembrava la vita. Siamo come la vedova che per domani attende solo il peggio: solitudine assoluta, miseria, insignificanza, morte sconsolata. Un po’ rassomigliamo forse al padre del ragazzo morto, che non ha retto alla prospettiva di un mondo così poco accogliente dei poveri, chiuso ad un futuro per il suo bambino. E abbiamo pensieri simili a quelli che occupavano la mente degli accompagnatori funebri: ci attende un sepolcro spalancato.


Dio non la pensa così, non ci vuole così. Il gesto di Gesù di Nazareth di questo ci rassicura. La vita oltre ogni disperazione, il varco di luce oltre ogni muro di cemento armato, un nuovo inizio dopo la fine di tutto, tutto questo è volontà di Dio. E per dircelo a chiare lettere ha mandato il suo Figlio. Il “miracolo” è segno straordinario dell’ordinario agire di Dio nei nostri riguardi, espressione della sua feriale – diciamo così – volontà di salvezza.

Dio vuole risuscitare i morti, donare vita, stare, in ogni caso ed anche contro tutto e tutti, dalla parte della vita. E ciò non è solo «lavoro mai interrotto del Padre» (Gv 5,17), ma anche compito di ogni battezzato che vuole calcare le orme del Cristo. Compito che lo presenta al mondo come sovversivo, perché la speranza è sovversiva.


Difficile dire se noi cristiani annunziamo oggi che la morte è già sconfitta. Fa male leggere l’osservazione di David H. Lawrence: “Mettono l’accento solo sul dolore, sul sacrificio, sulla sofferenza. Non si soffermano abbastanza sulla risurrezione e sulla gioia di vivere nel presente”.

Gesù non guariva la gente nel corpo come scusa per salvare l’anima. Gesù amava le persone concrete, voleva che vivessero come figli della Vita, di una vita che travalica ogni morte e che può sussistere perfino negli occhi di un malato terminale. Risuscitando un morto, curando un corpo, ridando la vista ad un cieco, gli rivelava insieme mondi nuovi, sconosciuti, che sono al di là dell’io chiuso in se stesso e della stessa sofferenza. È questa liberazione, questo slargamento dell’io il dono più grande del Cristo. Perché solo se si è liberati si comincia ad amare. E questo solo conta.

* Gesuita, teologo dell'istituto Ignatianum (Me), impegnato nell'associazione “Nuovi orizzonti”
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/5/2013 09.53
Titolo:I pro life italiani, sedotti e abbandonati (di Massimo Faggioli)
I pro life italiani, sedotti e abbandonati

di Massimo Faggioli (Huffington Post,13 maggio 2013)

La Marcia nazionale per la vita svoltasi a Roma domenica scorsa 12 maggio dice molto non solo circa alcune sostanziali differenze col movimento pro life americano, ma anche circa alcune traiettorie dell’Italia di inizio secolo XXI.

Il movimento pro life americano è molto più radicato di quello italiano (o di qualsiasi altro paese al mondo, se è per questo), a causa delle molte differenze tra le geometrie politiche, culturali e religiose dei due paesi. Il movimento pro life americano nacque negli anni settanta, all’incrocio di una serie di tendenze diverse.

La sentenza della Corte Suprema "Roe v. Wade" del gennaio 1973 diede una copertura costituzionale dell’aborto come "diritto legato alla privacy", facendo della legislazione abortista americana una legislazione molto più radicale di quella italiana (come è noto, vi sono ben più di due opzioni tra legalizzazione e penalizzazione: incentivi e disincentivi, supporto sociale, tutela della maternità sui luoghi di lavoro, etc.).

Erano gli anni settanta dei film di Clint Eastwood Dirty Harry e la cultura borghese americana reagì alla malaise descritta dal presidente Carter accusando il liberalismo morale decadente degli anni sessanta e dichiarando una "guerra culturale" che aveva l’aborto al centro del mirino.

L’ascesa del movimento pro life e del movimento cristiano evangelicale sono una cosa sola con la presidenza Reagan iniziata nel 1980: da allora in poi la cultura pro life americana si è concentrata sull’aborto, trascurando (tranne poche eccezioni, in particolare provenienti dai gruppi pro life cattolici) la difesa della vita dei condannati a morte, la libera circolazione delle armi in America, le vittime delle guerre americane, e in generale la tutela di un sistema sociale ed economico che renda più raro il ricorso all’aborto.

Oggi il movimento pro life americano è diventato meno confessionale: nato come fenomeno protestante, oggi cattolici, ortodossi, ebrei e musulmani sono entrati a far parte di esso in forme diverse, e il suo carattere "ecumenico" è testimoniato dalla "Manhattan Declaration" del 2009.

Ma nel corso degli ultimi anni il movimento pro life americano si è reso conto di essere stato usato dal Partito repubblicano e ora i rapporti col Grand Old Party sono più freddi. Tuttavia il conservativismo americano è ancora la sola vera casa politica per gli anti-abortisti americani, specialmente dopo la svolta laicista presa dal presidente Obama con la campagna elettorale del 2012, vinta in un’America sempre più laica.

Se il movimento pro life americano si è scoperto recentemente orfano dei Repubblicani, quello italiano è sempre stato politicamente orfano: ma ora lo è molto di più.

Pci e Dc furono ben attenti, negli anni settanta dei referendum sul divorzio e sull’aborto, a non fare guerre di religione su queste questioni: non solo perché erano "gli anni di piombo" del terrorismo di destra e di sinistra, ma anche perché nell’insieme i due grandi "partiti-chiesa" italiani accettarono un compromesso basato su una legislazione sull’aborto meno radicale di quella americana.

Pci e Dc erano consapevoli dei punti di contatto tra la visione della società del cattolicesimo sociale e della socialdemocrazia europea, ed entrambi erano diffidenti - per motivi antropologici e culturali prima che politici - del radicalismo libertario dei Radicali di Pannella.

Scomparsi i due "partiti-chiesa", il Pci e la Dc, in questi ultimi vent’anni i pro life militanti italiani si sono fidati di un avvocato inverosimile della causa, Berlusconi, che li usò come fecero Reagan e Bush in America, anche per una evidente mancanza di offerte politiche alternative (se non il "grande centro" di Casini).

Vista la grave crisi in cui versano anche gli eredi del Pci e della Dc (vale a dire, il Pd e il berlusconismo), oggi i pro life italiani si ritrovano a dover presentare il loro caso per un’etica della difesa della vita di fronte alle forze nuove (per così dire) della politica italiana: il populismo grillino e la tecnocrazia trasversale a vari partiti (grillini compresi). Sia il populismo di Grillo, sia la tecnocrazia sono avvocati di un "brave new world" (per citare il celebre libro di Aldous Huxley) che vede il futuro dominato dai diritti del consumatore, dalla tecnologia della rete, dai pareggi di bilancio, etc., ovvero prefigurano e si augurano un mondo assai inospitale per coloro che sono per definizione dei "costi" economicamente improduttivi: i figli, i disabili gravi, gli anziani, i malati terminali.

In questo senso, le forze politiche italiane che hanno accettato il "there is no alternative" della tecnocrazia hanno capitolato anche di fronte al "brave new world", ad una certa visione spietata di società e di vita umana. E questo è un problema non solo degli anti-abortisti o dei cattolici italiani.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/5/2013 10.56
Titolo:CHARITAS o CARITAS?! Un falso amore porta alla violenza ...
Un falso amore porta alla violenza

di Dacia Maraini (Corriere della Sera, 14 maggio 2013)

Il femminicidio è, nel suo simbolismo profondo, un atto culturale e quindi di responsabilità collettiva. Viviamo in un sistema di formazione che esalta la violenza sui deboli, che coltiva l’odio di genere e abolisce il rispetto dell’altro. La cultura di mercato sta sostituendo la cultura dei diritti e dei doveri e nel grande mercato internazionale una delle merci più richieste è il corpo femminile.

La cosa peggiore è che le donne stesse hanno talmente bene introiettato il concetto di merce da comportarsi spesso e con molta naturalezza come tale. Non che sentirsi merce porti felicità, ma può dare una inebriante sensazione di essere al centro del desiderio e dell’avidità mercantile, di smuovere un turbine di denaro. Senza rendersi conto che ogni mercificazione comporta servitù e dipendenza, umiliazione e degrado.

Se partiamo da questa constatazione ci rendiamo conto che il femminicidio non si può risolvere solo con le manette e leggi piu severe, anche se manette e leggi piu severe servono. Per cambiare veramente ci vuole una educazione dal basso, che imponga un nuovo concetto di integrità della persona, che esiga rispetto verso la libertà dell’altro. Nonostante le tante dichiarazione di emancipazione infatti la distinzione dei ruoli è ancora molto forte.

L’Italia poi, come dice l’Onu, è uno degli ultimi Paesi europei in fatto di partecipazione maschile ai lavori domestici e di accudimento. Provate ad andare in un negozio di giocattoli. Ancora oggi la divisione è netta: bambole, cucinette, piccola sartoria per le bambine; fucilini, trenini, camion, e guerra in miniatura per i bambini.

Da tempi lontanissimi si è radicata l’idea che il diritto più naturale e intoccabile del maschio umano sia la proprietà della famiglia. Proprietà che dà diritto al controllo maritale, all’impronta del proprio sangue, del proprio nome, di una propria idea di educazione. Toccare tale principio crea spesso risentimenti viscerali e selvaggi. Da quando, in un famoso processo divino, descritto così bene da Eschilo, Apollo ha stabilito che il vero motore della vita è il padre e la madre è solo il vaso che contiene il seme maschile, gli uomini si sono appropriati storicamente di un potere intimo e immutabile che costituisce, ancora per troppi, la base dell’identità virile.

Tutti i casi di violenza di questi ultimi anni mostrano una stessa struttura: una coppia che si sceglie e si ama. A un certo punto la donna decide di andare via o di rompere il rapporto. E l’uomo, che ha puntato tutto su quella proprietà, entra in crisi, diventa intollerante e violento, fino ad arrivare all’omicidio. Seguito spesso dal suicidio, segno che si tratta di una vera e propria tragedia per chi non sa accettare i cambiamenti, la perdita dei privilegi, la soppressione del concetto di proprietà.

Se vogliamo che questa violenza cessi, dobbiamo lavorare su quel sentimento di proprietà: «Io ti amo e quindi sei mia», dato troppo spesso come naturale e assecondato da troppe retoriche sentimentali.

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Commenti Articolo 507

Titolo articolo : Scarpe rotte eppur bisogna andar!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: May/12/2013 - 23:24:55.

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Autore Città Giorno Ora
Francesco Santamaria Vimercate 12/5/2013 12.45
Titolo:
Lei scrive nell'articolo: Fra questi protagonisti della politica bisogna saper distinguere gli attori e le comparse. Grillo è, per esempio e dal mio punto di vista, una comparsa che opera per conto terzi. A mio parere quest'affermazione è forte e va giustificata. Cosa conosce Lei del Movimento 5 Stelle? Ha mai partecipato ad un Meetup? Ha potuto rendersi conto delle persone che frequentano questi Meetup?Ha idea di quanta gente proviene dall'Azione Cattolica? Si è reso conto di persona dell'influenza di Grillo sugli aderenti al Movimento. Mi dispiace? La pensavo migliore!
Autore Città Giorno Ora
Giovanni Sarubbi Monteforte Irpino 12/5/2013 17.22
Titolo:frutti avvelenati
Gentile Santamaria,
forse sono stato troppo brusco e perentorio, ma quell'affermazione parte dalla constatazione dei risultati che la politica di Grillo ha conseguito finora. A Parma l'inceneritore non solo è stato completato ma è anche andato in funzione e, da quello che leggo e da quello che mi riferiscono alcuni amici, la situazione edilizia è addirittura peggiorata. La giunta grillista di Parma si distingue per il nulla che ha prodotto finora.
Sul piano nazionale l'azione di Grillo ha portato alla rielezione di Napolitano ed il governissimo con la risurrezione di Berlusconi, che continua a fare le sue iniziative eversive. Ho già scritto un articolo sul tema ponendo una domanda ben precisa e cioè:
"Detto questo, e per ritornare all'oggi, vorrei porre una domanda e tentare una possibile risposta. La domanda è questa: perchè Grillo ed il suo partito, pur avendo la possibilità di tenere letteralmente in pugno Bersani ed il PD imponendogli tutte le proprie principali idee, o quanto meno la maggior parte di esse, rifiuta questa possibilità regalando una posizione di forza al PDL, che la sta esercitando sia per la elezione del presidente della repubblica sia per la composizione del governo, che si annuncia sempre più come un governo fra PD e PDL?" (può trovare l'intero articolo al seguente link : http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/editoriali/direttore_1365949956.htm e mi scusi per l'auto promozione)

I Meetup potranno essere anche qualcosa di diverso e magari anche positivo, ma la bontà degli alberi si riconosce dai frutti e finora Grillo ha prodotto solo frutti avvelenati.
Cordiali saluti
Giovanni Sarubbi
Autore Città Giorno Ora
antonio grasso San Damiano 12/5/2013 23.24
Titolo:Scarpe rotte eppur bisogna andar!
Signor Giovanni se avesse la pazienza di vedere e ascoltare l'intervista di Pizzarotti, sindaco di Parma, forse si renderebbe conto di come stanno i fatti, evitando così di esprimere giudizi un po' troppo precipitosi e imprecisi. Il link dell'intervista è questo: http://www.youtube.com/watch?v=sEeCk0x9kXE

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Commenti Articolo 508

Titolo articolo : "LA MENTE EROICA": GIAMBATTISTA VICO, UN CRISTIANO ADULTO, USCITO DALLO STATO DI MINORITA’. Il testo dell'orazione inaugurale del 1732 ,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: May/11/2013 - 13:20:06.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/5/2013 16.28
Titolo:LA CHIESA E LA DISCENDENZA DIVINA. Il discorso "zoppo" di Papa Bergoglio
UOMINI E DONNE, FIGLI E FIGLIE DEL DIO AMORE ("CHARITAS"): SACERDOZIO UNIVERSALE E SOVRANITA’ UNIVERSALE. NELLA CHIESA NON SOLO "ZITELLE", MA ANCHE QUANTI "ZITELLI"! Il modello offerto dal Papa alle suore è ancora e sempre dentro l’orizzonte cattolico-costantiniano ("edipico"!):
(fls)
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«Madri, non zitelle». Il modello offerto dal Papa alle suore

di Gian Guido Vecchi (Corriere della Sera, 9 maggio 2013)

«È una dicotomia assurda pensare di vivere con Gesù senza la Chiesa». Francesco cita Paolo VI ma nelle parole del Papa gesuita si avverte l’eco d’una celebre affermazione di sant’Ignazio di Loyola («quello che io vedo bianco lo credo nero, se lo stabilisce la Chiesa gerarchica») negli Esercizi Spirituali . Nel discorso del Papa c’è anche un riferimento sottotraccia alle suore (cosiddette) ribelli degli Usa, ma il richiamo di Francesco ai fondamentali - il Vangelo, il senso della Chiesa - vale per tutti, «uomini e donne».

Bergoglio parla alle 802 superiori delle suore di tutto il mondo, riunite a Roma, con il suo stile insieme ironico e diretto. Come quando dice che la castità dev’essere «feconda» e generare «figli spirituali della Chiesa» e aggiunge, fra risate e applausi: «La consacrata è madre, dev’essere madre e non zitella! Scusatemi, parlo un po’ così...».

Ma dei tre voti è l’obbedienza, la questione principale. Le suore chiedono il loro spazio («il ruolo della donna nella Chiesa deve cambiare, così come nella società», diceva la carmelitana Josune Arregui), talvolta non mancano tensioni coi vescovi. Così Francesco parla dell’obbedienza all’autorità e, d’altra parte, dell’autorità come «servizio» in senso evangelico, le parole di Gesù: «Chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo».

E torna a uno dei temi fondanti del pontificato, il primato della misericordia contro il fariseismo ipocrita: «Pensiamo al danno che arrecano al Popolo di Dio gli uomini e le donne di Chiesa che sono carrieristi, arrampicatori, che usano il popolo, la Chiesa, i fratelli e le sorelle - quelli che dovrebbero servire -, come trampolino per i propri interessi e le ambizioni personali. Questi fanno un danno grande alla Chiesa...».

Nella messa a Santa Marta il Papa ha ricordato che «Gesù ha parlato con tutti», come san Paolo: «Il cristiano che vuol portare il Vangelo deve sentire tutti!». Francesco allude al Concilio, «questi ultimi 50 anni, 60 anni sono un bel tempo». Perché invece, quand’era bambino, «si sentiva nelle famiglie cattoliche, nella mia: "No, a casa loro non possiamo andare, perché non sono sposati per la Chiesa, eh!". Oppure perché socialisti, o atei...». Era «come un’esclusione». Però «adesso, grazie a Dio, non si dice». Allora «c’era una difesa della fede con i muri» ma «Gesù ha costruito ponti».

Le superiori rappresentano le 721.935 religiose del mondo, più di sacerdoti e religiosi messi assieme. Tra loro anche quelle della «Leadership Conference of Women Religious», l’associazione che rappresenta l’80 per cento delle 57 mila religiose Usa ed è stata «commissariata» dal Vaticano un anno fa perché accusata d’essere riottosa e liberal sui temi etici.

L’ex Sant’Uffizio ha detto che anche Francesco ha approvato il rapporto; il cardinale João Braz de Aviz, prefetto della vita religiosa, ha parlato del suo «dolore» per una decisione saputa all’ultimo, il Vaticano ha negato contrasti fra dicasteri. Di certo si lavora a comporre il dissidio, l’udienza di Francesco è il primo passo.

Altro che zitelle: «Che cosa sarebbe la Chiesa senza di voi? Le mancherebbe maternità, affetto, tenerezza! Intuizione di Madre...».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/5/2013 18.16
Titolo:PER UNA COMINTA' DI EGUALI di Janice Sevre-Duszynka
Disobbedendo agli uomini, obbediamo allo Spirito. L’omelia di una donna prete *

DOC-2517. ROMA-ADISTA. «Abbiamo sempre chiesto un sacerdozio rinnovato in una Chiesa riformata. Ciò comporta la creazione di una comunità di uguali in cui tutti, e non solo il prete, condividano ed esprimano i doni dello Spirito». È questo il senso delle ordinazioni delle donne prete realizzate, dal 2002, in seno alla Women Ordination Conference e all’organismo Roman Catholic Women Priests, movimenti che insistono sulla propria appartenenza alla Chiesa cattolica e sulla corretta e valida ordinazione originaria di sette donne - quattro austriache, due tedesche ed una statunitense - effettuata il 29 giugno 2002 da un vescovo in successione apostolica, l’argentino mons. Romulo Antonio Braschi, fondatore della “Chiesa cattolica apostolica carismatica di Gesù Re”, considerata però scismatica dal Vaticano. È evidente che Roma non considera né legittime né valide tali ordinazioni, provvedendo a scomunicare automaticamente le persone coinvolte.
Ma le donne prete, attualmente più di 150 in tutto il mondo, non demordono, continuando a rivendicare il sacerdozio femminile come una questione di giustizia nella Chiesa. Il 12 marzo scorso, all’apertura del Conclave che avrebbe eletto papa Jorge Mario Bergoglio, Janice Sevre-Duszynka, ordinata nel 2008, ha celebrato una messa presso la Comunità di Base di San Paolo a Roma, rivisitando le motivazioni e i valori che supportano la richiesta dell’ordinazione sacerdotale per le donne.
È stato proprio a causa della partecipazione alla sua ordinazione e dell’appoggio alla causa delle donne che il noto prete pacifista p. Roy Bourgeois, missionario di Maryknoll, è stato scomunicato e successivamente espulso dalla sua congregazione religiosa e dimesso dallo stato clericale (v. Adista Notizie nn. 69/11 e 43/12).

Di seguito pubblichiamo, in una nostra traduzione dall’inglese, l’omelia tenuta da Janice Sevre-Duszynka nel corso della celebrazione eucaristica svoltasi a Roma. (ludovica eugenio)

_________

PER UNA COMUNITÀ DI EGUALI

di Janice Sevre-Duszynka

Il Cristo risorto apparve per primo a Maria di Magdala affidandole il compito di farsi apostola presso gli apostoli. Che cosa farebbe e direbbe oggi? Come Gesù, suo maestro, sfiderebbe le autorità religiose e civili schierandosi a favore degli emarginati, tra cui le donne, e facendo appello a relazioni di giustizia e di uguaglianza.

Mentre si riunisce il Conclave, dove sono le donne? Dove sono gli uomini sposati? Dove sono i poveri? Dove sono i bambini e i giovani? Dove sono gli emarginati? Il Vaticano regala fiori alle donne, ma ciò che esse vogliono è la piena uguaglianza. Le donne prete sono qui!

Gli uomini del Vaticano sono così vincolati da scegliere di ignorare - colpevolmente - il movimento dello Spirito nel popolo di Dio? Preghiamo per loro. Come può la Chiesa parlare di giustizia quando la gerarchia non mette in pratica ciò che predica? Diciamo ai nostri fratelli: non limitatevi ad aprire le finestre, come nel Vaticano II, ma spalancate le porte del Conclave e lasciate entrare il popolo di Dio. Lasciate entrare le vostre sorelle.

La voce di Dio esprime nel nostro tempo la piena uguaglianza delle donne e degli uomini nella Chiesa e nella società, nel nostro mondo in cerca di comunità, di un legame profondo con lo Spirito presente nell’altro!

I leader della nostra Chiesa, i cardinali, hanno avuto centinaia di anni per dire sì al sacerdozio delle donne e degli uomini sposati, riconoscendo il ruolo di tutti coloro che sono impegnati nella creazione di una Chiesa più inclusiva, di una comunità d’amore in cui tutti siano i benvenuti e ricevano i sacramenti. E la sentiamo, la voce dello Spirito che sorge dalla base del popolo di Dio! Le donne prete sono qui!

Le nostre prime donne vescovo sono state ordinate da un vescovo uomo in una linea di successione apostolica, per promuovere la giustizia nella nostra Chiesa. Quante di noi hanno lavorato per anni nel movimento per l’ordinazione femminile hanno sempre affermato che, una volta che le donne fossero state ordinate, come lo siamo ora, non si sarebbe trattato solo di preti che si aggiungevano a preti. Abbiamo sempre chiesto un sacerdozio rinnovato in una Chiesa riformata. Ciò comporta la creazione di una comunità di uguali dove tutti, e non solo il prete, condividano ed esprimano i doni dello Spirito. La nostra funzione di donne prete è il servizio, non l’esercizio di un potere maggiore. Sono passati più di dieci anni da quando sette donne sono state ordinate sul Danubio, nel 2002. Nel 2006, 12 donne sono state ordinate a Pittsburgh: si è trattato delle prime ordinazioni negli Stati Uniti. Ora sono circa 150 in Europa, Stati Uniti, Canada e America Latina.

Nel nostro modello di comunità di fede, tutti sono benvenuti, tutti hanno uguali diritti. Non costituiamo una gerarchia. Non vogliamo replicare il modello clericale. Ciononostante, è molto importante per noi ottenere giustizia per le donne prete, per le immagini femminili di Dio, per il modo in cui le donne esprimono il sacro, perché i vangeli siano interpretati a partire dalla nostra vita e dalla nostra morte in quanto donne, dalla vita e dalla morte degli uomini sposati, dei poveri e degli emarginati. Lo Spirito esige che le richieste delle persone siano ovunque ascoltate, soddisfatte e considerate pienamente giuste e sane.

Le donne prete come noi sono state ordinate in una fase di passaggio. Dobbiamo rivendicare l’ordinazione come una questione di giustizia, per i nostri diritti di donne. Lo facciamo contra legem. Trasgrediamo una legge ingiusta ma restiamo all’interno della Chiesa cattolica. Il sacramento dell’Ordine deriva dal nostro battesimo, non dal genere.

Consideriamo il nostro ruolo come servizio e guida, non come potere o esclusione. Nelle nostre comunità di donne prete pratichiamo una decisionalità condivisa in un “discepolato di uguali”. Celebriamo liturgie inclusive in cui tutti vengono accolti, tutti partecipano e tutti possono avvertire un senso di appartenenza. Vogliamo appartenere, in spirito di comunione, a comunità in cui poter esprimere i nostri più profondi bisogni, desideri e aspirazioni. Qui, il nostro modello di Chiesa si eleva nello Spirito.

Poiché siamo tutti corpo di Cristo, nelle nostre celebrazioni eucaristiche tutti consacrano l’Eucaristia, tutti pronunciano l’omelia, tutti si benedicono reciprocamente. Tutti scrivono liturgie inclusive, incorporando tanto le immagini femminili quanto quelle maschili di Dio. Le donne prete rendono visibile il fatto che anche le donne sono immagini di Dio e quindi degne di presiedere all’altare. Vivono l’obbedienza profetica allo Spirito disobbedendo al diritto canonico, ingiusto, stabilito dall’uomo e discriminante nei riguardi delle donne nella nostra Chiesa. Il sessismo, come il razzismo, costituisce un peccato. Come Rosa Parks, il cui rifiuto di sedersi in fondo all’autobus nella zona riservata ai neri contribuì a innescare il movimento dei diritti civili, le donne prete non abbandonano la Chiesa, ma la traghettano verso una nuova era di giustizia e uguaglianza. Nessuna punizione, neppure la scomunica, potrà fermare questo movimento dello Spirito.

In Austria, Germania, Irlanda, Spagna, Portogallo, Svizzera, Australia e Stati Uniti, preti, vescovi e teologi hanno manifestato il loro appoggio alle donne prete, ai preti sposati e alle comunità di fede inclusive. Seguono così le orme di p. Roy Bourgeois, il prete di Maryknoll recentemente scomunicato ed espulso dall’ordine, colpevole di aver profeticamente espresso la necessità di un dialogo sulle donne prete nella nostra Chiesa. Sostiene p. Bourgeois: «Il silenzio è la voce della complicità. Perciò chiedo a tutti i cattolici, ai preti, ai vescovi, al papa e a tutti i leader della Chiesa in Vaticano di esprimersi a voce alta in merito alla grave ingiustizia dell’esclusione delle donne dal sacerdozio». L’arcivescovo di San Salvador mons. Oscar Romero è stato assassinato per la sua difesa degli oppressi. «Lasciate - diceva - che coloro che hanno voce parlino per i senza voce».

Il nostro Dio che ci ama ci ha dato la voce. Parliamo in modo chiaro e coraggioso e camminiamo, come avrebbe fatto Gesù, nella solidarietà con le donne nella nostra Chiesa, chiamate da Dio al sacerdozio.

* Adista Documenti n. 14 del 13/04/2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/5/2013 13.20
Titolo:Il Muro del pianto e la preghiera degli uomini e delle donne ...
Dietro lo scontro culturale la lotta fra due idee di Israele

I “fondamentalisti della Torah” fuori dal governo per la prima volta da 30 anni

di Francesca Paci (La Stampa, 11.05.2013)

Il ruolo della donna è regolato dalla «Tzanua» il concetto di modestia nei costumi - Il gruppo delle «Donne del Muro» durante la preghiera al Muro del Pianto - Si ispirano a un ebraismo «liberal» che si è sviluppano specie negli Stati Uniti - Gli ortodossi sono solo il 10% ma vorrebbero imporre norme come i posti separati sui bus

Farà prima Natan Sharansky a sintonizzare le preghiere delle Women of the Wall sulle frequenze dei rabbini ultraortodossi o Tzipi Livni a rilanciare il dialogo con i palestinesi? I bookmakers israeliani puntano sulla ministra della giustizia, perché delle due mission impossible del premier Netanyahu quella assegnata al presidente dell’Agenzia ebraica tira in ballo equilibri precari assai precedenti al 1948.

La battaglia per il Muro del Pianto racconta lo scontro più ampio in corso tra la Start Up Nation proiettata verso il futuro e gli haredim, i fondamentalisti della Torah, che pur rappresentando solo il 10% della popolazione partecipano da trent’anni alle coalizioni di governo assicurandosi una buona fetta del budget tra esonero dalla leva e scuole religiose. Ma se la maggioranza degli israeliani affronta il ruolo politico di Dio al momento del voto, che quest’anno si è risolto in una disfatta per i rabbini massimalisti rimasti fuori dal gabinetto, le Women of the Wall preferiscono la prima linea, il mitico Tempio di Gerusalemme, quella porta del cielo così angusta per loro nonostante l’ebraismo sia una religione che si trasmette di madre in figlio.

La bestia nera dell’emancipazione femminile si chiama Tzanua (che in ebraico sta per modestia), un dogma più che un’auspicata virtù muliebre impresso sui cartelli intimidatori agli incroci di Mea Shearim, enclave ultraortodossa di Gerusalemme. Regola numero uno vestire di scuro, bandire i pantaloni (fascianti) e le maglie col collo a V (rivelatrici di sinuose profondità), indicare il proprio status di maritata coprendo i capelli (con cappello, foulard o parrucca) indossare calze spesse e, a voler strafare, privilegiare le scarpe chiuse. E pazienza se il lungo mare dell’iper liberale Tel Aviv pullula di bikini essenziali come neppure Copacabana: anche lì, dove coppie di militari omosessuali si abbracciano tenendo il mitra in spalla, s’è fatta spazio una spiaggia per religiosi doc con una staccionata protettiva intorno e le bagnanti rilassate nei loro austeri costumi-abiti, castigati al pari dei burqini islamici ma realizzati in sottili tessuti high tech a prova di annegamento.

Anche i rabbini più oltranzisti ammettono che alcuni divieti sono presi forse un po’ troppo alla lettera, specialmente in un paese futurista al punto che non riesce più a chiamare un taxi senza l’applicazione iPhone. L’integerrimo Moshe Feinstein per esempio, ha sempre esecrato ogni promiscuità tra i sessi (compresa la stretta di mano) facendo eccezione però per i luoghi di lavoro, i treni o l’affollatissima metropolitana di New York, situazioni limite perché considerate «contatto fisico non intenzionale».

Ciò non ha impedito che una decina di anni fa una compagnia di trasporti privata di Tel Aviv inaugurasse gli autobus con i posti separati nel sobborgo ultraortodosso di B’nai Brak mettendo il governo di fronte al fatto compiuto e le donne ribelli come la soldatessa diciottenne Doron Matalon alla stregua di una Rosa Parks israeliana costretta ad appellarsi alla Corte Suprema. Da allora si sono moltiplicate le proteste ma anche i pullman della discordia e i marciapiedi per soli uomini.

Il problema, come provano le ambizioni «ecclesiastiche» delle Women of the Wall (che vorrebbero pregare più devotamente), non è la religione di per se ma le consuetudini religiose. Soprattutto quando il brand «modestia», come qualsiasi brand identitario nell’indistinta era global, può diventare un business. «Gli autobus separati sono una grandiosa opportunità di fare soldi con gli haredim» racconta la scrittrice ebrea ortodossa Naomi Ragen, riferendo proprio la riflessione di un haredim. Basta vedere la quantità di siti che commercializzano casti abiti femminili khoser ( o quelli per single osservanti).

L’ultima parola? La sfida è donna, al Muro del Pianto come nelle cabine del Ye’elat Chen Salon, dove, in un sottoscala a dir poco nascosto, le gerosolimitane più ortodosse (e le musulmane che discretamente arrivano dalla zona araba della città) si fanno belle per il marito ma soprattutto per loro stesse.

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Commenti Articolo 509

Titolo articolo : DELITTI DEGLI ECCLESIASTICI E CHIESA NELL'ITALIA DELLA CONTRORIFORMA. Una nota di Massimo Firpo sul lavoro di Michele Mancino e Giovanni Romeo (Università di Napoli Federico II) ,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: May/07/2013 - 10:39:15.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/5/2013 10.04
Titolo:Papa Francesco alza il muro della Chiesa contro la pedofilia nel clero....
Il Papa: basta abusi, difendiamo i bambini

di Marco Ansaldo e Paolo Rodari (la Repubblica, 6 maggio 2013)

Papa Francesco alza il muro della Chiesa contro la pedofilia nel clero. Lo aveva già fatto Benedetto XVI, nel vortice delle polemiche per le accuse sugli abusi sessuali di minori da parte di sacerdoti nel 2010. Lo fa oggi, con più convinzione e accolto con ancora più favore perché mai sfiorato da quelle critiche, il suo successore. E il plauso che ottiene sembra dargli ragione.

I bambini devono essere tutelati, dice il nuovo pontefice, vanno difesi da questa sofferenza. Ma su questo fronte ci vuole, afferma Francesco, «coraggio e chiarezza». Jorge Mario Bergoglio ha pronunciato queste parole ieri mattina, nella Giornata dei bambini vittime della violenza, durante il Regina Coeli, offrendo la sua preghiera per tutti coloro che «hanno sofferto e soffrono a causa di abusi».

Parole pronunciate mentre dal Regno Unito arrivano notizie che, se confermate, dicono di un’ulteriore volontà da parte della Chiesa di fare propria la linea della cosiddetta «tolleranza zero». Riportano fonti locali, infatti, che il Vaticano ha chiesto al cardinale Keith O’Brien, il porporato ex primate di Scozia che aveva rinunciato a partecipare al Conclave dopo l’ammissione di aver avuto «comportamenti inappropriati» con dei seminaristi, di lasciare il Paese. O’Brien stava per trasferirsi in un cottage non lontano da Edimburgo, ma ora dovrà emigrare «per salvaguardare la reputazione della Chiesa cattolica nel Paese».

A spendersi contro la sua permanenza è stato anzitutto l’arcivescovo di Glasgow, Philip Tartaglia. Ha scritto a Roma spiegando che i fedeli non capirebbero un’ulteriore presenza del porporato in Scozia dopo l’ammissione di colpe gravi. E sembra che dietro la richiesta vi sia anche preoccupazione per ulteriori casi di pedofilia che potrebbero uscire sui media. Diverse investigazioni, infatti, stanno continuando soprattutto nel Lanarkshire, diocesi dove si dice abbia agito negli anni passati una sorta di lobby gay.

Non è la prima volta che Francesco affronta l’argomento abusi. Solo un paio di settimane dopo la sua elezione, il 13 marzo scorso, aveva voluto incontrare il nuovo Prefetto della Congregazione che si occupa dei “delicta graviora”, quella per la Dottrina della Fede, Gerhard Ludwig Mueller. A lui ha confermato con estrema chiarezza la linea del predecessore Ratzinger: massima decisione nello stroncare il fenomeno della pedofilia, misure di aiuto e protezione ai minori, sostegno e vicinanza a chi ha subito sofferto questo tipo di violenze, assistenza anche giudiziaria se possibile alle vittime, linea dura verso i colpevoli, e infine garanzia dell’impegno da parte delle singole Conferenze episcopali nel perseguire queste linee direttive. Francesco è convinto che anche sul tema della pedofilia la Chiesa si giochi una grossa fetta di credibilità.

Eppure su questo fronte la Chiesa rischia di trovare ancora resistenze. A Porto Rico infatti l’arcivescovo di San Juan, monsignor Roberto Gonzalez Nieves, accusato dalla Santa Sede di voler coprire alcun preti coinvolti in casi di abusi sessuali, rifiuta di dimettersi come richiesto dal Vaticano.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/5/2013 10.39
Titolo:FREI BETTO...un cristiano nell’attuale struttura della Chiesa DEVE essere anticl...
«Dobbiamo pensare che papa Francesco è simbolo di una grande riforma della Chiesa»

intervista a Frei Betto

a cura di Gianfranco Monaca (“Tempi di Fraternità”, maggio 2013)

Frei Betto hai portato dei libri da diffondere. Di che si tratta?

«Ho lavorato per sei anni al libro Quell’uomo chiamato Gesù. Sono i quattro Vangeli scritti come un romanzo. Il Vangelo è un libro scritto duemila anni fa: nelle comunità di base la gente non ha né il tempo né la testa per fare dei corsi biblici. Mi sono basato sulla bibliografia dei critici più attuali e ho viaggiato in Giudea, Samaria e Galilea, poi ho completato con la fantasia il racconto evangelico. Un esempio. Nel vangelo di Giovanni si racconta che Gesù è andato a una festa di matrimonio nel villaggio di Cana con Maria e i discepoli. Le ricerche mostrano come era il matrimonio nel rito giudaico di quell’epoca, e dicono che tutti ballavano in questa festa. Né le mie ricerche né i vangeli dicono che Gesù ha ballato, ma essendo celibe certamente ha ballato: perciò in questo romanzo lui balla».

Ci sono fatti nuovi nella Chiesa. Che te ne pare?

«Voglio raccontare un’altra storia, che tutti conoscono meglio di me. Il sistema di produzione dell’Europa occidentale, fino al dodicesimo secolo, era un sistema feudale. Gli alimenti venivano dai servi della gleba, e i beni materiali dagli artigiani. Gli abiti erano un prodotto artigianale. Nel dodicesimo secolo un italiano chiamato Bernardone ha creato una manifattura di tessuti. Bernardone è un pioniere del sistema capitalista. Importava i prodotti per la tintoria dalla Francia, che era un’area metropolitana.
In omaggio a questa, ha dato al figlio il nome di Francesco, cioè "il Francese", come se uno, per ammirazione degli Stati Uniti, chiamasse il figlio George Bush o Barak Obama. Il figlio di Bernardone andò in guerra, tornò ferito e fece una scelta radicale in favore della pace. Aveva percepito che la manifattura di papà produceva miseria, perché, se possedeva una macchina che faceva i tessuti in serie, questi costavano meno di quelli prodotti dagli artigiani. Francesco denunciò questo sistema produttivo: Francesco è un pioniere della critica al capitalismo. In più, si è schierato dalla parte delle vittime del capitalismo ed è diventato povero con i poveri».

Stai pensando al nuovo papa?

«Ora, quando un papa prende il nome di Francesco, significa qualcosa. Mai un papa si era chiamato Francesco, come nessun papa si è mai chiamato Pietro secondo, e speriamo che non capiti mai, perché, dice Nostradamus, quando un papa si chiamerà Pietro secondo il mondo finirà. Nessun papa si è chiamato col nome dell’evangelista Matteo né col nome dell’evangelista Luca; forse c’è stato un papa di nome Marco, ma ventiquattro col nome di Giovanni, senonché uno non è canonico, per cui l’ultimo è stato Giovanni XXIII. Sappiamo ciò che è accaduto nell’ultimo Conclave. Il cardinale Bergoglio sedeva accanto al cardinale Claudio Ruiz, brasiliano, con cui ha lavorato per quindici anni, vescovo della regione industriale di San Paolo come incaricato della pastorale operaia. Dom Claudio ha raccontato che, quando Bergoglio ha capito di essere eletto, lui si è alzato, lo ha abbracciato e baciato, e Bergoglio gli ha chiesto "Che nome prendo?". Dom Claudio, che è francescano ed è un uomo che ha fatto la scelta dei poveri, gli ha suggerito il nome Francesco. Ora abbiamo un papa molto ecumenico, perché è gesuita, ha adottato un nome francescano, e si veste con la divisa da domenicano, che è la mia divisa».

Che messaggio ha voluto dare papa Francesco?

«Questo nome ha cinque significati: quello della pace, la critica del sistema produttivo che genera la miseria, l’opzione per i poveri, poi san Francesco è il patrono dell’ecologia, dell’amore per la natura, tema attualissimo, e in ultimo luogo Francesco, nella chiesa di San Damiano, ha sentito Gesù chiedergli di ricostruire la Chiesa. Lui ha preso alla lettera questo comando e ha ricostruito la chiesa di pietre, poi ha capito che questa richiesta era molto più ampia: si trattava di ricostruire la Chiesa Cattolica, che era molto corrotta e che aveva raggiunto il vertice della corruzione nel periodo di Innocenzo III. Francesco non è mai stato ordinato sacerdote, ma ha creato un movimento nel periodo in cui la Chiesa produceva molti gruppi dissidenti, che per equivoco erano chiamati "eretici". Non c’era niente di eretico, semplicemente criticavano la Chiesa per amore del Vangelo».

Un messaggio politico, dunque?

«Francesco nel 1209 va a Roma a chiedere l’autorizzazione per questo movimento, e il papa concede l’autorizzazione. Era un politico intelligente: prima che il papa condannasse anche lui come eretico, come aveva fatto con Pietro Valdo e gli altri, è andato a chiedere la benedizione papale. Innocenzo III è morto nel 1216; un cardinale francese che aveva preso parte al suo funerale racconta di essere stato molto impressionato del lusso di cui il cadavere era coperto, dell’oro, dei gioielli che erano graditi a Innocenzo III: dato che le esequie di un papa durano diversi giorni, e di notte la basilica di San Pietro era rimasta deserta, sono entrati i ladri e hanno lasciato il cadavere letteralmente nudo. Ma nella basilica era presente una persona che i ladri non hanno visto, e che era Francesco. Francesco allora si è tolto la sua veste francescana per coprire il corpo del papa. Si tratta certamente di una leggenda, ma è molto interessante perché racconta la seconda spogliazione di Francesco. Con la prima aveva rifiutato i vestiti fabbricati dal padre e con la seconda aveva coperto la nudità del papa.

L’altro significato del nome Francesco è Francesco Saverio. Gesuita come il papa attuale, era andato a evangelizzare il Giappone e l’India. Noi siamo attualmente in un periodo storico molto simile a quello del XVI secolo. Che fare? Cinquant’anni fa la Chiesa ha promosso il Concilio Vaticano II, e sono cinquant’anni che aspettiamo che questo Concilio sia messo in pratica».

Una politica diversa, dunque?

«Si conosce la storia: il papa Giovanni XXIII annunciò questo Concilio senza consultare la Curia romana. Era molto amico del vescovo brasiliano Helder Camara, il pioniere dell’opzione per i poveri nella chiesa del ventesimo secolo. Un giorno Helder Camara è andato a parlare con Giovanni XXIII e gli ha chiesto perché i buoni teologi non erano stati invitati a questo Concilio, facendo alcuni nomi: Congar, De Lubac, Ratzinger (un buon teologo tedesco progressista), Urs von Balthasar, il collega di Ratzinger Hans Küng, nessuno dei quali era stato invitato al Concilio. Giovanni XXIII rispose a dom Helder: "Già è stato così difficile convocare un Concilio senza consultare la Curia, che non mi sento in condizione di invitare questi teologi, perché sento che la Curia andrà molto in collera."

Anche dom Helder era un politico molto abile, e ha fatto al papa una proposta. Ecco l’accaduto: in quella settimana il papa doveva ricevere in udienza i cardinali della Curia, mettiamo il giovedì alle cinque del pomeriggio. La segreteria papale aveva fissato per dom Helder una udienza del papa alle sei del pomeriggio di quello stesso giorno, senonché dom Helder arrivò alle quattro e mezza, e subito dopo arrivarono i cardinali della Curia per l’udienza delle cinque.

Quando il papa apre la porta per ricevere la Curia, vede dom Helder che era previsto solo per le sei, e lo chiama. "Entri, entri!". Dom Helder aveva molte carte sotto il braccio, e rimase accanto al papa durante l’udienza dei cardinali. Ad un certo momento lasciò che le carte cadessero per terra, e Giovanni XXIII chiese di che carte si trattasse. "Mah, sono soltanto i nomi di alcuni teologi che vengo a suggerire perché siano invitati al Concilio". "Allora la prego di leggerli - disse il papa - di che nomi si tratta?" "Hans Küng, Congar, Chenu...". "È ovvio che devono essere invitati" esclamò il papa. E fu così che furono invitati».

Quali sono i nodi da sciogliere?

«Il primo è la sessualità. I verbali del Concilio oggi sono pubblici, e sappiamo che il vescovo di Cracovia, Karol Wojtyla, nelle Commissioni ha sempre votato con i più conservatori, il che spiegacome nei ventisei anni del suo pontificato non ha mai messo in pratica il Concilio. C’è un argomento nella Chiesa che resta congelato dal tempo del Concilio di Trento, cioè dal 1500, e si chiama Teologia Morale: è il tema della sessualità. In Concilio c’è stato un movimento per riaprire un dibattito su questo argomento, ma i conservatori si sono organizzati e lo hanno impedito. La vita è l’ironia della storia, e riguarda il cardinale francese Jean Daniélou, che anni dopo è morto improvvisamente nella camera di una prostituta a Parigi, ma era stato il leader del gruppo che aveva impedito che si toccasse l’argomento sessualità».

Poi?

«La questione della donna. Voglio ricordare qualche punto della dottrina ufficiale. Nella teologia scolastica c’è una questione classica: può uno schiavo essere sacerdote? Sì, se è stato reso libero, perché lo schiavo è un uomo e come tale gode della pienezza della natura umana. Qui viene la seconda domanda: può una donna libera essere sacerdote? No, perché la donna è ontologicamernte inferiore all’uomo e non gode della pienezza della natura umana e nemmeno del pieno dominio della ragione. Questo è un testo della dottrina ufficiale della Chiesa, non è un mio discorso. La donna non ha il pieno dominio della ragione, come i bambini e i pazzi.

Una coppia sposata religiosamente e civilmente può avere rapporti sessuali, ma a condizione che tale rapporto sia destinato alla procreazione. Se è per il piacere, no. È lussuria. Ho sentito un professore di teologia morale dire a questo proposito: "Questo non è teologia, è zoologia". Ma anche in zoologia i mammiferi hanno delle manifestazioni fisiche di affetto. Gli unici animali che hanno rapporti sessuali solo per la procreazione sono i rettili».

Tu parli spesso di ipocrisia. Perché?

«Questo è l’ipocrisia, dividere ciò che si predica da ciò che si vive. Benedetto XVI diceva che la Chiesa è piena di ipocrisia: è una cosa forte se la dico io, ma se la dice un papa è ancora più forte. Ho l’impressione che dicendo questo si è tolto un peso enorme dalle spalle, e le critiche che ha fatto alla Chiesa e alla Curia sono molto forti. Nell’ultima settimana di febbraio Benedetto XVI ha fatto per la Chiesa molto più di quanto aveva fatto in otto anni, e ha messo fine alla papolatria, all’idolatria del papa, come se il papa fosse Dio in terra, che è un’affermazione di san Giovanni Bosco ed è un’affermazione eretica; ma quando si fa un’affermazione eretica a favore del potere non si viene mai condannati dal potere.

La Chiesa dice che è proibito usare il preservativo, anche se ciò produce l’AIDS dovunque. Paolo VI ha cercato di aprire in Concilio il dibattito sulla malattia sociale, con l’aiuto di una persona ottima come Bernhard Häring e ha deciso di trattare l’argomento in un’enciclica, ma Paolo VI era una personalità debole e la Curia è riuscita a imporsi su di lui: il risultato è l’enciclica Humanae vitae, che ha bloccato questo tema. Giovanni Paolo II non aveva alcun interesse a toccare l’argomento e, quando si è manifestato lo scandalo della pedofilia, l’orientamento era di coprire. Roma ha coperto lo scandalo fin quando hanno cominciato ad essere coinvolti vescovi e cardinali».

Hai in mente altri nodi da sciogliere?

«Poi c’è la corruzione finanziaria, che ha prodotto dei suicidi sotto i ponti di Londra. Vi do anche una versione del caso di Giovanni Paolo I, papa Luciani, che mi è stata confidata da un cardinale. Il cardinale di Chicago ha intestato un conto bancario di 50.000 dollari a una sua nipote; Paolo VI lo voleva trasferire da Chicago ma il cardinale Baggio, presidente della Congregazione dei vescovi, si è opposto dicendo che la stampa documentava la corruzione del cardinale, ma che se si trasferiva quello di Chicago avrebbero accusato quello di Parigi, quello di San Paolo, e si sarebbe dovuto correre dietro a tutte queste denunce. Paolo VI non trasferì il cardinale di Chicago, ma tre mesi dopo papa Luciani invitò a cena il cardinale Baggio ed ebbero un colloquio molto difficile: il papa non riuscì a convincerlo a trasferire il cardinale di Chicago e Baggio se ne andò. Il papa rientrò nella sua camera, prese il telefono e chiamò il cardinale Martini a Milano. Disse di avere la tachicardia e raccontò a Martini la discussione che aveva avuto con Baggio. In quella notte il papa morì. Martini raccontò questo a un altro cardinale, che lo ha raccontato a me. Dato che non intendo rivelare il nome di questo cardinale, e che anche Martini è morto, io vi trasmetto questa versione».

Che cosa ti aspetti dunque da questo nuovo papa?

«Ora noi dobbiamo pensare che papa Francesco è simbolo di una grande riforma nella Chiesa. Subito dopo l’elezione, il cardinale Claudio Ruiz, del Brasile, ha dichiarato a Roma che ci sarà una riforma della Curia romana. Ruiz è un uomo che misura molto le parole e non avrebbe mai detto queste cose se non fosse stato autorizzato dal papa, perciò c’è speranza che ci sarà una riforma della Curia. Ma ci aspettiamo molto più da questo papa: il Concilio parla di una gestione collegiale della Chiesa. Il papato è l’unica monarchia assoluta che resta in Occidente. In Oriente c’è quella dell’Arabia Saudita. A lui piacerebbe molto che il papa non fosse più un capo di Stato e chiudesse tutte le nunziature, che oggi hanno più potere delle conferenze episcopali, e ricordo che durante il pontificato di Paolo VI in Brasile la nunziatura non contava niente, mentre oggi interferisce nelle decisioni delle chiese nazionali. Sarebbe molto buona cosa se il papa valorizzasse i presidenti delle conferenze episcopali delle chiese nazionali e i sinodi dei vescovi e che creasse un sinodo dei laici, secondo la Lumen Gentium che è una delle principali costituzioni del Concilio Vaticano II».

Tu hai conosciuto sulla tua pelle le dittature militari in America Latina. Ne parli nel tuo libro "Battesimo di sangue". Che cosa pensi del ruolo del cardinale Bergoglio in Argentina negli anni della dittatura?

«Io sto alla parola del premio Nobel per la Pace Perez Esquivel: dice che in primo luogo Bergoglio non era ancora vescovo, era superiore dei Gesuiti, e non ha peccato per partecipazione alla politica della Giunta militare; può darsi che talvolta abbia peccato per omissione, ma certamente ha lavorato dietro le quinte favorendo i perseguitati Non esiste alcuna prova che lui personalmente abbia appoggiato la dittatura, come invece ha fatto l’insieme della Chiesa argentina».

Quando, dopo l’elezione al pontificato, in Italia questo interrogativo si è posto, la Radio Vaticana ha liquidato velocemente la questione come una campagna di anticlericalismo di sinistra. Che cosa ne pensi?

«In primo luogo non so dove la Radio Vaticana abbia incontrato la sinistra, visto che in Europa la sinistra non esiste più. In America Latina sì, ma non in Europa. In secondo luogo, l’anticlericalismo oggi sta molto più nel razionalismo scientifico che non in quella che si chiama sinistra. Io trovo che il dubbio venga sollevato legittimamente da tutti coloro che difendono i diritti umani».

Un cristiano può essere anticlericale?

«Sì, trovo che può: un cristiano non solo può, ma direi di più, un cristiano nell’attuale struttura della Chiesa DEVE essere anticlericale, perché la Chiesa non sono solo i preti; la Chiesa sono soprattutto i nuovi laici che non sono chiamati "padri", sono "fratelli", come san Francesco, che non è mai diventato prete».

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Titolo articolo : L'UMANITA'  E IL GRANDE CODICE (LA BIBBIA). Una nota  di Bruno Forte sul  convegno internazionale tenutosi in questi giorni a Gerusalemme su «Giovanni XXIII e il popolo ebraico» ,a c. di Federicvo La Sala

Ultimo aggiornamento: May/06/2013 - 13:12:49.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/5/2013 13.12
Titolo:Donne uomini e religioni. Per una comunità di eguali
Disobbedendo agli uomini, obbediamo allo Spirito. L’omelia di una donna prete *

DOC-2517. ROMA-ADISTA. «Abbiamo sempre chiesto un sacerdozio rinnovato in una Chiesa riformata. Ciò comporta la creazione di una comunità di uguali in cui tutti, e non solo il prete, condividano ed esprimano i doni dello Spirito». È questo il senso delle ordinazioni delle donne prete realizzate, dal 2002, in seno alla Women Ordination Conference e all’organismo Roman Catholic Women Priests, movimenti che insistono sulla propria appartenenza alla Chiesa cattolica e sulla corretta e valida ordinazione originaria di sette donne - quattro austriache, due tedesche ed una statunitense - effettuata il 29 giugno 2002 da un vescovo in successione apostolica, l’argentino mons. Romulo Antonio Braschi, fondatore della “Chiesa cattolica apostolica carismatica di Gesù Re”, considerata però scismatica dal Vaticano. È evidente che Roma non considera né legittime né valide tali ordinazioni, provvedendo a scomunicare automaticamente le persone coinvolte. Ma le donne prete, attualmente più di 150 in tutto il mondo, non demordono, continuando a rivendicare il sacerdozio femminile come una questione di giustizia nella Chiesa. Il 12 marzo scorso, all’apertura del Conclave che avrebbe eletto papa Jorge Mario Bergoglio, Janice Sevre-Duszynka, ordinata nel 2008, ha celebrato una messa presso la Comunità di Base di San Paolo a Roma, rivisitando le motivazioni e i valori che supportano la richiesta dell’ordinazione sacerdotale per le donne. È stato proprio a causa della partecipazione alla sua ordinazione e dell’appoggio alla causa delle donne che il noto prete pacifista p. Roy Bourgeois, missionario di Maryknoll, è stato scomunicato e successivamente espulso dalla sua congregazione religiosa e dimesso dallo stato clericale (v. Adista Notizie nn. 69/11 e 43/12).
Di seguito pubblichiamo, in una nostra traduzione dall’inglese, l’omelia tenuta da Janice Sevre-Duszynka nel corso della celebrazione eucaristica svoltasi a Roma. (ludovica eugenio)




PER UNA COMUNITÀ DI EGUALI

di Janice Sevre-Duszynka

Il Cristo risorto apparve per primo a Maria di Magdala affidandole il compito di farsi apostola presso gli apostoli. Che cosa farebbe e direbbe oggi? Come Gesù, suo maestro, sfiderebbe le autorità religiose e civili schierandosi a favore degli emarginati, tra cui le donne, e facendo appello a relazioni di giustizia e di uguaglianza.

Mentre si riunisce il Conclave, dove sono le donne? Dove sono gli uomini sposati? Dove sono i poveri? Dove sono i bambini e i giovani? Dove sono gli emarginati? Il Vaticano regala fiori alle donne, ma ciò che esse vogliono è la piena uguaglianza. Le donne prete sono qui!

Gli uomini del Vaticano sono così vincolati da scegliere di ignorare - colpevolmente - il movimento dello Spirito nel popolo di Dio? Preghiamo per loro. Come può la Chiesa parlare di giustizia quando la gerarchia non mette in pratica ciò che predica? Diciamo ai nostri fratelli: non limitatevi ad aprire le finestre, come nel Vaticano II, ma spalancate le porte del Conclave e lasciate entrare il popolo di Dio. Lasciate entrare le vostre sorelle.

La voce di Dio esprime nel nostro tempo la piena uguaglianza delle donne e degli uomini nella Chiesa e nella società, nel nostro mondo in cerca di comunità, di un legame profondo con lo Spirito presente nell’altro!

I leader della nostra Chiesa, i cardinali, hanno avuto centinaia di anni per dire sì al sacerdozio delle donne e degli uomini sposati, riconoscendo il ruolo di tutti coloro che sono impegnati nella creazione di una Chiesa più inclusiva, di una comunità d’amore in cui tutti siano i benvenuti e ricevano i sacramenti. E la sentiamo, la voce dello Spirito che sorge dalla base del popolo di Dio! Le donne prete sono qui!

Le nostre prime donne vescovo sono state ordinate da un vescovo uomo in una linea di successione apostolica, per promuovere la giustizia nella nostra Chiesa. Quante di noi hanno lavorato per anni nel movimento per l’ordinazione femminile hanno sempre affermato che, una volta che le donne fossero state ordinate, come lo siamo ora, non si sarebbe trattato solo di preti che si aggiungevano a preti. Abbiamo sempre chiesto un sacerdozio rinnovato in una Chiesa riformata. Ciò comporta la creazione di una comunità di uguali dove tutti, e non solo il prete, condividano ed esprimano i doni dello Spirito. La nostra funzione di donne prete è il servizio, non l’esercizio di un potere maggiore. Sono passati più di dieci anni da quando sette donne sono state ordinate sul Danubio, nel 2002. Nel 2006, 12 donne sono state ordinate a Pittsburgh: si è trattato delle prime ordinazioni negli Stati Uniti. Ora sono circa 150 in Europa, Stati Uniti, Canada e America Latina.

Nel nostro modello di comunità di fede, tutti sono benvenuti, tutti hanno uguali diritti. Non costituiamo una gerarchia. Non vogliamo replicare il modello clericale. Ciononostante, è molto importante per noi ottenere giustizia per le donne prete, per le immagini femminili di Dio, per il modo in cui le donne esprimono il sacro, perché i vangeli siano interpretati a partire dalla nostra vita e dalla nostra morte in quanto donne, dalla vita e dalla morte degli uomini sposati, dei poveri e degli emarginati. Lo Spirito esige che le richieste delle persone siano ovunque ascoltate, soddisfatte e considerate pienamente giuste e sane.

Le donne prete come noi sono state ordinate in una fase di passaggio. Dobbiamo rivendicare l’ordinazione come una questione di giustizia, per i nostri diritti di donne. Lo facciamo contra legem. Trasgrediamo una legge ingiusta ma restiamo all’interno della Chiesa cattolica. Il sacramento dell’Ordine deriva dal nostro battesimo, non dal genere.

Consideriamo il nostro ruolo come servizio e guida, non come potere o esclusione. Nelle nostre comunità di donne prete pratichiamo una decisionalità condivisa in un “discepolato di uguali”. Celebriamo liturgie inclusive in cui tutti vengono accolti, tutti partecipano e tutti possono avvertire un senso di appartenenza. Vogliamo appartenere, in spirito di comunione, a comunità in cui poter esprimere i nostri più profondi bisogni, desideri e aspirazioni. Qui, il nostro modello di Chiesa si eleva nello Spirito.

Poiché siamo tutti corpo di Cristo, nelle nostre celebrazioni eucaristiche tutti consacrano l’Eucaristia, tutti pronunciano l’omelia, tutti si benedicono reciprocamente. Tutti scrivono liturgie inclusive, incorporando tanto le immagini femminili quanto quelle maschili di Dio. Le donne prete rendono visibile il fatto che anche le donne sono immagini di Dio e quindi degne di presiedere all’altare. Vivono l’obbedienza profetica allo Spirito disobbedendo al diritto canonico, ingiusto, stabilito dall’uomo e discriminante nei riguardi delle donne nella nostra Chiesa. Il sessismo, come il razzismo, costituisce un peccato. Come Rosa Parks, il cui rifiuto di sedersi in fondo all’autobus nella zona riservata ai neri contribuì a innescare il movimento dei diritti civili, le donne prete non abbandonano la Chiesa, ma la traghettano verso una nuova era di giustizia e uguaglianza. Nessuna punizione, neppure la scomunica, potrà fermare questo movimento dello Spirito.

In Austria, Germania, Irlanda, Spagna, Portogallo, Svizzera, Australia e Stati Uniti, preti, vescovi e teologi hanno manifestato il loro appoggio alle donne prete, ai preti sposati e alle comunità di fede inclusive. Seguono così le orme di p. Roy Bourgeois, il prete di Maryknoll recentemente scomunicato ed espulso dall’ordine, colpevole di aver profeticamente espresso la necessità di un dialogo sulle donne prete nella nostra Chiesa. Sostiene p. Bourgeois: «Il silenzio è la voce della complicità. Perciò chiedo a tutti i cattolici, ai preti, ai vescovi, al papa e a tutti i leader della Chiesa in Vaticano di esprimersi a voce alta in merito alla grave ingiustizia dell’esclusione delle donne dal sacerdozio». L’arcivescovo di San Salvador mons. Oscar Romero è stato assassinato per la sua difesa degli oppressi. «Lasciate - diceva - che coloro che hanno voce parlino per i senza voce».

Il nostro Dio che ci ama ci ha dato la voce. Parliamo in modo chiaro e coraggioso e camminiamo, come avrebbe fatto Gesù, nella solidarietà con le donne nella nostra Chiesa, chiamate da Dio al sacerdozio.

* Adista Documenti n. 14 del 13/04/2013

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Titolo articolo : A "SCOLA" DI LAICITÀ  ,di Elio Rindone

Ultimo aggiornamento: May/06/2013 - 10:50:02.

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Autore Città Giorno Ora
Daniele Bettenzoli Varese 06/5/2013 10.50
Titolo:condivisione
Complimenti all'autore e a Il Dialogo che l'ha proposto.
Condivido totalmente l'impostazione teologica e sociologica del documento.
Possibile che si sia capaci di protestare contro uno Stato teocratico come l'Iran e, in parte, Israele ecc. e non ci si renda conto che le argomentazioni di un Sant'Ambrogio e d'un Card. Scola sono alla pari?

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Titolo articolo : Il 25 Aprile ad Avellino,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: May/02/2013 - 21:42:33.

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Autore Città Giorno Ora
domenico stimolo catania 25/4/2013 23.16
Titolo:
E’ una vicenda veramente incredibile. Che la “ bandiera della pace” venga messa all’indice e “schedata” assieme al gruppo dei portatori, su comando di qualche solerte “educatore”,…..forse è la prima volta che avviene nella ricorrenza del 25 Aprile….. a memoria d’uomo.
La triste vicenda , un affronto ai valori civili, costituzionali e democratici, ai valori fondativi della nostra Repubblica celebrati oggi, merita certamente tutti i necessari approfonsimenti.
Da non (più) iscritto dell’Anpi, suggerisco che l’Anpi di Avellino, con il fattivo supporto di tutte le forze politiche e sociali democratiche della città, assuma tutte le necessarie ed urgenti iniziative di denunzia ed ampia divulgazione informativa nel contesto nazionale degli eventi consumatosi, chiedendo, tra l’altro, immediato incontro con il Prefetto, con il coinvolgimento diretto della struttura nazionale dell’associazione.
Urge, tra l’altro, pur in mancanza di governo ( c’è sempre quello provvisorio), l’avvio di interrogazione parlamentare, informando direttamente la presidente della Camera Laura Boldrini, che proprio oggi ha presenziato la manifestazione centrale nazionale del 25 aprile a Milano.
Inoltro la mia personale solidarietà.
Autore Città Giorno Ora
Giovanni Sarubbi Monteforte Irpino 26/4/2013 20.33
Titolo:Il prefetto di Avellino chiede scusa
Ho saputo poco fa dal Presidente dell'ANPI di Avellino che il Prefetto gli ha chiesto scusa ufficialmente per l'accaduto e ha nuovamente invitato l'ANPI alla celebrazione del 2 giugno. Ha detto che chiedera' al questore per capire come sia potuto accadere. Una buona notizia.
Autore Città Giorno Ora
AMEDEO BARIGOZZI GUSSAGO 28/4/2013 11.30
Titolo:Situazione da approfondire!
Una notizia positiva, ma non direi buona. Perché dimostra l'esistenza o di problemi di comunicazione e/o di rapporto tra prefettura e questura o la possibilità da parte di terzi (?) di dare ordini credibili agli agenti (vedi dichiarazione del funzionario) anche al di là dei corretti rapporti istituzionali. In entrambi i casi, una situazione anomala e pericolosa rispetto ai diritti civili, sulla quale si impone un'interrogazione parlamentare urgente. Sarà bene comunque dare notizia degli eventi successivi alla comunicazione del prefetto.
Autore Città Giorno Ora
Giuliano Braga Cossato 28/4/2013 17.19
Titolo:
Per quanto successo sono completamente d'accordo con chi mi ha proceduto, vorrei solo che si chiedesse in alto loco chi ha dato l'ordine e per bocca di chi ha parlato, se no che si prenda le sue responsabilità, non siamo più all'epoca del fascismo.
Autore Città Giorno Ora
martino pirone arcisate 01/5/2013 22.54
Titolo:Il 25 aprile ad Avellino
Egregio dr Sarubbi sono indignato per l'accaduto, anche se sono a 850 Km da Avellino. Vorrei sapere l'esito di quanto ha accertato il Prefetto e il motivo per il quale il "solerte" funzionario ha dato quell'ordine.
Cordialità. Martino Pirone
Autore Città Giorno Ora
Giovanni Sarubbi Monteforte Irpino 02/5/2013 21.42
Titolo:Sul sito dell'ANPI
La vicenda di Avellino del 25 aprile è stata inserita sul sito Anpi nazionale
http://www.anpi.it/avellino-il-presidente-anpi-identificato-dalla-digos/

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Commenti Articolo 513

Titolo articolo : Le nostre radici e la nostra speranza,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: April/30/2013 - 21:49:53.

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Autore Città Giorno Ora
marines zanini Gremiasco 28/4/2013 14.04
Titolo:non siamo quattro gatti a leggerti
ciao Giovanni volevo ringraziarti per i contributi di riflessione che ci offri,(non credo che siamo in 4 gatti a leggerti!)
in questo condivido tutta l'analisi che fai ma trovo che con PRC sei troppo severo.
speriamo che sia un buon 1 maggio,
con stima Marines Zanini
Autore Città Giorno Ora
isabelle charlier varese 30/4/2013 15.53
Titolo:Apocalisse 7, 9-10 ?
Anche io, Signor Sarubbi, la ringrazio sinceramente per i CONTRIBUTI DI RIFLESSIONE CHE CI OFFRI. Capisco molto bene che Dio abita nel suo cuore e che Lui la guida alla perseveranza quotidiana. Bello! Il punto difficile però - per tutti noi,amanti di giustizia e di pace - è di arrivare ad andare oltre la riflessione per non diventare dei fatalisti e dei perdenti.

Trovo particolare la citazione dell'Apocalisse 7, 9-10 in introduzione all'articolo.
Autore Città Giorno Ora
isabelle charlier varese 30/4/2013 21.49
Titolo:Un'altra riflessione - Lezione di umiltà
Il mese scorso una vicina di casa mi ha regalato un libro di 365 meditazioni quotidiane. Ecco ciò che mi è capitato de leggere proprio adesso:

"Troppe anime sprecano tempo ed energia nell'incolpare gli altri dei mali del mondo, invece di riconoscere ch'esse possono fare qualcosa per porvi rimedio, a patto di cominciare da loro stesse. In primo luogo, inizia con il mettere in ordine la tua casa. Quando si getta un sasso in uno stagno, le increspature dell'acqua si allargano sempre di più, ma esse hanno origine dal sasso, partendo dal centro.Agisci adesso. Tu aspiri ad un mondo migliore: allora fai qualcosa senza puntare il dito sugli altri, ma guardando dentro di te, scavando nel tuo cuore, rimediando ai tuoi mali e trovando la risposta in te....."

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Commenti Articolo 514

Titolo articolo : Il leninismo, l'arma segreta del capitalismo,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: April/29/2013 - 23:00:34.

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Autore Città Giorno Ora
vittorio pedrali marigliano 14/4/2013 22.51
Titolo:
carissimo,
mi vedo semplicemente costretto a rispondere con un "chi vivrà vedrà", in quanto definire "ingarbugliata" la situazione attuale equivale a definirla "piana". Di certo noto dei passi verso il cambiamento di una legge (quella elettorale) assolutamente ANTICOSTITUZIONALE e si comincia a parlare del finanziamento pubblico dei partiti. Manca solamente l'applicazione della legge del '57 e, per lo meno, qualcosa si è cominciata a fare. Poi si vedrà
un abbraccio
vittorio pedrali
Autore Città Giorno Ora
Patrick Boylan Roma 15/4/2013 16.55
Titolo:Risposta al quesito finale dell'editoriale "Il leninismo, l'arma segreta del cap...
La mia risposta breve è quella che lo stesso editoriale lascia intendere:
"Perché il M5S è uno strumento dei poteri forti per attuare la loro politica: in questo caso, spingere Bersani ad allearsi con Berlusconi, fortificando questo e rovinando definitivamente quello, facendo passare il programma Monti."

La mia risposta lunga, invece, appare in un brevissimo brano sul grillismo, che fa parte di un piccolo ebook -- 60 pagine -- che ho appena terminato sui motivi per l'apparente declino del pacifismo in Italia e sui segni di una possibile ripresa. (Sto alla ricerca di un editore, consigli benvenuti).

Tra i meccanismi che usa il Potere per logorare i pacifisti -- e chi contesta, in genere -- c'è l'"illusione elettorale", che serve a ridestare, con ogni voto, nuove speranze... che poi vengono puntualmente deluse. Alla lunga ciò produce rassegnazione e astensionismo – fin quando il ciclo non riparta con nuove illusioni.

Descrivo a questo riguardo l''effetto Obama – l'attesa speranzosa passivizzante – sul pacifismo americano: assolutamente devastante. Aggiungo che l'effetto Obama ha narcotizzato anche i pacifisti in Italia e nel mondo, seppure di meno. Poi aggiungo, a mo' d'inciso sull'illusione elettorale per quanto riguarda la politica in genere:

Ora nel Bel Paese assistiamo all'ondata Grillo che, anch'essa, “ridesta speranza” e che, essendo frutto della partecipazione di massa, dovrebbe rendere, non passiva, ma politicamente più attiva la popolazione. Tuttavia se i poteri forti italiani, che hanno saputo fermare in passato altri movimenti dal basso e telematici come il Popolo Viola, hanno tollerato quest'ondata, vorrà dire che calcolano – vedremo se a ragione o a torto – che l'effetto Grillo sarà, nei fatti, passivizzante quanto l'effetto Obama.

Intanto l'ondata Grillo è servita loro, non solo per assorbire la rabbia popolare impedendo scenari greci, ma anche per eliminare quei pochi parlamentari in carico, capaci di infastidire il governo perché controcorrente e competenti (l'IDV). E, ancora più grave, è servito per eliminare dall'intera scena politica i Comunisti, i Verdi e gli altri Rivoluzionari Civili, gli unici (col PCL) che individuano la controparte da battere nei poteri forti stessi, ossia in quell'1% della popolazione del paese che ne controlla metà della ricchezza e che utilizza, come servitori, la Casta di politici corrotti e di dirigenti strapagati che il M5S considera invece il nemico principale da combattere.

In altre parole, i poteri forti, sapendo che i partiti del “governo dei sacrifici” avrebbero necessariamente perso tanti voti, hanno preferito lasciar confluire quei voti in una forza politica che contesta i burattini, piuttosto che nelle forze (non importa se efficaci o meno) che contestano i burattinai, cioè loro.

Ma l'ondata M5S ha superato le previsioni dei poteri forti. Inoltre Grillo ha promesso in piazza che, per colpire l'1%, nel programma M5S ci sarebbe la nazionalizzazione delle banche. O almeno in linea di principio: in pratica, nel programma partorito sul sito M5S non ce n'è traccia – vedi: http://bit.ly/link-95 , http://bit.ly/link-905 .

Gli attivisti M5S, dunque, hanno davanti a loro due compiti essenziali se vogliono promuovere maggiore giustizia sociale in Italia e nel mondo – purché la struttura aziendalistica di M5S consenta loro di prendere tali iniziative:
-- individuare in quell'1% (e non nei servitori corrotti e strapagati di quell'1%) la vera controparte da combattere e colpire i loro meccanismi di indebita accumulazione;
-- evitare l'effetto Obama, mantenendo alta la partecipazione lucida e battagliera.

I poteri forti, invece, vorranno a questo punto dare il benservito al M5S. È stato un ottimo liquidatore della sinistra radicale, ma adesso può solo creare intralci. Quindi va liquidato a sua volta, facendolo fallire – ma lentamente. Così verrà rispettato il copione dell'illusione elettorale: speranza (anche a lungo) poi delusione poi sempre maggiore rassegnazione. Vi riusciranno?
Autore Città Giorno Ora
Gianluca Trentini Argenta (fe) 29/4/2013 23.00
Titolo:viva il movimento 5 stelle
Pur di impedire un cambiamento sono disposti a tutto. Sono disperati. Quattro persone: Napolitano, Bersani, Berlusconi e Monti si sono incontrate in un salotto e hanno deciso di mantenere Napolitano al Quirinale (**), di nominare Amato presidente del Consiglio, di applicare come programma di Governo il documento dei dieci saggi di area pdl/pd che tra i suoi punti ha la mordacchia alla magistratura e il mantenimento del finanziamento pubblico ai partiti. Nel dopoguerra, anche nei momenti più oscuri della Repubblica, non c'è mai stata una contrapposizione così netta, così spudorata tra Palazzo e cittadini. Rodotà è la speranza di una nuova Italia, ma è sopra le parti, incorruttibile. Quindi pericoloso. Quindi non votabile. Il MoVimento 5 Stelle ha aperto gli occhi ormai anche ai ciechi sull'inciucio ventennale dei partiti. Il M5S da solo non può però cambiare il Paese. E' necessaria una mobilitazione popolare.Ma voi cosa fate siete solo capaci di criticare, dove sono le vostre proposte ,scrivete per ego o per guadagnarvi lo stipendio?

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Commenti Articolo 515

Titolo articolo : La repubblica degli zombi!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: April/27/2013 - 12:10:28.

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PAOLO BEVILACQUA SCHIO 27/4/2013 12.10
Titolo:
concordo su tutto e sto facendo girare qs tua analisi.

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Commenti Articolo 516

Titolo articolo : Come in cielo cosi in terra Puntata n°15,di Don Aldo Antonelli

Ultimo aggiornamento: April/21/2013 - 10:12:32.

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Cesare Venturi Vignola 21/4/2013 10.12
Titolo:Piena condivisione del giudizio di p Antonelli su Radio Maria
Vorrei complimentarmi sinceramente con P Antonelli per i suoi commenti che appaiono sul sito.Con sorriso e tolleranza evangelica esprime giudizi ed opinioni dure ed efficaci su molte realtà, che inducono a riflettere e provocano ad un impegno cristiano autentico. In questo caso con le sue opinioni espresse su Radio Maria, mette in guardia contro gli imbonitori ed affaristi- i padroni di queste emittenti- che speculano sulle buona fede ed ingenuità di tanti ascoltatori, spesso più deboli, anziani o soli.L'ho sperimentato anche con miei familiari e conoscenti. Quanto è più facile fare da imbonitori e apparenti pacificatori,con una religiosità disncarnata , illusoria, davvero pagana e feticistica, come tante trasmissioni di Radio Maria, invece che richiamare al senso evangelico di amare il prossimo attraverso le scelte concrete e quotidiane , impegnandosi per la giustizia e la difesa dei più deboli. Le "forme religiose" costano meno in impegno, attraggono di più, illudono di farci star meglio, ma spesso sono più funzionali a chi non vuole cambiare e continua a sfruttare gli altri.
Grazie p. Antonelli così. Davvero buona lotta!

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Commenti Articolo 517

Titolo articolo : Quando l’industria della carne divora il pianeta,Di Agnès Stienne

Ultimo aggiornamento: April/20/2013 - 10:22:13.

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laura lucchini rome 20/4/2013 10.22
Titolo:considerazioni mancanti
salve. continua ad essere completamente assente da qualsiasi tipo di analisi la considerazione che ogni animale è un essere senziente che ha diritto alla vita, alla gioia e alla felicità , La società in cui viviamo non è l'unico modello possibile. E la crisi attuale dimostra l'urgenza di un ripensamento di ciò che si produce e perchè. Partire dal presupposto che l'animale non umano sia una merce salta a piè pari la riconsiderazione di una umanità che possa dirsi tale. la fine del lavoro, la fine delle risorse ( vista anche la inesistente equità di distribuzione),l'inquinamento e l'avvelenamento globale sono solo alcune delle conseguenze di una distruzione totale. E che dire degli allevamenti bio? gli facciamo una carezzina prima di ammazzarli?

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Commenti Articolo 518

Titolo articolo : DONNE NELLA CHIESA: IL PAPA PARLA. QUALCUNO SPERA,da Adista Notizie n. 14 del 13/04/2013

Ultimo aggiornamento: April/19/2013 - 14:01:36.

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giuseppe castellese altofonte 19/4/2013 14.01
Titolo:Papa Francesco supera femminismo e maschilismo
Sembra che Papa Francesco si muova verso la declericizzazione (laici che vogliono clericizzarsi e chierici che vogliono laicizzarsi) superando il fenomeno clericale con la opzione preferenziale verso il sacerdozio battesimale e quindi con il superamento di maschilismo e femminismo in una sola mossa. Una bella prospettiva per chi crede nella liberazione portata da Gesù.

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Commenti Articolo 519

Titolo articolo : COGITO, ERGO EST!  VICO E IL DESIDERIO DI ONNIPOTENZA DI CARTESIO. Una nota,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: April/18/2013 - 09:34:19.

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Federico La Sala Milano 18/4/2013 09.34
Titolo:VICO,.KANT E MARX : LA CARITA' COME PRASSI DI LIBERAZIONE ....
LA CARITA' ("CHARITAS") DI VICO SI COLLOCA NELLO STESSO ORIZZONTE DELL'IMPERATIVO CATEGORICO DI KANT (E, CUM GRANO SALIS, DI MARX". A partire da se stesso; rovesciare tutti i rapporti nei quali l’uomo è un essere degradato, assoggettato, abbandonato, spregevole:

- La religione "è la realizzazione fantastica dell’essenza umana, poiché l’essenza umana non possiede una realtà vera...
- La miseria religiosa è insieme l’espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l’oppio del popolo.
- Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigerne la felicità reale...
- La critica ha strappato dalla catena i fiori immaginari, non perché l’uomo porti la catena spoglia e sconfortante, ma affinché egli getti via la catena e colga i fiori vivi....
- La critica della religione finisce con la dottrina per cui l’uomo è per l’uomo l’essere supremo, dunque con l’imperativo categorico di rovesciare tutti i rapporti nei quali l’uomo è un essere degradato, assoggettato, abbandonato, spregevole" (Cfr.: K. Marx, Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, 1844)

Federico La Sala

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Commenti Articolo 520

Titolo articolo : Donna: priorità nella Chiesa di oggi,di Chiara Canta

Ultimo aggiornamento: April/17/2013 - 17:57:46.

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Autore Città Giorno Ora
cecilia bonatti milano 17/4/2013 17.57
Titolo:donne nella chiesa d'oggi
Grazie per il bellissimo contenuto del suo articolo : come si può fare perchè parole tanto illuminanti possano essere conosciute da molta più gente, soprattutto donne? I passaparola servono,ma non tanto. Qualche suggerimento? Grazie ancora
Cecilia Bonatti

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Commenti Articolo 521

Titolo articolo : Margaret Thatcher, la Pasionaria del privilegio,di Gennaro Carotenuto

Ultimo aggiornamento: April/17/2013 - 05:15:04.

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Autore Città Giorno Ora
Michele Rubini Terlizzi 17/4/2013 05.15
Titolo:Lady di Ferro
Mi complimento per l'articolo che in forma breve riesce "meravigliosamente" a descrivere un lasso di tempo storico-politico-economico molto delicato e complicato.Grazie.

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Commenti Articolo 522

Titolo articolo : A 5 STELLE O B&B ovvero LE CONSEGUENZE DELL’IDIOZIA COLPEVOLE,di Paolo Farinella, prete

Ultimo aggiornamento: April/15/2013 - 12:48:13.

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Autore Città Giorno Ora
Antonio Sarubbi Parma 15/4/2013 12.48
Titolo:vedere la realtà...
Gran bell'articolo, un bell'esempio di come si dovrebbe sempre saper "vedere la realtà" invece di trasformarla secondo le proprie illusioni. Mi sembra un'analisi perfetta.

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Commenti Articolo 523

Titolo articolo : LA PRETESA, LA MENZOGNA, E UNA SPERANZA. Un’omelia e una messa di papa Francesco, e un saggio del sociologo Luca Diotallevi. Riflessioni di Sandro Magister - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: April/12/2013 - 23:12:02.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/4/2013 16.13
Titolo:DIO ("CHARITAS") ED EU-CHARIS-TIA .... E I MERCANTI DEL TEMPIO
IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO .... MA DA CHI?! Alcune note a margine dell’incontro dei cattolici del 16 maggio di Firenze*

di Federico La Sala *

Ma da chi, avete ricevuto questo “vangelo” che predicate?!

Certamente non da Gesù: egli è “venuto al mondo per rendere testimonianza alla verità”. E certamente non avete ascoltato la sua voce: “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (Gv., 18.37).

Ma da chi, avete ricevuto questo “vangelo” che predicate?! A quale tavolo vi siete seduti, e con chi?!

Certamente non da Gesù e certamente non con Gesù: “Prendete, mangiate, questo è il mio corpo" (Mt. 26:26); “se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete vita in voi" (Gv. 6:53).

DALLA PRIMA LETTERA DI GIOVANNI:

- CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE ... DEUS CHARITAS EST (1Gv., 4. 1-16).

- CARISSIMI, NON PRESTATE FEDE A OGNI SPIRITO ... DIO E’ AMORE (1Gv., 4. 1-16).

In verità, se siete capaci di intendere e di volere, il vostro “vangelo” è il “van-gelo” del “latinorum”, dei don Abbondio e dei don Rodrigo ... dei “Papi” di oggi, e di Ratzinger!!!

E il vostro Padre è “Mammona” (“Caritas”)!!! E’ ora di svegliarsi - al di là del disagio e del dissenso!!! Avete ricevuto e predicate un “van-gelo”, gelido e mortifero che non ha nulla a che fare con la buona-novella (eu-angelo), il messaggio evangelico!!!

DEUS CARITAS EST (2006). Il teologo Ratzinger scrive da papa - senza grazia (“charis”) e senza “h” (acca) - una enciclica sul “Padre nostro” (“Deus charitas est”: 1 Gv. 4.16) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo - nonostante l’Anno della Parola e il Sinodo dei Vescovi (2008).

Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!! Benedetto XVI: Deus caritas est, 2006 d. C.!!!

Su questa base, in un tempo (con che segni!) in cui i Papi si confondono con i “Papi” e il Papa in persona parla del Padre Nostro (Deus charitas) come “Mammona” (Benedetto XVI, Deus caritas est, 2006) e con tutta la gerarchia vaticana appoggia il cavaliere “Papi della Patria” (come già ieri il cavaliere “Uomo della Provvidenza”), il discorso “per una chiesa della fraternità” e della sororità (G. Ruggieri, Relazione: Il Vangelo che abbiamo ricevuto), se non è da conniventi, è quantomeno ... da sonnambuli!!!

Se è vero, come è vero, che “i suoni emessi con la voce sono simboli (sùmbola) delle passioni (pathémata) dell’anima, ed i segni scritti sono simboli dei suoni emessi dalla voce”( Aristotele, De Interpretatione, 16a), ciò significa che le passioni che si agitano nelle vostre anime non dicono affatto del messaggio evangelico .... E che la vostra tradizione - falsa e menzognera - semplicemente non ha più (se mai l’ha avuto) nessun rapporto con la tradizione evangelica, e “simbolica”!!!**

E la proposta di ogni “prassi sinodale” sotto il vostro controllo ... è solo un’operazione per vendere a caro-prezzo (“caritas”) la grazia del vostro Dio Mammona (Benedetto XVI, Deus caritas est, 2006 d. C.)!!!

Io sono la Via, la Verità, la Vita... Il vostro “vangelo” è una parola ingannevole e un cibo avvelenato, che non ha nulla a che fare con la Lettera e lo Spirito del messaggio di Gesù Cristo, il figlio del Dio Vivente.

* Per gli interventi al convegno del 16 maggio, si cfr.: www.ildialogo.org/parola

* IL DIALOGO, Martedì 26 Maggio,2009 Ore: 11:59
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/4/2013 23.12
Titolo:L'ASTUZIA DELLA RAGIONE CATTOLICO-ROMANA .....
"È significativo che l’espressione di Tertulliano: "Il cristiano è un altro Cristo", sia diventata: "Il prete è un altro Cristo"" (Albert Rouet, arcivescovo di Poitiers, 2010).

________________________________________________________________


PAOLO DI TARSO, L’ASTUTO APOSTOLO DELLA GRAZIA ("CHARIS") E DELL’ AMORE ("CHARITAS"), E LA NASCITA DEL CATTOLICESIMO-ROMANO! UNA NOTA

di Federico La Sala *

(...) non equivochiamo! Qui non siamo sulla via di Damasco, nel senso e nella direzione di Paolo di Tarso, del Papa, e della Gerarchia Cattolico-Romana: “[... ] noi non siamo più sotto un pedagogo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Galati: 3, 25-28).
- Nella presa di distanza, nel porsi sopra tutti e tutte, e nell’arrogarsi il potere di tutoraggio da parte di Paolo, in questo passaggio dal noi siamo al voi siete, l’inizio di una storia di sterminate conseguenze, che ha toccato tutti e tutte. Il persecutore accanito dei cristiani, “conquistato da Gesù Cristo”, si pente - a modo suo - e si mette a “correre per conquistarlo” (Filippesi: 3, 12): come Platone (con tutto il carico di positivo e di negativo storico dell’operazione, come ho detto), afferra l’anima della vita evangelica degli apostoli, delle cristiane e dei cristiani, approfittando delle incertezze e dei tentennamenti di Pietro, si fa apostolo (la ‘donazione’ di Pietro) dei pagani e, da cittadino romano, la porta e consegna nelle mani di Roma. Nasce la Chiesa ... dell’Impero Romano d’Occidente (la ‘donazione’ di Costantino). La persecuzione dei cristiani, prima e degli stessi ebrei dopo deve essere portata fino ai confini della terra e fino alla fine del mondo: tutti e tutte, nella polvere, nel deserto, sotto l’occhio del Paolo di Tarso che ha conquistato l’anima di Gesù Cristo, e la sventola contro il vento come segno della sua vittoria... Tutti e tutte sulla romana croce della morte.

Egli, il vicario di Gesù Cristo, ha vinto: è Cristo stesso, è Dio, è il Dio del deserto... Un cristo-foro dell’imbroglio e della vergogna - con la ‘croce’ in pugno (e non piantata nella roccia del proprio cuore, come indicava Gesù) - comincia a portare la pace cattolico-romana nel mondo. Iniziano le Crociate e la Conquista. Il Dio lo vuole: tutti i popoli della Terra vanno portati nel gelo eterno - questo è il comando dei Papi e dei Concili, cioè delle massime espressioni dell’intelligenza astuta (quella del Dio di Ulisse e della vergine Atena, non del Dio di Giuseppe e di Maria) del Magistero della Chiesa, alle proprie forze armate... fino a Giovanni Paolo II, al suo cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e alla Commissione teologica internazionale, che ha preparato il documento “Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato”.

Uno spirito e un proposito lontano mille miglia, e mille anni prima di Cristo, da quello della “Commissione per la verità e la riconciliazione”, istituita in Sudafrica nel 1995 da Nelson Mandela, per curare e guarire le ferite del suo popolo. Il motto della Commissione bello, coraggioso, e significativo è stato ed è: “Guariamo la nostra terra”!

*

Si cfr.: Federico La Sala, L’enigma della Sfinge e il segreto della Piramide, Ripostes, Roma-Salerno 2001, pp.23-25.

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Commenti Articolo 524

Titolo articolo : INCREDIBILE!!! Il nuovo Papa, TIFA PER IL NAPOLI!!!,

Ultimo aggiornamento: April/10/2013 - 22:12:50.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/3/2013 18.57
Titolo:UN PAPA SUPERTIFOSO. «Bergoglio consigliava il bomber e poi celebrava Messa»
L'INTERVISTA

«Bergoglio consigliava il bomber
e poi celebrava Messa»

di Massimiliano Castellani (Avvenire, 20 marzo 2013)

​Il calcio è come il mate, scorre da sempre nelle vene di papa Francesco. Un affare “quasi di famiglia” il football. «Il papà del piccolo Jorge lo portava ogni domenica ad assistere alle partite al viejo Gasómetro» – racconta il popolo del Boedo – lo stadio del suo amato San Lorenzo de Almagro. E la mamma era una Sivori, omonima del grande Omar della Juventus, l’“oriundo” di origini liguri. Perciò, «nel petto di papa Bergoglio da sempre batte un cuore azulgrana», come conferma José Capria, già segretario Generale dell’Atletico San Lorenzo de Almagro e responsabile per conto del club delle relazioni con il cardinal Bergoglio (intervistato in collaborazione con Luca Collodi nel corso della trasmissione “Non Solo Sport” del canale italiano della Radio Vaticana).

Un Papa “supertifoso” del vostro club, come avete festeggiato alla notizia della sua elezione?

La società, a nome del presidente Matías Lammens e del segretario generale Marcelo Vazquez, ha indirizzato un saluto affettuoso al cardinal Bergoglio scrivendo: «Il Papa del San Lorenzo». Gli abbiamo ricordato della sua partecipazione ai momenti più importanti della vita della Polisportiva San Lorenzo, da sempre legata all’oratorio della parrocchia del quartiere Boedo. E poi la sua celebrazione della Santa Messa, nel 2008, per il “Centenario” del club e soprattutto l’inaugurazione della cappella dell’Istituzione. Un momento molto toccante per tutti noi.

Ma come nasce la passione di papa Bergoglio per il San Lorenzo?

La “preferenza” di papa Francesco, che per noi è ancora Jorge Bergoglio, è nata tanto tempo fa. Sin da bambino, ha manifestato il suo amore e il suo interesse per i colori azulgrana. Assieme al padre ha fatto parte del club, ha praticato diversi sport: calcio, basket e anche il rugby che io sappia. È sempre stato legato al movimento istituzionale e sportivo del San Lorenzo, seguendo da vicino la crescita agonistica e umana dei ragazzi della Polisportiva.

Il Papa è solo un appassionato, un tifoso o anche un vero esperto di calcio?

È informato di tutti gli aspetti tecnici del football. Posso assicurare che si intende di calcio come di altri argomenti più importanti di cui deve occuparsi ogni giorno. Un esempio? Nel 2003 si ritirò un nostro grande giocatore, Alberto Acosta, più volte capocannoniere del San Lorenzo e con lui il cardinal Bergoglio parlava spesso, consigliandogli perfino la posizione da tenere in campo... Però, più che un “tattico”, è un pastore che sta a stretto contatto con il suo gregge. E qui, in Argentina, il gregge si occupa sempre di football.

Secondo lei, c’è anche una squadra italiana che sta a cuore al Santo Padre?

Questo davvero non lo so. Io so soltanto che è socio del San Lorenzo e quando è venuto a celebrare la Santa Messa per il “Centenario” gli abbiamo donato la tessera 88235N-0. E quella domenica, puntualmente, era in tribuna al Gasometro per assistere alla partita e tifare con tutto il suo cuore per noi.

Cosa lo ha affascinato del San Lorenzo oltre alla vicinanza del quartiere in cui è cresciuto

Sicuramente le origini salesiane e il fatto che la nostra Polisportiva sia stata fondata da padre Lorenzo Massa. Il cardinale Bergoglio, papa Francesco, aveva un’affinità importante con padre Massa e con la sua filosofia di prete di strada che viveva e operava a completa disposizione dei giovani del barrio.

Un altro “cuervo” (corvo), alias tifoso del San Lorenzo, è stato anche Osvaldo Soriano, il più grande narratore di calcio. Si conoscevano con papa Francesco?

Non so se si siano mai incontrati in privato, però sono sicuro che papa Francesco abbia letto e apprezzato i romanzi e gli scritti sportivi di Soriano, che oltre ad essere un grande scrittore, ha raccontato magistralmente del suo amore per la nostra “camiceta azulgrana”.

State pensando con la squadra a una tournée in Italia per giocare davanti al Papa?

Proveremo a organizzarla. Il fatto che il cardinale Bergoglio sia stato eletto Papa apre certamente una serie di opportunità importanti per il San Lorenzo di farsi conoscere e apprezzare di più a livello internazionale.

E lo stadio Gasómetro ora potrebbe essere intitolato a papa Francesco?

È un’idea suggestiva che abbiamo avuto subito, ma che deve tenere conto anche dei tanti passaggi istituzionali. Ci rimettiamo alla volontà del nostro papa Francesco che poi è quella del Signore. Con il tempo sapremo cosa fare...

Massimiliano Castellani
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/3/2013 12.09
Titolo:E il mondo scoprì il San Lorenzo de Almagro ...
Il preferito del Papa si chiama San Lorenzo

di Paolo Ziliani (il Fatto Quotidiano, 25 marzo 2013)

Non poteva che diventare tifoso del San Lorenzo Jorge Bergoglio, 76 anni, argentino, dal 13 marzo Papa Francesco, l’uomo che si è presentato al mondo dicendo: “Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri”. Parola più parola meno è un po’ quel che dovette pensare, a inizio secolo, padre Lorenzo Massa, prete salesiano della parrocchia di Calle Mèxico, nel quartiere Boedo a Buenos Aires, vedendo giocare a pallone, in strada, i ragazzi di Almagro, il barrio confinante.

Siamo all’alba del 1900 e un giorno, durante una partita, un ragazzo viene investito e ferito dal passaggio di un tram. “Ah, come vorrei una squadra povera e per i poveri”, pensa don Lorenzo. Che senza esitare spalanca le porte della parrocchia ai ragazzi di Almagro e li invita a giocare a pallone nel cortile dell’oratorio, al riparo da pericoli.

In cambio, i ragazzi s’impegnano a presenziare in massa, ogni domenica, alla santa messa; e il primo aprile del 1908, seriamente e non per scherzo, si riuniscono in una sala dell’oratorio e fondano solennemente il club di calcio, che in onore di don Lorenzo chiamano San Lorenzo de Almagro. Squadra di poveri. E per i poveri, appunto.

Il calcio è una passione in casa Bergoglio, a Buenos Aires. E non tanto perché Regina Maria, la mamma di Jorge, di cognome fa Sivori. In verità, chi va matto per il football è Mario, il papà, funzionario delle ferrovie, partito da Genova nel 1928 per cercare fortuna in Argentina.

Con il lavoro, in casa Bergoglio sono arrivati anche 5 figli; e quando Jorge, il quartogenito, compie 10 anni, papà decide che è ora di portarlo a vedere una partita del San Lorenzo, che poi sarebbe la sua squadra del cuore.

Mano nella mano a papà Mario, il piccolo Jorge entra nel maestoso Estadio Gasòmetro - così battezzato per la collocazione tra i gasometri adiacenti alla sua struttura esterna - trattiene il fiato perché 75.000 persone tutte assieme, in vita sua, non le ha mai viste: e poi, in una bolgia inaudita, vede sbucare sul prato undici calciatori con la maglia a strisce verticali blu e rosse, i pantaloncini blu, i calzettoni blu.

Jorge guarda papà Mario battere le mani e lo fa anche lui. E’ un momento importante: Jorge Bergoglio, che ha 10 anni e ancora non sa che un giorno diventerà Papa, diventa ufficialmente - per ora - tifoso del San Lorenzo.

E’ il 1946. “Ricordati - gli spiega papà Mario - che noi non siamo forti come il Boca e il River, che hanno vinto 10 degli ultimi 12 titoli. Noi siamo più poveri, ma non per questo non possiamo vincere. L’abbiamo già fatto una volta, nel ‘33, quando tu ancora non eri nato: ma ora abbiamo una squadra fortissima”.

Papà ha ragione. Boca Juniors e River Plate spopolano da un decennio, ma il San Lorenzo, nell’anno di grazia 1946, si ritrova con un tridente d’attacco da far tremare le vene ai polsi (agli avversari): Renè Pontoni, Armando Farro e Rinaldo Martino sono un’iradiddìo, fermarli è impossibile e con i loro gol il San Lorenzo vince, clamorosamente, il suo secondo titolo, il primo per il piccolo Jorge Bergoglio che adesso non vuole più perdersi una partita de “El Ciclòn” , il soprannome del San Lorenzo. Meno ricco di club come Boca, River, Racing e Indipendiente: tant’è vero che due anni dopo vende Martino, l’idolo di Jorge, a un club italiano di nome Juventus.

Jorge sentirà dire che Martino, con la maglia banca e nera a strisce verticali della Juventus, è riuscito a vincere pure il titolo di campione d’Italia con compagni dai nomi a lui sconosciuti: Mari, Parola, Piccinini, Praest, Boniperti, Vivolo, Hansen. Vorrà dire che tiferò un po’ anche per questa squadra dal nome così bello - pensa Jorge -, ma sia chiaro: con Martino o senza, la mia squadra del cuore resta il San Lorenzo. Coi suoi colori rossi e blu.

Ma la vita è strana. E chissà cosa avrebbe pensato, quel piccolo tifoso de “El Ciclòn”, se qualcuno a 10 anni gli avesse detto che un giorno lontano, anzi proprio lontanissimo, il San Lorenzo avrebbe stampato il suo nome sulle casacche, che per questo sarebbero andate a ruba. Forse non ci avrebbe creduto, ma la vita è strana - appunto - e la cosa è successa per davvero.

E adesso stanno facendo il giro del mondo le foto di Jorge Bergoglio - che nel frattempo ha 76 anni ed è diventato Papa di Roma -, proprio lui, il possessore della tessera n. 88235 del club di Almagro, che mostra sorridente al mondo la maglia appena recapitatagli dal suo club: la maglia indossata nella partita contro il Colon, la prima dopo la fumata bianca a Piazza San Pietro a Roma, con la scritta “Francisco”, e un’aureola, stampati sulla schiena e l’immagine di Jorge, in abito talare bianco, stampata sul petto e molto prosaicamente collocata tra stemma sociale e nome dello sponsor italiano (“Lotto”, che è come se avesse vinto al Superenalotto).

Ebbene: sono tali e tante le richieste di acquisto, che giungono da ogni parte del mondo, della “maglia del Papa”, che il San Lorenzo ancora non sa come farvi fronte. Per il momento ha fatto la sola cosa che Jorge Bergoglio avrebbe certamente approvato: ha messo all’asta le maglie della partita con il Colon e ha destinato il ricavato ai poveri trasformando i suoi giocatori - che si chiamano Luna e Cetto, Prosperi e Palomino, Piatti e Stracqualursi - in tanti, improvvisati San Francesco dell’era moderna: quelli che si tolgono i vestiti per soccorrere i bisognosi.

Di colpo, Papa Francisco è riuscito a realizzare per il San Lorenzo un’impresa che il club, in 105 anni di storia, non era mai riuscito nemmeno a sfiorare: arrivare cioè alla fama internazionale come il Boca Juniors e come l’Independiente, e passi se quest i club l’hanno fatto vincendo 7 Coppe Libertadores (l’Independiente) e 6 (il Boca), oppure 3 Coppe Intercontinentali (il Boca) e 2 (l’Independiente). Il San Lorenzo, con i suoi 5 titoli nazionali (33, 46, 59, 72 3 74), i 2 del Torneo Metropolitano (68 e 72) e i 3 del Torneo Clausura (95, 2001, 2007) non era mai andato al di fuori dei confini argentini . Oggi invece tutto il mondo ne parla per la più inattesa della affermazioni: quella di un suo tifoso tesserato. Salito sul tetto del mondo senza bisogno di essere premiato da Blatter o da Platini.

E insomma: al principio fu Papa Giovanni XXIII, al secolo Giuseppe Roncalli, che nel 1962 - da buon bergamasco - volle benedire l’Atalanta prima di una partita di campionato contro la Roma (per la cronaca finì 3-1 per la Roma, ma l’Atalanta a fine stagione finì 6^, miglior piazzamento di sempre); poi arrivò Karol Wojtyla, e quella foto in bianco e nero del settimanale di Cracovia “Tygodnik Powszechny” che lo ritraeva calciatore negli anni 50; e a non fare mistero del suo tifo per il Bayern di Monaco ci si mise persino Benedetto XVI, alias Papa Ratzinger che volle benedire la nazionale tedesca prima dei Mondiali del 2006 in Germania anche se i gol di Grosso e di Del Piero, alla fine, poterono di più.

Poi un giorno in Vaticano arrivò Papa Francisco. Con la forza di un “Ciclòn”. E il mondo scoprì il San Lorenzo de Almagro
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/4/2013 22.12
Titolo:LA SQUADRA DEL PAPA Il tifoso Bergoglio saluta i rappresentanti del San Lorenzo
AVVENIRE 10 aprile 2013



LA SQUADRA DEL PAPA

Il tifoso Bergoglio saluta i rappresentanti
del San Lorenzo de Almagro

«Siamo orgogliosi di avere un socio e un tifoso come papa Francesco».

L'espressione del volto, si legge sul quotidiano della Santa Sede l'Osservatore Romano, tradisce l'emozione e la gioia di Matìas Lammens, presidente del Club Atlético San Lorenzo de Almagro, la squadra di calcio di Buenos Aires per la quale tiene il pontefice. È in prima fila all'udienza generale in piazza San Pietro. Lo accompagnano Leonardo Lipera, tesoriere, e Miguel Mastrosimone, segretario dell'undici argentino ormai noto come «il club del Papa».

Il legame tra Bergoglio e il San Lorenzo risale a moltissimi anni fa, quando il piccolo Jorge Mario, accompagnato dal padre, che giocava a pallacanestro nella società polisportiva del sodalizio, si recava allo stadio a vedere le partite.

Divenuto arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio ha smesso di andare allo stadio ma non ha perso i contatti con il club. Tanto che ha fatto visita più volte alla sua sede: l'ultima è stata nel 2011, quando, racconta il presidente, «è venuto a inaugurare la nostra cappella e vi ha celebrato la Messa». Oggi «con questo incontro vogliamo ringraziarlo per la sua attenzione nei nostri confronti; e lo invitiamo a tornare nella nostra sede, che ben conosce, e ad assistere a una partita allo stadio», dice Lammens.

Il papa che oggi ha riassunto la catechesi e salutati i pellegrini spagnoli nella sua lingua madre per la prima volta, spiega, «ha messo la nostra squadra al centro dell'attenzione del mondo. Riceviamo centinaia di telefonate da ogni parte, anche dai posti più insoliti». I dirigenti hanno regalato al Santo Padre una maglietta, un libro con la storia della squadra e una stola, copia di quella che usava il salesiano fondatore del club, Lorenzo Bartolomé Martín Massa, che il Papa «ammira molto».

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Commenti Articolo 525

Titolo articolo : ATTENZIONE A MAGHI E A TAROCCHI: SOLO GESU'  - SOLO "DIO SALVA"!  MA QUALE GESU', QUALE DIO, QUELLO DEL MESSAGGIO EVANGELICO O QUELLO DI COSTANTINO? Una nota su un intervento di Papa Francesco ,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: April/08/2013 - 22:27:31.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/4/2013 22.24
Titolo:QUALE "PADRE NOSTRO? QUALE CHIESA?
Gesù e il dio "charitas" del messaggio evangelico

PREMESSA:

- Marco 7,31-37:

- Di ritorno dalla regione di Tiro, passò per Sidone, dirigendosi verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
- E gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano.
- E portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: «Effatà» cioè: «Apriti!».
- E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
- E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!».



"Gesù" e il dio "caritas" del cattolicesimo-costantiniano

James Joyce, Finnegans Wake:

"He lifts the lifewand and the dumb speak:
Quoiquoiquoiquoiquoiquoiquoiq"

"Egli brandisce la bacchetta della vita e il muto parla:
Quoiquoiquoiquoiquoiquoiquoiq" *


VALE A DIRE:

Quàquàquàquàquàquàquàquàquàq


* Cfr.: James Joyce, Finnegans Wake, Libro Primo V-VIII, Oscar Mondadori, Milano 2001, pp. 195-195 bis.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/4/2013 22.27
Titolo:CHARITAS. SE DIO SI E’ FATTO PAROLA, IO NON POSSO GIOCARE CON LE PAROLE
I CARISMI

di don Mauro Agreste *

1) OGGI PARLIAMO DEI CARISMI Oggi parliamo dei carismi ed è importante averne una conoscenza un pochino più strutturata, perché come catechisti nelle vostre comunità parrocchiali, ma anche nei gruppi di preghiera, è bene che abbiate una conoscenza il più possibile ampia su questo tema. Tutto sommato è stato lasciato per molti versi ad alcuni gruppi ecclesiali, oppure a degli alti studi universitari nell’Università Pontificia. Il tema dello spirito dei carismi è un tema che fa parte della vita della Chiesa; se ne tratta nel Concilio e nella Lumen Gentium. Al n°12 dice che la Chiesa costituita dal popolo di Dio è per così dire, il luogo in cui si esercitano i carismi, ognuno per la sua propria specificità. Però la maggior parte delle persone, quando sentono dire la parola carisma non è che abbiano molto chiaro in mente di che cosa si tratti, è vero?

2) PAROLA USATA E ABUSATA DA MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA Per di più questa parola è stata usata e abusata da giornalisti, da mezzi di comunicazione di massa non per indicare il significato preciso della parola carisma, quanto invece per indicare la capacità che ha una persona di attirare l’attenzione degli altri in qualunque campo, con la sua propria capacità di emergere sugli altri. Quindi in senso generico la parola carisma o personaggio carismatico all’interno della Chiesa e di alcuni gruppi ecclesiali vieni intuita in un certo modo. All’infuori della Chiesa il personaggio carismatico è un personaggio che ha delle chances in più, ha un savoir faire diverso in tutti i campi, sportivo, politico, ecc. ecc. da emergere e attirare l’attenzione, quasi catalizzando l’attenzione degli altri.

3) CARISMA HA LA STESSA RADICE DELLA PAROLA CARITÀ Ma che cos’è dunque il carisma e da che cosa nasce? Intanto la parola carisma deriva dal greco e come voi potete benissimo accorgervi contiene dentro di sé una radice, charis, che è la stessa radice della parola carità. Ora la parola carità, anche se abbiamo una vaga intuizione, è una parola che ha significati molto complessi e molto profondi, per cui almeno nel nostro linguaggio teologico, non è facile definire la carità semplicemente come un atteggiamento. La carità è prima di tutto una caratteristica di Dio stesso, una caratteristica essenziale, tant’è vero che gli antichi dicevano: Deus est charitas da cui gli antichissimi inni, ubi charitas et amor Deus ibi est, dov’è carità e amore lì c’è Dio. Dunque carità ha in sé questa radice charis, che significa qualche cosa di forte, di caldo, di vivo, di avvolgente. Viene cantato nel Veni Creator, si parla dello Spirito Santo e si dice che lo Spirito Santo è ignis, fuoco, fuoco di carità, fuoco di amore.

4) CARITÀ E AMORE VENGONO SPESSO USATI COME SINONIMI Carità e amore vengono spesso usati come sinonimi per una semplice ragione, sono entrambi concetti estremamente profondi. Se tu dici amore, è sufficiente dire amore per capire tutto ciò che significa la parola amore? No, cioè lo usiamo convenzionalmente però noi sappiamo che l’amore autentico per esprimerlo, per significarlo è molto difficile. Ricordate questa mattina il brano del Vangelo che è stato letto: nessuno ha un amore più grande se non colui che muore per i propri amici. Quindi vedete l’amore coinvolge fino alla donazione della vita. L’amore esige per esempio il concetto, che deve essere chiaro, della capacità di donarsi. Amore e donazione totale coincidono; però quando io dico amore non dico solo donazione totale, dico anche gioia, dico anche situazione di protezione. Una persona che ama è una persona che ne sta proteggendo un’altra; una persona che si sente amata è una persona che si sente protetta. Il concetto di guida: chi ama guida; chi è amato si sente guidato non gettato allo sbaraglio. Voi potete immaginare quale grande significato c’è nella parola amore; viene considerata sinonimo di carità, però entrambe hanno una specificità; che l’amore e la carità sono due realtà vive, coincidono con Dio.

5) PARLARE DI CARITÀ SIGNIFICA PARLARE DI GRAZIA Quindi parlare di carità, significa parlare di grazia, che charis è una traslitterazione, è la radice della parola greca che significa grazia. Che cos’è la grazia? Non è la gentilezza nei movimenti, la grazia è lo Spirito Santo in azione, lo Spirito Santo mentre agisce, lo Spirito Santo che sta agendo. Vieni Padre donaci la tua santa grazia, donaci cioè lo Spirito Santo che agisce dentro di noi. Ricordatevi che anche se avete il concetto chiaro nella mente, quelli che sono davanti a voi fraintendono facilmente, soprattutto queste cose complesse. Quindi dovete avere sempre l’idea di parlare a un bambino di 5 anni e state tranquilli che le persone davanti a voi non si sentiranno umiliate e non vi disprezzeranno se voi parlerete il più semplice possibile.

6) CHIEDI CHE LO SPIRITO SANTO VENGA AD AGIRE DENTRO DI TE Allora, donaci la santa grazia, certo che vuol dire donaci la capacità e la disponibilità a seguire i suggerimenti dello Spirito, però tu chiedi proprio che lo Spirito Santo venga ad agire dentro di te, però non senza di te. Quando invochiamo la grazia di Dio su di noi, invochiamo lo Spirito Santo che venga ad animarci dall’interno, come il lievito che fa lievitare tutta la pasta; il lievito non fa sparire la pasta, la fa solo lievitare; certo se non c’è la pasta puoi mettere anche un chilo di lievito che tanto non lievita niente. Allora quando si dice grazia si dice Spirito Santo in azione. Cosa vuol dire charis? Grazia. Cosa vuol dire grazia? Spirito Santo in azione. Lo Spirito Santo aleggiava sopra le acque informi, quindi lo Spirito Santo era già in azione appena Dio ha fatto esistere qualche cosa, ancora non c’era la luce, ma già lo Spirito Santo era in azione. Lo Spirito Santo agisce continuamente. L’ultimo versetto dell’Apocalisse dice: lo Spirito Santo e la sposa gridano Maranthà, vieni Signore Gesù. Quindi attenzione bene, tutta la Bibbia è contenuta da questa azione di Spirito Santo, dunque, tutta la storia degli uomini è contenuta in questi due punti fondamentali: lo Spirito Santo che aleggia e lo Spirito Santo che anima dicendo vieni. Gli uomini non si accorgono dell’azione dello Spirito Santo.

7) NUTRIRE UNA PARTICOLARE ADORAZIONE DELLO SPIRITO SANTO Allora i catechisti hanno questo compito fondamentale, fra tutti gli altri, di nutrire una particolare adorazione dello Spirito Santo. Dico giusto quando dico adorazione, per una semplice ragione, quale? Perché lo Spirito Santo è Dio. Quindi il catechista che non adora lo Spirito Santo non so che razza di catechista voglia essere. Lo Spirito Santo è la grazia che agisce dentro di noi. Il catechista che si mette al servizio della Chiesa, come fa a mettersi al servizio dicendo l’amore per Gesù se non è lo Spirito Santo a comunicarglielo?

8) PARLARE DI SPIRITO SANTO E DIO COME DUE PERSONE SEPARATE Domanda: questo fatto di parlare di Spirito Santo e Dio come due persone separate, non rischia di confonderci? E quando parliamo del Padre separato dal Figlio, non si rischia di creare dei problemi? Nelle dispense degli anni passati c’è quel disegno molto bello che si riferisce allo schema intuitivo su Dio e le sue tre persone. Dio è Padre, è Figlio e Spirito Santo, un solo Dio, però il Padre non è il Figlio, non è lo Spirito Santo e lo Spirito Santo non è il Padre. È chiaro che la nostra mente è così limitata che noi non riusciamo a capire, possiamo solo contemplare.

9) FACCIAMO PARTE DELLA TRINITÀ Di più ancora. Facciamo parte di questa Trinità, con il Battesimo siamo entrati dentro la Trinità, perché siamo con Gesù una cosa sola. Siamo entrati nella Trinità, però non siamo Dio, siamo esseri umani, però facciamo parte della Trinità. Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; quindi la volontà di Dio è che siamo immersi ( bactizzomai verbo greco che significa essere immersi ) in tutto Dio Padre, in tutto Dio Figlio e in tutto Dio Spirito Santo. Questo vuol dire che dentro di noi c’è tutto Dio Padre, tutto Dio Figlio, tutto Dio Spirito Santo e come lo spieghi questo? Quando tu vai a fare la comunione prendi un’ostia grande così, tu sai che lì dentro c’è il Dio Eterno e Infinito, Signore della storia e dei secoli. Sotto un velo di pane c’è il mistero di tutto ciò che esiste. Possiamo intuire. Come dice l’inno Pange Lingua. Visus tactus gustus in te fallitur, la vista il tatto il sapore falliscono, perché tutto quello che i sensi constatano è fallace, non i sensi ma la fede conosce questa verità. Allora con la fede tu accetti, il mistero lo contempli, però non lo capisci. Perché capire dal latino càpere vuol dire prendere e tenere stretto, contemplare invece significa guardare, ma non da soli, sostenuti. Tu puoi guardare il mistero di Dio da solo, lo puoi contemplare cioè tu puoi entrare nel tempio insieme a qualcuno, contemplare entrare nel tempio insieme a qualcuno. Tu non possiedi il tempio è il tempio che possiede te.

10) IL CATECHISTA DEVE PARLARE UN ITALIANO SEMPLICE E COMPRENSIBILE Attenzione, perché usiamo la lingua, ma non la conosciamo e un catechista non può permettersi questo. Un catechista deve parlare un italiano semplice e comprensibile a quelli che ha di fronte però deve conoscere dieci o venti volte di più di quello che sta dicendo agli altri, se no che cosa sta comunicando? Certamente ai bambini non puoi dire le specificità dei termini che vi sto spiegando, però su tu non conosci il significato delle parole, tu insegnerai delle cose sbagliate e noi non possiamo permetterci di fare questo, se no non stiamo divulgando il Vangelo di Gesù Cristo, ma il Vangelo secondo noi. Quindi ricordatevi, è un servizio fatto a Dio quello anche di essere precisi nel linguaggio che si usa. Siate precisi cercando di conoscere il più possibile il significato delle parole che usate, anche le più comuni. E chiedete allo Spirito Santo che vi dia una struttura logica del pensiero: soggetto, predicato, complemento. Diversamente il vostro discorso non sarà compreso da chi vi ascolta; piuttosto articolate frasi e concetti brevi non un discorso lungo e strutturato. Fate discorsi brevi, frasi brevi, ma che siano chiare.

11) LA CONIUGAZIONE DEI VERBI DEVE ESSERE PRECISA State anche attenti alla coniugazione dei verbi, che deve essere precisa, perché un verbo al condizionale ha un significato diverso da un verbo all’indicativo; perché un verbo all’indicativo indica una realtà, un obbligo imprescindibile, un verbo al condizionale indica una possibilità cioè una dualità di realtà; i congiuntivi sono verbi di consequenzialità; se io nella mente non ho l’idea della consequenzialità delle cose, non userò il congiuntivo, userò l’indicativo e renderò tutto obbligante.

Ricordatevi che abbiamo a che fare con le parole, che noi abbiamo la parola di Dio nella mano e siamo i catechisti, non ci possiamo permettere di giocare con le parole, perché da come io uso le parole, favorisco o freno il passaggio del concetto di Dio. Senza diventare fanatici, senza esagerare, però o prendiamo sul serio il nostro servizio reso a Dio. Quindi tutto quello che dipende da me io cerco di farlo al meglio che posso, oppure facciamo come fanno tanti che improvvisano tutto, vanno avanti e non si rendono conto che stanno giocando con Dio. Se sul Vangelo c’è scritto: in principium erat verbum et verbum erat aput deum et verbum erat deum, allora questo ci fa capire che in principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio.

12) SE DIO SI E’ FATTO PAROLA, IO NON POSSO GIOCARE CON LE PAROLE Se Dio si è fatto la parola che noi possiamo intuire e capire, io posso giocare con le parole? No. Non dico questo perché dobbiamo spaventarci, sentirci colpevolizzati, però sentiamo la necessità di pensare le parole che usiamo e pensare le frasi che usiamo, perché se io devo parlare a dei bambini, dovrò rendere estremamente semplice un discorso difficilissimo. Però usando delle parole che siano giuste, che cerchino di generare meno equivoci possibili, adatte al vocabolario che è in possesso a un bambino di 7-10-12-15 anni, senza mai cedere ad accettare una connotazione di linguaggio che non sia più che dignitosa ed elegante.

13) IL CATECHISTA NON USA MAI PAROLE EQUIVOCHE Se ci sono dei modi di dire che esprimono il concetto di essere arrabbiati in un certo modo, il catechista non li usa mai, neanche quando sta da solo. Se ci sono parole equivoche il catechista si deve abituare non solo a non usarle lui, ma a sentirne ribrezzo quando le sente pronunciare da altri, perché il catechista sta usando con la propria lingua un mezzo di evangelizzazione. Dunque l’apostolo san Giacomo dice nella sua lettera al cap. 4 che chi domina la lingua domina tutto il resto del corpo.

Ora un catechista che non domina la lingua come può produrre negli altri un cambiamento di vita, se le parole che escono da lui sono sporcate da una incapacità di dominare la lingua? Naturalmente quando dico capacità di dominare la lingua non mi riferisco solamente a un linguaggio volgare e pesante, mi riferisco anche a un modo di gestire il linguaggio. Una persona che non è capace a non criticare, una persona dalla cui bocca esce sempre una parola di critica, di giudizio, di condanna, di curiosità, di pettegolezzo ecc. può giustamente essere catechista? Non può. Un catechista che non sente fondamentale dentro di sé l’imperativo di sapere quello che sta dicendo, come lo sta dicendo e non si domanda se le parole che sta usando le capisce prima lui, come fa a spiegarle agli altri?

14) IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE AMARE E AMORE Quante volte abbiamo esaminato il significato delle parole amare e amore. Se un catechista non sa che cosa vuol dire amare, sapete con che cosa lo confonde? Con il romanesco volemose bene. Ma amare non è quello, quello non è amare, quello lì è solo cercare di stare tranquilli, senza prendersi tanti problemi, vero? Invece amare è tutta un’altra cosa. Stamattina abbiamo sentito: dare la vita per i propri amici. Vedete che è estremamente differente. Allora non deve essere così per voi, perché voi avete sentito veramente una chiamata del Signore, se no non sareste qui al sabato mattina.

Però per non perdere tempo né io, né voi e neanche Dio, cerchiamo proprio di capire l’importanza di tutto questo. Quando nelle scuole ci facevano fare l’analisi logica, l’analisi del periodo erano molto importanti; se abbiamo dimenticato tutto questo la prima cosa che dobbiamo fare è chiedere allo Spirito Santo che venga a rispolverare dentro di noi le cose che avevamo studiato allora, che le faccia emergere. Vedrete che lo Spirito Santo vi aiuterà; poi dopo cominciate con l’analizzare il linguaggio che usate, le strutture logiche che usate, se sono chiare.

Ricordatevi che le persone che avete di fronte non sono dentro la vostra mente, dunque loro non sanno esattamente dove voi volete arrivare. Una grande carità che potete fare nei confronti del vostro prossimo, un grande servizio è quello di fare un passettino piccolo alla volta. Non date mai niente per scontato, anche se doveste ripetere cento volte in cento incontri, serve per aiutare quella persona a entrare nel difficile concetto che voi volete dire.

15) DOBBIAMO IMPARARE A PERDONARE Per es.: dobbiamo imparare a perdonare. Che vuol dire perdono? È una parola composta. Dividete a metà la parola, per e dono; quella che capite subito è dono, cosa vuol dire dono? È un regalo, non meritato, perché un dono meritato si chiama premio. Capite perché bisogna essere precisi? Perché se io non dico questo allora il perdono mi diventa un diritto, invece non è un diritto, è un dono, un regalo non meritato; quindi se il regalo non è meritato mi viene fatto perché io sono buono o è buono chi mi fa il regalo? Chi mi fa il regalo. L’altra parola da capire è per che deriva dal greco iper, che vuol dire il più grande; quindi se iper vuol dire il più e donum, regalo, mettendo insieme avete l’insegnamento che dovete fare sul concetto di perdono.

Poi ci potete parlare per sei mesi ai bambini del perdono, però se sapete cosa vuol dire voi insegnate realmente ciò che insegna la Chiesa, non ciò che insegna il mondo: vogliamoci bene perché il Signore è buono e ci perdona, tanto perdona tutto e tutti. No! Il catechista non può fare queste cose, non si può confondere il perdono con un sentimento di piacevolezza e di arrendevolezza, non è così. Allora siamo partiti dal tema dei carismi, la prossima volta ricordatemi che dobbiamo continuare sul significato della parola carisma. Abbiamo appena analizzato la radice charis che vuol dire grazia e che significa Spirito santo in azione.

* UNIONE CATECHISTI. CATECHESI. LEZIONI, 08.10.2005

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Commenti Articolo 526

Titolo articolo : LA FILOSOFIA DI GIAMBATTISTA VICO: UNA METAFISICA PER LA FISICA DI GALILEI E NEWTON. Note per una (ri)lettura del "De antiquissima italorum sapientia",di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: April/08/2013 - 11:09:29.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/4/2013 11.09
Titolo:SEGUITO --- VICO: IL DESIDERIO, LA RAGIONE, E DIO.
VICO: IL DESIDERIO, LA RAGIONE, E DIO. Note per la (ri)lettura del “De antiquissima italorum sapintia”


UOMO E DIO. Nel “De antiquissima italorum sapientia” (1710), Vico riprende i temi del discorso dell’orazione inaugurale del 1699, sullo “straordinario carattere dell’animo”, e della sua ”somiglianza con Dio Ottimo Massimo”, sul fatto che “il proprio animo è come un Dio per ciascuno” (p. 710), sull’importanza della “buona volontà” (p. 718) o, diversamente, del buon uso del libero arbitrio, e li riarticola in modo definitivo all’interno del nuovo orizzonte segnato dal principio del “verum ipsum factum”. E’ un passo decisivo, un passo fondamentale verso la “Scienza Nuova”.

IL CERTO E IL VERO. Nel VI capitolo, intitolato “De Mente”, egli riafferma il valore dell’antica concezione “che la mente è data, immessa negli uomini dagli dei”, che l’“animi mens”, la mente dell’animo, “così come la libido, la facoltà di desiderare, è per ciascuno una propria divinità”, rinnova il suo accordo e insieme la sua polemica con Cartesio e (ora anche) con Malebranche, e porta ulteriori elementi di chiarificazione sul suo discorso critico (e cristiano) relativo alla “indubitabile verità” della metafisica (p. 112) e al “Dio Ottimo Massimo” della religione cristiana. Detto diversamente, egli mostra quanto e come sia necessario mettersi sulla strada che porta dal certo al vero e, al contempo, dare una risposta risolutiva alla questione della “divinità, propria di ogni uomo”, al di là delle vecchie risposte degli aristotelici, degli stoici, e dei socratici (p. 110) e delle soluzioni ingannevoli di geni maligni (o benigni che siano!).

Con Cartesio, Vico concorda che “l’uomo acquista certezza anche se dubita, anche se erra e sbaglia”, ma questa – per lui - è solo la premessa e non la fine di un discorso che vuole essere metafisicamente e teologicamente attento e critico. Mi meraviglio – egli scrive – che l’acutissimo Malebranche “accetti la prima verità di Renato Descartes: cogito, ergo sum” e, poi, considera “Dio creatore nell’uomo delle idee”: se vuole dimostrare una tale dottrina, dovrebbe piuttosto - continua Vico – concludere così: “Qualcosa in me pensa, dunque qualcosa è; ma nel pensiero non trovo alcuna idea di corpo, dunque ciò che pensa in me pensa è purissimo pensiero, è appunto Dio”. MA Vico, ovviamente, non si ferma e, poco oltre, prosegue nell’attacco: se Malebranche “avesse voluto essere coerente con la propria dottrina, avrebbe dovuto insegnare che la mente umana è investita da Dio non solo della cognizione del corpo che ad essa è congiunto, ma anche della conoscenza di se stessa, di modo che non può conoscersi se non si conosce in Dio. La mente infatti si manifesta pensando, ma è Dio che in me pensa, dunque in Dio io conosco la mia propria mente”.

MA QUALE DIO?! Per Vico, “la meravigliosa forza della mente umana, (…) rivolta seco se stessa, ci conduce alla conoscenza del sommo bene, di Dio Ottimo Massimo!” (p. 714); ma dal “fatto” al “vero”, – come già aveva chiarito nell’orazione inaugurale del 1699 – il cammino non è facile: “la cosa che mi desta più meraviglia è il fatto che vi sia un così gran numero di uomini ignari”, che non fanno buon uso delle “facoltà dell’animo” (p. 716). Come con Cartesio, con Malebranche il ‘dialogo’ continua, ma ovviamente sulla strada di Vico: ciò che conosciamo in noi stessi è “il fatto che Dio sia il primo Autore di tutti i moti tanto dei corpi che degli animi”, ma qui - egli scrive - sorgono le secche e gli scogli”!

IL DIO DELLA GRAZIA. Molti sono i nodi da sciogliere. Ma le coordinate epistemologiche, antropologiche, e teologiche sono già chiare e ferme. E Vico, in forma quasi stenografica - così prosegue: “ in che modo Dio può essere il motore della mente umana se riscontriamo tante imperfezioni, tante brutture, tanti errori, tanti vizi? Come è conciliabile il fatto che in Dio vi è verissima ed assoluta scienza mentre l’uomo possiede il libero arbitrio delle sue azioni? Sappiamo con certezza che Dio è onnipotente onnisciente ottimo, che il suo pensare è la verità stessa, che il suo volere è il massimo bene, che il suo pensiero è semplicissimo ed evidentissimo e che la sua volontà è salda ed ineluttabile. Ma sappiamo anche, come insegna la Sacra Scrittura, che “nessuno di noi può andare al Padre se il Padre stesso non lo avrà tratto a sé”. Ma in qual modo può trarlo a sé, se l’uomo è in possesso del proprio volere? Ecco la risposta di Agostino: “non solo egli trae l’uomo volente, ma lo trae lieto, e con piacere dell’uomo stesso”. Qual pensiero può più giustamente accordare la fermezza divina con la libertà del nostro arbitrio?” (p. 110).

LIBERO ARBITRIO E PROVVIDENZA. A queste domande, Vico ha trovato già la risposta, e così precisa: “Per questa ragione accade che Dio mai si allontana dalla nostra presenza, neppure quando erriamo, perché abbracciamo il falso sotto l’aspetto del vero ed i mali sotto l’aspetto del bene (…) questo ingannarsi non significa altro che gli uomini, perfino quando sono incauti e falsamente giudicano delle cose create, ravvisano sempre Dio in queste stesse imitazioni” (p. 112). L’idea-guida per la“Scienza Nuova” (la prima, quella del 1725) è già pronta: l’opera, come si sa, è aperta dal motto “A Iove principium musae” ed è chiusa “con l’altra parte: Iovis omnia Plena” (p. 329). Sembrano vecchie parole, ma il titolo è più che eloquente: “PRINCIPI DI UNA SCIENZA NUOVA intorno alla natura delle nazioni per la quale si ritrovano i principi di altro sistema del diritto naturale delle genti”. Contrariamente a quanto tutti hanno pensato (e pensano ancora), è l’inizio di una Storia Nuova: “Prima che ci fosse un uomo in Irlanda, c’era un signore, un lord in Lucania” (James Joyce, Finnegans Wake)!

Federico La Sala

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Commenti Articolo 527

Titolo articolo : LA CARITA' "POMPOSA": LA "TRADIZIONE" DI LUDOVICO A. MURATORI (E DEL PAPA EMERITO). Un breve testo dalla "Prefazione ai lettori " del "Trattato sulla carità cristiana" di Ludovico A. Muratori,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: April/06/2013 - 16:38:49.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/4/2013 16.28
Titolo:Sulla differenza tra il dio "charitas" e il dio "caritas", una nota joyceiana ....
Gesù e il dio "charitas" del messaggio evangelico

PREMESSA:

- Marco 7,31-37:

- Di ritorno dalla regione di Tiro, passò per Sidone, dirigendosi verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
- E gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano.
- E portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: «Effatà» cioè: «Apriti!».
- E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
- E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!».



"Gesù" e il dio "caritas" del cattolicesimo-romano

James Joyce, Finnegans Wake:

"He lifts the lifewand and the dumb speak:
Quoiquoiquoiquoiquoiquoiquoiq"

"Egli brandisce la bacchetta della vita e il muto parla:
Quoiquoiquoiquoiquoiquoiquoiq" *


VALE A DIRE:

Quàquàquàquàquàquàquàquàquàq


* Cfr.: James Joyce, Finnegans Wake, Libro Primo V-VIII, Oscar Mondadori, Milano 2001, pp. 195-195 bis.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/4/2013 16.38
Titolo:CHARITAS. SE DIO SI E’ FATTO PAROLA, IO NON POSSO GIOCARE CON LE PAROLE
I CARISMI

di don Mauro Agreste *

1) OGGI PARLIAMO DEI CARISMI Oggi parliamo dei carismi ed è importante averne una conoscenza un pochino più strutturata, perché come catechisti nelle vostre comunità parrocchiali, ma anche nei gruppi di preghiera, è bene che abbiate una conoscenza il più possibile ampia su questo tema. Tutto sommato è stato lasciato per molti versi ad alcuni gruppi ecclesiali, oppure a degli alti studi universitari nell’Università Pontificia. Il tema dello spirito dei carismi è un tema che fa parte della vita della Chiesa; se ne tratta nel Concilio e nella Lumen Gentium. Al n°12 dice che la Chiesa costituita dal popolo di Dio è per così dire, il luogo in cui si esercitano i carismi, ognuno per la sua propria specificità. Però la maggior parte delle persone, quando sentono dire la parola carisma non è che abbiano molto chiaro in mente di che cosa si tratti, è vero?

2) PAROLA USATA E ABUSATA DA MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA Per di più questa parola è stata usata e abusata da giornalisti, da mezzi di comunicazione di massa non per indicare il significato preciso della parola carisma, quanto invece per indicare la capacità che ha una persona di attirare l’attenzione degli altri in qualunque campo, con la sua propria capacità di emergere sugli altri. Quindi in senso generico la parola carisma o personaggio carismatico all’interno della Chiesa e di alcuni gruppi ecclesiali vieni intuita in un certo modo. All’infuori della Chiesa il personaggio carismatico è un personaggio che ha delle chances in più, ha un savoir faire diverso in tutti i campi, sportivo, politico, ecc. ecc. da emergere e attirare l’attenzione, quasi catalizzando l’attenzione degli altri.

3) CARISMA HA LA STESSA RADICE DELLA PAROLA CARITÀ Ma che cos’è dunque il carisma e da che cosa nasce? Intanto la parola carisma deriva dal greco e come voi potete benissimo accorgervi contiene dentro di sé una radice, charis, che è la stessa radice della parola carità. Ora la parola carità, anche se abbiamo una vaga intuizione, è una parola che ha significati molto complessi e molto profondi, per cui almeno nel nostro linguaggio teologico, non è facile definire la carità semplicemente come un atteggiamento. La carità è prima di tutto una caratteristica di Dio stesso, una caratteristica essenziale, tant’è vero che gli antichi dicevano: Deus est charitas da cui gli antichissimi inni, ubi charitas et amor Deus ibi est, dov’è carità e amore lì c’è Dio. Dunque carità ha in sé questa radice charis, che significa qualche cosa di forte, di caldo, di vivo, di avvolgente. Viene cantato nel Veni Creator, si parla dello Spirito Santo e si dice che lo Spirito Santo è ignis, fuoco, fuoco di carità, fuoco di amore.

4) CARITÀ E AMORE VENGONO SPESSO USATI COME SINONIMI Carità e amore vengono spesso usati come sinonimi per una semplice ragione, sono entrambi concetti estremamente profondi. Se tu dici amore, è sufficiente dire amore per capire tutto ciò che significa la parola amore? No, cioè lo usiamo convenzionalmente però noi sappiamo che l’amore autentico per esprimerlo, per significarlo è molto difficile. Ricordate questa mattina il brano del Vangelo che è stato letto: nessuno ha un amore più grande se non colui che muore per i propri amici. Quindi vedete l’amore coinvolge fino alla donazione della vita. L’amore esige per esempio il concetto, che deve essere chiaro, della capacità di donarsi. Amore e donazione totale coincidono; però quando io dico amore non dico solo donazione totale, dico anche gioia, dico anche situazione di protezione. Una persona che ama è una persona che ne sta proteggendo un’altra; una persona che si sente amata è una persona che si sente protetta. Il concetto di guida: chi ama guida; chi è amato si sente guidato non gettato allo sbaraglio. Voi potete immaginare quale grande significato c’è nella parola amore; viene considerata sinonimo di carità, però entrambe hanno una specificità; che l’amore e la carità sono due realtà vive, coincidono con Dio.

5) PARLARE DI CARITÀ SIGNIFICA PARLARE DI GRAZIA Quindi parlare di carità, significa parlare di grazia, che charis è una traslitterazione, è la radice della parola greca che significa grazia. Che cos’è la grazia? Non è la gentilezza nei movimenti, la grazia è lo Spirito Santo in azione, lo Spirito Santo mentre agisce, lo Spirito Santo che sta agendo. Vieni Padre donaci la tua santa grazia, donaci cioè lo Spirito Santo che agisce dentro di noi. Ricordatevi che anche se avete il concetto chiaro nella mente, quelli che sono davanti a voi fraintendono facilmente, soprattutto queste cose complesse. Quindi dovete avere sempre l’idea di parlare a un bambino di 5 anni e state tranquilli che le persone davanti a voi non si sentiranno umiliate e non vi disprezzeranno se voi parlerete il più semplice possibile.

6) CHIEDI CHE LO SPIRITO SANTO VENGA AD AGIRE DENTRO DI TE Allora, donaci la santa grazia, certo che vuol dire donaci la capacità e la disponibilità a seguire i suggerimenti dello Spirito, però tu chiedi proprio che lo Spirito Santo venga ad agire dentro di te, però non senza di te. Quando invochiamo la grazia di Dio su di noi, invochiamo lo Spirito Santo che venga ad animarci dall’interno, come il lievito che fa lievitare tutta la pasta; il lievito non fa sparire la pasta, la fa solo lievitare; certo se non c’è la pasta puoi mettere anche un chilo di lievito che tanto non lievita niente. Allora quando si dice grazia si dice Spirito Santo in azione. Cosa vuol dire charis? Grazia. Cosa vuol dire grazia? Spirito Santo in azione. Lo Spirito Santo aleggiava sopra le acque informi, quindi lo Spirito Santo era già in azione appena Dio ha fatto esistere qualche cosa, ancora non c’era la luce, ma già lo Spirito Santo era in azione. Lo Spirito Santo agisce continuamente. L’ultimo versetto dell’Apocalisse dice: lo Spirito Santo e la sposa gridano Maranthà, vieni Signore Gesù. Quindi attenzione bene, tutta la Bibbia è contenuta da questa azione di Spirito Santo, dunque, tutta la storia degli uomini è contenuta in questi due punti fondamentali: lo Spirito Santo che aleggia e lo Spirito Santo che anima dicendo vieni. Gli uomini non si accorgono dell’azione dello Spirito Santo.

7) NUTRIRE UNA PARTICOLARE ADORAZIONE DELLO SPIRITO SANTO Allora i catechisti hanno questo compito fondamentale, fra tutti gli altri, di nutrire una particolare adorazione dello Spirito Santo. Dico giusto quando dico adorazione, per una semplice ragione, quale? Perché lo Spirito Santo è Dio. Quindi il catechista che non adora lo Spirito Santo non so che razza di catechista voglia essere. Lo Spirito Santo è la grazia che agisce dentro di noi. Il catechista che si mette al servizio della Chiesa, come fa a mettersi al servizio dicendo l’amore per Gesù se non è lo Spirito Santo a comunicarglielo?

8) PARLARE DI SPIRITO SANTO E DIO COME DUE PERSONE SEPARATE Domanda: questo fatto di parlare di Spirito Santo e Dio come due persone separate, non rischia di confonderci? E quando parliamo del Padre separato dal Figlio, non si rischia di creare dei problemi? Nelle dispense degli anni passati c’è quel disegno molto bello che si riferisce allo schema intuitivo su Dio e le sue tre persone. Dio è Padre, è Figlio e Spirito Santo, un solo Dio, però il Padre non è il Figlio, non è lo Spirito Santo e lo Spirito Santo non è il Padre. È chiaro che la nostra mente è così limitata che noi non riusciamo a capire, possiamo solo contemplare.

9) FACCIAMO PARTE DELLA TRINITÀ Di più ancora. Facciamo parte di questa Trinità, con il Battesimo siamo entrati dentro la Trinità, perché siamo con Gesù una cosa sola. Siamo entrati nella Trinità, però non siamo Dio, siamo esseri umani, però facciamo parte della Trinità. Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; quindi la volontà di Dio è che siamo immersi ( bactizzomai verbo greco che significa essere immersi ) in tutto Dio Padre, in tutto Dio Figlio e in tutto Dio Spirito Santo. Questo vuol dire che dentro di noi c’è tutto Dio Padre, tutto Dio Figlio, tutto Dio Spirito Santo e come lo spieghi questo? Quando tu vai a fare la comunione prendi un’ostia grande così, tu sai che lì dentro c’è il Dio Eterno e Infinito, Signore della storia e dei secoli. Sotto un velo di pane c’è il mistero di tutto ciò che esiste. Possiamo intuire. Come dice l’inno Pange Lingua. Visus tactus gustus in te fallitur, la vista il tatto il sapore falliscono, perché tutto quello che i sensi constatano è fallace, non i sensi ma la fede conosce questa verità. Allora con la fede tu accetti, il mistero lo contempli, però non lo capisci. Perché capire dal latino càpere vuol dire prendere e tenere stretto, contemplare invece significa guardare, ma non da soli, sostenuti. Tu puoi guardare il mistero di Dio da solo, lo puoi contemplare cioè tu puoi entrare nel tempio insieme a qualcuno, contemplare entrare nel tempio insieme a qualcuno. Tu non possiedi il tempio è il tempio che possiede te.

10) IL CATECHISTA DEVE PARLARE UN ITALIANO SEMPLICE E COMPRENSIBILE Attenzione, perché usiamo la lingua, ma non la conosciamo e un catechista non può permettersi questo. Un catechista deve parlare un italiano semplice e comprensibile a quelli che ha di fronte però deve conoscere dieci o venti volte di più di quello che sta dicendo agli altri, se no che cosa sta comunicando? Certamente ai bambini non puoi dire le specificità dei termini che vi sto spiegando, però su tu non conosci il significato delle parole, tu insegnerai delle cose sbagliate e noi non possiamo permetterci di fare questo, se no non stiamo divulgando il Vangelo di Gesù Cristo, ma il Vangelo secondo noi. Quindi ricordatevi, è un servizio fatto a Dio quello anche di essere precisi nel linguaggio che si usa. Siate precisi cercando di conoscere il più possibile il significato delle parole che usate, anche le più comuni. E chiedete allo Spirito Santo che vi dia una struttura logica del pensiero: soggetto, predicato, complemento. Diversamente il vostro discorso non sarà compreso da chi vi ascolta; piuttosto articolate frasi e concetti brevi non un discorso lungo e strutturato. Fate discorsi brevi, frasi brevi, ma che siano chiare.

11) LA CONIUGAZIONE DEI VERBI DEVE ESSERE PRECISA State anche attenti alla coniugazione dei verbi, che deve essere precisa, perché un verbo al condizionale ha un significato diverso da un verbo all’indicativo; perché un verbo all’indicativo indica una realtà, un obbligo imprescindibile, un verbo al condizionale indica una possibilità cioè una dualità di realtà; i congiuntivi sono verbi di consequenzialità; se io nella mente non ho l’idea della consequenzialità delle cose, non userò il congiuntivo, userò l’indicativo e renderò tutto obbligante.

Ricordatevi che abbiamo a che fare con le parole, che noi abbiamo la parola di Dio nella mano e siamo i catechisti, non ci possiamo permettere di giocare con le parole, perché da come io uso le parole, favorisco o freno il passaggio del concetto di Dio. Senza diventare fanatici, senza esagerare, però o prendiamo sul serio il nostro servizio reso a Dio. Quindi tutto quello che dipende da me io cerco di farlo al meglio che posso, oppure facciamo come fanno tanti che improvvisano tutto, vanno avanti e non si rendono conto che stanno giocando con Dio. Se sul Vangelo c’è scritto: in principium erat verbum et verbum erat aput deum et verbum erat deum, allora questo ci fa capire che in principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio.

12) SE DIO SI E’ FATTO PAROLA, IO NON POSSO GIOCARE CON LE PAROLE Se Dio si è fatto la parola che noi possiamo intuire e capire, io posso giocare con le parole? No. Non dico questo perché dobbiamo spaventarci, sentirci colpevolizzati, però sentiamo la necessità di pensare le parole che usiamo e pensare le frasi che usiamo, perché se io devo parlare a dei bambini, dovrò rendere estremamente semplice un discorso difficilissimo. Però usando delle parole che siano giuste, che cerchino di generare meno equivoci possibili, adatte al vocabolario che è in possesso a un bambino di 7-10-12-15 anni, senza mai cedere ad accettare una connotazione di linguaggio che non sia più che dignitosa ed elegante.

13) IL CATECHISTA NON USA MAI PAROLE EQUIVOCHE Se ci sono dei modi di dire che esprimono il concetto di essere arrabbiati in un certo modo, il catechista non li usa mai, neanche quando sta da solo. Se ci sono parole equivoche il catechista si deve abituare non solo a non usarle lui, ma a sentirne ribrezzo quando le sente pronunciare da altri, perché il catechista sta usando con la propria lingua un mezzo di evangelizzazione. Dunque l’apostolo san Giacomo dice nella sua lettera al cap. 4 che chi domina la lingua domina tutto il resto del corpo.

Ora un catechista che non domina la lingua come può produrre negli altri un cambiamento di vita, se le parole che escono da lui sono sporcate da una incapacità di dominare la lingua? Naturalmente quando dico capacità di dominare la lingua non mi riferisco solamente a un linguaggio volgare e pesante, mi riferisco anche a un modo di gestire il linguaggio. Una persona che non è capace a non criticare, una persona dalla cui bocca esce sempre una parola di critica, di giudizio, di condanna, di curiosità, di pettegolezzo ecc. può giustamente essere catechista? Non può. Un catechista che non sente fondamentale dentro di sé l’imperativo di sapere quello che sta dicendo, come lo sta dicendo e non si domanda se le parole che sta usando le capisce prima lui, come fa a spiegarle agli altri?

14) IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE AMARE E AMORE Quante volte abbiamo esaminato il significato delle parole amare e amore. Se un catechista non sa che cosa vuol dire amare, sapete con che cosa lo confonde? Con il romanesco volemose bene. Ma amare non è quello, quello non è amare, quello lì è solo cercare di stare tranquilli, senza prendersi tanti problemi, vero? Invece amare è tutta un’altra cosa. Stamattina abbiamo sentito: dare la vita per i propri amici. Vedete che è estremamente differente. Allora non deve essere così per voi, perché voi avete sentito veramente una chiamata del Signore, se no non sareste qui al sabato mattina.

Però per non perdere tempo né io, né voi e neanche Dio, cerchiamo proprio di capire l’importanza di tutto questo. Quando nelle scuole ci facevano fare l’analisi logica, l’analisi del periodo erano molto importanti; se abbiamo dimenticato tutto questo la prima cosa che dobbiamo fare è chiedere allo Spirito Santo che venga a rispolverare dentro di noi le cose che avevamo studiato allora, che le faccia emergere. Vedrete che lo Spirito Santo vi aiuterà; poi dopo cominciate con l’analizzare il linguaggio che usate, le strutture logiche che usate, se sono chiare.

Ricordatevi che le persone che avete di fronte non sono dentro la vostra mente, dunque loro non sanno esattamente dove voi volete arrivare. Una grande carità che potete fare nei confronti del vostro prossimo, un grande servizio è quello di fare un passettino piccolo alla volta. Non date mai niente per scontato, anche se doveste ripetere cento volte in cento incontri, serve per aiutare quella persona a entrare nel difficile concetto che voi volete dire.

15) DOBBIAMO IMPARARE A PERDONARE Per es.: dobbiamo imparare a perdonare. Che vuol dire perdono? È una parola composta. Dividete a metà la parola, per e dono; quella che capite subito è dono, cosa vuol dire dono? È un regalo, non meritato, perché un dono meritato si chiama premio. Capite perché bisogna essere precisi? Perché se io non dico questo allora il perdono mi diventa un diritto, invece non è un diritto, è un dono, un regalo non meritato; quindi se il regalo non è meritato mi viene fatto perché io sono buono o è buono chi mi fa il regalo? Chi mi fa il regalo. L’altra parola da capire è per che deriva dal greco iper, che vuol dire il più grande; quindi se iper vuol dire il più e donum, regalo, mettendo insieme avete l’insegnamento che dovete fare sul concetto di perdono.

Poi ci potete parlare per sei mesi ai bambini del perdono, però se sapete cosa vuol dire voi insegnate realmente ciò che insegna la Chiesa, non ciò che insegna il mondo: vogliamoci bene perché il Signore è buono e ci perdona, tanto perdona tutto e tutti. No! Il catechista non può fare queste cose, non si può confondere il perdono con un sentimento di piacevolezza e di arrendevolezza, non è così. Allora siamo partiti dal tema dei carismi, la prossima volta ricordatemi che dobbiamo continuare sul significato della parola carisma. Abbiamo appena analizzato la radice charis che vuol dire grazia e che significa Spirito santo in azione.

* UNIONE CATECHISTI. CATECHESI. LEZIONI, 08.10.2005

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Commenti Articolo 528

Titolo articolo : SIENA: SI ALLUNGA IL CONTO ALLA ROVESCIA PER LA MATTANZA DELLE VOLPI.  ,di Giuseppe Fanelli

Ultimo aggiornamento: April/02/2013 - 17:54:51.

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Autore Città Giorno Ora
Mario Barbato Milano 02/4/2013 17.54
Titolo:Cacciare i cacciatori
Leggo ammirato l'articolo di Fanelli e mi complimento . La caccia della volpe in tana è una pratica atroce ! Bisogna fermarla !!!!!!!! Nel regno Unito l'hanno abolita ed in Italia siamo arretrati anche in questo. Nel nostro paese si permettono ancora pratiche primitive proprie degli uomini con la clava.

Fanelli continua così
Saluti

Mario Barbato

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Commenti Articolo 529

Titolo articolo : CARO AMICO TI SCRIVO,di Beppe Manni

Ultimo aggiornamento: April/02/2013 - 15:27:10.

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Autore Città Giorno Ora
isabelle charlier varese 02/4/2013 15.27
Titolo:Com'è bello il suo articolo: così sia!
..."Gli istituti, i conventi, le case religiose verranno ristrutturate e date a senza tetto..."

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Commenti Articolo 530

Titolo articolo : Lettera a papa Francesco,di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: April/02/2013 - 14:44:31.

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Autore Città Giorno Ora
isabelle charlier varese 02/4/2013 14.44
Titolo:Il suo articolo ha proprio toccato un importante punto fondamentale
"....Oltre che farsi poveri bisogna anche coscientizzare il prossimo sulla causa della povertà..." Assolutamente! altrimenti rimarrà soltanto un perfetto imbroglio.

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Commenti Articolo 531

Titolo articolo : Grillo e la forza addomesticante del Parlamento  ,di Ulrich Ladurner

Ultimo aggiornamento: April/01/2013 - 22:54:54.

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Autore Città Giorno Ora
Gianluca Trentini Argenta (fe) 01/4/2013 22.54
Titolo:Che ne sanno i tedeschi del movimento
Sono anni e anni che un movimento silenzioso di persone,associazioni,comitati,no dal molin no tav,lipu green peace lav ecc. resiste,contrasta pacificamente,il delirio autoritario del potere partitocratico.
Il movimento ha tutto il tempo che vuole,perchè è nato con il temto,che ne sa sto crucco tedesco mangiapatate,che guardasse ai suoi antenati nazisti e che chieda scusa al popolo europeo per i crimini contro l'umanità,se c'è un fhurer quella è la merkel con la sua dittatura economico finanziaria

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Commenti Articolo 532

Titolo articolo :     RESTA CON NOI PERCHE’ SI FA SERA,di P. Alberto Maggi OSM

Ultimo aggiornamento: March/31/2013 - 22:09:34.

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Autore Città Giorno Ora
silvana corinaldesi senigallia 31/3/2013 22.09
Titolo:richiesta chiarimento a p. Maggi
mi è piaciuto il commento al vangelo, ma non mi è chiaro un piccolo dettaglio: come fa a identificare i due personaggi che parlano alle donne come Mosè ed Elia.
ricordo l\'episodio dlla trasfigurazione, ma non riesco a fare il collegamento.
grazie.
silvana corinaldesi

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Commenti Articolo 533

Titolo articolo : Buona Pasqua,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: March/31/2013 - 12:04:59.

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Autore Città Giorno Ora
isabelle charlier varese 31/3/2013 12.04
Titolo:Buona Festa anche a Lei, Signor Sarubbi
I suoi editoriali sono sempre molto interessanti e sopratutto toccanti. Fanno riflettere. Grazie!

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Commenti Articolo 534

Titolo articolo : Grillo, vincitore delle elezioni in Italia - L’uomo più pericoloso d’Europa,di Jan Fleischhauer  

Ultimo aggiornamento: March/30/2013 - 21:24:21.

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Autore Città Giorno Ora
Gianluca Trentini Argenta (fe) 30/3/2013 21.24
Titolo:la storia non si ripete mai uguale
la vita è una sorpresa,un divenire continuo, come natura insegna e non bisogna avere paura di canbiare,perchè è il grande insegnamento della vita,il bene è in tutti noi,basta cercarlo e fare la cosa giusta non quella che conviene,seguire il cuore non il profitto,non vedo niente di terrificante e pericoloso nel pensiero del movimento.
IL vero pericolo è il dominio delle banche con il terrore del debito che ti porta via anche la tua prima casa e i partiti che fanno da camerieri alla dittatura finanziaria che gioca a monopoli con le nostre vite,e ingrassano senza curarsi di chi non ha nulla.
Se la democrazia,è poter sciegliere fra idee diverse,be finora non è stato così ci hanno dato l'illusione di scegliere,la strada era tracciata da tempo centralizzare il potere,economico finanziario,a piccoli passi renderci dipendenti da tutto e con il ricatto della paura di perdere quel tutto inpedirci anche di avere idee.
Ma hanno sbagliato i conti ci sono molte persone disposte a morire per le proprie idee,perchè hanno dentro la forza dell'amore.
I momenti di crisi sono una ricchezza ,perchè ci fanno capire dove abbiamo sbagliato e ti danno l'occasione di rinascere.
Se la serietà ci ha portato sin qui è meglio la comicità che sdrammatizza( non parlo dello psiconano quello è un mafioso che prova di fare il comico)e i tedeschi sarebbe meglio guardassero all'olocausto che hanno alle spalle,e risarcissero i danni che hanno fatto al mondo,ecco perchè ridono poco.
I movimenti popolari fanno paura ai poteri forti,perchè temono di perdere i loro privilegi e il dominio sul prossimo e con la penna dei loro scribacchini denigrano, confondono,negano qualsiasi aspetto positivo,considerano gli italiani dediti al voto per rabbia,e c'è tanta brava gente nel movimento andatela a conoscere e poi scrivete
anche gli aspetti positivi che vi fa bene alla salute.
è un canbiamento globaleper una cultura critica un canbio di paradigma grillo è uno dei milioni di interpreti siamo tutti grillo

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Commenti Articolo 535

Titolo articolo : Essere o non essere!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: March/30/2013 - 20:11:50.

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Autore Città Giorno Ora
Florestana Piccoli Sfredda Rovereto TN 25/3/2013 12.13
Titolo:Shakespeare
Non ho molto da dire, perchè condivido parola per parola il messaggio di Sarubbi.

Il dubbio amletico resterà sempre lo specchio delle coscienze deboli o, perchè no?, del qualunquismo che domina oggi più che mai ed è la forma più comoda per imitare Ponzio Pilato, allorchè si sciacquava le mani.
Porsi (forse) delle domande, ma guardarsi dal prendere posizione: troppo scomodo e troppo pericoloso...Meglio LAVARSENE LE MANI, lasciare ad altri questo genere di rischio!
Autore Città Giorno Ora
Gianluca Trentini Argenta (fe) 30/3/2013 20.11
Titolo:la paura del cambiamento
la vita è una sorpresa,un divenire continuo, come natura insegna e non bisogna avere paura di canbiare,perchè è il grande insegnamento della vita,il bene è in tutti noi,basta cercarlo e fare la cosa giusta non quella che conviene,seguire il cuore non il profitto,non vedo niente di terrificante e pericoloso nel pensiero del movimento.
IL vero pericolo è il dominio delle banche con il terrore del debito che ti porta via anche la tua prima casa e i partiti che fanno da camerieri alla dittatura finanziaria che gioca a monopoli con le nostre vite,e ingrassano senza curarsi di chi non ha nulla.
Se la democrazia,è poter sciegliere fra idee diverse,be finora non è stato così ci hanno dato l'illusione di scegliere,la strada era tracciata da tempo centralizzare il potere,economico finanziario,a piccoli passi renderci dipendenti da tutto e con il ricatto della paura di perdere quel tutto inpedirci anche di avere idee.
Ma hanno sbagliato i conti ci sono molte persone disposte a morire per le proprie idee,perchè hanno dentro la forza dell'amore.
I momenti di crisi sono una ricchezza ,perchè ci fanno capire dove abbiamo sbagliato e ti danno l'occasione di rinascere.
Se la serietà ci ha portato sin qui è meglio la comicità che sdrammatizza( non parlo dello psiconano quello è un mafioso che prova di fare il comico)e i tedeschi sarebbe meglio guardassero all'olocausto che hanno alle spalle,e risarcissero i danni che hanno fatto al mondo,ecco perchè ridono poco.

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Titolo articolo : Elezioni tsunami 2013,di Beppe Manni

Ultimo aggiornamento: March/27/2013 - 09:08:17.

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Autore Città Giorno Ora
Pier Augusto Berardi Coriano (Rn) 27/3/2013 09.08
Titolo:Elezioni tsunami
ottimo commento di Beppe Manni sul dopo elezioni, purtroppo non penso che gli eletti abbiano compreso il momento in cui viviamo e le vere necessità della popolazione

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Commenti Articolo 537

Titolo articolo : LA POTENZA DEL DESIDERIO E IL PROBLEMA DI DIO. LA LEZIONE DI GIAMBATTISTA VICO. Un breve saggio,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/20/2013 - 23:58:43.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/3/2013 12.56
Titolo:GIOVANNI GENTILE E LA COSTITUZIONE. A TERESA MATTEI, IN MEMORIA
- Aveva 92 anni
- È scomparsa Maria Mattei l’ultima donna costituente

di Maria Corbi (La Stampa, 13.03.2013)

Se ne va un altro pezzo di memoria del Paese, una donna, Maria Teresa Mattei, che è stata la più giovane eletta all’Assemblea Costituente e che ha contribuito a porre le basi di un Paese libero e democratico. Classe 1921, partigiana, combattente nella formazione garibaldina Fronte della Gioventù, si è sempre dedicata alla lotta per i diritti delle donne e dei bambini. È lei la madre della mimosa, il simbolo dell’8 marzo, della battaglia per la parità. Un fiore povero e diffuso che vinse sulla violetta proposta dalla Luigi Longo che voleva regalarle quel giorno.

Teresa era genovese di nascita, si iscrisse nel 1942 al Partito Comunista che lascerà nel 1955 quando rifiuterà la candidatura alle elezioni per la Camera a causa del dissenso nei confronti di Togliatti. Il nome di battaglia della Mattei era «Chicchi» e operava nella città di Firenze (a lei ed al suo gruppo si ispirò Roberto Rossellini per l’episodio di Firenze di Paisà).

Il fratello Gianfranco Mattei è un martire della resistenza. Docente e ricercatore di chimica al Politecnico di Milano, assistente prediletto del futuro premio Nobel Giulio Natta, fabbricava esplosivi per i Gap della capitale. Nel 1944 si tolse la vita nella cella di via Tasso, a Roma, per non cedere alle torture e non rischiare di rivelare il nome dei compagni.

Anni più tardi la Mattei raccontò che da quel lutto nacque in lei e in Bruno Sanguinetti (che dopo la guerra sposerà) l’idea di uccidere il filosofo Giovanni Gentile. Per fare in modo che i gappisti incaricati dell’agguato potessero riconoscerlo, alcuni giorni prima li accompagnò lei stessa (che conosceva personalmente il filosofo) presso l’Accademia d’Italia della Rsi, che lui dirigeva. «Mentre usciva lo indicai ai partigiani, poi lui mi scorse e mi salutò».

Sessant’anni dopo rivendicò quella scelta: «Se un grande pensatore si schiera con un regime orribile come la Repubblica di Salò, si assume una responsabilità enorme. È un tradimento che non si può perdonare».

Nel 1946 si presentò alle elezioni per l’Assemblea Costituente, candidata nel Pci. Venne eletta e fu la più giovane deputata al Parlamento. Nel 1947 fondò, insieme alla democristiana Maria Federici, l’Ente per la Tutela morale del Fanciullo. Con la morte di Maria Teresa Mattei i componenti dell’assemblea costituente ancora in vita sono solo due: Giulio Andreotti e Emilio Colombo.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/3/2013 10.58
Titolo:Contro l'ipocrisia e la borghesia dello spirito. Bergoglio (02.09.2012) ....
Quando Bergoglio puntava il dito contro la borghesia dello spirito

di Jorge Mario Bergoglio (l’Unità, 13 marzo 2013)

L’omelia del 2 settembre scorso a BuenosAires. L’allora cardinale criticava l’ipocrisia clericale e invitava la Chiesa ad accompagnarei fedeli

L ’ascolto della Parola mi ha fatto sentire tre cose: vicinanza, ipocrisia e mondanità. La prima lettura dice: «Per caso esiste una nazione così grande da avere i propri déi vicini quanto lo è il Signore nostro Dio a noi?». Il nostro Dio è un Dio che si avvicina. È un Dio che si fa vicino. Un Dio che ha iniziato a camminare con il suo popolo e dopo si è fatto uno di loro come Gesù Cristo, per esserci più vicino.

Ma non con una vicinanza metafisica, ma con quella vicinanza che descrive Luca quando Gesù va a curare la figlia di Jairo, con la gente che lo spintona fino a soffocarlo mentre un’anziana tenta di toccargli il mantello. Con questa vicinanza della moltitudine che voleva azzittire il cieco che con le grida voleva farsi sentire all’entrata a Gerico. Con questa vicinanza che ha dato animo a quei dieci lebbrosi per chiedergli di lavarli. Gesù è qui. Nessuno voleva perdersi questa vicinanza, persino il bambino salito sul sicomoro per vederlo.

Il nostro Dio è un Dio vicino. Ed è curioso. Curava, faceva del bene. San Pietro lo dice in maniera chiara: «Ha vissuto facendo il bene e curando». Gesù non ha fatto proselitismo: ha accompagnato. E le conversioni che otteneva erano proprio grazie a questa sua attitudine di accompagnare, insegnare, ascoltare, fino al punto che la sua condizione di non essere uno che fa proseliti gli fa dire: «Se anche voi volete andarvene, fatelo adesso e non perdete tempo. Avete parola di vita eterna, noi rimaniamo qui».

Il Dio vicino, vicino con la nostra carne. Il dio dell’incontro che esce dall’incontro del suo popolo. Il Dio che - userò una parola bella della diocesi di San Justo -: il Dio che mette il suo popolo nelle condizioni dell’incontro. E con questa vicinanza, con questo camminare, crea questa cultura dell’incontro che ci rende fratelli, figli e non soci di una ong o proseliti di una multinazionale. Vicinanza. Questa è la proposta.

La seconda parola è ipocrisia. Mi richiama l’attenzione che San Marco, sempre così conciso e breve, abbia dedicato tanto spazio a questo episodio - che, nella versione liturgica, è ancora più ampio. Sembra che se la prenda con quelli che si allontanano, quelli che del messaggio della vicinanza di questo Dio, che cammina con il suo popolo, che si è fatto uomo per essere uno di noi e camminare, hanno preso questa realtà, la hanno sviscerata in una lunga tradizione, la hanno resa idea, puro precetto e, infine, l’hanno allontana dalla gente.

Gesù sì che accuserà coloro che fanno proseliti per questo: fare proselitismo. Voi percorrete mezzo mondo per fare proseliti e poi li uccidete con tutto ciò. Allontanando la gente. Quelli che si scandalizzavano quando Gesù andava a mangiare con i peccatori, con la gentaglia, a questi Gesù rispondeva: «La gentaglia e le prostitute vi precederanno», che era la peggior cosa da dire all’epoca.

Gesù non li blandisce. Sono quelli che hanno clericalizzato - per usare una parola che si capisca - la chiesa del Signore. La riempiono di precetti e lo dico con dolore e scusatemi, se questa cosa sembra una denuncia o un’offesa, ma nella nostra regione ecclesiastica ci sono presbiteri che non battezzano bambini nati da ragazze madri perché concepiti fuori dalla santità del matrimonio.

Questi sono gli ipocriti di oggi. Quelli che hanno clericalizzato la Chiesa. Quelli che allontanano il Dio della salvezza dalla gente. E questa povera ragazza, pur potendo rispedire suo figlio al mittente, ha avuto il coraggio di portarlo alla luce, sta peregrinando di parrocchia in parrocchia affinché qualcuno lo battezzi.

A coloro che cercano proseliti, i clericali, quelli che clericalizzano il messaggio, Gesù indica il cuore e dice: «Dal vostro cuore escono le cattive intenzioni, le fornicazioni, i furti, gli omicidi, gli adulteri, l’avarizia, il male, gli inganni, la disonestà, l’invidia, la disinformazione, l’orgoglio, la mancanza di stima...». Bella gente, eh? E così li tratta: li denuncia. Clericalizzare la Chiesa è un’ipocrisia farisaica.

La Chiesa del «venite, gente, che vi diamo il premio e chi non entra non entra» è fariseismo. Gesù ci insegna un’altra via: uscire. Uscire a portare testimonianza, uscire a interessarsi al nostro fratello, uscire a compatire, uscire a chiedere. Farsi carne. Contro lo gnosticismo ipocrita dei farisei, Gesù torna a mostrarsi in mezzo alla gente tra gentaglia e peccatori.

La terza parola che mi ha toccato è il finale della lettera di San Giacomo: non contaminarsi con il mondo. Perché se il fariseismo, questo «clericalismo » tra virgolette, ci danneggia, anche la mondanità è uno dei mali che minano la nostra coscienza cristiana. Questo lo dice San Giacomo: non contaminatevi con il mondo.

Nel suo addio, dopo cena, Gesù chiede al Padre che lo salvi dallo spirito del mondo. È la mondanità spirituale. Il peggior danno che possa capitare alla Chiesa: cadere nella mondanità spirituale.

Per questo, sto citando il cardinale De Lubac. Il peggior danno che possa capitare alla Chiesa, persino peggiore di quello di avere avuto Papi libertini. Questa mondanità spirituale di fare quel che sembra buono, di essere come gli altri, questa borghesia dello spirito, degli orari, di spassarsela, dello status: «Sono cristiano, consacrato, clerico».

Non contaminatevi con il mondo, dice San Giacomo. No all’ipocrisia. No al clericalismo ipocrita. No alla mondanità spirituale. Perché questo dimostrerebbe che siamo più imprenditori che uomini o donne di vangelo. Sì alla vicinanza. Al camminare con il popolo di Dio. A sentire tenerezza per i peccatori, per quelli che si sono allontanati, e sapere che Dio vive in mezzo a loro.

Che Dio ci conceda questa grazia della vicinanza, che ci salvi dall’atteggiamento imprenditoriale, mondano, proselitista, clericalista e ci avvicini al Suo cammino: quello di camminare con il santo popolo fedele di Dio. Che così sia.

Testo tradotto da Leonardo Sacchetti
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/3/2013 18.28
Titolo:IL ROTTAMATORE DI DIO. Chiesa dei poveri, o chiesa per i poveri ?! Nodo da ...
Il rottamatore di Dio

di Luca Kocci (il manifesto, 17 marzo 2013)

Con l’ Angelus in piazza san Pietro, questa mattina, ci sarà il primo vero bagno di folla di papa Bergoglio. In attesa di martedì quando, con la messa di inizio pontificato, è atteso a Roma un milioni di persone, con oltre 100 capi di Stato e di governo.

Intanto, nelle occasioni pubbliche di questi giorni, Bergoglio si conferma papa mediatico e innovatore, perlomeno nei gesti e nelle parole. «Un rottamatore che sta smontando pezzo dopo pezzo il cerimoniale moderno dei pontefici», dice lo storico Alberto Melloni.

Ieri, per esempio, alla fine dell’udienza ai 5mila giornalisti che hanno seguito il conclave, il papa ha eliminato la benedizione solenne, che Ratzinger faceva spesso in latino. «Dato che molti di voi non appartengono alla Chiesa e non sono credenti - ha detto in spagnolo -, imparto la benedizione, in silenzio, rispettando la coscienza di ciascuno».

Bergoglio ha anche svelato come sono andate le cose per la scelta del nome Francesco. Appena superato il quorum del 77 voti, il suo vicino di posto in conclave, il francescano brasiliano Hummes, gli ha detto «non dimenticare i poveri». Subito, spiega Bergoglio, «ho pensato a Francesco d’Assisi, l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato, e in questo momento noi non abbiamo una buona relazione con il creato».

E ha confessato anche il suo desiderio di «una Chiesa povera e per i poveri». Un’affermazione decisamente in controtendenza rispetto al trionfalismo trasmesso dagli ultimi due pontificati di Wojtyla e Ratzinger.

Che tuttavia, facendo un po’ di esegesi, rivela una visione diversa da quella conciliare: papa Roncalli parlò di «Chiesa dei poveri», quella di Bergoglio è una Chiesa «per i poveri», in cui quindi la componente paternalistica e caritatevole sembra prevalere rispetto a quella di liberazione.

Arrivano anche i primi atti di governo del nuovo papa, con la conferma, scontata, dei capi dei dicasteri curiali e vaticani «donec aliter provideatur», cioè fino a che non si provveda altrimenti.

Tuttavia, nel comunicato della sala stampa, c’è una precisazione non scontata: «Il santo padre desidera riservarsi un certo tempo per la riflessione, la preghiera e il dialogo, prima di qualunque nomina o conferma definitiva».

Non andò così con Ratzinger il quale, due giorni dopo la sua elezione a papa, confermò come segretario di Stato il cardinal Sodano, citandolo espressamente, e lasciandolo al suo posto per oltre un anno, fino al raggiungimento dell’età pensionabile. E così fece con molti altri, a partire dai due sostituti della Segreteria di Stato, per gli Affari generali e per i Rapporti con gli Stati (i ministri degli Interni e degli Esteri).

Sembrerebbe invece che Bergoglio - perlomeno a questo fa pensare l’inciso del comunicato ufficiale - voglia prendersi ancora qualche settimana di tempo per poi procedere ad un ricambio robusto e generalizzato dei vertici della curia e del governatorato, cominciando proprio dalla Segreteria di Stato di Bertone.

Saranno proprio queste nomine a rivelare se veramente quello di Bergoglio sarà un pontificato di rottura e quale direzione potrà prendere, al di là dei gesti e delle parole apparentemente “rivoluzionarie” di questi giorni.

Domani ci sarà la prima udienza del papa con un capo di Stato: la presidente argentina Cristina Kirchner. E fra i due i rapporti sono tutt’altro che pacifici: Bergoglio, da presidente della Conferenza episcopale argentina (fino al 2011) e da vescovo di Buenos Aires, non è mai stato un suo sostenitore.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/3/2013 23.58
Titolo:Francesco, vescovo-papa, tra luci e ombre
«Non è in nostro potere credere in Dio, ma è in nostro potere negare fede agli idoli» (Simone Weil)
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Francesco, vescovo-papa, tra luci e ombre

di Enrico Peyretti

in “nuova società” ( http://www.nuovasocieta.it/ ) del 20 marzo 2013

Ad una settimana dall’elezione di papa Francesco, i suoi primi gesti e parole meritano attenzione, al di là degli entusiasmi, insieme alle ombre persistenti negli ambienti più critici sul suo ruolo nelle vicende dell’Argentina sotto la dittatura militare.

Vediamo il positivo. Un papa che, alla sua prima comparsa, prega col popolo, valorizza il popolo come soggetto ecclesiale attivo, chiedendogli di benedirlo prima di benedire lui il popolo (benedire non è azione sacrale riservata, ma è desiderare e invocare il bene su qualcuno), che si dice vescovo di Roma e non pronuncia la parola papa, che veste e vive semplicemente, che ha scarpe molto usate, che bacia la Presidenta Cristina ma anche donne del popolo, che predica misericordia, servizio, tenerezza, un papa così è certamente umano, simpatico, amabile anche da chi non è cattolico, per l’importanza oggettiva del ruolo che ricopre. Sarà conservatore, ma essere buoni, gentili, semplici, è qualità bella per un papa come per chiunque di noi.

A lato dell’entusiasmo popolare e ufficiale, insieme ai soliti retroscena curiosi, sono corse notizie, non nuove per chi conosceva l’Argentina, sul suo comportamento negli anni della dittatura (1976- 1983). Allora era superiore dei gesuiti, poi fu vescovo di Buenos Aires (dal 1998; vescovo ausiliare dal 1992). Ora, c’è chi accusa molto, e chi assolve in fretta. Non mi pare che le accuse arrivino a diretta attiva complicità coi militari, come fecero altri ecclesiastici. Il tempo forse aiuterà a chiarire, e sarà importante. Io penso che lui stesso, papa Francesco, per il carattere che dimostra, dirà una parola.

Parlando in generale, come fa notare anche Hans Küng, teologo assai critico, sotto una dittatura (p. es. il nazismo in Germania) non è facile comportarsi senza errori, debolezze, eccessi di prudenza o di imprudenza, anche con l’intenzione di mediare, di ottenere riduzione del danno, di salvare qualche vita. Chi vuole mediare, sembra ad entrambe le parti vicino a quella opposta.

Bisogna vedere se sostieni i potenti per avere dei vantaggi, se condividi l’idea dei dittatori, se soltanto sopporti in attesa di liberazione. Questo va detto per giustizia, nei confronti di chiunque, anche di un uomo, di un vescovo, che diventa papa.

E io ricordo a me stesso le parole di Dostoevskij «Prendi la colpa su di te e soffri per essa, solo allora potrai giudicare» (nei Fratelli Karamazov). E mi chiedo se noi oggi, pur un poco impegnati per la giustizia e la verità nella società umana, non dobbiamo sentirci troppo passivi e rassegnati, se non complici per troppo conformismo quotidiano, con la dittatura criminale del denaro che oggi impera sui popoli e fa vittime tra i più poveri. Io non mi sento innocente, pur sforzandomi di vedere, far vedere, unire, agire, nel piccolo delle mie capacità, per la giustizia e la nonviolenza.

Questo va detto non per passare una spugna su tutto, nel caso di Bergoglio come di tantissime altre persone in posti di responsabilità maggiori di noi, persone comuni, ma va detto per giustizia.

Nello stesso tempo, però, abbiamo il dovere e il conforto di riconoscere chi ebbe il coraggio di parlare forte contro la violenza, fino a pagare con la vita, come il vescovo Oscar Romero in Salvador (ucciso il 24 marzo 1980) e il vescovo Angelelli proprio in Argentina, più tanti altri resistenti, sia cristiani, sia non cristiani. Gli eroi e martiri della giustizia ci danno coraggio e ci fanno meditare, ma io non posso esigere da nessuno l’eroismo che non ho io.

Infine, da cristiano, devo constatare che tante ma tante e troppe volte la chiesa, nelle sue autorità, ma anche a livelli popolari, si è appoggiata e ha appoggiato potenti e prepotenti, anche violenti, dal costantinismo (ricorre un centenario dell’anno 313), ai “re cattolicissimi”, tutti trono e altare, alle guerre di religione, ai concordati e alleanze coi fascismi, fino all’italico berlusconismo.

La chiesa è fatta di santi e di peccatori, non è altro che una comune umanità imperfetta e debole; è fatta di peccatori credenti, per grazia immeritata, che Dio per amore nostro, nel cammino accidentato di ogni vita, infonde il desiderio, la ricerca, a volte una maggiore luce ed energia di bene, di fraternità, libertà, giustizia, fino al perdono dei nemici e al donare gratuito senza attendersi reciprocità. Ma sempre, in noi, col senso della inadeguatezza, dell’insufficienza, perciò dell’umiltà pari all’impegno.

Ciò vale per ogni cristiano, anche per un vescovo-papa. Non è colpa essere in cammino, peccare di debolezza, mentre è colpa dare fede alla potenza. Non è forse questo il massimo criterio di giudizio sulla chiesa, sul suo significato nella storia del mondo?

«Non è in nostro potere credere in Dio, ma è in nostro potere negare fede agli idoli» (Simone Weil). In questo impegno i cristiani sono pari a chi cerca la giustizia senza avere la fede in Dio, e allora possiamo reciprocamente aiutarci, stimolarci, correggerci, sempre in cammino, nella speranza attiva.

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Commenti Articolo 538

Titolo articolo : CHIESA E POTERE, OGGI.,a cura di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/20/2013 - 23:56:02.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/3/2013 22.07
Titolo:CHIESA E STATI: CONCORDATI .....
CONCORDATI O SOVRANITA'

STORIA DEI RAPPORTI TRA CHIESA E STATI *



Ernesto Rossi scriveva che il Vaticano era il più pericoloso centro della reazione mondiale, la chiesa cattolica ha sempre minacciato ogni libertà di coscienza, il Vaticano appoggiò Mussolini, Hitler, Franco, Salazar, Vichy, Pavelic, Peron, Pinochet, in generale tutte le dittature dei paesi cattolici, con le quali ha fatto un concordato.

Con questi concordati, gli Stati, per rafforzarsi, conferiscono alla Chiesa privilegi a spese del popolo; l’unità dello Stato e la sottomissione dei sudditi sono garantiti dalla polizia, dalla pubblica istruzione, dalla legge, dalla propaganda e dalle omissioni dei mezzi d’informazione fiancheggiatrici, dalla religione e dall’odio verso gli altri popoli.

Nel 325 Costantino, per assumere il controllo dell’impero, fece il primo concordato con la Chiesa Cattolica, facendola divenire religione privilegiata dell’impero, Teodosio I (378-395) rafforzò il monopolio religioso della chiesa; nel 781 Carlo Magno fece un’altro concordato, gettando le basi del potere temporale dei papi e dello Stato della Chiesa. Nel 1122 si fece il concordato di Worms, tra papa Callisto II e l’imperatore Enrico V, che pose termine alla lotta sulle investiture dei vescovi, durata sessant’anni, sulle quali imperatori e papi guadagnavano perché abituati a vendere le cariche.

Nel 1801 fece un concordato Napoleone I, nel 1853 Napoleone III, nel 1855 ne fece uno Francesco Giuseppe d’Austria, nel 1929 fu la volta di Benito Mussolini, nel 1933 di Adolf Hitler, nel 1940 di Salazar, nel 1953 di Francisco Franco. Lo scopo di questi concordati era il rafforzamento di regimi liberticidi, in cambio di privilegi concessi alla Chiesa.

* RIPRESA PARZIALE DA:

http://www.homolaicus.com/religioni/chiesa-stato.htm
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/3/2013 22.47
Titolo:Padre Lombardi: «Calunnie della sinistra anticlericale»
Padre Lombardi: «Calunnie della sinistra anticlericale»

di Alessandro Oppes (il Fatto Quotidiano, 16 marzo 2013)

Sono solo “diffamazioni e calunnie” che arrivano da “una sinistra anticlericale per attaccare la Chiesa e devono essere respinte con decisione”. La Santa Sede è preoccupata dall’insistente tam-tam di stampa che riprende i vecchi sospetti di connivenza tra Jorge Mario Bergoglio e la dittatura del generale Videla, rilanciati ieri nell’intervista al Fatto Quotidiano dal giornalista argentino Horacio Verbitsky.

Il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, in un comunicato letto durante il briefing di ieri nel tentativo di liquidare una volta per tutte la questione, parla di un’operazione “portata avanti da una pubblicazione caratterizzata da campagne a volte calunniose e diffamatorie”.

Il riferimento evidente è al quotidiano di Buenos Aires Pagina12, da anni vicino al kirchenerismo, un giornale che ha tra i suoi editorialisti di punta proprio Verbitsky, l’autore del libro L’isola del silenzio (in Italia edito da Fandango).

In quel testo Verbitsky accusa Bergoglio di non aver protetto, all’epoca in cui era superiore provinciale della Compagnia di Gesù in Argentina, due gesuiti sequestrati dai militari e torturati per sei mesi nei locali dell’Esma, la scuola di meccanica della Marina. “Non vi è mai stata un’accusa credibile concreta nei suoi confronti”, ricorda Lombardi. “La giustizia argentina lo ha interrogato una volta come persona informata sui fatti, ma non gli ha mai imputato nulla”.

IN EFFETTI, due anni fa l’arcivescovo Bergoglio venne chiamato a deporre davanti al Tribunal Oral n.5 di Buenos Aires, che poi condannò all’ergastolo Alfredo Astiz e El Tigre Acosta insieme ad altri leader della brutale repressione dell’Esma.

La sua dichiarazione era stata richiesta dall’avvocato Luís Zamora, che rappresentava i familiari delle suore francesi Leonie Duquet e Alice Dumont, uccise dal regime. Bergoglio disse di aver saputo che i suoi confratelli gesuiti Orlando Yorio e Francisco Jalic, rapiti tra maggio e ottobre del 1976, si trovavano detenuti all’Esma, e che intervenne presso l’ammiraglio Massera e il generale Videla in persona nel tentativo di farli rilasciare. “Fu un testimone reticente”, dice l’avvocato Zamora al quotidiano La Nación.

Nel frattempo, morto ormai Yorio (in Uruguay, nel 2000), l’unico sopravvissuto di quella vicenda, padre Jalics, che vive in Germania, è intervenuto ieri in soccorso del nuovo pontefice con una dichiarazione pubblicata sul sito jesuiten.org : “Sono riconciliato con quegli eventi, per me quella vicenda è conclusa. Solo anni dopo abbiamo avuto la possibilità di parlare di quegli avvenimenti con padre Bergoglio, che nel frattempo era stato nominato arcivescovo. Dopo quel colloquio abbiamo celebrato insieme una messa pubblica e ci siamo abbracciati solennemente”.

Nel libro-intervista El jesuita, una biografia di Bergoglio pubblicata in Argentina dai giornalisti Sergio Rubín, del Clarín, e Francesca Ambrogetti, dell’Ansa, si sostiene che il ruolo Bergoglio fu quello di aiutare a far scappare i perseguitati dalla dittatura. A un ragazzo che gli somigliava, rivelano, cedette la propria carta d’identità perché potesse attraversare la frontiera travestito da prete.

Una versione che non convince tutti. Come la presidente delle Abuela de Plazas de Mayo, Estela Carlotto: “La gerarchia della Chiesa cattolica è stata partecipe e complice, direttamente o indirettamente, delle violazioni dei diritti umani”.

Poi c’è il cardinale George Pell, arcivescovo di Sydney, che afferma: “I dirigenti di Amnesty International dell’epoca avevano detto che le accuse erano false. Diffamazione e menzogna”. Ma Amnesty precisa: “Non siamo in possesso di alcun documento che confermi o smentisca il presunto coinvolgimento di Jorge Mario Bergoglio nella sparizione di due preti gesuiti in Argentina”.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/3/2013 10.56
Titolo:CONTRO L'IPOCRISIA. Bergoglio a Buenos Aires, il 2.09.2012 ....
Quando Bergoglio puntava il dito contro la borghesia dello spirito

di Jorge Mario Bergoglio (l’Unità, 13 marzo 2013)

L’omelia del 2 settembre scorso a Buenos Aires. L’allora cardinale criticava l’ipocrisia clericale e invitava la Chiesa ad accompagnarei fedeli

L ’ascolto della Parola mi ha fatto sentire tre cose: vicinanza, ipocrisia e mondanità. La prima lettura dice: «Per caso esiste una nazione così grande da avere i propri déi vicini quanto lo è il Signore nostro Dio a noi?». Il nostro Dio è un Dio che si avvicina. È un Dio che si fa vicino. Un Dio che ha iniziato a camminare con il suo popolo e dopo si è fatto uno di loro come Gesù Cristo, per esserci più vicino.

Ma non con una vicinanza metafisica, ma con quella vicinanza che descrive Luca quando Gesù va a curare la figlia di Jairo, con la gente che lo spintona fino a soffocarlo mentre un’anziana tenta di toccargli il mantello. Con questa vicinanza della moltitudine che voleva azzittire il cieco che con le grida voleva farsi sentire all’entrata a Gerico. Con questa vicinanza che ha dato animo a quei dieci lebbrosi per chiedergli di lavarli. Gesù è qui. Nessuno voleva perdersi questa vicinanza, persino il bambino salito sul sicomoro per vederlo.

Il nostro Dio è un Dio vicino. Ed è curioso. Curava, faceva del bene. San Pietro lo dice in maniera chiara: «Ha vissuto facendo il bene e curando». Gesù non ha fatto proselitismo: ha accompagnato. E le conversioni che otteneva erano proprio grazie a questa sua attitudine di accompagnare, insegnare, ascoltare, fino al punto che la sua condizione di non essere uno che fa proseliti gli fa dire: «Se anche voi volete andarvene, fatelo adesso e non perdete tempo. Avete parola di vita eterna, noi rimaniamo qui».

Il Dio vicino, vicino con la nostra carne. Il dio dell’incontro che esce dall’incontro del suo popolo. Il Dio che - userò una parola bella della diocesi di San Justo -: il Dio che mette il suo popolo nelle condizioni dell’incontro. E con questa vicinanza, con questo camminare, crea questa cultura dell’incontro che ci rende fratelli, figli e non soci di una ong o proseliti di una multinazionale. Vicinanza. Questa è la proposta.

La seconda parola è ipocrisia. Mi richiama l’attenzione che San Marco, sempre così conciso e breve, abbia dedicato tanto spazio a questo episodio - che, nella versione liturgica, è ancora più ampio. Sembra che se la prenda con quelli che si allontanano, quelli che del messaggio della vicinanza di questo Dio, che cammina con il suo popolo, che si è fatto uomo per essere uno di noi e camminare, hanno preso questa realtà, la hanno sviscerata in una lunga tradizione, la hanno resa idea, puro precetto e, infine, l’hanno allontana dalla gente.

Gesù sì che accuserà coloro che fanno proseliti per questo: fare proselitismo. Voi percorrete mezzo mondo per fare proseliti e poi li uccidete con tutto ciò. Allontanando la gente. Quelli che si scandalizzavano quando Gesù andava a mangiare con i peccatori, con la gentaglia, a questi Gesù rispondeva: «La gentaglia e le prostitute vi precederanno», che era la peggior cosa da dire all’epoca.

Gesù non li blandisce. Sono quelli che hanno clericalizzato - per usare una parola che si capisca - la chiesa del Signore. La riempiono di precetti e lo dico con dolore e scusatemi, se questa cosa sembra una denuncia o un’offesa, ma nella nostra regione ecclesiastica ci sono presbiteri che non battezzano bambini nati da ragazze madri perché concepiti fuori dalla santità del matrimonio.

Questi sono gli ipocriti di oggi. Quelli che hanno clericalizzato la Chiesa. Quelli che allontanano il Dio della salvezza dalla gente. E questa povera ragazza, pur potendo rispedire suo figlio al mittente, ha avuto il coraggio di portarlo alla luce, sta peregrinando di parrocchia in parrocchia affinché qualcuno lo battezzi.

A coloro che cercano proseliti, i clericali, quelli che clericalizzano il messaggio, Gesù indica il cuore e dice: «Dal vostro cuore escono le cattive intenzioni, le fornicazioni, i furti, gli omicidi, gli adulteri, l’avarizia, il male, gli inganni, la disonestà, l’invidia, la disinformazione, l’orgoglio, la mancanza di stima...». Bella gente, eh? E così li tratta: li denuncia. Clericalizzare la Chiesa è un’ipocrisia farisaica.

La Chiesa del «venite, gente, che vi diamo il premio e chi non entra non entra» è fariseismo. Gesù ci insegna un’altra via: uscire. Uscire a portare testimonianza, uscire a interessarsi al nostro fratello, uscire a compatire, uscire a chiedere. Farsi carne. Contro lo gnosticismo ipocrita dei farisei, Gesù torna a mostrarsi in mezzo alla gente tra gentaglia e peccatori.

La terza parola che mi ha toccato è il finale della lettera di San Giacomo: non contaminarsi con il mondo. Perché se il fariseismo, questo «clericalismo » tra virgolette, ci danneggia, anche la mondanità è uno dei mali che minano la nostra coscienza cristiana. Questo lo dice San Giacomo: non contaminatevi con il mondo.

Nel suo addio, dopo cena, Gesù chiede al Padre che lo salvi dallo spirito del mondo. È la mondanità spirituale. Il peggior danno che possa capitare alla Chiesa: cadere nella mondanità spirituale.

Per questo, sto citando il cardinale De Lubac. Il peggior danno che possa capitare alla Chiesa, persino peggiore di quello di avere avuto Papi libertini. Questa mondanità spirituale di fare quel che sembra buono, di essere come gli altri, questa borghesia dello spirito, degli orari, di spassarsela, dello status: «Sono cristiano, consacrato, clerico».

Non contaminatevi con il mondo, dice San Giacomo. No all’ipocrisia. No al clericalismo ipocrita. No alla mondanità spirituale. Perché questo dimostrerebbe che siamo più imprenditori che uomini o donne di vangelo. Sì alla vicinanza. Al camminare con il popolo di Dio. A sentire tenerezza per i peccatori, per quelli che si sono allontanati, e sapere che Dio vive in mezzo a loro.

Che Dio ci conceda questa grazia della vicinanza, che ci salvi dall’atteggiamento imprenditoriale, mondano, proselitista, clericalista e ci avvicini al Suo cammino: quello di camminare con il santo popolo fedele di Dio. Che così sia.

Testo tradotto da Leonardo Sacchetti
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/3/2013 14.37
Titolo:- “Benedico in silenzio per rispetto degli atei”
- “Benedico in silenzio per rispetto degli atei”
- la rivoluzione della liturgia di Bergoglio

di Paolo Rodari (la Repubblica, 17 marzo 2013)

Per non urtare i non credenti ieri ha benedetto in silenzio i giornalisti ricevuti in udienza in Aula Paolo VI: «Poiché molti di voi non appartengono alla Chiesa cattolica, altri non sono credenti, di cuore do questa benedizione in silenzio, a ciascuno di voi, rispettando la coscienza di ognuno, però sapendo che ognuno di voi è figlio di Dio», ha detto mettendo subito in pratica l’auspicio poco prima manifestato di una Chiesa «dei poveri», che non pontifica dai piedistalli ma si fa serva di tutti.

Giovedì scorso, nella messa coi cardinali in Cappella Sistina, al posto degli abiti pontificali ha indossato una semplice casula. Sempre in Sistina ha celebrato non più “spalle al popolo” e con la cattedra al centro, come invece era solito fare Papa Ratzinger ritornando a usi preconciliari, ma di fronte all’assemblea e con la cattedra di lato, sulla sinistra guardando l’affresco del Giudizio universale.

E martedì prossimo, per la messa “d’inaugurazione” del pontificato, un’altra novità: a fianco dei cerimonieri pontifici porterà come ministranti, altrimenti detti chierichetti, non più i seminaristi romani ma i frati francescani del santuario de La Verna, vicino ad Arezzo. Dei religiosi, dunque, e non dei candidati al sacerdozio.

Insomma, tanti piccoli segni che messi assieme formano quella che in molti definiscono la “nuova” impronta liturgica di Papa Francesco, uno stile che di schianto, dopo anni di graduali riavvicinamenti al rito antico e alle sue regole, fa tornare fuori dalle catacombe nelle quali rischiava di essere sepolto il Concilio Vaticano II e con lui tutta la sua teologia: la Chiesa intesa come popolo di Dio, per la quale non soltanto la gerarchia, ma anche tutti i fedeli sono investiti degli uffici del sacerdozio, della profezia e della regalità.

Benedetto XVI amava il rito antico, la messa celebrata in latino con il sacerdote rivolto verso Oriente, il sole che sorge, Cristo che viene. Ma non voleva un ritorno tout court all’antico. Il suo era più che altro un amore per una liturgia a cui aveva partecipato da bambino, nella terra fra le più romane del cattolicesimo tedesco, la Baviera.

Piuttosto, sono stati diversi settori tradizionalisti a sovradimensionare questo feeling di Ratzinger con l’antico, sovrapponendo alla sua idea di un Concilio ancora da interpretare pienamente come rinnovamento nella continuità col passato, il miraggio di un azzeramento delle novità stesse del Concilio.

Ora Papa Francesco azzera ogni nostalgia liturgica e impone uno stile del tutto in scia al Vaticano II: i fedeli non sono dei «presenti assenti», ma sono l’assemblea «soggetto » della celebrazione.

Già dai primi minuti dopo l’elezione, i cardinali che circondavano Papa Francesco hanno compreso che molto sarebbe mutato. Il primo segnale è arrivato dalla stanza delle Lacrime, dove Bergoglio ha abbandonato la talare rossa per indossare la sua nuova veste bianca. Qui, egli ha rifiutato di indossare, sopra la stessa veste, la mozzetta di velluto rosso bordata di ermellino e la croce d’oro.

Alcuni riferiscono che egli avrebbe «liquidato» le insistenze del Maestro delle celebrazioni liturgiche, il fine liturgista Guido Marini, allievo del cardinale Siri, con un deciso: «Questa la mette lei, io mi tengo questa, la croce di quando sono divenuto vescovo». E cioè una croce di ferro che porta incisa la raffigurazione del buon pastore con in spalla la pecorella smarrita e alle spalle il suo gregge.

Ma se resta difficile credere che il mite Francesco abbia usato un tono simile con Marini, è innegabile il suo rifiuto per tutto ciò che non c’entra con l’essenzialità, la fede semplice degli ultimi, Cristo al centro della scena e nessun altro al suo posto.

Quando la Chiesa celebra i sacramenti, confessa la fede ricevuta dagli apostoli. Da qui l’antico adagio: « Lex orandi, lex credendi ». Di qui il detto di Prospero di Aquitania: « Legem credendi lex statuat supplicandi ». La legge della preghiera è la legge della fede, la Chiesa crede come prega.

Per questo Francesco da subito propone il suo stile. Perché è da come prega che la Chiesa crede. La sua Chiesa è umile, povera, anche spoglia. E il primo luogo in cui si manifesta è laddove c’è il suo cuore, appunto la liturgia: a servire alla sua messa d’inizio pontificato verranno dei frati francescani, degli umili religiosi. Francesco non solo predica umiltà, ma anche la ricerca nel suo agire.

Dalla loggia centrale della basilica vaticana la sera dell’elezione ha chiesto al popolo in piazza di pregare in silenzio per lui. Si dice che avrebbe voluto inginocchiarsi per ricevere la preghiera della gente sotto riunita. Gliel’hanno sconsigliato perché la balaustra l’avrebbe nascosto. Così ha semplicemente piegato in avanti il capo, il primo segnale che molto sarebbe cambiato.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/3/2013 18.12
Titolo:ATTENZIONE: "CHIESA DEI POVERI" (Giovanni XXIII) O "CHIESA PER I POVERI" (Papa ...
Il rottamatore di Dio

di Luca Kocci (il manifesto, 17 marzo 2013)

Con l’ Angelus in piazza san Pietro, questa mattina, ci sarà il primo vero bagno di folla di papa Bergoglio. In attesa di martedì quando, con la messa di inizio pontificato, è atteso a Roma un milioni di persone, con oltre 100 capi di Stato e di governo.

Intanto, nelle occasioni pubbliche di questi giorni, Bergoglio si conferma papa mediatico e innovatore, perlomeno nei gesti e nelle parole. «Un rottamatore che sta smontando pezzo dopo pezzo il cerimoniale moderno dei pontefici», dice lo storico Alberto Melloni.

Ieri, per esempio, alla fine dell’udienza ai 5mila giornalisti che hanno seguito il conclave, il papa ha eliminato la benedizione solenne, che Ratzinger faceva spesso in latino. «Dato che molti di voi non appartengono alla Chiesa e non sono credenti - ha detto in spagnolo -, imparto la benedizione, in silenzio, rispettando la coscienza di ciascuno».

Bergoglio ha anche svelato come sono andate le cose per la scelta del nome Francesco. Appena superato il quorum del 77 voti, il suo vicino di posto in conclave, il francescano brasiliano Hummes, gli ha detto «non dimenticare i poveri». Subito, spiega Bergoglio, «ho pensato a Francesco d’Assisi, l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato, e in questo momento noi non abbiamo una buona relazione con il creato».

E ha confessato anche il suo desiderio di «una Chiesa povera e per i poveri». Un’affermazione decisamente in controtendenza rispetto al trionfalismo trasmesso dagli ultimi due pontificati di Wojtyla e Ratzinger.

Che tuttavia, facendo un po’ di esegesi, rivela una visione diversa da quella conciliare: papa Roncalli parlò di «Chiesa dei poveri», quella di Bergoglio è una Chiesa «per i poveri», in cui quindi la componente paternalistica e caritatevole sembra prevalere rispetto a quella di liberazione.

Arrivano anche i primi atti di governo del nuovo papa, con la conferma, scontata, dei capi dei dicasteri curiali e vaticani «donec aliter provideatur», cioè fino a che non si provveda altrimenti.

Tuttavia, nel comunicato della sala stampa, c’è una precisazione non scontata: «Il santo padre desidera riservarsi un certo tempo per la riflessione, la preghiera e il dialogo, prima di qualunque nomina o conferma definitiva».

Non andò così con Ratzinger il quale, due giorni dopo la sua elezione a papa, confermò come segretario di Stato il cardinal Sodano, citandolo espressamente, e lasciandolo al suo posto per oltre un anno, fino al raggiungimento dell’età pensionabile. E così fece con molti altri, a partire dai due sostituti della Segreteria di Stato, per gli Affari generali e per i Rapporti con gli Stati (i ministri degli Interni e degli Esteri).

Sembrerebbe invece che Bergoglio - perlomeno a questo fa pensare l’inciso del comunicato ufficiale - voglia prendersi ancora qualche settimana di tempo per poi procedere ad un ricambio robusto e generalizzato dei vertici della curia e del governatorato, cominciando proprio dalla Segreteria di Stato di Bertone.

Saranno proprio queste nomine a rivelare se veramente quello di Bergoglio sarà un pontificato di rottura e quale direzione potrà prendere, al di là dei gesti e delle parole apparentemente “rivoluzionarie” di questi giorni.

Domani ci sarà la prima udienza del papa con un capo di Stato: la presidente argentina Cristina Kirchner. E fra i due i rapporti sono tutt’altro che pacifici: Bergoglio, da presidente della Conferenza episcopale argentina (fino al 2011) e da vescovo di Buenos Aires, non è mai stato un suo sostenitore.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/3/2013 23.09
Titolo:ANELLO DEL PESCATORE: ORO O ARGENTO, E\' LO STESS0!!!
ANELLO DEL PESCATORE: ORO O ARGENTO, E\' LO STESS0!!! GIOVANNI XXIII E GIOVANNI PAOLO II lo restituirono a san Giuseppe, al padre di Gesù, allo sposo di Maria! Un\'indicazione teologica decisiva per uscire dal cattolicesimo imperiale e costantiniano! (fls)

______________________________________________________________


PAPA FRANCESCO / I SIMBOLI ​

- Conservato il motto,
- l’anello sarà d’argento *

La celebrazione di domani partirà dalla tomba di San Pietro, dove ci saranno preparati l’anello del pescatore e il pallio, i due segni del ministero petrino, che verranno consegnati al Papa. Il pallio è consegnato dal cardinale protodiacono Jean-Louis Tauran.

Il cardinale primo dell’ordine dei presbiteri, Godfried Daneels, farà una preghiera e il cardinale decano, il primo dell’ordine dei vescovi, Angelo Sodano, gli consegnerà l’anello del pescatore. Lo ha riferito Padre Federico Lombardi.

L’anello del pescatore scelto da Papa Bergoglio che gli verrà consegnato domani è in argento dorato. Padre Lombardi ha spiegato che il modello dell’anello era stato dato dall’artista Enrico Manfrini al segretario di Paolo VI, mons. Macchi. In questi giorni è stato proposto al papa dal maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie, monsignor Guido Marini, insieme con altri due modelli. Il Papa ha scelto, fra i tre propostigli, quello dell’artista scomparso a 87 anni nel 2004 a Milano, conosciuta anche come \"lo scultore dei papi\". Nell’anello c’è l’immagine di San Pietro con le chiavi.

STEMMA EPISCOPALE-PAPALE DI FRANCESCO - 70.2 Kb
STEMMA EPISCOPALE-PAPALE DI FRANCESCO

Papa Francesco ha inoltre deciso di conservare il suo stemma episcopale e il motto ’miserando atque eligendo\", tratto dalla vocazione di San Matteo (\"Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi\".)

Il pallio che domani verrà consegnato e Papa Francesco \"è lo stesso di Benedetto XVI\". Lo ha detto il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, nel briefing con i giornalisti. Il pallio è la fascia di lana bianca con le croci rosse che simboleggia il Buon Pastore e, insieme all’anello del pescatore, è uno dei due simboli del ministero petrino.​

* Avvenire, 18 marzo 2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/3/2013 23.56
Titolo:Francesco, vescovo-papa, tra luci e ombre
Francesco, vescovo-papa, tra luci e ombre

di Enrico Peyretti

in “nuova società” ( http://www.nuovasocieta.it/ ) del 20 marzo 2013

Ad una settimana dall’elezione di papa Francesco, i suoi primi gesti e parole meritano attenzione, al di là degli entusiasmi, insieme alle ombre persistenti negli ambienti più critici sul suo ruolo nelle vicende dell’Argentina sotto la dittatura militare.

Vediamo il positivo. Un papa che, alla sua prima comparsa, prega col popolo, valorizza il popolo come soggetto ecclesiale attivo, chiedendogli di benedirlo prima di benedire lui il popolo (benedire non è azione sacrale riservata, ma è desiderare e invocare il bene su qualcuno), che si dice vescovo di Roma e non pronuncia la parola papa, che veste e vive semplicemente, che ha scarpe molto usate, che bacia la Presidenta Cristina ma anche donne del popolo, che predica misericordia, servizio, tenerezza, un papa così è certamente umano, simpatico, amabile anche da chi non è cattolico, per l’importanza oggettiva del ruolo che ricopre. Sarà conservatore, ma essere buoni, gentili, semplici, è qualità bella per un papa come per chiunque di noi.

A lato dell’entusiasmo popolare e ufficiale, insieme ai soliti retroscena curiosi, sono corse notizie, non nuove per chi conosceva l’Argentina, sul suo comportamento negli anni della dittatura (1976- 1983). Allora era superiore dei gesuiti, poi fu vescovo di Buenos Aires (dal 1998; vescovo ausiliare dal 1992). Ora, c’è chi accusa molto, e chi assolve in fretta. Non mi pare che le accuse arrivino a diretta attiva complicità coi militari, come fecero altri ecclesiastici. Il tempo forse aiuterà a chiarire, e sarà importante. Io penso che lui stesso, papa Francesco, per il carattere che dimostra, dirà una parola.

Parlando in generale, come fa notare anche Hans Küng, teologo assai critico, sotto una dittatura (p. es. il nazismo in Germania) non è facile comportarsi senza errori, debolezze, eccessi di prudenza o di imprudenza, anche con l’intenzione di mediare, di ottenere riduzione del danno, di salvare qualche vita. Chi vuole mediare, sembra ad entrambe le parti vicino a quella opposta.

Bisogna vedere se sostieni i potenti per avere dei vantaggi, se condividi l’idea dei dittatori, se soltanto sopporti in attesa di liberazione. Questo va detto per giustizia, nei confronti di chiunque, anche di un uomo, di un vescovo, che diventa papa.

E io ricordo a me stesso le parole di Dostoevskij «Prendi la colpa su di te e soffri per essa, solo allora potrai giudicare» (nei Fratelli Karamazov). E mi chiedo se noi oggi, pur un poco impegnati per la giustizia e la verità nella società umana, non dobbiamo sentirci troppo passivi e rassegnati, se non complici per troppo conformismo quotidiano, con la dittatura criminale del denaro che oggi impera sui popoli e fa vittime tra i più poveri. Io non mi sento innocente, pur sforzandomi di vedere, far vedere, unire, agire, nel piccolo delle mie capacità, per la giustizia e la nonviolenza.

Questo va detto non per passare una spugna su tutto, nel caso di Bergoglio come di tantissime altre persone in posti di responsabilità maggiori di noi, persone comuni, ma va detto per giustizia.

Nello stesso tempo, però, abbiamo il dovere e il conforto di riconoscere chi ebbe il coraggio di parlare forte contro la violenza, fino a pagare con la vita, come il vescovo Oscar Romero in Salvador (ucciso il 24 marzo 1980) e il vescovo Angelelli proprio in Argentina, più tanti altri resistenti, sia cristiani, sia non cristiani. Gli eroi e martiri della giustizia ci danno coraggio e ci fanno meditare, ma io non posso esigere da nessuno l’eroismo che non ho io.

Infine, da cristiano, devo constatare che tante ma tante e troppe volte la chiesa, nelle sue autorità, ma anche a livelli popolari, si è appoggiata e ha appoggiato potenti e prepotenti, anche violenti, dal costantinismo (ricorre un centenario dell’anno 313), ai “re cattolicissimi”, tutti trono e altare, alle guerre di religione, ai concordati e alleanze coi fascismi, fino all’italico berlusconismo.

La chiesa è fatta di santi e di peccatori, non è altro che una comune umanità imperfetta e debole; è fatta di peccatori credenti, per grazia immeritata, che Dio per amore nostro, nel cammino accidentato di ogni vita, infonde il desiderio, la ricerca, a volte una maggiore luce ed energia di bene, di fraternità, libertà, giustizia, fino al perdono dei nemici e al donare gratuito senza attendersi reciprocità. Ma sempre, in noi, col senso della inadeguatezza, dell’insufficienza, perciò dell’umiltà pari all’impegno.

Ciò vale per ogni cristiano, anche per un vescovo-papa. Non è colpa essere in cammino, peccare di debolezza, mentre è colpa dare fede alla potenza. Non è forse questo il massimo criterio di giudizio sulla chiesa, sul suo significato nella storia del mondo?

«Non è in nostro potere credere in Dio, ma è in nostro potere negare fede agli idoli» (Simone Weil). In questo impegno i cristiani sono pari a chi cerca la giustizia senza avere la fede in Dio, e allora possiamo reciprocamente aiutarci, stimolarci, correggerci, sempre in cammino, nella speranza attiva.

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Commenti Articolo 539

Titolo articolo : Leonardo Boff: «Sarà la primavera dopo il duro inverno»  ,di Eleonora Martini

Ultimo aggiornamento: March/18/2013 - 18:55:24.

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Autore Città Giorno Ora
antonio lupo milano 18/3/2013 18.51
Titolo:

cara redazione, complimenti per aver pubblicato oggi una bella e approfondita intervista a Leonardo Boff, uno dei grandi pensatori moderni , amico e consigliere dei movimenti sociali dell'America latina, tra cui il Movimento Sem Terra.
 
Nell'intervista Boff afferma "Noi non abbiamo preso Marx come padrino della teologia della Liberazione: io stesso non sono marxista . E non è mai esisista una Teologia della Liberazione marxista".
 
E' certamente vero , i due poli per Boff, come dice alla fine dell'intervista sono " il Padre nostro e il Pane nostro", ma questo non toglie il valore che Boff ha sempre riconosciuto al marxismo, al punto, nel commentare l'enciclica di Benedetto XVI Caritas in Veritate, di affermare ( vedi articolo qui ),
 “Al papa le hace falta un poco de marxismo”.
E  poi nel testo specificava " Leggendo il testo, lungo e faticoso, finiamo per pensare: Quanto bene farebbe all’attuale papa un po’ di marxismo!"
 
antonio lupo - Comitato Italia Amigos Sem Terra

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Commenti Articolo 540

Titolo articolo : Interroghiamoci sul Movimento 5 Stelle  ,di Augusto Cavadi

Ultimo aggiornamento: March/18/2013 - 10:17:03.

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Autore Città Giorno Ora
GINA COMETTO CUNEO 18/3/2013 10.17
Titolo:INTERROGHIAMOCI SUL MOV 5 STELLE
Parlo a nome di un cospicuo numero di votanti 5 stelle. Sì, siamo già pentiti a morte di aver votato i seguaci del dittatore GRILLO. ne abbiamo già avuto uno nella storia... ma loro non erano nati e vogliono provare l'ebbrezza del fascismo: COMBATTERE DISTRUGGERE E UBBIDIRE.(si può parafrasare così lo slogan di allora e reso più che mai attuale da questi imberbi parlamentari) Che schifo li credevo intelligenti anche perchè sfoggiavano lauree che ora si scoprono fasulle o in fieri. Ma chi lo sapeva?. Ora vorremmo andare di nuovo alle urne, ma per rottamare loro questa volta!!!! un gruppo di amici delusi

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Commenti Articolo 541

Titolo articolo : Occhi aperti e spirito vigile,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: March/17/2013 - 18:09:10.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/3/2013 18.09
Titolo:LA "CHIESA DEI POVERI" DI GIOVANNI XXIII e la "Chiesa povera e per i poveri" .....
Il rottamatore di Dio

di Luca Kocci (il manifesto, 17 marzo 2013)

Con l’ Angelus in piazza san Pietro, questa mattina, ci sarà il primo vero bagno di folla di papa Bergoglio. In attesa di martedì quando, con la messa di inizio pontificato, è atteso a Roma un milioni di persone, con oltre 100 capi di Stato e di governo.

Intanto, nelle occasioni pubbliche di questi giorni, Bergoglio si conferma papa mediatico e innovatore, perlomeno nei gesti e nelle parole. «Un rottamatore che sta smontando pezzo dopo pezzo il cerimoniale moderno dei pontefici», dice lo storico Alberto Melloni.

Ieri, per esempio, alla fine dell’udienza ai 5mila giornalisti che hanno seguito il conclave, il papa ha eliminato la benedizione solenne, che Ratzinger faceva spesso in latino. «Dato che molti di voi non appartengono alla Chiesa e non sono credenti - ha detto in spagnolo -, imparto la benedizione, in silenzio, rispettando la coscienza di ciascuno».

Bergoglio ha anche svelato come sono andate le cose per la scelta del nome Francesco. Appena superato il quorum del 77 voti, il suo vicino di posto in conclave, il francescano brasiliano Hummes, gli ha detto «non dimenticare i poveri». Subito, spiega Bergoglio, «ho pensato a Francesco d’Assisi, l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato, e in questo momento noi non abbiamo una buona relazione con il creato».

E ha confessato anche il suo desiderio di «una Chiesa povera e per i poveri». Un’affermazione decisamente in controtendenza rispetto al trionfalismo trasmesso dagli ultimi due pontificati di Wojtyla e Ratzinger.

Che tuttavia, facendo un po’ di esegesi, rivela una visione diversa da quella conciliare: papa Roncalli parlò di «Chiesa dei poveri», quella di Bergoglio è una Chiesa «per i poveri», in cui quindi la componente paternalistica e caritatevole sembra prevalere rispetto a quella di liberazione.

Arrivano anche i primi atti di governo del nuovo papa, con la conferma, scontata, dei capi dei dicasteri curiali e vaticani «donec aliter provideatur», cioè fino a che non si provveda altrimenti.

Tuttavia, nel comunicato della sala stampa, c’è una precisazione non scontata: «Il santo padre desidera riservarsi un certo tempo per la riflessione, la preghiera e il dialogo, prima di qualunque nomina o conferma definitiva».

Non andò così con Ratzinger il quale, due giorni dopo la sua elezione a papa, confermò come segretario di Stato il cardinal Sodano, citandolo espressamente, e lasciandolo al suo posto per oltre un anno, fino al raggiungimento dell’età pensionabile. E così fece con molti altri, a partire dai due sostituti della Segreteria di Stato, per gli Affari generali e per i Rapporti con gli Stati (i ministri degli Interni e degli Esteri).

Sembrerebbe invece che Bergoglio - perlomeno a questo fa pensare l’inciso del comunicato ufficiale - voglia prendersi ancora qualche settimana di tempo per poi procedere ad un ricambio robusto e generalizzato dei vertici della curia e del governatorato, cominciando proprio dalla Segreteria di Stato di Bertone.

Saranno proprio queste nomine a rivelare se veramente quello di Bergoglio sarà un pontificato di rottura e quale direzione potrà prendere, al di là dei gesti e delle parole apparentemente “rivoluzionarie” di questi giorni.

Domani ci sarà la prima udienza del papa con un capo di Stato: la presidente argentina Cristina Kirchner. E fra i due i rapporti sono tutt’altro che pacifici: Bergoglio, da presidente della Conferenza episcopale argentina (fino al 2011) e da vescovo di Buenos Aires, non è mai stato un suo sostenitore.

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Commenti Articolo 542

Titolo articolo : Considerazioni finali sul caso Bergoglio/Verbitsky/Esquivel,di Gennaro Carotenuto

Ultimo aggiornamento: March/17/2013 - 17:52:56.

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Autore Città Giorno Ora
Franca Maria Bagnoli Pescara 17/3/2013 17.52
Titolo:Chi è Papa Francesco I ?
Bellissimo articolo, quello di Gennaro Carotenuto. Esaustivo, equilibrato, dal punto di vista ecclesiale, morale, politico. con altrettanto equilibro, unito ad amure fraterno dovremo seguire le azioni di questo Papa e pregare.

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Commenti Articolo 543

Titolo articolo : LA POTENZA DEL DESIDERIO E IL PROBLEMA DI DIO. LA LEZIONE DI GIAMBATTISTA VICO. Un breve saggio,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/15/2013 - 17:36:38.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/3/2013 17.36
Titolo:IL FASCISMO, GENTILE, E TERESA MATTEI: L'ULTIMA DONNA DELLA COSTITUENTE ....
Aveva 92 anni
È scomparsa Maria Mattei l’ultima donna costituente

di Maria Corbi (La Stampa, 13.03.2013)

Se ne va un altro pezzo di memoria del Paese, una donna, Maria Teresa Mattei, che è stata la più giovane eletta all’Assemblea Costituente e che ha contribuito a porre le basi di un Paese libero e democratico. Classe 1921, partigiana, combattente nella formazione garibaldina Fronte della Gioventù, si è sempre dedicata alla lotta per i diritti delle donne e dei bambini. È lei la madre della mimosa, il simbolo dell’8 marzo, della battaglia per la parità. Un fiore povero e diffuso che vinse sulla violetta proposta dalla Luigi Longo che voleva regalarle quel giorno.

Teresa era genovese di nascita, si iscrisse nel 1942 al Partito Comunista che lascerà nel 1955 quando rifiuterà la candidatura alle elezioni per la Camera a causa del dissenso nei confronti di Togliatti. Il nome di battaglia della Mattei era «Chicchi» e operava nella città di Firenze (a lei ed al suo gruppo si ispirò Roberto Rossellini per l’episodio di Firenze di Paisà).

Il fratello Gianfranco Mattei è un martire della resistenza. Docente e ricercatore di chimica al Politecnico di Milano, assistente prediletto del futuro premio Nobel Giulio Natta, fabbricava esplosivi per i Gap della capitale. Nel 1944 si tolse la vita nella cella di via Tasso, a Roma, per non cedere alle torture e non rischiare di rivelare il nome dei compagni.

Anni più tardi la Mattei raccontò che da quel lutto nacque in lei e in Bruno Sanguinetti (che dopo la guerra sposerà) l’idea di uccidere il filosofo Giovanni Gentile. Per fare in modo che i gappisti incaricati dell’agguato potessero riconoscerlo, alcuni giorni prima li accompagnò lei stessa (che conosceva personalmente il filosofo) presso l’Accademia d’Italia della Rsi, che lui dirigeva. «Mentre usciva lo indicai ai partigiani, poi lui mi scorse e mi salutò».

Sessant’anni dopo rivendicò quella scelta: «Se un grande pensatore si schiera con un regime orribile come la Repubblica di Salò, si assume una responsabilità enorme. È un tradimento che non si può perdonare». Nel 1946 si presentò alle elezioni per l’Assemblea Costituente, candidata nel Pci. Venne eletta e fu la più giovane deputata al Parlamento. Nel 1947 fondò, insieme alla democristiana Maria Federici, l’Ente per la Tutela morale del Fanciullo. Con la morte di Maria Teresa Mattei i componenti dell’assemblea costituente ancora in vita sono solo due: Giulio Andreotti e Emilio Colombo.

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Commenti Articolo 544

Titolo articolo : VICO E IL "DIRITTO UNIVERSALE": RILEGGERE I "PRINCIPI DI UNA SCIENZA NUOVA" (1725). Un breve saggio ,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/13/2013 - 13:32:14.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/3/2013 10.48
Titolo:COSTITUZIONE. Addio a Teresa Mattei ....
Addio a Teresa Mattei, era l’ultima donna rimasta tra le elette alla Costituente

Nata a Genova l’1 febbraio 1921, era detta la "ragazza di Montecitorio" dove, nel 1946 svolse la funzione di segretaria dell’ufficio di presidenza. Nel ’38 fu espulsa da tutte le scuole del Regno perché antifascista, nel ’55 fu cacciata dal Pci perché contraria allo stalinismo e alla linea togliattiana. Con il nome di battaglia "Partigiana Chicchi" fu staffetta, protagonista della Resistenza e della lotta di liberazione

di Redazione (Il Fatto Quotidiano, 12 marzo 2013)

Teresa Mattei fu la più giovane eletta nell’Assemblea costituente e per questo veniva chiamata “la ragazza di Montecitorio”. Mattei, morta a 92 anni, detta “Teresita“, era l’ultima donna vivente tra le ‘costituenti’. Nel 1938 venne espulsa da tutte le scuole del Regno per aver rifiutato di assistere alle lezioni in difesa della razza. Nel 1955 fu cacciata dal Partito comunista italiano perché contraria allo stalinismo e alla linea togliattiana.

La salma è esposta nella casa di famiglia dove resterà anche per l’intera giornata del 13 marzo. Le esequie si svolgeranno giovedì alle 14 con una cerimonia civile. La salma sarà cremata a Livorno. Laureata in filosofia a Firenze, era stata partigiana con il nome di battaglia “Partigiana Chicchi”: era una staffetta, protagonista della Resistenza e della lotta di liberazione, fu candidata per il Pci all’Assemblea costituente, nella quale aveva svolto la funzione di segretaria dell’ufficio di presidenza.

Teresa Mattei ha trascorso gli ultimi anni di vita a Lari. E’ stata dirigente nazionale dell’Unione donne italiane (Udi) e inventò l’utilizzo della mimosa per la Festa della donna. L’idea le venne quando seppe che Luigi Longo intendeva regalare alle donne per quel giorno delle violette: lei intervenne suggerendo un fiore più povero e diffuso nelle campagne.

Nel 1966 divenne presidente della Cooperativa Monte Olimpino a Como, che con Munari, Piccardo e altri realizzava e produceva film nelle scuole, fatti dai bambini. Con la Lega per i diritti dei bambini alla comunicazione ha promosso in tutto il mondo grandi campagne per la pace e la non violenza.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/3/2013 13.22
Titolo:IL FASCISMO, GENTILE, E LA COSTITUZIONE. TERSA MATTEI, L'ULTIMA DONNA DELLA COS...
- Aveva 92 anni
- È scomparsa Maria Mattei l’ultima donna costituente

di Maria Corbi (La Stampa, 13.03.2013)

Se ne va un altro pezzo di memoria del Paese, una donna, Maria Teresa Mattei, che è stata la più giovane eletta all’Assemblea Costituente e che ha contribuito a porre le basi di un Paese libero e democratico. Classe 1921, partigiana, combattente nella formazione garibaldina Fronte della Gioventù, si è sempre dedicata alla lotta per i diritti delle donne e dei bambini. È lei la madre della mimosa, il simbolo dell’8 marzo, della battaglia per la parità. Un fiore povero e diffuso che vinse sulla violetta proposta dalla Luigi Longo che voleva regalarle quel giorno.

Teresa era genovese di nascita, si iscrisse nel 1942 al Partito Comunista che lascerà nel 1955 quando rifiuterà la candidatura alle elezioni per la Camera a causa del dissenso nei confronti di Togliatti. Il nome di battaglia della Mattei era «Chicchi» e operava nella città di Firenze (a lei ed al suo gruppo si ispirò Roberto Rossellini per l’episodio di Firenze di Paisà).

Il fratello Gianfranco Mattei è un martire della resistenza. Docente e ricercatore di chimica al Politecnico di Milano, assistente prediletto del futuro premio Nobel Giulio Natta, fabbricava esplosivi per i Gap della capitale. Nel 1944 si tolse la vita nella cella di via Tasso, a Roma, per non cedere alle torture e non rischiare di rivelare il nome dei compagni.

Anni più tardi la Mattei raccontò che da quel lutto nacque in lei e in Bruno Sanguinetti (che dopo la guerra sposerà) l’idea di uccidere il filosofo Giovanni Gentile. Per fare in modo che i gappisti incaricati dell’agguato potessero riconoscerlo, alcuni giorni prima li accompagnò lei stessa (che conosceva personalmente il filosofo) presso l’Accademia d’Italia della Rsi, che lui dirigeva. «Mentre usciva lo indicai ai partigiani, poi lui mi scorse e mi salutò».

Sessant’anni dopo rivendicò quella scelta: «Se un grande pensatore si schiera con un regime orribile come la Repubblica di Salò, si assume una responsabilità enorme. È un tradimento che non si può perdonare». Nel 1946 si presentò alle elezioni per l’Assemblea Costituente, candidata nel Pci. Venne eletta e fu la più giovane deputata al Parlamento. Nel 1947 fondò, insieme alla democristiana Maria Federici, l’Ente per la Tutela morale del Fanciullo. Con la morte di Maria Teresa Mattei i componenti dell’assemblea costituente ancora in vita sono solo due: Giulio Andreotti e Emilio Colombo.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/3/2013 13.32
Titolo:DALLA "SCIENZA NUOVA" (1744): PLATONE E LE DONNE...
VICO, "PRINCIPI DI UNA SCIENZA NUOVA (1744): PLATONE E LE DONNE


“Solo il divino Platone egli meditò in una sapienza riposta che regolasse l’uomo a seconda delle massime che egli ha apprese dalla sapienza volgare della religione e delle leggi. Perché egli è tutto impegnato per la provvedenza e per l’immortalità degli animi umani; pone la virtù nella moderazione delle passioni; insegna che per propio dover di filosofo si debba vivere in conformità delle leggi, ove anche all’eccesso divengan rigide con una qualche ragione, sull’esempio che Socrate, suo maestro, con la sua propia vita lasciò, il quale, quantunque innocente, volle però, condennato qual reo, soddisfare alla pena e prendersi la cicuta.

- Però esso Platone perdé di veduta la provvedenza quando, per un errore comune delle menti umane, che misurano da sé le nature non ben conosciute di altrui, innalzò le barbare e rozze origini dell’umanità gentilesca allo stato perfetto delle sue altissime divine cognizioni riposte (il quale, tutto a rovescio, doveva dalle sue «idee» a quelle scendere e profondere), e, sì, con un dotto abbaglio, nel qual è stato fino al dì d’oggi seguito, ci vuol appruovare essere stati sapientissimi di sapienza riposta i primi attori dell’umanità gentilesca, i quali, come di razze d’uomini empi e senza civiltà, quali dovettero un tempo essere quelle di Cam e Giafet, non poterono essere che bestioni tutti stupore e ferocia.

- In séguito del qual erudito errore, invece di meditare nella repubblica eterna e nelle leggi d’un giusto eterno, con le quali la provvedenza ordinò il mondo delle nazioni e ‘1 governa con esse bisogne comuni del genere umano, meditò in una repubblica ideale ed uno pur ideal giusto, onde le nazioni non solo non si reggono e si conducono sopra il comun senso di tutta l’umana generazione, ma pur troppo se ne dovrebbono: storcere e disusare: come, per esempio, quel giusto, che e’ comanda nella sua Repubblica, che le donne sieno comuni.”

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Commenti Articolo 545

Titolo articolo : UNA LETTERA A PAPA BENEDETTO,di DANIELA VILLA

Ultimo aggiornamento: March/13/2013 - 01:35:26.

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Autore Città Giorno Ora
Daniela Villa Montanaso Lombardo 13/3/2013 01.35
Titolo:“Grazie!”
Gentile Direttore,

grazie, innanzitutto, per il rilievo inaspettato concesso alla mia lettera indirizzata a Papa Benedetto! Francamente, non mi aspettavo di destare così tanto “clamore” e, comunque, mi ha piacevolmente colpito la Sua intenzione di cogliere, in questo mio scritto, sentimenti puri di autentico Amore … Sono convinta, oggi più che mai, considerato il pressante bombardamento di stimoli sensoriali, visivi, acustici, accompagnati spesso da discorsi vuoti e pieni di cose da fare, dell’importanza di fermarsi, di ascoltare, di ”attraversare” e di dare un significato ai richiami (sentimenti, sensazioni, desideri, emozioni) del nostro cuore e del cuore dell’altro … Di Papa Benedetto, ho voluto quindi sottolineare unicamente la “portata umana” della sua scelta, che spinge a identificare, in quel gesto, sorprendente e scandaloso, pregresse esperienze, situazioni di vita e, perché no, anche persone care, colpite dalla medesima “debolezza”, che può chiamarsi infermità fisica, psicologica o spirituale … Nella dolcezza di quell’ultimo sguardo, ho ritrovato mio Padre, che, con coraggio di spirito e prontezza di mente, ha vissuto gli ultimi tre anni della sua vita attaccato a un ventilatore polmonare, mantenendosi, a dispetto di tutto e di tutti, lucido e attaccato alle sue passioni vitali … In quello sguardo, rivedo mia Madre, ormai persa nelle nebbie del passato, perché il presente, con le sue dolorose assenze, è troppo duro da accettare … Evviva, allora, Papa Benedetto! Evviva, allora, il cardinale Martini, che hanno, con il loro controcorrente: «No! Grazie» (l’uno al mestiere di successore di Pietro e l’altro al nutrimento in limine vitae), smentito ogni dogma di infallibilità, facendo della loro umanità una “bandiera” …
Da credente, contestatrice fuori serie, sono ben lieta di alzare la mia voce nel blog di Agostino, sposo a tempo indeterminato nella mia vita, mi sento di rivolgere allo Spirito Santo l’invito a “soffiare” forte e potente sui Cardinali in “Cum clave”.
Mi auguro, per il bene della Chiesa e del popolo di Dio, che lo Spirito Santo, senza esitazione e in maniera più energica, possa vincere la concorrenza di tutte quelle lobbies mirate all’elezione del nuovo Pontefice: Opusdeiani, Focolarini, Sant’Egidiani e Legionari vari … Notte Serena! Daniela Villa

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Commenti Articolo 546

Titolo articolo : VICO: IL DESIDERIO DI IMMORTALITA', LA STORIA, E LA "CHARITAS". Nota per una rilettura della “Scienza Nuova” ,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/12/2013 - 19:28:35.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/3/2013 19.28
Titolo:La Scienza nuova Le tre edizioni del 1725, 1730 e 1744
Giambattista Vico

La Scienza nuova

Le tre edizioni del 1725, 1730 e 1744

Bompiani, pagg.1504, € 30,00

IL LIBRO - La Scienza nuova, di cui in questo volume si pubblicano le tre edizioni, del 1725, del 1730 e del 1744, è un Classico del pensiero occidentale, essenziale per la comprensione del nostro mondo storico non meno della Repubblica di Platone e dell’Etica di Spinoza, della Metafisica di Aristotele e della Critica della ragion pura di Kant, del De Civitate Dei di Agostino e della Fenomenologia dello spirito di Hegel.
- Due le idee-guida che si intrecciano, e anche confliggono, in quest’opera geniale e inquietante: 1) l’estensione al mondo umano della mathesis universalis, che ha segnato la nascita della scienza moderna, ma che in Galilei e Cartesio era limitata alla natura; 2) la genealogia della coscienza e della logica a partire dal “senso” e dalla “fantasia”, da cui discende l’interesse prevalente di Vico per il formarsi della prima umanità. Interesse mai disgiunto dalla consapevolezza dei limiti della ragione, che può a stento “intendere”, ma non “immaginare” quell’età ancora incerta tra storia e pre-storia.
- Da questa consapevolezza “critica” nacque quella fusione di logos e mythos, concetto e immagine, che caratterizza il linguaggio barocco della Scienza nuova (in particolare nelle due ultime edizioni, qui presentate nella loro scrittura originaria), nel quale Vico espose due e diverse concezioni del tempo umano-divino della storia. In particolare il quinto e ultimo Libro di quest’Opera in continuo compimento, se per un verso ripropone l’idea pre-cristiana della ciclicità del corso storico, per l’altro, “sospende” l’intero orizzonte del tempo all’attimo presente: il kairologico “adesso” di Paolo, in cui “il tempo s’è contratto” (I Co, 7.29).
- Ma proprio questa doppiezza della Scienza Nuova permette di instaurare significative connessioni tra la posizione di Vico e gli esiti più alti della riflessione contemporanea sulla storia, da Heidegger a Benjamin. Certo nel pieno rispetto della specificità dei loro differenti “tempi”, e quindi fuor d’ogni pretesa di stabilire “precorrimenti” e “inveramenti”; ma non meno certamente contro le vane “monumentalizzazioni” di una storiografia volta esclusivamente al passato.

- DAL TESTO - “Solo il divino Platone egli meditò in una sapienza riposta che regolasse l’uomo a seconda delle massime che egli ha apprese dalla sapienza volgare della religione e delle leggi. Perché egli è tutto impegnato per la provvedenza e per l’immortalità degli animi umani; pone la virtù nella moderazione delle passioni; insegna che per propio dover di filosofo si debba vivere in conformità delle leggi, ove anche all’eccesso divengan rigide con una qualche ragione, sull’esempio che Socrate, suo maestro, con la sua propia vita lasciò, il quale, quantunque innocente, volle però, condennato qual reo, soddisfare alla pena e prendersi la cicuta.
- Però esso Platone perdé di veduta la provvedenza quando, per un errore comune delle menti umane, che misurano da sé le nature non ben conosciute di altrui, innalzò le barbare e rozze origini dell’umanità gentilesca allo stato perfetto delle sue altissime divine cognizioni riposte (il quale, tutto a rovescio, doveva dalle sue «idee» a quelle scendere e profondere), e, sì, con un dotto abbaglio, nel qual è stato fino al dì d’oggi seguito, ci vuol appruovare essere stati sapientissimi di sapienza riposta i primi attori dell’umanità gentilesca, i quali, come di razze d’uomini empi e senza civiltà, quali dovettero un tempo essere quelle di Cam e Giafet, non poterono essere che bestioni tutti stupore e ferocia.
- In séguito del qual erudito errore, invece di meditare nella repubblica eterna e nelle leggi d’un giusto eterno, con le quali la provvedenza ordinò il mondo delle nazioni e ‘1 governa con esse bisogne comuni del genere umano, meditò in una repubblica ideale ed uno pur ideal giusto, onde le nazioni non solo non si reggono e si conducono sopra il comun senso di tutta l’umana generazione, ma pur troppo se ne dovrebbono: storcere e disusare: come, per esempio, quel giusto, che e’ comanda nella sua Repubblica, che le donne sieno comuni.”

- I CURATORI - Manuela Sanna, direttore dell’”Istituto per la storia del pensiero filosofico e scientifico moderno” del Consiglio Nazionale delle Ricerche, si occupa di cultura storico-filosofica tra ’600 e ’700, con lavori dedicati a Leibniz, Tschirnhaus e Vico, ed è membro del consiglio scientifico dell’edizione critica delle Opere di Giambattista Vico, per la quale ha curato la raccolta delle Epistole, il De rebus gestis Antonj Caraphei, la Scienza nuova del 1730, insieme a Paolo Cristofolini, e la Scienza nuova del 1744, in via di pubblicazione. Ha curato anche la nuova e più recente traduzione italiana del De antiquissima Italorum sapientia (Roma, 2005). Negli ultimi anni le sue ricerche si sono centrate sul rapporto tra conoscenza immaginativa e verità, e su questo sono usciti La "Fantasia, che è l’occhio dell’ingegno". Note sul concetto vichiano di conoscenza (Napoli, 2001) e Immaginazione (Napoli, 2007).
- Vincenzo Vitiello, professore ordinario di Filosofia Teoretica, insegna attualmente Filosofia della storia all’Università San Raffaele di Milano. Le sue ricerche di Topologia trascendentale sono negli ultimi anni rivolte all’elaborazione di una logica e di un’etica della seconda persona. Ha tenuto cicli di conferenze e seminari in Europa, negli USA, e in America latina (Argentina, Cile, Messico). Suoi scritti sono stati tradotti in tedesco, francese, inglese e spagnolo. Socio onorario della Asociación de filosofia Latinoamericana y Ciencias sociales (Buonos Aires). Dirige la Rivista "Il Pensiero". Tra le sue pubblicazioni: Elogio dello spazio (1994, trad. tedesca parziale, Freiburg-München, 1993); Cristianesimo senza redenzione (1995, trad. spagnola, Madrid, 1999); Genealogía de la modernidad (Buenos Aires, 1998); Il Dio possibile (Roma, 2002); I tempi della poesia. Ieri / Oggi (Milano, 2008; trad. spagnola Madrid, 2009); Vico. Storia - Linguaggio - Natura (Roma, 2008); Grammatiche del pensiero (Pisa, 2009) .

- INDICE DELL’OPERA - Saggio introduttivo. Vico nel suo tempo, di Vincenzo Vitiello - I. Sul ’concetto’ di moderno - In limine. Brevi considerazioni sulla storicità della conoscenza storica (I. Interpretazioni del moderno - II. Mathesis universalis e logica moderna - Appendice) - II. Spinoza e Vico (I. Le ragioni di un confronto - II. Il sistema di Spinoza - III. La filosofia di Vico ’prima’ della Scienza nuova) - III. La Scienza Nuova (I. La fondazione della mathesis universalis della storia - II. La lingua della Scienza nuova. Oltre la mathesis universalis - III. Prospezioni vichiane) - Cronologia della vita e delle opere di Giambattista Vico, di Manuela Sanna - Nota editoriale
- LA «SCIENZA NUOVA» DEL 1725 - La «Scienza nuova» nell’edizione del 1725, di Manuela Sanna e Fulvio Tessitore - Introduzione, di Vincenzo Vitiello - La «Scienza nuova» nelle edizioni del 1730 e del 1744, di Manuela Sanna
- LA «SCIENZA NUOVA» DEL 1730 - La «Scienza nuova» nell’edizione del 1730, di Manuela Sanna e Fulvio Tessitore - LA «SCIENZA NUOVA» DEL 1744 - La «Scienza nuova» nell’edizione del 1744, di Manuela Sanna e Fulvio Tessitore - Apparati (I. Storia della fortuna di G.B. Vico, di Manuela Sanna - II. Bibliografia vichiana, a cura di Manuela Sanna - III. Indice generale)

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Commenti Articolo 547

Titolo articolo : LA LEZIONE DI VICO  E I FILOSOFI ITALIANI: IL CASO COLLETTI. Una nota per (ri)leggere la "Scienza Nuova" ,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/11/2013 - 15:21:38.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/3/2013 22.19
Titolo:SOCIOBIOLOGIA E FILOSOFIA. La boria di Edward O Wilson ...
SOCIOBIOLOGIA E FILOSOFIA. Al di là dei "corsi e ricorsi", il filo della tradizione critica - contro la cecità e la boria dei dotti ...
- Il sociobiologo Wilson ’riscopre’ Vico e non lo sa (e rischia di consegnare i risultati della sua ricerca tra le braccia dei vari sociologismi e biologismi variamente diffusi) (Federico La Sala)
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Come l’umanità è arrivata a essere quello che è? Ecco il contributo delle scienze per comprendere uno sviluppo troppo spesso lasciato al sapere umanistico

La storia siamo noi. Perché cooperare fa bene alla specie

di Edward O. Wilson (la Repubblica, 02.03.2013)

Uno dei più importanti biologi contemporanei. Professore emerito a Harvard, è un esperto di insetti ed è considerato il fondatore della sociobiologia. È appena uscito in Italia il suo libro La conquista sociale della terra, Raffaello Cortina, pagg. 356, euro 26

Comprendere l’umanità è un compito troppo importante e gravoso per lasciarlo alle scienze umanistiche. Le molte discipline di questa grande corrente del sapere, dalla filosofia al diritto, alla storia e alle arti creative, hanno descritto le particolarità della natura umana con genialità e straordinaria minuziosità, avanti e indietro in trasmutazioni infinite.

Ma non hanno spiegato perché abbiamo questa natura qui e non qualcun’altra fra una quantità sterminata di possibilità immaginabili. Sotto questo profilo, le scienze umanistiche non consentono una comprensione piena dell’esistenza della nostra specie.

Dunque, che cosa siamo noi? La risposta a questo grande enigma sta nelle circostanze e nel processo che hanno dato vita alla nostra specie. La condizione umana è un prodotto della storia, e non parlo non soltanto dei seimila anni di civilizzazione, ma di un arco molto più ampio, che risale a centinaia di migliaia di anni addietro.

Per dare una risposta a questo mistero bisogna esplorare l’evoluzione nel suo insieme, come un tutto unico e inscindibile, tanto negli aspetti biologici quanto in quelli culturali. E in questo modo la storia umana, vista in tutte le sue sfaccettature, diventa a sua volta la chiave per capire come e perché la nostra specie è sopravvissuta.

Una maggioranza di persone preferisce interpretare la storia come il dispiegarsi di un disegno soprannaturale, al cui autore è dovuta ubbidienza. Ma questa interpretazione rassicurante diventa sempre meno sostenibile man mano che si espande la conoscenza del mondo reale. In particolare, la conoscenza scientifica (misurata in base al numero di scienziati e riviste scientifiche) da oltre un secolo raddoppia di dimensioni a intervalli di dieci vent’anni.

Nelle spiegazioni tradizionali del passato, le storie religiose sulla creazione si mescolavano alle discipline umanistiche per attribuire significato all’esistenza della nostra specie. È tempo di ragionare su quello che possono offrirsi reciprocamente il campo scientifico e quello umanistico, nella ricerca comune di una risposta più fondata e convincente al grande enigma.

Per cominciare, i biologi hanno scoperto che l’origine biologica del comportamento sociale avanzato negli esseri umani è simile a quella riscontrata in altre parti del regno animale. Usando studi comparati condotti su migliaia di specie animali, dagli insetti ai mammiferi, sono giunti alla conclusione che le società più complesse sono emerse attraverso l’eusocialità (la «vera» condizione sociale, parlando in senso generale). I membri di un gruppo eusociale allevano collettivamente le giovani generazioni. Inoltre, applicano un sistema di divisione del lavoro tramite la rinuncia - quantomeno parziale - alla riproduzione personale da parte di alcuni membri, allo scopo di incrementare il «successo riproduttivo» (riproduzione nel corso della vita) di altri membri.

L’eusocialità è un fenomeno particolare sotto due punti di vista. Innanzitutto va rimarcata la sua estrema rarità: su centinaia di migliaia di linee evolutive di specie animali terrestri nel corso degli ultimi 400 milioni di anni, si è venuto a creare un sistema del genere, per quello che siamo in grado di appurare, solo in due dozzine di casi.

A questo aggiungiamo che le specie eusociali conosciute si sono affermate molto tardi, nella storia della vita sulla Terra. Una volta diventato prassi, il comportamento sociale avanzato di livello eusociale si è rivelato uno straordinario successo ecologico. Soltanto due fra le due dozzine di linee evolutive indipendenti, cioè le formiche e le termiti, bastano a dominare il mondo degli invertebrati terrestri. Nonostante contino meno di ventimila specie (sul milione di specie di insetti viventi conosciuti), formiche e termiti rappresentano della metà del peso corporeo complessivo di tutti gli insetti del pianeta.

La storia dell’eusocialità solleva un interrogativo: dato l’enorme vantaggio che assicura, perché questa forma avanzata di comportamento sociale è così rara ed è comparsa così tardi? La risposta sembra data dalla sequenza specifica di cambiamenti evolutivi preliminari propedeutici al passaggio finale all’eusocialità.

In tutte le specie eusociali analizzate fino a oggi, il passaggio finale è la costruzione di un nido protetto, da cui partono le spedizioni di foraggiamento e dove gli individui giovani vengono allevati fino al raggiungimento della maturità. A costruire originariamente il nido può essere una femmina solitaria, una coppia di individui o un gruppo piccolo e scarsamente organizzato. Una volta realizzato questo passaggio preliminare, per creare una colonia eusociale è sufficiente che i genitori e la prole rimangano nel nido e collaborino all’allevamento di altre generazioni di giovani. Questi assemblaggi primitivi poi si suddividono facilmente in «foraggeri», inclini al rischio, e in genitori e nutrici, avversi al rischio.

Che cos’è che ha consentito a un’unica linea evolutiva di primati di raggiungere il livello raro dell’eusocialità? Le circostanze sono state banali, stando alle scoperte dei paleontologi. In Africa, circa due milioni di anni fa, una specie del genere australopiteco, prevalentemente vegetariano, modificò la sua alimentazione incrementando il consumo di carne. Per procurarsi questa fonte di cibo altamente energetica e dispersa sul territorio, non era molto conveniente andarsene in giro in branchi poco organizzati di individui adulti e giovani. Era più efficiente occupare un accampamento (il nido, appunto) e da lì spedire in giro cacciatori in grado di riportare indietro (uccidendola o raccogliendola) carne da dividere con gli altri. In cambio, i cacciatori ricevevano la protezione dell’accampamento, dove la loro prole veniva tenuta al sicuro insieme agli altri.

Da studi condotti su esseri umani moderni, incluse popolazioni di cacciatori-raccoglitori, la cui vita ci dice molto sulle origini della razza umana, gli psicologi sociali hanno dedotto la crescita mentale innescata dalla caccia e dagli accampamenti. Le relazioni personali fra i membri del gruppo, calibrate al tempo stesso sulla competizione e la collaborazione, hanno acquisito un ruolo predominante. Il processo è stato incessantemente dinamico e difficoltoso, superando largamente in intensità qualunque esperienza analoga dei branchi itineranti e scarsamente organizzati prevalenti nella maggior parte delle società animali.

Serviva una memoria efficiente per valutare le intenzioni degli altri membri del gruppo, prevedere le loro reazioni di volta in volta: e il risultato è stato la capacità di inventare e simulare internamente scenari conflittuali di interazioni future.

L’intelligenza sociale dei preumani ancorati all’accampamento si è evoluta come una sorta di partita a scacchi senza fine. Oggi, al capolinea di questo processo evolutivo, siamo in grado di attivare con scioltezza i nostri banchi di memoria su passato, presente e futuro. Questi banchi di memoria ci consentono valutare le prospettive e le conseguenze di alleanze, legami, contatti sessuali, rivalità, rapporti di predominio, raggiri, fedeltà e tradimenti. Traiamo un piacere istintivo dal racconto di innumerevoli storie sugli altri in quanto attori nel nostro palcoscenico interno. Tutto questo trova espressione nelle arti creative, nella teoria politica e in altre attività di alto livello che definiamo come scienze umanistiche.

Gli aspetti principali dell’origine biologica della nostra specie cominciano a essere messi a fuoco, e con essi le possibilità di un contatto più fruttuoso fra discipline scientifiche e umanistiche. La convergenza fra queste due grandi branche del sapere assumerà un’importanza enorme quando un numero sufficiente di persone ci avrà ragionato su.

Dal versante scientifico, le neuroscienze, la biologia evolutiva e la paleontologia verranno viste in un’ottica differente. Agli studenti verrà insegnata anche la preistoria oltre che la storia convenzionale, il tutto presentato come la più grande epopea del mondo vivente. E sono convinto che guarderemo con maggior serietà anche al nostro posto nella natura. Perché ci siamo esaltati, siamo assurti al ruolo di mente della biosfera, con lo spirito capace di sgomento e balzi di immaginazione sempre più sbalorditivi. Ma continuiamo a essere parte della fauna e flora terrestri: vi siamo legati dall’emozione, dalla psicologia e, non ultimo, da una storia radicata.

È pericoloso pensare a questo pianeta come a una stazione intermedia verso un mondo migliore, o continuare a convertirlo in un’astronave programmata dall’uomo.

Contrariamente all’opinione generale, non ci sono demoni e dei che si contendono la nostra devozione. Siamo frutto del nostro operato, siamo indipendenti, soli e fragili. Capire noi stessi è la chiave per sopravvivere nel lungo periodo, per gli individui e per le specie.

(Traduzione di Fabio Galimberti) © The New York Times

* Il Dialogo, Sabato 02 Marzo,2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/3/2013 10.52
Titolo:RESPONSABILITA'. Responsabili sì. Ma verso chi?
Responsabili sì. Ma verso chi?

Un valore che vuol dire «risposta a una sola voce» Se si inseguono più interlocutori perde significato

di Umberto Curi (Corriere La Lettura, 10.03.2013)

«Raccomando misura, realismo e senso della responsabilità». In questi termini, il presidente Napolitano ha invitato tutte le forze politiche a lavorare per il superamento della crisi politica in corso. Ma il riferimento alla responsabilità è comparso nei discorsi di quasi tutti i leader politici nel corso di queste ultime settimane.

Usata per lo più senza aggettivi, e senza ulteriori precisazioni, adoperata quasi come una parola magica, in grado di risolvere d’incanto difficoltà altrimenti insormontabili, la responsabilità viene invocata per legittimare scelte e comportamenti, altrimenti imbarazzanti o comunque difficili da giustificare.

Ma è davvero così trasparente il significato di questo termine? Si può veramente ritenere di sapere che cosa si dice, quando si chiede o si afferma di agire in nome della responsabilità?

Nelle lingue moderne - in italiano, francese, spagnolo, inglese - la connessione fra il termine che designa la responsabilità e la radice latina respondeo è evidente. Di qui il fatto che, in qualunque contesto compaia, responsabilità vuol dire sempre e comunque rispondere.

Pur mancando una diretta derivazione dal latino, in tedesco la parola impiegata per indicare la responsabilità è perfino più significativa dei corrispondenti termini delle lingue romanze. In quanto contiene in sé un immediato riferimento alla parola che indica la risposta - Antwortung, appunto - il termine Verantwortung si forma proprio mediante rafforzamento del carattere di «risposta» che è insito nella «responsabilità».

Di qui una prima e fondamentale conseguenza. La responsabilità non può indicare una condizione originaria, ab-soluta, indipendente, ma coincide piuttosto con una relazione, segnala un rapporto, che presuppone qualcosa ad esso precedente e dal quale esso è in una certa misura determinato. Più in particolare, in quanto parola di risposta, la responsabilità presuppone una voce che chiama, alla quale si fornisce una risposta, ovvero alla quale ci si rifiuta di rispondere. Non è concepibile alcuna responsabilità, se non come risposta a una chiamata.

Emerge qui un primo aspetto fortemente problematico, se non addirittura paradossale, connesso al termine di cui ci stiamo occupando. Se l’elemento fondante e intimamente caratterizzante della responsabilità è il rispondere, e se pertanto essa rinvia necessariamente all’ascolto di una voce che chiama, è evidente che il rispondere non può essere univoco, ma al contrario esso non può che essere almeno ambivalente. Per rispondere alla chiamata di qualcuno, per ciò stesso è necessario che non risponda alla chiamata di altri.

O la voce a cui rispondo è la stessa voce che mi chiama, sia pure in altri modi e altre forme, ovvero, se si tratta di voci che sono effettivamente diverse e discordanti, la mia risposta a una di esse esclude che io risponda anche ad altre. Se ricondotta al suo fondamento di parola-di-risposta, la responsabilità è intrinsecamente connessa - e indissolubile - rispetto alla irresponsabilità. Si esprima come ascolto (ob-audire), o come risposta, come obbedienza, dunque, o come responsabilità, l’atteggiamento nei confronti di una voce che chiama si manifesta dunque in forma costitutivamente ambivalente.

Questo significato originario e decisivo del termine responsabilità è efficacemente sottolineato da Jacques Derrida nella «grammatica della risposta», da lui delineata in un saggio che risale al 1981. Osservando che la modalità originaria della responsabilità è quella del «rispondere a», in rapporto alla quale si determinano il «rispondere di» e il «rispondere davanti a», il filosofo francese sottolinea che proprio l’anteriorità e il primato del «rispondere a» rispetto agli altri pone il riferimento all’altro - inteso come totalmente altro - come riferimento fondamentale. Ogni responsabilità si annuncia e obbliga a partire da questa anteriorità asimmetrica. Una responsabilità che è dunque anzitutto risposta all’appello dell’altro, e che, prima ancora di ogni autonomo dire, non può che corrispondere alla parola dell’altro.

Come già aveva sottolineato Søren Kierkegaard in Timore e tremore, il riferimento alla richiesta rivolta ad Abramo di sacrificare il figlio Isacco, descritta nel Genesi, consente di far emergere pienamente il groviglio di motivi teorici e pratici che si addensano intorno alla nozione di responsabilità. Ciò che si pone è una contraddizione insolubile, e perciò paradossale, fra la responsabilità in generale e la responsabilità assoluta. Abramo, infatti, dimostra che l’assoluto del dovere e della responsabilità presuppone che ogni dovere, ogni responsabilità e ogni legge umana vengano denunciati, ricusati, trascesi. Abramo è al contempo il più morale e il più immorale, il più responsabile e il più irresponsabile degli uomini - assolutamente irresponsabile perché assolutamente responsabile.

Assolutamente irresponsabile davanti agli uomini e ai suoi, davanti all’etica, perché risponde assolutamente al dovere assoluto, senza interesse né speranza di ricompensa, senza sapere perché e in segreto. Non riconosce alcun debito, alcun dovere davanti agli uomini perché è in rapporto con Dio.

Dal riferimento all’emblematica vicenda di Abramo, Derrida fa scaturire una conseguenza fondamentale: il segreto della responsabilità consiste nell’ospitare in sé un nocciolo di irresponsabilità. Fra la responsabilità assoluta, che pone di fronte due singolarità irriducibili, e la responsabilità generale, la quale implica invece l’urgenza di un calcolo che universalizzando ricerchi l’equilibrio e fondi l’equità - vi è uno scarto che resta incolmabile.

Per ritornare alle recenti vicende di casa nostra, si può allora dire che coloro che indicano quale motivazione della loro condotta il «senso della responsabilità», senza ulteriori precisazioni, in realtà implicitamente annunciano la loro intenzione di rispondere a una voce, con ciò stesso scegliendo di non rispondere a tutte le altre.

Per esemplificare: di rispondere alla voce dell’interesse del Paese, non obbedendo alla voce dei propri interessi, personali o di partito, oppure tutto al contrario. Ciò che emerge, insomma, è la genuina drammaticità di un conflitto fra istanze diverse e non ricomponibili, fra voci che chiamano in direzioni differenti, alle quali è possibile rispondere solo attraverso una decisione che valorizza soltanto una di esse, lasciando inevitabilmente senza risposta tutte le altre.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/3/2013 15.21
Titolo:LA BORIA DI WILSON, HEGEL, E LA BORIA DEL "NUOVO REALISMO"
"NUOVO REALISMO", IN FILOSOFIA. DATO L’ ADDIO A KANT, MAURIZIO FERRARIS SI PROPONE COME IL SUPERFILOSOFO DELLA CONOSCENZA (QUELLA SENZA PIU’ FACOLTA’ DI GIUDIZIO) DI HEGEL!!!

___________________________________________________________________

Il nuovo saggio di Wilson sull’eusocialità

Siamo uomini o formiche?

di Maurizio Ferraris (la Repubblica, 11.03.2013) *

Leibniz ha scritto che l’asino va dritto al fieno senza aver letto una riga di Euclide. Analogamente, il dittatore che per mettere a tacere il dissenso interno dichiara guerra al paese vicino non ha verosimilmente letto il libro curato da Telmo Pievani e tradotto da Cortina, La conquista sociale della terra dell’entomologo di Harvard Edward O. Wilson, ma applica con istinto sicuro (è il caso di dirlo) la teoria della selezione naturale multipla che questi ha proposto nel 2010 con Martin Nowak e Corina Tarnita.

Contrariamente alla teoria del “gene egoista” resa celebre da Richard Dawkins, e d’accordo piuttosto con il proverbio “parenti serpenti”, la socialità umana non evolve in gruppi che condividono i geni e si aiutano a vicenda, ma si articola su un duplice livello. Uno, più alto, è la competizione tra gruppi, e uno, più basso, è la competizione (e non la cooperazione, come vuole Dawkins, e come voleva in precedenza lo stesso Wilson insieme alla maggioranza della comunità scientifica) tra individui all’interno dello stesso gruppo. Nel momento in cui si identifica il nemico (di razza, di classe) il gruppo si ricompatta e mette a tacere gli egoismi individuali, che torneranno a scatenarsi appena passato il pericolo.

Nell’elaborare questa teoria, Wilson mette a frutto le indagini che l’hanno reso celebre, quelle legate al concetto di “superorganismo” presentate in un monumentale volume scritto con Bert Hölldobler e tradotto da Adelphi due anni fa.

Contrariamente al cliché dell’evoluzionismo come esaltazione della lotta di tutti contro tutti, l’idea di fondo è che un livello di “eusocialità”, ossia di stretta collaborazione tra individui nel gruppo, con divisione del lavoro e intere caste che si sacrificano per la comunità, è un vantaggio decisivo per l’evoluzione.

È per questo che le formiche hanno iniziato il cammino dell’evoluzione milioni di anni prima che qualcosa di remotamente simile avvenisse agli ominidi. Tuttavia, nel caso delle formiche, lo sviluppo ha comportato, un solo livello di articolazione, quello sociale. È la comunità nel suo insieme che agisce come un singolo organismo, e acquisisce una potenza che esisteva molto prima di noi e con ogni probabilità esisterà molto dopo che si sarà persa ogni traccia dell’umanità.

Per gli uomini (e per la sterminata filiera di primati che li precede), che partivano da prerequisiti diversi, e in particolare il fatto banale ma decisivo di essere molto più grandi delle formiche, le cose sono andate diversamente. Il corpo più grande ha permesso lo sviluppo di un cervello più complesso, e il cervello ha reso possibili livelli di eusocialità sofisticati, la creazione del linguaggio, degli ornamenti, della religione, e ovviamente della scienza.

Purtroppo ha anche generato l’intima conflittualità che ci caratterizza come esseri umani. Le formiche sanno sempre qual è la cosa giusta da fare, noi invece siamo in lotta non solo con gli altri, ma con noi stessi. Anzitutto, viviamo il conflitto tra egoismo e altruismo, tra il vantaggio dell’individuo e quello del gruppo, tra interesse e sacrificio.

Come se non bastasse, a complicarci la vita rispetto alle formiche, interviene il conflitto tra la parte primitiva e istintiva del cervello, l’amigdala, e la corteccia capace di simboli, coscienza e ragionamenti. Insomma, se il superorganismo tutto d’un pezzo di un formicaio è perfettamente armonioso, noi viviamo un conflitto tra la nostra natura e quello che Aristotele chiamava “seconda natura”. È questo che ci rende pensosi, spirituali, tormentati. Ma il punto essenziale, e filosoficamente decisivo, è che per quanto potente e determinante possa diventare la seconda natura, rivela pienamente la propria provenienza dalla prima.

Anni fa, quando il solo parlare di “natura umana” appariva come il segno di un inaccettabile scientismo, visto che l’uomo era concepito come il frutto esclusivo di una storia e di un linguaggio venuti fuori dal nulla, il libro di Wilson sarebbe stato classificato come antifilosofico.

Ma è vero il contrario: è un libro speculativo ed hegeliano. Perché esattamente come per Hegel, lo spirito - concepito anzitutto come lacerazione - è frutto della natura, e i gradi inferiori si conservano e si superano nei gradi superiori. La cultura è costitutivamente il prolungamento della natura, non c’è indipendenza né salto (né ovviamente infusione soprannaturale). È nel fondo della natura che ha inizio la fenomenologia dello spirito, che non perde nulla del suo interesse e della sua dignità, ma anzi riceve la sua vera luce, dallo spiegare l’uomo attraverso le formiche.

*

- Oggi presenta a Harvard il Manifesto del nuovo realismo (Boylston Hall 403, ore 17). -L’incontro, organizzato da Francesco Erspamer per le attività della Lauro de Bosis Lectureship in the History of Italian Civilization, avviene in concomitanza con la nuova edizione de Il mondo esterno (Bompiani) La conquista sociale della terra di E. Wilson (Cortina a cura di T. Pievani, pagg. 356, euro 26)

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Commenti Articolo 548

Titolo articolo : «IL FASCISMO AVEVA UN ALTISSIMO SENSO DELLO STATO»,di Mario Pancera

Ultimo aggiornamento: March/10/2013 - 15:31:18.

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Autore Città Giorno Ora
Augusta De Piero Udine 07/3/2013 16.15
Titolo:Fino a quando?
« Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto. » Era il 14 novembre 1922.
Le sciocchezze dette dalla capogruppo dei grillini purtroppo sono un senso comune abbastanza diffuso. Il che spiega molto del consenso loro assicurato dalle elezioni.
L'ignoranza può giustificare, l'esaperazione spiegare. Ma un parlamentare non è giustificabile. Ci rappresenta senza vincolo di mandato e perciò deve rispettare i principi costituzionali.
Giurerà sulla Costituzione non sulla carte di identità di un privato per quanto carismatico.
Autore Città Giorno Ora
mario fadda torino 09/3/2013 15.45
Titolo:dove occorre intervenire
nel nome di una politica sempre più esibita sui teleschermi, da troppo tempo abbiamo rinunciato a quelle che si chiamavano le scuole di politica; sono abbastanza anziano per ricordare quei vent'anni postbellici in cui ogni estate era occasione di un campo scuola e durante i mesi invernali altri cicli di formazione per stimolare all'elaborazione etica e culturale, sociale e politica: lì ho studiato con anile e lazzati e carretto, fino ai testi del concilio
tutto ciò era per me ragazzo di azione cattolica
altrettanto per il mio compagno di banco, figlio di un ferroviere internato a mauthausen, che stesse opportunità aveva con i "pionieri" della fgci
oggi, nulla!
l'ultima scuola a cui ìho dato un mio contributo risale alla metà degli anni '70, diocesi di brescia
bisogna ricominciare con un lavoro costante di formazione, senno questa politica spettacolo, fatta di grandi masse osannanti proseguirà le sue malefatte
Autore Città Giorno Ora
Mario Giacompolli Bresso 10/3/2013 15.31
Titolo:Il fascismo e il suo discutibile senso della stato
La signora Lombardi non sa ciò che dice. Probabilmente non è informata, oppure ha letto poco.
Nel 1917, già prima della rotta di Caporetto, ma soprattutto dopo, quando fu chiaro a tutti che quella guerra, così poco voluta dalla stragrande maggioranza degli italiani, stava prendendo una brutta piega, al fine di convincere i contadini-soldati a combattere e a non imboscarsi, il governo, i giornali e persino Mussolini, si adoperarono perché si facesse loro sapere che a guerra finita avrebbero avuto la terra in assegnazione.
Si trattò di una di quelle promesse vaghe e destinate a produrre il nulla, dal momento che nessuno intendeva realmente assegnare terreni a contadini cui spettavano molti doveri ma nessun diritto. Enormi estensioni di terreno, sopratutto nell’Italia del sud, stavano infatti nelle mani di qualche decina di principi, baroni e agrari, quasi tutte in stato d’abbandono o destinate alla pastorizia, oppure adibite a riserva di caccia di qualche nobile fannullone. Decine di migliaia di braccianti e salariati, utili solo in tempi di semina e di raccolto, oppure coloni costretti a indebitarsi per sementare le terre prese a fitto, vivevano nell’indigenza e alla mercé dei proprietari.
La promessa della terra raggiunse però lo scopo prefissato: si ridusse il numero dei renitenti e degli imboscati e crebbe il fervore patriottico.
Ma a guerra finita i reduci pretesero che alle promesse seguissero le assegnazioni.
La situazione dell’Italia vincitrice era tragica. I costi elevatissimi di quella guerra avevano messo il paese in ginocchio, la miseria dilagava ovunque e le malattie, prima di tutte la spagnola, decimavano la popolazione. Anche per questo ebbero inizio le occupazioni nelle campagne che, a partire dalla primavera del ’19, interessarono tutto il territorio nazionale. In particolare i disordini nelle campagne si verificarono per l’inerzia delle autorità e l’opposizione degli agrari, che non solo temevano per i loro latifondi, ma si opponevano a qualunque proposta di emancipazione dei braccianti stessi. Così accadde che i lavoranti della terra s’associarono in cooperative e dettero inizio a manifestazioni di protesta per costringere il governo a mantenere la parola data. I grandi proprietari, che per lo più altro non erano che i discendenti degli antichi feudatari, non stettero a guardare e scesero a loro volta in campo contro i contadini, non esitando a ricorrere alla violenza pur di far fallire sul nascere il movimento.
Per ottenere ciò arruolarono gente lesta di mano e pronta a tutto…
Fu così che i picchiatori fascisti trovarono lavoro presso latifondisti, agrari, nobili e grandi proprietari che li assoldarono senza indugio e senza badare alla provenienza né alla loro pericolosità sociale.
Le squadre d’azione si ingrossarono con l’apporto di delinquenti e banditi efferati e senza scrupoli, individui rissosi e violenti cui il nascente partito fascista garantì un ruolo e l’impunità. Altro che altissimo senso dello stato!
Fu grazie ad esse che venne chiusa la prima stagione delle lotte per la terra, riconducendo infine a ragione coloro che s’erano ostinati a volerla ad ogni costo.
Questo pezzo di storia d’Italia la signora Lombardi dovrebbe leggerlo prima di arrischiarsi su un terreno a lei così sconosciuto.

Grazie per l’attenzione, Mario Giacompolli

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Commenti Articolo 549

Titolo articolo : LA CULTURA FA IMPRESA A SAVONA,di Renata Rusca Zargar

Ultimo aggiornamento: March/08/2013 - 21:18:22.

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Autore Città Giorno Ora
claudio carrieri savona 08/3/2013 21.18
Titolo:Una precisazione
gentile Redazione,
scrivo in merito all'articolo della Signora Renata Rusca sulla presentazione, venerdì 1° marzo, in Sala Rossa del Palazzo Civico, in Savona, di altamira-cooperativa, da voi gentilmente pubblicato.

Vi prego di voler aggiungere la seguente precisazione:

i progetti artistici di cui si è parlato in quella occasione, erano soltanto esempi; nel modo più assoluto, non è detto che saranno attuati.

Perchè tutti i progetti, prima di essere promossi, dovranno, in assoluta correttezza e trsparenza, seguire l'iter previsto dalle regole statutarie della Cooperativa.

Questo Iter prevede l'accesso attraverso una graduatoria di merito e la valutazione di una Commissione Critica di qualità.

Non vorrei che, neppure per un momento, sorgesse, nell'opinione pubblica, l'idea fuorviante che altamira-cooperativa opererà "come al solito", cioè favorendo qualche "figlio della gallina bianca"...

Il principio è: "Tutti potranno accedere e partecipare, accettando e anzi concorrendo a fare emergere quella Qualità, di cui, ancora tutti, mutualmente, potremo beneficiare"
Claudio Carrieri

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Commenti Articolo 550

Titolo articolo : IL CONCLAVE E L' OMBRA DEL PAPA EMERITO. I CARDINALI CONFUSI NON SANNO PIU' DISTINGUERE TRA DIO E MAMMONA. Materiali per riflettere ,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/08/2013 - 10:29:59.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/3/2013 10.29
Titolo:una chiarificazione di James Joyce
Gesù del messaggio evangelico

- Marco 7,31-37:

- Di ritorno dalla regione di Tiro, passò per Sidone, dirigendosi verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
- E gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano.
- E portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: «Effatà» cioè: «Apriti!».
- E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
- E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
"Gesù" del cattolicesimo-romano

James Joyce, Finnegans Wake:

"He lifts the lifewand and the dumb speak
- Quoiquoiquoiquoiquoiquoiquoiq"

"Egli brandisce la bacchetta della vita e i muti parlano
- Quoiquoiquoiquoiquoiquoiquoiq" *

Variazioni (mie, fls):

Quàquàquàquàquàquàquàquàquàq
Quoìquoìquoìquoìquoiquoiquoìq...

* Cfr.: James Joyce, Finnegans Wake, Libro Primo V-VIII, Oscar Mondadori, Milano 2001, pp. 195-195 bis.


Federico La Sala

http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/filosofia/interventi_1362347823.htm

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Commenti Articolo 551

Titolo articolo : Hugo Chávez, la leggenda del Liberatore del XXI secolo,di Gennaro Carotenuto

Ultimo aggiornamento: March/07/2013 - 14:21:59.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/3/2013 14.21
Titolo:GIANNI VATTIMO. Ecco perché il Caudillo mi ha affascinato ...
IL FILOSOFO TORINESE È STATO SPESSO OSPITE DEL GOVERNO VENEZUELANO
ECCO PERCHÉ IL CAUDILLO MI HA AFFASCINATO

Hugo Chávez

Ecco perché il Caudillo mi ha affascinato

di Gianni Vattimo (La Stampa, 07.03.2013)

«Il n’est pas tombé, il est mort»: questa frase, riferita tradizionalmente - credo - a Jean Antoine Carrel, uno dei primi scalatori del Cervino, mi viene in mente ora mentre, con una commozione che riesce nuova anche a me penso alla scomparsa di Hugo Chavez. Anche lui non è caduto, ha tenuto duro fino alla morte, facendo della sua resistenza alla malattia un emblema della sua lotta politica per l’ideale di una America Latina «bolivariana». Per me come per tanti occidentali della mia formazione, Chavez aveva tutte le qualità per essere guardato con sospetto: militare, «golpista» almeno agli inizi della sua avventura politica, populista, «caudillo», e via dicendo.

Pregiudizi che continuano a ispirare molta dell’opinione «democratica» prevalente. Che non solo si fanno gioco dei sospetti (non provati, ma del tutto verosimili conoscendo la Cia e le imprese petrolifere) sul suo preteso avvelenamento da parte dei suoi nemici di sempre, ma che dimenticano la sostanza della sua immensa azione di riscatto del suo Paese e di tutto il Sud America.

Chavez ha ripreso, facendone una corposa realtà, quella che ormai era diventata una sorta di mito, l’eredità di Castro e del Che. Incontrando direttamente, nel corso di ripetuti soggiorni, fino all’ultimo in occasione della sua ennesima rielezione nel novembre passato, la realtà del Venezuela, era difficile non rendersi conto della verità che troppo spesso i media occidentali ci nascondevano: e cioè che, avendo ricuperato i proventi dell’industria petrolifera, Chavez ha avviato e in gran parte realizzato una epocale trasformazione emancipativa del suo Paese: scuole che anche nelle zone amazzoniche più remote hanno ridotto drasticamente l’analfabetismo, assistenza sanitaria gratuita e di qualità, programmi sociali che hanno debellato la povertà estrema in cui il Paese, tra i più ricchi di risorse naturali, versava sotto i regimi «democratici» di impronta neocoloniale.

Impressionante è stato tutto il piano delle «misiones»: una sorta di sistema di gruppi di intervento volontari dei cittadini, che affiancano l’amministrazione pubblica in settori particolarmente importanti.

Essendo gruppi volontari, è ovvio che chi vi si impegna siano i «chavisti», prestando così il fianco all’obiezione che si tratti di roba di regime. Non sono però chiusi a nessuno, basta decidere di partecipavi. Si è così diffusa una vitalità democratica «di base» che nelle nostre democrazie «mature» non si riesce nemmeno a immaginare.

Le misiones e la politica sociale sono ciò che ha colpito tanti intellettuali occidentali, primo fra tutti Noam Chomsky, o cineasti come Michael Moore e Oliver Stone. I quali, come gli altri visitatori, quando arrivano a Caracas domandano quali quotidiani leggere, e si accorgono che i media sono tutti, salvo la televisione di stato, anti-Chavez. Sarebbe questo un Paese dove non c’è libertà di pensiero, di informazione, di stampa?

Ma la forza dell’esempio di Chavez si vede anche e soprattutto da quello che è accaduto in tanti Paesi latino-americani negli anni recenti. Come Chavez sarebbe impensabile senza Castro, così Evo Morales, Correa, Mujica e gli stessi Lula e Cristina Kirchner sono impensabile senza Chavez. Tutti insieme costituiscono forse la sola grande novità della politica mondiale di questi decenni, molto più che lo sviluppo neocapitalistico di Cina e India. Un modello di democrazia di base a cui l’Europa dovrebbe guardare con più attenzione.

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Commenti Articolo 552

Titolo articolo : SPEGNERE IL "LUMEN GENTIUM" E INSTAURARE IL POTERE DEL "DOMINUS IESUS". Il disegno di Ratzinger - Benedetto XVI. Due testi a confronto, con alcune note - di Federico La Sala,

Ultimo aggiornamento: March/06/2013 - 10:31:54.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/8/2012 18.37
Titolo:"Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?"
Fuori dal gregge

di Antonio Thellung (mosaico di pace, luglio 2012)

L’obbedienza non è più una virtù, diceva don Milani, esortando a coltivare la presa di coscienza. Non per contrapporsi all’autorità, ma per educare ciascuno ad assumere le proprie responsabilità, senza pretendere di scaricarle su altri. L’obbedienza, infatti, può anche dirsi una virtù, ma soltanto se si mantiene entro limiti equilibrati, da valutare appunto con coscienza. Perché l’obbedienza cieca è il tipico strumento utilizzato dalle strutture autoritarie gerarchico-imperialistiche per esercitare il potere, offrendo in cambio ai sudditi lo scarico della responsabilità personale. Tipico esempio si è avuto nel dopoguerra quando pareva che nessuno dei feroci gerarchi nazisti fosse colpevole, perché sostenevano tutti di aver semplicemente obbedito a ordini superiori.

Il Vangelo è chiarissimo: "Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?", ma la cristianità che si è affermata nella storia ha preferito mutuare dall’Impero Romano un’impostazione imperialistica che si mantiene presente tuttora, sia pure adattata ai tempi odierni. Un’impostazione che riduce i fedeli a "docile gregge", come li definiva a suo tempo Pio X. Il Vangelo, inoltre, esorta anche a non chiamare nessuno padre sulla terra, un lampante invito a non cadere nelle tentazioni del paternalismo, che svaluta la dignità delle persone. Ma l’uso di chiamare "padre" i ministri del culto la dice lunga. Nello stesso brano, poi, Gesù in persona ammonisce i suoi apostoli a non farsi chiamare maestri perché solo Cristo è il maestro, ma sorprendentemente su taluni documenti ecclesiastici anche dei tempi presenti, come ad esempio il Documento di Base del 1970, si legge nientemeno che: "Per disposizione di Cristo, gli Apostoli affidarono ai loro successori, i Vescovi, il proprio ufficio di Maestri". Incredibile!

Si potrebbe dire che il magistero ha sempre richiesto ai fedeli un’obbedienza cieca, e non pochi tra coloro che hanno cercato di opporsi hanno pagato talvolta perfino con la vita. San Francesco, nella sua prima regola, aveva provato a scrivere che un frate non è tenuto a obbedire al superiore se questi gli ordina qualcosa di contrario alla sua coscienza, ma naturalmente papa Innocenzo III si è guardato bene dall’approvarla. In tempi più recenti, nel 1832, Gregorio XVI definiva un delirio la libertà di coscienza e nel 1954 Pio XII scriveva: "È giusto che la Chiesa respinga la tendenza di molti cattolici a essere considerati ormai adulti". Non è stupefacente?

Chi esercita il potere, di qualsiasi tipo, vorrebbe dai sudditi una delega in bianco, perché teme le coscienze adulte, che sono difficilmente governabili per il loro coraggio di esprimere dissenso, quand’è il caso. E tanto più il potere è prepotente e prevaricante, tanto più esige un’obbedienza cieca. Il magistero ecclesiastico ha sempre mostrata una grande avversione al dissenso, trattandolo come un nemico da combattere perfino con metodi violenti, nel caso, senza capire che proprio il dissenso è il miglior amico degli insegnamenti di Cristo, perché agisce come sentinella delle coscienze.

Il dissenso, nella Chiesa, c’è sempre stato, con buona pace di coloro che nelle varie epoche storiche hanno preteso di soffocarlo usando talvolta armi che sono incompatibili con l’insegnamento di Gesù. Sarebbe ora che l’autorità prendesse atto che il dissenso non è un nemico ma, anzi, un grande amico, anche se può rendere più complesso e faticoso il cammino. Il Concilio Vaticano II mostrava di averlo capito quando scriveva, nella Gaudium et Spes: "La Chiesa confessa che molto giovamento le è venuto e le può venire perfino dall’opposizione di quanti la avversano o la perseguitano". Ma ben presto, poi, sono prevalsi nuovamente gli atteggiamenti di repressione e condanna verso chi tenta coraggiosamente di alzare la testa. essere credibili

Personalmente non dubito che un magistero ecclesiastico sia necessario e prezioso, ma di quale tipo? Qualsiasi coscienza adulta sa che di fronte a disaccordi e perplessità non avrebbe alcun senso rifiutare l’autorità o ribellarsi tout court: non sarebbe costruttivo. Ma sente però il dovere, prima ancora che il diritto, di chiedergli maggiore credibilità, di esigere che sappia proporre senza imporre, con rispettoso ascolto delle opinioni altrui. Gli ascoltatori di Gesù "rimanevano colpiti dal suo insegnamento", perché "parlava con autorità", e non perché aveva cariche istituzionali. Così il magistero può sperare di essere creduto, dalle coscienze adulte, quando offre messaggi autorevoli e convincenti, e non per il solo fatto di essere l’autorità costituita. Oggi la credibilità dei vertici ecclesiastici, con tutti gli scandali di questi tempi, è fortemente minata, e si potrebbe dire che solo facendo leva surrettiziamente sulla grande fede in Gesù Cristo che continua a sostenere tante persone (malgrado tutto) evita di porsi in caduta libera. Ma fino a quando, se permane la pretesa di continuare a proporsi come magistero di un "docile gregge?".

La parabola della zizzania insegna che la Chiesa è comunione di consensi e dissensi, perciò, per recuperare credibilità, le autorità dovrebbero finalmente prenderne atto e imparare a dialogare con tutti alla pari, e in particolare proprio con il dissenso. Dovrebbero educarsi ed educare ad accoglierlo con l’attenzione che merita. Perché un dissenso respinto e represso a priori diventa facilmente aspro, arrabbiato, distruttivo mentre, se accolto con benevolenza, può diventare costruttivo, benevolo, e perfino affettuoso.

Una buona educazione al dissenso potrebbe diventare la miglior scuola alla formazione di coscienze adulte, capaci di confrontarsi senza acquiescenze o confusioni e censure. Capaci, cioè, di non farsi travolgere da vergognosi intrallazzi di qualsiasi tipo.

Personalmente, cerco, nel mio piccolo, di fare quel che posso. Qualche anno fa l’editrice la meridiana ha pubblicato un mio libro dal titolo "Elogio del dissenso", e per ottobre prossimo ha in programma di pubblicare un mio nuovo saggio dal titolo "I due cristianesimi", scritto per sottolineare le differenze tra il messaggio originale di Cristo e l’imperialismo cristiano, non solo come si è affermato nella storia, ma anche come si manifesta al presente. L’interrogativo è focalizzato sulla speranza nel futuro, mentre le critiche a quanto è stato ed è contrabbandato in nome di Cristo servono solo per capire meglio come si potrebbe uscir fuori dalle tante macrocontraddizioni.

La speranza è irrinunciabilmente legata a una Chiesa delle coscienze adulte, perciò sogno un magistero impegnato a farle crescere senza sottoporle a pressioni psicologiche; un magistero capace d’insegnare a distinguere il bene dal male senza imporre valutazioni precostituite; lieto di aiutare ognuno a diventare adulto e autonomo senza costringerlo a sottomettersi; volto a stimolare una sempre maggiore consapevolezza rinunciando a imposizioni precostituite. Un magistero che affermi i suoi principi senza pretendere di stigmatizzare le opinioni diverse; che proponga la propria verità senza disprezzare le verità altrui. In altre parole, sogno una Chiesa dove sia possibile ricercare, discutere, confrontarsi, camminare assieme.

Sogno un magistero che affermi il patrimonio positivo della fede, libero dalla preoccupazione di puntualizzare il negativo; che sappia offrire gratuitamente l’acqua della vita, senza voler giudicare chi beve; che proponga la verità di Cristo, esortando a non accettarla supinamente; che tracci la strada, ammonendo a non seguirla passivamente; che offra strumenti per imparare a scegliere, a non essere acquiescenti, a non accontentarsi di un cristianesimo mediocre e tiepido. Un Magistero che preferisca circondarsi da persone esigenti, irrequiete, contestatrici, piuttosto che passive, pavide, addormentate. Esso per primo ne trarrebbe grandi benefici: sarebbe il magistero di un popolo adulto, maturo, responsabile.

Etimologicamente la parola obbedienza significa ascolto, e sarebbe ora di educarci tutti a questo tipo di obbedienza reciproca: i fedeli verso l’autorità, ma anche l’autorità verso chiunque appartenga al Popolo di Dio, non importa con quale ruolo. Solo questa obbedienza è autentica virtù. Chissà se San Paolo, quando esortava a sperare contro ogni speranza, si riferiva anche alle utopie!
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/8/2012 09.58
Titolo:L’inquisizione di oggi e le religiose nordamericane
L’inquisizione di oggi e le religiose nordamericane

di Ivone Gebara, suora, scrittrice, filosofa e teologa brasiliana

in “www.paves-reseau.be” del 25 aprile 2012 (traduzione dal francese: www.finesettimana.org)

Una volta ancora assistiamo stupite alla “valutazione dottrinale” o piuttosto al sedicente appello alla sorveglianza o alla punizione condotta dalla Congregazione della Dottrina della fede nei confronti di chi, a suo avviso, si discosta dall’osservanza della dottrina cattolica corretta. Unica differenza: oggi, non è su una persona che puntano il dito accusatore, ma su un’istituzione che riunisce e rappresenta più di 55000 religiose nordamericane. Si tratta della Conferenza nazionale delle Religiose, conosciuta sotto la sigla LRWC - Conferenza della Direzione religiosa femminile. In tutta la loro storia, queste religiose hanno sviluppato - e sviluppano ancora - una vasta missione educativa a favore della dignità di molte persone e di molti gruppi negli Stati Uniti e oltre.

La maggioranza di queste donne appartiene a diverse congregazioni nazionali e internazionali; oltre alla loro formazione umanista cristiana, sono delle intellettuali e delle professioniste impegnate negli ambiti più diversi della conoscenza. Sono scrittrici, filosofe, biologhe, sociologhe, avvocate, teologhe e possiedono un vasto curriculum e una competenza riconosciuta a livello nazionale e internazionale. Sono anche educatrici, catechiste e militanti per i diritti umani. In molteplici circostanze sono state capaci di mettere a rischio la propria vita a favore delle vittime dell’ingiustizia o di opporsi a comportamenti gravi assunti dal governo nordamericano.

Ho l’onore di conoscerne alcune che sono state imprigionate perché si erano messe in prima fila in una manifestazione per la chiusura della Ecole des Amériques, istituzione del governo nordamericano che prepara i militari in vista di interventi repressivi e crudeli nei nostri paesi. Queste religiose sono donne di pensiero e d’azione, hanno una lunga storia di servizio non solo nei loro paesi ma anche in altri. Oggi sono sotto il sospetto e la sorveglianza del Vaticano. Sono criticate per le loro divergenze con i vescovi considerati come “gli autentici maestri della fede e della morale”.

Inoltre sono accusate di essere sostenitrici di un femminismo radicale, di deviazioni rispetto alla dottrina cattolica romana, di complicità con l’approvazione delle unioni omosessuali e di altre accuse che ci stupiscono per il loro anacronismo. Che cosa sarebbe un femminismo radicale? Quali sarebbero le sue manifestazioni reali nella vita delle congregazioni religiose femminili? Quali devianze teologiche vivrebbero queste religiose? Noi donne saremmo spiate e punite per la nostra incapacità ad essere fedeli a noi stesse e alla tradizione del vangelo attraverso la sottomissione cieca ad un ordine gerarchico maschile? I responsabili delle Congregazioni vaticane sarebbero estranei alla grande rivoluzione mondiale femminista che raggiunge tutti i continenti, comprese le congregazioni religiose?

Molte religiose negli Stati Uniti e in altri paesi sono, di fatto, eredi, maestre e discepole di una delle più interessanti espressioni del femminismo mondiale, soprattutto del femminismo teologico che si è sviluppato negli Stati Uniti a partire dalla fine degli anni ’60. Le loro idee originali, le loro critiche, le loro posizioni libertarie permetteranno una nuova lettura teologica che, a sua volta, può accompagnare i movimenti di emancipazione delle donne. Di modo che esse potranno contribuire a ripensare la nostra tradizione religiosa cristiana al di là della “invisibilizzazione” e dell’oppressione delle donne. Creeranno anche spazi alternativi di formazione, testi teologici, testi di celebrazione affinché la tradizione del Movimento di Gesù continui a nutrire il nostro presente e non sia abbandonata da migliaia di persone affaticate dal peso delle norme e delle strutture religiose patriarcali.

Quale atteggiamento adottare davanti alla violenza simbolica degli organismi di governo e di amministrazione della Chiesa cattolica romana? Che cosa pensare del riferimento filosofico rigido che assimila il meglio dell’essere umano alla sua parte maschile? Che dire della visione antropologica filosofica unilaterale e misogina a partire dalla quale interpretano la tradizione di Gesù?

Che cosa pensare di questo trattamento amministrativo-punitivo a partire dal quale si nomina un arcivescovo per rivedere, orientare e approvare le decisioni prese dalla Conferenza delle Religiose, come se noi fossimo incapaci di discernimento e di lucidità. Saremmo per caso una multinazionale capitalistica nella quale i nostri “prodotti” dovrebbero obbedire ai diktat di una linea di produzione unica? E per mantenerla, dovremmo essere controllate come degli automi da coloro che si considerano i proprietari e i guardiani dell’istituzione? Dove vanno a finire la libertà, la carità, la creatività storica, l’amore ’sororale’ e fraterno?

Nel momento in cui l’indignazione si fa strada in noi, un sentimento di fedeltà alla nostra dignità di donne e al Vangelo annunciato ai poveri e agli emarginati ci invita a reagire a questo ulteriore atto di ripugnante ingiustizia.

Non è da oggi che i prelati e i funzionari della Chiesa agiscono con due pesi e due misure. Da un lato, gli organismi superiori della Chiesa cattolica romana sono stati capaci di accogliere di nuovo al loro interno i gruppi di estrema destra, la cui storia negativa soprattutto nei confronti dei giovani e dei bambini è ampiamente conosciuta.

Penso in modo particolare ai Legionari di Cristo di Marcial Maciel (Messico) o ai religiosi di Mons. Lefebvre (Svizzera), la cui disobbedienza al papa e i metodi coercitivi per creare dei discepoli sono attestati da molti. La stessa Chiesa istituzionale accoglie gli uomini che le interessano in vista del proprio potere e respinge le donne che desidera mantenere sottomesse. Questo atteggiamento le espone alle critiche ridicole veicolate anche nei media religiosi cattolici in mala fede. I prelati fingono di riconoscere in maniera formale qualche merito a queste donne quando le loro azioni si riferiscono a quelle esercitate tradizionalmente dalle religiose nelle scuole e negli ospedali. Ma noi siamo forse solo quello?

Sappiamo che mai, negli Stati Uniti, c’è stato il minimo sospetto che quelle religiose possano aver violentato dei giovani, dei bambini e dei vecchi. Nessuna denuncia pubblica ha offuscato la loro immagine. Non si è mai sentito dire che si siano alleate per i propri interessi alle grandi banche internazionali. Nessuna denuncia per traffico di influenze, scambio di favori per preservare il silenzio dell’impunità. Ma anche così, nessuna di loro è stata canonizzata e neanche beatificata dalle autorità ecclesiastiche come invece è stato fatto per degli uomini di potere. Il riconoscimento di queste donne viene da molte comunità e gruppi cristiani o non cristiani che hanno condiviso la vita e il lavoro con molte di loro. E certamente quei gruppi non resteranno in silenzio davanti a questa “valutazione dottrinale” ingiusta che colpisce anche loro in maniera ingiusta.

Plagiando Gesù nel suo vangelo, lo sento dire: “Ho pietà di quegli uomini” che non conoscono le contraddizioni e le bellezze della vita nella prossimità, che non lasciare vibrare il loro cuore in tutta chiarezza con le gioie e le sofferenze delle persone, che non amano in tempo presente, che preferiscono la legge severa alla festa della vita. Hanno soltanto imparato le regole chiuse di una dottrina chiusa in una razionalità superata ed è a partire da lì che giudicano una fede diversa , specialmente quella delle donne. Forse pensano che Dio li approvi e si sottometta a loro e alle loro elucubrazioni talmente lontane da quelle di coloro che hanno fame di pane e di giustizia, dagli affamati, dagli abbandonati, dalle prostitute, dalle donne violentate o dimenticate. Fino a quando dovremo soffrire sotto il loro giogo? Quali atteggiamenti ci ispirerà “lo Spirito che soffia dove vuole” perché possiamo continuare ad essere fedeli alla VITA che è in noi?

Alle care suore nordamericane della LWRC, la mia riconoscenza, la mia tenerezza e la mia solidarietà. Se siete perseguitate per il bene che fate, probabilmente il vostro lavoro produrrà frutti buoni e abbondanti. Sappiate che noi, donne di altri continenti, con voi, non permetteremo che facciano tacere la nostra voce. Ancor di più, se le facessero tacere con un decreto di carta, ce ne faremmo una ragione ulteriore per continuare a lottare per la dignità umana e per la libertà che ci costituisce.

Continueremo con tutti i mezzi ad annunciare l’amore del prossimo come la chiave della comunione umana e cosmica presente nella tradizione di Gesù di Nazareth ed in molti altri, sotto forme diverse. Continueremo insieme a tessere per il nostro momento storico un tratto supplementare della vasta storia dell’affermazione della libertà, del diritto di essere diversi e di pensare in modo diverso, e, cercando di fare questo, di non aver paura di essere felici.

Testo originale al sito:

http://www.adital.com.br/site/noticia.asp?lang=PT&langref=PT&cod=66441
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/8/2012 11.47
Titolo:Sotto il pretesto di un “Anno della Fede”, l'ultimo attacco contro il Vaticano I...
La guerra che verrà. L’ultima offensiva di Roma contro il Vaticano II

di John Sivalon

da Adista Documenti n. 24 del 23/06/2012

DOC-2451. SCRANTON-ADISTA. Qual è la relazione tra il recente commissariamento, da parte del Vaticano, del massimo organismo di rappresentanza delle religiose statunitensi (Lcwr, v. Adista Notizie n. 16/2012) e la “barricata” che papa Ratzinger sembra ergere da tempo, nella Chiesa, contro il Concilio Vaticano II?

A collegare i vari punti del disegno è p. John C. Sivalon, ex superiore generale della Congregazione religiosa di Maryknoll ed attualmente docente di teologia presso l’Università di Scranton (Pennsylvania), in un articolo pubblicato il 27 maggio sul sito di sostegno alle religiose www.istandwiththesisters.org. Per Sivalon, in realtà, il peggio deve ancora venire: l’attacco più forte allo spirito del Vaticano II arriverà il prossimo ottobre, con l’apertura del Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana. Riportiamo l’articolo, intitolato «Il Vaticano dichiara l’Anno dell’attacco» in una nostra traduzione dall’inglese. (l. e.)


L’ANNO DELL’ATTACCO

di John Sivalon

Sotto il pretesto di un “Anno della Fede”, il Vaticano ha lanciato un attacco frontale contro qualunque teologia o interpretazione del Vaticano II basata su quella che viene definita come “ermeneutica della rottura”. Tale attacco teologico viene articolato nel documento di Benedetto XVI noto come Porta Fidei (la lettera apostolica con cui è indetto l’Anno della Fede, ndt) e si precisa ulteriormente nella “Nota con indicazioni pastorali per l’Anno della Fede” elaborata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Entrambi i documenti sono citati dal card. Levada nella sua Valutazione dottrinale della Leadership Conference of Women Religious (Lcwr). La logica di questa valutazione come di altre misure punitive messe a punto negli ultimi mesi (Caritas Internationalis, istituti educativi, ragazze scout) va intesa nel contesto più ampio di questo speciale “Anno dell’Attacco”.

Il vero nodo della questione, secondo la Nota, è quello di una «corretta assimilazione» del Vaticano II contro «interpretazioni erronee». Secondo Benedetto XVI tali interpretazioni sarebbero basate su un’“ermeneutica della discontinuità”, in contrasto con l’“ermeneutica del rinnovamento” su cui si basa invece la sua interpretazione. In realtà, tali ermeneutiche andrebbero meglio definite, rispettivamente, come “ermeneutica della missione” e come “ermeneutica del trinceramento”.

L’ermeneutica della missione individua nei documenti del Vaticano II un tentativo da parte della Chiesa di riscoprire nel suo passato nuclei di nuove comprensioni e di nuove strutture ecclesiali che rispondano in maniera più autentica e rilevante a quello che il Concilio ha chiamato mondo moderno. A tale ermeneutica appartiene l’affermazione, da parte dei Padri Conciliari, della tradizione come fondamento sul quale la fede può costruire e crescere continuamente in un contesto che cambia. E la visione della presenza continua di Dio nella storia e nella cultura, che generosamente offre nuove percezioni per comprendere e interpretare la pienezza della rivelazione.

L’ermeneutica del trinceramento, al contrario, vede nei documenti del Vaticano II la riaffermazione di dottrine fossilizzate in un linguaggio che possa essere inteso dal mondo moderno. L’ermeneutica del trinceramento si riferisce alla tradizione come un baluardo contro comprensioni erronee. E tende anche a leggere negativamente la modernità, definendola in termini di secolarismo, relativismo o pluralismo. Come afferma Benedetto XVI, «mentre, nel passato, era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, ampiamente condiviso nel suo appellarsi ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi pare che non sia più così in grandi settori della società...». L’ermeneutica del trinceramento, pertanto, rimpiange il passato, un’epoca idealizzata della cristianità.

Così, il provvedimento contro la Lcwr e le altre misure nei confronti di voci leali di cristiani fedeli, aperti al discernimento della saggezza di Dio nella cultura moderna, devono essere considerate delle incursioni iniziali per spaventare e ammorbidire le aree più forti di resistenza, prima che il vero attacco abbia inizio. Questa grande offensiva è prevista per ottobre del 2012, in occasione dell’apertura del Sinodo dei vescovi sulla “Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”. I Lineamenta di questo sinodo stabiliscono chiaramente il bersaglio della “Nuova Evangelizzazione”, che è chiaramente la cultura moderna. Secondo il documento, il mondo moderno è espresso da una cultura del relativismo, che si è infiltrato fin nella stessa vita cristiana e nelle comunità ecclesiali. Gli autori affermano che le sue «gravi implicazioni antropologiche (...) mettono in discussione la stessa esperienza elementare umana, come la relazione uomo-donna, il senso della generazione e della morte». Associato a questo fenomeno, afferma il documento, vi è l’enorme mescolanza di culture, che si traduce in «forme di contaminazione e di sgretolamento dei riferimenti fondamentali della vita, dei valori per cui spendersi, degli stessi legami attraverso i quali i singoli strutturano le loro identità e accedono al senso della vita». Benedetto XVI ha definito tutto questo, in altre occasioni, come pluralismo, completando così la sua trilogia del demoniaco: secolarismo, relativismo e pluralismo, a fronte del sogno di una cultura dell’Europa medioevale recuperata e romanticizzata.

Gli istituti religiosi femminili, invece, esemplificano in maniera forte l’ermeneutica della missione: le suore hanno superato lo stile di separazione dal mondo; affrontano la sfida di abbracciare la presenza di Dio nella cultura moderna; lottano fedelmente per essere un segno autentico e chiaro dell’amore di Dio per il mondo. La Valutazione dottrinale è oltraggiosa per l’arroganza paternalista e patriarcale che esprime. Ma è chiaro che ha a che vedere con molto di più: la crepa drammatica all’interno della Chiesa Cattolica Romana in relazione all’interpretazione del Vaticano II e alla presenza o meno di Dio nella cultura moderna.

Quello che è più pernicioso in questo attacco, al di là degli effetti sulle vite delle persone che ne sono immediatamente e drammaticamente vittime, è l’appropriazione di concetti sviluppati da quanti operano a partire da un’ermeneutica della missione da parte di coloro che difendono un’ermeneutica del trinceramento, i quali ridefiniscono e utilizzano tali concetti in funzione della loro offensiva. Tre rapidi esempi si incontrano nella Valutazione dottrinale della Lcwr del card. Levada.

Per prima cosa, Levada afferma che l’obiettivo principale della Valutazione è quello di contribuire a realizzare un’“ecclesiologia di comunione”. I teologi che hanno sviluppato tale ecclesiologia hanno basato le proprie riflessioni sull’enfasi posta dal Vaticano II sulla Chiesa come Popolo di Dio, come Corpo di Cristo o come Popolo Pellegrino. Tutte queste immagini sono state utilizzate dal Vaticano II per ampliare la comprensione della Chiesa al di là della gerarchia. E nessuna immagina l’unità come qualcosa di costruito per mezzo della forza o dell’obbedienza alla dottrina. Al contrario, l’unità è vista come frutto del dialogo e del discernimento comune laddove il Popolo di Dio lotta unito per essere testimone fedele e autentico dell’Amore che spoglia se stesso. Chi più di questi istituti religiosi femminili riassume la comunione fondata sulla fede e vissuta come autospoliazione?

In secondo luogo, la Valutazione dottrinale sulla Lcwr definisce il carattere sacramentale della Chiesa quasi esclusivamente come gerarchia patriarcale. Di nuovo, il documento usurpa una comprensione della Chiesa del Vaticano II come sacramento e la riformula. Il Vaticano II, al contrario, postula la Chiesa nella sua interezza come sacramento del Regno di Dio.

Nel post-Vaticano II, molti teologi di varie parti del mondo hanno elaborato l’immagine della Chiesa come Profeta, fondando tale visione sull’opzione preferenziale per i poveri, sulla fede nella salvezza come liberazione e sulla necessità di denuncia nei confronti non solo delle strutture del mondo ma anche di quelle della Chiesa stessa e del suo ruolo di supporto a situazioni di oppressione e di negazione dei diritti. Al contrario, la Valutazione nega qualunque possibilità di profezia nei confronti della gerarchia della Chiesa o qualunque presenza profetica separata da tale gerarchia. Questa aberrante mancanza di considerazione per i profeti biblici e per la loro forte presa di posizione contro sacerdoti, re e rituali di fede svuotati non è colta come una rottura con il passato o con la tradizione da parte di coloro che operano a partire da questa ermeneutica del trinceramento.

Nel momento in cui si celebra il 50º anniversario dell’apertura del Vaticano II, entriamo in un nuovo capitolo della storia della Chiesa. Il Concilio convocato per aprire le finestre è ora reinterpretato con le persiane chiuse, per proteggere la Chiesa dai venti di tempesta di un mondo in cerca di autenticità spirituale. Per quanto lo si presenti come un momento di rinnovamento, l’Anno della Fede è realmente dedicato all’idolatria della dottrina, del potere e della gerarchia. Le suore che, nel loro servizio alla Chiesa e al mondo, non si limitato al voto di povertà, ma lo vivono realmente senza privilegi, status o accumulazione di ricchezze, sono in forte e profetico contrasto con l’inautenticità di un trinceramento mascherato da rigenerazione.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/8/2012 18.08
Titolo:SOGNARE SECONDO IL CONCILIO. In memoria di Carlo M. Martini, morto oggi ...
Martini, sognare secondo il Concilio

di Enzo Bianchi (La Stampa, 15 ottobre 2011)

«Una memoria umile e grata»: è questo lo spirito che animò, ormai dieci anni fa, l’ultima lettera pastorale del cardinal Martini alla sua diocesi di Milano. Nell’accomiatarsi da quella chiesa cui aveva dedicato il meglio di sé durante ventidue anni di servizio pastorale, esplicitò «l’assillo quotidiano», la domanda decisiva che l’aveva accompagnato: «Ciò che sto proponendo è davvero secondo il Vangelo?». Umiltà di chi si è interrogato ogni giorno sull’essenziale del proprio ministero e gratitudine verso chi ha assecondato, accompagnato, arricchito quel lavoro quotidiano. Ma una memoria umile e grata è anche la qualità che ha guidato Aldo Maria Valli nel raccontare la Storia di un uomo (Ancora, pp. 206, € 16: un «ritratto di Carlo Maria Martini» che ridà voce all’ormai anziano cardinale, reso afono dall’implacabile morbo di Parkinson.

Valli è uno dei giornalisti che ha seguito più da vicino il cardinal Martini durante tutti gli anni del suo ministero a Milano, ed è anche un «cattolico ambrosiano», un credente che nell’accostarsi a colui che è stato per lunghi anni il «suo» pastore, ha sempre saputo conservare un prezioso e fecondo equilibrio tra il professionista al lavoro e il credente in ricerca di una conferma alla propria fede. In questo avvincente percorso tra libri, scritti, omelie, gesti e aneddoti del cardinal Martini vi è una parola che ritorna e che il libro aiuta a cogliere nel suo significato più profondo: «sogno».

Personalmente diffido di chi abusa di questo termine, come se la realtà che siamo chiamati a vivere e le responsabilità che dobbiamo assumere nei confronti di quanti ci sono accanto o verranno dopo di noi dovessero essere relegate nel mondo onirico, minacciate costantemente dall’inevitabile risveglio. Ma per il cardinal Martini il «sogno» non è questo.

È, invece, un altro nome della contemplazione cristiana, è, secondo le sue stesse parole, ridestare con la riflessione e l’agire concreto «quella capacità di sognare che il Concilio aveva comunicato alla nostra Chiesa e che ci procurò tanta gioia»; è quel «mondo visto con gli occhi di Dio, con gli occhi della fede, con gli occhi della preghiera» che l’arcivescovo di Milano va a contemplare da Gerusalemme una volta terminato il suo ministero episcopale.

Così si esprimeva il cardinale in un’intervista circa il suo lascito a Milano: «Spero di aver lasciato l’amore per la parola di Dio, la coscienza della sua esistenza e la certezza che questa parola ci guida in ogni momento». Dalle pagine amorosamente curate da Aldo Maria Valli, possiamo dire che questa speranza è esaudita e che la «memoria umile e grata» di tanti credenti e non credenti si aggiunge a quella dei suoi fedeli ambrosiani e degli abitanti di quella metropoli che il cardinale ha saputo capire, servire e amare.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/9/2012 11.18
Titolo:Bettazzi: «Voleva andare avanti. E noi abbiamo avuto paura»
Bettazzi: «Voleva andare avanti. E noi abbiamo avuto paura»

intervista a Luigi Bettazzi

a cura di Roberto Monteforte (l’Unità, 2 settembre 2012)

È stato un riferimento per molti, anche nella Chiesa il cardinale Carlo Maria Martini. Soprattutto per il suo coraggio e per la sua libertà, alimentata dalla forza del Vangelo, di parlare all’uomo contemporaneo.

Da qui anche la sua fedeltà al Concilio Vaticano II e la sua capacità di guardare con fiducia al futuro. È il biblista che si fa pastore e profeta. Così lo ricorda monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea e uomo del Concilio.

Monsignor Bettazzi, come risponderebbe a una delle ultime domande poste dal cardinale Martini: perché la Chiesa ha paura di avere coraggio?

«Perché cercando di incarnare il Vangelo nelle situazioni storiche - che è un suo dovere - troppo spesso si è rimasti fermi al passato. Quando il Papa era anche re, si dava un’impronta alla Chiesa adatta a quei tempi, ma non certo all’oggi. La Chiesa invecchia quando perde il rapporto con la storia che muta. Per questo Giovanni XXIII ha voluto un Concilio Vaticano II pastorale e non dogmatico. Che aiuti la Chiesa a camminare con la gente.

Forse abbiamo avuto paura che ciò portasse ad eccessivi rinnovamenti e tutti assieme - gerarchia e popolo di Dio - abbiamo avuto paura ad andare avanti. Questo avrebbe richiesto una purificazione dei nostri modi di pensare e di agire che forse richiedevano troppo sacrificio. A questa purificazione e al superamento di certi modi del passato ci ha chiamato il cardinale Martini, lui così radicato nella Parola di Dio, da sentire quanto forte fosse il richiamo a viverla nel nostro tempo».

Cosa è stato per lei?

«Un punto di riferimento. Non ho avuto molte occasioni di contatti personali con lui. Era un uomo di grande levatura, sia per la sua profonda conoscenza delle scritture, che per la sua preparazione. Sapeva illuminare le situazioni. Ho avuto modo di frequentarlo negli ultimi tempi a Gallarate, quando gli abbiamo presentato un progetto di rilancio del Concilio. Abbiamo trovato una certa consonanza, una simpatia. Durante uno di questi incontri mi ha chiesto di presiedere l’eucarestia familiare. Lo ricordo con molta commozione e gratitudine».

Cosa è stato per la Chiesa in Italia?

«Lo ripeto. Un punto di riferimento. L’insieme della Chiesa ufficiale gli riconosceva la sua grande personalità. Ma restava molto legata all’idea della tradizione come continuità da conservare. In latino tradere vuole dire trasmettere, quindi saper rinnovare i principi forti secondo le situazioni di un mondo che si sviluppa. Come dicevano gli antichi: nelle cose necessarie bisogna essere uniti, in quelle opinabili liberi, purché in tutte ci sia la carità. Era questo lo stile di Martini: da una parte l’attenzione alla Bibbia e dall’altra il dialogo con “la cattedra per i non credenti”. Il rinnovamento che cercava di vivere nella sua diocesi a Milano, non poteva non diventare motivo di attenzione per il resto della Chiesa. Il dialogo con i non credenti, ad esempio, che allora creò scalpore, alla fine è stato riproposto da papa Benedetto XVI all’incontro di preghiera per la pace tra le religioni tenutosi ad Assisi lo scorso anno. Ha voluto che ci fosse anche un non credente».

Ma intervenendo nel 2005 alla riunione dei cardinali che precedette l’elezione del successore di Giovanni Paolo II ha posto con chiarezza l’esigenza di un rinnovamento nella Chiesa...

«Non da candidato al pontificato. D’altra parte era già malato. Pare che abbia invitato tutti i porporati a votare per Ratzinger, chiedendo però al futuro Benedetto XVI di impegnarsi per il Concilio, per la collegialità e per l’ecumenismo. Sono i punti che il nuovo Papa affronterà nel suo primo discorso dopo l’elezione al Conclave. Quando due anni fa Martini si è recato in udienza dal Papa, non avrebbe parlato della successione alla diocesi di Milano, ma posto l’esigenza di un rilancio del Concilio a 50 anni dalla sua apertura».

Ha avuto ascolto...

«Non poteva non averlo. Poneva le sue idee con moderazione. Ed anche chi divergeva da lui, non poteva non guardare alle sue idee. Non poteva ignorare che nascevano da un uomo profondamente radicato nella parola di Dio. Una parola che, ci ha aiutato a capire, non è un deposito delle verità di fede, ma l’invenzione di Dio per metterci a tu per tu - il popolo antico e quello nuovo composta da ciascuno di noi -con Lui. E se sei “a tu per tu con Dio” hai la forza anche per sacrificare modi di valutare le cose che in passato potevano essere utili alla Chiesa, ma che oggi non lo sono più. È così che può parlare al cuore del tempo e quindi anche ai giovani, con le loro sensibilità e mentalità diverse dalla nostra. Lo chiede il Concilio che con il documento sulla Chiesa pone con nettezza la centralità del popolo di Dio nella Chiesa. Il laicato, prima di di dover obbedire alla gerarchia, deve vedere questa mettersi al suo servizio».

Sono stati punti fermi per Martini...

«...Che non chiese mai la convocazione di un Concilio Vaticano III. Sapeva bene che vi era il rischio che si mettessero in discussione punti importanti del Vaticano II. Quello che ha chiesto è che su alcuni punti particolari, come la sessualità, la bioetica, la pastorale dei divorziati e sui punti oggi caldi per la Chiesa tutti i vescovi del mondo venissero a Roma per decidere con l’autorevolezza del Concilio e con il Papa. Sarebbe il modo di vivere la collegialità superando i limiti dei Sinodi». Saranno accolte queste richieste poste da un profeta che ha avuto la libertà di guardare oltre? «Me lo auguro. A volte i profeti da morti hanno più influenza che da vivi. Direbbe Martini: è il principio evangelico, quello del frutto di frumento che in terra se vive resta solo, se muore da molto frutto».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 03/9/2012 18.31
Titolo:Nascondere le lampade sotto il moggio. Nel giorno delle esequie di Martini ....
Nel giorno delle esequie del Card. C. M. Martini

di Alberto Simoni op (Koinonia-forum, n. 314 del 3 settembre 2012)

Cari amici,

una chiesa che dice (senza esserlo) e una chiesa che è (senza dirlo): ecco il quadro che abbiamo sotto gli occhi in questi giorni di rivelazione in morte del card. C.M.Martini, che sembra fare da cartina di tornasole di quella che Galli della Loggia - parlando di correnti della chiesa (Corriere della Sera, 2 settembre) - chiama “Una federazione di popoli diversi”.

In questo momento di grazia, non ci sono solo riti e celebrazioni da sbrigare, ma segni dei tempi da cogliere e frammenti da raccogliere, perché niente si perda. È quanto mi permetto di fare ancora una volta con i vari messaggi che in queste ore ci mettono in comunione e ci fanno pensare.

Parlando all’Angelus del 2 settembre della Legge di Dio che “è la sua Parola che guida l’uomo nel cammino della vita”, Benedetto XVI dice tra l’altro: “Ed ecco il problema: quando il popolo si stabilisce nella terra, ed è depositario della Legge, è tentato di riporre la sua sicurezza e la sua gioia in qualcosa che non è più la Parola del Signore: nei beni, nel potere, in altre ‘divinità’ che in realtà sono vane, sono idoli. Certo, la Legge di Dio rimane, ma non è più la cosa più importante, la regola della vita; diventa piuttosto un rivestimento, una copertura, mentre la vita segue altre strade, altre regole, interessi spesso egoistici individuali e di gruppo”. Ma forse questo coraggioso guardarsi allo specchio non basta, se finisce lì.

Sarebbe bastato invece che avesse semplicemente detto che qualcuno nella chiesa ha cercato per tutta la vita di risvegliare la coscienza e la memoria di questo Popolo di Dio e di farlo uscire dalla sua falsa sicurezza. E questo qualcuno è stato il card. C.M.Martini, che però il Papa si è guardato bene dal ricordare e dal proporre come servo della Parola e come guida alla chiesa di Dio, lasciando quella chiesa che lo ascolta nella illusione di essere al sicuro nel proprio ovile e suscitando invece disillusione in quella chiesa della diaspora che, insieme a tutte le donne e gli uomini di questo mondo, è alla ricerca di un pastore e di un ovile dove si possa entrare ed uscire.

Passi che il Papa non vada a Milano per testimoniare che è Pastore di tutta la Chiesa, ma che ignori il Pastore di una chiesa che è nel cuore dei più può far parte di giochi diplomatici ma non è un bell’esempio di collegialità: perché continuare a nascondere sotto il moggio le lampade che lo Spirito accende tra il Popolo di Dio? Ma se anche tutto ciò fa tristezza, non può impedire che gridino le pietre. E forse dal card. Martini c’è da imparare a far convivere, senza confonderle, “ragioni di Stato” con istanze evangeliche...
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/9/2012 09.53
Titolo:L’operazione-anestesia sul cardinal Martini
L’operazione-anestesia sul cardinal Martini

di Vito Mancuso (la Repubblica, 9 settembre 2012)

Con uno zelo tanto impareggiabile quanto prevedibile è cominciata nella Chiesa l’operazione anestesia verso il cardinal Carlo Maria Martini, lo stesso trattamento ricevuto da credenti scomodi come Mazzolari, Milani, Balducci, Turoldo, depotenziati della loro carica profetica e presentati oggi quasi come innocui chierichetti.

A partire dall’omelia di Scola per il funerale, sulla stampa cattolica ufficiale si sono susseguiti una serie di interventi la cui unica finalità è stata svigorire il contenuto destabilizzante delle analisi martiniane per il sistema di potere della Chiesa attuale. Si badi bene: non per la Chiesa (che anzi nella sua essenza evangelica ne avrebbe solo da guadagnare), ma per il suo sistema di potere e la conseguente mentalità cortigiana.

Mi riferisco alla situazione descritta così dallo stesso Martini durante un corso di esercizi spirituali nella casa dei gesuiti di Galloro nel 2008: “Certe cose non si dicono perché si sa che bloccano la carriera. Questo è un male gravissimo della Chiesa, soprattutto in quella ordinata secondo gerarchie, perché ci impedisce di dire la verità. Si cerca di dire ciò che piace ai superiori, si cerca di agire secondo quello che si immagina sia il loro desiderio, facendo così un grande disservizio al papa stesso”.

E ancora: “Purtroppo ci sono preti che si propongono di diventare vescovi e ci riescono. Ci sono vescovi che non parlano perché sanno che non saranno promossi a sede maggiore. Alcuni che non parlano per non bloccare la propria candidatura al cardinalato. Dobbiamo chiedere a Dio il dono della libertà. Siamo richiamati a essere trasparenti, a dire la verità. Ci vuole grande grazia. Ma chi ne esce è libero”.

Quello che è rilevante in queste parole non è tanto la denuncia del carrierismo, compiuta spesso anche da Ratzinger sia da cardinale che da Papa, quanto piuttosto la terapia proposta, cioè la libertà di parola, l’essere trasparenti, il dire la verità, l’esercizio della coscienza personale, il pensare e l’agire come “cristiani adulti” (per riprendere la nota espressione di Romano Prodi alla vigilia del referendum sui temi bioetici del 2005 costatagli il favore dell’episcopato e pesanti conseguenze per il suo governo). È precisamente questo invito alla libertà della mente ad aver fatto di Martini una voce fuori dal coro nell’ordinato gregge dell’episcopato italiano e a inquietare ancora oggi il potere ecclesiastico.

Diceva nelle Conversazioni notturne a Gerusalemme: “Mi angustiano le persone che non pensano, che sono in balìa degli eventi. Vorrei individui pensanti. Questo è l’importante. Soltanto allora si porrà la questione se siano credenti o non credenti”. Ecco il metodo-Martini: la libertà di pensiero, ancora prima dell’adesione alla fede.

Certo, si tratta di una libertà mai fine a se stessa e sempre tesa all’onesta ricerca del bene e della giustizia (perché, continuava Martini, “la giustizia è l’attributo fondamentale di Dio”), ma a questa adesione al bene e alla giustizia si giunge solo mediante il faticoso esercizio della libertà personale. È questo il metodo che ha affascinato la coscienza laica di ogni essere pensante (credente o non credente che sia) e che invece ha inquietato e inquieta il potere, in particolare un potere come quello ecclesiastico basato nei secoli sull’obbedienza acritica al principio di autorità. Ed è proprio per questo che gli intellettuali a esso organici stanno tentando di annacquare il metodo-Martini.

Per rendersene conto basta leggere le argomentazioni del direttore di Civiltà Cattolica secondo cui “chiudere Martini nella categoria liberale significa uccidere la portata del suo messaggio”, e ancor più l’articolo su Avvenire di Francesco D’Agostino che presenta una pericolosa distinzione tra la bioetica di Martini definita “pastorale” (in quanto tiene conto delle situazioni concrete delle persone) e la bioetica ufficiale della Chiesa definita teorico-dottrinale e quindi a suo avviso per forza “fredda, dura, severa, tagliente” (volendo addolcire la pillola, l’autore aggiunge in parentesi “fortunatamente non sempre”, ma non si rende conto che peggiora le cose perché l’equivalente di “non sempre” è “il più delle volte”).

Ora se c’è una cosa per la quale Gesù pagò con la vita è proprio l’aver lottato contro una legge “fredda, dura, severa, tagliente” in favore di un orizzonte di incondizionata accoglienza per ogni essere umano nella concreta situazione in cui si trova.

Martini ha praticato e insegnato lo stesso, cercando di essere sempre fedele alla novità evangelica, per esempio quando nel gennaio 2006 a ridosso del caso Welby (al quale un mese prima erano stati negati i funerali religiosi in nome di una legge “fredda, dura, severa, tagliente”) scrisse che “non può essere trascurata la volontà del malato, in quanto a lui compete - anche dal punto di vista giuridico, salvo eccezioni ben definite - di valutare se le cure che gli vengono proposte sono effettivamente proporzionate”. Questa centralità della coscienza personale è il principio cardine dell’unica bioetica coerente con la novità evangelica, mai “fredda, dura, severa, tagliente”, ma sempre scrupolosamente attenta al bene concreto delle persone concrete.

Martini lo ribadisce anche nell’ultima intervista, ovviamente sminuita da Andrea Tornielli sulla Stampa in quanto “concessa da un uomo stanco, affaticato e alla fine dei suoi giorni”, ma in realtà decisiva per l’importanza dell’interlocutore, il gesuita austriaco Georg Sporschill, il coautore di Conversazioni notturne a Gerusalemme.

Ecco le parole di Martini: “Né il clero né il Diritto ecclesiale possono sostituirsi all’interiorità dell’uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarire la voce interna e per il discernimento degli spiriti”. È questo il metodo-Martini, è questo l’insegnamento del Vaticano II (vedi Gaudium et spes 16-17), è questo il nucleo del Vangelo cristiano, ed è paradossale pensare a quante critiche Martini abbia dovuto sostenere nella Chiesa di oggi per affermarlo e a come in essa si lavori sistematicamente per offuscarlo.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/9/2012 18.25
Titolo:GAUDIUM ET SPES: Dignità della coscienza morale, Grandezza della libertà.
L’insegnamento del Vaticano II. "Gaudium et spes":


"16. Dignità della coscienza morale.

Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell'intimità del cuore: fa questo, evita quest'altro.

L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato (17). La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità (18).

Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo compimento nell'amore di Dio e del prossimo (19). Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità numerosi problemi morali, che sorgono tanto nella vita privata quanto in quella sociale. Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità. Tuttavia succede non di rado che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità.

Ma ciò non si può dire quando l'uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all'abitudine del peccato.

17. Grandezza della libertà.

Ma l'uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà.

I nostri contemporanei stimano grandemente e perseguono con ardore tale libertà, e a ragione. Spesso però la coltivano in modo sbagliato quasi sia lecito tutto quel che piace, compreso il male.

La vera libertà, invece, è nell'uomo un segno privilegiato dell'immagine divina.

Dio volle, infatti, lasciare l'uomo « in mano al suo consiglio » (20) che cerchi spontaneamente il suo Creatore e giunga liberamente, aderendo a lui, alla piena e beata perfezione.

Perciò la dignità dell'uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e determinato da convinzioni personali, e non per un cieco impulso istintivo o per mera coazione esterna. L'uomo perviene a tale dignità quando, liberandosi da ogni schiavitù di passioni, tende al suo fine mediante la scelta libera del bene e se ne procura con la sua diligente iniziativa i mezzi convenienti. Questa ordinazione verso Dio, la libertà dell'uomo, realmente ferita dal peccato, non può renderla effettiva in pieno se non mediante l'aiuto della grazia divina.

Ogni singolo uomo, poi, dovrà rendere conto della propria vita davanti al tribunale di Dio, per tutto quel che avrà fatto di bene e di male (21)".
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/9/2012 11.10
Titolo:IL PONTEFICE ATEO ....
Giulio Cesare, il pontefice ateo

Seguace di Epicuro, fu eletto alla massima carica religiosa

di Luciano Canfora (Corriere della Sera, 25.09.2012)

Nell’anno 63 a.C. Giulio Cesare, non ancora quarantenne, grazie ad una campagna elettorale costosissima che rischiò di portarlo definitivamente alla rovina, riuscì a farsi eleggere pontefice massimo, la più alta carica religiosa dello Stato romano. Lo scontro elettorale era stato durissimo; il suo principale antagonista Quinto Lutazio Catulo aveva messo in atto la più pervasiva corruzione elettorale fondata sulla capillare compravendita del voto. Cesare rispose con la stessa arma. Il «mercato politico» - come ancora oggi elegantemente lo si chiama - raggiunse in quell’occasione una delle sue vette. Cesare dovette indebitarsi a tal punto per far fronte ai costi di una tale oscena campagna elettorale da lasciarsi andare, parlando con la madre, alla celebre uscita: «Oggi mi vedrai tornare o pontefice massimo o esule». È Plutarco, al solito egregiamente informato su tutto quell’aspetto del reale che la storia «alta» trascura, a darci la notizia e a chiosarla con una interessante considerazione: con tale vittoria inattesa, e contro un avversario così forte e così autorevole, Cesare «intimidì gli ottimati, i quali capirono che avrebbe potuto indurre il popolo a qualunque audacia» (Vita di Cesare, 7).

Subito dopo esplode la congiura di Catilina. Cesare, che è pretore designato (entrerà in carica nel gennaio 62), è lambito dalla congiura. Ed in Senato, di fronte alla pressione fortissima di chi (come Cicerone e Catone) propugna l’esecuzione capitale dei congiurati, ormai scoperti e arrestati, Cesare sceglie di motivare, con argomenti tratti dalla filosofia di Epicuro, la proposta di lasciarli in vita. Con l’argomento che, se l’anima è mortale, la pena di morte è più lieve di una lunga detenzione! Sappiamo quanto si sia speculato da parte dei contemporanei, e poi degli studiosi moderni, intorno alla implicazione o meno di Cesare nella congiura. Cicerone - e non lui soltanto - era convinto che Cesare fosse compromesso: ma non ritenne di affermarlo apertamente, se non quando il dittatore era morto. Certo, la vittoria elettorale che consentì a Cesare di assumere il pontificato massimo venne al momento opportuno e rivestì lo stesso Cesare di una nuova sacralità protettiva, quanto mai giovevole in quel momento.

Essere implicati in un’iniziativa eversiva segreta si può in molti modi, che vanno dalla diretta partecipazione alla semplice, passiva consapevolezza del progetto. Cesare non era così imprudente da porsi in una posizione tale da divenire ricattabile, una volta fallito il piano, da compagni imprudenti o sfortunati. Cercò però di salvarli parlando in Senato nel modo in cui Sallustio, suo seguace, lo fa parlare, scomparsi ormai tutti i protagonisti della vicenda.

Decimo Silano aveva proposto la pena capitale e la proposta incontrava largo consenso. Cesare interviene per capovolgere una situazione difficilissima e si sforza di presentare la pena di morte come troppo lieve, con l’argomento che - nella sventura - «la morte non è un supplizio, è un riposo agli affanni», in quanto - prosegue in perfetto stile epicureo - «dopo la morte non c’è posto né per il dolore né per il piacere» (Sallustio, Congiura di Catilina, 51). Fa una notevole impressione il pontefice massimo che impartisce agli altri senatori una breve ed efficace (e strumentale) lezione di filosofia epicurea. Era noto che Cesare avesse, come tantissimi nelle classi colte romane, subìto l’influsso o sentito il fascino di quel lucido pensiero anticonsolatorio.

Replicando a Cesare in quel dibattito memorabile, che si concluse con la decisione illegale di procedere all’esecuzione capitale immediata, e senza processo, dei congiurati, Catone ironizzò: Cesare - disse - pontefice massimo, pretore designato, «ci ha amabilmente intrattenuto (bene et composite disseruit) sulla vita e sulla morte»; «se non erro - soggiunse - ha sostenuto teorie false, ha dichiarato infatti di non credere a quello che si narra degli inferi, che cioè i malvagi andranno a finire, dopo la morte, in contrade diverse da quelle destinate ai buoni: contrade tetre, incolte, sinistre, spaventevoli». Questa lezione di corretta credenza religiosa, impartita al pontefice massimo appena eletto, è una delle più sottili perfidie dell’oratoria politica di tutti i tempi.

Naturalmente il problema da porsi è come mai nella società politica romana fosse possibile e conciliabile con il mos maiorum e con la stabilità delle istituzioni avere un «papa ateo».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/9/2012 16.09
Titolo:Il papa monarca-assoluto: cenni storici su origine e sviluppo
Il papa monarca-assoluto: cenni storici su origine e sviluppo del suo potere.

di Leonardo Boff ("Jornal do Brasil”, 17 settembre 2012) *

Abbiamo scritto precedentemente su queste pagine che la crisi della Chiesa-istituzione-gerarchia ha le sue radici nell’assoluta concentrazione di potere nella persona del Papa, potere esercitato in modo assolutistico, lontano da qualsiasi partecipazione dei cristiani e fonte di ostacoli praticamente insormontabili per il dialogo ecumenico con le altre Chiese.

All’inizio non fu così. La Chiesa era una comunità di fratelli. Non esisteva la figura del Papa. Nella Chiesa comandava l’Imperatore. Era lui il sommo pontefice (Pontifex Maximus), non il vescovo di Roma o di Costantinopoli, le due capitali dell’Impero. E così è l’imperatore Costantino a convocare il primo concilio ecumenico a Nicea (325), per decidere la questione della divinità di Cristo.

E di nuovo nel secolo VI è l’imperatore Giustiniano che ricuce Oriente e Occidente, le due parti dell’impero, reclamando per se stesso il primato di diritto e non quello di vescovo di Roma. Tuttavia, per il fatto che Roma vantava le tombe di Pietro e Paolo, la Chiesa romana godeva di particolare prestigio, come del resto il suo vescovo che davanti agli altri deteneva "la presidenza nell’amore" e esercitava il "servizio di Pietro", quello di confermare i fratelli nella fede, non la supremazia di Pietro nel comando.

Tutto cambia con Papa Leone I (440-461), grande giurista e uomo di Stato. Lui copia la forma romana del potere che si esprime nell’assolutismo e autoritarismo dell’imperatore; comincia a interpretare in termini strettamente giuridici i tre testi del N.T. riferibili al primato di Pietro: Pietro, in quanto roccia su cui si costruirebbe la Chiesa (Mt 16,8); Pietro, colui che conforta i fratelli nella fede ( Lc 22,32); e Pietro come pastore che deve prendersi cura delle pecore (Gv 21,15). Il senso biblico e gesuanico va nella direzione diametralmente opposta, quella dell’amore, del servizio e della rinuncia a ogni onore. Ma l’interpretazione dei testi alla luce del diritto romano - assolutistico - ha il sopravvento. Coerentemente, Leone I assume il titolo di Sommo Pontefice e di Papa in senso proprio.

Subito dopo gli altri papi cominciarono a usare le insegne e il vestiario imperiali, porpora, mitra, trono dorato, pastorale, stole, pallio, mozzetta: si creano palazzi con rispettive corti; si introducono abiti per vita da palazzo in vigore fino ai nostri giorni con cardinali e vescovi, cosa che scandalizza non pochi cristiani che leggono nei vangeli che Gesù era un operaio povero e senza fronzoli. Così finisce per essere chiaro che i gerarchi stanno più vicini al palazzo di Erode che alla culla di Betlemme.

C’è però un fenomeno che noi stentiamo a capire: nella fretta di legittimare questa trasformazione per garantire il potere assoluto del Papa, si fabbricano documenti falsi.

Primo. Una pretesa lettera del Papa Clemente (+96), successore di Pietro in Roma, diretta a Giacomo, fratello del Signore, il grande pastore di Gerusalemme, nella quale si dice che Pietro, prima di morire, aveva stabilito che lui, Clemente, sarebbe stato l’unico e legittimo successore. Evidentemente anche gli altri che sarebbero venuti dopo.

Falsificazione ancora più grande è la Donazione di Costantino, documento fabbricato all’epoca di Leone I, secondo il quale Costantino avrebbe dato in regalo al Papa di Roma tutto l’Impero Romano.

Più tardi, nelle dispute con i re Franchi, fu creata un’altra grande falsificazione le Pseudodecretali di Isidoro, che mettevano insieme documenti e lettere come provenienti dai primi secoli, il tutto a rafforzare il Primato giuridico del Papa di Roma.

Tutto culmina con il codice di Graziano (sec. XIII), ritenuto la base del diritto canonico, ma che poggiava su falsificazioni e norme che rafforzavano il potere centrale di Roma oltre che su canoni veri che circolavano nelle chiese.

Evidentemente tutto ciò viene smascherato più tardi, senza che con questo avvenga una qualsiasi modificazione nell’assolutismo dei Papi. Ma è deplorevole, e un cristiano adulto deve conoscere i tranelli usati e fabbricati per gestire un potere che cozza contro gli ideali di Gesù e oscura il fascino del messaggio cristiano, portatore di un nuovo tipo di esercizio del potere servizievole e partecipativo.

In seguito si verifica un crescendo nel potere dei Papi. Gregorio VII (+1085) nel suo Dictatus Papae (dittatura del Papa) si autoproclamò Signore assoluto della Chiesa e del mondo; Innocenzo III (+1216) si annuncia come vicario e rappresentante di Cristo; e infine Innocenzo IV (+1.254) si atteggia a rappresentante di Dio. Come tale sotto Pio IX, nel 1.870, il Papa viene proclamato infallibile in fatto di dottrina e morale.

Curiosamente, tutti questi eccessi non sono mai stati ritrattati o corretti dalla Chiesa gerarchica, perché questa ne trae benefici. Continuano a valere come scandalo per coloro che ancora credono nel Nazareno, povero, umile artigiano e contadino mediterraneo perseguitato e giustiziato sulla croce e risuscitato contro ogni ricerca di potere, e sempre più potere, perfino dentro la Chiesa. Questa comprensione commette una dimenticanza imperdonabile: i veri vicari-rappresentanti di Cristo, secondo il vangelo di Gesù (Mt 25,45) sono i poveri, gli assetati, gli affamati. La gerarchia esiste per servirli non per sostituirli.

Tradotto da Romano Baraglia

* Fonte: Incontri di Fine settimanana
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/2/2013 21.45
Titolo:La Chiesa-Popolo di Dio secondo il Concilio
La Chiesa-Popolo di Dio secondo il Concilio

di Giordano Frosini

in “Settimana” n. 5 del 6 febbraio 2013

Nella storia del post-concilio in generale e di quello italiano in particolare, il 1985 è un anno di importanza rilevante per due avvenimenti che hanno avuto un influsso notevole e prolungato nella vita della Chiesa sia italiana che universale.

Nel mese di settembre si tenne il secondo convegno delle chiese italiane a Loreto e, solo pochi giorni più tardi, dal 24 novembre all’8 dicembre, si celebrò a Roma il sinodo straordinario a vent’anni dalla fine del concilio Vaticano II. Se si vuole riflettere in profondità oggi, a cinquant’anni dall’inizio dello stesso concilio, sulla storia della ricezione della grande assise ecumenica, non è possibile prescindere né dall’uno né dall’altro avvenimento, almeno in lontananza uniti insieme dallo stesso spirito e da una comune ispirazione.

Del convegno di Loreto si è parlato a sufficienza nel passato, soprattutto per mettere in risalto il cambio di marcia della Chiesa italiana, che conserva ancora, a distanza di quasi quarant’anni, conseguenze ben visibili, tutt’altro che positive, a giudizio di chi scrive. Vogliamo ora mettere in luce quanto avvenne nel sinodo straordinario che, per il suo influsso, va naturalmente ben al di là dei confini e dei problemi della Chiesa italiana e ha suscitato una discussione sulla quale è opportuno ritornare.

Le tre fasi post-conciliari

Normalmente, nella divisione della ricezione post-conciliare in tre tempi, il sinodo viene considerato come la fine del primo periodo e l’inizio del secondo. Il terzo si fa poi cominciare col giubileo del 2000 e si estende fino ai nostri giorni. Di esso si è parlato soprattutto, ma non soltanto, per la vicenda riguardante il concetto di “popolo di Dio”, sostituito, con una sorta di colpo di mano, con la parola “comunione”. Da allora (si veda, per esempio, l’esortazione post-sinodale Christifideles laici), per esprimere l’ecclesiologia del Vaticano II, si parlerà comunemente di Chiesa-mistero, di Chiesa-comunione e di Chiesa-missione: la Chiesa-popolo di Dio praticamente sparisce dal vocabolario usuale anche dei teologi.

Eppure il termine appare addirittura nello stesso titolo del capitolo secondo della costituzione Lumen gentium, in seguito a una scelta ben ponderata dagli attenti padri conciliari, in diretto collegamento col capitolo primo dedicato al mistero della Chiesa. Come dire: il mistero, che nasconde in sé l’intima natura della Chiesa, si realizza concretamente in un popolo, con tutte le caratteristiche che il termine si porta con sé. La scelta proveniva da un uso molto lontano e frequentissimo sia del Primo che del Secondo Testamento, oltre che della liturgia. Un conteggio preciso, compresi connessi e derivati, sarebbe praticamente impossibile. Il sinodo straordinario terminò con una relazione che sostituiva l’ormai consueta esortazione post-sinodale del pontefice, e un messaggio - si direbbe: ironia della sorte - «al popolo di Dio».

Il teologo Walter Kasper, chiamato per l’occasione a fare da segretario, rilasciò quasi immediatamente i suoi ricordi e il suo commento in una piccola pubblicazione, che ci può aiutare molto a ricomporre il dibattito, svoltosi purtroppo in un tempo abbastanza ristretto: Il futuro dalla forza del concilio. Sinodo straordinario dei vescovi 1985 (Queriniana, Brescia 1986).

Suscita un po’ di meraviglia il fatto che la critica e la sostituzione del concetto di popolo siano state fatte proprie e approvate anche da lui, che pure ha dimostrato più tardi di essere capace di grande originalità e di altrettanto coraggio.

La cosa fu mal digerita in un primo tempo, poi però la contestazione lentamente si organizzò dando vita, specialmente nel Sudamerica, ad una reazione di cui dobbiamo prendere pienamente atto.

Questa sostituzione non è per caso un atto indebito su un testo conciliare, nato non proprio immotivatamente e senza adeguata preparazione da parte della grande assemblea?

Per la verità, la lettura del documento finale destava già in principio una certa sorpresa, perché si affermava che «il fine per cui è stato convocato questo sinodo è stato la celebrazione, la verifica e la promozione del concilio Vaticano II», con una precisazione ulteriore: «Unanimemente e con gioia abbiamo verificato anche che il concilio è una legittima e valida espressione e interpretazione del deposito della fede, come si trova nella sacra Scrittura e nella tradizione della Chiesa» (n. 2). Un sinodo può parlare così di un concilio ecumenico, la massima espressione del magistero della Chiesa? Con questo stesso spirito, chiaramente sopra le righe, si sostituisce una delle espressioni centrali del documento conciliare: quella di “popolo di Dio”.

Lo riconosce W. Kasper nel testo prima citato, quando afferma che la relazione introduttiva «denuncia certi arbitri e soggettivismi nel modo di organizzare la liturgia e un modo d’intendere troppo esteriore la partecipazione attiva in campo liturgico, nel senso cioè di una mera cooperazione esterna, invece di un coinvolgimento nel mistero di morte e risurrezione di Gesù Cristo. Constata poi anche un distacco dall’interpretazione scritturistica della tradizione viva e del magistero della Chiesa, anzi una notevole incomprensione della verità oggettivamente data, soprattutto nella sfera della dottrina morale, e anche un certo “cristianesimo di selezione”. Il cuore della crisi è stato individuato nel modo d’intendere la Chiesa.

La qualifica della Chiesa come “popolo di Dio” spesso è stata mal interpretata: la si è isolata dal contesto storico-salvifico della Scrittura e spiegata a partire dal senso naturale, o politico di “popolo di Dio”. Talvolta anche il dibattito sulla democratizzazione della Chiesa ha subito l’ipoteca di tale malinteso». Così, la relazione finale poteva affermare: «L’ecclesiologia di comunione è l’idea centrale e fondamentale nei documenti del concilio». Una frase certamente accettabile, ma in altro contesto, quello direttamente inteso dai padri conciliari. Era proprio necessario, per evitare i malintesi e le erronee interpretazioni del post-concilio, mettere in disparte il concetto di popolo? Non si potevano evitare gli inconvenienti denunciati purificando l’acqua sporca senza buttare via insieme anche il bambino? La questione è così posta nel suo significato fondamentale e il dibattito che ne seguì di conseguenza, all’interno e all’esterno del sinodo, è colto alla sua radice.

La rivolta dei teologi

I teologi che non vorranno accettare il cambiamento sinodale avranno buon gioco a mostrare i danni che da questo possono derivare e di fatto, almeno alcuni tutt’altro che secondari, sono derivati nella concezione e nella vita della Chiesa. Una constatazione che rende ancora più discutibile, in certo modo anche più grave, l’operazione condotta dai padri sinodali, già in questione per avere indebitamente corretto in un punto importante il pensiero del concilio sottoposto alla loro analisi. Si tratta di un vero e proprio cortocircuito teorico e pratico, per il quale è necessario non rassegnarsi. I vantaggi derivanti dalla dottrina conciliare erano stati ben individuati anche dai primi commentatori della costituzione Lumen gentium, come G. Philips, O. Semmelroth, Y. Congar.

Sostanzialmente tutto nasce dalla considerazione della Chiesa come soggetto storico, «l’ultima fase definitiva dell’alleanza bilaterale, che Dio ha stretto col popolo da lui salvato», la comunità escatologica che «peregrina nella storia come un giorno il popolo eletto peregrinò nel deserto avviandosi verso la terra promessa», l’incarnazione storica del mistero provvidenzialmente messo al centro della stesura del primo capitolo.

Aspetti certamente non del tutto ignoti anche prima della celebrazione del concilio. «Questa presentazione teologica - aggiungeva Semmelroth - non vuole affatto sostituire la dottrina della Chiesa quale corpo mistico del Signore con quella di popolo di Dio. Intende piuttosto integrarla, perché l’essenza della Chiesa è così complessa da non poter essere esaurita né da una definizione logica né da un’unica immagine».

Anzi, la priorità del concetto di popolo rispetto all’immagine del corpo sottolinea ancora meglio uno dei motivi principali, se non il principale, della scelta dei padri conciliari, che è quello dell’affermazione dell’uguaglianza sostanziale fra tutti i membri della Chiesa, il motivo che aveva già consigliato lo spostamento del capitolo dedicato alla gerarchia dal secondo al terzo posto.

Anche nella triade privilegiata fra le diverse immagini della Chiesa (popolo di Dio, corpo di Cristo, tempio dello Spirito Santo), precede il concetto di popolo, non soltanto per un motivo di carattere trinitario, ma anche perché il corpo mette in luce la diversità delle membra, della quale si parla soltanto dopo aver assicurato la sostanziale uguaglianza fra tutti i battezzati: la diversità dei carismi e dei ministeri non deve ostacolare quel concetto che il n. 32 della Lumen gentium esprimerà con icastica solennità con le note parole: «Quantunque alcuni per volontà di Cristo sono costituiti dottori e dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, vige fra tutti una vera uguaglianza (vera aequalitas) riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il corpo di Cristo». L’aggiunta dell’aggettivo, di per sé non necessario, dà all’espressione una forza e un rilievo singolari.

Certo, fra le caratteristiche del popolo di Dio non andrà mai dimenticata la comunione, che lega essenzialmente la Chiesa al suo fondatore e Signore e, di conseguenza e nella stessa maniera, tutti i membri componenti fra di loro.

Comunione però non è una sostanza, non indica un soggetto; in termini aristotelici, dovrebbe essere catalogata fra gli accidenti. Dunque, più un aggettivo che un sostantivo. Oltretutto, fra le caratteristiche del popolo tutto quanto sacerdotale, il testo conciliare enumera anche la potenziale capacità di raccogliere «tutti gli uomini» di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Ogni uomo è ordinato al popolo di Dio e ogni nazione è parte potenziale del regno universale di Cristo. Anzi, di più, «questo carattere di universalità che adorna e distingue il popolo di Dio è dono dello stesso Signore, e con esso la Chiesa cattolica efficacemente e senza soste tende ad accentrare tutta l’umanità, con tutti i suoi beni, in Cristo capo nell’unità dello Spirito di lui» (LG 13). Una potenzialità che incipientemente e misteriosamente prende forma e attualità già nei giorni della storia.

Sulla stessa linea Congar, per il quale il concetto di popolo di Dio mette «in risalto alcuni valori biblici fondamentali e l’orientamento globale verso il servizio missionario del mondo, cosa che risalta già dalle prime parole della costituzione dogmatica Lumen gentium: 1) una prospettiva di storia della salvezza, cioè una prospettiva escatologica; 2) l’idea di un popolo in cammino, in condizioni di itineranza; 3) l’affermazione di una relazione con tutta l’umanità, essa stessa in via di unificazione, e alla ricerca, tra mille difficoltà, di una maggiore giustizia e pace».

Può il concetto di comunione conservare e mettere in evidenza tutte le caratteristiche che il concetto di popolo si porta con sé? Esso possiede una vera ricchezza di significati difficilmente reperibili altrove ed esprimibili diversamente. Popolo come soggetto eminentemente attivo su tutto il fronte dell’attività della Chiesa: un popolo sacerdotale, quindi, profetico e regale. Un ottimo schema di lavoro, di riflessione teologica, di catechesi.

La critica più aspra e decisa, come abbiamo già detto, proviene dal Sudamerica. Ad essa ha dato voce sistematica il teologo belga-brasiliano Joseph Comblin in un libro tradotto anche in italiano, dal titolo originale O povo de Deus (Il popolo di Dio, Servitium/Città aperta, Troina - Enna - 2007), pubblicato nel 2002, «in previsione del nuovo pontificato», come afferma lo stesso autore nelle prime parole dell’introduzione.

«Le critiche al Vaticano II - afferma l’autore - condussero il sinodo del 1985 semplicemente a eliminare il concetto di “popolo di Dio”, sostituendolo con il concetto di comunione, come se questo avesse la medesima risonanza e come se i due fossero alternativi. La conseguenza fu immediata, anche se non sappiamo se fu intenzionale o no». Una categoria troppo sociologica? Ma «la sociologia praticamente non usa mai il concetto di popolo e teme di usarlo».

Perché allora questo timore? Naturalmente la critica di Comblin è condotta secondo gli schemi e il linguaggio della teologia della liberazione e raggiunge il suo vertice con l’affermazione che la scelta del termine comunione potrebbe facilmente far rientrare dalla finestra ciò che è stato messo felicemente fuori dalla porta, imponendo in pratica la comunione come ubbidienza al volere e al pensiero della gerarchia, eliminando o rendendo comunque difficile il contributo da parte del rimanente popolo di Dio. Comunque «il tema della comunione non esclude il tema del popolo di Dio né deve prendergli il posto. Il concetto di comunione è molto più ristretto che il concetto di popolo. Il popolo è una forma di comunione, ma include molti più elementi che il concetto di comunione». Parole, queste ultime, sulle quali non è difficile trovarsi d’accordo.

Il pensiero di Pino Colombo

È questo il pensiero di non pochi altri teologi, fra cui merita di essere ricordato S. Dianich, che in vario modo e da diversi punti di vista hanno sottoposto a motivata critica il cambiamento del testo conciliare.

Ma vorremmo ricordare in particolare il teologo milanese recentemente scomparso Giuseppe Colombo, insospettato sulla base del suo pensiero teologico e meticoloso al massimo nel ricostruire e discutere le diverse concezioni prese in esame.

Ci riferiamo in questo momento soprattutto a un suo contributo pubblicato di recente negli studi in onore di S. Dianich (Ecclesiam intelligere, Dehoniane, Bologna 2012), da considerarsi l’ultimo suo intervento sul nostro problema, aggiornato anche ad una successiva presa di posizione del card. Kasper.

Ricostruita con precisione la vicenda in questione, dopo aver ricordato che «sulla sostituzione di “comunione” a “popolo di Dio”, la Relazione non dice una parola», rimane a noi il diritto di domandarci «perché il sinodo abbia ignorato completamente la nozione di “popolo di Dio”, liberandosi così del dovere di fornire una qualsiasi spiegazione». Anche se, come si afferma, la nozione in questione è stata corrotta, politicizzata, socializzata fino a perdere ogni riferimento alla Chiesa, «la domanda è se la reazione debba spingersi a espungere totalmente dai testi del magistero la nozione di “popolo di Dio”», finendo col porre in questo modo, oltre che un problema storico (perché abbandonare la scelta dei padri conciliari?), un problema teorico di notevole importanza.

Secondo il pensiero dell’autore, mentre «“popolo di Dio” indicherebbe la svolta dell’ecclesiologia del Vaticano II», il concetto di comunione è visto in funzione della collegialità, cioè del rapporto papa-vescovi. «Non è possibile vedere, “oltre” la collegialità e (estendendo la nozione) “oltre” la comunione, il “popolo di Dio” conservandolo nella sua nozione propria, invece di rifiutarlo come una nozione inaccettabile? Di fatto sembra che al sinodo esso sia stato considerato come un’alternativa.

È quindi da chiedersi se, rispetto al “popolo di Dio”, la nozione di “comunione” non stacchi la Chiesa dal mondo, ritraendola in se stessa, sui suoi problemi interni (collegialità, conferenze episcopali, problemi dei laici, vocazione universale alla santità). Nessuno può contestare l’importanza e l’urgenza di questi problemi, ma l’insistente ed esclusivo richiamo ad essi sembrano costituire una penalizzazione evidente rispetto all’apertura al mondo del “popolo di Dio”». Di nuovo, e per altro verso, un ritorno al passato, questa volta per motivi esterni piuttosto che interni, ma sempre fondamentali nella mente dei padri conciliari e nei documenti ai quali essi dettero vita.

Su questo sfondo - continua il teologo milanese - c’è anche da considerare che ai paesi del terzo mondo e dei cosiddetti paesi emergenti va riconosciuto il diritto di elaborare una teologia autoctona, senza imporre loro le linee della teologia occidentale. «In ogni caso, la Chiesa come “comunione” è l’ecclesiologia del sinodo straordinario 1985, non è l’ecclesiologia del concilio Vaticano II, che - salvo meliori iudicio - è quella del “popolo di Dio”». Per questo è meglio tenere distinti il concilio e il sinodo, anche dopo i più recenti tentativi di mantenerli uniti di Kasper e Pottmeyer.

Un necessario recupero

Dopo avere ascoltato le diverse opinioni, una scelta si impone anche per noi. Omnibus perpensis, sembra giusto rispettare la scelta conciliare, a cui i padri arrivarono dopo una riflessione serena e matura durante le sedute assembleari e in non pochi casi anche in precedenza. Essa fa corpo con la scelta fondamentale di evidenziare, prima delle specificazioni, l’elemento unificante di tutte le componenti della Chiesa. Non si perde niente di quanto porta con sé il concetto di comunione e l’incombente immagine di corpo mistico, ma non si può negare che l’intenzione del concilio sia quella di chiamare a raccolta l’intero popolo cristiano e di fare appello al suo comune senso di responsabilità. È bene che questa vocazione risuoni e risplenda chiaramente nel termine stesso scelto avvedutamente dal concilio.

A norma di logica ecclesiale, nessuno ha diritto di cambiare il pensiero e i termini destinati a veicolarlo di un concilio ecumenico, che rimane l’espressione massima dell’insegnamento della Chiesa. Se il concetto di popolo è stato deteriorato da immissioni d’altro genere, si può sempre ricorrere a una sua purificazione, senza metterlo totalmente o quasi in disparte. C’è piuttosto da pensare, in questa fase di stanca della ricezione conciliare, a un suo richiamo perentorio perché la comunità cristiana partecipi attivamente e responsabilmente ai compiti che un concilio coraggioso e innovatore ha ad essa consegnato.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/2/2013 19.14
Titolo:L'ATTUAZIONE DEL CONCILIO ....
Se la magia del sacro è sconfitta

di Raniero La Valle (il manifesto, 17 febbraio 2013)

Quasi volesse non farsi rimpiangere, il papa alla fine si è lasciato andare ad una confidenza che ha svelato tutta la difficoltà che sul piano personale egli ha avuto nel vivere il Concilio come una delusione. Nella «chiacchierata» in cui ha raccontato come lui «ha visto» il Vaticano II, c’è forse la chiave per capire come non gli bastassero più le forze per guidare una Chiesa che, come aveva detto nel 2005 nel suo primo discorso alla curia, nel Concilio aveva avuto la sua vera «discontinuità» riconciliandosi con l’età moderna, quella modernità che egli non ha invece ancora accettato e che patisce come «relativismo».

Questo risvolto personale del suo difficile rapporto col Concilio, che già era venuto fuori in un suo discorso estivo, in montagna, al clero del Triveneto, quando aveva negato che dal Concilio potesse scaturire «la grande Chiesa del futuro», è emerso con grande sincerità nel suo discorso di giovedì a un altro clero particolare, quello di Roma. Al presbiterio di cui, come vescovo di Roma, è il capo, Benedetto XVI ha voluto parlare come se fosse uno dei vescovi che aveva partecipato al Concilio, sul filo dei ricordi personali, piuttosto che con «un grande, vero discorso» da papa.

Da questa confidenza risulta che nel vissuto di Ratzinger non c’è stato un solo Concilio, ma ci sono stati diversi concili. Il primo, l’unico che gli sia veramente piaciuto, è stato quello dell’entusiasmo iniziale, quando «speravamo che tutto si rinnovasse, che venisse veramente una nuova Pentecoste». Il secondo è quello soprattutto condotto dall’«alleanza renana», cioè dai vescovi francesi, tedeschi, belgi, olandesi, che vi hanno introdotto i temi «più conflittuali», come quello del rapporto tra papa e vescovi (con quella discussa parola, «collegialità», a cui forse Ratzinger avrebbe preferito «comunione»), la «battaglia» sul rapporto tra scrittura e tradizione, la «lite» sull’esegesi che tenderebbe «a leggere la scrittura fuori della Chiesa, fuori della fede», l’ecumenismo.

Poi c’è stato il terzo Vaticano II, in cui «sono entrati con grande forza nel gioco del Concilio» gli americani degli Stati Uniti e dell’America Latina, l’Africa, l’Asia: ed è stata la fase della responsabilità per il mondo, della libertà religiosa, del dialogo tra le religioni, per cui «sono cresciuti problemi che noi tedeschi all’inizio non avevamo visto»; e sono nate le grandi questioni del rapporto non solo con gli ebrei, ma con l’Islam, il buddismo, l’induismo; e qui la cosa che è ancora «da capire meglio» è il rapporto tra la sola vera religione e le altre di cui un credente non può pensare, secondo il papa, che «siano tutte varianti di un tema», anche se le esperienze religiose portano «una certa luce della creazione». Molti problemi aperti dal Concilio sono dunque ancora «da studiare» e molte applicazioni non sono ancora complete, sono «ancora da fare».

Ma la contraddizione principale che il papa dice di aver vissuto, è stata tra il «vero Concilio», che era quello dei padri e il Concilio dei media. Il primo era un Concilio della fede che si realizzava nella fede, il secondo era il Concilio dei giornalisti che si realizzava non nella fede, ma nelle categorie politiche di una lotta per il potere nella Chiesa. Starebbe nel fatto che il Concilio giunto alla Chiesa, reso accessibile a tutti, fosse quello dei giornalisti e non quello «reale», la vera causa della crisi della Chiesa: «tante calamità, tanti problemi, realmente tante miserie: seminari chiusi, conventi chiusi, liturgia banalizzata»; sarebbe questo Concilio dei media che avrebbe invaso le chiese, profanato la liturgia, negato il culto, trasformato il «popolo di Dio» nella «sovranità popolare», messo fine alla religione del sacro, intesa come «cosa pagana».

Sicché il vero Concilio, l’ultimo, starebbe arrivando ora, dopo 50 anni, che sono i decenni in cui i vescovi se ne sono stati a casa, la Chiesa è stata sottoposta alla robusta cura romana, la controriforma è giunta a buon punto, la liturgia restaurata e i giornalisti, non dovendo più misurarsi con la missione e la fede della Chiesa, sono tornati a fare i «vaticanisti».

È un peccato che su questo punto cruciale dei media il Papa sia male informato e forse, allora, non abbia capito il Concilio. Ed è singolare che oggi si attribuiscano tutti i mali della Chiesa a quelli che, nelle due prime parole del primo documento del Concilio, Inter mirifica , erano definiti «cose meravigliose», cioè appunto i mezzi di comunicazione sociale. È vero invece che si è rischiato che ci fossero due Concili: un Concilio dei padri, e un Concilio dei media.

Ma questo era il progetto della Chiesa preconciliare, che aveva creduto di nascondere il Concilio chiudendone le porte e decretandone il segreto, lasciando ai giornali la sola via dello «scoop»; ma questo finì subito, all’inizio della seconda sessione, quando il segreto fu rotto, e il Concilio irruppe nella coscienza dei fedeli e nel popolo di Dio, che nessuno mai pensò di paragonare al popolo sovrano, come nessuno interpretò le discussioni teologiche sulla sacramentalità dell’episcopato e la successione dei vescovi al collegio degli apostoli come una «lite» o lotta di potere, come ora il papa rivela che per molti sia stato, dicendo addirittura che nel Concilio dei padri «forse qualcuno ha anche pensato al suo potere».

E quello che allora il giovane prof. Ratzinger non vide fu che tra i giornalisti che «fecero» il Concilio c’erano uomini di grandissima fede: per esempio l’abbé Laurentin, mariologo, per Le Figaro , Jean Fesquet e poi Nobécourt per Le Monde , Grootaers per l’Olanda, Juan Arias per El Pais , e tra gli italiani cristiani come Giancarlo Zizola, Ettore Masina, Lamberto Furno, e anche Gianfranco Svidercoschi, che poi addirittura diventò vicedirettore dell’ Osservatore Romano ; e padre Caprile della Civiltà Cattolica ; e padre Roberto Tucci, oggi cardinale, e mons. Clemente Riva, poi vescovo ausiliare di Roma, che ogni giorno informavano i giornalisti italiani dei contenuti, e non solo delle coreografie, dei lavori.

Quanto a me, se è lecito aggiungere ricordi a ricordi, papa Giovanni scrisse sul suo diario, dopo avermi ricevuto una mattina dell’agosto 1961: «Ho ricevuto il giovane (30 anni!) direttore dell’ Avvenire d’Italia , una promessa per la causa cattolica»; e L’Avvenire d’Italia, a spese della Santa Sede, fu mandato a tutti i padri conciliari per tutto il corso del Concilio, e non credo che ciò fosse per spiantare la Chiesa.

Ma io ora sono grato al papa che ci lascia, perché andandosene ci dice che proprio questo è il problema: l’attuazione del Concilio, la fede per l’età moderna, una Chiesa non incapsulata nella magia idolatrica del sacro.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/3/2013 10.31
Titolo:GESU' NON HA ISTITUITO IL PAPATO ....
Pesch: Roma è illimitatamente riformabile, Gesù non ha istituito il papato

di Ja die neue Kirchenzeitung

in “www.ja-kirchenzeitung.at” n° 10 del marzo 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Gesù non ha lasciato esplicite direttive relativamente alla forma della chiesa né a chi l’avrebbe diretta. Questo significa, secondo il teologo tedesco Otto Hermann Pesch: “Concretamente: il papa e la curia romana sono riformabili senza limiti, se necessitano di riforme”.

Questo vale oggi quanto nei primissimi tempi “ogni qualvolta la situazione è apparsa senza prospettive”, scrive Pesch in un articolo sulla rivista “ Bibel und Kirche ” (Bibbia e chiesa), pubblicata dalla “ Katholisches Bibelwerk ” di Stoccarda. Il contributo dell’emerito professore di dogmatica di Amburgo nel quaderno 4/2012 dedicato a “ Die Gewänder des Petrus ” (gli abiti di Pietro) ha il titolo: “ Jesus hat kein Papsttum gestiftet! ” (“Gesù non ha istituito il papato!”)

È urgentemente necessaria una riforma del papato, che nel corso del tempo ha subito cambiamenti storici e che è stato fortemente trasformato dalla tradizione, dice Pesch. Non è sufficiente che Papa Giovanni Paolo II, nell’enciclica “ Ut unum sint ” (1995), inviti le chiese non romane a riflettere con lui sullo stile e sulle modalità di esercizio della funzione papale. Poiché nella stessa enciclica Giovanni Paolo II ha chiarito ciò che riteneva indispensabile nella sua missione, e cioè di dover vegliare “come un guardiano” affinché in tutte le singole chiese “si faccia sentire la vera voce di Cristo pastore”. Pesch afferma che di fronte a questa rivendicazione, sia stato “comprensibile che nessuno abbia voluto accogliere l’invito al dialogo”.

Il criterio per ogni riforma del papato è, secondo le parole del teologo, “se il ministero petrino, storicamente accresciuto, offra veramente un utile servizio petrino”. Si raggiungerebbe questo se anche con la forma attuale di papato si realizzasse ciò che al tempo dei primi cristiani si diceva di loro: “ Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune (...) lodavano Dio e godevano della simpatia di tutto il popolo ” (At 2,44-47), ha citato Pesch dagli Atti degli Apostoli.

Da umili inizi a forza potente

Con un sintetico sguardo retrospettivo, Pesch delinea lo sviluppo del papato dagli inizi nel periodo biblico fino all’oggi, e ci presenta così varie notizie sorprendenti.

I racconti biblici ci fanno capire che Gesù vide avvicinarsi il tempo della morte, ma che al contempo vide anche la continuità del suo messaggio del “Regno di Dio” - ulteriormente annunciato dai dodici presenti all’ultima cena e in seguito da tutti coloro che credevano alle loro prediche. “Dalla bocca di Gesù non sappiamo altro - niente su strutture, costituzioni o cariche, afferma Pesch.

Il fatto è questo: Pietro doveva essere, secondo la volontà di Gesù, il portavoce autorizzato dei dodici. Gli scritti che si riferiscono agli apostoli nelle prime comunità cristiane sono stati scritti solo dopo la morte di Pietro a Roma, mostravano comunque la sua “posizione speciale nella giovane Chiesa” e la considerazione onorevole a lui riservata.

Secondo Pesch, la comunità romana ancora alla fine del primo secolo era guidata da un collettivo, un “presbiterio”, mentre la guida della comunità in Palestina e in Siria si realizzava tramite un unico vescovo.

Allontanamento tra Oriente ed Occidente

Nel Medioevo si era giunti ad un “allontanamento tra Roma e l’Oriente”, tra Roma e Bisanzio quale sede dell’imperatore: “I primi concili, così importanti per la formulazione della confessione di fede, erano tutti sinodi della Chiesa orientale a cui i rappresentanti dell’Occidente, se mai presenti, non collaboravano” e talvolta addirittura “rimanevano chiusi fuori”, ricorda Pesch. Le decisioni di questi concili, fino ad oggi determinanti, sono sempre state accolte solo posteriormente e non sempre a quanto pare sotto la direzione di Roma in Occidente”.

Dopo lo scisma d’Oriente nel 1054 e dopo la separazione tra la Chiesa d’Oriente e d’Occidente, “lo sviluppo storico del primato papale è stato solo una faccenda interna alla Chiesa d’occidente.”, scrive Pesch. Per secoli si è trascinato un conflitto di poteri tra papi e imperatori, con sempre più esplicite rivendicazioni di potere da parte dei papi.

Papa Gregorio VII pretese nel 1075 sovranità universale non solo sulla Chiesa, ma anche sulle autorità civili. Bonifacio VIII dichiarò nel 1302 che “era necessario per qualsiasi essere umano essere sottomesso al papa romano”

Il papa sta al di sopra della bibbia?

Però, fa notare Pesch, era chiaro anche all’interno dei gruppi “papalini” convinti, del tardo Medioevo, che difendevano l’autorità del papa come superiore a quella del concilio, che fondamentalmente anche un papa poteva diventare eretico e che quindi avrebbe potuto insegnare cose sbagliate alla Chiesa. Come criterio valeva il fatto che il papa contraddicesse o meno la Sacra Scrittura.

Questa convinzione ha svolto un ruolo fondamentale - nel caso di Martin Lutero - anche nello scisma di Occidente. Questa “catastrofe per la teologia e per la storia della chiesa” può essere fatta risalire anche al teologo papale di corte Silvester Prierias, che come posizione di Roma di fronte ai riformatori affermò: eretico è chi contesta il fatto che anche la Sacra Scrittura ha forza e autorità (robur et auctoritatem) solo sulla base dell’insegnamento del vescovo di Roma”.

Considerare la Scrittura non più come criterio per la giusta credibilità del papa, ma porre quest’ultimo al di sopra della Scrittura, era inaccettabile per Lutero e lo fece addirittura parlare del papa come “anticristo”, ricorda Pesch.

È vero che la tesi del Prierias non è affatto una dottrina della Chiesa e neppure è coperta dal dogma del Concilio Vaticano I sul primato di giurisdizione e insegnamento del papa. Ma - è la critica di Pesch - una presa di distanza dalle posizioni del 1518 che sono servite come base del processo romano contro Lutero, a tutt’oggi non c’è ancora stata.

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Commenti Articolo 553

Titolo articolo : VICO (E KANT), PER LA CRITICA DELLE VERITA' DOGMATICHE E DELLE CERTEZZE OPINABILI. Una nota introduttiva alla lettura della "Scienza Nuova",di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/05/2013 - 19:07:27.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/3/2013 18.02
Titolo:MASSIMA SOLIDARIETA' A NAPOLI E A BAGNOLI PER LA CITTA' DELLA SCIENZA DISTRUT...
La Stampa, 05/03/2013


Finisce in cenere il simbolo
del Rinascimento napoletano anni ’90


Triste corteo di cittadini davanti
ai muri perimetrali della Città della Scienza. Fuori dal museo anche i 160 dipendenti e i lavoratori dell’indotto

di Guido Ruotolo
INVIATO A NAPOLI

Napoli è in lutto. È un pezzo di città che se ne è andato. In fumo. Un dolore corale questa mattina ha segnato il risveglio dei napoletani. Anche di quei napoletani che non possono partecipare alla mesta visita funeraria. Un corteo dolente dalle prime ore dell’alba ha già portato una folla di cittadini, di abitanti di Bagnoli é non solo sul luogo della tragedia.



E i napoletani emigrati o turisti, per dirla con Massimo Troisi, sono ammutoliti e invadono il web per trasmettere la loro orazione funebre. Un lutto vero. Come se la città stesse piangendo i suoi figli più amati, Totò innanzitutto. Ieri sera, dopo cena. La notizia si è diffusa come un tam tam: la «Città della Scienza» sta prendendo fuoco. Un rogo immane, dense nuvole di fumo nero in uno scenario spettrale, da Blude Runner. La città industriale che fu, dove un tempo c’era la fabbrica, l’acciaieria Italsider, si sta vendicando.



E’ troppo presto per capire, per sapere con certezza chi ha pugnalato ancora una volta Napoli. Giornata da dimenticare. Terribile. Prima la voragine fortunata che non ha fatto vittime, con il crollo, alle prime ore della mattinata, di un’ala di un palazzo della Riviera di Chiaia, poi, a sera tarda l’incendio che sta distruggendo quella Napoli che guardava al futuro.



Erano i primi anni ’90 quando il professore Vittorio Silvestrini e un pugno di illuminati professori e intellettuali diedero vita alla Fondazione Idis, e a quell’intuizione che poi porterà a visitare l’area della «Città della Scienza» più di 350.000 visitatori l’anno. Intere scolaresche.



E quell’esperimento prese il via e si sviluppò di pari passo all’esperienza della giunta Bassolino, eletta nel 1993. La stagione del Rinascimento napoletano sicuramente ha avuto anche in Silvestrini e nella sua Fondazione Idis un punto di riferimento.



Ancora ignote le cause: unica certezza, al momento, è che all’interno della struttura non c’erano persone, grazie anche alla chiusura settimanale del lunedì. I danni sono ingentissimi: sopravvivono solo i muri perimetrali, l’interno dei padiglioni è devastato. Il fronte del fuoco è lungo più di un centinaio di metri, e dal rogo si alza una colonna di fumo visibile da buona parte della città. Sul posto decine di vigili del fuoco, con le forze dell’ordine che hanno chiuso al traffico via Coroglio, di fronte al mare di Bagnoli, dove sorgeva la struttura.



Dei numerosi padiglioni che componevano lo `science center´ solo uno è stato risparmiato dalle fiamme. Le testimonianze riferiscono di una estensione rapidissima dell’incendio, complice la gran presenza di legno e altri materiali infiammabili.



Fuori del museo ci sono quasi tutti i 160 dipendenti, angosciati per il loro futuro occupazionale; gli stessi timori coinvolgono i tanti che lavoravano nell’indotto creato dal museo, giunti in via Coroglio dopo aver appreso dell’incendio. L’area distrutta dalle fiamme è stimata in 10-12 mila metri quadrati, praticamente l’intero centro a eccezione del «teatro delle Nuvole», un corpo separato che ospitava rappresentazioni. Il custode racconta di aver visto una colonna di fumo, e di aver dato subito l’allarme: ma in pochi minuti il fuoco ha divorato i padiglioni dall’interno, diventando indomabile. Sono state ore di sgomento anche per tutti gli abitanti di Bagnoli, che temevano di rimanere intossicati dal fumo denso e nero, poi invece sospinto dal vento verso il mare aperto.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/3/2013 19.07
Titolo:Ricominciare dalla Città della Scienza
Ricominciare dalla Città della Scienza

di Marco Cattaneo *

Sono più di due ore ormai che fisso sgomento le foto sempre più ravvicinate, sempre più desolate di ciò che rimane della Città della Scienza di Napoli. E ancora adesso continuo disperatamente a cliccare sul link di google per rimandarvi al sito, ma deve essere andato in fiamme anche il server.

Erano le 23 quando ho visto di sfuggita la prima notizia, che annunciava l’apocalisse nelle 140 battute di un tweet. Erano appena uscite le prime agenzie. Luigi Amodio, direttore della Città della Scienza, era quasi senza parole al telefono, mentre osservava un simbolo della speranza di riscatto di Napoli andare in fumo sotto i suoi occhi. Perché Luigi abita a pochi passi da lì, e ci ha messo cinque minuti ad arrivare quando, intorno alle 22, le fiamme hanno avvolto in un amen i capannoni dell’ex complesso Italsider di Bagnoli dove sorgeva uno dei più visionari poli museali italiani.

Non ho nemmeno le parole per raccontarla, Città della Scienza, per ricordare la pazza idea di Vittorio Silvestrini che prese forma dai successi di “Futuro Remoto”, l’ormai classica rassegna scientifica che ebbe inizio alla Mostra d’Oltremare un quarto di secolo fa. Per rievocare tutte le iniziative, l’impegno, la passione che l’hanno animata in questi quindici anni.

E d’altra parte non ho voglia di scivolare nella retorica, perché Città della Scienza era una speranza solida, mattone su mattone, un’impresa titanica e coraggiosa. Tra i drammi e le contraddizioni di Napoli, persino nella nefasta stagione della monnezza Città della Scienza era un monumento a ciò che si può essere, a un futuro che si alimenti di conoscenza, di iniziativa, di volontà.

Clicco ancora, ma nulla, il server di Città della Scienza se n’è andato nel rogo, ed è come se il fuoco potesse paradossalmente cancellare anche la memoria che abbiamo delle cose.

Allora ve la lascio così, in tutto il suo splendore. Perché non ho più nemmeno la forza di spendere lacrime per questo disgraziato paese. E mi tuffo già da adesso nella speranza rabbiosa che con l’impegno di tutti la si possa restituire a Napoli e a tutto il paese. Perché sarebbe un crimine non investire tutte le nostre forze per ricostruirla. Anzi, pensateci bene. Si potrebbe proprio ricominciare anche da qui, dalla Città della Scienza, a ricostruire il futuro.

P.S. Questa mattina sul profilo Facebook di Città della Scienza è stato pubblicato il numero di conto corrente per contribuire alla ricostruzione di Città della Scienza. Riporto testualmente: Per contribuire alla ricostruzione di Città della Scienza è disponibile il conto corrente, intestato a Fondazione Idis Città della Scienza - IBAN IT41X0101003497100000003256 - causale Ricostruire Città della Scienza.

* Made in Italy di Marco Cattaneo 5 marzo2013

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Commenti Articolo 554

Titolo articolo : Una rivoluzione civile è sempre più necessaria, se non vogliamo farci governare dai comici!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: March/04/2013 - 23:09:13.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/3/2013 15.31
Titolo:IL SONNO MORTIFERO DELL’ITALIA ....
IL SONNO MORTIFERO DELL’ITALIA. In Parlamento (ancora!) il Partito al di sopra di tutti i partiti e in giro anora tanto sonnambulismo ("Forza Italia", "Il Popolo della Liberta'", "fratelli d'italia")!!!

TRE PRESIDENTI DELLA REPUBBLICA: OSCAR LUIGI SCALFARO, CARLO AZEGLIO CIAMPI, GIORGIO NAPOLITANO, CHE NON SANNO PIU’ CHE SIGNIFICA, GRIDARE COME PERTINI, "FORZA ITALIA"!!! E ’AFFIDANO’ IL COMPITO A UN PARTITO!!! (vedi: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/breve.php3?id_breve=445)


POLITICA, CONFLITTO D’INTERESSE, E "UNDERSTANDING MEDIA" ("GLI STRUMENTI DEL COMUNICARE"). I nuovi media non sono giocattoli e non dovrebbero essere messi nelle mani di Mamma Oca o di Peter Pan. Uscire dallo Stato di minorità!

GRILLO O BERLUSCONI?! E’ LO STESSO: IL MEDIUM E’ IL MESSAGGIO!!! Ri-leggere McLuhan:

"Cedere occhi, orecchie e nervi a interessi commerciali è come consegnare il linguaggio comune a un’azienda privata o dare in monopolio a una società l’atmosfera terrestre". (VEDI: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=4112)
Autore Città Giorno Ora
Giuseppe Bertini Livorno 03/3/2013 19.11
Titolo:Una rivoluzione civile è indispensabile - Prepariamoci al prossimo voto
L'articolo di Giovanni Sarubbi non fa una piega. Aggiungerei che il comportamento di Grillo la dice lunga sul vuoto di idee che lo caratterizza; lui pensava,incassando un 10-15%, di far rumore nelle commissioni ed in aula distribuendo o meno il suo placet ad ogni legge, invece l'inopinato successo l'ha messo con le spalle al muro. Ora, tutto sta in quello che lui ed i suoi decideranno: se governerà strappando riforme bene (sempre meglio del governissimo o di un governo provvisorio fatti per tornare al voto), altrimenti sparirànno come Guglielmo Giannini ed il suo Uomo Qualunque.
In ogni modo, noi che speravamo in un'affermazione di Ingroia dobbiamo iniziare da subito a diffondere le nostre idee affinchè quanti più possibile prendano coscienza che una Rivoluzione Civile è quanto mai indispensabile per la nazione.
Autore Città Giorno Ora
Gianluca Trentini Argenta (fe) 03/3/2013 23.49
Titolo:Sveglia datevi da fare anche voi
La spending review di Rigor Montis si è fermata alle enunciazioni e al morbido suono della parola inglese "riviuuuù". Il governo Monti ha aumentato le tasse, non ha fatto altro. La spending review non è stata fatta, ma la taxation review è stata strafatta, al punto che per le partite iva, gli artigiani, i piccoli imprenditori e tutti coloro che sono soggetti agli studi di settore può essere più conveniente stare a casa che andare al lavoro. E' necessario, prima del crollo delle entrate fiscali per la chiusura delle imprese al ritmo di 1.000 al giorno, tagliare senza guardare in faccia a nessuno. L'Italia è una mongolfiera che sta perdendo quota, vanno buttati fuori bordo i costi inutili. Per farlo è necessario un governo di salute pubblica che può essere garantito solo da una vittoria del MoVimento 5 Stelle. Per tagliare c'è solo l'imbarazzo della scelta:

- accorpamento dei comuni sotto i 5.000 abitanti (subito)
- modernizzazione e informatizzazione della macchina dello Stato centrale con un taglio del 30% dei costi (in 5 anni)
- cessazione di ogni missione di pace, in realtà vere missioni militari, all'estero (subito)
- eliminazione Province (subito)
- stop alla costruzione di opere inutili come la Tav in Val di Susa, la Gronda a Genova, la Pedemontana in Lombardia (subito)
- eliminazione contributi all'editoria (subito)
- eliminazione di ogni auto blu tranne per il presidente della Repubblica e del Consiglio (subito)
- eliminazione contributi elettorali ai partiti (subito)
- riduzione di almeno la metà delle consulenze esterne per lo Stato e per gli enti locali (subito)
- Recupero dei 98 miliardi di euro evasi dalle società di slot machines (subito)
- Taglio di 2/3 delle spese del Quirinale (subito)
- Adozione di software open source per la Pubblica Amministrazione (subito)
- Adeguamento stipendi dei parlamentari a media europea (subito)
- Diminuzione del numero parlamentari del 50% (durante la legislatura)
- Rinuncia all'acquisto dei cacciabombardieri F35 (subito)
- Efficienza/risparmi acquisti per la Sanità per un 1/5 della spesa (subito)
- Taglio/vendita di due canali RAI nazionali (subito)
- Taglio Expo 2015 (subito)
- Dimezzamento stipendio e numero consiglieri regionali (subito)
- Taglio delle pensioni sopra i 5.000 euro lordi mensili (subito)

Insieme ai tagli elencati va inserito il reddito di cittadinanza presente in molte nazioni europee, come la Germania, per chi non abbia un lavoro.
Tagliare si può, volare si può.

Pogg
Autore Città Giorno Ora
Gianluca Trentini Argenta (fe) 04/3/2013 00.04
Titolo:un nuovo mondo è possibile
Leggo spesso i tuoi articoli, sono anlisi azzeccate che condivido ,ma sul movimento ti sbagli profondamente,per la canpagna elettorale ci siamo autofinanziati,anche noi col nostro gruppo di argenta,forse faresti meglio a chidere a ingroia dove ha preso i soldi e perchè ha riciclato vecchi politicanti che gli hanno fatto perdere le elezioni.
Peccato stimo molto ingroia e il suo coraggio nelle battaglie contro la mafia.La novita è che stanno nascendo a centinaia le liste movimento 5 stelle le persone non vogliono + delegare,ma partecipare riprendersi la cosa pubblica e non c'è nessuno che ci controlla ne grillo ne casaleggio,vi aspettiamo è ora che vi date da fare anche voi , o siete solo capaci di scrivere?
Autore Città Giorno Ora
Giovanni Sarubbi Monteforte Irpino 04/3/2013 06.17
Titolo:nessun pregiudizio
Credo di essere una delle poche persone in Italia che ha avuto incontri ufficiali con il movimento 5 stelle ed i suoi rappresentanti a livello locale.
Non ho pregiudizi ed il rifiuto della delega a chicchessia non mi spaventa affatto. Ti chiedo di riflettere sul fatto che lo stesso Grillo aveva proposto Di Pietro come presidente della repubblica quando ci fu il killeraggio di Report nei suoi confronti qualche mese fa e che un'apertura del 5 stelle ad Ingroia, che pure lo ha chiesto (bastava apparentarsi), visti i risultati ci avrebbe portato forse a vincere le elezioni alla camera conquistando il premio di maggioranza, e oggi saremmo noi insieme a dettare le condizioni al PD e non viceversa. Oggi sono fuori dal parlamento Di Pietro, che è stato l'unico che ha fatto opposizione negli ultimi 5 anni a Berlusconi e agli inciuci PD-PDL auspice il capo dello stato, ed Ingroia, che ha fatto l'inchiesta stato-mafia arrivando ad un passo dalla stanza del malaffare. La gente durante la campagna elettorale per strada durante i volantinaggi di Rivoluzione Civile diceva di Ingroia che egli aveva avuto il coraggio di mettere sotto inchiesta persino il capo dello stato. Questa era la percezione che la gente aveva di Ingroia e averlo tenuto fuori dal parlamento è un grave danno per la democrazia del nostro paese. Altro che pregiudizi sul M5S.
Giovanni Sarubbi
Autore Città Giorno Ora
EMILIO MAGNI MOLTENO 04/3/2013 19.04
Titolo:LA PARTE DELL'IDV
Concordo con tutto quanto ha scritto però mi permetta un appunto in quanto non cita, se non di passaggio, quanto fatto dall'IDV per arrivare ad una coalizione con molte piu' probabilità di successo. Era indispensabile parlarne e sottolineare l'azione di questo Partito che è poi confluito in RIVOLUZIONE CIVILE e si è così disciolto come neve al sole; anche se onestamente bisogna dire che è stato fatto di tutto per farlo sparire dall'ambito parlamentare perchè dava troppo fastidio con le sue prese di posizione.
Autore Città Giorno Ora
onorio zaratin motta di livenza 04/3/2013 21.09
Titolo:
Di solito apprezzo molto gli editoriali, ma questo mi ha rattristato, non tanto per la situazione post elettorale che si è creata circa l'ingovernabilità del paese, quanto per l'analisi, che ritengo superficiale e poco informata, sul M5s. Non sono un attivista del movimento ma conosco varie persone che vi partecipano e ritengo che siano oneste e preparate. Forse sarebbe utile aspettare un pò per farsi un'opinione.
Autore Città Giorno Ora
Giovanni Sarubbi Monteforte Irpino 04/3/2013 23.09
Titolo:Non faccio di tutt'erba un fascio
Gentile Onorio,
ho scritto che è "Difficile dire ciò che faranno concretamente i deputati del M5s la cui base elettorale è molto composita, da ex sostenitori di Berlusconi ad ex PD". In sostanza io, come tanti italiani, aspettiamo di capire come concretamente possiamo uscire positivamente da questo disastro nel quale ci troviamo. Non sono abituato a fare di tutt'erba un fascio e non do affatto per scontato che i deputati grillini siano tanti scilipoti, anzi spero che non lo siano affatto. Non mi piace la politica gridata, questo si e sono oramai allergico ai comici che hanno trasformato la politica in una sorta di barzelletta continua. Non c'è nulla da ridere e non credo si costruisca nulla di buono con le urla o le battute.

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Commenti Articolo 555

Titolo articolo : Liberarsi di ricchezze e potere,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: March/04/2013 - 22:45:05.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 03/3/2013 16.53
Titolo:IL CATTOLICESIMO: DAL PUTTANEGGIAR COI RE (Dante) AL PUTTANESIMO UNIVERSALE (Vic...
Dante Alighieri, Inferno (Canto XIX, vv.103-117)

- io userei parole ancor più gravi;
- ché la vostra avarizia il mondo attrista,
- calcando i buoni e sollevando i pravi.

- Di voi pastor s’accorse il Vangelista,
- quando colei che siede sopra l’acque
- puttaneggiar coi regi a lui fu vista;

- quella che con le sette teste nacque,
- e da le diece corna ebbe argomento, fin che virtute al suo marito piacque.

- Fatto v’avete dio d’oro e d’argento;
- e che altro è da voi a l’idolatre,
- se non ch’elli uno, e voi ne orate cento?

- Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,
- non la tua conversion, ma quella dote
- che da te prese il primo ricco patre!».


Sul puttanesimo universale, vedi:

A GRANDE FORESTA ("INGENS SYLVA") E LA STORIA DEI LEMURI: LA LEZIONE DI VICO, OGGI. Note per una (ri)lettura della "Scienza Nuova"

http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/filosofia/interventi_1361611757.htm

Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Ugo Agnoletto Susegana 03/3/2013 21.52
Titolo:da dove la riforma
è impensabile che la riforma possa partire dall'alto, cioè che sia la gerarchia a liberarsi dal potere e dalle ricchezze. L'iniiativa dove partire dal basso. Dovrebbe partire dal popolo di Dio, ma l'encefalogramma del popolo di Dio è piatto. Ratzinger è riuscito a tacitare tutti: vescovi, preti, insegnanti di teologia, popolo di Dio. Allora la riforma potrà partire solo da fuori la chiesa e questo, come è sempre accaduto, sarà drammatico per la chiesa che si considererà perseguitata dal mondo. Nell'antico testamento Dio utilizzava questo sistema. Il popolo eletto si ribellava? Ecco la deportazione a Babilonia. Solo che questa volta la chiesa a Babilonia ci è andata di sua spontanea volontà.
Autore Città Giorno Ora
paolo olivari rodengosaiano 04/3/2013 15.02
Titolo:speranza
...è proprio quanto "sta dietro" all'idea di papato, di gerarchia, di cattolicesimo-paolinesimo, che dovrebbe essere scoperchiato e, come profetizzava S.Malachia "...qualche giorno fa...", diruetur. E' tutta una enorme sovrastruttura che dovrà essere abbattuta per ridare credibilità al Vangelo e a Colui che lo predicava vivendolo (non scrivendolo...). Gli anni sono tanti, ma anche la speranza.Grazie
Autore Città Giorno Ora
EMILIO MAGNI MOLTENO 04/3/2013 22.45
Titolo:SPERANZA DI NOVITA'
Che il Papa sia eletto dai fadeli è un'utopia. Possiamo però augurarci che in futuro possa essere eletto da tutti i Vescovi, i reali rappresentanti degli Apostoli. Per questo il nuovo Pontefice dovrebbe riunire un nuovo Concilio Ecumenico dove vengano discussi i problemi della Chiesa e prese quelle decisioni che la possono portare a recuperare il ritardo di 200 anni come denunciato dal defunto card. MARTINI.

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Commenti Articolo 556

Titolo articolo : SE UN UOMO PISCIA IN MEZZO ALLA GENTE,di Mario Pancera

Ultimo aggiornamento: March/04/2013 - 18:03:03.

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Autore Città Giorno Ora
Stefania De Marchi Venezia 04/3/2013 10.35
Titolo:
Caro signor Pancera, no, non capisco quello che lei vuole dire. Se si spiegasse meglio ...
Autore Città Giorno Ora
mario pancera Milano 04/3/2013 18.03
Titolo:
Cara lettrice, voglio soltanto descrivere quello che vedo per strada a Milano: povertà materiale e, mi sembra, spirituale. Racconto piccoli fatti. Ci sono, naturalmente, anche associazioni benefiche, volontari ecc., ma ne scrivono già altri. Grazie, comunque, per l’attenzione.

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Commenti Articolo 557

Titolo articolo : LA DITTATURA DEL PAPA E LA PAROLA DI GESU'. UN CHIARIMENTO DAL "FINNEGANS WAKE" DI JOYCE. Una nota ,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/04/2013 - 12:37:00.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 03/3/2013 22.59
Titolo:BOFF. Appello per la riforma della Chiesa, prima che sia troppo tardi!
Appello per la riforma della Chiesa ... prima che sia troppo tardi!

di Leonardo Boff *

Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere.
- Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. (Mc 10, 42-44)

La Chiesa-istituzione come “casta meretrix”

di Leonardo Boff 27/02/2013 *

Chi ha seguito le notizie degli ultimi giorni sugli scandali dentro al Vaticano, portati a conoscenza dai giornali italiani “La Repubblica” e “La Stampa”, che parlano di una relazione di 300 pagine e elaborata da tre cardinali provetti sullo stato della curia vaticana, deve naturalmente, essere rimasto sbalordito. Immagino i nostri fratelli e sorelle devoti, frutto di un tipo di catechesi che celebra il Papa come “il dolce Cristo in Terra”. Devono star soffrendo molto, perché amano il giusto, il vero e il trasparente e mai vorrebbero legare la sua immagine a notorie malefatte di assistenti e cooperatori.

Il contenuto gravissimo di queste relazioni rafforza, a mio parere, la volontà del papa di rinunciare. E’ la riprova di un’atmosfera di promiscuità, di lotta per il potere tra “monsignori”, di una rete di omosessuali gay dentro al Vaticano e disvio di denaro attraverso la banca del Vaticano come se non bastassero i delitti di pedofilia in tante diocesi, delitti che hanno profondamente intaccato il buon nome della Chiesa-istituzione.

Chi conosce un poco la storia della Chiesa - e noi professionisti dell’area dobbiamo studiarla dettagliatamente - non si scandalizza. Ci sono state epoche di vera rovina del Pontificato con Papi adulteri, assassini e trafficanti di immoralità. A partire da Papa Formoso (891-896) sino a Papa Silvestro (999-1003) si instaurò, secondo il grande storico cardinale Baronio, l’“era pornocratica” dell’alta gerarchia della Chiesa. Pochi papi la passavano liscia senza essere deposti o assassinati. Sergio III (904-911), assassinò i suoi 2 predecessori, il Papa Cristoforo e Leone V.

La grande rivoluzione nella Chiesa come un tutto è avvenuta, con conseguenze per tutta la storia ulteriore, col papa Gregorio VII, nel 1077. Per difendere i suoi diritti e la libertà della istituzione-Chiesa contro re e principi che la manipolavano, pubblicò un documento che porta questo significativo titolo “Dictatus Papae” che tradotto alla lettera significa “la dittatura del Papa”. Con questo documento, lui assunse tutti poteri, potendo giudicare tutti senza essere giudicato da nessuno. Il grande storico delle idee ecclesiali Jean-Yves Congar, domenicano, la considera la maggior rivoluzione avvenuta nella chiesa. Da una chiesa-comunità è passata a essere una istituzione-società monarchica e assolutista, organizzata in forma piramidale e che arriva fino ai nostri giorni.

Effettivamente il canone 331 dell’attuale Diritto Canonico si connette a questa lettura, con l’attribuzione al Papa di poteri che in verità non spetterebbero a nessun mortale se non al solo Dio: “in virtù del suo Ufficio, il Papa ha il potere ordinario, supremo, pieno, immediato, universale” e in alcuni casi precisi, “infallibile”.

Questo eminente teologo, Congar, prendendo la mia difesa davanti al processo dottrinario mosso dal cardinale Joseph Ratzinger in ragione del libro “Chiesa: carisma e potere” ha scritto un articolo su “La Croix” 08.09.1984) su “Il carisma del potere centrale”. Scrive: “il carisma del potere centrale è non aver nessun dubbio. Ora, non aver nessun dubbio su se stessi è, nello stesso tempo, magnifico e terribile. È magnifico perché il carisma del centro consiste precisamente nel rimanere saldi quando tutto intorno vacilla. E è terribile perché a Roma ci sono uomini che hanno limiti, limiti nella loro intelligenza, limiti del loro vocabolario, limiti delle loro preferenze, limiti nei loro punti di vista”. E io aggiungerei ancora limiti nella loro etica e morale.

Si dice sempre che la Chiesa è “Santa e peccatrice” e deve essere “riformata in continuazione”. Ma questo non è successo durante secoli e neppure dopo l’esplicito suggerimento del concilio Vaticano II e dell’attuale papa Benedetto XVI. L’istituzione più vecchia dell’Occidente ha incorporato privilegi, abitudini, costumi politici di palazzo e principeschi, di resistenza e di opposizione che praticamente impediscono o distorcono tutti i tentativi di riforma.

Solo che questa volta si è arrivati a un punto di altissimo degrado morale, con pratiche persino criminali che non possono più essere negate e che richiedono mutamenti fondamentali nella struttura di governo della Chiesa. Caso contrario, questo tipo di istituzionalità tristemente invecchiata e crepuscolare languirà fino a entrare nel suo tramonto. Scandali come quelli attuali sempre ci sono stati nella curia vaticana, soltanto non c’era quel provvidenziale Vatileaks per renderli di pubblico dominio e far indignare il Papa e la maggioranza dei cristiani.

La mia percezione del mondo mi dice che queste perversità nello spazio sacro e nel centro di riferimento di tutta la cristianità - il papato - (dove dovrebbe primeggiare la virtù e persino la santità) sono conseguenze di questa centralizzazione assolutista del potere papale. Questo rende tutti vassalli, sottomessi e avidi perché stanno fisicamente vicino al portatore del supremo potere, il Papa. Un potere assoluto, per sua natura, limita e perfino nega la libertà degli altri, favorisce la creazione di gruppi di anti-potere, fazioni di burocrati del sacro contro altre, pratica largamente la simonia che è compravendita di favori, promuove adulazioni e distrugge i meccanismi di trasparenza. In fondo tutti diffidano di tutti. E ognuno cerca la soddisfazione personale nella forma migliore che può. Per questo è sempre stata problematica l’osservanza del celibato all’interno della curia vaticana, come si sta rivelando adesso con l’esistenza di una vera rete di prostituzione gay. Fino a quando questo potere non sarà decentralizzato e non permetterà maggior partecipazione di tutti gli strati del popolo di Dio, uomini e donne, alla conduzione dei cammini della Chiesa, il tumore che sta all’origine di questa infermità continuerà a durare. Si dice che Benedetto XVI consegnerà a tutti i cardinali la suddetta relazione perché ciascuno sappia che problemi dovrà affrontare nel caso che sia eletto papa. E l’urgenza che avrà di introdurre radicali trasformazioni. Dal tempo della Riforma che si sente il grido: “Riforma nel capo e nelle membra”. E siccome mai è avvenuta, è nata la Riforma come gesto disperato dei riformatori di compiere tale impresa per conto proprio.

Per spiegare meglio ai cristiani e a tutti gl’interessati di problemi di Chiesa, torniamo alla questione degli scandali. L’intenzione è di sdrammatizzarli, permettere che se n’abbia una nozione meno idealista e a volte idolatrica della gerarchia e della figura del Papa e liberare la libertà a cui il Cristo ci ha chiamati (Gal 5,1). In questo non c’è nessun cattivo gusto per le cose negative né volontà di aumentare sempre di più il degrado morale. Il cristiano deve essere adulto, non può lasciarsi infantilizzare né permettere che gli neghino conoscenze teologiche e storiche per rendersi conto di quanto umana ed smodatamente umana può essere l’istituzione che ci viene dagli apostoli.

Esiste una lunga tradizione teologica che si riferisce alla Chiesa come casta meretrix, tema abbordato dettagliatamente da un grande teologo, amico dell’attuale Papa, Hans Urs von Balthasar (vedere in Sponsa Verbi, Einsiedeln 1971, 203-305). In varie occasioni il teologo Joseph Ratzinger è ritornato su questa denominazione.

La chiesa è una meretrice che tutte le notti si abbandona alla prostituzione; è casta perché Cristo, ogni mattina ne ha compassione, la lava è la ama.

L’habitus meretricius, il vizio del meretricio, è stato duramente criticato dai santi padri della Chiesa come Sant’Ambrogio, Sant’Agostino, San Gerolamo e altri. San Pier Damiani arriva chiamare il suddetto Gregorio VII “Santo satanasso” (D. Roma, compendio di storia della Chiesa, volume secondo, Petropolis, 1950, p. 112). Questa denominazione dura ci rimanda a quella di Cristo diretta Pietro. Per causa della sua professione di fede lo chiama “pietra”, ma per causa della sua poca fede e di non capire i disegni di Dio lo qualifica come “satanasso” (Vangelo di Matteo 16,23). San Paolo pare un moderno quando parla ai suoi oppositori con furia: “magari si castrassero tutti quelli che vi danno fastidio” (Galati, 5,12).

C’è pertanto un luogo per la profezia nella Chiesa e per le denunce delle malefatte che possono capitare in mezzo agli ecclesiastici e persino in mezzo ai fedeli.

Vi riporto un altro esempio tratto dagli scritti di un santo amato dalla maggioranza dei cattolici per il suo candore e bontà: Sant’Antonio da Padova. Nei suoi sermoni, famosi all’epoca, non appare niente affatto dolce e gentile. Fa una vigorosa critica ai prelati corrotti del suo tempo. Dice: “i vescovi sono cani senza nessuna vergogna perché il loro aspetto ha della meretrice e per questo stesso non vogliono vergognarsi” (uso l’edizione critica in latino pubblicata a Lisbona in due volumi nel 1895). Questo fu pronunciato nel sermone della quarta domenica dopo Pentecoste (pagina 278). Un’altra volta chiama i prelati “ scimmie sul tetto, da lì presiedono alle necessità del popolo di Dio”. (Op. cit p. 348). È continua: “Il vescovo della Chiesa è uno schiavo che pretende regnare, principe iniquo, leone che ruggisce, orso affamato di rapina che depreda il popolo povero” (p.348). Infine nella festa di San Pietro alza la voce e denuncia: “Attenzione che Cristo disse tre volte: pasci e neanche una volta tosa e mungi... Guai a quello che non pasce neanche una volta e tosa e munge tre o quattro volte...lui è un drago a fianco dell’arca del Signore che non possiede altro che apparenza e non verità” (volume secondo, 918).

Il teologo Joseph Ratzinger spiega il senso di questo tipo di denunce profetiche: “il senso della profezia risiede in verità meno in alcune previsioni che nella protesta profetica: protesta contro l’autosoddisfazione delle istituzioni, l’autosoddisfazione che sostituisce la morale con il rito e la conversione con le cerimonie” (Das neue volk Gottes, Düsseldorf 1969,250, esiste traduzione italiana Il nuovo popolo di Dio, Brescia 1971).

Ratzinger critica con enfasi la separazione che abbiamo fatto in riferimento alla figura di Pietro: prima della Pasqua, il traditore; dopo la Pentecoste, il fedele. “Pietro continua a vivere questa tensione del prima e del dopo; lui continua ad essere tutte due le cose: la pietra e lo scandalo...Non è successo lungo tutta la storia della Chiesa che il Papa era simultaneamente il successore di Pietro e la pietra dello scandalo” (p.259)?

Dove vogliamo arrivare con tutto questo? Vogliamo arrivare a riconoscere che la Chiesa-istituzione di papi, vescovi e preti è fatta di uomini che possono tradire negare e fare del potere religioso un affare e uno strumento di auto soddisfazione. Tale riconoscimento è terapeutico dato che ci cura di ogni ideologia idolatrica intorno alla figura del Papa, ritenuto come praticamente infallibile. Questo è visibile nei settori conservatori e fondamentalisti del movimento cattolico laici e anche di gruppi di preti. In alcuni è ancora viva una vera papolatria, che Benedetto XVI ha sempre cercato di evitare.

La crisi attuale della Chiesa provocato la rinuncia di un Papa che si è reso conto che non aveva più il vigore necessario per sanare scandali di tale portata. Ha buttato la spugna con umiltà. Che un altro più giovane venga e assuma il compito arduo e duro di pulire la corruzione nella curia romana e dell’universo dei pedofili, eventualmente punisca, deponga e invii i più renitenti in qualche convento per far penitenza e emendare la propria vita .

Soltanto chi ama la Chiesa può farle le critiche che gli abbiamo fatto noi citando testi di autorità classiche del passato. Se tu hai smesso di amare una persona un tempo amata, ti diventano indifferenti la sua vita e il suo destino. Noi ci interessiamo come fa l’amico e fratello di tribolazione Hans Kung (è stato condannato dalla ex inquisizione), forse uno dei teologi che più ama la Chiesa e per questo la critica.

Non vogliamo che i cristiani coltivino questo sentimento di poca stima e di indifferenza. Per quanto gravi siano stati gli errori e gli equivoci storici, l’istituzione-Chiesa custodisce la memoria sacra di Gesù e la grammatica dei Vangeli. Essa predica la libertà, sapendo che generalmente sono altri che liberano e non lei.

Anche così vale stare dentro la chiesa, come ci stavano S. Francesco, dom Helder Camara, Giovanni XXIII e noti teologi che hanno aiutato a fare il concilio Vaticano II e che prima erano stati tutti condannati dall’ex inquisizione, come de Lubac, Chenu, Congar, Rahner e altri. Dobbiamo aiutarla a uscire da quest’imbarazzo, alimentandosi di più col sogno di Gesù di un regno di giustizia, di pace e di riconciliazione con Dio e di sequela della sua causa e destino, piuttosto che di semplice giustificata indignazione che può scadere facilmente nel fariseismo e nel moralismo.

Altre riflessioni del genere si trovano nel mio libro Chiesa: carisma e potere, ed. Record, 2005, specialmente in appendice con tutte gli atti del processo celebrato all’interno dell’ex inquisizione nel 1984.

Traduzione: Romano Baraglia - romanobaraglia@gmail.com

*Il Dialogo, Domenica 03 Marzo,2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 03/3/2013 23.36
Titolo:SPEGNERE IL "LUMEN GENTIUM" E INSTAURARE IL POTERE DEL "DOMINUS IESUS".
SPEGNERE IL "LUMEN GENTIUM" E INSTAURARE IL POTERE DEL "DOMINUS IESUS". Il disegno di Ratzinger - Benedetto XVI. Due testi a confronto, con alcune note - di Federico La Sala *

Concilio Vaticano II: Cristo è la luce delle genti ("Lumen Gentium", 21 novembre 1964). Ratzinger-Bertone: "Il Signore Gesù, prima di ascendere al cielo, affidò ai suoi discepoli il mandato" ("Dominus Iesus", 6 Agosto 2000)



LUMEN GENTIUM (1964) E DOMINUS IESUS (200O): IL DISEGNO DI RATZINGER - BERTONE. Spegnere il "Lumen Gentium" e instaurare il potere del "Dominus Iesus", il "Cristo Magno" del Sacro Romano Impero. Due testi a confronto:



LUMEN GENTIUM (21 novembre 1964) *

"1. Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15), illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa. E siccome la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano, continuando il tema dei precedenti Concili, intende con maggiore chiarezza illustrare ai suoi fedeli e al mondo intero la propria natura e la propria missione universale. Le presenti condizioni del mondo rendono più urgente questo dovere della Chiesa, affinché tutti gli uomini, oggi più strettamente congiunti dai vari vincoli sociali, tecnici e culturali, possano anche conseguire la piena unità in Cristo".

*

PER IL TESTO COMPLETO, VEDI:

LUMEN GENTIUM COSTITUZIONE DOGMATICA SULLA CHIESA 21 novembre 1964.
- CAPITOLO I. IL MISTERO DELLA CHIESA. La Chiesa è sacramento in Cristo

DOMINUS IESUS (6 Agosto 2000) *

"INTRODUZIONE
1. Il Signore Gesù, prima di ascendere al cielo, affidò ai suoi discepoli il mandato di annunciare il Vangelo al mondo intero e di battezzare tutte le nazioni: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,15-16); «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,18-20; cf. anche Lc 24,46-48; Gv 17,18; 20,21; At 1,8)".

* PER IL TESTO COMPLETO, VEDI:

DICHIARAZIONE "DOMINUS IESUS"
CIRCA L’UNICITÀ E L’UNIVERSALITÀ SALVIFICA DI GESÙ CRISTO E DELLA CHIESA

Firmato:

Joseph Card. Ratzinger
Prefetto

Tarcisio Bertone, S.D.B.
Arcivescovo emerito di Vercelli
Segretario



VEDI:

http://www.ildialogo.org/filosofia/interventi_1346344417.htm
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/3/2013 11.04
Titolo:PER GLI STATI UNITI D'EUROPA DEL FUTURO ....
JAMES JOYCE (1914): "I’M A DEMOCRATIC: AND I’WILL WORK AND ACT FOR SOCIAL LIBERTY AND EQUALITY AMONG ALL CLASSES AND SEXES IN THE UNITED STATES OF EUROPE OF THE FUTURE" (J. Joyce, A Portrait of the Artist a Young Man, Penguins Books, London 1977, p. 77). (FLS)

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Per una memoria comune d’Europa

La prima Giornata dei giusti che ricorda tutti i genocidi

di Gabriele Nissim (Corriere della Sera, 4 marzo 2013)

Le celebrazioni per la Giornata dei giusti in Europa hanno un risultato sorprendente: per la prima volta si è aperto un processo di condivisione delle memorie. Da Milano, a Praga, a Varsavia, a Bruxelles, a Sarajevo si ricorderanno gli uomini che si sono assunti una responsabilità personale di fronte ai genocidi e ai totalitarismi.

Finora era impensabile che in un’unica giornata gli armeni ricordassero la Shoah assieme alla tragedia che ha colpito il loro popolo, che gli ebrei ricordassero assieme al più terribile genocidio della Storia le vittime di altri massacri in Ruanda o in Cambogia, che nei Paesi dell’Est assieme ai perseguitati del comunismo si ripensasse alla sorte degli ebrei durante il nazismo, dopo tanti anni di rimozione storica.

Questa difficoltà di condivisione non era campata in aria ma aveva ragioni molto serie. Il mondo ebraico, con in testa il memoriale di Yad Vashem, aveva giustamente timore che un processo di comparazione potesse annacquare le responsabilità del mondo nei confronti dello sterminio ebraico.

Ci sono voluti anni perché la riflessione sulla Shoah diventasse patrimonio di tutta la comunità europea e solo in questi ultimi anni in Francia, in Polonia, in Ungheria, in Ucraina si è aperto un dibattito sulle complicità dei loro Paesi e delle loro popolazioni durante lo sterminio nazista.

D’altronde gli armeni consideravano del tutto secondario occuparsi dei genocidi degli altri, quando il loro genocidio continuava a essere rimosso e dimenticato e la Turchia minacciava tutti coloro che se ne interessavano. E oggi le organizzazioni che si battono in Russia per la memoria dei gulag, come Memorial e Nomi restituiti, si trovano in grande difficoltà per il vento nazionalista di Putin che è riuscito a creare una cortina fumogena nei confronti del passato totalitario in nome della difesa della purezza della nazione.

Così per tanti anni il mancato riconoscimento delle responsabilità ha non solo impedito un dialogo fecondo tra le memorie, ma ha rallentato un processo di condivisione di un destino comune, pur all’interno di situazioni differenti.

Ognuno ha pensato esclusivamente alla propria storia e così spesso in Europa si è assistito a una sorta di concorrenza sul valore delle rispettive memorie, come se si dovesse stilare una gerarchia delle sofferenze e ci fossero vittime più significative delle altre.

Il risultato è dunque che un giovane, che vive a Praga, a Varsavia o a Bucarest, non ha la stessa percezione del passato di un giovane italiano, inglese o francese, quando invece una memoria condivisa dovrebbe unire tutti i cittadini europei. A Budapest si è arrivati al paradosso che per ricordare le vittime del comunismo si coprivano le responsabilità di quanti, come l’ammiraglio Horty, sono stati responsabili delle leggi antisemite.

Con la valorizzazione della memoria dei Giusti, ottenuta dall’approvazione della dichiarazione del Parlamento europeo del 10 maggio del 2012, si sono finalmente incrinati degli steccati che sembravano difficilmente ricomponibili.

Il motivo di questo inizio di metamorfosi è di tipo etico. Il richiamo al tema della responsabilità personale, incarnato da tutti gli uomini, che pur con tutte le loro imperfezioni si sono battuti per la dignità dell’altro uomo, permette di creare un inaspettato movimento di empatia.

L’uomo giusto è infatti colui che è stato capace di mettersi nei panni degli altri e di ergersi come un piccolo argine nei confronti del male. Questo tipo di esperienza, da parte di chi ha rischiato la propria vita per gli altri, è stata per certi versi simile nella Shoah, come in Ruanda o nel genocidio armeno.

Quando si riconosce questa similitudine nei comportamenti umani, da parte di chi ha avuto il coraggio di assumersi una responsabilità, diventa più facile comprendere come, al di là di tutte le differenze che hanno segnato i diversi totalitarismi, diventi fondamentale intraprendere un percorso comune e condiviso di tutte le memorie del male. È infatti l’universalizzazione della Shoah, come quella degli altri genocidi, che rende più forte le loro memorie e non la loro contrapposizione.

In tutte queste circostanze gli uomini sono stati chiamati a fare delle scelte sul valore della sacralità della vita e purtroppo solo pochi ne sono stati capaci. È attorno a questo enigma, che - come ha osservato Jan Karski - ha portato alla degenerazione morale di società intere, che diventa importante riflettere sulle storie degli uomini giusti.

Essi insegnano agli europei che la sfida in ogni tempo è sempre la stessa: ogni uomo ha sempre la possibilità di salvare il mondo nel suo piccolo, non aspettandosi che altri lo possano fare per lui.

Emmanuel Lévinas, come ricorda il filosofo Bernhard Casper, che con lui aveva avuto modo di discutere sulla sua esperienza durante la sua prigionia nello Stalag 1492, un campo per prigionieri vicino ad Hannover, gli aveva confidato come di fronte a una violenza gratuita priva di senso che sfuggiva a ogni comprensione, l’unica cosa che gli aveva permesso di resistere era quella voce interiore che gli diceva: «Tu, però, ama. Tu non uccidere e non lasciare l’Altro nel suo essere mortale». Ecco il segreto dei giusti: la responsabilità come l’ultimo baluardo della propria dignità quando l’umanità ha perso la bussola e ogni riferimento morale.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/3/2013 12.37
Titolo:Apertura prossima del Conclave, di uomini, “mezzo conclave”: è opportuno ricorda...
Il «Conclave delle donne»

di Bureau du Comité de la Jupe

in “www.comitedelajupe.fr” del 27 febbraio 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Il “Comité de la Jupe” con il sostegno della Conferenza dei Battezzati e delle Battezzate, ha deciso di riunire il “Conclave delle donne”, il 9 marzo prossimo, a Parigi.

Questo “Conclave delle donne” prende atto del fatto che le donne hanno delle cose da dire sulle richieste spirituali dei nostri contemporanei e sui mezzi che si ritiene che siano necessari alla Chiesa per essere in grado di compiere la sua missione in futuro. Alla vigilia dell’apertura del Conclave, conclave di uomini (maschi), “mezzo conclave”, è opportuno ricordare il valore del contributo delle donne su questioni essenziali.

Vi parteciperanno settantadue donne, come i settantadue discepoli che Gesù aveva inviato in missione (Luca 10). Settantadue donne che danno voce a tutte quelle donne in vearie parti del mondo, la cui fede, le cui competenze, il cui coinvolgimento per il bene comune o la causa dei più deboli potrebbero fare di loro delle “cardinalesse” di grande valore.

Se desiderate far parte del Conclave delle donne, inviate la vostra richiesta nello stesso modo in cui si inviano i commenti.
- http://www.comitedelajupe.fr/evenement/le-conclave-des-femmes/

Vi risponderemo nella misura dei posti disponibili.

Svolgimento del Conclave delle donne (senza pubblico)

Il conclave delle donne comporterà due momenti di preghiera, per portare le nostre riflessioni davanti al Signore e chiedergli il suo aiuto. La maggior parte dei lavori dell’incontro consisterà nell’ascoltare i contributi delle partecipanti sui cinque temi seguenti:

1.

- Le urgenze del nostro tempo
- Che cosa aspettano i nostri fratelli e le nostre sorelle (credenti e non), quali sono i loro dolori, le loro gioie, i loro tesori (“L à dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore”, Mt 6,21)?

2.

- La nostra fede
- In che cosa consiste la nostra fede, la nostra speranza, la nostra carità, dov’è la salvezza, come la mettiamo col male?...

3.

- Il modo in cui la Chiesa rende conto della sua missione
- La Chiesa risponde alla sua missione? Come testimonia un Dio che libera, un Dio che ama, un Dio che fa sperare?

4.

- I mezzi che la Chiesa si dà per essere configurata alla sua missione
- Quali disposizioni assume? Collegialità, sussidiarietà, trasparenza, finanziaria in particolare, misericordia... Come aveva chiesto Giovanni XXIII, che il Concilio Vaticano II eserciti “la medicina della misericordia”, c’è oggi una misericordia da esercitare (verso i divorziati risposati, ad esempio), occorre chiedere che siano superate tutte le condanne e le discriminazioni fatte in base al sesso.

5.

- Gli atti profetici che ne derivano
- Dovranno essere proposti dalle partecipanti e saranno oggetto di votazione.

L’Ufficio del Comité de la Jupe

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Commenti Articolo 558

Titolo articolo : LA CHIESA, LE DONNE, E I PAPI. LUCETTA SCARAFFIA IN PIENO SONNO DOGMATICO NON HA ANCORA CAPITO CHE IL CATTOLICESIMO-ROMANO E' MORTO E DETTA LA SUA AGENDA AL NUOVO PAPA. Un suo intervento - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/04/2013 - 12:32:54.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/2/2013 18.59
Titolo:La Chiesa stessa è stata messa in questione fin dalla sua radice....
Cosa insegna alla politica la rinuncia di Ratzinger

di Giorgio Agamben (la Repubblica, 16 febbraio 2013)

La decisione di Benedetto XVI deve essere considerata con estrema attenzione da chiunque abbia a cuore le sorti politiche dell’umanità.

Compiendo il “gran rifiuto”, egli ha dato prova non di viltà, come Dante scrisse forse ingiustamente di Celestino V, ma di un coraggio, che acquista oggi un senso e un valore esemplari. Deve essere evidente per tutti, infatti, che le ragioni invocate dal pontefice per motivare la sua decisione, certamente in parte veritiere, non possono in alcun modo spiegare un gesto che nella storia della Chiesa ha un significato del tutto particolare.

E questo gesto acquista tutto il suo peso, se si ricorda che il 4 luglio 2009, Benedetto XVI aveva deposto proprio sulla tomba di Celestino V a Sulmona il pallio che aveva ricevuto al momento dell’investitura, a prova che la decisione era stata meditata.

Perché questa decisione ci appare oggi esemplare? Perché essa richiama con forza l’attenzione sulla distinzione fra due principi essenziali della nostra tradizione etico-politica, di cui le nostre società sembrano aver perduto ogni consapevolezza: la legittimità e la legalità.

Se la crisi che la nostra società sta attraversando è così profonda e grave, è perché essa non mette in questione soltanto la legalità delle istituzioni, ma anche la loro legittimità; non soltanto, come si ripete troppo spesso, le regole e le modalità dell’esercizio del potere, ma il principio stesso che lo fonda e legittima.

I poteri e le istituzioni non sono oggi delegittimati, perché sono caduti nell’illegalità; è vero piuttosto il contrario, e cioè che l’illegalità è così diffusa e generalizzata, perché i poteri hanno smarrito ogni coscienza della loro legittimità.

Per questo è vano credere di potere affrontare la crisi delle nostre società attraverso l’azione - certamente necessaria - del potere giudiziario: una crisi che investe la legittimità, non può essere risolta soltanto sul piano del diritto. L’ipertrofia del diritto, che pretende di legiferare su tutto, tradisce anzi, attraverso un eccesso di legalità formale, la perdita di ogni legittimità sostanziale.

Il tentativo della modernità di far coincidere legalità e legittimità, cercando di assicurare attraverso il diritto positivo la legittimità di un potere, è, come risulta dall’inarrestabile processo di decadenza in cui sono entrate le nostre istituzioni democratiche, del tutto insufficiente.

Le istituzioni di una società restano vive solo se entrambi i principi (che, nella nostra tradizione, hanno anche ricevuto il nome di diritto naturale e diritto positivo, di potere spirituale e potere temporale) restano presenti e agiscono in essa senza mai pretendere di coincidere.

Per questo il gesto di Benedetto XVI è così importante. Quest’uomo, che era a capo dell’istituzione che vanta il più antico e pregnante titolo di legittimità, ha revocato in questione col suo gesto il senso stesso di questo titolo. Di fronte a una curia che, del tutto dimentica della propria legittimità, insegue ostinatamente le ragioni dell’economia e del potere temporale, Benedetto XVI ha scelto di usare soltanto il potere spirituale, nel solo modo che gli è sembrato possibile: cioè rinunciando all’esercizio del vicariato di Cristo. In questo modo, la Chiesa stessa è stata messa in questione fin dalla sua radice.

Non sappiamo se la Chiesa sarà capace di trarre profitto da questa lezione: ma sarebbe certamente importante che i poteri laici vi trovassero occasione per interrogarsi nuovamente sulla propria legittimità.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/2/2013 08.11
Titolo:Sesso e carriera i ricatti in Vaticano...
Sesso e carriera i ricatti in Vaticano dietro la rinuncia di Benedetto XVI

di Concita De Gregorio (la Repubblica, 21 febbraio 2013)

"In questi 50 anni abbiamo imparato ed esperito che il peccato originale esiste, si traduce sempre in peccati personali che possono divenire strutture del peccato. Abbiamo visto che nel campo del Signore c’è sempre la zizzania. Che nella rete di Pietro si trovano i pesci cattivi".

La zizzania. I pesci cattivi. Le "strutture del peccato". È giovedì 11 ottobre, Santa Maria Desolata. È il giorno in cui la Chiesa fa memoria di papa Giovanni XXIII, cinquant’anni dal principio del Concilio. Benedetto XVI si affaccia al balcone e ai ragazzi dell’Azione cattolica raccolti in piazza dice così: «Cinquant’anni fa ero come voi in questa piazza, con gli occhi rivolti verso l’alto a guardare e ascoltare le parole piene di poesia e di bontà del Papa. Eravamo, allora, felici. Pieni di entusiasmo, eravamo sicuri che doveva venire una nuova primavera della Chiesa». Breve pausa. Eravamo felici, al passato. «Oggi la gioia è più sobria, è umile. In cinquant’anni abbiamo imparato che la fragilità umana è presente anche nella Chiesa». Che c’è la zizzania, ci sono i pesci cattivi.

Nessuno ha capito, in quel pomeriggio di ottobre. I ragazzi in piazza hanno applaudito e pianto il ricordo di papa Giovanni. Nessuno sapeva che due giorni prima Benedetto XVI aveva di nuovo incontrato il cardinale Julian Herranz, 83 anni, lo spagnolo dell’Opus Dei da lui incaricato di presiedere la commissione d’indagine su quello che i giornali chiamano Vatileaks. Il corvo, la fuga di notizie, le carte rubate dall’appartamento del Papa.

Herranz ha aggiornato Ratzinger con regolarità. Ogni settimana, in colloquio riservato, da aprile a dicembre. Il Papa ha appreso con crescente apprensione gli sviluppi dell’inchiesta: decine e decine di interviste a prelati, porporati, laici. In Italia e all’estero. Decine e decine di verbali riletti e sottoscritti dagli intervistati. Le stesse domande per tutti, dapprima, poi interviste libere. Controlli incrociati. Verifiche. Un quadro da cui veniva emergendo una rete di lobby che i tre cardinali hanno diviso per provenienza di congregazione religiosa, per origine geografica. I salesiani, i gesuiti. I liguri, i lombardi.

Infine, quel giorno di ottobre, il passaggio più scabroso. Una rete trasversale accomunata dall’orientamento sessuale. Per la prima volta la parola omosessualità è stata pronunciata, letta a voce alta da un testo scritto, nell’appartamento di Ratzinger. Per la prima volta è stata scandita, sebbene in latino, la parola ricatto: «influentiam», Sua Santità. Impropriam influentiam.

17 dicembre 2012, San Lazzaro. I tre cardinali consegnano nelle mani del Pontefice il risultato del loro lavoro. Sono due tomi di quasi 300 pagine. Due cartelle rigide rilegate in rosso, senza intestazione. Sotto "segreto pontificio", sono custodite nella cassaforte dell’appartamento di Ratzinger. Le conosce soltanto, oltre a Lui, chi le ha scritte. Contengono una mappa esatta della zizzania e dei pesci cattivi. Le «divisioni nel corpo ecclesiale che deturpano il volto della Chiesa», dirà il Papa quasi due mesi dopo nell’Omelia delle Ceneri.

È quel giorno, con quelle carte sul tavolo, che Benedetto XVl prende la decisione tanto a lungo meditata. È in quella settimana che incontra il suo biografo, Peter Seewald, e poche ore dopo aver ricevuto i tre cardinali gli dice «sono anziano, basta ciò che ho fatto». Quasi le stesse parole, in quell’intervista poi pubblicata su Focus, che dirà a febbraio al concistoro per i martiri di Otranto: «Ingravescente aetate». «Noi siamo un Papa anziano», aveva già allargato le braccia molte volte, negli ultimi mesi, in colloqui riservati.

Dunque nella settimana prima di Natale il Papa prende la sua decisione. Con queste parole la commenta il cardinale Salvatore De Giorgi, un altro dei tre inquisitori che redigono la "Relationem", presente al momento della rinuncia: «Ha fatto un gesto di fortezza, non di debolezza.

Lo ha fatto per il bene della Chiesa. Ha dato un messaggio forte a tutti quanti nell’esercizio dell’autorità o del potere si ritengono insostituibili. La Chiesa è fatta di uomini. Il Pontefice ha visto i problemi e li ha affrontati con un’iniziativa tanto inedita quanto lungimirante». Ha assunto su di sé la croce, insomma. Non ne è sceso, al contrario. Ma chi sono «coloro che si ritengono insostituibili?». Riecheggiano le parole dell’Angelus di domenica scorsa: bisogna «smascherare le tentazioni del potere che strumentalizzano Dio per i propri interessi».

La "Relationem" ora è lì. Benedetto XVI la consegnerà nelle mani del prossimo Papa, che dovrà essere abbastanza forte, e giovane, e «santo» - ha auspicato - per affrontare l’immane lavoro che lo attende. È disegnata, in quelle pagine, una geografia di «improprie influenze» che un uomo molto vicino a chi le ha redatte descrive così: «Tutto ruota attorno alla non osservanza del sesto e del settimo comandamento». Non commettere atti impuri. Non rubare. La credibilità della Chiesa uscirebbe distrutta dall’evidenza che i suoi stessi membri violano il dettato originario. Questi due punti, in specie. Vediamo il sesto comandamento, atti impuri. La Relazione è esplicita. Alcuni alti prelati subiscono «l’influenza esterna» - noi diremmo il ricatto - di laici a cui sono legati da vincoli di "natura mondana".

Sono quasi le stesse parole che aveva utilizzato monsignor Attilio Nicora, allora ai vertici dello Ior, nella lettera rubata dalle segrete stanze al principio del 2012: quella lettera poi pubblicata colma di omissis a coprire nomi. Molti di quei nomi e di quelle circostanze riaffiorano nella Relazione. Da vicende remote, come quella di monsignor Tommaso Stenico sospeso dopo un’intervista andata in onda su La 7 in cui raccontava di incontri sessuali avvenuti in Vaticano.

Riemerge la vicenda dei coristi di cui amava circondarsi il Gentiluomo di sua Santità Angelo Balducci, agli atti di un’inchiesta giudiziaria. I luoghi degli incontri. Una villa fuori Roma. Una sauna al Quarto Miglio. Un centro estetico in centro. Le stanze vaticane stesse. Una residenza universitaria in via di Trasone data in affitto ad un ente privato e reclamata indietro dal Segretario di Stato Bertone, residenza abitualmente utilizzata come domicilio romano da un arcivescovo veronese.

Si fa menzione del centro "Priscilla", che persino da ritagli di stampa risulta essere riconducibile a Marco Simeon, il giovane sanremese oggi ai vertici della Rai e già indicato da monsignor Viganò come l’autore delle note anonime a suo carico. Circostanze smentite dai protagonisti sui giornali, ma approfondite e riprese dalla Relazione con dovizia di dettagli.

I tre cardinali hanno continuato a lavorare anche oltre il 17 dicembre scorso. Sono arrivati fino alle ultime vicende che riguardano lo Ior - qui si passa al settimo comandamento - ascoltando gli uomini su cui confida Tarcisio Bertone a partire dal suo braccio destro, il potentissimo monsignor Ettore Balestrero, genovese, classe 1966. Sono arrivati fino alla nomina del giovane René Bruelhart alla direzione dell’Aif, l’autorità finanziaria dell’Istituto.

Il terzo dei cardinali inquirenti, Josef Tomko, è il più anziano e dunque il più influente della triade. Ratzinger lo ha richiamato in servizio a 88 anni. Slovacco, era stato con Woijtyla a capo del controspionaggio vaticano. Aveva seguito di persona la spinosa questione dei contributi anche economici alla causa polacca come delegato ai rapporti con l’Europa orientale. Dopo monsignor Luigi Poggi, scomparso nel 2010, è l’ultimo custode di quella che ancora oggi si chiama l’Entità, il "Sodalitium pianum" di antica memoria, il servizio segreto vaticano formalmente smantellato da Benedetto XV, nel nome predecessore di Ratzinger.

Poiché i simboli e i gesti, a San Pietro, contano assai più delle parole chi è molto addentro alle liturgie vaticane fa notare questo. Nell’ultimo giorno del suo pontificato, Benedetto XVI riceverà i tre cardinali estensori della Relationem in udienza privata. Subito dopo, al fianco di Tomko, vedrà i vescovi e i fedeli slovacchi in Santa Maria Maggiore. La sua ultima udienza pubblica. 27 febbraio, San Procopio il Decapolita, confessore. Poi il conclave.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/2/2013 11.12
Titolo:l’«Agenda Martini» a proposito del profilo del nuovo Papa
Quel che Martini voleva dire al Papa

di Georg Sporschill (Corriere della Sera, 25 febbraio 2013)

L’8 agosto 2012, su richiesta del cardinale Martini, gli ho fatto visita a Gallarate insieme a Federica Radice Fossati Confalonieri; è stato il nostro ultimo incontro. Abbiamo celebrato la Santa Messa in quattro nella cappella della casa dei gesuiti. Pregava, ormai con un filo di voce, per una missione a favore dei bambini di strada della Transilvania, per i giovani e per la donna impegnati in quel Paese.

Al momento della Comunione ha voluto alzarsi e con un aiuto ci è riuscito. Non dimenticherò mai quella scena, quanto fosse profondamente prostrato e nello stesso tempo forte. La fiducia di quest’uomo proveniva da un altro mondo. Dopo la Messa l’ho riportato in camera sulla sua sedia a rotelle. Era la stanza modesta di un gesuita.

Nel parlare, il cardinale cercava faticosamente ogni parola. Compiangeva la Chiesa che pure amava. Solo la sua fede in Dio spiega perché abbia lasciato le istituzioni ecclesiastiche e il ricco mondo occidentale con parole di critica radicale.

«La Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi». Con fede, fiducia, coraggio. Per consentire l’ingresso dello Spirito Santo nell’Istituzione il cardinale ha suggerito al Papa e ai vescovi di circondarsi di persone vicine ai giovani e ai poveri. Naturalmente tra queste vi devono essere anche donne. Solo con uomini anziani sarebbe impossibile.

La principale preoccupazione del cardinale era la perdita di credibilità che la Chiesa aveva subito presso vaste schiere di persone. Non si trattava delle leggi o dei dogmi, ma della capacità di assistenza, di ascolto. «Sappiamo occuparci delle domande dei giovani, dei problemi delle famiglie allargate, dei non credenti?», chiedeva dubbioso. Coloro che sono lontani dalla Chiesa hanno un messaggio per noi, sosteneva. Più che la coincidenza di vedute gli interessavano il dialogo, la comune ricerca. Il suo pensiero ammetteva le contraddizioni, come la Bibbia.

Più volte ha chiesto che la Chiesa si scusasse per quanto aveva affermato in passato sul tema della sessualità. Con un coraggio, come quello che aveva mostrato Giovanni Paolo II quando in Israele chiese perdono agli ebrei per i peccati della Chiesa. A questo proposito scrisse a papa Benedetto XVI personalmente. Spesso citava ad esempio l’enciclica Humanae Vitae di Paolo VI, un Papa al quale era particolarmente legato. Affermava poi che la medicina e la psicologia avevano molto di nuovo da dirci sulla famiglia e la sessualità.

Le critiche espresse dal cardinale nel suo ultimo colloquio erano come un testamento, scritto per amore. Con fermezza poneva alcune persone al centro: i poveri, coloro che ricercano la fede, le donne e gli stranieri. A loro si era dedicato con tutte le forze per l’intera vita. Non a caso le sue richieste hanno preso il nome di «Agenda Martini» per il conclave.

Il cardinal Martini era molto vicino a papa Benedetto XVI. Per oltre un decennio, come cardinali sono stati membri della Congregazione per la Dottrina della Fede, avevano anche la stessa età.

Eppure i due uomini avevano sentimenti e pensieri molto diversi. Ciò nondimeno la lealtà dell’anziano cardinale al Santo Padre era indiscutibile. Era il giugno del 2012 quando il cardinal Martini ha visto per l’ultima volta papa Benedetto XVI, in visita a Milano. In quella occasione, è tornato nel palazzo che aveva lasciato nel 2002. Lo ha fatto in sedia a rotelle e il Papa si è chinato su di lui. Quando ha quasi ordinato al Pontefice di accomodarsi, questi contro ogni regola dettata dal protocollo si è seduto e l’anziano vescovo ha potuto ravvisare nei suoi occhi stanchi la fragilità del coetaneo. Il coraggio l’ha così abbandonato, non poteva fargli le proposte che aveva preparato. Gli ha detto solo: «Santo Padre, prego per Lei e per la Chiesa».

Il cardinale ha raccontato commosso di quell’incontro con il Pontefice e aggiunto con una nota umoristica: «Il sarto del Papa dev’essere un artista per fargli star bene gli abiti». La sua infermiera gli ha chiesto allora: «Eminenza, Lei, debole e anziano, lascerebbe l’ufficio di Papa o vescovo?». Il cardinale deve aver risposto: «Sì, mi ritirerei a Montecassino». Era come se avesse spianato la strada alla grande e sorprendente decisione del Pontefice.

Cosa dice l’«Agenda Martini» a proposito del profilo del nuovo Papa? Deve essere un ottimista come Giovanni XXIII: non difendere ciò che è antiquato, ma aprire le porte della Chiesa al nuovo. Deve avere molta comprensione umana e fiducia nel futuro. Deve avere amore come Paolo VI. Forse aveva un eccessivo timore delle possibilità offerte dalla tecnologia, dalla medicina e dalla libertà sociale, ma era una preoccupazione per l’uomo, come amava sottolineare il cardinal Martini quando criticava l’Enciclica Humanae Vitae . Lo poteva testimoniare egli stesso, poiché Paolo VI lo invitava spesso come un amico, a discutere di questioni bibliche.

Deve essere deciso come Giovanni Paolo II. Il cardinal Martini raccontava che il Papa polacco aveva nominato lui, originario di Torino, arcivescovo di Milano, senza ascoltare le obiezioni. Aveva deciso e basta. Con la sua forza riusciva a muovere molte cose in Vaticano e nella politica ecclesiastica. Una forza che ha fatto addirittura crollare la cortina di ferro.

Cosa deve avere dei suoi predecessori il nuovo Papa? Può costruire su ciò che ha fatto Benedetto XVI che voleva preservare la Chiesa dai pericoli, voleva tenere tutti nella comunità ecclesiastica, anche la Fraternità San Pio X. Puntava sulle élite , che vedeva nei nuovi movimenti. Ora ci vuole l’ agere contra , un movimento rivolto alle parrocchie, la rivalutazione delle chiese locali e l’ascolto del mondo intero, come coraggiosamente faceva il cardinal Martini. Benedetto XVI nel suo clericalismo era spinto da forze centripete, ora occorrono energie centrifughe. Con un vescovo proveniente dal Nuovo Mondo, dall’Africa o dalle Filippine, lo Spirito Santo ci può sorprendere più che con un difensore del Vecchio Mondo. Quanto deve essere giovane, straniero, sfrontato o di colore oggi uno strumento dello Spirito Santo?
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/3/2013 12.32
Titolo:Il «Conclave delle donne». Il “Comité de la Jupe” ...
Il «Conclave delle donne»

di Bureau du Comité de la Jupe

in “www.comitedelajupe.fr” del 27 febbraio 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Il “Comité de la Jupe” con il sostegno della Conferenza dei Battezzati e delle Battezzate, ha deciso di riunire il “Conclave delle donne”, il 9 marzo prossimo, a Parigi.

Questo “Conclave delle donne” prende atto del fatto che le donne hanno delle cose da dire sulle richieste spirituali dei nostri contemporanei e sui mezzi che si ritiene che siano necessari alla Chiesa per essere in grado di compiere la sua missione in futuro. Alla vigilia dell’apertura del Conclave, conclave di uomini (maschi), “mezzo conclave”, è opportuno ricordare il valore del contributo delle donne su questioni essenziali.

Vi parteciperanno settantadue donne, come i settantadue discepoli che Gesù aveva inviato in missione (Luca 10). Settantadue donne che danno voce a tutte quelle donne in vearie parti del mondo, la cui fede, le cui competenze, il cui coinvolgimento per il bene comune o la causa dei più deboli potrebbero fare di loro delle “cardinalesse” di grande valore.

Se desiderate far parte del Conclave delle donne, inviate la vostra richiesta nello stesso modo in cui si inviano i commenti.
- http://www.comitedelajupe.fr/evenement/le-conclave-des-femmes/

Vi risponderemo nella misura dei posti disponibili.

Svolgimento del Conclave delle donne (senza pubblico)

Il conclave delle donne comporterà due momenti di preghiera, per portare le nostre riflessioni davanti al Signore e chiedergli il suo aiuto. La maggior parte dei lavori dell’incontro consisterà nell’ascoltare i contributi delle partecipanti sui cinque temi seguenti:

1.

- Le urgenze del nostro tempo
- Che cosa aspettano i nostri fratelli e le nostre sorelle (credenti e non), quali sono i loro dolori, le loro gioie, i loro tesori (“L à dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore”, Mt 6,21)?

2.

- La nostra fede
- In che cosa consiste la nostra fede, la nostra speranza, la nostra carità, dov’è la salvezza, come la mettiamo col male?...

3.

- Il modo in cui la Chiesa rende conto della sua missione
- La Chiesa risponde alla sua missione? Come testimonia un Dio che libera, un Dio che ama, un Dio che fa sperare?

4.

- I mezzi che la Chiesa si dà per essere configurata alla sua missione
- Quali disposizioni assume? Collegialità, sussidiarietà, trasparenza, finanziaria in particolare, misericordia... Come aveva chiesto Giovanni XXIII, che il Concilio Vaticano II eserciti “la medicina della misericordia”, c’è oggi una misericordia da esercitare (verso i divorziati risposati, ad esempio), occorre chiedere che siano superate tutte le condanne e le discriminazioni fatte in base al sesso.

5.

- Gli atti profetici che ne derivano
- Dovranno essere proposti dalle partecipanti e saranno oggetto di votazione.

L’Ufficio del Comité de la Jupe

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Commenti Articolo 559

Titolo articolo : Riflessioni sui risultati delle elezioni politiche 2013,di Lucio Garofalo

Ultimo aggiornamento: March/04/2013 - 00:42:35.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/2/2013 16.08
Titolo:IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE GENERA MOSTRI ....
Messaggio originale-----
- Da: La Sala Inviato: domenica 27 gennaio 2002 0.09
- A: posta@magistraturaassociata.it
- Oggetto: Per la nostra sana e robusta Costituzione...

Stimatissimi cittadini-magistrati

"Nella democrazia - come già scriveva Gaetano Filangieri nella sua opera La Scienza della Legislazione (1781-88) - comanda il popolo, e ciaschedun cittadino rappresenta una parte della sovranità: nella concione [assemblea di tutto il popolo], egli vede una parte della corona, poggiata ugualmente sul suo capo che sopra quello del cittadino più distinto. L’oscurità del suo nome, la povertà delle sue fortune non possono distruggere in lui la coscienza della sua dignità. Se lo squallore delle domestiche mura gli annuncia la sua debolezza, egli non ha che a fare un passo fuori della soglia della sua casa, per trovare la sua reggia, per vedere il suo trono, per ricordarsi della sua sovranità"(Libro III, cap. XXXVI).

Tempo fa una ragazza, a cui da poco era morta la madre e altrettanto da poco cominciava ad affermarsi il partito denominato "Forza Italia", discutendo con le sue amiche e i suoi amici, disse: "Prima potevo gridare "forza Italia" e ne ero felice. Ora non più, e non solo perché è morta mia madre e sono spesso triste. Non posso gridarlo più, perché quando sto per farlo la gola mi si stringe - la mia coscienza subito la blocca e ricaccia indietro tutto. Sono stata derubata: il mio grido per tutti gli italiani e per tutte le italiane è diventato il grido per un solo uomo e per un solo partito. No, non è possibile, non può essere. E’ una tragedia!". Un signore poco distante, che aveva ascoltato le parole della ragazza, si fece più vicino al gruppo e disse alla ragazza: "Eh, sì, purtroppo siamo alla fine, hanno rubato l’anima, il nome della Nazionale e della Patria. E noi, cittadini e cittadine, abbiamo lasciato fare: non solo un vilipendio, ma un furto - il furto dell’anima di tutti e di tutte. Nessuno ha parlato, nessuno. Nemmeno la Magistratura!".

Oggi, più che mai, contro coloro che "vogliono costruire una democrazia populista per sostituire il consenso del popolo sovrano a un semplice applauso al sovrano del popolo"(don Giuseppe Dossetti, 1995), non è affatto male ricordarci e ricordare che i nostri padri e le nostre madri hanno privato la monarchia, il fascismo e la guerra del loro consenso e della loro forza, si sono ripresi la loro sovranità, e ci hanno dato non solo la vita e una sana e robusta Costituzione, ma anche la coscienza di essere tutti e tutte - non più figli e figlie della preistorica alleanza della lupa (o della vecchia alleanza del solo ’Abramo’ o della sola ’Maria’) - figli e figlie della nuova alleanza di uomini liberi (’Giuseppe’) e donne libere (’Maria’), re e regine, cittadine-sovrane e cittadini-sovrani di una repubblica democratica.

Bene avete fatto, con la Vs. Lettera aperta ai cittadini, a rendere pubbliche le vostre preoccupazioni e a dire e a ridire che la giustizia non è materia esclusiva dei magistrati e degli addetti ai lavori, ma un bene di tutti e di tutte, e che tutti i cittadini e tutte le cittadine sono uguali davanti alla legge. E altrettanto bene, e meglio (se permettete), ha fatto il Procuratore Generale di Milano Borrelli, già all’inizio (e non solo alla fine) del suo discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario, quando ha detto: "porgo il mio saluto, infine, ai cittadini, anzi, alle loro maestà i cittadini, come soleva dire il compianto Prefetto Carmelo Caruso, avvicinati oggi da un lodevole interesse a questa cerimonia, del resto non esoterica nonostante il paludamento, ma a loro destinata"; e, poco oltre, riferendosi specificamente alle "difficoltà che la giustizia minorile incontra", ha denunciato che "il denominatore comune - generatore del disagio donde nascono devianze, sofferenze, conflitti - è rappresentato dalle carenze di un’autentica cultura dell’infanzia, a volte necessitata dalle circostanze, a volte frutto di disattenzione, spesso causata dall’incapacità negli adulti di trasmettere valori che si discostino dall’ideologia di un’identità cercata, secondo la nota espressione di Erich Fromm, nell’avere piuttosto che nell’essere". Da cittadino-magistrato non ha fatto altro che dire e fare la stessa cosa che don Lorenzo Milani, il cittadino-prete mandato in esilio a Barbiana, in tempi di sonnambulismo già diffuso (1965): suonare la campana a martello, svegliare - praticare la tecnica dell’amore costruttivo per la legge e, ricondandoci di chi siamo e della parte di corona che ancora abbiamo in testa, avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani....

Cordiali saluti

Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/2/2013 16.22
Titolo:Se non sono chiacchiere, è una buona occasione ....
Se non sono chiacchiere, è una buona occasione

di Margherita Hack (l’Unità, 27.02.2013)

MI SEMBRA CHE SE CI FOSSE UN PO’ DI BUON
SENSO E DI BUONA VOLONTÀ, da queste elezioni potrebbe uscire il governo più forte che ci sia mai stato negli ultimi anni.
Per dire questo, parto da una constatazione: Grillo e i grillini in fondo vogliono molte cose che vuole anche la coalizione di centro sinistra. Almeno su quelle cose, quindi, le due forze potrebbero trovare un accordo. Così l’Italia ingovernabile potrebbe essere governata per fare quello che c’è da fare in tempi brevi.

E cioè:
1) Intervenire sul conflitto d’interessi.
2) Una nuova legge elettorale che ridia al cittadino la possibilità di scegliere i propri rappresentanti.
3) Una drastica riduzione dei costi della politica, con riduzione del numero dei parlamentari, eliminazione dei vantaggi e dei privilegi di cui godono.
4) Una riduzione delle spese militari che renda subito disponibili fondi da investire in modo prioritario per la scuola e la ricerca.
5) L’eliminazione delle province. E non il loro accorpamento che solleverebbe infinite diatribe e avrebbe come risultato un raddoppiamento degli uffici e quindi delle spese.
6) Una politica del lavoro. Su questo, non ho ricette perché non sono un’economista e non so come si faccia a creare lavoro in un’Europa in crisi. Però credo che ci siano alcuni settori pubblici di risanamento e di rispetto dell’ambiente che potrebbero creare posti di lavoro e andrebbero privilegiati.
7) I diritti civili. C’è da mettere mano al testamento biologico, ai matrimoni di fatto, alla revisione della legge 40. Su alcune di queste cose si può pensare di mettere d’accordo anche i grillini.
8) Infine, ci sarebbe da facilitare il processo di integrazione degli immigrati, abolendo le leggi indegne fatte dalla Lega.

Almeno su alcuni di questi punti si potrebbe trovare un accordo e andare avanti fino alla fine della legislatura, senza perdersi nei distinguo sulle cose meno importanti. In questo quadro anche Monti con i suoi potrebbe fare un’opposizione intelligente, da economista che ha a cuore la riduzione del debito pubblico e le condizioni economiche del Paese.

Del resto, non c’è altra possibilità: la grande coalizione col Pdl non è possibile. Basta che quello che dice Grillo non siano chiacchiere.
Autore Città Giorno Ora
Gianluca Trentini Argenta (fe) 04/3/2013 00.42
Titolo:prova a parlare male di me
Ma tu lucio chi sei,parli male di tutti, le persone sono tutte rincoglionite,non fai una analisi costruttiva ,giudichi come chi detiene il monopolio della verità, ma perchè non ti sei presentato alle elezioni,sarebbe stato un successone.
Ma riesci anche a piantare una cipolla?
Ad argenta,abbiamo costituito una lista civica movimento 5 stelle,vogliamo riprenderci il nostro comune, siamo persone ne di destra ne di sinistra ne di centro ne di centro sinistra ne di centro destra ,persone capito!!!le ideologie sono finite ti aspettiamo datti da fare anche tu,o sai fare solo a scrivere? perchè non giudichi anche noi?

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Commenti Articolo 560

Titolo articolo : L'APOCALISSE E IL POTERE CHE FRENA.L’ultimo lavoro di Massimo Cacciari: un'intervista di Alessandro Zaccuri e le note di Roberto Esposito e Giorgio Montefoschi - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/03/2013 - 11:45:38.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/2/2013 06.26
Titolo:28 febbraio 2013: fine del pontificato di Benedetto XVI ...
MESSAGGIO DELL’EVANGELO ("DEUS {CHARITAS} EST": 1 Gv. 4.8), MESSAGGIO DEL POSSESSORE DELL’"ANELLO DEL PESCATORE" ("DEUS {CARITAS} EST": BENEDETTO XVI, 2006), E TEOLOGIA POLITICA DELL’"UOMO SUPREMO" ("DOMINUS IESUS", 2000):

IL PAPA EMERITO, L’ANELLO DEL PESCATORE (PIRATA) DISTRUTTO, E UNA BUONA OCCASIONE PER LA CHIESA.

Una nota - con appunti:

http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/Ratzinger/Interventi_1361982077.htm
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Federico La Sala Milano 28/2/2013 17.24
Titolo:DIBATTITO Apocalisse alle porte, il potere si scatena
DIBATTITO

Apocalisse alle porte, il potere si scatena

di Alessandro Zaccuri (Avvenire, 28 febbraio 2013)

​A porre la domanda in modo diretto è il monaco Enzo Bianchi: «I cristiani, oggi, sono ancora consapevoli di vivere nel tempo dell’attesa? La prospettiva escatologica ha ancora importanza per i credenti oppure il discorso sulla fine è qualcosa che, in definitiva, pensiamo non ci riguardi?». Interrogativi che nascono dall’intervista - pubblicata ieri su «Avvenire» - in cui il filosofo Massimo Cacciari presenta i temi del suo nuovo libro, Il potere che frena, in uscita da Adelphi. Una riflessione sul katechon, la misteriosa entità evocata da Paolo nella Seconda lettera ai Tessalonicesi (2,6-7) alla quale è deputato il compito di «trattenere» l’Anticristo, ritardandone la vittoria.

«È una prospettiva ben nota all’apocalittica giudaica - sottolinea Bianchi -, nella quale si incontrano spesso figure di falsi messia, le cui sembianze sono ingannevolmente simili a quelle del Figlio di Dio. È la stessa dinamica per cui, nell’Apocalisse di Giovanni, la Bestia del potere imperiale assume la stessa forma dell’Agnello e pretende una liturgia che ricorda quella che all’Agnello stesso sarebbe dovuta. Il che non significa che, per i credenti, il potere partecipi necessariamente di questa natura diabolica. Il cristianesimo, nel suo manifestarsi storico, rifugge dall’anarchia e predilige un ordine statale ben delineato. Nel contempo, però, occorre vigilare affinché lo Stato non si travesta da angelo di luce, in modo da dissimulare il volto della Bestia». Sì, ma il katechon quale ruolo gioca? «Misterioso, secondo Paolo. E qui dobbiamo fermarci - suggerisce Bianchi -. Del resto, è l’atteggiamento tenuto dalle Chiese orientali, che non hanno mai mostrato eccessiva curiosità per questa categoria. Il dibattito sulla Seconda lettera ai Tessalonicesi si è sviluppato più che altro in Occidente, determinando una serie di identificazioni storiche e politiche non di rado influenzate dall’ideologia del momento».

«A partire da quei due versetti si può dire di tutto e tutto, in effetti, è stato detto», avverte Marco Rizzi, lo studioso di letteratura cristiana antica che, insieme con Gian Luca Potestà, sta curando per la Fondazione Valla la raccolta di testi patristici e medievali sull’Anticristo. «L’orizzonte - prosegue Rizzi - è quello del prolungarsi dell’attesa. Lo stesso Paolo, che nella Prima lettera ai Tessalonicesi, si è detto convinto dell’ormai imminente ritorno del Signore, deve fare i conti con un ritardo che rischia di apparire inspiegabile.

Da qui il riferimento al katechon come forza che, in quel preciso momento, contribuisce a rallentare il disegno divino. L’accenno appartiene a un contesto sovrabbondante di immagini oscure, com’è normale nel genere letterario dell’apocalittica. Paolo, insomma, non mira alla precisione, gli basta trasmettere ai suoi lettori l’impressione e la consapevolezza che il loro presente è un tempo fortemente connotato in senso escatologico. Si tratta di suggestioni che più tardi confluiranno nell’opera di Ireneo di Lione, al quale dobbiamo la prima trattazione sistematica sulla figura dell’Anticristo. Ma del katechon, di fatto, Ireneo non si occupa e perfino Agostino affermerà di non comprendere quali fossero le intenzioni di Paolo».

A proporre una possibile interpretazione di questo che, ripete, resta un passaggio fra i i più complessi dell’epistolario paolino è il teologo Giacomo Canobbio: «Tra le tante ipotesi sembra avere una qualche plausibilità l’annuncio del Vangelo - osserva -. Nella storia si riscontra una contrapposizione tra il potere del Vangelo e le forze del male, già presente nella vicenda di Gesù.

Tuttavia il cristianesimo ha sempre respinto ogni forma di dualismo di sapore manicheo. L’ostacolo al trionfo dell’Anticristo sta dunque nell’azione di Dio quale si è manifestata in Gesù, che in quanto risorto diventa il segno e l’esemplare della vittoria sul male. In tal senso, comunque si identifichi l’Anticristo, esso è radicalmente depotenziato: nel mondo, nonostante la percezione di un’accresciuta virulenza del male, opera la forza di Gesù risorto, che si identifica con lo Spirito al quale va ascritto l’annuncio del Vangelo. Nessun potere “mondano” pertanto pare possa essere identificato con il katechon, neppure il potere della Chiesa quando questo fosse inteso nel senso “mondano”. Ovvio che non si può immaginare un annuncio del Vangelo senza un soggetto che lo annunci e quindi che metta in conto dinamiche anche di potere, purché questo sia da intendere nel senso indicato da Gesù».

In ogni caso, sostiene Canobbio, una dimensione “politica” è in una certa misura connaturata alla teologia. «La forza critica del Vangelo vale nei confronti di tutti i poteri - spiega -. Ciò non significa che si debba negare il valore del potere nella società e nella Chiesa. Significa piuttosto che il potere diventa una funzione per qualcosa d’altro. In riferimento al katechon, ogni potere potrebbe essere pensato come ostacolo al male, la cui virulenza a volte è accresciuta dal potere stesso quando dimentica la sua originaria funzione (sia nella società civile sia nella Chiesa). Una teologia politica diventa legittima quando, in nome del Vangelo, diventa smascheramento dell’uso ideologico delle categorie teologiche».
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Federico La Sala Milano 03/3/2013 11.45
Titolo:BOFF. Prima che sia troppo tardi!
Appello per la riforma della Chiesa ... prima che sia troppo tardi!

di Leonardo Boff *

Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere.
- Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. (Mc 10, 42-44)

La Chiesa-istituzione come “casta meretrix”

di Leonardo Boff 27/02/2013

Chi ha seguito le notizie degli ultimi giorni sugli scandali dentro al Vaticano, portati a conoscenza dai giornali italiani “La Repubblica” e “La Stampa”, che parlano di una relazione di 300 pagine e elaborata da tre cardinali provetti sullo stato della curia vaticana, deve naturalmente, essere rimasto sbalordito. Immagino i nostri fratelli e sorelle devoti, frutto di un tipo di catechesi che celebra il Papa come “il dolce Cristo in Terra”. Devono star soffrendo molto, perché amano il giusto, il vero e il trasparente e mai vorrebbero legare la sua immagine a notorie malefatte di assistenti e cooperatori.

Il contenuto gravissimo di queste relazioni rafforza, a mio parere, la volontà del papa di rinunciare. E’ la riprova di un’atmosfera di promiscuità, di lotta per il potere tra “monsignori”, di una rete di omosessuali gay dentro al Vaticano e disvio di denaro attraverso la banca del Vaticano come se non bastassero i delitti di pedofilia in tante diocesi, delitti che hanno profondamente intaccato il buon nome della Chiesa-istituzione.

Chi conosce un poco la storia della Chiesa - e noi professionisti dell’area dobbiamo studiarla dettagliatamente - non si scandalizza. Ci sono state epoche di vera rovina del Pontificato con Papi adulteri, assassini e trafficanti di immoralità. A partire da Papa Formoso (891-896) sino a Papa Silvestro (999-1003) si instaurò, secondo il grande storico cardinale Baronio, l’“era pornocratica” dell’alta gerarchia della Chiesa. Pochi papi la passavano liscia senza essere deposti o assassinati. Sergio III (904-911), assassinò i suoi 2 predecessori, il Papa Cristoforo e Leone V.

La grande rivoluzione nella Chiesa come un tutto è avvenuta, con conseguenze per tutta la storia ulteriore, col papa Gregorio VII, nel 1077. Per difendere i suoi diritti e la libertà della istituzione-Chiesa contro re e principi che la manipolavano, pubblicò un documento che porta questo significativo titolo “Dictatus Papae” che tradotto alla lettera significa “la dittatura del Papa”. Con questo documento, lui assunse tutti poteri, potendo giudicare tutti senza essere giudicato da nessuno. Il grande storico delle idee ecclesiali Jean-Yves Congar, domenicano, la considera la maggior rivoluzione avvenuta nella chiesa. Da una chiesa-comunità è passata a essere una istituzione-società monarchica e assolutista, organizzata in forma piramidale e che arriva fino ai nostri giorni.

Effettivamente il canone 331 dell’attuale Diritto Canonico si connette a questa lettura, con l’attribuzione al Papa di poteri che in verità non spetterebbero a nessun mortale se non al solo Dio: “in virtù del suo Ufficio, il Papa ha il potere ordinario, supremo, pieno, immediato, universale” e in alcuni casi precisi, “infallibile”.

Questo eminente teologo, Congar, prendendo la mia difesa davanti al processo dottrinario mosso dal cardinale Joseph Ratzinger in ragione del libro “Chiesa: carisma e potere” ha scritto un articolo su “La Croix” 08.09.1984) su “Il carisma del potere centrale”. Scrive: “il carisma del potere centrale è non aver nessun dubbio. Ora, non aver nessun dubbio su se stessi è, nello stesso tempo, magnifico e terribile. È magnifico perché il carisma del centro consiste precisamente nel rimanere saldi quando tutto intorno vacilla. E è terribile perché a Roma ci sono uomini che hanno limiti, limiti nella loro intelligenza, limiti del loro vocabolario, limiti delle loro preferenze, limiti nei loro punti di vista”. E io aggiungerei ancora limiti nella loro etica e morale.

Si dice sempre che la Chiesa è “Santa e peccatrice” e deve essere “riformata in continuazione”. Ma questo non è successo durante secoli e neppure dopo l’esplicito suggerimento del concilio Vaticano II e dell’attuale papa Benedetto XVI. L’istituzione più vecchia dell’Occidente ha incorporato privilegi, abitudini, costumi politici di palazzo e principeschi, di resistenza e di opposizione che praticamente impediscono o distorcono tutti i tentativi di riforma.

Solo che questa volta si è arrivati a un punto di altissimo degrado morale, con pratiche persino criminali che non possono più essere negate e che richiedono mutamenti fondamentali nella struttura di governo della Chiesa. Caso contrario, questo tipo di istituzionalità tristemente invecchiata e crepuscolare languirà fino a entrare nel suo tramonto. Scandali come quelli attuali sempre ci sono stati nella curia vaticana, soltanto non c’era quel provvidenziale Vatileaks per renderli di pubblico dominio e far indignare il Papa e la maggioranza dei cristiani.

La mia percezione del mondo mi dice che queste perversità nello spazio sacro e nel centro di riferimento di tutta la cristianità - il papato - (dove dovrebbe primeggiare la virtù e persino la santità) sono conseguenze di questa centralizzazione assolutista del potere papale. Questo rende tutti vassalli, sottomessi e avidi perché stanno fisicamente vicino al portatore del supremo potere, il Papa. Un potere assoluto, per sua natura, limita e perfino nega la libertà degli altri, favorisce la creazione di gruppi di anti-potere, fazioni di burocrati del sacro contro altre, pratica largamente la simonia che è compravendita di favori, promuove adulazioni e distrugge i meccanismi di trasparenza. In fondo tutti diffidano di tutti. E ognuno cerca la soddisfazione personale nella forma migliore che può. Per questo è sempre stata problematica l’osservanza del celibato all’interno della curia vaticana, come si sta rivelando adesso con l’esistenza di una vera rete di prostituzione gay. Fino a quando questo potere non sarà decentralizzato e non permetterà maggior partecipazione di tutti gli strati del popolo di Dio, uomini e donne, alla conduzione dei cammini della Chiesa, il tumore che sta all’origine di questa infermità continuerà a durare. Si dice che Benedetto XVI consegnerà a tutti i cardinali la suddetta relazione perché ciascuno sappia che problemi dovrà affrontare nel caso che sia eletto papa. E l’urgenza che avrà di introdurre radicali trasformazioni. Dal tempo della Riforma che si sente il grido: “Riforma nel capo e nelle membra”. E siccome mai è avvenuta, è nata la Riforma come gesto disperato dei riformatori di compiere tale impresa per conto proprio.

Per spiegare meglio ai cristiani e a tutti gl’interessati di problemi di Chiesa, torniamo alla questione degli scandali. L’intenzione è di sdrammatizzarli, permettere che se n’abbia una nozione meno idealista e a volte idolatrica della gerarchia e della figura del Papa e liberare la libertà a cui il Cristo ci ha chiamati (Gal 5,1). In questo non c’è nessun cattivo gusto per le cose negative né volontà di aumentare sempre di più il degrado morale. Il cristiano deve essere adulto, non può lasciarsi infantilizzare né permettere che gli neghino conoscenze teologiche e storiche per rendersi conto di quanto umana ed smodatamente umana può essere l’istituzione che ci viene dagli apostoli.

Esiste una lunga tradizione teologica che si riferisce alla Chiesa come casta meretrix, tema abbordato dettagliatamente da un grande teologo, amico dell’attuale Papa, Hans Urs von Balthasar (vedere in Sponsa Verbi, Einsiedeln 1971, 203-305). In varie occasioni il teologo Joseph Ratzinger è ritornato su questa denominazione.

La chiesa è una meretrice che tutte le notti si abbandona alla prostituzione; è casta perché Cristo, ogni mattina ne ha compassione, la lava è la ama.

L’habitus meretricius, il vizio del meretricio, è stato duramente criticato dai santi padri della Chiesa come Sant’Ambrogio, Sant’Agostino, San Gerolamo e altri. San Pier Damiani arriva chiamare il suddetto Gregorio VII “Santo satanasso” (D. Roma, compendio di storia della Chiesa, volume secondo, Petropolis, 1950, p. 112). Questa denominazione dura ci rimanda a quella di Cristo diretta Pietro. Per causa della sua professione di fede lo chiama “pietra”, ma per causa della sua poca fede e di non capire i disegni di Dio lo qualifica come “satanasso” (Vangelo di Matteo 16,23). San Paolo pare un moderno quando parla ai suoi oppositori con furia: “magari si castrassero tutti quelli che vi danno fastidio” (Galati, 5,12).

C’è pertanto un luogo per la profezia nella Chiesa e per le denunce delle malefatte che possono capitare in mezzo agli ecclesiastici e persino in mezzo ai fedeli.

Vi riporto un altro esempio tratto dagli scritti di un santo amato dalla maggioranza dei cattolici per il suo candore e bontà: Sant’Antonio da Padova. Nei suoi sermoni, famosi all’epoca, non appare niente affatto dolce e gentile. Fa una vigorosa critica ai prelati corrotti del suo tempo. Dice: “i vescovi sono cani senza nessuna vergogna perché il loro aspetto ha della meretrice e per questo stesso non vogliono vergognarsi” (uso l’edizione critica in latino pubblicata a Lisbona in due volumi nel 1895). Questo fu pronunciato nel sermone della quarta domenica dopo Pentecoste (pagina 278). Un’altra volta chiama i prelati “ scimmie sul tetto, da lì presiedono alle necessità del popolo di Dio”. (Op. cit p. 348). È continua: “Il vescovo della Chiesa è uno schiavo che pretende regnare, principe iniquo, leone che ruggisce, orso affamato di rapina che depreda il popolo povero” (p.348). Infine nella festa di San Pietro alza la voce e denuncia: “Attenzione che Cristo disse tre volte: pasci e neanche una volta tosa e mungi... Guai a quello che non pasce neanche una volta e tosa e munge tre o quattro volte...lui è un drago a fianco dell’arca del Signore che non possiede altro che apparenza e non verità” (volume secondo, 918).

Il teologo Joseph Ratzinger spiega il senso di questo tipo di denunce profetiche: “il senso della profezia risiede in verità meno in alcune previsioni che nella protesta profetica: protesta contro l’autosoddisfazione delle istituzioni, l’autosoddisfazione che sostituisce la morale con il rito e la conversione con le cerimonie” (Das neue volk Gottes, Düsseldorf 1969,250, esiste traduzione italiana Il nuovo popolo di Dio, Brescia 1971).

Ratzinger critica con enfasi la separazione che abbiamo fatto in riferimento alla figura di Pietro: prima della Pasqua, il traditore; dopo la Pentecoste, il fedele. “Pietro continua a vivere questa tensione del prima e del dopo; lui continua ad essere tutte due le cose: la pietra e lo scandalo...Non è successo lungo tutta la storia della Chiesa che il Papa era simultaneamente il successore di Pietro e la pietra dello scandalo” (p.259)?

Dove vogliamo arrivare con tutto questo? Vogliamo arrivare a riconoscere che la Chiesa-istituzione di papi, vescovi e preti è fatta di uomini che possono tradire negare e fare del potere religioso un affare e uno strumento di auto soddisfazione. Tale riconoscimento è terapeutico dato che ci cura di ogni ideologia idolatrica intorno alla figura del Papa, ritenuto come praticamente infallibile. Questo è visibile nei settori conservatori e fondamentalisti del movimento cattolico laici e anche di gruppi di preti. In alcuni è ancora viva una vera papolatria, che Benedetto XVI ha sempre cercato di evitare.

La crisi attuale della Chiesa provocato la rinuncia di un Papa che si è reso conto che non aveva più il vigore necessario per sanare scandali di tale portata. Ha buttato la spugna con umiltà. Che un altro più giovane venga e assuma il compito arduo e duro di pulire la corruzione nella curia romana e dell’universo dei pedofili, eventualmente punisca, deponga e invii i più renitenti in qualche convento per far penitenza e emendare la propria vita .

Soltanto chi ama la Chiesa può farle le critiche che gli abbiamo fatto noi citando testi di autorità classiche del passato. Se tu hai smesso di amare una persona un tempo amata, ti diventano indifferenti la sua vita e il suo destino. Noi ci interessiamo come fa l’amico e fratello di tribolazione Hans Kung (è stato condannato dalla ex inquisizione), forse uno dei teologi che più ama la Chiesa e per questo la critica.

Non vogliamo che i cristiani coltivino questo sentimento di poca stima e di indifferenza. Per quanto gravi siano stati gli errori e gli equivoci storici, l’istituzione-Chiesa custodisce la memoria sacra di Gesù e la grammatica dei Vangeli. Essa predica la libertà, sapendo che generalmente sono altri che liberano e non lei.

Anche così vale stare dentro la chiesa, come ci stavano S. Francesco, dom Helder Camara, Giovanni XXIII e noti teologi che hanno aiutato a fare il concilio Vaticano II e che prima erano stati tutti condannati dall’ex inquisizione, come de Lubac, Chenu, Congar, Rahner e altri. Dobbiamo aiutarla a uscire da quest’imbarazzo, alimentandosi di più col sogno di Gesù di un regno di giustizia, di pace e di riconciliazione con Dio e di sequela della sua causa e destino, piuttosto che di semplice giustificata indignazione che può scadere facilmente nel fariseismo e nel moralismo.

Altre riflessioni del genere si trovano nel mio libro Chiesa: carisma e potere, ed. Record, 2005, specialmente in appendice con tutte gli atti del processo celebrato all’interno dell’ex inquisizione nel 1984.

Traduzione: Romano Baraglia - romanobaraglia@gmail.com

*Il Dialogo, Domenica 03 Marzo,2013

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Commenti Articolo 561

Titolo articolo : IL PAPA EMERITO, L'ANELLO DEL PESCATORE (PIRATA) DISTRUTTO, E UNA BUONA OCCASIONE PER LA CHIESA. Una nota  - con appunti  ,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/03/2013 - 11:43:27.

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Federico La Sala Milano 27/2/2013 17.31
Titolo:In fondo, il passo indietro del Papa si può interpretare anche come ammissione d...
Il declino vaticano, specchio dell'Europa

di Massimo Franco (Corriere della Sera, 27.o2.2013)

La decisione di dimettersi di Benedetto XVI è stata epocale. E ha chiuso non soltanto il suo pontificato ma una stagione plurisecolare. Il suo gesto ha spinto quasi a forza il Vaticano dalla parte opposta di un simbolico confessionale. La Chiesa è stata costretta dalla propria crisi di identità nella posizione scomoda di chi deve spiegare e confessare i propri «peccati»; farsi accettare; e convincere l'opinione pubblica che si sta ravvedendo.

Con la decisione epocale di dimettersi da papa il 28 febbraio 2013, Benedetto XVI ha chiuso non solo la parabola del suo pontificato ma una stagione plurisecolare. E ha permesso di comprendere in modo traumatico un fenomeno che si intuiva oscuramente, senza riuscire a metterlo a fuoco perché considerato troppo inverosimile: il Vaticano è stato spinto quasi a forza dalla parte opposta di un simbolico confessionale.

La Chiesa, «maestra di vita» per antonomasia, è stata costretta dalla propria crisi di identità nella posizione scomoda, e per molti versi inedita, di chi deve spiegare e confessare i propri «peccati»; giustificarsi; farsi accettare; e convincere l'opinione pubblica che si sta ravvedendo, che è pentita, che cambierà modo di agire.

Si tratti dello scandalo della pedofilia, della trasparenza delle finanze della Santa Sede, delle tasse sugli immobili della Chiesa o degli intrecci con una Seconda Repubblica italiana nella fase finale della sua parabola, il Vaticano sembra condannato a sedere sul banco degli accusati.

A volte si ha perfino l'impressione che sia diventato una sorta di «imputato globale», messo sotto accusa dalla cultura occidentale. È come se gli si rimproverasse di non essere più lo stesso, di avere tolto la bussola morale a milioni di cittadini europei. Anche se non è chiaro fino a che punto sia stato lo stesso Occidente a perdere le coordinate etiche.

Ma è difficile sottrarsi all'impressione che la Chiesa viva una fase declinante; che la sua proiezione mondiale debba fare i conti con la consapevolezza di essere diventata una minoranza circondata dalla diffidenza o dall'indifferenza. Si tratta di un «impero» che può essere spinto dalle difficoltà a chiudersi in se stesso in modo orgoglioso ma perdente, di fatto favorendo la propria emarginazione; oppure indotto ad aprirsi in positivo a quella che viene chiamata modernità, sfidando la condizione scomoda di chi si vede contestare il primato morale.

Per ironia della sorte, ormai la Chiesa viene messa all'indice perfino quando è vittima e non responsabile di quello che accade: vittima anche nel senso più letterale del termine, al confine fra vita e morte. Quando si scorrono le cronache sulle stragi di cristiani in alcuni Paesi islamici e in Africa, è difficile non parlare di persecuzione.

Eppure, dopo le ambigue primavere arabe, le minoranze religiose legate al Vaticano sono additate come colpevoli per essere state alleate dei dittatori laici travolti dalle rivolte scoppiate nel Maghreb e in Egitto negli ultimi due anni: dal libico Gheddafi all'egiziano Mubarak. La Chiesa è messa dalla parte dei «perdenti», ma non nel senso nobile del termine. È accusata dalle nuove élite islamiche di essere stata complice di regimi autoritari, sebbene la ragione fosse quella della pura sopravvivenza. La protezione da parte di tali dittature, pagata peraltro a caro prezzo in termini di libertà, salvava le piccole comunità cristiane dal pericolo di essere sterminate e costrette ad andarsene. Come sta accadendo adesso.

Ma il caso più eclatante di un Vaticano vittima che alla fine si ritrova comunque nei panni dell'imputato è quello dei processi per la fuga di notizie riservate, che ha coinvolto addirittura l'Appartamento: parola alla quale la maiuscola fa assumere il significato di qualcosa di sacrale e inviolabile, perché si tratta dell'abitazione e degli uffici del papa. È stata una vicenda triste, dolorosa e traumatica per Benedetto XVI.

E sconvolgente per chi è abituato a pensare alla Chiesa come a una «società perfetta» almeno nelle sue stanze più alte, dotata di una superiorità morale, di un'unità e di un'armonia che mancano altrove e che sono una delle principali fonti della sua legittimazione. Anche in quel caso, il fatto che l'imputato fosse il maggiordomo storico di Benedetto XVI, Paolo Gabriele, ha gettato sull'intera vicenda una luce surreale. Alla sbarra è andato lui. Eppure, il suo arresto è stato quello virtuale di una cerchia di solidarietà e di abitudini, di silenzi e di imperdonabili leggerezze.

Sia perché alla fine lo scandalo è stato circoscritto in modo tale da fare apparire il maggiordomo insieme colpevole e capro espiatorio; sia perché non ci si è potuti non chiedere che tipo di ambiente umano lo abbia spinto a comportarsi in quel modo criminale. Sorprende il fatto che per anni abbia potuto agire indisturbato, senza che l'intelligence vaticana abbia mai sospettato nulla. Le voci contraddittorie su un perdono papale al suo maggiordomo «Paoletto» dopo la condanna, prima dato per scontato, poi rimandato fino a pochi giorni prima del Natale 2012, hanno aggiunto confusione e sospetti sul processo.

Soprattutto, al fondo è rimasta una sensazione sgradevole. E cioè che dentro le Sacre Mura abbiano trovato un habitat ideale i cosiddetti «Corvi»: personaggi spregevoli che in certi tribunali malati di faide e intrighi fanno uscire in modo anonimo notizie riservate e diffamanti, e che in Vaticano hanno agito per danneggiare l'uno o l'altro cardinale e perfino Benedetto XVI.

Quei palazzi che incutono rispetto e timore sono diventati in modo imprevedibile e sconcertante il nido dei Corvi. Li hanno cresciuti e moltiplicati, senza che nessuno sia riuscito a vedere o abbia voluto capire dove nascessero e perché.

È il paradosso di una Chiesa che ha per ragione sociale il primato morale, la difesa del significato più autentico dei valori della vita, l'insegnamento della fede. E invece mostra discordia, standard etici e comportamenti non solo discutibili ma contraddittori rispetto ai valori che promuove; e dunque rivela un divario sconcertante fra ciò che predica e quello che fa.

Dopo il tramonto di «un» Vaticano, quello plasmato dalla guerra fredda, stiamo assistendo alle conseguenze di questo declino. È finito il monopolio del giudizio su ciò che è bene e male per l'Occidente. Dal Paradiso virtuale, il Vaticano è passato a rappresentare il Purgatorio di una lunga espiazione della quale non si vede ancora la fine. Ed è diventato più evidente che la crisi è soprattutto quella di un sistema di governo inadeguato ai nuovi tempi. Il cuore del paradosso infatti pulsa a Roma, la Roma pontificia.

È dalla capitale del cattolicesimo che si propagano onde di incertezza e disorientamento. Ed è questo che fa più paura e preoccupa: storicamente, le grandi crisi degli imperi e delle istituzioni si rivelano e si consumano quando partono dal centro, e non dalla periferia.

Ma l'affanno all'interno del «suo» Occidente non dilata solo l'immagine del declino vaticano: riflette la crisi di identità del Vecchio Continente che combatte una sorta di guerra civile fra cristianesimo e indifferenza, fra valori religiosi e individualismo, senza riuscire a trovare un punto di compromesso.

La conseguenza è una rapida evoluzione verso un «mondo post-occidentale», come l'ha definito il Rapporto sui trend mondiali di qui al 2030 del National Intelligence Council. Il declino dell'impero vaticano accompagna quello degli Usa e di un'Unione Europea in crisi economica e demografica. Mostra un modello di papato e di governo ecclesiastico centralizzato, sfidati da una realtà inesorabilmente frammentata e decentrata; dominata da attori non statali e da religioni «fai da te», e da coordinate culturali che la classe dirigente vaticana fatica a elaborare e utilizzare.
D'altronde, la dicotomia Vaticano-Chiesa mai come adesso, forse, è vistosa e in qualche misura positiva.

Altrove la Chiesa cattolica è viva e vitale: perfino in alcuni Paesi di un Occidente che tende a osservarla come un retaggio del passato, e che sembra deciso a sottrarle a uno a uno i vecchi privilegi. Negli Stati Uniti, in America Latina, e soprattutto nell'Africa che non teme il martirio, il cattolicesimo appare consolidato, comunque meno fragile.

Ma dentro la Città del Vaticano si sta consumando la fine di un modello di governo e di una concezione del papato; e la decadenza di una nomenklatura ecclesiastica che rischia di passare alla storia con un carico di responsabilità esagerato rispetto a quelle che realmente ha a livello individuale. Il «papa teologo» ha denunciato di volta in volta quello che non andava, dipingendo affreschi inquietanti della realtà all'interno delle Sacre Mura. Ha analizzato il male, cercato i rimedi.

Ma si è sempre avuta l'impressione che mancasse qualcosa, perché gli aggiustamenti, per quanto radicali, non mettevano in discussione il sistema. Tentavano di risolvere il problema che di volta in volta esplodeva, ma non lo anticipavano, non riuscivano a prevederlo: insomma, non cambiavano un terreno di gioco che invece nel mondo era stato già sconvolto.

È significativo che in alcuni ambienti ostili si tenda a raffigurare il Vaticano come un «secondo Cremlino»: non quello trionfale e controverso del nuovo zar dei petrorubli Vladimir Putin, ma il Cremlino dell'Unione Sovietica, crollato con la sua classe dirigente insieme al comunismo. Dopo il simbolo del potere sovietico, predicono i nemici del Vaticano, cadrà anche il baluardo morale dell'anticomunismo.

Pur avendo vinto la guerra fredda, il Vaticano sarà sconfitto nel prossimo futuro, perché è venuto a mancare il suo storico avversario. È questa la tesi radicale, e a dir poco discutibile, che aleggia soprattutto in alcuni circoli del nord Europa: gli stessi che vagheggiano un'alleanza virtuosa delle nazioni protestanti e finanziariamente affidabili, contro il «lassismo» fiscale e impunito dei Paesi cattolici del Mediterraneo, a cui si aggiunge il sovraccarico della Grecia ortodossa.

Anche la crisi economica è rimbalzata addosso alla Chiesa cattolica in modo paradossale. Nata nel 2008 nelle stanze più potenti e segrete di Wall Street, la strada della Borsa di New York, e delle sue banche d'affari, si è propagata in Europa come un'epidemia provocata da un virus difficile da individuare.

Ma, invece di spingere ad analizzarne le origini, ha finito per risvegliare vecchi fantasmi del passato europeo, facendo riemergere le rughe e i veleni delle guerre di religione. Ha messo a forza sul banco degli imputati, inginocchiati come peccatori incalliti, la cultura e i popoli a maggioranza cattolica; e, sotto sotto, una Chiesa che assolvendo troppo facilmente si assolve troppo e che dunque si sarebbe «italianizzata» nel modo peggiore: al punto da evocare il concetto di «spread morale» su un ideale mercato della fede, che si intreccia allo «spread» dei titoli di Stato italiani sovrastati dalla «bontà» finanziaria di quelli tedeschi.

Paradosso nel paradosso, questo è avvenuto mentre sul soglio di Pietro sedeva un Papa tedesco bavarese che rifletteva nella sua persona tutta la ricchezza e le complessità dell'identità europea. L'ultimo atto d'accusa, l'alleanza che negli ultimi quindici anni la Chiesa italiana e il Vaticano hanno di fatto siglato con il centrodestra berlusconiano, lascia un segno a dir poco controverso sui rapporti fra Stato e Chiesa e sul cattolicesimo politico, che riemerge residuale e confuso. La stessa esigenza di una «nuova classe di politici cattolici», per quanto rilanciata in continuazione, si sta rilevando velleitaria, smentita com'è da una realtà di protagonismi e invidie. Sembra sottovalutare il problema altrettanto acuto di una nomenklatura ecclesiastica all'altezza dei tempi nella lettura della società italiana. In fondo, il passo indietro del Papa si può interpretare anche come ammissione di una inadeguatezza collettiva.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/2/2013 18.21
Titolo:VERSO UN'ERA COLLEGIALE ....
Verso un’era collegiale

di Franco Cardini

in “Quotidiano.Net” (Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione) del 13 febbraio 2013

È ancora presto per aspettarsi risposte sicure o comunque più attendibili e verosimili alla domanda che tutti ci andiamo ponendo in queste ore: quali sono state, nello specifico, le vere grandi ragioni che hanno indotto Joseph Ratzinger a rinunziare al suo alto ufficio?

Dalla ridda delle ipotesi va emergendo una direzione interpretativa che non va sottovalutata: che cioè Benedetto XVI si sia tirato indietro non in quanto disorientato dinanzi all’enigma delle prove che ancora attendono il pontificato e la Chiesa bensì, al contrario, in quanto fin troppo conscio della loro qualità ed entità. Non è escluso che l’autentico nucleo del messaggio inviato con queste dimissioni sia che sta giungendo per l’intera comunità cristiano-cattolica il momento di voltare sul serio pagine.

La ‘Profezia di Malachia’, qualunque sia il valore che vogliamo attribuirle, assegna al prossimo pontefice, Petrus Romanus, il ruolo di ultimo papa: e poi? Fine della Chiesa e magari fine del mondo, si è detto. Ma forse - proseguiamo nel gioco dell’attribuzione di un qualche valore a quell’antico e dubbio testo - ciò cui si allude è semplicemente un sia pure rivoluzionario mutamento istituzionale.

È la funzione pontificia che potrebbe venir messa in discussione ed esser fatta oggetto di cambiamenti radicali in un futuro magari prossimo. E potrebb’essere la consapevolezza di questa incombente rivoluzione ad aver suggerito a papa Benedetto che è ormai arrivata l’ora di farsi da parte. È a questo punto più chiaro il senso delle polemiche relative al valore e alla funzione del Concilio Vaticano II, che negli ultimi tempi erano arrivate a un livello d’intensità e di durezza che non si giustificava solo con la coincidenza del cinquantesimo anniversario di quell’evento.

In effetti potremmo affermare, parafrasando Marx ed Engels, che uno spettro si aggira nella storia della Chiesa cattolica moderna: il Concilio. L’assemblea dei capi delle singole comunità (le «chiese» vere e proprie) che nel loro insieme costituivano la comunità dei credenti nel Cristo, si affermò fino dai primi tempi di libera vita della Chiesa a partire dal IV secolo. I vescovi si riunivano periodicamente per regolare le questioni concernenti i dogmi, la liturgia e la disciplina comuni. Tali riunioni riunivano di solito solo alcune circoscrizioni locali, ma in casi di maggior importanza tutti i vescovi del mondo cristiano erano tenuti a partecipare: si aveva allora il «Concilio ecumenico», durante il quale si prendevano le grandi decisioni.

In tutto, la Chiesa ha fino ad oggi tenuto 21 Concilii ecumenici: fondamentali tra essi quelli del IV-V secolo (di Nicea, di Efeso, di Calcedonia), nei quali letteralmente si fondarono dogma, liturgia e disciplina; tra gli altri, ebbero speciale rilievo i quattro Concili lateranensi del 1123, del 1139, del 1179, del 1215, durante i quali si andò affermando, dopo lo scisma che aveva separato dal 1054 la Chiesa greca dalla latina, il principio - già del resto precedentemente proposto - del «primato di Pietro», cioè dell’autorità e del potere del vescovo di Roma come capo effettivo e supremo della compagine ecclesiale latina.

Il nucleo profondo della vita della Chiesa, espressa attraverso i vari Concili, era la continua necessità di riformarne la vita e i costumi. Reformatio è quasi la parola magica che attraversa il mondo ecclesiale soprattutto tra XI e XVI secolo. Ma appunto durante il medioevo apparve sempre più chiaro che autorità personale del vescovo di Roma e autorità collegiale degli altri vescovi erano in obiettivo conflitto tra loro.

Esso divenne drammatico nella prima metà del Quattrocento allorché - dopo il lungo periodo avignonese e il cosiddetto «Grande Scisma d’Occidente» che lo aveva seguito a ruota, tra 1378 e 1414 - la deposizione l’uno dopo l’altro di ben tre pontefici (Gregorio XII, Benedetto XIII e Alessandro V) in soli cinque anni tra 1409 e 1414 e la successiva convocazione di due grandi Concilii, a Costanza fra ’14 e ’17 e a Basilea (poi trasferito a Ferrara e quindi a Firenze) fra ’39 e ’49, mise talmente in discussione l’autorità papale da consentir la nascita di una nuova dottrina, detta appunto “conciliarismo”, che postulava la superiorità del Concilio sul papa in termini di direzione della Chiesa.

Una di quelle coincidenze non infrequenti nella storia volle che fosse proprio l’intellettuale che come segretario del Concilio di Basilea aveva contribuito in modo determinante alla nascita della dottrina conciliaristica, il senese Enea Silvio Piccolomini, una volta divenuto papa col nome di Pio II si rivelò il più deciso e feroce paladino del monarchismo pontificio.

Dopo la metà del Quattrocento, i Concilii diventarono molto rari. Il V Concilio lateranense tra 1512 e 1517, che avrebbe dovuto decisamente riformare la Chiesa sconvolta dal malcostume dei pontefici e dei prelati del secolo precedente, si concluse con quella che è passata alla storia come la «Riforma» per eccellenza, la protestante, che coincise peraltro con un grande scisma all’interno della Chiesa d’Occidente.

Dopo allora, il fallimento al suo principale scopo del Concilio di Trento, che si svolse dal 1545 al 1563 con l’iniziale obiettivo del risanamento dello scisma avviato da Lutero, servì quasi da vaccino per i vertici della Chiesa romana: dopo allora non si convocarono più Concilii ecumenici prima del grande Vaticano I del 1870, che fu riunito appositamente per rafforzare l’autorità del papa di Roma e addirittura - in un grave momento di crisi politica, la fine del potere temporale - ne proclamò l’infallibilità ex cathedra.

Il Vaticano II emendò, modificò e corresse l’indirizzo del Concilio precedente e dette vita a una nuova stagione di teorie neoconciliariste, sostenute soprattutto dalla scuola dei teologi e degli storici dossettiani di Bologna. Dopo allora, il lungo pontificato di Giovanni Paolo II coincise con una rinnovata era di forte monarchismo papale, del quale Joseph Ratzinger fu il teologo. Ma è proprio lui, una volta divenuto papa, che dopo un governo di otto anni lascia significativamente l’incarico subito dopo un concistoro di cardinali che (non lo sappiamo) può essere stato tempestoso.

E allora, la domanda che è legittimo formulare è questa: che la nuova età della Chiesa, quella che Benedetto XVI ha compreso necessaria ma non si è sentito di gestire, sia quella di una rinnovata proposta conciliaristica di direzione non più monarchica, bensì collegiale della Chiesa cattolica? Il prossimo conclave e il nuovo pontefice risponderanno a questa domanda.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/2/2013 06.49
Titolo:BENEDETTO XVI. "Momenti difficili, ma la Chiesa è viva. Non mi ritiro a vita pri...
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Benedetto XVI commosso all'ultima udienza:
"Scelta difficile. Non scendo dalla croce"

Ratzinger, davanti a 200mila fedeli, torna a parlare delle dimissioni: "Momenti difficili, ma la Chiesa è viva. Non mi ritiro a vita privata". E poi: "Grazie per essere così numerosi". In prima fila i cardinali Dolan, Pell e Bagnasco. Il pontificato si conclude domani alle 20. Poi Ratzinger sarà "papa emerito"




CITTA' DEL VATICANO - ''Vi ringrazio di essere venuti così numerosi a questa ultima udienza generale del mio pontificato. Grazie di cuore, sono veramente commosso e vedo la Chiesa viva e penso che dobbiamo dire grazie al Creatore per il tempo bello che ci dona anche se è inverno!". Con queste parole Benedetto XVI ha salutato i quasi 200mila fedeli presenti questa mattina in piazza San Pietro per la sua ultima udienza generale. "Il 19 aprile del 2005 ho pensato: Signore, che cosa mi chiedi? È un peso grande quello che mi poni sulle spalle, ma se Tu me lo chiedi sulla Tua parola getterò le reti'' e ''il Signore mi ha veramente guidato'', ha detto il Papa, ripercorrendo il suo pontificato e sottolineando le difficoltà attraversate. "In questi 8 anni il Signore mi ha guidato, mi è stato vicino, ho potuto sentire la sua presenza ogni giorno. La Chiesa ha vissuto giorni felici, ma anche momenti non facili, nei quali mi sono sentito come San Pietro in barca con i pescatori. Il Signore sembrava dormire, ma ho sempre saputo che in quella barca c'era. La barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua, e il Signore non la lascia affondare".

In prima fila. Hanno assistito all'ultima udienza generale numerosi cardinali. In prima fila, sul sagrato della Basilica di San Pietro, i cardinali di Curia Re, Braz de Aviz, Canizares e Antonelli chiacchierano con alcuni arcivescovi residenziali già arrivati per il Conclave, tra i quali l'italiano Bagnasco, gli
statunitensi Dolan e Wuerl, l'australiano Pell.

Mai solo. "Io non mi sono mai sentito solo nel portare la gioia e il peso del ministero petrino". Tra gli applausi, Benedetto XVI ha ringraziato i cardinali e i collaboratori, "ad iniziare dal mio Segretario di Stato Bertone, che mi ha accompagnato con fedeltà in questi anni". Proprio l'uomo finito più volte nel mirino delle polemiche negli ultimi mesi, soprattutto con l'esplosione del caso Vatileaks.

Nessuna privacy. ''Chi assume il ministero petrino - ha detto ancora Papa ritornando con il pensiero ai sentimenti del giorno dell'elezione - non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa. Alla sua vita viene, per così dire, totalmente tolta la dimensione privata. Ho potuto sperimentare - ha aggiunto - e lo sperimento precisamente ora, che uno riceve la vita proprio quando la dona''. E il pensiero corre ai documenti spariti dalla scrivania del Papa, nel palazzo apostolico.

"Non abbandono la croce". Da oggi la sua vita non sarà comunque un ''ritornare nel privato''. Benedetto XVI ha detto che non avrà ''una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze, eccetera. Nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di San Pietro. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso".

Passo grave, ma sereno. Il Papa è tornato a sottolineare la gravità della sua decisione, confermando però di aver fatto il passo con serenità: "Ho fatto questo passo nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità, ma anche con una profonda serenità d'animo. Negli ultimi mesi - ha aggiunto - ho sentito che mie forze erano diminuite e ho chiesto a Dio di illuminarmi nella preghiera per farmi prendere la decisione più giusta non nel mio bene, ma per il bene della Chiesa".

Preghiere per il successore. Un pensiero è stato rivolto anche al successore: "Vi chiedo di ricordarmi davanti a Dio, e soprattutto di pregare per i cardinali, chiamati ad un compito così rilevante, e per il nuovo successore dell'Apostolo Pietro: il Signore lo accompagni con la luce e la forza del suo Spirito", ha detto il pontefice, che ha colto l'occasione anche per ringraziare i media: "Vorrei che il mio saluto e il mio ringraziamento giungesse poi a tutti: il cuore di un Papa si allarga al mondo intero. Qui penso anche a tutti coloro che lavorano per una buona comunicazione e che ringrazio per il loro importante servizio".

Grazie Italia. Un particolare saluto il Pontefice lo ha riservato ''alla cara Italia e a Roma''. Rivolgendosi ai pellegrini di lingua itaiana il Papa ha aggiunto: ''grazie per il vostro affetto e amore, grazie''. ''Cari amici - ha quindi aggiunto - grazie per questi otto anni, grazie per la gioia della vostra fede''.

Il messaggio di Napolitano. Al Papa tedesco ''vanno il mio commosso e affettuoso pensiero,e la mia ammirazione per la responsabilità mostrata dinanzi alle prove del suo magistero in un momento cruciale per la Chiesa cattolica''. Lo ha detto Napolitano in un discorso oggi a Monaco dove ha ricordato che la
Baviera è la terra natale del Pontefice.

La gioia di Cristo su Twitter, domani account chiuso. ''Vorrei che ognuno sentisse la gioia di essere cristiano, di essere amato da Dio che ha dato suo Figlio per noi''. È questo il nuovo messaggio diffuso da Benedetto XVI su Twitter. Domani, ultimo giorno di pontificato, l'account del papa sarà chiuso.

Alemanno a incontro privato. Al termine dell'ultima udienza di Benedetto XVI, il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha partecipato ad un incontro privato, nella sala Clementina del Vaticano, che il Santo padre ha avuto con i capi di Stato giunti da tutto il mondo per rendergli omaggio.

Grandi misure di sicurezza. Il Pontefice è stato accolto da un'ovazione, quando la jeep ha fatto il suo ingresso: accanto al Papa, come sempre, il segretario, monsignor Georg Gaenswein. La vettura si è fermata qualche istante per permettere a Benedetto XVI di prendere in baccio un bambino. La zona era sorvegliata a vista da centinaia di uomini delle forze dell'ordine. Il Papa dimissionario ha fatto il giro dei settori nella piazza con la 'papamobile' per salutare da vicino quanti più fedeli possibile: quelli della diocesi di Roma, guidati dal cardinale vicario Agostino Vallini. Ma anche dall'estero. In piazza bandiere dagli Usa alla Polonia, dall'Egitto alla Cina, dalla Bolivia alla Germania, patria di Joseph Ratzinger.


Udienza n°348. Quella odierna è stata la 348ma udienza generale di Benedetto XVI nei suoi otto anni di pontificato. Incontri con fedeli e pellegrini, quelli del mercoledì mattina in piazza San Pietro o nell'Aula Paolo VI in Vaticano, che hanno radunato in totale 5.116.600 fedeli (dall'aprile 2005 al 27 febbraio 2013). La partecipazione più numerosa è avuta nel 2006 quando, alle 45 udienze generali di quell'anno, hanno preso parte 1.031.500 fedeli. È, invece, il 2011, con un totale di 45 udienze generali, a far registrare il numero più basso di fedeli, in tutto 400.000. Per quanto riguarda, invece, l'anno in corso quella odierna è l'ottava udienza generale di Papa Ratzinger.

Nuove dimissioni. Ancora dimissioni nelle alte sfere della Chiesa: il Papa ha accettato oggi le dimissioni "per infermità o altra grave causa" di due vescovi, l'inglese Patrick Altham Kelly, arcivescovo di Liverpool, e l'ausiliare di Armagh in Irlanda, Gerard Clifford.



* la Repubblica, 27 febbraio 2013)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/2/2013 07.24
Titolo:al di la' della mistica papale. L'ultimo discorso di Benedetto XVI ...
L’ultimo discorso

di Massimo Faggioli (Huffington Post Italia, 27 febbraio 2013)

L’ultimo discorso di papa Benedetto XVI, tenuto in piazza San Pietro all’ultima udienza generale di mercoledì 27 febbraio, non è forse il più importante del suo pontificato dal punto di vista teologico e politico, ma è di certo il più importante e il migliore tenuto da Joseph Ratzinger da vescovo.

In un certo senso, questo discorso potrebbe plasmare la sua eredità e percezione, e fare di Benedetto XVI un papa emerito molto più "popolare" di quanto non lo sia stato come papa sulla cattedra di Pietro in questi otto difficili anni. Nel discorso il papa non ha nascosto le difficoltà attraversate dal pontificato, e non ha nascosto - cosa rimarchevole per un papa - la sensazione di abbandono da parte di Dio, la stessa sensazione che tanti altri cristiani provano in molti momenti della loro vita.

Il discorso non è stato privo di accenti tipici dei discorsi di Giovanni XXIII, tesi a ridimensionare la "mistica papale" - quell’aura di sacralità creata nei secoli attorno al papato non solo come ufficio nella chiesa, ma anche attorno alla persona. Ma allo stesso tempo, il ridimensionamento della mistica papale ha un contrappasso, vale a dire il suo ruolo universale, e non solo per la chiesa o i cattolici: "il cuore di un Papa si allarga al mondo intero". Questo è uno dei costi maggiori e più difficili da sostenere per il papa e per il cattolicesimo contemporaneo, ma che fanno della chiesa cattolica un’antenna molto sensibile per comprendere il mondo globale.

Questo discorso rappresenta una chiave di lettura importante per comprendere il ruolo di questo pontificato nella chiesa contemporanea. Se per alcuni versi il pontificato di Benedetto XVI va letto in continuità culturale e teologica con quello di Giovanni Paolo II, questo discorso invece ne sottolinea le diversità: in primo luogo per la capacità di spersonalizzare il papato, o meglio, di viverlo in modo personale senza imprigionarlo dentro un atletismo mistico che non si confà a Joseph Ratzinger.

In una chiave tipica della "umiltà istituzionale" che è nella teologia del papato dal concilio Vaticano II in poi, Benedetto XVI ha enfatizzato la dimensione pastorale del ministero: "Ricevo anche moltissime lettere da persone semplici che mi scrivono semplicemente dal loro cuore e mi fanno sentire il loro affetto, che nasce dall’essere insieme con Cristo Gesù, nella Chiesa. Queste persone non mi scrivono come si scrive ad esempio ad un principe o ad un grande che non si conosce. Mi scrivono come fratelli e sorelle o come figli e figlie, con il senso di un legame familiare molto affettuoso. Qui si può toccare con mano che cosa sia Chiesa - non un’organizzazione, non un’associazione per fini religiosi o umanitari, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Gesù Cristo, che ci unisce tutti".

Morire in pubblico, come Giovanni Paolo II, o ammettere in pubblico la difficoltà, anche per papa Benedetto XVI, di rinunciare a qualsiasi "privacy" (termine che oggi forse entra per la prima volta nel vocabolario dei pontefici romani): "il papa appartiene a tutti, non appartiene più a se stesso". Sono due modi diversi, entrambi contro-culturali, di testimoniare il messaggio cristiano al mondo contemporaneo.

Assistiamo in questi giorni a un’eccezionale ridefinizione del ruolo del papa nella chiesa e nel mondo. Su quella straordinaria scena del sacro in Occidente che è la piazza di San Pietro in Roma, il papa si congeda dal pubblico, ma non dalla chiesa.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/3/2013 13.44
Titolo:BOFF. Ratzinger non era all’altezza. Vatileaks, il colpo finale
- Il teologo Leonardo Boff
- “Ratzinger non era all’altezza. Vatileaks, il colpo finale”

- Come prefetto del Sant’Uffizio, scrisse una lettera in cui chiedeva ai vescovi di impedire che i preti pedofili venissero portati davanti ai tribunali

di Alessandro Oppes (il Fatto, 1.03.2013)

“Una grande pena. Pena e compassione”. Nel lungo ragionamento, a tratti molto duro, di Leonardo Boff sulla figura del Papa che da ieri sera non è più Papa, queste sono forse le parole di maggiore vicinanza e comprensione. Pena per l’implicita ammissione di un fallimento, compassione per la figura di un pontefice che ha dovuto gettare la spugna di fronte all’enormità di una missione costellata di ostacoli insormontabili, in un ambiente diventato ormai irrespirabile.

Dell’uomo che un tempo gli fu amico, il grande teologo brasiliano ricorda ancora che è “una persona estremamente gentile, estremamente cortese, estremamente timida, estremamente intelligente”. Così, senza tralasciare neppure un superlativo.

Nonostante tutto, pur se di mezzo, e dopo una frequentazione proficua durata cinque anni in Germania, ci fu quel famoso processo sommario: il Ratzinger che, una volta nominato cardinale di Curia e assurto alla guida del’’ex-Sant’Uffizio, nel 1984 convoca Boff in Vaticano e lo condanna al “silenzio ossequioso” per zittire la voce scomoda della Teologia della liberazione, di cui era rappresentante di punta.

“Da allora, non ci siamo più visti. Io non ho mai conservato rancore nè risentimento, perché ho capito la logica che determinava quella decisione, pur non essendo d’accordo. Il suo sospetto era che la nostra visione teologica fosse il cavallo di Troia attraverso il quale il marxismo si faceva strada nella Chiesa. Questa era la sua idea. Ma so che ancora oggi, quando parla di me, si esprime in termini persino affettuosi. Mi definisce come ‘il teologo pio’”

Leonardo Boff, oggi 75enne, risponde alle domande del Fatto Quotidiano al telefono dalla sua casa di Jardim Araras, una riserva ecologica alla periferia di Petropolis, l’antica città imperiale brasiliana che fu residenza dei Bragança, a poco più di un’ora di distanza da Rio de Janeiro.

Un gesto rivoluzionario, o semplicemente umano, quello di Benedetto XVI che abbandona la cattedra di Pietro?

Un chiaro gesto d’impotenza, in parte dovuto all’età, in parte alla gravità dei crimini nei quali l’istituzione ecclesiastica si è vista immersa nel corso di questi ultimi anni. Scandali sessuali, sete di denaro, pedofilia. Il vero Spirito Santo, di questi tempi, si chiama Vatileaks. Di fronte a questa situazione, il Papa è stato colto da una profonda depressione.

Una fuga dalle responsabilità?

No, è qualcos’altro: è un Papa che demitizza la figura del Papa, che si riconosce umano come tutti gli altri umani. C’è tutta una papolatria che è stata coltivata troppo a lungo, soprattutto per interessi interni alla gerarchia vaticana. Lui, con un gesto inedito e in questo senso da lodare, è stato capace di distinguere tra la persona del Papa, che può essere malata, o sentirsi per qualche motivo debole, e la funzione del Papa, che è quella di governare la Chiesa.

Non è rimasto sorpreso da questa decisione?

No, posso dire che me l’aspettavo. Joseph Ratzinger è uomo troppo sensibile e timido, incapace di maneggiare i conflitti. Ad un certo punto ha capito di avere a che fare con una sorta di governo parallelo gestito dal cardinale Tarcisio Bertone.

In sostanza, pensa che non sia stato all’altezza delle circostanze?

Non solo non è stato all’altezza delle sfide, ma ha anche commesso una serie di errori molto gravi. Prima con i musulmani, con quell’infelice discorso all’università di Ratisbona che provocò violente reazioni nel mondo islamico. Poi con gli ebrei, urtandone la sensibilità. Poi con i levebvriani, annullando la scomunica del vescovo Williamson, negatore dell’Olocausto. Ha fatto della Chiesa un’istituzione machista e reazionaria, che ha mantenuto un rapporto estremamente negativo con le donne, con gli omosessuali, che non ha saputo affrontare i temi della morale sessuale.

Si è molto polemizzato intorno ai silenzi e i ritardi del Papa sugli scandali di pedofilia.

L’origine della questione risale all’epoca in cui era ancora cardinale: come prefetto dell’ex Sant’Uffizio, scrisse una lettera in cui chiedeva ai vescovi di impedire che i preti pedofili venissero portati davanti ai tribunali. Poi, da Papa, quando cominciavano a emergere le prove del coinvolgimento non solo di sacerdoti ma anche di vescovi e cardinali in quelle pratiche, si è dovuto ricredere, ha cominciato a prendere decisioni per bloccare il fenomeno. Ma non sarà mai possibile dimenticare che si è reso complice di quei crimini.

Nella sua ultima intervista, il cardinale Carlo Maria Martini disse che la Chiesa è rimasta in ritardo di almeno duecento anni. Condivide questa valutazione?

Io andrei ancora più in là, parlando non di 200 ma almeno di 500 anni e anche più. Dall’epoca della Riforma la Chiesa ha un atteggiamento negativo nei confronti del mondo, chiamando la democrazia come delirio moderno. É rimasta afferrata al tempo medioevale. Questo Papa, ancor più che i suoi predecessori, ha recuperato quella vecchia tesi secondo cui fuori della Chiesa non c’è salvezza.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 03/3/2013 11.43
Titolo:BOFF. Appello per la riforma della Chiesa, prima che sia troppo tardi!
Appello per la riforma della Chiesa ... prima che sia troppo tardi!

di Leonardo Boff *

Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere.
- Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. (Mc 10, 42-44)

La Chiesa-istituzione come “casta meretrix”

di Leonardo Boff 27/02/2013

Chi ha seguito le notizie degli ultimi giorni sugli scandali dentro al Vaticano, portati a conoscenza dai giornali italiani “La Repubblica” e “La Stampa”, che parlano di una relazione di 300 pagine e elaborata da tre cardinali provetti sullo stato della curia vaticana, deve naturalmente, essere rimasto sbalordito. Immagino i nostri fratelli e sorelle devoti, frutto di un tipo di catechesi che celebra il Papa come “il dolce Cristo in Terra”. Devono star soffrendo molto, perché amano il giusto, il vero e il trasparente e mai vorrebbero legare la sua immagine a notorie malefatte di assistenti e cooperatori.

Il contenuto gravissimo di queste relazioni rafforza, a mio parere, la volontà del papa di rinunciare. E’ la riprova di un’atmosfera di promiscuità, di lotta per il potere tra “monsignori”, di una rete di omosessuali gay dentro al Vaticano e disvio di denaro attraverso la banca del Vaticano come se non bastassero i delitti di pedofilia in tante diocesi, delitti che hanno profondamente intaccato il buon nome della Chiesa-istituzione.

Chi conosce un poco la storia della Chiesa - e noi professionisti dell’area dobbiamo studiarla dettagliatamente - non si scandalizza. Ci sono state epoche di vera rovina del Pontificato con Papi adulteri, assassini e trafficanti di immoralità. A partire da Papa Formoso (891-896) sino a Papa Silvestro (999-1003) si instaurò, secondo il grande storico cardinale Baronio, l’“era pornocratica” dell’alta gerarchia della Chiesa. Pochi papi la passavano liscia senza essere deposti o assassinati. Sergio III (904-911), assassinò i suoi 2 predecessori, il Papa Cristoforo e Leone V.

La grande rivoluzione nella Chiesa come un tutto è avvenuta, con conseguenze per tutta la storia ulteriore, col papa Gregorio VII, nel 1077. Per difendere i suoi diritti e la libertà della istituzione-Chiesa contro re e principi che la manipolavano, pubblicò un documento che porta questo significativo titolo “Dictatus Papae” che tradotto alla lettera significa “la dittatura del Papa”. Con questo documento, lui assunse tutti poteri, potendo giudicare tutti senza essere giudicato da nessuno. Il grande storico delle idee ecclesiali Jean-Yves Congar, domenicano, la considera la maggior rivoluzione avvenuta nella chiesa. Da una chiesa-comunità è passata a essere una istituzione-società monarchica e assolutista, organizzata in forma piramidale e che arriva fino ai nostri giorni.

Effettivamente il canone 331 dell’attuale Diritto Canonico si connette a questa lettura, con l’attribuzione al Papa di poteri che in verità non spetterebbero a nessun mortale se non al solo Dio: “in virtù del suo Ufficio, il Papa ha il potere ordinario, supremo, pieno, immediato, universale” e in alcuni casi precisi, “infallibile”.

Questo eminente teologo, Congar, prendendo la mia difesa davanti al processo dottrinario mosso dal cardinale Joseph Ratzinger in ragione del libro “Chiesa: carisma e potere” ha scritto un articolo su “La Croix” 08.09.1984) su “Il carisma del potere centrale”. Scrive: “il carisma del potere centrale è non aver nessun dubbio. Ora, non aver nessun dubbio su se stessi è, nello stesso tempo, magnifico e terribile. È magnifico perché il carisma del centro consiste precisamente nel rimanere saldi quando tutto intorno vacilla. E è terribile perché a Roma ci sono uomini che hanno limiti, limiti nella loro intelligenza, limiti del loro vocabolario, limiti delle loro preferenze, limiti nei loro punti di vista”. E io aggiungerei ancora limiti nella loro etica e morale.

Si dice sempre che la Chiesa è “Santa e peccatrice” e deve essere “riformata in continuazione”. Ma questo non è successo durante secoli e neppure dopo l’esplicito suggerimento del concilio Vaticano II e dell’attuale papa Benedetto XVI. L’istituzione più vecchia dell’Occidente ha incorporato privilegi, abitudini, costumi politici di palazzo e principeschi, di resistenza e di opposizione che praticamente impediscono o distorcono tutti i tentativi di riforma.

Solo che questa volta si è arrivati a un punto di altissimo degrado morale, con pratiche persino criminali che non possono più essere negate e che richiedono mutamenti fondamentali nella struttura di governo della Chiesa. Caso contrario, questo tipo di istituzionalità tristemente invecchiata e crepuscolare languirà fino a entrare nel suo tramonto. Scandali come quelli attuali sempre ci sono stati nella curia vaticana, soltanto non c’era quel provvidenziale Vatileaks per renderli di pubblico dominio e far indignare il Papa e la maggioranza dei cristiani.

La mia percezione del mondo mi dice che queste perversità nello spazio sacro e nel centro di riferimento di tutta la cristianità - il papato - (dove dovrebbe primeggiare la virtù e persino la santità) sono conseguenze di questa centralizzazione assolutista del potere papale. Questo rende tutti vassalli, sottomessi e avidi perché stanno fisicamente vicino al portatore del supremo potere, il Papa. Un potere assoluto, per sua natura, limita e perfino nega la libertà degli altri, favorisce la creazione di gruppi di anti-potere, fazioni di burocrati del sacro contro altre, pratica largamente la simonia che è compravendita di favori, promuove adulazioni e distrugge i meccanismi di trasparenza. In fondo tutti diffidano di tutti. E ognuno cerca la soddisfazione personale nella forma migliore che può. Per questo è sempre stata problematica l’osservanza del celibato all’interno della curia vaticana, come si sta rivelando adesso con l’esistenza di una vera rete di prostituzione gay. Fino a quando questo potere non sarà decentralizzato e non permetterà maggior partecipazione di tutti gli strati del popolo di Dio, uomini e donne, alla conduzione dei cammini della Chiesa, il tumore che sta all’origine di questa infermità continuerà a durare. Si dice che Benedetto XVI consegnerà a tutti i cardinali la suddetta relazione perché ciascuno sappia che problemi dovrà affrontare nel caso che sia eletto papa. E l’urgenza che avrà di introdurre radicali trasformazioni. Dal tempo della Riforma che si sente il grido: “Riforma nel capo e nelle membra”. E siccome mai è avvenuta, è nata la Riforma come gesto disperato dei riformatori di compiere tale impresa per conto proprio.

Per spiegare meglio ai cristiani e a tutti gl’interessati di problemi di Chiesa, torniamo alla questione degli scandali. L’intenzione è di sdrammatizzarli, permettere che se n’abbia una nozione meno idealista e a volte idolatrica della gerarchia e della figura del Papa e liberare la libertà a cui il Cristo ci ha chiamati (Gal 5,1). In questo non c’è nessun cattivo gusto per le cose negative né volontà di aumentare sempre di più il degrado morale. Il cristiano deve essere adulto, non può lasciarsi infantilizzare né permettere che gli neghino conoscenze teologiche e storiche per rendersi conto di quanto umana ed smodatamente umana può essere l’istituzione che ci viene dagli apostoli.

Esiste una lunga tradizione teologica che si riferisce alla Chiesa come casta meretrix, tema abbordato dettagliatamente da un grande teologo, amico dell’attuale Papa, Hans Urs von Balthasar (vedere in Sponsa Verbi, Einsiedeln 1971, 203-305). In varie occasioni il teologo Joseph Ratzinger è ritornato su questa denominazione.

La chiesa è una meretrice che tutte le notti si abbandona alla prostituzione; è casta perché Cristo, ogni mattina ne ha compassione, la lava è la ama.

L’habitus meretricius, il vizio del meretricio, è stato duramente criticato dai santi padri della Chiesa come Sant’Ambrogio, Sant’Agostino, San Gerolamo e altri. San Pier Damiani arriva chiamare il suddetto Gregorio VII “Santo satanasso” (D. Roma, compendio di storia della Chiesa, volume secondo, Petropolis, 1950, p. 112). Questa denominazione dura ci rimanda a quella di Cristo diretta Pietro. Per causa della sua professione di fede lo chiama “pietra”, ma per causa della sua poca fede e di non capire i disegni di Dio lo qualifica come “satanasso” (Vangelo di Matteo 16,23). San Paolo pare un moderno quando parla ai suoi oppositori con furia: “magari si castrassero tutti quelli che vi danno fastidio” (Galati, 5,12).

C’è pertanto un luogo per la profezia nella Chiesa e per le denunce delle malefatte che possono capitare in mezzo agli ecclesiastici e persino in mezzo ai fedeli.

Vi riporto un altro esempio tratto dagli scritti di un santo amato dalla maggioranza dei cattolici per il suo candore e bontà: Sant’Antonio da Padova. Nei suoi sermoni, famosi all’epoca, non appare niente affatto dolce e gentile. Fa una vigorosa critica ai prelati corrotti del suo tempo. Dice: “i vescovi sono cani senza nessuna vergogna perché il loro aspetto ha della meretrice e per questo stesso non vogliono vergognarsi” (uso l’edizione critica in latino pubblicata a Lisbona in due volumi nel 1895). Questo fu pronunciato nel sermone della quarta domenica dopo Pentecoste (pagina 278). Un’altra volta chiama i prelati “ scimmie sul tetto, da lì presiedono alle necessità del popolo di Dio”. (Op. cit p. 348). È continua: “Il vescovo della Chiesa è uno schiavo che pretende regnare, principe iniquo, leone che ruggisce, orso affamato di rapina che depreda il popolo povero” (p.348). Infine nella festa di San Pietro alza la voce e denuncia: “Attenzione che Cristo disse tre volte: pasci e neanche una volta tosa e mungi... Guai a quello che non pasce neanche una volta e tosa e munge tre o quattro volte...lui è un drago a fianco dell’arca del Signore che non possiede altro che apparenza e non verità” (volume secondo, 918).

Il teologo Joseph Ratzinger spiega il senso di questo tipo di denunce profetiche: “il senso della profezia risiede in verità meno in alcune previsioni che nella protesta profetica: protesta contro l’autosoddisfazione delle istituzioni, l’autosoddisfazione che sostituisce la morale con il rito e la conversione con le cerimonie” (Das neue volk Gottes, Düsseldorf 1969,250, esiste traduzione italiana Il nuovo popolo di Dio, Brescia 1971).

Ratzinger critica con enfasi la separazione che abbiamo fatto in riferimento alla figura di Pietro: prima della Pasqua, il traditore; dopo la Pentecoste, il fedele. “Pietro continua a vivere questa tensione del prima e del dopo; lui continua ad essere tutte due le cose: la pietra e lo scandalo...Non è successo lungo tutta la storia della Chiesa che il Papa era simultaneamente il successore di Pietro e la pietra dello scandalo” (p.259)?

Dove vogliamo arrivare con tutto questo? Vogliamo arrivare a riconoscere che la Chiesa-istituzione di papi, vescovi e preti è fatta di uomini che possono tradire negare e fare del potere religioso un affare e uno strumento di auto soddisfazione. Tale riconoscimento è terapeutico dato che ci cura di ogni ideologia idolatrica intorno alla figura del Papa, ritenuto come praticamente infallibile. Questo è visibile nei settori conservatori e fondamentalisti del movimento cattolico laici e anche di gruppi di preti. In alcuni è ancora viva una vera papolatria, che Benedetto XVI ha sempre cercato di evitare.

La crisi attuale della Chiesa provocato la rinuncia di un Papa che si è reso conto che non aveva più il vigore necessario per sanare scandali di tale portata. Ha buttato la spugna con umiltà. Che un altro più giovane venga e assuma il compito arduo e duro di pulire la corruzione nella curia romana e dell’universo dei pedofili, eventualmente punisca, deponga e invii i più renitenti in qualche convento per far penitenza e emendare la propria vita .

Soltanto chi ama la Chiesa può farle le critiche che gli abbiamo fatto noi citando testi di autorità classiche del passato. Se tu hai smesso di amare una persona un tempo amata, ti diventano indifferenti la sua vita e il suo destino. Noi ci interessiamo come fa l’amico e fratello di tribolazione Hans Kung (è stato condannato dalla ex inquisizione), forse uno dei teologi che più ama la Chiesa e per questo la critica.

Non vogliamo che i cristiani coltivino questo sentimento di poca stima e di indifferenza. Per quanto gravi siano stati gli errori e gli equivoci storici, l’istituzione-Chiesa custodisce la memoria sacra di Gesù e la grammatica dei Vangeli. Essa predica la libertà, sapendo che generalmente sono altri che liberano e non lei.

Anche così vale stare dentro la chiesa, come ci stavano S. Francesco, dom Helder Camara, Giovanni XXIII e noti teologi che hanno aiutato a fare il concilio Vaticano II e che prima erano stati tutti condannati dall’ex inquisizione, come de Lubac, Chenu, Congar, Rahner e altri. Dobbiamo aiutarla a uscire da quest’imbarazzo, alimentandosi di più col sogno di Gesù di un regno di giustizia, di pace e di riconciliazione con Dio e di sequela della sua causa e destino, piuttosto che di semplice giustificata indignazione che può scadere facilmente nel fariseismo e nel moralismo.

Altre riflessioni del genere si trovano nel mio libro Chiesa: carisma e potere, ed. Record, 2005, specialmente in appendice con tutte gli atti del processo celebrato all’interno dell’ex inquisizione nel 1984.

Traduzione: Romano Baraglia - romanobaraglia@gmail.com

*Il Dialogo, Domenica 03 Marzo,2013

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Commenti Articolo 562

Titolo articolo : LE DUE CRISI,di Raniero la Valle

Ultimo aggiornamento: March/02/2013 - 13:42:22.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/3/2013 22.45
Titolo:COSTITUZIONE, EVANGELO, e NOTTE DELLA REPUBBLICA E DELLA CHIESA
COSTITUZIONE, EVANGELO, e NOTTE DELLA REPUBBLICA E DELLA CHIESA: PERDERE LA COSCIENZA DELLA LINGUA (DEL "LOGOS") COSTITUZIONALE ED EVANGELICA GENERA MOSTRI ATEI E DEVOTI ...

LA QUESTIONE "CATTOLICA" E LO SPIRITO DEI NOSTRI PADRI E E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI.

Una nota del 2006 ....


25 Giugno: salviamo la Costituzione e la Repubblica che è in noi

di Federico La Sala (Libertà - quotidiano di Piacenza, 08.06.2006, p. 35)


Il 60° anniversario della nascita della Repubblica italiana e dell’Assemblea Costituente, l’Avvenire (il giornale dei vescovi della Chiesa cattolico-romana) lo ha commentato con un “editoriale” di Giuseppe Anzani, titolato (molto pertinentemente) “Primato della persona. La repubblica in noi” (02 giugno 2006), in cui si ragiona in particolar modo degli articoli 2 e 3 del Patto dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti.

Salvo qualche ’battuta’ ambigua, come quando si scrive e si sostiene che “il baricentro dell’equilibrio resta il primato della persona umana di cui è matrice la cultura cattolica” - dove non si comprende se si parla della cultura universale, di tutto il genere umano o della cultura che si richiama alla particolare istituzione che si chiama Chiesa ’cattolica’ (un po’ come se si parlasse in nome dell’Italia e qualcuno chiedesse: scusa, ma parli come italiano o come esponente di un partito che si chiama “forza...Italia”!?), - il discorso è tuttavia, per lo più, accettabile...

Premesso questo, si può certamente condividere quanto viene sostenuto, alla fine dell’editoriale, relativamente al “diritto alla vita” (“esso sta in cima al catalogo ’aperto’ dell’articolo 2, sta in cima alla promessa irretrattabile dell’art. 3”) e alla necessità di una responsabile attenzione verso di essa (“Non declini mai la difesa della vita; senza di essa è la Repubblica che declina”).

Ma, detto questo, l’ambiguità immediatamente ritorna e sollecita a riporsi forti interrogativi su che cosa stia sostenendo chi ha scritto quanto ha scritto, e da dove e in nome di Chi parla?!

Parla un uomo che parla, con se stesso e con un altro cittadino o con un’altra cittadina, come un italiano comune (- universale, cattolico) o come un esponente del partito ’comune’ (’universale’, ’cattolico’)?

O, ancora, come un cittadino di un partito che dialoga col cittadino o con la cittadina di un altro partito per discutere e decidere su quali decisioni prendere per meglio seguire l’indicazione della Costituzione, della Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ che ci ha fatti - e invita a volerci! - uomini liberi e donne libere, cittadini-sovrani e cittadine-sovrane?!

Nonostante tante sollecitazioni a sciogliere i nodi e chiarirsi le idee da ogni parte - dentro e fuori le istituzioni cattoliche, c’è ancora molta confusione nel cielo del partito ’cattolico’ italiano: non hanno affatto ben capito né la unità-distinzione tra la “Bibbia civile” e la “Bibbia religiosa”, né tantomeno la radicale differenza che corre tra “Dio” [Amore - Charitas] e “Mammona” [Caro-Prezzo - Caritas] o, che è lo stesso, tra la Legge del Faraone o del Vitello d’oro e la Legge di Mosè!!! E non hanno ancora ben-capito che Repubblica dentro di noi ... non significa affatto Monarchia o Repubblica ’cattolica’ né dentro né fuori di noi, e nemmeno Repubblica delle banane in noi o fuori di noi!!!

Il messaggio del patto costituzionale, come quello del patto eu-angelico ...e della montagna è ben-altro!!! La Costituzione è - ripetiamo: come ha detto e testimoniato con il lavoro di tutto il suo settennato il nostro Presidente, Carlo A. Ciampi - la nostra “Bibbia civile”, la Legge e il Patto di Alleanza dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti (21 cittadine-sovrane presero parte ai lavori dell’Assemblea), e non la ’Legge’ di “mammasantissima” e del “grande fratello” ... che si spaccia per eterno Padre nostro e Sposo della Madre nostra: quale cecità e quanta zoppìa nella testa e nel cuore, e quale offesa nei confronti della nostra Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’- di tutti e tutte noi, e anche dei nostri cari italiani cattolici e delle nostre care italiane cattoliche!!!

Nel 60° Anniversario della nascita della Repubblica italiana, e della Assemblea dei nostri ’Padri e delle nostre ’Madri’ Costituenti, tutti i cittadini e tutte le cittadine di Italia non possono che essere memori, riconoscenti, e orgogliosi e orgogliose di essere cittadine italiane e cittadini italiani, e festeggiare con milioni di voci e con milioni di colori la Repubblica e la Costituzione di Italia, e cercare con tutto il loro cuore, con tutto il loro corpo, e con tutto il loro spirito, di agire in modo che sia per loro stessi e stesse sia per i loro figli e le loro figlie ... l’ “avvenire” sia più bello, degno di esseri umani liberi, giusti, e pacifici! Che l’Amore Charitas dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ illumini sempre il cammino di tutti gli italiani e di tutte le italiane...

Viva la Costituzione, Viva l’Italia!!!

Federico La Sala

DA RICORDARE:

- Alla Costituente, su 556 eletti, 21 erano donne:

- 9 NEL GRUPPO DC, SU 207 MEMBRI - LAURA BIANCHINI, ELISABETTA CONCI, FILOMENA DELLI CASTELLI, MARIA IERVOLINO, MARIA FEDERICI, ANGELA GOTELLI, ANGELA GUIDI CINGOLANI, MARIA NICOTRA, VITTORIA TITOMANLIO;
- 9 NEL GRUPPO PCI, SU 104 MEMBRI - ADELE BEI, NADIA GALLICO SPANO, NILDE IOTTI, TERESA MATTEI, ANGIOLA MINELLA, RITA MONTAGNANA TOGLIATTI, TERESA NOCE LONGO, ELETTRA POLLASTRINI, MARIA MADDALENA ROSSI;
- 2 NEL GRUPPO PSI, SU 115 MEMBRI - BIANCA BIANCHI, ANGELINA MERLIN;
- 1 NEL GRUPPO DELL’UOMO QUALUNQUE: OTTAVIA PENNA BUSCEMI.

Federico La Sala


http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=3211
Autore Città Giorno Ora
Augusta De Piero Udine 02/3/2013 13.42
Titolo:Mentes tuorum visita
Caro Raniero,
ti ringrazio per questa bella sintesi che induce al ragionamento.
Da giorni mi si è presentato alla memoria, sollecitata dagli avvenimenti, l'antico canto che mi sembra accomapgni l'ingresso dei cardinali nella Sistina.
VENI, Creator Spiritus,
mentes tuorum visita,
Visita le menti ... menti, si spera impegnate a capire qual è, in quel momento la scelta migliore.
Ed è molto importante sollecitare tutti alla fatica della riflessione (perché molte sono le scelte che ci si prospettano).
Purtroppo vedo emergere (nella preziosa rassegna stampa che 'il dialogo' propone) argomenti di tipo esoterico - o almeno che facilmente si prestano a questa deriva. Penso in particolare all'uso del terzo segreto di Fatima e insieme alla mancata trasparenza dell'indagine condotta sulle vicende vaticane.
Che ne farà il nuovo papa cui Benedetto XVI ha promesso obbedienza?
Abbiamo bisogno di chiarezza e trasparenza, di un'aria respirabile che già don Mazzolari invocava.
Apporfitto di questo sfogo per un saluto
augusta
Udine

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Commenti Articolo 563

Titolo articolo : JAMES JOYCE A GIAMBATTISTA VICO: UN OMAGGIO PERENNE ALLA "STRADA DI VICO" ("THE VICO ROAD"). Una nota,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/02/2013 - 10:04:31.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/3/2013 10.04
Titolo:FINNEGANS WAKE. Una summa dell’umanità in una prospettiva vichiana
Enigmatica veglia notturna

di Renzo S. Crivelli (Il Sole-24 Ore, 03 aprile 2011)

Il 13 novembre 1938, a Parigi, James Joyce, il più grande sperimentatore modernista, completò il suo ultimo libro, quel Finnegans Wake che, secondo una sua previsione destinata ad avverarsi, avrebbe dato lavoro a un esercito di critici per almeno cent’anni. Il libro "maledetto", come lo aveva definito in una lettera all’allievo zurighese Paul Ruggiero, gli era costato quindici anni di sudore e di apprensione, testimoniati dal titolo provvisorio che gli aveva dato per tutto quel tempo: Work in Progress.

Tanta fatica era ben giustificata, per un’impresa immane come il suo Finnegans, che fu accolto con stupore e sconcerto, dividendo da subito la critica tra coloro che lo consideravano un capolavoro, una summa dell’umanità in una prospettiva vichiana, e coloro che, a partire dal fratello Stanislaus, ci vedevano un fallimento totale della comunicazione, un vicolo cieco in cui lo scrittore dublinese aveva fatto precipitare la tradizione del romanzo borghese, confinando la parola al puro suono senza significato.

Con Finnegans Wake, Joyce ha dato corpo non solo a un trattato di metafisica, ma «a un trattato di logica formale che ci porge gli strumenti per definire, in un mondo che attende la nostra definizione, le infinite forme possibili dell’universo». In Finnegans assistiamo all’esplorazione d’un sogno notturno: tutto si compie nell’arco d’una notte, in cui la dimensione onirica si riaggancia alle prefigurazioni freudiane e junghiane del protagonista, il taverniere cinquantenne Humphrey Chimpden Earwicker.

Ma, come dice il titolo, argomento del libro è anche la veglia "per" il muratore Tim Finnegan, morto sbronzo cadendo da una scala, al centro d’una popolare ballata irlandese; veglia che, secondo la tradizione locale, comporta ampie libagioni e fiumi di whisky. Durante la nottata allegra la vedova, memore del "vizietto alcolico" del marito, deposita al suo capezzale un gallone di whisky che, in seguito a una rissa tra gli invitati, si rovescia sulla salma provocandone la "resurrezione".

Dunque, a partire proprio dal titolo, Joyce ci presenta le varie anime di Finnegans Wake: la raffigurazione d’un sogno, che coinvolge la "storia ideale eterna" vichiana nella circolarità della vita, della morte e della rinascita dell’uomo. E, anche, quella d’un risveglio/ritorno, da cui viene il nome Finnegan, composto da Finn e again («di nuovo Finn, ecco Finn che ricompare»), che si riallaccia al mito irlandese di Finn MacCoole, fondatore del partito irredentista feniano (Fianna) e collocato nel mito ossianico: MacCoole è il padre di Ossian. Iin più Joyce sottintende anche che il taverniere Humphrey Chimpden Earwicker va identificato con l’uomo qualunque (H. C. E. sta per «Here Comes Everybody») e ciò per sottolineare che ci troviamo di fronte a un’epitome della storia umana.

Al di là della trama, Finnegans rappresenta un colossale esperimento linguistico. Di Joyce si è più volte detto che privilegia lo «stile che diviene il tema», e l’esperimento di Finnegans si fonda massicciamente sulle trasformazioni linguistiche. Una polisemia che rafforza nello scrittore irlandese la volontà di estremizzare le istanze interdisciplinari care alle avanguardie, da Picasso a Schönberg. Fino a creare uno straordinario gioco di innesti semantici - ovverosia un immenso mosaico di neologismi - secondo la tecnica del portemanteau: con un asse iberno-inglese (meglio di anglo-irlandese) su cui si innestano almeno trenta lingue diverse compreso il dialetto triestino.

Secondo Beckett si trattava di un’opera non scritta in inglese («Non è scritta per niente. Bisogna guardarla, ascoltarla; non è un componimento su qualcosa, è quel qualcosa»). E questo perché Finnegans Wake è permeato dalla dimensione fonica della parola, che non è più una parola in una lingua bensì in «ogni possibile lingua».

Ma un libro del genere è traducibile? Se contiene tante diverse lingue, in che lingua può essere tradotto? Se è puro suono, che senso ha tradurlo? Si può tradurre o descrivere un testo musicale? Ecco un immediato grappolo di domande che scaturisce dalla versione italiana fatta da Luigi Schenoni votato sino alla morte - avvenuta nel 2008 - a questa sovrumana impresa che, iniziata nel 1974, ha fruttato nel 1982 parte del primo libro (I-IV cap.), seguita nel 2001 dai capitoli V-VIII e nel 2004 dai primi due capitoli del secondo libro. Ora escono postumi e conclusivi, sempre per Mondadori, il capitolo III e IV del secondo libro, e di nuovo si ripropone il problema della possibilità di tradurre questo monumento linguistico, incentrato su un idioma quasi del tutto inventato.

Nonostante che in Italia ci abbiano provato, anche se solo in parte, traduttori come Mario Diacono, Gianni Celati e Rodolfo Wilcock, è indubbio che Schenoni, a differenza dei suoi predecessori, ci fornisca un prezioso esemplare di "ri-creazione" (non di traduzione) di Finnegans Wake. Ben consapevole della dimensione "incontenibile" della polisemia joyciana, ha infatti scelto la via d’un originale doppio registro interpretativo, che è parte integrante di questa corposa edizione mondadoriana.

In primo luogo, da «poeta originale» come amava definirsi, Schenoni tenta di compiere con l’italiano la stessa operazione che Joyce fece con l’iberno-inglese, mettendo alla base del portemanteau la nostra lingua (assai più duttile di come immaginiamo); in secondo luogo, per mantenere quanto più possibile un’adeguata referenzialità con l’originale, sceglie di "compensare" questo stravolgimento con l’aggiunta d’un glossario vastissimo (quasi più lungo del testo). In questo modo ci fornisce tutte le possibili interpretazioni "linguistiche" atte ad affiancare la parte più inventiva: quella in cui traduce (questo sì) la struttura musicale del libro dandogli lo stesso suono, ma in italiano. Così facendo ci consegna un testo scritto in "schenonese" (non più in "finneganese").

Ed ecco la domanda finale: tutto ciò regge il principio della comunicazione, che sta alla base della traduzione? Difficile dirlo. Il risultato è solo "diverso". Per fare un esempio, certo azzardato, e rimandando alla fondamentale dimensione fonica del testo, se Joyce ha scritto un brano wagneriano Schenoni ci ha dato un brano verdiano. È sempre musica, però. Purissima musica.

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Titolo articolo : "FUGA DAL VATICANO": DIMISSIONI DI BENEDETTO XVI. Il Papa ha trasformato il suo addio in un kolossal che ricorda la «Dolce vita». Un commento di Alberto Crespi ,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/01/2013 - 23:06:15.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/3/2013 22.24
Titolo:Benedetto XVI non ha lasciato nulla al caso....
Gli ultimi istanti del pontificato di Benedetto XVI

di Stéphanie Le Bars

in “Le Monde” del 2 marzo 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Il 28 febbraio resterà nella storia della Chiesa cattolica come una giornata sobria di gesti, ma ricca di simboli e forte quanto a emozioni. Per la prima volta, un papa ha lasciato la sua carica, in diretta, alla televisione. Alle 17h38, dal balcone della residenza estiva di Castel Gandolfo, a 25 km da Roma, il papa, ormai “emerito” ha salutato i fedeli riuniti sulla piazza.

“Come sapete, questa giornata è diversa dalle altre. A partire dalle 20h, ha ricordato, sarò semplicemente un pellegrino che inizia l’ultima tappa del suo viaggio su questa terra.” Poi, senza soffermarsi oltre, è rientrato negli appartamenti, dove passerà i prossimi due mesi.

Alcuni minuti prima, l’elicottero dell’esercito italiano che assicurava il suo trasferimento era partito dai giardini del Vaticano al suono delle campane della basilica di San Pietro e delle chiese di Roma. Il papa si era appena congedato dai suoi collaboratori. I suoi appartamenti sono ormai sigillati, in attesa dell’arrivo del successore.

Nonostante il carattere senza precedenti di questa giornata dal protocollo sconosciuto, Benedetto XVI non ha lasciato nulla al caso. Alle 17, il suo accout Twitter,@pontifex, aveva fatto partire il suo ultimo messaggio: “Grazie per il vostro amore e il vostro sostegno. Possiate sempre sperimentare la gioia di mettere Cristo al centro della vostra vita!”.

Durante un incontro altrettanto inedito, alla fine della mattinata, Benedetto XVI aveva salutato personalmente i 140 cardinali già presenti a Roma per partecipare ai dibattiti precedenti al conclave.

In una breve allocuzione aveva, come il giorno prima davanti ai fedeli, riespresso “la sua gioia” di aver condiviso questi otto anni di pontificato con i credenti. Ricordando ancora una volta “i momenti di luce e i momenti in cui c’era qualche nuvola in cielo”, il papa aveva invitato i cardinali ad agire “come un’orchestra in cui le diversità concorrono nel realizzare l’armonia”. Mentre nel corso del suo pontificato aveva spesso denunciato “le divisioni e le rivalità” in seno alla Chiesa e tra i suoi più alti responsabili, Benedetto XVI li ha ora incoraggiati a “restare uniti nella preghiera al fine di servire la Chiesa e tutta l’umanità”.

coabitazione inedita

Poi, di fronte alle preoccupazioni suscitate dalla coabitazione inedita tra un papa in carica ed un papa emerito, ha assicurato ai cardinali presenti: “Tra voi, c’è il futuro papa a cui prometto rispetto ed obbedienza incondizionate.”

I cardinali cominceranno le loro riunioni informali lunedì per “far conoscenza” e per parlare delle sfide che la Chiesa deve affrontare. In particolare dovrebbero occuparsi delle conclusioni, fino ad ora segrete, dell’inchiesta condotta da tre cardinali in seguito alle disfunzioni rivelate dalla pubblicazione di documenti confidenziali (Vatileaks). La data di apertura del conclave dovrebbe essere annunciata lunedì.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/3/2013 23.06
Titolo:TERMINA L'ERA RATZINGER. L’addio di Ratzinger in volo su San Pietro
L’addio di Ratzinger in volo su San Pietro

di Luca Kocci (il manifesto, 1 marzo 2013)

Papa Ratzinger lascia la Città del Vaticano, le guardie svizzere chiudono le porte, il cardinale segretario di Stato Bertone mette i sigilli all’appartamento e la casa resta vuota, in attesa del nuovo inquilino, che arriverà prima di Pasqua.

Finisce così il pontificato di Joseph Ratzinger, che ieri ha trascorso il suo ultimo giorno da papa, trasmesso in diretta dal Centro televisivo vaticano (che ha i diritti esclusivi delle immagini del papa e le vende alle emittenti di tutto il mondo).

Le telecamere del Ctv hanno ripreso i 45 minuti terminali del "regno" di Ratzinger, compreso il breve viaggio in elicottero da Roma a Castel Gandolfo, seguito da una camera volante, in un’operazione mediatica da Grande fratello che inevitabilmente - si tratta comunque del primo papa dimissionario dell’età moderna - entrerà di diritto nella storia della comunicazione, come l’allunaggio del 1969 o l’inizio dei bombardamenti su Baghdad nella prima guerra del Golfo nel gennaio 1991, anch’essi raccontati in diretta tv.

L’udienza dell’ultimo giorno

L’ultimo giorno del papa è cominciato alle 11, nella sala Clementina del Vaticano, dove Ratzinger ha salutato tutti i cardinali presenti a Roma, già arrivati a quota 144 (ma fra loro c’erano molti dei 90 ultraottantenni non elettori, il 91mo, il francese Jean Honoré è morto proprio ieri mattina).

Conclave quindi quasi al completo: gli elettori under 80 sono 117, ma due hanno già fatto sapere che non parteciperanno, l’indonesiano Darmaatmadja per motivi di salute e lo scozzese O’Brien, ritiratosi perché recentemente accusato di molestie sessuali nei confronti di 4 preti, uno dei quali ha poi lasciato il ministero.

Nella sala Clementina c’era anche il contestato ex arcivescovo di Los Angeles, Mahony, accusato di aver coperto oltre 120 casi di abusi sessuali sui minori compiuti dai preti della sua diocesi e per questo sospeso da ogni incarico pubblico.

Ratzinger ha ribadito quanto aveva detto già mercoledì, durante l’ultima udienza generale, come bilancio del pontificato: in questi otto anni ci sono stati «momenti bellissimi» ma anche «momenti in cui qualche nube si è addensata nel cielo», con implicito riferimento agli scandali dei preti pedofili, del Vatilileaks, dei "corvi" e dei movimenti finanziari sospetti dello Ior.

«Fra voi c’è il futuro papa», ha detto, e dal momento che diversi cardinali ancora non sono a Roma - sebbene la maggior parte dei papabili siano già in Vaticano -, la frase potrebbe essere interpretata, con un eccesso di dietrologia, come un’indicazione al Conclave.

Poi, in una sorta di ultimo appello prima del voto, ha richiamato tutti all’unità: «Il collegio dei cardinali sia come un’orchestra, dove le diversità, espressione della Chiesa universale, concorrano sempre alla superiore e concorde armonia». Quasi a scongiurare i rischi di un Conclave lungo: vista la necessità di una maggioranza dei due terzi (77 voti, se fossero confermati i due assenti) non è detto che il nuovo papa venga eletto in tempi rapidissimi - come fu per Ratzinger, nel secondo giorno, al quarto scrutinio -, tanto più che manca un candidato forte e che i fronti interni - curiali e residenziali, conservatori e riformatori moderati - sono piuttosto sfilacciati e alla ricerca di possibili convergenze.

Alle 17 l’addio al Vaticano, seguito passo dopo passo - passi mossi ancora con le "scarpe rosse", che ora verranno messe nel ripostiglio, insieme alle altre insegne papali: la mantellina e l’anello «del pescatore», che verrà distrutto - dall’appartamento al cortile di san Damaso (dove ha salutato per l’ultima volta Bertone e tutta la Segreteria di Stato), fino all’eliporto interno alla Città del Vaticano, da dove è decollato a bordo di un elicottero dell’aeronautica militare targato Repubblica italiana alla volta di Castel Gandolfo.

Lì trascorrerà i prossimi due mesi, prima di far ritorno Oltretevere, in una singolare e ambigua coabitazione, sebbene non sotto lo stesso tetto, con il suo successore.

Un pontefice ombra

«Sarà un "papa ombra", ci potranno essere delle ingerenze pericolose e incontrollabili», dice all’Huffington post il teologo tedesco disobbediente Hans Kung, ex collega di Ratzinger all’università di Tubinga nel post Concilio. Dalla loggia del palazzo di Castel Gandolfo, poche parole, le ultime parole alla piccola folla in piazza: «Questo giorno è diverso da quelli precedenti.

Non sono più sommo pontefice della Chiesa cattolica: fino alle otto di sera lo sarò ancora, poi non più. Sono semplicemente un pellegrino che inizia l’ultima tappa del suo cammino su questa terra».

Le finestre si chiudono e con loro termina "l’era Ratzinger". La sede petrina è "vacante", la Chiesa cattolica è senza capo. Questa mattina i cardinali si incontreranno informalmente per la prima volta. Lunedì prenderanno il via le congregazioni generali (le consultazioni) e inizieranno ufficialmente le grandi manovre per eleggere il nuovo papa.

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Commenti Articolo 565

Titolo articolo : RISULTATI ELEZIONI: BEPPE GRILLO, CINQUE STELLE, E LA CRISI DELLA REPUBBLICA. Un punto fondamentale del suo programma per capire ancora di più e meglio il successo ottenuto - con  note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/01/2013 - 13:25:43.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/2/2013 07.54
Titolo:È Beppe Grillo il vincitore delle elezioni 2013. Il suo Movimento 5 Stelle vola ...
- Boom Cinque Stelle, il Senato bloccato
- Il vero vincitore è Grillo: niente inciuci *

- Il leader: “Siamo il primo partito, Bersani e Berlusconi sono falliti”

Torino. È Beppe Grillo il vincitore delle elezioni 2013. Il suo Movimento 5 Stelle vola, sfonda la soglia del 20% ritenuta impensabile fino a qualche mese fa e fa tremare i partiti. Il Pd, se vuole governare senza allearsi con il Pdl, dovrà necessariamente trovare un accordo con i parlamentari a cinque stelle.

Lui, Grillo, nel giorno della vittoria comunica soltanto attraverso la rete («L’onestà sarà di moda», ritwitta non appena vengono diffusi i primi risultati più che incoraggianti per il M5S). Ma la linea è quella della prudenza. Attendere che i dati siano ufficiali perché, lasciano trapelare dallo staff, «ci saranno delle sorprese». Nel quartier generale a cinque stelle, in un albergo nei pressi di piazza San Giovanni a Roma, i commenti vengono infatti rinviati a «quando i dati saranno certi». Così come avviene per le decisioni di natura politica. Nessun azzardo. Appoggiare una coalizione o un’altra per il governo? Decidere quali presidenti votare per Camere e Senato? «Prima ci conteremo, ci riuniremo, ascolteremo la base poi decideremo che fare», spiegano i futuri parlamentari a cinque stelle.

In serata Beppe rompe il silenzio: «Saremo una forza straordinaria. Faremo tutto ciò che abbiamo detto: il reddito di cittadinanza, nessuno indietro. Saremo 110 dentro e qualche milione fuori. Bersani e Berlusconi? Sono dei falliti». E le alleanze? «Intanto entriamo in Parlamento e ci perfezioniamo. E non pensino di fare inciucetti, inciucini. Faremo tutto quello che abbiamo promesso in campagna elettorale: reddito di cittadinanza, nessuno deve rimanere indietro. Abbiamo iniziato a cambiare le parole». La soddisfazione è grande: «Abbiamo raggiunto un risultato eccezionale. Siamo il primo partito in assoluto e questo in solo tre anni e qualche mese. Aspettateci in Parlamento, sarà un vero piacere osservarvi. Mi chiedo dove ci collocheranno, spero che dietro ognuno di voi ci sia uno di noi».

Grillo pesca a destra e a sinistra, dallla Sicilia alle regioni del Nord. L’ormai ex comico se ne sta barricato nella sua villa di Sant’Ilario da questa mattina intorno alle 11 quando era uscito a piedi con la moglie e un figlio per recarsi a votare nel vicino seggio allestito presso l’Istituto agrario Marsano. In Sicilia e Sardegna i Cinque Stelle incassano quasi il 30% delle preferenze. I dati (parziali) raccontano che i grillini navigano attorno al 25% in Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Veneto e Abruzzo. Solo in Lombardia Grillo non raggiunge il 20%. A Venaus, comune della Valle di Susa divenuto nel 2005 simbolo della lotta contro la Tav Torino-Lione, il Movimento 5 stelle ha ottenuto il 46,9% al Senato, pari a 278 preferenze su 609 votanti. E anche a Bussoleno Grillo conquista la maggioranza dei consensi dei 3524 elettori, ottenendo il 44,48% dei voti.

Sorridenti ed emozionati, vestiti casual (in maglione o con una camicetta), ma soprattutto giovanissimi: Alessandro Di Battista, Marta Grande (probabilmente la più giovane parlamentare con i suoi 25 anni), l’ormai “esperto” Davide Barillari e Domenico Falconieri sono il volto del MoVimento subito dopo le prime proiezioni. Si tratta di tre neo parlamentari in pectore e del candidato presidente alla Regione Lazio. Si vede che non sono abituati alle luci delle telecamere ed ai flash ma sanno rispondere alle provocazioni: «Inesperienza? Ci sono pro e contro, ma se ce l’ha fatta Scilipoti...», replicano lasciando trapelare un po’ di nervosismo.

Ma è il giorno della vittoria. Si festeggia soprattutto sul web. Su twitter esplode la gioia grillina. La “Cosa”, la web tv a cinque stelle, trasmette in streaming da tutta Italia: telefonate, commenti. È la festa di M5S. Interviene anche Dario Fo, il premio Nobel che si è speso apertamente al fianco di Grillo: «Questa è una straordinaria vittoria dei giovani. Pulizia e giovinezza stanno vincendo!», esulta in collegamento telefonico. Poi unisce una riflessione di natura politica: «Il M5S ha imparato ad ascoltare qualcosa pure dai vecchi - spiega - Abbiamo bisogno di cambiare tutto. Ora si rischia una legislatura breve ma intanto bisogna reinventare il modo di stare nelle istituzioni».

È questa la preoccupazione principale degli analisti politici. Che cosa succederà ora? Cosa farà il Movimento? La risposta dei militanti è ferma: siamo pronti ad appoggiare le proposte che riterremo valide. Difficile però capire se siamo pronti ad un sostegno, seppur esterno, a qualsiasi tipo di formazione.

Dialogo con Berlusconi? «È molto difficile che Berlusconi proponga idee utili per la collettività. Non è mai successo finora ma se accade un miracolo, ascolteremo la rete», risponde Alessandro Di Battista, che bacchetta anche il Pd che «quando doveva proporre una legge sul conflitto d’interesse non l’ha fatto» ma ora «non ha più scuse» se intende proporre leggi valide.

Più sottile il commento di Marta Grande che replica così a chi gli chiede se il M5S abbia rubato voti al Pd: «Non abbiamo tolto voti a nessuno - sottolinea - Sono loro che li hanno persi». E se si tornasse al voto? «Alle prossime elezioni, non sappiamo quando, saremo la maggioranza assoluta del Paese».

* La Stampa, 25/02/2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/2/2013 12.38
Titolo:Al pettine i nodi che la politica non ha sciolto negli ultimi vent’anni
Il dovere di scelte coraggiose

di Mario Calabresi (La Stampa, 26/02/2013)

Nelle prime elezioni sotto la neve sono venuti al pettine i nodi che la politica non ha sciolto negli ultimi vent’anni: il rapporto con i cittadini prima di tutto, quel senso di incomunicabilità che ha portato a esprimere una protesta che non ha precedenti.

Ora abbiamo un Parlamento in cui nessuno schieramento è in grado di dare vita a una maggioranza di governo, in cui un quarto dei votanti ha scelto il Movimento di Beppe Grillo e in cui la doppia ribellione dei cittadini verso la «casta» da un lato e verso i tagli e i sacrifici dall’altro è la vera vincitrice.

L’Italia reale ha espresso tutto il suo malessere e dentro questo voto si sentono le voci e le storie di chi non trova lavoro, di chi non riesce ad arrivare alla pensione o alla fine del mese, di chi pensa di non avere futuro e fugge all’estero, di chi ha vissuto le nuove tasse come un’insopportabile angheria.

C’è stata nel governo e nei partiti, ce lo dicono le urne, una sottovalutazione dell’impatto sociale delle politiche di austerità, una mancanza di sensibilità drammatica. A cui si deve sommare la rabbia maturata per la distanza percepita tra i sacrifici richiesti ai cittadini e quelli rifiutati dai politici.

La scelta di Monti di partecipare alla campagna elettorale e l’offensiva dei due partiti maggiori contro le politiche del suo governo hanno anche impedito di dare un senso ai sacrifici, di valorizzarli come passo fondamentale verso la ripresa dell’Italia. Sulla pelle sono rimasti solo tagli che hanno perso via via senso, in un coro sguaiato di promesse impossibili. Così il nostro ancoraggio all’Europa, il recupero di credibilità, la possibilità di far sentire la propria voce ai tavoli internazionali sono stati dimenticati in fretta. Eppure, non illudiamoci, solo grazie a queste conquiste siamo stati messi al riparo dal disastro e da oggi torniamo a rappresentare un pericolo e un segnale di allarme e instabilità per tutti.

Di fronte al malessere del Paese Beppe Grillo è stato capace di parlare un linguaggio eccessivo ma immaginifico che ha raccolto e dato cittadinanza ad ogni tipo di protesta e di rabbia, mentre Berlusconi, come avevano intuito per tempo su queste pagine Luca Ricolfi e Michele Brambilla, è stato il più abile ad intercettare la rivolta contro le tasse e i controlli fiscali. Pier Luigi Bersani invece ha confidato troppo nel risultato delle primarie, nell’assenza dell’avversario, nella corrente che lo avrebbe portato a Palazzo Chigi senza troppa fatica. Così al Pd sono mancati un progetto ma anche un sogno capaci di scaldare i cuori degli elettori, di dare risposte forti e convincenti al malessere, di indicare una direzione per il futuro.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti e ci racconta un’Italia nuova, provata e spaventata dalle dinamiche nuove del mondo globale, dove il lavoro si sposta senza badare ai confini, dove sarebbe necessario rimettersi a studiare e ripensarsi ogni giorno. Ma anche un’Italia profonda che continua a mostrare diffidenza verso gli eredi del vecchio Pci, tanto da non concedergli più di un terzo dei voti.

Ora rimettere a posto i pezzi di questo sistema piombato nel caos appare impresa di difficile soluzione. Ci vorrebbero coraggio, spirito di sacrificio e saggezza, doti che scarseggiano.

A scrutinio non ancora concluso si è già sentito parlare di nuove elezioni da tenere dopo aver approvato una nuova legge elettorale, una prospettiva che appare ancora più drammatica e irreale. Per fare una legge elettorale è necessaria una maggioranza in Parlamento, quella maggioranza che non c’è stata nell’ultimo anno nonostante i numeri ci fossero e fossero abbondanti. E pensare che il presidente della Repubblica ha insistito fino all’ultimo per riformare il sistema di voto, chiedendo che fosse ristabilito un rapporto tra elettori e eletti, affinché i cittadini potessero scegliere i propri rappresentanti e non fossero chiamati solo a ratificare le scelte dei partiti, e che venisse eliminato il mostruoso premio di maggioranza della Camera. Ma la miopia di chi pensava di avere la vittoria in tasca e di chi era convinto di poter ancora lucrare una rendita di posizione hanno avuto la meglio. La stessa miopia che ha fatto gettare via ogni modifica istituzionale: così non è stato diminuito il numero dei parlamentari, si sono mantenute le province e si è data l’idea di voler salvare l’esistente con tutti i suoi privilegi.

Immaginate adesso se il primo atto di queste nuove Camere fosse accordarsi per dare vita a una nuova legge elettorale, immediato sorgerebbe il sospetto nei cittadini di trovarsi di fronte all’ultima disperata mossa del sistema dei partiti per salvare la propria esistenza. La rivolta salirebbe ancora più forte.

Abbiamo invece bisogno di passi chiari, di scelte nette e coraggiose. Si provi a vedere in Parlamento se sono possibili convergenze per dare risposte urgenti ai cittadini, senza trattative incomprensibili. Dopo il voto di ieri e domenica una cosa è certa: ogni passo politico deve essere fatto alla luce del sole e deve essere leggibile e comprensibile da parte di tutti. In Parlamento si possono e si dovranno trovare convergenze, tra i partiti tradizionali ma anche tra i nuovissimi parlamentari Cinque Stelle che ora vantano come un merito la loro inesperienza politica e il loro candore. Vanno trattati come una risorsa, non come dei nemici. Sono rappresentanti degli italiani, come tutti gli altri. La politica quand’è nobile cerca soluzioni e quand’è efficace, le trova. Non c’è più tempo per giochi oscuri. Il voto degli italiani lo ha detto chiaramente.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/2/2013 17.58
Titolo:Dario Fo: Beppe vuole trattare con la sinistra il Pd deve ascoltarlo ...
- Il premio Nobel: non mi aspettavo un successo così
- Dario Fo: Beppe vuole trattare con la sinistra il Pd deve ascoltarlo
- Porteremo al potere tanti giovani preparati, che sapranno rinnovare l’Italia. Io li ho conosciuti da vicino

- di Zita Dazzi (la Repubblica, 26.02.2013)

MILANO - «È una grande giornata, il segnale delle elezioni è straordinario». Il premio Nobel Dario Fo all’ora di cena è nella sua casa milanese, incollato alla televisione e non nasconde l’entusiasmo davanti ai risultati. «Il movimento Cinque stelle è il primo partito. E ora finalmente conterà in Parlamento. Potrà fare le leggi che cambieranno l’Italia e che nemmeno il Pd ha avuto il coraggio di fare quando era al Governo».

È sicuro che Grillo saprà fare buon uso dei suoi voti?

«Ma certo, lo conosco bene, io. Da anni. Porterà al potere tanti giovani preparati, che sapranno rinnovare l’Italia. Io li ho conosciuti da vicino. Non ho dato il mio voto senza informarmi. E parlando con Grillo dei suoi programmi, ho capito che solo loro possono garantire una vera rivoluzione. Non è vero che sono populisti: Berlusconi è populista. Orrendo. E bugiardo, con quelle promesse sull’Imu».

Si aspettava che i “grillini” prendessero tutti questi voti?

«A dire il vero nemmeno io mi aspettavo un successo così. Gli italiani hanno deciso di mandarli tutti a casa, questi che hanno governato per anni. Grillo e i nuovi eletti - giovani, intelligenti, preparati - sapranno trasformare l’Italia in una nazione civile».

Berlusconi sembrava spacciato e invece è tornato sulla scena. Non la preoccupa nemmeno questo?

«Certo, è sorprendente. Ma aspetto di vedere i risultati definitivi. Sarebbe grave se il suo risultato fosse confermato».

E del centrosinistra che non sfonda nemmeno dopo tutti gli scandali che hanno travolto Berlusconi, che pensa?

«Il Pd s’è ben guardato dal fare le leggi sul conflitto di interesse. Ha lasciato che Berlusconi facesse i provvedimenti ad personam che gli hanno garantito l’impunità. E questo gli elettori l’hanno capito».

Non pensa che il Paese diventerà ingovernabile?

«Affatto. Che cosa cambiava se il Pd prendeva più voti? Chi crede ancora in un partito che non ha fatto le leggi che potevano fermare Berlusconi?».

Che scenario politico vede adesso?

«Se il Pd pensa di allearsi con Monti si torna a votare. Se invece collabora con Grillo, le cose cambieranno. Cinque stelle è pronto a ragionare con la sinistra per fare le cose che gli italiani chiedono da anni».

Tipo?

«Per esempio, il taglio dell’esercito e della marina. Siamo l’unico Paese europeo che ancora spende per i cacciabombardieri, un’infamia».

E in Lombiardia? Il centrodestra è in vantaggio, rischia di diventare governatore Roberto Maroni.

«Speriamo di no. Io ho fatto il voto disgiunto per far passare Ambrosoli e sono convinto che tanti anche del movimento cinque stelle hanno fatto lo stesso ragionamento».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/2/2013 18.33
Titolo:Così funziona il "5 Stelle": "democrazia orizzontale" dal web al Parlamento
Elezioni 2013, così funziona il "5 Stelle"
- "democrazia orizzontale" dal web al Parlamento

Oltre otto milioni di voti, 109 seggi alla Camera e 54 al Senato. L’organizzazione del Movimento 5 stelle, dai gruppi di base al vertice. La gestione e la visione di Casaleggio, cofondatore della piattaforma. E su tutto, la Rete e il rinnovamento della generazione politica

di TIZIANO TONIUTTI *

"IL WEB è più un’innovazione sociale che tecnica". A dirlo è Tim Berners-Lee, "padre" del World Wide Web, una delle forme della Rete come oggi la intendiamo. Una definizione sovrapponibile senza difficoltà a quella del MoVimento 5 Stelle di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. E degli oltre otto milioni di elettori che hanno segnato la loro preferenza per il primo non-partito ad entrare in maniera così massiccia in un Parlamento. E che chiedono una ridefinizione delle basi della partecipazione democratica alla vita del Paese, superando la rappresentanza offerta dai partiti, applicando i fondamentali "democrazia diretta", orizzontale e non più verticale. Intervenendo nell’attività politica delle Camere "come cittadini e non come onorevoli" attraverso la consultazione della Rete e il lavoro dei portavoce della popolazione nelle sedi istituzionali.

Come funziona. I "precedenti" che l’ingresso del Movimento 5 stelle porterà nelle istituzioni sono importanti. Anzitutto, il M5s non è un partito, e si basa su un non-statuto, pubblicato sul sito di Beppe Grillo. Ogni attività del Movimento fa comunque riferimento a questo documento, assieme al programma politico a 5 stelle. Nel non-statuto sono contenuti i fondamenti del M5s, tra cui la mancanza di una sede fisica (sostituita da una nel "cloud", il blog di Grillo). Ma oltre l’infrastruttura, che è la Rete, soprattutto si definisce la struttura di base. Che è quella costituita dalle liste civiche certificate e dai Meetup, le comunità digitali che organizzano incontri e attività sul territorio. Aperte a chiunque, è sufficiente iscriversi sul sito per essere informati su temi e attività nella propria zona. Una visione iperlocale della politica che di fatto sostituisce i circoli e le sezioni, divulgando le attività delle singole cellule a livello globale, e agendo nei perimetri dei quartieri e delle circoscrizioni. Il mito dell’Agorà digitale, la piazza telematica, o più semplicemente la Rete applicata al territorio, attraverso il web e applicazioni mobili, come quelle per la gestione dei Meetup. E come potrebbe essere tutta la politica dei prossimi anni: un’applicazione sociale, in un mondo che aggiorna le proprie applicazioni - economia, energia, lavoro, salute - quando ne sono pronte nuove versioni, come accade con gli smartphone. Una visione, che poi dovrà resistere alla prova dei fatti e alla vita quotidiana di un Paese.

Governo a 5 Stelle. Per quanto riguarda l’attività parlamentare, l’esperienza a 5 Stelle si declinerà probabilmente attraverso gli stessi canoni che hanno definito le consultazioni locali e l’elezione dei candidati, come accaduto con le "Parlamentarie". Un esperimento che ha visto i candidati a Camera e Senato pubblicare testi e video di presentazione sul web, per poi sottoporsi alle preferenze degli iscritti al Movimento. Una selezione che ha sollevato dubbi sul metodo di gestione: i candidati dovevano necessariamente aver partecipato a consultazioni amministrative precedenti, per il Movimento. Porta chiusa agli altri. Per il Parlamento, le cose potrebbero funzionare in maniera simile. Ovvero con l’iscrizione dei cittadini interessati ad esprimere la propria posizione al sito del Movimento, su cui presumibilmente verranno aperti spazi di informazione proposta e discussione su quanto avviene in Parlamento. Attraverso questa piattaforma il cittadino-utente parteciperà direttamente alle decisioni politiche che poi i deputati e senatori (in una sola parola, i portavoce) del Movimento faranno proprie in sede parlamentare.

Eletti, cittadini e "citoyens". Ma chi sono i parlamentari a 5 stelle, e che esperienze di governo hanno? Per la seconda domanda, la risposta è "nessuna". Esistono però delle realtà amministrative come Parma e Palermo che vanno oltre l’esperimento di laboratorio sull’innesto tra la visione a 5 Stelle e la realtà del territorio. La Sicilia in particolare appare come un tornasole, con il governatore Crocetta che dice che "Con Grillo si può governare", e con i portavoce del Movimento che partecipano attivamente all’amministrazione della regione. Uno scenario che potrebbe replicarsi a livello nazionale alla luce delle elezioni. I profili degli eletti, anzi dei "cittadini", come i rivoluzionari francesi del 1789, si distinguono già dall’età, con la media di età degli eletti intorno ai 37 anni (33 alla Camera e 46 al Senato). Molte donne, tutti nomi nuovi. Dalla più votata in Italia alle parlamentarie, Paola Carinelli, milanese, 32enne e impiegata, a Giulia Sarti, la preferita in Emilia Romagna, animatrice estiva. Poi Federica Daga, numero uno alle parlamentarie del Lazio. C’è la "poetessa" romanesca Paola Taverna, che vive a Torre Maura. Roberta Lombardi, sempre romana, lavora nel settore del lusso "made in Italy". E poi l’autore di "Sicari a 5 euro", un libro inchiesta curato da Casaleggio Associati, Alessandro Di Battista. E poi il caso di Ivana Simeoni e Christian Iannuzzi, rispettivamente mamma e figlio, lei eletta al Senato e lui alla Camera. E Azzurra Cancelleri, eletta in Sicilia, sorella del capogruppo M5s all’assemblea regionale.

Il vertice. Il ruolo di internet nell’economia del Movimento 5 Stelle arriva fino al vertice, rappresentato dal binomio Grillo-Casaleggio, ma non appare coinvolgerlo. A internet il non-statuto riconosce un ruolo nelle fasi di "adesione al Movimento, consultazione, deliberazione, decisione ed elezione" dei rappresentanti, che dal documento si configurano come il principio e la fine del Movimento. La dirigenza assume nel non-statuto un ruolo a quanto sembra puramente formale, tranne che per quanto riguarda le questioni di proprietà del marchio del Movimento, registrato a nome di Beppe Grillo. Un aspetto di impronta "aziendalista" che ha sollevato polemiche. Quanto avviene con il "marchio" in realtà può indicare una visione padronale del Movimento: in questo contesto Grillo e Casaleggio hanno le mani libere per fare e disfare. Questo è uno degli aspetti più controversi, risolto parzialmente da quanto si legge nel non-statuto, ovvero che il M5s "non è un partito politico né si intende che lo diventi in futuro". Si tratta di una piattaforma, con un proprietario, un capo politico e uno staff che la gestisce. Un ritorno alla burocratica realtà, accanto alla rivoluzionaria visione del Paese offerta dal programma a 5 Stelle. Un argomento con cui la nuova identità politica assunta dal Movimento dovrà confrontarsi. E sul tema, il web offre ironia e satira. Il primo bersaglio è naturalmente il "santone" Beppe Grillo, anzi "Peppe". E a ruota gli aspetti fideistici del M5s, con gli attivisti dipinti come cultori di una nuova chiesa digitale, presi da problemi come le "scie kimike" e l’efficienza della Biowashball, sottintendendo l’esistenza di questioni più "serie" che dovrebbero impegnare le menti politiche. Aggiungendo magari il confronto e il contraddittorio con altre forze e altri pensieri. E con la stampa, senza distinzioni.

Casaleggio. Gianroberto Casaleggio è il cofondatore del Movimento 5 Stelle e numero uno di Casaleggio Associati, azienda che si occupa di strategie di rete. Viene indicato come l’ideologo del movimento. La figura imprenditoriale di Casaleggio nasce con il boom della new economy e si modifica dopo lo scoppio della "bolla". Figura di spicco nell’Olivetti di Roberto Colaninno e poi manager di Telecom e amministratore della Webegg, Casaleggio a dispetto della lunga attività su internet non è una figura molto presente in rete. Più volte però si è esposto come volto non-occulto del Movimento 5 Stelle, l’ultima a piazza San Giovanni a Roma nella data conclusiva dello Tsunami Tour di Grillo, altre volte in interviste e lettere ai giornali. Non sono mancate le attenzioni su di lui quando i riflettori dell’informazione evidenziarono un collegamento con Enrico Sassoon, attualmente ex-membro del cda di Casaleggio Associati e personaggio dal curriculum importante nei rapporti internazionali: presidente del comitato affari economici dell’American Chamber of commerce in Italy, una carriera in Pirelli e la direzione della rivista Affari Internazionali, ora sotto la guida di Stefano Silvestri. Sassoon lasciò il board di Casaleggio dopo polemiche relative alla sua presenza agli incontri del gruppo Bildeberg, di cui fanno parte i nomi più pesanti dell’economia e della finanza internazionale. Stanze lontane da quelle del Movimento 5 Stelle, non necessariamente incompatibili con la "nuova democrazia" ma dalle categorie al momento distanti.

Ma la figura di Gianroberto Casaleggio (portato a sorpresa da Grillo sul palco di San Giovanni) appare più complessa di quella offerta dalle ricostruzioni giornalistiche: l’uomo è autore di testi e contributi multimediali su ipotetici scenari per il mondo e per il web. Una figura che in un mondo senza nazioni e barriere culturali verrebbe facile accostare proprio a quella di Tim Berners-Lee. Non un guru e non un ideologo, ma un tessitore di quella rete che è più sociale che tecnica. O più banalmente un silenzioso analista del futuro. L’elemento mai nominato, ma più presente del presente nei sogni programmatici del Movimento 5 Stelle.

* la Repubblica, 26 febbraio 2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/2/2013 20.37
Titolo:Grillo apre al Pd: "Esperienza Sicilia meravigliosa"
Elezioni, Grillo: "Alle consultazioni vado io"
- Poi apre al Pd: "Esperienza Sicilia meravigliosa"

Il leader del M5S dopo le polemiche dei giorni scorsi si concede ai giornalisti e si presenta con un profilo più pacato: "Non siamo contro il mondo, vedremo riforma per riforma, legge su legge". Ed esalta la situazione siciliana, dove il movimento sta permettendo al presidente Crocetta di governare *

ROMA - Qualcosa è cambiato. Per ora sono piccoli segnali, sfumature nei toni e nelle parole, ma l’impressione è che il Movimento 5 Stelle, e soprattutto la prospettiva del suo leader, ora solidamente insediati in Parlamento, non siano esattamente quelli con cui si è picconato il sistema negli ultimi tre anni. Tanto per iniziare, dopo il lunghissimo braccio di ferro con la stampa e i ripetuti dispetti, un Beppe Grillo pacato e sereno al momento di lasciare la sua casa genovese si è diligentemente concesso a un lungo fuoco di domande dei cronisti. Aprendo chiaramente alla possibilità di un’intesa, per quanto limitata, con il centrosinistra. "Il modello Sicilia è meraviglioso", dice riferendosi all’esperienza dell’Isola dove i 15 deputati eletti all’Ars con il movimento non fanno parte della maggioranza né del governo guidato da Rosario Crocetta, ma hanno sostenuto provvedimenti di giunta e maggioranza come Dpef e la mozione sul no al Muos, il sistema di comunicazione satellitare in costruzione a Niscemi.

Che il M5S d’ora in poi possa agire almeno in parte come forza interna al gioco istituzionale, piuttosto che come perenne outsider, è confermato anche da altre parole pronunciate dal leader. Grillo spiega, ad esempio, che sarà lui in persona a presentarsi al Quirinale per il colloquio con il presidente della Repubblica quando avranno inizio le consultazioni in vista della difficile formazione di un governo.

"Noi non siamo contro il mondo - precisa quindi il leader del movimento - Vedremo riforma per riforma, legge su legge. Se ci sono proposte che rientrano nel nostro programma, le valuteremo". Il vincitore delle elezione elenca subito quindi un paio di punti ai quali tiene in maniera particolare: "Se non ci sono soldi non si fanno le grandi opere, né la Tav né la Gronda (il nuovo asse autostradale di Genova, ndr). Per chi perderà il lavoro noi proponiamo il reddito di cittadinanza".

Come era facilmente immaginabile, Grillo spara a zero sull’ipotesi di una grande coalizione tra Pd e Pdl, ma davanti alla possibilità di un’alleanza del M5S con altre forze politiche usa espressioni molto più sfumate rispetto alla chiusura netta del passato. "Non è il momento di parlare di alleanze. Messi così non riusciranno a governare. Il nostro appoggio dipende se seguiranno il nostro programma", afferma Grillo. E così dicendo consente a chi nella coalizione Pd-Sel tifa per un dialogo con il movimento di aggrapparsi con un barlume di fiducia a quel sibillino "non è il momento".

"Qui - prosegue Grillo - si tratta di percepire che il cambiamento è epocale. Non è solo italiano. Perché abbiamo votato on-line, perché i cittadini non hanno più intermediazioni". Novità che il movimento intende estendere immediatamente anche all’imminente scelta del nuovo presidente della Repubblica. Il capo dello Stato, spiega, "noi lo voteremo online con il movimento" non sarà il gruppo a votarlo "ma il movimento". Quanto ai possibili candidati, Grillo lancia una provocazione: "Io dico Dario Fo. E’ un nobel famoso nel mondo, ha una lucidità fantastica, è un ragazzo e ha capito il senso del movimento, ha voluto parlare con i ragazzi, ha capito che cosa stava succedendo".

* la Repubblica, 26 febbraio 2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/2/2013 16.18
Titolo:LA PENTOLA SCOPERCHIATA
La pentola scoperchiata

di BARBARA SPINELLI *

La cosa più difficile, dopo il gran botto delle elezioni, è districare il groviglio di luoghi comuni, frasi fatte, formule-slogan che ci accompagnano da mesi e anni. La parola populismo innanzitutto.

Ovvero quest’accusa lanciata disordinatamente contro chiunque abbia l’ardire di accusare i politici regnanti e le loro vaste provinciali inadeguatezze. Ma anche vocaboli come sacrifici, austerità: presentati come nobili porte strette che ci avrebbero restituito prestigio europeo, e che dovevamo alle generazioni future. Infine il concetto-chiave: governabilità. Parola un po’ irrisoria, quando il termine oggi preferito non è governo ma l’inafferrabile governance tecnica. Si sono accartocciate come foglie, queste frasi fatte, trascinate da un vento che non sappiamo dove andrà ma sappiamo da dove viene, sempre che si voglia reimparare non solo la politica, ma anche la geografia di un’Italia così poco perlustrata, e compresa.

Ilvo Diamanti ha detto una delle cose più sensate, constatando lunedì lo straordinario successo di Grillo e la non meno portentosa ripresa di Berlusconi. Ha detto, quasi smarrito: "Non sappiano quale sarà la prossima storia d’Italia". È uno smarrimento salutare: sospende il giudizio davanti al monumentale evento. Comunque non lo interpreta ricorrendo ai luoghi comuni su cui tanta parte della politica, della stampa, della Tv, da tempo sono adagiati.

È vero: c’è del populismo in Grillo come in Berlusconi. C’è l’antico ribrezzo provato dalla democrazia sostanziale (il paese reale) verso la democrazia formale, rappresentativa (il paese legale). Se però l’avanzata di Grillo e la rivolta fiscale berlusconiana fossero un vento solo distruttivo, la storia sarebbe prevedibile. Non lo è affatto invece. Anche se dissimili, i populismi non sono oggi solo furia e raptus.

Altro s’intuisce, specie nel voto a Grillo. C’è il desiderio del popolo di farsi cittadino, anziché massa informe, zittita, spostabile. E c’è una vera e propria esplosione partecipativa: non un fuoriuscire dalle istituzioni pubbliche, come in Forza Italia o Lega, ma una presa di parola. Qualcosa di simile all’Azione popolare che Salvatore Settis chiede ai "cittadini per il bene comune", al loro spirito comunitario. Il cittadino dipinto da Grillo non intende annientare lo Stato: "si fa Stato", vuol essere ascoltato, contare. Diffida di un patto con le generazioni future che "salti" quella presente.

Non fu Monti a dire, senza arrossire, che esisteva una generazione perduta di 30-40enni? Citiamo quel che disse al Corriere il 27 luglio 2012: "Esiste un aspetto di ’generazione perduta’, purtroppo. Si può cercare di ridurre al minimo i danni, di trovare formule compensative di appoggio, ma più che attenuare il fenomeno con parole buone, credo che chi (...) partecipa alle decisioni pubbliche debba guardare alla crudezza di questo fenomeno e dire: facciamo il possibile per limitare i danni alla generazione perduta, ma soprattutto impegniamoci seriamente a non ripetere gli errori del passato, a non crearne altre, di ’generazioni perdute’". Non facile, per tale generazione, votare senza far deflagrare questa disinvoltura.

Viene poi l’austerità: la condanna di gran parte dei votanti è detta irresponsabile, come se le elezioni fossero una tavola rotonda fra massimi esperti e massime dottrine. Ma un paese deciso a prender la parola non disquisisce calmo: ne va della sua pelle. Qui è l’aspetto più sconvolgente del voto, a mio parere. È l’abissale ignoranza di quel che bolliva nei nostri sottofondi: non da mesi, ma dall’inizio della crisi e forse prima. Le prime iniziative civiche nascono negli anni ’90, così come i Verdi tedeschi son figli di Iniziative cittadine (Bürgerinitiativen) che negli anni ’70 immaginarono un altro sviluppo economico, un vivere più austero, e nuovi diritti civili (comunità familiari, unioni analoghe ai matrimoni, anche omosessuali).

Il sottosuolo italiano era ignoto a quasi ogni partito, e la lotta elettorale non sarà dimenticata: chi è andato a parlare al Sulcis o a Taranto, chi ha scandagliato la Sicilia città dopo città, come i comunisti d’un tempo, se non Grillo? Gridava slogan, ma era lì dove si soffriva, l’occhio fisso sulla crisi. Grillo non nega il baratro, a differenza di Berlusconi. Guarda in faccia le paure annunciando guerre, ma il legame crisi-guerra è innegabile. Non solo. È stato l’unico a dire l’acre verità, per noi e i paesi industrializzati: "Saremo tutti più poveri, forse, ma almeno saremo più solidali". All’Economist ha confidato: "Il mio movimento è un antidetonante: regola la paura". Difficile confutare il suo presagio: senza M5S, l’ira popolare secernerebbe un’Alba Dorata greca o il dispotismo ungherese di Orbán.

Si è parlato più volte del New Deal di Roosevelt, per vincere una crisi che ricorda il ’29. Nulla di analogo viene proposto, né dai governi né dall’Europa, che se solo lo volesse potrebbe lanciare un piano simile. Vorremmo ricordare tuttavia che il New Deal non costruì solo strade, ponti, scuole, università. Roosevelt era convinto che il governo dell’economia aveva fallito, cedendo ai mercati, per un’altra ragione, non contabile ma culturale: l’immane continente americano era ignoto, oscurato da stampa, libri e cinema. Il gran pentolone andava scoperchiato: primo perché chi vive nel cono d’ombra - se visto - si sente riconosciuto, riconquista dignità; secondo perché i governanti correggono i mali solo se li discernono.

Nacque così negli anni ’30 il WPA (Work Progress Administration), finanziato dal pubblico e incaricato di esplorare i recessi dell’America. Senza quel programma non avremmo avuto Il Furore di Steinbeck; le emissioni radio e le messinscene teatrali di Orson Welles (fra il ’36 e il ’37); le musiche popolari raccolte in tutta America da Nicholas Ray; i documentari e fotoreportage sul continente invisibile. Venne poi il Living Newspaper: i fatti del presente venivano inscenati in teatri molto popolari, promuovendo la partecipazione sociale (senza remore ideologiche si imitò il teatro-agitprop sovietico).

C’è chi parla di macerie: tale sarebbe l’Italia dopo il voto. Ma anche questo è luogo comune. Le macerie già c’erano, affastellate da partiti chiusi nei recinti e da regioni (la Lombardia, non esclusivamente la Sicilia) prive di senso dello Stato da un secolo e più. In tutta la campagna, Bersani non ha trovato un solo progetto forte, che oltrepassasse la propria cerchia e si mettesse in ascolto di rivolte e paure. Tanto temeva il populismo che ha sottostimato la rivolta contro le tasse, quasi non sapesse che pagare un’Imu altissima in piena crisi era impossibile a persone con una casa, ma senza soldi. Ha minacciato di tassare i patrimoni superiori a 1,3 milioni, impaurendo le classi medie più che i veri ricchi. Vuol vietare i pagamenti in contante oltre i 300 euro, e ironizza sulla "storiella delle vecchiette" senza carta di credito. Tutt’altro che storiella in un paese vecchio, non abituato alla credit card. Non sono certo lì gli evasori.

L’ignoranza del paese ha distrutto partiti-padroni, e tutto diventa davvero imprevedibile. Ma l’imprevedibilità può essere anche un’enorme occasione: incita a cambiamenti sociali profondi. I progetti alternativi ai dogmi dell’austerità possono sortire effetti negativi: tanti lo temono, insieme al governo tedesco. Ma anche l’anticipazione di effetti perversi può fallire. Se ci precludessimo ogni sperimentazione saremmo paralizzati, prede di ricette che già annientano la Grecia. Nella vita individuale come in quella collettiva vale la pena buttarsi nell’ignoto, riconoscere che certe cure sono mortali. In Italia vale la pena tentare alleanze inedite (l’accordo prospettato da M5S sulle idee: conflitto d’interessi, corruzione, costi della politica), perché solo osando e provando tramuteremo la crisi in una trasformazione. E non è una trasformazione, ciò cui aspiriamo?

* la Repubblica, 27 febbraio 2013
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/2/2013 16.24
Titolo:UNA BUONA OCCASIONE ....
Se non sono chiacchiere, è una buona occasione

di Margherita Hack (l’Unità, 27.02.2013)

MI SEMBRA CHE SE CI FOSSE UN PO’ DI BUON
SENSO E DI BUONA VOLONTÀ, da queste elezioni potrebbe uscire il governo più forte che ci sia mai stato negli ultimi anni.
Per dire questo, parto da una constatazione: Grillo e i grillini in fondo vogliono molte cose che vuole anche la coalizione di centro sinistra. Almeno su quelle cose, quindi, le due forze potrebbero trovare un accordo. Così l’Italia ingovernabile potrebbe essere governata per fare quello che c’è da fare in tempi brevi.

E cioè:
1) Intervenire sul conflitto d’interessi.
2) Una nuova legge elettorale che ridia al cittadino la possibilità di scegliere i propri rappresentanti.
3) Una drastica riduzione dei costi della politica, con riduzione del numero dei parlamentari, eliminazione dei vantaggi e dei privilegi di cui godono.
4) Una riduzione delle spese militari che renda subito disponibili fondi da investire in modo prioritario per la scuola e la ricerca.
5) L’eliminazione delle province. E non il loro accorpamento che solleverebbe infinite diatribe e avrebbe come risultato un raddoppiamento degli uffici e quindi delle spese.
6) Una politica del lavoro. Su questo, non ho ricette perché non sono un’economista e non so come si faccia a creare lavoro in un’Europa in crisi. Però credo che ci siano alcuni settori pubblici di risanamento e di rispetto dell’ambiente che potrebbero creare posti di lavoro e andrebbero privilegiati.
7) I diritti civili. C’è da mettere mano al testamento biologico, ai matrimoni di fatto, alla revisione della legge 40. Su alcune di queste cose si può pensare di mettere d’accordo anche i grillini.
8) Infine, ci sarebbe da facilitare il processo di integrazione degli immigrati, abolendo le leggi indegne fatte dalla Lega.

Almeno su alcuni di questi punti si potrebbe trovare un accordo e andare avanti fino alla fine della legislatura, senza perdersi nei distinguo sulle cose meno importanti. In questo quadro anche Monti con i suoi potrebbe fare un’opposizione intelligente, da economista che ha a cuore la riduzione del debito pubblico e le condizioni economiche del Paese.

Del resto, non c’è altra possibilità: la grande coalizione col Pdl non è possibile. Basta che quello che dice Grillo non siano chiacchiere.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/3/2013 13.25
Titolo:CANCRINI E SERRA. Il futuro del M5S tra realismo e paranoia
- Il futuro del M5S tra realismo e paranoia

- risponde Luigi Cancrini
- psichiatra e psicoterapeuta (l’Unità, 1.03.2013)

- Insieme Bersani e Grillo potrebbero davvero fare cose importanti, quelle che la sinistra non ha mai potuto realizzare fino in fondo perché costretta a governare con chi, quelle cose, non voleva per interessi personali e di appartenenza. Ora credo che la volontà di cambiare ci sia tutta, le forze che servono pure; si tratta di trovare i modi.
- Silvana Stefanelli

In che direzione andrà ora il Movimento 5 Stelle? La Rete, dicono i giornali, si è spaccata dopo che Grillo ha risposto picche alla proposta di Bersani. Con due ipotesi politiche opposte da verificare nei prossimi giorni (o nelle prossime settimane) su quella che è (sarà) la tendenza prevalente del nuovo partito.

Volevano davvero la riduzione delle spese per la politica, il dimezzamento dei parlamentari, una nuova legge elettorale, la fine degli inciuci, una legge vera sul conflitto d’interessi, la trasparenza, il blocco delle spese per gli F35 e, più in generale, per gli armamenti e una modificazione profonda del costume politico?

La possibilità di ottenere queste cose c’è tutta. Basta chiederle: alla luce del sole, in Parlamento, quando si discutono (e, più tardi, quando si attueranno) i programmi elettorali di un nuovo governo.

Rinunciare a questa possibilità porterebbe a rendere più probabile la seconda ipotesi, quella di un movimento che vuole soltanto sfasciare tutto. Pensando non tanto al Paese quanto alla possibilità di crescere ancora lui (il movimento di Grillo) se gli altri falliranno ancora. Dall’interno di un vissuto paranoico in cui si pensa di dover continuare a lottare da soli contro tutti: «per cambiare il mondo», si è lasciato sfuggire ieri Grillo che forse ci crede davvero.

Riusciranno i suoi a fargli capire che la paranoia è incompatibile con la razionalità (che ci parla dei limiti di ognuno di noi) e con la democrazia (che è consapevolezza dell’arricchimento che ci può venire dall’altro)?
l’AMACA

di Michele Serra (la Repubblica, 1.03.2013)

Quando si dice che questo voto stravolgerà tutto e tutti, si dice davvero: tutto e tutti. Comprese le Cinque Stelle, che in poche convulse mosse, in pochi difficili giorni saranno costrette a capire molto della propria natura e del proprio futuro.

Capire in primo luogo se sono in grado di inverare il loro mito fondante, quello della democrazia autoconvocata, oppure se devono figurare come una docile armata compattamente a disposizione del suo capo e creatore.

In poche parole: come si prendono le decisioni, là dentro? Decidono solo Grillo e Casalegno? Decidono - o decideranno - gli eletti? Esistono o esisteranno forme e luoghi di decisione collettiva, sia pure in qualche arcana forma webbica?

Ove decidesse solo Grillo, neanche il Pcus funzionava così, e il “nuovo” prenderebbe sembianze ben sinistre. Con i voti, milioni di voti, usati come fiches nelle mani di un giocatore di poker.

Si guarda a quel potente grumo di pulsioni politiche e sociali con giustificata ansia, e un misto di diffidenza, interesse, paura, speranza. Il timore è che la gente di quel movimento confonda ogni parola esterna con un’intrusione, ogni contatto con una contaminazione. Il mito della purezza perde anche i migliori.

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Commenti Articolo 566

Titolo articolo : IL TERREMOTO GRILLO: NIENTE SARA’ PIU’ COME PRIMA! CAMBIARE O PERIRE!,di NINO LANZETTA

Ultimo aggiornamento: February/27/2013 - 23:42:11.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/2/2013 22.49
Titolo:UNA BUONA OCCASIONE ...
Se non sono chiacchiere, è una buona occasione

di Margherita Hack (l’Unità, 27.02.2013)

MI SEMBRA CHE SE CI FOSSE UN PO’ DI BUON
SENSO E DI BUONA VOLONTÀ, da queste elezioni potrebbe uscire il governo più forte che ci sia mai stato negli ultimi anni.
Per dire questo, parto da una constatazione: Grillo e i grillini in fondo vogliono molte cose che vuole anche la coalizione di centro sinistra. Almeno su quelle cose, quindi, le due forze potrebbero trovare un accordo. Così l’Italia ingovernabile potrebbe essere governata per fare quello che c’è da fare in tempi brevi.

E cioè:
1) Intervenire sul conflitto d’interessi.
2) Una nuova legge elettorale che ridia al cittadino la possibilità di scegliere i propri rappresentanti.
3) Una drastica riduzione dei costi della politica, con riduzione del numero dei parlamentari, eliminazione dei vantaggi e dei privilegi di cui godono.
4) Una riduzione delle spese militari che renda subito disponibili fondi da investire in modo prioritario per la scuola e la ricerca.
5) L’eliminazione delle province. E non il loro accorpamento che solleverebbe infinite diatribe e avrebbe come risultato un raddoppiamento degli uffici e quindi delle spese.
6) Una politica del lavoro. Su questo, non ho ricette perché non sono un’economista e non so come si faccia a creare lavoro in un’Europa in crisi. Però credo che ci siano alcuni settori pubblici di risanamento e di rispetto dell’ambiente che potrebbero creare posti di lavoro e andrebbero privilegiati.
7) I diritti civili. C’è da mettere mano al testamento biologico, ai matrimoni di fatto, alla revisione della legge 40. Su alcune di queste cose si può pensare di mettere d’accordo anche i grillini.
8) Infine, ci sarebbe da facilitare il processo di integrazione degli immigrati, abolendo le leggi indegne fatte dalla Lega.

Almeno su alcuni di questi punti si potrebbe trovare un accordo e andare avanti fino alla fine della legislatura, senza perdersi nei distinguo sulle cose meno importanti. In questo quadro anche Monti con i suoi potrebbe fare un’opposizione intelligente, da economista che ha a cuore la riduzione del debito pubblico e le condizioni economiche del Paese.

Del resto, non c’è altra possibilità: la grande coalizione col Pdl non è possibile. Basta che quello che dice Grillo non siano chiacchiere.
Autore Città Giorno Ora
Augusta De Piero Udine 27/2/2013 23.42
Titolo:Se mai i parlamentari 5 stelle leggeranno queste righe...
I parlamentari del Movimento 5 stelle sono tanti e, qualunque cosa facciano, rappresenteranno anche me giurando sulla Costituzione e non sulla carta d'identità di un privato cittadino, per quanto carismatico.
Quindi io chiedo loro (se mai leggeranno quanto scrivo) un soprassalto di dignità: rivendichino il loro ruolo istituzionale che non ammette deleghe a privati.
Poi li giudicherenmo da quello che faranno, ma questo è un altro discorso.
Augusta De Piero - Udine

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Commenti Articolo 567

Titolo articolo : I prigionieri di Caporetto.,di Claudio Cossu

Ultimo aggiornamento: February/27/2013 - 06:17:36.

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Autore Città Giorno Ora
Augusta De Piero Udine 27/2/2013 06.17
Titolo:Grazie
Grazie per questa segnalazione
Augusta De Piero -- Udine

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Commenti Articolo 568

Titolo articolo : KOJEVE. LA SUA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO DI "DUE IO" ANCORA RIDOTTA NELLE MAGLIE DELLA DIALETTICA HEGELIANA. Una nota di Corrado Ocone - con appunti   ,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/26/2013 - 20:22:30.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/2/2013 17.00
Titolo:Alexandre Kojève un ateo alla corte di dio
Alexandre Kojève un ateo alla corte di dio

A quarant’anni dalla morte escono una biografia e un suo libro

- Morì nel giugno del 1968 a Bruxelles. Aveva visto e vissuto la rivoluzione bolscevica, e la rivolta studentesca gli parve un gioco da ragazzi
- Decretò la fine della storia

- È stato una delle grandi menti del ’900. Per Bataille e Queneau fu una guida spirituale

- "Il filosofo della domenica" e "L’ateismo" saranno presentati questa sera a Roma

di Antonio Gnoli (la Repubblica, 16.06.2008)

Durante una delle rare conferenze, che con piglio snobistico amava ancora tenere, malgrado gli impegni da alto funzionario dello Stato francese, Alexandre Kojève fu colto da una crisi cardiaca. Era il 1968. Morì nel pieno della contestazione studentesca, alla quale aveva guardato con somma ironia. Morì a Bruxelles, ai primi di giugno. Morì, come muore un enigma. Alcuni infatti si chiesero chi fosse stato veramente quell’uomo ricco di sottigliezze e di humour, refrattario alle luci della ribalta e da qualcuno rimpianto come una delle grandi teste filosofiche del Novecento.

Pochi allora seppero fornire una risposta decente o semplicemente adeguata. In vita non aveva pubblicato quasi nulla e su quel leggendario seminario tenuto all’ École pratique des Haute Études tra il 1933 e il 1939, da tempo era sceso il silenzio. Chi ricordava più quel russo dall’aria dolcemente tagliente mentre affilava il pensiero sul metallo della Fenomenologia di Hegel? Certo Georges Bataille e Raymond Queneau conservavano di lui l’idea che fosse la loro guida spirituale.

Indiscutibilmente Aron lo considerava un genio della parola. Leo Strauss si divertiva a spedire i suoi allievi americani a far conoscenza a Parigi di questo strano intellettuale, che andando via da Mosca, dove era nato nel 1902, aveva scelto la Francia come patria di elezione. Ma per il resto, solo l’alta burocrazia francese, nella quale era entrato dal 1945, poteva delibare la versatilità e l’acribia spirituale di questo insolito dotto. Altrove, negli ambienti dell’esistenzialismo e dell’impegno, c’era stata la rimozione. Quasi che la statura del personaggio fosse troppo ingombrante e, in definitiva, provocatoria per essere assimilata a qualche docile parrocchia, magari dall’odore sartriano.

Da quei quarant’anni dalla sua scomparsa il fantasma Kojève ha preso forma e colore sorprendenti. Si pubblicano i suoi libri (molti dei quali postumi), l’ultimo in ordine di apparizione è dedicato all’ateismo e su di lui escono saggi, e ricostruzioni a metà strada tra il profilo intellettuale e biografico. Bella e documentatissima quella che Marco Filoni gli ha dedicato (Il filosofo della domenica, edito da Bollati Boringhieri, pagg. 259, euro 19). Sia de L’ateismo (curato da Elettra Stimilli e Marco Filoni, tradotto dal russo da Claudia Zonghetti, edizioni Quodilibet, pagg 182, Euro 22) che de Il filosofo della domenica, ne parleranno stasera alle 18 nella libreria romana di Bibli Roberto Esposito, Giacomo Marramao, insieme ai curatori.

Per tutta la vita quest’uomo raffinato e oziosamente determinato a convincere i suoi uditori che davanti avevano semplicemente la reincarnazione dell’ultimo grande hegeliano, cercò nella paradossalità la forma più efficace del suo pensiero. Qualunque gesto, ipotesi, scelta, ossessione, risultato marciava sotto le insegne del paradosso. Paradossale, infatti, che si paragonasse a Dio, che considerava, come ci ricorda Filoni, un collega. Paradossale che da quel grande incantatore filosofico di serpenti che si era dimostrato, avesse chiuso con le Università, le Écoles, i Collèges, le Accademie e si fosse dato alla grigia arte del funzionariato statale. Paradossale che egli fosse uno stalinista al servizio della democrazia. Paradossale che avesse scritto di fisica quantistica per parlare di religione. Paradossale che avesse sentenziato che la storia (quell’impasto di violenza e politica, di nazione e impero) era finita. Paradossale che un uomo mondanamente raffinato - come poteva esserlo un russo della buona borghesia postzarista - avesse preferito vivere nel sobborgo di Vanves piuttosto che nella scintillante Parigi. Ma questo era Kojève: uno che se ne infischiava delle conclusioni comuni. Un sofista allenatissimo a smontare le ovvietà del pensiero.

C’è una foto che risale alla metà degli anni Venti e che lo ritrae come parte di un singolare e affascinante terzetto. Kojève è seduto a una tavola imbandita insieme all’amante, Cecile Leonidovda Soutak e allo zio, il pittore Vasilij Kandinskij. Sopra alla tovaglia bianca si vedono tra l’altro bicchieri, piatti, una bottiglia di Champagne. Cecile è protesa verso l’aristocratica figura di Kandinskij che sembra intenzionato ad accogliere le confidenze della donna, la quale trattiene un braccio sulle spalle di Kojève che, leggermente chino, sta bevendo, forse della birra. La mano che gli sfiora la nuca è in quel momento il solo serio legame tra il filosofo e gli altri due. Per il resto, concentrato com’è sulla coppa, appare estraneo alla conversazione e agli sguardi incrociati della donna e dello zio. Non è solo una scena colma di artificio cinematografico. Nella quale ci si poteva imbattere nella Berlino del 1925. Non è solo un perfetto fotogramma di un possibile Harold Lloyd mentre prepara la gag dello Champagne versandoselo sulla camicia. È che quella foto ci mostra esattamente il modo di Kojève di stare contemporaneamente dentro e fuori dalla piena vita. Ne è ai margini per meglio conoscerne i segreti del centro. E anche questo in fondo era uno dei tanti paradossi che amava interpretare: essere invisibile, come del resto era Dio.

Per questo russo cresciuto con il pane dell’apocalisse (assai efficace la ricostruzione che ne fa Filoni), Dio diventò un’ossessione talmente forte da rovesciarsi paradossalmente nel suo contrario, cioè in una forma di radicale ateismo. Al tema in questione Kojève dedicò un testo del 1931. La posizione del giovane filosofo, che da qualche anno si era trasferito a Parigi, è netta: «Per l’ateo non esiste nulla al di fuori del mondo». Per il teista, figura che si contrappone in un certo senso all’ateo, «Dio è solamente un qualcosa, ma è un qualcosa "d’altro" dall’"uomo nel mondo"». Il guaio, osserva Kojève, è che il teista non riesce a dimostrare che cosa sia questo "altro" senza in qualche modo riportarlo alla datità del nostro mondo. L’ateo, insomma, avrebbe la meglio se non fosse che anche nel suo ragionamento si nasconde il paradosso. Se non esiste nulla al di fuori del mondo è in quel "nulla" che si dovrebbe collocare Dio. «E il nulla non può essere dato, ma noi ne parliamo, foss’anche solo per dire che non se ne può parlare». Questo paradosso non è specifico del ragionamento dell’ateo. Tanto è vero, che in un testo del 1929 di Heidegger, Che cos’è la metafisica, che Kojève ha letto e apprezzato, viene posta la questione filosofica fondamentale (come rileva opportunamente Elettra Stimilli nella postfazione) del problema del negativo, ovvero della creazione del nulla.

Non è il caso qui di addentrarci in sottigliezze concettuali. Il testo sull’ateismo precede di due anni il corso sulla Fenomenologia dello Spirito di Hegel, dove verrà riaffermata con forza l’idea che l’intero sistema filosofico messo in piedi da Hegel è ateo. Sono molti i punti di contatto fra lo scritto del 1931 e l’Introduction à la lecture de Hegel, che vedrà la luce grazie alla cura di Queneau nel 1947. Basti pensare alla ripresa dei temi dell’angoscia e della paura della morte per coglierne la continuità di pensiero. Ma è soprattutto nella declinazione del concetto di "desiderio" non già o non semplicemente come desiderio di qualcosa ma soprattutto come "desiderio del desiderio" che si individua lo stretto nesso tra il desiderio come assenza e il nulla da cui esso ha origine.

Kojève immaginò che l’ateismo non fosse la pura e semplice banalizzazione della questione divina, ma la sua più complessa realizzazione filosofica. Non parlava da laico, ma da teologo senza Dio. E tuttavia ossessionato dal suo fantasma. Ma se fosse stata solo l’ossessione a guidarne il pensiero ci troveremmo davanti a un caso di rilevanza psichiatrica. La verità è che nella testa di questo filosofo, che finì col preferire le geishe alle signore parigine, c’era l’ambizione di ricollocare l’uomo nel mondo senza più quelle scissioni, tragedie, lacerazioni che l’idea stessa di Dio provoca. Ambiva a una "vita piena", che oggi, con qualche azzardo, chiameremmo "post-umana", dove il dolore e la pesantezza sono soppiantati dall’ironia e dalla saggezza.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/2/2013 21.17
Titolo:Crollo dell’impero trascendente e dell’impero finanziario
L’impero trascendente e l’impero finanziario

di Guido Rossi (Il Sole-24 ore, 24 febbraio 2013)

In una giornata di straordinaria importanza per le elezioni nazionali, l’ultimo Angelus di Papa Ratzinger porta a ulteriori e ampie meditazioni, che riguardano non solo l’influenza del Vaticano sulla politica italiana, ma anche il futuro della stessa Chiesa cattolica. Sulle dimissioni di Papa Ratzinger e sulla futura convivenza di Sua Santità dimissionaria con il nuovo Papa che sarà eletto, molto è già stato scritto, forse senza tener conto della straordinaria figura di teologo e filosofo di Joseph Ratzinger. Già a partire dalla metà degli anni 80, e successivamente nel dibattito con l’altro filosofo tedesco, Jürgen Habermas, Ratzinger teorizzava il ruolo pubblico della religione nelle società secolarizzate e nelle democrazie pluraliste.

Tuttavia dalla sua nomina a Vescovo di Roma la situazione mondiale è radicalmente cambiata, poiché i centri del potere sono passati dai ristretti confini degli Stati al dominio globalizzato del capitalismo tecnocratico finanziario.

La filosofia socratica di Platone e Aristotele che aveva influenzato il grande condottiero Alessandro Magno, riuscì a fargli superare la stretta e chiusa visione della città - stato antica, per proiettarsi verso una nuova idea, cioè l’idea dell’Impero, vale a dire di uno Stato universale, senza limiti né geografici, né etnici, né di altro genere. Questa idea dell’impero universale ebbe altre imitazioni, che avevano come base non l’espressione politica di un popolo, o di una casta, o di una razza, bensì l’espressione politica di un’unica civiltà universale, con un solo logos, dove le differenze rimanevano ma si negavano in un’unica identità.

Il progetto dell’impero universale di Alessandro Magno fallì, per essere poi ripreso su una base unitaria religiosa e trascendente, adottata sia da San Paolo e dalla Cristianità, sia dall’Islam. Ciò che è rimasto, fino ai nostri giorni, non è però il Sacro Romano Impero, o il potere secolare del Papa, ma la Chiesa universale. È l’impero di coloro che sono sostenuti da una fondamentale identità nella fede in un solo Dio, sicché questa trascendente uguaglianza sovrasta, accogliendole in unica sintesi e mescolanza tutte le etnie, le razze e le disuguaglianze, senza riuscire a creare uno Stato imperiale effettivo, ma un "corpo mistico" della Chiesa universale, rappresentato in terra dal Papa, Vescovo di Roma.

Dalla elezione del 2005 di Papa Ratzinger, si è imperiosamente consolidato il dominio del mondo da parte del globalismo economico, finanziario, fino a diventare padrone effettivo della politica dei singoli Stati. È così che, aiutato da uno straordinario sviluppo tecnologico, tale globalismo ha riproposto un nuovo unico impero finanziario mondiale, senza valori fondamentali, il quale sta distruggendo via via le basi del sottofondo filosofico degli ultimi secoli, e si è violentemente contratto in modo ancora non del tutto trasparente con l’altro impero, cioè quello del trascendente della Chiesa. Quest’ultimo è rimasto a sua volta inquinato dal potere esclusivo della finanza e delle sue lobbies, come hanno di recente dimostrato sia gli scandali bancari, sia le lotte di potere all’interno della gerarchia ecclesiastica.

L’impero del trascendente, difficilmente può contrastare un impero universale che lo minaccia per la prima volta nella storia, basato sul tecnocratico e globalizzato capitalismo finanziario. Già Papa Ratzinger, annunciando le sue dimissioni, faceva riferimento all’universalismo della velocità, che corrisponde appunto al nuovo impero mondano, del tutto indifferente ai valori del trascendente da lui guidato, il quale non si è rivelato in grado né di combatterlo, né di evitarlo, né di assorbirlo. Questo e non altra, pare ad un laico l’umana sofferenza di un Papa, che nell’impossibilità di continuare la sua funzione, si è dimesso. Le parole odierne dell’ultimo Angelus potranno ancora fornire qualche chiarimento, ma dirà la storia quale dei due imperi è destinato a sopravvivere.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/2/2013 23.41
Titolo:La temerarietà e la cecità “faustiani” dell’ego-capitalismo.
Il Faust digitale del nuovo capitalismo

di Ulrick Beck (la Repubblica, 23.02.2013

SULL’HOMO oeconomicus, sull’ideologia neoclassica o neoliberale è stato detto tutto - ma non da tutti. Già nel 1832 Goethe, il poeta tedesco prediletto, aveva preconizzato - in versi! - nella seconda parte del suo Faust il dominio mondiale del denaro. Eppure, all’inizio del XXI secolo dobbiamo aggiungere qualcosa di essenziale, di nuovo, di originale: il “Faust digitale” o, più precisamente, la temerarietà e la cecità “faustiani” dell’ego-capitalismo.

Frank Schirrmacher, condirettore della Frankfurter Allgemeine Zeitung, nel suo libro Ego, appena uscito, descrive come l’implementazione di questo “nuovo” egoismo acquisti un carattere normativo e dopo la guerra fredda suggelli la vittoria della teoria della rational choice fin nei più piccoli dettagli del mondo della vita. Anzi, addirittura fin nell’anima digitale dell’“homo novus”. Perfino la formula della mauvaise foi coniata da Jean-Paul Sartre non va abbastanza a fondo, poiché presuppone pur sempre la libertà della scelta di se stessi. L’Io colonizzato dal capitalismo ha però perduto questo orizzonte di alternatività. Naturalmente, gli economisti dicono quello che dicono sempre: si tratta soltanto di modelli. L’homo oeconomicus non è altro che un’ipotesi. Chiaramente, lo era prima di diventare un soggetto che agisce mediante sistemi operativi.

Il real drama dal finale aperto, di cui noi tutti siamo oggi attori e spettatori, vittime e complici, ruota attorno a come l’“homunculus oeconomicus” - un cyborg, un androide, una figura artificiale, un essere uomomacchina - sia uscito dai “laboratori frankensteiniani di Wall Street”. Questa narrazione drammatica trae forza anche dalla brutale semplicità con la quale all’ipercomplessità del mondo si reagisce con 1 e 0, sì e no, accendere e spegnere; questo, per le persone ridotte a codici informatici, significa “agire” in base alle leggi degli economisti. L’individuo individualizzato, astratto, è altrettanto poco complesso e altrettanto poco sociale quanto i pezzi degli scacchi, che servono a ingannare strategicamente l’altro.

Non si crede più a nulla, ma solo a ciò che si vuole. Da qui la sfiducia di tutti nei confronti di tutti, dalla quale si diffonde ovunque il male. Qui sta il paradosso: nel momento storico in cui le istituzioni del welfare, i mercati finanziari e il rapporto con l’ambiente naturale sono entrati in una crisi fondamentale, nascono le “ego-monadi”. La loro funzionalità non consiste soltanto nel mettere in ombra le conseguenze del proprio agire per gli altri. Esse vanno anche decifrate come strategia di schivamento del rischio in un mondo di rischi globali - come patologia sociale dell’ego- capitalismo.

La crisi finanziaria e dell’euro dischiude soltanto un primo sguardo su questo accecamento del Faust digitale. I mercati finanziari sono soltanto i primi mercati automatizzati. Ma altri ne seguiranno. Comunicazione sociale, big data, i servizi segreti, il controllo dei consumatori, i veri o presunti terroristi, le università nella vertigine delle riforme neoliberali, le relazioni d’amore digitalizzate, gli scontri tra le religioni mondiali nello spazio digitale, ecc.

Cosa c’è di nuovo nel Faust digitale? Nel Medioevo gli alchimisti cercavano di trasformare metalli non nobili in oro. Gli odierni “alchimisti del mercato” (Schirrmacher) trasformano ipoteche tossiche e altamente rischiose in prodotti di prima classe, classificati come tanto sicuri da venire acquistati dai fondi-pensione. Si può comperare una casa senza denaro e continuare a spendere il denaro che non esiste? Sì, si può, ribattono i giocolieri neoalchimisti delle banche too-big-to-fail che operano in tutto il mondo.

Quanto al resto: la religione, Freud, la poesia - tutto nel museo delle idee morte dell’umano! Dinanzi a noi sta il nuovo mondo della manipolazione digitale dell’anima.

L’hybris di potenza faustiana confina con il filisteismo. Innumerevoli, spesso stolidi attori digitali sono così innamorati delle loro idee da non accorgersi che da ingredienti come il proprio tornaconto, la ricerca del profitto ad ogni costo e la capacità di escogitare trucchi nascono mostri. Anche mostri politici. La politica del risparmio, con la quale attualmente l’Europa risponde alla crisi finanziaria scatenata dalle banche, viene percepita dai cittadini come una mostruosa ingiustizia. Per la leggerezza con la quale le banche hanno polverizzato somme inimmaginabili essi devono pagare con la moneta sonante della loro esistenza.

I tecnocrati della finanza, questi interpreti della mostruosità, hanno sviluppato un linguaggio curiosamente terapeutico. I mercati sono “timidi” come caprioli, dicono. Non si lasciano “ingannare”. Ma gli inappellabili giudici economici, chiamati “agenzie di rating”, che professano anch’essi la religione mondana della massimizzazione dei profitti, emettono, in base alle leggi dell’ego-capitalismo, sentenze che colpiscono interi Stati al cuore della loro economia - perlomeno quella dell’Italia, della Spagna e della Grecia.

“Ognuno deve diventare il manager del proprio Io” (Schirrmacher). È passato il tempo nel quale gli imprenditori erano imprenditori e i lavoratori lavoratori. Ora, nello stadio dell’ego-capitalismo, è sorta la nuova figura sociale dell’“imprenditore di se stesso”; ossia, l’imprenditore scarica sull’individuo la coazione all’autosfruttamento e all’autooppressione e questo dovrebbe suscitare entusiasmo, poiché questo è l’uomo nuovo, generato nel bel mondo nuovo del lavoro. L’imprenditore di se stesso diventa, per così dire, la “pattumiera” dei problemi insoluti di tutte le istituzioni. E deve trasformare a sua volta la pattumiera, questo garbage can a cui è stasione to ridotto, in un processo creativo di se stesso.

E tuttavia l’“individualizzazione”, intesa in senso sociologico, è ben più di questo: è “individualismo istituzionalizzato”. Non si tratta soltanto di un’ideologia sociale o di una forma di percezione del singolo, ma di istituzioni centrali della società moderna, come ad esempio i diritti civili, politici e sociali fondamentali, che hanno tutti per destinatario l’individuo. Nasce così una generazione global, interconnessa in una rete transnazionale e avviata a sperimentare come l’individualismo e la morale sociale possano tornare ad accordarsi tra loro e come la libera volontà e l’individualità si possano conciliare con il mettersi a disposizione degli altri.

Molti ragazzi non sono più disposti a essere soldati che eseguono le direttive gerarchiche delle organizzazioni assistenziali o a dare, o meglio a consegnare il loro voto come soldati di partito che devono soltanto fare numero. Al contrario: le istituzioni - sindacati, partiti politici, chiese - stanno diventando cavalieri senza cavalli. La ribellione e la critica contro il capitalismo che si stanno diffondendo nel mondo nascono da entrambi questi fattori e dalla loro collisione:l’individualizzazione dei diritti fondamentali e la mercatizzazione dell’Io, conseguenza di regole economiche cristalline.

Al più tardi a partire dalla fusione del nocciolo del capitalismo finanziario il messaggio con il quale l’ideologia neoliberale aveva conquistato il mondo dopo il crollo del comunismo è andato in pezzi. I profeti del mercato non predicavano semplicemente l’economia di mercato, ma promettevano il socialismo migliore. Questa visione così ambiziosa dell’ego-capitalismo sopravvive soltanto nei circoli degli incrollabili fondamentalisti del mercato. E anche qui non è più così monolitica, come dimostrano i recenti contrasti tra i repubblicani negli Usa, alcuni dei quali si stanno convertendo a una regolazione statale dei mercati finanziari.

Il rischio sempre più palpabile del crollo ha anche ridestato il sogno di una nuova Europa. “Unione bancaria” è una delle parole di speranza. L’idea-guida si basa sull’assunto che la catastrofe anticipata comporti l’imperativo cosmopolitico: applica regole internazionali, cambia l’ordine esistente del politico! Ovunque sono all’opera rivoluzionari part-time che lavorano in questa direzione - mi limito a citare Mario Monti, impegnato nel far cambiare rotta alla Banca centrale europea.

Viviamo in un’epoca nella quale è accaduto qualcosa di inimmaginabile fino a poco tempo fa, ossia che i fondamenti del capitalismo globale allora “razionale” ma adesso “irrazionale” siano diventati sempre più politici, cioè problematici, cioè politicamente configurabili. Esistono versioni radicalmente differenti del futuro dell’Occidente, dove ormai è in corso quasi una guerra fredda interna: da un lato c’è chi vuole un capitalismo regolabile, che cerca il compromesso con i movimenti sociali ed è aperto alle questioni ambientali e dall’altro c’è chi punta sull’autoregolazione dell’ego-capitalismo globalizzato e su un’intensificazione degli interventi militari, nel tentativo di creare la coesione nazionale mediante schemi amico-nemico - questo è il nocciolo del conflitto.

I rischi globali sono una sorta di memoria collettiva forzata - del fatto che il potenziale di annientamento a cui siamo esposti reca in sé le nostre scelte e i nostri errori. Essi compenetrano ogni ambito della vita, ma nello stesso tempo dischiudono nuove opportunità per riorganizzare il mondo. Questo è il paradosso dell’incoraggiamento che viene dai rischi globali. Qui sta l’opzione europea: nel porre sistematicamente la questione dell’alternativa all’ego- capitalismo digitale. Ossia la questione di come siano possibili una maggiore libertà, una maggiore sicurezza sociale e una maggiore democrazia grazie a un’altra Europa.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/2/2013 20.22
Titolo:Confronto e riconoscimento nutrono la vita collettiva ...
LA GLOBALIZZAZIONE È UN FATTO IRREVERSIBILE CHE NOI TENDIAMO A SPIEGARE IN MODO UNIVOCO, E NON INVECE, COME SI DOVREBBE, IN MODO EQUIVOCO.

- La sfida. Diventare cittadini
- Dialogare con l’«altro» è il primo passo per uscire dalla crisi
- Confronto e riconoscimento nutrono la vita collettiva:
- la politica non può limitarsi a prendere atto della realtà, deve riprendere la sua centralità e progettare alternative

- di Sergio Givone (l’Unità, 14.06.2012)

Il processo in corso produce uniformità: ovunque andiamo ci ritroviamo sempre allo stesso punto, distinguiamo a stento la periferia di Milano dalla periferia di New York. Una tendenza universale all’omogeneità sta cambiando la fisionomia dei luoghi e degli stili di vita, dei modi di produzione e di distribuzione delle merci o di circolazione delle persone: è il caso degli aeroporti che esprimono un modello urbanistico universale. Tuttavia, questa grande tensione all’omogeneità che è sotto gli occhi di tutti e per questo è enfatizzata cela un altro processo in corso di natura opposta, un vero contromovimento: da un fondo nascosto emergono modi di vivere che costituiscono l’esatto contrario dell’uniformità. Nel mondo globalizzato acquistano nuova forza i localismi, i tribalismi e i fideismi, le religioni tornano a essere superstizioni. Insomma, un mondo in cui viviamo tutti la stessa vita e che dovrebbe portare, se non alla pace universale, almeno a una maggiore comprensione degli uni e degli altri, in realtà acuisce i particolarismi, le tensioni e i conflitti.

Come affrontare questo problema? Non esiste un governo mondiale dell’economia e la crisi che stiamo attraversando lo conferma: non siamo riusciti a inventare un governo dei processi economici e dei rapporti tra le nazioni, e neppure dei giudizi da dare sulle tragedie e sulle guerre che insanguinano il mondo.

La strada da percorrere è un’altra. Dobbiamo ripartire dalle persone, dai loro bisogni e dalle loro contraddizioni, e ciò è possibile solo imparando a dialogare, dunque a capire che io non sono tu, ma che solo grazie al rapporto con il tu io sono e posso dire «io». Quando mi guardo allo specchio accade qualcosa di strano, come se non mi riconoscessi, e ciò non avviene perché non mi piaccio o perché mi rendo conto con amarezza di come mi abbia ridotto il passare degli anni: non è questo il punto. Se guardandomi allo specchio accade che io non mi riconosca, che io non veda sulla superficie dello specchio la conferma inoppugnabile e tranquillizzante della mia identità, ciò è dovuto a una ragione molto più profonda: io sono sempre altro rispetto alla mia identità, o meglio, la mia identità si costruisce solo in rapporto all’identità dell’altro. Allora, se le cose stanno così, imparare a dialogare non significa banalmente imparare a sopportarci, bensì capire che io sono solo grazie all’altro, e non solo grazie a quell’altro che conosco e che amo, grazie all’amico, al familiare, al vicino o al concittadino che con me condivide abitudini e esperienze. No, io sono io anche grazie all’altro che mi dà fastidio, all’altro che mi toglie spazi che ritengo miei. Solo grazie a lui io sono io, sono vivo e vado avanti: capire davvero tutto questo, e da qui ripartire, è la vera rivoluzione. Questo è il nodo di quel processo che, con Bauman, possiamo chiamare glocalizzazione.

Rimane da capire in che modo tale processo rivoluzionario di riconoscimento dell’altro, che sposta l’accento sulle persone - cioè su noi cittadini come soggetti attivi del presente - possa influire sulle grandi decisioni politiche ed economiche. Un buon esempio potrebbe essere questo: fare il contrario di quanto sin qui si è fatto con le legge elettorali, che prevedono apparati che di fatto nominano i rappresentanti dei cittadini. Non può essere così: i rappresentanti dei cittadini devono venire dai cittadini stessi.

Il rischio che la parola dei cittadini si disperda attraverso i numerosi passaggi che portano alle grandi decisioni politiche ed economiche, anche per un problema di competenze, è un rischio reale che va affrontato. I greci avevano coniato una parola bellissima: agoreuein, prendere la parola in piazza. È un verbo carico di significato, che non vuol dire solo esporre una certa tesi, ma anche farsi responsabili di quella tesi di fronte ai concittadini. Ovviamente si tratta di un modello di democrazia diretta adatto a una città stato dove parlamento e piazza coincidevano, ma che certo non funziona in uno stato di diecimila città: qui ci vogliono le mediazioni, è chiaro. Ma le mediazioni non sono imposizioni, dunque non devono essere strumenti in mano a chi ha ottenuto il potere e se ne serve imponendo regole e misure dall’alto. Le cose non funzionano così: le mediazioni devono realmente mediare, devono permettere un autentico interfacciarsi dei cittadini e dei luoghi istituzionali in cui si prendono le decisioni.

In questo modo diverso d’intendere le mediazioni si cela la risposta alla grande domanda sul ruolo e sul destino della politica di fronte all’egemonia dell’economia finanziarizzata. La politica ridotta a tecnica gestionale dell’economia in realtà, ormai è chiaro, non gestisce un bel niente. Questa politica ci dice solo: le cose nel mondo vanno in questo modo perché così vogliono le leggi di mercato, i tassi d’interesse o lo spread. La politica ritiene di poter solo prendere atto della realtà e di avere davanti a sé un’unica soluzione. Poi, però, vediamo che la stessa attualità più stringente smentisce l’idea della soluzione unica dettata dal mercato. Il nodo cruciale della Grecia, ad esempio, può essere affrontato in un modo o in un altro, esistono alternative reali la cui portata va ben aldilà del mero fatto economico.

Dobbiamo capire che restituire alla politica la sua centralità ci conviene, anche dal punto di vista economico. Una simile rivoluzione che parte dalla centralità delle persone e dal riconoscimento dell’altro come origine dell’io va perseguita non perché sia una scelta più etica o più gratificante ma perché, di fronte alla crisi, ci prospetta delle soluzioni alternative. Litigare ci conviene. Confrontarci senza sosta e magari confliggere nelle scelte e nelle visioni da realizzare, liberandoci dall’illusione della soluzione unica imposta dal mercato, è l’unica strada che ci conviene percorrere.

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Commenti Articolo 569

Titolo articolo : Come in cielo così in terra del 16/02/2013,con Don Aldo Antonelli

Ultimo aggiornamento: February/25/2013 - 11:16:33.

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Autore Città Giorno Ora
luciano zanoli bologna 25/2/2013 11.16
Titolo:l'abdicazione/rinuncia del Papa
Purtroppo il tempo di leggere "il dialogo" è sempre poco , ma ci tengo a dirvi che mi è molto utile; Grazie a d. Aldo per le sue precisazioni; purtroppo tanti commentatori parlano " a spanne" senza termini appropriati, e tante persone fanno lo stesso. Sono d'accordo di non accreditare allo Spirito Santo quello che non è suo e non proviene da Lui. Bella la puntualizzazione, senza acredine, e senza entrare nel pensiero del Papa per dire qualer motivazione lo ha spinto a questa giusta ( per me )motivazione della rinuncia...la curia che non lo segue...gli scandali...lo Ior...le derive lefevriane...tutto vero, ma Egli ha deciso davanti al Signore e davanti agli uomini:orrorre una persona che non abbia la sua età ha detto. Fermiamoci qui.Luciano

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Commenti Articolo 570

Titolo articolo : IL COLLASSO DELL'IMPERO: LA TRASCENDENZA DEL DENARO SPAZZA VIA LA TRASCENDENZA DEL CATTOLICESIMO. Una riflessione di Guido Rossi - con note ,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/24/2013 - 23:38:46.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/2/2013 22.12
Titolo:IL SOGNO DI UNA "COSA" DI BENEDETTO XVI ....
CHIESA "PER MOLTI", NON "PER TUTTI"!!!

Per il Convegno "Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri" del 15 settembre 2912, cinque note a margine

di Federico La Sala *

1. LA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA HA ROTTO I PONTI CON IL MESSAGGIO EVANGELICO. A 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, bisogna prendere atto che il terribile è già accaduto: il "Lumen Gentium" è stato spento e, sulla cattedra di Pietro, siede il Vicario del Signore e Padrone Gesù ("Dominus Iesus": J. Ratzinger, 2000). Egli regna e governa in nome del suo Dio, Mammona ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006).

2. DIO E’ VALORE! Sul Vaticano, DAL 2006, sventola il "Logo" del Grande Mercante: "Deus caritas est" (Benedetto XVI, 2006)!!! Il papa teologo, ha gettato via la "pietra" su cui posava - in equilibrio instabile - l’intera Costruzione dela Chiesa cattolico-romana ("Deus charitas est": 1 Gv. 4.8).

3. TUTTO A "CARO-PREZZO" ("CARITAS"): QUESTO "IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO". QUESTO E’ IL NOSTRO VANGELO: PAROLA DI RATZINGER -BENEDETTO XVI, CARDINALI E VESCOVI TUTTI. IL "PANE QUOTIDIANO" DEL "PADRE NOSTRO", SI VENDE A "CARO PREZZO", MOLTO CARO (= "CARITAS")!!!

4. ULTIMA CENA ED ECONOMIA VATICANA. Benedetto XVI cambia la formula: «Il calice fu versato per molti», non «per tutti»!!!

5. IN PRINCIPIO ERA IL "LOGO"!!! SE UN PAPA TEOLOGO LANCIA IL "LOGO" DEL SUO DIO ("DEUS CARITAS EST") E TUTTI OBBEDISCONO, E NON VIENE RISPEDITO SUBITO A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO, DI COSA VOGLIAMO PARLARE DI AFFARI E DI MERCATO?! EBBENE PARLIAMO DI AFFARI, DI MERCATO, DI "MAMMONA", "MAMMASANTISSIMA", E DI COME I PASTORI ... IMPARANO A MANGIARE LE PECORE E GLI AGNELLI, E CONTINUANO A GOZZOVIGLIARE ALLA TAVOLA DEL LORO "DIO"!!! Avanti tutta, verso il III millennio avanti Cristo!!!

Federico La Sala

* Il Dialogo, Mercoledì 12 Settembre,2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/2/2013 23.38
Titolo:IL DOMINIO MONDIALE DEL DENARO. L'EGO-CAPITALISMO....
Il Faust digitale del nuovo capitalismo

di Ulrick Beck (la Repubblica, 23.02.2013

SULL’HOMO oeconomicus, sull’ideologia neoclassica o neoliberale è stato detto tutto - ma non da tutti. Già nel 1832 Goethe, il poeta tedesco prediletto, aveva preconizzato - in versi! - nella seconda parte del suo Faust il dominio mondiale del denaro. Eppure, all’inizio del XXI secolo dobbiamo aggiungere qualcosa di essenziale, di nuovo, di originale: il “Faust digitale” o, più precisamente, la temerarietà e la cecità “faustiani” dell’ego-capitalismo.

Frank Schirrmacher, condirettore della Frankfurter Allgemeine Zeitung, nel suo libro Ego, appena uscito, descrive come l’implementazione di questo “nuovo” egoismo acquisti un carattere normativo e dopo la guerra fredda suggelli la vittoria della teoria della rational choice fin nei più piccoli dettagli del mondo della vita. Anzi, addirittura fin nell’anima digitale dell’“homo novus”. Perfino la formula della mauvaise foi coniata da Jean-Paul Sartre non va abbastanza a fondo, poiché presuppone pur sempre la libertà della scelta di se stessi. L’Io colonizzato dal capitalismo ha però perduto questo orizzonte di alternatività. Naturalmente, gli economisti dicono quello che dicono sempre: si tratta soltanto di modelli. L’homo oeconomicus non è altro che un’ipotesi. Chiaramente, lo era prima di diventare un soggetto che agisce mediante sistemi operativi.

Il real drama dal finale aperto, di cui noi tutti siamo oggi attori e spettatori, vittime e complici, ruota attorno a come l’“homunculus oeconomicus” - un cyborg, un androide, una figura artificiale, un essere uomomacchina - sia uscito dai “laboratori frankensteiniani di Wall Street”. Questa narrazione drammatica trae forza anche dalla brutale semplicità con la quale all’ipercomplessità del mondo si reagisce con 1 e 0, sì e no, accendere e spegnere; questo, per le persone ridotte a codici informatici, significa “agire” in base alle leggi degli economisti. L’individuo individualizzato, astratto, è altrettanto poco complesso e altrettanto poco sociale quanto i pezzi degli scacchi, che servono a ingannare strategicamente l’altro.

Non si crede più a nulla, ma solo a ciò che si vuole. Da qui la sfiducia di tutti nei confronti di tutti, dalla quale si diffonde ovunque il male. Qui sta il paradosso: nel momento storico in cui le istituzioni del welfare, i mercati finanziari e il rapporto con l’ambiente naturale sono entrati in una crisi fondamentale, nascono le “ego-monadi”. La loro funzionalità non consiste soltanto nel mettere in ombra le conseguenze del proprio agire per gli altri. Esse vanno anche decifrate come strategia di schivamento del rischio in un mondo di rischi globali - come patologia sociale dell’ego- capitalismo.

La crisi finanziaria e dell’euro dischiude soltanto un primo sguardo su questo accecamento del Faust digitale. I mercati finanziari sono soltanto i primi mercati automatizzati. Ma altri ne seguiranno. Comunicazione sociale, big data, i servizi segreti, il controllo dei consumatori, i veri o presunti terroristi, le università nella vertigine delle riforme neoliberali, le relazioni d’amore digitalizzate, gli scontri tra le religioni mondiali nello spazio digitale, ecc.

Cosa c’è di nuovo nel Faust digitale? Nel Medioevo gli alchimisti cercavano di trasformare metalli non nobili in oro. Gli odierni “alchimisti del mercato” (Schirrmacher) trasformano ipoteche tossiche e altamente rischiose in prodotti di prima classe, classificati come tanto sicuri da venire acquistati dai fondi-pensione. Si può comperare una casa senza denaro e continuare a spendere il denaro che non esiste? Sì, si può, ribattono i giocolieri neoalchimisti delle banche too-big-to-fail che operano in tutto il mondo.

Quanto al resto: la religione, Freud, la poesia - tutto nel museo delle idee morte dell’umano! Dinanzi a noi sta il nuovo mondo della manipolazione digitale dell’anima.

L’hybris di potenza faustiana confina con il filisteismo. Innumerevoli, spesso stolidi attori digitali sono così innamorati delle loro idee da non accorgersi che da ingredienti come il proprio tornaconto, la ricerca del profitto ad ogni costo e la capacità di escogitare trucchi nascono mostri. Anche mostri politici. La politica del risparmio, con la quale attualmente l’Europa risponde alla crisi finanziaria scatenata dalle banche, viene percepita dai cittadini come una mostruosa ingiustizia. Per la leggerezza con la quale le banche hanno polverizzato somme inimmaginabili essi devono pagare con la moneta sonante della loro esistenza.

I tecnocrati della finanza, questi interpreti della mostruosità, hanno sviluppato un linguaggio curiosamente terapeutico. I mercati sono “timidi” come caprioli, dicono. Non si lasciano “ingannare”. Ma gli inappellabili giudici economici, chiamati “agenzie di rating”, che professano anch’essi la religione mondana della massimizzazione dei profitti, emettono, in base alle leggi dell’ego-capitalismo, sentenze che colpiscono interi Stati al cuore della loro economia - perlomeno quella dell’Italia, della Spagna e della Grecia.

“Ognuno deve diventare il manager del proprio Io” (Schirrmacher). È passato il tempo nel quale gli imprenditori erano imprenditori e i lavoratori lavoratori. Ora, nello stadio dell’ego-capitalismo, è sorta la nuova figura sociale dell’“imprenditore di se stesso”; ossia, l’imprenditore scarica sull’individuo la coazione all’autosfruttamento e all’autooppressione e questo dovrebbe suscitare entusiasmo, poiché questo è l’uomo nuovo, generato nel bel mondo nuovo del lavoro. L’imprenditore di se stesso diventa, per così dire, la “pattumiera” dei problemi insoluti di tutte le istituzioni. E deve trasformare a sua volta la pattumiera, questo garbage can a cui è stasione to ridotto, in un processo creativo di se stesso.

E tuttavia l’“individualizzazione”, intesa in senso sociologico, è ben più di questo: è “individualismo istituzionalizzato”. Non si tratta soltanto di un’ideologia sociale o di una forma di percezione del singolo, ma di istituzioni centrali della società moderna, come ad esempio i diritti civili, politici e sociali fondamentali, che hanno tutti per destinatario l’individuo. Nasce così una generazione global, interconnessa in una rete transnazionale e avviata a sperimentare come l’individualismo e la morale sociale possano tornare ad accordarsi tra loro e come la libera volontà e l’individualità si possano conciliare con il mettersi a disposizione degli altri.

Molti ragazzi non sono più disposti a essere soldati che eseguono le direttive gerarchiche delle organizzazioni assistenziali o a dare, o meglio a consegnare il loro voto come soldati di partito che devono soltanto fare numero. Al contrario: le istituzioni - sindacati, partiti politici, chiese - stanno diventando cavalieri senza cavalli. La ribellione e la critica contro il capitalismo che si stanno diffondendo nel mondo nascono da entrambi questi fattori e dalla loro collisione:l’individualizzazione dei diritti fondamentali e la mercatizzazione dell’Io, conseguenza di regole economiche cristalline.

Al più tardi a partire dalla fusione del nocciolo del capitalismo finanziario il messaggio con il quale l’ideologia neoliberale aveva conquistato il mondo dopo il crollo del comunismo è andato in pezzi. I profeti del mercato non predicavano semplicemente l’economia di mercato, ma promettevano il socialismo migliore. Questa visione così ambiziosa dell’ego-capitalismo sopravvive soltanto nei circoli degli incrollabili fondamentalisti del mercato. E anche qui non è più così monolitica, come dimostrano i recenti contrasti tra i repubblicani negli Usa, alcuni dei quali si stanno convertendo a una regolazione statale dei mercati finanziari.

Il rischio sempre più palpabile del crollo ha anche ridestato il sogno di una nuova Europa. “Unione bancaria” è una delle parole di speranza. L’idea-guida si basa sull’assunto che la catastrofe anticipata comporti l’imperativo cosmopolitico: applica regole internazionali, cambia l’ordine esistente del politico! Ovunque sono all’opera rivoluzionari part-time che lavorano in questa direzione - mi limito a citare Mario Monti, impegnato nel far cambiare rotta alla Banca centrale europea.

Viviamo in un’epoca nella quale è accaduto qualcosa di inimmaginabile fino a poco tempo fa, ossia che i fondamenti del capitalismo globale allora “razionale” ma adesso “irrazionale” siano diventati sempre più politici, cioè problematici, cioè politicamente configurabili. Esistono versioni radicalmente differenti del futuro dell’Occidente, dove ormai è in corso quasi una guerra fredda interna: da un lato c’è chi vuole un capitalismo regolabile, che cerca il compromesso con i movimenti sociali ed è aperto alle questioni ambientali e dall’altro c’è chi punta sull’autoregolazione dell’ego-capitalismo globalizzato e su un’intensificazione degli interventi militari, nel tentativo di creare la coesione nazionale mediante schemi amico-nemico - questo è il nocciolo del conflitto.

I rischi globali sono una sorta di memoria collettiva forzata - del fatto che il potenziale di annientamento a cui siamo esposti reca in sé le nostre scelte e i nostri errori. Essi compenetrano ogni ambito della vita, ma nello stesso tempo dischiudono nuove opportunità per riorganizzare il mondo. Questo è il paradosso dell’incoraggiamento che viene dai rischi globali. Qui sta l’opzione europea: nel porre sistematicamente la questione dell’alternativa all’ego- capitalismo digitale. Ossia la questione di come siano possibili una maggiore libertà, una maggiore sicurezza sociale e una maggiore democrazia grazie a un’altra Europa.

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Commenti Articolo 571

Titolo articolo : LA GRANDE FORESTA ("INGENS SYLVA") E LA STORIA DEI LEMURI: LA LEZIONE DI VICO, OGGI. Note per una (ri)lettura della "Scienza Nuova",di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/24/2013 - 12:34:17.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/2/2013 10.54
Titolo:La Scienza nuova Le tre edizioni del 1725, 1730 e 1744.(scheda)
Giambattista Vico

La Scienza nuova

Le tre edizioni del 1725, 1730 e 1744

Bompiani, pagg.1504, € 30,00

IL LIBRO - La Scienza nuova, di cui in questo volume si pubblicano le tre edizioni, del 1725, del 1730 e del 1744, è un Classico del pensiero occidentale, essenziale per la comprensione del nostro mondo storico non meno della Repubblica di Platone e dell’Etica di Spinoza, della Metafisica di Aristotele e della Critica della ragion pura di Kant, del De Civitate Dei di Agostino e della Fenomenologia dello spirito di Hegel.
- Due le idee-guida che si intrecciano, e anche confliggono, in quest’opera geniale e inquietante: 1) l’estensione al mondo umano della mathesis universalis, che ha segnato la nascita della scienza moderna, ma che in Galilei e Cartesio era limitata alla natura; 2) la genealogia della coscienza e della logica a partire dal “senso” e dalla “fantasia”, da cui discende l’interesse prevalente di Vico per il formarsi della prima umanità. Interesse mai disgiunto dalla consapevolezza dei limiti della ragione, che può a stento “intendere”, ma non “immaginare” quell’età ancora incerta tra storia e pre-storia.
- Da questa consapevolezza “critica” nacque quella fusione di logos e mythos, concetto e immagine, che caratterizza il linguaggio barocco della Scienza nuova (in particolare nelle due ultime edizioni, qui presentate nella loro scrittura originaria), nel quale Vico espose due e diverse concezioni del tempo umano-divino della storia. In particolare il quinto e ultimo Libro di quest’Opera in continuo compimento, se per un verso ripropone l’idea pre-cristiana della ciclicità del corso storico, per l’altro, “sospende” l’intero orizzonte del tempo all’attimo presente: il kairologico “adesso” di Paolo, in cui “il tempo s’è contratto” (I Co, 7.29).
- Ma proprio questa doppiezza della Scienza Nuova permette di instaurare significative connessioni tra la posizione di Vico e gli esiti più alti della riflessione contemporanea sulla storia, da Heidegger a Benjamin. Certo nel pieno rispetto della specificità dei loro differenti “tempi”, e quindi fuor d’ogni pretesa di stabilire “precorrimenti” e “inveramenti”; ma non meno certamente contro le vane “monumentalizzazioni” di una storiografia volta esclusivamente al passato.

- DAL TESTO - “Solo il divino Platone egli meditò in una sapienza riposta che regolasse l’uomo a seconda delle massime che egli ha apprese dalla sapienza volgare della religione e delle leggi. Perché egli è tutto impegnato per la provvedenza e per l’immortalità degli animi umani; pone la virtù nella moderazione delle passioni; insegna che per propio dover di filosofo si debba vivere in conformità delle leggi, ove anche all’eccesso divengan rigide con una qualche ragione, sull’esempio che Socrate, suo maestro, con la sua propia vita lasciò, il quale, quantunque innocente, volle però, condennato qual reo, soddisfare alla pena e prendersi la cicuta.
- Però esso Platone perdé di veduta la provvedenza quando, per un errore comune delle menti umane, che misurano da sé le nature non ben conosciute di altrui, innalzò le barbare e rozze origini dell’umanità gentilesca allo stato perfetto delle sue altissime divine cognizioni riposte (il quale, tutto a rovescio, doveva dalle sue «idee» a quelle scendere e profondere), e, sì, con un dotto abbaglio, nel qual è stato fino al dì d’oggi seguito, ci vuol appruovare essere stati sapientissimi di sapienza riposta i primi attori dell’umanità gentilesca, i quali, come di razze d’uomini empi e senza civiltà, quali dovettero un tempo essere quelle di Cam e Giafet, non poterono essere che bestioni tutti stupore e ferocia.
- In séguito del qual erudito errore, invece di meditare nella repubblica eterna e nelle leggi d’un giusto eterno, con le quali la provvedenza ordinò il mondo delle nazioni e ‘1 governa con esse bisogne comuni del genere umano, meditò in una repubblica ideale ed uno pur ideal giusto, onde le nazioni non solo non si reggono e si conducono sopra il comun senso di tutta l’umana generazione, ma pur troppo se ne dovrebbono: storcere e disusare: come, per esempio, quel giusto, che e’ comanda nella sua Repubblica, che le donne sieno comuni.”

- I CURATORI - Manuela Sanna, direttore dell’”Istituto per la storia del pensiero filosofico e scientifico moderno” del Consiglio Nazionale delle Ricerche, si occupa di cultura storico-filosofica tra ’600 e ’700, con lavori dedicati a Leibniz, Tschirnhaus e Vico, ed è membro del consiglio scientifico dell’edizione critica delle Opere di Giambattista Vico, per la quale ha curato la raccolta delle Epistole, il De rebus gestis Antonj Caraphei, la Scienza nuova del 1730, insieme a Paolo Cristofolini, e la Scienza nuova del 1744, in via di pubblicazione. Ha curato anche la nuova e più recente traduzione italiana del De antiquissima Italorum sapientia (Roma, 2005). Negli ultimi anni le sue ricerche si sono centrate sul rapporto tra conoscenza immaginativa e verità, e su questo sono usciti La "Fantasia, che è l’occhio dell’ingegno". Note sul concetto vichiano di conoscenza (Napoli, 2001) e Immaginazione (Napoli, 2007).
- Vincenzo Vitiello, professore ordinario di Filosofia Teoretica, insegna attualmente Filosofia della storia all’Università San Raffaele di Milano. Le sue ricerche di Topologia trascendentale sono negli ultimi anni rivolte all’elaborazione di una logica e di un’etica della seconda persona. Ha tenuto cicli di conferenze e seminari in Europa, negli USA, e in America latina (Argentina, Cile, Messico). Suoi scritti sono stati tradotti in tedesco, francese, inglese e spagnolo. Socio onorario della Asociación de filosofia Latinoamericana y Ciencias sociales (Buonos Aires). Dirige la Rivista "Il Pensiero". Tra le sue pubblicazioni: Elogio dello spazio (1994, trad. tedesca parziale, Freiburg-München, 1993); Cristianesimo senza redenzione (1995, trad. spagnola, Madrid, 1999); Genealogía de la modernidad (Buenos Aires, 1998); Il Dio possibile (Roma, 2002); I tempi della poesia. Ieri / Oggi (Milano, 2008; trad. spagnola Madrid, 2009); Vico. Storia - Linguaggio - Natura (Roma, 2008); Grammatiche del pensiero (Pisa, 2009) .

- INDICE DELL’OPERA - Saggio introduttivo. Vico nel suo tempo, di Vincenzo Vitiello - I. Sul ’concetto’ di moderno - In limine. Brevi considerazioni sulla storicità della conoscenza storica (I. Interpretazioni del moderno - II. Mathesis universalis e logica moderna - Appendice) - II. Spinoza e Vico (I. Le ragioni di un confronto - II. Il sistema di Spinoza - III. La filosofia di Vico ’prima’ della Scienza nuova) - III. La Scienza Nuova (I. La fondazione della mathesis universalis della storia - II. La lingua della Scienza nuova. Oltre la mathesis universalis - III. Prospezioni vichiane) - Cronologia della vita e delle opere di Giambattista Vico, di Manuela Sanna - Nota editoriale
- LA «SCIENZA NUOVA» DEL 1725 - La «Scienza nuova» nell’edizione del 1725, di Manuela Sanna e Fulvio Tessitore - Introduzione, di Vincenzo Vitiello - La «Scienza nuova» nelle edizioni del 1730 e del 1744, di Manuela Sanna
- LA «SCIENZA NUOVA» DEL 1730 - La «Scienza nuova» nell’edizione del 1730, di Manuela Sanna e Fulvio Tessitore - LA «SCIENZA NUOVA» DEL 1744 - La «Scienza nuova» nell’edizione del 1744, di Manuela Sanna e Fulvio Tessitore - Apparati (I. Storia della fortuna di G.B. Vico, di Manuela Sanna - II. Bibliografia vichiana, a cura di Manuela Sanna - III. Indice generale)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/2/2013 11.08
Titolo:LEGALITA' E LEGITTIMITA', OGGI ...
Cosa insegna alla politica la rinuncia di Ratzinger

di Giorgio Agamben (la Repubblica, 16 febbraio 2013)

La decisione di Benedetto XVI deve essere considerata con estrema attenzione da chiunque abbia a cuore le sorti politiche dell’umanità.

Compiendo il “gran rifiuto”, egli ha dato prova non di viltà, come Dante scrisse forse ingiustamente di Celestino V, ma di un coraggio, che acquista oggi un senso e un valore esemplari. Deve essere evidente per tutti, infatti, che le ragioni invocate dal pontefice per motivare la sua decisione, certamente in parte veritiere, non possono in alcun modo spiegare un gesto che nella storia della Chiesa ha un significato del tutto particolare.

E questo gesto acquista tutto il suo peso, se si ricorda che il 4 luglio 2009, Benedetto XVI aveva deposto proprio sulla tomba di Celestino V a Sulmona il pallio che aveva ricevuto al momento dell’investitura, a prova che la decisione era stata meditata.

Perché questa decisione ci appare oggi esemplare? Perché essa richiama con forza l’attenzione sulla distinzione fra due principi essenziali della nostra tradizione etico-politica, di cui le nostre società sembrano aver perduto ogni consapevolezza: la legittimità e la legalità.

Se la crisi che la nostra società sta attraversando è così profonda e grave, è perché essa non mette in questione soltanto la legalità delle istituzioni, ma anche la loro legittimità; non soltanto, come si ripete troppo spesso, le regole e le modalità dell’esercizio del potere, ma il principio stesso che lo fonda e legittima.

I poteri e le istituzioni non sono oggi delegittimati, perché sono caduti nell’illegalità; è vero piuttosto il contrario, e cioè che l’illegalità è così diffusa e generalizzata, perché i poteri hanno smarrito ogni coscienza della loro legittimità.

Per questo è vano credere di potere affrontare la crisi delle nostre società attraverso l’azione - certamente necessaria - del potere giudiziario: una crisi che investe la legittimità, non può essere risolta soltanto sul piano del diritto. L’ipertrofia del diritto, che pretende di legiferare su tutto, tradisce anzi, attraverso un eccesso di legalità formale, la perdita di ogni legittimità sostanziale.

Il tentativo della modernità di far coincidere legalità e legittimità, cercando di assicurare attraverso il diritto positivo la legittimità di un potere, è, come risulta dall’inarrestabile processo di decadenza in cui sono entrate le nostre istituzioni democratiche, del tutto insufficiente.

Le istituzioni di una società restano vive solo se entrambi i principi (che, nella nostra tradizione, hanno anche ricevuto il nome di diritto naturale e diritto positivo, di potere spirituale e potere temporale) restano presenti e agiscono in essa senza mai pretendere di coincidere.

Per questo il gesto di Benedetto XVI è così importante. Quest’uomo, che era a capo dell’istituzione che vanta il più antico e pregnante titolo di legittimità, ha revocato in questione col suo gesto il senso stesso di questo titolo. Di fronte a una curia che, del tutto dimentica della propria legittimità, insegue ostinatamente le ragioni dell’economia e del potere temporale, Benedetto XVI ha scelto di usare soltanto il potere spirituale, nel solo modo che gli è sembrato possibile: cioè rinunciando all’esercizio del vicariato di Cristo. In questo modo, la Chiesa stessa è stata messa in questione fin dalla sua radice.

Non sappiamo se la Chiesa sarà capace di trarre profitto da questa lezione: ma sarebbe certamente importante che i poteri laici vi trovassero occasione per interrogarsi nuovamente sulla propria legittimità.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/2/2013 12.34
Titolo:A VICO, L’OMAGGIO DI JAMES JOYCE ....
PER UN’ALTRA AUROPA E PER UN’ALTRA ITALIA. Al di là dei "corsi e ricorsi", il filo della tradizione critica. Contro la cecità e la boria dei dotti e delle nazioni ...


A GIAMBATTISTA VICO E ALL’ITALIA, L’OMAGGIO DI JAMES JOYCE. Una nota - di Federico La Sala



"The Vico road goes round and round to meet where terms begin. Still anappealed to by the cycles and onappaled by the recourses, we fill all serene, never you fret, as regards our duTyful cask... before there was a man in Ireland there was a lord in Lucan"*

"La strada di Vico gira e rigira per congiungersi là dove i termini hanno inizio. Tuttora inappellati dai cicli e indisturbati dai ricorsi, sentiamo tutti sereni, mai preoccupati al nostro doveroso compito... Prima che vi fosse un uomo in Irlanda c’era un lord in Lucania" (Vico ha abitato per circa nove anni decisivi per la sua vita a Vatolla, poco distante da Paestum Agropoli, Elea e Palinuro) *

*FONTE: AA.VV., INTRODUZIONE A FINNEGANS WAKE, trad. di Francesco Saba Sardi, Sugar Editore, Milano 1964 (con precisazione mia, fls)

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Commenti Articolo 572

Titolo articolo : IL PAPATO DI BENEDETTO XVI: SETTE ANNI DI OFFESE ALLA CHIESA E ALL'ITALIA. Una nota su un incontro del 2005 e sugli eventi successivi, fino ad oggi,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/22/2013 - 23:43:00.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/4/2012 19.02
Titolo:Tutti i libri contro Ratzinger ...
Tutti i libri contro Ratzinger

di Filippo Gentiloni (il manifesto, 24 aprile 2012)

Le critiche alle autorità delle chiese non sono mai mancate, più o meno rigide, secondo i tempi e i luoghi. In questi giorni qualche relativa novità. Oggetto delle critiche è proprio la chiesa cattolica e gli autori sono anch’essi cattolici. Critiche, quindi, più acute proprio perché dall’interno. Quindi ancora più dolorose, ma degne di attenzione.

Si può partire da "Adista" che riferisce le osservazioni critiche fatte a papa Ratzinger da un antico collega ed amico americano. «Caro Joe, sono sconcertato dal fatto che tu abbia lanciato segni che contraddicono le parole e lo spirito del Concilio Vaticano II». Il teologo Swidler ricorda le posizioni prese da Ratzinger a favore di una elezione episcopale democratica, posizioni poi dimenticate. Di qui un vibrante appello al papa perché torni a quello spirito di riforma espresso in gioventù.

Molto forti e precise le critiche da parte di uno dei più profondi e noti "vaticanisti", Marco Politi ("Joseph Ratzinger, Crisi di un papato", Editori Laterza). «Eletto per rassicurare la parte di Chiesa in cerca di autorità e identità, il papa ha messo a disagio il cattolicesimo che si ispira al Concilio Vaticano II; con una citazione sprezzante di Maometto ha provocato uno scontro violento con l’Islam; elogiando Pio XII e togliendo la scomunica al vescovo negatore della Shoah ha creato una serie di crisi con l’ebraismo; non ha affrontato questioni come il calo dei sacerdoti e il ruolo della donna». Politi tratteggia il profilo meno conosciuto di un papa impolitico. Un uomo «che crede nel cristianesimo come religione dell’amore e non come pacchetto di divieti». Ma non senza difficoltà. Vedremo il seguito. Comunque è probabile che le critiche continueranno.

È uscito anche in italiano di Matthew Fox, teologo noto in tutto il mondo, "La guerra del papa. Perché la crociata segreta di Ratzinger ha compromesso la Chiesa", Fazi Editore.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/4/2012 19.06
Titolo:UN PARROCO E IL VENTENNIO BERLUSCONIANO ....
Un parroco e il ventennio B.B.

di don Giorgio Morlin (“settimana”, n. 15, 15 aprile 2012)

Stendo in libertà alcune riflessioni personali sull’onda mediatica delle miserande vicende d’interesse privato che toccano un personaggio politico di primissimo piano come Umberto Bossi e il partito della Lega Nord. Innanzitutto lui, un personaggio carismatico che, nell’immaginario collettivo, rappresenta da circa 25 anni una specie di totem tribale intoccabile, a cui si deve obbedienza cieca e a cui è permessa ogni forma di turpiloquio e d’insulto, di pernacchie e di minacce, E poi il movimento leghista, una folla sempre plaudente verso il capo e perennemente arrabbiata con l’intero mondo, partecipe di grotteschi riti pagani come le ampolle d’acqua del Po dentro un ridicolo campionario d’innumerevoli scemenze celtiche.

Il crollo del leader padano arriva puntuale dopo alcuni mesi dal crollo di un altro suo compare nazionale, quel Silvio Berlusconi che è riuscito a catturare per quasi due decenni il consenso di masse d’italiani osannanti. Cos’è successo all’Italia di fine ’900 e inizio 2000? Sembra impossibile, eppure è successo che, nel giro di nemmeno un ventennio, si sono tra loro miscelati due filoni culturali dirompenti, il leghismo e il berlusconismo. Due fenomeni, autonomi ma tra loro interdipendenti, che, dopo aver inoculato un virus eticamente letale, hanno plasmato un’opinione pubblica addomesticata, ad immagine e somiglianza dei due capi che godevano effettivamente di un largo consenso di massa.

Mentre cala squallidamente il sipario sulla scena politica dei due succitati leaders, la terribile miscela culturale-etica da loro innescata sembra ormai stabilmente metabolizzata dentro un tessuto civile senza anticorpi, determinando l’assimilazione di nuovi modelli collettivi di vita e di pensiero. Abbiamo visto un’Italia umiliata e mortificata da una molteplicità di truci slogans, contro i magistrati, contro inesistenti comunisti, contro Roma ladrona, contro gli immigrati, che infiammavano istericamente le masse ma impoverivano l’anima e l’identità del popolo italiano.

Fino a poco più di un anno fa, non solo la maggioranza del mondo cattolico ma anche una parte dell’istituzione ecclesiastica apparivano ammaliate dalla seducente sirena berlusconiano-leghista.

L’incantamento di una parte della Chiesa italiana probabilmente nasceva da una tacita e reciproca intesa in cui, sempre e comunque, gli uni lucravano qualcosa dagli altri. Dalla parte politica, si lucrava il consenso elettorale dei cattolici e, dalla parte ecclesiastica, si lucrava la difesa dei valori cosiddetti non negoziabili (famiglia, bioetica, scuola) ed eventuali altre prebende, magari anche di tipo economico.

In un’intervista al Corriere della Sera, mons. Fisichella, esponente ecclesiastico di rilievo, il 30 marzo 2010, dichiarava che la Lega Nord, «per quanto riguarda i problemi etici, manifesta una piena condivisione con il pensiero della Chiesa».

Poco dopo, alla suddetta intervista rispondeva lo scrittore Claudio Magris con una lettera aperta in cui, riportando solo qualche stralcio, si poteva leggere: «Caro mons. Fisichella, mi permetto di scriverle per esprimerle lo sconcerto che ho provato leggendo la sua recente intervista in cui lei dichiarava che il partito politico Lega Nord si fonda su valori cristiani. Non intendo esprimere alcun giudizio politico sul suddetto partito. Ma, tutto l’atteggiamento del medesimo partito nei con fronti degli immigrati costituisce la negazione dello spirito cristiano. La Lega spesso fomenta un volgare rifiuto razziale, che è la perfetta antitesi dell’amore cristiano del prossimo e del principio paolino secondo il quale "non ha più importanza essere greci o ebrei, circoncisi o no, barbari o selvaggi, schiavi o liberi; ciò che importa è Cristo e la sua presenza in tutti noi!" (cf. Col 3,11).

Questa lettera non è indirizzata alla Chiesa, ma ad uno dei tanti - ancorché autorevoli - suoi rappresentanti, le cui opinioni non possono essere addebitate alla Chiesa, ma possono destare sconcerto e scandalizzare non pochi fedeli» (Corriere dello Sera, 11 aprile 2010).

Come avrei desiderato leggere quest’inequivocabile presa di posizione dell’illustre intellettuale italiano, forse credente o forse agnostico, magari in uno dei tanti documenti magisteriali della Cei negli ultimi due decenni! È vero - dirà qualcuno -, basta leggere il Vangelo e la dottrina sociale della Chiesa. Appunto! Però, queste due primarie fonti dell’annuncio cristiano vanno riscoperte, attualizzate e storicizzate dentro le emergenze culturali ed etiche che segnano il nostro tempo, proclamando a voce alta, senza se e senza ma, valori quali la dignità umana, il rispetto per lo straniero, la giustizia, la legalità, il bene comune, l’etica pubblica... Questi, oltre naturalmente a quelli tradizionali predicati dalla Chiesa, sono o no da riconoscere come valori non negoziabili sui quali non si può e non si deve transigere?

In quest’ultimo ventennio italiano si è collettivamente dissolto quel nucleo portante di valori civili che, ad esempio, aveva efficacemente retto durante la gravissima emergenza del terrorismo negli anni 70. E proprio la Chiesa postconciliare dell’epoca, assieme a tante altre istituzioni, si era direttamente messa in gioco e a servizio della società italiana con l’obiettivo di ricostruire il tessuto sociale che rischiava la degenerazione della convivenza (cf. il profetico documento Cei La Chiesa italiana e le prospettive del paese del 1981!).

Nella prolusione del card. Ruini al Consiglio permanente della Cei (19 settembre 1994) veniva ufficialmente proclamato che il Progetto culturale della Chiesa italiana rappresentava «un terreno d’incontro tra la missione della Chiesa e le esigenze più urgenti della nazione!». Sante parole!

Invece, proprio a partire dal 1994, con la micidiale miscela berlusconiano-leghista, paradossalmente iniziava per l’Italia una lenta ma progressiva deriva etica che ha portato al disastro attuale. Certamente i tradizionali valori cari alla Chiesa (vita, scuola, famiglia) sono salvi! Però, rimane il forte disagio per una deriva antropologica già raggiunta in tanti ambiti, evidente soprattutto negli immorali e amorali modelli di vita, indotti anche da una certa politica che mette l’interesse privato al centro. Lo ha detto, finalmente con chiarezza, il card. Bagnasco, proprio negli squallidi giorni del bunga bunga berlusconiano: «La collettività guarda sgomenta gli attori della scena pubblica e respira un evidente disagio morale» (Consiglio permanente, 24 gennaio 2011).

Come cittadini e come credenti, è proprio da questo disagio morale che bisogna ripartire per farsi carico delle sorti della società e delle generazioni che verranno, dopo un ventennio triste e nefasto che ha reso irrespirabile l’aria della convivenza civile.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/4/2012 19.23
Titolo:IL NOME DEL BENE E IL NOME DEL POTERE ....
Non è teologia se non ci libera

di Roberta De Monticelli (Il Sole 24 Ore, 22 aprile 2012)

Tanti sono i sapienti che hanno commentato la pagina forse più famosa di Dostoevskij, La leggenda del Grande Inquisitore. Eppure poche sono le spiegazioni convincenti del bacio con il quale il Cristo della Leggenda - tornato in terra al tempo dell’Inquisizione, e subito gettato in carcere - risponde al lungo monologo del vecchio Inquisitore: che pure rivendica per la sua Chiesa il pietoso nichilismo con cui questa ha spento la «libera decisione del cuore», alla quale il Cristo affidava il Regno di Dio. E l’ha sostituita con l’obbedienza degli uomini-bambini al potere spirituale-temporale dell’istituzione.

L’Inquisitore ha raccontato in ogni dettaglio il baratto ispirato dal demonio: libertà contro "felicità", obbedienza (e licenza di peccato, e perdono) in cambio del sollievo di non dover dubitare, e cercare, e scegliere, e portare responsabilità delle proprie scelte. Ha ricordato "il segreto del mondo", la sapienza del tentatore, che è sapienza politica e riguarda il meccanismo dell’obbedienza, nutrita dal bisogno che gli uomini hanno di inchinarsi "tutti insieme" a qualcuno, cioè dalla dimensione sociale della religione. Ha evocato la contraffazione del divino mediante le forze che da sempre corteggiano l’"umiltà del male" (come direbbe Franco Cassano): «miracolo, mistero, autorità». E per tutta risposta il Nazareno bacia le sue labbra esangui, di un bacio che brucia l’anima del vecchio e lo induce ad aprirgli la porta della libertà. Perché?

Aprendo l’ultimo libro di Vito Mancuso - Obbedienza e libertà - troviamo una risposta nuova. «Gesù vede che il vero prigioniero è proprio il suo carceriere, racchiuso in una prigione non fisica ma mentale, da cui è molto più difficile uscire». Quel bacio è un varco offerto alla mente prigioniera dell’Inquisitore. Aljoscia Karamazov, il monaco novizio - che più tardi sceglierà di vivere nel mondo - ripete questo gesto, e bacia il fratello Ivan, il filosofo, il cui pensiero racchiude entrambe le possibilità: l’Istituzione che imprigiona la mente e il nazareno che la libera. Ecco: Mancuso è Aljoscia. Proseguite nella lettura e ve ne convincerete.

Tutti i suoi libri infine sono questo: un bacio che brucia di un fuoco soave, "purificatore", in cui possa incenerirsi l"’autorità" di una Chiesa costruita nei millenni sopra il "miracolo" e il "mistero", per lasciar spazio all’autenticità" cui Gesù richiamava l’anima («svegliati, ragazza»). In cui l’obbedienza si depuri del suo diabolico fondamento - il potere e si inchini soltanto alla "legge della libertà", all’autonomia della coscienza.

Il bacio offre a quella Chiesa da cui Mancuso proviene il varco di una libertà che è a lei ben nota, nutrita com’è, fin nei suoi ultimi papi, del pensiero europeo moderno e contemporaneo, dal quale sorgono (come dal pensiero di Ivan Karamazov) entrambi gli interlocutori: l’obbedienza asservita e la libertà autentica, il nichilismo morale e il primato della coscienza, la "fede" come devozione atea e la fede come «esperienza che l’intelligenza è illuminata dall’amore» (S.Weil).

Questa chiave di lettura illumina tutta la complessa dialettica di questo libro, giustamente presentato come "sintesi matura" del pensiero del suo autore. Un libro pubblicato nella collana "Campo dei fiori" - la piazza romana in cui arse il rogo di Giordano Bruno - e dedicato «alla memoria degli italiani uccisi in quanto "eretici", martiri della libertà religiosa, testimoni obbedienti del primato della coscienza». E i cui nomi sono riportati nell’Appendice.

Eppure è a questa stessa Chiesa che li ha bruciati che Mancuso si rivolge con il sottotitolo del suo libro: Critica e rinnovamento della coscienza cristiana. Lo afferma chiaramente: un cristianesimo non può esistere senza chiesa, senza magistero, senza tradizione, senza liturgia, senza comunità/comunione. Non si tratta quindi di eliminare la "sua" Chiesa, si tratta di spezzare la subordinazione alla Chiesa della teologia. In una "teologia laica" si dispiega il bacio liberatorio. E la liberazione, si badi, è rigorosamente teologica. Biblica anzitutto: Dio non ha bisogno del sangue per salvare gli uomini, non è dunque Paolo il vero fondatore della Chiesa di Cristo.

La salvezza non va pensata come redenzione, ma secondo l’annuncio di Gesù: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia». Di teologia fondamentale, in secondo luogo. All’inizio dell’avventura umana non c’è il peccate originale, ma «l’energia caotica... che ha bisogno di essere ordinata e disciplinata per diventare volontà di bene e di giustizia»: cioè la libertà.

Dio è il nome del bene, e non il nome del potere.

Ed ecco le due radici di quella logica dell’obbedienza e del potere che attanaglia la mente del moderno Inquisitore: il pessimismo relativo all’uomo, con la dottrina del peccato originale che avvinghia l’esercizio del potere all’umiltà del male; e il fatto che il cattolicesimo «non ha più una visione del mondo dai tempi di Dante», perché ha tradito, da Galileo in poi, la ricerca del vero. Il bacio, dunque, fiorisce proprio dai due temi principali dell’innovazione teologica di Mancuso. E offre scampo al duplice disagio, della coscienza e dell’intelligenza, e al tragico paradosso della Chiesa: «L’istituzione per merito della quale ancora oggi nel mondo continua a risuonare il messaggio di liberazione di Gesù è governata nel suo vertice da una logica che rispecchia proprio quel potere contro cui Gesù lottò fino a essere ucciso». Sarà finalmente aperta, quella porta?
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/4/2012 19.58
Titolo:DIMISSIONI: !UN'IPOTESI CONCRETA" .....
Ratzinger e quelle dimissioni possibili

Monsignor Bettazzi torna a parlarne come di “un’ipotesi concreta”

di Luca de Carolis (il Fatto, 17.04.2012)

Quell’ultimo tratto di strada “potrebbe essere quello fino alle dimissioni”. E comunque, Benedetto XVI potrebbe lasciare “solo dopo aver finito il libro su Gesù”. Monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, descrive come un’ipotesi concreta le dimissioni di Joseph Ratzinger. E lo dice ai microfoni di “Un Giorno da pecora”, programma su Radio2 dove già due mesi fa aveva parlato di un “Papa pronto a dimettersi, perché molto stanco”.

Non solo per l’età: “Di fronte ai problemi che ci sono, forse anche di fronte alle tensioni che ci sono all’interno della Curia, potrebbe pensare che di queste cose se ne occuperà il nuovo pontefice”. Una replica, neanche troppo indiretta, a smentite, versioni ufficiali e silenzi imbarazzati sulle lotte di potere in Vaticano, puntualmente raccontate dal Fatto. Scontri a colpi di documenti e veti incrociati, che hanno amareggiato e logorato Benedetto XVI. Un’amarezza lucida, su cui peserebbero anche ricordi dolorosi.

Pochi giorni fa, a Tg2 dossier, ancora Bettazzi aveva raccontato possibili e fragorose verità: “Il Papa potrebbe dare le dimissioni, prima che arrivi quel momento in cui non è più il pontefice a guidare la Chiesa. Ha visto gli ultimi anni di Giovanni Paolo II, e sapeva che lui voleva dare le dimissioni ma non gliel’hanno lasciate dare. Io gli auguro lunga vita e lucidità, ma se Benedetto XVI si accorgesse che le cose stanno cambiando, avrebbe il coraggio di dimettersi”. Ratzinger insomma non accetterebbe di continuare da simbolo vivente, svuotato però di effettivi poteri. E potrebbe lasciare, prima che a governare di fatto la Chiesa sia qualcuno non eletto al soglio pontificio .

Ieri il vescovo di Ivrea ha ribadito: “Il Papa è molto stanco, e può darsi che dica: ‘Piuttosto che un pontefice stanco, lasciamo che ne venga uno nuovo, che continui con vigore la purificazione della Chiesa che Ratzinger ha iniziato e che gli sta tanto a cuore’”.

Ma quando? Bettazzi precisa: “Il pontefice vuole prima finire il libro su Gesù, gli preme tanto. I giornali dicono che lo finirà a dicembre, ma può essere anche che approfitti dell’estate per finirlo prima”. Poi da scrivere ci sarebbero il futuro di un Papa e della Chiesa. Guidata da un intellettuale che potrebbe anche scegliere di dedicarsi solo ai suoi libri. Bettazzi cita come possibili papabili “Scola, Ravasi, Bertello”. Ma conclude: “Lasciamo fare ai cardinali”. Chiaro e semplice. Come certe verità difficili da dire.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/5/2012 12.25
Titolo:CL, cerchio magico intorno a papa Ratzinger ...
CL, cerchio magico intorno a papa Ratzinger

Nonostante scandali e “amici” arrestati l’organizzazione domina in Vaticano

di Marco Lillo (il Fatto, 05.05.2012)

Dopo 30 anni di assenza, un pontefice torna al Meeting di Cl a Rimini. Papa Ratzinger terrà un discorso alla grande kermesse di Comunione e Liberazione che quest’anno avrà come tema il rapporto tra l’uomo e l’infinito. Non è solo una voce ma un impegno preso nero su bianco da Benedetto XVI e dal segretario di Stato Tarcisio Bertone in un carteggio inedito che pubblichiamo. In un giorno d’estate compreso tra il 19 e il 25 agosto nei padiglioni della fiera il pontefice tedesco abbraccerà decine di migliaia di seguaci e simpatizzanti del movimento fondato da don Luigi Giussani nel 1954 e guidato dopo la morte del “Don” nel 2005 da don Julian Carron.

L’ULTIMO PAPA a partecipare al meeting è stato Giovanni Paolo II nel 1982. E proprio alla ricorrenza del trentennale si richiama la presidente del Meeting, Emilia Guarnieri, per chiedere a Benedetto XVI di tornare. La professoressa Guarnieri scrive il 23 novembre 2011 al segretario di Stato Tarcisio Bertone: “Il 1982 fu l’anno della storica visita al meeting del Beato Giovanni Paolo II. Il medesimo anno vide anche il riconoscimento pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione. Il2012pertantorappresenta per noi un duplice e significativo trentennale ed un contesto estremamente suggestivo per accogliere il Santo Padre”. La professoressa, nella sua lettera a Bertone ricordava un incontro del 19 giugno a San Marino, nel quale il Papa le disse: “È molto tempo che non ci vediamo! Lei lavora ancora per il Meeting? ” in memoria delle antiche partecipazioni dei primi anni novanta dell’allora cardinale Joseph Ratzinger alla kermesse. E la lettera si concludeva con una preghiera a Bertone: “Affido alla Sua paternità e alla Sua benevolenza questo invito”. Il segretario di Stato non si è risparmiato e nel volgere di due settimane ha ottenuto il sì del Pontefice. Il 9 dicembre del 2011 Tarcisio Bertone scrive al segretario del Papa don Georg Ganswein perché annoti l’impegno: “Con la presente Ti informo che nell'Udienza a me concessa il 5 dicembre 2011, il Santo Padre ha preso visione della lettera del 23 novembre 2011 della professoressa Emilia Guarnieri, Presidente del Meeting di Rimini. Considerando i due anniversari che cadono nel 2012, il Santo Padre ha espresso il suo favore per una breve visita e un suo intervento al Meeting di Rimini in data da stabilire”.

In fondo però quella che si sta preparando da mesi è solo la consacrazione di un legame che sempre di più sta diventando un elemento caratterizzante di questo e forse persino del prossimo pontificato, se troveranno conferma le voci dell’investitura dell’arcivescovo di Milano di provenienza ciellina, Angelo Scola. Proprio il Fatto ha pubblicato nel febbraio scorso un documento anonimo nel quale si annunciava la fine del papato di Ratzinger entro novembre 2012. Un annuncio di morte reinterpretato da alcuni osservatori come una previsione certa di “dimissioni” del Papa per far posto al suo successore preferito, cioè proprio Angelo Scola.


UNA SOLUZIONE “anomala” ma possibile, secondo l’interpretazione dottrinaria che lo stesso Ratzinger avrebbe avallato in un’intervista. Vera o falsa che fosse, la profezia della staffetta tra Ratzinger e Scola ha portato allo scoperto il peso crescente di Cl negli equilibri vaticani.

Non è un mistero che siano cielline le quattro signore cinquantenni che dormono nell’appartamento papale e sono ammesse a pranzare e cenare con il Pontefice tanto da formare la cosiddetta famiglia papale. Per l’esattezza sono aderenti ai Memores Domini, associazione laicale i cui membri vivono i consigli evangelici di povertà, castità perfetta e obbedienza sotto l’egida di Comunione e Liberazione. Anche l’arcivescovo di Milano Angelo Scola condivide la quotidianità con alcune signore aderenti ai Memores.

Il legame tra Cl e Scola è molto stretto. Il Fatto ha rintracciato una lettera del marzo 2011 al Nunzio Apostolico in Italia Giuseppe Bertello dal leader di Cl don Julian Carron. In questa lettera Carron suggerisce di nominare Scola anche per la sua sensibilità all’area politica di centrodestra. “Rispondo alla Sua richiesta permettendomi di offrirle”, scrive Carron “in tutta franchezza e confidenza”, ben consapevole della responsabilità che mi assumo di fronte a Dio e al Santo Padre, alcune considerazioni sullo stato della Chiesa ambrosiana”. La diagnosi del leader di Cl è spietata: “Il primo dato di rilievo è la crisi profonda della fede del popolo di Dio... perdura la grave crisi delle vocazioni... la presenza dei movimenti è tollerata, ma essi vengono sempre considerati più come un problema che come una risorsa”.

Poi Carron arriva al dunque: “dal punto di vista poi della presenza civile della Chiesa non si può non rilevare una certa unilateralità di interventi sulla giustizia sociale, a scapito di altri temi fondamentali della Dottrina sociale, e un certo sottile ma sistematico ‘neocollateralismo’, soprattutto della Curia, verso una sola parte politica (il centrosinistra) trascurando, se non avversando, i tentativi di cattolici impegnati in politica, anche con altissime responsabilità nel governo locale, in altri schieramenti”. Il nome di Formigoni non c’è ma chiunque intravede dietro queste righe la figura del governatore. “Questa unilateralità di fatto... finisce per rendere poco incisivo il contributo educativo della Chiesa al bene comune, all’unità del popolo e alla convivenza pacifica”.

Per tutte queste ragioni, conclude Carron: “l’unica candidatura che mi sento in coscienza di presentare all’attenzione del Santo Padre è quella dell’attuale Patriarca di Venezia, Card. Angelo Scola. Tengo a precisare che con questa indicazione non intendo privilegiare il legame di amicizia e la vicinanza del Patriarca al movimento di Comunione e Liberazione, ma sottolineare il profilo di una personalità di grande prestigio e esperienza... ”.

L’arcivescovo di Milano, con la raccomandazione di Cl, oggi è dato per favorito a prendere il posto di Benedetto XVI. È questo il paradosso di Cl: proprio nell’anno della sua massima potenza e della annunciata benedizione del Papa con la sua visita al Meeting, esplodono gli scandali e le indagini della magistratura.

Dopo gli arresti di due ciellini amici di Formigoni come Antonio Simone e Pierangelo Daccò e la pubblicazione delle fotografie dei resort a cinque stelle dove il presidente della Lombardia è stato in vacanza persino don Julian Carron ha scritto a Repubblica:

“Sono stato invaso da un dolore indicibile dal vedere cosa abbiamo fatto della grazia che abbiamo ricevuto. Se il movimento di Comunione e Liberazione è continuamente identificato con l’attrattiva del potere, dei soldi, di stili di vita che nulla hanno a che vedere con quello che abbiamo incontrato, qualche pretesto dobbiamo aver dato”. Una lettera che finora non ha fatto cambiare idea sul suo viaggio a Rimini a Benedetto XVI.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/9/2012 21.33
Titolo:NOTE A MARGINE per il Convegno ...
NOTE A MARGINE per il Convegno "Chiesa di tutti, chiesa dei poveri", del 15 settembre a Roma ...

1. LA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA HA ROTTO I PONTI CON IL MESSAGGIO EVANGELICO. A 50 anni dall'inizio del Concilio Vaticano II, bisogna prendere atto che il terribile è già accaduto: il "Lumen Gentium" è stato spento e, sulla cattedra di Pietro, siede il Vicario del Signore e Padrone Gesù ("Dominus Iesus": J. Ratzinger, 2000). Egli regna e governa in nome del suo Dio, Mammona ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006).

2. DIO E' VALORE! Sul Vaticano, DAL 2006, sventola il "Logo" del Grande Mercante: "Deus caritas est" (Benedetto XVI, 2006)!!! Il papa teologo, ha gettato via la "pietra" su cui posava - in equilibrio instabile - l’intera Costruzione dela Chiesa cattolico-romana ("Deus charitas est": 1 Gv. 4.8).

3. TUTTO A "CARO-PREZZO" ("CARITAS"): QUESTO "IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO". QUESTO E' IL NOSTRO VANGELO: PAROLA DI RATZINGER -BENEDETTO XVI, CARDINALI E VESCOVI TUTTI. IL "PANE QUOTIDIANO" DEL "PADRE NOSTRO", SI VENDE A "CARO PREZZO", MOLTO CARO (= "CARITAS")!!!

4. ULTIMA CENA ED ECONOMIA VATICANA. Benedetto XVI cambia la formula: «Il calice fu versato per molti», non «per tutti»!!!

5. IN PRINCIPIO ERA IL "LOGO"!!! SE UN PAPA TEOLOGO LANCIA IL "LOGO" DEL SUO DIO ("DEUS CARITAS EST") E TUTTI OBBEDISCONO, E NON VIENE RISPEDITO SUBITO A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO, DI COSA VOGLIAMO PARLARE DI AFFARI E DI MERCATO?! EBBENE PARLIAMO DI AFFARI, DI MERCATO, DI "MAMMONA", "MAMMASANTISSIMA", E DI COME I PASTORI ... IMPARANO A MANGIARE LE PECORE E GLI AGNELLI, E A CONTINUANO A GOZZOVIGLIARE ALLA TAVOLA DEL LORO "DIO"!!! Avanti tutta, verso il III millennio avanti Cristo!!!

Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/9/2012 20.10
Titolo:UN APPELLO. Lettera aperta al cardinale martini (2005)
UN APPELLO PER LA PACE: UN NUOVO CONCILIO, SUBITO!

Caro Cardinale Martini

“Era””, “è ”: GESU’, IL SALoMONE, IL PESCE (“Ixthus”), sempre libero dalle reti del Pastore-Pescatore (del IV sec.)!

di Federico La Sala *

Karol Wojtyla, il grande Giovanni Paolo II è morto! E se è vero che “il mondo - come ha detto il nuovo papa - viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori”, è anche vero che nel IV secolo - con il ‘pallio’ ... di Roma, comincia “la grande politica” - muore il cristianesimo e nasce l’impero cattolico-romano. La religione ebraica diventa passato, archeologia, e la religione cattolico-romana diventa storia, presente e futuro. Contro ogni tentennamento, la “Dominus Jesus” non è stata scritta invano e la prima Omelia (24 aprile 2005) di Ratzinger - Benedetto XVI ha chiarito subito, senza mezzi termini, a tutti i fratelli e a tutte le sorelle, chi è il fratello maggiore (e chi sono - i fratelli maggiori)... chi è il nuovo Papa, e qual è la “nuova Gerusalemme”.

Per Ratzinger - BenedettoXVI non c’è nessun dubbio e nessun passo indietro da fare. Finalmente un passo avanti è stato fatto. Guardino pure i sudditi dell’Urbe, e dell’Orbi: il “distintivo” cattolico è qui! Ma Wojtyla? Giovanni Paolo II? La visita alla Sinagoga di Roma? Toaff? - La Sinagoga?! Toaff?! Gerusalemme?!: “Roma omnia vincit”, non Amor...! Rilegga l’Omelia (www.ildialogo.org/primopiano): la Chiesa cattolico-romana è viva, vince alla grande, im-mediaticamente! Rifletta almeno su questi “passaggi”:

"Cari amici! In questo momento non ho bisogno di presentare un programma di governo [...] Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia. Invece di esporre un programma io vorrei semplicemente cercare di commentare i due segni con cui viene rappresentata liturgicamente l’assunzione del Ministero Petrino; entrambi questi segni, del resto, rispecchiano anche esattamente ciò che viene proclamato nelle letture di oggi". "Il primo segno è il Pallio, tessuto in pura lana, che mi viene posto sulle spalle. Questo antichissimo segno, che i Vescovi di Roma portano fin dal IV secolo, può essere considerato come un’immagine del giogo di Cristo, che il Vescovo di questa città, il Servo dei Servi di Dio, prende sulle sue spalle. Il giogo di Dio è la volontà di Dio, che noi accogliamo. [...]

"E questa volontà non è per noi un peso esteriore, che ci opprime e ci toglie la libertà. Conoscere ciò che Dio vuole, conoscere qual è la via della vita - questa era la gioia di Israele, era il suo grande privilegio. Questa è anche la nostra gioia: la volontà di Dio non ci aliena, ci purifica magari in modo anche doloroso e così ci conduce a noi stessi. [...] In realtà il simbolismo del Pallio è ancora più concreto: la lana d’agnello intende rappresentare la pecorella perduta o anche quella malata e quella debole, che il pastore mette sulle sue spalle e conduce alle acque della vita. La parabola della pecorella smarrita, che il pastore cerca nel deserto, era per i Padri della Chiesa un’immagine del mistero di Cristo e della Chiesa.[...]. Così il Pallio diventa il simbolo della missione del pastore, di cui parlano la seconda lettura ed il Vangelo. La santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore [...]. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi”.

In verità, Nietzsche, uno dei tre grandi - con Marx e Freud - maestri del sospetto che stimava Gesù, ma nient’affatto il cattolicesimo - definito da lui, un platonismo per il popolo, l’aveva già detto - e anche in modo più profetico: “il deserto avanza. Guai a chi nasconde il deserto dentro di sé!” (Così parlò Zarathustra).

Cosa pensare? Che fare, intanto? Aspetterò. Sì! Aspetterò! Per amore di tutta la Terra e “per amore di Gerusalemme non mi darò pace, finché non sorga come stella la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come una lampada. Allora tutti i popoli vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria”(Isaia).

Federico La Sala

*www.ildialogo.org, Mercoledì, 27 aprile 2005
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/12/2012 09.58
Titolo:Amnesie vaticane per brutti alleati
Amnesie vaticane per brutti alleati

di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 22 dicembre 2012)

Ora che Berlusconi è diventato ufficialmente cattivo, perché i vertici ecclesiastici hanno trovato il Monty-Party da caldeggiare, una singolare amnesia coglie i vessilliferi del cattolicesimo istituzionale. Con la minacciosa impudenza di sempre Berlusconi ricordava l’altro giorno le sue benemerenze nei confronti di Chiesa e Vaticano. Non aveva bisogno di elencarle.

Sono tante, sono agli atti: le norme imbroglione per non fare pagare l’Ici agli enti ecclesiastici con attività commerciale, i finanziamenti alle scuole, i finanziamenti a pioggia a opere confessionali varie anche prelevando le somme che i cittadini con l’8 per mille avevano destinato espressamente a “iniziative umanitarie statali”, l’appoggio alla campagna astensionistica del cardinal Ruini per sabotare il referendum sulla procreazione artificiale, il blocco ad una legge sull’omofobia, l’adesione al Family Day per impedire una legge sulle coppie di fatto, il catenaccio contro una legge sul testamento biologico che garantisca l’autodeterminazione del paziente, il tentativo di sovvertire con un decreto legge la sentenza del tribunale che autorizzava il padre di Eluana a lasciarla spegnersi in pace, la pressione in Europa per rovesciare la sentenza della corte di Strasburgo che sanciva la non sostenibilità di una presenza monopolistica di un simbolo religioso (vedi crocifisso) nelle aule scolastiche.

“AUSPICO - ha detto il Caimano - che i si ricordi tutto quello che abbiamo fatto per la Chiesa”. I cittadini ricordano... Ma l’Avvenire, stizzito, ha reagito con un corsivetto del direttore, in cui si accusa B. di muoversi “con poco garbo e nessuna eleganza” e di ignorare che i cattolici sono “gente che è piuttosto difficile incantare con stentoree o suadenti propagande”.

Dice il giornale dei vescovi che l’elettorato sa valutare con “saldi criteri civili e morali.... (sia i programmi che) i profili politici e personali” di chi vuole governare l’Italia. Un tono davvero sferzante, sintomo del nuovo corso chiesastico.

Giorni fa l’Avvenire rimarcava anche il “fallimento” del governo Berlusconi e la Tv dei vescovi gli accreditava un comportamento politico “miope e meschino”. Peccato soltanto che una grande amnesia avvolga il fervido appoggio a Berlusconi di Chiesa e Vaticano per un intero ventennio. Sì, si possono ripescare dagli archivi singoli interventi critici, che di quando in quando hanno rotto i grandi silenzi di complicità con il governo del Caimano. Si possono anche citare gli ultimi duri interventi (cinque) dell’era Boffo, poi lasciato massacrare dal Giornale di Feltri. “Lasciato” massacrare, perché poche settimane dopo all’aeroporto di Ciampino (26 settembre 2009) il Papa salutava cordialmente il patrono della decapitazione dell’allora direttore di Avvenire, esclamando: “Che piacere rivederla”. C’è stata anche qualche bacchettata della Cei nel corso post-ruiniano.

Piccoli lampi nella grande nube di silente sostegno alle follie rovinose del governo berlusconiano. Non si è sentita la voce della Chiesa tra gli oppositori, quando il Caimano anno dopo anno ha scardinato il sistema giuridico. Non si è sentita quando ha falsato la legge sul bilancio e si è aggiustato i processi a colpi di deformazioni di legge. Non si è sentita quando la magistratura è stata sistematicamente delegittimata. Anzi, il ruinismo allora ha rispolverato una comoda versione degli opposti estremismi, evocando un’inesistente guerra tra giudici e politica che in nessun Paese occidentale è mai stata citata (tra gli ultimi casi, l’esemplare atteggiamento di Israele dove è possibile processare senza turbative e senza “legittimi impedimenti” un capo di stato o un ministro degli esteri). Non si è sentita, peraltro, nemmeno la voce laica di molti odierni rinnovatori.

GLI ITALIANI ricordano invece le esortazioni di mons. Fisichella a “contestualizzare” le bestemmie. Gli italiani ricordano la volonterosa partecipazione del Segretario di Stato vaticano cardinale Bertone ad una cena organizzata in casa di Vespa per sponsorizzare il riavvicinamento tra Casini e Berlusconi. Ricordano le pressioni del cardinal Ruini perché continuasse l’alleanza tra l’Udc e il Pdl dell’allora premier, oggi diventato improvvisamente impresentabile.

Gli italiani ricordano anche il grande assist della Chiesa a B. alla vigilia del voto di sfiducia del 14 dicembre 2010 (quando Fini e il neonato Fli, si ribellarono). La scena si svolse ad un ricevimento nell’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede. “Da parte mia non verrà mai nulla contro il Vaticano”, scandì Berlusconi. Il suo governo, replicò Bertone perché il messaggio fosse sentito ben bene su tutti i media, “va ringraziato per aver svolto un’azione che ha tenuto in gran conto le istanze della Chiesa, in un contesto di relazioni pacificate”.

“Memoria ottima”, titolava l’Avvenire ieri. Si vede che i saldi criteri di giudizio funzionano a intermittenza. Facile oggi dire che Monti ha salvato l’Italia dal “baratro”. Tra gli oppositori di chi trascinava l’Italia verso la rovina, in quegli anni i grandi prelati non c’erano. Signori, capaci di indignarsi al momento giusto, si nasce (direbbe Totò). Certe pensose figure, adesso veloci a ripudiare il Caimano, non lo nacquero
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/2/2013 13.43
Titolo:Benedetto XVI lascia il pontificato
Benedetto XVI lascia il pontificato, Papa si dimette il 28 febbraio*

Il Papa lascia il pontificato dal 28 febbraio. Lo ha annunciato personalmente, in latino, durante il concistoro per la canonizzazione dei martiri di Otranto. "Un fulmine a ciel sereno". Con queste parole il decano del collegio cardinalizio, cardinal Angelo Sodano ha commentato la decisione di Benedetto XVI di lasciare il pontificato

Il Papa ha spiegato di sentire il peso dell’incarico di pontefice, di aver a lungo meditato su questa decisione e di averla presa per il bene della Chiesa. La "ingravescentem aetatem" cioé l’età avanzata. Questo tra i motivi addotti da Benedetto XVI, per le sue dimissioni. La sua decisione, annunciata in latino davanti al collegio cardinalizio e alla Casa Pontificia riunite per un concistoro di canonizzazione, è stata accolta nel più profondo silenzio e con smarrimento.

Il papa ha indicato il 28 febbraio per il termine del pontificato e chiesto che si indica un conclave per l’elezione del successore.

"Ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile2005". Lo ha detto Benedetto XVI annunciando le sue dimissioni.

* ANSA, 11 febbraio 2013, 12:20
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/2/2013 17.14
Titolo:Prove del fallimento di un papa ...
Prove del fallimento di un papa

Errori e occasioni sprecate: dalla macata condanna dei tedeschi ad Auschwitz alla comunione per i divorziati

di Marco Politi (il Fatto, 13.02.2013)

E se fossero stati otto anni persi? Otto anni in cui tanti problemi già maturi ai tempi di Giovanni Paolo II sono stati semplicemente rimandati senza nemmeno essere avviati a soluzione. Dalla carenza di preti al ruolo delle donne, ad un nuovo approccio alla sessualità, alla rilancio dei rapporti ecumenici.

La cosa più sorprendente, il giorno dopo le dimissioni annunciate di Benedetto XVI, è la calma con cui il popolo cattolico le sta accogliendo. Certo c’è sorpresa e a tratti sconcerto, ma la gran massa ha digerito subito la novità e vuole semmai capire meglio dove papa Ratzinger ha sbagliato. Dove ha fallito. Perché a livello popolare si è capito da tempo che Benedetto XVI è stato “incapace” in termini di leadership e di governo dei problemi planetari della Chiesa cattolica.

D’altronde già l’anno scorso la sua popolarità era caduta al 39 per cento e quella della Chiesa nel 2013 (Eurispes) al 36. Segno di una grave disaffezione dei fedeli e dell’opinione pubblica nei confronti dell’istituzione ecclesiastica e del suo capo.

Ora, tra i difensori a oltranza del papato-idolo (dove tutto ciò che fa il pontefice è perfetto e a sbagliare sono sempre gli altri), si va diffondendo il mito della sua solitudine e di una Curia cattiva, che gli remava contro. Favole. Un papa è sempre solo, diceva Paolo VI. La questione è semmai quali collaboratori si sceglie e l’efficienza con cui realizza la sua strategia.

Le gaffe su gay e preservativi

Benedetto XVI troppe volte si è fermato a metà. Nel 2010 ha condannato con durezza gli abusi sessuali commessi dagli uomini di Chiesa e ha proclamato il dovere dei preti-criminali di recarsi davanti ai tribunali. Poi però non ha emanato un decreto per rendere obbligatorio che i vescovi denuncino i colpevoli. Né ha ordinato che si aprano gli archivi diocesani alla ricerca di denunce insabbiate, che corrispondono a migliaia di vittime inascoltate.

Lo stesso è accaduto con la trasparenza delle finanze vaticane. Nel 2010 il Papa costituisce un’alta autorità finanziaria (AIF), dotata di ampi poteri di ispezione non solo dello Ior ma di ogni movimento di denaro nella Santa Sede. Pochi mesi dopo il suo più stretto collaboratore il Segretario di Stato cardinale Bertone limita drasticamente le competenze dell’autorità finanziaria, incassando poi i rimbrotti della commissione finanziaria europea Moneyval.

Si può forse descrivere Bertone come un nemico accanito del pontefice? In realtà si possono trovare negli scritti di Benedetto XVI molti passi illuminanti sull’essere cristiani nel mondo d’oggi, ma la predicazione anche alta non basta. Serviva il governo concreto, serviva - e non c’è stata - la sensibilità geopolitica e il piglio del governante risolve le questioni aperte e non ne crea.

Troppi i passi falsi. A Regensburg nel 2006 Benedetto XVI non si rende conto che una frase sprezzante di un vecchio imperatore bizantino su Maometto offenderà milioni di musulmani.

Ad Auschwitz non si rende conto che non può attribuire solo ad una “banda di criminali” lo scivolamento della Germania nella barbarie nazista.

Volando in Africa, non si rende conto che affermare che il preservativo peggiora la diffusione dell’Aids è un affronto alla comunità scientifica e al buon senso di tante suore e missionari, che lo distribuiscono per frenare la pandemia.

Ancora poche settimane fa non si rende conto che stringere la mano all’udienza generale alla presidente del Parlamento ugandese, Rebecca Kadaga, che propugna la pena di morte per i gay, è un gesto impensabile mentre monta nelle strade di Roma l’odio anti-gay. Né la semplice lettura delle rassegne stampa gli impedisce di procedere all’annullamento della scomunica del vescovo lefebvriano Williamson, fanatico negatore dell’Olocausto. Glielo hanno tenuto nascosto? Non deve accadere per chi esercita un potere monarchico assoluto. Vuol dire che ha sbagliato nella scelta delle persone cui affida i dossier più delicati.

Le concessioni ai lefebvriani e il disamore dei cattolici

Gli ebrei sono rimasti amareggiati per la riedizione della preghiera del Venerdì Santo nella messa di Pio V, in cui si affaccia nuovamente il tema di una loro cecità rispetto alla venuta di Cristo.

I cattolici si sono disamorati per la sua decisione di reintrodurre a tutti i livelli la messa preconciliare. Ma più ancora la maggioranza dei cattolici è stata ferita dalle sue concessioni ai lefebvriani, permettendo che la retta interpretazione dei testi più importanti del Vaticano II diventassero oggetto di un negoziato con i nemici più fanatici del Concilio.

Quel Concilio che papa Ratzinger ha voluto leggere ossessivamente nell’ottica della “continuità” con la storia della Chiesa, quando i documenti conciliari più fecondi (sulla libertà religiosa, sulla fine dell’antisemitismo, sulla riforma liturgica, sull’ecumenismo, sui rapporti con l’Islam e le religioni orientali) rappresentano una svolta radicale con il passato.

Questioni irrisolte: corruzione e Ior

Iniziando il suo pontificato, Benedetto XVI ha dichiarato di non avere un programma di governo, ma di proporsi solo la sequela della parola di Dio. Non è una nota di merito. Un pontefice, che guida oltre un miliardo di fedeli, deve avere un programma di azione.

L’hanno avuto papi diversissimi come Paolo VI e Pio XII, Wojtyla e Giovanni XXIII. Non averlo ha significato lasciare marcire molte questioni. Il tema della comunione negata ai divorziati risposati papa Ratzinger si proponeva di “studiarlo” nel 2005, appena eletto, e otto anni dopo non aveva ancora una risposta.

Il tema della collegialità, cioè di un governo della Chiesa universale a cui partecipano i vescovi, lo aveva ben chiaro, quando da cardinale poche settimane prima dell’elezione disse che la Chiesa non può più essere governata in modo “monarchico”. Per otto anni ha deciso invece le strategia fondamentali del suo pontificato (verso i lefebvriani, i dissidenti anglicani o sulle questioni ecumeniche) in maniera solitaria e autoritaria.

La sua ripetizione ossessiva dei “principi non negoziabili” ha provocato uno scisma sotterraneo, silenzioso ma profondo, all’interno del Popolo di Dio. L’incapacità di reggere con mano ferma una Curia spaccata e dilaniata da forti conflitti interni, l’incapacità di andare a fondo alle denunce di corruzione di monsignor Viganò o di sostenere il presidente dello Ior Gotti Tedeschi nella richiesta di fare certificare da un’agenzia esterna i bilanci della banca vaticana, sono stati il colpo finale per l’autorità di Benedetto XVI. Il problema non è il maggiordomo infedele, il problema è che nessuno nel Vaticano di Ratzinger ha voluto discutere dei fatti maleolenti emersi dalle carte.

Non è un caso che lunedì una folla non sia precipitata in piazza San Pietro al grido di “non farlo... rimani! ”.

Chi ha il potere assoluto alla fine ne risponde senza mediazioni. Doveva essere un pontificato di transizione. Si è trasformato in una stagnazione. L’abdicazione per molti è arrivata come un sollievo.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/2/2013 17.24
Titolo:DIMISSIONI DI BENEDETTO XVI: DICHIARAZIONE DI CARLO A. CIAMPI
Così s'è espresso il presidente emerito della repubblica Carlo Azeglio Ciampi in merito alla decisione di papa Benedetto XVI di rassegnare le dimissioni da papa:



"Ho provato un turbamento profondo: è stato questo lo stato d'animo con cui ho appreso la notizia della decisione del Pontefice. Un evento di portata talmente eccezionale che non può non suscitare incredulità e sbigottimento. Penso che la dimensione universale di siffatti sentimenti - come d'altra parte universale è la Chiesa - deve aver avuto un peso enorme per il Papa nel maturare una decisione certamente sofferta, ma scelta con estrema consapevolezza nella solitudine della sua coscienza. Forse un dono straordinario per l'umanità tutta, forse un atto di coraggio estremo legato a un altissimo senso di responsabilità. È una decisione di fronte alla quale dobbiamo solo chinare il capo in segno di rispetto, per il Pastore e per l'Uomo e, per quanto è ancora possibile in questo nostro tempo, in silenzio. Con il diletto Sant'Agostino forse vuole ricordarci che «è nell'interno dell'Uomo che abita la verità".
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/2/2013 23.43
Titolo:Benedetto XVI: constatazione di fallimento ...
Benedetto XVI: constatazione di fallimento?

di Jacques Noyer

in “www.temoignagechretien.fr” del 19 febbraio 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Pur ammirando il gesto di rinuncia di Benedetto XVI, Jacques Noyer, vescovo emerito di Amiens, presenta un primo bilancio in chiaroscuro del pontificato che giunge al termine.

Certo, c’è il corpo che non risponde più, la fatica che paralizza, la vecchiaia che incombe... Mi sembra tuttavia che non sia irrispettoso nei confronti di Benedetto XVI ritenere che nella sua decisione abbia pesato anche la sensazione di fallimento personale da lui probabilmente provata.

Anche chi non gli è intimamente vicino, può immaginare che il suo gesto di rinuncia si spieghi, in parte almeno, con la consapevolezza dell’inefficacia della sua politica personale.

Ad esempio, sappiamo che fin dall’inizio del suo pontificato ha cercato di riconciliare la nebulosa tradizionalista il cui allontanamento gli era particolarmente doloroso. Ha moltiplicato le iniziative. Ha fatto concessioni. Ha offerto privilegi a chi tornava all’ovile. Ancora ultimamente ha rilanciato il dialogo che sembrava finito in un vicolo cieco. Ma senza risultati!

Questa impressione di essere entrato in un mercanteggiamento impossibile dev’essere stata difficile da vivere. Ha ceduto su alcune posizioni, e l’avversario se ne è sentito incoraggiato. Ha già dato molto, e deve dare ancora di più. Alla fine, dovrebbe concedere tutto e rinunciare al concilio. Come uscire da questa impasse?

Si è sentito in dovere di far luce sugli oscuri traffici delle finanze vaticane. Ha dato incarichi a uomini di fiducia per modificare le abitudini e ottenere la trasparenza necessaria. La resistenza degli uomini del segreto è stata così grande che non gli ha permesso di ottenere nulla. Gli intrighi di palazzo sono arrivati fin nei suoi appartamenti privati. Solo e impotente, non poteva evitare che le banche internazionali rifiutassero di lavorare col Vaticano su una base di fiducia e lo trattassero invece come un oscuro rifugio di truffatori. Giovanni Paolo II aveva rinunciato a riformare la curia.

Benedetto XVI, in questo tentativo, si è scontrato contro ostacoli insormontabili. Ha coraggiosamente voluto affrontare la piaga troppo a lungo nascosta della pedofilia. Ha creduto, facendo risalire tutto a Roma, di risolvere il problema all’interno della Chiesa come spetta ad una “società perfetta”. Ahimè, ha constatato ben presto che era proprio quel principio che faceva scandalo. È stato costretto a rinunciarvi e ha dovuto chiedere ai vescovi di consegnare i colpevoli alle autorità locali.

I suoi predecessori avevano perso la Stato Pontificio, avevano dovuto accettare la separazione della Chiesa dagli Stati laici, a lui è toccato rinunciare al mito della Società perfetta, cioè di una Chiesa che sfugge al potere delle nazioni dove è dislocata.

Si può anche immaginare l’umiliazione che avrà provato quando certe incaute battute da intellettuale hanno provocato sommovimenti tragici come le reazioni dei popoli musulmani alle dichiarazioni di Ratisbona: il professore universitario aveva dimenticato di essere papa! Ed eccolo costretto ad andare a pregare alla Moschea blu di Istanbul, sicuramente più lontano di quanto immaginasse.

Deve anche entrare nella dinamica del movimento ecumenico, nello sforzo di buone relazioni con l’ebraismo, nello spirito della preghiera di Assisi. Si sente che è prudente, esitante. Subisce gli avvenimenti, non è lui a dirigerli. Un passo che potrebbe apparire come una vittoria, lo vive come una sconfitta.

È più difficile immaginare ciò che ha provato nella difesa di una dottrina eterna gettata nel vortice della modernità. In una simile lotta, ogni successo è provvisorio e molti i fallimenti. Deve difendere il dogma contro le critiche dello spirito moderno. Deve difendere la morale naturale all’interno di un’evoluzione dei costumi senza precedenti. Deve difendere tradizioni antiche diventate obsolete agli occhi degli uomini d’oggi.

Un combattente come Giovanni Paolo II aveva il gusto della “battaglia” e non si dichiarava mai sconfitto. In simili circostanze, la finezza dell’intelligenza di Benedetto XVI diventa debolezza. Le obiezioni degli avversari colpiscono lui certamente più di altri militanti corazzati di certezze. La fede che lo abita non sopprime il peso della Ragione.

Dei confratelli vescovi mi dicevano quale sofferenza avevano letto sul suo volto quando gli avevano parlato delle difficoltà pastorali in cui certe regole del diritto canonico li costringevano. Con la testa tra le mani, soffriva di non poter dare risposte. Sta a voi, sul campo, diceva loro, trovare un cammino per cui l’osservanza della legge non impedisca l’annuncio del vangelo. I vescovi sono stati colpiti da un papa, debole quanto loro di fronte alle contraddizioni della loro pastorale. Chissà in quali insonnie si sarà prolungato questo bisogno di coerenza!

Questi fallimenti avrebbero potuto causare in anime meno sante lo scoraggiamento totale, una passività rassegnata. Benedetto XVI vi ha invece visto l’occasione di un sussulto di speranza: riconosce il suo fallimento. Sa di essere troppo malandato per ricominciare in un altro modo. Lascia il posto a qualcun altro. Se fosse stato certo delle battaglie condotte, avrebbe preparato un successore. Sente, al contrario, a mio avviso, nel segreto del suo cuore, che un papa nuovo dovrà procedere in modo diverso. Quando fu eletto papa, non gli è stata lasciata scelta: doveva continuare l’opera del suo predecessore e ha faticato a trovare un suo stile. Al contrario, lui, oggi, chiede che si tentino strade differenti.

Possiamo sperare che una figura nuova definisca una nuova strategia. Possiamo aspettarci un papa che abbia qualità e caratteristiche diverse da chi lo ha preceduto. Soprattutto possiamo augurarci un papa che faccia circolare la parola in quel grande corpo che è la Chiesa e che, a questo fine, faccia sì che le decisioni non siano più prese solo a livello centrale. Che dia fiducia al Popolo di Dio, invece di esserne il Guardiano. Che tenti il nuovo là dove l’antico è morto. Questa umiltà è certamente un atto di speranza: un altro farà meglio di me, proclama. Prego che non crolli sotto ciò che lui chiama i suoi difetti. La speranza non lo abbandonerà.

Nessuno pensa oggi di rimproverargli di aver fatto ciò che ha ritenuto giusto fare. Si può solo ammirare che abbia osato aprire la porta alle iniziative di uno sconosciuto che lo Spirito Santo e i cardinali di tutto il mondo stanno già preparandoci.

*Jacques Noyer è vescovo emerito di Amiens, ed ex parroco di Touquet-Paris-Plage. È anche stato professore di filosofia.

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Titolo articolo : LA "MENTE EROICA" DI ELVIO FACHINELLI E LA "MENTE ESTATICA" DI GIAMBATTISTA VICO. Una traccia per la rilettura della "Scienza Nuova". All’alta fantasia e al grande lavoro di Giambattista Vico, un omaggio - di Federico La Sala,

Ultimo aggiornamento: February/22/2013 - 11:44:40.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/2/2013 14.48
Titolo:Giambattista Vico, De mente heroica ...
De mente heroica - Giambattista Vico

Introduce Massimo Lollini

lunedì 17 novembre 2008 *




Nel 1732 l’anno accademico presso l’Università di Napoli viene inaugurato con una prolusione ufficiale tenuta da Giambattista Vico, professore di retorica, che in quell’occasione declamò il De mente heroica.

Si tratta di qualcosa di più di un’orazione inaugurale poiché Vico scrisse una vera e propria dissertazione solenne, esortando i giovani al lavoro intellettuale e alla realizzazione delle potenzialità divine della mente umana.

La concezione dell’humanitas al centro di queste pagine vichiane ripropone e attualizza la visione dell’umanesimo di Pico della Mirandola e Marsilio Ficino ancorata ad una ricca ed efficace idea di erudizione, accompagnata ad una forte percezione dell’unità morale del genere umano e ad una fattiva nozione di pietas.

La mente eroica di Vico si presenta come un’arte filosofica, come una maniera di concepire insieme la vita, la società e il sapere.

Massimo Lollini è docente di Lingue romanze all’università dell’Oregon.


Giambattista Vico, Della mente eroica, a cura di Gian Galeazzo Visconti, Alfredo Guida Editore, 1996


De mente heroica, dissertatio habita in regia academia neapolitana XIII Kalendas Novembris Anno MDCCXXXII


[1] Cum in hac regia Academia utilissimum institutum quotannis literarum studia solemni ad vos, optimae spei adolescentes, oratione habita rite et ordine auspicandi satis diu siluisset, et huic nuper creato illustrissimo praefecto, viro usquequaque doctissimo et in vestra re literaria augenda quam qui maxime effuso, id de more, hac stata recurrente die, in primis usurpari placuerit, me sane, qui tres supra triginta perpetuos annos eloquentiae professoris munere in hac ipsa fungor et severis meditationibus literariis sum pene absumptus, novum aliquod ad vos afferre argumentum omnino decet, non sententiarum calamistris verborumque cincinnis iuveniliter exornatum, sed quam maxime fieri potest et ipsarum rerum pondere grave et vestro uberrimo fructu refertum. Quod, quia suapte natura est amplitudinis, splendoris sublimitatisque plenissimum, in eo dissertando,


‘fungar vice cotis, acutum

reddere quae ferrum valet, exsors ipsa secandi’


et quia vos; tantis promissis exciti, in caussa, in qua vestra res agitur, iam ad attente ac benigne audiendum parati estis, in primo ingressu huius dissertationis id dabo.


DISSERTAZIONE


[1] Poiché abbastanza a lungo è rimasta interrotta in questa Regia Università l’utilissima istituzione di inaugurare ogni anno, come prescritto dal rito, l’anno accademico con una prolusione solenne indirizzata a voi, o adolescenti di ottime speranze, e poiché a questo, recentemente nominato, illustrissimo Prefetto degli Studi, dottissimo in ogni ramo del sapere e pensoso quant’altri mai di una vostra più approfondita cultura, è soprattutto piaciuto di ripristinare secondo l’usanza, nel giorno stabilito che oggi ricorre, questa istituzione, conviene certamente che io – che da oltre trenta anni ininterrottamente svolgo in questa stessa Università il compito di professore di eloquenza e quasi sono consunto dalle severe meditazioni letterarie – vi esponga un qualche argomento assolutamente nuovo, non giovanilmente adorno di vacui ornamenti di espressioni e da cincischiamenti di parole, ma quanto più è possibile grave per il peso delle sue stesse argomentazioni e colmo per voi di rigogliosissimo frutto. Ma questo argomento, poiché è per la sua stessa natura pienissimo di magnificenza, di splendore e di sublimità, io nel trattarlo


…adempirò le veci della cote,

che vale a rendere aguzzo il ferro, incapace essa stessa di tagliare;


e poiché voi, resi attenti da così grandi promesse, già siete preparati, in una questione che vi riguarda da vicino, ad ascoltare con attenzione benevola, io sul limitare primo di questa prolusione vi esporrò tale argomento.


[2] Voi dovete, o nobili adolescenti, dedicarvi agli studi delle lettere non certamente per i fini nei quali potreste facilmente essere sopravanzati dal volgo sordido e vile, per procurarvi cioè le ricchezze; né per i fini nei quali potreste di gran lunga essere superati dagli uomini di armi e di corte, per raggiungere cioè onori e potenza; né tanto meno per i fini dai quali sono guidati i filosofi, dallo stesso desiderio, intendo dire, della sapienza, a cui intenti trascorrono quasi tutti, chiusi nell’ombra, tutta la vita per godere nell’inerzia della tranquillità dell’animo loro. C’è da aspettarsi da voi qualcosa di molto più alto. «Ma cos’è questo qualcosa? – meravigliandosi dirà qualcuno di voi –, ci chiedi cose superiori alle umane possibilità?». Me ne rendo perfettamente conto, ma così superiori da essere tuttavia conformi alla vostra natura.



[3] Da voi, io dico, c’è da aspettarsi che vi dedichiate agli studi delle lettere per rendere eroica la mente vostra e dare inizio ad una sapienza utile al genere umano; se farete così, non solo le ricchezze e i beni di fortuna affluiranno verso di voi, anche se voi li disprezzerete, ma vi circonderanno senz’altro, anche se voi non ve ne curerete, gli onori stessi e la potenza. Né infatti senza una ponderata scelta del termine vi ho detto di rendere eroica con gli studi delle lettere la mente vostra. Infatti, se dai poeti sono stati definiti o fantasticati eroi coloro che vantavano la loro divina


discendenza dal sommo Giove,


certamente la mente umana, eliminata ogni invenzione favolosa, ha un’origine divina, e solamente le manca che venga sviluppata dalla cultura e dall’erudizione. Vedete quanto io vi richiedo cose superiori alle umane possibilità, che chiedo soltanto che sia da voi sublimata la natura quasi divina delle menti vostre!


[4] Infatti è definito eroe dai filosofi colui che aspira alle cose sublimi, e sublimi sono per i filosofi questi stupendi e grandissimi beni: Iddio al di sopra della natura; nella natura tutto quest’insieme di realtà meravigliose, in cui né vi è qualcosa di più grande del genere umano, né quindi qualcosa di più luminoso della felicità del genere umano, e a questa felicità soltanto, soli ed esclusivamente, mirano gli eroi, che raggiungono l’immortalità del nome loro con la fama infinitamente diffusa dei loro meriti verso il genere umano, ed è con questa voce della fama, che altamente risuona attraverso i popoli e le nazioni, che Cicerone elegantemente definisce la gloria. I vostri studi debbono perciò essere indirizzati prima di tutto a Dio onnipotente; poi, a gloria di Dio che ci comanda di amare tutto il genere umano, alla felicità del genere umano. Dunque, poiché vi sono stati così proposti questi fini, orsù operate o adolescenti nati per tutto ciò che è stupendo e grandissimo, e rivolgete con mente eroica a questa Università degli Studi gli animi vostri colmi di Dio e perciò netti e puri da tutte quante le passioni terrene, e sperimentate con enorme profitto vostro quella magnifica verità divina: «L’inizio della sapienza è il timor di Dio».

[5] La mente infatti, che gioisce delle cose divine per la loro stessa natura infinite ed eterne, non può non meditare il sublime, non può non affrontare grandi imprese, non può non realizzare opere egrege; perciò non è affatto priva di fondamento questa persuasione, che uomini insigni per il loro amore verso Dio, come il cardinale Cesare Baronio e moltissimi altri, quando, non senza una sicura ispirazione divina, si sono dedicati alle lettere, hanno composto opere mirabili sia per mole che per ingegno e dottrina. Mentre poi di costì, con mente eroica salutate dal primo limitare la sapienza, contemplate con animo grande ciò che qui si presenta davanti agli occhi vostri.


[6] Le importantissime personalità che, ornate di magnifiche insegne, siedono qui a destra, rappresentano la pubblica cultura, che l’augusto imperatore Carlo VI d’Austria, re delle Spagne, ha qui predisposta per la vostra istruzione, affinché, quali per la difesa dell’Impero Romano e dei suoi regni, sui campi aperti e nelle battaglie, si è procurati i comandanti di eserciti più forti per valore, tali si procuri nella penombra di queste aule, per la felicità dell’Impero e dei suoi regni, i migliori fra voi per sapienza; ed a questo egli vi invita sia con i non pochi benefici di legge a voi concessi, che con gli splendidi onori a questa milizia palatina soprattutto a causa tua, o gioventù studiosa delle lettere, o seconda speranza dello Stato, o seconda precipua cura del nostro sovrano; e pensoso di voi, colui che come vicerè felicemente regge con somma virtù e sapienza questo regno, l’eccellentissimo conte Luigi Tommaso di Harrach, ha così premurosamente a cuore questa Università degli Studi e in così larga misura la favorisce, che nello spazio di tre anni – cosa che prima accadeva in un secolo – ha segnalato cinque professori di questo consesso al nostro imperatore, ed egli li ha nominati vescovi di collazione regia. Pensate poi e meditate quanto splendore di dottrina vi sia in questi docenti, pensate che ciascuno di loro, per la capacità della facoltà intellettiva loro propria, racchiude nella sua mente gli autori, i più grandi in ciascuna scienza, di tutti i secoli e di tutti i popoli colti, così che per voi non solo essi li hanno pronti e a portata di mano, ma, quando a loro sembri utile o necessario, sono per di più da loro commentati, emendati e migliorati; e di questa loro facoltà intellettiva ciascuno ha dato prova in ardui concorsi svolti nelle angustie di un tempo brevissimo, pronunciando prolusioni solenni, e, così esaminati, sono stati eletti in questo corpo accademico. Di quale onore e di quanta venerazione occorre che voi li circondiate comprendetelo da questo, che alla loro sinistra siedono tante importantissime personalità, e con questa dignità del posto che occupano chiaramente riconoscono [poiché offrono loro la destra] che a questo pubblico ateneo essi hanno attinto la sapienza, con la quale hanno raggiunto i più alti onori nello Stato. E con queste argomentazioni così piene di dignità innalzate il grande animo vostro, e mostrate quella peculiarità bellissima che è propria della grandezza d’animo, che cioè voi siete pronti ad imparare, ossequienti e grati di essere indirizzati, istruiti e corretti da questi dottissimi docenti, poiché essi vogliono che in questa nostra città, la più splendida non solo dell’Italia ma di quasi tutta l’Europa, la vostra condizione sia la più onorevole possibile; ed ora con paterno amore essi si offrono a voi per istruirvi in tutte le discipline sia cicliche che acroamatiche, che sono da per tutto celebrate. E infatti è proprio questo che vi promette la dizione ‘Università degli Studi’.

[7] E certamente è proprio da questi docenti che voi dovete apprendere tutte le scienze. Ed infatti è monca ed insufficiente quella istruzione letteraria di coloro che si dedicano con tutto il loro impegno ad una sola determinata e particolare disciplina; e in effetti le scienze sono della stessa natura della virtù, di cui Socrate, che aveva fra le sue massime che le virtù stesse non sono altro che scienze, categoricamente sosteneva che in nessun luogo vi è una sola virtù se non lì dove sono tutte quante le altre. E che? avete corrugato la fronte? ho forse con questa mia affermazione atterrito i vostri ingegni? Voi fate certamente offesa alla divina origine delle menti vostre. Non rivolgete preghiere al cielo con le mani supine affinché a voi dormienti cada nel seno la sapienza dal cielo; siate sospinti da un desiderio vivido per lei; con costante e continuo lavoro sperimentate quanto voi stessi potete; tentate quanto potete; mettete alla prova in tutti i modi le forze vostre; svegliate le vostre intelligenze e infiammatevi di Dio, di cui siete pieni, e in questo modo, meravigliandovene voi stessi, voi creerete – ciò che per natura è proprio dei poeti – i divini miracoli dei vostri ingegni. Queste cose che io sto esponendo i letterati italiani le confermano autorevolmente e luminosamente con quel termine molto importante e appropriato all’argomento di cui trattiamo, cioè con il termine ‘sapienza’, con cui essi definiscono ogni Università degli Studi.



[8] La sapienza è definita da Platone purificatrice, risanatrice, perfezionatrice dell’uomo interiore. Ma l’uomo interiore è mente ed anima., e l’una e l’altra parte, a causa del peccato originale è corrottissima, perché la mente, fatta per attingere la verità, è sconvolta dalle false opinioni e dagli errori; l’anima, nata per raggiungere la virtù, è tormentata dalle passioni rnalvage e dai vizi. Dunque il fine di questo pubblico insegnamento è questo, ed occorre che a questo fine voi rivolgiate gli occhi vostri, che cioè voi, infermi nella mente e nell’anima, siete venuti qui per curare, per guarire, per perfezionare la parte migliore della vostra natura. Né infatti qualche stolto derisore potrebbe schernire queste cose che dico; e infatti di quello che dico tutti gli uomini di cultura io ho come miei autori con quella denominazione sapientemente translata dai corpi alle anime, con cui essi le Università degli Studi le definiscono Pubblici Ginnasi, poiché, essendo agli antichi sconosciuti gli ospedali, come con la ginnastica, che si praticava nelle terme, le forze dei corpi, così le forze degli animi si rinfrancano, si rinvigoriscono, si accrescono nelle Università degli Studi. Se mediterete su queste cose, otterrete dai vostri studi questa ingente utilità, che siete cioè dediti agli studi letterari per voler con essi non sembrare, ma essere dotti, perché desiderate essere curati, guariti, essere resi perfetti dalla sapienza; infatti di tutti gli altri beni, sia della natura che della fortuna, gli uomini si accontentano dell’apparenza, soltanto per quello che riguarda la salute tutti desiderano essere veramente sani.


[9] Una volta che vi sarete proposto questo fine, che è proprio della sapienza, è inevitabile che cadano dai vostri animi quei fini ormai di gran lunga minori, cioè le ricchezze e gli onori; e, pur accresciuti di beni, ricolmi di onori, non desisterete dal farvi sempre più colti; ogni frode sarà lontana dalle menti vostre, ogni vanità ed impostura, poiché non dovete bramare di sembrare, ma dovete desiderare di essere coltissimi; né sentirete alcuna invidia verso gli altri, né certamente da parte degli altri si scaglierà contro di voi l’invidia da cui sono arsi, sono tormentati gli avidi di ricchezze, gli ambiziosi di onori; e quella che tra costoro è invidia, diventerà nobile emulazione fra voi, perché voi dovete desiderare, senza guardare con invidia, quel bene comune a tutti – così come sono comuni a tutti, perché infiniti, tutti i beni divini –, cioè la somiglianza vostra delle menti e quindi degli animi con Dio, somiglianza immune dal contagio del corpo.

[10] Infatti, poiché paghi di un insufficiente bagaglio di conoscenze letterarie, alcuni accusano non solo come inadatto, ma addirittura come perverso questo metodo di insegnamento nelle Università degli Studi, dove non solo alcuni docenti insegnerebbero alcune discipline, altri altre, oppure discipline assolutamente identiche, tuttavia con un criterio diverso o in un modo diverso, anzi spesso completamente opposti. È un metodo certamente dannoso; lo riconosciamo senz’altro; e infatti sarebbe desiderabile un metodo ottimo sempre uniforme, ma poiché questo metodo, per la natura delle cose, è reso assolutamente impossibile da queste tre bellissime necessitanti realtà, cioè dalle nuove invenzioni, dalla scoperta di nuove verità, dalle nuove più accurate edizioni dei testi, questo metodo d’insegnamento, che viene posto sotto accusa da costoro, è invece ottimo anche per queste tre non spregevoli utilità, che a sua volta arreca: prima di tutto, che nessuno sia costretto a giurare sulle parole di alcun maestro, come per lo più avviene nelle discipline degli scolastici; poi, che non sia fuorviato, come avviene nei ginnasi privati, da alcuna moda letteraria, i cui effimeri indirizzi come sorgono, cosi tramontano, e, divenuti repentinamente adulti, repentinamente invecchiano; invece le fatiche letterarie, che sono tali da creare opere immortali, debbono essere consegnate all’eternità; infine – e questo soprattutto riguarda il nostro argomemo –, che conosciate perfettamente che cosa di buono scambievolmente si offrano le une alle altre le discipline – infatti ciascuna ha in sé qualcosa di buono –, che cosa tutte aggiungano alla stessa somma di una compiuta sapienza, alla cui conquista, o studiosi adolescenti, gravemente e premurosamente vi ammonisco e vi esorto.


[11] Per questo importantissimo motivo dunque, ascoltate tutti i docenti delle discipline, tuttavia con questo proposito – come abbiamo detto – proprio della sapienza, affinché i loro insegnamenti curino, guariscano, perfezionino tutte le facoltà della vostra mente e del vostro animo. E la metafisica liberi l’intelletto dal carcere dei sensi, la logica liberi la ragione dalle false opinioni, l’etica la volontà dalle malvage passioni, la retorica affinché temperi gli sfrenati eccessi della fantasia, la geometria infreni gli errori dell’ingegno, la fisica poi vi scuota dallo stupore con il quale la natura ha sbalordito gli uomini con i suoi prodigi.

[12] Ma, pure, non sono questi i culmini più alti dei beni, di cui la sapienza si allieta; proponetevi e desiderate beni di gran lunga più splendidi. E in effetti con lo studio delle lingue, che la nostra cristiana religione coltiva come sue, entrate in colloquio con i popoli più famosi della storia del mondo: con la più antica di tutte le lingue con gli ebrei, con la più elegante di tutte con i greci, con la più maestosa di tutte con i latini; e poiché le lingue sono quasi i naturali veicoli dei costumi dei popoli, con le lingue orientali – che sono necessarie alla perfetta comprensione della lingua sacra, come la caldea più di tutte – gli assiri nella città più grande di tutte, a Babilonia, vi rendano edotti della loro magnificenza, in Atene i greci della raffinatezza attica della loro vita, in Roma i latini dell’altezza dell’animo loro. Con la lettura delle storie siate spiritualmente presenti ai più grandi imperi che siano mai fioriti nel mondo, e, per rendere più salda con gli esempi la vostra conoscenza delle istituzioni civili, meditate le origini, gli sviluppi, gli stati, le decadenze e fini dei popoli e delle genti e come la perversa fortuna superbamente signoreggi sulle umane vicende, e come sulla fortuna la sapienza possegga un dominio stabile e saldo. Ma, per Ercole, assieme a quell’ineffabile diletto che ci procurano i poeti – ineffabile perché soprattutto proprio dell’uomo, che per la sua stessa natura è portato all’uniforme – osservate i caratteri dei personaggi perfettamente rappresentati in ogni genere di vita, sia morale sia familiare sia civile, secondo una idea perfetta e perciò stesso verissima, al cui paragone gli uomini della vita di ogni giorno, poiché non hanno una loro vita quando non sono coerenti, sembrano piuttosto essi stessi essere falsi, e per questo motivo nelle finzioni dei più grandi poeti contemplate con mente per così dire divina l’umana natura, bellissima persino nella sua stessa turpitudine, perché essa è sempre coerente con se stessa, sempre simile a se stessa, bella in ogni sua parte; contemplate come Dio onnipotente vede nel profondo che fanno parte dell’eterno ordine della Sua provvidenza le mostruosità e le pesti dell’universale natura – sia che essa erri, sia che si presenti con volto maligno – e le cose buone e le belle. Voi che leggete con immenso piacere i grandi poeti, leggete con altrettanta ammirazione i sublimi oratori, che con arte meravigliosa, adatta alla corrotta natura umana, per mezzo delle passioni che sono suscitate dai sensi inducono gli animi, per quanto ostinati, a volere cose assolutamente contrarie; e questo, inoltre, il solo onnipotente Iddio sa compiere, ma con le immensamente diverse vie divine dei Suoi vittoriosi soccorsi, con cui trae a Sé con celeste tripudio le menti degli uomini, per quanto travolte dalle passioni terrene.

[13] A queste discipline umane si aggiungano quelle sublimi della natura. Con la geografia, guida di un lungo cammino, girate insieme al sole intorno a tutta quanta la terra e all’oceano; con le osservazioni dell’astronomia percorrete le orbite dei pianeti, esplorate le cieche e ricurve vie delle comete; la cosmografia vi ponga presso


le fiammeggianti mura dell’infinito.

La metafisica infine, superati i confini della natura, vi sollevi nei beatissimi sterminati campi dell’eternità, dove osservate nelle divine idee, per quanto è lecito alla limitata mente dell’uomo, sia le innumerevoli forme sinora create, sia quelle che in séguito potrebbero essere create, se, come in realtà non è, il mondo fosse eterno.

[14] Percorrete così tutti e tre i mondi delle cose umane, delle cose naturali e delle eterne, e con la cultura e l’erudizione celebrate la quasi divina natura delle menti vostre. E infatti queste sublimi meditazioni inducono certamente a sperare che voi plasmerete così alti ed eretti gli animi vostri da considerare con disprezzo che sono inferiori a voi, posti nel luogo il più vile possibile, tutti i piaceri dei sensi, tutte le ricchezze ed i beni, tutti gli onori e la potenza.

[15] Ora poi, alla scelta degli autori, affinché, ascoltandone la lettura, voi miriate a raggiungere una compiuta sapienza, hanno sufficientemente provveduto a voi con i loro statuti i sapienti ordinatori di questa regia Università seguendo quel precetto di Quintiliano che nell’insegnamento delle discipline bisogna scegliere gli autori migliori, e cioè per la teologia il divino volume dell’Antico e del Nuovo Testamento, che la Chiesa cattolica interpreta in modo retto e giusto, e che sin dai tempi degli Apostoli la sua perpetua tradizione meditatamente e fedelmente custodisce nelle salde opere monumentali della storia ecclesiastica; per la giurisprudenza il Corpus Iuris Civili di Giustiniano, testimonianza ricchissima delle antichità romane, squisitissima fonte di eleganze della lingua latina e più venerando tesoro di umane leggi; per la medicina soprattutto Ippocrate, che ha meritato l’immortale elogio: «Non inganna alcuno, né mai da alcuno è stato ingannato»; per la filosofia sistematica Aristotele e, dove egli sia insufficiente, gli altri filosofi di grande fama; per tutte le altre discipline gli altri autori del medesimo altissimo valore.


[16] Poi, per indurvi a leggere questi fondamentali autori di ogni età, questi dottissimi professori, quasi indicandoveli a dito, vi renderanno edotti dei motivi per i quali questi autori sono stati ottimi, ciascuno nella sua propria disciplina. E questo genere di esegesi non solo vi indurrà, sin dai primi inizi dei vostri studi, a leggere e rileggere giorno e notte gli ottimi autori, ma, attraverso la ricerca delle cause per le quali essi sono riusciti ad essere ottimi, vi spingerà inoltre a pensare ad un’idea più perfetta, paragonati alla quale gli stessi autori fondamentali delle dottrine da modelli esemplari diverranno esempi soltanto, così che, oltre i loro archetipi, voi potete anche emularli e superarli persino; ed è così questo metodo, e non certamente con un altro, che le scienze o le arti vengono migliorate, sviluppate, perfezionate. Né infatti sono degni di una scusante coloro i quali abbiano consumato tutta la loro vita di studiosi nella lettura di scrittori mediocri, per non dire di infimo ordine, che questa pubblica Università con i suoi statuti accedemici non ha certamente raccomandato loro.

[17] D’altra parte, durante tutto il tempo dedicato ad ascoltare gli insegnanti, non dovere fare altro se non porre in relazione fra loro le nozioni che imparerete, in maniera tale che ciascuna sia in rapporto con le altre e tutte quante concordino fra loro in ciascuna disciplina; e a fare ciò vi guiderà la stessa natura della mente umana, che si diletta soprattutto dell’uniforme, del conveniente, del decoroso, tanto che i Latini hanno evidentemente definito così, con un termine sapiente, la scienza, traendo tale termine dal medesimo etimo da cui si dice scitus, che ha lo stesso significato di pulcher, poiché, essendo la bellezza la giusta proporzione delle membra fra loro e di tutte in qualche bel corpo, la scienza dev’essere considerata niente altro che la bellezza della mente umana, e una volta che le persone ne siano state conquistate, non avvertono nemmeno le bellezze dei corpi, persino le più splendide; tanto lontano è il fatto che se ne lascino turbare.



[18] Una volta che si sia consolidata codesta abitudine a porre in relazione fra loro le nozioni, voi sarete facilmente in grado di porre in relazione fra di loro le stesse scienze, che, come membra celesti, compongono il corpo divino, per così dire, della compiuta sapienza. E poiché per Pitagora la umana razionalità è proprio questo insieme di valori spirituali – sia che egli lo chiarisca sia che lo renda oscuro con i simboli numerici –, in questo modo voi realizzerete la universale razionalità umana, simile ad una luce purissima e luminosissima, che dirige i suoi raggi dovunque voi volgiate gli occhi della mente, così che voi scorgete che in ogni vostro pensiero tutto ciò che si dice scibile e tutte le sue parti si accordano, si corrispondono, si sintetizzano quasi in un singolo punto nel modo più stupendo possibile; ed è questo il modello più perfetto del vero sapiente.

[19] A quale professione poi, a preferenza di tutte le altre, voi dobbiate splendidamente rivolgere l’animo vostro – e infatti, affinché siate utili allo Stato, occorre che in esso voi ne professiate una in particolare – ve lo insegnerà il vostro genio stesso con il piacere da cui vi sentirete inondati nell’apprendere, a differenza di tutte le altre, quella professione; e in effetti di questo mezzo si serve la natura – che a questo fine vi è stata data dal sommo Iddio come guida – per indurvi a riconoscere che in quella professione il vostro ingegno si esplica volenteroso e lieto. Ma questo consiglio, com’è naturalmente il più sicuro, così a me, che vi esorto alle mète più alte e migliori, non sembra essere il più luminoso. Spesso infatti le capacità di raggiungere le mète più alte e migliori sono nell’uomo così nascoste e assopite, che a stento, e neppure a stento, sono avvertite da chi le possiede. L’ateniese Cimone – è una storia notissima –, uomo assolutamente insignificante, disperatamente moriva d’amore per una giovinetta; avendogli costei detto per scherzo, come cosa negatagli dal suo carattere, che ella lo avrebbe amato quando egli fosse diventato il centurione dei soldati, egli si arruolò nell’esercito a diventare un valorosissimo comandante di eserciti. Socrate era nato con un’indole sfrenatamente proclive alle nefandezze, ma, dedicatosi con uno sforzo quasi divino allo studio della sapienza, è stato considerato colui che per primo ha richiamato la filosofia dal cielo sulla terra, ed è stato chiamato padre di tutti i filosofi. Ma a questi esempi degli antichi aggiungiamo quelli recenti degli uomini famosi che, grazie alla sapienza altrui, hanno conosciuto i loro meravigliosi ingegni, di cui essi stessi prima non avevano consapevolezza. Il cardinale Giulio Mazzarino di sé aveva dato cattiva prova come mediocre avvocato, come ufficiale subalterno, come uomo di corte di non grande importanza, ma svolgendo occasionalmente incombenze politiche nate le une dalle altre e affidategli, quando egli non se le aspettava, da importantissime personalità, divenne un abilissimo diplomatico, e morì dopo aver a lungo dominato – esempio rarissimo di grande fortuna – come primo ministro del re di Francia Luigi XIV. Francesco Guicciardini esercitava la professione di avvocato nel foro romano, ma, suo malgrado e certamente contro voglia, nominato dai sommi pontefici del suo tempo governatore di parecchie città dello Stato della Chiesa, in occasione della guerra con la quale Carlo VIII di Francia aveva sconvolto tutta l’Italia, avendo per mandato dei sommi pontefici del suo tempo svolto con i francesi parecchie importantissime incombenze diplomatiche scaturite da quella guerra, proprio per questo si dedicò a scrivere le vicende dell’Italia del suo tempo, ed è riuscito senza dubbio il più grande di tutti gli storiografi che abbiano scritto in lingua italiana. Perciò, rivolgetevi in ogni direzione con gli occhi della mente, indirizzate in ogni direzione i vostri ingegni, scrutate le nascoste ed occulte capacità vostre affinché conosciate in voi il genio di una natura più luminosa, forse ancora ignoto a voi.

[20] Così, portato a termine lo studio di tutte le scienze, professate soprattutto quella che avete scelta con animo più alto di quanto non facciano le stesse persone dotte in quella scienza; professate cioè la medicina – abbraccerò con pochi esempi tutte le professioni – non soltanto per curare bene le malattie, la giurisprudenza per dare sapientemente pareri sulle questioni di diritto, la teologia per custodire la esatta dottrina delle verità divine; è necessario invece che, con quella vibrante tensione e capacità sublime con cui saranno trascorse per voi le ore di lezioni e di letture, con quella stessa tensione e quella stessa capacità segua ad esse una meditazione continua. E in effetti la ininterrotta consuetudine degli autori fondamentali, così consolidata dalle lezioni e dalle letture, grazie alla sua meravigliosa natura vi indurrà a considerarli sempre presenti, come vostri giudici, nelle vostre meditazioni; e questo dovete chiedere incessantemente a voi stessi, voi medici – insisterò sugli esempi già fatti –: «Che cosa direbbe Ippocrate, se udisse queste cose che medito e scrivo?»; questo, voi giureconsulti: «Che cosa direbbe Cuiacio, se udisse queste cose?»; questo, voi teologi: «Che cosa direbbe Melchiorre Cano, se udisse queste cose?». Infatti chi si pone come censori suoi gli scrittori che hanno superaro la vetustà dei secoli, non può non elucubrare opere che la restante posterità non ammiri. Con questi grandi passi, con cui dovete procedere lungo la via della sapienza, vi sarà facile progredire ulteriormente, così che non uno solo di voi possa poi dire:


io percorro gli impervi sentieri delle Muse,

e possiate portare a compimento o lavori ardui invano tentati da altri uornini molto insigni per ingegno e dottrina o intraprendere quelli mai sinora tentati: voi medici – tratterò l’argomento con gli esempi già fatti –, dopo aver raccolto da ogni parte le esperienze e le osservazioni di medicina, cercate di formulare altri aforismi, una gloria questa di duemila anni e più che rimane ancora salda presso il solo Ippocrate; voi giureconsulti, di esporre sinteticamente tutta quanta la giurisprudenza mediante le definizioni dei termini del diritto, una scienza in cui Emilio Papiniano è stato considerato il migliore dei giureconsulti e Giacomo Cuiacio si innalzava su tutti persino in un’età che era la più fiorente di eruditi interpreti del diritto; un’opera questa importantissima che Antonio Favre, persona autorevole sia per la sua età avanzata che per la sua conoscenza del diritto, ha iniziato nella sua Iurisprudentia Papinianaea, ma che non ha portato a termine, sia distolto nel corso del lavoro dalla sua difficoltà, sia perché impeditone dalla morte; voi teologi, di fondare sui principi della dottrina cristiana un sistema di filosofia morale, un lavoro che il cardinale Sforza Pallavicini ha tentato con magnanimo ardimento; Pascal ha pubblicato sullo stesso argomento pensieri senz’altro molto profondi, ma frammentari; Malebranche nello stesso tentativo ha fallito. Leggete l’aureo libro De Augmentis Scientiarum del grande Verulanio, un libro che, ove si eccettuino poche cose, bisogna sempre meditare ed avere sotto gli occhi, e considerate quanto del mondo delle scienze resti ancora da correggere, da integrare, da scoprire!


[21] E non vi lasciate poi irretire da incauti da questa sia odiosa che sciocca diceria, che cioè in questo beatissimo secolo le scoperte, che non si erano mai potute realizzare nel campo degli studi, sono state ormai tutte fatte, portate a termine, perfezionate, così che nulla più rimane in questo campo da desiderare. È una falsa diceria, che viene propalata da letterati di animo meschino.

[22] Perché il mondo ringiovanisce ancòra. Infatti, in non più di settecento anni, quattrocento dei quali tuttavia percorsi dalla barbarie, quante nuove invenzioni, quante nuove arti, quante nuove scienze non sono state escogitate? La bussola, la nave fornita di sole vele, il cannocchiale, il barometro di Torricelli, la macchina pneumatica di Boyle, la circolazione del sangue, il microscopio, l’alambicco, il campo dei numeri interi, gli infinitesimi, la polvere pirica, il cannone, le cupole delle chiese, i caratteri mobili, la carta, l’orologio; ognuna di queste invenzioni è ottima, importantissima, e tutte completamente sconosciute agli antichi. Da queste invenzioni sono scaturite una nuova arte navale e una nuova arte della navigazione – con le quali è stato scoperto il Nuovo Mondo, e quanto meravigliosamente accresciute le conoscenze geografiche! –, le nuove osservazioni astronomiche, le nuove conoscenze meteorologiche, le nuove conoscenze sistematiche di astronomia, di meccanica, di fisica, di medicina, una nuova anatomia, una nuova spargirica – tanto desiderata da Galeno –, un nuovo metodo nello studio della geometria e l’aritmetica divenuta di gran lunga più facile ad apprendersi, nuovi congegni bellici, una nuova architettura, una così grande facilità di acquistare i libri che ne fa diminuire il prezzo e una così grande abbondanza che sbalordisce. Come mai così improvvisamente la natura dell’ingegno umano si è esaurita, che si debba disperare che si possano raggiungere altre invenzioni ugualmente importanti?


[23] Non vi perdete d’animo, o nobili studenti, ne restano ancòra innumerevoli, e forse più grandi e migliori di quelle che abbiamo elencate. Nel grande grembo della natura infatti, nel grande emporio delle arti restano ancora da scoprire ingenti beni che gioveranno all’umanità e che ancora giacciono trascurati, perché ancora la mente eroica non ha rivolto ad essi l’animo suo. Alessandro Magno, recatosi in Egitto, con uno solo dei suoi vasti sguardi contemplò l’istmo che divide il mar Rosso dal Mediterraneo, e dove il Nilo sfocia nel Mediterranco e l’Africa e l’Asia si congiungono, e considerò adatto quel luogo a fondarvi, col suo nome, la città di Alessandria, che sùbito per i commerci dell’Africa, dell’Asia e dell’Europa, di tutto il mare Mediterraneo, dell’oceano e delle Indie divenne popolosissima. Il sublime Galilei ha osservato il pianeta Venere, apparsogli a mo’ di falce, come la luna, ed ha scoperto verità meravigliose intorno al sistema dell’universo. L’importantissimo Cartesio ha osservato il movimento di una pietra lanciata da una fionda, ed ha concepito un nuovo sistema di fisica. Cristoforo Colombo ha avvertito sul suo viso il vento che spirava dall’oceano occidentale e, avvalendosi di quell’argomento di Aristotele, secondo cui i venti nascono dalla terra, ha congetturato che altre terre vi fossero al di là dell’oceano. Il grande Ugo Grozio ha profondamente meditato quella sola espressione di Livio: «Vi sono determinati diritti di pace e di guerra», e ha pubblicato i meravigliosi libri De Iure Belli et Pacis, che, qualora se ne espungano talune affermazioni, potrebbero non a torto essere definiti incomparabili.



[24] Dopo questi ben chiari argomenti, dopo questi importantissimi esempi, dedicatevi con mente eroica e quindi con animo grande, o adolescenti nati per raggiungere le mète più alte e più nobili, agli studi delle lettere; coltivate la compiuta sapienza; perfezionate tutta quanta la vostra umana conoscenza; celebrate la natura quasi divina delle vostre menti; siate ardenti di Dio, di cui siete pieni; con ansia sublime ascoltate, leggete, meditate; affrontate fatiche erculee, e, avendole portate a termine, dimostrate con pieno diritto la vostra divina discendenza da Dio onnipotente; ed anzi riconoscetevi eroi, voi che arricchirete con altre grandiose scoperte il genere umano. A questi vostri grandissimi meriti verso tutta quanta l’umana società terranno molto facilmente dietro le ricchezze e i beni e gli onori e la potenza in questo vostro Stato; e tuttavia se questi beni non verranno, voi non ve ne starete inoperosi, e se sopraggiungeranno, li accetterete secondo l’insegnamento di Seneca con animo sereno, cioè non insuperbito, e con animo non avvilito li restituirete, se andranno via, alla stolta e furente fortuna, e sarete contenti di questo beneficio divino ed immortale, che cioè Dio onnipotente, che ci comanda – come abbiamo detto all’inizio – l’amore verso tutto il genere umano, abbia scelto particolarmente alcuni di voi, così da avere attraverso voi mostrato la gloria Sua sulla terra.


* FONTE:

http://www.lanuovabottegadellelefante.it/index.php?option=com_content&task=view&id=2019&...
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/2/2013 10.34
Titolo:Vico è con noi, ma solo con una parte della sua Scienza nuova...
- Vico e il rilancio della retorica

- Esce un’edizione filologica della sua «Scienza nuova».
- Non convince l’idea di accostarlo a Heidegger o a Walter Benjamin rispetto a Hegel e Croce
- Un’occasione per riflettere sull’attualità del filosofo accostandolo per esempio al giurista belga Charles Perelmann che predica una «nuova teoria dell’argomentazione»

- di Renato Barilli (l’Unità, 14.1.13)

LA BOMPIANI CI HA OFFERTO LA SCIENZA NUOVA DI GIAMBATTISTA VICO IN UN VOLUMONE (PAGINE 1.318, EURO 30,00) CHE COMPRENDE LE TRE EDIZIONI successive del capolavoro del filosofo napoletano, 1725, 1730, 1744. Nulla da dire sull’aspetto filologico dell’impresa, curato da una studiosa qualificata come Manuela Sanna.

Il punto che qui ci interessa è di chiederci se e quanto l’opera famosa può godere ancora oggi di attualità, come del resto deve essere per ogni capolavoro. È da accantonare la vecchia interpretazione dovuta al Croce, che pretendeva di fare del Vico un antesignano dell’idealismo, cioè di una posizione che dà al soggetto umano la facoltà di creare la realtà, secondo la via impostata soprattutto da Hegel. Si è tentato di rilanciare una eventuale attualità del pensiero crociano, approfittando dei 110 anni dalla sua morte, ma con esiti assai dubbi.

D’altra parte, il modo migliore per accordare al pensiero del Vico una rinnovata attualità non pare consistere nell’agganciarlo a nuovi idoli dei nostri giorni, come fa l’altro curatore del volume Bompiani, Vincenzo Vitiello, con una maxi-introduzione di ben 180 pagine.

Non ritengo che sia un grande vantaggio se da Hegel e Croce passiamo agli a mio avviso ugualmente impropri Heidegger e Walter Benjamin. La via migliore per fornire un Vico ancora «con noi» mi sembra debba battere altre strade, indirizzandosi per esempio verso una figura, se si vuole, di basso o medio profilo come quella del giurista belga Charles Perelmann, da cui è pervenuta, alla metà del secolo scorso, una accanita predicazione a favore del rilancio della retorica, ovvero di una «nuova teoria dell’argomentazione».

Del resto, non dimentichiamolo, Vico fu prima di tutto un docente di retorica, considerata allora, fine Seicento, come una materia alquanto modesta, da cui non riuscì neppure ad accedere al livello superiore della giurisprudenza. Ma nella difesa dell’ancella del sapere sta forse il significato principale di tutta la sua predicazione, che lo vide combattere accanitamente contro una sua cancellazione radicale minacciata da Cartesio e seguaci.

Dentro il nostro «cogito» il Renato francese credeva di ritrovare solo i rigori di una «mathesis universalis», numeri, geometria, tra cui le famose coordinate, pronte a recepire nei loro registri l’intero corpus della geometria euclidea. Di fronte a tanto rigore, impallidivano i pregi pur secolari delle discipline incerte e vaghe care agli umanisti, le vie dubbie dei dibattiti giuridico e politico, l’oscillazione dei giudizi estetici, legati a fattori momentanei e personalistici. Insomma, in una «scienza nuova» o moderna che si volesse dire, non trovava posto la retorica, troppo flessibile ed elastica, regno del vago e dell’incerto.

Ricordiamo subito che una simile lotta tra le «due culture» si è riaccesa proprio un secolo fa, quando si è istruito un processo contro le discipline umanistiche, declassate, ritenute indegne di partecipare allo statuto della scienza. La cosiddetta filosofia analitica ha battuto queste strade, trovando poi il forte appoggio della linguistica e della semiotica, con la loro pretesa di «raddrizzare le gambe ai cani». Roland Barthes ci ha provato perfino con la moda.

Contro tutte queste manovre punitive, si è levato appunto Perelmann, il Vico dei nostri giorni, a farci riflettere che ci sono ambiti della massima importanza per l’uomo, i tre già ben visti nei secoli da tutti i difensori della retorica, il politico, il giudiziario, l’estetico, in cui non è possibile raggiungere una verità perentoria, ma ci si deve accontentare del probabile, tentando di persuadere gli avversari a colpi di argomentazione, appoggiata anche a qualche incanto verbale, e alla forza dell’esempio, del caso concreto.

AMMIRATORE DI CARTESIO

Vico era un ammiratore di Cartesio e del suo metodo di fondazione rigorosa, ma voleva che esso riguardasse anche il campo del probabile, da qui l’innalzamento della retorica a un valore assoluto, da tutelare, da proteggere. Dentro di noi, non troviamo solo le vie dell’analisi «more geometrico», ma anche del dibattito probabilistico.

Nello stesso tempo Vico avvertiva pure la forza dei tempi, allora del tutto a favore del razionalismo, secondo una gerarchia che appunto collocava molto in basso la povera e titubante retorica, e allora accettò questo degrado, rivendicò sì il diritto della retorica a sedersi alla mensa superiore della logica e della matematica, ma mettendosi comunque in un angolino, come del resto accadeva allora ai precettori se ammessi alla tavola dei signori.

È giusto che la prima tappa del processo educativo sia affidata a coltivare i sentimenti, le emozioni, la poesia, di cui la retorica è valida amministratrice. Ma poi viene l’età adulta dei ragionamento analitico, e allora l’imprecisione della retorica deve scomparire.

Questa collocazione «in basso» della vita emozionale è il motivo di cui l’idealismo romantico si impadronirà, l’aspetto nel Vico-pensiero che darà ragione a Croce nel volerlo additare come un suo precursore. Ma è anche l’impostazione da cui oggi abbiamo dovuto liberarci, sollevando il regno del dibattito retorico dalla sua collocazione degradata, portandolo a competere alla pari con le armi analitiche delle scienze fisico-matematiche. Vico è con noi, ma solo con una parte della sua Scienza nuova.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/2/2013 11.44
Titolo:La Scienza nuova Le tre edizioni del 1725, 1730 e 1744 (scheda)
Giambattista Vico

La Scienza nuova

Le tre edizioni del 1725, 1730 e 1744

Bompiani, pagg.1504, € 30,00

IL LIBRO - La Scienza nuova, di cui in questo volume si pubblicano le tre edizioni, del 1725, del 1730 e del 1744, è un Classico del pensiero occidentale, essenziale per la comprensione del nostro mondo storico non meno della Repubblica di Platone e dell’Etica di Spinoza, della Metafisica di Aristotele e della Critica della ragion pura di Kant, del De Civitate Dei di Agostino e della Fenomenologia dello spirito di Hegel.
Due le idee-guida che si intrecciano, e anche confliggono, in quest’opera geniale e inquietante: 1) l’estensione al mondo umano della mathesis universalis, che ha segnato la nascita della scienza moderna, ma che in Galilei e Cartesio era limitata alla natura; 2) la genealogia della coscienza e della logica a partire dal “senso” e dalla “fantasia”, da cui discende l’interesse prevalente di Vico per il formarsi della prima umanità. Interesse mai disgiunto dalla consapevolezza dei limiti della ragione, che può a stento “intendere”, ma non “immaginare” quell’età ancora incerta tra storia e pre-storia.
Da questa consapevolezza “critica” nacque quella fusione di logos e mythos, concetto e immagine, che caratterizza il linguaggio barocco della Scienza nuova (in particolare nelle due ultime edizioni, qui presentate nella loro scrittura originaria), nel quale Vico espose due e diverse concezioni del tempo umano-divino della storia. In particolare il quinto e ultimo Libro di quest’Opera in continuo compimento, se per un verso ripropone l’idea pre-cristiana della ciclicità del corso storico, per l’altro, “sospende” l’intero orizzonte del tempo all’attimo presente: il kairologico “adesso” di Paolo, in cui “il tempo s’è contratto” (I Co, 7.29).
Ma proprio questa doppiezza della Scienza Nuova permette di instaurare significative connessioni tra la posizione di Vico e gli esiti più alti della riflessione contemporanea sulla storia, da Heidegger a Benjamin. Certo nel pieno rispetto della specificità dei loro differenti “tempi”, e quindi fuor d’ogni pretesa di stabilire “precorrimenti” e “inveramenti”; ma non meno certamente contro le vane “monumentalizzazioni” di una storiografia volta esclusivamente al passato.

DAL TESTO - “Solo il divino Platone egli meditò in una sapienza riposta che regolasse l’uomo a seconda delle massime che egli ha apprese dalla sapienza volgare della religione e delle leggi. Perché egli è tutto impegnato per la provvedenza e per l’immortalità degli animi umani; pone la virtù nella moderazione delle passioni; insegna che per propio dover di filosofo si debba vivere in conformità delle leggi, ove anche all’eccesso divengan rigide con una qualche ragione, sull’esempio che Socrate, suo maestro, con la sua propia vita lasciò, il quale, quantunque innocente, volle però, condennato qual reo, soddisfare alla pena e prendersi la cicuta.
Però esso Platone perdé di veduta la provvedenza quando, per un errore comune delle menti umane, che misurano da sé le nature non ben conosciute di altrui, innalzò le barbare e rozze origini dell’umanità gentilesca allo stato perfetto delle sue altissime divine cognizioni riposte (il quale, tutto a rovescio, doveva dalle sue «idee» a quelle scendere e profondere), e, sì, con un dotto abbaglio, nel qual è stato fino al dì d’oggi seguito, ci vuol appruovare essere stati sapientissimi di sapienza riposta i primi attori dell’umanità gentilesca, i quali, come di razze d’uomini empi e senza civiltà, quali dovettero un tempo essere quelle di Cam e Giafet, non poterono essere che bestioni tutti stupore e ferocia.
In séguito del qual erudito errore, invece di meditare nella repubblica eterna e nelle leggi d’un giusto eterno, con le quali la provvedenza ordinò il mondo delle nazioni e ‘1 governa con esse bisogne comuni del genere umano, meditò in una repubblica ideale ed uno pur ideal giusto, onde le nazioni non solo non si reggono e si conducono sopra il comun senso di tutta l’umana generazione, ma pur troppo se ne dovrebbono: storcere e disusare: come, per esempio, quel giusto, che e’ comanda nella sua Repubblica, che le donne sieno comuni.”

I CURATORI - Manuela Sanna, direttore dell’”Istituto per la storia del pensiero filosofico e scientifico moderno” del Consiglio Nazionale delle Ricerche, si occupa di cultura storico-filosofica tra ’600 e ’700, con lavori dedicati a Leibniz, Tschirnhaus e Vico, ed è membro del consiglio scientifico dell’edizione critica delle Opere di Giambattista Vico, per la quale ha curato la raccolta delle Epistole, il De rebus gestis Antonj Caraphei, la Scienza nuova del 1730, insieme a Paolo Cristofolini, e la Scienza nuova del 1744, in via di pubblicazione. Ha curato anche la nuova e più recente traduzione italiana del De antiquissima Italorum sapientia (Roma, 2005). Negli ultimi anni le sue ricerche si sono centrate sul rapporto tra conoscenza immaginativa e verità, e su questo sono usciti La "Fantasia, che è l’occhio dell’ingegno". Note sul concetto vichiano di conoscenza (Napoli, 2001) e Immaginazione (Napoli, 2007).
Vincenzo Vitiello, professore ordinario di Filosofia Teoretica, insegna attualmente Filosofia della storia all’Università San Raffaele di Milano. Le sue ricerche di Topologia trascendentale sono negli ultimi anni rivolte all’elaborazione di una logica e di un’etica della seconda persona. Ha tenuto cicli di conferenze e seminari in Europa, negli USA, e in America latina (Argentina, Cile, Messico). Suoi scritti sono stati tradotti in tedesco, francese, inglese e spagnolo. Socio onorario della Asociación de filosofia Latinoamericana y Ciencias sociales (Buonos Aires). Dirige la Rivista "Il Pensiero". Tra le sue pubblicazioni: Elogio dello spazio (1994, trad. tedesca parziale, Freiburg-München, 1993); Cristianesimo senza redenzione (1995, trad. spagnola, Madrid, 1999); Genealogía de la modernidad (Buenos Aires, 1998); Il Dio possibile (Roma, 2002); I tempi della poesia. Ieri / Oggi (Milano, 2008; trad. spagnola Madrid, 2009); Vico. Storia - Linguaggio - Natura (Roma, 2008); Grammatiche del pensiero (Pisa, 2009) .

INDICE DELL’OPERA - Saggio introduttivo. Vico nel suo tempo, di Vincenzo Vitiello - I. Sul ’concetto’ di moderno - In limine. Brevi considerazioni sulla storicità della conoscenza storica (I. Interpretazioni del moderno - II. Mathesis universalis e logica moderna - Appendice) - II. Spinoza e Vico (I. Le ragioni di un confronto - II. Il sistema di Spinoza - III. La filosofia di Vico ’prima’ della Scienza nuova) - III. La Scienza Nuova (I. La fondazione della mathesis universalis della storia - II. La lingua della Scienza nuova. Oltre la mathesis universalis - III. Prospezioni vichiane) - Cronologia della vita e delle opere di Giambattista Vico, di Manuela Sanna - Nota editoriale
LA «SCIENZA NUOVA» DEL 1725 - La «Scienza nuova» nell’edizione del 1725, di Manuela Sanna e Fulvio Tessitore - Introduzione, di Vincenzo Vitiello - La «Scienza nuova» nelle edizioni del 1730 e del 1744, di Manuela Sanna
LA «SCIENZA NUOVA» DEL 1730 - La «Scienza nuova» nell’edizione del 1730, di Manuela Sanna e Fulvio Tessitore - LA «SCIENZA NUOVA» DEL 1744 - La «Scienza nuova» nell’edizione del 1744, di Manuela Sanna e Fulvio Tessitore - Apparati (I. Storia della fortuna di G.B. Vico, di Manuela Sanna - II. Bibliografia vichiana, a cura di Manuela Sanna - III. Indice generale)

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Commenti Articolo 574

Titolo articolo : EVVIVA IL POTERE TEMPORALE, ABBASSO PADRE BALDUCCI,  di Mario Pancera

Ultimo aggiornamento: February/20/2013 - 14:49:19.

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Autore Città Giorno Ora
Renzo Neri FIRENZE 17/2/2013 23.12
Titolo:
Condivido l'intero contenuto dell'articolo ma, attenzione, c'è un errore: al momento della sua morte Padre Ernesto Balducci stava per compiere 70 anni.Era infatti nato nel 1922.
Autore Città Giorno Ora
Giovanni Sarubbi Monteforte Irpino 20/2/2013 14.49
Titolo:Nessun errore
Nessuno sbaglio, caro lettore. Il testo dice chiaramente che Balducci
è "scomparso settantenne nel 1992". Speriamo che la Sua nota non abbia
tratto in inganno altri lettori, sarebbe un danno.

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Commenti Articolo 575

Titolo articolo : Un voto contro la dittatura delle banche e per il ripristino della legalità costituzionale,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: February/19/2013 - 19:04:06.

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Autore Città Giorno Ora
luigina cometto cuneo 18/2/2013 07.46
Titolo:contro la dittatura delle banche
FORSE è VERO QUANTO VIENE DETTO, MA IN GENERE LE PERSONE CHE IN QUESTI GIORNI MI FANNO TALI DISCORSI SONO PERSONE CHE HANNO UN COSPICUO GRUZZOLO NELLE BANCHE CHE TANTO DENIGRANO. ALLORA SECONDO ME LA PRIMA COSA DA FARE è TOGLIERE I RISPARMI DALLE BANCHE... PIANO PIANO SENZA I SOLDI DEI CITTADINI NON VANNO AVANTI. INOLTRE NON CREDO CHE PER SALVARE L'ITALIA OCCORRA ELEGGERE GRILLO COME LEGGO FRA QUESTE RIGHE. DA UN DITTATORE PASSIAMO AD UN ALTRO ANCORA PIù PERICOLOSO: BASTA VEDERE COME TRATTA CHI NON LA PENSA COME LUI. VOTERò ASCOLTANDO LA MIA COSCIENZA PROFONDA FIERA CHE LE BANCHE NON POSSONO ALIMENTARSI CON I MIEI SOLDI
Autore Città Giorno Ora
Giovanni Sarubbi Monteforte Irpino 18/2/2013 08.42
Titolo:Non invito affatto a votare per Grillo
Gentile Luigina,
non invito affatto a votare per Grillo. Egli infatti rifiuta i concetti di destra e sinistra. Io chiedo di dare un voto contro le banche ed un voto a sinistra. Punto.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/2/2013 09.34
Titolo:USCIRE DALLO "STATO" DI MINORITA’ ...
DIO E' VALORE ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006) SIA PER GLI ATEI SIA I DEVOTI!!! COSTITUZIONE E MESSAGGIO EVANGELICO UN SOLO SCEMPIO ...


USCIRE DALLO "STATO" DI MINORITA’. L’obbedienza non è più una virtù, diceva don Milani, esortando a coltivare la presa di coscienza. Non per contrapporsi all’autorità, ma per educare ciascuno ad assumere le proprie responsabilità, senza pretendere di scaricarle su altri. (...)

______________________

Fuori dal gregge

di Antonio Thellung (mosaico di pace, luglio 2012)

L’obbedienza non è più una virtù, diceva don Milani, esortando a coltivare la presa di coscienza. Non per contrapporsi all’autorità, ma per educare ciascuno ad assumere le proprie responsabilità, senza pretendere di scaricarle su altri. L’obbedienza, infatti, può anche dirsi una virtù, ma soltanto se si mantiene entro limiti equilibrati, da valutare appunto con coscienza. Perché l’obbedienza cieca è il tipico strumento utilizzato dalle strutture autoritarie gerarchico-imperialistiche per esercitare il potere, offrendo in cambio ai sudditi lo scarico della responsabilità personale. Tipico esempio si è avuto nel dopoguerra quando pareva che nessuno dei feroci gerarchi nazisti fosse colpevole, perché sostenevano tutti di aver semplicemente obbedito a ordini superiori.

Il Vangelo è chiarissimo: "Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?", ma la cristianità che si è affermata nella storia ha preferito mutuare dall’Impero Romano un’impostazione imperialistica che si mantiene presente tuttora, sia pure adattata ai tempi odierni. Un’impostazione che riduce i fedeli a "docile gregge", come li definiva a suo tempo Pio X.

Il Vangelo, inoltre, esorta anche a non chiamare nessuno padre sulla terra, un lampante invito a non cadere nelle tentazioni del paternalismo, che svaluta la dignità delle persone. Ma l’uso di chiamare "padre" i ministri del culto la dice lunga. Nello stesso brano, poi, Gesù in persona ammonisce i suoi apostoli a non farsi chiamare maestri perché solo Cristo è il maestro, ma sorprendentemente su taluni documenti ecclesiastici anche dei tempi presenti, come ad esempio il Documento di Base del 1970, si legge nientemeno che: "Per disposizione di Cristo, gli Apostoli affidarono ai loro successori, i Vescovi, il proprio ufficio di Maestri". Incredibile!

Si potrebbe dire che il magistero ha sempre richiesto ai fedeli un’obbedienza cieca, e non pochi tra coloro che hanno cercato di opporsi hanno pagato talvolta perfino con la vita.

San Francesco, nella sua prima regola, aveva provato a scrivere che un frate non è tenuto a obbedire al superiore se questi gli ordina qualcosa di contrario alla sua coscienza, ma naturalmente papa Innocenzo III si è guardato bene dall’approvarla. In tempi più recenti, nel 1832, Gregorio XVI definiva un delirio la libertà di coscienza e nel 1954 Pio XII scriveva: "È giusto che la Chiesa respinga la tendenza di molti cattolici a essere considerati ormai adulti". Non è stupefacente?

Chi esercita il potere, di qualsiasi tipo, vorrebbe dai sudditi una delega in bianco, perché teme le coscienze adulte, che sono difficilmente governabili per il loro coraggio di esprimere dissenso, quand’è il caso. E tanto più il potere è prepotente e prevaricante, tanto più esige un’obbedienza cieca.

Il magistero ecclesiastico ha sempre mostrata una grande avversione al dissenso, trattandolo come un nemico da combattere perfino con metodi violenti, nel caso, senza capire che proprio il dissenso è il miglior amico degli insegnamenti di Cristo, perché agisce come sentinella delle coscienze.

Il dissenso, nella Chiesa, c’è sempre stato, con buona pace di coloro che nelle varie epoche storiche hanno preteso di soffocarlo usando talvolta armi che sono incompatibili con l’insegnamento di Gesù. Sarebbe ora che l’autorità prendesse atto che il dissenso non è un nemico ma, anzi, un grande amico, anche se può rendere più complesso e faticoso il cammino.

Il Concilio Vaticano II mostrava di averlo capito quando scriveva, nella Gaudium et Spes: "La Chiesa confessa che molto giovamento le è venuto e le può venire perfino dall’opposizione di quanti la avversano o la perseguitano". Ma ben presto, poi, sono prevalsi nuovamente gli atteggiamenti di repressione e condanna verso chi tenta coraggiosamente di alzare la testa. essere credibili

Personalmente non dubito che un magistero ecclesiastico sia necessario e prezioso, ma di quale tipo? Qualsiasi coscienza adulta sa che di fronte a disaccordi e perplessità non avrebbe alcun senso rifiutare l’autorità o ribellarsi tout court: non sarebbe costruttivo. Ma sente però il dovere, prima ancora che il diritto, di chiedergli maggiore credibilità, di esigere che sappia proporre senza imporre, con rispettoso ascolto delle opinioni altrui. Gli ascoltatori di Gesù "rimanevano colpiti dal suo insegnamento", perché "parlava con autorità", e non perché aveva cariche istituzionali. Così il magistero può sperare di essere creduto, dalle coscienze adulte, quando offre messaggi autorevoli e convincenti, e non per il solo fatto di essere l’autorità costituita.

Oggi la credibilità dei vertici ecclesiastici, con tutti gli scandali di questi tempi, è fortemente minata, e si potrebbe dire che solo facendo leva surrettiziamente sulla grande fede in Gesù Cristo che continua a sostenere tante persone (malgrado tutto) evita di porsi in caduta libera. Ma fino a quando, se permane la pretesa di continuare a proporsi come magistero di un "docile gregge?".

La parabola della zizzania insegna che la Chiesa è comunione di consensi e dissensi, perciò, per recuperare credibilità, le autorità dovrebbero finalmente prenderne atto e imparare a dialogare con tutti alla pari, e in particolare proprio con il dissenso. Dovrebbero educarsi ed educare ad accoglierlo con l’attenzione che merita. Perché un dissenso respinto e represso a priori diventa facilmente aspro, arrabbiato, distruttivo mentre, se accolto con benevolenza, può diventare costruttivo, benevolo, e perfino affettuoso.

Una buona educazione al dissenso potrebbe diventare la miglior scuola alla formazione di coscienze adulte, capaci di confrontarsi senza acquiescenze o confusioni e censure. Capaci, cioè, di non farsi travolgere da vergognosi intrallazzi di qualsiasi tipo.

Personalmente, cerco, nel mio piccolo, di fare quel che posso. Qualche anno fa l’editrice la meridiana ha pubblicato un mio libro dal titolo "Elogio del dissenso", e per ottobre prossimo ha in programma di pubblicare un mio nuovo saggio dal titolo "I due cristianesimi", scritto per sottolineare le differenze tra il messaggio originale di Cristo e l’imperialismo cristiano, non solo come si è affermato nella storia, ma anche come si manifesta al presente. L’interrogativo è focalizzato sulla speranza nel futuro, mentre le critiche a quanto è stato ed è contrabbandato in nome di Cristo servono solo per capire meglio come si potrebbe uscir fuori dalle tante macrocontraddizioni.

La speranza è irrinunciabilmente legata a una Chiesa delle coscienze adulte, perciò sogno un magistero impegnato a farle crescere senza sottoporle a pressioni psicologiche; un magistero capace d’insegnare a distinguere il bene dal male senza imporre valutazioni precostituite; lieto di aiutare ognuno a diventare adulto e autonomo senza costringerlo a sottomettersi; volto a stimolare una sempre maggiore consapevolezza rinunciando a imposizioni precostituite. Un magistero che affermi i suoi principi senza pretendere di stigmatizzare le opinioni diverse; che proponga la propria verità senza disprezzare le verità altrui. In altre parole, sogno una Chiesa dove sia possibile ricercare, discutere, confrontarsi, camminare assieme.

Sogno un magistero che affermi il patrimonio positivo della fede, libero dalla preoccupazione di puntualizzare il negativo; che sappia offrire gratuitamente l’acqua della vita, senza voler giudicare chi beve; che proponga la verità di Cristo, esortando a non accettarla supinamente; che tracci la strada, ammonendo a non seguirla passivamente; che offra strumenti per imparare a scegliere, a non essere acquiescenti, a non accontentarsi di un cristianesimo mediocre e tiepido. Un Magistero che preferisca circondarsi da persone esigenti, irrequiete, contestatrici, piuttosto che passive, pavide, addormentate. Esso per primo ne trarrebbe grandi benefici: sarebbe il magistero di un popolo adulto, maturo, responsabile.

Etimologicamente la parola obbedienza significa ascolto, e sarebbe ora di educarci tutti a questo tipo di obbedienza reciproca: i fedeli verso l’autorità, ma anche l’autorità verso chiunque appartenga al Popolo di Dio, non importa con quale ruolo. Solo questa obbedienza è autentica virtù. Chissà se San Paolo, quando esortava a sperare contro ogni speranza, si riferiva anche alle utopie!
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/2/2013 22.38
Titolo:PER NON DIMENTICARE:. Elsa Morante (Diario, Roma 1° maggio 1945)
Elsa Morante scrisse nel suo "Diario":

Roma 1° maggio 1945 *

Mussolini e la sua amante Clara Petacci sono stati fucilati insieme, dai partigiani del Nord Italia. Non si hanno sulla loro morte e sulle circostanze antecedenti dei particolari di cui si possa essere sicuri. Così pure non si conoscono con precisione le colpe, violenze e delitti di cui Mussolini può essere ritenuto responsabile diretto o indiretto nell’alta Italia come capo della sua Repubblica di Sociale. Per queste ragioni è difficile dare un giudizio imparziale su quest’ultimo evento con cui la vita del Duce ha fine.

Alcuni punti però sono sicuri e cioè: durante la sua carriera, Mussolini si macchiò più volte di delitti che, al cospetto di un popolo onesto e libero, gli avrebbe meritato, se non la morte, la vergogna, la condanna e la privazione di ogni autorità di governo (ma un popolo onesto e libero non avrebbe mai posto al governo un Mussolini). Fra tali delitti ricordiamo, per esempio: la soppressione della libertà, della giustizia e dei diritti costituzionali del popolo (1925), la uccisione di Matteotti (1924), l’aggressione all’Abissinia, riconosciuta dallo stesso Mussolini come consocia alla Società delle Nazioni, società cui l’Italia era legata da patti (1935), la privazione dei diritti civili degli Ebrei, cittadini italiani assolutamente pari a tutti gli altri fino a quel giorno (1938).

Tutti questi delitti di Mussolini furono o tollerati, o addirittura favoriti e applauditi. Ora, un popolo che tollera i delitti del suo capo, si fa complice di questi delitti. Se poi li favorisce e applaude, peggio che complice, si fa mandante di questi delitti. Perché il popolo tollerò favorì e applaudì questi delitti? Una parte per viltà, una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse o per machiavellismo.

Vi fu pure una minoranza che si oppose; ma fu così esigua che non mette conto di parlarne. Finché Mussolini era vittorioso in pieno, il popolo guardava i componenti di questa minoranza come nemici del popolo e della nazione, o nel miglior dei casi come dei fessi (parola nazionale assai pregiata dagli italiani). Si rendeva conto la maggioranza del popolo italiano che questi atti erano delitti? Quasi sempre, se ne rese conto, ma il popolo italiano è cosìffatto da dare i suoi voti piuttosto al forte che al giusto; e se lo si fa scegliere fra il tornaconto e il dovere, anche conoscendo quale sarebbe il suo dovere, esso sceglie il suo tornaconto.

Mussolini, uomo mediocre, grossolano, fuori dalla cultura, di eloquenza alquanto volgare, ma di facile effetto, era ed è un perfetto esemplare e specchio del popolo italiano contemporaneo. Presso un popolo onesto e libero, Mussolini sarebbe stato tutto al più il leader di un partito con un modesto seguito e l’autore non troppo brillante di articoli verbosi sul giornale del suo partito. Sarebbe rimasto un personaggio provinciale, un po’ ridicolo a causa delle sue maniere e atteggiamenti, e offensivo per il buon gusto della gente educata a causa del suo stile enfatico, impudico e goffo. Ma forse, non essendo stupido, in un paese libero e onesto, si sarebbe meglio educato e istruito e moderato e avrebbe fatto migliore figura, alla fine. In Italia, fu il Duce. Perché è difficile trovare un migliore e più completo esempio di Italiano.

Debole in fondo, ma ammiratore della forza, e deciso ad apparire forte contro la sua natura. Venale, corruttibile. Adulatore. Cattolico senza credere in Dio. Corruttore. Presuntuoso: Vanitoso. Bonario. Sensualità facile, e regolare. Buon padre di famiglia, ma con amanti. Scettico e sentimentale. Violento a parole, rifugge dalla ferocia e dalla violenza, alla quale preferisce il compromesso, la corruzione e il ricatto. Facile a commuoversi in superficie, ma non in profondità, se fa della beneficenza è per questo motivo, oltre che per vanità e per misurare il proprio potere. Si proclama popolano, per adulare la maggioranza, ma è snob e rispetta il denaro. Disprezza sufficientemente gli uomini, ma la loro ammirazione lo sollecita.

Come la cocotte che si vende al vecchio e ne parla male con l’amante più valido, così Mussolini predica contro i borghesi; accarezzando impudicamente le masse. Come la cocotte crede di essere amata dal bel giovane, ma è soltanto sfruttata da lui che la abbandonerà quando non potrà più servirsene, così Mussolini con le masse. Lo abbaglia il prestigio di certe parole: Storia, Chiesa, Famiglia, Popolo, Patria, ecc., ma ignora la sostanza delle cose; pur ignorandole le disprezza o non cura, in fondo, per egoismo e grossolanità. Superficiale. Dà più valore alla mimica dei sentimenti , anche se falsa, che ai sentimenti stessi. Mimo abile, e tale da far effetto su un pubblico volgare.

Gli si confà la letteratura amena (tipo ungherese), e la musica patetica (tipo Puccini). Della poesia non gli importa nulla, ma si commuove a quella mediocre (Ada Negri) e bramerebbe forte che un poeta lo adulasse. Al tempo delle aristocrazie sarebbe stato forse un Mecenate, per vanità; ma in tempi di masse, preferisce essere un demagogo. Non capisce nulla di arte, ma, alla guisa di certa gente del popolo, e incolta, ne subisce un poco il mito, e cerca di corrompere gli artisti. Si serve anche di coloro che disprezza. Disprezzando (e talvolta temendo) gli onesti, i sinceri, gli intelligenti poiché costoro non gli servono a nulla, li deride, li mette al bando.

Si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, e quando essi lo portano alla rovina o lo tradiscono (com’è nella loro natura), si proclama tradito, e innocente, e nel dir ciò è in buona fede, almeno in parte; giacché, come ogni abile mimo, non ha un carattere ben definito, e s’immagina di essere il personaggio che vuole rappresentare.

* Cfr.: Elsa Morante, Opere, Mondadori (Meridiani), Milano 1988, vol. I, pp. L-LII.

Una riflessione da "Aracoeli"*:

E allora mi sono guardato negli occhi. Raramente ci si guarda, con se stessi, negli occhi, e pare che in certi casi questo valga per un esercizio estremo. Dicono che, immergendosi allo specchio nei propri occhi - con attenzione cruciale e al tempo stesso con abbandono - si arrivi a distinguere finalmente in fondo alla pupilla l’ultimo Altro, anzi l’unico e vero Se stesso, il centro di ogni esistenza e della nostra, insomma quel punto che avrebbe nome Dio. Invece, nello stagno acquoso dei miei occhi, io non ho scorto altro che la piccola ombra diluita (quasi naufraga) di quel solito niño tardivo che vegeta segregato dentro di me. Sempre il medesimo, con la sua domanda d’amore ormai scaduta e inservibile, ma ostinata fino all’indecenza. È strano come l’eternità si lasci captare piuttosto in un segmento effimero che in una continuità estesa.

* Cfr.: Elsa Morante, Aracoeli, Einaudi, Torino, 1982.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/2/2013 19.04
Titolo:VATICANO E CONCORDATO. Immobili a Londra con i soldi di Mussolini
- La struttura segreta del Vaticano
- Immobili a Londra con i soldi di Mussolini

- Una società off-shore custodisce un patrimonio da circa 650 milioni di euro. Per conto della Santa Sede, che ha raggranellato prestigiosi locali ed edifici nella capitale britannica. Grazie ai soldi che Mussolini diede al papato con i Patti Lateranensi

- dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI *

LONDRA - A chi appartiene il locale che ospita la gioielleria Bulgari a Bond street, più esclusiva via dello shopping nella capitale britannica? E di chi è l’edificio in cui ha sede la Altium Capital, una delle più ricche banche di investimenti di Londra, all’angolo super chic tra St. James Square e Pall Mall, la strada dei club per gentiluomini?

La risposta alle due domande è la stessa: il proprietario è il Vaticano. Ma nessuno lo sa, perché i due investimenti fanno parte di un segretissimo impero immobiliare costruito nel corso del tempo dalla Santa Sede, attualmente nascosto dietro un’anonima società off-shore che rifiuta di identificare il vero possessore di un portfolio da 500 milioni di sterline, circa 650 milioni di euro. E come è nata questa attività commerciale dello Stato della Chiesa? Con i soldi che Benito Mussolini diede in contanti al papato, in cambio del riconoscimento del suo regime fascista, nel 1929, con i Patti Lateranensi.

A rivelare questo storia è il Guardian, con uno scoop che oggi occupa l’intera terza pagina. Il quotidiano londinese ha messo tre reporter sulle tracce di questo tesoro immobiliare del Vaticano ed è rimasto sorpreso, nel corso della sua inchiesta, dallo sforzo fatto dalla Santa Sede per mantenere l’assoluta segretezza sui suoi legami con la British Grolux Investment Ltd, la società formalmente titolare di tale cospicuo investimento internazionale. Due autorevoli banchieri inglesi, entrambi cattolici, John Varley e Robin Herbert, hanno rifiutato di divulgare alcunché e di rispondere alle domande del giornale in merito al vero intestatario della società.

Ma il Guardian è riuscito a scoprirlo lo stesso attraverso ricerche negli archivi di Stato, da cui è emerso non solo il legame con il Vaticano ma anche una storia più torbida che affonda nel passato. Il controllo della società inglese è di un’altra società, chiamata Profima, con sede presso la banca JP Morgan a New York e formata in Svizzera.

I documenti d’archivio rivelano che la Profima appartiene al Vaticano sin dalla seconda guerra mondiale, quando i servizi segreti britannici la accusarono di "attività contrarie agli interessi degli Alleati". In particolare le accuse erano rivolte al finanziere del papa, Bernardino Nogara, l’uomo che aveva preso il controllo di un capitale di 65 milioni di euro (al valore attuale) ottenuto dalla Santa Sede in contanti, da parte di Mussolini, come contraccambio per il riconoscimento dello stato fascista, fin dai primi anni Trenta. Il Guardian ha chiesto commenti sulle sue rivelazioni all’ufficio del Nunzio Apostolico a Londra, ma ha ottenuto soltanto un "no comment" da un portavoce.

* la Repubblica, 22 gennaio 2013

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Commenti Articolo 576

Titolo articolo : DIMISSIONI DI STATO: ORDINE DEL GIORNO (DEI) GRANDI.  E LOTTA DI LIBERAZIONE. PER NON DIMENTICARE:  DUE TESTI DEL 1945 DI ELSA MORANTE E DI DON GIUSEPPE DOSSETTI - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/19/2013 - 18:25:31.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/2/2013 22.27
Titolo:DIMISSIONI DI BENEDETTO XVI. UNA SCELTA "DEBOLE" TUTTA INTERNA AL SISTEMA
UNA SCELTA "DEBOLE" TUTTA INTERNA AL SISTEMA

di Marcello Vigli (Adista Notizie, n. 7 del 23/02/2013)

La “rinuncia” di Benedetto XVI costituisce indubbiamente un evento eccezionale. Ne sono testimoni l’attenzione dei media di tutto il mondo e la diversità delle valutazioni che ne sono state date nelle diverse sedi religiose e politiche. Valga per tutte quanto scrive Paolo Naso (Nev, n. 7/13): questo gesto «ha una evidente ricaduta sull’ecclesiologia e forse sulla stessa teologia cattolica: come pochi altri umanizza e vorrei dire “secolarizza” l’istituzione papale».

Nulla sarà più come prima. Una simile scelta, per la prima volta del tutto libera, desacralizza per forza di cose l’istituzione. Ridimensiona la stessa immagine che il papato ha di se stesso attraverso la potenza e la debolezza di un atto solitario espresse nelle parole dello stesso papa che attribuisce la sua rinuncia alla sua «incapacità di amministrare bene il ministero» a lui affidato derivante dal venir meno del «necessario vigore sia del corpo, sia dell’animo».

Si può aggiungere, sono in molti a pensarlo, che al di là della sua debolezza fisica, tale incapacità sia stata determinata dal riconoscimento della sua impotenza a governare una Santa Sede afflitta da scandali, intrighi e lotte di potere aggravati da una struttura accentrata della Curia e mal gestita da quella Segreteria di Stato che Wojtyla aveva voluto ne fosse il perno per garantirne l’efficienza. Non ha avuto l’energia e gli strumenti necessari per attuarla come pure aveva lasciato intendere di voler fare nella sua dura denuncia contro il carrierismo, alla vigilia della sua elezione, confermata nell’omelia alla messa delle ceneri, il 13 febbraio scorso.

I suoi tentativi di ammodernamento e di moralizzazione sono falliti di fronte a meccanismi che non è riuscito a modificare perché, in verità, non intendeva radicalmente ridimensionarli. Ne è testimone la sua scelta di assumere il Concistoro come primo destinatario della sua comunicazione, implicitamente riconoscendogli una preminente funzione istituzionale. Solo dopo due giorni l’ha estesa al Popolo di Dio raccolto per l’udienza settimanale. Ben altro sarebbe stato l’impatto con la pubblica opinione. Soprattutto ben altra forza avrebbe avuto il messaggio destinato al prossimo Conclave sulla necessità di assumere come primo problema da affrontare la riforma della Curia.

Se può sembrare fuori della realtà l’auspicio di un papa che, nell’esercizio della sua funzione di governo, si rapporta direttamente al Popolo di Dio, non lo è un appello alla collegialità sinodale.

La ri-convocazione del Sinodo dei vescovi (la cui ultima assemblea si è svolta nell’autunno scorso), per annunciare la sua volontà di rinunciare, avrebbe avuto quel carattere epocale e rivoluzionario da molti attribuito al suo gesto: indubbiamente innovatore, ma non eversivo dell’attuale assetto centralistico del governo della Chiesa. Tale fu quello compiuto da Giovanni XXIII con la convocazione del Concilio che, proprio con la creazione del Sinodo dei vescovi, aveva avviato una radicale riforma, subito bloccata prima dalla pavidità di Paolo VI, poi dall’autoritarismo pre-conciliare di Giovanni Paolo II.

Il sistema curiale può avere avuto una funzione in passato: quando prima l’imperatore e/o le famiglie nobili romane e poi i sovrani degli stati cattolici interferivano pesantemente nella designazione del successore di Pietro.

In tempo di secolarizzazione - accettata dal Concilio come salutare strumento di purificazione per la Chiesa, pari alla fine del potere temporale riconosciuta come liberatrice da Paolo VI - una piena collegialità è l’antidoto efficace alla solitudine del papa attorniato da collaboratori da lui stesso scelti, portatori magari delle diverse sensibilità ecclesiali diffuse sul territorio, ma non certo delle sempre nuove esperienze di Chiesa sollecitate dall’accelerazione dei processi storici e vissute nella dimensione comunitaria.

PS: Se i cattolici conciliari si autoconvocassero per formulare proposte al Conclave da inserire nell’agenda del futuro papa?

* della Comunità di Base di San Paolo, Roma
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/2/2013 23.28
Titolo:COSTITUZIONE. Dossetti. Il lavoro per tutti è la profezia della politica
Dossetti. Il lavoro per tutti è la profezia della politica

di Pierluigi Castagnetti (l’Unità, domenica 10 febbraio 2013)

«Il 13 febbraio ricorre il 100° anniversario della nascita di Giuseppe Dossetti, figura cruciale del cattolicesimo democratico. Pochi sanno che l’art. 1 della Costituzione nacque da un colloquio in un bar di Roma con Togliatti»

Martedì prossimo alla Camera dei deputati sarà ricordato Giuseppe Dossetti nel centenario della nascita, alla presenza del presidente della Repubblica. Dossetti, partigiano e presidente del Cln di Reggio Emilia, è stato impegnato in politica (prima alla Consulta, poi all’Assemblea costituente, poi in Parlamento e nella Dc di cui fu vicesegretario) per un periodo di soli sette anni, a cui hanno fatto seguito 44 anni di impegno come uomo di Chiesa, prete e monaco.

Anche nella vita della Chiesa è inevitabilmente ricordato per il suo straordinario apporto riformatore, come consigliere del cardinal Lercaro e di monsignor Bettazzi, e poi come moderatore e perito al Concilio Vaticano II. Il cardinal Martini lo definì «profeta del nostro tempo», sottolineando la sua straordinaria capacità di associare profezia religiosa e profezia politica. Ma in questa sede vogliamo ricordare il Dossetti costituente per un aspetto meno conosciuto e studiato. Di lui infatti si ricorda il decisivo apporto nella definizione della struttura personalistica della Carta, negli articoli 2 e 3, e poi i due articoli di cui è stato relatore il 7 e l’11. È stato meno approfondito il suo apporto alla definizione dei contenuti economico-sociali della Costituzione, in particolare sul tema del lavoro. Così come poco si dice del suo rapporto stretto con Palmiro Togliatti, che lui stesso evocherà nel discorso all’Archiginnasio di Bologna nel 1986, come decisivo per la definizione di alcune «architravi» costituzionali.

Un sacerdote di Bologna, mons. Giovanni Nicolini, ricorda ancora quando gli capitò di accompagnare in auto Dossetti e La Pira e ascoltare le memorie di questi due grandi protagonisti dell’Assemblea costituente. Dossetti parlò di quando, all’inizio dei lavori, incontrò riservatamente Togliatti in un bar vicino a piazza del Popolo, al fine di sciogliere alcuni nodi preliminari e, in particolare, di decidere il principio ispiratore di tutta la Carta, quello che già in quel colloquio, avrebbe dovuto essere l’articolo 1. I due non si conoscevano bene ma nella conversazione si superò presto l’impaccio iniziale. Fu Dossetti a rompere gli indugi e a indicare il tema del lavoro, destando ovviamente consenso ma anche qualche comprensibile sospetto da parte di Togliatti: «Lei lo fa per compiacermi». «No, non mi interessa compiacerla, sono proprio convinto che il tema del lavoro debba rappresentare il cuore della nostra Carta e un punto di incontro fra posizioni culturali che per altri aspetti non sono facilmente conciliabili. La strada per arrivare al comune obiettivo è probabilmente diversa fra noi due. Per lei il tema del lavoro è importante per ragioni politiche e sociali comprensibili, per me è importante come presupposto costitutivo della centralità della persona: senza il lavoro non c’è dignità e senza dignità l’individuo non diventa persona».

Nasce probabilmente in quella occasione e in quel contesto non solo l’intesa per definire il contenuto dell’articolo 1 (il cui testo sarà formalmente presentato poi da Fanfani), ma un rapporto personale che segnerà tutta la vita dell’Assemblea costituente, a partire appunto dal dibattito nella prima sotto-commissione sul tema del lavoro. Ne ha parlato puntualmente il costituzionalista Mario Dogliani, nel seminario del 15-16 ottobre 2011 tenuto a Montesole sul tema «Il lavoro nel pensiero di Giuseppe Dossetti», a cui parteciparono anche i professori Ugo De Siervo e Salvatore Natoli. Il pensiero di Dossetti sul lavoro è anticipato nell’articolo apparso sulla vittoria laburista nelle elezioni del 1945 in Gran Bretagna «Triplice vittoria», riportato in questa pagina. [di seguito]

La discussione nella prima sotto-commissione prende spunto proprio da una proposta formulata da Mo-o e Dossetti: «Ogni cittadino ha diritto al lavoro e il dovere di svolgere un’attività o esplicare una funzione idonea allo sviluppo economico o culturale o morale o spirituale della società umana, conformemente alle proprie possibili tà e alla propria scelta». La discussione ovviamente si sviluppa a lungo e i testi si modificano. Quando si affronta il problema del salario, la prima formulazione che viene posta in discussione è congiunta di Togliatti e Dossetti: «La remunerazione del lavoro intellettuale e manuale deve soddisfare le esigenze di un’esistenza libera e dignitosa del lavoratore e della sua famiglia». Questa è una formula che poi è rimasta ed è confluita nell’articolo 36.

È ancora Dossetti a dichiarare: «Il lavoro è il fondamento di un diritto che però non è concepito come un diritto nei confronti del datore di lavoro, ma come un diritto che si dirige verso l’intera società, che ha il suo fondamento non nella naturalità dell’individuo, ma nel fatto che lavora... Il diritto ad avere i mezzi per un’esistenza libera e dignitosa non deriva dal semplice fatto di essere uomini, ma dall’adempimento di un lavoro... Questa non è un’utopia perché non possiamo rinunciare al sogno, sogno inteso come sogno politico, di avviare la struttura sociale verso una rigenerazione del lavoro.... in modo che il suo frutto sia adeguato alla dignità e alla libertà dell’uomo. Tali principi programmatici non avranno la possibilità di operare un miracolo... ma serviranno almeno ad una progressiva elevazione delle condizioni di lavoro nel prossimo avvenire».
 E La Pira precisa: «Gli articoli formulati dalla sotto-commissione sono sempre partiti... dalla premessa che es-si debbono concorrere a far cambiare la struttura economica e sociale del Paese». Dopo una lunga discussione si arriverà finalmente all’approvazione di una nuova formulazione leggermente diversa, sempre a firma Dossetti-Togliatti: «La remunerazione del lavoro intellettuale o tecnico manuale deve soddisfare le esigenza di esistenza libe-ra e dignitosa del lavoratore e della sua famiglia».

Si potrebbe continuare ancora a leggere i verbali di quel lungo dibattito che affronterà varie altre questioni, in particolare quelle relative al diritto di sciopero, alla finalizzazione della libertà economica e ad altri aspetti, e sempre registreremo gli interventi di Togliatti-Dossetti, Togliatti-La Pira, Moro-Basso-Dossetti-Togliatti, i veri protagonisti di una discussione che anche allora ruotava attorno alla centralità di un diritto soggettivo che è presupposto di altri diritti, un diritto che dà senso e coagulo alla trama di tutti i rapporti economico-sociali, su cui avrebbe dovuto reggersi l’intera architettura costituzionale.

Non è mia intenzione trascinare Dossetti nel dibattito politico, e ancor meno in quello elettorale di oggi, ma non possiamo non rilevare la straordinaria attualità di un pensiero che può aiutare ancora a dare un senso e una prospettiva al processo di profondo cambiamento nel quale ci troviamo inevitabilmente inseriti.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/2/2013 18.00
Titolo:VATICANO II E ABUSO DI AUTORITA' nella Chiesa cattolica
Autorità nella Chiesa cattolica

di esponenti della Chiesa cattolica universale

in “www.churchautority.org” dell’ottobre 2012 (versione italiana nel sito)

Dichiarazione di studiosi cattolici

In occasione del cinquantesimo anniversario del Concilio Vaticano II (1962-1965), invitiamo tutti i membri del Popolo di Dio a esaminare la situazione nella nostra chiesa.

Molti insegnamenti del Vaticano II non sono stati affatto, o solo parzialmente, tradotti in pratica.

Questo è dovuto alla resistenza di certi ambienti, ma anche, in una certa misura, alla irrisolta ambiguità di alcuni documenti del Concilio.

Una della principali cause della stagnazione odierna dipende dal fraintendimento e abuso nell’esercizio dell’autorità nella nostra Chiesa. In concreto le seguenti tematiche richiedono una urgente riformulazione.

Il ruolo del papato necessita di una chiara ri-definizione in linea con le intenzioni di Cristo. Come supremo pastore, elemento unificante e principale testimone di fede, il papa contribuisce in modo essenziale al bene della chiesa universale. Ma la sua autorità non dovrebbe mai oscurare, diminuire o sopprimere l’autentica autorità che Cristo ha dato direttamente a tutti i membri del popolo di Dio.

I vescovi sono vicari di Cristo e non vicari del papa. Essi hanno la diretta responsabilità del popolo delle loro diocesi, e una condivisa responsabilità con gli altri vescovi e con il papa, nell’ambito dell’universale comunità di fede.

Il Sinodo dei vescovi dovrebbe assumere un più decisivo ruolo nel pianificare e guidare il mantenimento e la crescita della fede nel nostro mondo così complesso.

Il Concilio Vaticano II ha prescritto collegialità e co-responsabilità a tutti i livelli. Questo non è stato messo in atto.

I vari organismi presbiterali e consigli pastorali, previsti dal Concilio, dovrebbero coinvolgere i fedeli in modo più diretto nelle decisioni riguardanti la formulazione della dottrina, l’esercizio del ministero pastorale e l’evangelizzazione nell’ambito della società secolare.

L’abuso di coprire posti di guida nella chiesa con soli candidati di una determinata mentalità, è una scelta che dovrebbe essere sradicata. Al suo posto dovrebbero essere formulate e monitorate nuove norme che assicurino che le elezioni a queste cariche siano condotte in modo corretto, trasparente e, il più possibile, democratico.

La curia romana ha bisogno di una riforma più radicale in linea con le istruzioni e la visione del Vaticano II.

La curia si dovrebbe limitare ai suoi utili ruoli amministrativi ed esecutivi.

La congregazione per la dottrina della fede dovrebbe essere coadiuvata da commissioni internazionali di esperti, scelti, con indipendenza, per la loro competenza professionale.

Questi non sono per nulla tutti i cambiamenti necessari. Ci rendiamo anche conto che l’attuazione di queste revisioni strutturali necessitano di una elaborazione dettagliata in linea con le possibilità e le limitazioni delle circostanze presenti e future.

Sottolineiamo, però, che le riforme, sintetizzate qui sopra, sono urgenti e la loro attuazione dovrebbe partire immediatamente.

L’esercizio dell’autorità nella nostra chiesa dovrebbe emulare gli standards di apertura, responsabilità e democrazia raggiunti nella società moderna.

La leadership dovrebbe essere corretta e credibile; ispirata dall’umiltà e dal servizio; con una trasparente sollecitudine per il popolo invece di preoccuparsi delle regole e della disciplina; irradiare Cristo che ci rende liberi; prestare ascolto allo Spirito di Cristo che parla e agisce attraverso tutti e ciascuno.

I nomi dei primi 160 firmatari, Sponsor Accademici della Dichiarazione (tra i quali citiamo: Leonardo Boff, Pedro Casaldaliga, Hermann Häring, Hans Küng) e dei (ad oggi 19 febbraio) 2048 sottoscrittori sono visibili al sito: http://www.churchauthority.org/.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/2/2013 18.25
Titolo:Vaticano - Immobili a Londra con i soldi di Mussolini
- La struttura segreta del Vaticano
- Immobili a Londra con i soldi di Mussolini

- Una società off-shore custodisce un patrimonio da circa 650 milioni di euro. Per conto della Santa Sede, che ha raggranellato prestigiosi locali ed edifici nella capitale britannica. Grazie ai soldi che Mussolini diede al papato con i Patti Lateranensi

- dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI *

LONDRA - A chi appartiene il locale che ospita la gioielleria Bulgari a Bond street, più esclusiva via dello shopping nella capitale britannica? E di chi è l’edificio in cui ha sede la Altium Capital, una delle più ricche banche di investimenti di Londra, all’angolo super chic tra St. James Square e Pall Mall, la strada dei club per gentiluomini?

La risposta alle due domande è la stessa: il proprietario è il Vaticano. Ma nessuno lo sa, perché i due investimenti fanno parte di un segretissimo impero immobiliare costruito nel corso del tempo dalla Santa Sede, attualmente nascosto dietro un’anonima società off-shore che rifiuta di identificare il vero possessore di un portfolio da 500 milioni di sterline, circa 650 milioni di euro. E come è nata questa attività commerciale dello Stato della Chiesa? Con i soldi che Benito Mussolini diede in contanti al papato, in cambio del riconoscimento del suo regime fascista, nel 1929, con i Patti Lateranensi.

A rivelare questo storia è il Guardian, con uno scoop che oggi occupa l’intera terza pagina. Il quotidiano londinese ha messo tre reporter sulle tracce di questo tesoro immobiliare del Vaticano ed è rimasto sorpreso, nel corso della sua inchiesta, dallo sforzo fatto dalla Santa Sede per mantenere l’assoluta segretezza sui suoi legami con la British Grolux Investment Ltd, la società formalmente titolare di tale cospicuo investimento internazionale. Due autorevoli banchieri inglesi, entrambi cattolici, John Varley e Robin Herbert, hanno rifiutato di divulgare alcunché e di rispondere alle domande del giornale in merito al vero intestatario della società.

Ma il Guardian è riuscito a scoprirlo lo stesso attraverso ricerche negli archivi di Stato, da cui è emerso non solo il legame con il Vaticano ma anche una storia più torbida che affonda nel passato. Il controllo della società inglese è di un’altra società, chiamata Profima, con sede presso la banca JP Morgan a New York e formata in Svizzera.

I documenti d’archivio rivelano che la Profima appartiene al Vaticano sin dalla seconda guerra mondiale, quando i servizi segreti britannici la accusarono di "attività contrarie agli interessi degli Alleati". In particolare le accuse erano rivolte al finanziere del papa, Bernardino Nogara, l’uomo che aveva preso il controllo di un capitale di 65 milioni di euro (al valore attuale) ottenuto dalla Santa Sede in contanti, da parte di Mussolini, come contraccambio per il riconoscimento dello stato fascista, fin dai primi anni Trenta. Il Guardian ha chiesto commenti sulle sue rivelazioni all’ufficio del Nunzio Apostolico a Londra, ma ha ottenuto soltanto un "no comment" da un portavoce.

* la Repubblica, 22 gennaio 2013

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Commenti Articolo 577

Titolo articolo : L'ELEZIONE DEL NUOVO PONTEFICE, SOTTO L'AFFRESCO "PARLANTE" DELLA CAPPELLA SISTINA. Quando i Papi “indicano” i loro successori al Soglio. Investiture e segni profetici. Una nota di Andrea Tornielli  - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/19/2013 - 17:57:46.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/2/2013 17.57
Titolo:VATICANO II E ABUSO DI AUTORITA' nella Chiesa cattolica
Autorità nella Chiesa cattolica

di esponenti della Chiesa cattolica universale

in “www.churchautority.org” dell’ottobre 2012 (versione italiana nel sito)

Dichiarazione di studiosi cattolici

In occasione del cinquantesimo anniversario del Concilio Vaticano II (1962-1965), invitiamo tutti i membri del Popolo di Dio a esaminare la situazione nella nostra chiesa.

Molti insegnamenti del Vaticano II non sono stati affatto, o solo parzialmente, tradotti in pratica.

Questo è dovuto alla resistenza di certi ambienti, ma anche, in una certa misura, alla irrisolta ambiguità di alcuni documenti del Concilio.

Una della principali cause della stagnazione odierna dipende dal fraintendimento e abuso nell’esercizio dell’autorità nella nostra Chiesa. In concreto le seguenti tematiche richiedono una urgente riformulazione.

Il ruolo del papato necessita di una chiara ri-definizione in linea con le intenzioni di Cristo. Come supremo pastore, elemento unificante e principale testimone di fede, il papa contribuisce in modo essenziale al bene della chiesa universale. Ma la sua autorità non dovrebbe mai oscurare, diminuire o sopprimere l’autentica autorità che Cristo ha dato direttamente a tutti i membri del popolo di Dio.

I vescovi sono vicari di Cristo e non vicari del papa. Essi hanno la diretta responsabilità del popolo delle loro diocesi, e una condivisa responsabilità con gli altri vescovi e con il papa, nell’ambito dell’universale comunità di fede.

Il Sinodo dei vescovi dovrebbe assumere un più decisivo ruolo nel pianificare e guidare il mantenimento e la crescita della fede nel nostro mondo così complesso.

Il Concilio Vaticano II ha prescritto collegialità e co-responsabilità a tutti i livelli. Questo non è stato messo in atto.

I vari organismi presbiterali e consigli pastorali, previsti dal Concilio, dovrebbero coinvolgere i fedeli in modo più diretto nelle decisioni riguardanti la formulazione della dottrina, l’esercizio del ministero pastorale e l’evangelizzazione nell’ambito della società secolare.

L’abuso di coprire posti di guida nella chiesa con soli candidati di una determinata mentalità, è una scelta che dovrebbe essere sradicata. Al suo posto dovrebbero essere formulate e monitorate nuove norme che assicurino che le elezioni a queste cariche siano condotte in modo corretto, trasparente e, il più possibile, democratico.

La curia romana ha bisogno di una riforma più radicale in linea con le istruzioni e la visione del Vaticano II.

La curia si dovrebbe limitare ai suoi utili ruoli amministrativi ed esecutivi.

La congregazione per la dottrina della fede dovrebbe essere coadiuvata da commissioni internazionali di esperti, scelti, con indipendenza, per la loro competenza professionale.

Questi non sono per nulla tutti i cambiamenti necessari. Ci rendiamo anche conto che l’attuazione di queste revisioni strutturali necessitano di una elaborazione dettagliata in linea con le possibilità e le limitazioni delle circostanze presenti e future.

Sottolineiamo, però, che le riforme, sintetizzate qui sopra, sono urgenti e la loro attuazione dovrebbe partire immediatamente.

L’esercizio dell’autorità nella nostra chiesa dovrebbe emulare gli standards di apertura, responsabilità e democrazia raggiunti nella società moderna.

La leadership dovrebbe essere corretta e credibile; ispirata dall’umiltà e dal servizio; con una trasparente sollecitudine per il popolo invece di preoccuparsi delle regole e della disciplina; irradiare Cristo che ci rende liberi; prestare ascolto allo Spirito di Cristo che parla e agisce attraverso tutti e ciascuno.

I nomi dei primi 160 firmatari, Sponsor Accademici della Dichiarazione (tra i quali citiamo: Leonardo Boff, Pedro Casaldaliga, Hermann Häring, Hans Küng) e dei (ad oggi 19 febbraio) 2048 sottoscrittori sono visibili al sito: http://www.churchauthority.org/.

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Commenti Articolo 578

Titolo articolo :  DIMISSIONI E VOLONTA' DI POTENZA: IL PARADOSSO DI RATZINGER.  Ex Benedetto XVI e quel gesto che secolarizza la Chiesa. L'analisi di Paolo Flores d’Arcais  - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/18/2013 - 20:49:47.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/2/2013 14.10
Titolo:Ior, il siluro tedesco del papa ...
Ior, il siluro tedesco del papa

Il nuovo presidente Von Freyberg costruisce navi da guerra in Germania

di Carlo Tecce (il Fatto, 16.02.2013)

La fretta non produce buone azioni, ma soltanto pasticci: comincia con un’imbarazzante ammissione - che supera una smentita - il nuovo corso per lo Ior, la cassa vaticana, che nomina al vertice il barone Ernst von Freyberg. Un avvocato e banchiere che presiede Blohm e Voss, un’industria navale che partecipa a un consorzio per la costruzione di quattro fregate da guerra per la marina tedesca.

Von Freyberg ha sconfitto la concorrenza di un anonimo finanziere belga, Bernard de Corte, anche per l’avallo, formale e sostanziale, di Benedetto XVI che ha suffragato la proposta dei cardinali guidati da Tarcisio Bertone.

IL SEGRETARIO di Stato ha fischiato la fine di una partita logorante e infinita prima che i porporati si riuniscano in Conclave per eleggere il prossimo pontefice.

Il 55enne Von Freyberg è un perfetto incrocio tra religione e affari: gestisce una fondazione cattolica che organizza pellegrinaggi a Lourdes e una scuola elementare a Franco-forte, ma riveste cariche in numerose società, tra cui una cassa di risparmio di Colonia con un patrimonio di 8 miliardi di euro e una multiservizi con 22 mila dipendenti.

Il Supremo cavaliere di Malta, l’Ordine che ora riprende il dialogo con il Vaticano dopo un ventennio di contrasti, rinuncia ai suoi plurimi lavori, non ai cantieri di Amburgo, al gruppo Blohm e Voss, che sfornava mezzi militari ancora prima del regime nazista e non ha più smesso. Per diversificare il prodotto, come obbligano le regole di mercato, la B&V produce anche imbarcazioni civili: memorabile lo yacht Eclipse di Roman Abramovich, il controverso magnate russo proprietario del Chelsea calcio.

Il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, prova a soffocare le cattive suggestioni: “Non è un guerrafondaio”, però confessa che proprio quella poltrona, l’unica contestata, non sarà mollata. Anzi, elogia Von Freyberg e cita il pontefice: “Benedetto XVI non lo conosce personalmente, ma sa che la famiglia di provenienza è conosciuta in Germania”. Vuol dire che il pontefice, seppur dimissionario, non si è disinteressato di questa fondamentale investitura che condizionerà il successore.

I passaggi di consegne non si fermano: il Segretario di Stato dovrà fare un rimpasto nella commissione cardinalizia con vari cambi che prevedono l’uscita di Attilio Nicora (che tanto si era speso invano per le norme contro il riciclaggio) e l’ingresso del fedelissimo Domenico Calcagno. Anche il francese Jean Louise Tauran potrebbe lasciare.

Il consiglio di sorveglianza non subisce variazioni: Hermann Schmitz, che aveva assunto l’interim dopo la cacciata di Ettore Gotti Tedeschi, torna vicepresidente, restano Carl Anderson, Manuel Soto Serrano e Antonio Maria Ma-rocco. Ma Bertone può ritenersi soddisfatto perché il direttore generale, Paolo Cipriano, è ormai intoccabile. Tra un mese ci sarà un nuovo pontefice, c’è da occuparsi di questioni spirituali. Per il momento il Vaticano ha sistemato quelle materiali. E forse più delicate.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/2/2013 15.26
Titolo:Identikit del futuro papa: l’appello di 2.000 teologi
Identikit del futuro papa: l’appello di 2.000 teologi (Adista)

Sono arrivate a quasi 2mila le adesioni ad un documento di teologi cattolici di tutto il mondo, lanciato nell’ottobre scorso in occasione dei 50 anni dell’apertura del Concilio Vaticano II, che traccia l’identikit del futuro papa e le priorità del prossimo pontificato.

Da Hans Küng a Leonardo Boff, da Paul Knitter a mons. Calsaldáliga, da Peter Phan a Paul Collins, tutti i più grandi nomi della teologia cattolica compaiono in calce a un documento che torna prepotentemente di attualità in questi giorni precedenti al conclave. Di seguito il testo integrale.

Molti insegnamenti del Vaticano II non sono stati affatto, o solo parzialmente, tradotti in pratica. Questo è dovuto alla resistenza di certi ambienti, ma anche, in una certa misura, alla irrisolta ambiguità di alcuni documenti del Concilio. Una delle principali cause della stagnazione odierna dipende dal fraintendimento e abuso nell’esercizio dell’autorità nella nostra Chiesa. In concreto le seguenti tematiche richiedono una urgente riformulazione:

Il ruolo del papato necessita di una chiara ri-definizione in linea con le intenzioni di Cristo. Come supremo pastore, elemento unificante e principale testimone di fede, il papa contribuisce in modo essenziale al bene della chiesa universale. Ma la sua autorità non dovrebbe mai oscurare, diminuire o sopprimere l’autentica autorità che Cristo ha dato direttamente a tutti i membri del popolo di Dio.

I vescovi sono vicari di Cristo e non vicari del papa. Essi hanno la diretta responsabilità del popolo delle loro diocesi, e una condivisa responsabilità con gli altri vescovi e con il papa, nell’ambito dell’universale comunità di fede. Il sinodo centrale dei vescovi dovrebbe assumere un più decisivo ruolo nel pianificare e guidare il mantenimento e la crescita di fede nel nostro mondo così complesso.

Il Concilio Vaticano II ha prescritto collegialità e co-responsabilità a tutti i livelli. Questo non è stato messo in atto. I vari organismi presbiterali e consigli pastorali, previsti dal Concilio, dovrebbero coinvolgere i fedeli in modo più diretto nelle decisioni riguardanti la formulazione della dottrina, l’esercizio del ministero pastorale e l’evangelizzazione nell’ambito della società secolare.

L’abuso di coprire posti di guida nella chiesa con soli candidati di una determinata mentalità è una scelta che dovrebbe essere sradicata. Al suo posto dovrebbero essere formulate e monitorate nuove norme che assicurino che le elezioni a queste cariche siano condotte in modo corretto, trasparente e il più possibile democratico.

La curia romana ha bisogno di una riforma più radicale in linea con le istruzioni e la visione del Vaticano II. La curia si dovrebbe limitare ai suoi utili ruoli amministrativi ed esecutivi. La congregazione per la dottrina della fede dovrebbe essere coadiuvata da commissioni internazionali di esperti, scelti indipendentemente, per la loro competenza professionale.

Questi non sono tutti i cambiamenti necessari. Ci rendiamo anche conto che l’attuazione di queste revisioni strutturali necessitano una elaborazione dettagliata in linea con le possibilità e le limitazioni delle circostanze presenti e future. Sottolineiamo, però, che le riforme, sintetizzate qui sopra, sono urgenti e la loro attuazione dovrebbe partire immediatamente.

L’esercizio dell’autorità nella nostra chiesa dovrebbe emulare gli standards di apertura, responsabilità e democrazia raggiunti nella società moderna. La leadership dovrebbe essere corretta e credibile; ispirata dall’umiltà e dal servizio; con una trasparente sollecitudine per il popolo invece di preoccuparsi delle regole e della disciplina; irradiare Cristo che ci rende liberi; prestare ascolto allo Spirito di Cristo che parla e agisce attraverso tutti e ciascuno.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/2/2013 20.49
Titolo:UNA SCELTA "DEBOLE" TUTTA INTERNA AL SISTEMA
UNA SCELTA "DEBOLE" TUTTA INTERNA AL SISTEMA

di Marcello Vigli (Adista Notizie, n. 7 del 23/02/2013)

La “rinuncia” di Benedetto XVI costituisce indubbiamente un evento eccezionale. Ne sono testimoni l’attenzione dei media di tutto il mondo e la diversità delle valutazioni che ne sono state date nelle diverse sedi religiose e politiche. Valga per tutte quanto scrive Paolo Naso (Nev, n. 7/13): questo gesto «ha una evidente ricaduta sull’ecclesiologia e forse sulla stessa teologia cattolica: come pochi altri umanizza e vorrei dire “secolarizza” l’istituzione papale».

Nulla sarà più come prima. Una simile scelta, per la prima volta del tutto libera, desacralizza per forza di cose l’istituzione. Ridimensiona la stessa immagine che il papato ha di se stesso attraverso la potenza e la debolezza di un atto solitario espresse nelle parole dello stesso papa che attribuisce la sua rinuncia alla sua «incapacità di amministrare bene il ministero» a lui affidato derivante dal venir meno del «necessario vigore sia del corpo, sia dell’animo».

Si può aggiungere, sono in molti a pensarlo, che al di là della sua debolezza fisica, tale incapacità sia stata determinata dal riconoscimento della sua impotenza a governare una Santa Sede afflitta da scandali, intrighi e lotte di potere aggravati da una struttura accentrata della Curia e mal gestita da quella Segreteria di Stato che Wojtyla aveva voluto ne fosse il perno per garantirne l’efficienza. Non ha avuto l’energia e gli strumenti necessari per attuarla come pure aveva lasciato intendere di voler fare nella sua dura denuncia contro il carrierismo, alla vigilia della sua elezione, confermata nell’omelia alla messa delle ceneri, il 13 febbraio scorso.

I suoi tentativi di ammodernamento e di moralizzazione sono falliti di fronte a meccanismi che non è riuscito a modificare perché, in verità, non intendeva radicalmente ridimensionarli. Ne è testimone la sua scelta di assumere il Concistoro come primo destinatario della sua comunicazione, implicitamente riconoscendogli una preminente funzione istituzionale. Solo dopo due giorni l’ha estesa al Popolo di Dio raccolto per l’udienza settimanale. Ben altro sarebbe stato l’impatto con la pubblica opinione. Soprattutto ben altra forza avrebbe avuto il messaggio destinato al prossimo Conclave sulla necessità di assumere come primo problema da affrontare la riforma della Curia.

Se può sembrare fuori della realtà l’auspicio di un papa che, nell’esercizio della sua funzione di governo, si rapporta direttamente al Popolo di Dio, non lo è un appello alla collegialità sinodale.

La ri-convocazione del Sinodo dei vescovi (la cui ultima assemblea si è svolta nell’autunno scorso), per annunciare la sua volontà di rinunciare, avrebbe avuto quel carattere epocale e rivoluzionario da molti attribuito al suo gesto: indubbiamente innovatore, ma non eversivo dell’attuale assetto centralistico del governo della Chiesa. Tale fu quello compiuto da Giovanni XXIII con la convocazione del Concilio che, proprio con la creazione del Sinodo dei vescovi, aveva avviato una radicale riforma, subito bloccata prima dalla pavidità di Paolo VI, poi dall’autoritarismo pre-conciliare di Giovanni Paolo II.

Il sistema curiale può avere avuto una funzione in passato: quando prima l’imperatore e/o le famiglie nobili romane e poi i sovrani degli stati cattolici interferivano pesantemente nella designazione del successore di Pietro.

In tempo di secolarizzazione - accettata dal Concilio come salutare strumento di purificazione per la Chiesa, pari alla fine del potere temporale riconosciuta come liberatrice da Paolo VI - una piena collegialità è l’antidoto efficace alla solitudine del papa attorniato da collaboratori da lui stesso scelti, portatori magari delle diverse sensibilità ecclesiali diffuse sul territorio, ma non certo delle sempre nuove esperienze di Chiesa sollecitate dall’accelerazione dei processi storici e vissute nella dimensione comunitaria.

PS: Se i cattolici conciliari si autoconvocassero per formulare proposte al Conclave da inserire nell’agenda del futuro papa?

* della Comunità di Base di San Paolo, Roma

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Commenti Articolo 579

Titolo articolo : PRE-CONCLAVE: IL PROSSIMO PAPA SARA'  IL CARDINALE CON LO STEMMA "DEUS CHARITAS EST"?! Una nota di di Cristiano M. G. Faranna - con approfondimenti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/18/2013 - 10:13:31.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/2/2013 22.33
Titolo:PRE-CONCLAVE. Papa Ratzinger delinea la figura del successore ....
Papa Ratzinger delinea la figura del successore

di Gian Guido Vecchi (Corriere della Sera, 16 febbraio 2013)

Il cardinale Christoph Schönborn, anche lui «sorpreso» e insieme ammirato per «l’immenso senso di responsabilità» del Papa, dice da Vienna che il «motto» del pontificato di Joseph Ratzinger, che fu suo professore di teologia, «si potrebbe riassumere nell’espressione: "Riflessione dell’essenziale"».

Benedetto XVI non intende interferire nell’elezione del successore, dopo le 20 del 28 febbraio rimarrà «nascosto al mondo», ma le sue parole e gesti di questi giorni sono destinati ad avere un peso. Il calendario degli impegni prosegue immutato e ieri Benedetto XVI ha ricevuto in udienza i vescovi liguri guidati dal cardinale Angelo Bagnasco, oggi accoglierà i lombardi con l’arcivescovo di Milano Angelo Scola, da domenica sera e per tutta la settimana parteciperà con la Curia agli esercizi spirituali che quest’anno ha voluto affidare al cardinale Gianfranco Ravasi, il 25 vedrà in udienza privata «altri cardinali» e la mattina del 28 li saluterà tutti quanti nella Sala Clementina prima di andare a Castel Gandolfo e lasciare i porporati a discutere in vista dell’ingresso nella Sistina.

La situazione è inedita ma il Papa a un tempo rassicura e raccomanda: «La figura di Pietro non tramonta», ha spiegato ieri ai vescovi. «Ci ha esortato ad essere tanto uniti alla Chiesa e a saper pregare, perché la promessa di Gesù a Pietro è una promessa che non viene meno», ha raccontato alla Radio Vaticana il vescovo di Ventimiglia Alberto Maria Careggio. La preghiera, l’unità della Chiesa. Già nella declaratio sulla sua «rinuncia» Ratzinger aveva tratteggiato una sorta di profilo del successore: occorre avere «nel corpo e nell’animo» il «vigore» necessario ad affrontare «rapidi mutamenti» del «mondo di oggi». Un mandato in positivo a proseguire le «vere riforme».

Certo «non è una resa», dice al Tg2 il cardinale Angelo Bagnasco: «Il Papa ha affrontato momenti difficilissimi rispetto all’oggi, problemi che tutti conosciamo. Se la chiave di lettura fosse quella di una fuga, di una resa, lo avrebbe fatto molto prima e non adesso, in un momento sostanzialmente più tranquillo».

Una decisione, quella di Benedetto XVI «presa in coscienza davanti a Dio, in totale libertà e motivata unicamente per il bene della Chiesa», ha scritto il cardinale Angelo Scola in una lettera che domani sarà letta in tutte le chiese della diocesi di Milano. «Di fronte all’inaspettato e umile gesto di Benedetto XVI non sono importanti i sentimenti che, sul momento, hanno occupato il nostro cuore. Conta la limpidezza del gesto di fede e di testimonianza del nostro caro Papa. Esso si è subito imposto, a noi e a tutto il mondo».

I cardinali lo dovranno ascoltare, e non si tratta solo di un omaggio dovuto. L’invito (ripetuto) all’unità della Chiesa è nelle cose: il quorum fisso di due terzi voluto da Ratzinger, 78 voti su 117, impone che la scelta cada su un candidato di equilibrio tra le varie anime del conclave. A papabili «forti» come Scola e il canadese Marc Ouellet si affiancano così personalità come Ravasi e Schönborn, lo stesso Bagnasco, il newyorchese Timothy Dolan e l’astro crescente del giovane filippino Luis Antonio Gokim Tagle, 55 anni, di madre cinese, considerato una sorta di Wojtyla d’Oriente. La Chiesa guarda alla Cina, del resto. «Il giorno prima della rinuncia, il Papa ha inviato una benedizione e i suoi auguri alle popolazioni che celebravano il Nuovo anno lunare, in particolare ai cinesi in ogni nazione», ricorda ad Asianews il cardinale John Tong, vescovo di Hong Kong e primo cinese della storia a partecipare a un conclave.

Benedetto XVI si prepara a una vita riservata di preghiera e studio prima a Castel Gandolfo e poi nel monastero in Vaticano. Ma non sarà isolato. Il neoarcivescovo Georg Gänswein sarà una sorta di trait d’union tra il prossimo Papa e il predecessore: ha deciso di alloggiare come Ratzinger nel monastero e continuare ad aiutarlo e insieme, in quanto prefetto della Casa pontificia, lavorerà a stretto contatto con il nuovo Pontefice.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/2/2013 23.35
Titolo:Identikit del futuro papa: l’appello di 2.000 teologi
Identikit del futuro papa: l’appello di 2.000 teologi (Adista)

Sono arrivate a quasi 2mila le adesioni ad un documento di teologi cattolici di tutto il mondo, lanciato nell’ottobre scorso in occasione dei 50 anni dell’apertura del Concilio Vaticano II, che traccia l’identikit del futuro papa e le priorità del prossimo pontificato.

Da Hans Küng a Leonardo Boff, da Paul Knitter a mons. Calsaldáliga, da Peter Phan a Paul Collins, tutti i più grandi nomi della teologia cattolica compaiono in calce a un documento che torna prepotentemente di attualità in questi giorni precedenti al conclave. Di seguito il testo integrale.

Molti insegnamenti del Vaticano II non sono stati affatto, o solo parzialmente, tradotti in pratica. Questo è dovuto alla resistenza di certi ambienti, ma anche, in una certa misura, alla irrisolta ambiguità di alcuni documenti del Concilio. Una delle principali cause della stagnazione odierna dipende dal fraintendimento e abuso nell’esercizio dell’autorità nella nostra Chiesa. In concreto le seguenti tematiche richiedono una urgente riformulazione:

Il ruolo del papato necessita di una chiara ri-definizione in linea con le intenzioni di Cristo. Come supremo pastore, elemento unificante e principale testimone di fede, il papa contribuisce in modo essenziale al bene della chiesa universale. Ma la sua autorità non dovrebbe mai oscurare, diminuire o sopprimere l’autentica autorità che Cristo ha dato direttamente a tutti i membri del popolo di Dio.

I vescovi sono vicari di Cristo e non vicari del papa. Essi hanno la diretta responsabilità del popolo delle loro diocesi, e una condivisa responsabilità con gli altri vescovi e con il papa, nell’ambito dell’universale comunità di fede. Il sinodo centrale dei vescovi dovrebbe assumere un più decisivo ruolo nel pianificare e guidare il mantenimento e la crescita di fede nel nostro mondo così complesso.

Il Concilio Vaticano II ha prescritto collegialità e co-responsabilità a tutti i livelli. Questo non è stato messo in atto. I vari organismi presbiterali e consigli pastorali, previsti dal Concilio, dovrebbero coinvolgere i fedeli in modo più diretto nelle decisioni riguardanti la formulazione della dottrina, l’esercizio del ministero pastorale e l’evangelizzazione nell’ambito della società secolare.

L’abuso di coprire posti di guida nella chiesa con soli candidati di una determinata mentalità è una scelta che dovrebbe essere sradicata. Al suo posto dovrebbero essere formulate e monitorate nuove norme che assicurino che le elezioni a queste cariche siano condotte in modo corretto, trasparente e il più possibile democratico.

La curia romana ha bisogno di una riforma più radicale in linea con le istruzioni e la visione del Vaticano II. La curia si dovrebbe limitare ai suoi utili ruoli amministrativi ed esecutivi. La congregazione per la dottrina della fede dovrebbe essere coadiuvata da commissioni internazionali di esperti, scelti indipendentemente, per la loro competenza professionale.

Questi non sono tutti i cambiamenti necessari. Ci rendiamo anche conto che l’attuazione di queste revisioni strutturali necessitano una elaborazione dettagliata in linea con le possibilità e le limitazioni delle circostanze presenti e future. Sottolineiamo, però, che le riforme, sintetizzate qui sopra, sono urgenti e la loro attuazione dovrebbe partire immediatamente.

L’esercizio dell’autorità nella nostra chiesa dovrebbe emulare gli standards di apertura, responsabilità e democrazia raggiunti nella società moderna. La leadership dovrebbe essere corretta e credibile; ispirata dall’umiltà e dal servizio; con una trasparente sollecitudine per il popolo invece di preoccuparsi delle regole e della disciplina; irradiare Cristo che ci rende liberi; prestare ascolto allo Spirito di Cristo che parla e agisce attraverso tutti e ciascuno
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/2/2013 07.34
Titolo:GIAMBATTISTA VICO. TRA "CHARITAS" E "CARITAS", UNA DIFFERENZA ABISSALE.
TRA "CHARITAS" E "CARITAS", UNA DIFFERENZA ABISSALE. La lezione di Giambattista Vico
- MEMORIA FILOLOGICA E TEOLOGICA. GESU’, IL FIGLIO DELLA GRAZIA DI DIO ("CHARITAS") O IL "TESORO" DI "MAMMONA" ("CARITAS") E DI "MAMMASANTISSIMA" DEI FARAONI DI IERI E DI OGGI?!! *

A Karol J. Wojtyla, in memoria: "Se mi sbalio, mi corigerete" (Giovanni Paolo II)

GIAMBATTISTA VICO "fa una netta distinzione tra carus - caritas rispettivamente col valore di ’caro, costoso, di alto prezzo’ e ’carestia, scarsità’ da una parte, e charus - charitas rispettivamente col valore di ’grazioso, amabile, richiesto’ e ’grazia, amore di Dio’ dall’altra, perché per il Vico questi due ultimi termini derivano etimologicamente" dai termini greci ’charìeis’ e ’charis’

* cfr. G. Vico, Varia: Il ’De Mente Heroica’ e gli scritti latini minori, a cura di Gian Galeazzo Visconti, Alfredo Guida Editore, Napoli 1996, p. 31.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/2/2013 09.58
Titolo:PAROLA A RISCHIO. Risalire gli abissi ...
- PAROLA A RISCHIO
- Risalire gli abissi
- La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
- Perché è sorriso, liberazione, gioia.

- di Giovanni Mazzillo (Teologo) *

G come gioia, come Gesù, respiro di gioia per tutti gli infelici della terra. Parliamo di Gesù, il cui corrispondente nome greco Iesoûs deriva direttamente dall’originale ebraico Je(ho)šhu e significa JHWH salva, per precisare immediatamente che il termine salvezza oggi non significa gran che per i nostri contemporanei, e di conseguenza risuona poco interessante persino quel nome, pur originariamente portatore di una gioia immensa e inaudita. Ciò avviene non solo per l’inevitabile logorio delle parole più usate e talora abusate, ma per il fatto che ha perso rilevanza e pertanto significato il valore stesso della “salvezza”.

Salvezza Salvezza da chi e/o da che cosa? Appunto, è questo il primo problema. La salvezza appare di primo acchito un concetto immediatamente derivato dal superamento di una situazione negativa, Si salva, o come succede in questo caso, viene salvato, qualcuno che si trova in una situazione di pericolo. Il pericolo di perdere qualcosa, di perdere se stesso. Di essere cancellato, di sparire, appunto come sparisce da un computer un testo non “salvato” o un’immagine non messa al sicuro. Ma essere salvati è per noi persone umane, e pertanto non riducibili a una traccia di codificazione binaria o algoritmica, molto di più che conservare un’impronta e una presenza. Coerentemente con la nostra realtà dinamica e relazionale, essere salvati significa avere un luogo, un senso, una rilevanza nel contesto di una realtà che giustifica, sorregge, garantisce il mantenimento e la crescita qualitativa, e pertanto il conseguente riconoscimento di un originario, inalienabile, imprescindibile valore personale.

La domanda «Chi o che cosa si può dire oggi salvato?» esige pertanto una primordiale differenziazione. Altro è il concetto di ciò che è salvato (cioè il dato messo al sicuro), ben altro è l’essere umano salvato. Questi non è solo garantito in ciò che ha di più proprio e pertanto è distinto dal mero “dato”, che invece è una sorta di file compilato (non per nulla in tedesco proprio il file è chiamato Datei, leggi datai, cioè «rea-ltà data»). L’essere umano è tale solo in un incontro, in una relazione. La persona è tutta nelle relazioni delle quali vive. Proprio la relazionalità sorregge il senso e la gioia del suo esistere.

L’annuncio di Gesù, già nella sua venuta in questo nostro mondo, è l’annuncio di una relazionalità umana felicemente riuscita. Nel Vangelo è direttamente collegato alla Grazia, termine che esprime tutto ciò e anche qualcosa di più.

Nell’annuncio della sua nascita, diversamente da quanto appare nella traduzione latina, e in quella italiana da essa derivata, nella preghiera più popolare che ci sia, Maria è salutata non con il saluto che si dava all’imperatore, alle autorità o anche agli amici con l’esclamativo «Ave!», bensì con l’invito a rallegrarsi, cioè a gioire (chaîre): a entrare in un circuito di esultanza per un dono gratuito e inatteso. Colei che è piena di grazia (kecharitōménē) è invitata a rallegrarsi perché tutto in lei è frutto ed espressione della «grazia» (cháris), cioè di un dono amorevole quanto sorprendente, che sarà presto annuncio di gioia per tutto il popolo e per ogni uomo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...”. L’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia...» (Lc 1,30-31; 2,10-11).

Il resto del Vangelo, soprattutto quello di Luca, evidenzia la gioia improvvisa e incontenibile che contagia quanti vengono a contatto con Ješhu. A cominciare da Elisabetta e dal suo bambino, che le esulta nel grembo, il futuro Battista. Così esultano ancora due anziani che sembrano essere rimasti in vita per mantenere viva la speranza d’Israele: Simeone e Anna, o i pastori; mentre nel racconto di Matteo, viene detto che i Magi “provarono una grandissima gioia” nel rivedere la stella che indicava il luogo della natività di Gesù.

La stessa gioia è testimoniata dai semplici e dagli umili, dagli infelici e dai peccatori che si sentono aiutati, capiti, perdonati. A gioire sono ancora i bambini e le donne, classi tradizionalmente neglette dalla piena partecipazione alla grazia collegata alle tradizionali benedizioni di Dio. Insomma il cuore del Vangelo è la lieta notizia annunciata ai bisognosi e agli infelici della terra. Il Dio che si dona totalmente, è il Dio che dona illimitatamente la gioia agli uomini. E perché la nostra gioia fosse piena (Gv 15,11), il Figlio di Dio è arrivato umanamente a perdere se stesso.

Perché avessimo una gioia che nessuno avrebbe mai più potuto toglierci, ha permesso che fosse tolta a lui la vita, per riprenderla di nuovo, ma con la conoscenza ormai nella sua carne e nella sua psiche di cosa significhi la morte umana. Di cosa voglia dire la gioia di vivere, di vivere non con il naturale sorriso con cui vive ogni creatura per la stessa gioia dell’esistere, ma di provare e diffondere la gioia di chi conosce la sofferenza e non resta inchiodato alla sofferenza. O al limite, di chi, nonostante le ferite e talora i chiodi mai interamente rimossi della sofferenza, sa sorridere della vita, perché questa è ormai rischiarata da colui che vince la morte e la depressione della sofferenza.

La gioia è dunque uno dei nomi della salvezza, ma di una salvezza che assume di volta in volta nomi nuovi e nomi antichi: riscatto, liberazione, sensatezza, leggerezza dell’esistere... Se la parola non fosse tanto inflazionata, si potrebbe dire che la salvezza altro non è che la felicità. È la felicità nel suo senso etimologico: come abbondanza e fertilità. Possiamo tradurre: come vita sensata che raggiunge il suo scopo e nasce da relazioni benevole, tendenti al bene altrui, trovando negli altri la propria gioia e comunicandola con relazioni che fanno crescere se stessi e gli altri.

In quanto tale, la felicità è simile alla pace e ne è la forma storica: è star bene con sé e con gli altri, con il proprio passato e con il proprio futuro. Perché, soprattutto oggi, c’è bisogno paradossalmente più di ricostruire il futuro che il passato o il presente. Per poterlo fare c’è bisogno di quella gioia consapevole che non si arrende e che non si ripiega su se stessa. Si ritrova nel futuro di una convivenza che non nasconde, ma sa riconoscere e superare i conflitti attraverso uno sguardo d’amore verso ciò che ci è intorno. È uno guardo che viene da lontano e tuttavia tocca la nostra umanità, questa mia e questa tua umanità, quella assunta, attraversata e come divinizzata da quel Gesù che continuamente dà senso a ogni tentativo di superare la violenza con l’amore. È l’unico a dar senso a ogni discorso di pace, anche questo che hai appena finito di leggere.

* MOSAICO DI PACE, LUGLIO 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/2/2013 18.51
Titolo:L'ATTUAZIONE DEL CONCILIO ....
Se la magia del sacro è sconfitta

di Raniero La Valle (il manifesto, 17 febbraio 2013)

Quasi volesse non farsi rimpiangere, il papa alla fine si è lasciato andare ad una confidenza che ha svelato tutta la difficoltà che sul piano personale egli ha avuto nel vivere il Concilio come una delusione. Nella «chiacchierata» in cui ha raccontato come lui «ha visto» il Vaticano II, c’è forse la chiave per capire come non gli bastassero più le forze per guidare una Chiesa che, come aveva detto nel 2005 nel suo primo discorso alla curia, nel Concilio aveva avuto la sua vera «discontinuità» riconciliandosi con l’età moderna, quella modernità che egli non ha invece ancora accettato e che patisce come «relativismo».

Questo risvolto personale del suo difficile rapporto col Concilio, che già era venuto fuori in un suo discorso estivo, in montagna, al clero del Triveneto, quando aveva negato che dal Concilio potesse scaturire «la grande Chiesa del futuro», è emerso con grande sincerità nel suo discorso di giovedì a un altro clero particolare, quello di Roma. Al presbiterio di cui, come vescovo di Roma, è il capo, Benedetto XVI ha voluto parlare come se fosse uno dei vescovi che aveva partecipato al Concilio, sul filo dei ricordi personali, piuttosto che con «un grande, vero discorso» da papa.

Da questa confidenza risulta che nel vissuto di Ratzinger non c’è stato un solo Concilio, ma ci sono stati diversi concili. Il primo, l’unico che gli sia veramente piaciuto, è stato quello dell’entusiasmo iniziale, quando «speravamo che tutto si rinnovasse, che venisse veramente una nuova Pentecoste». Il secondo è quello soprattutto condotto dall’«alleanza renana», cioè dai vescovi francesi, tedeschi, belgi, olandesi, che vi hanno introdotto i temi «più conflittuali», come quello del rapporto tra papa e vescovi (con quella discussa parola, «collegialità», a cui forse Ratzinger avrebbe preferito «comunione»), la «battaglia» sul rapporto tra scrittura e tradizione, la «lite» sull’esegesi che tenderebbe «a leggere la scrittura fuori della Chiesa, fuori della fede», l’ecumenismo.

Poi c’è stato il terzo Vaticano II, in cui «sono entrati con grande forza nel gioco del Concilio» gli americani degli Stati Uniti e dell’America Latina, l’Africa, l’Asia: ed è stata la fase della responsabilità per il mondo, della libertà religiosa, del dialogo tra le religioni, per cui «sono cresciuti problemi che noi tedeschi all’inizio non avevamo visto»; e sono nate le grandi questioni del rapporto non solo con gli ebrei, ma con l’Islam, il buddismo, l’induismo; e qui la cosa che è ancora «da capire meglio» è il rapporto tra la sola vera religione e le altre di cui un credente non può pensare, secondo il papa, che «siano tutte varianti di un tema», anche se le esperienze religiose portano «una certa luce della creazione». Molti problemi aperti dal Concilio sono dunque ancora «da studiare» e molte applicazioni non sono ancora complete, sono «ancora da fare».

Ma la contraddizione principale che il papa dice di aver vissuto, è stata tra il «vero Concilio», che era quello dei padri e il Concilio dei media. Il primo era un Concilio della fede che si realizzava nella fede, il secondo era il Concilio dei giornalisti che si realizzava non nella fede, ma nelle categorie politiche di una lotta per il potere nella Chiesa. Starebbe nel fatto che il Concilio giunto alla Chiesa, reso accessibile a tutti, fosse quello dei giornalisti e non quello «reale», la vera causa della crisi della Chiesa: «tante calamità, tanti problemi, realmente tante miserie: seminari chiusi, conventi chiusi, liturgia banalizzata»; sarebbe questo Concilio dei media che avrebbe invaso le chiese, profanato la liturgia, negato il culto, trasformato il «popolo di Dio» nella «sovranità popolare», messo fine alla religione del sacro, intesa come «cosa pagana».

Sicché il vero Concilio, l’ultimo, starebbe arrivando ora, dopo 50 anni, che sono i decenni in cui i vescovi se ne sono stati a casa, la Chiesa è stata sottoposta alla robusta cura romana, la controriforma è giunta a buon punto, la liturgia restaurata e i giornalisti, non dovendo più misurarsi con la missione e la fede della Chiesa, sono tornati a fare i «vaticanisti».

È un peccato che su questo punto cruciale dei media il Papa sia male informato e forse, allora, non abbia capito il Concilio. Ed è singolare che oggi si attribuiscano tutti i mali della Chiesa a quelli che, nelle due prime parole del primo documento del Concilio, Inter mirifica , erano definiti «cose meravigliose», cioè appunto i mezzi di comunicazione sociale. È vero invece che si è rischiato che ci fossero due Concili: un Concilio dei padri, e un Concilio dei media.

Ma questo era il progetto della Chiesa preconciliare, che aveva creduto di nascondere il Concilio chiudendone le porte e decretandone il segreto, lasciando ai giornali la sola via dello «scoop»; ma questo finì subito, all’inizio della seconda sessione, quando il segreto fu rotto, e il Concilio irruppe nella coscienza dei fedeli e nel popolo di Dio, che nessuno mai pensò di paragonare al popolo sovrano, come nessuno interpretò le discussioni teologiche sulla sacramentalità dell’episcopato e la successione dei vescovi al collegio degli apostoli come una «lite» o lotta di potere, come ora il papa rivela che per molti sia stato, dicendo addirittura che nel Concilio dei padri «forse qualcuno ha anche pensato al suo potere».

E quello che allora il giovane prof. Ratzinger non vide fu che tra i giornalisti che «fecero» il Concilio c’erano uomini di grandissima fede: per esempio l’abbé Laurentin, mariologo, per Le Figaro , Jean Fesquet e poi Nobécourt per Le Monde , Grootaers per l’Olanda, Juan Arias per El Pais , e tra gli italiani cristiani come Giancarlo Zizola, Ettore Masina, Lamberto Furno, e anche Gianfranco Svidercoschi, che poi addirittura diventò vicedirettore dell’ Osservatore Romano ; e padre Caprile della Civiltà Cattolica ; e padre Roberto Tucci, oggi cardinale, e mons. Clemente Riva, poi vescovo ausiliare di Roma, che ogni giorno informavano i giornalisti italiani dei contenuti, e non solo delle coreografie, dei lavori.

Quanto a me, se è lecito aggiungere ricordi a ricordi, papa Giovanni scrisse sul suo diario, dopo avermi ricevuto una mattina dell’agosto 1961: «Ho ricevuto il giovane (30 anni!) direttore dell’ Avvenire d’Italia , una promessa per la causa cattolica»; e L’Avvenire d’Italia, a spese della Santa Sede, fu mandato a tutti i padri conciliari per tutto il corso del Concilio, e non credo che ciò fosse per spiantare la Chiesa.

Ma io ora sono grato al papa che ci lascia, perché andandosene ci dice che proprio questo è il problema: l’attuazione del Concilio, la fede per l’età moderna, una Chiesa non incapsulata nella magia idolatrica del sacro.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/2/2013 10.13
Titolo:I giochi stanno appena iniziando, ma uno ha una marcia in più
Da oggi i giochi stanno appena iniziando, ma uno ha una marcia in più

di Giulio Anselmi (la Repubblica, 18 febbraio 2013)

“Da oggi ha una marcia in più”. Il commento che si coglieva ieri sera tra cardinali, vescovi e monsignori di Curia, all’uscita della cappella Redemptoris Mater, opera dai toni bizantini realizzata all’inizio di questo secolo dal gesuita sloveno Rapnik, si riferiva al cardinale Gianfranco Ravasi.

Non tanto per quello che aveva appena detto col suo amabile garbo di uomo di cultura, nel corso della prima predica degli esercizi spirituali vaticani, su ars orandi e ars credendi. Ma perché il fatto di parlare tre volte al giorno, fino a sabato mattina, davanti a un consesso che comprende i futuri elettori del Conclave (e con Benedetto XVI che assiste senz’essere visto da una stanza con affaccio sui presenti) conferisce alle sue parole e alla sua persona un peso crescente.

Ravasi era stato prescelto da tempo per “dare” gli esercizi, un incarico prestigioso e delicato nel mondo religioso, e veniva già inserito in quasi tutte le liste dei papabili, ma da ieri ha una diversa caratura. Può costruirsi, nei fatti, una piattaforma elettorale. E quelli che dicevano di lui «gran testa, uomo squisito, ma se gli chiedessi com’è fatta una parrocchia non saprebbe rispondere» continueranno a mormorare, ma abbassando la voce.

Il dibattito, che si è infittito assieme al prender corpo dell’accelerazione delle votazioni per il prossimo papa, non riguarda naturalmente solo le qualità pastorali del prelato milanese.

La straordinaria presenza di un Pontefice in carica, con tutti i dubbi di ordine teologico, ecclesiastico, politico e pratico che l’accompagna, ha finora un po’ distratto l’attenzione dai temi della successione ma, poco a poco, prendono corpo alcuni schemi. C’è un imbarazzo generale per il fatto che non esiste una candidatura che si imponga con gran forza.

«Oggi non c’è un Ratzinger», sintetizza un vescovo italiano da poco romanizzato, dimenticando che otto anni fa anche quella candidatura non passò immediatamente, «quindi non si può parlare solo delle persone». In questa logica i primi conciliaboli enumerano le qualità richieste al successore: che abbia capacità pastorale, che sia in salute, che sia dotato di grande correttezza dottrinale ma anche in grado di trascinare, di trasmettere forza e speranza. Che abbia capacità di governo.

Qui emerge la critica, durissima, non solo a papa Ratzinger ma anche al suo predecessore Wojtyla: nessuno degli ultimi due pontefici ha saputo gestire la Curia. È una valutazione molto diffusa: già martedì, all’indomani dell’annuncio-shock, alcuni prelati vicini all’Opus Dei avevano scavalcato le rituali considerazioni laudatorie sull’addio, per confessare sinceramente: «Beh, almeno si è mosso qualcosa. C’era uno stallo mortale».

L’ultima caratteristica considerata necessaria al nuovo papa va sottolineata: occorre che conosca l’italiano. Che vuol dire, al di là dell’ovvia necessità che il vescovo di Roma riesca a farsi capire dai suoi fedeli? Per molti sacerdoti di diverso grado attivi nei 186 Paesi in cui la Chiesa cattolica è presente - ma anche nella Curia di Roma - i cardinali italiani hanno fornito un gramo spettacolo della loro divisione. E la corsa finale per lo Ior ne ha rappresentato l’ultimo atto.

Come se non bastasse a ciascuno dei papabili “di casa” viene trovato un punto debole: all’arcivescovo di Genova Bagnasco la scarsa dimestichezza con le lingue straniere, al cardinale di Milano Scola la vicinanza a Comunione e Liberazione, cui certo non giova lo scandalo in cui sta affogando Formigoni col suo sistema di potere.

Alla Cei è facile trovare monsignori che giurano sull’esistenza di molti prelati stranieri per i quali i porporati italiani sono, malgrado tutto, i più “equilibrati”e, quindi, i preferibili. Ma potrebbe trattarsi di spirito di corpo. O di scaramanzia. I giochi stanno appena iniziando

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Commenti Articolo 580

Titolo articolo : Il Papa si è dimesso, ma ben altro attendono i seguaci di Gesù,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: February/17/2013 - 22:23:27.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/2/2013 11.05
Titolo:IL COSTANTINIANO DELIRIO RATZINGERIANO E' FINITO. In memoria di Carlo M. Martini...
LETTERA APERTA AL CARDINALE MARTINI (27 APRILE 2005) *

UN APPELLO PER LA PACE: UN NUOVO CONCILIO, SUBITO!

Caro Cardinale Martini

“Era””, “è ”: GESU’, IL SALoMONE, IL PESCE (“Ixthus”), sempre libero dalle reti del Pastore-Pescatore (del IV sec.)!

di Federico La Sala *

Karol Wojtyla, il grande Giovanni Paolo II è morto! E se è vero che “il mondo - come ha detto il nuovo papa - viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori”, è anche vero che nel IV secolo - con il ‘pallio’ ... di Roma, comincia “la grande politica” - muore il cristianesimo e nasce l’impero cattolico-romano. La religione ebraica diventa passato, archeologia, e la religione cattolico-romana diventa storia, presente e futuro. Contro ogni tentennamento, la “Dominus Jesus” non è stata scritta invano e la prima Omelia (24 aprile 2005) di Ratzinger - Benedetto XVI ha chiarito subito, senza mezzi termini, a tutti i fratelli e a tutte le sorelle, chi è il fratello maggiore (e chi sono - i fratelli maggiori)... chi è il nuovo Papa, e qual è la “nuova Gerusalemme”.

Per Ratzinger - BenedettoXVI non c’è nessun dubbio e nessun passo indietro da fare. Finalmente un passo avanti è stato fatto. Guardino pure i sudditi dell’Urbe, e dell’Orbi: il “distintivo” cattolico è qui! Ma Wojtyla? Giovanni Paolo II? La visita alla Sinagoga di Roma? Toaff? - La Sinagoga?! Toaff?! Gerusalemme?!: “Roma omnia vincit”, non Amor...! Rilegga l’Omelia (www.ildialogo.org/primopiano): la Chiesa cattolico-romana è viva, vince alla grande, im-mediaticamente! Rifletta almeno su questi “passaggi”:

"Cari amici! In questo momento non ho bisogno di presentare un programma di governo [...] Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia. Invece di esporre un programma io vorrei semplicemente cercare di commentare i due segni con cui viene rappresentata liturgicamente l’assunzione del Ministero Petrino; entrambi questi segni, del resto, rispecchiano anche esattamente ciò che viene proclamato nelle letture di oggi". "Il primo segno è il Pallio, tessuto in pura lana, che mi viene posto sulle spalle. Questo antichissimo segno, che i Vescovi di Roma portano fin dal IV secolo, può essere considerato come un’immagine del giogo di Cristo, che il Vescovo di questa città, il Servo dei Servi di Dio, prende sulle sue spalle. Il giogo di Dio è la volontà di Dio, che noi accogliamo. [...]

"E questa volontà non è per noi un peso esteriore, che ci opprime e ci toglie la libertà. Conoscere ciò che Dio vuole, conoscere qual è la via della vita - questa era la gioia di Israele, era il suo grande privilegio. Questa è anche la nostra gioia: la volontà di Dio non ci aliena, ci purifica magari in modo anche doloroso e così ci conduce a noi stessi. [...] In realtà il simbolismo del Pallio è ancora più concreto: la lana d’agnello intende rappresentare la pecorella perduta o anche quella malata e quella debole, che il pastore mette sulle sue spalle e conduce alle acque della vita. La parabola della pecorella smarrita, che il pastore cerca nel deserto, era per i Padri della Chiesa un’immagine del mistero di Cristo e della Chiesa.[...]. Così il Pallio diventa il simbolo della missione del pastore, di cui parlano la seconda lettura ed il Vangelo. La santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore [...]. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi”.

In verità, Nietzsche, uno dei tre grandi - con Marx e Freud - maestri del sospetto che stimava Gesù, ma nient’affatto il cattolicesimo - definito da lui, un platonismo per il popolo, l’aveva già detto - e anche in modo più profetico: “il deserto avanza. Guai a chi nasconde il deserto dentro di sé!” (Così parlò Zarathustra).

Cosa pensare? Che fare, intanto? Aspetterò. Sì! Aspetterò! Per amore di tutta la Terra e “per amore di Gerusalemme non mi darò pace, finché non sorga come stella la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come una lampada. Allora tutti i popoli vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria”(Isaia).

Federico La Sala

* ildialogo.org/filosofia, Mercoledì, 27 aprile 2005
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/2/2013 13.05
Titolo:È la fine di una modalità di intendere il papato, e può essere la nascita di qua...
I due pontefici in Vaticano

di Vito Mancuso (la Repubblica, 12 febbraio 2013)

A partire da Pasqua la Chiesa cattolica avrà due papi, uno solo de facto, ma tutt’e due de iure? A parte il celebre caso di Celestino V e Bonifacio VIII alla fine del Duecento, una situazione del genere non si era mai verificata in duemila anni di storia, senza considerare che papa Celestino passò il tempo da ex-papa prima ramingo e poi imprigionato a molta distanza da Roma, mentre Benedetto XVI continuerà ad abitare in Vaticano a poche centinaia di metri dal successore. Costituirà per lui un’ombra o una sorgente di luce e di ispirazione? Ovviamente nessuno lo sa, neppure lo stesso Benedetto XVI, il quale certamente è una persona discreta e assai rispettosa delle forme, ma il cui peso intellettuale e spirituale non può non esercitare una pressione su chiunque sarà a prendere il suo posto. Una cosa però deve essere chiara: a Pasqua non ci saranno due papi, ma uno solo, perché Joseph Ratzinger non sarà più vescovo di Roma ed essere papa significa prima di tutto ed essenzialmente essere “vescovo di Roma”.

L’inedita situazione determinata dalle dimissioni di Benedetto XVI è di grande aiuto per comprendere che cosa significa veramente fare il papa. Fino a ieri “essere papa” e “fare il papa” era la medesima cosa. Fino a ieri la persona e il ruolo si identificavano, non c’era soluzione di continuità, ed anzi, se tra le due dimensioni doveva prevalerne una, era certamente quella di “essere papa” a prevalere, facendo passare in secondo piano il fatto di avere o no le piene possibilità di poterlo fare.

Tutti ricordano, ai tempi della conclamata malattia di Giovanni Paolo II, le ripetute assicurazioni della Sala stampa vaticana sulle sue condizioni di salute. Giovanni Paolo II non poteva più fare il papa, ma lo era, e ciò bastava. Prevaleva la dimensione sacrale, legata all’essenza, al carisma, allo status, all’essere papa a prescindere anche dal proprio corpo. E non a caso Giovanni Paolo II, quando qualcuno gli prospettava l’ipotesi delle dimissioni, era solito ripetere che «dalla croce non si scende».

Benedetto XVI vuole forse scendere dalla croce? No, si tratta di altro, semplicemente del fatto che egli ha prima riconosciuto dentro di sé e poi ha dichiarato pubblicamente che il calo progressivo delle forze fisiche e psichiche non gli permette più di “fare il papa” e quindi intende cessare di “essere papa”. La funzione ha avuto la meglio sull’essenza, il ruolo sull’identità.

Io aggiungo che la laicità ha avuto la meglio sulla sacralità. Si è trattato infatti di una decisione laica, perché opera una distinzione, e laddove c’è distinzione, c’è laicità.

La distinzione tra la persona e il ruolo introdotta ieri da Benedetto XVI con le sue dimissioni si concretizza in queste parole dette in latino ai cardinali: «Le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino». C’è un ministero, una funzione, un ruolo, un servizio, che ha la priorità rispetto all’identità della persona.

La parola decisiva nell’annuncio papale di ieri è però un’altra, la seguente: «Nel mondo di oggi». Ecco le sue parole: «Nel mondo di oggi per governare la barca di san Pietro è necessario anche il vigore sia del corpo sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito». Nel mondo di ieri, fa intendere Benedetto XVI, la distinzione tra persona e ruolo poteva ancora non emergere e un Joseph Ratzinger indebolito avrebbe ancora potuto continuare a svolgere il ruolo di Benedetto XVI.

Nel mondo di oggi, invece, non è più così. Io considero queste parole non solo una grande lezione di auto-consapevolezza e di laicità, ma anche una grande occasione di ripensamento per il governo della Chiesa. Le dimissioni di Benedetto XVI possono condurre a una riforma della concezione monarchica e sacrale del papato nata nel Medioevo, e riprendere la concezione più aperta e funzionale che il ruolo del papa aveva nei primi secoli cristiani?

È difficile che ciò avvenga, ma rimane l’urgenza di rimettere al centro del governo della Chiesa la spiritualità del Nuovo Testamento, passando da una concezione che assegna al papato un potere assoluto e solitario, a una concezione più aperta e capace di far vivere nella quotidianità il metodo conciliare. Non si tratta infatti solo delle condizioni di salute di Joseph Ratzinger che vengono meno.

Occorre procedere oltre e giungere a porsi l’inevitabile interrogativo: “nel mondo di oggi” è in grado un unico uomo di guidare la barca di Pietro? Si obietterà che il papa non è solo, ma è circondato da numerosi collaboratori. Ma si tratta di collaboratori ossequienti, spesso scelti tra plaudenti yes-men e senza capacità di istituire un vero confronto e una serrata dialettica interna, condizioni indispensabili per assumere decisioni in grado di far navigare la barca di Pietro “nel mondo di oggi”.

All’inizio però non era così. San Pietro aveva certamente un ruolo di guida nella prima comunità, come si apprende dal libro degli Atti, ma non esercitava tale funzione con potere assoluto, perché altrimenti non si capirebbe il concilio tenutosi a Gerusalemme verso l’anno 50 e l’aperta opposizione di San Paolo verso di lui nell’episodio di Antiochia.

L’annuncio papale di ieri è avvenuto nel contesto di alcune canonizzazioni, una delle quali riguardava i Martiri di Otranto, gli 800 cristiani uccisi dagli ottomani nel 1480 per non aver rinnegato la fede. Martirio è testimonianza. La tradizione della Chiesa però oltre al martirio rosso del sangue versato conosce il martirio verde della vita itinerante per l’apostolato e il martirio bianco per l’abbandono di tutti i propri beni.

Nel caso di Benedetto XVI abbiamo a che fare con un martirio-testimonianza di altro colore, quello del riconoscimento della propria debolezza, della propria incapacità, del proprio non essere all’altezza. È la fine di una modalità di intendere il papato, e può essere la nascita di qualcosa di nuovo.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/2/2013 15.50
Titolo:Potenza delle coincidenze simboliche, ironia della storia....
Coraggioso sacrificio o grande sconfitta?

di Franco Cardini (il manifesto, 12 febbraio 2013)

Potenza delle coincidenze simboliche, ironia della storia. Il settimo vescovo di Roma dopo quello che fu il protagonista della Conciliazione tra la chiesa e lo stato italiano se ne va - caso, più che raro, propriamente unico nella lunga storia del pontificato - l’11 febbraio, esattamente nell’ottantaquattresimo anniversario di quell’evento: e al tempo stesso due giorni prima della solennità penitenziale delle ceneri. E il giorno dopo, 12 febbraio, martedì grasso, scoppia il gran carnevale romano delle dietrologie e del totopapa. Perché se n’è andato Benedetto XVI? E chi gli terrà dietro? Se i media sembrano impazziti, la follia dei blog trionfa in termini d’un caleidoscopio rabelaisiano.

Il papa se ne va dicendo che lo fa «per il bene della chiesa»: ma, secondo l’antica cosiddetta Profezia di san Malachia, discusso ma comunque inquietante testo forse del XII, forse del XVI secolo, che mette in fila 112 motti latini ciascuno attribuibile alle caratteristiche di altrettanti papi, tanti quanti a metà del XII secolo si diceva dovessero succedersi nella storia sino alla fine della chiesa (e del mondo?), a Benedetto XVI sarebbe spettato l’epiteto di De pace olivae. Non è forse l’olivo il simbolo della pace? E non sarà che papa Ratzinger, andandosene «per il bene della chiesa», se ne sia in realtà andato pro bono pacis, sentendo di non poter più reggere ai conflitti interni alla gerarchia e alla stessa comunità dei credenti: conflitti dei quali egli, a torto o a ragione, si è sentito almeno in parte responsabile, o per aver contribuito a farli maturare o per non riuscire a gestirli?

E adesso, quo vadis, romana ecclesia? Chi sarà il prossimo ad ascendere al soglio del principe degli apostoli? Ratzinger s’immergerà probabilmente nel silenzio, come alcuni anni or sono scelse di fare Carlo Maria Martini, che in molti avrebbero voluto veder papa al suo posto. Continuerà senza dubbio a studiare e a pregare, scriverà magari altri libri, ma forse tornerà ai suoi prediletti conforti, il pianoforte e i gatti. E su chi all’interno del Sacro Collegio gli succederà, dopo un conclave che possiamo aspettarci abbastanza a breve e al quale evidentemente il cardinal Ratzinger non parteciperà, impazza la ridda delle scommesse.

Ci si affida anche alle tradizioni, alle leggende. Come quella che i cognomi dei pontefici si alternino tra quelli con e quelli senza la lettera "r": il che escluderebbe automaticamente, ad esempio, Bertone, il quale è però favorito da due altre circostanze profetico-leggendarie: la prima ch’egli è il camerlengo pontificio (i camerlenghi sono molto favoriti, come futuri papi); la seconda che egli si chiama di primo nome Tarcisio ma di secondo Pietro e ch’è nato in un paese piemontese di nome Romano.

Ora, la Profezia di Malachia nomina come papa successore di De pace olivae un Petrus romanus, e aggiunge che sarà l’ultimo della storia della chiesa. In che senso? In quello che da allora in poi tale istituzione muterà il suo assetto direzionale e non saranno più eletti papi, o in quello che sarà la chiesa stessa a scomparire, o in quello che finirà il mondo?

Ma le profezie riguardano il futuro. Pensiamo al presente. Era parecchio tempo, per la verità, che tra gli addetti ai lavori, i vaticanisti, circolava la dicerìa dell’intenzione del papa di tirarsi da parte. L’abbiamo sottovalutata tutti, anche perché di vere e proprie dimissioni, nella lunga storia del papato, non se ne sono in fondo mai avute. Anche qui, la ridda delle ipotesi è vertiginosa.

Le ragioni gravi di salute - alcuni hanno parlato di problemi oculistici massicci, altri hanno addirittura evocato lo spettro di un diagnosticato Alzheimer - sono state escluse dall’abilissimo responsabile della sala stampa vaticana, padre Lombardi, che è maestro nell’eludere con affabile eleganza le domande compromettenti ma che è di solito molto affidabile: e che ha esplicitamente detto che nessun processo morboso in atto o in vista è stato causa delle decisioni del Santo Padre.

Ma allora, che ruolo hanno le ragioni fisiche nel terzetto di motivi che il papa stesso ha indicato nel suo breve scritto in tedesco che ha fatto seguito alla dichiarazione, pronunziata in latino alla fine del concistoro del mattino dell’11?

Egli ha alluso con sobrietà ma anche con precisione a ragioni fisiche, psichiche e spirituali: in quest’ordine, omettendo però di dirci se stava enumerandole dalle più gravi alle più leggere o viceversa.

Ora, è abbastanza normale che un ultraottantenne accusi qualche acciacco e che senta vivo il desiderio di ritirarsi e di godersi un po’ di riposo. Ma che questa sacrosanta necessità fisica si accompagni a uno stress "psichico" e addirittura "spirituale", quindi - più che a una somma di tensioni e di preoccupazioni - a un vero e proprio turbamento, fa pensare. Il concistoro, cioè la solenne riunione con i cardinali, alla fine del quale si è avuto l’annunzio del papa, lascia quasi ipotizzare che la sua decisione, magari a lungo meditata e maturata, sia arrivata in tempi così inattesi in seguito a un qualche evento all’interno dei lavori della mattinata.

Si discuteva sulla canonizzazione dei "martiri di Otranto", cioè delle vittime di una scorreria turca nel salentino del 1480. Che l’evento abbia provocato fra i cardinali una discussione sull’opportunità o meno di richiamare un episodio che mette di nuovo in luce la lotta tra cristiani e musulmani, con tutti i risvolti attualistici del problema, e che ciò sia stato causa di un nuovo e più duro emergere delle tensioni interne alla chiesa, delle lacerazioni che ormai attraversano la comunità dei fedeli non meno della gerarchia?

O che abbiano qualche ragione gli osservatori statunitensi che hanno interpretato il gesto di papa Ratzinger come un risultato delle difficoltà economiche e finanziarie che ultimamente hanno sfiorato la stessa cattedra di Pietro? Ma anche quei problemi hanno un risvolto ben più profondo, in termini addirittura di concezione del cristianesimo.

Che cosa intendeva dire Paolo VI quando alluse al «fumo di Satana» insinuatosi all’interno della Chiesa? Che rapporto può esserci, ormai, proprio nella compagine dei cattolici - e parlo da cattolico anch’io - tra i soliti ignoti o seminoti che hanno potuto favorire la resistibile ascesa di un Gotti Tedeschi da una parte e gli Enzo Bianchi o gli Andrea Gallo dall’altra? Tra i prelati che benedicono le lobbies multinazionali e i loro business e quelli che stanno dalla parte degli "ultimi", ora che secondo i calcoli più recenti il 90% della popolazione mondiale vivacchia gestendo appena il 10% delle risorse del mondo, e che quindi gli "ultimi" rasentano i 6 miliardi di persone mentre la ricchezza è concentrata nelle mani di poche centinaia tra famiglie e gruppi? Come si può fare tranquillamente il "mestiere di papa", mentre la sofferenza dei poveri arriva davvero a lambire il trono di Dio e grida sul serio vendetta al Suo cospetto?

Accanto al presente, è il passato ad aiutarci: a patto di leggerlo correttamente. Lasciamo perdere il caso di Celestino V, un mistico eremita ignaro delle cose del mondo eletto nel 1294 in quanto considerato docile strumento nelle mani di chi lo avrebbe diretto e ritiratosi dopo cinque mesi per manifeste debolezza e incapacità: sia o no lui - non è mai stato provato con certezza - che Dante indica senza nominarlo come «colui che fece per viltade il gran rifiuto», nulla lo può avvicinare al colto, avveduto, prudente e competentissimo Joseph Ratzinger, che conosceva alla perfezione i meccanismi curiali e che per anni ha retto la chiesa anche prima di esser papa, discretamente nascosto dietro la mole gigantesca di quel Giovanni Paolo II che regnava eccome, ma non governava per nulla.

E lasciamo da parte anche i divertenti casi del fosco e ferreo XI secolo, Benedetto IX che più che dar le dimissioni vendette letteralmente l’ufficio pontificale, per parecchie libbre d’oro, a Gregorio VI suo pupillo che lo acquistò, e che a causa di ciò fu poi deposto per simonia. Ma forse ci aiuta il paragone con il Quattrocento, e più in particolare con il quinquennio 1409-1414, quando lo scandalo dello scisma e della chiesa divisa tra obbedienza romana e obbedienza avignonese causò la deposizione, uno dopo l’altro, di ben tre pontefici (Gregorio XII, Benedetto XIII e Alessandro V) e la convocazione del concilio di Costanza.

Forse è proprio questo, il problema del concilio e quindi della direzione monarchica o collegiale della chiesa, quel che nel Quattrocento fu messo a tacere dopo il 1449 e lo scioglimento del concilio di Basilea, ma che con forza tornò a venir discusso con il vaticano II.

Può darsi che, nelle tensioni vigenti oggi all’interno della chiesa, la questione conciliare sia tornata a riproporsi: e con essa i temi della direzione collegiale, del celibato del clero, del sacerdozio femminile, soprattutto della "chiesa dei poveri".

Dopo l’orgia di bestialità con le quali neocons e teocons, cristianisti libertarians e "atei devoti" ci hanno ammorbato negli ultimi lustri, può darsi che la discussione sul senso da dare al tema dell’Avvento del regno dei cieli all’inizio del III millennio si sia riproposta con forza, e il tempo delle scelte si stia avvicinando. Che un teologo e giurista ultraottantenne non se la sia sentita di esser lui ad affrontare e gestire l’insorgere di queste antiche eppur sempre nuove problematiche, sarebbe più che comprensibile.
Autore Città Giorno Ora
Giuseppe Fanelli Manocalzati 12/2/2013 23.57
Titolo:Il potere della Chiesa
Quanti millenni dovranno ancora trascorrere affinché si verifichi quanto scritto nelle ultime nove righe dell'articolo?
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/2/2013 22.23
Titolo:USCIRE DALLO "STATO" DI MINORITA’. ...
Fuori dal gregge

di Antonio Thellung (mosaico di pace, luglio 2012)

L’obbedienza non è più una virtù, diceva don Milani, esortando a coltivare la presa di coscienza. Non per contrapporsi all’autorità, ma per educare ciascuno ad assumere le proprie responsabilità, senza pretendere di scaricarle su altri. L’obbedienza, infatti, può anche dirsi una virtù, ma soltanto se si mantiene entro limiti equilibrati, da valutare appunto con coscienza. Perché l’obbedienza cieca è il tipico strumento utilizzato dalle strutture autoritarie gerarchico-imperialistiche per esercitare il potere, offrendo in cambio ai sudditi lo scarico della responsabilità personale. Tipico esempio si è avuto nel dopoguerra quando pareva che nessuno dei feroci gerarchi nazisti fosse colpevole, perché sostenevano tutti di aver semplicemente obbedito a ordini superiori.

Il Vangelo è chiarissimo: "Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?", ma la cristianità che si è affermata nella storia ha preferito mutuare dall’Impero Romano un’impostazione imperialistica che si mantiene presente tuttora, sia pure adattata ai tempi odierni. Un’impostazione che riduce i fedeli a "docile gregge", come li definiva a suo tempo Pio X.

Il Vangelo, inoltre, esorta anche a non chiamare nessuno padre sulla terra, un lampante invito a non cadere nelle tentazioni del paternalismo, che svaluta la dignità delle persone. Ma l’uso di chiamare "padre" i ministri del culto la dice lunga. Nello stesso brano, poi, Gesù in persona ammonisce i suoi apostoli a non farsi chiamare maestri perché solo Cristo è il maestro, ma sorprendentemente su taluni documenti ecclesiastici anche dei tempi presenti, come ad esempio il Documento di Base del 1970, si legge nientemeno che: "Per disposizione di Cristo, gli Apostoli affidarono ai loro successori, i Vescovi, il proprio ufficio di Maestri". Incredibile!

Si potrebbe dire che il magistero ha sempre richiesto ai fedeli un’obbedienza cieca, e non pochi tra coloro che hanno cercato di opporsi hanno pagato talvolta perfino con la vita.

San Francesco, nella sua prima regola, aveva provato a scrivere che un frate non è tenuto a obbedire al superiore se questi gli ordina qualcosa di contrario alla sua coscienza, ma naturalmente papa Innocenzo III si è guardato bene dall’approvarla. In tempi più recenti, nel 1832, Gregorio XVI definiva un delirio la libertà di coscienza e nel 1954 Pio XII scriveva: "È giusto che la Chiesa respinga la tendenza di molti cattolici a essere considerati ormai adulti". Non è stupefacente?

Chi esercita il potere, di qualsiasi tipo, vorrebbe dai sudditi una delega in bianco, perché teme le coscienze adulte, che sono difficilmente governabili per il loro coraggio di esprimere dissenso, quand’è il caso. E tanto più il potere è prepotente e prevaricante, tanto più esige un’obbedienza cieca.

Il magistero ecclesiastico ha sempre mostrata una grande avversione al dissenso, trattandolo come un nemico da combattere perfino con metodi violenti, nel caso, senza capire che proprio il dissenso è il miglior amico degli insegnamenti di Cristo, perché agisce come sentinella delle coscienze.

Il dissenso, nella Chiesa, c’è sempre stato, con buona pace di coloro che nelle varie epoche storiche hanno preteso di soffocarlo usando talvolta armi che sono incompatibili con l’insegnamento di Gesù. Sarebbe ora che l’autorità prendesse atto che il dissenso non è un nemico ma, anzi, un grande amico, anche se può rendere più complesso e faticoso il cammino.

Il Concilio Vaticano II mostrava di averlo capito quando scriveva, nella Gaudium et Spes: "La Chiesa confessa che molto giovamento le è venuto e le può venire perfino dall’opposizione di quanti la avversano o la perseguitano". Ma ben presto, poi, sono prevalsi nuovamente gli atteggiamenti di repressione e condanna verso chi tenta coraggiosamente di alzare la testa. essere credibili

Personalmente non dubito che un magistero ecclesiastico sia necessario e prezioso, ma di quale tipo? Qualsiasi coscienza adulta sa che di fronte a disaccordi e perplessità non avrebbe alcun senso rifiutare l’autorità o ribellarsi tout court: non sarebbe costruttivo. Ma sente però il dovere, prima ancora che il diritto, di chiedergli maggiore credibilità, di esigere che sappia proporre senza imporre, con rispettoso ascolto delle opinioni altrui. Gli ascoltatori di Gesù "rimanevano colpiti dal suo insegnamento", perché "parlava con autorità", e non perché aveva cariche istituzionali. Così il magistero può sperare di essere creduto, dalle coscienze adulte, quando offre messaggi autorevoli e convincenti, e non per il solo fatto di essere l’autorità costituita.

Oggi la credibilità dei vertici ecclesiastici, con tutti gli scandali di questi tempi, è fortemente minata, e si potrebbe dire che solo facendo leva surrettiziamente sulla grande fede in Gesù Cristo che continua a sostenere tante persone (malgrado tutto) evita di porsi in caduta libera. Ma fino a quando, se permane la pretesa di continuare a proporsi come magistero di un "docile gregge?".

La parabola della zizzania insegna che la Chiesa è comunione di consensi e dissensi, perciò, per recuperare credibilità, le autorità dovrebbero finalmente prenderne atto e imparare a dialogare con tutti alla pari, e in particolare proprio con il dissenso. Dovrebbero educarsi ed educare ad accoglierlo con l’attenzione che merita. Perché un dissenso respinto e represso a priori diventa facilmente aspro, arrabbiato, distruttivo mentre, se accolto con benevolenza, può diventare costruttivo, benevolo, e perfino affettuoso.

Una buona educazione al dissenso potrebbe diventare la miglior scuola alla formazione di coscienze adulte, capaci di confrontarsi senza acquiescenze o confusioni e censure. Capaci, cioè, di non farsi travolgere da vergognosi intrallazzi di qualsiasi tipo.

Personalmente, cerco, nel mio piccolo, di fare quel che posso. Qualche anno fa l’editrice la meridiana ha pubblicato un mio libro dal titolo "Elogio del dissenso", e per ottobre prossimo ha in programma di pubblicare un mio nuovo saggio dal titolo "I due cristianesimi", scritto per sottolineare le differenze tra il messaggio originale di Cristo e l’imperialismo cristiano, non solo come si è affermato nella storia, ma anche come si manifesta al presente. L’interrogativo è focalizzato sulla speranza nel futuro, mentre le critiche a quanto è stato ed è contrabbandato in nome di Cristo servono solo per capire meglio come si potrebbe uscir fuori dalle tante macrocontraddizioni.

La speranza è irrinunciabilmente legata a una Chiesa delle coscienze adulte, perciò sogno un magistero impegnato a farle crescere senza sottoporle a pressioni psicologiche; un magistero capace d’insegnare a distinguere il bene dal male senza imporre valutazioni precostituite; lieto di aiutare ognuno a diventare adulto e autonomo senza costringerlo a sottomettersi; volto a stimolare una sempre maggiore consapevolezza rinunciando a imposizioni precostituite. Un magistero che affermi i suoi principi senza pretendere di stigmatizzare le opinioni diverse; che proponga la propria verità senza disprezzare le verità altrui. In altre parole, sogno una Chiesa dove sia possibile ricercare, discutere, confrontarsi, camminare assieme.

Sogno un magistero che affermi il patrimonio positivo della fede, libero dalla preoccupazione di puntualizzare il negativo; che sappia offrire gratuitamente l’acqua della vita, senza voler giudicare chi beve; che proponga la verità di Cristo, esortando a non accettarla supinamente; che tracci la strada, ammonendo a non seguirla passivamente; che offra strumenti per imparare a scegliere, a non essere acquiescenti, a non accontentarsi di un cristianesimo mediocre e tiepido. Un Magistero che preferisca circondarsi da persone esigenti, irrequiete, contestatrici, piuttosto che passive, pavide, addormentate. Esso per primo ne trarrebbe grandi benefici: sarebbe il magistero di un popolo adulto, maturo, responsabile.

Etimologicamente la parola obbedienza significa ascolto, e sarebbe ora di educarci tutti a questo tipo di obbedienza reciproca: i fedeli verso l’autorità, ma anche l’autorità verso chiunque appartenga al Popolo di Dio, non importa con quale ruolo. Solo questa obbedienza è autentica virtù. Chissà se San Paolo, quando esortava a sperare contro ogni speranza, si riferiva anche alle utopie!

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Commenti Articolo 581

Titolo articolo :   GESU’ FU GUIDATO DALLO SPIRITO NEL DESERTO E TENTATO DAL DIAVOLO,di P. Alberto Maggi OSM

Ultimo aggiornamento: February/15/2013 - 15:16:03.

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Autore Città Giorno Ora
Carlo Castellini Brescia 15/2/2013 15.16
Titolo:satana alla pari di dio
CARO PADRE ALBERTO,NON RIESCO MOLTO A CONCEPIRE SATANA COME PERSONA. COME ANGELO LO PENSO INFERIORE A DIO E QUINDI A CRISTO, PERCHE'SUA CREATURA. NEL RACCONTO DELLE TENTAZIONI SEMBRA QUASI CHE GESÙ SUBISCA LA SUPERIORITA' DI SATANA, CHE GLI PARLA QUASI ALLA PARI, SENZA INVECE ESSERLO. AIUTAMI A CAPIRE QUESTO. SONO SOLITO INVECE PENSARE IL MALE COME LIMITE DELL'UOMO CHE È CONFUSO ED ACCIECATO ED HA PERSO IL BENE DELL'INTELLETTO. CARLO DA BRESCIA.

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Commenti Articolo 582

Titolo articolo : CRISI EPOCALE. Uno spettro si aggira nella storia della Chiesa cattolica moderna: il Concilio. Un'analisi di Franco Cardini  - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/15/2013 - 14:01:39.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/2/2013 22.40
Titolo:La presenza femminile al Concilio Vaticano II ...
“Sorores carissimae et admirandae”

La presenza femminile al Concilio Vaticano II

di Andrea Lebra

in “Settimana” n. 32 del 9 settembre 2012

Da poche settimane è arrivato in libreria, per i tipi di Carocci Editore (luglio 2012), un gradevole ed istruttivo studio sulla presenza delle donne al Concilio Ecumenico Vaticano II. Ne è autrice Adriana Valerio, teologa e storica, tra le fondatrici del “Coordinamento Teologhe Italiane”, docente di Storia del Cristianesimo e delle Chiesa all’Università “Federico II” di Napoli, studiosa di tematiche riguardanti la presenza delle donne nel cristianesimo.

Come scrive nella “presentazione” Marinella Perroni, Presidente del Coordinamento Teologhe Italiane, il libro, dal titolo “Madri del Concilio - Ventitre donne al Vaticano II”, è stato scritto per “tirare fuori finalmente dagli archivi della memoria i volti e le vite di ventitre donne che, per la prima volta nella storia, hanno preso parte ad alcune sessioni di un Concilio e, pur rispettando l’ordine di tacere nelle assemblee generali, hanno saputo trovare le occasioni giuste per pronunciare parole efficaci”.

Ad auspicare l’aumento del numero di “uditori laici” al Concilio e a fare in modo che questo incremento comprendesse delle donne, era stato il 22 ottobre 1963 il cardinal Suenens nel corso di un suo vigoroso discorso sui carismi nella Chiesa. Paolo VI, accogliendo l’invito, aveva deciso di ammettere alle sedute conciliari alcune rappresentanti degli ordini religiosi femminili ed alcune rappresentanti qualificate del laicato cattolico: complessivamente dal settembre 1964 al luglio 1965, furono chiamate ventitre uditrici (dieci religiose e tredici laiche). Delle tredici laiche, nove erano nubili, tre vedove e una sola coniugata: tutte (eccetto una, Gladys Parentelli) rigorosamente vestite di nero con un velo sul capo.

“Amate figlie”

E’ sintomatico che, quando il 14 settembre 1964, per l’inaugurazione della III sessione del Concilio, il papa salutò le uditrici (“le nostre amate figlie in Cristo...alle quali per la prima volta è stata data la facoltà di partecipare ad alcune adunanze del Concilio”), in realtà di uditrici in aula non c’era neppure l’ombra. Motivo ? Non erano ancora state designate: infatti le prime nomine ufficiali avvennero dopo il 21 settembre. Perché - si chiede l’Autrice - questa clamorosa sfasatura dei tempi ? “E’ difficile dirlo se non ipotizzando la resistenza di alcune personalità della Curia a far partecipare le donne” ad una assemblea costituita da soli maschi. Sta di fatto che la prima donna ad entrare in aula il 25 settembre 1964 fu una laica francese, Marie-Louise Monnet, fondatrice del MIASMI (“Mouvement International d’Apostolat des Milieux Sociaux Indépendants”), sorella di Jean, uno dei padri fondatori dell’Unione Europea.

Nonostante Paolo VI, l’8 settembre 1964 a Castel Gandolfo, avesse parlato di rappresentanze femminili al Concilio certamente “significative” ma “quasi simboliche”, non avendo diritto né di parola né di voto, ben presto queste ventitre straordinarie “madri del Concilio”, salutate con enfasi da alcuni “padri conciliari” con le parole “carissimae sorores”, “sorores admirandae” o “pulcherrimae auditrices”, trovarono il modo di partecipare in modo attivo e propositivo ai gruppi di lavoro, presentando memorie scritte e contribuendo con la loro cultura e sensibilità alla stesura dei documenti, in particolare di quelli riguardanti temi come la vita religiosa, la famiglia e la presenza dei laici (uomini e donne) nella Chiesa e nella società o, più semplicemente e prosaicamente, invitando a pranzo vescovi influenti ai quali comunicare i propri “desiderata”. In ciò incoraggiate dalla Segreteria di Stato che, nel settembre 1964, chiarì che la loro presenza non doveva essere intesa in senso passivo, essendo esse invitate a dare un apporto di studio e di esperienza alle commissioni incaricate di ricevere e di emendare gli schemi destinati alle sessioni conciliari.

Un contributo significativo

La più vivace delle uditrici laiche fu senza dubbio la spagnola Pilar Bellosillo, presidente dell’Unione mondiale delle organizzazioni femminili cattoliche (UMOFC). Per ben due volte, in nome del divieto paolino di 1 Cor. 14,34 “le donne tacciano in assemblea”, citato dal segretario del Concilio, Pericle Felice (pare, in difficoltà a rivolgere la parola alle uditrici, anche solo per salutarle), le fu impedito di parlare in assemblea generale, nonostante fosse stata espressamente nominata portavoce del suo “gruppo di studio”. Il secondo rifiuto le fu opposto verso la fine del Concilio: nell’occasione era stata semplicemente incarica di esprimere ai padri conciliari la gratitudine sua e delle colleghe per il privilegio loro accordato di partecipare al Concilio. Ancora una volta il rifiuto fu motivato con l’anacronistico e ridicolo “mulieres in ecclesiis taceant”. Al grande teologo domenicano e perito conciliare Yves Congar che, nell’ambito del gruppo sullo schema dell’apostolato dei laici, voleva inserire nel documento un’elegante espressione con la quale le donne erano paragonate alla delicatezza dei fiori e ai raggi del sole, la (fisicamente) minuta ma energica uditrice australiana Rosemary Goldie disse, a mo’ di rispettosa tiratina d’orecchie: “Padre, lasci fuori i fiori. Ciò che le donne vogliono dalla Chiesa è di essere riconosciute come persone pienamente umane”.

La messicana Luz Maria Longoria, presente al Concilio con il marito Josè Alvarez Icaza, pose in discussione quello che i manuali di teologia, in uso prima del Concilio, definivano fini “primari” e “fini secondari” del matrimonio, dove primaria era la procreazione dei figli e secondario il rimedio alla concupiscenza dell’atto sessuale. La copresidente del MFC (“Movimiento Familiar Cristiano”), molto attiva all’interno del gruppo che doveva esaminare lo “schema XIII”, chiese di liberare l’atto sessuale dal senso di colpa e di restituire ad esso la sua insita motivazione d’amore. Ad un padre conciliare disse: “Disturba molto a noi madri di famiglia che i figli risultino frutto della concupiscenza. Io personalmente ho avuto molti figli senza alcuna concupiscenza: essi sono il frutto dell’amore”.

Verso la chiusura del Concilio, il 23 novembre 1965, uditori e uditrici laiche pubblicarono una dichiarazione congiunta, per rendere conto del lavoro fatto. Consapevoli di essere stati testimoni di una tappa storica di apertura della Chiesa alla sua componente laica, sottolinearono l’importanza vitale di alcuni documenti ai quali avevano dato un significativo contributo con discussioni e scambi di idee. In particolare fecero riferimento al cap. IV della “Lumen gentium” dedicato ai “laici”, alle parti della “Gentium et spes” riguardante la partecipazione dei credenti alla costruzione della città umana e al decreto sull’apostolato dei laici “Apostolicam actuositatem”.

Nella dichiarazione congiunta uditori e uditrici richiamarono anche l’attenzione che, grazie a loro, il Concilio aveva trattato questioni come la costruzione della pace, il dramma della povertà nel mondo, l’esistenza di diseguaglianze e ingiustizie che richiedono una più equa distribuzione delle ricchezze, la difesa della libertà di coscienza, i valori del matrimonio e della famiglia, l’unità di tutti i cristiani, di tutti i credenti e di tutta l’umanità. Il 3 dicembre 1965 vollero redigere un comunicato stampa nel quale ribadirono il loro ruolo attivo svolto, apprezzato dai padri conciliari che si erano spesso rivolti a loro per consigli e a volte si sono fatti eco delle loro opinioni nell’aula conciliare.

Nomi e cognomi

Consapevole del grande impegno profuso nell’adempimento del compito loro assegnato, il 7 dicembre 1965, Paolo VI, ricevendo uditori e uditrici, espresse la propria soddisfazione “per la collaborazione preziosa” assicurata dagli uni e dalle altre, in modo “discreto ed efficace”, “ai lavori dei padri e delle commissioni”.

Nomi e cognomi delle ventitre “madri del Concilio”, ormai quasi tutte tornate al casa del Padre, vanno doverosamente ricordati. Uditrici religiose: Mary Luke Tobin (Usa); Marie de la Croix Khouzam (Egitto); Marie Henriette Ghanem (Libano); Sabine del Valon (Francia); Juliana Thomas (Germania); Suzanne Guillemin (Francia); Cristina Estrada (Spagna); Costantina Baldinucci (Italia); Claudia Feddish (Usa), Jerome Maria Chimy (Canada). Uditrici laiche: Pilar Bellosillo (Spagna); Rosemary Goldie (Australia); Marie-Louise Monnet (Francia); Anne Marie Roeloffzen(Olanda); Amalia Dematteis (Italia); Ida Marenchi-Marengo (Italia); Alda Miceli (Italia); Catherine McCarthy (Usa); Luz Maria Longoria (Messico); Margarita Moyano Llerena (Argentina); Gladys Parentelli (Uruguay); Gertrud Ehrle (Germania); Hedwig von Skoda (Cecoslovacchia).

Leggendo le loro biografie, ricostruite da Adriana Valerio con materiale inedito, un dato emerge con sufficiente chiarezza: nonostante il decisivo riconoscimento, a livello teorico, operato dal Concilio della dignità della donna e del ruolo insostituibile che può e deve svolgere, in forza del battesimo, nella comunità ecclesiale come nella società civile, molto rimane da fare per ridimensionare, a livello pratico, il monopolio clericale e androcentrico sulla storia e sulla vita della Chiesa in nome della vera uguaglianza che vige fra tutti i membri del popolo di Dio.

Andrea Lebra - andleb@libero.it
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/2/2013 22.42
Titolo:Le donne come soggetti ...
Le donne come soggetti, oltre il ruolo di madri e spose

di Maria Cristina Bartolomei (“Jesus”, gennaio 2013)

L’atmosfera natalizia colora di sé l’inizio del nuovo anno, proseguendo liturgicamente nella celebrazione della maternità di Maria, della Sacra Famiglia e dell’Epifania. Anche indipendentemente dalla fede, tali festività comunicano un forte messaggio simbolico di attenzione al mistero di vita nuova che ogni neonato reca con sé in dono per tutti, alla famiglia e, in modo tutto particolare, alla figura della madre. Ma quanto tali simboli hanno veramente improntato di sé la nostra civiltà? Gli orrendi crimini che si consumano oggi sui bambini (pedofilia, traffico d’organi, sfruttamento del lavoro, schiavizzazione, prostituzione) sono versioni aggiornate di una violenza sui minori che, semmai, in epoca moderna si è attenuata, e che oggi viene almeno condannata e combattuta sul piano sociale e legislativo.

Sembra invece accrescersi, anziché attenuarsi, la violenza sulle donne, che presenta forme sempre più estreme. Maltrattamenti, stupri, molestie, molte forme di oppressione e schiavizzazione, fino al femminicidio: nel 2012 nella sola Italia più di cento donne sono state uccise da uomini quasi sempre loro partner o familiari. Una strage sulla quale ci si deve interrogare e che impone risposte sul piano del costume e della cultura.

Quando si parla della famiglia non si dovrebbe dimenticare, accanto a tutte le note positive, anche tale nota sinistra: di famiglia le donne non solo vivono, ma anche muoiono. Per questo, la stessa esaltazione della figura materna può rivelarsi un’arma a doppio taglio, giacché rischia di ridurre la donna a una, per quanto nobile e altissima, funzione, invece di valorizzarla in sé, in quanto essere umano.

L’attenzione alla madre può infatti celare e indurre una distorsione dello sguardo: la donna vale in quanto e perché genera, perché genera uomini. E, così, le categorie entro le quali la vita femminile è stata a lungo compresa e compressa (vergine-sposa-madre), che ci danno un’immagine della donna non come un soggetto che guarda il mondo, ma come un oggetto, come una guardata dagli uomini, definita dalla sua relazione con l’universo maschile.

Mai si è, invece, pensato di poter comprendere l’uomo riducendolo alle categorie di vergine-sposo-padre, che pure gli si attagliano. La coscienza media ecclesiale non si sente investita dal fenomeno della violenza sulle donne quanto dovrebbe, giacché, nonostante la forza liberante dell’Evangelo, della prassi di Gesù e della comunità cristiana primitiva, e benché il cristianesimo abbia contribuito moltissimo alla liberazione delle donne, le tradizioni e la mentalità ecclesiastiche sono state e sono ancor oggi profondamente contaminate da misoginia, dal disprezzo per le donne, dalla non percezione della necessità del loro apporto nella vita sociale e ancor più ecclesiale, dal non riconoscimento che la loro umanità e quella dell’uomo sono equivalenti nella loro diversità, segnate da una non adeguata coscienza della piena soggettività e libertà femminili e da molte consuetudini e pregiudizi ad esse avverse.

Il 25 novembre scorso si è celebrata la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Nello stesso giorno ricorre la memoria liturgica di santa Caterina d’Alessandria che, secondo la tradizione, subì il martirio nel 305: si era infatti rifiutata di adorare gli dei pagani durante i festeggiamenti per il tetrarca Massimino Daia, cercando, anzi, con argomentazioni profonde, di convertire quest’ultimo. Data la sua giovinezza, bellezza e il suo essere di stirpe regale, l’imperatore tentò di salvarla, inviandole un gruppo di filosofi e retori per indurla ad abiurare la sua fede. Ma fu lei a persuaderli: aderirono al cristianesimo e morirono martiri.

È difficile distinguere in tutto ciò la storia dalla leggenda (tanto che per quattro decenni la Chiesa cattolica la escluse dal martirologio, riammettendovela nel 2002), essendo i documenti disponibili assai tardivi. Santa Caterina - alla quale Giustiniano intitolò il celebre monastero sul monte Sinai, dove narra la leggenda il suo corpo sia stato trasportato dagli angeli - è tuttavia venerata da tempi antichissimi da tutte le Chiese cristiane che ammettono il culto dei santi e che ci hanno in tal modo trasmesso il messaggio della capacità apostolica, teologica e filosofica delle donne.

Una cosa così inaudita per la cultura patriarcale e androcentrica da far pensare che la storia sia vera: tanto è difficile immaginare che se la siano inventata! La figura di santa Caterina addita una via decisiva: valorizzare le capacità dello spirito e della mente delle donne, liberandole dall’essere ridotte allo sguardo della cultura androcentrica. Ciò è a vantaggio non solo delle donne, ma di tutta l’umanità, e al fine di una maggiore trasparenza della Chiesa nel servizio all’Evangelo.

Il rinnovamento della società e della politica in crisi richiede l’apporto delle donne. E perché il messaggio evangelico possa raggiungere le donne, queste debbono sentirsi rispettate e riconosciute: non ci sarà un’evangelizzazione veramente nuova senza che le donne ne siano piene destinatarie e coprotagoniste.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/2/2013 22.43
Titolo:Ci rifiutiamo di condannare “il genere” ...
Noi, cattolici, ci rifiutiamo di condannare “il genere”

di Anne-Marie de la Haye e la segreteria del Comité de la Jupe

in “www.comitedelajupe.fr” del 27 gennaio 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Siamo delle cristiane e dei cristiani, fedeli al messaggio del vangelo, e viviamo lealmente questo attaccamento all’interno della Chiesa cattolica. La nostra esperienza professionale, i nostri impegni associativi e le nostre vite di uomini e di donne ci danno la competenza per analizzare le evoluzioni dei rapporti tra gli uomini e le donne nelle società contemporanee, e per discernervi i segni dei tempi.

Abbiamo preso conoscenza delle raccomandazioni del nostro Santo Padre, papa Benedetto XVI, rivolte al Pontificio Consiglio Cor Unum, nelle quali esprime la sua opposizione nei confronti di quella che chiama “la teoria del genere”, mettendola sullo stesso piano delle “ideologie che esaltavano il culto della nazione, della razza, della classe sociale”. Riteniamo questa condanna infondata ed infamante. Il rifiuto che l’accompagna di collaborare con ogni istituzione suscettibile di aderire a questo tipo di pensiero, è ai nostri occhi un errore grave, tanto dal punto di vista del percorso intellettuale che della scelta delle azioni intraprese a servizio del vangelo.

Affermiamo qui, con la massima solennità, che non possiamo aderirvi.

In primo luogo, è sterilizzante. Infatti, nel campo del pensiero, rifiutare di prender conoscenza di certe opere, o di affrontare argomenti con certi partner senza mostrare a priori un atteggiamento benevolo e disponibile al dibattito non è il modo migliore per progredire in direzione della verità.

Che cosa sarebbe successo se Tommaso D’Aquino si fosse astenuto dal leggere Aristotele, con il pretesto che non conosceva il vero Dio e che le sue opere gli erano state trasmesse da traduttori musulmani?

Del resto, sul campo, sapere se si deve o meno collaborare con soggetti animati da idee diverse dalle nostre, è una decisione che può essere presa solo in quel luogo e in quel determinato momento, in funzione delle forze presenti e dell’urgenza della situazione. Cosa sarebbe successo, a proposito della lotta contro il nazismo e il fascismo, se i resistenti cristiani avessero rifiutato di battersi accanto ai comunisti, atei e solidali di un regime criminale?

Veniamo ora al tema in questione: smettiamola di lasciare che si dica che la nozione del genere è una macchina da guerra contro la nostra concezione di umanità. È falso. Essa è frutto di una lotta sociale, e cioè la lotta per l’uguaglianza tra uomini e donne, che si è sviluppata da circa un secolo, inizialmente nei paesi sviluppati (Stati Uniti d’America ed Europa), e di cui i paesi in via di sviluppo cominciano ora a sentire i frutti. Questa lotta sociale ha stimolato la riflessione di ricercatori in numerose discipline delle scienze umane; queste ricerche non sono terminate, e non costituiscono affatto una “teoria” unica, ma un insieme diversificato e sempre in movimento, che non bisognerebbe ridurre ad alcune sue espressioni più radicali.

Il vero problema non è quindi ciò che si pensa della nozione di genere, ma ciò che si pensa dell’uguaglianza uomo/donna. E, di fatto, la lotta per i diritti delle donne rimette in discussione la concezione tradizionale, patriarcale, opposta all’uguaglianza, dei ruoli attribuiti agli uomini e alle donne nell’umanità.

Nelle società in via di sviluppo in particolare, la situazione delle donne è ancora tragicamente lontana dall’uguaglianza. L’accesso delle donne all’istruzione, alla salute, all’autonomia, al controllo della loro fecondità si scontra con forti resistenze delle società tradizionali. Peggio ancora: in certi luoghi è costantemente minacciato perfino il semplice diritto delle donne alla vita, alla sicurezza e all’integrità fisica.

Non si può, come fa il papa nei suoi interventi a questo proposito, pretendere che si accolga come autentico progresso l’accesso delle donne all’uguaglianza dei diritti, e continuare al contempo a difendere una concezione di umanità in cui la differenza dei sessi implica una differenza di natura e di vocazione tra gli uomini e le donne. C’è in questo una contorsione intellettuale insostenibile.

Come negare infatti che i rapporti uomo/donna siano oggetto di apprendimenti influenzati dal contesto storico e sociale? Pretendere di conoscere assolutamente, e col disprezzo di ogni indagine condotta con le acquisizioni delle scienze sociali, quale parte delle relazioni uomo/donna deve sfuggire all’analisi sociologica e storica, manifesta un blocco del pensiero del tutto ingiustificabile.

Dietro questo blocco del pensiero, sospettiamo un’incapacità a prender posizione nella lotta per i diritti delle donne. Eppure, questa lotta non è forse quella delle oppresse contro la loro oppressione, e il ruolo naturale dei cristiani non è forse quello di rovesciare i potenti dai troni?

Levarsi a priori contro anche solo l’uso della nozione di genere, significa confondere la difesa del Vangelo con quella di un sistema particolare. La Chiesa ha fatto questo errore due secoli e mezzo fa, confondendo difesa della fede e difesa delle istituzioni monarchiche, e più tardi dei privilegi della borghesia. Rifacendo un errore analogo, ci condanneremmo ad una emarginazione ancora maggiore di quella in cui ci troviamo già attualmente. Come non temere che questa condanna frettolosa sia uno dei tasselli di una crociata antimodernista mirante a demonizzare un’evoluzione contraria alle posizioni acquisite dell’istituzione?

Per questo motivo, con viva preoccupazione, ci appelliamo ai fedeli cattolici, ai preti, ai religiosi e alle religiose, ai diaconi, ai vescovi, affinché evitino alla nostra chiesa questa situazione di impasse intellettuale, e perché sappiano riconoscere, dietro a una disputa di termini, le vere poste in gioco della lotta per i diritti delle donne, e il giusto posto della loro Chiesa in questa lotta evangelica.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/2/2013 22.46
Titolo:UN NUOVO CONCILIO, SUBITO! In memoria di Carlo M. Martini ....
UN APPELLO PER LA PACE: UN NUOVO CONCILIO, SUBITO!

Caro Cardinale Martini

“Era””, “è ”: GESU’, IL SALoMONE, IL PESCE (“Ixthus”), sempre libero dalle reti del Pastore-Pescatore (del IV sec.)!

di Federico La Sala *

Karol Wojtyla, il grande Giovanni Paolo II è morto! E se è vero che “il mondo - come ha detto il nuovo papa - viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori”, è anche vero che nel IV secolo - con il ‘pallio’ ... di Roma, comincia “la grande politica” - muore il cristianesimo e nasce l’impero cattolico-romano. La religione ebraica diventa passato, archeologia, e la religione cattolico-romana diventa storia, presente e futuro. Contro ogni tentennamento, la “Dominus Jesus” non è stata scritta invano e la prima Omelia (24 aprile 2005) di Ratzinger - Benedetto XVI ha chiarito subito, senza mezzi termini, a tutti i fratelli e a tutte le sorelle, chi è il fratello maggiore (e chi sono - i fratelli maggiori)... chi è il nuovo Papa, e qual è la “nuova Gerusalemme”.

Per Ratzinger - BenedettoXVI non c’è nessun dubbio e nessun passo indietro da fare. Finalmente un passo avanti è stato fatto. Guardino pure i sudditi dell’Urbe, e dell’Orbi: il “distintivo” cattolico è qui! Ma Wojtyla? Giovanni Paolo II? La visita alla Sinagoga di Roma? Toaff? - La Sinagoga?! Toaff?! Gerusalemme?!: “Roma omnia vincit”, non Amor...! Rilegga l’Omelia (www.ildialogo.org/primopiano): la Chiesa cattolico-romana è viva, vince alla grande, im-mediaticamente! Rifletta almeno su questi “passaggi”:

"Cari amici! In questo momento non ho bisogno di presentare un programma di governo [...] Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia. Invece di esporre un programma io vorrei semplicemente cercare di commentare i due segni con cui viene rappresentata liturgicamente l’assunzione del Ministero Petrino; entrambi questi segni, del resto, rispecchiano anche esattamente ciò che viene proclamato nelle letture di oggi". "Il primo segno è il Pallio, tessuto in pura lana, che mi viene posto sulle spalle. Questo antichissimo segno, che i Vescovi di Roma portano fin dal IV secolo, può essere considerato come un’immagine del giogo di Cristo, che il Vescovo di questa città, il Servo dei Servi di Dio, prende sulle sue spalle. Il giogo di Dio è la volontà di Dio, che noi accogliamo. [...]

"E questa volontà non è per noi un peso esteriore, che ci opprime e ci toglie la libertà. Conoscere ciò che Dio vuole, conoscere qual è la via della vita - questa era la gioia di Israele, era il suo grande privilegio. Questa è anche la nostra gioia: la volontà di Dio non ci aliena, ci purifica magari in modo anche doloroso e così ci conduce a noi stessi. [...] In realtà il simbolismo del Pallio è ancora più concreto: la lana d’agnello intende rappresentare la pecorella perduta o anche quella malata e quella debole, che il pastore mette sulle sue spalle e conduce alle acque della vita. La parabola della pecorella smarrita, che il pastore cerca nel deserto, era per i Padri della Chiesa un’immagine del mistero di Cristo e della Chiesa.[...]. Così il Pallio diventa il simbolo della missione del pastore, di cui parlano la seconda lettura ed il Vangelo. La santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore [...]. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi”.

In verità, Nietzsche, uno dei tre grandi - con Marx e Freud - maestri del sospetto che stimava Gesù, ma nient’affatto il cattolicesimo - definito da lui, un platonismo per il popolo, l’aveva già detto - e anche in modo più profetico: “il deserto avanza. Guai a chi nasconde il deserto dentro di sé!” (Così parlò Zarathustra).

Cosa pensare? Che fare, intanto? Aspetterò. Sì! Aspetterò! Per amore di tutta la Terra e “per amore di Gerusalemme non mi darò pace, finché non sorga come stella la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come una lampada. Allora tutti i popoli vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria”(Isaia).

Federico La Sala

* ildialogo.org, Mercoledì, 27 aprile 2005
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/2/2013 10.51
Titolo:la "grazia di stato" e l'infallibilita' con la scadenza ....
L’infallibilità con la scadenza

di Vito Mancuso (la Repubblica, 14.02.2013)

IERI il portavoce della Sala Stampa Vaticana, il gesuita padre Lombardi, ha dichiarato che dalla sera del 28 febbraio prossimo Joseph Ratzinger non sarà più infallibile. Ora, se è già difficile capire come un essere umano possa giungere a essere infallibile, forse ancora più difficile è comprendere come possa all’improvviso cessare di esserlo. È stato però lo stesso padre Lombardi a chiarire bene la questione.

E ha sottolineato che l’infallibilità “è connessa al ministero petrino, non alla persona che ha rinunciato al Pontificato”. L’attuale pontefice cioè è infallibile in quanto papa Benedetto XVI, perché, da papa, gode della particolare grazia legata al suo stato di Romano Pontefice, che la teologia chiama precisamente “grazia di stato”. Non è per nulla infallibile invece in quanto individuo di nome Joseph Ratzinger, il quale, da uomo come noi, può sbagliare nelle cose ordinarie della vita, per esempio nei giudizi sulle persone (e non penso ci possano essere dubbi sul fatto che su qualcuno dei collaboratori non abbia sempre visto giusto), nei giudizi politici, e persino in quelli biblici e teologici.

Ratzinger era del tutto consapevole di tutto ciò, visto che scrisse nel suo primo volume su Gesù che “ognuno è libero di contraddirmi”, e che cosa spinge un papa a dire che ognuno è libero di contraddirlo (persino quando scrive su Gesù!), se non precisamente la consapevolezza della sua umana possibilità di sbagliare? Ma se le cose stanno così, in che cosa precisamente consiste l’infallibilità papale e da dove viene?

L’infallibilità che spetta al Romano pontefice è il penultimo dei dogmi dichiarati dalla Chiesa cattolica. Venne proclamato dal Concilio Vaticano I con la Costituzione dogmatica Pastor aeternus del 18 luglio 1870, in un’Europa che il giorno dopo avrebbe visto lo scoppio della Guerra franco-prussiana tra il Secondo Impero francese e il Regno di Prussia e in una Roma che quasi già preavvertiva l’arrivo delle truppe piemontesi pronte a dare l’assalto alla capitale dello Stato pontificio. Il papa regnante era Pio IX, che sei anni prima aveva pubblicato una vera e propria dichiarazione di guerra al mondo moderno, il famoso Sillabo ossia raccolta di errori proscritti.

Ad essere assediata quindi, prima ancora che lo fosse la capitale dello Stato pontificio, era la mente cattolica, che assisteva all’inarrestabile processo che l’andava privando di quel primato morale e spirituale che deteneva da secoli. Si spiega così il desiderio di accentramento attorno alla figura del papa e del suo primato da cui scaturì il dogma dell’infallibilità pontificia. Esso dichiara che il Romano pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando definisce una dottrina in materia di fede e di morale, gode di infallibilità. E che per la fede cattolica non si tratti di un semplice optional, ci ha pensato il Vaticano I a renderlo chiaro: “Se poi qualcuno, Dio non voglia!, osasse contraddire questa nostra definizione: sia anatema”. Anatema, per chi non lo sapesse, è sinonimo di scomunica.

Dal 1870 a oggi il dogma dell’infallibilità è stato usato solo una volta, per la precisione da Pio XII nel 1950 quando proclamò il dogma dell’Assunzione in cielo della Beata Vergine Maria in corpo e anima. Ma nonostante l’uso parsimonioso, la questione dell’infallibilità divenne rovente lo stesso a causa del celebre teologo svizzero Hans Küng che, precisamente per aver criticato l’infallibilità pontificia con un libro che fece epoca dal titolo Infallibile? Una domanda (1970), venne privato da Giovanni Paolo II della qualifica di teologo cattolico.

È credibile oggi un dogma come quello dell’infallibilità papale? A mio avviso esso finisce piuttosto per allontanare dal sentimento religioso. Io penso infatti che per la coscienza sia la stessa nozione di infallibilità a risultare oggi improponibile, quando le stesse scienze esatte si dichiarano consapevoli di presentare dati sempre sottoposti a possibile revisione e come tali dichiarabili solo “non falsificati” e mai assolutamente veri.

Viviamo in un’epoca in cui la stessa nozione teoretica di verità risulta poco credibile, tanto più se si tratta di verità assoluta, dogmatica, indiscutibile. Ratzinger lo sa bene, e non a caso da tempo accusa quest’epoca di “relativismo”, ma non è colpa di nessuno se le cose sono così, è lo spirito dei tempi che si muove e si manifesta nelle menti dopo un secolo qual è stato il ’900, e occorre prenderne atto se si vuole continuare a parlare al mondo di oggi.

Anche alla luce del fatto che un papa, Onorio I, venne dichiarato eretico dal concilio ecumenico Costantinopolitano III, Küng proponeva di sostituire a infallibilità il concetto di indefettibilità, intendendo dire con ciò che la questione sottesa all’infallibilità non riguarda la ragione teoretica, ma la volontà, “il cuore” come direbbe Pascal, ovvero che la Chiesa non verrà mai meno al compito bellissimo di essere fedele al suo Signore e al primato del bene e dell’amore che ne consegue. A me pare una proposta più attuale, più umile, più evangelica.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/2/2013 03.10
Titolo:DIRE DIO DIVERSAMENTE IN UN NUOVO MODO DI FARE CHIESA
La Chiesa ha bisogno di una riforma profonda

di Christian Terras*

in “Le Monde” del 15 febbraio 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Che il papa dia le dimissioni a causa dell’età, è già un fatto eccezionale! Ma che aggiunga a questa motivazione quella di un mondo che avanza troppo rapidamente per lui è una cosa da sottolineare. A questo punto, come interpreterà il suo atto, il suo successore? Per governare la barca di Pietro in un mondo ricco di cambiamenti, occorre un pontefice che li accolga o che li rifiuti? Alcuni riterranno che a questa alternativa manca la prospettiva di un’accoglienza critica della postmodernità. Perché, di fatto, le dimissioni di Benedetto XVI illuminano di nuova luce la crisi attraversata dalla Chiesa.

Dopo il grande discorso d’addio di Gesù, i suoi discepoli sanno di essere nel mondo senza essere del mondo, ma non hanno ancora finito di discernere il modo in cui possono essere testimoni del Vangelo. Ma da quando la religione non struttura più la realtà sociale, siamo messi di fronte ad una situazione inedita nella storia dell’umanità: quest’ultima può vivere come se Dio non esistesse!

Benedetto XVI ha lottato contro questa scomparsa di Dio come fondamento della verità dell’umano. Avrebbe lottato fino all’esaurimento? Stando così le cose, le sue dimissioni non sarebbero il segno di un fallimento di questa battaglia persa in anticipo?

Il prossimo papa potrebbe chiarire in quale modo la mentalità contemporanea ci permette di scoprire un nuovo volto di Dio, in fedeltà con l’itinerario di Cristo. Per il papa attuale, solo la sottomissione a Dio, e quindi alla sua Chiesa che ne interpreta le volontà, permette di scoprirla. Ma non è possibile immaginare diversamente la relazione con la trascendenza?

La Chiesa ci mostra un Dio nascosto nella carne del mondo che le autorità religiose rifiutano di vedere! Dio non è più in competizione con l’umanità. La sua alterità penetra il nostro desiderio, il suo infinito vive nella nostra finitezza. Gesù ci ha insegnato a scoprirlo nei più piccoli, che sono i suoi fratelli.

La questione della verità è quindi intimamente legata a quella della solidarietà. Se Dio si fa solidale, è per insegnarci un altro modo di vivere con gli altri.

L’imitazione di Cristo ci proibisce quindi di assomigliare agli scribi che impongono agli altri i fardelli di una legge falsamente divina. Se il pontefice romano vuole assomigliare a Gesù dovrà, come lui, essere accogliente e dialogante, soprattutto con coloro che sono rifiutati. Non si tratta di carità compassionevole, ma di una lotta con coloro che rifiutano le strutture economiche e politiche inique.

Ma che la verità si trova in un dialogo solidale implica anche un nuovo modo di governare. I vescovi, tra cui quello di Roma, non possono più pretendere di sapere per e al posto degli altri. Sono al contrario invitati a cercare un Dio sempre più grande che sfugge ai nostri ragionamenti.

La Chiesa istituzionale adotta ancora nella maggior parte dei casi il comportamento dei farisei, nel meglio e nel peggio. Come loro, corre il rischio allontanarsi da coloro che credono, pensano e vivono diversamente da come prevedono le sue definizioni.

Certo, la Chiesa ha fatto, dal Vaticano II, degli sforzi di dialogo, ma a livello pastorale. La teologia non ne è stato toccata. Il catechismo resta lo stesso e le voci discordanti all’interno della Chiesa faticano a farsi sentire. E il cardinale Ratzinger è stato l’artigiano di una “stretta” sui teologi, privando la chiesa di una ricerca indispensabile, in particolare in dialogo con le scienze umane.

Questo modo di governare è diventato insopportabile per i nostri contemporanei per i quali l’autonomia è ineliminabile. È anche in contraddizione con la testimonianza del Nuovo Testamento.

Dall’accoglienza della Samaritana o dell’adultera a quella del buon ladrone sulla croce, Gesù ha spezzato i confini delle leggi disumane. Ogni incontro è stato l’occasione per dire un Dio che libera. Ha aiutato i suoi discepoli a trasgredire delle tradizioni percepite come divine mentre erano solo umane.

La Chiesa è ancora invitata a proseguire questo lavoro di decostruzione. Del resto Luca negli Atti non nasconde i conflitti che portarono la Chiesa ed abbandonare certe prescrizioni, inventando nuovi ministeri e precisando le esigenze della fede. Questi racconti devono ispirare l’agire pontificio.

In materia di morale familiare, ad esempio, è indispensabile un vero dialogo all’interno della Chiesa con le coppie divorziate risposate o le persone omosessuali, nonché il tener conto delle problematiche del genere. Le donne non potranno più essere ancora a lungo messe da parte e impiegate in compiti subalterni.

È anche urgente che il ministero petrino sia messo in tensione con la figura di Paolo: Pietro non ebbe ragione senza l’apostolo dei gentili. Tra i vescovi deve circolare una parola libera su tutti i problemi cruciali del nostro mondo. Non sono semplici cinghie di trasmissione della curia romana.

Inoltre, è altrettanto urgente uno scambio franco e onesto con le Chiese sorelle, soprattutto con i protestanti. È una condizione perché il vangelo si radichi in tutte le culture. Il papa non potrà neppure trascurare l’opinione dei fedeli. Ascoltare come rendono conto del loro modo di vivere, permetterà alla Chiesa di sfuggire alla logica caricaturale del bianco e nero, cercando il senso in tutte le zone grige delle nostre esistenze, per parlare come il defunto cardinal Martini.

In questo senso, ciò di cui la Chiesa ha bisogno non è tanto un nuovo concilio di vescovi, quanto una riforma fondamentale sui temi istituzionali e dottrinali. Essa potrà così essere testimone della pertinenza del cristianesimo nella nostra postmodernità e dire Dio diversamente in un nuovo modo di fare Chiesa, in un dialogo aperto con il mondo, per tentare di raccoglierne le sfide.

*redattore capo di “Golias Hebdo” e di “Golias Magazine”
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/2/2013 14.01
Titolo:IL CONCILIO NECESSARIO
Il concilio necessario

di Franco Cardini (il manifesto, 15 febbraio 2013)

Ora che dal Vaticano è iniziata a filtrare qualche notizia un po’ più qualificata delle indiscrezioni o delle chiacchiere. Ora che soprattutto in margine alla cerimonia delle ceneri qualche parola sintomatica è filtrata attraverso il tradizionale riserbo vaticano, siamo forse in grado di dire qualche parola in più su quella che è forse la crisi di un uomo, ma certamente è quella di un’istituzione nel più ampio quadro della crisi che investe tutto il mondo.

Risulta ancora più chiaro oggi che, a proposito dell’abdicazione (o della «rinunzia», come qualcuno preferisce chiamarla) di Benedetto XVI al soglio di Pietro, le polemiche sul «coraggio» o sulla «viltà», sul «fallimento» o sull’«onestà», sulla «sconfitta» o sul «realismo» di Joseph Ratzinger siano del tutto fuori luogo.

Abdicare è un conto, mettersi fuori gioco è un altro. Non partecipare al prossimo conclave, come è giusto e ovvio che avverrà, è un conto; non influirvi affatto, com’è logico che non avverrà, è tutto un altro. Vedere nella «rinunzia» soltanto il dramma umano della constatazione dell’insufficienza delle proprie forze - e l’aver rilevato da parte del papa tale insufficienza può ben essere stato, intendiamoci, al tempo stesso un sincero e sacrosanto diritto e anche un preciso dovere - sarebbe un’imperdonabile ingenuità.

Siamo di fronte a un preciso disegno strategico e a un rigoroso, incisivo messaggio. Per capire di cosa si tratti, è tuttavia necessario non essere troppo distratti, e tantomeno smemorati. Ricordate Paolo VI, e «il fumo di Satana» penetrato nella Chiesa? Qualcuno rise e si chiese se il santo padre fosse in vena di horror, qualcun altro si scandalizzò e gridò alla superstizione.

Evidentemente siamo bassini, quanto a filologia e semiologia: e tendiamo a dimenticare che il linguaggio è una funzione eminentemente simbolica.

Ora, teologicamente parlando, il diavolo è - dal greco diàbolos, «divergenza», «discordia» - Maestro di menzogna e di divisione. E quel «fumo di Satana», negli ultimi anni, deve aver ammorbato parecchie stanze vaticane, come parecchi ambienti della Chiesa di tutto il mondo (né solo di essa, peraltro). Erano parecchi i vaticanisti che a più riprese, negli ultimi mesi, ci avevano avvertito che il papa era stanco e che circolava la voce che volesse «lasciare». La cosa era inusitata e quindi sembrava inaudita. Ma vi siete dimenticati dell’Angelus del 1° marzo 2009, quando Benedetto XVI ritornò alla carica con la «vecchia superstizione medievale» (come la chiamò qualcuno) del diavolo, e chiese l’aiuto della preghiera di tutti i fedeli.

Anche allora qualcuno sorrise, qualcun altro s’indignò: e nessuno o quasi notò che quel giorno era la prima domenica di quaresima, nella quale la chiesa commemora la pagina evangelica della tentazione subita da Gesù nel deserto. Inoltre, in quello stesso giorno, iniziava la XII assemblea generale ordinaria del sinodo dei vescovi, appunto iniziata la prima domenica di quaresima nella chiesa di san Paolo fuori le mura: e si era a pochi giorni di distanza dalla polemica causata da quella ch’era sembrata un’apertura troppo incauta del pontefice ai gruppi lefebvriani, quindi un attacco sia pure implicito e indiretto al Vaticano II.

Le polemiche e le divisioni in seno alla Chiesa, che erano già largamente affiorate allora, si sono in seguito aggravate e intensificate. Al punto da divenire forse intollerabili: e chissà che la goccia che ha fatto traboccare il vaso non sia stata proprio la discussione dell’11 febbraio scorso, in sede di concistoro, dove papa e cardinali erano chiamati a discutere sull’opportunità di santificare in blocco un gruppo di poveracci vittime di un’incursione turca nel Salento avvenuta nel 1480: una pagina lontana e dimenticata, rinverdir la quale per alcuni prelati avrebbe forse significato rischiare una nuova ondata di violenze e di proteste in un mondo musulmano che l’avrebbe interpretata come una malevola provocazione, mentre altri forse hanno difeso l’opportunità di quella scelta proprio in quanto gesto che ribadisce come lo «scontro di civiltà» tra mondo cristiano e Islam non è il frutto delle elucubrazioni di qualche teocon americano.

Ma uno scontro del genere, se davvero c’è stato, può aver disturbato e prostrato, oppure indignato, il papa in quanto si tratta di un ulteriore sintomo del male profondo, la divisione di una Chiesa nella quale convivono gli affaristi senza scrupoli della banca vaticana e i preti come don Andrea Gallo, i Legionari di Cristo e le suore di Teresa di Calcutta. Nella «casa di Dio», come diceva Giovanni Paolo II, ci sono tante dimore, è vero: va detto tuttavia che certe differenze sono sul serio eccessive, e pertanto certe convivenze sono difficili.

E allora, altro che resa dinanzi alle proprie forze che fanno difetto: al di là della sensazione del santo padre di sentirsi magari solo e attaccato da troppi, che può essere anche soggettivamente giustificata, qui siamo davanti a un gesto nuovo, rivoluzionario, con il quale il pontefice ha inviato un energico messaggio e ha impartito una chiara lezione alla Chiesa e al mondo. Un gesto che potrebbe anche sottintendere la necessità di cominciar a interpretare la funzione papale in un altro modo. Ad esempio rivalutando, accanto ad essa, quella sinodale: cioè conciliarista.

La storia della Chiesa potrebb’essere riassunta, per quanto riguarda il suo vertice, in un lungo duello tra la tendenza monarchica papale e quella conciliaristica fondata sull’istanza di un governo collegiale da parte dell’insieme dei vescovi: si ricorderà del resto che il papa stesso è tecnicamente un vescovo egli stesso, il vescovo di Roma, primus senza dubbio, però inter pares.

Dopo un forte momento di egemonia conciliarista, nel primo Quattrocento, la monarchia papale vinse il duello, superò la Riforma, si rafforzò con il concilio di Trento nel Cinquecento e venne ribadita in extremis nel 1870, mentre le truppe del regno d’Italia aggressore stavano entrando in Roma e il pontefice si preparava a una lunga prigionia. In quell’occasione, un papato ch’erano in molti a considerare agonizzante si munì addirittura di una nuova certezza dogmatica, quella dell’infallibilità.

Meno di un secolo dopo, il quadro era completamente cambiato: in un clima e in un contesto di ottimismo politico e morale ((l’età kennediana) e di prosperità economica dell’Occidente, il vaticano II dette spazio alle istanze di modernizzazione e di democratizzazione delle quali molta parte del mondo cattolico era portatrice.

Ora, il quadro è completamente mutato: e non a caso le celebrazioni del cinquantenario del Vaticano II hanno dato luogo a vere e proprie contestazioni e a risse anche piuttosto pittoresche tra «conservatori» e «progressisti»: ammesso che questi due termini, una volta così chiari e rassicuranti, abbiano ormai senso.

Ma, se volgiamo capire sul serio, andiamo oltre la chiesa cattolica. All’alba del XXI secolo,la Modernità è in crisi. Zygmunt Bauman parla di «Modernità fluida», cioè di una Postmodernità che è già iniziata. Ma la Modernità si era riassunta, dal XV secoli in poi, in tre elementi fondamentali: individualismo; volontà di potenza dell’Occidente; primato dell’economia, della scienza e della tecnica.

È l’Occidente-Modernità dell’uomo prometeico e faustiano che è entrato in crisi. Papa Benedetto XVI, abdicando, pone la Chiesa e il mondo dinanzi a questa realtà. La Chiesa, nella sua bimillenaria storia, è stata più volte in grado d’interpretare il mutamento dei tempi.

Deve farlo di nuovo: ed è del tutto comprensibile che non sia un quasi nonagenario, che è semmai l’ultimo rappresentante del vecchio ordine ecclesiale scaturito dal Vaticano II, a guidare il rinnovamento.

Un rinnovamento che, in termini ecclesiali, equivale a una parola chiara, ma complessa, costosa, rischiosa: concilio.

Se divisione e discordia sono davvero arrivate al punto da imporre a un pontefice di abdicare, l’unica risposta a una situazione ormai insostenibile è una verifica e una ridefinizione radicale della Chiesa, delle sue istituzioni, delle sue strutture, dei suoi rapporti interni e di quelli con il mondo. Un mondo nel quale la ricchezza si va sempre più concentrando nelle mani di poche centinaia tra famiglie e lobby mentre la miseria dilaga. Un mondo nel quale non c’è giustizia, quindi non può esserci pace. Un mondo sempre più nelle mani dei più biechi tra i colleghi della gentaglia che duemila anni fa Gesù cacciò dal Tempio rovesciando i banchi su cui essa accumulava i proventi dei suoi luridi affari.

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Titolo articolo : LA PAROLA E IL NUOVO PAPA: DIRE DIO IN MODO NUOVO. La Chiesa ha bisogno di una riforma profonda. Un'analisi  di Christian Terras  (“Le Monde”) - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/15/2013 - 14:00:15.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/2/2013 11.22
Titolo:Se Dio si è fatto la parola che noi possiamo intuire e capire, io posso giocare ...
I CARISMI

di don Mauro Agreste *

1) OGGI PARLIAMO DEI CARISMI Oggi parliamo dei carismi ed è importante averne una conoscenza un pochino più strutturata, perché come catechisti nelle vostre comunità parrocchiali, ma anche nei gruppi di preghiera, è bene che abbiate una conoscenza il più possibile ampia su questo tema. Tutto sommato è stato lasciato per molti versi ad alcuni gruppi ecclesiali, oppure a degli alti studi universitari nell’Università Pontificia. Il tema dello spirito dei carismi è un tema che fa parte della vita della Chiesa; se ne tratta nel Concilio e nella Lumen Gentium. Al n°12 dice che la Chiesa costituita dal popolo di Dio è per così dire, il luogo in cui si esercitano i carismi, ognuno per la sua propria specificità. Però la maggior parte delle persone, quando sentono dire la parola carisma non è che abbiano molto chiaro in mente di che cosa si tratti, è vero?

2) PAROLA USATA E ABUSATA DA MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA Per di più questa parola è stata usata e abusata da giornalisti, da mezzi di comunicazione di massa non per indicare il significato preciso della parola carisma, quanto invece per indicare la capacità che ha una persona di attirare l’attenzione degli altri in qualunque campo, con la sua propria capacità di emergere sugli altri. Quindi in senso generico la parola carisma o personaggio carismatico all’interno della Chiesa e di alcuni gruppi ecclesiali vieni intuita in un certo modo. All’infuori della Chiesa il personaggio carismatico è un personaggio che ha delle chances in più, ha un savoir faire diverso in tutti i campi, sportivo, politico, ecc. ecc. da emergere e attirare l’attenzione, quasi catalizzando l’attenzione degli altri.

3) CARISMA HA LA STESSA RADICE DELLA PAROLA CARITÀ Ma che cos’è dunque il carisma e da che cosa nasce? Intanto la parola carisma deriva dal greco e come voi potete benissimo accorgervi contiene dentro di sé una radice, charis, che è la stessa radice della parola carità. Ora la parola carità, anche se abbiamo una vaga intuizione, è una parola che ha significati molto complessi e molto profondi, per cui almeno nel nostro linguaggio teologico, non è facile definire la carità semplicemente come un atteggiamento. La carità è prima di tutto una caratteristica di Dio stesso, una caratteristica essenziale, tant’è vero che gli antichi dicevano: Deus est charitas da cui gli antichissimi inni, ubi charitas et amor Deus ibi est, dov’è carità e amore lì c’è Dio. Dunque carità ha in sé questa radice charis, che significa qualche cosa di forte, di caldo, di vivo, di avvolgente. Viene cantato nel Veni Creator, si parla dello Spirito Santo e si dice che lo Spirito Santo è ignis, fuoco, fuoco di carità, fuoco di amore.

4) CARITÀ E AMORE VENGONO SPESSO USATI COME SINONIMI Carità e amore vengono spesso usati come sinonimi per una semplice ragione, sono entrambi concetti estremamente profondi. Se tu dici amore, è sufficiente dire amore per capire tutto ciò che significa la parola amore? No, cioè lo usiamo convenzionalmente però noi sappiamo che l’amore autentico per esprimerlo, per significarlo è molto difficile. Ricordate questa mattina il brano del Vangelo che è stato letto: nessuno ha un amore più grande se non colui che muore per i propri amici. Quindi vedete l’amore coinvolge fino alla donazione della vita. L’amore esige per esempio il concetto, che deve essere chiaro, della capacità di donarsi. Amore e donazione totale coincidono; però quando io dico amore non dico solo donazione totale, dico anche gioia, dico anche situazione di protezione. Una persona che ama è una persona che ne sta proteggendo un’altra; una persona che si sente amata è una persona che si sente protetta. Il concetto di guida: chi ama guida; chi è amato si sente guidato non gettato allo sbaraglio. Voi potete immaginare quale grande significato c’è nella parola amore; viene considerata sinonimo di carità, però entrambe hanno una specificità; che l’amore e la carità sono due realtà vive, coincidono con Dio.

5) PARLARE DI CARITÀ SIGNIFICA PARLARE DI GRAZIA Quindi parlare di carità, significa parlare di grazia, che charis è una traslitterazione, è la radice della parola greca che significa grazia. Che cos’è la grazia? Non è la gentilezza nei movimenti, la grazia è lo Spirito Santo in azione, lo Spirito Santo mentre agisce, lo Spirito Santo che sta agendo. Vieni Padre donaci la tua santa grazia, donaci cioè lo Spirito Santo che agisce dentro di noi. Ricordatevi che anche se avete il concetto chiaro nella mente, quelli che sono davanti a voi fraintendono facilmente, soprattutto queste cose complesse. Quindi dovete avere sempre l’idea di parlare a un bambino di 5 anni e state tranquilli che le persone davanti a voi non si sentiranno umiliate e non vi disprezzeranno se voi parlerete il più semplice possibile.

6) CHIEDI CHE LO SPIRITO SANTO VENGA AD AGIRE DENTRO DI TE Allora, donaci la santa grazia, certo che vuol dire donaci la capacità e la disponibilità a seguire i suggerimenti dello Spirito, però tu chiedi proprio che lo Spirito Santo venga ad agire dentro di te, però non senza di te. Quando invochiamo la grazia di Dio su di noi, invochiamo lo Spirito Santo che venga ad animarci dall’interno, come il lievito che fa lievitare tutta la pasta; il lievito non fa sparire la pasta, la fa solo lievitare; certo se non c’è la pasta puoi mettere anche un chilo di lievito che tanto non lievita niente. Allora quando si dice grazia si dice Spirito Santo in azione. Cosa vuol dire charis? Grazia. Cosa vuol dire grazia? Spirito Santo in azione. Lo Spirito Santo aleggiava sopra le acque informi, quindi lo Spirito Santo era già in azione appena Dio ha fatto esistere qualche cosa, ancora non c’era la luce, ma già lo Spirito Santo era in azione. Lo Spirito Santo agisce continuamente. L’ultimo versetto dell’Apocalisse dice: lo Spirito Santo e la sposa gridano Maranthà, vieni Signore Gesù. Quindi attenzione bene, tutta la Bibbia è contenuta da questa azione di Spirito Santo, dunque, tutta la storia degli uomini è contenuta in questi due punti fondamentali: lo Spirito Santo che aleggia e lo Spirito Santo che anima dicendo vieni. Gli uomini non si accorgono dell’azione dello Spirito Santo.

7) NUTRIRE UNA PARTICOLARE ADORAZIONE DELLO SPIRITO SANTO Allora i catechisti hanno questo compito fondamentale, fra tutti gli altri, di nutrire una particolare adorazione dello Spirito Santo. Dico giusto quando dico adorazione, per una semplice ragione, quale? Perché lo Spirito Santo è Dio. Quindi il catechista che non adora lo Spirito Santo non so che razza di catechista voglia essere. Lo Spirito Santo è la grazia che agisce dentro di noi. Il catechista che si mette al servizio della Chiesa, come fa a mettersi al servizio dicendo l’amore per Gesù se non è lo Spirito Santo a comunicarglielo?

8) PARLARE DI SPIRITO SANTO E DIO COME DUE PERSONE SEPARATE Domanda: questo fatto di parlare di Spirito Santo e Dio come due persone separate, non rischia di confonderci? E quando parliamo del Padre separato dal Figlio, non si rischia di creare dei problemi? Nelle dispense degli anni passati c’è quel disegno molto bello che si riferisce allo schema intuitivo su Dio e le sue tre persone. Dio è Padre, è Figlio e Spirito Santo, un solo Dio, però il Padre non è il Figlio, non è lo Spirito Santo e lo Spirito Santo non è il Padre. È chiaro che la nostra mente è così limitata che noi non riusciamo a capire, possiamo solo contemplare.

9) FACCIAMO PARTE DELLA TRINITÀ Di più ancora. Facciamo parte di questa Trinità, con il Battesimo siamo entrati dentro la Trinità, perché siamo con Gesù una cosa sola. Siamo entrati nella Trinità, però non siamo Dio, siamo esseri umani, però facciamo parte della Trinità. Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; quindi la volontà di Dio è che siamo immersi ( bactizzomai verbo greco che significa essere immersi ) in tutto Dio Padre, in tutto Dio Figlio e in tutto Dio Spirito Santo. Questo vuol dire che dentro di noi c’è tutto Dio Padre, tutto Dio Figlio, tutto Dio Spirito Santo e come lo spieghi questo? Quando tu vai a fare la comunione prendi un’ostia grande così, tu sai che lì dentro c’è il Dio Eterno e Infinito, Signore della storia e dei secoli. Sotto un velo di pane c’è il mistero di tutto ciò che esiste. Possiamo intuire. Come dice l’inno Pange Lingua. Visus tactus gustus in te fallitur, la vista il tatto il sapore falliscono, perché tutto quello che i sensi constatano è fallace, non i sensi ma la fede conosce questa verità. Allora con la fede tu accetti, il mistero lo contempli, però non lo capisci. Perché capire dal latino càpere vuol dire prendere e tenere stretto, contemplare invece significa guardare, ma non da soli, sostenuti. Tu puoi guardare il mistero di Dio da solo, lo puoi contemplare cioè tu puoi entrare nel tempio insieme a qualcuno, contemplare entrare nel tempio insieme a qualcuno. Tu non possiedi il tempio è il tempio che possiede te.

10) IL CATECHISTA DEVE PARLARE UN ITALIANO SEMPLICE E COMPRENSIBILE Attenzione, perché usiamo la lingua, ma non la conosciamo e un catechista non può permettersi questo. Un catechista deve parlare un italiano semplice e comprensibile a quelli che ha di fronte però deve conoscere dieci o venti volte di più di quello che sta dicendo agli altri, se no che cosa sta comunicando? Certamente ai bambini non puoi dire le specificità dei termini che vi sto spiegando, però su tu non conosci il significato delle parole, tu insegnerai delle cose sbagliate e noi non possiamo permetterci di fare questo, se no non stiamo divulgando il Vangelo di Gesù Cristo, ma il Vangelo secondo noi. Quindi ricordatevi, è un servizio fatto a Dio quello anche di essere precisi nel linguaggio che si usa. Siate precisi cercando di conoscere il più possibile il significato delle parole che usate, anche le più comuni. E chiedete allo Spirito Santo che vi dia una struttura logica del pensiero: soggetto, predicato, complemento. Diversamente il vostro discorso non sarà compreso da chi vi ascolta; piuttosto articolate frasi e concetti brevi non un discorso lungo e strutturato. Fate discorsi brevi, frasi brevi, ma che siano chiare.

11) LA CONIUGAZIONE DEI VERBI DEVE ESSERE PRECISA State anche attenti alla coniugazione dei verbi, che deve essere precisa, perché un verbo al condizionale ha un significato diverso da un verbo all’indicativo; perché un verbo all’indicativo indica una realtà, un obbligo imprescindibile, un verbo al condizionale indica una possibilità cioè una dualità di realtà; i congiuntivi sono verbi di consequenzialità; se io nella mente non ho l’idea della consequenzialità delle cose, non userò il congiuntivo, userò l’indicativo e renderò tutto obbligante.

Ricordatevi che abbiamo a che fare con le parole, che noi abbiamo la parola di Dio nella mano e siamo i catechisti, non ci possiamo permettere di giocare con le parole, perché da come io uso le parole, favorisco o freno il passaggio del concetto di Dio. Senza diventare fanatici, senza esagerare, però o prendiamo sul serio il nostro servizio reso a Dio. Quindi tutto quello che dipende da me io cerco di farlo al meglio che posso, oppure facciamo come fanno tanti che improvvisano tutto, vanno avanti e non si rendono conto che stanno giocando con Dio. Se sul Vangelo c’è scritto: in principium erat verbum et verbum erat aput deum et verbum erat deum, allora questo ci fa capire che in principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio.

12) SE DIO SI E’ FATTO PAROLA, IO NON POSSO GIOCARE CON LE PAROLE Se Dio si è fatto la parola che noi possiamo intuire e capire, io posso giocare con le parole? No. Non dico questo perché dobbiamo spaventarci, sentirci colpevolizzati, però sentiamo la necessità di pensare le parole che usiamo e pensare le frasi che usiamo, perché se io devo parlare a dei bambini, dovrò rendere estremamente semplice un discorso difficilissimo. Però usando delle parole che siano giuste, che cerchino di generare meno equivoci possibili, adatte al vocabolario che è in possesso a un bambino di 7-10-12-15 anni, senza mai cedere ad accettare una connotazione di linguaggio che non sia più che dignitosa ed elegante.

13) IL CATECHISTA NON USA MAI PAROLE EQUIVOCHE Se ci sono dei modi di dire che esprimono il concetto di essere arrabbiati in un certo modo, il catechista non li usa mai, neanche quando sta da solo. Se ci sono parole equivoche il catechista si deve abituare non solo a non usarle lui, ma a sentirne ribrezzo quando le sente pronunciare da altri, perché il catechista sta usando con la propria lingua un mezzo di evangelizzazione. Dunque l’apostolo san Giacomo dice nella sua lettera al cap. 4 che chi domina la lingua domina tutto il resto del corpo.

Ora un catechista che non domina la lingua come può produrre negli altri un cambiamento di vita, se le parole che escono da lui sono sporcate da una incapacità di dominare la lingua? Naturalmente quando dico capacità di dominare la lingua non mi riferisco solamente a un linguaggio volgare e pesante, mi riferisco anche a un modo di gestire il linguaggio. Una persona che non è capace a non criticare, una persona dalla cui bocca esce sempre una parola di critica, di giudizio, di condanna, di curiosità, di pettegolezzo ecc. può giustamente essere catechista? Non può. Un catechista che non sente fondamentale dentro di sé l’imperativo di sapere quello che sta dicendo, come lo sta dicendo e non si domanda se le parole che sta usando le capisce prima lui, come fa a spiegarle agli altri?

14) IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE AMARE E AMORE Quante volte abbiamo esaminato il significato delle parole amare e amore. Se un catechista non sa che cosa vuol dire amare, sapete con che cosa lo confonde? Con il romanesco volemose bene. Ma amare non è quello, quello non è amare, quello lì è solo cercare di stare tranquilli, senza prendersi tanti problemi, vero? Invece amare è tutta un’altra cosa. Stamattina abbiamo sentito: dare la vita per i propri amici. Vedete che è estremamente differente. Allora non deve essere così per voi, perché voi avete sentito veramente una chiamata del Signore, se no non sareste qui al sabato mattina.

Però per non perdere tempo né io, né voi e neanche Dio, cerchiamo proprio di capire l’importanza di tutto questo. Quando nelle scuole ci facevano fare l’analisi logica, l’analisi del periodo erano molto importanti; se abbiamo dimenticato tutto questo la prima cosa che dobbiamo fare è chiedere allo Spirito Santo che venga a rispolverare dentro di noi le cose che avevamo studiato allora, che le faccia emergere. Vedrete che lo Spirito Santo vi aiuterà; poi dopo cominciate con l’analizzare il linguaggio che usate, le strutture logiche che usate, se sono chiare.

Ricordatevi che le persone che avete di fronte non sono dentro la vostra mente, dunque loro non sanno esattamente dove voi volete arrivare. Una grande carità che potete fare nei confronti del vostro prossimo, un grande servizio è quello di fare un passettino piccolo alla volta. Non date mai niente per scontato, anche se doveste ripetere cento volte in cento incontri, serve per aiutare quella persona a entrare nel difficile concetto che voi volete dire.

15) DOBBIAMO IMPARARE A PERDONARE Per es.: dobbiamo imparare a perdonare. Che vuol dire perdono? È una parola composta. Dividete a metà la parola, per e dono; quella che capite subito è dono, cosa vuol dire dono? È un regalo, non meritato, perché un dono meritato si chiama premio. Capite perché bisogna essere precisi? Perché se io non dico questo allora il perdono mi diventa un diritto, invece non è un diritto, è un dono, un regalo non meritato; quindi se il regalo non è meritato mi viene fatto perché io sono buono o è buono chi mi fa il regalo? Chi mi fa il regalo. L’altra parola da capire è per che deriva dal greco iper, che vuol dire il più grande; quindi se iper vuol dire il più e donum, regalo, mettendo insieme avete l’insegnamento che dovete fare sul concetto di perdono.

Poi ci potete parlare per sei mesi ai bambini del perdono, però se sapete cosa vuol dire voi insegnate realmente ciò che insegna la Chiesa, non ciò che insegna il mondo: vogliamoci bene perché il Signore è buono e ci perdona, tanto perdona tutto e tutti. No! Il catechista non può fare queste cose, non si può confondere il perdono con un sentimento di piacevolezza e di arrendevolezza, non è così. Allora siamo partiti dal tema dei carismi, la prossima volta ricordatemi che dobbiamo continuare sul significato della parola carisma. Abbiamo appena analizzato la radice charis che vuol dire grazia e che significa Spirito santo in azione.

* UNIONE CATECHISTI. CATECHESI. LEZIONI, 08.10.2005
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/2/2013 13.21
Titolo:PAROLA A RISCHIO Risalire gli abissi
PAROLA A RISCHIO
Risalire gli abissi
La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
Perché è sorriso, liberazione, gioia.

di Giovanni Mazzillo (Teologo) *

G come gioia, come Gesù, respiro di gioia per tutti gli infelici della terra. Parliamo di Gesù, il cui corrispondente nome greco Iesoûs deriva direttamente dall’originale ebraico Je(ho)šhu e significa JHWH salva, per precisare immediatamente che il termine salvezza oggi non significa gran che per i nostri contemporanei, e di conseguenza risuona poco interessante persino quel nome, pur originariamente portatore di una gioia immensa e inaudita. Ciò avviene non solo per l’inevitabile logorio delle parole più usate e talora abusate, ma per il fatto che ha perso rilevanza e pertanto significato il valore stesso della “salvezza”.

Salvezza
Salvezza da chi e/o da che cosa? Appunto, è questo il primo problema. La salvezza appare di primo acchito un concetto immediatamente derivato dal superamento di una situazione negativa, Si salva, o come succede in questo caso, viene salvato, qualcuno che si trova in una situazione di pericolo. Il pericolo di perdere qualcosa, di perdere se stesso. Di essere cancellato, di sparire, appunto come sparisce da un computer un testo non “salvato” o un’immagine non messa al sicuro. Ma essere salvati è per noi persone umane, e pertanto non riducibili a una traccia di codificazione binaria o algoritmica, molto di più che conservare un’impronta e una presenza. Coerentemente con la nostra realtà dinamica e relazionale, essere salvati significa avere un luogo, un senso, una rilevanza nel contesto di una realtà che giustifica, sorregge, garantisce il mantenimento e la crescita qualitativa, e pertanto il conseguente riconoscimento di un originario, inalienabile, imprescindibile valore personale.

La domanda «Chi o che cosa si può dire oggi salvato?» esige pertanto una primordiale differenziazione. Altro è il concetto di ciò che è salvato (cioè il dato messo al sicuro), ben altro è l’essere umano salvato. Questi non è solo garantito in ciò che ha di più proprio e pertanto è distinto dal mero “dato”, che invece è una sorta di file compilato (non per nulla in tedesco proprio il file è chiamato Datei, leggi datai, cioè «rea-ltà data»). L’essere umano è tale solo in un incontro, in una relazione. La persona è tutta nelle relazioni delle quali vive. Proprio la relazionalità sorregge il senso e la gioia del suo esistere.

L’annuncio di Gesù, già nella sua venuta in questo nostro mondo, è l’annuncio di una relazionalità umana felicemente riuscita. Nel Vangelo è direttamente collegato alla Grazia, termine che esprime tutto ciò e anche qualcosa di più.

Nell’annuncio della sua nascita, diversamente da quanto appare nella traduzione latina, e in quella italiana da essa derivata, nella preghiera più popolare che ci sia, Maria è salutata non con il saluto che si dava all’imperatore, alle autorità o anche agli amici con l’esclamativo «Ave!», bensì con l’invito a rallegrarsi, cioè a gioire (chaîre): a entrare in un circuito di esultanza per un dono gratuito e inatteso. Colei che è piena di grazia (kecharitōménē) è invitata a rallegrarsi perché tutto in lei è frutto ed espressione della «grazia» (cháris), cioè di un dono amorevole quanto sorprendente, che sarà presto annuncio di gioia per tutto il popolo e per ogni uomo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...”. L’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia...» (Lc 1,30-31; 2,10-11).

Il resto del Vangelo, soprattutto quello di Luca, evidenzia la gioia improvvisa e incontenibile che contagia quanti vengono a contatto con Ješhu. A cominciare da Elisabetta e dal suo bambino, che le esulta nel grembo, il futuro Battista. Così esultano ancora due anziani che sembrano essere rimasti in vita per mantenere viva la speranza d’Israele: Simeone e Anna, o i pastori; mentre nel racconto di Matteo, viene detto che i Magi “provarono una grandissima gioia” nel rivedere la stella che indicava il luogo della natività di Gesù.

La stessa gioia è testimoniata dai semplici e dagli umili, dagli infelici e dai peccatori che si sentono aiutati, capiti, perdonati. A gioire sono ancora i bambini e le donne, classi tradizionalmente neglette dalla piena partecipazione alla grazia collegata alle tradizionali benedizioni di Dio. Insomma il cuore del Vangelo è la lieta notizia annunciata ai bisognosi e agli infelici della terra. Il Dio che si dona totalmente, è il Dio che dona illimitatamente la gioia agli uomini. E perché la nostra gioia fosse piena (Gv 15,11), il Figlio di Dio è arrivato umanamente a perdere se stesso.

Perché avessimo una gioia che nessuno avrebbe mai più potuto toglierci, ha permesso che fosse tolta a lui la vita, per riprenderla di nuovo, ma con la conoscenza ormai nella sua carne e nella sua psiche di cosa significhi la morte umana. Di cosa voglia dire la gioia di vivere, di vivere non con il naturale sorriso con cui vive ogni creatura per la stessa gioia dell’esistere, ma di provare e diffondere la gioia di chi conosce la sofferenza e non resta inchiodato alla sofferenza. O al limite, di chi, nonostante le ferite e talora i chiodi mai interamente rimossi della sofferenza, sa sorridere della vita, perché questa è ormai rischiarata da colui che vince la morte e la depressione della sofferenza.

La gioia è dunque uno dei nomi della salvezza, ma di una salvezza che assume di volta in volta nomi nuovi e nomi antichi: riscatto, liberazione, sensatezza, leggerezza dell’esistere... Se la parola non fosse tanto inflazionata, si potrebbe dire che la salvezza altro non è che la felicità. È la felicità nel suo senso etimologico: come abbondanza e fertilità. Possiamo tradurre: come vita sensata che raggiunge il suo scopo e nasce da relazioni benevole, tendenti al bene altrui, trovando negli altri la propria gioia e comunicandola con relazioni che fanno crescere se stessi e gli altri.

In quanto tale, la felicità è simile alla pace e ne è la forma storica: è star bene con sé e con gli altri, con il proprio passato e con il proprio futuro. Perché, soprattutto oggi, c’è bisogno paradossalmente più di ricostruire il futuro che il passato o il presente. Per poterlo fare c’è bisogno di quella gioia consapevole che non si arrende e che non si ripiega su se stessa. Si ritrova nel futuro di una convivenza che non nasconde, ma sa riconoscere e superare i conflitti attraverso uno sguardo d’amore verso ciò che ci è intorno. È uno guardo che viene da lontano e tuttavia tocca la nostra umanità, questa mia e questa tua umanità, quella assunta, attraversata e come divinizzata da quel Gesù che continuamente dà senso a ogni tentativo di superare la violenza con l’amore. È l’unico a dar senso a ogni discorso di pace, anche questo che hai appena finito di leggere.

* MOSAICO DI PACE, LUGLIO 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/2/2013 14.00
Titolo:IL CONCILIO NECESSARIO
Il concilio necessario

di Franco Cardini (il manifesto, 15 febbraio 2013)

Ora che dal Vaticano è iniziata a filtrare qualche notizia un po’ più qualificata delle indiscrezioni o delle chiacchiere. Ora che soprattutto in margine alla cerimonia delle ceneri qualche parola sintomatica è filtrata attraverso il tradizionale riserbo vaticano, siamo forse in grado di dire qualche parola in più su quella che è forse la crisi di un uomo, ma certamente è quella di un’istituzione nel più ampio quadro della crisi che investe tutto il mondo.

Risulta ancora più chiaro oggi che, a proposito dell’abdicazione (o della «rinunzia», come qualcuno preferisce chiamarla) di Benedetto XVI al soglio di Pietro, le polemiche sul «coraggio» o sulla «viltà», sul «fallimento» o sull’«onestà», sulla «sconfitta» o sul «realismo» di Joseph Ratzinger siano del tutto fuori luogo.

Abdicare è un conto, mettersi fuori gioco è un altro. Non partecipare al prossimo conclave, come è giusto e ovvio che avverrà, è un conto; non influirvi affatto, com’è logico che non avverrà, è tutto un altro. Vedere nella «rinunzia» soltanto il dramma umano della constatazione dell’insufficienza delle proprie forze - e l’aver rilevato da parte del papa tale insufficienza può ben essere stato, intendiamoci, al tempo stesso un sincero e sacrosanto diritto e anche un preciso dovere - sarebbe un’imperdonabile ingenuità.

Siamo di fronte a un preciso disegno strategico e a un rigoroso, incisivo messaggio. Per capire di cosa si tratti, è tuttavia necessario non essere troppo distratti, e tantomeno smemorati. Ricordate Paolo VI, e «il fumo di Satana» penetrato nella Chiesa? Qualcuno rise e si chiese se il santo padre fosse in vena di horror, qualcun altro si scandalizzò e gridò alla superstizione.

Evidentemente siamo bassini, quanto a filologia e semiologia: e tendiamo a dimenticare che il linguaggio è una funzione eminentemente simbolica.

Ora, teologicamente parlando, il diavolo è - dal greco diàbolos, «divergenza», «discordia» - Maestro di menzogna e di divisione. E quel «fumo di Satana», negli ultimi anni, deve aver ammorbato parecchie stanze vaticane, come parecchi ambienti della Chiesa di tutto il mondo (né solo di essa, peraltro). Erano parecchi i vaticanisti che a più riprese, negli ultimi mesi, ci avevano avvertito che il papa era stanco e che circolava la voce che volesse «lasciare». La cosa era inusitata e quindi sembrava inaudita. Ma vi siete dimenticati dell’Angelus del 1° marzo 2009, quando Benedetto XVI ritornò alla carica con la «vecchia superstizione medievale» (come la chiamò qualcuno) del diavolo, e chiese l’aiuto della preghiera di tutti i fedeli.

Anche allora qualcuno sorrise, qualcun altro s’indignò: e nessuno o quasi notò che quel giorno era la prima domenica di quaresima, nella quale la chiesa commemora la pagina evangelica della tentazione subita da Gesù nel deserto. Inoltre, in quello stesso giorno, iniziava la XII assemblea generale ordinaria del sinodo dei vescovi, appunto iniziata la prima domenica di quaresima nella chiesa di san Paolo fuori le mura: e si era a pochi giorni di distanza dalla polemica causata da quella ch’era sembrata un’apertura troppo incauta del pontefice ai gruppi lefebvriani, quindi un attacco sia pure implicito e indiretto al Vaticano II.

Le polemiche e le divisioni in seno alla Chiesa, che erano già largamente affiorate allora, si sono in seguito aggravate e intensificate. Al punto da divenire forse intollerabili: e chissà che la goccia che ha fatto traboccare il vaso non sia stata proprio la discussione dell’11 febbraio scorso, in sede di concistoro, dove papa e cardinali erano chiamati a discutere sull’opportunità di santificare in blocco un gruppo di poveracci vittime di un’incursione turca nel Salento avvenuta nel 1480: una pagina lontana e dimenticata, rinverdir la quale per alcuni prelati avrebbe forse significato rischiare una nuova ondata di violenze e di proteste in un mondo musulmano che l’avrebbe interpretata come una malevola provocazione, mentre altri forse hanno difeso l’opportunità di quella scelta proprio in quanto gesto che ribadisce come lo «scontro di civiltà» tra mondo cristiano e Islam non è il frutto delle elucubrazioni di qualche teocon americano.

Ma uno scontro del genere, se davvero c’è stato, può aver disturbato e prostrato, oppure indignato, il papa in quanto si tratta di un ulteriore sintomo del male profondo, la divisione di una Chiesa nella quale convivono gli affaristi senza scrupoli della banca vaticana e i preti come don Andrea Gallo, i Legionari di Cristo e le suore di Teresa di Calcutta. Nella «casa di Dio», come diceva Giovanni Paolo II, ci sono tante dimore, è vero: va detto tuttavia che certe differenze sono sul serio eccessive, e pertanto certe convivenze sono difficili.

E allora, altro che resa dinanzi alle proprie forze che fanno difetto: al di là della sensazione del santo padre di sentirsi magari solo e attaccato da troppi, che può essere anche soggettivamente giustificata, qui siamo davanti a un gesto nuovo, rivoluzionario, con il quale il pontefice ha inviato un energico messaggio e ha impartito una chiara lezione alla Chiesa e al mondo. Un gesto che potrebbe anche sottintendere la necessità di cominciar a interpretare la funzione papale in un altro modo. Ad esempio rivalutando, accanto ad essa, quella sinodale: cioè conciliarista.

La storia della Chiesa potrebb’essere riassunta, per quanto riguarda il suo vertice, in un lungo duello tra la tendenza monarchica papale e quella conciliaristica fondata sull’istanza di un governo collegiale da parte dell’insieme dei vescovi: si ricorderà del resto che il papa stesso è tecnicamente un vescovo egli stesso, il vescovo di Roma, primus senza dubbio, però inter pares.

Dopo un forte momento di egemonia conciliarista, nel primo Quattrocento, la monarchia papale vinse il duello, superò la Riforma, si rafforzò con il concilio di Trento nel Cinquecento e venne ribadita in extremis nel 1870, mentre le truppe del regno d’Italia aggressore stavano entrando in Roma e il pontefice si preparava a una lunga prigionia. In quell’occasione, un papato ch’erano in molti a considerare agonizzante si munì addirittura di una nuova certezza dogmatica, quella dell’infallibilità.

Meno di un secolo dopo, il quadro era completamente cambiato: in un clima e in un contesto di ottimismo politico e morale ((l’età kennediana) e di prosperità economica dell’Occidente, il vaticano II dette spazio alle istanze di modernizzazione e di democratizzazione delle quali molta parte del mondo cattolico era portatrice.

Ora, il quadro è completamente mutato: e non a caso le celebrazioni del cinquantenario del Vaticano II hanno dato luogo a vere e proprie contestazioni e a risse anche piuttosto pittoresche tra «conservatori» e «progressisti»: ammesso che questi due termini, una volta così chiari e rassicuranti, abbiano ormai senso.

Ma, se volgiamo capire sul serio, andiamo oltre la chiesa cattolica. All’alba del XXI secolo,la Modernità è in crisi. Zygmunt Bauman parla di «Modernità fluida», cioè di una Postmodernità che è già iniziata. Ma la Modernità si era riassunta, dal XV secoli in poi, in tre elementi fondamentali: individualismo; volontà di potenza dell’Occidente; primato dell’economia, della scienza e della tecnica.

È l’Occidente-Modernità dell’uomo prometeico e faustiano che è entrato in crisi. Papa Benedetto XVI, abdicando, pone la Chiesa e il mondo dinanzi a questa realtà. La Chiesa, nella sua bimillenaria storia, è stata più volte in grado d’interpretare il mutamento dei tempi.

Deve farlo di nuovo: ed è del tutto comprensibile che non sia un quasi nonagenario, che è semmai l’ultimo rappresentante del vecchio ordine ecclesiale scaturito dal Vaticano II, a guidare il rinnovamento.

Un rinnovamento che, in termini ecclesiali, equivale a una parola chiara, ma complessa, costosa, rischiosa: concilio.

Se divisione e discordia sono davvero arrivate al punto da imporre a un pontefice di abdicare, l’unica risposta a una situazione ormai insostenibile è una verifica e una ridefinizione radicale della Chiesa, delle sue istituzioni, delle sue strutture, dei suoi rapporti interni e di quelli con il mondo. Un mondo nel quale la ricchezza si va sempre più concentrando nelle mani di poche centinaia tra famiglie e lobby mentre la miseria dilaga. Un mondo nel quale non c’è giustizia, quindi non può esserci pace. Un mondo sempre più nelle mani dei più biechi tra i colleghi della gentaglia che duemila anni fa Gesù cacciò dal Tempio rovesciando i banchi su cui essa accumulava i proventi dei suoi luridi affari.

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Titolo articolo : LA SOVRANA CERTEZZA DI BENEDETTO XVI - RATZINGER E L'OSCURO AVVENIRE DELLA CHIESA: IL SONNO DOGMATICO DEI VESCOVI. Un commento di Marina Corradi - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/15/2013 - 03:07:27.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/2/2013 16.12
Titolo:FUORI DAL GREGGE. L’obbedienza non è più una virtù ...
Fuori dal gregge

di Antonio Thellung (mosaico di pace, luglio 2012)

L’obbedienza non è più una virtù, diceva don Milani, esortando a coltivare la presa di coscienza. Non per contrapporsi all’autorità, ma per educare ciascuno ad assumere le proprie responsabilità, senza pretendere di scaricarle su altri. L’obbedienza, infatti, può anche dirsi una virtù, ma soltanto se si mantiene entro limiti equilibrati, da valutare appunto con coscienza. Perché l’obbedienza cieca è il tipico strumento utilizzato dalle strutture autoritarie gerarchico-imperialistiche per esercitare il potere, offrendo in cambio ai sudditi lo scarico della responsabilità personale. Tipico esempio si è avuto nel dopoguerra quando pareva che nessuno dei feroci gerarchi nazisti fosse colpevole, perché sostenevano tutti di aver semplicemente obbedito a ordini superiori.

Il Vangelo è chiarissimo: "Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?", ma la cristianità che si è affermata nella storia ha preferito mutuare dall’Impero Romano un’impostazione imperialistica che si mantiene presente tuttora, sia pure adattata ai tempi odierni. Un’impostazione che riduce i fedeli a "docile gregge", come li definiva a suo tempo Pio X.

Il Vangelo, inoltre, esorta anche a non chiamare nessuno padre sulla terra, un lampante invito a non cadere nelle tentazioni del paternalismo, che svaluta la dignità delle persone. Ma l’uso di chiamare "padre" i ministri del culto la dice lunga. Nello stesso brano, poi, Gesù in persona ammonisce i suoi apostoli a non farsi chiamare maestri perché solo Cristo è il maestro, ma sorprendentemente su taluni documenti ecclesiastici anche dei tempi presenti, come ad esempio il Documento di Base del 1970, si legge nientemeno che: "Per disposizione di Cristo, gli Apostoli affidarono ai loro successori, i Vescovi, il proprio ufficio di Maestri". Incredibile!

Si potrebbe dire che il magistero ha sempre richiesto ai fedeli un’obbedienza cieca, e non pochi tra coloro che hanno cercato di opporsi hanno pagato talvolta perfino con la vita.

San Francesco, nella sua prima regola, aveva provato a scrivere che un frate non è tenuto a obbedire al superiore se questi gli ordina qualcosa di contrario alla sua coscienza, ma naturalmente papa Innocenzo III si è guardato bene dall’approvarla. In tempi più recenti, nel 1832, Gregorio XVI definiva un delirio la libertà di coscienza e nel 1954 Pio XII scriveva: "È giusto che la Chiesa respinga la tendenza di molti cattolici a essere considerati ormai adulti". Non è stupefacente?

Chi esercita il potere, di qualsiasi tipo, vorrebbe dai sudditi una delega in bianco, perché teme le coscienze adulte, che sono difficilmente governabili per il loro coraggio di esprimere dissenso, quand’è il caso. E tanto più il potere è prepotente e prevaricante, tanto più esige un’obbedienza cieca.

Il magistero ecclesiastico ha sempre mostrata una grande avversione al dissenso, trattandolo come un nemico da combattere perfino con metodi violenti, nel caso, senza capire che proprio il dissenso è il miglior amico degli insegnamenti di Cristo, perché agisce come sentinella delle coscienze.

Il dissenso, nella Chiesa, c’è sempre stato, con buona pace di coloro che nelle varie epoche storiche hanno preteso di soffocarlo usando talvolta armi che sono incompatibili con l’insegnamento di Gesù. Sarebbe ora che l’autorità prendesse atto che il dissenso non è un nemico ma, anzi, un grande amico, anche se può rendere più complesso e faticoso il cammino.

Il Concilio Vaticano II mostrava di averlo capito quando scriveva, nella Gaudium et Spes: "La Chiesa confessa che molto giovamento le è venuto e le può venire perfino dall’opposizione di quanti la avversano o la perseguitano". Ma ben presto, poi, sono prevalsi nuovamente gli atteggiamenti di repressione e condanna verso chi tenta coraggiosamente di alzare la testa. essere credibili

Personalmente non dubito che un magistero ecclesiastico sia necessario e prezioso, ma di quale tipo? Qualsiasi coscienza adulta sa che di fronte a disaccordi e perplessità non avrebbe alcun senso rifiutare l’autorità o ribellarsi tout court: non sarebbe costruttivo. Ma sente però il dovere, prima ancora che il diritto, di chiedergli maggiore credibilità, di esigere che sappia proporre senza imporre, con rispettoso ascolto delle opinioni altrui. Gli ascoltatori di Gesù "rimanevano colpiti dal suo insegnamento", perché "parlava con autorità", e non perché aveva cariche istituzionali. Così il magistero può sperare di essere creduto, dalle coscienze adulte, quando offre messaggi autorevoli e convincenti, e non per il solo fatto di essere l’autorità costituita.

Oggi la credibilità dei vertici ecclesiastici, con tutti gli scandali di questi tempi, è fortemente minata, e si potrebbe dire che solo facendo leva surrettiziamente sulla grande fede in Gesù Cristo che continua a sostenere tante persone (malgrado tutto) evita di porsi in caduta libera. Ma fino a quando, se permane la pretesa di continuare a proporsi come magistero di un "docile gregge?".

La parabola della zizzania insegna che la Chiesa è comunione di consensi e dissensi, perciò, per recuperare credibilità, le autorità dovrebbero finalmente prenderne atto e imparare a dialogare con tutti alla pari, e in particolare proprio con il dissenso. Dovrebbero educarsi ed educare ad accoglierlo con l’attenzione che merita. Perché un dissenso respinto e represso a priori diventa facilmente aspro, arrabbiato, distruttivo mentre, se accolto con benevolenza, può diventare costruttivo, benevolo, e perfino affettuoso.

Una buona educazione al dissenso potrebbe diventare la miglior scuola alla formazione di coscienze adulte, capaci di confrontarsi senza acquiescenze o confusioni e censure. Capaci, cioè, di non farsi travolgere da vergognosi intrallazzi di qualsiasi tipo.

Personalmente, cerco, nel mio piccolo, di fare quel che posso. Qualche anno fa l’editrice la meridiana ha pubblicato un mio libro dal titolo "Elogio del dissenso", e per ottobre prossimo ha in programma di pubblicare un mio nuovo saggio dal titolo "I due cristianesimi", scritto per sottolineare le differenze tra il messaggio originale di Cristo e l’imperialismo cristiano, non solo come si è affermato nella storia, ma anche come si manifesta al presente. L’interrogativo è focalizzato sulla speranza nel futuro, mentre le critiche a quanto è stato ed è contrabbandato in nome di Cristo servono solo per capire meglio come si potrebbe uscir fuori dalle tante macrocontraddizioni.

La speranza è irrinunciabilmente legata a una Chiesa delle coscienze adulte, perciò sogno un magistero impegnato a farle crescere senza sottoporle a pressioni psicologiche; un magistero capace d’insegnare a distinguere il bene dal male senza imporre valutazioni precostituite; lieto di aiutare ognuno a diventare adulto e autonomo senza costringerlo a sottomettersi; volto a stimolare una sempre maggiore consapevolezza rinunciando a imposizioni precostituite. Un magistero che affermi i suoi principi senza pretendere di stigmatizzare le opinioni diverse; che proponga la propria verità senza disprezzare le verità altrui. In altre parole, sogno una Chiesa dove sia possibile ricercare, discutere, confrontarsi, camminare assieme.

Sogno un magistero che affermi il patrimonio positivo della fede, libero dalla preoccupazione di puntualizzare il negativo; che sappia offrire gratuitamente l’acqua della vita, senza voler giudicare chi beve; che proponga la verità di Cristo, esortando a non accettarla supinamente; che tracci la strada, ammonendo a non seguirla passivamente; che offra strumenti per imparare a scegliere, a non essere acquiescenti, a non accontentarsi di un cristianesimo mediocre e tiepido. Un Magistero che preferisca circondarsi da persone esigenti, irrequiete, contestatrici, piuttosto che passive, pavide, addormentate. Esso per primo ne trarrebbe grandi benefici: sarebbe il magistero di un popolo adulto, maturo, responsabile.

Etimologicamente la parola obbedienza significa ascolto, e sarebbe ora di educarci tutti a questo tipo di obbedienza reciproca: i fedeli verso l’autorità, ma anche l’autorità verso chiunque appartenga al Popolo di Dio, non importa con quale ruolo. Solo questa obbedienza è autentica virtù. Chissà se San Paolo, quando esortava a sperare contro ogni speranza, si riferiva anche alle utopie!
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/2/2013 16.14
Titolo:ANNO DELLA FEDE ASTUTA. LA "GRAZIA DI STATO" E L'INFALLIBILITA' CON SCADENZA
L’infallibilità con la scadenza

di Vito Mancuso (la Repubblica, 14.02.2013)

IERI il portavoce della Sala Stampa Vaticana, il gesuita padre Lombardi, ha dichiarato che dalla sera del 28 febbraio prossimo Joseph Ratzinger non sarà più infallibile. Ora, se è già difficile capire come un essere umano possa giungere a essere infallibile, forse ancora più difficile è comprendere come possa all’improvviso cessare di esserlo. È stato però lo stesso padre Lombardi a chiarire bene la questione.

E ha sottolineato che l’infallibilità “è connessa al ministero petrino, non alla persona che ha rinunciato al Pontificato”. L’attuale pontefice cioè è infallibile in quanto papa Benedetto XVI, perché, da papa, gode della particolare grazia legata al suo stato di Romano Pontefice, che la teologia chiama precisamente “grazia di stato”. Non è per nulla infallibile invece in quanto individuo di nome Joseph Ratzinger, il quale, da uomo come noi, può sbagliare nelle cose ordinarie della vita, per esempio nei giudizi sulle persone (e non penso ci possano essere dubbi sul fatto che su qualcuno dei collaboratori non abbia sempre visto giusto), nei giudizi politici, e persino in quelli biblici e teologici.

Ratzinger era del tutto consapevole di tutto ciò, visto che scrisse nel suo primo volume su Gesù che “ognuno è libero di contraddirmi”, e che cosa spinge un papa a dire che ognuno è libero di contraddirlo (persino quando scrive su Gesù!), se non precisamente la consapevolezza della sua umana possibilità di sbagliare? Ma se le cose stanno così, in che cosa precisamente consiste l’infallibilità papale e da dove viene?

L’infallibilità che spetta al Romano pontefice è il penultimo dei dogmi dichiarati dalla Chiesa cattolica. Venne proclamato dal Concilio Vaticano I con la Costituzione dogmatica Pastor aeternus del 18 luglio 1870, in un’Europa che il giorno dopo avrebbe visto lo scoppio della Guerra franco-prussiana tra il Secondo Impero francese e il Regno di Prussia e in una Roma che quasi già preavvertiva l’arrivo delle truppe piemontesi pronte a dare l’assalto alla capitale dello Stato pontificio. Il papa regnante era Pio IX, che sei anni prima aveva pubblicato una vera e propria dichiarazione di guerra al mondo moderno, il famoso Sillabo ossia raccolta di errori proscritti.

Ad essere assediata quindi, prima ancora che lo fosse la capitale dello Stato pontificio, era la mente cattolica, che assisteva all’inarrestabile processo che l’andava privando di quel primato morale e spirituale che deteneva da secoli. Si spiega così il desiderio di accentramento attorno alla figura del papa e del suo primato da cui scaturì il dogma dell’infallibilità pontificia. Esso dichiara che il Romano pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando definisce una dottrina in materia di fede e di morale, gode di infallibilità. E che per la fede cattolica non si tratti di un semplice optional, ci ha pensato il Vaticano I a renderlo chiaro: “Se poi qualcuno, Dio non voglia!, osasse contraddire questa nostra definizione: sia anatema”. Anatema, per chi non lo sapesse, è sinonimo di scomunica.

Dal 1870 a oggi il dogma dell’infallibilità è stato usato solo una volta, per la precisione da Pio XII nel 1950 quando proclamò il dogma dell’Assunzione in cielo della Beata Vergine Maria in corpo e anima. Ma nonostante l’uso parsimonioso, la questione dell’infallibilità divenne rovente lo stesso a causa del celebre teologo svizzero Hans Küng che, precisamente per aver criticato l’infallibilità pontificia con un libro che fece epoca dal titolo Infallibile? Una domanda (1970), venne privato da Giovanni Paolo II della qualifica di teologo cattolico.

È credibile oggi un dogma come quello dell’infallibilità papale? A mio avviso esso finisce piuttosto per allontanare dal sentimento religioso. Io penso infatti che per la coscienza sia la stessa nozione di infallibilità a risultare oggi improponibile, quando le stesse scienze esatte si dichiarano consapevoli di presentare dati sempre sottoposti a possibile revisione e come tali dichiarabili solo “non falsificati” e mai assolutamente veri.

Viviamo in un’epoca in cui la stessa nozione teoretica di verità risulta poco credibile, tanto più se si tratta di verità assoluta, dogmatica, indiscutibile. Ratzinger lo sa bene, e non a caso da tempo accusa quest’epoca di “relativismo”, ma non è colpa di nessuno se le cose sono così, è lo spirito dei tempi che si muove e si manifesta nelle menti dopo un secolo qual è stato il ’900, e occorre prenderne atto se si vuole continuare a parlare al mondo di oggi.

Anche alla luce del fatto che un papa, Onorio I, venne dichiarato eretico dal concilio ecumenico Costantinopolitano III, Küng proponeva di sostituire a infallibilità il concetto di indefettibilità, intendendo dire con ciò che la questione sottesa all’infallibilità non riguarda la ragione teoretica, ma la volontà, “il cuore” come direbbe Pascal, ovvero che la Chiesa non verrà mai meno al compito bellissimo di essere fedele al suo Signore e al primato del bene e dell’amore che ne consegue. A me pare una proposta più attuale, più umile, più evangelica.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/2/2013 03.07
Titolo:La Chiesa ha bisogno di una riforma profonda
La Chiesa ha bisogno di una riforma profonda

di Christian Terras*

in “Le Monde” del 15 febbraio 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Che il papa dia le dimissioni a causa dell’età, è già un fatto eccezionale! Ma che aggiunga a questa motivazione quella di un mondo che avanza troppo rapidamente per lui è una cosa da sottolineare. A questo punto, come interpreterà il suo atto, il suo successore? Per governare la barca di Pietro in un mondo ricco di cambiamenti, occorre un pontefice che li accolga o che li rifiuti? Alcuni riterranno che a questa alternativa manca la prospettiva di un’accoglienza critica della postmodernità. Perché, di fatto, le dimissioni di Benedetto XVI illuminano di nuova luce la crisi attraversata dalla Chiesa.

Dopo il grande discorso d’addio di Gesù, i suoi discepoli sanno di essere nel mondo senza essere del mondo, ma non hanno ancora finito di discernere il modo in cui possono essere testimoni del Vangelo. Ma da quando la religione non struttura più la realtà sociale, siamo messi di fronte ad una situazione inedita nella storia dell’umanità: quest’ultima può vivere come se Dio non esistesse!

Benedetto XVI ha lottato contro questa scomparsa di Dio come fondamento della verità dell’umano. Avrebbe lottato fino all’esaurimento? Stando così le cose, le sue dimissioni non sarebbero il segno di un fallimento di questa battaglia persa in anticipo?

Il prossimo papa potrebbe chiarire in quale modo la mentalità contemporanea ci permette di scoprire un nuovo volto di Dio, in fedeltà con l’itinerario di Cristo. Per il papa attuale, solo la sottomissione a Dio, e quindi alla sua Chiesa che ne interpreta le volontà, permette di scoprirla. Ma non è possibile immaginare diversamente la relazione con la trascendenza?

La Chiesa ci mostra un Dio nascosto nella carne del mondo che le autorità religiose rifiutano di vedere! Dio non è più in competizione con l’umanità. La sua alterità penetra il nostro desiderio, il suo infinito vive nella nostra finitezza. Gesù ci ha insegnato a scoprirlo nei più piccoli, che sono i suoi fratelli.

La questione della verità è quindi intimamente legata a quella della solidarietà. Se Dio si fa solidale, è per insegnarci un altro modo di vivere con gli altri.

L’imitazione di Cristo ci proibisce quindi di assomigliare agli scribi che impongono agli altri i fardelli di una legge falsamente divina. Se il pontefice romano vuole assomigliare a Gesù dovrà, come lui, essere accogliente e dialogante, soprattutto con coloro che sono rifiutati. Non si tratta di carità compassionevole, ma di una lotta con coloro che rifiutano le strutture economiche e politiche inique.

Ma che la verità si trova in un dialogo solidale implica anche un nuovo modo di governare. I vescovi, tra cui quello di Roma, non possono più pretendere di sapere per e al posto degli altri. Sono al contrario invitati a cercare un Dio sempre più grande che sfugge ai nostri ragionamenti.

La Chiesa istituzionale adotta ancora nella maggior parte dei casi il comportamento dei farisei, nel meglio e nel peggio. Come loro, corre il rischio allontanarsi da coloro che credono, pensano e vivono diversamente da come prevedono le sue definizioni.

Certo, la Chiesa ha fatto, dal Vaticano II, degli sforzi di dialogo, ma a livello pastorale. La teologia non ne è stato toccata. Il catechismo resta lo stesso e le voci discordanti all’interno della Chiesa faticano a farsi sentire. E il cardinale Ratzinger è stato l’artigiano di una “stretta” sui teologi, privando la chiesa di una ricerca indispensabile, in particolare in dialogo con le scienze umane.

Questo modo di governare è diventato insopportabile per i nostri contemporanei per i quali l’autonomia è ineliminabile. È anche in contraddizione con la testimonianza del Nuovo Testamento.

Dall’accoglienza della Samaritana o dell’adultera a quella del buon ladrone sulla croce, Gesù ha spezzato i confini delle leggi disumane. Ogni incontro è stato l’occasione per dire un Dio che libera. Ha aiutato i suoi discepoli a trasgredire delle tradizioni percepite come divine mentre erano solo umane.

La Chiesa è ancora invitata a proseguire questo lavoro di decostruzione. Del resto Luca negli Atti non nasconde i conflitti che portarono la Chiesa ed abbandonare certe prescrizioni, inventando nuovi ministeri e precisando le esigenze della fede. Questi racconti devono ispirare l’agire pontificio.

In materia di morale familiare, ad esempio, è indispensabile un vero dialogo all’interno della Chiesa con le coppie divorziate risposate o le persone omosessuali, nonché il tener conto delle problematiche del genere. Le donne non potranno più essere ancora a lungo messe da parte e impiegate in compiti subalterni.

È anche urgente che il ministero petrino sia messo in tensione con la figura di Paolo: Pietro non ebbe ragione senza l’apostolo dei gentili. Tra i vescovi deve circolare una parola libera su tutti i problemi cruciali del nostro mondo. Non sono semplici cinghie di trasmissione della curia romana.

Inoltre, è altrettanto urgente uno scambio franco e onesto con le Chiese sorelle, soprattutto con i protestanti. È una condizione perché il vangelo si radichi in tutte le culture. Il papa non potrà neppure trascurare l’opinione dei fedeli. Ascoltare come rendono conto del loro modo di vivere, permetterà alla Chiesa di sfuggire alla logica caricaturale del bianco e nero, cercando il senso in tutte le zone grige delle nostre esistenze, per parlare come il defunto cardinal Martini.

In questo senso, ciò di cui la Chiesa ha bisogno non è tanto un nuovo concilio di vescovi, quanto una riforma fondamentale sui temi istituzionali e dottrinali. Essa potrà così essere testimone della pertinenza del cristianesimo nella nostra postmodernità e dire Dio diversamente in un nuovo modo di fare Chiesa, in un dialogo aperto con il mondo, per tentare di raccoglierne le sfide.

*redattore capo di “Golias Hebdo” e di “Golias Magazine”

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Commenti Articolo 585

Titolo articolo : IL MALE CHE HA FATTO ALL’ITALIA E’ PARI A QUELLO CHE HA FATTO ALLA CHIESA,di Gianni Dotti

Ultimo aggiornamento: February/14/2013 - 16:46:30.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/2/2013 16.46
Titolo:SETTE ANNI DI OFFESE ALLA CHIESA E ALL'ITALIA. UNA MEMORIA DEL 2005 aggiornata
CEDIMENTO STRUTTURALE DEL CATTOLICESIMO-ROMANO. Benedetto XVI, il papa teologo, ha gettato via la "pietra" ("charitas") su cui posava l’intera Costruzione...e anche la maschera


IL PAPATO DI BENEDETTO XVI: SETTE ANNI DI OFFESE ALLA CHIESA E ALL'ITALIA. Una nota su un incontro del 2005 e sugli eventi successivi, fino ad oggi

VEDI:

http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/Ratzinger/Interventi_1335286522.htm

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Commenti Articolo 586

Titolo articolo : DANTE CORRE FORTISSIMO: IL PARADISO E' ALLA PORTA E  BENEDETTO XVI  CONTINUA A SPERARE IN  "MAMMONA". Intervista di Lorenzo Fazzini a Fabrice Hadjadj sul suo recente lavoro - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/13/2013 - 20:47:23.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/2/2013 18.24
Titolo:Se il Paradiso è in questa terra ...
Se il Paradiso è in questa terra
Le riflessioni sulla preghiera della teologa Adriana Zarri

di Umberto Galimberti (la Repubblica, 26.01.2013)

«Vi scongiuro fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze». Queste parole di Nietzsche le sento risuonare in ogni pagina del libro di Adriana Zarri, Quasi una preghiera.

Quasi perché siamo soliti chiamare “preghiera” l’invocazione, o la richiesta di grazie, o quelle noiosissime nenie che recitano formule senz’anima, senza partecipazione, senza canto. Queste «formule scritte da altri e assunte da noi senza che spesso riusciamo ad aggiungere nulla di nostro» non sono per Adriana Zarri vere preghiere perché «non consentono un libero e personale esprimerci e parlare col Signore».

Ma perché questa preghiera possa sorgere e scaturire spontanea e sincera con tutta la partecipazione del cuore bisogna ribaltare quella concezione teologica che descrive la terra come «valle di lacrime» o come «esilio», perché, scrive la teologa, monaco ed eremita, Adriana Zarri, se la terra è «la creazione bella e buona predisposta dal Signore per noi», se non è «un deserto, ma un giardino: il giardino dell’Eden», se «il Signore non ci ha messi in esilio, ma ci ha collocati nella nostra patria, nella casa che aveva amorevolmente preparato per noi», allora a questa patria, a questa casa, a questo giardino a questa terra dobbiamo essere fedeli e «pregare Dio per questa terra in senso proprio, questa terra di terra, per questo cielo d’aria e non per quello metaforico popolato dagli angeli, per questo cielo nostro, questo cielo di nuvole e di vento, percorso dalle ali degli uccelli».

Così risuona nelle parole di Adriana Zarri l’invocazione di Nietzsche: «Vi scongiuro fratelli, rimanete fedeli alla terra», ma risuonano anche le «sovraterrene speranze» a cui Nietzsche invita a non credere.

Eppure la fedeltà alla terra di Adriana Zarri fa la sua comparsa anche nelle «sovraterrene speranze» se appena ascoltiamo l’invocazione della sua ultima preghiera: «E questo nostro dolce mondo, ti prego, Dio, fallo risorgere tutto, così com’è, perché è così com’è che noi lo amiamo, ed è così com’è che noi lo attendiamo quando “i cieli nuovi” e “le terre nuove” che ci hai promesso risorgeranno dal gran rogo finale. Ti prego, non dimenticartene, Signore, perché io aspetto di trovarle di là. Se non ci fossero ne resterei delusa, e in paradiso non può esserci delusione».

Possiamo leggere questo libro di Adriana Zarri, che prega il Signore con il canto che si leva dalla contemplazione delle sue creature e delle sue bellezze, che il succedersi delle stagioni offre nella loro varietà, in sintonia con la variazione che caratterizzala la gamma dei nostri sentimenti, come un libro lirico, mistico, non dissimile dalla mistica francescana.

Ma Adriana Zarri non è solo questo. Perché da teologa ha anticipato il Concilio Vaticano II, e da voce libera e forte ha avuto il coraggio di ribaltare quella visione che il cristianesimo, dimentico del Vangelo, ha ereditato da Platone, il quale ha disprezzato la terra e il mondo sensibile per il mondo delle idee collocate sopra il cielo. Questa tradizione greca e non cristiana è stato ripresa da Agostino che ha deprezzato la città terrena per esaltare quella celeste, e da allora in poi la terra è diventata valle di lacrime e di dolore: il dolore che redime.

Quasi una preghiera, prima di essere un libro lirico o mistico, è un libro teologico, dove ciò che si chiede è di abbandonare il dualismo platonico e poi cristiano che oppone la terra al cielo, lasciando l’uomo senza quella patria, quella casa, quel giardino che il Signore aveva amorevolmente preparato per lui.

* il libro

- "Quasi una preghiera" di Adriana Zarri
- Einaudi, pagg. 200, euro 18,50
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/2/2013 20.47
Titolo:IL CONCILIO. Uno spettro si aggira nella storia della Chiesa
Verso un’era collegiale

di Franco Cardini

in “Quotidiano.Net” (Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione) del 13 febbraio 2013

È ancora presto per aspettarsi risposte sicure o comunque più attendibili e verosimili alla domanda che tutti ci andiamo ponendo in queste ore: quali sono state, nello specifico, le vere grandi ragioni che hanno indotto Joseph Ratzinger a rinunziare al suo alto ufficio?

Dalla ridda delle ipotesi va emergendo una direzione interpretativa che non va sottovalutata: che cioè Benedetto XVI si sia tirato indietro non in quanto disorientato dinanzi all’enigma delle prove che ancora attendono il pontificato e la Chiesa bensì, al contrario, in quanto fin troppo conscio della loro qualità ed entità. Non è escluso che l’autentico nucleo del messaggio inviato con queste dimissioni sia che sta giungendo per l’intera comunità cristiano-cattolica il momento di voltare sul serio pagine.

La ‘Profezia di Malachia’, qualunque sia il valore che vogliamo attribuirle, assegna al prossimo pontefice, Petrus Romanus, il ruolo di ultimo papa: e poi? Fine della Chiesa e magari fine del mondo, si è detto. Ma forse - proseguiamo nel gioco dell’attribuzione di un qualche valore a quell’antico e dubbio testo - ciò cui si allude è semplicemente un sia pure rivoluzionario mutamento istituzionale. È la funzione pontificia che potrebbe venir messa in discussione ed esser fatta oggetto di cambiamenti radicali in un futuro magari prossimo. E potrebb’essere la consapevolezza di questa incombente rivoluzione ad aver suggerito a papa Benedetto che è ormai arrivata l’ora di farsi da parte. È a questo punto più chiaro il senso delle polemiche relative al valore e alla funzione del Concilio Vaticano II, che negli ultimi tempi erano arrivate a un livello d’intensità e di durezza che non si giustificava solo con la coincidenza del cinquantesimo anniversario di quell’evento.

In effetti potremmo affermare, parafrasando Marx ed Engels, che uno spettro si aggira nella storia della Chiesa cattolica moderna: il Concilio. L’assemblea dei capi delle singole comunità (le «chiese» vere e proprie) che nel loro insieme costituivano la comunità dei credenti nel Cristo, si affermò fino dai primi tempi di libera vita della Chiesa a partire dal IV secolo. I vescovi si riunivano periodicamente per regolare le questioni concernenti i dogmi, la liturgia e la disciplina comuni. Tali riunioni riunivano di solito solo alcune circoscrizioni locali, ma in casi di maggior importanza tutti i vescovi del mondo cristiano erano tenuti a partecipare: si aveva allora il «Concilio ecumenico», durante il quale si prendevano le grandi decisioni.

In tutto, la Chiesa ha fino ad oggi tenuto 21 Concilii ecumenici: fondamentali tra essi quelli del IV-V secolo (di Nicea, di Efeso, di Calcedonia), nei quali letteralmente si fondarono dogma, liturgia e disciplina; tra gli altri, ebbero speciale rilievo i quattro Concili lateranensi del 1123, del 1139, del 1179, del 1215, durante i quali si andò affermando, dopo lo scisma che aveva separato dal 1054 la Chiesa greca dalla latina, il principio - già del resto precedentemente proposto - del «primato di Pietro», cioè dell’autorità e del potere del vescovo di Roma come capo effettivo e supremo della compagine ecclesiale latina.

Il nucleo profondo della vita della Chiesa, espressa attraverso i vari Concili, era la continua necessità di riformarne la vita e i costumi. Reformatio è quasi la parola magica che attraversa il mondo ecclesiale soprattutto tra XI e XVI secolo. Ma appunto durante il medioevo apparve sempre più chiaro che autorità personale del vescovo di Roma e autorità collegiale degli altri vescovi erano in obiettivo conflitto tra loro. Esso divenne drammatico nella prima metà del Quattrocento allorché
- dopo il lungo periodo avignonese e il cosiddetto «Grande Scisma d’Occidente» che lo aveva seguito a ruota, tra 1378 e 1414 - la deposizione l’uno dopo l’altro di ben tre pontefici (Gregorio XII, Benedetto XIII e Alessandro V) in soli cinque anni tra 1409 e 1414 e la successiva convocazione di due grandi Concilii, a Costanza fra ’14 e ’17 e a Basilea (poi trasferito a Ferrara e quindi a Firenze) fra ’39 e ’49, mise talmente in discussione l’autorità papale da consentir la nascita di una nuova dottrina, detta appunto “conciliarismo”, che postulava la superiorità del Concilio sul papa in termini di direzione della Chiesa.

Una di quelle coincidenze non infrequenti nella storia volle che fosse proprio l’intellettuale che come segretario del Concilio di Basilea aveva contribuito in modo determinante alla nascita della dottrina conciliaristica, il senese Enea Silvio Piccolomini, una volta divenuto papa col nome di Pio II si rivelò il più deciso e feroce paladino del monarchismo pontificio.

Dopo la metà del Quattrocento, i Concilii diventarono molto rari. Il V Concilio lateranense tra 1512 e 1517, che avrebbe dovuto decisamente riformare la Chiesa sconvolta dal malcostume dei pontefici e dei prelati del secolo precedente, si concluse con quella che è passata alla storia come la «Riforma» per eccellenza, la protestante, che coincise peraltro con un grande scisma all’interno della Chiesa d’Occidente.

Dopo allora, il fallimento al suo principale scopo del Concilio di Trento, che si svolse dal 1545 al 1563 con l’iniziale obiettivo del risanamento dello scisma avviato da Lutero, servì quasi da vaccino per i vertici della Chiesa romana: dopo allora non si convocarono più Concilii ecumenici prima del grande Vaticano I del 1870, che fu riunito appositamente per rafforzare l’autorità del papa di Roma e addirittura - in un grave momento di crisi politica, la fine del potere temporale - ne proclamò l’infallibilità ex cathedra.

Il Vaticano II emendò, modificò e corresse l’indirizzo del Concilio precedente e dette vita a una nuova stagione di teorie neoconciliariste, sostenute soprattutto dalla scuola dei teologi e degli storici dossettiani di Bologna. Dopo allora, il lungo pontificato di Giovanni Paolo II coincise con una rinnovata era di forte monarchismo papale, del quale Joseph Ratzinger fu il teologo. Ma è proprio lui, una volta divenuto papa, che dopo un governo di otto anni lascia significativamente l’incarico subito dopo un concistoro di cardinali che (non lo sappiamo) può essere stato tempestoso. E allora, la domanda che è legittimo formulare è questa: che la nuova età della Chiesa, quella che Benedetto XVI ha compreso necessaria ma non si è sentito di gestire, sia quella di una rinnovata proposta conciliaristica di direzione non più monarchica, bensì collegiale della Chiesa cattolica? Il prossimo conclave e il nuovo pontefice risponderanno a questa domanda.

di Franco Cardini

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Commenti Articolo 587

Titolo articolo : VOGLIO SVEGLIARE L'AURORA. A DON GIUSEPPE DOSSETTI, PER IL SUO CENTENARIO DELLA NASCITA.  LA "TRIPLICE VITTORIA" (UN SUO ARTICOLO DEL 1945) E "LA LECTIO MAGISTRALIS" DI ALBERTO MELLONI (Reggio Emilia, 9 febbraio 2013). - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/13/2013 - 09:39:38.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/2/2013 16.21
Titolo:Anniversario Patti Lateranensi. Lo strappo definitivo tra la Chiesa e il Pdl
Lo strappo definitivo tra la Chiesa e il Pdl

di Claudio Tito (la Repubblica, 11 febbraio 2013)

L’ultimo strappo tra i vertici della Chiesa italiana e il Pdl si è consumato proprio in queste ore. Con uno sgarbo che Segreteria di Stato e presidenza della Cei considerano poco digeribile. Il segretario del Pdl, Angelino Alfano, infatti, dopo aver disertato il concerto con il Papa, non prenderà parte nemmeno al tradizionale ricevimento che celebra l’anniversario dei Patti Lateranensi. Ci sarà Mario Monti, in qualità di presidente del consiglio, e il leader Udc, Pier Ferdinando Casini. Pierluigi Bersani, invece, presente al concerto con Benedetto XVI ha fatto sapere per tempo di non poter partecipare all’appuntamento.

A meno di un cambio di programma dell’ultima ora da parte di Alfano (che comunque verrebbe considerato tardivo dal punto di vista dei rapporti “politici”), domani pomeriggio nella sede dell’Ambasciata italiana presso la Santa Sede non ci sarà quindi nessuno dei “big” del Pdl. Non essendo previsto neanche Silvio Berlusconi. Non mancherà l’“ambasciatore” del Cavaliere, Gianni Letta, ma si tratta comunque di una lesione nei contatti tra Chiesa e centrodestra mai così evidente. Anzi, la “fotografia” nei saloni di Palazzo Borromeo dei cosiddetti “colloqui in piedi” senza una “presenza berlusconiana” non ha di fatto precedenti dal 1994. Del resto l’allontanamento delle attuali gerarchie ecclesiastiche dai rappresentanti pidiellini negli ultimi due anni è stato progressivo.

Eppure la “foto” di domani è anche il frutto di un ultimo scontro che si sta consumando all’interno della Conferenza episcopale italiana e con la Segreteria di Stato. Una battaglia che in questo caso vede alleati Tarcisio Bertone, numero uno della Curia, il presidente della Cei Angelo Bagnasco e l’Appartamento papale. Sull’altro fronte la “destra curiale” che sul versante della Cei si basa sull’asse cosrtuito da Ruini con il Patriarca di Venezia Moraglia e all’interno del Vaticano sulla convergenza tra il prefetto della Congregazione per il Clero Mauro Piacenza e monsignor Balestrero.

L’ultimo affondo della “corrente” ruiniana, infatti, c’è stato in occasione delle formazione delle liste elettorali. Secondo Don Camillo, il Cavaliere resta il «male minore» e lo strumento per conseguire un «risultato utile», al punto di benedire nel Lazio il patto tra Francesco Storace e Eugenia Roccella. «Berlusconi - va ripetendo da settimane - i voti ancora ce li ha». L’ipotesi di un’intesa tra il centrosinistra e la lista di Monti viene considerata «inappropriata». Non a caso, proprio i “bracci armati” di Ruini - a cominciare da Monsignor Fisichella - avevano chiesto a gennaio ai rappresentanti di Scelta Civica e al leader centrista Casini di mettersi alla guida di un nuovo centrodestra cercando di replicare una sorta di “Operazione Sturzo”. Con l’obiettivo, appunto, di rendere impossibile la successiva alleanza con lo schieramento di Bersani in virtù dei «valori non negoziabili».

Una linea contestata dall’asse Bertone-Bagnasco. Entrambi, infatti, considerano la presenza del Cavaliere nella corsa elettorale un ostacolo insormontabile sia a causa delle vicende Noemi e Ruby, sia per l’immagine internazionale dell’ex premier. Dopo le tensioni piuttosto vistose dei mesi scorsi, quindi, tra Segreteria di Stato e Cei è stata siglata una sorta di «tregua operosa». Resa plasticamente visibile alla presentazione alcune settimane fa del libro “La porta stretta” che raccoglie le prolusioni del presidente della Cei.

Un patto che, secondo gli uomini più vicini ai vertici episcopali e della Curia, si basa anche sui nuovi orientamenti dei credenti praticanti. L’attivismo “ruiniano”, infatti, non sembra aver preso piede tra i cattolici di base se si considera il recente sondaggio pubblicato dal mensile Jesus: Pd e Scelta Civica sono in cima alle loro preferenze e il centrodestra scivola sempre più dietro. Anzi, tra quelli che un tempo votavano per il Cavaliere emerge la tentazione-Grillo. Per di più i «valori non negoziabili» non vengono considerati un criterio fondamentale per le scelte politiche.

La disposizione verso il superamento del “rapporto esclusivo” con il centrodestra sta diventando quindi il perno di quella ricucitura di rapporti tra Bertone, Bagnasco e l’Appartamento papale. Basti pensare all’appello lanciato pochi giorni fa proprio dal capo della Cei che tutti hanno interpretato come un ulteriore stop al Cavaliere: «Gli italiani hanno bisogno della verità delle cose, senza sconti, senza tragedie ma anche senza illusioni. La gente non si fa più abbindolare da niente e da nessuno».

Ma questa scelta viene appunto criticata dalla componente “ruiniana” e dai conservatori. Al punto di tentare un accordo con l’ala più conservatrice della Chiesa. Non è un caso che di recente sia partita un’offensiva diplomatica con il Cardinale Piacenza (che aspirava alla successione di Bertone in Segreteria di Stato), con Moraglia (Patriarca di Venezia), e con l’arcivescovo di Ferrara Luigi Negri (vicino a Cl) e monsignor Balestrero (Sottosegretario per i Rapporti con gli Stati). A loro è offerta una sponda per creare un nuovo rapporto di forze. Si tratta di uno scontro che dentro la Curia richiama alla memoria il vecchio duello tra Papa Montini, Paolo VI, e l’arcivescovo Roberto Ronca, esponente della destra romana e della corrente più tradizionalista di Coetus Internationalis Patrum.

Ma soprattutto ha aperto con un certo anticipo la scacchiera per il futuro Conclave. Sta di fatto che in questa fase Bertone e Bagnasco non intendono accettare l’idea di una nuova concessione a Berlusconi né giustificare alcune sue gaffe con il pricipio della “contestualizzazione”.

I vertici della Cei, prima di optare per l’addio definitivo, avevano chiesto proprio ad Alfano - ottenendole - garanzie sulla necessità che Berlusconi non sarebbe ricandidato come guida. Assicurazioni che poi sono state smentite. Le differenze tra il Segretario di Stato e il presidente della Cei riguarderanno semmai la gestione delle scelte per il dopo voto. Ma al momento c’è un anello che li unisce: guardare al dopo-Berlusconi.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/2/2013 17.18
Titolo:Cosa blocca l'orologio della chiesa?
Cosa blocca l’orologio della storia?

di Fulvio De Giorgi (“Presbyteri”, n. 2, febbraio 2013)

1. Nella Chiesa del XXII secolo

Con un esercizio di ‘fantasia pastorale’ spostiamo decisamente in avanti l’orologio, anzi il calendario della storia. Quale sarà la Chiesa nel 2113? Forse ci sarà già stato il Concilio Vaticano III o forse no... La Chiesa si articolerà nelle tante piccole comunità ecclesiali viventi, sparse sul territorio. Rifulgeranno le due ‘vocazioni’ fondamentali: alla verginità consacrata e al matrimonio. E dalla prima verranno, prevalentemente, i vescovi a reggere le diocesi, indicati - se non proprio eletti - da tutti i cristiani di quelle chiese locali. Prevalentemente dai coniugati, invece, dopo una lunga e provata testimonianza di vita, le piccole comunità eleggeranno gli ‘anziani’ (maschi o femmine), chiamati a presiedere l’eucaristia e a guidare spiritualmente quelle ‘chiese tra le case’: il vescovo vaglierà gli eletti e li ordinerà per quel ministero. Non si chiameranno ‘sacerdoti’, perché ovviamente tutti i battezzati adulti, cioè i ‘santi’ o ‘cristiani’, sapranno di essere sacerdoti, in forza del battesimo. Saranno appellati ‘anziani’ (o, che è lo stesso, ‘presbiteri’, ‘preti’), chiamati al sacerdozio ministeriale.

Non ci potranno essere mai, allora, pochi preti e l’espressione ‘crisi di vocazioni’, riferita al sacerdozio ministeriale, non avrà senso: le vocazioni principali saranno, come si è detto e come è sempre stato, al matrimonio e alla verginità consacrata. Tra loro emergeranno i vari carismi, poi riconosciuti in ministeri (compreso quello presbiterale), da parte della comunità, in comunione e sotto la guida del vescovo. E ogni piccola comunità potrà avere, ovviamente, più di un presbitero, avrà anzi normalmente un collegio presbiterale, con uomini e donne.

Lo sforzo maggiore (anche economico) delle diocesi sarà la cura dei giovani, per formare buoni coniugi e buoni celibi consacrati. Ci saranno pertanto cammini formativi ed esistenziali, con diverse ‘tappe provvisorie’ (ma talvolta stabili) e ‘passaggi’ volontari, per giungere ai consacrati con voti perpetui e ai coniugati con matrimonio indissolubile: i primi chiamati ad essere segno escatologico delle realtà ultime, del Regno di Dio che non è di questo mondo; i secondi ad essere segno di Cristo Sposo unito in un sol corpo, in una carne sola, con la Chiesa Sposa. Pertanto i piccoli e i poveri avranno sempre il primo posto e tutte le scelte ecclesiali saranno fatte ‘dal loro punto di vista’.

E non si potrà dare, in tale situazione, una realtà di ‘clericalismo’, cioè una separazione castale di una parte del Popolo di Dio dall’altra: del clero dal laicato. Né potranno darsi presbiteri sconosciuti alle comunità e imposti loro.

I celibi consacrati si asterranno dal trafficare con le realtà temporali, ma, annunciando i novissimi, denunceranno le ingiustizie di questo mondo, insieme con tutta la comunità. I vescovi e i presbiteri si guarderanno bene dall’ingerirsi nella vita politica e nella dialettica partitica, ma a tutti ricorderanno le verità evangeliche, le Beatitudini, dialogando fraternamente con ogni persona. Dagli altri cristiani - coniugati o celibi non consacrati - verranno coloro che si occuperanno della vita sociale e civile e, in particolare, della politica, con opzioni partitiche diverse, ma tutti tesi alla realizzazione della Civiltà dell’Amore, dalla parte dei poveri.

Gli storici della Chiesa avranno allora un grande problema da risolvere e si affaticheranno, con lunghi studi, a capire come mai la Chiesa - tra XX e XXI secolo - abbia impiegato tanto tempo, nonostante il Concilio Vaticano II, per superare definitivamente il ‘paradigma tridentino’, con le molteplici difficoltà e contraddizioni (tra cui la cosiddetta ‘crisi vocazionale’) che, nel mutato contesto storico, esso determinava. A tali storici apparirà evidente che una forma organizzativa elaborata, con grande intelligenza e giusta intuizione, nel XVI secolo non potesse funzionare più in un’epoca storica completamente diversa, com’era ormai quattrocento anni dopo, quando tuttavia permaneva ancora. E si chiederanno perciò cosa determinasse tali e tante resistenze.

Qualche teologo-storico denominerà allora il XX-XXI secolo “l’età della Grande Anoressia”: quando, per la resistente permanenza di strutture organizzative desuete, il Popolo di Dio resisteva al soffio dello Spirito e quasi volontariamente rifiutava di nutrirsi dell’eucaristia (poco disponibile per scarsezza di clero) e dimagriva a vista d’occhio, riducendosi pressoché ad uno scheletro.

2. L’ora dei laici e l’ora dei preti

Quando oggi, a cinquant’anni dal Concilio Vaticano II, ci si chiede se è ormai giunta “l’ora dei laici” nella Chiesa, la risposta forse un po’ estremizzata (ma sincera) appare essere: è giunta... ed è passata... e non ci siamo accorti quasi di nulla. Certo è giunta: quante trasformazioni e cambiamenti, con nuove ministerialità laicali, nuovi movimenti, nuovi consigli pastorali!

Certo il laicato ‘regolare’ (cioè quello dei Movimenti, che hanno ciascuno proprie regole, un proprio Fondatore, propri dirigenti) è stato molto lanciato, anche se forse ha ormai espresso tutto quello che poteva esprimere.

Ma il laicato ‘secolare’, quello che continua a frequentare le parrocchie territoriali, con il loro carisma ‘universale’, che partecipa alle eucaristie domenicali: perché è stato dimenticato, emarginato, reso afono? Perché è stata ridimensionata l’Azione Cattolica, mortificando il suo carisma e rendendola sempre più simile a un Movimento tra gli altri? Perché non si parla più di “apostolato dei laici” ma di “aggregazioni laicali”: cioè non più laici apostoli, ma laici gregari?

C’era un vecchio indovinello. Un barcaiolo doveva traghettare, da una sponda all’altra di un fiume, un lupo, una pecora e un cavolo: e come poteva fare senza che la pecora mangiasse il cavolo e il lupo mangiasse la pecora? La soluzione era: traghetterà prima la pecora, poi tornerà indietro e prenderà il lupo, ma portatolo all’altra sponda, lo lascerà e riprenderà la pecora per riportarla indietro. Lasciata la pecora, prenderà allora il cavolo e lo depositerà dall’altra parte. Infine tornerà indietro a prendere la pecora.

Sembrerebbe quasi che sia avvenuta qualcosa del genere nel traghettare la Chiesa dalla sponda preconciliare a quella postconciliare. I laici (le pecorelle del gregge) sono stati i primi ad essere traghettati dai Vescovi nel postconcilio. Ma poi ci sono stati vari ritorni indietro, in particolare proprio per i laici. Oggi siamo al punto che Vescovi-traghettatori e laici sono nella sponda preconciliare, in attesa di ripartire ancora. Ma le acque del fiume non sono calme e c’è da aspettare. Ogni esempio zoppica e anche questa applicazione ha molte sbavature: ma forse rende l’idea...

In molti dei laici ‘secolari’ c’è una sensazione di ritorno indietro. Proprio chi è stato allevato a ‘pane e Concilio’ ha oggi l’impressione che si voglia rivalutare il preconcilio, quasi come se finora si fosse scherzato: ma sarebbe veramente un brutto scherzo (e non voglio dire “uno scherzo da prete”, perché non ci trovo nulla da ridere).

Si ritorna ad una liturgia di parata, da celebrazioni estetizzanti di massa, neo-barocche: il battezzato è riportato ad una presenza spettatoriale, sempre più segnata da applausi. Si ritorna all’infantilizzazione del laicato: il popolo-bambino, che non può crescere mai e non può diventare adulto e maturo (quasi da Tamburo di latta per colonna sonora...), e va imboccato in tutto, specialmente in politica. E i suoi talenti diventano ‘non negoziabili’ (tutta l’attenzione è concentrata appunto sul non-negoziare).

Si ritorna al trionfalismo di facciata: tutto va benissimo, in modo perfettissimo (e se qualcuno segnala problemi, si sbaglia: è lui il problema!). E poi basta con la medicina della misericordia, si ritorni alle armi della condanna. Anzi si ritorni tout court alle armi, per la santa battaglia e la crociata: i laici si compattino in quadrate legioni di Cristo e vadano allo scontro.

È questa l’ora dei laici? Forse dobbiamo onestamente ammettere che il clericalismo non è stato scalfito ed è ancora, più o meno evidentemente, dominante: acuito dall’angoscia per le poche vocazioni, a cui si pensa di ovviare, da una parte, ridando un ruolo ‘appetibile’, cioè leaderistico e superiore, al prete e, dall’altra, allargando le maglie della selezione dei candidati al sacerdozio ministeriale (preparando così, più o meno consapevolmente, delle ‘bombe ad orologeria’ che esploderanno più tardi). Un tempo si pregava perché il Signore mandi santi preti alla Chiesa, mentre oggi ci si accontenta di pregare perché mandi comunque qualche prete. Ma non bisognerebbe pregare (e operare) per avere sante famiglie? Da dove ‘spuntano’ mai i preti?

Non si tratta allora di parlare solo dei “laici”, quasi isolando questo “problema” per analizzarlo a sé. Si tratta di mettere a tema il “clericalismo”, cioè le patologie dei laici e del clero, nelle diverse forme, caratteri ed ambiti dei loro reciproci rapporti. Naturalmente non serve a nulla parlare polemicamente e con asprezza. Nell’attuale fallimento pastorale - che il clericalismo (come una spia infallibile) segnala - ci siamo dentro tutti e solo tutti insieme, aiutandoci l’un l’altro, possiamo sperare di uscirne. È possibile discuterne serenamente?

3. Gli effetti contemporanei del paradigma clericale tridentino

La società europea dell’età moderna - quella che si può chiamare di “antico regime” - era una società di ceti o di ordini, strutturalmente e rigidamente divisa in “stati”: Nobiltà; Clero; Terzo Stato. In questa società viveva un regime di “Cristianità”, sia pure ormai diviso e perciò confessionalmente definito: Paesi Cattolici e Paesi Protestanti, cuius regio eius religio.

Conseguentemente e coerentemente, la Chiesa cattolica, con il Concilio di Trento, puntava su una profonda riforma, spirituale e organizzativa, che faceva fulcro sul clero diocesano. Si toglievano precedenti abusi e scandali. Si istituivano i Seminari per formare in profondità coloro che dovevano costituire l’ossatura fondamentale della Chiesa e, insieme, della Cristianità: essendo riconosciuti come un ordine a sé.

La Chiesa, cioè, si strutturava in modo speculare allo Stato moderno. Se lo Stato moderno presentava Monarchia assoluta (con una Corte e un governo centrale), Burocrazia, Esercito, la Chiesa cattolica a sua volta si organizzava con Monarchia papale assoluta (con una Curia e un centralismo romano), Clero diocesano (uniformemente educato nei Seminari), Compagnia di Gesù.

Il ‘paradigma tridentino’, a trazione clericale, ha efficacemente operato per tutta l’età moderna, ripensandosi poi, con difficoltà, ma comunque permanendo anche nell’Ottocento e nel Novecento.

Il Concilio Vaticano II ha, a sua volta, promosso una altrettanto profonda riforma cattolica: se il Concilio di Trento ha fatto centro sul clero, il Vaticano II ha fatto centro sul laicato. Perciò se non si promuove veramente il laicato, non si promuove veramente la riforma cattolica e perciò la nuova evangelizzazione, indicate e ispirate dal Vaticano II.

Ma perché ciò si realizzi è pur necessaria una fase storica di progressiva evoluzione e di superamento del paradigma tridentino. Non siamo più infatti in una società cetuale di antico regime e in situazione di Cristianità: viviamo in una società democratica, laica e fortemente secolarizzata, pluralistica, con crescenti presenze multireligiose. Siamo in un multiverso, normalmente non gerarchizzato, di corpi collettivi, enti sociali, realtà associative, con una pluralità di ordinamenti normativi e perfino giuridici, di portata diversa.

La Chiesa cattolica non è più complanare all’intera società, riconosciuta concordemente (e perciò concordatariamente) da tutti, come società giuridicamente perfetta, a cui si appartiene anagraficamente, per nascita, ma è una associazione volontaria, tra altre, e il clero non ha più un riconoscimento cetuale, gerarchicamente superiore al ‘terzo stato’. Che effetti provoca allora, inevitabilmente, il paradigma tridentino in questo contesto storico così sociologicamente mutato?

Immaginiamoci un’Associazione che ponga il suo maggiore sforzo economico nel formare, per un lungo periodo, un corpo di funzionari: in luoghi separati, con un sapere specialistico loro proprio, con un forte spirito di corpo, con una netta identità, marcata perfino da un abito-divisa uniforme (e con le distinzioni gerarchiche di grado). Aggiungiamo che questi funzionari non debbano avere famiglia, ma siano obbligatoriamente celibi, che perciò si dedichino alla loro funzione a tempo pieno e che la loro carriera intrassociativa avvenga per cooptazione e designazione dall’alto.

Ora a me pare che sia inevitabile - per legge sociologica necessaria - che tali funzionari diventino una casta separata dagli altri membri dell’associazione e che la loro funzione di servizio si trasformi in una inespugnabile e immodificabile posizione monopolistica di potere, talmente ovvia da essere considerata normale e giusta dagli stessi funzionari (e, per comodità, perfino dai meno interessati degli altri membri).

È questo, mi pare, l’anacronistico e distorcente effetto del paradigma tridentino nel mondo contemporaneo: stanno qui la sociogenesi e la psicogenesi del clericalismo. E ciò spiega pure la ‘coscienza infelice’ ma anche la sostanziale impotenza di tanti generosi presbiteri, che pure vorrebbero superare ogni clericalismo. A parole, poi, sono ormai pochi coloro così vetero-autoritari da difendere il clericalismo: molti di più sono quelli che di fatto lo perpetuano con i loro pensieri, opere ed omissioni.

4. Abituarsi a convivere

Realisticamente il clericalismo non sarà superato velocemente (e del resto forse non sarebbe neppure auspicabile, nel senso che una smobilitazione rapida avrebbe effetti disorientanti imprevedibili).

Da giovane, leggendo i documenti del Concilio Vaticano II, ero convinto che il clericalismo fosse una patologia ecclesiologica dai giorni contati e la combattevo con passione e fierezza laicale. Oggi sono giunto a quell’età in cui i medici quando ti diagnosticano qualche più o meno lieve malanno ti dicono: non ne può guarire, ci deve convivere.

Ecco, penso proprio che non vedrò la guarigione dal clericalismo (non potendo giungere al XXII secolo) e che ormai non mi resti che abituarmi a conviverci. Può sembrare una conclusione deprimente e minimale, ma non credo poi che sia così: c’è infatti un importante spazio di movimento e di graduale miglioramento. Possibile e perciò doveroso: se si può, allora si deve.

È da ricordare innanzi tutto - anche se può sembrare scontato - che i più veri e forti antidoti per combattere il clericalismo sono la Parola di Dio e l’Eucaristia. Quanto più la Chiesa cerca di conformarsi al Vangelo, quanto più è realmente comunità eucaristica tanto più si declericalizza.

Un secondo passaggio è riprendere il magistero del Concilio Vaticano II e perciò mirare - se non proprio alla corresponsabilità (tanto evocata in Lettere pastorali, omelie, prediche quanto poco praticata nella realtà) - a rapporti fraterni tra clero e laicato. Non tanto ai ‘rapporti familiari’ (di cui pure parla il Concilio): perché il termine può essere ambiguo e coprire un paternalismo dissimulato.

Meglio dunque ‘rapporti fraterni’: “I Presbiteri sono stati presi fra gli uomini e costituiti in favore degli uomini stessi nelle cose che si riferiscono a Dio, per offrire doni e sacrifici in remissione dei peccati: vivono quindi in mezzo agli altri uomini come fratelli in mezzo a fratelli. [...] Per raggiungere questo scopo, di grande giovamento risultano quelle virtù che giustamente sono molto apprezzate nella società umana, come ad esempio la bontà, la sincerità, la fermezza d’animo e la costanza, la continua cura per la giustizia, la gentilezza e tutte le altre virtù che raccomanda l’Apostolo Paolo” (Presbyterorum Ordinis, n. 3).

La cortesia, secondo l’insegnamento del Beato Giovanni XXIII, è la prima forma della carità. Sarebbe troppo sperare di avere preti cortesi e gentili? Certo è bene che tutti nella comunità ecclesiale si sforzino di essere rispettosi, cortesi e gentili. Ma ciò mi pare assolutamente necessario per i pastori.

Non è il caso di addentrarci in minuti e articolati approfondimenti sulle caratteristiche psicologiche e sulle dinamiche sociali fondamentali della società contemporanea, che attraversa cambiamenti veloci. Ma mi pare che, nel nostro contesto storico, la nuova evangelizzazione resterà un puro slogan se non sorreggerà vere, autentiche, significative relazioni personali tra i preti e gli altri cristiani: la qualità della relazione diventa fondamentale.

La relazione è, insieme, passaggio ineludibile di pre-evangelizzazione e spia della sincerità esistenziale dell’evangelizzatore quale testimone. Coloro che vogliono essere maestri devono essere prima di tutto testimoni: e la testimonianza non è credibile se non irrora una relazione diretta, piena, sincera, appunto veramente fraterna. La capacità di tessere relazioni interpersonali innervate di spirito evangelico è il nuovo nome della santità pastorale.

Mons. Luigi Serenthà, Rettore Maggiore dei seminari milanesi al tempo del card. Martini e precocemente scomparso, affermava, con grande lucidità: “Il prete che fa tutto da solo, che gestisce come un padrone la propria parrocchia, sganciato da una struttura presbiterale più ampia (il decanato, la città, la diocesi, eccetera) e sganciato da ogni reale collaborazione con tutte le forme carismatiche e ministeriali presenti nella comunità, presenti in tutti coloro che hanno una vocazione (da vivere in questo o in quell’altro ambiente), è una figura inaccettabile, è una figura improduttiva. Soltanto un prete che vive intensamente la fraternità, la comunione con gli altri fratelli del presbiterio, e con tutti i fratelli di fede variamente impegnati nei ministeri, intra ed extra parrocchiali, è un prete che interpreta le esigenze di ritorno al Vangelo, di obbedienza allo Spirito e di fedeltà alla croce, che è l’esigenza tipica della vita pastorale contemporanea. [...] Per cui, anche un bravissimo ragazzo che ha tutte le doti di questo mondo, ma ha poca capacità relazionale, non penso che sia adatto a fare il prete nella diocesi di Milano, oggi, perlomeno. Deve abituarsi, quasi, ad una vita relazionale che non sia soltanto un obbligo di galateo, o di convivenza civile, o un obbligo di generica fraternità cristiana, ma uno stile pastorale, un’abitudine a tener conto degli altri, a lavorare insieme con gli altri, a pensare insieme con gli altri la vita”.

Non è semplice e gli ostacoli sono tanti. Ma non è impossibile avere preti con questo stile pastorale, che sanno costruire vere relazioni umane, spirituali, collaborative. Certo c’è chi, anche a questo proposito, auspica passi indietro, verso tradizionalismi ierocratici, che forse possono rassicurare piccolissimi gruppi (di personalità psicologicamente insicure, ma che risultano totalmente fuori dalla realtà umana di oggi).

Ma preti e laici che amano sinceramente la Chiesa e si amareggiano per le sue difficoltà contemporanee non troveranno vere e giustissime le parole di mons. Serenthà? Signore Gesù, dona santi battezzati, sante famiglie, santi presbiteri alla tua Chiesa: tutti figli dell’unico Padre, fratelli tuoi e perciò fratelli tra loro.

** FONTE: FINESETTIMANA.ORG
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/2/2013 09.39
Titolo:L’art. 1 della Costituzione nacque da un colloquio con Togliatti
Dossetti. Il lavoro per tutti è la profezia della politica

di Pierluigi Castagnetti (l’Unità, domenica 10 febbraio 2013)

«Il 13 febbraio ricorre il 100° anniversario della nascita di Giuseppe Dossetti, figura cruciale del cattolicesimo democratico. Pochi sanno che l’art. 1 della Costituzione nacque da un colloquio in un bar di Roma con Togliatti»

Martedì prossimo alla Camera dei deputati sarà ricordato Giuseppe Dossetti nel centenario della nascita, alla presenza del presidente della Repubblica. Dossetti, partigiano e presidente del Cln di Reggio Emilia, è stato impegnato in politica (prima alla Consulta, poi all’Assemblea costituente, poi in Parlamento e nella Dc di cui fu vicesegretario) per un periodo di soli sette anni, a cui hanno fatto seguito 44 anni di impegno come uomo di Chiesa, prete e monaco.

Anche nella vita della Chiesa è inevitabilmente ricordato per il suo straordinario apporto riformatore, come consigliere del cardinal Lercaro e di monsignor Bettazzi, e poi come moderatore e perito al Concilio Vaticano II. Il cardinal Martini lo definì «profeta del nostro tempo», sottolineando la sua straordinaria capacità di associare profezia religiosa e profezia politica. Ma in questa sede vogliamo ricordare il Dossetti costituente per un aspetto meno conosciuto e studiato. Di lui infatti si ricorda il decisivo apporto nella definizione della struttura personalistica della Carta, negli articoli 2 e 3, e poi i due articoli di cui è stato relatore il 7 e l’11. È stato meno approfondito il suo apporto alla definizione dei contenuti economico-sociali della Costituzione, in particolare sul tema del lavoro. Così come poco si dice del suo rapporto stretto con Palmiro Togliatti, che lui stesso evocherà nel discorso all’Archiginnasio di Bologna nel 1986, come decisivo per la definizione di alcune «architravi» costituzionali.

Un sacerdote di Bologna, mons. Giovanni Nicolini, ricorda ancora quando gli capitò di accompagnare in auto Dossetti e La Pira e ascoltare le memorie di questi due grandi protagonisti dell’Assemblea costituente. Dossetti parlò di quando, all’inizio dei lavori, incontrò riservatamente Togliatti in un bar vicino a piazza del Popolo, al fine di sciogliere alcuni nodi preliminari e, in particolare, di decidere il principio ispiratore di tutta la Carta, quello che già in quel colloquio, avrebbe dovuto essere l’articolo 1. I due non si conoscevano bene ma nella conversazione si superò presto l’impaccio iniziale. Fu Dossetti a rompere gli indugi e a indicare il tema del lavoro, destando ovviamente consenso ma anche qualche comprensibile sospetto da parte di Togliatti: «Lei lo fa per compiacermi». «No, non mi interessa compiacerla, sono proprio convinto che il tema del lavoro debba rappresentare il cuore della nostra Carta e un punto di incontro fra posizioni culturali che per altri aspetti non sono facilmente conciliabili. La strada per arrivare al comune obiettivo è probabilmente diversa fra noi due. Per lei il tema del lavoro è importante per ragioni politiche e sociali comprensibili, per me è importante come presupposto costitutivo della centralità della persona: senza il lavoro non c’è dignità e senza dignità l’individuo non diventa persona».

Nasce probabilmente in quella occasione e in quel contesto non solo l’intesa per definire il contenuto dell’articolo 1 (il cui testo sarà formalmente presentato poi da Fanfani), ma un rapporto personale che segnerà tutta la vita dell’Assemblea costituente, a partire appunto dal dibattito nella prima sotto-commissione sul tema del lavoro. Ne ha parlato puntualmente il costituzionalista Mario Dogliani, nel seminario del 15-16 ottobre 2011 tenuto a Montesole sul tema «Il lavoro nel pensiero di Giuseppe Dossetti», a cui parteciparono anche i professori Ugo De Siervo e Salvatore Natoli. Il pensiero di Dossetti sul lavoro è anticipato nell’articolo apparso sulla vittoria laburista nelle elezioni del 1945 in Gran Bretagna «Triplice vittoria», riportato in questa pagina. [di seguito]

La discussione nella prima sotto-commissione prende spunto proprio da una proposta formulata da Mo-o e Dossetti: «Ogni cittadino ha diritto al lavoro e il dovere di svolgere un’attività o esplicare una funzione idonea allo sviluppo economico o culturale o morale o spirituale della società umana, conformemente alle proprie possibili tà e alla propria scelta». La discussione ovviamente si sviluppa a lungo e i testi si modificano. Quando si affronta il problema del salario, la prima formulazione che viene posta in discussione è congiunta di Togliatti e Dossetti: «La remunerazione del lavoro intellettuale e manuale deve soddisfare le esigenze di un’esistenza libera e dignitosa del lavoratore e della sua famiglia». Questa è una formula che poi è rimasta ed è confluita nell’articolo 36.

È ancora Dossetti a dichiarare: «Il lavoro è il fondamento di un diritto che però non è concepito come un diritto nei confronti del datore di lavoro, ma come un diritto che si dirige verso l’intera società, che ha il suo fondamento non nella naturalità dell’individuo, ma nel fatto che lavora... Il diritto ad avere i mezzi per un’esistenza libera e dignitosa non deriva dal semplice fatto di essere uomini, ma dall’adempimento di un lavoro... Questa non è un’utopia perché non possiamo rinunciare al sogno, sogno inteso come sogno politico, di avviare la struttura sociale verso una rigenerazione del lavoro.... in modo che il suo frutto sia adeguato alla dignità e alla libertà dell’uomo. Tali principi programmatici non avranno la possibilità di operare un miracolo... ma serviranno almeno ad una progressiva elevazione delle condizioni di lavoro nel prossimo avvenire».
 E La Pira precisa: «Gli articoli formulati dalla sotto-commissione sono sempre partiti... dalla premessa che es-si debbono concorrere a far cambiare la struttura economica e sociale del Paese». Dopo una lunga discussione si arriverà finalmente all’approvazione di una nuova formulazione leggermente diversa, sempre a firma Dossetti-Togliatti: «La remunerazione del lavoro intellettuale o tecnico manuale deve soddisfare le esigenza di esistenza libe-ra e dignitosa del lavoratore e della sua famiglia».

Si potrebbe continuare ancora a leggere i verbali di quel lungo dibattito che affronterà varie altre questioni, in particolare quelle relative al diritto di sciopero, alla finalizzazione della libertà economica e ad altri aspetti, e sempre registreremo gli interventi di Togliatti-Dossetti, Togliatti-La Pira, Moro-Basso-Dossetti-Togliatti, i veri protagonisti di una discussione che anche allora ruotava attorno alla centralità di un diritto soggettivo che è presupposto di altri diritti, un diritto che dà senso e coagulo alla trama di tutti i rapporti economico-sociali, su cui avrebbe dovuto reggersi l’intera architettura costituzionale.

Non è mia intenzione trascinare Dossetti nel dibattito politico, e ancor meno in quello elettorale di oggi, ma non possiamo non rilevare la straordinaria attualità di un pensiero che può aiutare ancora a dare un senso e una prospettiva al processo di profondo cambiamento nel quale ci troviamo inevitabilmente inseriti.

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Commenti Articolo 588

Titolo articolo : TRA "CHARITAS" E "CARITAS", UNA DIFFERENZA ABISSALE. La lezione di Giambattista Vico e alcuni appunti sul magistero di Benedetto XVI - Ratzinger. Una nota ,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/12/2013 - 10:02:56.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/2/2013 22.42
Titolo:SE DIO SI E’ FATTO PAROLA, IO NON POSSO GIOCARE CON LA PAROLA
I CARISMI

di don Mauro Agreste *

1) OGGI PARLIAMO DEI CARISMI Oggi parliamo dei carismi ed è importante averne una conoscenza un pochino più strutturata, perché come catechisti nelle vostre comunità parrocchiali, ma anche nei gruppi di preghiera, è bene che abbiate una conoscenza il più possibile ampia su questo tema. Tutto sommato è stato lasciato per molti versi ad alcuni gruppi ecclesiali, oppure a degli alti studi universitari nell’Università Pontificia. Il tema dello spirito dei carismi è un tema che fa parte della vita della Chiesa; se ne tratta nel Concilio e nella Lumen Gentium. Al n°12 dice che la Chiesa costituita dal popolo di Dio è per così dire, il luogo in cui si esercitano i carismi, ognuno per la sua propria specificità. Però la maggior parte delle persone, quando sentono dire la parola carisma non è che abbiano molto chiaro in mente di che cosa si tratti, è vero?

2) PAROLA USATA E ABUSATA DA MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA Per di più questa parola è stata usata e abusata da giornalisti, da mezzi di comunicazione di massa non per indicare il significato preciso della parola carisma, quanto invece per indicare la capacità che ha una persona di attirare l’attenzione degli altri in qualunque campo, con la sua propria capacità di emergere sugli altri. Quindi in senso generico la parola carisma o personaggio carismatico all’interno della Chiesa e di alcuni gruppi ecclesiali vieni intuita in un certo modo. All’infuori della Chiesa il personaggio carismatico è un personaggio che ha delle chances in più, ha un savoir faire diverso in tutti i campi, sportivo, politico, ecc. ecc. da emergere e attirare l’attenzione, quasi catalizzando l’attenzione degli altri.

3) CARISMA HA LA STESSA RADICE DELLA PAROLA CARITÀ Ma che cos’è dunque il carisma e da che cosa nasce? Intanto la parola carisma deriva dal greco e come voi potete benissimo accorgervi contiene dentro di sé una radice, charis, che è la stessa radice della parola carità. Ora la parola carità, anche se abbiamo una vaga intuizione, è una parola che ha significati molto complessi e molto profondi, per cui almeno nel nostro linguaggio teologico, non è facile definire la carità semplicemente come un atteggiamento. La carità è prima di tutto una caratteristica di Dio stesso, una caratteristica essenziale, tant’è vero che gli antichi dicevano: Deus est charitas da cui gli antichissimi inni, ubi charitas et amor Deus ibi est, dov’è carità e amore lì c’è Dio. Dunque carità ha in sé questa radice charis, che significa qualche cosa di forte, di caldo, di vivo, di avvolgente. Viene cantato nel Veni Creator, si parla dello Spirito Santo e si dice che lo Spirito Santo è ignis, fuoco, fuoco di carità, fuoco di amore.

4) CARITÀ E AMORE VENGONO SPESSO USATI COME SINONIMI Carità e amore vengono spesso usati come sinonimi per una semplice ragione, sono entrambi concetti estremamente profondi. Se tu dici amore, è sufficiente dire amore per capire tutto ciò che significa la parola amore? No, cioè lo usiamo convenzionalmente però noi sappiamo che l’amore autentico per esprimerlo, per significarlo è molto difficile. Ricordate questa mattina il brano del Vangelo che è stato letto: nessuno ha un amore più grande se non colui che muore per i propri amici. Quindi vedete l’amore coinvolge fino alla donazione della vita. L’amore esige per esempio il concetto, che deve essere chiaro, della capacità di donarsi. Amore e donazione totale coincidono; però quando io dico amore non dico solo donazione totale, dico anche gioia, dico anche situazione di protezione. Una persona che ama è una persona che ne sta proteggendo un’altra; una persona che si sente amata è una persona che si sente protetta. Il concetto di guida: chi ama guida; chi è amato si sente guidato non gettato allo sbaraglio. Voi potete immaginare quale grande significato c’è nella parola amore; viene considerata sinonimo di carità, però entrambe hanno una specificità; che l’amore e la carità sono due realtà vive, coincidono con Dio.

5) PARLARE DI CARITÀ SIGNIFICA PARLARE DI GRAZIA Quindi parlare di carità, significa parlare di grazia, che charis è una traslitterazione, è la radice della parola greca che significa grazia. Che cos’è la grazia? Non è la gentilezza nei movimenti, la grazia è lo Spirito Santo in azione, lo Spirito Santo mentre agisce, lo Spirito Santo che sta agendo. Vieni Padre donaci la tua santa grazia, donaci cioè lo Spirito Santo che agisce dentro di noi. Ricordatevi che anche se avete il concetto chiaro nella mente, quelli che sono davanti a voi fraintendono facilmente, soprattutto queste cose complesse. Quindi dovete avere sempre l’idea di parlare a un bambino di 5 anni e state tranquilli che le persone davanti a voi non si sentiranno umiliate e non vi disprezzeranno se voi parlerete il più semplice possibile.

6) CHIEDI CHE LO SPIRITO SANTO VENGA AD AGIRE DENTRO DI TE Allora, donaci la santa grazia, certo che vuol dire donaci la capacità e la disponibilità a seguire i suggerimenti dello Spirito, però tu chiedi proprio che lo Spirito Santo venga ad agire dentro di te, però non senza di te. Quando invochiamo la grazia di Dio su di noi, invochiamo lo Spirito Santo che venga ad animarci dall’interno, come il lievito che fa lievitare tutta la pasta; il lievito non fa sparire la pasta, la fa solo lievitare; certo se non c’è la pasta puoi mettere anche un chilo di lievito che tanto non lievita niente. Allora quando si dice grazia si dice Spirito Santo in azione. Cosa vuol dire charis? Grazia. Cosa vuol dire grazia? Spirito Santo in azione. Lo Spirito Santo aleggiava sopra le acque informi, quindi lo Spirito Santo era già in azione appena Dio ha fatto esistere qualche cosa, ancora non c’era la luce, ma già lo Spirito Santo era in azione. Lo Spirito Santo agisce continuamente. L’ultimo versetto dell’Apocalisse dice: lo Spirito Santo e la sposa gridano Maranthà, vieni Signore Gesù. Quindi attenzione bene, tutta la Bibbia è contenuta da questa azione di Spirito Santo, dunque, tutta la storia degli uomini è contenuta in questi due punti fondamentali: lo Spirito Santo che aleggia e lo Spirito Santo che anima dicendo vieni. Gli uomini non si accorgono dell’azione dello Spirito Santo.

7) NUTRIRE UNA PARTICOLARE ADORAZIONE DELLO SPIRITO SANTO Allora i catechisti hanno questo compito fondamentale, fra tutti gli altri, di nutrire una particolare adorazione dello Spirito Santo. Dico giusto quando dico adorazione, per una semplice ragione, quale? Perché lo Spirito Santo è Dio. Quindi il catechista che non adora lo Spirito Santo non so che razza di catechista voglia essere. Lo Spirito Santo è la grazia che agisce dentro di noi. Il catechista che si mette al servizio della Chiesa, come fa a mettersi al servizio dicendo l’amore per Gesù se non è lo Spirito Santo a comunicarglielo?

8) PARLARE DI SPIRITO SANTO E DIO COME DUE PERSONE SEPARATE Domanda: questo fatto di parlare di Spirito Santo e Dio come due persone separate, non rischia di confonderci? E quando parliamo del Padre separato dal Figlio, non si rischia di creare dei problemi? Nelle dispense degli anni passati c’è quel disegno molto bello che si riferisce allo schema intuitivo su Dio e le sue tre persone. Dio è Padre, è Figlio e Spirito Santo, un solo Dio, però il Padre non è il Figlio, non è lo Spirito Santo e lo Spirito Santo non è il Padre. È chiaro che la nostra mente è così limitata che noi non riusciamo a capire, possiamo solo contemplare.

9) FACCIAMO PARTE DELLA TRINITÀ Di più ancora. Facciamo parte di questa Trinità, con il Battesimo siamo entrati dentro la Trinità, perché siamo con Gesù una cosa sola. Siamo entrati nella Trinità, però non siamo Dio, siamo esseri umani, però facciamo parte della Trinità. Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; quindi la volontà di Dio è che siamo immersi ( bactizzomai verbo greco che significa essere immersi ) in tutto Dio Padre, in tutto Dio Figlio e in tutto Dio Spirito Santo. Questo vuol dire che dentro di noi c’è tutto Dio Padre, tutto Dio Figlio, tutto Dio Spirito Santo e come lo spieghi questo? Quando tu vai a fare la comunione prendi un’ostia grande così, tu sai che lì dentro c’è il Dio Eterno e Infinito, Signore della storia e dei secoli. Sotto un velo di pane c’è il mistero di tutto ciò che esiste. Possiamo intuire. Come dice l’inno Pange Lingua. Visus tactus gustus in te fallitur, la vista il tatto il sapore falliscono, perché tutto quello che i sensi constatano è fallace, non i sensi ma la fede conosce questa verità. Allora con la fede tu accetti, il mistero lo contempli, però non lo capisci. Perché capire dal latino càpere vuol dire prendere e tenere stretto, contemplare invece significa guardare, ma non da soli, sostenuti. Tu puoi guardare il mistero di Dio da solo, lo puoi contemplare cioè tu puoi entrare nel tempio insieme a qualcuno, contemplare entrare nel tempio insieme a qualcuno. Tu non possiedi il tempio è il tempio che possiede te.

10) IL CATECHISTA DEVE PARLARE UN ITALIANO SEMPLICE E COMPRENSIBILE Attenzione, perché usiamo la lingua, ma non la conosciamo e un catechista non può permettersi questo. Un catechista deve parlare un italiano semplice e comprensibile a quelli che ha di fronte però deve conoscere dieci o venti volte di più di quello che sta dicendo agli altri, se no che cosa sta comunicando? Certamente ai bambini non puoi dire le specificità dei termini che vi sto spiegando, però su tu non conosci il significato delle parole, tu insegnerai delle cose sbagliate e noi non possiamo permetterci di fare questo, se no non stiamo divulgando il Vangelo di Gesù Cristo, ma il Vangelo secondo noi. Quindi ricordatevi, è un servizio fatto a Dio quello anche di essere precisi nel linguaggio che si usa. Siate precisi cercando di conoscere il più possibile il significato delle parole che usate, anche le più comuni. E chiedete allo Spirito Santo che vi dia una struttura logica del pensiero: soggetto, predicato, complemento. Diversamente il vostro discorso non sarà compreso da chi vi ascolta; piuttosto articolate frasi e concetti brevi non un discorso lungo e strutturato. Fate discorsi brevi, frasi brevi, ma che siano chiare.

11) LA CONIUGAZIONE DEI VERBI DEVE ESSERE PRECISA State anche attenti alla coniugazione dei verbi, che deve essere precisa, perché un verbo al condizionale ha un significato diverso da un verbo all’indicativo; perché un verbo all’indicativo indica una realtà, un obbligo imprescindibile, un verbo al condizionale indica una possibilità cioè una dualità di realtà; i congiuntivi sono verbi di consequenzialità; se io nella mente non ho l’idea della consequenzialità delle cose, non userò il congiuntivo, userò l’indicativo e renderò tutto obbligante.

Ricordatevi che abbiamo a che fare con le parole, che noi abbiamo la parola di Dio nella mano e siamo i catechisti, non ci possiamo permettere di giocare con le parole, perché da come io uso le parole, favorisco o freno il passaggio del concetto di Dio. Senza diventare fanatici, senza esagerare, però o prendiamo sul serio il nostro servizio reso a Dio. Quindi tutto quello che dipende da me io cerco di farlo al meglio che posso, oppure facciamo come fanno tanti che improvvisano tutto, vanno avanti e non si rendono conto che stanno giocando con Dio. Se sul Vangelo c’è scritto: in principium erat verbum et verbum erat aput deum et verbum erat deum, allora questo ci fa capire che in principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio.

12) SE DIO SI E’ FATTO PAROLA, IO NON POSSO GIOCARE CON LE PAROLE Se Dio si è fatto la parola che noi possiamo intuire e capire, io posso giocare con le parole? No. Non dico questo perché dobbiamo spaventarci, sentirci colpevolizzati, però sentiamo la necessità di pensare le parole che usiamo e pensare le frasi che usiamo, perché se io devo parlare a dei bambini, dovrò rendere estremamente semplice un discorso difficilissimo. Però usando delle parole che siano giuste, che cerchino di generare meno equivoci possibili, adatte al vocabolario che è in possesso a un bambino di 7-10-12-15 anni, senza mai cedere ad accettare una connotazione di linguaggio che non sia più che dignitosa ed elegante.

13) IL CATECHISTA NON USA MAI PAROLE EQUIVOCHE Se ci sono dei modi di dire che esprimono il concetto di essere arrabbiati in un certo modo, il catechista non li usa mai, neanche quando sta da solo. Se ci sono parole equivoche il catechista si deve abituare non solo a non usarle lui, ma a sentirne ribrezzo quando le sente pronunciare da altri, perché il catechista sta usando con la propria lingua un mezzo di evangelizzazione. Dunque l’apostolo san Giacomo dice nella sua lettera al cap. 4 che chi domina la lingua domina tutto il resto del corpo.

Ora un catechista che non domina la lingua come può produrre negli altri un cambiamento di vita, se le parole che escono da lui sono sporcate da una incapacità di dominare la lingua? Naturalmente quando dico capacità di dominare la lingua non mi riferisco solamente a un linguaggio volgare e pesante, mi riferisco anche a un modo di gestire il linguaggio. Una persona che non è capace a non criticare, una persona dalla cui bocca esce sempre una parola di critica, di giudizio, di condanna, di curiosità, di pettegolezzo ecc. può giustamente essere catechista? Non può. Un catechista che non sente fondamentale dentro di sé l’imperativo di sapere quello che sta dicendo, come lo sta dicendo e non si domanda se le parole che sta usando le capisce prima lui, come fa a spiegarle agli altri?

14) IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE AMARE E AMORE Quante volte abbiamo esaminato il significato delle parole amare e amore. Se un catechista non sa che cosa vuol dire amare, sapete con che cosa lo confonde? Con il romanesco volemose bene. Ma amare non è quello, quello non è amare, quello lì è solo cercare di stare tranquilli, senza prendersi tanti problemi, vero? Invece amare è tutta un’altra cosa. Stamattina abbiamo sentito: dare la vita per i propri amici. Vedete che è estremamente differente. Allora non deve essere così per voi, perché voi avete sentito veramente una chiamata del Signore, se no non sareste qui al sabato mattina.

Però per non perdere tempo né io, né voi e neanche Dio, cerchiamo proprio di capire l’importanza di tutto questo. Quando nelle scuole ci facevano fare l’analisi logica, l’analisi del periodo erano molto importanti; se abbiamo dimenticato tutto questo la prima cosa che dobbiamo fare è chiedere allo Spirito Santo che venga a rispolverare dentro di noi le cose che avevamo studiato allora, che le faccia emergere. Vedrete che lo Spirito Santo vi aiuterà; poi dopo cominciate con l’analizzare il linguaggio che usate, le strutture logiche che usate, se sono chiare.

Ricordatevi che le persone che avete di fronte non sono dentro la vostra mente, dunque loro non sanno esattamente dove voi volete arrivare. Una grande carità che potete fare nei confronti del vostro prossimo, un grande servizio è quello di fare un passettino piccolo alla volta. Non date mai niente per scontato, anche se doveste ripetere cento volte in cento incontri, serve per aiutare quella persona a entrare nel difficile concetto che voi volete dire.

15) DOBBIAMO IMPARARE A PERDONARE Per es.: dobbiamo imparare a perdonare. Che vuol dire perdono? È una parola composta. Dividete a metà la parola, per e dono; quella che capite subito è dono, cosa vuol dire dono? È un regalo, non meritato, perché un dono meritato si chiama premio. Capite perché bisogna essere precisi? Perché se io non dico questo allora il perdono mi diventa un diritto, invece non è un diritto, è un dono, un regalo non meritato; quindi se il regalo non è meritato mi viene fatto perché io sono buono o è buono chi mi fa il regalo? Chi mi fa il regalo. L’altra parola da capire è per che deriva dal greco iper, che vuol dire il più grande; quindi se iper vuol dire il più e donum, regalo, mettendo insieme avete l’insegnamento che dovete fare sul concetto di perdono.

Poi ci potete parlare per sei mesi ai bambini del perdono, però se sapete cosa vuol dire voi insegnate realmente ciò che insegna la Chiesa, non ciò che insegna il mondo: vogliamoci bene perché il Signore è buono e ci perdona, tanto perdona tutto e tutti. No! Il catechista non può fare queste cose, non si può confondere il perdono con un sentimento di piacevolezza e di arrendevolezza, non è così. Allora siamo partiti dal tema dei carismi, la prossima volta ricordatemi che dobbiamo continuare sul significato della parola carisma. Abbiamo appena analizzato la radice charis che vuol dire grazia e che significa Spirito santo in azione.

* UNIONE CATECHISTI. CATECHESI. LEZIONI, 08.10.2005
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/2/2013 09.19
Titolo:VERITA' E "CHARITAS". La preghiera di Bacone ...
CHARITAS: COME VICO, COSI' BACONE (AUTORE AMATO DA VICO) *


Nella preghiera che è inserita nella prefazione della Instauratio magna sta scritto:

"Finalmente imploriamo che una volta tolto il veleno infuso dal serpente nella scienza, veleno che fa gonfiare e insuperbire l’animo umano, noi non oltrepassiamo mai i limiti, ma coltiviamo la verità in uno spirito di carità "(nec altum sapiamus, nec ultra sobrium sed veritatem in charitate colamus)"


VEDI:

http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=5580#forum1366962
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/2/2013 10.02
Titolo:Vico e i "ricorsi" storici. Fulmini sui 'bestioni' del Vaticano (11.-02-'13)
GIAMBATTISTA VICO (WIKIPEDIA):

[...] La storia umana, secondo Vico, inizia con il diluvio universale, quando gli uomini, giganti simili a primitivi bestioni, vivevano vagando nelle foreste in uno stato di completa anarchia.

Questa condizione bestiale era conseguenza del peccato originale, attenuata dall\'intervento benevolo della Provvidenza divina che immise, attraverso la paura dei fulmini, il timore degli dei nelle genti che «scosse e destate da un terribile spavento d\'una da essi stessi finta e creduta divinità del cielo e di Giove, finalmente se ne ristarono alquanti e si nascosero in certi luoghi; ove fermi con certe donne, per lo timore dell\'appresa divinità, al coverto, con congiungimenti carnali religiosi e pudichi, celebrarono i matrimoni e fecero certi figlioli, e così fondarono le famiglie. E con lo star quivi fermi lunga stagione e con le sepolture degli antenati, si ritrovarono aver ivi fondati e divisi i primi domini della terra» [...]

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Commenti Articolo 589

Titolo articolo : L’orologio della Chiesa è fermo da secoli. Una "fantasia pastorale" (e un’autocritica parziale) di Fulvio De Giorgi - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/11/2013 - 23:18:18.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/2/2013 22.53
Titolo:IL "SOGNO" DI BENEDETTO XVI (UNA CHIESA "PER MOLTI", NON "PER TUTTI") E' FINITO
CHIESA "PER MOLTI", NON "PER TUTTI"!!!

Per il Convegno "Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri" del 15 settembre 2912, cinque note a margine

di Federico La Sala *

1. LA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA HA ROTTO I PONTI CON IL MESSAGGIO EVANGELICO. A 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, bisogna prendere atto che il terribile è già accaduto: il "Lumen Gentium" è stato spento e, sulla cattedra di Pietro, siede il Vicario del Signore e Padrone Gesù ("Dominus Iesus": J. Ratzinger, 2000). Egli regna e governa in nome del suo Dio, Mammona ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006).

2. DIO E’ VALORE! Sul Vaticano, DAL 2006, sventola il "Logo" del Grande Mercante: "Deus caritas est" (Benedetto XVI, 2006)!!! Il papa teologo, ha gettato via la "pietra" su cui posava - in equilibrio instabile - l’intera Costruzione dela Chiesa cattolico-romana ("Deus charitas est": 1 Gv. 4.8).

3. TUTTO A "CARO-PREZZO" ("CARITAS"): QUESTO "IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO". QUESTO E’ IL NOSTRO VANGELO: PAROLA DI RATZINGER -BENEDETTO XVI, CARDINALI E VESCOVI TUTTI. IL "PANE QUOTIDIANO" DEL "PADRE NOSTRO", SI VENDE A "CARO PREZZO", MOLTO CARO (= "CARITAS")!!!

4. ULTIMA CENA ED ECONOMIA VATICANA. Benedetto XVI cambia la formula: «Il calice fu versato per molti», non «per tutti»!!!

5. IN PRINCIPIO ERA IL "LOGO"!!! SE UN PAPA TEOLOGO LANCIA IL "LOGO" DEL SUO DIO ("DEUS CARITAS EST") E TUTTI OBBEDISCONO, E NON VIENE RISPEDITO SUBITO A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO, DI COSA VOGLIAMO PARLARE DI AFFARI E DI MERCATO?! EBBENE PARLIAMO DI AFFARI, DI MERCATO, DI "MAMMONA", "MAMMASANTISSIMA", E DI COME I PASTORI ... IMPARANO A MANGIARE LE PECORE E GLI AGNELLI, E CONTINUANO A GOZZOVIGLIARE ALLA TAVOLA DEL LORO "DIO"!!! Avanti tutta, verso il III millennio avanti Cristo!!!

Federico La Sala

* Il Dialogo, Mercoledì 12 Settembre,2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/2/2013 23.18
Titolo:LETTERA APERTA AL CARDINALE MARTINI (27 APRILE 2005)
UN APPELLO PER LA PACE: UN NUOVO CONCILIO, SUBITO!

Caro Cardinale Martini

“Era””, “è ”: GESU’, IL SALoMONE, IL PESCE (“Ixthus”), sempre libero dalle reti del Pastore-Pescatore (del IV sec.)!

di Federico La Sala *

Karol Wojtyla, il grande Giovanni Paolo II è morto! E se è vero che “il mondo - come ha detto il nuovo papa - viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori”, è anche vero che nel IV secolo - con il ‘pallio’ ... di Roma, comincia “la grande politica” - muore il cristianesimo e nasce l’impero cattolico-romano. La religione ebraica diventa passato, archeologia, e la religione cattolico-romana diventa storia, presente e futuro. Contro ogni tentennamento, la “Dominus Jesus” non è stata scritta invano e la prima Omelia (24 aprile 2005) di Ratzinger - Benedetto XVI ha chiarito subito, senza mezzi termini, a tutti i fratelli e a tutte le sorelle, chi è il fratello maggiore (e chi sono - i fratelli maggiori)... chi è il nuovo Papa, e qual è la “nuova Gerusalemme”.

Per Ratzinger - BenedettoXVI non c’è nessun dubbio e nessun passo indietro da fare. Finalmente un passo avanti è stato fatto. Guardino pure i sudditi dell’Urbe, e dell’Orbi: il “distintivo” cattolico è qui! Ma Wojtyla? Giovanni Paolo II? La visita alla Sinagoga di Roma? Toaff? - La Sinagoga?! Toaff?! Gerusalemme?!: “Roma omnia vincit”, non Amor...! Rilegga l’Omelia (www.ildialogo.org/primopiano): la Chiesa cattolico-romana è viva, vince alla grande, im-mediaticamente! Rifletta almeno su questi “passaggi”:

"Cari amici! In questo momento non ho bisogno di presentare un programma di governo [...] Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia. Invece di esporre un programma io vorrei semplicemente cercare di commentare i due segni con cui viene rappresentata liturgicamente l’assunzione del Ministero Petrino; entrambi questi segni, del resto, rispecchiano anche esattamente ciò che viene proclamato nelle letture di oggi". "Il primo segno è il Pallio, tessuto in pura lana, che mi viene posto sulle spalle. Questo antichissimo segno, che i Vescovi di Roma portano fin dal IV secolo, può essere considerato come un’immagine del giogo di Cristo, che il Vescovo di questa città, il Servo dei Servi di Dio, prende sulle sue spalle. Il giogo di Dio è la volontà di Dio, che noi accogliamo. [...]

"E questa volontà non è per noi un peso esteriore, che ci opprime e ci toglie la libertà. Conoscere ciò che Dio vuole, conoscere qual è la via della vita - questa era la gioia di Israele, era il suo grande privilegio. Questa è anche la nostra gioia: la volontà di Dio non ci aliena, ci purifica magari in modo anche doloroso e così ci conduce a noi stessi. [...] In realtà il simbolismo del Pallio è ancora più concreto: la lana d’agnello intende rappresentare la pecorella perduta o anche quella malata e quella debole, che il pastore mette sulle sue spalle e conduce alle acque della vita. La parabola della pecorella smarrita, che il pastore cerca nel deserto, era per i Padri della Chiesa un’immagine del mistero di Cristo e della Chiesa.[...]. Così il Pallio diventa il simbolo della missione del pastore, di cui parlano la seconda lettura ed il Vangelo. La santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore [...]. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi”.

In verità, Nietzsche, uno dei tre grandi - con Marx e Freud - maestri del sospetto che stimava Gesù, ma nient’affatto il cattolicesimo - definito da lui, un platonismo per il popolo, l’aveva già detto - e anche in modo più profetico: “il deserto avanza. Guai a chi nasconde il deserto dentro di sé!” (Così parlò Zarathustra).

Cosa pensare? Che fare, intanto? Aspetterò. Sì! Aspetterò! Per amore di tutta la Terra e “per amore di Gerusalemme non mi darò pace, finché non sorga come stella la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come una lampada. Allora tutti i popoli vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria”(Isaia).

Federico La Sala

*www.ildialogo.org, Mercoledì, 27 aprile 2005

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Commenti Articolo 590

Titolo articolo : “Se non lavoro non ho dignità”. In memoria di Giuseppe Burgarella,di Domenico Stimolo

Ultimo aggiornamento: February/11/2013 - 18:16:00.

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Autore Città Giorno Ora
domenico stimolo catania 11/2/2013 18.16
Titolo:Susanna Camusso scrive alla famiglia dell'operaio che si è tolto la vita
Susanna Camusso scrive alla famiglia dell'operaio che si è tolto la vita


Alla famiglia Burgarella

Alle compagne e ai compagni della Camera del lavoro di Trapani
Alle compagne e ai compagni della Fillea

La notizia della tragica scomparsa di Giuseppe mi ha raggiunto solo oggi, mentre sono fuori Italia per una missione di lavoro. La prima domanda che non smetteremo mai di farci, le compagne e i compagni della camera del lavoro, io stessa, è perché non abbiamo capito che si era sorpassata quella sottile linea di confine tra l'indignazione e la possibilità di continuare a lottare e sperare e la disperazione che viene dalla perdita del lavoro, vissuta per Giuseppe come perdita di dignità e tradimento dei valori sui quali si era formato, per i quali aveva scelto di militare nella CGIL, a partire dall'articolo 1 della nostra costituzione.
Ci rimarrà sempre questo dubbio, sempre ci domandiamo se possiamo dobbiamo fare di più per cogliere intorno a noi quel crescere di disperazione, di rassegnazione che una crisi così lunga e profonda determina in tanti che privi di lavoro si sentono anche privi della loro cittadinanza della loro dignità del loro orgoglio.
Affranti ci poniamo il dubbio, sapendo che nulla oggi possiamo fare, se non provare ad interrogarci ancor di più sugli effetti di una disoccupazione crescente, che in certi settori come l'edilizia sembra una discesa senza fine.
Nell'esprimere alla famiglia e alle compagne ed ai compagni tutti la più sentita partecipazione al dolore, l'impegno che dobbiamo e possiamo assumere è quello di continuare la nostra iniziativa e mobilitazione perché il lavoro torni al centro delle politiche perché si difenda e si crei lavoro.
Ogni giorno sentiremo la difficoltà di non aver capito, ma ogni giorno sapremo che Giuseppe e tanti altri con lui ci dimostrano che non ci si deve arrendere, perché lavoro e dignità sono cittadinanza, ancor più certezza per la vita delle persone.

Con grande affetto
Susanna Camusso

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Commenti Articolo 591

Titolo articolo : IL PAPA LASCIA. DATE LE DIMISSIONI. Dal 28 febbraio inizierà la “sede vacante”. A marzo il Conclave.,a c, di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/11/2013 - 16:18:30.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/2/2013 15.29
Titolo:DON ALDO ANTONELLI: IL PAPA E’ UN ELETTO E NON UN CONSACRATO!
{{IL PAPA E’ UN ELETTO E NON UN CONSACRATO!}}

di don {{Aldo Antonelli}} *

Diamo atto a Benedetto XVI di un gesto altamente significativo oltre che coraggioso. Il coraggio è patente: grazie a Dio (almeno in questo caso) l’attaccamento al potere non ha obnubilato la coscienza del dovere. Ma è ancor più interessante saper leggere nell’evento, veramente straordinario, la portata, diciamo, demistificatoria e desacralizzante della figura del Papa, sempre vista come una specie di “consacrazione” vita natural durante!
Si è voluto ipostatizzare la figura e la funzione del Papa all’interno di un ruolo “sacro”, immune dai condizionamenti dell’età, della malattia e della salute. Ben venuto allora questo gesto a ricordarci che il papato è una “funzione” più che una “vocazione”, una “elezione” e non una “consacrazione”.

C’è ancora un lungo cammino da percorrere per sottrarre il papato alla iconografia sacrale e riconsegnarlo alle dimensioni evangeliche del servizio.

A cominciare dallo stesso linguaggio che ancora negli anni del terzo millennio di cristianesimo continua a coniugare la figura del papa con il Voi Maiestatico e con appellativi che sono delle vere eresia. Per esempio il titolo di "Vicario di Cristo", che è quanto meno sconcertante. Nel diritto canonico la nozione di potestà vicaria è molto chiara. Mentre il potere delegato si può usare anche in presenza del delegante, il potere vicario si esercita in assenza di colui che esercita la potestà diretta e sovrana. Dire che il papa è il vicario di Cristo pone i cattolici di fronte a un dilemma angosciante: o Cristo è presente nella Chiesa mediante lo Spirito e allora il potere del papa è praticamente nullo, o almeno strettamente amministrativo, oppure Cristo è assente dalla Chiesa, e allora sorgono gravi problemi teologici.

*

- [ http://www.huffingtonpost.it/../../don-aldo-antonelli/il-papa-e-un-eletto-e-non-un-consacrato_b_2661... http://www.huffingtonpost.it/../../don-aldo-antonelli/il-papa-e-un-eletto-e-non-un-consacrato_b_2661...

- [ http://www.huffingtonpost.it/../../don-aldo-antonelli/-> http://www.huffingtonpost.it/../../don-aldo-antonelli/]
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/2/2013 16.02
Titolo:Chi lascia orfani Benedetto XVI ...
Chi lascia orfani Benedetto XVI

di Massimo Faggioli (“L’Huffington Post”, 11 febbraio 2013)

Papa Benedetto XVI si è dimesso ed è un fatto senza precedenti nella storia del pontificato globale moderno: non è chiaro se queste dimissioni inaugureranno un precedente, al contrario delle poche dimissioni avvenute in epoca medievale.

La chiesa non è una dittatura in cui il pontefice è un sovrano che agisce in uno “stato di eccezione”: il canone 332 del Codice di diritto canonico prevede questa possibilità. Ma c’è un altro modo di interpretare le dimissioni, suggerito dalla formula usata da Benedetto XVI per spiegare la decisione: “ingravescentem aetatem”. Questa formula latina non è solo usata per spiegare il peso degli anni, ma richiama parola per parola un motu proprio di Paolo VI, la Ingravescentem aetatem, che nel 1970 introduceva il limite di età di 75 anni per i cardinali di curia romana (e di 80 anni per entrare in conclave ed eleggere il nuovo papa), dopo che un documento del concilio Vaticano II nel 1965 aveva introdotto il limite di età a 75 anni per i vescovi diocesani.

C’è una lettura personale di queste dimissioni: gli osservatori non sarebbero stati sorpresi dalle dimissioni di Benedetto XVI nei primi anni del pontificato, specialmente tra 2006 e l’inizio del 2009, quelli più difficili, punteggiati dagli incidenti diplomatici del discorso di Regensburg e del caso del vescovo lefebvriano antisemita Williamson.

Poi nel 2010 sono iniziati i riverberi degli scandali degli abusi sessuali in America e in Europa che hanno elevato Benedetto XVI ad obbiettivo primario (in qualche caso, anche nelle corti di giustizia). Un papa eletto quasi sette anni fa già con un “brand” molto preciso di conservatore ha dovuto far fronte a venti contrari come nessun papa dell’era mediatica, dentro e fuori la chiesa. A questo si sono aggiunti esempi di grossolano mismanagement della Curia romana da parte del suo inner circle che hanno complicato una situazione prodotta da un conclave che elesse un teologo eminente quanto divisivo.

Ma c’è anche una lettura funzionale di queste dimissioni, che in un certo senso sono testimonianza dell’esperienza conciliare di Joseph Ratzinger. Il concilio Vaticano II fu l’inizio della ridefinizione della “job description” per tutti i ministri della chiesa, ma specialmente per i vescovi cattolici di tutto il mondo: un lavoro sempre più complesso, che richiede competenze tipiche di un leader, di un mediatore, di un comunicatore esperto dei media, e di un amministratore delegato - ma sempre soggetti al Vaticano e con un mandato che termina sempre a 75 anni di età, per i vescovi.

Da oggi in poi, nella teologia del papato e nella scienza canonistica qualcuno potrebbe affermare, senza tema di smentita, che quella legge della chiesa sulle dimissioni dei vescovi si applica anche al papa, vescovo di Roma. Ma restano aperte moltissime questioni. Sul conclave, ovvero quale sarà il ruolo del papa in esso e nella sua preparazione. Sul futuro di Joseph Ratzinger - già Benedetto XVI, primo papa emerito. Sull’agenda Ratzinger, se essa rimarrà valida per il conclave e per il futuro papa.

Le dimissioni lasciano teologicamente, spiritualmente e politicamente orfani parecchi cattolici, ecclesiastici e laici, in questo momento: nella curia romana, tra i vescovi, tra i teologi, and last but not least tra i neo-conservatori italiani e americani (e anche tra qualche ex marxista ora ratzingeriano). Quanto all’Italia, questo pontificato aveva scelto fin dall’inizio di non farsi coinvolgere più di tanto nella politica italiana, sfiorando più volte il peccato di omissione.

Le elezioni politiche italiane del 2013, che si terranno con la sede apostolica sostanzialmente vacante, sono l’epigrafe di un pontificato che - va detto - ha sempre visto nella dimensione politica e giuridica della chiesa e del papato due elementi di disturbo più che di aiuto alla missione della chiesa.

In questo senso, un pontificato più post-conciliare che conciliare, e nel caso di Ratzinger questa è una somma ironia. C’è da chiedersi quanto la chiesa cattolica romana mondiale possa permettersi, oggi, una visione così spiritualista di se stessa
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/2/2013 16.18
Titolo:Anniversario Patti Lateranensi. Lo strappo definitivo tra la Chiesa e il Pdl
Lo strappo definitivo tra la Chiesa e il Pdl

di Claudio Tito (la Repubblica, 11 febbraio 2013)

L’ultimo strappo tra i vertici della Chiesa italiana e il Pdl si è consumato proprio in queste ore. Con uno sgarbo che Segreteria di Stato e presidenza della Cei considerano poco digeribile. Il segretario del Pdl, Angelino Alfano, infatti, dopo aver disertato il concerto con il Papa, non prenderà parte nemmeno al tradizionale ricevimento che celebra l’anniversario dei Patti Lateranensi. Ci sarà Mario Monti, in qualità di presidente del consiglio, e il leader Udc, Pier Ferdinando Casini. Pierluigi Bersani, invece, presente al concerto con Benedetto XVI ha fatto sapere per tempo di non poter partecipare all’appuntamento.

A meno di un cambio di programma dell’ultima ora da parte di Alfano (che comunque verrebbe considerato tardivo dal punto di vista dei rapporti “politici”), domani pomeriggio nella sede dell’Ambasciata italiana presso la Santa Sede non ci sarà quindi nessuno dei “big” del Pdl. Non essendo previsto neanche Silvio Berlusconi. Non mancherà l’“ambasciatore” del Cavaliere, Gianni Letta, ma si tratta comunque di una lesione nei contatti tra Chiesa e centrodestra mai così evidente. Anzi, la “fotografia” nei saloni di Palazzo Borromeo dei cosiddetti “colloqui in piedi” senza una “presenza berlusconiana” non ha di fatto precedenti dal 1994. Del resto l’allontanamento delle attuali gerarchie ecclesiastiche dai rappresentanti pidiellini negli ultimi due anni è stato progressivo.

Eppure la “foto” di domani è anche il frutto di un ultimo scontro che si sta consumando all’interno della Conferenza episcopale italiana e con la Segreteria di Stato. Una battaglia che in questo caso vede alleati Tarcisio Bertone, numero uno della Curia, il presidente della Cei Angelo Bagnasco e l’Appartamento papale. Sull’altro fronte la “destra curiale” che sul versante della Cei si basa sull’asse cosrtuito da Ruini con il Patriarca di Venezia Moraglia e all’interno del Vaticano sulla convergenza tra il prefetto della Congregazione per il Clero Mauro Piacenza e monsignor Balestrero.

L’ultimo affondo della “corrente” ruiniana, infatti, c’è stato in occasione delle formazione delle liste elettorali. Secondo Don Camillo, il Cavaliere resta il «male minore» e lo strumento per conseguire un «risultato utile», al punto di benedire nel Lazio il patto tra Francesco Storace e Eugenia Roccella. «Berlusconi - va ripetendo da settimane - i voti ancora ce li ha». L’ipotesi di un’intesa tra il centrosinistra e la lista di Monti viene considerata «inappropriata». Non a caso, proprio i “bracci armati” di Ruini - a cominciare da Monsignor Fisichella - avevano chiesto a gennaio ai rappresentanti di Scelta Civica e al leader centrista Casini di mettersi alla guida di un nuovo centrodestra cercando di replicare una sorta di “Operazione Sturzo”. Con l’obiettivo, appunto, di rendere impossibile la successiva alleanza con lo schieramento di Bersani in virtù dei «valori non negoziabili».

Una linea contestata dall’asse Bertone-Bagnasco. Entrambi, infatti, considerano la presenza del Cavaliere nella corsa elettorale un ostacolo insormontabile sia a causa delle vicende Noemi e Ruby, sia per l’immagine internazionale dell’ex premier. Dopo le tensioni piuttosto vistose dei mesi scorsi, quindi, tra Segreteria di Stato e Cei è stata siglata una sorta di «tregua operosa». Resa plasticamente visibile alla presentazione alcune settimane fa del libro “La porta stretta” che raccoglie le prolusioni del presidente della Cei.

Un patto che, secondo gli uomini più vicini ai vertici episcopali e della Curia, si basa anche sui nuovi orientamenti dei credenti praticanti. L’attivismo “ruiniano”, infatti, non sembra aver preso piede tra i cattolici di base se si considera il recente sondaggio pubblicato dal mensile Jesus: Pd e Scelta Civica sono in cima alle loro preferenze e il centrodestra scivola sempre più dietro. Anzi, tra quelli che un tempo votavano per il Cavaliere emerge la tentazione-Grillo. Per di più i «valori non negoziabili» non vengono considerati un criterio fondamentale per le scelte politiche.

La disposizione verso il superamento del “rapporto esclusivo” con il centrodestra sta diventando quindi il perno di quella ricucitura di rapporti tra Bertone, Bagnasco e l’Appartamento papale. Basti pensare all’appello lanciato pochi giorni fa proprio dal capo della Cei che tutti hanno interpretato come un ulteriore stop al Cavaliere: «Gli italiani hanno bisogno della verità delle cose, senza sconti, senza tragedie ma anche senza illusioni. La gente non si fa più abbindolare da niente e da nessuno».

Ma questa scelta viene appunto criticata dalla componente “ruiniana” e dai conservatori. Al punto di tentare un accordo con l’ala più conservatrice della Chiesa. Non è un caso che di recente sia partita un’offensiva diplomatica con il Cardinale Piacenza (che aspirava alla successione di Bertone in Segreteria di Stato), con Moraglia (Patriarca di Venezia), e con l’arcivescovo di Ferrara Luigi Negri (vicino a Cl) e monsignor Balestrero (Sottosegretario per i Rapporti con gli Stati). A loro è offerta una sponda per creare un nuovo rapporto di forze. Si tratta di uno scontro che dentro la Curia richiama alla memoria il vecchio duello tra Papa Montini, Paolo VI, e l’arcivescovo Roberto Ronca, esponente della destra romana e della corrente più tradizionalista di Coetus Internationalis Patrum.

Ma soprattutto ha aperto con un certo anticipo la scacchiera per il futuro Conclave. Sta di fatto che in questa fase Bertone e Bagnasco non intendono accettare l’idea di una nuova concessione a Berlusconi né giustificare alcune sue gaffe con il pricipio della “contestualizzazione”.

I vertici della Cei, prima di optare per l’addio definitivo, avevano chiesto proprio ad Alfano - ottenendole - garanzie sulla necessità che Berlusconi non sarebbe ricandidato come guida. Assicurazioni che poi sono state smentite. Le differenze tra il Segretario di Stato e il presidente della Cei riguarderanno semmai la gestione delle scelte per il dopo voto. Ma al momento c’è un anello che li unisce: guardare al dopo-Berlusconi.

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Commenti Articolo 592

Titolo articolo : Lettera al ministro degli esteri italiano,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: February/11/2013 - 15:17:06.

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Autore Città Giorno Ora
roberto ventrella napoli 11/2/2013 15.17
Titolo:la mia stima
a giovanni sarubbi va tutta la mia stima. non ho nient'altro da aggiungere. rv

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Commenti Articolo 593

Titolo articolo : Una cittadinanza per il Concilio    ,

Ultimo aggiornamento: February/10/2013 - 15:56:02.

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Autore Città Giorno Ora
giuseppe castellese altofonte 10/2/2013 15.56
Titolo:tutto viene visto in termini di potere
Tutte le magnifiche, articolate considerazioni non passeranno finché questa nostra società continuerà a leggere tutto in termini di "potere" concorrente. Se considerate le proposte tutte (o quasi) possono essere lette nel vecchio detto: levati tu e mi ci metto io! Le donne prete! uomini sposati che diventano presbiteri sostituti! meglio gli africani... come ruota di scorta: studi biblici... ci sono monopoli consolidati! la stessa organizzazione caritativa? ci sono già i preposti che conoscono i meandri degli approvvigionamenti... senza carico IVA!

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Commenti Articolo 594

Titolo articolo : Una risposta e un appello,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: February/10/2013 - 15:27:26.

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Autore Città Giorno Ora
Renzo Coletti Genova 10/2/2013 15.27
Titolo:
Caro Giovanni,
ti ringrazio per aver dato voce ai miei pensieri, non sempre però riesci a comprendere ciò che mi motiva ed a esplicitarlo. ciò che non riesci a comprendere, ma non sei il solo, è che il nostro tempo è caratterizzato dalla incapacità di affrontare la realtà, è troppo folle, troppo al di fuori della nostra immaginazione, supera ogni fantasia, e solo chi ha sofferto molto, ha vissuto l’emarginazione, la lotta senza quartiere, la persecuzione ha qualche chance di comprensione. Tu, caro amico, ammetti di essere in una democrazia che ha tradito la Costituzione, sai di essere governato da criminali che hanno distrutto tutto ciò che avevamo conquistato con lotte e spargimento di sangue, sai che siamo una colonia americana, sai che esiste un trattato che ha di fatto cancellato la nostra sovranità nazionale, ma continui ad illuderti ed a illudere il tuo prossimo che vi sia una possibilità di riscatto attraverso il voto.
Ammesso e non concesso che tu abbia ragione, mi puoi indicare il programma che ti ha convinto a scegliere un partito che sia in grado di opporre una resistenza, una pur minima iniziativa, una nuova linea politica, un nuovo pensiero, una alternativa, un nuovo progetto sociale?
Una campagna elettorale così squallida non credevo fosse possibile, è un vero insulto alla intelligenza umana, non credevo possibile si arrivasse a tanto. Il tuo beniamino politico, non è difficile capire chi sia, ha già detto di volersi alleare con il Pd, di voler essere parte del governo: non sia mai che si possa essere opposizione, non sia mai che qualcuno in questo paese scelga di lottare, di essere controparte, di battersi per una nuova realtà, per un mondo migliore, per una società del domani, ciò che tutti vogliono è entrare nella mangiatoia e rubare, ingozzarsi fino a soffocare.
No! Non vedo proprio per chi dovrei votare, quindi caro Giovanni cosa dovrei fare se non astenermi? Non è una scelta, è una imposizione, una realtà a cui non posso che sottomettermi. Che cosa dovrei fare? Dovrei votare per Grillo? Certo, lui è contro, un contro che se per caso dovesse vincere sarebbe per noi l’inizio di una nuova guerra civile oppure, se ci va bene, l’inizio di una nuova strategia della tensione.
Lascia stare i morti, che riposino in pace, la resistenza è stata usata troppe volte per giustificare posizioni di comodo di questa maledetta sinistra stracciona ed ipocrita; la guerra partigiana non ha mai voluto nessun governo colonizzatore, non voleva nessun governo della Chiesa, non voleva certo governi tecnici di massoni o banchieri alla guida del nostro paese.
I comunisti combatterono per il comunismo, accettarono la democrazia perché gliela imposero, ma non era certo ciò che volevano.
I partigiani non combatterono perché la mafia fosse insediata al governo, non combatterono perché vi fossero i brogli elettorali nel 48 e non solo, quindi per favore lascia stare i morti.
Non farmi passare per un brigatista, non teorizzo la lotta armata, non sono così idiota, ma non credo che con il voto si possa cambiare di un solo millimetro la condizione politica e culturale nel nostro paese.
Il problema è piuttosto creare un nuovo soggetto politico e sindacale, una nuova coscienza di classe, ripartire da una sconfitta che si deve accettare e riconoscere come tale, non farsi illusioni di sorta, non credere alla befana; è dura, lo so che è dura, ma è così.
Tu ti definisci un cristiano, ma un cristiano non si sporca le mani votando per dei criminali, degli psicopatici che in questi anni, avallando le scelte della NATO, hanno sostenuto dittature fasciste in ogni parte del mondo e hanno compiuto violenze e repressioni di ogni tipo in missioni militari definite “di pace”. Un cristiano non si allea con chi ha costretto con leggi oppressive e discriminatorie i propri cittadini a svendere, e sottolineo il termine svendere, la propria casa perché impossibilitati a pagare una tassa spropositata come l’IMU. Un cristiano non chiude gli ospedali, né privatizza i servizi sociali. Cos’altro dovrebbe ancora succedere affinché qualcuno si accorga che stiamo precipitando in un abisso ?
Ci sentiremo dopo aver espletato il nostro dovere diritto costituzionale di voto, vedremo allora cosa sarà cambiato e quali prospettive avremo dinnanzi a noi.
Renzo Coletti

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Commenti Articolo 595

Titolo articolo : Il vero pericolo,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: February/09/2013 - 13:26:04.

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Autore Città Giorno Ora
Carla Lavarino Parabiago MI 04/2/2013 14.59
Titolo:Condivido
Grazie a Giovanni Sarubbi che elegantemente mette nero su bianco quanto da me pienamente condiviso ed espresso (ma non con tanta chiarezza) in varie occasioni.
Una delle cose che condivido di più è la critica agli astensionisti o a coloro che votano scheda bianca o non valida: il popolo purtroppo continua ad ignorare, o fingere di ignorare, che lo STATO non è un'entità a noi estranea o nemica, LO STATO SIAMO NOI, TUTTI NOI CITTADINI CHE DI QUESTO STATO FACCIAMO PARTE. Cerchiamo quindi di diventarne parte attiva e PARTECIPIAMO.
Cordialmente e ... incrociamo le dita affinché i cittadini prendano coscienza della realtà e diano attivamente il loro contributo con coscienza.
Autore Città Giorno Ora
paolo olivari rodengosaiano 09/2/2013 13.26
Titolo:a Giovanni Sarubbi e a chi "legge..."
Condivido il suo articolo e mi auguro giunga alla mente di probabili astensionisti o indecisi . Siamo gente strana, probabilmente non saremo mai "un popolo...daremo sempre la colpa ad altri, specialmente se avremo "la pancia piena". Temo che gli Ideali e gli idealisti abitino altrove, purtroppo.Grazie, e evviva l'Italia che ci ospita e ci vorrebbe migliori.

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Commenti Articolo 596

Titolo articolo : GIOVANI E CIVILTA' DELLE IMMAGINI. UNA SCUOLA "NOVANTICA" PER IL XXI SECOLO. Un'indicazione di Marc Fumaroli,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/09/2013 - 10:24:13.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/2/2013 10.24
Titolo:UNA "MENTE EROICA" PER IL FUTURO. I CONSIGLI DI G. VICO ....
De mente heroica - Giambattista Vico
Introduce Massimo Lollini
lunedì 17 novembre 2008
http://www.lanuovabottegadellelefante.it/index.php?option=com_content&task=view&id=2019&...

Nel 1732 l’anno accademico presso l’Università di Napoli viene inaugurato con una prolusione ufficiale tenuta da Giambattista Vico, professore di retorica, che in quell’occasione declamò il De mente heroica. Si tratta di qualcosa di più di un’orazione inaugurale poiché Vico scrisse una vera e propria dissertazione solenne, esortando i giovani al lavoro intellettuale e alla realizzazione delle potenzialità divine della mente umana.

La concezione dell’humanitas al centro di queste pagine vichiane ripropone e attualizza la visione dell’umanesimo di Pico della Mirandola e Marsilio Ficino ancorata ad una ricca ed efficace idea di erudizione, accompagnata ad una forte percezione dell’unità morale del genere umano e ad una fattiva nozione di pietas.

La mente eroica di Vico si presenta come un’arte filosofica, come una maniera di concepire insieme la vita, la società e il sapere.

Massimo Lollini è docente di Lingue romanze all’università dell’Oregon.


Giambattista Vico, Della mente eroica, a cura di Gian Galeazzo Visconti, Alfredo Guida Editore, 1996

De mente heroica, dissertatio habita in regia academia neapolitana XIII Kalendas Novembris Anno MDCCXXXII

[1] Cum in hac regia Academia utilissimum institutum quotannis literarum studia solemni ad vos, optimae spei adolescentes, oratione habita rite et ordine auspicandi satis diu siluisset, et huic nuper creato illustrissimo praefecto, viro usquequaque doctissimo et in vestra re literaria augenda quam qui maxime effuso, id de more, hac stata recurrente die, in primis usurpari placuerit, me sane, qui tres supra triginta perpetuos annos eloquentiae professoris munere in hac ipsa fungor et severis meditationibus literariis sum pene absumptus, novum aliquod ad vos afferre argumentum omnino decet, non sententiarum calamistris verborumque cincinnis iuveniliter exornatum, sed quam maxime fieri potest et ipsarum rerum pondere grave et vestro uberrimo fructu refertum. Quod, quia suapte natura est amplitudinis, splendoris sublimitatisque plenissimum, in eo dissertando,

‘fungar vice cotis, acutum
reddere quae ferrum valet, exsors ipsa secandi’

et quia vos; tantis promissis exciti, in caussa, in qua vestra res agitur, iam ad attente ac benigne audiendum parati estis, in primo ingressu huius dissertationis id dabo.

DISSERTAZIONE

[1] Poiché abbastanza a lungo è rimasta interrotta in questa Regia Università l’utilissima istituzione di inaugurare ogni anno, come prescritto dal rito, l’anno accademico con una prolusione solenne indirizzata a voi, o adolescenti di ottime speranze, e poiché a questo, recentemente nominato, illustrissimo Prefetto degli Studi, dottissimo in ogni ramo del sapere e pensoso quant’altri mai di una vostra più approfondita cultura, è soprattutto piaciuto di ripristinare secondo l’usanza, nel giorno stabilito che oggi ricorre, questa istituzione, conviene certamente che io – che da oltre trenta anni ininterrottamente svolgo in questa stessa Università il compito di professore di eloquenza e quasi sono consunto dalle severe meditazioni letterarie – vi esponga un qualche argomento assolutamente nuovo, non giovanilmente adorno di vacui ornamenti di espressioni e da cincischiamenti di parole, ma quanto più è possibile grave per il peso delle sue stesse argomentazioni e colmo per voi di rigogliosissimo frutto. Ma questo argomento, poiché è per la sua stessa natura pienissimo di magnificenza, di splendore e di sublimità, io nel trattarlo

…adempirò le veci della cote,
che vale a rendere aguzzo il ferro, incapace essa stessa di tagliare;

e poiché voi, resi attenti da così grandi promesse, già siete preparati, in una questione che vi riguarda da vicino, ad ascoltare con attenzione benevola, io sul limitare primo di questa prolusione vi esporrò tale argomento.

[2] Voi dovete, o nobili adolescenti, dedicarvi agli studi delle lettere non certamente per i fini nei quali potreste facilmente essere sopravanzati dal volgo sordido e vile, per procurarvi cioè le ricchezze; né per i fini nei quali potreste di gran lunga essere superati dagli uomini di armi e di corte, per raggiungere cioè onori e potenza; né tanto meno per i fini dai quali sono guidati i filosofi, dallo stesso desiderio, intendo dire, della sapienza, a cui intenti trascorrono quasi tutti, chiusi nell’ombra, tutta la vita per godere nell’inerzia della tranquillità dell’animo loro. C’è da aspettarsi da voi qualcosa di molto più alto. «Ma cos’è questo qualcosa? – meravigliandosi dirà qualcuno di voi –, ci chiedi cose superiori alle umane possibilità?». Me ne rendo perfettamente conto, ma così superiori da essere tuttavia conformi alla vostra natura.

[3] Da voi, io dico, c’è da aspettarsi che vi dedichiate agli studi delle lettere per rendere eroica la mente vostra e dare inizio ad una sapienza utile al genere umano; se farete così, non solo le ricchezze e i beni di fortuna affluiranno verso di voi, anche se voi li disprezzerete, ma vi circonderanno senz’altro, anche se voi non ve ne curerete, gli onori stessi e la potenza. Né infatti senza una ponderata scelta del termine vi ho detto di rendere eroica con gli studi delle lettere la mente vostra. Infatti, se dai poeti sono stati definiti o fantasticati eroi coloro che vantavano la loro divina

discendenza dal sommo Giove,

certamente la mente umana, eliminata ogni invenzione favolosa, ha un’origine divina, e solamente le manca che venga sviluppata dalla cultura e dall’erudizione. Vedete quanto io vi richiedo cose superiori alle umane possibilità, che chiedo soltanto che sia da voi sublimata la natura quasi divina delle menti vostre!

[4] Infatti è definito eroe dai filosofi colui che aspira alle cose sublimi, e sublimi sono per i filosofi questi stupendi e grandissimi beni: Iddio al di sopra della natura; nella natura tutto quest’insieme di realtà meravigliose, in cui né vi è qualcosa di più grande del genere umano, né quindi qualcosa di più luminoso della felicità del genere umano, e a questa felicità soltanto, soli ed esclusivamente, mirano gli eroi, che raggiungono l’immortalità del nome loro con la fama infinitamente diffusa dei loro meriti verso il genere umano, ed è con questa voce della fama, che altamente risuona attraverso i popoli e le nazioni, che Cicerone elegantemente definisce la gloria. I vostri studi debbono perciò essere indirizzati prima di tutto a Dio onnipotente; poi, a gloria di Dio che ci comanda di amare tutto il genere umano, alla felicità del genere umano. Dunque, poiché vi sono stati così proposti questi fini, orsù operate o adolescenti nati per tutto ciò che è stupendo e grandissimo, e rivolgete con mente eroica a questa Università degli Studi gli animi vostri colmi di Dio e perciò netti e puri da tutte quante le passioni terrene, e sperimentate con enorme profitto vostro quella magnifica verità divina: «L’inizio della sapienza è il timor di Dio».
[5] La mente infatti, che gioisce delle cose divine per la loro stessa natura infinite ed eterne, non può non meditare il sublime, non può non affrontare grandi imprese, non può non realizzare opere egrege; perciò non è affatto priva di fondamento questa persuasione, che uomini insigni per il loro amore verso Dio, come il cardinale Cesare Baronio e moltissimi altri, quando, non senza una sicura ispirazione divina, si sono dedicati alle lettere, hanno composto opere mirabili sia per mole che per ingegno e dottrina. Mentre poi di costì, con mente eroica salutate dal primo limitare la sapienza, contemplate con animo grande ciò che qui si presenta davanti agli occhi vostri.

[6] Le importantissime personalità che, ornate di magnifiche insegne, siedono qui a destra, rappresentano la pubblica cultura, che l’augusto imperatore Carlo VI d’Austria, re delle Spagne, ha qui predisposta per la vostra istruzione, affinché, quali per la difesa dell’Impero Romano e dei suoi regni, sui campi aperti e nelle battaglie, si è procurati i comandanti di eserciti più forti per valore, tali si procuri nella penombra di queste aule, per la felicità dell’Impero e dei suoi regni, i migliori fra voi per sapienza; ed a questo egli vi invita sia con i non pochi benefici di legge a voi concessi, che con gli splendidi onori a questa milizia palatina soprattutto a causa tua, o gioventù studiosa delle lettere, o seconda speranza dello Stato, o seconda precipua cura del nostro sovrano; e pensoso di voi, colui che come vicerè felicemente regge con somma virtù e sapienza questo regno, l’eccellentissimo conte Luigi Tommaso di Harrach, ha così premurosamente a cuore questa Università degli Studi e in così larga misura la favorisce, che nello spazio di tre anni – cosa che prima accadeva in un secolo – ha segnalato cinque professori di questo consesso al nostro imperatore, ed egli li ha nominati vescovi di collazione regia. Pensate poi e meditate quanto splendore di dottrina vi sia in questi docenti, pensate che ciascuno di loro, per la capacità della facoltà intellettiva loro propria, racchiude nella sua mente gli autori, i più grandi in ciascuna scienza, di tutti i secoli e di tutti i popoli colti, così che per voi non solo essi li hanno pronti e a portata di mano, ma, quando a loro sembri utile o necessario, sono per di più da loro commentati, emendati e migliorati; e di questa loro facoltà intellettiva ciascuno ha dato prova in ardui concorsi svolti nelle angustie di un tempo brevissimo, pronunciando prolusioni solenni, e, così esaminati, sono stati eletti in questo corpo accademico. Di quale onore e di quanta venerazione occorre che voi li circondiate comprendetelo da questo, che alla loro sinistra siedono tante importantissime personalità, e con questa dignità del posto che occupano chiaramente riconoscono [poiché offrono loro la destra] che a questo pubblico ateneo essi hanno attinto la sapienza, con la quale hanno raggiunto i più alti onori nello Stato. E con queste argomentazioni così piene di dignità innalzate il grande animo vostro, e mostrate quella peculiarità bellissima che è propria della grandezza d’animo, che cioè voi siete pronti ad imparare, ossequienti e grati di essere indirizzati, istruiti e corretti da questi dottissimi docenti, poiché essi vogliono che in questa nostra città, la più splendida non solo dell’Italia ma di quasi tutta l’Europa, la vostra condizione sia la più onorevole possibile; ed ora con paterno amore essi si offrono a voi per istruirvi in tutte le discipline sia cicliche che acroamatiche, che sono da per tutto celebrate. E infatti è proprio questo che vi promette la dizione ‘Università degli Studi’.
[7] E certamente è proprio da questi docenti che voi dovete apprendere tutte le scienze. Ed infatti è monca ed insufficiente quella istruzione letteraria di coloro che si dedicano con tutto il loro impegno ad una sola determinata e particolare disciplina; e in effetti le scienze sono della stessa natura della virtù, di cui Socrate, che aveva fra le sue massime che le virtù stesse non sono altro che scienze, categoricamente sosteneva che in nessun luogo vi è una sola virtù se non lì dove sono tutte quante le altre. E che? avete corrugato la fronte? ho forse con questa mia affermazione atterrito i vostri ingegni? Voi fate certamente offesa alla divina origine delle menti vostre. Non rivolgete preghiere al cielo con le mani supine affinché a voi dormienti cada nel seno la sapienza dal cielo; siate sospinti da un desiderio vivido per lei; con costante e continuo lavoro sperimentate quanto voi stessi potete; tentate quanto potete; mettete alla prova in tutti i modi le forze vostre; svegliate le vostre intelligenze e infiammatevi di Dio, di cui siete pieni, e in questo modo, meravigliandovene voi stessi, voi creerete – ciò che per natura è proprio dei poeti – i divini miracoli dei vostri ingegni. Queste cose che io sto esponendo i letterati italiani le confermano autorevolmente e luminosamente con quel termine molto importante e appropriato all’argomento di cui trattiamo, cioè con il termine ‘sapienza’, con cui essi definiscono ogni Università degli Studi.

[8] La sapienza è definita da Platone purificatrice, risanatrice, perfezionatrice dell’uomo interiore. Ma l’uomo interiore è mente ed anima., e l’una e l’altra parte, a causa del peccato originale è corrottissima, perché la mente, fatta per attingere la verità, è sconvolta dalle false opinioni e dagli errori; l’anima, nata per raggiungere la virtù, è tormentata dalle passioni rnalvage e dai vizi. Dunque il fine di questo pubblico insegnamento è questo, ed occorre che a questo fine voi rivolgiate gli occhi vostri, che cioè voi, infermi nella mente e nell’anima, siete venuti qui per curare, per guarire, per perfezionare la parte migliore della vostra natura. Né infatti qualche stolto derisore potrebbe schernire queste cose che dico; e infatti di quello che dico tutti gli uomini di cultura io ho come miei autori con quella denominazione sapientemente translata dai corpi alle anime, con cui essi le Università degli Studi le definiscono Pubblici Ginnasi, poiché, essendo agli antichi sconosciuti gli ospedali, come con la ginnastica, che si praticava nelle terme, le forze dei corpi, così le forze degli animi si rinfrancano, si rinvigoriscono, si accrescono nelle Università degli Studi. Se mediterete su queste cose, otterrete dai vostri studi questa ingente utilità, che siete cioè dediti agli studi letterari per voler con essi non sembrare, ma essere dotti, perché desiderate essere curati, guariti, essere resi perfetti dalla sapienza; infatti di tutti gli altri beni, sia della natura che della fortuna, gli uomini si accontentano dell’apparenza, soltanto per quello che riguarda la salute tutti desiderano essere veramente sani.

[9] Una volta che vi sarete proposto questo fine, che è proprio della sapienza, è inevitabile che cadano dai vostri animi quei fini ormai di gran lunga minori, cioè le ricchezze e gli onori; e, pur accresciuti di beni, ricolmi di onori, non desisterete dal farvi sempre più colti; ogni frode sarà lontana dalle menti vostre, ogni vanità ed impostura, poiché non dovete bramare di sembrare, ma dovete desiderare di essere coltissimi; né sentirete alcuna invidia verso gli altri, né certamente da parte degli altri si scaglierà contro di voi l’invidia da cui sono arsi, sono tormentati gli avidi di ricchezze, gli ambiziosi di onori; e quella che tra costoro è invidia, diventerà nobile emulazione fra voi, perché voi dovete desiderare, senza guardare con invidia, quel bene comune a tutti – così come sono comuni a tutti, perché infiniti, tutti i beni divini –, cioè la somiglianza vostra delle menti e quindi degli animi con Dio, somiglianza immune dal contagio del corpo.
[10] Infatti, poiché paghi di un insufficiente bagaglio di conoscenze letterarie, alcuni accusano non solo come inadatto, ma addirittura come perverso questo metodo di insegnamento nelle Università degli Studi, dove non solo alcuni docenti insegnerebbero alcune discipline, altri altre, oppure discipline assolutamente identiche, tuttavia con un criterio diverso o in un modo diverso, anzi spesso completamente opposti. È un metodo certamente dannoso; lo riconosciamo senz’altro; e infatti sarebbe desiderabile un metodo ottimo sempre uniforme, ma poiché questo metodo, per la natura delle cose, è reso assolutamente impossibile da queste tre bellissime necessitanti realtà, cioè dalle nuove invenzioni, dalla scoperta di nuove verità, dalle nuove più accurate edizioni dei testi, questo metodo d’insegnamento, che viene posto sotto accusa da costoro, è invece ottimo anche per queste tre non spregevoli utilità, che a sua volta arreca: prima di tutto, che nessuno sia costretto a giurare sulle parole di alcun maestro, come per lo più avviene nelle discipline degli scolastici; poi, che non sia fuorviato, come avviene nei ginnasi privati, da alcuna moda letteraria, i cui effimeri indirizzi come sorgono, cosi tramontano, e, divenuti repentinamente adulti, repentinamente invecchiano; invece le fatiche letterarie, che sono tali da creare opere immortali, debbono essere consegnate all’eternità; infine – e questo soprattutto riguarda il nostro argomemo –, che conosciate perfettamente che cosa di buono scambievolmente si offrano le une alle altre le discipline – infatti ciascuna ha in sé qualcosa di buono –, che cosa tutte aggiungano alla stessa somma di una compiuta sapienza, alla cui conquista, o studiosi adolescenti, gravemente e premurosamente vi ammonisco e vi esorto.

[11] Per questo importantissimo motivo dunque, ascoltate tutti i docenti delle discipline, tuttavia con questo proposito – come abbiamo detto – proprio della sapienza, affinché i loro insegnamenti curino, guariscano, perfezionino tutte le facoltà della vostra mente e del vostro animo. E la metafisica liberi l’intelletto dal carcere dei sensi, la logica liberi la ragione dalle false opinioni, l’etica la volontà dalle malvage passioni, la retorica affinché temperi gli sfrenati eccessi della fantasia, la geometria infreni gli errori dell’ingegno, la fisica poi vi scuota dallo stupore con il quale la natura ha sbalordito gli uomini con i suoi prodigi.
[12] Ma, pure, non sono questi i culmini più alti dei beni, di cui la sapienza si allieta; proponetevi e desiderate beni di gran lunga più splendidi. E in effetti con lo studio delle lingue, che la nostra cristiana religione coltiva come sue, entrate in colloquio con i popoli più famosi della storia del mondo: con la più antica di tutte le lingue con gli ebrei, con la più elegante di tutte con i greci, con la più maestosa di tutte con i latini; e poiché le lingue sono quasi i naturali veicoli dei costumi dei popoli, con le lingue orientali – che sono necessarie alla perfetta comprensione della lingua sacra, come la caldea più di tutte – gli assiri nella città più grande di tutte, a Babilonia, vi rendano edotti della loro magnificenza, in Atene i greci della raffinatezza attica della loro vita, in Roma i latini dell’altezza dell’animo loro. Con la lettura delle storie siate spiritualmente presenti ai più grandi imperi che siano mai fioriti nel mondo, e, per rendere più salda con gli esempi la vostra conoscenza delle istituzioni civili, meditate le origini, gli sviluppi, gli stati, le decadenze e fini dei popoli e delle genti e come la perversa fortuna superbamente signoreggi sulle umane vicende, e come sulla fortuna la sapienza possegga un dominio stabile e saldo. Ma, per Ercole, assieme a quell’ineffabile diletto che ci procurano i poeti – ineffabile perché soprattutto proprio dell’uomo, che per la sua stessa natura è portato all’uniforme – osservate i caratteri dei personaggi perfettamente rappresentati in ogni genere di vita, sia morale sia familiare sia civile, secondo una idea perfetta e perciò stesso verissima, al cui paragone gli uomini della vita di ogni giorno, poiché non hanno una loro vita quando non sono coerenti, sembrano piuttosto essi stessi essere falsi, e per questo motivo nelle finzioni dei più grandi poeti contemplate con mente per così dire divina l’umana natura, bellissima persino nella sua stessa turpitudine, perché essa è sempre coerente con se stessa, sempre simile a se stessa, bella in ogni sua parte; contemplate come Dio onnipotente vede nel profondo che fanno parte dell’eterno ordine della Sua provvidenza le mostruosità e le pesti dell’universale natura – sia che essa erri, sia che si presenti con volto maligno – e le cose buone e le belle. Voi che leggete con immenso piacere i grandi poeti, leggete con altrettanta ammirazione i sublimi oratori, che con arte meravigliosa, adatta alla corrotta natura umana, per mezzo delle passioni che sono suscitate dai sensi inducono gli animi, per quanto ostinati, a volere cose assolutamente contrarie; e questo, inoltre, il solo onnipotente Iddio sa compiere, ma con le immensamente diverse vie divine dei Suoi vittoriosi soccorsi, con cui trae a Sé con celeste tripudio le menti degli uomini, per quanto travolte dalle passioni terrene.
[13] A queste discipline umane si aggiungano quelle sublimi della natura. Con la geografia, guida di un lungo cammino, girate insieme al sole intorno a tutta quanta la terra e all’oceano; con le osservazioni dell’astronomia percorrete le orbite dei pianeti, esplorate le cieche e ricurve vie delle comete; la cosmografia vi ponga presso

le fiammeggianti mura dell’infinito.

La metafisica infine, superati i confini della natura, vi sollevi nei beatissimi sterminati campi dell’eternità, dove osservate nelle divine idee, per quanto è lecito alla limitata mente dell’uomo, sia le innumerevoli forme sinora create, sia quelle che in séguito potrebbero essere create, se, come in realtà non è, il mondo fosse eterno.
[14] Percorrete così tutti e tre i mondi delle cose umane, delle cose naturali e delle eterne, e con la cultura e l’erudizione celebrate la quasi divina natura delle menti vostre. E infatti queste sublimi meditazioni inducono certamente a sperare che voi plasmerete così alti ed eretti gli animi vostri da considerare con disprezzo che sono inferiori a voi, posti nel luogo il più vile possibile, tutti i piaceri dei sensi, tutte le ricchezze ed i beni, tutti gli onori e la potenza.
[15] Ora poi, alla scelta degli autori, affinché, ascoltandone la lettura, voi miriate a raggiungere una compiuta sapienza, hanno sufficientemente provveduto a voi con i loro statuti i sapienti ordinatori di questa regia Università seguendo quel precetto di Quintiliano che nell’insegnamento delle discipline bisogna scegliere gli autori migliori, e cioè per la teologia il divino volume dell’Antico e del Nuovo Testamento, che la Chiesa cattolica interpreta in modo retto e giusto, e che sin dai tempi degli Apostoli la sua perpetua tradizione meditatamente e fedelmente custodisce nelle salde opere monumentali della storia ecclesiastica; per la giurisprudenza il Corpus Iuris Civili di Giustiniano, testimonianza ricchissima delle antichità romane, squisitissima fonte di eleganze della lingua latina e più venerando tesoro di umane leggi; per la medicina soprattutto Ippocrate, che ha meritato l’immortale elogio: «Non inganna alcuno, né mai da alcuno è stato ingannato»; per la filosofia sistematica Aristotele e, dove egli sia insufficiente, gli altri filosofi di grande fama; per tutte le altre discipline gli altri autori del medesimo altissimo valore.

[16] Poi, per indurvi a leggere questi fondamentali autori di ogni età, questi dottissimi professori, quasi indicandoveli a dito, vi renderanno edotti dei motivi per i quali questi autori sono stati ottimi, ciascuno nella sua propria disciplina. E questo genere di esegesi non solo vi indurrà, sin dai primi inizi dei vostri studi, a leggere e rileggere giorno e notte gli ottimi autori, ma, attraverso la ricerca delle cause per le quali essi sono riusciti ad essere ottimi, vi spingerà inoltre a pensare ad un’idea più perfetta, paragonati alla quale gli stessi autori fondamentali delle dottrine da modelli esemplari diverranno esempi soltanto, così che, oltre i loro archetipi, voi potete anche emularli e superarli persino; ed è così questo metodo, e non certamente con un altro, che le scienze o le arti vengono migliorate, sviluppate, perfezionate. Né infatti sono degni di una scusante coloro i quali abbiano consumato tutta la loro vita di studiosi nella lettura di scrittori mediocri, per non dire di infimo ordine, che questa pubblica Università con i suoi statuti accedemici non ha certamente raccomandato loro.
[17] D’altra parte, durante tutto il tempo dedicato ad ascoltare gli insegnanti, non dovere fare altro se non porre in relazione fra loro le nozioni che imparerete, in maniera tale che ciascuna sia in rapporto con le altre e tutte quante concordino fra loro in ciascuna disciplina; e a fare ciò vi guiderà la stessa natura della mente umana, che si diletta soprattutto dell’uniforme, del conveniente, del decoroso, tanto che i Latini hanno evidentemente definito così, con un termine sapiente, la scienza, traendo tale termine dal medesimo etimo da cui si dice scitus, che ha lo stesso significato di pulcher, poiché, essendo la bellezza la giusta proporzione delle membra fra loro e di tutte in qualche bel corpo, la scienza dev’essere considerata niente altro che la bellezza della mente umana, e una volta che le persone ne siano state conquistate, non avvertono nemmeno le bellezze dei corpi, persino le più splendide; tanto lontano è il fatto che se ne lascino turbare.

[18] Una volta che si sia consolidata codesta abitudine a porre in relazione fra loro le nozioni, voi sarete facilmente in grado di porre in relazione fra di loro le stesse scienze, che, come membra celesti, compongono il corpo divino, per così dire, della compiuta sapienza. E poiché per Pitagora la umana razionalità è proprio questo insieme di valori spirituali – sia che egli lo chiarisca sia che lo renda oscuro con i simboli numerici –, in questo modo voi realizzerete la universale razionalità umana, simile ad una luce purissima e luminosissima, che dirige i suoi raggi dovunque voi volgiate gli occhi della mente, così che voi scorgete che in ogni vostro pensiero tutto ciò che si dice scibile e tutte le sue parti si accordano, si corrispondono, si sintetizzano quasi in un singolo punto nel modo più stupendo possibile; ed è questo il modello più perfetto del vero sapiente.
[19] A quale professione poi, a preferenza di tutte le altre, voi dobbiate splendidamente rivolgere l’animo vostro – e infatti, affinché siate utili allo Stato, occorre che in esso voi ne professiate una in particolare – ve lo insegnerà il vostro genio stesso con il piacere da cui vi sentirete inondati nell’apprendere, a differenza di tutte le altre, quella professione; e in effetti di questo mezzo si serve la natura – che a questo fine vi è stata data dal sommo Iddio come guida – per indurvi a riconoscere che in quella professione il vostro ingegno si esplica volenteroso e lieto. Ma questo consiglio, com’è naturalmente il più sicuro, così a me, che vi esorto alle mète più alte e migliori, non sembra essere il più luminoso. Spesso infatti le capacità di raggiungere le mète più alte e migliori sono nell’uomo così nascoste e assopite, che a stento, e neppure a stento, sono avvertite da chi le possiede. L’ateniese Cimone – è una storia notissima –, uomo assolutamente insignificante, disperatamente moriva d’amore per una giovinetta; avendogli costei detto per scherzo, come cosa negatagli dal suo carattere, che ella lo avrebbe amato quando egli fosse diventato il centurione dei soldati, egli si arruolò nell’esercito a diventare un valorosissimo comandante di eserciti. Socrate era nato con un’indole sfrenatamente proclive alle nefandezze, ma, dedicatosi con uno sforzo quasi divino allo studio della sapienza, è stato considerato colui che per primo ha richiamato la filosofia dal cielo sulla terra, ed è stato chiamato padre di tutti i filosofi. Ma a questi esempi degli antichi aggiungiamo quelli recenti degli uomini famosi che, grazie alla sapienza altrui, hanno conosciuto i loro meravigliosi ingegni, di cui essi stessi prima non avevano consapevolezza. Il cardinale Giulio Mazzarino di sé aveva dato cattiva prova come mediocre avvocato, come ufficiale subalterno, come uomo di corte di non grande importanza, ma svolgendo occasionalmente incombenze politiche nate le une dalle altre e affidategli, quando egli non se le aspettava, da importantissime personalità, divenne un abilissimo diplomatico, e morì dopo aver a lungo dominato – esempio rarissimo di grande fortuna – come primo ministro del re di Francia Luigi XIV. Francesco Guicciardini esercitava la professione di avvocato nel foro romano, ma, suo malgrado e certamente contro voglia, nominato dai sommi pontefici del suo tempo governatore di parecchie città dello Stato della Chiesa, in occasione della guerra con la quale Carlo VIII di Francia aveva sconvolto tutta l’Italia, avendo per mandato dei sommi pontefici del suo tempo svolto con i francesi parecchie importantissime incombenze diplomatiche scaturite da quella guerra, proprio per questo si dedicò a scrivere le vicende dell’Italia del suo tempo, ed è riuscito senza dubbio il più grande di tutti gli storiografi che abbiano scritto in lingua italiana. Perciò, rivolgetevi in ogni direzione con gli occhi della mente, indirizzate in ogni direzione i vostri ingegni, scrutate le nascoste ed occulte capacità vostre affinché conosciate in voi il genio di una natura più luminosa, forse ancora ignoto a voi.
[20] Così, portato a termine lo studio di tutte le scienze, professate soprattutto quella che avete scelta con animo più alto di quanto non facciano le stesse persone dotte in quella scienza; professate cioè la medicina – abbraccerò con pochi esempi tutte le professioni – non soltanto per curare bene le malattie, la giurisprudenza per dare sapientemente pareri sulle questioni di diritto, la teologia per custodire la esatta dottrina delle verità divine; è necessario invece che, con quella vibrante tensione e capacità sublime con cui saranno trascorse per voi le ore di lezioni e di letture, con quella stessa tensione e quella stessa capacità segua ad esse una meditazione continua. E in effetti la ininterrotta consuetudine degli autori fondamentali, così consolidata dalle lezioni e dalle letture, grazie alla sua meravigliosa natura vi indurrà a considerarli sempre presenti, come vostri giudici, nelle vostre meditazioni; e questo dovete chiedere incessantemente a voi stessi, voi medici – insisterò sugli esempi già fatti –: «Che cosa direbbe Ippocrate, se udisse queste cose che medito e scrivo?»; questo, voi giureconsulti: «Che cosa direbbe Cuiacio, se udisse queste cose?»; questo, voi teologi: «Che cosa direbbe Melchiorre Cano, se udisse queste cose?». Infatti chi si pone come censori suoi gli scrittori che hanno superaro la vetustà dei secoli, non può non elucubrare opere che la restante posterità non ammiri. Con questi grandi passi, con cui dovete procedere lungo la via della sapienza, vi sarà facile progredire ulteriormente, così che non uno solo di voi possa poi dire:

io percorro gli impervi sentieri delle Muse,
e possiate portare a compimento o lavori ardui invano tentati da altri uornini molto insigni per ingegno e dottrina o intraprendere quelli mai sinora tentati: voi medici – tratterò l’argomento con gli esempi già fatti –, dopo aver raccolto da ogni parte le esperienze e le osservazioni di medicina, cercate di formulare altri aforismi, una gloria questa di duemila anni e più che rimane ancora salda presso il solo Ippocrate; voi giureconsulti, di esporre sinteticamente tutta quanta la giurisprudenza mediante le definizioni dei termini del diritto, una scienza in cui Emilio Papiniano è stato considerato il migliore dei giureconsulti e Giacomo Cuiacio si innalzava su tutti persino in un’età che era la più fiorente di eruditi interpreti del diritto; un’opera questa importantissima che Antonio Favre, persona autorevole sia per la sua età avanzata che per la sua conoscenza del diritto, ha iniziato nella sua Iurisprudentia Papinianaea, ma che non ha portato a termine, sia distolto nel corso del lavoro dalla sua difficoltà, sia perché impeditone dalla morte; voi teologi, di fondare sui principi della dottrina cristiana un sistema di filosofia morale, un lavoro che il cardinale Sforza Pallavicini ha tentato con magnanimo ardimento; Pascal ha pubblicato sullo stesso argomento pensieri senz’altro molto profondi, ma frammentari; Malebranche nello stesso tentativo ha fallito. Leggete l’aureo libro De Augmentis Scientiarum del grande Verulanio, un libro che, ove si eccettuino poche cose, bisogna sempre meditare ed avere sotto gli occhi, e considerate quanto del mondo delle scienze resti ancora da correggere, da integrare, da scoprire!

[21] E non vi lasciate poi irretire da incauti da questa sia odiosa che sciocca diceria, che cioè in questo beatissimo secolo le scoperte, che non si erano mai potute realizzare nel campo degli studi, sono state ormai tutte fatte, portate a termine, perfezionate, così che nulla più rimane in questo campo da desiderare. È una falsa diceria, che viene propalata da letterati di animo meschino.
[22] Perché il mondo ringiovanisce ancòra. Infatti, in non più di settecento anni, quattrocento dei quali tuttavia percorsi dalla barbarie, quante nuove invenzioni, quante nuove arti, quante nuove scienze non sono state escogitate? La bussola, la nave fornita di sole vele, il cannocchiale, il barometro di Torricelli, la macchina pneumatica di Boyle, la circolazione del sangue, il microscopio, l’alambicco, il campo dei numeri interi, gli infinitesimi, la polvere pirica, il cannone, le cupole delle chiese, i caratteri mobili, la carta, l’orologio; ognuna di queste invenzioni è ottima, importantissima, e tutte completamente sconosciute agli antichi. Da queste invenzioni sono scaturite una nuova arte navale e una nuova arte della navigazione – con le quali è stato scoperto il Nuovo Mondo, e quanto meravigliosamente accresciute le conoscenze geografiche! –, le nuove osservazioni astronomiche, le nuove conoscenze meteorologiche, le nuove conoscenze sistematiche di astronomia, di meccanica, di fisica, di medicina, una nuova anatomia, una nuova spargirica – tanto desiderata da Galeno –, un nuovo metodo nello studio della geometria e l’aritmetica divenuta di gran lunga più facile ad apprendersi, nuovi congegni bellici, una nuova architettura, una così grande facilità di acquistare i libri che ne fa diminuire il prezzo e una così grande abbondanza che sbalordisce. Come mai così improvvisamente la natura dell’ingegno umano si è esaurita, che si debba disperare che si possano raggiungere altre invenzioni ugualmente importanti?

[23] Non vi perdete d’animo, o nobili studenti, ne restano ancòra innumerevoli, e forse più grandi e migliori di quelle che abbiamo elencate. Nel grande grembo della natura infatti, nel grande emporio delle arti restano ancora da scoprire ingenti beni che gioveranno all’umanità e che ancora giacciono trascurati, perché ancora la mente eroica non ha rivolto ad essi l’animo suo. Alessandro Magno, recatosi in Egitto, con uno solo dei suoi vasti sguardi contemplò l’istmo che divide il mar Rosso dal Mediterraneo, e dove il Nilo sfocia nel Mediterranco e l’Africa e l’Asia si congiungono, e considerò adatto quel luogo a fondarvi, col suo nome, la città di Alessandria, che sùbito per i commerci dell’Africa, dell’Asia e dell’Europa, di tutto il mare Mediterraneo, dell’oceano e delle Indie divenne popolosissima. Il sublime Galilei ha osservato il pianeta Venere, apparsogli a mo’ di falce, come la luna, ed ha scoperto verità meravigliose intorno al sistema dell’universo. L’importantissimo Cartesio ha osservato il movimento di una pietra lanciata da una fionda, ed ha concepito un nuovo sistema di fisica. Cristoforo Colombo ha avvertito sul suo viso il vento che spirava dall’oceano occidentale e, avvalendosi di quell’argomento di Aristotele, secondo cui i venti nascono dalla terra, ha congetturato che altre terre vi fossero al di là dell’oceano. Il grande Ugo Grozio ha profondamente meditato quella sola espressione di Livio: «Vi sono determinati diritti di pace e di guerra», e ha pubblicato i meravigliosi libri De Iure Belli et Pacis, che, qualora se ne espungano talune affermazioni, potrebbero non a torto essere definiti incomparabili.

[24] Dopo questi ben chiari argomenti, dopo questi importantissimi esempi, dedicatevi con mente eroica e quindi con animo grande, o adolescenti nati per raggiungere le mète più alte e più nobili, agli studi delle lettere; coltivate la compiuta sapienza; perfezionate tutta quanta la vostra umana conoscenza; celebrate la natura quasi divina delle vostre menti; siate ardenti di Dio, di cui siete pieni; con ansia sublime ascoltate, leggete, meditate; affrontate fatiche erculee, e, avendole portate a termine, dimostrate con pieno diritto la vostra divina discendenza da Dio onnipotente; ed anzi riconoscetevi eroi, voi che arricchirete con altre grandiose scoperte il genere umano. A questi vostri grandissimi meriti verso tutta quanta l’umana società terranno molto facilmente dietro le ricchezze e i beni e gli onori e la potenza in questo vostro Stato; e tuttavia se questi beni non verranno, voi non ve ne starete inoperosi, e se sopraggiungeranno, li accetterete secondo l’insegnamento di Seneca con animo sereno, cioè non insuperbito, e con animo non avvilito li restituirete, se andranno via, alla stolta e furente fortuna, e sarete contenti di questo beneficio divino ed immortale, che cioè Dio onnipotente, che ci comanda – come abbiamo detto all’inizio – l’amore verso tutto il genere umano, abbia scelto particolarmente alcuni di voi, così da avere attraverso voi mostrato la gloria Sua sulla terra.

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Titolo articolo : CARITA' DI DIO: MA DI QUALE DIO E DI QUALE CARITA', IN VERITA', SI PARLA?! Credere nella carità suscita carità: il messaggio per la quaresima di Benedetto XVI - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/07/2013 - 18:33:11.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/2/2013 16.35
Titolo:CARITA': PAROLA USATA E ABUSATA. Lezione di don Mauro Agreste...
I CARISMI

di don Mauro Agreste *

1) OGGI PARLIAMO DEI CARISMI Oggi parliamo dei carismi ed è importante averne una conoscenza un pochino più strutturata, perché come catechisti nelle vostre comunità parrocchiali, ma anche nei gruppi di preghiera, è bene che abbiate una conoscenza il più possibile ampia su questo tema. Tutto sommato è stato lasciato per molti versi ad alcuni gruppi ecclesiali, oppure a degli alti studi universitari nell’Università Pontificia. Il tema dello spirito dei carismi è un tema che fa parte della vita della Chiesa; se ne tratta nel Concilio e nella Lumen Gentium. Al n°12 dice che la Chiesa costituita dal popolo di Dio è per così dire, il luogo in cui si esercitano i carismi, ognuno per la sua propria specificità. Però la maggior parte delle persone, quando sentono dire la parola carisma non è che abbiano molto chiaro in mente di che cosa si tratti, è vero?

2) PAROLA USATA E ABUSATA DA MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA Per di più questa parola è stata usata e abusata da giornalisti, da mezzi di comunicazione di massa non per indicare il significato preciso della parola carisma, quanto invece per indicare la capacità che ha una persona di attirare l’attenzione degli altri in qualunque campo, con la sua propria capacità di emergere sugli altri. Quindi in senso generico la parola carisma o personaggio carismatico all’interno della Chiesa e di alcuni gruppi ecclesiali vieni intuita in un certo modo. All’infuori della Chiesa il personaggio carismatico è un personaggio che ha delle chances in più, ha un savoir faire diverso in tutti i campi, sportivo, politico, ecc. ecc. da emergere e attirare l’attenzione, quasi catalizzando l’attenzione degli altri.

3) CARISMA HA LA STESSA RADICE DELLA PAROLA CARITÀ Ma che cos’è dunque il carisma e da che cosa nasce? Intanto la parola carisma deriva dal greco e come voi potete benissimo accorgervi contiene dentro di sé una radice, charis, che è la stessa radice della parola carità. Ora la parola carità, anche se abbiamo una vaga intuizione, è una parola che ha significati molto complessi e molto profondi, per cui almeno nel nostro linguaggio teologico, non è facile definire la carità semplicemente come un atteggiamento. La carità è prima di tutto una caratteristica di Dio stesso, una caratteristica essenziale, tant’è vero che gli antichi dicevano: Deus est charitas da cui gli antichissimi inni, ubi charitas et amor Deus ibi est, dov’è carità e amore lì c’è Dio. Dunque carità ha in sé questa radice charis, che significa qualche cosa di forte, di caldo, di vivo, di avvolgente. Viene cantato nel Veni Creator, si parla dello Spirito Santo e si dice che lo Spirito Santo è ignis, fuoco, fuoco di carità, fuoco di amore.

4) CARITÀ E AMORE VENGONO SPESSO USATI COME SINONIMI Carità e amore vengono spesso usati come sinonimi per una semplice ragione, sono entrambi concetti estremamente profondi. Se tu dici amore, è sufficiente dire amore per capire tutto ciò che significa la parola amore? No, cioè lo usiamo convenzionalmente però noi sappiamo che l’amore autentico per esprimerlo, per significarlo è molto difficile. Ricordate questa mattina il brano del Vangelo che è stato letto: nessuno ha un amore più grande se non colui che muore per i propri amici. Quindi vedete l’amore coinvolge fino alla donazione della vita. L’amore esige per esempio il concetto, che deve essere chiaro, della capacità di donarsi. Amore e donazione totale coincidono; però quando io dico amore non dico solo donazione totale, dico anche gioia, dico anche situazione di protezione. Una persona che ama è una persona che ne sta proteggendo un’altra; una persona che si sente amata è una persona che si sente protetta. Il concetto di guida: chi ama guida; chi è amato si sente guidato non gettato allo sbaraglio. Voi potete immaginare quale grande significato c’è nella parola amore; viene considerata sinonimo di carità, però entrambe hanno una specificità; che l’amore e la carità sono due realtà vive, coincidono con Dio.

5) PARLARE DI CARITÀ SIGNIFICA PARLARE DI GRAZIA Quindi parlare di carità, significa parlare di grazia, che charis è una traslitterazione, è la radice della parola greca che significa grazia. Che cos’è la grazia? Non è la gentilezza nei movimenti, la grazia è lo Spirito Santo in azione, lo Spirito Santo mentre agisce, lo Spirito Santo che sta agendo. Vieni Padre donaci la tua santa grazia, donaci cioè lo Spirito Santo che agisce dentro di noi. Ricordatevi che anche se avete il concetto chiaro nella mente, quelli che sono davanti a voi fraintendono facilmente, soprattutto queste cose complesse. Quindi dovete avere sempre l’idea di parlare a un bambino di 5 anni e state tranquilli che le persone davanti a voi non si sentiranno umiliate e non vi disprezzeranno se voi parlerete il più semplice possibile.

6) CHIEDI CHE LO SPIRITO SANTO VENGA AD AGIRE DENTRO DI TE Allora, donaci la santa grazia, certo che vuol dire donaci la capacità e la disponibilità a seguire i suggerimenti dello Spirito, però tu chiedi proprio che lo Spirito Santo venga ad agire dentro di te, però non senza di te. Quando invochiamo la grazia di Dio su di noi, invochiamo lo Spirito Santo che venga ad animarci dall’interno, come il lievito che fa lievitare tutta la pasta; il lievito non fa sparire la pasta, la fa solo lievitare; certo se non c’è la pasta puoi mettere anche un chilo di lievito che tanto non lievita niente. Allora quando si dice grazia si dice Spirito Santo in azione. Cosa vuol dire charis? Grazia. Cosa vuol dire grazia? Spirito Santo in azione. Lo Spirito Santo aleggiava sopra le acque informi, quindi lo Spirito Santo era già in azione appena Dio ha fatto esistere qualche cosa, ancora non c’era la luce, ma già lo Spirito Santo era in azione. Lo Spirito Santo agisce continuamente. L’ultimo versetto dell’Apocalisse dice: lo Spirito Santo e la sposa gridano Maranthà, vieni Signore Gesù. Quindi attenzione bene, tutta la Bibbia è contenuta da questa azione di Spirito Santo, dunque, tutta la storia degli uomini è contenuta in questi due punti fondamentali: lo Spirito Santo che aleggia e lo Spirito Santo che anima dicendo vieni. Gli uomini non si accorgono dell’azione dello Spirito Santo.

7) NUTRIRE UNA PARTICOLARE ADORAZIONE DELLO SPIRITO SANTO Allora i catechisti hanno questo compito fondamentale, fra tutti gli altri, di nutrire una particolare adorazione dello Spirito Santo. Dico giusto quando dico adorazione, per una semplice ragione, quale? Perché lo Spirito Santo è Dio. Quindi il catechista che non adora lo Spirito Santo non so che razza di catechista voglia essere. Lo Spirito Santo è la grazia che agisce dentro di noi. Il catechista che si mette al servizio della Chiesa, come fa a mettersi al servizio dicendo l’amore per Gesù se non è lo Spirito Santo a comunicarglielo?

8) PARLARE DI SPIRITO SANTO E DIO COME DUE PERSONE SEPARATE Domanda: questo fatto di parlare di Spirito Santo e Dio come due persone separate, non rischia di confonderci? E quando parliamo del Padre separato dal Figlio, non si rischia di creare dei problemi? Nelle dispense degli anni passati c’è quel disegno molto bello che si riferisce allo schema intuitivo su Dio e le sue tre persone. Dio è Padre, è Figlio e Spirito Santo, un solo Dio, però il Padre non è il Figlio, non è lo Spirito Santo e lo Spirito Santo non è il Padre. È chiaro che la nostra mente è così limitata che noi non riusciamo a capire, possiamo solo contemplare.

9) FACCIAMO PARTE DELLA TRINITÀ Di più ancora. Facciamo parte di questa Trinità, con il Battesimo siamo entrati dentro la Trinità, perché siamo con Gesù una cosa sola. Siamo entrati nella Trinità, però non siamo Dio, siamo esseri umani, però facciamo parte della Trinità. Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; quindi la volontà di Dio è che siamo immersi ( bactizzomai verbo greco che significa essere immersi ) in tutto Dio Padre, in tutto Dio Figlio e in tutto Dio Spirito Santo. Questo vuol dire che dentro di noi c’è tutto Dio Padre, tutto Dio Figlio, tutto Dio Spirito Santo e come lo spieghi questo? Quando tu vai a fare la comunione prendi un’ostia grande così, tu sai che lì dentro c’è il Dio Eterno e Infinito, Signore della storia e dei secoli. Sotto un velo di pane c’è il mistero di tutto ciò che esiste. Possiamo intuire. Come dice l’inno Pange Lingua. Visus tactus gustus in te fallitur, la vista il tatto il sapore falliscono, perché tutto quello che i sensi constatano è fallace, non i sensi ma la fede conosce questa verità. Allora con la fede tu accetti, il mistero lo contempli, però non lo capisci. Perché capire dal latino càpere vuol dire prendere e tenere stretto, contemplare invece significa guardare, ma non da soli, sostenuti. Tu puoi guardare il mistero di Dio da solo, lo puoi contemplare cioè tu puoi entrare nel tempio insieme a qualcuno, contemplare entrare nel tempio insieme a qualcuno. Tu non possiedi il tempio è il tempio che possiede te.

10) IL CATECHISTA DEVE PARLARE UN ITALIANO SEMPLICE E COMPRENSIBILE Attenzione, perché usiamo la lingua, ma non la conosciamo e un catechista non può permettersi questo. Un catechista deve parlare un italiano semplice e comprensibile a quelli che ha di fronte però deve conoscere dieci o venti volte di più di quello che sta dicendo agli altri, se no che cosa sta comunicando? Certamente ai bambini non puoi dire le specificità dei termini che vi sto spiegando, però su tu non conosci il significato delle parole, tu insegnerai delle cose sbagliate e noi non possiamo permetterci di fare questo, se no non stiamo divulgando il Vangelo di Gesù Cristo, ma il Vangelo secondo noi. Quindi ricordatevi, è un servizio fatto a Dio quello anche di essere precisi nel linguaggio che si usa. Siate precisi cercando di conoscere il più possibile il significato delle parole che usate, anche le più comuni. E chiedete allo Spirito Santo che vi dia una struttura logica del pensiero: soggetto, predicato, complemento. Diversamente il vostro discorso non sarà compreso da chi vi ascolta; piuttosto articolate frasi e concetti brevi non un discorso lungo e strutturato. Fate discorsi brevi, frasi brevi, ma che siano chiare.

11) LA CONIUGAZIONE DEI VERBI DEVE ESSERE PRECISA State anche attenti alla coniugazione dei verbi, che deve essere precisa, perché un verbo al condizionale ha un significato diverso da un verbo all’indicativo; perché un verbo all’indicativo indica una realtà, un obbligo imprescindibile, un verbo al condizionale indica una possibilità cioè una dualità di realtà; i congiuntivi sono verbi di consequenzialità; se io nella mente non ho l’idea della consequenzialità delle cose, non userò il congiuntivo, userò l’indicativo e renderò tutto obbligante.

Ricordatevi che abbiamo a che fare con le parole, che noi abbiamo la parola di Dio nella mano e siamo i catechisti, non ci possiamo permettere di giocare con le parole, perché da come io uso le parole, favorisco o freno il passaggio del concetto di Dio. Senza diventare fanatici, senza esagerare, però o prendiamo sul serio il nostro servizio reso a Dio. Quindi tutto quello che dipende da me io cerco di farlo al meglio che posso, oppure facciamo come fanno tanti che improvvisano tutto, vanno avanti e non si rendono conto che stanno giocando con Dio. Se sul Vangelo c’è scritto: in principium erat verbum et verbum erat aput deum et verbum erat deum, allora questo ci fa capire che in principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio.

12) SE DIO SI E’ FATTO PAROLA, IO NON POSSO GIOCARE CON LE PAROLE Se Dio si è fatto la parola che noi possiamo intuire e capire, io posso giocare con le parole? No. Non dico questo perché dobbiamo spaventarci, sentirci colpevolizzati, però sentiamo la necessità di pensare le parole che usiamo e pensare le frasi che usiamo, perché se io devo parlare a dei bambini, dovrò rendere estremamente semplice un discorso difficilissimo. Però usando delle parole che siano giuste, che cerchino di generare meno equivoci possibili, adatte al vocabolario che è in possesso a un bambino di 7-10-12-15 anni, senza mai cedere ad accettare una connotazione di linguaggio che non sia più che dignitosa ed elegante.

13) IL CATECHISTA NON USA MAI PAROLE EQUIVOCHE Se ci sono dei modi di dire che esprimono il concetto di essere arrabbiati in un certo modo, il catechista non li usa mai, neanche quando sta da solo. Se ci sono parole equivoche il catechista si deve abituare non solo a non usarle lui, ma a sentirne ribrezzo quando le sente pronunciare da altri, perché il catechista sta usando con la propria lingua un mezzo di evangelizzazione. Dunque l’apostolo san Giacomo dice nella sua lettera al cap. 4 che chi domina la lingua domina tutto il resto del corpo.

Ora un catechista che non domina la lingua come può produrre negli altri un cambiamento di vita, se le parole che escono da lui sono sporcate da una incapacità di dominare la lingua? Naturalmente quando dico capacità di dominare la lingua non mi riferisco solamente a un linguaggio volgare e pesante, mi riferisco anche a un modo di gestire il linguaggio. Una persona che non è capace a non criticare, una persona dalla cui bocca esce sempre una parola di critica, di giudizio, di condanna, di curiosità, di pettegolezzo ecc. può giustamente essere catechista? Non può. Un catechista che non sente fondamentale dentro di sé l’imperativo di sapere quello che sta dicendo, come lo sta dicendo e non si domanda se le parole che sta usando le capisce prima lui, come fa a spiegarle agli altri?

14) IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE AMARE E AMORE Quante volte abbiamo esaminato il significato delle parole amare e amore. Se un catechista non sa che cosa vuol dire amare, sapete con che cosa lo confonde? Con il romanesco volemose bene. Ma amare non è quello, quello non è amare, quello lì è solo cercare di stare tranquilli, senza prendersi tanti problemi, vero? Invece amare è tutta un’altra cosa. Stamattina abbiamo sentito: dare la vita per i propri amici. Vedete che è estremamente differente. Allora non deve essere così per voi, perché voi avete sentito veramente una chiamata del Signore, se no non sareste qui al sabato mattina.

Però per non perdere tempo né io, né voi e neanche Dio, cerchiamo proprio di capire l’importanza di tutto questo. Quando nelle scuole ci facevano fare l’analisi logica, l’analisi del periodo erano molto importanti; se abbiamo dimenticato tutto questo la prima cosa che dobbiamo fare è chiedere allo Spirito Santo che venga a rispolverare dentro di noi le cose che avevamo studiato allora, che le faccia emergere. Vedrete che lo Spirito Santo vi aiuterà; poi dopo cominciate con l’analizzare il linguaggio che usate, le strutture logiche che usate, se sono chiare.

Ricordatevi che le persone che avete di fronte non sono dentro la vostra mente, dunque loro non sanno esattamente dove voi volete arrivare. Una grande carità che potete fare nei confronti del vostro prossimo, un grande servizio è quello di fare un passettino piccolo alla volta. Non date mai niente per scontato, anche se doveste ripetere cento volte in cento incontri, serve per aiutare quella persona a entrare nel difficile concetto che voi volete dire.

15) DOBBIAMO IMPARARE A PERDONARE Per es.: dobbiamo imparare a perdonare. Che vuol dire perdono? È una parola composta. Dividete a metà la parola, per e dono; quella che capite subito è dono, cosa vuol dire dono? È un regalo, non meritato, perché un dono meritato si chiama premio. Capite perché bisogna essere precisi? Perché se io non dico questo allora il perdono mi diventa un diritto, invece non è un diritto, è un dono, un regalo non meritato; quindi se il regalo non è meritato mi viene fatto perché io sono buono o è buono chi mi fa il regalo? Chi mi fa il regalo. L’altra parola da capire è per che deriva dal greco iper, che vuol dire il più grande; quindi se iper vuol dire il più e donum, regalo, mettendo insieme avete l’insegnamento che dovete fare sul concetto di perdono.

Poi ci potete parlare per sei mesi ai bambini del perdono, però se sapete cosa vuol dire voi insegnate realmente ciò che insegna la Chiesa, non ciò che insegna il mondo: vogliamoci bene perché il Signore è buono e ci perdona, tanto perdona tutto e tutti. No! Il catechista non può fare queste cose, non si può confondere il perdono con un sentimento di piacevolezza e di arrendevolezza, non è così. Allora siamo partiti dal tema dei carismi, la prossima volta ricordatemi che dobbiamo continuare sul significato della parola carisma. Abbiamo appena analizzato la radice charis che vuol dire grazia e che significa Spirito santo in azione.

* UNIONE CATECHISTI. CATECHESI. LEZIONI, 08.10.2005
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/2/2013 16.42
Titolo:RITROVARE LA FEDE PRIMARIA. Intervista a Albert Rouet
Ritrovare la fede primaria

intervista a Albert Rouet,

a cura di Jérôme Anciberro e Philippe Clanché

in “www.temoignagechretien.fr” - supplemento al n° 3524 del 24 gennaio 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Superando il divario tra credenti e non credenti, l’arcivescovo emerito di Poitiers propone di scrutare quella che lui chiama la fede primaria, quelle “ragioni intime di agire che orientano l’esistenza” presenti in ciascuno. Di fronte all’indifferenza religiosa, le sole risposte possibili per Mons. Rouet sono la povertà e la richiesta fatta alla Chiesa cattolica di esprimere il suo disaccordo su certi elementi, senza cadere nella condanna.

Alcuni osservatori lamentano un aumento dell’ostilità nei confronti delle religioni. Lei sembra invece più sensibile all’indifferenza religiosa. Ma in che cosa è preoccupante questa indifferenza?

La Francia ha vissuto in 120 anni un’evoluzione che altri paesi cattolici (il Canada, la Svizzera...) hanno conosciuto in 40. Un’evoluzione avvenuta in tre tempi. Il primo è stato quello della laicità, della separazione delle coscienze dei cittadini e dello Stato dal sistema religioso. Era la fine della teocrazia. Il secondo tempo è stato quello della secolarizzazione. Si è deciso di risolvere i problemi al loro livello: quando si è malati, non si va più in pellegrinaggio, ma all’ospedale. Quell’epoca aveva ancora una conoscenza reale della religione. Nel 1974, quando viene chiesto al presidente Pompidou se è credente, risponde: “Mia moglie va a messa”. Nel mondo rurale, all’epoca, il consigliere generale “radical-socialista” e massone è anche un ex chierichetto, e sa che avrà il funerale in chiesa. Oggi - è il terzo tempo -, questa realtà è superata. Le persone non sanno più che accanto a loro esiste un mondo religioso. Non sono contro, sono altrove. Non capiscono perché quel mondo religioso esista, a che cosa serva e quale sia il suo valore. Ma, al contempo, accanto al mondo a-religioso, che si pensa retto dalla scienza e dalla tecnica, sussiste una credulità totale. È assolutamente immaginabile partecipare ad un pellegrinaggio senza essere veramente credenti. I “pardons” bretoni [feste religiose con messa solenne e processione in abiti tradizionali] hanno molto successo, e i cattolici se ne rallegrano. Ma non è qualcosa che entra in profondità. Tra lo zoo e la spiaggia, c’è anche il turismo religioso. Ma è un religioso asettico.

- Perché?

La nostra società ha tolto agli uomini la responsabilità della loro storia. Non siamo più immersi negli scontri ideologici. I bambini vengono orientati presto. Le fabbriche chiudono, senza che si sappia esattamente chi lo ha deciso e perché. Il gioco politico si è ridotto ad una guerra di statimaggiori. Che cosa resta alla gente? Solo la sua pelle. Questo individualismo è pesante da portare, allora ci si protegge. L’indifferenza religiosa non è un rifiuto materialista, ma una protezione. Eppure, la fortezza delle persone non è vuota. Anzi, conservano nel più profondo di se stesse ciò a cui tengono. Tenteranno delle esperienze individuali.

- E meno esperienze collettive?

Sì, e questo vale anche per i partiti politici e per i sindacati. Eppure, il desiderio è presente. Ma siccome il timore di essere spossessati della propria storia è forte, più un sistema religioso vorrà dettare un certo comportamento, meno sarà credibile.

- Lei attribuisce ai nostri contemporanei indifferenti alle religioni una “fede primaria”. Che cosa significa?

Non si può ridurre l’uomo ad un istinto meccanico, come la caccia in certi animali. Nell’uomo, c’è del gioco, c’è dell’incompiutezza. Un individuo non è mai solo ciò che pretende di essere o che dà l’impressione di essere. Questo gioco lo obbliga a prendere delle decisioni, non solo secondo dei processi tecnici, ma come un impegno della sua libertà. La fede primaria orienta le ragioni intime di agire, che dominano l’esistenza. Questo va oltre le preoccupazioni come mangiare o vestirsi. È un minimo esistenziale. Senza questo minimo non c’è vita umana, l’uomo è soffocato, perché solo due volte nell’esistenza quello che è coincide con ciò che appare: allo stadio di feto, quando è nel ventre materno, e a quello di cadavere nella sua bara. Tra i due, siamo quello e anche qualcos’altro. È precisamente in questa indecisione che bisogna decidersi... ed affidarsi.

- Il discorso consumistico classico evoca anche i “margini di libertà” dell’individuo. In che cosa questa libertà del consumatore è diversa dalla libertà che lei evoca?

Le persone non sono così succubi della pubblicità come si crede... Anche quando si fanno piacere, il loro gesto va al di là del consumo. A Natale, sappiamo che certe spese sono inutili. Quando persone che prendono un sussidio RSA [Revenu de Solidarité Active, sussidio per persone senza lavoro o con un salario troppo basso] comprano ai figli una macchinina telecomandata da 400 euro, si può certo condannare questo gesto in nome dell’economia familiare. Ma vi si può anche vedere una maldestra rivendicazione di dignità: “Perché non ne abbiamo diritto? Ci è forse proibito?”. Dietro l’aberrazione economica, il gesto è forse indispensabile dal punto di vista della fede primaria. Questo tipo di comportamento è strano per le persone sensate, quelle che hanno tutto ciò di cui hanno bisogno...

- Il suo modo di considerare il consumismo attuale può sembrare molto benevolo...

Il fatto è che bisogna distinguere il disaccordo e la condanna. Cristo, nel Vangelo di Giovanni, esprime il suo disaccordo. Ma non condanna la persona. Affermando di essere in disaccordo, si discute, e l’altro è un interlocutore. Condannando, al contrario, si prende l’altro per un oggetto che si mette da parte. Eppure, questo mondo ha bisogno che gli si dica di no. Ad esempio per il consumismo.

- Quando la Chiesa cattolica esprime un disaccordo a proposito di un tema riguardante la società, la cosa viene spesso sentita come una semplice condanna e non viene percepita la distinzione che lei ha appena espresso.

Sì, è una difficoltà molto grande. Condannare, lo si può fare molto in fretta. Ma per dire di no, devo aspettare che l’altro mi abbia espresso le sue ragioni che lo spingono ad agire in un percorso che io non prenderei. Finché non avrò percepito che in quel desiderio, anche sbagliato, si trova una parte buona di desiderio di vivere meglio, non posso dire di no. Bisogna scorticare questo desiderio. La condanna, in quanto verdetto, fa a meno di questa analisi. La differenza è essenziale.

- Di fronte alla “non credenza”, la Chiesa cattolica, fino al Vaticano II, è stata a lungo in un atteggiamento di condanna. Del resto, solo pochi anni fa i vescovi francesi hanno soppresso il servizio nazionale “Non credenza e fede”, ufficialmente per ragioni economiche. I non credenti non interessano più alla Chiesa, così come la Chiesa non interessa più ai non credenti?

Sono convinto che Cristo non ha creato un sistema religioso, ma un tipo diverso di relazione. Non si tratta di approvare tutto, ma almeno, in una logica di dialogo, di cammino comune e di rispetto reciproco, di esprimere la nostra fede primaria. Se no, il rischio è di rinchiudersi in se stessi. Conosciamo il percorso: “Siamo minoritari, siamo i puri, gli ultimi fedeli...” A coloro che la pensano così, cito san Matteo: “Siate perfetti come è perfetto il padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,48). La perfezione del Padre consiste nel far sorgere il sole sui giusti e sugli ingiusti, e a far piovere sui buoni e sui cattivi. “Se salutate soltanto i vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?” (Mt 5,47). La perfezione di cui parla Matteo è l’equità di Dio, che tratta ogni uomo in funzione del suo bisogno esistenziale. E non un idealismo morale, che a priori condanna delle posizioni, senza aver visto le persone che le vivono. Questo cambia tutto.

- Questo atteggiamento è difficile da vivere per un’istituzione che deve difendere delle posizioni che ritiene minacciate.

Un sistema religioso non può rispondere alla sfida dell’indifferenza. La sola risposta, è la povertà e l’umiltà della fede. “So in chi ho creduto”, dice Paolo (2Tm 1,12). I cristiani hanno solo questo. Dobbiamo procedere senza protezioni, senza nulla da difendere.

- La religione cristiana pretende tuttavia di detenere un accesso privilegiato alla verità, grazie alla Rivelazione. Non è illusorio far finta di essere poveri in materia, mentre si sa - o si pretende di sapere - che cos’è la verità?

La modernità ci porta a rivisitare tutti i sistemi creati. Perché l’augustinismo è durato così a lungo, perché la scolastica torna oggi a riprendere vigore? I cristiani devono interrogarsi su questo bisogno tutelare di pensieri già pensati. Si sono confuse teologia e fede. Nelle lingue semitiche, verità e fedeltà sono la stessa parola. Cristo non ha detto “ho la verità”, ma “sono la verità” (Gv 14,6). Se la fede è relazione con Cristo, entriamo in un mondo non concorrenziale, senza esclusività.

Dobbiamo testimoniare la nostra capacità di vivere con Gesù, restando persone in piedi e libere. “Chi fa la verità viene alla luce” (Gv 3,21). Se il credente non partecipa all’elaborazione della verità che professa, non è la verità del Vangelo. La verità non può essere scritta una volta per tutte. Non è qualcosa. È qualcuno. Questa confusione tra il sistema e l’esistenza è anche il risultato della controversia modernista tra scienza e fede, tra naturale e soprannaturale, tra temporale ed eterno. Non se ne esce. Ma la vera domanda è: che cosa fa vivere e rende liberi?

- Non si può costringere una persona che non vuole credere. Eppure, molte persone “di fede” sono tentate di dire ai loro amici non credenti: “Un giorno ci arriverai, sei un credente che si ignora”.

È frequente e perfettamente illusorio. Come se avessimo da un lato i credenti e dall’altro quelli che non hanno niente! Si elimina completamente la fede primaria. Posso forse definire non credente il mio amico militante sindacale comunista che, in tutta la sua carriera, ha rifiutato un salario superiore a quello più basso praticato nell’impresa? Aveva una fede primaria più sviluppata di certe persone dotate di un sistema religioso nella testa, ma senza granché nelle viscere. Per la teologia più classica, la fede che viene da Dio entra nell’uomo tramite la fede primaria. L’opposizione non è tra credenti e non credenti, ma tra diversi radicamenti e contenuti di fede. Nel nostro mondo secolarizzato, l’indifferenza ci obbliga a precisare il nucleo della nostra fede. Sono sorpreso che ci si stupisca quando dico questo. Il centurione del Vangelo (Lc 7, 1-10), buon pagano, chiede a Gesù, di primo acchito un guru dell’epoca, di guarire il suo servo. Non vale niente in teologia e in catechismo, ma la sua fede esistenziale è totale. E Gesù dice che non ha mai visto una fede simile in Israele. Ciò che Cristo vede prima di tutto, è l’autenticità del progetto esistenziale. Tutto possiamo pensare, salvo di essere circondati dalla non credenza.

- Di questo passo, qualcuno potrebbe tacciarla di relativismo...

Si sono costruiti dei sistemi senza radicamento esistenziale, e li si fa combattere tra di loro. Non sono un anti-intellettuale. Si possono costruire delle teorie, ma anche la più bella, soprattutto se è religiosa, deve ad un certo momento manifestarsi nel reale, nel concreto, nell’esistenza di una persona che la professa. È a questo che è attento Cristo! La controversia del relativismo, siamo noi a crearla. È solo un dibattito per borghesi dei salotti parigini del XVIII e del XIX secolo, tra un sigaro e un cognac.

- Sembrerebbe che si possa andar d’accordo tra credenti di confessioni diverse e perfino con agnostici o atei su valori ampiamente condivisi. Ma in che cosa si può credere?

Le beatitudini ricordano esigenze vitali, espressione che preferisco a “valori”. È in questo quadro che appare la seduzione di Cristo. Mi sono convertito a vent’anni per questo. Non ho mai ritrovato una tale autenticità. Per Matteo, la croce ha senso solo tra le beatitudini. Allora, si passa da queste esigenze vitali, da questi valori, ad una persona che dà loro un volto e che le ha vissute fino in fondo.

- Allora, lei pensa che si cominci col credere in qualche cosa prima di credere in qualcuno?

Sì. Perché mai credere in qualcuno se non si cerca in lui la realizzazione dei propri desideri profondi?

Per rassicurarsi, ad esempio.

È una parola pericolosa. Vorrei dire che la fede non è fatta per rassicurare. Ma chi non ha mai bisogno di essere rassicurato, di essere riconosciuto? Chi non ha mai paura, a parte gli incoscienti? Se l’essere rassicurati è vissuto come una copertura di tipo materno, è catastrofico. Se invece lo si prende come la necessità di essere riconosciuti, non se ne può fare a meno. La purezza totale è disumana. La fede deve rispondere a dei bisogni primari. Senza la gioia di credere, senza sicurezza della fede, non si può vivere. Il limite tra i due è tenue, ma non gettiamo via il bambino con l’acqua sporca.

- Quale sarebbe l’atteggiamento giusto dell’istituzione nei confronti della non credenza?

Una Chiesa che sa tutto non interessa. Cristo dice alla Samaritana: “Ho sete”. Ha mai sentito un vescovo dire questo a un non credente o a una persona “mal credente”? In questa relazione si deve poter dare solo se si riceve. È la logica dello scambio, della comunione e dell’alterità. Per essere io, ho bisogno dell’altro. La nostra Chiesa, purtroppo, dà l’impressione di non cercar di ricevere. Il Vaticano II non ha detto che era necessario che tutti fossero cristiani, ma che ci siano dei cristiani nel mondo. Non è la stessa cosa. Se la Chiesa cattolica, per salvarsi, si accontenta di contabilizzare il numero dei fedeli che vanno a messa, come ne XIX secolo, va a sbattere contro il muro. Deve vivere con le persone, sostenerle nella loro fede primaria, essere testimone di ciò che ha vissuto Cristo. Facendo solo del culto, i preti diventano insignificanti. Siamo alla fine di un’epoca religiosa. Bisogna cambiare logica: o si crea del sacro, della religione per continuare le nostre vecchie abitudini, nel qual caso si resterà nell’insignificanza e si continuerà a far aumentare l’indifferenza, o ci si posiziona in una relazione di dialogo e di scambio, e forse, allora, si sarà ascoltati.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/2/2013 18.33
Titolo:I VALORI NON NEGOZIABILI, MONSIGNOR PAGLIA, E LA COSTITUZIONE ...
Lo spirito elastico della Costituzione

di Nadia Urbinati (la Repubblica, 7 febbraio 2013)

La svolta della Chiesa di Roma sul riconoscimento dell’eguaglianza dei diritti civili degli omosessuali è indubbiamente un evento importante. Come ricordava Vito Mancuso su questo quotidiano, mai era successo che un prelato ammettesse che i diritti civili sono eguali per tutti in materia di convivenza.

Lo ha fatto monsignor Vincenzo Paglia, il nuovo Presidente per il Pontificio Consiglio per la Famiglia. Il pronunciamento è importante perché centrato sull’eguale rispetto delle persone e la condanna della discriminazione che la criminalizzazione dell’omosessualità genera, come verifichiamo quotidianamente anche nel nostro Paese. Una battaglia di civiltà, sulla quale papa Benedetto XVI si è varie volte pronunciato mettendo in luce le sofferenze che ancora troppi governi infliggono a chi sceglie di vivere una relazione non eterosessuale.

Ma il riconoscimento che chi vive una “amicizia” omosessuale debba godere degli stessi diritti civili degli altri individui non significa riconoscimento della coppia omosessuale. Diritti sacrosanti della persona come tale e non diritti di veder legalizzata la convivenza con una persona dello stesso sesso: un fatto di giustizia rispetto al quale è uno scandalo che anche Stati democratici avanzati, come il nostro, siano ancora tanto inadempienti. Trovare “soluzioni di diritto privato”, all’interno del “codice civile” per questioni legate al “patrimonio” (trasmissione ereditaria e comunità dei beni), è l’abc dello stato di diritto, soprattutto un coerente intervento in materia di diritto di proprietà. Ma diritti civili della persona, sacrosanti, non sono ancora diritti alle unioni fra le persone. Non si può pretendere che la Chiesa dia la benedizione a tutto ciò che vogliamo e desideriamo; ma sarebbe un errore di valutazione pensare che con questo pronunciamento la Chiesa si sia spinta fino al punto di dare la propria benedizione alle coppie non eterosessuali.

Monsignor Paglia spiega che il no della Chiesa al matrimonio gay è coerente alla legge perché “la Costituzione italiana parla molto chiaramente, ma prima ancora era il diritto romano che stabiliva cosa fosse il matrimonio”. Quindi la legge civile è la prima responsabile di questa discriminazione, non la dottrina religiosa. Si dovrebbe aggiungere che non tutti i codici sono quello italiano e che quindi la posizione della Chiesa è in linea non tanto con la legge civile, ma con la legislazione italiana - ci possono essere soluzioni diverse e tuttavia in perfetta sintonia con il diritto civile come si è visto in Francia.

Ma è poi vero che la Costituzione italiana sia così esplicita e univoca nel respingere il matrimonio eterosessuale o meglio ancora nel definire il matrimonio?

Leggiamo l’art. 29 della nostra Costituzione: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”. Come si vede, la Costituzione non specifica l’identità sessuale dei coniugi o la composizione della famiglia. Certo, si potrebbe sostenere che questa non specificità linguistica fosse indice della mentalità dei costituenti, nella quale non rientrava molto probabilmente né l’opzione di coppia omosessuale né la fecondazione artificiale o l’adozione da parte di coppie non eterosessuali. Che senso aveva specificare ciò che era ritenuto naturale, normale, ovvio? Una costituzione è viva perché consente alle generazioni che verranno la libertà di farla propria, di interpretarla secondo le esigenze del loro tempo, con i diritti civili come bussola. Il silenzio della nostra Costituzione sulla definizione di matrimonio e di famiglia è un segno della sua saggezza più che una dichiarazione dogmatica su che cosa sia il matrimonio, ed è una garanzia della nostra libertà politica di decisione.

La Costituzione ci orienta a interpretare che cosa sia “negoziabile” e assegna alla comunità politica (il governo democratico) l’autorità di dichiarare, nella legge civile, che cosa sia non-negoziabile. Il tema della laicità (dell’autonomia della legge civile dalle credenze religiose) non sta tanto nella separazione tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio, ma nel decidere chi stabilisce questa separazione e come la si negozia. In questa negoziazione consiste la vita democratica. Della quale la Chiesa è parte con la sua opinione e la sua libertà di partecipare alla costruzione degli orientamenti politici come tutte le altre associazioni della società civile.

L’interpretazione della Costituzione riflette la lotta politica e le differenze di opinione che operano liberamente nella società. Le istituzioni non sono sigillate o rese impermeabili alla società civile (cosa che è non solo impossibile, ma sarebbe inoltre indesiderabile in una democrazia rappresentativa). L’esito di questo scambio, di questa tensione interpretativa, è la formulazione di leggi o decisioni che siano in sintonia con lo spirito della Costituzione, il quale è molto più elastico di quanto non appaia e, soprattutto, non sepolto nella mente dei costituenti ma vivo nella nostra. E la definizione del matrimonio è una questione non chiusa come ci suggerisce monsignor Paglia, ma aperta a interpretazioni che non sono per nulla scontate o “non negoziabili”.

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Commenti Articolo 598

Titolo articolo : COME SOGNANO I FILOSOFI ITALIANI: PENSANO ANCORA CHE KANT SIA UN FILOSOFO "TOLEMAICO"!!! Una nota di Vincenzo Vitiello su tre recenti libri su Spinoza (di Carlo Sini, Biagio De Giovanni e Massimo Adinolfi) - con appunti   ,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/04/2013 - 08:55:44.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 03/2/2013 23.07
Titolo:AL DI LA' DEL BIOLOGISMO. Tutto viene dalla Terra, ma non tutto si risolve in Te...
Due madri = un padre?

di Sylviane Agacinski*

in “Le Monde” del 3 febbraio 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Nulla illustra meglio la coriacità della dissimmetria dei sessi del modo in cui ognuno affronta la questione della procreazione. Come tutti, anche gli omosessuali affrontano tale questione e, fino ad ora, non avevano altra possibilità che rivolgersi ad una persona dell’altro sesso.

Ciò che è cambiato, al punto da far emergere la nozione di omogenitorialità, è la possibilità, almeno apparente, di far a meno dell’altro sesso per “avere” dei figli, come si sente dire così spesso alla radio: l’attrice celebre tal dei tali “ha avuto dei figli con la sua compagna”. Quasi si dimentica ciò che questa meravigliosa “performance” deve alle tecniche biomediche e al donatore di sperma anonimo che ha dato il suo contributo in Belgio o in California.

Ma il dono di sperma e l’inseminazione artificiale sono da tempo praticati in Francia per coppie “classiche” nel quadro della procreazione medicalmente assistita (PMA) senza che questo turbi più di tanto o che ci si interroghi sulla trasformazione delle persone che danno la vita con semplici materiali biologici anonimi mentre i figli diventano prodotti fabbricati su richiesta e, di conseguenza, in certi paesi, delle merci. Oggi conosciamo gli effetti devastanti che possono esserci sui figli in seguito alla decisione deliberatamente assunta di mantenere il segreto sulla persona del loro genitore, anche quando un padre legale esiste ed ha svolto pienamente il suo ruolo.

Così, la prima riflessione che si impone alle nostre società moderne, prima di qualsiasi costruzione legislativa sulle modalità della filiazione, riguarda la distinzione, fondamentale nel diritto, tra le persone e le cose. Il filosofo Hans Jonas considerava la responsabilità degli esseri umani nei confronti della loro progenitura come l’archetipo della responsabilità. I donatori di sperma e le donatrici di ovociti sono innanzitutto degli esseri umani: si dice che donano delle cellule ad “una coppia”, in realtà contribuiscono a dare la vita ad un figlio, e quest’ultimo un giorno lo saprà e ne chiederà conto.

Non per avere o non avere sofferto nell’infanzia, ma perché, essendo egli stesso persona, vorrà sapere da quali persone proviene e qual è la sua storia umana. Per questo è necessario intraprendere una riflessione globale sul ruolo della medicina procreativa e sulle condizioni etiche delle sue pratiche, indipendentemente dalle coppie a cui sono destinate queste pratiche. Un progetto di legge sulla famiglia non può certo sostituire tale riconsiderazione totale. Rivolgendosi al Comitato consultivo nazionale di etica, il presidente della Repubblica va nella giusta direzione. Il problema è diverso per gli uomini - a causa della dissimmetria sessuale -, perché la procreazione omogenitoriale necessita di un dono di ovociti e dell’uso di “gestanti per altri” (“madri in affitto”).

Anche qui, la pratica non riguarda solo le coppie gay. Ma sono loro che militano più attivamente per la sua legalizzazione, ad esempio tramite il gruppo Homosexualité et socialisme o le associazioni LGBT (lesbiche, gay, bi e trans). A questo riguardo, le posizioni del governo sembrano chiare. Esso esclude ogni legalizzazione dell’uso di donne come “gestanti per altri”, consapevole della mercificazione del corpo che inevitabilmente comporta, con lo sfruttamento di donne socialmente fragili, come avviene in altri paesi.

Ma allora è inquietante e incoerente che Dominique Bertinotti, la ministra delegata per la famiglia, si ostini ad annunciare che continuerà ad esaminare tale questione; o che la ministra della giustizia, in una circolare almeno inopportuna, conceda un certificato di nazionalità ai figli nati da “gestanti per altri” all’estero. Bisogna sapere che i bambini nati in questo modo hanno uno stato civile emesso dal paese in cui sono nati, che non sono affatto sprovvisti di documenti di identità e che possono condurre una vita familiare normale. Non si potrebbe comprendere il fatto che, per vie indirette, si dia alla fine ragione a coloro che aggirano deliberatamente la legislazione in vigore.

Ma non spetta innanzitutto agli stessi futuri genitori interrogarsi sul loro percorso e sul loro progetto? E innanzitutto alle donne, poiché esse possono fin d’ora ordinare su internet dei campioni di sperma. Le tariffe delle “banche di sperma” sono disponibili on line, con le foto e le caratteristiche dei donatori. Un altro campo di riflessione riguarda l’omogenitorialità come nuovo modello di filiazione. Il principio di un matrimonio aperto a tutte le coppie unisce ampiamente i francesi, mentre il principio dell’omogenitorialità li divide.

Uno statu quo conservatore non avrebbe senso. Sì, è possibile istituire un matrimonio tra persone dello stesso sesso. Questa innovazione è auspicabile poiché contribuirà ad assicurare un pieno riconoscimento sociale alle coppie omosessuali che lo attendono. Ma trasforma il significato dell’antico matrimonio, nella misura in cui il suo principale effetto era la presunzione di paternità dello sposo, che non ha senso per una coppia dello stesso sesso.

La presunzione di paternità non è scomparsa dal matrimonio moderno, ma esso è profondamente cambiato. Ad esempio, i diritti di tutti i figli si basano ormai sulla definizione della loro filiazione civile, cioè sul collegamento con i genitori che li hanno concepiti e/o riconosciuti, sposati o no. La colonna vertebrale della famiglia è così la filiazione, mentre il matrimonio dei genitori diventa in qualche modo accessorio.

In questo contesto, ci si chiede se la vera uguaglianza non sarebbe applicare a tutti gli stessi diritti: quello di sposarsi per gli adulti e, per tutti i bambini, una filiazione stabilita secondo gli stessi criteri e le stesse regole. Ma non sarebbe così nel caso in cui si distinguesse una “omogenitorialità” ed una “eterogenitorialità”, ossia due genitori dello stesso sesso o di sessi diversi.

La capacità di chiunque di essere un “buon genitore” non è evidentemente in discussione. Del resto, molti omosessuali hanno figli con un partner dell’altro sesso, e non pretendono di fondare la loro paternità o la loro maternità sulla loro omosessualità. Al contrario, l’omogenitorialità significherebbe che l’amore omosessuale fonda la genitorialità possibile e permette di sostituire l’eterogeneità sessuale del padre e della madre con l’omosessualità maschile o femminile dei genitori.

Le formule, divenute correnti, di genitori gay e lesbici significano la stessa cosa. E quando la ministra della famiglia annuncia che bisognerà interrogarsi sulle “nuove forme di filiazione sia eterosessuali che omosessuali, sostituisce anche al carattere sessuato dei genitori il loro orientamento sessuale. Così, si tratta proprio di creare un nuovo modello di filiazione.

Secondo il modello tradizionale, un figlio è unito ad almeno un genitore, generalmente la madre che lo ha messo al mondo, e se possibile a due, padre e madre. Anche nell’adozione, la filiazione legale riproduce analogicamente la coppia procreatrice, asimmetrica ed eterogenea. Ne mantiene la struttura, o lo schema, ossia quello della generazione biologica bisessuata.

-In questo modo si può comprendere l’antropologo ed etnologo Claude Lévi-Strauss quando scrive che “i legami biologici sono il modello sul quale sono concepite le relazioni di genitorialità”. Ora, si noterà che questo modello non è né logico, né matematico (del tipo: 1+1), ma biologico, e quindi qualitativo (donna + uomo) perché i due non sono intercambiabili. È la sola ragione per la quale i genitori sono due, o formano una coppia.

Anche se questa forma non è sempre soddisfatta (ad esempio quando un bambino ha un solo genitore o è adottato da una sola persona), la differenza sessuale è simbolicamente indicata, cioè nominata dalle parole “padre” o “madre” che designano persone e posizioni distinte. Questa distinzione inserisce il bambino in un ordine in cui le generazioni si succedono grazie alla generazione sessuata, e la finitezza comune gli è così significata: poiché nessuno può generare da solo facendo sia da padre che da madre.

Allora, si pone la domanda di sapere che cosa viene significato al bambino unito, per ipotesi a due madri o a due padri. Un cumulo simile significa che due padri possono sostituire una madre? Che due madri possono sostituire un padre? Una lesbica militante, che non vuole aggiungere un padre alla sua coppia femminile, dichiara in un negozio: “Due genitori bastano”. E un’altra: “Io non voglio sobbarcarmi un padre per essere madre”. Come non sentire qui un diniego virulento della finitezza e dell’incompletezza di ciascuno dei due sessi?

Il timore che si può esprimere qui, è precisamente che due genitori dello stesso sesso simbolizzino, ai loro occhi, come a quelli dei loro figli adottivi (e ancor di più a quelli che sarebbero procreati con l’aiuto di materiali biologici), un diniego del limite che ciascuno dei due sessi è per l’altro, limite che l’amore non può cancellare.

* Sylviane Agacinski: filosofa, ha insegnato alla Ecole des Hautes Etudes en sciences sociales dal 1991 al 2010. Ha lavorato sulla questione della differenza sessuale e della controversia sessuale nella democrazia (“Politique des sexes”, Seuil 2002), nella teologia (“Métaphysique des sexes”, Seuil 2005) e nel teatro (“Drame des sexes”, Seuil 2008). Con “Corps en miettes” (Flammarion, 2009) critica la mercificazione del corpo umano e contesta la riduzione del sesso al genere in “Femmes entre sexe et genre” (Seuil, 2012).
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/2/2013 08.55
Titolo:PER KANT. IL RICONOSCIMENTO DI ARTHUR S. EDDINGTON
PER KANT. IL RICONOSCIMENTO DI ARTHUR S. EDDINGTON


CONTRARIAMENTE A QUANTO ’PONTIFICAVA’ DEWEY NEL 1929 E HEIDEGGER NEL 1933, COSI’ SCRIVEVA, NEL 1939, ARTHUR S. EDDINGTON, L’ASTRONOMO E IL FISICO RELATIVISTA, CHE "NEL 1919 ORGANIZZO’ LE DUE FAMOSE SPEDIZIONI DI RILEVAMENTO DELL’ECLISSE SOLARE CHE FORNIRONO LA PRIMA CONFERMA SPERIMENTALE DELLA FORMULA DELLA RELATIVITA’ DI EINSTEIN PER LA DEVIAZIONE DELLA LUCE IN CAMPO GRAVITAZIONALE":

"Non è consigliabile, penso, tentare di descrivere una filosofia fondata sulla scienza con le etichette dei sistemi filosofici più vecchi. Accettare una tale etichetta, farebbe sì che lo scienziato prendesse parte a controversie per cui non ha alcun interesse, anche se non le condanna come completamente senza significato. Ma se fosse necessario scegliere una guida tra i filosofi del passato, non ci sarebbe nessun dubbio che la nostra scelta cadrebbe su Kant. Non accettiamo l’etichetta kantiana, ma, come riconoscimento, è giusto dire che Kant anticipò in notevole misura le idee a cui siamo ora spinti dagli sviluppi moderni della fisica"

Cfr. Arthur S. Eddington, Filosofia della fisica, Prefazione di Maurizio Mamiani, Bari, Laterza, 1984, p. VII, pp. X-XI, e p.215.

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Titolo articolo : Il legame fra cattolicesimo e corruzione  ,di BARBARA BEFANI

Ultimo aggiornamento: February/03/2013 - 21:53:58.

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Autore Città Giorno Ora
ugo agnoletto ponte della priula 03/2/2013 21.53
Titolo:non solo
c'è un'altro motivo che induce la Chiesa Cattolica alla corruzione, è il fatto che per i cattolici la chiesa è di diritto divino, lo stato è di diritto umano, quindi neppure comparabile per dignità con la chiesa. Per questo il clero cattolico ritiene come dovuto ogni privilegio e ogni ingenenza nello stato. Lo stato deve essere a servizio della chiesa! Perciò la corruzione è il mezzo ordinario di intrusione della chiesa nello stato.

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Commenti Articolo 600

Titolo articolo : LA LEGGE DELLA CASA, IL DONO,  E L'INTERPRETAZIONE EROTICA DELL'AMORE. Il nome perduto della condivisione. Una riflessione di Jean-Luc Marion - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/03/2013 - 18:31:17.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/1/2013 10.05
Titolo:Lo scandalo economico del dono ...
Lo scandalo economico del dono

di Carlo Formenti (Corriere della Sera/La Lettura, 04.12. 2011)

Natale incombe e l’incubo della corsa ai regali si avvicina. Quest’anno contribuiranno a renderlo ancora più angoscioso le tasche svuotate dalla crisi, tuttavia, anche in tempi di vacche magre, il vero problema non sono i soldi, bensì quell’obbligo alla reciprocità che ci induce ogni volta a divinare da chi potremmo ricevere regali, per non trovarci nella penosa condizione del debitore (magari per avere ricevuto qualcosa di cui avremmo volentieri fatto a meno).

Sull’ambiguità del dono, sul fondo di aggressività che l’atto del donare inevitabilmente nasconde, antropologi, filosofi, psicologi e sociologi hanno versato fiumi d’inchiostro (vedi, fra l’altro, la recente uscita della raccolta di saggi Oltre la società degli individui. Teoria ed etica del dono, editore Bollati Boringhieri, curata da Francesca Brezzi e Maria Teresa Russo) convergendo su un concetto largamente condiviso e cioè che il donatore acquisisce sempre potere nei confronti del donatario: nella migliore delle ipotesi il potere di costringerlo alla reciprocità, nella peggiore, che si realizza quando il donatario non è in grado di ricambiare, quello di metterlo in uno stato permanente di soggezione.

Questa ambivalenza non impedisce al tema del dono e delle relazioni umane «gratuite» di assumere un peso crescente nel dibattito economico, politico e culturale sulle possibili alternative al modello «mercatista», largamente egemone negli ultimi decenni e oggi oggetto di dure critiche per la tragica crisi in cui è sprofondato il mondo. A favorire la riapertura di un orizzonte utopico, che il crollo del socialismo reale sembrava avere definitivamente chiuso, sono stati, fra gli altri, due fattori: da un lato, quella cultura del. gratuito che accomuna la grande maggioranza dei miliardi di utenti della Rete, dall’altro l’impegno della Chiesa cattolica sul fronte della «economia sociale di mercato», concetto che ha trovato una formulazione particolarmente efficace nell’enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI.

Le pratiche fondate sulla cooperazione spontanea e gratuita fra comunità e individui interconnessi via Internet - sviluppatori di software libero, blogger, redattori di Wikipedia, movimenti politici e sociali, ecc. - hanno confermato una verità che gli antropologi avevano intuito da tempo: il dono non connota necessariamente uno spazio «altro» rispetto all’economia, una messa fra parentesi assoluta dell’interesse individuale.

La novità consiste nel fatto che, mentre i fondatori dell’antropologia come Marcel Mauss concepivano il dono come una prefigurazione arcaica dello scambio economico, i teorici del dono in Rete sostengono che sulle inedite forme di reciprocità «gratuita» mediate da Internet è possibile fondare una nuova economia in grado di produrre innovazione e valore a ritmi assai più elevati di quella tradizionale, evitando nel contempo di sacrificare sull’altare del profitto i principi e i valori della solidarietà e della reciprocità umane.

L’attenzione della Chiesa nei confronti di questo approccio è testimoniato dai molti scritti che uno studioso come padre Antonio Spadaro, da poco alla direzione della «Civiltà Cattolica», ha dedicato all’argomento. Ma il punto di vista cattolico sul tema sporge ampiamente dall’orizzonte culturale tracciato dalla cosiddetta «etica hacker»: nell’enciclica sopra citata, per esempio, viene contestata la visione smithiana del mercato come unica istituzione in grado di garantire democrazia e libertà, mentre si insiste sulla necessità di fare spazio alla logica del dono e della reciprocità in una economia di mercato che, ove abbandonata ai suoi automatismi, rischia di distruggere se stessa, come la crisi in corso sta dimostrando. Imboccare la «terza via» di una economia sociale di mercato potrebbe aiutare il mondo a superare le attuali difficoltà attraverso lo sviluppo di un nuovo welfare, proiettato oltre l’alternativa fra statalismo e mercatismo.

A obiettare contro queste visioni, tuttavia, non sono solo i teorici integralisti del libero mercato. Sul piano filosofico, vengono riproposte le argomentazioni sulla «dismisura» del dono, sulla sua natura «scandalosa», irriducibile a ogni razionalizzazione logica: dalla concezione del dono come dissipazione energetica, perdita, pura dé p e n s e , già sostenuta da Georges Bataille, alla tesi di Jacques Derrida sulla «impossibilità» del dono, sul fatto che il dono, per essere «puro» per sottrarsi cioè al sospetto di una implicita aspettativa di scambio, dovrebbe auto-cancellarsi in quanto tale, divenire invisibile. Per chi assume tale punto di vista, ogni tentativo di «addomesticare» il dono, di neutralizzarne la natura scandalosa, è votato allo scacco.

Le critiche politico sociali, viceversa, addebitano tanto ai teorici dell’economia del dono in Rete quanto a quelli dell’economia sociale di mercato l’intenzione di espungere ogni valenza sovversiva e rivoluzionaria dalla pratica del gratuito: i primi perché mirano a dimostrarne l’assoluta compatibilità con i modelli della New Economy, i secondi perché negano l’esistenza di un rapporto di antagonismo fra relazioni di reciprocità e ricerca del profitto.

Chi ha ragione? Le critiche liberiste al gratuito rispecchiano un’antica fobia nei confronti dell’economia informale: Adam Smith vedeva nelle relazioni impersonali di mercato il presupposto dell’emancipazione dai rapporti di dipendenza personale («non è dalla benevolenza del macellaio che devo attendere la soluzione dei miei bisogni»). Ma l’obiezione suona anacronistica in un’epoca in cui, grazie alle nuove tecnologie, le relazioni di gratuità si sono a loro volta spersonalizzate, estendendosi ben al di là delle sfere della reciprocità familiare o della beneficenza.

Più convincenti le critiche sulla «non addomesticabilità»: l’incompatibilità fra mercato e dono appare confermata dalla rapidità con cui il primo ha saputo sottomettere alla propria logica la cultura internettiana della condivisione e della cooperazione gratuite, l’ipotesi di «terza via» formulata dalla Chiesa sembra dunque difficilmente praticabile. In conclusione: l’orizzonte del gratuito sembra inscindibile da quello dell’utopia, e l’utopia tende inevitabilmente a evocare scenari rivoluzionari.

- «Oltre la società degli individui. Teoria ed etica del dono» è una raccolta di saggi da poco pubblicata da Bollati Boringhieri (pagine 220, € 16,50).
- Il Saggiatore ha appena mandato in libreria «Il dono. Storia dimenticata di un miracolo americano» di Ted Gup (traduzione di Clementina Liuzzi e Daniele Parisi, pagine 316, € 17,50): un viaggio autobiografico nella grande depressione americana.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 03/2/2013 18.31
Titolo:Cristo dice alla Samaritana: “Ho sete”. Ha mai sentito un vescovo dire questo...
Ritrovare la fede primaria

intervista a Albert Rouet,

a cura di Jérôme Anciberro e Philippe Clanché

in “www.temoignagechretien.fr” - supplemento al n° 3524 del 24 gennaio 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Superando il divario tra credenti e non credenti, l’arcivescovo emerito di Poitiers propone di scrutare quella che lui chiama la fede primaria, quelle “ragioni intime di agire che orientano l’esistenza” presenti in ciascuno. Di fronte all’indifferenza religiosa, le sole risposte possibili per Mons. Rouet sono la povertà e la richiesta fatta alla Chiesa cattolica di esprimere il suo disaccordo su certi elementi, senza cadere nella condanna.

Alcuni osservatori lamentano un aumento dell’ostilità nei confronti delle religioni. Lei sembra invece più sensibile all’indifferenza religiosa. Ma in che cosa è preoccupante questa indifferenza?

La Francia ha vissuto in 120 anni un’evoluzione che altri paesi cattolici (il Canada, la Svizzera...) hanno conosciuto in 40. Un’evoluzione avvenuta in tre tempi. Il primo è stato quello della laicità, della separazione delle coscienze dei cittadini e dello Stato dal sistema religioso. Era la fine della teocrazia. Il secondo tempo è stato quello della secolarizzazione. Si è deciso di risolvere i problemi al loro livello: quando si è malati, non si va più in pellegrinaggio, ma all’ospedale. Quell’epoca aveva ancora una conoscenza reale della religione. Nel 1974, quando viene chiesto al presidente Pompidou se è credente, risponde: “Mia moglie va a messa”. Nel mondo rurale, all’epoca, il consigliere generale “radical-socialista” e massone è anche un ex chierichetto, e sa che avrà il funerale in chiesa. Oggi - è il terzo tempo -, questa realtà è superata. Le persone non sanno più che accanto a loro esiste un mondo religioso. Non sono contro, sono altrove. Non capiscono perché quel mondo religioso esista, a che cosa serva e quale sia il suo valore. Ma, al contempo, accanto al mondo a-religioso, che si pensa retto dalla scienza e dalla tecnica, sussiste una credulità totale. È assolutamente immaginabile partecipare ad un pellegrinaggio senza essere veramente credenti. I “pardons” bretoni [feste religiose con messa solenne e processione in abiti tradizionali] hanno molto successo, e i cattolici se ne rallegrano. Ma non è qualcosa che entra in profondità. Tra lo zoo e la spiaggia, c’è anche il turismo religioso. Ma è un religioso asettico.

- Perché?

La nostra società ha tolto agli uomini la responsabilità della loro storia. Non siamo più immersi negli scontri ideologici. I bambini vengono orientati presto. Le fabbriche chiudono, senza che si sappia esattamente chi lo ha deciso e perché. Il gioco politico si è ridotto ad una guerra di statimaggiori. Che cosa resta alla gente? Solo la sua pelle. Questo individualismo è pesante da portare, allora ci si protegge. L’indifferenza religiosa non è un rifiuto materialista, ma una protezione. Eppure, la fortezza delle persone non è vuota. Anzi, conservano nel più profondo di se stesse ciò a cui tengono. Tenteranno delle esperienze individuali.

- E meno esperienze collettive?

Sì, e questo vale anche per i partiti politici e per i sindacati. Eppure, il desiderio è presente. Ma siccome il timore di essere spossessati della propria storia è forte, più un sistema religioso vorrà dettare un certo comportamento, meno sarà credibile.

- Lei attribuisce ai nostri contemporanei indifferenti alle religioni una “fede primaria”. Che cosa significa?

Non si può ridurre l’uomo ad un istinto meccanico, come la caccia in certi animali. Nell’uomo, c’è del gioco, c’è dell’incompiutezza. Un individuo non è mai solo ciò che pretende di essere o che dà l’impressione di essere. Questo gioco lo obbliga a prendere delle decisioni, non solo secondo dei processi tecnici, ma come un impegno della sua libertà. La fede primaria orienta le ragioni intime di agire, che dominano l’esistenza. Questo va oltre le preoccupazioni come mangiare o vestirsi. È un minimo esistenziale. Senza questo minimo non c’è vita umana, l’uomo è soffocato, perché solo due volte nell’esistenza quello che è coincide con ciò che appare: allo stadio di feto, quando è nel ventre materno, e a quello di cadavere nella sua bara. Tra i due, siamo quello e anche qualcos’altro. È precisamente in questa indecisione che bisogna decidersi... ed affidarsi.

- Il discorso consumistico classico evoca anche i “margini di libertà” dell’individuo. In che cosa questa libertà del consumatore è diversa dalla libertà che lei evoca?

Le persone non sono così succubi della pubblicità come si crede... Anche quando si fanno piacere, il loro gesto va al di là del consumo. A Natale, sappiamo che certe spese sono inutili. Quando persone che prendono un sussidio RSA [Revenu de Solidarité Active, sussidio per persone senza lavoro o con un salario troppo basso] comprano ai figli una macchinina telecomandata da 400 euro, si può certo condannare questo gesto in nome dell’economia familiare. Ma vi si può anche vedere una maldestra rivendicazione di dignità: “Perché non ne abbiamo diritto? Ci è forse proibito?”. Dietro l’aberrazione economica, il gesto è forse indispensabile dal punto di vista della fede primaria. Questo tipo di comportamento è strano per le persone sensate, quelle che hanno tutto ciò di cui hanno bisogno...

- Il suo modo di considerare il consumismo attuale può sembrare molto benevolo...

Il fatto è che bisogna distinguere il disaccordo e la condanna. Cristo, nel Vangelo di Giovanni, esprime il suo disaccordo. Ma non condanna la persona. Affermando di essere in disaccordo, si discute, e l’altro è un interlocutore. Condannando, al contrario, si prende l’altro per un oggetto che si mette da parte. Eppure, questo mondo ha bisogno che gli si dica di no. Ad esempio per il consumismo.

- Quando la Chiesa cattolica esprime un disaccordo a proposito di un tema riguardante la società, la cosa viene spesso sentita come una semplice condanna e non viene percepita la distinzione che lei ha appena espresso.

Sì, è una difficoltà molto grande. Condannare, lo si può fare molto in fretta. Ma per dire di no, devo aspettare che l’altro mi abbia espresso le sue ragioni che lo spingono ad agire in un percorso che io non prenderei. Finché non avrò percepito che in quel desiderio, anche sbagliato, si trova una parte buona di desiderio di vivere meglio, non posso dire di no. Bisogna scorticare questo desiderio. La condanna, in quanto verdetto, fa a meno di questa analisi. La differenza è essenziale.

- Di fronte alla “non credenza”, la Chiesa cattolica, fino al Vaticano II, è stata a lungo in un atteggiamento di condanna. Del resto, solo pochi anni fa i vescovi francesi hanno soppresso il servizio nazionale “Non credenza e fede”, ufficialmente per ragioni economiche. I non credenti non interessano più alla Chiesa, così come la Chiesa non interessa più ai non credenti?

Sono convinto che Cristo non ha creato un sistema religioso, ma un tipo diverso di relazione. Non si tratta di approvare tutto, ma almeno, in una logica di dialogo, di cammino comune e di rispetto reciproco, di esprimere la nostra fede primaria. Se no, il rischio è di rinchiudersi in se stessi. Conosciamo il percorso: “Siamo minoritari, siamo i puri, gli ultimi fedeli...” A coloro che la pensano così, cito san Matteo: “Siate perfetti come è perfetto il padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,48). La perfezione del Padre consiste nel far sorgere il sole sui giusti e sugli ingiusti, e a far piovere sui buoni e sui cattivi. “Se salutate soltanto i vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?” (Mt 5,47). La perfezione di cui parla Matteo è l’equità di Dio, che tratta ogni uomo in funzione del suo bisogno esistenziale. E non un idealismo morale, che a priori condanna delle posizioni, senza aver visto le persone che le vivono. Questo cambia tutto.

- Questo atteggiamento è difficile da vivere per un’istituzione che deve difendere delle posizioni che ritiene minacciate.

Un sistema religioso non può rispondere alla sfida dell’indifferenza. La sola risposta, è la povertà e l’umiltà della fede. “So in chi ho creduto”, dice Paolo (2Tm 1,12). I cristiani hanno solo questo. Dobbiamo procedere senza protezioni, senza nulla da difendere.

- La religione cristiana pretende tuttavia di detenere un accesso privilegiato alla verità, grazie alla Rivelazione. Non è illusorio far finta di essere poveri in materia, mentre si sa - o si pretende di sapere - che cos’è la verità?

La modernità ci porta a rivisitare tutti i sistemi creati. Perché l’augustinismo è durato così a lungo, perché la scolastica torna oggi a riprendere vigore? I cristiani devono interrogarsi su questo bisogno tutelare di pensieri già pensati. Si sono confuse teologia e fede. Nelle lingue semitiche, verità e fedeltà sono la stessa parola. Cristo non ha detto “ho la verità”, ma “sono la verità” (Gv 14,6). Se la fede è relazione con Cristo, entriamo in un mondo non concorrenziale, senza esclusività.

Dobbiamo testimoniare la nostra capacità di vivere con Gesù, restando persone in piedi e libere. “Chi fa la verità viene alla luce” (Gv 3,21). Se il credente non partecipa all’elaborazione della verità che professa, non è la verità del Vangelo. La verità non può essere scritta una volta per tutte. Non è qualcosa. È qualcuno. Questa confusione tra il sistema e l’esistenza è anche il risultato della controversia modernista tra scienza e fede, tra naturale e soprannaturale, tra temporale ed eterno. Non se ne esce. Ma la vera domanda è: che cosa fa vivere e rende liberi?

- Non si può costringere una persona che non vuole credere. Eppure, molte persone “di fede” sono tentate di dire ai loro amici non credenti: “Un giorno ci arriverai, sei un credente che si ignora”.

È frequente e perfettamente illusorio. Come se avessimo da un lato i credenti e dall’altro quelli che non hanno niente! Si elimina completamente la fede primaria. Posso forse definire non credente il mio amico militante sindacale comunista che, in tutta la sua carriera, ha rifiutato un salario superiore a quello più basso praticato nell’impresa? Aveva una fede primaria più sviluppata di certe persone dotate di un sistema religioso nella testa, ma senza granché nelle viscere. Per la teologia più classica, la fede che viene da Dio entra nell’uomo tramite la fede primaria. L’opposizione non è tra credenti e non credenti, ma tra diversi radicamenti e contenuti di fede. Nel nostro mondo secolarizzato, l’indifferenza ci obbliga a precisare il nucleo della nostra fede. Sono sorpreso che ci si stupisca quando dico questo. Il centurione del Vangelo (Lc 7, 1-10), buon pagano, chiede a Gesù, di primo acchito un guru dell’epoca, di guarire il suo servo. Non vale niente in teologia e in catechismo, ma la sua fede esistenziale è totale. E Gesù dice che non ha mai visto una fede simile in Israele. Ciò che Cristo vede prima di tutto, è l’autenticità del progetto esistenziale. Tutto possiamo pensare, salvo di essere circondati dalla non credenza.

- Di questo passo, qualcuno potrebbe tacciarla di relativismo...

Si sono costruiti dei sistemi senza radicamento esistenziale, e li si fa combattere tra di loro. Non sono un anti-intellettuale. Si possono costruire delle teorie, ma anche la più bella, soprattutto se è religiosa, deve ad un certo momento manifestarsi nel reale, nel concreto, nell’esistenza di una persona che la professa. È a questo che è attento Cristo! La controversia del relativismo, siamo noi a crearla. È solo un dibattito per borghesi dei salotti parigini del XVIII e del XIX secolo, tra un sigaro e un cognac.

- Sembrerebbe che si possa andar d’accordo tra credenti di confessioni diverse e perfino con agnostici o atei su valori ampiamente condivisi. Ma in che cosa si può credere?

Le beatitudini ricordano esigenze vitali, espressione che preferisco a “valori”. È in questo quadro che appare la seduzione di Cristo. Mi sono convertito a vent’anni per questo. Non ho mai ritrovato una tale autenticità. Per Matteo, la croce ha senso solo tra le beatitudini. Allora, si passa da queste esigenze vitali, da questi valori, ad una persona che dà loro un volto e che le ha vissute fino in fondo.

- Allora, lei pensa che si cominci col credere in qualche cosa prima di credere in qualcuno?

Sì. Perché mai credere in qualcuno se non si cerca in lui la realizzazione dei propri desideri profondi?

Per rassicurarsi, ad esempio.

È una parola pericolosa. Vorrei dire che la fede non è fatta per rassicurare. Ma chi non ha mai bisogno di essere rassicurato, di essere riconosciuto? Chi non ha mai paura, a parte gli incoscienti? Se l’essere rassicurati è vissuto come una copertura di tipo materno, è catastrofico. Se invece lo si prende come la necessità di essere riconosciuti, non se ne può fare a meno. La purezza totale è disumana. La fede deve rispondere a dei bisogni primari. Senza la gioia di credere, senza sicurezza della fede, non si può vivere. Il limite tra i due è tenue, ma non gettiamo via il bambino con l’acqua sporca.

- Quale sarebbe l’atteggiamento giusto dell’istituzione nei confronti della non credenza?

Una Chiesa che sa tutto non interessa. Cristo dice alla Samaritana: “Ho sete”. Ha mai sentito un vescovo dire questo a un non credente o a una persona “mal credente”? In questa relazione si deve poter dare solo se si riceve. È la logica dello scambio, della comunione e dell’alterità. Per essere io, ho bisogno dell’altro. La nostra Chiesa, purtroppo, dà l’impressione di non cercar di ricevere. Il Vaticano II non ha detto che era necessario che tutti fossero cristiani, ma che ci siano dei cristiani nel mondo. Non è la stessa cosa. Se la Chiesa cattolica, per salvarsi, si accontenta di contabilizzare il numero dei fedeli che vanno a messa, come ne XIX secolo, va a sbattere contro il muro. Deve vivere con le persone, sostenerle nella loro fede primaria, essere testimone di ciò che ha vissuto Cristo. Facendo solo del culto, i preti diventano insignificanti. Siamo alla fine di un’epoca religiosa. Bisogna cambiare logica: o si crea del sacro, della religione per continuare le nostre vecchie abitudini, nel qual caso si resterà nell’insignificanza e si continuerà a far aumentare l’indifferenza, o ci si posiziona in una relazione di dialogo e di scambio, e forse, allora, si sarà ascoltati.

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Titolo articolo : Sulle odierne dichiarazioni di Berlusconi, ma perché stupirsi?,di Domenico Stimolo

Ultimo aggiornamento: February/03/2013 - 18:10:12.

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Autore Città Giorno Ora
Franca Maria Bagnoli Pescara 03/2/2013 18.10
Titolo:Grazie.
Grazie, vi leggo sempre. Franca Maria.

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Commenti Articolo 602

Titolo articolo : La Luce delle Genti, il Popolo di Dio, e l'oscuramento delle indicazioni della Costituzione del Vaticano II. Un'analisi di Giordano Frosini - con note    ,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/02/2013 - 18:56:53.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/2/2013 18.54
Titolo:IL SOGNO DI UNA "COSA" DI BENEDETTO XVI ....
IL SOGNO DI UNA "COSA" DI BENEDETTO XVI: UNA CHIESA "PER MOLTI", NON "PER TUTTI". Cinque note per un Convegno


Per il Convegno "Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri" del 15 settembre 2912, cinque note a margine

di Federico La Sala *

1. LA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA HA ROTTO I PONTI CON IL MESSAGGIO EVANGELICO. A 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, bisogna prendere atto che il terribile è già accaduto: il "Lumen Gentium" è stato spento e, sulla cattedra di Pietro, siede il Vicario del Signore e Padrone Gesù ("Dominus Iesus": J. Ratzinger, 2000). Egli regna e governa in nome del suo Dio, Mammona ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006).

2. DIO E’ VALORE! Sul Vaticano, DAL 2006, sventola il "Logo" del Grande Mercante: "Deus caritas est" (Benedetto XVI, 2006)!!! Il papa teologo, ha gettato via la "pietra" su cui posava - in equilibrio instabile - l’intera Costruzione dela Chiesa cattolico-romana ("Deus charitas est": 1 Gv. 4.8).

3. TUTTO A "CARO-PREZZO" ("CARITAS"): QUESTO "IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO". QUESTO E’ IL NOSTRO VANGELO: PAROLA DI RATZINGER -BENEDETTO XVI, CARDINALI E VESCOVI TUTTI. IL "PANE QUOTIDIANO" DEL "PADRE NOSTRO", SI VENDE A "CARO PREZZO", MOLTO CARO (= "CARITAS")!!!

4. ULTIMA CENA ED ECONOMIA VATICANA. Benedetto XVI cambia la formula: «Il calice fu versato per molti», non «per tutti»!!!

5. IN PRINCIPIO ERA IL "LOGO"!!! SE UN PAPA TEOLOGO LANCIA IL "LOGO" DEL SUO DIO ("DEUS CARITAS EST") E TUTTI OBBEDISCONO, E NON VIENE RISPEDITO SUBITO A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO, DI COSA VOGLIAMO PARLARE DI AFFARI E DI MERCATO?! EBBENE PARLIAMO DI AFFARI, DI MERCATO, DI "MAMMONA", "MAMMASANTISSIMA", E DI COME I PASTORI ... IMPARANO A MANGIARE LE PECORE E GLI AGNELLI, E CONTINUANO A GOZZOVIGLIARE ALLA TAVOLA DEL LORO "DIO"!!! Avanti tutta, verso il III millennio avanti Cristo!!!

Federico La Sala

* Il Dialogo, Mercoledì 12 Settembre,2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/2/2013 18.56
Titolo:Hans Küng. Mettere fine all’autoritarismo della chiesa *
Hans Küng

Il teologo cattolico invita alla rivoluzione per mettere fine all’autoritarismo della chiesa *

- Hans Küng invita al movimento dal basso per destabilizzare il papato e dare vita in Vaticano a riforme radicali

- Hans Küng: fa appello ai preti e ai fedeli praticanti affinché si oppongano alla gerarchia cattolica

- Uno dei più autorevoli teologi cattolici ha invitato alla rivoluzione dal basso per destabilizzare il papato e dare vita in Vaticano a riforme radicali.

- Hans Küng fa appello ai preti e ai fedeli praticanti affinché si oppongano alla gerarchia cattolica, che definisce corrotta, senza credibilità e lontana dai veri problemi del popolo.

In una intervista esclusiva al The Guardian, Küng, che è stato a stretto contatto con il papa quando collaboravan da giovani teologi, ha descritto la chiesa come un "sistema autoritario" paragonandlo alla dittatura tedesca durante il nazismo. "L’obbedienza incondizionata richiesta ai vescovi che giurano fedeltà al papa mediante la sacra promessa è tanto estrema quanto quella dei generali tedesci che erano obbligati a giurare fedeltà a Hitler", ha infatti affermato.

Il Vaticano ha inteso schiacciare qualsiasi forma di dissenso, ha aggiunto. "Le regole per la scelta dei vescovi sono talmente rigide che, non appena qualcuno accenna alla pillola contraccettiva, all’ordinazione delle donne, viene depennato". Il risultato è una schiera di "Yes men", quasi tutti allineati senza porre questioni. "La sola strada per la riforma è partire dal basso", dice il prete ottantaquattrenne Küng. "I preti e gli altri chierici che occupano funzioni di responsabilità devono smetterla di essere servili, di organizzarsi per affermare che certi argomenti semplicemente non si toccano".

Küng, autore di circa 30 libri su teologia cattolica, cristianesimo, etica, che hanno venduto milioni di copie in tutto il mondo, ha dichiarato che l’ispirazione per un cambiamento globale può arrivare dalla sua nativa Svizzera o dall’Austria, dove centinaia di preti cattolici hanno dato vita a movimenti che si oppongono apertamente alle attuali pratiche del Vaticano. I dissenzienti sono definiti pionieri anche da osservatori vaticani che li vedono come i probabili portatori di un profondo scisma nella chiesa. "Ho sempre detto che se nella diocesi un prete si desta, non conta nulla. Cinque creano agitazione. Cinquanta già sono praticamente invincibili. In Austria la cifra supera le 300 unità, fino anche a 400; in Svizzera ci sono 150 preti dissenzienti, e il numero è destinato a salire".

Ha dichiarato che i recenti tentativi dell’arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn, di stroncare la rivolta minacciando di punire quelli coinvolti nella iniziativa austriaca sono falliti per via della forza delle loro motivazioni. "Si è immediatamente fermato quando ha capito che molta gente comune li sostiene e sarebbe stato pericoloso inimicarsela", ha aggiunto Küng . Le iniziative mirano a sostenere richieste apparentemente banali come lasciare che i divorziati risposati ricevano la comunione, permettere ai laici di presiedere le liturgie e alle donne di acquisire ruoli chiave nella gerarchia. Tuttavia, poiché essi si oppongono all’insegnamento cattolico tradizionale, le richieste sono state categoricamente respinte dal Vaticano Küng, al quale è stato negato l’insegnamento della teologia cattolica da Giovanni Paolo II nel 1979 per aver messo in dubbio il concetto di infallibilità papale, è stato colui che ha riconosciuto all’allora Joseph Ratzinger il primo step nella gerarchia del cattolicesimo accademico quando lo ha chiamato all’Università di Tubinga, nel nord-ovest della Germania, ad insegnare teologia dogmatica nel 1966.

Per quattro anni i due hanno lavorato a stretto contatto, in qualità di giovani consiglieri, negli anni ’60 durante il Concilio Vaticano II - l’evento riformatore più importante nella chiesa a partire dal Medioevo. Ma il rapporto tra i due non è mai andato oltre, anche a causa delle divergenze politiche che creavano un divario incolmabile tra loro. L’impetuoso e passionale Hans Küng, per molti versi, ha spesso rubato la scena al serio e posato Joseph Ratzinger.

Küng fa riferimento alle leggende che abbondano sul conto suo e di Ratzinger fin dai giorni di Tubinga, non ultimi i racconti apocrifi di quando avrebbe dato un passaggio sulla sua "macchina rossa sportiva" ad un Ratzinger lasciato a piedi dalla bici. "Gli davo sempre un passaggio, specie su per le ripide colline di Tubinga, ma il resto è stato creato. Non ho mai avuto auto sportive, a parte un’Alfa Giulia. Lo stesso Ratzinger ha ammesso di non essere interessato alla tecnologia né tanto meno aveva conseguito una patente di guida. Ma tutto questo è stato spesso tramutato in una specie di metafora idealizzando il "ciclista" contro lo scapestrato "Alfista".

Stando a Küng, infatti, ll’immagine del futuro papa, modesto e prudente ciclista, ora 85enne, ha dominato per anni e ancora oggi è tutt’altro che scemata fin dall’elezione del 2005. "Ha sviluppato una speciale pomposità che non si addice all’uomo che sia io che altri avevamo conosciuto, quello che girava col baschetto in testa ed era pieno di modestia. Ora lo vediamo spesso ricoperto di vesti dorate e splendenti. Di sua sponte indossa la corona di un papa del XIX secolo e si è fatto rifare le vesti del papa Leone X Medici"."

Questa pomposità si manifesta al meglio durante le udienze periodiche in Piazza S. Pietro a Roma. "Queste adunanze hanno dimensioni stile corazzata Potemkin. Gente fanatica si reca in piazza per celebrare il papa e per dirgli quanto è fantastico, mentre le loro stesse parrocchie versano in condizioni preoccupanti, con mancanza di preti, sempre più persone che si allontano rispetto a quante ne vengono battezzate e ora il cosiddetto Vatileaks, che evidenzia in che stato si trovi l’amministrazione del Vaticano", ha detto Küng con riferimento allo scandalo sui documenti segreti trapelati, che hanno rivelato lotte di potere interne al Vaticano e hanno visto l’ex maggiordomo del papa comparire in tribunale. Il processo terminerà sabato.

E’ stato proprio a Tubinga che le strade dei due teologi si sono incrociate per alcuni anni prima di divergere enormemente a seguito delle rivolte studentesche del 1968. Ratzinger rimase scioccato dagli ieventi e fuggì verso la relativa sicurezza della nativa Baviera, dove ha approfondito il suo coinvolgimento nella gerarchia cattolica. Küng restò a Tubinga e assunse sempre più il ruolo dell’"enfant terrible" della Chiesa Cattolica. "Le rivolte studentesche furono un vero e proprio shock per Ratzinger dne divenne sempre più conservatore e simpatizzante della gerarchia ecclesiastica", sostiene Küng.

Dopo aver definito quello di Benedetto XVI un "pontificato di opportunità mancate" in cui ha perso l’occasione di riconciliazione con le fedi protestante, ebraica, ortodossa e musulmana, così come ha mancato di sostenere la lotta all’Aids in Africa non concedendo l’utilizzo dei sistemi di controllo delle nascite, Küng sostiene che lo "scandalo più grave" sia la copertura a livello mondiale dei casi di abusi sessuali commessi dai chierici durante il suo incarico di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, come Cardinale Ratzinger.

"Il Vaticano non è diverso dal Cremlino. Come Putin in qualità di agente segreto è diventato il capo della Russia, così Ratzinger, in qualità di capo dei servizi segreti della Chiesa è diventato capo del Vaticano. Non ha mai chiesto perdono per i molti casi di abusi sessuali posti sotto secretum pontificium e non ha mai riconosciuto questo problema come il maggior disastro della Chiesa Cattolica". Küng ha descritto quello Vaticano come un processo di "Putinizzazione".

Comunque, nonostante le differenze, i due sono rimasti in contatto. Küng ha fatto visita al papa durante le ferie estive a Castel Gandolfo nel 2005, occasione nella quale i due hanno discusso per circa quattro ore.

"Sembrava che avessimo lo stesso passo. Dopotutto siamo stati colleghi per anni. Abbiamo camminato nel parco e ci sono stati momenti in cui ho pensato che potesse cambiare idea su certi punti, ma non lo fece. Da allora ci siamo scritti, ma mai più incontrati".

Küng ha viaggiato in lungo e in largo nella sua vita, familiarizzando con chiunque, dai leader iraniani a John F. Kennedy a Tony Blair, col quale ha costruito uno stetto legame circa dieci anni fa, diventando una sorta di guru spirituale per l’allora primo ministro britannico prima della sua decisione di convertirsi al cattolicesimo.

"Sono rimasto colpito dal modo con cui ha affrontato il conflitto del’Irlanda del Nord. Ma poi è arrivata la guerra in Iraq e sono rimasto colpito dal modo con cui ha collaborato con Bush. Gli ho scritto definendo il gesto un fallimento storico di prim’ordine. Mi scrisse una nota a mano in risposta, dicendo che mi ringraziava e rispettava il mio punto di vista, ma che stava agendo secondo coscienza senza voler in alcun compiacere gli americani. Ero stupito che un primo ministro britannico potesse compiere un errore tanto catastrofico e resta per me un fatto tragico." Ha descritto la coversione al cattolicesimo di Blair come un errore, sostenendo che avrebbe potuto usare il suo ruolo pubblico per rinconciliare le differenze tra gli anglicani e la Chiesa Cattolica nel Regno Unito.

Dal suo studio colmo di libri, in cui troneggia un ritratto di S. Tommaso Moro, martire cattolico inglese del XVI secolo, Küng guarda fuori nel suo girdino alla statua di due metri che lo raffigura. I critici hanno definito la cosa sintomatica del suo auto-compiacimento. Sembra imbarazzato mentre spiega come la statua sia un regalo dei vent’anni da parte dell’associazione Stiftung Weltethos (Fondazionie per l’Etica Globale) che opera da casa sua e continuerà a farlo dopo la sua morte.

Lungi dal mettere un freno alla sua prolifica produzione teologica, Küng di recente ha commutato le idee di Weltethos - che cerca di creare un codice globale di comportamento, una globalizzazione dell’etica - in un estemporaneo libretto musicale. Mischiando la narrativa con sollecitazioni dal confucianesimo, induismo, buddismo, giudaismo e cristianesimo, gli scritti di Küng sono stati inseriti in un’opera sinfonica del compositore inglese Jonathan Harvey che vivrà la sua prima londinese domenica al Southbank Centre.

Küng sostiene che l’opera musicale, come la fondazione, rappresenta un tentativo di enfatizzare ciò che le religioni del mondo hanno in comune in barba a ciò che le divide.

Weltethos è stata fondata nel 1990 per unire le religioni del mondo, sottolineando le parti comuni e non le differenze. Ha istituito un codice di norme comportamentali che si spera un giorno possano essere universalmente riconosciute dalle Nazioni Unite.

L’obiettivo dell’opera è certamente imponente - Harvey ha parlato di "timore reverenziale" nello scrivere una partitura per il testo. Ma Küng, che ha guadagnato il sostegno di figure importanti come Henry Kissinger, Kofi Annan, Jacques Rogge, Desmond Tutu, Mary Robinson e Shirin Ebadi, insiste nel dire che il suo scopo è carpire le esigenze dal basso. "In un tempo di cambiamenti nel paradigma mondiale, abbiamo bisogno di uno schema di principi comuni, tra questi com’è ovvio la Regola d’Oro, secondo la quale Confucio insegnò a non imporre agli altri ciò che non si augurerebbe a se stessi."

* Il Dialogo, 08.10.2012.

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Commenti Articolo 603

Titolo articolo : Il Dio di Vito Mancuso,di Gianni Mula

Ultimo aggiornamento: February/02/2013 - 07:34:40.

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Autore Città Giorno Ora
Fratello Paul Emile Okoka San Paolo(Bs) 02/2/2013 07.34
Titolo:Rinascimento Spirituale e Scientifico Dell'Africa
Caro Amico Della Fede
Caro Amico Della Scienza
e Fratello in Cristo;

Shalom!

La vera Religione e la vera Scienza si misurano in base alla coscienza, il richiamo alla coscienza è il punto di base e conclusivo di ogni discorso della vera Religione(Fede) e della vera Scienza, infatti Religione(Fede) e Scienza moderni d'oggi sono niente altro che la rovina e la perversione dell'umanità se non hanno come l'unico scopo finale quello di migliorare le condizioni di vita dell'umanità al posto dell'amore di denaro oppure il materialismo: radice di ogni male in tutta la Religione(Fede) e Scienza d'oggi.

Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito Santo è Gesù Cristo dice riguardo al rinascimento Spirituale e Scientifico del popolo Africano nero in questi ultimi giorni.

Fraternamente in Gesù Cristo,

Fratello Paul Emile Okoka (Afro-Italiano Del Congo RD)

Ministero profetico evangelizzazione mondiale
Proclamazione del pieno evangelo degli ultimi giorni
Via Marconi, 21
25020San Paolo (Brescia)
ITALIA / TEL: 030-9979319 339-1792321 &
www.penielcitymission.com

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Commenti Articolo 604

Titolo articolo : OBBEDIENZA CIECA E "COR UNUM"?! BASTA! Noi, cattolici, ci rifiutiamo di condannare “il genere”. Un appello di Anne-Marie de la Haye e la segreteria del Comité de la Jupe - con note, a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/01/2013 - 21:54:13.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/1/2013 19.38
Titolo:Le donne come soggetti, oltre il ruolo di madri e spose
Le donne come soggetti, oltre il ruolo di madri e spose

di Maria Cristina Bartolomei (“Jesus”, gennaio 2013)

L’atmosfera natalizia colora di sé l’inizio del nuovo anno, proseguendo liturgicamente nella celebrazione della maternità di Maria, della Sacra Famiglia e dell’Epifania. Anche indipendentemente dalla fede, tali festività comunicano un forte messaggio simbolico di attenzione al mistero di vita nuova che ogni neonato reca con sé in dono per tutti, alla famiglia e, in modo tutto particolare, alla figura della madre. Ma quanto tali simboli hanno veramente improntato di sé la nostra civiltà? Gli orrendi crimini che si consumano oggi sui bambini (pedofilia, traffico d’organi, sfruttamento del lavoro, schiavizzazione, prostituzione) sono versioni aggiornate di una violenza sui minori che, semmai, in epoca moderna si è attenuata, e che oggi viene almeno condannata e combattuta sul piano sociale e legislativo.

Sembra invece accrescersi, anziché attenuarsi, la violenza sulle donne, che presenta forme sempre più estreme. Maltrattamenti, stupri, molestie, molte forme di oppressione e schiavizzazione, fino al femminicidio: nel 2012 nella sola Italia più di cento donne sono state uccise da uomini quasi sempre loro partner o familiari. Una strage sulla quale ci si deve interrogare e che impone risposte sul piano del costume e della cultura.

Quando si parla della famiglia non si dovrebbe dimenticare, accanto a tutte le note positive, anche tale nota sinistra: di famiglia le donne non solo vivono, ma anche muoiono. Per questo, la stessa esaltazione della figura materna può rivelarsi un’arma a doppio taglio, giacché rischia di ridurre la donna a una, per quanto nobile e altissima, funzione, invece di valorizzarla in sé, in quanto essere umano.

L’attenzione alla madre può infatti celare e indurre una distorsione dello sguardo: la donna vale in quanto e perché genera, perché genera uomini. E, così, le categorie entro le quali la vita femminile è stata a lungo compresa e compressa (vergine-sposa-madre), che ci danno un’immagine della donna non come un soggetto che guarda il mondo, ma come un oggetto, come una guardata dagli uomini, definita dalla sua relazione con l’universo maschile.

Mai si è, invece, pensato di poter comprendere l’uomo riducendolo alle categorie di vergine-sposo-padre, che pure gli si attagliano. La coscienza media ecclesiale non si sente investita dal fenomeno della violenza sulle donne quanto dovrebbe, giacché, nonostante la forza liberante dell’Evangelo, della prassi di Gesù e della comunità cristiana primitiva, e benché il cristianesimo abbia contribuito moltissimo alla liberazione delle donne, le tradizioni e la mentalità ecclesiastiche sono state e sono ancor oggi profondamente contaminate da misoginia, dal disprezzo per le donne, dalla non percezione della necessità del loro apporto nella vita sociale e ancor più ecclesiale, dal non riconoscimento che la loro umanità e quella dell’uomo sono equivalenti nella loro diversità, segnate da una non adeguata coscienza della piena soggettività e libertà femminili e da molte consuetudini e pregiudizi ad esse avverse.

Il 25 novembre scorso si è celebrata la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Nello stesso giorno ricorre la memoria liturgica di santa Caterina d’Alessandria che, secondo la tradizione, subì il martirio nel 305: si era infatti rifiutata di adorare gli dei pagani durante i festeggiamenti per il tetrarca Massimino Daia, cercando, anzi, con argomentazioni profonde, di convertire quest’ultimo. Data la sua giovinezza, bellezza e il suo essere di stirpe regale, l’imperatore tentò di salvarla, inviandole un gruppo di filosofi e retori per indurla ad abiurare la sua fede. Ma fu lei a persuaderli: aderirono al cristianesimo e morirono martiri.

È difficile distinguere in tutto ciò la storia dalla leggenda (tanto che per quattro decenni la Chiesa cattolica la escluse dal martirologio, riammettendovela nel 2002), essendo i documenti disponibili assai tardivi. Santa Caterina - alla quale Giustiniano intitolò il celebre monastero sul monte Sinai, dove narra la leggenda il suo corpo sia stato trasportato dagli angeli - è tuttavia venerata da tempi antichissimi da tutte le Chiese cristiane che ammettono il culto dei santi e che ci hanno in tal modo trasmesso il messaggio della capacità apostolica, teologica e filosofica delle donne.

Una cosa così inaudita per la cultura patriarcale e androcentrica da far pensare che la storia sia vera: tanto è difficile immaginare che se la siano inventata! La figura di santa Caterina addita una via decisiva: valorizzare le capacità dello spirito e della mente delle donne, liberandole dall’essere ridotte allo sguardo della cultura androcentrica. Ciò è a vantaggio non solo delle donne, ma di tutta l’umanità, e al fine di una maggiore trasparenza della Chiesa nel servizio all’Evangelo.

Il rinnovamento della società e della politica in crisi richiede l’apporto delle donne. E perché il messaggio evangelico possa raggiungere le donne, queste debbono sentirsi rispettate e riconosciute: non ci sarà un’evangelizzazione veramente nuova senza che le donne ne siano piene destinatarie e coprotagoniste.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/2/2013 21.54
Titolo:La Chiesa-Popolo di Dio secondo il Concilio
La Chiesa-Popolo di Dio secondo il Concilio

di Giordano Frosini

in “Settimana” n. 5 del 6 febbraio 2013

Nella storia del post-concilio in generale e di quello italiano in particolare, il 1985 è un anno di importanza rilevante per due avvenimenti che hanno avuto un influsso notevole e prolungato nella vita della Chiesa sia italiana che universale.

Nel mese di settembre si tenne il secondo convegno delle chiese italiane a Loreto e, solo pochi giorni più tardi, dal 24 novembre all’8 dicembre, si celebrò a Roma il sinodo straordinario a vent’anni dalla fine del concilio Vaticano II. Se si vuole riflettere in profondità oggi, a cinquant’anni dall’inizio dello stesso concilio, sulla storia della ricezione della grande assise ecumenica, non è possibile prescindere né dall’uno né dall’altro avvenimento, almeno in lontananza uniti insieme dallo stesso spirito e da una comune ispirazione.

Del convegno di Loreto si è parlato a sufficienza nel passato, soprattutto per mettere in risalto il cambio di marcia della Chiesa italiana, che conserva ancora, a distanza di quasi quarant’anni, conseguenze ben visibili, tutt’altro che positive, a giudizio di chi scrive. Vogliamo ora mettere in luce quanto avvenne nel sinodo straordinario che, per il suo influsso, va naturalmente ben al di là dei confini e dei problemi della Chiesa italiana e ha suscitato una discussione sulla quale è opportuno ritornare.

Le tre fasi post-conciliari

Normalmente, nella divisione della ricezione post-conciliare in tre tempi, il sinodo viene considerato come la fine del primo periodo e l’inizio del secondo. Il terzo si fa poi cominciare col giubileo del 2000 e si estende fino ai nostri giorni. Di esso si è parlato soprattutto, ma non soltanto, per la vicenda riguardante il concetto di “popolo di Dio”, sostituito, con una sorta di colpo di mano, con la parola “comunione”. Da allora (si veda, per esempio, l’esortazione post-sinodale Christifideles laici), per esprimere l’ecclesiologia del Vaticano II, si parlerà comunemente di Chiesa-mistero, di Chiesa-comunione e di Chiesa-missione: la Chiesa-popolo di Dio praticamente sparisce dal vocabolario usuale anche dei teologi.

Eppure il termine appare addirittura nello stesso titolo del capitolo secondo della costituzione Lumen gentium, in seguito a una scelta ben ponderata dagli attenti padri conciliari, in diretto collegamento col capitolo primo dedicato al mistero della Chiesa. Come dire: il mistero, che nasconde in sé l’intima natura della Chiesa, si realizza concretamente in un popolo, con tutte le caratteristiche che il termine si porta con sé. La scelta proveniva da un uso molto lontano e frequentissimo sia del Primo che del Secondo Testamento, oltre che della liturgia. Un conteggio preciso, compresi connessi e derivati, sarebbe praticamente impossibile. Il sinodo straordinario terminò con una relazione che sostituiva l’ormai consueta esortazione post-sinodale del pontefice, e un messaggio - si direbbe: ironia della sorte - «al popolo di Dio».

Il teologo Walter Kasper, chiamato per l’occasione a fare da segretario, rilasciò quasi immediatamente i suoi ricordi e il suo commento in una piccola pubblicazione, che ci può aiutare molto a ricomporre il dibattito, svoltosi purtroppo in un tempo abbastanza ristretto: Il futuro dalla forza del concilio. Sinodo straordinario dei vescovi 1985 (Queriniana, Brescia 1986).

Suscita un po’ di meraviglia il fatto che la critica e la sostituzione del concetto di popolo siano state fatte proprie e approvate anche da lui, che pure ha dimostrato più tardi di essere capace di grande originalità e di altrettanto coraggio.

La cosa fu mal digerita in un primo tempo, poi però la contestazione lentamente si organizzò dando vita, specialmente nel Sudamerica, ad una reazione di cui dobbiamo prendere pienamente atto.

Questa sostituzione non è per caso un atto indebito su un testo conciliare, nato non proprio immotivatamente e senza adeguata preparazione da parte della grande assemblea?

Per la verità, la lettura del documento finale destava già in principio una certa sorpresa, perché si affermava che «il fine per cui è stato convocato questo sinodo è stato la celebrazione, la verifica e la promozione del concilio Vaticano II», con una precisazione ulteriore: «Unanimemente e con gioia abbiamo verificato anche che il concilio è una legittima e valida espressione e interpretazione del deposito della fede, come si trova nella sacra Scrittura e nella tradizione della Chiesa» (n. 2). Un sinodo può parlare così di un concilio ecumenico, la massima espressione del magistero della Chiesa? Con questo stesso spirito, chiaramente sopra le righe, si sostituisce una delle espressioni centrali del documento conciliare: quella di “popolo di Dio”.

Lo riconosce W. Kasper nel testo prima citato, quando afferma che la relazione introduttiva «denuncia certi arbitri e soggettivismi nel modo di organizzare la liturgia e un modo d’intendere troppo esteriore la partecipazione attiva in campo liturgico, nel senso cioè di una mera cooperazione esterna, invece di un coinvolgimento nel mistero di morte e risurrezione di Gesù Cristo. Constata poi anche un distacco dall’interpretazione scritturistica della tradizione viva e del magistero della Chiesa, anzi una notevole incomprensione della verità oggettivamente data, soprattutto nella sfera della dottrina morale, e anche un certo “cristianesimo di selezione”. Il cuore della crisi è stato individuato nel modo d’intendere la Chiesa.

La qualifica della Chiesa come “popolo di Dio” spesso è stata mal interpretata: la si è isolata dal contesto storico-salvifico della Scrittura e spiegata a partire dal senso naturale, o politico di “popolo di Dio”. Talvolta anche il dibattito sulla democratizzazione della Chiesa ha subito l’ipoteca di tale malinteso». Così, la relazione finale poteva affermare: «L’ecclesiologia di comunione è l’idea centrale e fondamentale nei documenti del concilio». Una frase certamente accettabile, ma in altro contesto, quello direttamente inteso dai padri conciliari. Era proprio necessario, per evitare i malintesi e le erronee interpretazioni del post-concilio, mettere in disparte il concetto di popolo? Non si potevano evitare gli inconvenienti denunciati purificando l’acqua sporca senza buttare via insieme anche il bambino? La questione è così posta nel suo significato fondamentale e il dibattito che ne seguì di conseguenza, all’interno e all’esterno del sinodo, è colto alla sua radice.

La rivolta dei teologi

I teologi che non vorranno accettare il cambiamento sinodale avranno buon gioco a mostrare i danni che da questo possono derivare e di fatto, almeno alcuni tutt’altro che secondari, sono derivati nella concezione e nella vita della Chiesa. Una constatazione che rende ancora più discutibile, in certo modo anche più grave, l’operazione condotta dai padri sinodali, già in questione per avere indebitamente corretto in un punto importante il pensiero del concilio sottoposto alla loro analisi. Si tratta di un vero e proprio cortocircuito teorico e pratico, per il quale è necessario non rassegnarsi. I vantaggi derivanti dalla dottrina conciliare erano stati ben individuati anche dai primi commentatori della costituzione Lumen gentium, come G. Philips, O. Semmelroth, Y. Congar.

Sostanzialmente tutto nasce dalla considerazione della Chiesa come soggetto storico, «l’ultima fase definitiva dell’alleanza bilaterale, che Dio ha stretto col popolo da lui salvato», la comunità escatologica che «peregrina nella storia come un giorno il popolo eletto peregrinò nel deserto avviandosi verso la terra promessa», l’incarnazione storica del mistero provvidenzialmente messo al centro della stesura del primo capitolo.

Aspetti certamente non del tutto ignoti anche prima della celebrazione del concilio. «Questa presentazione teologica - aggiungeva Semmelroth - non vuole affatto sostituire la dottrina della Chiesa quale corpo mistico del Signore con quella di popolo di Dio. Intende piuttosto integrarla, perché l’essenza della Chiesa è così complessa da non poter essere esaurita né da una definizione logica né da un’unica immagine».

Anzi, la priorità del concetto di popolo rispetto all’immagine del corpo sottolinea ancora meglio uno dei motivi principali, se non il principale, della scelta dei padri conciliari, che è quello dell’affermazione dell’uguaglianza sostanziale fra tutti i membri della Chiesa, il motivo che aveva già consigliato lo spostamento del capitolo dedicato alla gerarchia dal secondo al terzo posto.

Anche nella triade privilegiata fra le diverse immagini della Chiesa (popolo di Dio, corpo di Cristo, tempio dello Spirito Santo), precede il concetto di popolo, non soltanto per un motivo di carattere trinitario, ma anche perché il corpo mette in luce la diversità delle membra, della quale si parla soltanto dopo aver assicurato la sostanziale uguaglianza fra tutti i battezzati: la diversità dei carismi e dei ministeri non deve ostacolare quel concetto che il n. 32 della Lumen gentium esprimerà con icastica solennità con le note parole: «Quantunque alcuni per volontà di Cristo sono costituiti dottori e dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, vige fra tutti una vera uguaglianza (vera aequalitas) riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il corpo di Cristo». L’aggiunta dell’aggettivo, di per sé non necessario, dà all’espressione una forza e un rilievo singolari.

Certo, fra le caratteristiche del popolo di Dio non andrà mai dimenticata la comunione, che lega essenzialmente la Chiesa al suo fondatore e Signore e, di conseguenza e nella stessa maniera, tutti i membri componenti fra di loro.

Comunione però non è una sostanza, non indica un soggetto; in termini aristotelici, dovrebbe essere catalogata fra gli accidenti. Dunque, più un aggettivo che un sostantivo. Oltretutto, fra le caratteristiche del popolo tutto quanto sacerdotale, il testo conciliare enumera anche la potenziale capacità di raccogliere «tutti gli uomini» di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Ogni uomo è ordinato al popolo di Dio e ogni nazione è parte potenziale del regno universale di Cristo. Anzi, di più, «questo carattere di universalità che adorna e distingue il popolo di Dio è dono dello stesso Signore, e con esso la Chiesa cattolica efficacemente e senza soste tende ad accentrare tutta l’umanità, con tutti i suoi beni, in Cristo capo nell’unità dello Spirito di lui» (LG 13). Una potenzialità che incipientemente e misteriosamente prende forma e attualità già nei giorni della storia.

Sulla stessa linea Congar, per il quale il concetto di popolo di Dio mette «in risalto alcuni valori biblici fondamentali e l’orientamento globale verso il servizio missionario del mondo, cosa che risalta già dalle prime parole della costituzione dogmatica Lumen gentium: 1) una prospettiva di storia della salvezza, cioè una prospettiva escatologica; 2) l’idea di un popolo in cammino, in condizioni di itineranza; 3) l’affermazione di una relazione con tutta l’umanità, essa stessa in via di unificazione, e alla ricerca, tra mille difficoltà, di una maggiore giustizia e pace».

Può il concetto di comunione conservare e mettere in evidenza tutte le caratteristiche che il concetto di popolo si porta con sé? Esso possiede una vera ricchezza di significati difficilmente reperibili altrove ed esprimibili diversamente. Popolo come soggetto eminentemente attivo su tutto il fronte dell’attività della Chiesa: un popolo sacerdotale, quindi, profetico e regale. Un ottimo schema di lavoro, di riflessione teologica, di catechesi.

La critica più aspra e decisa, come abbiamo già detto, proviene dal Sudamerica. Ad essa ha dato voce sistematica il teologo belga-brasiliano Joseph Comblin in un libro tradotto anche in italiano, dal titolo originale O povo de Deus (Il popolo di Dio, Servitium/Città aperta, Troina - Enna - 2007), pubblicato nel 2002, «in previsione del nuovo pontificato», come afferma lo stesso autore nelle prime parole dell’introduzione.

«Le critiche al Vaticano II - afferma l’autore - condussero il sinodo del 1985 semplicemente a eliminare il concetto di “popolo di Dio”, sostituendolo con il concetto di comunione, come se questo avesse la medesima risonanza e come se i due fossero alternativi. La conseguenza fu immediata, anche se non sappiamo se fu intenzionale o no». Una categoria troppo sociologica? Ma «la sociologia praticamente non usa mai il concetto di popolo e teme di usarlo».

Perché allora questo timore? Naturalmente la critica di Comblin è condotta secondo gli schemi e il linguaggio della teologia della liberazione e raggiunge il suo vertice con l’affermazione che la scelta del termine comunione potrebbe facilmente far rientrare dalla finestra ciò che è stato messo felicemente fuori dalla porta, imponendo in pratica la comunione come ubbidienza al volere e al pensiero della gerarchia, eliminando o rendendo comunque difficile il contributo da parte del rimanente popolo di Dio. Comunque «il tema della comunione non esclude il tema del popolo di Dio né deve prendergli il posto. Il concetto di comunione è molto più ristretto che il concetto di popolo. Il popolo è una forma di comunione, ma include molti più elementi che il concetto di comunione». Parole, queste ultime, sulle quali non è difficile trovarsi d’accordo.

Il pensiero di Pino Colombo

È questo il pensiero di non pochi altri teologi, fra cui merita di essere ricordato S. Dianich, che in vario modo e da diversi punti di vista hanno sottoposto a motivata critica il cambiamento del testo conciliare.

Ma vorremmo ricordare in particolare il teologo milanese recentemente scomparso Giuseppe Colombo, insospettato sulla base del suo pensiero teologico e meticoloso al massimo nel ricostruire e discutere le diverse concezioni prese in esame.

Ci riferiamo in questo momento soprattutto a un suo contributo pubblicato di recente negli studi in onore di S. Dianich (Ecclesiam intelligere, Dehoniane, Bologna 2012), da considerarsi l’ultimo suo intervento sul nostro problema, aggiornato anche ad una successiva presa di posizione del card. Kasper.

Ricostruita con precisione la vicenda in questione, dopo aver ricordato che «sulla sostituzione di “comunione” a “popolo di Dio”, la Relazione non dice una parola», rimane a noi il diritto di domandarci «perché il sinodo abbia ignorato completamente la nozione di “popolo di Dio”, liberandosi così del dovere di fornire una qualsiasi spiegazione». Anche se, come si afferma, la nozione in questione è stata corrotta, politicizzata, socializzata fino a perdere ogni riferimento alla Chiesa, «la domanda è se la reazione debba spingersi a espungere totalmente dai testi del magistero la nozione di “popolo di Dio”», finendo col porre in questo modo, oltre che un problema storico (perché abbandonare la scelta dei padri conciliari?), un problema teorico di notevole importanza.

Secondo il pensiero dell’autore, mentre «“popolo di Dio” indicherebbe la svolta dell’ecclesiologia del Vaticano II», il concetto di comunione è visto in funzione della collegialità, cioè del rapporto papa-vescovi. «Non è possibile vedere, “oltre” la collegialità e (estendendo la nozione) “oltre” la comunione, il “popolo di Dio” conservandolo nella sua nozione propria, invece di rifiutarlo come una nozione inaccettabile? Di fatto sembra che al sinodo esso sia stato considerato come un’alternativa.

È quindi da chiedersi se, rispetto al “popolo di Dio”, la nozione di “comunione” non stacchi la Chiesa dal mondo, ritraendola in se stessa, sui suoi problemi interni (collegialità, conferenze episcopali, problemi dei laici, vocazione universale alla santità). Nessuno può contestare l’importanza e l’urgenza di questi problemi, ma l’insistente ed esclusivo richiamo ad essi sembrano costituire una penalizzazione evidente rispetto all’apertura al mondo del “popolo di Dio”». Di nuovo, e per altro verso, un ritorno al passato, questa volta per motivi esterni piuttosto che interni, ma sempre fondamentali nella mente dei padri conciliari e nei documenti ai quali essi dettero vita.

Su questo sfondo - continua il teologo milanese - c’è anche da considerare che ai paesi del terzo mondo e dei cosiddetti paesi emergenti va riconosciuto il diritto di elaborare una teologia autoctona, senza imporre loro le linee della teologia occidentale. «In ogni caso, la Chiesa come “comunione” è l’ecclesiologia del sinodo straordinario 1985, non è l’ecclesiologia del concilio Vaticano II, che - salvo meliori iudicio - è quella del “popolo di Dio”». Per questo è meglio tenere distinti il concilio e il sinodo, anche dopo i più recenti tentativi di mantenerli uniti di Kasper e Pottmeyer.

Un necessario recupero

Dopo avere ascoltato le diverse opinioni, una scelta si impone anche per noi. Omnibus perpensis, sembra giusto rispettare la scelta conciliare, a cui i padri arrivarono dopo una riflessione serena e matura durante le sedute assembleari e in non pochi casi anche in precedenza. Essa fa corpo con la scelta fondamentale di evidenziare, prima delle specificazioni, l’elemento unificante di tutte le componenti della Chiesa. Non si perde niente di quanto porta con sé il concetto di comunione e l’incombente immagine di corpo mistico, ma non si può negare che l’intenzione del concilio sia quella di chiamare a raccolta l’intero popolo cristiano e di fare appello al suo comune senso di responsabilità. È bene che questa vocazione risuoni e risplenda chiaramente nel termine stesso scelto avvedutamente dal concilio.

A norma di logica ecclesiale, nessuno ha diritto di cambiare il pensiero e i termini destinati a veicolarlo di un concilio ecumenico, che rimane l’espressione massima dell’insegnamento della Chiesa. Se il concetto di popolo è stato deteriorato da immissioni d’altro genere, si può sempre ricorrere a una sua purificazione, senza metterlo totalmente o quasi in disparte. C’è piuttosto da pensare, in questa fase di stanca della ricezione conciliare, a un suo richiamo perentorio perché la comunità cristiana partecipi attivamente e responsabilmente ai compiti che un concilio coraggioso e innovatore ha ad essa consegnato.

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Titolo articolo : BENEDETTO XVI CHIUDE IL CERCHIO. DALLA "DEUS CARITAS EST" ALLA "DE CARITATE MINISTRANDA": UN SOLO "MOTU PROPRIO".  SI SCRIVE "CARITAS", SI LEGGE ACCENTRAMENTO. Una nota di Eletta Cucuzza ("Adista") - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/01/2013 - 21:51:21.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/12/2012 22.54
Titolo:Risalire gli abissi
PAROLA A RISCHIO
Risalire gli abissi
La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
Perché è sorriso, liberazione, gioia.

di Giovanni Mazzillo (Teologo) *

G come gioia, come Gesù, respiro di gioia per tutti gli infelici della terra. Parliamo di Gesù, il cui corrispondente nome greco Iesoûs deriva direttamente dall’originale ebraico Je(ho)šhu e significa JHWH salva, per precisare immediatamente che il termine salvezza oggi non significa gran che per i nostri contemporanei, e di conseguenza risuona poco interessante persino quel nome, pur originariamente portatore di una gioia immensa e inaudita. Ciò avviene non solo per l’inevitabile logorio delle parole più usate e talora abusate, ma per il fatto che ha perso rilevanza e pertanto significato il valore stesso della “salvezza”.

Salvezza
Salvezza da chi e/o da che cosa? Appunto, è questo il primo problema. La salvezza appare di primo acchito un concetto immediatamente derivato dal superamento di una situazione negativa, Si salva, o come succede in questo caso, viene salvato, qualcuno che si trova in una situazione di pericolo. Il pericolo di perdere qualcosa, di perdere se stesso. Di essere cancellato, di sparire, appunto come sparisce da un computer un testo non “salvato” o un’immagine non messa al sicuro. Ma essere salvati è per noi persone umane, e pertanto non riducibili a una traccia di codificazione binaria o algoritmica, molto di più che conservare un’impronta e una presenza. Coerentemente con la nostra realtà dinamica e relazionale, essere salvati significa avere un luogo, un senso, una rilevanza nel contesto di una realtà che giustifica, sorregge, garantisce il mantenimento e la crescita qualitativa, e pertanto il conseguente riconoscimento di un originario, inalienabile, imprescindibile valore personale.

La domanda «Chi o che cosa si può dire oggi salvato?» esige pertanto una primordiale differenziazione. Altro è il concetto di ciò che è salvato (cioè il dato messo al sicuro), ben altro è l’essere umano salvato. Questi non è solo garantito in ciò che ha di più proprio e pertanto è distinto dal mero “dato”, che invece è una sorta di file compilato (non per nulla in tedesco proprio il file è chiamato Datei, leggi datai, cioè «rea-ltà data»). L’essere umano è tale solo in un incontro, in una relazione. La persona è tutta nelle relazioni delle quali vive. Proprio la relazionalità sorregge il senso e la gioia del suo esistere.

L’annuncio di Gesù, già nella sua venuta in questo nostro mondo, è l’annuncio di una relazionalità umana felicemente riuscita. Nel Vangelo è direttamente collegato alla Grazia, termine che esprime tutto ciò e anche qualcosa di più.

Nell’annuncio della sua nascita, diversamente da quanto appare nella traduzione latina, e in quella italiana da essa derivata, nella preghiera più popolare che ci sia, Maria è salutata non con il saluto che si dava all’imperatore, alle autorità o anche agli amici con l’esclamativo «Ave!», bensì con l’invito a rallegrarsi, cioè a gioire (chaîre): a entrare in un circuito di esultanza per un dono gratuito e inatteso. Colei che è piena di grazia (kecharitōménē) è invitata a rallegrarsi perché tutto in lei è frutto ed espressione della «grazia» (cháris), cioè di un dono amorevole quanto sorprendente, che sarà presto annuncio di gioia per tutto il popolo e per ogni uomo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...”. L’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia...» (Lc 1,30-31; 2,10-11).

Il resto del Vangelo, soprattutto quello di Luca, evidenzia la gioia improvvisa e incontenibile che contagia quanti vengono a contatto con Ješhu. A cominciare da Elisabetta e dal suo bambino, che le esulta nel grembo, il futuro Battista. Così esultano ancora due anziani che sembrano essere rimasti in vita per mantenere viva la speranza d’Israele: Simeone e Anna, o i pastori; mentre nel racconto di Matteo, viene detto che i Magi “provarono una grandissima gioia” nel rivedere la stella che indicava il luogo della natività di Gesù.

La stessa gioia è testimoniata dai semplici e dagli umili, dagli infelici e dai peccatori che si sentono aiutati, capiti, perdonati. A gioire sono ancora i bambini e le donne, classi tradizionalmente neglette dalla piena partecipazione alla grazia collegata alle tradizionali benedizioni di Dio. Insomma il cuore del Vangelo è la lieta notizia annunciata ai bisognosi e agli infelici della terra. Il Dio che si dona totalmente, è il Dio che dona illimitatamente la gioia agli uomini. E perché la nostra gioia fosse piena (Gv 15,11), il Figlio di Dio è arrivato umanamente a perdere se stesso.

Perché avessimo una gioia che nessuno avrebbe mai più potuto toglierci, ha permesso che fosse tolta a lui la vita, per riprenderla di nuovo, ma con la conoscenza ormai nella sua carne e nella sua psiche di cosa significhi la morte umana. Di cosa voglia dire la gioia di vivere, di vivere non con il naturale sorriso con cui vive ogni creatura per la stessa gioia dell’esistere, ma di provare e diffondere la gioia di chi conosce la sofferenza e non resta inchiodato alla sofferenza. O al limite, di chi, nonostante le ferite e talora i chiodi mai interamente rimossi della sofferenza, sa sorridere della vita, perché questa è ormai rischiarata da colui che vince la morte e la depressione della sofferenza.

La gioia è dunque uno dei nomi della salvezza, ma di una salvezza che assume di volta in volta nomi nuovi e nomi antichi: riscatto, liberazione, sensatezza, leggerezza dell’esistere... Se la parola non fosse tanto inflazionata, si potrebbe dire che la salvezza altro non è che la felicità. È la felicità nel suo senso etimologico: come abbondanza e fertilità. Possiamo tradurre: come vita sensata che raggiunge il suo scopo e nasce da relazioni benevole, tendenti al bene altrui, trovando negli altri la propria gioia e comunicandola con relazioni che fanno crescere se stessi e gli altri.

In quanto tale, la felicità è simile alla pace e ne è la forma storica: è star bene con sé e con gli altri, con il proprio passato e con il proprio futuro. Perché, soprattutto oggi, c’è bisogno paradossalmente più di ricostruire il futuro che il passato o il presente. Per poterlo fare c’è bisogno di quella gioia consapevole che non si arrende e che non si ripiega su se stessa. Si ritrova nel futuro di una convivenza che non nasconde, ma sa riconoscere e superare i conflitti attraverso uno sguardo d’amore verso ciò che ci è intorno. È uno guardo che viene da lontano e tuttavia tocca la nostra umanità, questa mia e questa tua umanità, quella assunta, attraversata e come divinizzata da quel Gesù che continuamente dà senso a ogni tentativo di superare la violenza con l’amore. È l’unico a dar senso a ogni discorso di pace, anche questo che hai appena finito di leggere.

* MOSAICO DI PACE, LUGLIO 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/12/2012 16.33
Titolo:I SIGNORI DELLA RAPINA (E DELL'ELEMOSINA-CARITA'), I ROBOT, E I LAVORATPRI ...
I lavoratori, i robot e i signori della rapina

di Paul Krugman (la Repubblica e The New York Times, 11.12.2012)

L’economia americana, sotto molti punti di vista, è ancora adesso gravemente depressa. Eppure gli utili societari stanno raggiungendo cifre da record. Come è possibile? Semplice: gli utili si sono impennati come frazione del reddito nazionale, mentre i salari e le altre retribuzioni della manodopera sono in flessione. La torta non sta crescendo come dovrebbe, ma il capitale se la passa bene arraffandone una fetta sempre più grossa, a discapito della manodopera.

Un momento: stiamo forse parlando ancora una volta di capitale in contrapposizione a lavoro? Non è un argomento obsoleto? Un soggetto quasi marxista di cui parlare, passato di moda nella nostra moderna economia dell’informazione? Beh, questo è quanto molti pensavano. Per la scorsa generazione i discorsi sull’ineguaglianza non si sono concentrati per lo più sul capitale in contrapposizione a lavoro, ma su questioni di distribuzione tra lavoratori, e quindi o sul divario esistente tra i lavoratori più istruiti e quelli meno istruiti o sui redditi in forte rialzo di un pugno di superstar nel campo della finanza e di altri settori. Questa sì, in effetti, potrebbe essere storia passata.

Più specificatamente, se è vero che i pezzi grossi della finanza stanno ancora agendo da banditi - in parte perché, come ormai sappiamo, alcuni di loro effettivamente lo sono -, il divario retributivo tra i lavoratori che hanno un’istruzione universitaria e quelli che non l’hanno (che si acuì molto in modo particolare tra gli anni Ottanta e i primi Novanta) da allora non è variato granché. In verità, i lavoratori neolaureati avevano redditi statici addirittura prima che la crisi finanziaria colpisse. Sempre più spesso, gli utili stanno aumentando a spese dei lavoratori in genere, compresi i salariati che hanno le qualifiche ritenute adatte a portare al successo nell’economia odierna.

Perché sta accadendo questo? Il meglio che posso dire è che vi sono due spiegazioni plausibili, ed entrambe potrebbero essere vere in parte. La prima è che la tecnologia ha preso una piega che colloca in posizione di netto svantaggio la manodopera. L’altra è che stiamo assistendo agli effetti di un palese aumento del potere dei monopoli. Provate a pensare a queste due ipotesi come a una maggiore importanza conferita ai robot da una parte e ai signori della rapina dall’altra.

Parliamo di robot: è fuor di dubbio che in alcuni settori industriali di alto profilo la tecnologia sta rimpiazzando sempre più lavoratori di tutti i generi o quasi. Per esempio, una delle ragioni per le quali da qualche tempo alcuni processi produttivi di articoli hi-tech stanno tornando negli Stati Uniti è che ormai il componente di maggior valore di un computer, la scheda madre, è fabbricato in pratica da robot, e di conseguenza la manodopera asiatica a prezzi stracciati non costituisce più un motivo valido per produrlo all’estero.

In un libro appena pubblicato e intitolato Race Against the Machine (La corsa contro le macchine), Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee dell’Mit sostengono che la stessa cosa sta avvenendo in molti campi disparati, compresi servizi quali la traduzione e la ricerca legale. Negli esempi da loro addotti in particolare colpisce il fatto che molti posti di lavoro soppressi richiedono alte competenze e sono ben retribuiti. Ne consegue che lo svantaggio della tecnologia non è limitato ai mestieri più umili.

E tuttavia: innovazione e progresso possono danneggiare davvero un gran numero di lavoratori o addirittura i lavoratori in genere? Spesso mi imbatto in affermazioni secondo le quali ciò non può accadere. In verità, invece, può accadere eccome, e illustri economisti sono consapevoli di tale probabilità da almeno due secoli. David Ricardo è un economista dell’inizio del XIX secolo famoso per lo più per la sua teoria del vantaggio comparato, che costituisce uno dei capisaldi del libero commercio. Ma nel medesimo libro del 1817 nel quale Ricardo illustrava quella teoria c’è anche un capitolo su come le nuove tecnologie della Rivoluzione industriale ad alto impiego di capitale di fatto avrebbero potuto peggiorare le condizioni dei lavoratori, quanto meno per un po’. Gli studiosi moderni puntualizzano che le cose in realtà sono andate avanti così per parecchi decenni.

Che dire dei signori della rapina? Di questi tempi non si parla molto del potere dei monopoli. L’applicazione delle leggi anti-trust durante gli anni della presidenza Reagan è stata per lo più abbandonata e da allora non è mai ripresa davvero. Eppure Barry Lynn e Phillip Longman della New America Foundation sostengono - in modo convincente, dal mio punto di vista - che la crescente concentrazione di aziende potrebbe costituire un fattore determinante ai fini della stagnante richiesta di manodopera, dato che le corporation usano il loro potere monopolistico in netta espansione per aumentare i prezzi senza passarne gli utili ai propri dipendenti.

Ignoro in che misura la tecnologia o il monopolio possano spiegare la svalutazione della manodopera, in parte perché si parla molto poco di quello che sta accadendo. Tuttavia, penso che sia corretto affermare che lo spostamento del reddito dalla forza lavoro al capitale non è ancora entrato nel nostro dibattito nazionale.

Quello spostamento, peraltro, è in corso, e ha implicazioni ragguardevoli. Per esempio, vi sono forti pressioni, lautamente finanziate, a favore della riduzione delle aliquote fiscali applicate alle grandi società. È davvero questo che intendiamo lasciare che accada nel momento in cui gli utili sono in forte aumento a detrimento dei lavoratori? E che dire delle pressioni volte a ridurre o abolire del tutto le imposte di successione? Se stiamo per tornare a un mondo nel quale è il capitale finanziario - e non le qualifiche professionali o il livello di istruzione - a determinare il reddito, vogliamo davvero rendere ancora più facile ricevere in eredità la ricchezza?

Come ho premesso, questo dibattito non è ancora iniziato sul serio. In ogni caso, è ora di iniziarlo, prima che i robot e i signori della rapina trasformino la nostra società in qualcosa di completamente irriconoscibile.

- (Traduzione di Anna Bissanti)
- © 2012, The New York Times
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/12/2012 18.23
Titolo:FINE DEL MONDO E IMMAGINARIO CHIESA . «Prima di fuggire, lasciate i beni alla Ch...
- Chiesa

- "LA FINE DEL MONDO"

- Profezia Maya, provocazione di un vescovo
- «Prima di fuggire, lasciate i beni alla Chiesa» *

"Se molti credono che il mondo finirà il 21 dicembre, noi, come Chiesa, non abbiamo alcun problema se la gente ci vuole intestare i propri beni e lasciare le proprietà". L’agenzia vaticana Fides rilancia oggi questa "provocazione" del vescovo salesiano di Punta Arenas in Cile, Bernardo Bastres Florence, che di fronte alle preoccupazioni di quanti credono alla "profezia" del calendario Maya ha proposto a quanti intendono mettersi in fuga, di consegnare prima i loro beni alla Chiesa Cattolica: "se costoro vogliano andare via, lontano da qui - ha spiegato - faranno solo un enorme bene regalando le loro proprietà alla Chiesa".

* Avvenire, 11 dicembre 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/2/2013 21.51
Titolo:La Chiesa-Popolo di Dio secondo il Concilio
La Chiesa-Popolo di Dio secondo il Concilio

di Giordano Frosini

in “Settimana” n. 5 del 6 febbraio 2013

Nella storia del post-concilio in generale e di quello italiano in particolare, il 1985 è un anno di importanza rilevante per due avvenimenti che hanno avuto un influsso notevole e prolungato nella vita della Chiesa sia italiana che universale.

Nel mese di settembre si tenne il secondo convegno delle chiese italiane a Loreto e, solo pochi giorni più tardi, dal 24 novembre all’8 dicembre, si celebrò a Roma il sinodo straordinario a vent’anni dalla fine del concilio Vaticano II. Se si vuole riflettere in profondità oggi, a cinquant’anni dall’inizio dello stesso concilio, sulla storia della ricezione della grande assise ecumenica, non è possibile prescindere né dall’uno né dall’altro avvenimento, almeno in lontananza uniti insieme dallo stesso spirito e da una comune ispirazione.

Del convegno di Loreto si è parlato a sufficienza nel passato, soprattutto per mettere in risalto il cambio di marcia della Chiesa italiana, che conserva ancora, a distanza di quasi quarant’anni, conseguenze ben visibili, tutt’altro che positive, a giudizio di chi scrive. Vogliamo ora mettere in luce quanto avvenne nel sinodo straordinario che, per il suo influsso, va naturalmente ben al di là dei confini e dei problemi della Chiesa italiana e ha suscitato una discussione sulla quale è opportuno ritornare.

Le tre fasi post-conciliari

Normalmente, nella divisione della ricezione post-conciliare in tre tempi, il sinodo viene considerato come la fine del primo periodo e l’inizio del secondo. Il terzo si fa poi cominciare col giubileo del 2000 e si estende fino ai nostri giorni. Di esso si è parlato soprattutto, ma non soltanto, per la vicenda riguardante il concetto di “popolo di Dio”, sostituito, con una sorta di colpo di mano, con la parola “comunione”. Da allora (si veda, per esempio, l’esortazione post-sinodale Christifideles laici), per esprimere l’ecclesiologia del Vaticano II, si parlerà comunemente di Chiesa-mistero, di Chiesa-comunione e di Chiesa-missione: la Chiesa-popolo di Dio praticamente sparisce dal vocabolario usuale anche dei teologi.

Eppure il termine appare addirittura nello stesso titolo del capitolo secondo della costituzione Lumen gentium, in seguito a una scelta ben ponderata dagli attenti padri conciliari, in diretto collegamento col capitolo primo dedicato al mistero della Chiesa. Come dire: il mistero, che nasconde in sé l’intima natura della Chiesa, si realizza concretamente in un popolo, con tutte le caratteristiche che il termine si porta con sé. La scelta proveniva da un uso molto lontano e frequentissimo sia del Primo che del Secondo Testamento, oltre che della liturgia. Un conteggio preciso, compresi connessi e derivati, sarebbe praticamente impossibile. Il sinodo straordinario terminò con una relazione che sostituiva l’ormai consueta esortazione post-sinodale del pontefice, e un messaggio - si direbbe: ironia della sorte - «al popolo di Dio».

Il teologo Walter Kasper, chiamato per l’occasione a fare da segretario, rilasciò quasi immediatamente i suoi ricordi e il suo commento in una piccola pubblicazione, che ci può aiutare molto a ricomporre il dibattito, svoltosi purtroppo in un tempo abbastanza ristretto: Il futuro dalla forza del concilio. Sinodo straordinario dei vescovi 1985 (Queriniana, Brescia 1986).

Suscita un po’ di meraviglia il fatto che la critica e la sostituzione del concetto di popolo siano state fatte proprie e approvate anche da lui, che pure ha dimostrato più tardi di essere capace di grande originalità e di altrettanto coraggio.

La cosa fu mal digerita in un primo tempo, poi però la contestazione lentamente si organizzò dando vita, specialmente nel Sudamerica, ad una reazione di cui dobbiamo prendere pienamente atto.

Questa sostituzione non è per caso un atto indebito su un testo conciliare, nato non proprio immotivatamente e senza adeguata preparazione da parte della grande assemblea?

Per la verità, la lettura del documento finale destava già in principio una certa sorpresa, perché si affermava che «il fine per cui è stato convocato questo sinodo è stato la celebrazione, la verifica e la promozione del concilio Vaticano II», con una precisazione ulteriore: «Unanimemente e con gioia abbiamo verificato anche che il concilio è una legittima e valida espressione e interpretazione del deposito della fede, come si trova nella sacra Scrittura e nella tradizione della Chiesa» (n. 2). Un sinodo può parlare così di un concilio ecumenico, la massima espressione del magistero della Chiesa? Con questo stesso spirito, chiaramente sopra le righe, si sostituisce una delle espressioni centrali del documento conciliare: quella di “popolo di Dio”.

Lo riconosce W. Kasper nel testo prima citato, quando afferma che la relazione introduttiva «denuncia certi arbitri e soggettivismi nel modo di organizzare la liturgia e un modo d’intendere troppo esteriore la partecipazione attiva in campo liturgico, nel senso cioè di una mera cooperazione esterna, invece di un coinvolgimento nel mistero di morte e risurrezione di Gesù Cristo. Constata poi anche un distacco dall’interpretazione scritturistica della tradizione viva e del magistero della Chiesa, anzi una notevole incomprensione della verità oggettivamente data, soprattutto nella sfera della dottrina morale, e anche un certo “cristianesimo di selezione”. Il cuore della crisi è stato individuato nel modo d’intendere la Chiesa.

La qualifica della Chiesa come “popolo di Dio” spesso è stata mal interpretata: la si è isolata dal contesto storico-salvifico della Scrittura e spiegata a partire dal senso naturale, o politico di “popolo di Dio”. Talvolta anche il dibattito sulla democratizzazione della Chiesa ha subito l’ipoteca di tale malinteso». Così, la relazione finale poteva affermare: «L’ecclesiologia di comunione è l’idea centrale e fondamentale nei documenti del concilio». Una frase certamente accettabile, ma in altro contesto, quello direttamente inteso dai padri conciliari. Era proprio necessario, per evitare i malintesi e le erronee interpretazioni del post-concilio, mettere in disparte il concetto di popolo? Non si potevano evitare gli inconvenienti denunciati purificando l’acqua sporca senza buttare via insieme anche il bambino? La questione è così posta nel suo significato fondamentale e il dibattito che ne seguì di conseguenza, all’interno e all’esterno del sinodo, è colto alla sua radice.

La rivolta dei teologi

I teologi che non vorranno accettare il cambiamento sinodale avranno buon gioco a mostrare i danni che da questo possono derivare e di fatto, almeno alcuni tutt’altro che secondari, sono derivati nella concezione e nella vita della Chiesa. Una constatazione che rende ancora più discutibile, in certo modo anche più grave, l’operazione condotta dai padri sinodali, già in questione per avere indebitamente corretto in un punto importante il pensiero del concilio sottoposto alla loro analisi. Si tratta di un vero e proprio cortocircuito teorico e pratico, per il quale è necessario non rassegnarsi. I vantaggi derivanti dalla dottrina conciliare erano stati ben individuati anche dai primi commentatori della costituzione Lumen gentium, come G. Philips, O. Semmelroth, Y. Congar.

Sostanzialmente tutto nasce dalla considerazione della Chiesa come soggetto storico, «l’ultima fase definitiva dell’alleanza bilaterale, che Dio ha stretto col popolo da lui salvato», la comunità escatologica che «peregrina nella storia come un giorno il popolo eletto peregrinò nel deserto avviandosi verso la terra promessa», l’incarnazione storica del mistero provvidenzialmente messo al centro della stesura del primo capitolo.

Aspetti certamente non del tutto ignoti anche prima della celebrazione del concilio. «Questa presentazione teologica - aggiungeva Semmelroth - non vuole affatto sostituire la dottrina della Chiesa quale corpo mistico del Signore con quella di popolo di Dio. Intende piuttosto integrarla, perché l’essenza della Chiesa è così complessa da non poter essere esaurita né da una definizione logica né da un’unica immagine».

Anzi, la priorità del concetto di popolo rispetto all’immagine del corpo sottolinea ancora meglio uno dei motivi principali, se non il principale, della scelta dei padri conciliari, che è quello dell’affermazione dell’uguaglianza sostanziale fra tutti i membri della Chiesa, il motivo che aveva già consigliato lo spostamento del capitolo dedicato alla gerarchia dal secondo al terzo posto.

Anche nella triade privilegiata fra le diverse immagini della Chiesa (popolo di Dio, corpo di Cristo, tempio dello Spirito Santo), precede il concetto di popolo, non soltanto per un motivo di carattere trinitario, ma anche perché il corpo mette in luce la diversità delle membra, della quale si parla soltanto dopo aver assicurato la sostanziale uguaglianza fra tutti i battezzati: la diversità dei carismi e dei ministeri non deve ostacolare quel concetto che il n. 32 della Lumen gentium esprimerà con icastica solennità con le note parole: «Quantunque alcuni per volontà di Cristo sono costituiti dottori e dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, vige fra tutti una vera uguaglianza (vera aequalitas) riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il corpo di Cristo». L’aggiunta dell’aggettivo, di per sé non necessario, dà all’espressione una forza e un rilievo singolari.

Certo, fra le caratteristiche del popolo di Dio non andrà mai dimenticata la comunione, che lega essenzialmente la Chiesa al suo fondatore e Signore e, di conseguenza e nella stessa maniera, tutti i membri componenti fra di loro.

Comunione però non è una sostanza, non indica un soggetto; in termini aristotelici, dovrebbe essere catalogata fra gli accidenti. Dunque, più un aggettivo che un sostantivo. Oltretutto, fra le caratteristiche del popolo tutto quanto sacerdotale, il testo conciliare enumera anche la potenziale capacità di raccogliere «tutti gli uomini» di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Ogni uomo è ordinato al popolo di Dio e ogni nazione è parte potenziale del regno universale di Cristo. Anzi, di più, «questo carattere di universalità che adorna e distingue il popolo di Dio è dono dello stesso Signore, e con esso la Chiesa cattolica efficacemente e senza soste tende ad accentrare tutta l’umanità, con tutti i suoi beni, in Cristo capo nell’unità dello Spirito di lui» (LG 13). Una potenzialità che incipientemente e misteriosamente prende forma e attualità già nei giorni della storia.

Sulla stessa linea Congar, per il quale il concetto di popolo di Dio mette «in risalto alcuni valori biblici fondamentali e l’orientamento globale verso il servizio missionario del mondo, cosa che risalta già dalle prime parole della costituzione dogmatica Lumen gentium: 1) una prospettiva di storia della salvezza, cioè una prospettiva escatologica; 2) l’idea di un popolo in cammino, in condizioni di itineranza; 3) l’affermazione di una relazione con tutta l’umanità, essa stessa in via di unificazione, e alla ricerca, tra mille difficoltà, di una maggiore giustizia e pace».

Può il concetto di comunione conservare e mettere in evidenza tutte le caratteristiche che il concetto di popolo si porta con sé? Esso possiede una vera ricchezza di significati difficilmente reperibili altrove ed esprimibili diversamente. Popolo come soggetto eminentemente attivo su tutto il fronte dell’attività della Chiesa: un popolo sacerdotale, quindi, profetico e regale. Un ottimo schema di lavoro, di riflessione teologica, di catechesi.

La critica più aspra e decisa, come abbiamo già detto, proviene dal Sudamerica. Ad essa ha dato voce sistematica il teologo belga-brasiliano Joseph Comblin in un libro tradotto anche in italiano, dal titolo originale O povo de Deus (Il popolo di Dio, Servitium/Città aperta, Troina - Enna - 2007), pubblicato nel 2002, «in previsione del nuovo pontificato», come afferma lo stesso autore nelle prime parole dell’introduzione.

«Le critiche al Vaticano II - afferma l’autore - condussero il sinodo del 1985 semplicemente a eliminare il concetto di “popolo di Dio”, sostituendolo con il concetto di comunione, come se questo avesse la medesima risonanza e come se i due fossero alternativi. La conseguenza fu immediata, anche se non sappiamo se fu intenzionale o no». Una categoria troppo sociologica? Ma «la sociologia praticamente non usa mai il concetto di popolo e teme di usarlo».

Perché allora questo timore? Naturalmente la critica di Comblin è condotta secondo gli schemi e il linguaggio della teologia della liberazione e raggiunge il suo vertice con l’affermazione che la scelta del termine comunione potrebbe facilmente far rientrare dalla finestra ciò che è stato messo felicemente fuori dalla porta, imponendo in pratica la comunione come ubbidienza al volere e al pensiero della gerarchia, eliminando o rendendo comunque difficile il contributo da parte del rimanente popolo di Dio. Comunque «il tema della comunione non esclude il tema del popolo di Dio né deve prendergli il posto. Il concetto di comunione è molto più ristretto che il concetto di popolo. Il popolo è una forma di comunione, ma include molti più elementi che il concetto di comunione». Parole, queste ultime, sulle quali non è difficile trovarsi d’accordo.

Il pensiero di Pino Colombo

È questo il pensiero di non pochi altri teologi, fra cui merita di essere ricordato S. Dianich, che in vario modo e da diversi punti di vista hanno sottoposto a motivata critica il cambiamento del testo conciliare.

Ma vorremmo ricordare in particolare il teologo milanese recentemente scomparso Giuseppe Colombo, insospettato sulla base del suo pensiero teologico e meticoloso al massimo nel ricostruire e discutere le diverse concezioni prese in esame.

Ci riferiamo in questo momento soprattutto a un suo contributo pubblicato di recente negli studi in onore di S. Dianich (Ecclesiam intelligere, Dehoniane, Bologna 2012), da considerarsi l’ultimo suo intervento sul nostro problema, aggiornato anche ad una successiva presa di posizione del card. Kasper.

Ricostruita con precisione la vicenda in questione, dopo aver ricordato che «sulla sostituzione di “comunione” a “popolo di Dio”, la Relazione non dice una parola», rimane a noi il diritto di domandarci «perché il sinodo abbia ignorato completamente la nozione di “popolo di Dio”, liberandosi così del dovere di fornire una qualsiasi spiegazione». Anche se, come si afferma, la nozione in questione è stata corrotta, politicizzata, socializzata fino a perdere ogni riferimento alla Chiesa, «la domanda è se la reazione debba spingersi a espungere totalmente dai testi del magistero la nozione di “popolo di Dio”», finendo col porre in questo modo, oltre che un problema storico (perché abbandonare la scelta dei padri conciliari?), un problema teorico di notevole importanza.

Secondo il pensiero dell’autore, mentre «“popolo di Dio” indicherebbe la svolta dell’ecclesiologia del Vaticano II», il concetto di comunione è visto in funzione della collegialità, cioè del rapporto papa-vescovi. «Non è possibile vedere, “oltre” la collegialità e (estendendo la nozione) “oltre” la comunione, il “popolo di Dio” conservandolo nella sua nozione propria, invece di rifiutarlo come una nozione inaccettabile? Di fatto sembra che al sinodo esso sia stato considerato come un’alternativa.

È quindi da chiedersi se, rispetto al “popolo di Dio”, la nozione di “comunione” non stacchi la Chiesa dal mondo, ritraendola in se stessa, sui suoi problemi interni (collegialità, conferenze episcopali, problemi dei laici, vocazione universale alla santità). Nessuno può contestare l’importanza e l’urgenza di questi problemi, ma l’insistente ed esclusivo richiamo ad essi sembrano costituire una penalizzazione evidente rispetto all’apertura al mondo del “popolo di Dio”». Di nuovo, e per altro verso, un ritorno al passato, questa volta per motivi esterni piuttosto che interni, ma sempre fondamentali nella mente dei padri conciliari e nei documenti ai quali essi dettero vita.

Su questo sfondo - continua il teologo milanese - c’è anche da considerare che ai paesi del terzo mondo e dei cosiddetti paesi emergenti va riconosciuto il diritto di elaborare una teologia autoctona, senza imporre loro le linee della teologia occidentale. «In ogni caso, la Chiesa come “comunione” è l’ecclesiologia del sinodo straordinario 1985, non è l’ecclesiologia del concilio Vaticano II, che - salvo meliori iudicio - è quella del “popolo di Dio”». Per questo è meglio tenere distinti il concilio e il sinodo, anche dopo i più recenti tentativi di mantenerli uniti di Kasper e Pottmeyer.

Un necessario recupero

Dopo avere ascoltato le diverse opinioni, una scelta si impone anche per noi. Omnibus perpensis, sembra giusto rispettare la scelta conciliare, a cui i padri arrivarono dopo una riflessione serena e matura durante le sedute assembleari e in non pochi casi anche in precedenza. Essa fa corpo con la scelta fondamentale di evidenziare, prima delle specificazioni, l’elemento unificante di tutte le componenti della Chiesa. Non si perde niente di quanto porta con sé il concetto di comunione e l’incombente immagine di corpo mistico, ma non si può negare che l’intenzione del concilio sia quella di chiamare a raccolta l’intero popolo cristiano e di fare appello al suo comune senso di responsabilità. È bene che questa vocazione risuoni e risplenda chiaramente nel termine stesso scelto avvedutamente dal concilio.

A norma di logica ecclesiale, nessuno ha diritto di cambiare il pensiero e i termini destinati a veicolarlo di un concilio ecumenico, che rimane l’espressione massima dell’insegnamento della Chiesa. Se il concetto di popolo è stato deteriorato da immissioni d’altro genere, si può sempre ricorrere a una sua purificazione, senza metterlo totalmente o quasi in disparte. C’è piuttosto da pensare, in questa fase di stanca della ricezione conciliare, a un suo richiamo perentorio perché la comunità cristiana partecipi attivamente e responsabilmente ai compiti che un concilio coraggioso e innovatore ha ad essa consegnato.

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Commenti Articolo 606

Titolo articolo : CARESTIA "PER TUTTI" ED EU-CARISTIA "PER MOLTI". BRUNO FORTE RIAFFERMA  LA SUA POSIZIONE E DIFENDE IL PROGETTO DEL PAPA. La traduzione «per tutti» non è scorretta, a me sembra resa correttamente dalla traduzione letterale «per molti»,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/01/2013 - 21:48:04.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/1/2013 11.47
Titolo:PAROLA A RISCHIO. La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti ...
PAROLA A RISCHIO
Risalire gli abissi
La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
Perché è sorriso, liberazione, gioia.

di Giovanni Mazzillo (Teologo) *

G come gioia, come Gesù, respiro di gioia per tutti gli infelici della terra. Parliamo di Gesù, il cui corrispondente nome greco Iesoûs deriva direttamente dall’originale ebraico Je(ho)šhu e significa JHWH salva, per precisare immediatamente che il termine salvezza oggi non significa gran che per i nostri contemporanei, e di conseguenza risuona poco interessante persino quel nome, pur originariamente portatore di una gioia immensa e inaudita. Ciò avviene non solo per l’inevitabile logorio delle parole più usate e talora abusate, ma per il fatto che ha perso rilevanza e pertanto significato il valore stesso della “salvezza”.

Salvezza
Salvezza da chi e/o da che cosa? Appunto, è questo il primo problema. La salvezza appare di primo acchito un concetto immediatamente derivato dal superamento di una situazione negativa, Si salva, o come succede in questo caso, viene salvato, qualcuno che si trova in una situazione di pericolo. Il pericolo di perdere qualcosa, di perdere se stesso. Di essere cancellato, di sparire, appunto come sparisce da un computer un testo non “salvato” o un’immagine non messa al sicuro. Ma essere salvati è per noi persone umane, e pertanto non riducibili a una traccia di codificazione binaria o algoritmica, molto di più che conservare un’impronta e una presenza. Coerentemente con la nostra realtà dinamica e relazionale, essere salvati significa avere un luogo, un senso, una rilevanza nel contesto di una realtà che giustifica, sorregge, garantisce il mantenimento e la crescita qualitativa, e pertanto il conseguente riconoscimento di un originario, inalienabile, imprescindibile valore personale.

La domanda «Chi o che cosa si può dire oggi salvato?» esige pertanto una primordiale differenziazione. Altro è il concetto di ciò che è salvato (cioè il dato messo al sicuro), ben altro è l’essere umano salvato. Questi non è solo garantito in ciò che ha di più proprio e pertanto è distinto dal mero “dato”, che invece è una sorta di file compilato (non per nulla in tedesco proprio il file è chiamato Datei, leggi datai, cioè «rea-ltà data»). L’essere umano è tale solo in un incontro, in una relazione. La persona è tutta nelle relazioni delle quali vive. Proprio la relazionalità sorregge il senso e la gioia del suo esistere.

L’annuncio di Gesù, già nella sua venuta in questo nostro mondo, è l’annuncio di una relazionalità umana felicemente riuscita. Nel Vangelo è direttamente collegato alla Grazia, termine che esprime tutto ciò e anche qualcosa di più.

Nell’annuncio della sua nascita, diversamente da quanto appare nella traduzione latina, e in quella italiana da essa derivata, nella preghiera più popolare che ci sia, Maria è salutata non con il saluto che si dava all’imperatore, alle autorità o anche agli amici con l’esclamativo «Ave!», bensì con l’invito a rallegrarsi, cioè a gioire (chaîre): a entrare in un circuito di esultanza per un dono gratuito e inatteso. Colei che è piena di grazia (kecharitōménē) è invitata a rallegrarsi perché tutto in lei è frutto ed espressione della «grazia» (cháris), cioè di un dono amorevole quanto sorprendente, che sarà presto annuncio di gioia per tutto il popolo e per ogni uomo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...”. L’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia...» (Lc 1,30-31; 2,10-11).

Il resto del Vangelo, soprattutto quello di Luca, evidenzia la gioia improvvisa e incontenibile che contagia quanti vengono a contatto con Ješhu. A cominciare da Elisabetta e dal suo bambino, che le esulta nel grembo, il futuro Battista. Così esultano ancora due anziani che sembrano essere rimasti in vita per mantenere viva la speranza d’Israele: Simeone e Anna, o i pastori; mentre nel racconto di Matteo, viene detto che i Magi “provarono una grandissima gioia” nel rivedere la stella che indicava il luogo della natività di Gesù.

La stessa gioia è testimoniata dai semplici e dagli umili, dagli infelici e dai peccatori che si sentono aiutati, capiti, perdonati. A gioire sono ancora i bambini e le donne, classi tradizionalmente neglette dalla piena partecipazione alla grazia collegata alle tradizionali benedizioni di Dio. Insomma il cuore del Vangelo è la lieta notizia annunciata ai bisognosi e agli infelici della terra. Il Dio che si dona totalmente, è il Dio che dona illimitatamente la gioia agli uomini. E perché la nostra gioia fosse piena (Gv 15,11), il Figlio di Dio è arrivato umanamente a perdere se stesso.

Perché avessimo una gioia che nessuno avrebbe mai più potuto toglierci, ha permesso che fosse tolta a lui la vita, per riprenderla di nuovo, ma con la conoscenza ormai nella sua carne e nella sua psiche di cosa significhi la morte umana. Di cosa voglia dire la gioia di vivere, di vivere non con il naturale sorriso con cui vive ogni creatura per la stessa gioia dell’esistere, ma di provare e diffondere la gioia di chi conosce la sofferenza e non resta inchiodato alla sofferenza. O al limite, di chi, nonostante le ferite e talora i chiodi mai interamente rimossi della sofferenza, sa sorridere della vita, perché questa è ormai rischiarata da colui che vince la morte e la depressione della sofferenza.

La gioia è dunque uno dei nomi della salvezza, ma di una salvezza che assume di volta in volta nomi nuovi e nomi antichi: riscatto, liberazione, sensatezza, leggerezza dell’esistere... Se la parola non fosse tanto inflazionata, si potrebbe dire che la salvezza altro non è che la felicità. È la felicità nel suo senso etimologico: come abbondanza e fertilità. Possiamo tradurre: come vita sensata che raggiunge il suo scopo e nasce da relazioni benevole, tendenti al bene altrui, trovando negli altri la propria gioia e comunicandola con relazioni che fanno crescere se stessi e gli altri.

In quanto tale, la felicità è simile alla pace e ne è la forma storica: è star bene con sé e con gli altri, con il proprio passato e con il proprio futuro. Perché, soprattutto oggi, c’è bisogno paradossalmente più di ricostruire il futuro che il passato o il presente. Per poterlo fare c’è bisogno di quella gioia consapevole che non si arrende e che non si ripiega su se stessa. Si ritrova nel futuro di una convivenza che non nasconde, ma sa riconoscere e superare i conflitti attraverso uno sguardo d’amore verso ciò che ci è intorno. È uno guardo che viene da lontano e tuttavia tocca la nostra umanità, questa mia e questa tua umanità, quella assunta, attraversata e come divinizzata da quel Gesù che continuamente dà senso a ogni tentativo di superare la violenza con l’amore. È l’unico a dar senso a ogni discorso di pace, anche questo che hai appena finito di leggere.

* MOSAICO DI PACE, LUGLIO 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/1/2013 11.52
Titolo:DIO SI E’ FATTO PAROLA. PARLARE DI CARITÀ SIGNIFICA PARLARE DI GRAZIA
PARLARE DI CARITÀ SIGNIFICA PARLARE DI GRAZIA

SE DIO SI E’ FATTO PAROLA, IO NON POSSO GIOCARE CON LE PAROLE

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I CARISMI

di don Mauro Agreste *

1) OGGI PARLIAMO DEI CARISMI Oggi parliamo dei carismi ed è importante averne una conoscenza un pochino più strutturata, perché come catechisti nelle vostre comunità parrocchiali, ma anche nei gruppi di preghiera, è bene che abbiate una conoscenza il più possibile ampia su questo tema. Tutto sommato è stato lasciato per molti versi ad alcuni gruppi ecclesiali, oppure a degli alti studi universitari nell’Università Pontificia. Il tema dello spirito dei carismi è un tema che fa parte della vita della Chiesa; se ne tratta nel Concilio e nella Lumen Gentium. Al n°12 dice che la Chiesa costituita dal popolo di Dio è per così dire, il luogo in cui si esercitano i carismi, ognuno per la sua propria specificità. Però la maggior parte delle persone, quando sentono dire la parola carisma non è che abbiano molto chiaro in mente di che cosa si tratti, è vero?

2) PAROLA USATA E ABUSATA DA MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA Per di più questa parola è stata usata e abusata da giornalisti, da mezzi di comunicazione di massa non per indicare il significato preciso della parola carisma, quanto invece per indicare la capacità che ha una persona di attirare l’attenzione degli altri in qualunque campo, con la sua propria capacità di emergere sugli altri. Quindi in senso generico la parola carisma o personaggio carismatico all’interno della Chiesa e di alcuni gruppi ecclesiali vieni intuita in un certo modo. All’infuori della Chiesa il personaggio carismatico è un personaggio che ha delle chances in più, ha un savoir faire diverso in tutti i campi, sportivo, politico, ecc. ecc. da emergere e attirare l’attenzione, quasi catalizzando l’attenzione degli altri.

3) CARISMA HA LA STESSA RADICE DELLA PAROLA CARITÀ Ma che cos’è dunque il carisma e da che cosa nasce? Intanto la parola carisma deriva dal greco e come voi potete benissimo accorgervi contiene dentro di sé una radice, charis, che è la stessa radice della parola carità. Ora la parola carità, anche se abbiamo una vaga intuizione, è una parola che ha significati molto complessi e molto profondi, per cui almeno nel nostro linguaggio teologico, non è facile definire la carità semplicemente come un atteggiamento. La carità è prima di tutto una caratteristica di Dio stesso, una caratteristica essenziale, tant’è vero che gli antichi dicevano: Deus est charitas da cui gli antichissimi inni, ubi charitas et amor Deus ibi est, dov’è carità e amore lì c’è Dio. Dunque carità ha in sé questa radice charis, che significa qualche cosa di forte, di caldo, di vivo, di avvolgente. Viene cantato nel Veni Creator, si parla dello Spirito Santo e si dice che lo Spirito Santo è ignis, fuoco, fuoco di carità, fuoco di amore.

4) CARITÀ E AMORE VENGONO SPESSO USATI COME SINONIMI Carità e amore vengono spesso usati come sinonimi per una semplice ragione, sono entrambi concetti estremamente profondi. Se tu dici amore, è sufficiente dire amore per capire tutto ciò che significa la parola amore? No, cioè lo usiamo convenzionalmente però noi sappiamo che l’amore autentico per esprimerlo, per significarlo è molto difficile. Ricordate questa mattina il brano del Vangelo che è stato letto: nessuno ha un amore più grande se non colui che muore per i propri amici. Quindi vedete l’amore coinvolge fino alla donazione della vita. L’amore esige per esempio il concetto, che deve essere chiaro, della capacità di donarsi. Amore e donazione totale coincidono; però quando io dico amore non dico solo donazione totale, dico anche gioia, dico anche situazione di protezione. Una persona che ama è una persona che ne sta proteggendo un’altra; una persona che si sente amata è una persona che si sente protetta. Il concetto di guida: chi ama guida; chi è amato si sente guidato non gettato allo sbaraglio. Voi potete immaginare quale grande significato c’è nella parola amore; viene considerata sinonimo di carità, però entrambe hanno una specificità; che l’amore e la carità sono due realtà vive, coincidono con Dio.

5) PARLARE DI CARITÀ SIGNIFICA PARLARE DI GRAZIA Quindi parlare di carità, significa parlare di grazia, che charis è una traslitterazione, è la radice della parola greca che significa grazia. Che cos’è la grazia? Non è la gentilezza nei movimenti, la grazia è lo Spirito Santo in azione, lo Spirito Santo mentre agisce, lo Spirito Santo che sta agendo. Vieni Padre donaci la tua santa grazia, donaci cioè lo Spirito Santo che agisce dentro di noi. Ricordatevi che anche se avete il concetto chiaro nella mente, quelli che sono davanti a voi fraintendono facilmente, soprattutto queste cose complesse. Quindi dovete avere sempre l’idea di parlare a un bambino di 5 anni e state tranquilli che le persone davanti a voi non si sentiranno umiliate e non vi disprezzeranno se voi parlerete il più semplice possibile.

6) CHIEDI CHE LO SPIRITO SANTO VENGA AD AGIRE DENTRO DI TE Allora, donaci la santa grazia, certo che vuol dire donaci la capacità e la disponibilità a seguire i suggerimenti dello Spirito, però tu chiedi proprio che lo Spirito Santo venga ad agire dentro di te, però non senza di te. Quando invochiamo la grazia di Dio su di noi, invochiamo lo Spirito Santo che venga ad animarci dall’interno, come il lievito che fa lievitare tutta la pasta; il lievito non fa sparire la pasta, la fa solo lievitare; certo se non c’è la pasta puoi mettere anche un chilo di lievito che tanto non lievita niente. Allora quando si dice grazia si dice Spirito Santo in azione. Cosa vuol dire charis? Grazia. Cosa vuol dire grazia? Spirito Santo in azione. Lo Spirito Santo aleggiava sopra le acque informi, quindi lo Spirito Santo era già in azione appena Dio ha fatto esistere qualche cosa, ancora non c’era la luce, ma già lo Spirito Santo era in azione. Lo Spirito Santo agisce continuamente. L’ultimo versetto dell’Apocalisse dice: lo Spirito Santo e la sposa gridano Maranthà, vieni Signore Gesù. Quindi attenzione bene, tutta la Bibbia è contenuta da questa azione di Spirito Santo, dunque, tutta la storia degli uomini è contenuta in questi due punti fondamentali: lo Spirito Santo che aleggia e lo Spirito Santo che anima dicendo vieni. Gli uomini non si accorgono dell’azione dello Spirito Santo.

7) NUTRIRE UNA PARTICOLARE ADORAZIONE DELLO SPIRITO SANTO Allora i catechisti hanno questo compito fondamentale, fra tutti gli altri, di nutrire una particolare adorazione dello Spirito Santo. Dico giusto quando dico adorazione, per una semplice ragione, quale? Perché lo Spirito Santo è Dio. Quindi il catechista che non adora lo Spirito Santo non so che razza di catechista voglia essere. Lo Spirito Santo è la grazia che agisce dentro di noi. Il catechista che si mette al servizio della Chiesa, come fa a mettersi al servizio dicendo l’amore per Gesù se non è lo Spirito Santo a comunicarglielo?

8) PARLARE DI SPIRITO SANTO E DIO COME DUE PERSONE SEPARATE Domanda: questo fatto di parlare di Spirito Santo e Dio come due persone separate, non rischia di confonderci? E quando parliamo del Padre separato dal Figlio, non si rischia di creare dei problemi? Nelle dispense degli anni passati c’è quel disegno molto bello che si riferisce allo schema intuitivo su Dio e le sue tre persone. Dio è Padre, è Figlio e Spirito Santo, un solo Dio, però il Padre non è il Figlio, non è lo Spirito Santo e lo Spirito Santo non è il Padre. È chiaro che la nostra mente è così limitata che noi non riusciamo a capire, possiamo solo contemplare.

9) FACCIAMO PARTE DELLA TRINITÀ Di più ancora. Facciamo parte di questa Trinità, con il Battesimo siamo entrati dentro la Trinità, perché siamo con Gesù una cosa sola. Siamo entrati nella Trinità, però non siamo Dio, siamo esseri umani, però facciamo parte della Trinità. Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; quindi la volontà di Dio è che siamo immersi ( bactizzomai verbo greco che significa essere immersi ) in tutto Dio Padre, in tutto Dio Figlio e in tutto Dio Spirito Santo. Questo vuol dire che dentro di noi c’è tutto Dio Padre, tutto Dio Figlio, tutto Dio Spirito Santo e come lo spieghi questo? Quando tu vai a fare la comunione prendi un’ostia grande così, tu sai che lì dentro c’è il Dio Eterno e Infinito, Signore della storia e dei secoli. Sotto un velo di pane c’è il mistero di tutto ciò che esiste. Possiamo intuire. Come dice l’inno Pange Lingua. Visus tactus gustus in te fallitur, la vista il tatto il sapore falliscono, perché tutto quello che i sensi constatano è fallace, non i sensi ma la fede conosce questa verità. Allora con la fede tu accetti, il mistero lo contempli, però non lo capisci. Perché capire dal latino càpere vuol dire prendere e tenere stretto, contemplare invece significa guardare, ma non da soli, sostenuti. Tu puoi guardare il mistero di Dio da solo, lo puoi contemplare cioè tu puoi entrare nel tempio insieme a qualcuno, contemplare entrare nel tempio insieme a qualcuno. Tu non possiedi il tempio è il tempio che possiede te.

10) IL CATECHISTA DEVE PARLARE UN ITALIANO SEMPLICE E COMPRENSIBILE Attenzione, perché usiamo la lingua, ma non la conosciamo e un catechista non può permettersi questo. Un catechista deve parlare un italiano semplice e comprensibile a quelli che ha di fronte però deve conoscere dieci o venti volte di più di quello che sta dicendo agli altri, se no che cosa sta comunicando? Certamente ai bambini non puoi dire le specificità dei termini che vi sto spiegando, però su tu non conosci il significato delle parole, tu insegnerai delle cose sbagliate e noi non possiamo permetterci di fare questo, se no non stiamo divulgando il Vangelo di Gesù Cristo, ma il Vangelo secondo noi. Quindi ricordatevi, è un servizio fatto a Dio quello anche di essere precisi nel linguaggio che si usa. Siate precisi cercando di conoscere il più possibile il significato delle parole che usate, anche le più comuni. E chiedete allo Spirito Santo che vi dia una struttura logica del pensiero: soggetto, predicato, complemento. Diversamente il vostro discorso non sarà compreso da chi vi ascolta; piuttosto articolate frasi e concetti brevi non un discorso lungo e strutturato. Fate discorsi brevi, frasi brevi, ma che siano chiare.

11) LA CONIUGAZIONE DEI VERBI DEVE ESSERE PRECISA State anche attenti alla coniugazione dei verbi, che deve essere precisa, perché un verbo al condizionale ha un significato diverso da un verbo all’indicativo; perché un verbo all’indicativo indica una realtà, un obbligo imprescindibile, un verbo al condizionale indica una possibilità cioè una dualità di realtà; i congiuntivi sono verbi di consequenzialità; se io nella mente non ho l’idea della consequenzialità delle cose, non userò il congiuntivo, userò l’indicativo e renderò tutto obbligante.

Ricordatevi che abbiamo a che fare con le parole, che noi abbiamo la parola di Dio nella mano e siamo i catechisti, non ci possiamo permettere di giocare con le parole, perché da come io uso le parole, favorisco o freno il passaggio del concetto di Dio. Senza diventare fanatici, senza esagerare, però o prendiamo sul serio il nostro servizio reso a Dio. Quindi tutto quello che dipende da me io cerco di farlo al meglio che posso, oppure facciamo come fanno tanti che improvvisano tutto, vanno avanti e non si rendono conto che stanno giocando con Dio. Se sul Vangelo c’è scritto: in principium erat verbum et verbum erat aput deum et verbum erat deum, allora questo ci fa capire che in principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio.

12) SE DIO SI E’ FATTO PAROLA, IO NON POSSO GIOCARE CON LE PAROLE Se Dio si è fatto la parola che noi possiamo intuire e capire, io posso giocare con le parole? No. Non dico questo perché dobbiamo spaventarci, sentirci colpevolizzati, però sentiamo la necessità di pensare le parole che usiamo e pensare le frasi che usiamo, perché se io devo parlare a dei bambini, dovrò rendere estremamente semplice un discorso difficilissimo. Però usando delle parole che siano giuste, che cerchino di generare meno equivoci possibili, adatte al vocabolario che è in possesso a un bambino di 7-10-12-15 anni, senza mai cedere ad accettare una connotazione di linguaggio che non sia più che dignitosa ed elegante.

13) IL CATECHISTA NON USA MAI PAROLE EQUIVOCHE Se ci sono dei modi di dire che esprimono il concetto di essere arrabbiati in un certo modo, il catechista non li usa mai, neanche quando sta da solo. Se ci sono parole equivoche il catechista si deve abituare non solo a non usarle lui, ma a sentirne ribrezzo quando le sente pronunciare da altri, perché il catechista sta usando con la propria lingua un mezzo di evangelizzazione. Dunque l’apostolo san Giacomo dice nella sua lettera al cap. 4 che chi domina la lingua domina tutto il resto del corpo.

Ora un catechista che non domina la lingua come può produrre negli altri un cambiamento di vita, se le parole che escono da lui sono sporcate da una incapacità di dominare la lingua? Naturalmente quando dico capacità di dominare la lingua non mi riferisco solamente a un linguaggio volgare e pesante, mi riferisco anche a un modo di gestire il linguaggio. Una persona che non è capace a non criticare, una persona dalla cui bocca esce sempre una parola di critica, di giudizio, di condanna, di curiosità, di pettegolezzo ecc. può giustamente essere catechista? Non può. Un catechista che non sente fondamentale dentro di sé l’imperativo di sapere quello che sta dicendo, come lo sta dicendo e non si domanda se le parole che sta usando le capisce prima lui, come fa a spiegarle agli altri?

14) IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE AMARE E AMORE Quante volte abbiamo esaminato il significato delle parole amare e amore. Se un catechista non sa che cosa vuol dire amare, sapete con che cosa lo confonde? Con il romanesco volemose bene. Ma amare non è quello, quello non è amare, quello lì è solo cercare di stare tranquilli, senza prendersi tanti problemi, vero? Invece amare è tutta un’altra cosa. Stamattina abbiamo sentito: dare la vita per i propri amici. Vedete che è estremamente differente. Allora non deve essere così per voi, perché voi avete sentito veramente una chiamata del Signore, se no non sareste qui al sabato mattina.

Però per non perdere tempo né io, né voi e neanche Dio, cerchiamo proprio di capire l’importanza di tutto questo. Quando nelle scuole ci facevano fare l’analisi logica, l’analisi del periodo erano molto importanti; se abbiamo dimenticato tutto questo la prima cosa che dobbiamo fare è chiedere allo Spirito Santo che venga a rispolverare dentro di noi le cose che avevamo studiato allora, che le faccia emergere. Vedrete che lo Spirito Santo vi aiuterà; poi dopo cominciate con l’analizzare il linguaggio che usate, le strutture logiche che usate, se sono chiare.

Ricordatevi che le persone che avete di fronte non sono dentro la vostra mente, dunque loro non sanno esattamente dove voi volete arrivare. Una grande carità che potete fare nei confronti del vostro prossimo, un grande servizio è quello di fare un passettino piccolo alla volta. Non date mai niente per scontato, anche se doveste ripetere cento volte in cento incontri, serve per aiutare quella persona a entrare nel difficile concetto che voi volete dire.

15) DOBBIAMO IMPARARE A PERDONARE Per es.: dobbiamo imparare a perdonare. Che vuol dire perdono? È una parola composta. Dividete a metà la parola, per e dono; quella che capite subito è dono, cosa vuol dire dono? È un regalo, non meritato, perché un dono meritato si chiama premio. Capite perché bisogna essere precisi? Perché se io non dico questo allora il perdono mi diventa un diritto, invece non è un diritto, è un dono, un regalo non meritato; quindi se il regalo non è meritato mi viene fatto perché io sono buono o è buono chi mi fa il regalo? Chi mi fa il regalo. L’altra parola da capire è per che deriva dal greco iper, che vuol dire il più grande; quindi se iper vuol dire il più e donum, regalo, mettendo insieme avete l’insegnamento che dovete fare sul concetto di perdono.

Poi ci potete parlare per sei mesi ai bambini del perdono, però se sapete cosa vuol dire voi insegnate realmente ciò che insegna la Chiesa, non ciò che insegna il mondo: vogliamoci bene perché il Signore è buono e ci perdona, tanto perdona tutto e tutti. No! Il catechista non può fare queste cose, non si può confondere il perdono con un sentimento di piacevolezza e di arrendevolezza, non è così. Allora siamo partiti dal tema dei carismi, la prossima volta ricordatemi che dobbiamo continuare sul significato della parola carisma. Abbiamo appena analizzato la radice charis che vuol dire grazia e che significa Spirito santo in azione.

* UNIONE CATECHISTI. CATECHESI. LEZIONI, 08.10.2005
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/2/2013 21.48
Titolo:La Chiesa-Popolo di Dio secondo il Concilio
La Chiesa-Popolo di Dio secondo il Concilio

di Giordano Frosini

in “Settimana” n. 5 del 6 febbraio 2013

Nella storia del post-concilio in generale e di quello italiano in particolare, il 1985 è un anno di importanza rilevante per due avvenimenti che hanno avuto un influsso notevole e prolungato nella vita della Chiesa sia italiana che universale.

Nel mese di settembre si tenne il secondo convegno delle chiese italiane a Loreto e, solo pochi giorni più tardi, dal 24 novembre all’8 dicembre, si celebrò a Roma il sinodo straordinario a vent’anni dalla fine del concilio Vaticano II. Se si vuole riflettere in profondità oggi, a cinquant’anni dall’inizio dello stesso concilio, sulla storia della ricezione della grande assise ecumenica, non è possibile prescindere né dall’uno né dall’altro avvenimento, almeno in lontananza uniti insieme dallo stesso spirito e da una comune ispirazione.

Del convegno di Loreto si è parlato a sufficienza nel passato, soprattutto per mettere in risalto il cambio di marcia della Chiesa italiana, che conserva ancora, a distanza di quasi quarant’anni, conseguenze ben visibili, tutt’altro che positive, a giudizio di chi scrive. Vogliamo ora mettere in luce quanto avvenne nel sinodo straordinario che, per il suo influsso, va naturalmente ben al di là dei confini e dei problemi della Chiesa italiana e ha suscitato una discussione sulla quale è opportuno ritornare.

Le tre fasi post-conciliari

Normalmente, nella divisione della ricezione post-conciliare in tre tempi, il sinodo viene considerato come la fine del primo periodo e l’inizio del secondo. Il terzo si fa poi cominciare col giubileo del 2000 e si estende fino ai nostri giorni. Di esso si è parlato soprattutto, ma non soltanto, per la vicenda riguardante il concetto di “popolo di Dio”, sostituito, con una sorta di colpo di mano, con la parola “comunione”. Da allora (si veda, per esempio, l’esortazione post-sinodale Christifideles laici), per esprimere l’ecclesiologia del Vaticano II, si parlerà comunemente di Chiesa-mistero, di Chiesa-comunione e di Chiesa-missione: la Chiesa-popolo di Dio praticamente sparisce dal vocabolario usuale anche dei teologi.

Eppure il termine appare addirittura nello stesso titolo del capitolo secondo della costituzione Lumen gentium, in seguito a una scelta ben ponderata dagli attenti padri conciliari, in diretto collegamento col capitolo primo dedicato al mistero della Chiesa. Come dire: il mistero, che nasconde in sé l’intima natura della Chiesa, si realizza concretamente in un popolo, con tutte le caratteristiche che il termine si porta con sé. La scelta proveniva da un uso molto lontano e frequentissimo sia del Primo che del Secondo Testamento, oltre che della liturgia. Un conteggio preciso, compresi connessi e derivati, sarebbe praticamente impossibile. Il sinodo straordinario terminò con una relazione che sostituiva l’ormai consueta esortazione post-sinodale del pontefice, e un messaggio - si direbbe: ironia della sorte - «al popolo di Dio».

Il teologo Walter Kasper, chiamato per l’occasione a fare da segretario, rilasciò quasi immediatamente i suoi ricordi e il suo commento in una piccola pubblicazione, che ci può aiutare molto a ricomporre il dibattito, svoltosi purtroppo in un tempo abbastanza ristretto: Il futuro dalla forza del concilio. Sinodo straordinario dei vescovi 1985 (Queriniana, Brescia 1986).

Suscita un po’ di meraviglia il fatto che la critica e la sostituzione del concetto di popolo siano state fatte proprie e approvate anche da lui, che pure ha dimostrato più tardi di essere capace di grande originalità e di altrettanto coraggio.

La cosa fu mal digerita in un primo tempo, poi però la contestazione lentamente si organizzò dando vita, specialmente nel Sudamerica, ad una reazione di cui dobbiamo prendere pienamente atto.

Questa sostituzione non è per caso un atto indebito su un testo conciliare, nato non proprio immotivatamente e senza adeguata preparazione da parte della grande assemblea?

Per la verità, la lettura del documento finale destava già in principio una certa sorpresa, perché si affermava che «il fine per cui è stato convocato questo sinodo è stato la celebrazione, la verifica e la promozione del concilio Vaticano II», con una precisazione ulteriore: «Unanimemente e con gioia abbiamo verificato anche che il concilio è una legittima e valida espressione e interpretazione del deposito della fede, come si trova nella sacra Scrittura e nella tradizione della Chiesa» (n. 2). Un sinodo può parlare così di un concilio ecumenico, la massima espressione del magistero della Chiesa? Con questo stesso spirito, chiaramente sopra le righe, si sostituisce una delle espressioni centrali del documento conciliare: quella di “popolo di Dio”.

Lo riconosce W. Kasper nel testo prima citato, quando afferma che la relazione introduttiva «denuncia certi arbitri e soggettivismi nel modo di organizzare la liturgia e un modo d’intendere troppo esteriore la partecipazione attiva in campo liturgico, nel senso cioè di una mera cooperazione esterna, invece di un coinvolgimento nel mistero di morte e risurrezione di Gesù Cristo. Constata poi anche un distacco dall’interpretazione scritturistica della tradizione viva e del magistero della Chiesa, anzi una notevole incomprensione della verità oggettivamente data, soprattutto nella sfera della dottrina morale, e anche un certo “cristianesimo di selezione”. Il cuore della crisi è stato individuato nel modo d’intendere la Chiesa.

La qualifica della Chiesa come “popolo di Dio” spesso è stata mal interpretata: la si è isolata dal contesto storico-salvifico della Scrittura e spiegata a partire dal senso naturale, o politico di “popolo di Dio”. Talvolta anche il dibattito sulla democratizzazione della Chiesa ha subito l’ipoteca di tale malinteso». Così, la relazione finale poteva affermare: «L’ecclesiologia di comunione è l’idea centrale e fondamentale nei documenti del concilio». Una frase certamente accettabile, ma in altro contesto, quello direttamente inteso dai padri conciliari. Era proprio necessario, per evitare i malintesi e le erronee interpretazioni del post-concilio, mettere in disparte il concetto di popolo? Non si potevano evitare gli inconvenienti denunciati purificando l’acqua sporca senza buttare via insieme anche il bambino? La questione è così posta nel suo significato fondamentale e il dibattito che ne seguì di conseguenza, all’interno e all’esterno del sinodo, è colto alla sua radice.

La rivolta dei teologi

I teologi che non vorranno accettare il cambiamento sinodale avranno buon gioco a mostrare i danni che da questo possono derivare e di fatto, almeno alcuni tutt’altro che secondari, sono derivati nella concezione e nella vita della Chiesa. Una constatazione che rende ancora più discutibile, in certo modo anche più grave, l’operazione condotta dai padri sinodali, già in questione per avere indebitamente corretto in un punto importante il pensiero del concilio sottoposto alla loro analisi. Si tratta di un vero e proprio cortocircuito teorico e pratico, per il quale è necessario non rassegnarsi. I vantaggi derivanti dalla dottrina conciliare erano stati ben individuati anche dai primi commentatori della costituzione Lumen gentium, come G. Philips, O. Semmelroth, Y. Congar.

Sostanzialmente tutto nasce dalla considerazione della Chiesa come soggetto storico, «l’ultima fase definitiva dell’alleanza bilaterale, che Dio ha stretto col popolo da lui salvato», la comunità escatologica che «peregrina nella storia come un giorno il popolo eletto peregrinò nel deserto avviandosi verso la terra promessa», l’incarnazione storica del mistero provvidenzialmente messo al centro della stesura del primo capitolo.

Aspetti certamente non del tutto ignoti anche prima della celebrazione del concilio. «Questa presentazione teologica - aggiungeva Semmelroth - non vuole affatto sostituire la dottrina della Chiesa quale corpo mistico del Signore con quella di popolo di Dio. Intende piuttosto integrarla, perché l’essenza della Chiesa è così complessa da non poter essere esaurita né da una definizione logica né da un’unica immagine».

Anzi, la priorità del concetto di popolo rispetto all’immagine del corpo sottolinea ancora meglio uno dei motivi principali, se non il principale, della scelta dei padri conciliari, che è quello dell’affermazione dell’uguaglianza sostanziale fra tutti i membri della Chiesa, il motivo che aveva già consigliato lo spostamento del capitolo dedicato alla gerarchia dal secondo al terzo posto.

Anche nella triade privilegiata fra le diverse immagini della Chiesa (popolo di Dio, corpo di Cristo, tempio dello Spirito Santo), precede il concetto di popolo, non soltanto per un motivo di carattere trinitario, ma anche perché il corpo mette in luce la diversità delle membra, della quale si parla soltanto dopo aver assicurato la sostanziale uguaglianza fra tutti i battezzati: la diversità dei carismi e dei ministeri non deve ostacolare quel concetto che il n. 32 della Lumen gentium esprimerà con icastica solennità con le note parole: «Quantunque alcuni per volontà di Cristo sono costituiti dottori e dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, vige fra tutti una vera uguaglianza (vera aequalitas) riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il corpo di Cristo». L’aggiunta dell’aggettivo, di per sé non necessario, dà all’espressione una forza e un rilievo singolari.

Certo, fra le caratteristiche del popolo di Dio non andrà mai dimenticata la comunione, che lega essenzialmente la Chiesa al suo fondatore e Signore e, di conseguenza e nella stessa maniera, tutti i membri componenti fra di loro.

Comunione però non è una sostanza, non indica un soggetto; in termini aristotelici, dovrebbe essere catalogata fra gli accidenti. Dunque, più un aggettivo che un sostantivo. Oltretutto, fra le caratteristiche del popolo tutto quanto sacerdotale, il testo conciliare enumera anche la potenziale capacità di raccogliere «tutti gli uomini» di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Ogni uomo è ordinato al popolo di Dio e ogni nazione è parte potenziale del regno universale di Cristo. Anzi, di più, «questo carattere di universalità che adorna e distingue il popolo di Dio è dono dello stesso Signore, e con esso la Chiesa cattolica efficacemente e senza soste tende ad accentrare tutta l’umanità, con tutti i suoi beni, in Cristo capo nell’unità dello Spirito di lui» (LG 13). Una potenzialità che incipientemente e misteriosamente prende forma e attualità già nei giorni della storia.

Sulla stessa linea Congar, per il quale il concetto di popolo di Dio mette «in risalto alcuni valori biblici fondamentali e l’orientamento globale verso il servizio missionario del mondo, cosa che risalta già dalle prime parole della costituzione dogmatica Lumen gentium: 1) una prospettiva di storia della salvezza, cioè una prospettiva escatologica; 2) l’idea di un popolo in cammino, in condizioni di itineranza; 3) l’affermazione di una relazione con tutta l’umanità, essa stessa in via di unificazione, e alla ricerca, tra mille difficoltà, di una maggiore giustizia e pace».

Può il concetto di comunione conservare e mettere in evidenza tutte le caratteristiche che il concetto di popolo si porta con sé? Esso possiede una vera ricchezza di significati difficilmente reperibili altrove ed esprimibili diversamente. Popolo come soggetto eminentemente attivo su tutto il fronte dell’attività della Chiesa: un popolo sacerdotale, quindi, profetico e regale. Un ottimo schema di lavoro, di riflessione teologica, di catechesi.

La critica più aspra e decisa, come abbiamo già detto, proviene dal Sudamerica. Ad essa ha dato voce sistematica il teologo belga-brasiliano Joseph Comblin in un libro tradotto anche in italiano, dal titolo originale O povo de Deus (Il popolo di Dio, Servitium/Città aperta, Troina - Enna - 2007), pubblicato nel 2002, «in previsione del nuovo pontificato», come afferma lo stesso autore nelle prime parole dell’introduzione.

«Le critiche al Vaticano II - afferma l’autore - condussero il sinodo del 1985 semplicemente a eliminare il concetto di “popolo di Dio”, sostituendolo con il concetto di comunione, come se questo avesse la medesima risonanza e come se i due fossero alternativi. La conseguenza fu immediata, anche se non sappiamo se fu intenzionale o no». Una categoria troppo sociologica? Ma «la sociologia praticamente non usa mai il concetto di popolo e teme di usarlo».

Perché allora questo timore? Naturalmente la critica di Comblin è condotta secondo gli schemi e il linguaggio della teologia della liberazione e raggiunge il suo vertice con l’affermazione che la scelta del termine comunione potrebbe facilmente far rientrare dalla finestra ciò che è stato messo felicemente fuori dalla porta, imponendo in pratica la comunione come ubbidienza al volere e al pensiero della gerarchia, eliminando o rendendo comunque difficile il contributo da parte del rimanente popolo di Dio. Comunque «il tema della comunione non esclude il tema del popolo di Dio né deve prendergli il posto. Il concetto di comunione è molto più ristretto che il concetto di popolo. Il popolo è una forma di comunione, ma include molti più elementi che il concetto di comunione». Parole, queste ultime, sulle quali non è difficile trovarsi d’accordo.

Il pensiero di Pino Colombo

È questo il pensiero di non pochi altri teologi, fra cui merita di essere ricordato S. Dianich, che in vario modo e da diversi punti di vista hanno sottoposto a motivata critica il cambiamento del testo conciliare.

Ma vorremmo ricordare in particolare il teologo milanese recentemente scomparso Giuseppe Colombo, insospettato sulla base del suo pensiero teologico e meticoloso al massimo nel ricostruire e discutere le diverse concezioni prese in esame.

Ci riferiamo in questo momento soprattutto a un suo contributo pubblicato di recente negli studi in onore di S. Dianich (Ecclesiam intelligere, Dehoniane, Bologna 2012), da considerarsi l’ultimo suo intervento sul nostro problema, aggiornato anche ad una successiva presa di posizione del card. Kasper.

Ricostruita con precisione la vicenda in questione, dopo aver ricordato che «sulla sostituzione di “comunione” a “popolo di Dio”, la Relazione non dice una parola», rimane a noi il diritto di domandarci «perché il sinodo abbia ignorato completamente la nozione di “popolo di Dio”, liberandosi così del dovere di fornire una qualsiasi spiegazione». Anche se, come si afferma, la nozione in questione è stata corrotta, politicizzata, socializzata fino a perdere ogni riferimento alla Chiesa, «la domanda è se la reazione debba spingersi a espungere totalmente dai testi del magistero la nozione di “popolo di Dio”», finendo col porre in questo modo, oltre che un problema storico (perché abbandonare la scelta dei padri conciliari?), un problema teorico di notevole importanza.

Secondo il pensiero dell’autore, mentre «“popolo di Dio” indicherebbe la svolta dell’ecclesiologia del Vaticano II», il concetto di comunione è visto in funzione della collegialità, cioè del rapporto papa-vescovi. «Non è possibile vedere, “oltre” la collegialità e (estendendo la nozione) “oltre” la comunione, il “popolo di Dio” conservandolo nella sua nozione propria, invece di rifiutarlo come una nozione inaccettabile? Di fatto sembra che al sinodo esso sia stato considerato come un’alternativa.

È quindi da chiedersi se, rispetto al “popolo di Dio”, la nozione di “comunione” non stacchi la Chiesa dal mondo, ritraendola in se stessa, sui suoi problemi interni (collegialità, conferenze episcopali, problemi dei laici, vocazione universale alla santità). Nessuno può contestare l’importanza e l’urgenza di questi problemi, ma l’insistente ed esclusivo richiamo ad essi sembrano costituire una penalizzazione evidente rispetto all’apertura al mondo del “popolo di Dio”». Di nuovo, e per altro verso, un ritorno al passato, questa volta per motivi esterni piuttosto che interni, ma sempre fondamentali nella mente dei padri conciliari e nei documenti ai quali essi dettero vita.

Su questo sfondo - continua il teologo milanese - c’è anche da considerare che ai paesi del terzo mondo e dei cosiddetti paesi emergenti va riconosciuto il diritto di elaborare una teologia autoctona, senza imporre loro le linee della teologia occidentale. «In ogni caso, la Chiesa come “comunione” è l’ecclesiologia del sinodo straordinario 1985, non è l’ecclesiologia del concilio Vaticano II, che - salvo meliori iudicio - è quella del “popolo di Dio”». Per questo è meglio tenere distinti il concilio e il sinodo, anche dopo i più recenti tentativi di mantenerli uniti di Kasper e Pottmeyer.

Un necessario recupero

Dopo avere ascoltato le diverse opinioni, una scelta si impone anche per noi. Omnibus perpensis, sembra giusto rispettare la scelta conciliare, a cui i padri arrivarono dopo una riflessione serena e matura durante le sedute assembleari e in non pochi casi anche in precedenza. Essa fa corpo con la scelta fondamentale di evidenziare, prima delle specificazioni, l’elemento unificante di tutte le componenti della Chiesa. Non si perde niente di quanto porta con sé il concetto di comunione e l’incombente immagine di corpo mistico, ma non si può negare che l’intenzione del concilio sia quella di chiamare a raccolta l’intero popolo cristiano e di fare appello al suo comune senso di responsabilità. È bene che questa vocazione risuoni e risplenda chiaramente nel termine stesso scelto avvedutamente dal concilio.

A norma di logica ecclesiale, nessuno ha diritto di cambiare il pensiero e i termini destinati a veicolarlo di un concilio ecumenico, che rimane l’espressione massima dell’insegnamento della Chiesa. Se il concetto di popolo è stato deteriorato da immissioni d’altro genere, si può sempre ricorrere a una sua purificazione, senza metterlo totalmente o quasi in disparte. C’è piuttosto da pensare, in questa fase di stanca della ricezione conciliare, a un suo richiamo perentorio perché la comunità cristiana partecipi attivamente e responsabilmente ai compiti che un concilio coraggioso e innovatore ha ad essa consegnato.

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Commenti Articolo 607

Titolo articolo : ALLA RADICE DEL CATTOLICESIMO RATZINGERIANO: LA "DONAZIONE DI PIETRO" E LA "DONAZIONE DI COSTANTINO". Una nota di Federico La Sala,

Ultimo aggiornamento: February/01/2013 - 21:43:35.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/1/2013 15.42
Titolo:Una nota sull’incontro di Ciampi e Benedetto XVI ....
SUBITO UN NUOVO CONCILIO !!!

di Federico La Sala

Una nota sull’incontro di Ciampi e Ratzinger

*

Se fossi nei panni di Papa Benedetto XVI e ... avessi ancora un po' di dignità di uomo, di studioso, di politico, e di cristiano – oltre che di cattolico, dopo l'incontro di ieri con il Presidente della Repubblica Italiana, di fronte all'elevato ed ecumenico discorso di Carlo Azeglio Ciampi (lodevolmente, L'Unità di oggi, 25.06.2005, a p. 25, riporta sia il discorso del Presidente Ciampi sia di Papa Benedetto XVI), considerato il vicolo cieco in cui ho portato tutta la 'cristianità' (e rischio di portare la stessa Italia), prenderei atto dei miei errori e della mia totale incapacità ad essere all'altezza del compito di "Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale", chiederei onorevolmente scusa Urbe et Orbi, e ....convocherei immediatamente un nuovo Concilio!!!

* Il Dialogo, Sabato, 25 giugno 2005:

http://www.ildialogo.org/filosofia/nuovo25062005.htm
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/1/2013 15.43
Titolo:PAROLA A RISCHIO Risalire gli abissi ...
PAROLA A RISCHIO
Risalire gli abissi
La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
Perché è sorriso, liberazione, gioia.

di Giovanni Mazzillo (Teologo) *

G come gioia, come Gesù, respiro di gioia per tutti gli infelici della terra. Parliamo di Gesù, il cui corrispondente nome greco Iesoûs deriva direttamente dall’originale ebraico Je(ho)šhu e significa JHWH salva, per precisare immediatamente che il termine salvezza oggi non significa gran che per i nostri contemporanei, e di conseguenza risuona poco interessante persino quel nome, pur originariamente portatore di una gioia immensa e inaudita. Ciò avviene non solo per l’inevitabile logorio delle parole più usate e talora abusate, ma per il fatto che ha perso rilevanza e pertanto significato il valore stesso della “salvezza”.

Salvezza
Salvezza da chi e/o da che cosa? Appunto, è questo il primo problema. La salvezza appare di primo acchito un concetto immediatamente derivato dal superamento di una situazione negativa, Si salva, o come succede in questo caso, viene salvato, qualcuno che si trova in una situazione di pericolo. Il pericolo di perdere qualcosa, di perdere se stesso. Di essere cancellato, di sparire, appunto come sparisce da un computer un testo non “salvato” o un’immagine non messa al sicuro. Ma essere salvati è per noi persone umane, e pertanto non riducibili a una traccia di codificazione binaria o algoritmica, molto di più che conservare un’impronta e una presenza. Coerentemente con la nostra realtà dinamica e relazionale, essere salvati significa avere un luogo, un senso, una rilevanza nel contesto di una realtà che giustifica, sorregge, garantisce il mantenimento e la crescita qualitativa, e pertanto il conseguente riconoscimento di un originario, inalienabile, imprescindibile valore personale.

La domanda «Chi o che cosa si può dire oggi salvato?» esige pertanto una primordiale differenziazione. Altro è il concetto di ciò che è salvato (cioè il dato messo al sicuro), ben altro è l’essere umano salvato. Questi non è solo garantito in ciò che ha di più proprio e pertanto è distinto dal mero “dato”, che invece è una sorta di file compilato (non per nulla in tedesco proprio il file è chiamato Datei, leggi datai, cioè «rea-ltà data»). L’essere umano è tale solo in un incontro, in una relazione. La persona è tutta nelle relazioni delle quali vive. Proprio la relazionalità sorregge il senso e la gioia del suo esistere.

L’annuncio di Gesù, già nella sua venuta in questo nostro mondo, è l’annuncio di una relazionalità umana felicemente riuscita. Nel Vangelo è direttamente collegato alla Grazia, termine che esprime tutto ciò e anche qualcosa di più.

Nell’annuncio della sua nascita, diversamente da quanto appare nella traduzione latina, e in quella italiana da essa derivata, nella preghiera più popolare che ci sia, Maria è salutata non con il saluto che si dava all’imperatore, alle autorità o anche agli amici con l’esclamativo «Ave!», bensì con l’invito a rallegrarsi, cioè a gioire (chaîre): a entrare in un circuito di esultanza per un dono gratuito e inatteso. Colei che è piena di grazia (kecharitōménē) è invitata a rallegrarsi perché tutto in lei è frutto ed espressione della «grazia» (cháris), cioè di un dono amorevole quanto sorprendente, che sarà presto annuncio di gioia per tutto il popolo e per ogni uomo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...”. L’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia...» (Lc 1,30-31; 2,10-11).

Il resto del Vangelo, soprattutto quello di Luca, evidenzia la gioia improvvisa e incontenibile che contagia quanti vengono a contatto con Ješhu. A cominciare da Elisabetta e dal suo bambino, che le esulta nel grembo, il futuro Battista. Così esultano ancora due anziani che sembrano essere rimasti in vita per mantenere viva la speranza d’Israele: Simeone e Anna, o i pastori; mentre nel racconto di Matteo, viene detto che i Magi “provarono una grandissima gioia” nel rivedere la stella che indicava il luogo della natività di Gesù.

La stessa gioia è testimoniata dai semplici e dagli umili, dagli infelici e dai peccatori che si sentono aiutati, capiti, perdonati. A gioire sono ancora i bambini e le donne, classi tradizionalmente neglette dalla piena partecipazione alla grazia collegata alle tradizionali benedizioni di Dio. Insomma il cuore del Vangelo è la lieta notizia annunciata ai bisognosi e agli infelici della terra. Il Dio che si dona totalmente, è il Dio che dona illimitatamente la gioia agli uomini. E perché la nostra gioia fosse piena (Gv 15,11), il Figlio di Dio è arrivato umanamente a perdere se stesso.

Perché avessimo una gioia che nessuno avrebbe mai più potuto toglierci, ha permesso che fosse tolta a lui la vita, per riprenderla di nuovo, ma con la conoscenza ormai nella sua carne e nella sua psiche di cosa significhi la morte umana. Di cosa voglia dire la gioia di vivere, di vivere non con il naturale sorriso con cui vive ogni creatura per la stessa gioia dell’esistere, ma di provare e diffondere la gioia di chi conosce la sofferenza e non resta inchiodato alla sofferenza. O al limite, di chi, nonostante le ferite e talora i chiodi mai interamente rimossi della sofferenza, sa sorridere della vita, perché questa è ormai rischiarata da colui che vince la morte e la depressione della sofferenza.

La gioia è dunque uno dei nomi della salvezza, ma di una salvezza che assume di volta in volta nomi nuovi e nomi antichi: riscatto, liberazione, sensatezza, leggerezza dell’esistere... Se la parola non fosse tanto inflazionata, si potrebbe dire che la salvezza altro non è che la felicità. È la felicità nel suo senso etimologico: come abbondanza e fertilità. Possiamo tradurre: come vita sensata che raggiunge il suo scopo e nasce da relazioni benevole, tendenti al bene altrui, trovando negli altri la propria gioia e comunicandola con relazioni che fanno crescere se stessi e gli altri.

In quanto tale, la felicità è simile alla pace e ne è la forma storica: è star bene con sé e con gli altri, con il proprio passato e con il proprio futuro. Perché, soprattutto oggi, c’è bisogno paradossalmente più di ricostruire il futuro che il passato o il presente. Per poterlo fare c’è bisogno di quella gioia consapevole che non si arrende e che non si ripiega su se stessa. Si ritrova nel futuro di una convivenza che non nasconde, ma sa riconoscere e superare i conflitti attraverso uno sguardo d’amore verso ciò che ci è intorno. È uno guardo che viene da lontano e tuttavia tocca la nostra umanità, questa mia e questa tua umanità, quella assunta, attraversata e come divinizzata da quel Gesù che continuamente dà senso a ogni tentativo di superare la violenza con l’amore. È l’unico a dar senso a ogni discorso di pace, anche questo che hai appena finito di leggere.

* MOSAICO DI PACE, LUGLIO 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/1/2013 16.08
Titolo:EDITTO DI COSTANTINO (321 d. C.)
Ecco perché Costantino non fu tollerante

risponde Corrado Augias (la Repubblica, 9.11.2012)

Caro Augias,

vari quotidiani, dando notizia della mostra milanese su Costantino, hanno titolato sulla sua “tolleranza”. Vorrei ricordare che fu proprio Costantino il padre dell’antisemitismo. Egli emanò, l’11 dicembre 321, l’editto Codex Judaeis, prima legge penale antiebraica, segnando così l’inizio di una persecuzione e del tentativo di genocidio degli ebrei. L’editto definiva l’ebraismo: “secta nefaria, abominevole, feralis, mortale” e formalizzava l’accusa di deicidio. Da allora, il processo antisemitico non s’è più interrotto, ad eccezione del breve periodo di reggenza dell’imperatore Giuliano detto (a torto) l’Apostata.

I successivi imperatori introdussero le Norme Canoniche dei Concili nel Codice Civile e Penale. Con Costantino II, Valentiniano e Graziano, dal 321 al 399 d.C., una serie spietata di leggi ha progressivamente e drasticamente ridotto i diritti degli ebrei.
Si condannava ogni ebreo ad autoaccusarsi di esserlo: in caso contrario c’erano l’infamia e l’esilio. Proibito costruire sinagoghe. Leggi contro la circoncisione. Obbligo di sepoltura in luoghi lontani e separati da quelli cristiani. Altro che tolleranza, c’è un limite anche alla falsificazione della storia.
-Arturo Schwarz

La mostra milanese celebra i 17 secoli che ci separano dalla promulgazione di quell’editto di Milano (313 e.v.) con il quale il grande imperatore rendeva il cristianesimo “religio licita”, dopo che per secoli i suoi seguaci erano stati perseguitati. Le ragioni del provvedimento, al di là delle letture agiografiche, furono ovviamente politiche: l’impero tendeva a spaccarsi, la nuova religione parve un “collante” più efficace dei vecchi culti. Costantino peraltro conservò per tutta la vita il titolo “pagano” di pontifex maximus e si convertì al cristianesimo solo in punto di morte.

Né il suo comportamento personale ebbe nulla di veramente cristiano (fece uccidere moglie e figlio) anche se gli ortodossi lo hanno santificato. Quel che più conta, considerata la lettera del signor Schwarz, fu il suo fiero antigiudaismo. Arrivò a definire quella religione “superstitio hebraica” contrapponendola alla “venerabilis religio” dei cristiani. Presiedette, da imperatore, e diremmo da “papa”, il fondamentale Concilio di Nicea (325).

Soprattutto aprì la strada all’unificazione dei due poteri, temporale e religioso, in uniche mani. All’inizio furono quelle dell’imperatore, cioè le sue, col passare degli anni diventarono quelle del pontefice romano. Alla fine di quello stesso IV secolo il percorso si concluse quando un altro imperatore, Teodosio I, proclamò il cristianesimo religione di Stato, unica ammessa, facendo così passare i cristiani dal ruolo di perseguitati a quello di persecutori di ogni altro culto, ebrei compresi.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/2/2013 15.55
Titolo:Sul primato di Pietro . Intervista a Fulvio Ferrario,
Sul primato di Pietro

intervista a Fulvio Ferrario,

a cura di Paola Cavallari e Lucia Scrivanti

in “Esodo” n° 4, dell’ottobre-dicembre 2010

Paola Cavallari e Lucia Scrivanti, della redazione di Esodo, hanno intervistato il pastore Fulvio Ferrario, docente di teologia presso la facoltà valdese di Roma, impegnato nel terreno dell’ecumenismo, intorno a storici terreni di dibattito e a interpretazioni della Parola tuttora non condivise tra le chiese cristiane, ostacolo a quell’unità fra credenti in Cristo Gesù, che rappresenta una delle principali condizioni (la condizione fondamentale?) per una credibile testimonianza. Questo è infatti il comandamento del Maestro prima della sua morte: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,34-35). Sullo stesso argomento dell’intervista a Fulvio Ferrario, nel prossimo numero della rivista verrà presentato un intervento di un teologo cattolico.

-La prima questione che ti poniamo è un commento al passo di Matteo 16,18 ("E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa") - un commento da te, pastore valdese e affermato professore di teologia.

La teologia protestante e quella cattolica hanno da tempo acquisito che la figura di Pietro, già prima, e sicuramente dopo la morte di Gesù, ha svolto un ruolo preminente all’interno del gruppo più stretto intorno al Signore. Prima della Pasqua, troviamo nella tradizione sinottica il fatto che Pietro è il portavoce del gruppo dei dodici, e che comunque svolge un ruolo di preminenza. Dopo la Pasqua, Pietro è il primo nelle liste delle apparizioni, e tutto lascia pensare che l’iniziativa di ricostituire il gruppo dei discepoli dopo la morte di Gesù risalga a Pietro.

-Un consenso trasversale tra protestanti e cattolici? Non sussistono problemi di interpretazione?

Sì. Questo consenso non conosce al suo interno delle differenziazioni confessionali, perché da tempo l’esegesi a livello scientifico si è emancipata dalle ipoteche confessionali. Ma qui finisce il piano della constatazione storica.

I problemi dei protestanti non sono con Pietro, sono con il pontefice romano Benedetto XVI. Cominciano con l’idea di successione. La domanda è se la figura di Pietro come tale, e il ruolo che Pietro ha avuto possano ammettere l’idea di una successione; se il ruolo di Pietro non si sia esaurito con Pietro.

Il passo che lega a Pietro l’idea della custodia di una tradizione relativa a Gesù: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa", certamente, dal punto di vista di chi l’ha scritto, non prevede che altre persone esercitino lo stesso ruolo dopo Pietro. Quello che si vuol dire, invece, è che la tradizione su Gesù è legata al nome di questo testimone.

Prova ne sia che il passo di Matteo è riferito al vescovo di Roma solo a partire dal III secolo. Per 250 anni a nessuno è venuto in mente di legare il passo di Matteo su Pietro alla figura del vescovo di Roma. In una prima fase, a Roma non c’è stato un monoepiscopato; nel I secolo a Roma la chiesa era una rete di gruppi governata da un collegio di presbiteri. Il monoepiscopato, l’idea cioè di un vescovo unico in una chiesa locale, si stabilisce a Roma relativamente tardi.

Poi, dopo la morte di Ignazio di Antiochia - che è colui che dall’oriente importa in occidente l’idea dell’episcopato unico - a Roma vediamo apparire il vescovo.

Passano ancora cent’anni circa e, a questo punto, la sede romana rivendica una sorta di primato tra le chiese. È questa la fase in cui si passa dal greco al latino, come lingua ufficiale della chiesa, ed è anche la fase in cui il vescovo di Roma si comprende come successore di Pietro. Egli inizia a citare il passo petrino come testimonianza di una particolare autorità del vescovo di Roma.

La chiesa di Roma, prima d’allora, era comunemente definita la chiesa di Pietro e di Paolo, con riferimento al fatto che entrambi erano morti martiri a Roma. Nel III secolo essa inizia a essere chiamata la chiesa di Pietro - non più di Pietro e Paolo. Si osserva un’esigenza di legare un mito di fondazione alla funzione di accentramento della figura dirigente. Questo è il quadro.

Il testo di Matteo non ha nulla a che vedere con la questione confessionale relativa al papato come funzione primaziale del vescovo di Roma. Stupisce che - dopo tutto quello che l’esegesi ci ha spiegato - in alcuni testi ancora oggi - penso, ad esempio, all’enciclica Ut unum sint di Giovanni Paolo II - la rivendicazione del primato del vescovo di Roma venga motivata con riferimento al passo petrino.

-Se capiamo bene, allora, l’esegesi scientifica, sia cattolica, sia protestante, attesta che, dopo la morte di Pietro come guida nel primo periodo - guida motivata dalle stesse parole di Gesù - ci sia stata una sorta di eclisse del modello monocratico, che riemergerà dopo secoli nel monoepiscopato...

È tutto diverso. L’evangelo di Matteo fa un discorso sulla persona di Pietro. La persona di Pietro muore a Roma verosimilmente sotto Nerone. Il Nuovo Testamento non è in alcun modo nemmeno sfiorato dall’idea che esista qualcosa come una successione a Pietro in una funzione. Questo può essere letto solo in lavori che non hanno un carattere scientifico. Negli altri, invece, si sostiene che il Nuovo Testamento non ha alcuna idea di una successione alla figura di Pietro. O, più spesso, non si affronta nemmeno il tema.

A Roma non c’era un vescovo - una persona singola - ma un collegio. L’idea che una successione a Pietro godrebbe delle prerogative e delle promesse associate al passo matteano di Gesù è, lo ripeto, del III secolo. Cioè nasce ed è documentata per la prima volta in una fase tardiva, nella quale la chiesa di Roma rivendica un primato rispetto alle altre chiese.

-Quale sarebbe stata allora l’esigenza per cui Gesù avrebbe pronunciato la famosa frase del passo matteano, creando così il "primato" di Pietro?

Non possiamo più risalire all’intenzione del Gesù della storia. Quello che possiamo dire è che Matteo, nel momento in cui scrive il vangelo, cioè più o meno 50 anni dopo la morte di Gesù, intende affermare che le tradizioni relative a Gesù che si richiamano a Pietro - cioè che sarebbero state tramandate da Pietro e dai suoi seguaci - dispongono di una particolare autorevolezza. È verosimile, in base a criteri di critica storica, che Pietro abbia svolto una funzione particolare nel gruppo di persone più vicine a Gesù.

-Ci può essere qualche legame con il conflitto Pietro/Paolo nel cosiddetto concilio di Gerusalemme?

La questione non era tanto tra Pietro e Paolo, i quali si sono scontrati in un’altra disputa ad Antiochia, relativa alla partecipazione dei non cristiani di origine ebraica alla cena. Il conflitto era tra Paolo e i giudei cristiani, cioè tra Paolo e i cristiani di origine ebraica/palestinese di Gerusalemme. Paolo era uno dei cristiani ebrei di lingua greca: si trattava dei cosiddetti ellenisti, come li chiama il libro degli Atti. I cristiani palestinesi (di lingua greca) erano i "progressisti", per così dire, invece i cristiani di lingua aramaica erano il partito conservatore; essi pensavano che, siccome Gesù era nato ebreo ed era ebreo, per diventare cristiani occorresse diventare ebrei, cioè farsi circoncidere; Paolo li chiama anche giudaizzanti. Questo era lo scontro.

Paolo si reca a Gerusalemme, Pietro assume, per quel che noi ne possiamo sapere soprattutto da quanto possiamo dedurre dalle epistole di Paolo - infatti il libro degli Atti è assai successivo alla fonte -, il ruolo di mediazione tra il partito giudeo palestinese duro, che viene identificato sempre col nome di Giacomo - Paolo lo chiama il fratello del Signore - e Paolo stesso.

In mezzo c’è Pietro, che in qualche modo cerca di mediare. Ma il ruolo primaziale nella comunità di Gerusalemme, se mai ce n’è stato uno, non era di Pietro ma di Giacomo, per quel che noi possiamo capire in base alla testimonianza di Paolo.

Tutta la discussione relativa al primato di Pietro non si situa nel contesto di Gerusalemme, ma già dopo il trasferimento di Pietro a Roma. La questione Pietro/Paolo non è la più lacerante. Appare invece evidente una dicotomia Paolo/Giacomo. Ad un certo punto, Pietro si schiera, in una discussione ad Antiochia - sempre secondo Paolo - troppo dalla parte di quelli di Giacomo, e questo crea uno scontro tra i due.

-Ma allora sorge una domanda: non avrebbe dovuto essere Pietro questo “capo” della comunità, secondo quanto abbiamo detto prima?

Non è questo il punto, perché la tradizione che pone in luce Matteo si sviluppa altrove. Non bisogna pensare a Gerusalemme come ad un centro da cui tutto si dipana. Il conflitto tra Giacomo e Paolo si verifica prima che venga scritto l’Evangelo di Matteo. Non solo, ma l’Evangelo di Matteo non si sa dove sia stato scritto, pensiamo alla Siria; quindi da un’altra parte.

La tradizione relativa al primato di Pietro - tradizione che si consolida nell’Evangelo di Matteo, e il riferimento c’è solo in Matteo - non gioca alcun ruolo nella disputa tra Paolo e Giacomo. Paolo non ne sa nulla. Non c’è nessun passo nelle lettere di Paolo, da cui noi apprendiamo che Pietro sia stato investito di una particolare responsabilità da parte di Gesù.

C’è un errore di prospettiva nella domanda, che deriva da questo presupposto: all’origine c’è il passo petrino, che è precedente a tutto, poi viene il resto...

In un certo senso ci troveremmo di fronte ad un presupposto vero perché, se l’avesse detto Gesù - ma non possiamo ricostruire se storicamente sia così - l’avrebbe detto prima. Però quello che noi conosciamo è una tradizione filtrata dalla teologia di Matteo. E il Vangelo di Matteo è stato scritto ben dopo le dispute tra Paolo e Giacomo. Ben dopo l’invio o l’andata di Pietro a Roma, ben dopo la morte di Pietro.

-Ora vorremo sapere un tuo parere sul dogma dell’infallibilità papale.

Il dogma dell’infallibilità papale viene definito nel 1870, in un momento in cui Roma sta per essere attaccata dall’esercito italiano. Il Concilio Vaticano I° viene interrotto a motivo della presa di Roma da parte dei bersaglieri dell’esercito italiano. Rappresenta il culmine di un processo iniziato con la controriforma, ma che ha avuto una accelerazione nell’800 col papato di Pio IX. Roma vuol accentuare il peso della tradizione, contrapponendosi al Sola scriptura dei protestanti. Roma si richiama così ad una tradizione orale che sarebbe antecedente alla Scrittura. Col tempo questa tradizione viene identificata col magistero ecclesiastico: esso sarebbe il custode della tradizione, e il magistero ecclesiastico viene poi identificato col papato.

Il dogma del 1870 è un frutto del cosiddetto ultramontanismo, di quel movimento centrato sulla autorità del papa, che pretende di resistere all’illuminismo, al liberalismo, insomma alla modernità. I dogmi del Vaticano I sono due: l’infallibilità dottrinale del papa quando parla ex cathedra, e il primato di giurisdizione del pontefice romano. Quindi un’estrema personalizzazione e accentramento del ministero, dell’autorità in ambito dottrinale e morale.

-E un commento protestante?

Il fenomeno rappresenta il punto di vertice di un processo di lievitazione incontrollata dalla funzione del vescovo di Roma. È un lungo percorso, le cui tappe sono, ad esempio, prima Leone Magno, poi Gregorio VII, quindi Innocenzo III, la Controriforma, eccetera. Ma certamente il papato della Riforma, quello con cui polemizza Lutero, dal punto di vista dottrinale e dogmatico, è molto più leggero del papato di Pio IX. Ad esempio, nel dibattito ecumenico attuale, se la dottrina romana relativa al papato fosse quella del XVI sec., per molti protestanti oggi - e certamente per molti ortodossi - non ci sarebbero ostacoli decisivi.

-Paolo Ricca parla di carismi differenti, a proposito delle diverse confessioni cristiane. Esiste, a tuo parere, un qualche carisma anche nella figura dell’autorità papale in sé, a prescindere dalle "degenerazioni" storiche che si sono create nel tempo?

No, io non credo. Può darsi che esistano dei protestanti che rispondano affermativamente. Io credo che storicamente il papato abbia svolto un ruolo pernicioso per l’unità cristiana. Il papato ha favorito sia la divisione tra l’Oriente e l’Occidente, sia quella, all’interno dell’Occidente, tra le chiese della Riforma e la chiesa che non ha accolto la Riforma. Poi, all’interno del cattolicesimo romano, ha favorito lo scisma dei vecchi cattolici - quelli che non hanno accettato il dogma dell’infallibilità; e, sempre dentro la chiesa romana, ha favorito tutti gli scontri successivi - ad esempio, il modernismo
- sulla libertà. Ha favorito un accentramento del quale la chiesa romana ha incredibilmente sofferto.

Se in altre condizioni il vescovo di Roma potrebbe o potrà svolgere un ministero diverso, è una questione che allo stato attuale non è dato di dirimere. Sono molto drastico: l’idea che spesso si dà del ministero papale come un ministero di unità è ideologica. Di fatto il papa ha svolto e svolge una funzione di divisione.

-Ma non si potrebbe pensare, in qualche modo, ad una funzione di utilità, all’interno di una chiesa ecumenica, nella figura di un primate?

Bisogna distinguere due questioni. Quello che afferma il dogma del primato - più che quello dell’infallibilità - è che il vescovo di Roma esercita un primato di giurisdizione sulla chiesa universale per diritto divino, perché tale primato corrisponde alla volontà di Dio nella sua rivelazione in Gesù Cristo. Questo viene rifiutato dagli evangelici. Una questione diversa è se, dal punto di vista della praticità - e non dal punto di vista del diritto divino -, sia o meno utile che un vescovo eserciti una questione presidenziale in una ipotetica chiesa ecumenica, cattolica, una sorta di coordinatore, di portavoce, di presidente. Spesso si discute di questo, ma è una discussione campata per aria, perché in realtà quello che esiste de facto è un papato romano, il quale si fa forte di un apparato dogmatico, cioè di due dogmi della fede che lo riguardano.

Per quanto riguarda le altre forme di esercizio del papato, diverse da quelle attuali, che a suo tempo Giovanni Paolo II ha ipotizzato, bisogna dire che il problema non riguarda l’esercizio, bensì la concezione che il papato ha di se stesso. Solo che queste forme di esercizio più collegiale del primato non le ha mai viste nessuno. Quali sono? Sarebbe interessante - ma non risolutivo - vedere queste nuove forme più collegiali all’opera all’interno della chiesa romana. Ma qui, invece, continua ad operare un forte centralismo papale, per nulla collegiale. Anzi, le prerogative dei singoli vescovi e del collegio episcopale sembrano oggi notevolmente ridotte rispetto al primo decennio successivo al Concilio Vaticano II.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/2/2013 21.43
Titolo:La Chiesa-Popolo di Dio secondo il Concilio
La Chiesa-Popolo di Dio secondo il Concilio

di Giordano Frosini

in “Settimana” n. 5 del 6 febbraio 2013

Nella storia del post-concilio in generale e di quello italiano in particolare, il 1985 è un anno di importanza rilevante per due avvenimenti che hanno avuto un influsso notevole e prolungato nella vita della Chiesa sia italiana che universale.

Nel mese di settembre si tenne il secondo convegno delle chiese italiane a Loreto e, solo pochi giorni più tardi, dal 24 novembre all’8 dicembre, si celebrò a Roma il sinodo straordinario a vent’anni dalla fine del concilio Vaticano II. Se si vuole riflettere in profondità oggi, a cinquant’anni dall’inizio dello stesso concilio, sulla storia della ricezione della grande assise ecumenica, non è possibile prescindere né dall’uno né dall’altro avvenimento, almeno in lontananza uniti insieme dallo stesso spirito e da una comune ispirazione.

Del convegno di Loreto si è parlato a sufficienza nel passato, soprattutto per mettere in risalto il cambio di marcia della Chiesa italiana, che conserva ancora, a distanza di quasi quarant’anni, conseguenze ben visibili, tutt’altro che positive, a giudizio di chi scrive. Vogliamo ora mettere in luce quanto avvenne nel sinodo straordinario che, per il suo influsso, va naturalmente ben al di là dei confini e dei problemi della Chiesa italiana e ha suscitato una discussione sulla quale è opportuno ritornare.

Le tre fasi post-conciliari

Normalmente, nella divisione della ricezione post-conciliare in tre tempi, il sinodo viene considerato come la fine del primo periodo e l’inizio del secondo. Il terzo si fa poi cominciare col giubileo del 2000 e si estende fino ai nostri giorni. Di esso si è parlato soprattutto, ma non soltanto, per la vicenda riguardante il concetto di “popolo di Dio”, sostituito, con una sorta di colpo di mano, con la parola “comunione”. Da allora (si veda, per esempio, l’esortazione post-sinodale Christifideles laici), per esprimere l’ecclesiologia del Vaticano II, si parlerà comunemente di Chiesa-mistero, di Chiesa-comunione e di Chiesa-missione: la Chiesa-popolo di Dio praticamente sparisce dal vocabolario usuale anche dei teologi.

Eppure il termine appare addirittura nello stesso titolo del capitolo secondo della costituzione Lumen gentium, in seguito a una scelta ben ponderata dagli attenti padri conciliari, in diretto collegamento col capitolo primo dedicato al mistero della Chiesa. Come dire: il mistero, che nasconde in sé l’intima natura della Chiesa, si realizza concretamente in un popolo, con tutte le caratteristiche che il termine si porta con sé. La scelta proveniva da un uso molto lontano e frequentissimo sia del Primo che del Secondo Testamento, oltre che della liturgia. Un conteggio preciso, compresi connessi e derivati, sarebbe praticamente impossibile. Il sinodo straordinario terminò con una relazione che sostituiva l’ormai consueta esortazione post-sinodale del pontefice, e un messaggio - si direbbe: ironia della sorte - «al popolo di Dio».

Il teologo Walter Kasper, chiamato per l’occasione a fare da segretario, rilasciò quasi immediatamente i suoi ricordi e il suo commento in una piccola pubblicazione, che ci può aiutare molto a ricomporre il dibattito, svoltosi purtroppo in un tempo abbastanza ristretto: Il futuro dalla forza del concilio. Sinodo straordinario dei vescovi 1985 (Queriniana, Brescia 1986).

Suscita un po’ di meraviglia il fatto che la critica e la sostituzione del concetto di popolo siano state fatte proprie e approvate anche da lui, che pure ha dimostrato più tardi di essere capace di grande originalità e di altrettanto coraggio.

La cosa fu mal digerita in un primo tempo, poi però la contestazione lentamente si organizzò dando vita, specialmente nel Sudamerica, ad una reazione di cui dobbiamo prendere pienamente atto.

Questa sostituzione non è per caso un atto indebito su un testo conciliare, nato non proprio immotivatamente e senza adeguata preparazione da parte della grande assemblea?

Per la verità, la lettura del documento finale destava già in principio una certa sorpresa, perché si affermava che «il fine per cui è stato convocato questo sinodo è stato la celebrazione, la verifica e la promozione del concilio Vaticano II», con una precisazione ulteriore: «Unanimemente e con gioia abbiamo verificato anche che il concilio è una legittima e valida espressione e interpretazione del deposito della fede, come si trova nella sacra Scrittura e nella tradizione della Chiesa» (n. 2). Un sinodo può parlare così di un concilio ecumenico, la massima espressione del magistero della Chiesa? Con questo stesso spirito, chiaramente sopra le righe, si sostituisce una delle espressioni centrali del documento conciliare: quella di “popolo di Dio”.

Lo riconosce W. Kasper nel testo prima citato, quando afferma che la relazione introduttiva «denuncia certi arbitri e soggettivismi nel modo di organizzare la liturgia e un modo d’intendere troppo esteriore la partecipazione attiva in campo liturgico, nel senso cioè di una mera cooperazione esterna, invece di un coinvolgimento nel mistero di morte e risurrezione di Gesù Cristo. Constata poi anche un distacco dall’interpretazione scritturistica della tradizione viva e del magistero della Chiesa, anzi una notevole incomprensione della verità oggettivamente data, soprattutto nella sfera della dottrina morale, e anche un certo “cristianesimo di selezione”. Il cuore della crisi è stato individuato nel modo d’intendere la Chiesa.

La qualifica della Chiesa come “popolo di Dio” spesso è stata mal interpretata: la si è isolata dal contesto storico-salvifico della Scrittura e spiegata a partire dal senso naturale, o politico di “popolo di Dio”. Talvolta anche il dibattito sulla democratizzazione della Chiesa ha subito l’ipoteca di tale malinteso». Così, la relazione finale poteva affermare: «L’ecclesiologia di comunione è l’idea centrale e fondamentale nei documenti del concilio». Una frase certamente accettabile, ma in altro contesto, quello direttamente inteso dai padri conciliari. Era proprio necessario, per evitare i malintesi e le erronee interpretazioni del post-concilio, mettere in disparte il concetto di popolo? Non si potevano evitare gli inconvenienti denunciati purificando l’acqua sporca senza buttare via insieme anche il bambino? La questione è così posta nel suo significato fondamentale e il dibattito che ne seguì di conseguenza, all’interno e all’esterno del sinodo, è colto alla sua radice.

La rivolta dei teologi

I teologi che non vorranno accettare il cambiamento sinodale avranno buon gioco a mostrare i danni che da questo possono derivare e di fatto, almeno alcuni tutt’altro che secondari, sono derivati nella concezione e nella vita della Chiesa. Una constatazione che rende ancora più discutibile, in certo modo anche più grave, l’operazione condotta dai padri sinodali, già in questione per avere indebitamente corretto in un punto importante il pensiero del concilio sottoposto alla loro analisi. Si tratta di un vero e proprio cortocircuito teorico e pratico, per il quale è necessario non rassegnarsi. I vantaggi derivanti dalla dottrina conciliare erano stati ben individuati anche dai primi commentatori della costituzione Lumen gentium, come G. Philips, O. Semmelroth, Y. Congar.

Sostanzialmente tutto nasce dalla considerazione della Chiesa come soggetto storico, «l’ultima fase definitiva dell’alleanza bilaterale, che Dio ha stretto col popolo da lui salvato», la comunità escatologica che «peregrina nella storia come un giorno il popolo eletto peregrinò nel deserto avviandosi verso la terra promessa», l’incarnazione storica del mistero provvidenzialmente messo al centro della stesura del primo capitolo.

Aspetti certamente non del tutto ignoti anche prima della celebrazione del concilio. «Questa presentazione teologica - aggiungeva Semmelroth - non vuole affatto sostituire la dottrina della Chiesa quale corpo mistico del Signore con quella di popolo di Dio. Intende piuttosto integrarla, perché l’essenza della Chiesa è così complessa da non poter essere esaurita né da una definizione logica né da un’unica immagine».

Anzi, la priorità del concetto di popolo rispetto all’immagine del corpo sottolinea ancora meglio uno dei motivi principali, se non il principale, della scelta dei padri conciliari, che è quello dell’affermazione dell’uguaglianza sostanziale fra tutti i membri della Chiesa, il motivo che aveva già consigliato lo spostamento del capitolo dedicato alla gerarchia dal secondo al terzo posto.

Anche nella triade privilegiata fra le diverse immagini della Chiesa (popolo di Dio, corpo di Cristo, tempio dello Spirito Santo), precede il concetto di popolo, non soltanto per un motivo di carattere trinitario, ma anche perché il corpo mette in luce la diversità delle membra, della quale si parla soltanto dopo aver assicurato la sostanziale uguaglianza fra tutti i battezzati: la diversità dei carismi e dei ministeri non deve ostacolare quel concetto che il n. 32 della Lumen gentium esprimerà con icastica solennità con le note parole: «Quantunque alcuni per volontà di Cristo sono costituiti dottori e dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, vige fra tutti una vera uguaglianza (vera aequalitas) riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il corpo di Cristo». L’aggiunta dell’aggettivo, di per sé non necessario, dà all’espressione una forza e un rilievo singolari.

Certo, fra le caratteristiche del popolo di Dio non andrà mai dimenticata la comunione, che lega essenzialmente la Chiesa al suo fondatore e Signore e, di conseguenza e nella stessa maniera, tutti i membri componenti fra di loro.

Comunione però non è una sostanza, non indica un soggetto; in termini aristotelici, dovrebbe essere catalogata fra gli accidenti. Dunque, più un aggettivo che un sostantivo. Oltretutto, fra le caratteristiche del popolo tutto quanto sacerdotale, il testo conciliare enumera anche la potenziale capacità di raccogliere «tutti gli uomini» di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Ogni uomo è ordinato al popolo di Dio e ogni nazione è parte potenziale del regno universale di Cristo. Anzi, di più, «questo carattere di universalità che adorna e distingue il popolo di Dio è dono dello stesso Signore, e con esso la Chiesa cattolica efficacemente e senza soste tende ad accentrare tutta l’umanità, con tutti i suoi beni, in Cristo capo nell’unità dello Spirito di lui» (LG 13). Una potenzialità che incipientemente e misteriosamente prende forma e attualità già nei giorni della storia.

Sulla stessa linea Congar, per il quale il concetto di popolo di Dio mette «in risalto alcuni valori biblici fondamentali e l’orientamento globale verso il servizio missionario del mondo, cosa che risalta già dalle prime parole della costituzione dogmatica Lumen gentium: 1) una prospettiva di storia della salvezza, cioè una prospettiva escatologica; 2) l’idea di un popolo in cammino, in condizioni di itineranza; 3) l’affermazione di una relazione con tutta l’umanità, essa stessa in via di unificazione, e alla ricerca, tra mille difficoltà, di una maggiore giustizia e pace».

Può il concetto di comunione conservare e mettere in evidenza tutte le caratteristiche che il concetto di popolo si porta con sé? Esso possiede una vera ricchezza di significati difficilmente reperibili altrove ed esprimibili diversamente. Popolo come soggetto eminentemente attivo su tutto il fronte dell’attività della Chiesa: un popolo sacerdotale, quindi, profetico e regale. Un ottimo schema di lavoro, di riflessione teologica, di catechesi.

La critica più aspra e decisa, come abbiamo già detto, proviene dal Sudamerica. Ad essa ha dato voce sistematica il teologo belga-brasiliano Joseph Comblin in un libro tradotto anche in italiano, dal titolo originale O povo de Deus (Il popolo di Dio, Servitium/Città aperta, Troina - Enna - 2007), pubblicato nel 2002, «in previsione del nuovo pontificato», come afferma lo stesso autore nelle prime parole dell’introduzione.

«Le critiche al Vaticano II - afferma l’autore - condussero il sinodo del 1985 semplicemente a eliminare il concetto di “popolo di Dio”, sostituendolo con il concetto di comunione, come se questo avesse la medesima risonanza e come se i due fossero alternativi. La conseguenza fu immediata, anche se non sappiamo se fu intenzionale o no». Una categoria troppo sociologica? Ma «la sociologia praticamente non usa mai il concetto di popolo e teme di usarlo».

Perché allora questo timore? Naturalmente la critica di Comblin è condotta secondo gli schemi e il linguaggio della teologia della liberazione e raggiunge il suo vertice con l’affermazione che la scelta del termine comunione potrebbe facilmente far rientrare dalla finestra ciò che è stato messo felicemente fuori dalla porta, imponendo in pratica la comunione come ubbidienza al volere e al pensiero della gerarchia, eliminando o rendendo comunque difficile il contributo da parte del rimanente popolo di Dio. Comunque «il tema della comunione non esclude il tema del popolo di Dio né deve prendergli il posto. Il concetto di comunione è molto più ristretto che il concetto di popolo. Il popolo è una forma di comunione, ma include molti più elementi che il concetto di comunione». Parole, queste ultime, sulle quali non è difficile trovarsi d’accordo.

Il pensiero di Pino Colombo

È questo il pensiero di non pochi altri teologi, fra cui merita di essere ricordato S. Dianich, che in vario modo e da diversi punti di vista hanno sottoposto a motivata critica il cambiamento del testo conciliare.

Ma vorremmo ricordare in particolare il teologo milanese recentemente scomparso Giuseppe Colombo, insospettato sulla base del suo pensiero teologico e meticoloso al massimo nel ricostruire e discutere le diverse concezioni prese in esame.

Ci riferiamo in questo momento soprattutto a un suo contributo pubblicato di recente negli studi in onore di S. Dianich (Ecclesiam intelligere, Dehoniane, Bologna 2012), da considerarsi l’ultimo suo intervento sul nostro problema, aggiornato anche ad una successiva presa di posizione del card. Kasper.

Ricostruita con precisione la vicenda in questione, dopo aver ricordato che «sulla sostituzione di “comunione” a “popolo di Dio”, la Relazione non dice una parola», rimane a noi il diritto di domandarci «perché il sinodo abbia ignorato completamente la nozione di “popolo di Dio”, liberandosi così del dovere di fornire una qualsiasi spiegazione». Anche se, come si afferma, la nozione in questione è stata corrotta, politicizzata, socializzata fino a perdere ogni riferimento alla Chiesa, «la domanda è se la reazione debba spingersi a espungere totalmente dai testi del magistero la nozione di “popolo di Dio”», finendo col porre in questo modo, oltre che un problema storico (perché abbandonare la scelta dei padri conciliari?), un problema teorico di notevole importanza.

Secondo il pensiero dell’autore, mentre «“popolo di Dio” indicherebbe la svolta dell’ecclesiologia del Vaticano II», il concetto di comunione è visto in funzione della collegialità, cioè del rapporto papa-vescovi. «Non è possibile vedere, “oltre” la collegialità e (estendendo la nozione) “oltre” la comunione, il “popolo di Dio” conservandolo nella sua nozione propria, invece di rifiutarlo come una nozione inaccettabile? Di fatto sembra che al sinodo esso sia stato considerato come un’alternativa.

È quindi da chiedersi se, rispetto al “popolo di Dio”, la nozione di “comunione” non stacchi la Chiesa dal mondo, ritraendola in se stessa, sui suoi problemi interni (collegialità, conferenze episcopali, problemi dei laici, vocazione universale alla santità). Nessuno può contestare l’importanza e l’urgenza di questi problemi, ma l’insistente ed esclusivo richiamo ad essi sembrano costituire una penalizzazione evidente rispetto all’apertura al mondo del “popolo di Dio”». Di nuovo, e per altro verso, un ritorno al passato, questa volta per motivi esterni piuttosto che interni, ma sempre fondamentali nella mente dei padri conciliari e nei documenti ai quali essi dettero vita.

Su questo sfondo - continua il teologo milanese - c’è anche da considerare che ai paesi del terzo mondo e dei cosiddetti paesi emergenti va riconosciuto il diritto di elaborare una teologia autoctona, senza imporre loro le linee della teologia occidentale. «In ogni caso, la Chiesa come “comunione” è l’ecclesiologia del sinodo straordinario 1985, non è l’ecclesiologia del concilio Vaticano II, che - salvo meliori iudicio - è quella del “popolo di Dio”». Per questo è meglio tenere distinti il concilio e il sinodo, anche dopo i più recenti tentativi di mantenerli uniti di Kasper e Pottmeyer.

Un necessario recupero

Dopo avere ascoltato le diverse opinioni, una scelta si impone anche per noi. Omnibus perpensis, sembra giusto rispettare la scelta conciliare, a cui i padri arrivarono dopo una riflessione serena e matura durante le sedute assembleari e in non pochi casi anche in precedenza. Essa fa corpo con la scelta fondamentale di evidenziare, prima delle specificazioni, l’elemento unificante di tutte le componenti della Chiesa. Non si perde niente di quanto porta con sé il concetto di comunione e l’incombente immagine di corpo mistico, ma non si può negare che l’intenzione del concilio sia quella di chiamare a raccolta l’intero popolo cristiano e di fare appello al suo comune senso di responsabilità. È bene che questa vocazione risuoni e risplenda chiaramente nel termine stesso scelto avvedutamente dal concilio.

A norma di logica ecclesiale, nessuno ha diritto di cambiare il pensiero e i termini destinati a veicolarlo di un concilio ecumenico, che rimane l’espressione massima dell’insegnamento della Chiesa. Se il concetto di popolo è stato deteriorato da immissioni d’altro genere, si può sempre ricorrere a una sua purificazione, senza metterlo totalmente o quasi in disparte. C’è piuttosto da pensare, in questa fase di stanca della ricezione conciliare, a un suo richiamo perentorio perché la comunità cristiana partecipi attivamente e responsabilmente ai compiti che un concilio coraggioso e innovatore ha ad essa consegnato.

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Titolo articolo : COSTANTINO, IL PADRE DELL'ANTISEMITISMO. Egli emanò, l’11 dicembre 321, l’editto Codex Judaeis, prima legge penale antiebraica. Una nota di Arturo Schwarz, con risposta di Corrado Augias,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/01/2013 - 15:12:49.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/11/2012 14.43
Titolo:LA MADRE DI DIO-IMERATORE: EELNA, COSTANTINO, E IL CATTOLICESIMO-ROMANO ....
Tre donne «forti» dietro tre padri della fede

di Marco Garzonio (Corriere della Sera, 25 ottobre 2012)

Il IV secolo è fine di un’epoca e nascita di tempi nuovi anche per i modelli femminili nella cultura cristiana e nella società. Mentre le istituzioni dell’Impero si sfaldano, popoli premono ai confini, corruzione e violenze dilagano e le casse sono vuote, causa guerre ed evasione fiscale, alcune donne sono protagoniste delle trasformazioni almeno tanto quanto gli uomini accanto ai quali la storia le ha accolte. Elena, madre di Costantino, Monica madre di Agostino, Marcellina sorella di Ambrogio.

Ma ci son pure Fausta, moglie di Costantino, da lui fatta assassinare per sospetto tradimento (violenza in famiglia anzi tempo) e la compagna di Agostino, giovane cartaginese vissuta anni more uxorio («coppia di fatto» si direbbe oggi) col futuro santo vescovo d’Ippona. Gli diede pure un figlio, Adeodato, di lei però non è rimasto nemmeno il nome: una rimozione del femminile, nonostante la straordinaria autoanalisi ante litteram compiuta da Agostino nelle Confessioni; un archetipo delle rimozioni collettive della donna praticate dalla cattolicità e di tanta misoginia e sessuofobia che affliggeranno la Chiesa per secoli e ancora la affliggono. Ma andiamo con ordine nel considerare i tipi.

La madre solerte, forte, premurosa, ambiziosa, molto attaccata al figlio maschio, possessiva: è il modello di madre che emerge dalle testimonianze. In parte è un’icona ritagliata sul prototipo della matrona romana, su cui s’innesta la novità del cristianesimo. Questo dalle origini si dibatte in una contraddizione. C’è l’esempio di Gesù che «libera» la donna dalle sudditanze; per lui non è alla stregua di una «cosa» (come negli usi romani); negli incontri rivela l’alta considerazione verso una persona non certo inferiore all’uomo e contraddice così la cultura del tempo. Narrano i vangeli che Gesù si mostra a Maria di Magdala e alle altre donne come il Risorto davanti al sepolcro vuoto: loro sono le protagoniste, a esse affida l’annuncio pasquale. Dall’altra parte c’è San Paolo che invita le mogli a stare sottomesse ai mariti e ispira la visione di un ruolo ancillare, silenzioso, subordinato.

Ecco, allora: Elena anticipa quella che in epoche successive sarà la Regina Madre. Locandiera, legata a Costanzo Cloro cui darà un figlio, Costantino, fa di tutto perché questi diventi padrone dell’Impero: tesse rapporti, guida, consiglia. Verrà ricambiata: Costantino cingerà lei del diadema imperiale (invece della «traditrice» Fausta) introducendo nell’iconografia una coppia un po’ incestuosa: madre e figlio. Psicologicamente Costantino sarà in un certo modo sottomesso a Elena. A Gerusalemme lei troverà le reliquie del Santo Sepolcro. Dei chiodi della Croce ornerà la corona imperiale (posta sul capo dei padroni del mondo sino a Napoleone) per dire che chi governa è sottomesso a Dio, e farà il morso del cavallo del figlio: anche i sovrani devono frenare le pulsioni. Madre altrettanto ingombrante, sul piano degli affetti in questo caso, fu Monica per Agostino.

Questi aveva cercato di liberarsene partendo per Roma senza dir nulla ma Monica non si scoraggiò, lo inseguì e raggiunse sino a Milano, capitale ai tempi. Qui convinse il figlio, all’apice del successo come retore, a rispedire in Africa la compagna e si diede da fare perché trovasse a corte una moglie. Intanto s’era pure spesa affinché Agostino conoscesse Ambrogio, che a Milano contava più delle insegne imperiali. Così l’amore di madre si trasformò: cadde il progetto di ascesa sociale, venne la conversione e il futuro padre della Chiesa riprese la via dell’Africa, senza più Monica però, che morirà sulla via del ritorno.

Un altro genere di donna, che ebbe e ha importanza nella Chiesa, nei costumi, nella cultura è incarnato da Marcellina. La sorella di Ambrogio, dopo aver contribuito a crescere i fratelli, prese il velo con papa Liberio. Grazie a lei si prospettò una scelta di vita ricalcata sul modello del monachesimo orientale, di cui Ambrogio era estimatore: la verginità (su questa il Patrono di Milano compose una delle sue opere principali), la consacrazione, il chiostro in cui ritirarsi, pregare e, in taluni sviluppi, lavorare, garantire il prosieguo delle tradizioni e aprirsi al mondo attraverso opere di carità. Costantino, Ambrogio, Agostino e lo loro donne: esempi d’una storia plurale che continua, viene costruita giorno dopo giorno ancora, si evolve.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/11/2012 18.01
Titolo:COSTANTINO: A MILANO UNA MOSTRA CHE MISTIFICA
COSTANTINO: A MILANO UNA MOSTRA CHE MISTIFICA

di Elio Rindone *

La manipolazione della storia non implica la necessità di dire il falso, perché basta evidenziare un dato e tacerne un altro. È quanto accade, mi pare, con l’operazione in corso a Milano con la Mostra che celebra il diciassettesimo centenario della emanazione nel 313 d.C. dell’Editto di Milano da parte dell’imperatore romano d’Occidente Costantino e del suo omologo d’Oriente, Licinio.

La mostra, ideata dal Museo Diocesano di Milano, realizzata con la collaborazione dell’Arcidiocesi e dell’Università degli Studi della stessa città, intende esaltare l’imperatore Costantino quale iniziatore di un periodo di libertà religiosa per il rescritto del 313, di cui si riporta l’affermazione centrale: “Noi, dunque Costantino Augusto e Licinio Augusto abbiamo risolto di accordare ai Cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che ciascuno crede, affinché la divinità che sta in cielo, qualunque essa sia, a noi e a tutti i nostri sudditi dia pace e prosperità”.

Leggendo queste parole, molti saranno d’accordo con quanto dice, a tempi.it, Paolo Biscottini, curatore della mostra e direttore del Museo diocesano: “Ogni individuo non può fare a meno del senso religioso e l’editto di Milano segna l’inizio di una cultura occidentale fondata su una tolleranza intesa come rispetto del senso religioso”. Tesi ribadita in un’intervista alla Radio Vaticana dall’altra curatrice, Gemma Sena Chiesa: “l’Editto di Costantino è per noi un testo fondamentale, perché proclama la libertà del cristianesimo e la libertà di tutte le religioni. Una testimonianza, quindi, estremamente moderna, di un sentimento moderno che oggi noi riteniamo fondamentale: la disponibilità all’incontro con gli altri, con il ‘diverso’, e la tolleranza verso tutti. In mostra abbiamo riportato proprio il pezzo dell’Editto di Costantino che, con parole solenni ed importanti, dà a tutti la libertà di professare liberamente quello in cui credono”.

Peccato, però, che Costantino non si sia limitato ad emanare questo celebre editto ma abbia anche detto e fatto altro, che è necessario ricordare per una valutazione complessiva della sua figura.

Pur conservando il titolo di pontefice massimo, e quindi di suprema autorità dei vari culti dell’impero, egli è convinto, data la crisi del paganesimo pur ancora maggioritario, che solo la religione cristiana sia in grado di svolgere la funzione di collante tra i diversi popoli soggetti al suo potere. Ovviamente preoccupato per le divisioni che sorgono all’interno della grande chiesa, Costantino decide perciò di favorire il superamento delle discordie convocando nel 325 d. C. il concilio di Nicea, che si concluderà con l’approvazione del Credo ancora oggi in uso.

Per facilitare l’approvazione di un testo che garantisca l’unità dottrinale, l’imperatore non esita ad allontanare dall’assemblea conciliare i vescovi dissenzienti e alla fine condanna all’esilio Ario e i due vescovi che, nonostante le pressioni ricevute, rifiutano di sottoscrivere la formula che ormai definisce i confini della fede che per i cattolici è quella ortodossa.

Chiusi i lavori del concilio, Costantino si affretta a comunicare ai suoi sudditi che le tesi sostenute da Ario sono erronee e che, poiché per la salvezza dell’uomo non c’è pericolo maggiore dell’eresia, lo stato deve intervenire con le sue leggi per reprimerla e impedirne la diffusione. Un decreto imperiale stabilisce infatti che “avendo Ario seguito l’esempio di uomini empi e malvagi, merita di subire la stessa pena degli altri. [...] E se qualcuno avesse nascosto un libro scritto da Ario, invece di prenderlo e gettarlo alle fiamme, sia condannato alla pena di morte” (Socrate Scolastico, Storia ecclesiastica, I, 9).

Ma dato che non avrebbe senso combattere l’arianesimo e lasciare libertà agli altri movimenti condannati dalla grande chiesa, Costantino interverrà ben presto con un nuovo decreto con cui - chiestosi retoricamente “perché dunque dovremmo tollerare oltre tali nefandezze? Una trascuratezza prolungata fa sì che anche i sani siano contagiati da un morbo letale. Dunque per quale motivo non recidiamo al più presto le radici, per così dire, di una tale sciagura con misure di pubblica sicurezza?” (Eusebio, Vita di Costantino, III, 54, 4) - proibirà a Novaziani, Valentiniani e Marcioniti di riunirsi, ordinando di consegnare i loro edifici di culto ai vescovi cattolici.

La definizione conciliare della consustanzialità del Padre e del Figlio induce, inoltre Costantino a lanciare, contro gli ebrei che hanno crocifisso Gesù, l’accusa di deicidio. Nel 325 scrive, infatti, ai cristiani: “Vi esorto a non serbare nulla in comune con l’odiosissima turba giudaica [...]. Ma quale verità potranno mai concepire costoro, i quali, forsennati, dopo avere assassinato il nostro Signore e Padre, vengono ora sospinti, non certo dalla ragione ma da un impeto irrefrenabile, là dove li conduce la loro innata follia?” (Eusebio, Vita di Costantino, III, 17, 30).

Del resto, già qualche anno prima Costantino aveva dimostrato, per usare un eufemismo, la sua scarsa simpatia nei confronti degli ebrei. Nel 321, infatti, aveva emanato un editto, Codex Judaeis, che definiva l’ebraismo “setta abominevole, mortifera”, contrapponendo alla supertistio hebraica la venerabilis religio cristiana. Se questi sono i fatti, mi pare che si possa affermare che la libertà promessa dall’editto di Milano non sia stata estesa proprio a tutte le confessioni religiose e che i curatori della mostra abbiano un po’ lavorato di fantasia parlando di ‘inizio di una cultura occidentale fondata su una tolleranza intesa come rispetto del senso religioso’ (Biscottini) e della libertà data a tutti ‘di professare liberamente quello in cui credono’ (Sena Chiesa).

La mostra milanese sarà certamente un grande successo e ben pochi visitatori avranno la possibilità di rendersi conto della grave mistificazione in atto. Ma quest’iniziativa, anche se posta sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e della Segreteria di Stato vaticana, ha uno sgradevole sapore ideologico e non ha nulla a che fare col rispetto della verità storica. E, se ciò accade oggi, perché non ipotizzare che tra 17 secoli potere politico e religioso, se ci sarà ancora il Vaticano, organizzeranno una mostra che celebri Hitler quale autore di un benemerito concordato con la Chiesa cattolica, lasciando nell’oblio il piccolo dettaglio dello sterminio degli ebrei?

www.italialaica.it, 17.11.2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/11/2012 10.23
Titolo:PER ETTY HILESUM, UNA 'BELLA' CROCE DI "COSTANTINO"
SUL DIARIO DI ETTY HILESUM, giovane ebrea olandese, uccisa nel campo di sterminio di Auschwitz, UNA 'BELLA' CROCE del giornale di "COSTANTINO"!!! (fls)
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Etty Hillesum, la Shoah e la Croce

di Marina Corradi (Avvenire, 21 novembre 2012)

L’edizione integrale in italiano del Diario (1941-1943) di Etty Hillesum che esce oggi per Adelphi è un momento importante nella riscoperta di questa giovane ebrea morta a Auschwitz. Una figura straordinaria ma, almeno da noi, ancora da molti non conosciuta; benché chi la legga finisca spesso con l’innamorarsene.

Nata nel ’14 in Olanda, la Hillesum studia e vive nella Amsterdam occupata dai nazisti. Ebrea ma non praticante, frequenta ambienti intellettuali non credenti, e conduce, come dirà con le sue parole, «una vita libera e sregolata».

L’incontro con lo psicoterapeuta ebreo Julius Spier, fuggito dalla Germania nazista, la riconduce alla lettura dell’Antico Testamento, e alla domanda di un Dio di cui, impara da Spier, bisogna avere «il coraggio di tornare a pronunciare il nome». Ma la storia incombe: la persecuzione in Olanda cresce, gli ebrei devono portare la stella gialla, si pianifica la deportazione.

Questa pressione tragica sembra agire su Etty come un catalizzatore che in pochissimi anni la trasforma, anzi la trasfigura. Mentre avverte che il nemico vuole l’annientamento degli ebrei, misteriosamente Etty cresce, in un dialogo sempre più serrato con un Dio al quale non chiede la propria salvezza, ma di condividere il destino del suo popolo, e di farsene voce. La ragazza che scrive da Westerbork, il campo di raccolta degli ebrei olandesi, sembra già molto distante dalla fanciulla che lietamente passava da un uomo all’altro, vorace di amore e di vita. In lei, che muore ad Auschwitz nel settembre 1943, a 29 anni, si è compiuta una sbalorditiva metamorfosi.

Per questo a chi non ha mai letto la sintesi del Diario pubblicata da Adelphi negli anni ’80 ci verrebbe da consigliare di cominciare la conoscenza della Hillesum dalle Lettere, pure già edite da Adelphi, in un percorso cronologico inverso. Giacché le Lettere sono le ultime cose scritte da Etty a Westerbork, fino al giorno della deportazione in Polonia; pagine struggenti, tese, dal fondo della ferocia e del male, ad affermare la fiducia in un Dio, nonostante tutto, padre. In un Dio per il quale, in tanto strazio, la giovane ebrea si sente in dovere di «cercare un tetto»; e quel tetto è lei stessa, che vorrebbe accogliere in sè la paura e la disperazione di vecchi, madri, bambini in partenza, sui treni stracarichi di cui non si sa, ma ormai si intuisce, il destino.

Leggendo le Lettere si capisce chi era diventata, alla fine, la ragazza delle prime pagine del Diario. Che all’inizio del ’41 era una giovane donna anticipatrice, diremmo quasi, delle ragazze degli anni Settanta; libera da tradizioni e fedi, desiderosa solo di vivere e capire e mettersi alla prova. Una che, quando Spier le dice che la sera lui prega, è tentata di domandargli, sbalordita e impertinente: «E cosa dice, quando prega?».

Ma sotto la vivacità una inquietudine rode Etty. Ne sono l’evidenza le poche righe che accennano a un figlio che rifiuta perchè «voglio risparmiargli il dolore. Rimarrai nella condizione protetta di chi non è ancora nato e sii riconoscente, essere in divenire». Abortire, dunque, perché la vita è male (benché la tragedia ebraica in atto rendesse realistica una simile visione).

Eppure nulla impedisce la metamorfosi. La Parola delle Scritture ha una parte forte in questo cammino interiore. La Prima lettera ai Corinzi - il celebre brano sulla carità - opera in Etty misteriosamente: «come una verga da rabdomante che sferzava il fondo duro del mio cuore, facendone improvvisamente scaturire sorgenti nascoste. D’un tratto mi sono ritrovata inginocchiata e l’amore sprigionato scorreva di nuovo dentro di me...» (Un passo, per inciso, che nella sintesi Adelphi anni ’80 non compariva, benché certo non irrilevante per comprendere la Hillesum).

E mentre il cerchio attorno agli ebrei olandesi si chiude, e ciascuno cerca, come può, di salvarsi, la ragazza si inoltra per i sentieri dell’Antico Testamento, ma anche in Rilke, e nel Vangelo, che da ultimo cita ripetutamente. Ama Agostino, e c’è un’eco agostiniana quando scrive: «Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta da pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo».

E più si fa fitto il buio, più la Hillesum sente crescere, dentro, un segreto tesoro. Ne è meravigliata lei stessa: «Com’è strana la mia storia, la storia della ragazza che non sapeva inginocchiarsi...». Umanamente inconcepibile è il suo stare di fronte al male assoluto dell’Olocausto. Davanti alle madri disperate, ai vecchi balbettanti e smarriti che all’alba vengono imbarcati sui treni, la sua risposta è, prima, una inesausta preghiera; poi, nelle Lettere, concluderà: «Io non posso fare niente, io posso solo prendere il dolore su di me, e soffrire». (La Croce come istintivamente abbracciata).

Ci si può chiedere perché solo ora si arrivi alla edizione integrale italiana, e come mai una figura così grande sia ancora poco nota. Forse è perché, volontaria nel campo di Westerbork dove poi finirà rinchiusa, in una sincerità da grande cronista scriveva che anche tra i perseguitati si alza a volte un persecutore - come l’ Oberdienstleiter ebreo, in stivaloni neri e stella gialla, che nelle Lettere sorveglia un treno in partenza? O forse perché a un certo moralismo cattolico del primo dopoguerra la ’sregolatezza’ giovanile di Etty non piaceva?

Ma chi oggi legge il Diario integrale (800 pagine, tre volte la edizione anni ’80, e con un ricco apparato di note), e vede come quella giovane donna sia rinata, nel fondo dell’inferno, e come ostinatamente affermi che la vita è «comunque buona e degna di essere vissuta», chiude queste pagine e tace. Sbalordito e grato di quanto Dio possa trasformare gli uomini - se, semplicemente, lo cercano
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/2/2013 15.12
Titolo:«La Shoah è l’anti-Sinai», così si è espresso Elie Wiesel ...
Le nostre colpe come cristiani

di Emma Fattorini (Il Sole 24 Ore, 26 aprile 2009)

«La Shoah è l’anti-Sinai», così si è espresso Elie Wiesel: «Gli assassini erano battezzati, per lo più, erano stati educati nel cristianesimo: eppure uccidevano». È la prova, secondo il nobel per la pace, che il cristianesimo e la sua cultura non hanno saputo fermare il male. E la sua unicità non sta nella quantità o qualità del male che il cristianesimo non avrebbe saputo impedire, ma piuttosto, come dice Jean Dujardin nel suo L’eglise catholique et le peuple juif, nel fatto che la Shoah «distrugge il cuore stesso dell’etica biblica.. e può essere guardata come l’anti-creazione, la volontà di ritornare al caos iniziale, cioè a prima che la Parola di Dio donasse senso al mondo e all’uomo».

La Shoah si presenterebbe allora come «la sconfitta della religione cristiana». Eppure proprio perché raramente colgono una simile profondità teologica, le ricorrenti polemiche sui silenzi di Pio XII il più delle volte suonano comprensibili ma decisamente inadeguate rispetto all’interrogativo morale che le sottende.

La questione centrale, quella su cui dovremmo davvero tutti interrogarci, riguarda come e perché l’antigiudaismo cristiano abbia favorito, legittimato e avvallato l’antisemitismo. Occorre allora non attardarsi soltanto sulle singole scelte del papa, ma sul comportamento complessivo della comunità cristiana e cattolica per non tacere certamente l’aiuto concreto prestato alla salvezza di singoli ebrei, ma senza dimenticare le sue responsabilità nell’avere accreditato e favorito il diffuso comune sentire antiebraico che ha segnato la cultura europea degli ultimi due secoli. Ciò su cui occorre riflettere, insomma, è quanto l’accusa di deicidio abbia sedimentato e nutrito le pulsioni razziste novecentesche.

Solo così si capisce allora tutta l’importanza che riveste la radice teologica e di fede nel condannare il razzismo, quel grido lanciato da Pio XI prima di morire: «spiritualmente siamo tutti semiti». Non è legittimo per un cristiano essere razzista perché, non si stancherà di ripetere, ciò vorrebbe dire tradire la comune origine abramitica e spezzare l’indissolubile comunità di destino ebraico-cristiana.

Da quel momento del 1938, la condanna degli ebrei per motivi religiosi, fino ad allora sostenuta dalla chiesa cattolica, diventa altrettanto inaccettabile di quella per motivi di razza.

Del resto, più che le mitologie paganeggianti che molti vedrebbero nel nazismo, lo scopo di Hitler era quello di intaccare il cuore della rivelazione imponendo per legge alle chiese tedesche la soppressione e il vero e proprio ripudio dell’Antico Testamento, fino a costruire un Cristo ariano, come fece Arthur Rosenberg nel suo Mito del XX secolo messo all’indice dalla chiesa cattolica eppure accettato dalle chiese protestanti asservite al Fuerher, che voleva fondare, appunto, una nuova religione.

Il significato teologico della minaccia rappresentata dal nazismo sta nel volere tagliare la radice della tradizione cristiana, rinnegando il Vecchio Testamento. Operazione impossibile per la fede cristiana, come Joseph Ratzinger ha ben chiarito fin dal 1968 nella prima parte della sua Introduzione al cristianesimo, oggi riedita integralmente dalla Queriniana.

Tutto il pontificato di Wojtyla è segnato da questa consapevolezza teologica, prima ancora che storica. Nel giugno del 1979 si reca ad Auschwitz, nel 1998 a Mauthausen, nel 1999 a Majdanek, nel dicembre del 1993 Santa Sede e Israele firmano un accordo che porterà allo scambio degli ambasciatori e, infine, nel 2000, in una cerimonia tra le più significative del suo magistero, Giovanni Paolo II chiede perdono per le colpe della chiesa nei confronti degli ebrei. La beatificazione di Edith Stein segna il culmine, quando il papa dirà: «Ella è morta come figlia di Sion per la santificazione del Nome, ella ha vissuto la sua morte come Teresa Benedetta della Croce, benedetta dalla croce»

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Titolo articolo : IN HOC SIGNO VINCES: SUL "DIARIO" DI ETTY HILLESUM, GIOVANE EBREA OLANDESE, UCCISA AD AUSCHWITZ, UNA 'BELLA' CROCE DI COSTANTINO. Una recensione di Marina Corradi sul giornale dei Vescovi - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/01/2013 - 15:08:24.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/11/2012 16.31
Titolo:ETTY HILLESUM. Note biografiche ....
ETTY HILLESUM *


Biografia

Il padre Levi (Louis), nato il 25 maggio 1880 ad Amsterdam, insegnava lingue classiche; la madre Rebecca Bernstein, nata il 23 giugno 1881 a Potsjeb (in Russia), arrivò ad Amsterdam il 18 febbraio 1907 in seguito a un pogrom. La coppia si sposò nel 1912, ed ebbe oltre a Etty due figli maschi: Mischa (Michael, nato il 22 settembre 1920 a Winschoten), e Jaap (Jacob, nato il 27 gennaio 1916 a Hilversum). Con la sua famiglia seguì gli spostamenti del padre, professore di lingue classiche. Abitò a Tiel, a Winschoten e nel 1924 a Deventer, dove passò l'adolescenza.

Si laureò in giurisprudenza all'Università di Amsterdam, l'ultima città dove abitò, al numero 6 di via Gabriel Metsustraat, con le finestre che davano su una delle piazze principali, il Museumplein, prospiciente al Rijksmuseum. Si iscrisse anche alla facoltà di Lingue Slave e all'inizio della guerra si interessò della psicologia junghiana. I suoi studi furono interrotti a causa dalla guerra.

Fu una donna dalla vivace intelligenza, brillante e ricca di interessi. Nel 1942, lavorando come dattilografa presso una sezione del Consiglio Ebraico, ebbe anche la possibilità di salvarsi, ma decise, forte delle sue convinzioni umane e religiose, di condividere la sorte del suo popolo. Lavorò in seguito nel campo di transito di Westerbork come assistente sociale.

I genitori e i fratelli Mischa e Jaap furono internati tutti nel campo olandese di transito di Westerbork. Il 7 settembre 1943 tutta la famiglia, tranne Jaap, fu deportata nel campo di sterminio di Auschwitz. Mentre lei, i genitori e il fratello Mischa morirono dopo poco tempo dal loro arrivo, l'altro fratello, Jaap, invece perse la vita a Lubben, in Germania, dopo la liberazione, il 17 aprile 1945, durante il viaggio di ritorno in Olanda.
Il diario

Il diario fu scritto ad Amsterdam, tra il 1941 e il 1943, probabilmente su indicazione dello psico-chirologo ebreo-tedesco Julius Spier (di cui fu inizialmente paziente), di cui parla abbondantemente (chiamandolo semplicemente "S.") e con cui ebbe un forte legame; è un resoconto degli ultimi due anni della sua vita.
Diversamente che per Anna Frank, il suo diario venne pubblicato solo nel 1981.


* WIKIPEDIA (ripresa aprziale)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/11/2012 16.48
Titolo:TEOLOGIA DELEL RELIGIONI. NESSUNO POSSIEDE E VIVE L'INTEGRITA' DELLA VERITA' ......
Segni dei tempi nostri: il dialogo interreligioso

di Giordano Frosini

in “Viandanti” (www.viandanti.org) del 21 novembre 2012


La diversità delle religioni accompagna da sempre il cammino dell’uomo, ma oggi sta succedendo qualcosa di inedito rispetto anche al passato più recente: i confini si sono confusi; i credenti si sono
avvicinati fino a mescolarsi insieme; volenti o nolenti, le religioni sono state costrette a fare i conti anche con questo effetto, tutt’altro che secondario, al seguito della globalizzazione.

Guardare al di là del proprio naso

Oggi i diversamente credenti camminano fianco a fianco, lavorano e costruiscono gomito a gomito, i loro figli frequentano le stesse scuole e i matrimoni misti stanno crescendo con una certa celerità
nelle nostre popolazioni. Non c’è più la possibilità di distrarsi e far finta di non vedere fenomeni tanto diffusi e tanto rilevanti. La vita ne risulta profondamente cambiata ed è destinata a cambiare
ancora di più nel nostro futuro. Anche se non ci piace, dobbiamo prendere atto che noi stiamo vivendo una situazione che assomiglia molto a quella del medioevo.

Etimologicamente “barbaro” non ha un significato dispregiativo, significa soltanto “straniero”. In questo senso, i barbari sono
ancora alle porte, anzi sono già entrati in casa. Dal passato dovremmo imparare a non compiere gli stessi errori. La paura dell’altro è parte integrante soltanto degli spiriti mediocri, che non sanno vedere al di là del proprio naso.

La teologia delle religioni

Così, l’attuale “teologia delle religioni”, considerata ormai ufficialmente come un nuovo capitolo del pensiero teologico e della chiesa come tale, si sta arricchendo di indicazioni impegnative, che
chiamano in causa l’intera comunità cristiana. Non abbiamo nessuna difficoltà ad ammettere che questa vicinanza, questo rimescolamento di religioni costituisce l’ultimo dei segni dei tempi che stanno interpellando la coscienza cristiana. E sappiamo che i segni dei tempi per il credente sono i tocchi dello Spirito Santo che guida verso la fine il cammino storico della chiesa e dell’umanità.

In un primo tempo si è guardato a questo fenomeno con sussiegoso distacco, come si fa normalmente con le cose che non ci interessano o non ci interessano a sufficienza; poi, almeno in molti, è intervenuto il sentimento che somiglia molto alla paura (di questo passo, cosa avverrà nel nostro futuro? Qualcuno su questo sentimento ha costruito perfino la sua fortuna politica); finalmente, anche in ottemperanza ai richiami del magistero della chiesa, si sta mettendo in pratica
l’unico vero atteggiamento degno di una religione che si professa cattolica (cioè universale) e cristiana (cioè seguace di quel Cristo che è stato da sempre considerato come il salvatore dell’umanità).

Andare ben oltre la tolleranza

Si è invocato, per questo, lo spirito della tolleranza, ma, almeno in termini cristiani, questa reazione non è da considerarsi affatto sufficiente: occorre andare ben oltre la tolleranza, dobbiamo essere,
come è stato detto felicemente, i vicini interreligiosi di tutti, i con-chiamati, insieme agli ebrei, ai musulmani, i buddisti, agli induisti e si vada dicendo, all’unica vocazione da parte di Dio “che
vuole tutti gli uomini salvi”.

Perché, nonostante tutto, al di là delle non trascurabili differenze, ogni religione è un dito puntato verso l’alto, a ricordare agli uomini che la terra non è l’ultima loro
dimora, ma che, oltre i confini del visibile, c’è qualcuno che veglia su di loro e li attende sulle
soglie dell’eternità. Se ogni uomo è nostro fratello, il credente che condivide con noi una speranza
di immortalità lo è doppiamente.

Certo, il minareto non è la stessa cosa del campanile e la moschea
non possiede i contenuti della chiesa cristiana, ma il richiamo di fondo rimane lo stesso. La voce del muezzin ha un suono diverso da quello delle nostre campane, ma l’invito alla preghiera è lo stesso.
Ascoltando l’uno e l’altro, l’uomo è avvertito che non può salvarsi da solo e che ha assoluto bisogno di una mano amica che lo conduca per mano. Non è così anche quando assistiamo con una certa meraviglia alle grandi distese di uomini piegati sulle pubbliche piazze in un comuneatteggiamento di preghiera?

Di dialogo non si è mai parlato tanto come ai nostri giorni. Dialogo significa confronto, scambio di idee, rispetto, ascolto reciproco e attento. Così ce lo presentò Paolo VI nella sua enciclica programmatica, così ce lo hanno raccomandato i Papi che si sono succeduti sulla cattedra di Pietro.

“La chiesa si fa dialogo”, non certo rinunciando alle convinzioni che l’hanno sempre accompagnata nel corso della storia, ma con l’intento di poter imparare sempre qualcosa, perché nessuno possiede e vive l’integrità della verità. Il confronto leale e aperto chiarifica la nostra identità e ci costringe ad approfondire le nostre idee. Naturalmente tutto comincia con l’accoglienza amica e fraterna.

Giordano Frosini

Teologo, presbitero della Diocesi di Pistoia
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/2/2013 15.08
Titolo:«La Shoah è l’anti-Sinai», così si è espresso Elie Wiesel ...
Le nostre colpe come cristiani

di Emma Fattorini (Il Sole 24 Ore, 26 aprile 2009)

«La Shoah è l’anti-Sinai», così si è espresso Elie Wiesel: «Gli assassini erano battezzati, per lo più, erano stati educati nel cristianesimo: eppure uccidevano». È la prova, secondo il nobel per la pace, che il cristianesimo e la sua cultura non hanno saputo fermare il male. E la sua unicità non sta nella quantità o qualità del male che il cristianesimo non avrebbe saputo impedire, ma piuttosto, come dice Jean Dujardin nel suo L’eglise catholique et le peuple juif, nel fatto che la Shoah «distrugge il cuore stesso dell’etica biblica.. e può essere guardata come l’anti-creazione, la volontà di ritornare al caos iniziale, cioè a prima che la Parola di Dio donasse senso al mondo e all’uomo».

La Shoah si presenterebbe allora come «la sconfitta della religione cristiana». Eppure proprio perché raramente colgono una simile profondità teologica, le ricorrenti polemiche sui silenzi di Pio XII il più delle volte suonano comprensibili ma decisamente inadeguate rispetto all’interrogativo morale che le sottende.

La questione centrale, quella su cui dovremmo davvero tutti interrogarci, riguarda come e perché l’antigiudaismo cristiano abbia favorito, legittimato e avvallato l’antisemitismo. Occorre allora non attardarsi soltanto sulle singole scelte del papa, ma sul comportamento complessivo della comunità cristiana e cattolica per non tacere certamente l’aiuto concreto prestato alla salvezza di singoli ebrei, ma senza dimenticare le sue responsabilità nell’avere accreditato e favorito il diffuso comune sentire antiebraico che ha segnato la cultura europea degli ultimi due secoli. Ciò su cui occorre riflettere, insomma, è quanto l’accusa di deicidio abbia sedimentato e nutrito le pulsioni razziste novecentesche.

Solo così si capisce allora tutta l’importanza che riveste la radice teologica e di fede nel condannare il razzismo, quel grido lanciato da Pio XI prima di morire: «spiritualmente siamo tutti semiti». Non è legittimo per un cristiano essere razzista perché, non si stancherà di ripetere, ciò vorrebbe dire tradire la comune origine abramitica e spezzare l’indissolubile comunità di destino ebraico-cristiana.

Da quel momento del 1938, la condanna degli ebrei per motivi religiosi, fino ad allora sostenuta dalla chiesa cattolica, diventa altrettanto inaccettabile di quella per motivi di razza.

Del resto, più che le mitologie paganeggianti che molti vedrebbero nel nazismo, lo scopo di Hitler era quello di intaccare il cuore della rivelazione imponendo per legge alle chiese tedesche la soppressione e il vero e proprio ripudio dell’Antico Testamento, fino a costruire un Cristo ariano, come fece Arthur Rosenberg nel suo Mito del XX secolo messo all’indice dalla chiesa cattolica eppure accettato dalle chiese protestanti asservite al Fuerher, che voleva fondare, appunto, una nuova religione.

Il significato teologico della minaccia rappresentata dal nazismo sta nel volere tagliare la radice della tradizione cristiana, rinnegando il Vecchio Testamento. Operazione impossibile per la fede cristiana, come Joseph Ratzinger ha ben chiarito fin dal 1968 nella prima parte della sua Introduzione al cristianesimo, oggi riedita integralmente dalla Queriniana.

Tutto il pontificato di Wojtyla è segnato da questa consapevolezza teologica, prima ancora che storica. Nel giugno del 1979 si reca ad Auschwitz, nel 1998 a Mauthausen, nel 1999 a Majdanek, nel dicembre del 1993 Santa Sede e Israele firmano un accordo che porterà allo scambio degli ambasciatori e, infine, nel 2000, in una cerimonia tra le più significative del suo magistero, Giovanni Paolo II chiede perdono per le colpe della chiesa nei confronti degli ebrei. La beatificazione di Edith Stein segna il culmine, quando il papa dirà: «Ella è morta come figlia di Sion per la santificazione del Nome, ella ha vissuto la sua morte come Teresa Benedetta della Croce, benedetta dalla croce»

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Titolo articolo : Mancanza non solo di memoria,di Gigi Fioravanti

Ultimo aggiornamento: January/30/2013 - 07:06:01.

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Autore Città Giorno Ora
Augusta De Piero Udine 30/1/2013 07.06
Titolo:... e altro
aggiungo: il divieto di registrare matrimoni di ebrei e con ebrei, la cacciata dalla scuola degli ebrei sia studenti che insegnanti.

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Titolo articolo : UN INVITO A ESSERE "FEDELI ALLA TERRA": "QUASI UNA PREGHIERA".  Un libro della teologa Adriana Zarri recensito da Umberto Galimberti - con appunti  ,

Ultimo aggiornamento: January/29/2013 - 18:31:16.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/1/2013 01.19
Titolo:PAROLA A RISCHIO Risalire gli abissi ...
PAROLA A RISCHIO
Risalire gli abissi
La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
Perché è sorriso, liberazione, gioia.

di Giovanni Mazzillo (Teologo) *

G come gioia, come Gesù, respiro di gioia per tutti gli infelici della terra. Parliamo di Gesù, il cui corrispondente nome greco Iesoûs deriva direttamente dall’originale ebraico Je(ho)šhu e significa JHWH salva, per precisare immediatamente che il termine salvezza oggi non significa gran che per i nostri contemporanei, e di conseguenza risuona poco interessante persino quel nome, pur originariamente portatore di una gioia immensa e inaudita. Ciò avviene non solo per l’inevitabile logorio delle parole più usate e talora abusate, ma per il fatto che ha perso rilevanza e pertanto significato il valore stesso della “salvezza”.

Salvezza
Salvezza da chi e/o da che cosa? Appunto, è questo il primo problema. La salvezza appare di primo acchito un concetto immediatamente derivato dal superamento di una situazione negativa, Si salva, o come succede in questo caso, viene salvato, qualcuno che si trova in una situazione di pericolo. Il pericolo di perdere qualcosa, di perdere se stesso. Di essere cancellato, di sparire, appunto come sparisce da un computer un testo non “salvato” o un’immagine non messa al sicuro. Ma essere salvati è per noi persone umane, e pertanto non riducibili a una traccia di codificazione binaria o algoritmica, molto di più che conservare un’impronta e una presenza. Coerentemente con la nostra realtà dinamica e relazionale, essere salvati significa avere un luogo, un senso, una rilevanza nel contesto di una realtà che giustifica, sorregge, garantisce il mantenimento e la crescita qualitativa, e pertanto il conseguente riconoscimento di un originario, inalienabile, imprescindibile valore personale.

La domanda «Chi o che cosa si può dire oggi salvato?» esige pertanto una primordiale differenziazione. Altro è il concetto di ciò che è salvato (cioè il dato messo al sicuro), ben altro è l’essere umano salvato. Questi non è solo garantito in ciò che ha di più proprio e pertanto è distinto dal mero “dato”, che invece è una sorta di file compilato (non per nulla in tedesco proprio il file è chiamato Datei, leggi datai, cioè «rea-ltà data»). L’essere umano è tale solo in un incontro, in una relazione. La persona è tutta nelle relazioni delle quali vive. Proprio la relazionalità sorregge il senso e la gioia del suo esistere.

L’annuncio di Gesù, già nella sua venuta in questo nostro mondo, è l’annuncio di una relazionalità umana felicemente riuscita. Nel Vangelo è direttamente collegato alla Grazia, termine che esprime tutto ciò e anche qualcosa di più.

Nell’annuncio della sua nascita, diversamente da quanto appare nella traduzione latina, e in quella italiana da essa derivata, nella preghiera più popolare che ci sia, Maria è salutata non con il saluto che si dava all’imperatore, alle autorità o anche agli amici con l’esclamativo «Ave!», bensì con l’invito a rallegrarsi, cioè a gioire (chaîre): a entrare in un circuito di esultanza per un dono gratuito e inatteso. Colei che è piena di grazia (kecharitōménē) è invitata a rallegrarsi perché tutto in lei è frutto ed espressione della «grazia» (cháris), cioè di un dono amorevole quanto sorprendente, che sarà presto annuncio di gioia per tutto il popolo e per ogni uomo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...”. L’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia...» (Lc 1,30-31; 2,10-11).

Il resto del Vangelo, soprattutto quello di Luca, evidenzia la gioia improvvisa e incontenibile che contagia quanti vengono a contatto con Ješhu. A cominciare da Elisabetta e dal suo bambino, che le esulta nel grembo, il futuro Battista. Così esultano ancora due anziani che sembrano essere rimasti in vita per mantenere viva la speranza d’Israele: Simeone e Anna, o i pastori; mentre nel racconto di Matteo, viene detto che i Magi “provarono una grandissima gioia” nel rivedere la stella che indicava il luogo della natività di Gesù.

La stessa gioia è testimoniata dai semplici e dagli umili, dagli infelici e dai peccatori che si sentono aiutati, capiti, perdonati. A gioire sono ancora i bambini e le donne, classi tradizionalmente neglette dalla piena partecipazione alla grazia collegata alle tradizionali benedizioni di Dio. Insomma il cuore del Vangelo è la lieta notizia annunciata ai bisognosi e agli infelici della terra. Il Dio che si dona totalmente, è il Dio che dona illimitatamente la gioia agli uomini. E perché la nostra gioia fosse piena (Gv 15,11), il Figlio di Dio è arrivato umanamente a perdere se stesso.

Perché avessimo una gioia che nessuno avrebbe mai più potuto toglierci, ha permesso che fosse tolta a lui la vita, per riprenderla di nuovo, ma con la conoscenza ormai nella sua carne e nella sua psiche di cosa significhi la morte umana. Di cosa voglia dire la gioia di vivere, di vivere non con il naturale sorriso con cui vive ogni creatura per la stessa gioia dell’esistere, ma di provare e diffondere la gioia di chi conosce la sofferenza e non resta inchiodato alla sofferenza. O al limite, di chi, nonostante le ferite e talora i chiodi mai interamente rimossi della sofferenza, sa sorridere della vita, perché questa è ormai rischiarata da colui che vince la morte e la depressione della sofferenza.

La gioia è dunque uno dei nomi della salvezza, ma di una salvezza che assume di volta in volta nomi nuovi e nomi antichi: riscatto, liberazione, sensatezza, leggerezza dell’esistere... Se la parola non fosse tanto inflazionata, si potrebbe dire che la salvezza altro non è che la felicità. È la felicità nel suo senso etimologico: come abbondanza e fertilità. Possiamo tradurre: come vita sensata che raggiunge il suo scopo e nasce da relazioni benevole, tendenti al bene altrui, trovando negli altri la propria gioia e comunicandola con relazioni che fanno crescere se stessi e gli altri.

In quanto tale, la felicità è simile alla pace e ne è la forma storica: è star bene con sé e con gli altri, con il proprio passato e con il proprio futuro. Perché, soprattutto oggi, c’è bisogno paradossalmente più di ricostruire il futuro che il passato o il presente. Per poterlo fare c’è bisogno di quella gioia consapevole che non si arrende e che non si ripiega su se stessa. Si ritrova nel futuro di una convivenza che non nasconde, ma sa riconoscere e superare i conflitti attraverso uno sguardo d’amore verso ciò che ci è intorno. È uno guardo che viene da lontano e tuttavia tocca la nostra umanità, questa mia e questa tua umanità, quella assunta, attraversata e come divinizzata da quel Gesù che continuamente dà senso a ogni tentativo di superare la violenza con l’amore. È l’unico a dar senso a ogni discorso di pace, anche questo che hai appena finito di leggere.

* MOSAICO DI PACE, LUGLIO 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/1/2013 18.31
Titolo:Noi, cattolici, ci rifiutiamo di condannare “il genere”
Noi, cattolici, ci rifiutiamo di condannare “il genere”

di Anne-Marie de la Haye e la segreteria del Comité de la Jupe

in “www.comitedelajupe.fr” del 27 gennaio 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Siamo delle cristiane e dei cristiani, fedeli al messaggio del vangelo, e viviamo lealmente questo attaccamento all’interno della Chiesa cattolica. La nostra esperienza professionale, i nostri impegni associativi e le nostre vite di uomini e di donne ci danno la competenza per analizzare le evoluzioni dei rapporti tra gli uomini e le donne nelle società contemporanee, e per discernervi i segni dei tempi.

Abbiamo preso conoscenza delle raccomandazioni del nostro Santo Padre, papa Benedetto XVI, rivolte al Pontificio Consiglio Cor Unum, nelle quali esprime la sua opposizione nei confronti di quella che chiama “la teoria del genere”, mettendola sullo stesso piano delle “ideologie che esaltavano il culto della nazione, della razza, della classe sociale”. Riteniamo questa condanna infondata ed infamante. Il rifiuto che l’accompagna di collaborare con ogni istituzione suscettibile di aderire a questo tipo di pensiero, è ai nostri occhi un errore grave, tanto dal punto di vista del percorso intellettuale che della scelta delle azioni intraprese a servizio del vangelo.

Affermiamo qui, con la massima solennità, che non possiamo aderirvi.

In primo luogo, è sterilizzante. Infatti, nel campo del pensiero, rifiutare di prender conoscenza di certe opere, o di affrontare argomenti con certi partner senza mostrare a priori un atteggiamento benevolo e disponibile al dibattito non è il modo migliore per progredire in direzione della verità.

Che cosa sarebbe successo se Tommaso D’Aquino si fosse astenuto dal leggere Aristotele, con il pretesto che non conosceva il vero Dio e che le sue opere gli erano state trasmesse da traduttori musulmani?

Del resto, sul campo, sapere se si deve o meno collaborare con soggetti animati da idee diverse dalle nostre, è una decisione che può essere presa solo in quel luogo e in quel determinato momento, in funzione delle forze presenti e dell’urgenza della situazione. Cosa sarebbe successo, a proposito della lotta contro il nazismo e il fascismo, se i resistenti cristiani avessero rifiutato di battersi accanto ai comunisti, atei e solidali di un regime criminale?

Veniamo ora al tema in questione: smettiamola di lasciare che si dica che la nozione del genere è una macchina da guerra contro la nostra concezione di umanità. È falso. Essa è frutto di una lotta sociale, e cioè la lotta per l’uguaglianza tra uomini e donne, che si è sviluppata da circa un secolo, inizialmente nei paesi sviluppati (Stati Uniti d’America ed Europa), e di cui i paesi in via di sviluppo cominciano ora a sentire i frutti. Questa lotta sociale ha stimolato la riflessione di ricercatori in numerose discipline delle scienze umane; queste ricerche non sono terminate, e non costituiscono affatto una “teoria” unica, ma un insieme diversificato e sempre in movimento, che non bisognerebbe ridurre ad alcune sue espressioni più radicali.

Il vero problema non è quindi ciò che si pensa della nozione di genere, ma ciò che si pensa dell’uguaglianza uomo/donna. E, di fatto, la lotta per i diritti delle donne rimette in discussione la concezione tradizionale, patriarcale, opposta all’uguaglianza, dei ruoli attribuiti agli uomini e alle donne nell’umanità.

Nelle società in via di sviluppo in particolare, la situazione delle donne è ancora tragicamente lontana dall’uguaglianza. L’accesso delle donne all’istruzione, alla salute, all’autonomia, al controllo della loro fecondità si scontra con forti resistenze delle società tradizionali. Peggio ancora: in certi luoghi è costantemente minacciato perfino il semplice diritto delle donne alla vita, alla sicurezza e all’integrità fisica.

Non si può, come fa il papa nei suoi interventi a questo proposito, pretendere che si accolga come autentico progresso l’accesso delle donne all’uguaglianza dei diritti, e continuare al contempo a difendere una concezione di umanità in cui la differenza dei sessi implica una differenza di natura e di vocazione tra gli uomini e le donne. C’è in questo una contorsione intellettuale insostenibile.

Come negare infatti che i rapporti uomo/donna siano oggetto di apprendimenti influenzati dal contesto storico e sociale? Pretendere di conoscere assolutamente, e col disprezzo di ogni indagine condotta con le acquisizioni delle scienze sociali, quale parte delle relazioni uomo/donna deve sfuggire all’analisi sociologica e storica, manifesta un blocco del pensiero del tutto ingiustificabile.

Dietro questo blocco del pensiero, sospettiamo un’incapacità a prender posizione nella lotta per i diritti delle donne. Eppure, questa lotta non è forse quella delle oppresse contro la loro oppressione, e il ruolo naturale dei cristiani non è forse quello di rovesciare i potenti dai troni?

Levarsi a priori contro anche solo l’uso della nozione di genere, significa confondere la difesa del Vangelo con quella di un sistema particolare. La Chiesa ha fatto questo errore due secoli e mezzo fa, confondendo difesa della fede e difesa delle istituzioni monarchiche, e più tardi dei privilegi della borghesia. Rifacendo un errore analogo, ci condanneremmo ad una emarginazione ancora maggiore di quella in cui ci troviamo già attualmente. Come non temere che questa condanna frettolosa sia uno dei tasselli di una crociata antimodernista mirante a demonizzare un’evoluzione contraria alle posizioni acquisite dell’istituzione?

Per questo motivo, con viva preoccupazione, ci appelliamo ai fedeli cattolici, ai preti, ai religiosi e alle religiose, ai diaconi, ai vescovi, affinché evitino alla nostra chiesa questa situazione di impasse intellettuale, e perché sappiano riconoscere, dietro a una disputa di termini, le vere poste in gioco della lotta per i diritti delle donne, e il giusto posto della loro Chiesa in questa lotta evangelica.

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Titolo articolo : RIMOZIONE DEL FEMMINILE E FEMMINICIDIO: UNA QUESTIONE ANTROPOLOGICA RADICALE. "Donne in cerca di guai": una riflessione di Alessandro Esposito (pastore valdese) - con appunti ,a cura di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January/29/2013 - 17:49:19.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/12/2012 19.51
Titolo:COME IN CHIESA COSI' IN CASA. La dimensione accogliente della mente....
Una nota da:

La mente accogliente.
Tracce per una svolta antropologica

di Federico La Sala *

[...] E infine arriviamo al punto-chiave - alla Figura. *

Di recente le truppe edipiche del Vaticano, la burocrazia pontificia - incredibilmente - nello sforzo di cacciare i ragni (si pensi alla lotta di Bacone per il Novum Organum del sapere) dal buco non ha più visto cosa faceva, tanta era la polvere che si era accumulata e tante erano le ragnatele che coprivano tutto, e, disperata, ha ripulito il calendario di un bel numero di santi e, nei posti vuoti, ha lasciato subito insediare le formiche.

Tra le sante, chi è stata tolta? Proprio lei: Filomena - Colei che è amata - e ama, accoglie e protegge.

Evidentemente i "saggissimi" del Vaticano, che - come Carducci - sanno di greco e di latino e scrivono "odi barbare" sui temi più scottanti del nostro tempo, avranno pensato: questa santa non sarà mai esistita, non ha nemmeno un vero nome, il suo nome è semplicemente un aggettivo, il participio di un verbo, cancelliamola dall’albo - "e quolibet calendario espungatur" (nota: L’Instructio de calendariis della Sacra Congregazione dei Riti ha preso tale decisione nel 1961, cfr. voce: Filomena, in Biblioteca Sanctorum, Roma, Città Nuova Editrice, 1965, pp. 796-800). E, infatti, è il modo infinitivo che partecipa del nome e del verbo. Ma quale verbo? Quello decisivo, naturalmente! Filein - Amare: filéo - amo. Filomena: Colei che è amata - e ama, accoglie, assiste, tratta con tenerezza (o, altrimenti, Filousa), dimostra affetto con atti (o, altrimenti, Glyko-filousa) - semplicemente, Maria.

E’, in generale, la dimensione accogliente della mente, e, insieme, della coppia (padre e madre) verso il figlio, innanzitutto. Dentro come fuori, all’interno come all’esterno - dinamicamente [...].

* Cit. da Federico La Sala, La mente accogliente. Tracce per una svolta antropologica, Antonio Pellicani editore, Roma 1991, pp. 178-179.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/12/2012 20.18
Titolo:PAROLA DEL CARD. RAVASI. LE SIBILLE NELLA SISTINA L’ELEMENTO PIU’ CURIOSO.
MICHELANGELO E LA SISTINA (1512-2012). I PROFETI INSIEME ALLE SIBILLE PER LA CHIESA UN GROSSO PROBLEMA ....


DOPO 500 ANNI, PER IL CARDINALE RAVASI LA PRESENZA DELLE SIBILLE NELLA SISTINA E’ ANCORA L’ELEMENTO PIU’ CURIOSO.



In un bel documentario dal titolo «1512. La volta di Michelangelo nella Sistina compie 500 anni» mandato in onda, ieri, 31 ottobre 2012 (giorno dell’anniversario) su TV2000 alle ore 13.05 (e replicato alle 23.05) con Antonio Paolucci, Gianluigi Colalucci e cardinale Gianfranco Ravasi,
- il cardinale dichiara, con la massima autorevolezza e con la massima ’innocenza’, che nella Volta della Sistina insieme alle figure centrali relative al testo del Genesi, ci sono i profeti e le sibille, e la presenza di "queste donne" è definita come "il più curioso" elemento della narrazione michelangiolesca.

Evidentemente, dopo 500 anni, per la teologia della Chiesa cattolico-romana, la loro presenza è decisamente ancora un problema, un grosso problema! (Federico La Sala, 01.11.2012)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/12/2012 08.26
Titolo:COSTANTINO E L'ALLEANZA INCESTUOSA....
Tre donne «forti» dietro tre padri della fede

di Marco Garzonio (Corriere della Sera, 25 ottobre 2012)

Il IV secolo è fine di un’epoca e nascita di tempi nuovi anche per i modelli femminili nella cultura cristiana e nella società. Mentre le istituzioni dell’Impero si sfaldano, popoli premono ai confini, corruzione e violenze dilagano e le casse sono vuote, causa guerre ed evasione fiscale, alcune donne sono protagoniste delle trasformazioni almeno tanto quanto gli uomini accanto ai quali la storia le ha accolte. Elena, madre di Costantino, Monica madre di Agostino, Marcellina sorella di Ambrogio.

Ma ci son pure Fausta, moglie di Costantino, da lui fatta assassinare per sospetto tradimento (violenza in famiglia anzi tempo) e la compagna di Agostino, giovane cartaginese vissuta anni more uxorio («coppia di fatto» si direbbe oggi) col futuro santo vescovo d’Ippona. Gli diede pure un figlio, Adeodato, di lei però non è rimasto nemmeno il nome: una rimozione del femminile, nonostante la straordinaria autoanalisi ante litteram compiuta da Agostino nelle Confessioni; un archetipo delle rimozioni collettive della donna praticate dalla cattolicità e di tanta misoginia e sessuofobia che affliggeranno la Chiesa per secoli e ancora la affliggono. Ma andiamo con ordine nel considerare i tipi.

La madre solerte, forte, premurosa, ambiziosa, molto attaccata al figlio maschio, possessiva: è il modello di madre che emerge dalle testimonianze. In parte è un’icona ritagliata sul prototipo della matrona romana, su cui s’innesta la novità del cristianesimo. Questo dalle origini si dibatte in una contraddizione. C’è l’esempio di Gesù che «libera» la donna dalle sudditanze; per lui non è alla stregua di una «cosa» (come negli usi romani); negli incontri rivela l’alta considerazione verso una persona non certo inferiore all’uomo e contraddice così la cultura del tempo. Narrano i vangeli che Gesù si mostra a Maria di Magdala e alle altre donne come il Risorto davanti al sepolcro vuoto: loro sono le protagoniste, a esse affida l’annuncio pasquale. Dall’altra parte c’è San Paolo che invita le mogli a stare sottomesse ai mariti e ispira la visione di un ruolo ancillare, silenzioso, subordinato.

Ecco, allora: Elena anticipa quella che in epoche successive sarà la Regina Madre. Locandiera, legata a Costanzo Cloro cui darà un figlio, Costantino, fa di tutto perché questi diventi padrone dell’Impero: tesse rapporti, guida, consiglia. Verrà ricambiata: Costantino cingerà lei del diadema imperiale (invece della «traditrice» Fausta) introducendo nell’iconografia una coppia un po’ incestuosa: madre e figlio.

Psicologicamente Costantino sarà in un certo modo sottomesso a Elena. A Gerusalemme lei troverà le reliquie del Santo Sepolcro. Dei chiodi della Croce ornerà la corona imperiale (posta sul capo dei padroni del mondo sino a Napoleone) per dire che chi governa è sottomesso a Dio, e farà il morso del cavallo del figlio: anche i sovrani devono frenare le pulsioni.

Madre altrettanto ingombrante, sul piano degli affetti in questo caso, fu Monica per Agostino. Questi aveva cercato di liberarsene partendo per Roma senza dir nulla ma Monica non si scoraggiò, lo inseguì e raggiunse sino a Milano, capitale ai tempi. Qui convinse il figlio, all’apice del successo come retore, a rispedire in Africa la compagna e si diede da fare perché trovasse a corte una moglie. Intanto s’era pure spesa affinché Agostino conoscesse Ambrogio, che a Milano contava più delle insegne imperiali. Così l’amore di madre si trasformò: cadde il progetto di ascesa sociale, venne la conversione e il futuro padre della Chiesa riprese la via dell’Africa, senza più Monica però, che morirà sulla via del ritorno.

Un altro genere di donna, che ebbe e ha importanza nella Chiesa, nei costumi, nella cultura è incarnato da Marcellina. La sorella di Ambrogio, dopo aver contribuito a crescere i fratelli, prese il velo con papa Liberio. Grazie a lei si prospettò una scelta di vita ricalcata sul modello del monachesimo orientale, di cui Ambrogio era estimatore: la verginità (su questa il Patrono di Milano compose una delle sue opere principali), la consacrazione, il chiostro in cui ritirarsi, pregare e, in taluni sviluppi, lavorare, garantire il prosieguo delle tradizioni e aprirsi al mondo attraverso opere di carità. Costantino, Ambrogio, Agostino e lo loro donne: esempi d’una storia plurale che continua, viene costruita giorno dopo giorno ancora, si evolve.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/1/2013 17.49
Titolo:Noi, cattolici, ci rifiutiamo di condannare “il genere”
Noi, cattolici, ci rifiutiamo di condannare “il genere”

di Anne-Marie de la Haye e la segreteria del Comité de la Jupe

in “www.comitedelajupe.fr” del 27 gennaio 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Siamo delle cristiane e dei cristiani, fedeli al messaggio del vangelo, e viviamo lealmente questo attaccamento all’interno della Chiesa cattolica. La nostra esperienza professionale, i nostri impegni associativi e le nostre vite di uomini e di donne ci danno la competenza per analizzare le evoluzioni dei rapporti tra gli uomini e le donne nelle società contemporanee, e per discernervi i segni dei tempi.

Abbiamo preso conoscenza delle raccomandazioni del nostro Santo Padre, papa Benedetto XVI, rivolte al Pontificio Consiglio Cor Unum, nelle quali esprime la sua opposizione nei confronti di quella che chiama “la teoria del genere”, mettendola sullo stesso piano delle “ideologie che esaltavano il culto della nazione, della razza, della classe sociale”. Riteniamo questa condanna infondata ed infamante. Il rifiuto che l’accompagna di collaborare con ogni istituzione suscettibile di aderire a questo tipo di pensiero, è ai nostri occhi un errore grave, tanto dal punto di vista del percorso intellettuale che della scelta delle azioni intraprese a servizio del vangelo.

Affermiamo qui, con la massima solennità, che non possiamo aderirvi.

In primo luogo, è sterilizzante. Infatti, nel campo del pensiero, rifiutare di prender conoscenza di certe opere, o di affrontare argomenti con certi partner senza mostrare a priori un atteggiamento benevolo e disponibile al dibattito non è il modo migliore per progredire in direzione della verità.

Che cosa sarebbe successo se Tommaso D’Aquino si fosse astenuto dal leggere Aristotele, con il pretesto che non conosceva il vero Dio e che le sue opere gli erano state trasmesse da traduttori musulmani?

Del resto, sul campo, sapere se si deve o meno collaborare con soggetti animati da idee diverse dalle nostre, è una decisione che può essere presa solo in quel luogo e in quel determinato momento, in funzione delle forze presenti e dell’urgenza della situazione. Cosa sarebbe successo, a proposito della lotta contro il nazismo e il fascismo, se i resistenti cristiani avessero rifiutato di battersi accanto ai comunisti, atei e solidali di un regime criminale?

Veniamo ora al tema in questione: smettiamola di lasciare che si dica che la nozione del genere è una macchina da guerra contro la nostra concezione di umanità. È falso. Essa è frutto di una lotta sociale, e cioè la lotta per l’uguaglianza tra uomini e donne, che si è sviluppata da circa un secolo, inizialmente nei paesi sviluppati (Stati Uniti d’America ed Europa), e di cui i paesi in via di sviluppo cominciano ora a sentire i frutti. Questa lotta sociale ha stimolato la riflessione di ricercatori in numerose discipline delle scienze umane; queste ricerche non sono terminate, e non costituiscono affatto una “teoria” unica, ma un insieme diversificato e sempre in movimento, che non bisognerebbe ridurre ad alcune sue espressioni più radicali.

Il vero problema non è quindi ciò che si pensa della nozione di genere, ma ciò che si pensa dell’uguaglianza uomo/donna. E, di fatto, la lotta per i diritti delle donne rimette in discussione la concezione tradizionale, patriarcale, opposta all’uguaglianza, dei ruoli attribuiti agli uomini e alle donne nell’umanità.

Nelle società in via di sviluppo in particolare, la situazione delle donne è ancora tragicamente lontana dall’uguaglianza. L’accesso delle donne all’istruzione, alla salute, all’autonomia, al controllo della loro fecondità si scontra con forti resistenze delle società tradizionali. Peggio ancora: in certi luoghi è costantemente minacciato perfino il semplice diritto delle donne alla vita, alla sicurezza e all’integrità fisica.

Non si può, come fa il papa nei suoi interventi a questo proposito, pretendere che si accolga come autentico progresso l’accesso delle donne all’uguaglianza dei diritti, e continuare al contempo a difendere una concezione di umanità in cui la differenza dei sessi implica una differenza di natura e di vocazione tra gli uomini e le donne. C’è in questo una contorsione intellettuale insostenibile.

Come negare infatti che i rapporti uomo/donna siano oggetto di apprendimenti influenzati dal contesto storico e sociale? Pretendere di conoscere assolutamente, e col disprezzo di ogni indagine condotta con le acquisizioni delle scienze sociali, quale parte delle relazioni uomo/donna deve sfuggire all’analisi sociologica e storica, manifesta un blocco del pensiero del tutto ingiustificabile.

Dietro questo blocco del pensiero, sospettiamo un’incapacità a prender posizione nella lotta per i diritti delle donne. Eppure, questa lotta non è forse quella delle oppresse contro la loro oppressione, e il ruolo naturale dei cristiani non è forse quello di rovesciare i potenti dai troni?

Levarsi a priori contro anche solo l’uso della nozione di genere, significa confondere la difesa del Vangelo con quella di un sistema particolare. La Chiesa ha fatto questo errore due secoli e mezzo fa, confondendo difesa della fede e difesa delle istituzioni monarchiche, e più tardi dei privilegi della borghesia. Rifacendo un errore analogo, ci condanneremmo ad una emarginazione ancora maggiore di quella in cui ci troviamo già attualmente. Come non temere che questa condanna frettolosa sia uno dei tasselli di una crociata antimodernista mirante a demonizzare un’evoluzione contraria alle posizioni acquisite dell’istituzione?

Per questo motivo, con viva preoccupazione, ci appelliamo ai fedeli cattolici, ai preti, ai religiosi e alle religiose, ai diaconi, ai vescovi, affinché evitino alla nostra chiesa questa situazione di impasse intellettuale, e perché sappiano riconoscere, dietro a una disputa di termini, le vere poste in gioco della lotta per i diritti delle donne, e il giusto posto della loro Chiesa in questa lotta evangelica.

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Titolo articolo : LA REALTA' DIGITALE, LA CHIESA, E  LA GIORNATA MONDIALE DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI. Il messaggio di Benedetto XVI e il commento di Chiara Giaccardi - con  note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January/27/2013 - 20:47:46.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/1/2013 17.32
Titolo:I tweet del papa e la catapulta di Bush
I tweet del papa e la catapulta di Bush

di Massimo Faggioli (L’Huffington Post, 11 dicembre 2012)

La macchina comunicativa vaticana non ha mai avuto paura della modernizzazione dei mezzi atti a raggiungere i fedeli e l’universo mondo. Da questo punto di vista, l’approdo del papa su Twitter rappresenta solo l’ultimo passo, per ora, di un cammino iniziato almeno con Leone XIII nell’uso dei moderni mass media. Gli esperti di comunicazione giudicheranno che tipo di utente è papa Benedetto XVI (o meglio, chi per lui interagisce con questo sistema di comunicazione).

Ma per i cattolici, e i teologi specialmente, "il papa su Twitter" apre una questione relativa agli effetti di questa immediatezza digitale sulle strutture della chiesa e sulle idee che cattolici e non cattolici hanno della chiesa cattolica. Twitter, analogamente alla televisione, dona al papa una nuova accessibilità sia in termini di spazio che di tempo: per vedere il papa non è necessario andare a Roma, per sapere quello che dice non è necessario attendere che arrivino per posta le sue parole. Ma dal punto di vista del funzionamento della chiesa come comunità di credenti con venti secoli di storia alle spalle, è evidente che l’immediatezza e accessibilità indeboliscono la dimensione della "chiesa come comunione" perché indeboliscono, fino talvolta a rendere superflui, molti dei mediatori del messaggio della chiesa - parroci, vescovi, catechisti, genitori, teologi - e tende evidentemente a rendere superflui anche i giornalisti.

Dal concilio Vaticano I (1869-1870) in poi il sistema "chiesa cattolica" ha dato molta più visibilità e poteri al papa di Roma, grazie alle definizioni sul primato e sull’infallibilità papale. Oggi l’immediatezza e l’accessibilità istantanea della parola del papa grazie alle tecnologie come Twitter moltiplicano all’interno della chiesa gli effetti di quel "doping ecclesiologico" deciso dal Vaticano I sotto pressione di papa Pio IX. E’ un fatto nuovo. Infatti, nella lunga storia del cristianesimo ogni documento del magistero della chiesa è sempre sottoposto ad un processo di "recezione": una interpretazione mediata di ogni pronunciamento magisteriale che deve tenere conto del contesto storico del documento, fare una esegesi del testo, e comprendere la posizione di quel testo nel vasto corpus della tradizione della chiesa.

L’immediatezza e l’accessibilità istantanea della parola del papa, invece, indeboliscono indubbiamente il processo di recezione, perché è un processo che ha bisogno di tempi lunghi e di agenti mediatori di quel messaggio all’interno della chiesa: la recezione lavora su testi lunghi e complessi - lunghezza e complessità che non sono un ostacolo, ma al contrario la condizione necessaria per l’interpretabilità di ogni testo religioso.

Non è chiaro se i tweet del papa saranno un conversation starter o un conversation stopper tra il papa e i suoi followers. Ma la nuova leva (americana) di comunicatori professionisti in Vaticano sembra essere andata a lezione da George W. Bush, che spiegò, in un non raro (per lui) momento di candore, che gran parte del suo mestiere di presidente consisteva nel "catapultare la propaganda" al fine di "scavalcare" la stampa e raggiungere direttamente i cittadini. Quella di Bush non era certo una professione di fede nel ruolo della libera stampa in una democrazia. La chiesa non è una democrazia, e il papa su Twitter potrebbe rendere i meccanismi di potere e di autorità ancora di più accentrati su Roma.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/1/2013 20.28
Titolo:TWITTER, EUCARISTIA, E SIGNORAGGIO WEBICO ....
Twitter ed eucaristia

di Gaetano Mirabella *

Così come il Cristo spezzò il pane del suo corpo e lo dette come cibo a "tutti" e similmente fece col suo sangue divenuto bevanda per "tutti"; allo stesso modo, il cinguettìo di twitter è come la miriade di mani del Dio vivo che si occupa di mantenere l’immagine di ogni galassia, di ogni pianeta, di ogni strada, di ogni orizzonte, di ogni casa, di ogni città, di ogni filo d’erba e di ogni albero.

Il grande mouse universale, scorre, cliccando sulle galassie e le rende viventi: esso "trascina" sul tappetino piano dell’equatore cosmico, la vita di tutti noi che siamo nutriti, tenuti in vita e trattati come principi e principesse dal divine web master. Il papa dello IOR e delle banche, alimenta invece il signoraggio webico, prestando e distribuendo a "molti", non a "tutti", identità privilegiate, eludendo la vera moneta universale liquida del DIO-Oceano sul quale, il vaticano vuole prevalere distinguendosi, restando solo un onda.

Il divino tsunami del nuovo pensiero liquido ha travolto le fondamenta della vecchia mente facendola crollare. Il pensiero liquido dell’Oceano ha sommerso le coste e indotto le nuove menti nascenti a mettersi in viaggio e, ad attraversare il mar Rosso per uscire dallo stato di minorità, in cerca della terra promessa. Nel deserto del web noi, Hacker della vita, uomini nuovi senza nome, là nel deserto, ricorderemo il nostro vero nome. Nel deserto dell’esternità, prenderemo un neocorpo. Nel deserto lanciati ad occhi chiusi, lacereremo il velo nero dei neuroni condizionati dai peptidi del web finanziario-bancario, aprendo sinapsi che squarcino il velo illusorio della percezione, verso nuove città aperte nell’esternità della nuova mente.

La nuova era è già cominciata ma ci resta ancora da attraversare le gole della vecchia antropologia religiosa. Molti si sentono chiamati dalle sirene della vecchia identità sotto le specie delle pareti di roccia e cadono nel tranello ridiventando roccia, terra e sale, ignorando il rombo del VERBO dell’Oceano che, come mantra fonetico-eidetico, irrompe in tutte le case dai display.

E’ ancora la notte del signoraggio webico in cui vogliono concederci mutui d’identità per farci essere ma splende la luna ed è lei il collo della bottiglia oscura nella quale siamo prigionieri, ma dalla quale potremo uscire, uno per volta, se crederemo in noi stessi. Se crederemo al principe che siamo ri-diventati mangiando il pane webico dell’eucaristia liquida del Dio del display-oceano. E intanto stiamo attenti e porgiamo l’orecchio al DIO-twitter che cinguetta nella notte nera, prima di irrompere nel tuono della rivelazione. Nell’era webica dell’esternità abbiamo costruito la grande bocca che chiama incessantemente, la visione-suono tattile dell’esternità infinita e sempre nuova nel tecnorecchio di DIO.


* vedi: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=4039#forum1301089
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/1/2013 20.47
Titolo:La Chiesa ubriaca di social network ...
Boffo: “Il Papa su Twitter non ce lo vedo anche la Chiesa ubriaca di social network”

di Fabio Tonacci (la Repubblica, 27 gennaio 2013)

Si è rotto qualcosa nel coro unanime di entusiasmo che ha accompagnato fino ad oggi la discesa di Papa Ratzinger su Twitter e l’utilizzo sempre più diffuso dei new media da parte dei preti.

«Non lo vedo bene l’85enne Papa, teologo e pensoso, ad avere a che fare con Twitter - ha detto ieri Dino Boffo, direttore di Tv 2000 della Cei - basta con questa ubriacatura da social network, anche dentro la Chiesa». Classico fulmine a ciel sereno, perché arriva da uno dei maggiori esperti di comunicazione della Chiesa italiana. Segnale però che qualche dubbio cova sotto la cenere, e che non tutti i fedeli e i sacerdoti sono convinti della scelta di Benedetto XVI, quasi che le attività in rete possano contribuire ad alimentare lo svuotamento delle chiese e la crisi delle vocazioni.

Boffo ha parlato a Venezia durante un incontro organizzato dal Patriarcato per la festa di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti. «Questa ubriacatura la pagheremo cara - ha aggiunto, in un discorso diventato accusa - ci sveglieremo che non avremo più i nostri media cattolici, quelli classici che ti mettono a contatto con il cuore vivo della comunità». Non solo. «I social network sembrano dare sprint e un tocco di notorietà a buon prezzo, ma non possono sostituirsi agli altri», ha ribadito Boffo durante l’incontro di ieri, nel quale ha anche accennato alle false accuse del Giornale che lo travolsero nel 2009 costringendolo a lasciare la direzione di Avvenire («Fui vittima di un giornalismo killer»).

L’intervento di Boffo sui social network non è stato proprio una carezza per tutti quei cybernauti della fede impegnati sui vari facebook e twitter, che giusto tre giorni fa avevano avuto la benedizione del pontefice nel messaggio per la 47esima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali.

«Non capisco i toni apocalittici di Boffo - dice a Repubblica l’arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali - e non vedo nemmeno l’“ubriacatura” di modernità. Il Papa non intende certo sostituire i media vecchi con quelli nuovi, ma è un fatto che oggi il 35 per cento dei giovani si informa su Internet. Certe persone troveranno solo in rete la parola del Signore, e lì la Chiesa ci deve essere».

I numeri parlano chiaro. I seguaci del Papa su Twitter hanno superato i 2 milioni e mezzo nelle otto lingue tra cui il latino in cui è già attivo l’account. Il profilo italiano di Ratzinger conta più di 288 mila follower (l’ultimo tweet è del 23 gennaio e recita «molti falsi idoli emergono oggi. Se i cristiani vogliono essere fedeli, non devono avere timore di andare controcorrente »). E poi ci sono i “sacerdoti del web”, sempre più numerosi. C’è il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, con 32 mila follower. L’arcivescovo di Napoli Crescenzio Sepe sta pensando di iscriversi («Anche Gesù, se nascesse oggi, sarebbe su Facebook »).

E, tra monsignori, vescovi, suore e sacerdoti online, c’è anche don Antonio Spadaro, direttore di Civiltà cattolica, che ha più di 6000 follower su Twitter ed è autore del blog Cyberteologia. Alla polemica aperta da Boffo non vuole rispondere. Era stato più loquace quando sull’Osservatore romano apparve qualche mese fa un articolo di Christian Martini Grimaldi nel quale in sostanza si sottolineava il rischio di «isolamento » per chi usa troppo i social network. «Attribuire al web le colpe che sono nostre - scrisse allora sul suo blog Spadaro - è solo una forma di deresponsabilizzazione ».

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Commenti Articolo 614

Titolo articolo : Una eredità da rifiutare,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: January/27/2013 - 14:34:35.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/1/2013 13.05
Titolo:L'EREDITA' DI UNA FAMIGLIA INCESTUOSA ....
IL CVATTOLICESIMO-ROMANO, OVVERO L'ORDINE SIMBOLICO DELL'ALLEANZA MADRE-FIGLIO. L'immaginario del cattolicesimo cattolico imperiale:

LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA NON HA NIENTE A CHE FARE CON LA FAMIGLIA DI GESU’, DI GIUSEPPE E MARIA ... E’ UNA COPPIA UN PO’ INCESTUOSA: LA MADRE ELENA E L’IMPERATORE COSTANTINO, IL "SIGNORE DEL MONDO" E LA MADRE DI "DIO":


Tre donne «forti» dietro tre padri della fede

di Marco Garzonio (Corriere della Sera, 25 ottobre 2012)

Il IV secolo è fine di un’epoca e nascita di tempi nuovi anche per i modelli femminili nella cultura cristiana e nella società. Mentre le istituzioni dell’Impero si sfaldano, popoli premono ai confini, corruzione e violenze dilagano e le casse sono vuote, causa guerre ed evasione fiscale, alcune donne sono protagoniste delle trasformazioni almeno tanto quanto gli uomini accanto ai quali la storia le ha accolte. Elena, madre di Costantino, Monica madre di Agostino, Marcellina sorella di Ambrogio.

Ma ci son pure Fausta, moglie di Costantino, da lui fatta assassinare per sospetto tradimento (violenza in famiglia anzi tempo) e la compagna di Agostino, giovane cartaginese vissuta anni more uxorio («coppia di fatto» si direbbe oggi) col futuro santo vescovo d’Ippona. Gli diede pure un figlio, Adeodato, di lei però non è rimasto nemmeno il nome: una rimozione del femminile, nonostante la straordinaria autoanalisi ante litteram compiuta da Agostino nelle Confessioni; un archetipo delle rimozioni collettive della donna praticate dalla cattolicità e di tanta misoginia e sessuofobia che affliggeranno la Chiesa per secoli e ancora la affliggono. Ma andiamo con ordine nel considerare i tipi.

La madre solerte, forte, premurosa, ambiziosa, molto attaccata al figlio maschio, possessiva: è il modello di madre che emerge dalle testimonianze. In parte è un’icona ritagliata sul prototipo della matrona romana, su cui s’innesta la novità del cristianesimo. Questo dalle origini si dibatte in una contraddizione. C’è l’esempio di Gesù che «libera» la donna dalle sudditanze; per lui non è alla stregua di una «cosa» (come negli usi romani); negli incontri rivela l’alta considerazione verso una persona non certo inferiore all’uomo e contraddice così la cultura del tempo. Narrano i vangeli che Gesù si mostra a Maria di Magdala e alle altre donne come il Risorto davanti al sepolcro vuoto: loro sono le protagoniste, a esse affida l’annuncio pasquale. Dall’altra parte c’è San Paolo che invita le mogli a stare sottomesse ai mariti e ispira la visione di un ruolo ancillare, silenzioso, subordinato.

Ecco, allora: Elena anticipa quella che in epoche successive sarà la Regina Madre. Locandiera, legata a Costanzo Cloro cui darà un figlio, Costantino, fa di tutto perché questi diventi padrone dell’Impero: tesse rapporti, guida, consiglia. Verrà ricambiata: Costantino cingerà lei del diadema imperiale (invece della «traditrice» Fausta) introducendo nell’iconografia una coppia un po’ incestuosa: madre e figlio.

Psicologicamente Costantino sarà in un certo modo sottomesso a Elena. A Gerusalemme lei troverà le reliquie del Santo Sepolcro. Dei chiodi della Croce ornerà la corona imperiale (posta sul capo dei padroni del mondo sino a Napoleone) per dire che chi governa è sottomesso a Dio, e farà il morso del cavallo del figlio: anche i sovrani devono frenare le pulsioni.

Madre altrettanto ingombrante, sul piano degli affetti in questo caso, fu Monica per Agostino. Questi aveva cercato di liberarsene partendo per Roma senza dir nulla ma Monica non si scoraggiò, lo inseguì e raggiunse sino a Milano, capitale ai tempi. Qui convinse il figlio, all’apice del successo come retore, a rispedire in Africa la compagna e si diede da fare perché trovasse a corte una moglie. Intanto s’era pure spesa affinché Agostino conoscesse Ambrogio, che a Milano contava più delle insegne imperiali. Così l’amore di madre si trasformò: cadde il progetto di ascesa sociale, venne la conversione e il futuro padre della Chiesa riprese la via dell’Africa, senza più Monica però, che morirà sulla via del ritorno.

Un altro genere di donna, che ebbe e ha importanza nella Chiesa, nei costumi, nella cultura è incarnato da Marcellina. La sorella di Ambrogio, dopo aver contribuito a crescere i fratelli, prese il velo con papa Liberio. Grazie a lei si prospettò una scelta di vita ricalcata sul modello del monachesimo orientale, di cui Ambrogio era estimatore: la verginità (su questa il Patrono di Milano compose una delle sue opere principali), la consacrazione, il chiostro in cui ritirarsi, pregare e, in taluni sviluppi, lavorare, garantire il prosieguo delle tradizioni e aprirsi al mondo attraverso opere di carità. Costantino, Ambrogio, Agostino e lo loro donne: esempi d’una storia plurale che continua, viene costruita giorno dopo giorno ancora, si evolve.

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EDITTO DI COSTANTINO: "CODEX JUDAEIS" (11.12.321 d. C.)

"vari quotidiani, dando notizia della mostra milanese su Costantino, hanno titolato sulla sua “tolleranza”. Vorrei ricordare che fu proprio Costantino il padre dell’antisemitismo.
- Egli emanò, l’11 dicembre 321, l’editto Codex Judaeis, prima legge penale antiebraica, segnando così l’inizio di una persecuzione e del tentativo di genocidio degli ebrei. -L’editto definiva l’ebraismo: “secta nefaria, abominevole, feralis, mortale” e formalizzava l’accusa di deicidio. -Da allora, il processo antisemitico non s’è più interrotto, ad eccezione del breve periodo di reggenza dell’imperatore Giuliano detto (a torto) l’Apostata.
- I successivi imperatori introdussero le Norme Canoniche dei Concili nel Codice Civile e Penale. Con Costantino II, Valentiniano e Graziano, dal 321 al 399 d.C., una serie spietata di leggi ha progressivamente e drasticamente ridotto i diritti degli ebrei.
- Si condannava ogni ebreo ad autoaccusarsi di esserlo: in caso contrario c’erano l’infamia e l’esilio. Proibito costruire sinagoghe. Leggi contro la circoncisione. Obbligo di sepoltura in luoghi lontani e separati da quelli cristiani. Altro che tolleranza, c’è un limite anche alla falsificazione della storia. Arturo Schwarz
Autore Città Giorno Ora
vittorio pedrali marigliano 27/1/2013 13.29
Titolo:carissimo giovanni
Quanto hai scritto, dopo che mi sono informato sui primi sette concilii, è stata la conferma di quanto già sapevo e su cui orripilavo: sono pienamente d'accordo con te, anzi, avrei fatte delle piccole aggiunte, del tipo la FALSA "donazione di Costantino" ed anche i due "credo" scaturiti dalle eresie all'epoca già forti (non dimentichiamo che a Nicea il "buon" Cirillo, fra l'altro uccisore di Ipazia, schiaffeggiò Ario perché non era d'accordo con lui), ma che aprono la strada agevolmente al netto POLITEISMO IDOLATRA in cui il cattolicesimo è sprofondato ormai da secoli principiando nei citati concilii.
E' sempre un piacere leggerti. Un abbraccio
Vittorio Pedrali
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/1/2013 14.34
Titolo:LA "DONAZIONE DI PIETRO" E LA "DONAZIONE DI COSTANTINO"
ALLE ORIGINI DEL CATTOLICESIMO-ROMANO, LA "DONAZIONE DI PIETRO" E LA "DONAZIONE DI COSTANTINO.

UNA NOTA


di Federico La Sala *

(...) non equivochiamo! Qui non siamo sulla via di Damasco, nel senso e nella direzione di Paolo di Tarso, del Papa, e della Gerarchia Cattolico-Romana: “[... ] noi non siamo più sotto un pedagogo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Galati: 3, 25-28).
- Nella presa di distanza, nel porsi sopra tutti e tutte, e nell’arrogarsi il potere di tutoraggio da parte di Paolo, in questo passaggio dal noi siamo al voi siete, l’inizio di una storia di sterminate conseguenze, che ha toccato tutti e tutte. Il persecutore accanito dei cristiani, “conquistato da Gesù Cristo”, si pente - a modo suo - e si mette a “correre per conquistarlo” (Filippesi: 3, 12): come Platone (con tutto il carico di positivo e di negativo storico dell’operazione, come ho detto), afferra l’anima della vita evangelica degli apostoli, delle cristiane e dei cristiani, approfittando delle incertezze e dei tentennamenti di Pietro, si fa apostolo (la ‘donazione’ di Pietro) dei pagani e, da cittadino romano, la porta e consegna nelle mani di Roma. Nasce la Chiesa ... dell’Impero Romano d’Occidente (la ‘donazione’ di Costantino). La persecuzione dei cristiani, prima e degli stessi ebrei dopo deve essere portata fino ai confini della terra e fino alla fine del mondo: tutti e tutte, nella polvere, nel deserto, sotto l’occhio del Paolo di Tarso che ha conquistato l’anima di Gesù Cristo, e la sventola contro il vento come segno della sua vittoria... Tutti e tutte sulla romana croce della morte.

Egli, il vicario di Gesù Cristo, ha vinto: è Cristo stesso, è Dio, è il Dio del deserto... Un cristo-foro dell’imbroglio e della vergogna - con la ‘croce’ in pugno (e non piantata nella roccia del proprio cuore, come indicava Gesù) - comincia a portare la pace cattolico-romana nel mondo. Iniziano le Crociate e la Conquista. Il Dio lo vuole: tutti i popoli della Terra vanno portati nel gelo eterno - questo è il comando dei Papi e dei Concili, cioè delle massime espressioni dell’intelligenza astuta (quella del Dio di Ulisse e della vergine Atena, non del Dio di Giuseppe e di Maria) del Magistero della Chiesa, alle proprie forze armate... fino a Giovanni Paolo II, al suo cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e alla Commissione teologica internazionale, che ha preparato il documento “Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato”.

Uno spirito e un proposito lontano mille miglia, e mille anni prima di Cristo, da quello della “Commissione per la verità e la riconciliazione”, istituita in Sudafrica nel 1995 da Nelson Mandela, per curare e guarire le ferite del suo popolo. Il motto della Commissione bello, coraggioso, e significativo è stato ed è: “Guariamo la nostra terra”!

*

Si cfr.: Federico La Sala, L’enigma della Sfinge e il segreto della Piramide, Ripostes, Roma-Salerno 2001, pp.23-25.

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Commenti Articolo 615

Titolo articolo : LA SCONVOLGENTE LIBERAZIONE. "Dio sempre dalla parte dell'uomo". Una nota di Ermes Ronchi - con appunti   ,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January/26/2013 - 13:01:39.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/1/2013 18.56
Titolo:PARLARE DI CARITÀ SIGNIFICA PARLARE DI GRAZIA ...
I CARISMI

di don Mauro Agreste *

1) OGGI PARLIAMO DEI CARISMI Oggi parliamo dei carismi ed è importante averne una conoscenza un pochino più strutturata, perché come catechisti nelle vostre comunità parrocchiali, ma anche nei gruppi di preghiera, è bene che abbiate una conoscenza il più possibile ampia su questo tema. Tutto sommato è stato lasciato per molti versi ad alcuni gruppi ecclesiali, oppure a degli alti studi universitari nell’Università Pontificia. Il tema dello spirito dei carismi è un tema che fa parte della vita della Chiesa; se ne tratta nel Concilio e nella Lumen Gentium. Al n°12 dice che la Chiesa costituita dal popolo di Dio è per così dire, il luogo in cui si esercitano i carismi, ognuno per la sua propria specificità. Però la maggior parte delle persone, quando sentono dire la parola carisma non è che abbiano molto chiaro in mente di che cosa si tratti, è vero?

2) PAROLA USATA E ABUSATA DA MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA Per di più questa parola è stata usata e abusata da giornalisti, da mezzi di comunicazione di massa non per indicare il significato preciso della parola carisma, quanto invece per indicare la capacità che ha una persona di attirare l’attenzione degli altri in qualunque campo, con la sua propria capacità di emergere sugli altri. Quindi in senso generico la parola carisma o personaggio carismatico all’interno della Chiesa e di alcuni gruppi ecclesiali vieni intuita in un certo modo. All’infuori della Chiesa il personaggio carismatico è un personaggio che ha delle chances in più, ha un savoir faire diverso in tutti i campi, sportivo, politico, ecc. ecc. da emergere e attirare l’attenzione, quasi catalizzando l’attenzione degli altri.

3) CARISMA HA LA STESSA RADICE DELLA PAROLA CARITÀ Ma che cos’è dunque il carisma e da che cosa nasce? Intanto la parola carisma deriva dal greco e come voi potete benissimo accorgervi contiene dentro di sé una radice, charis, che è la stessa radice della parola carità. Ora la parola carità, anche se abbiamo una vaga intuizione, è una parola che ha significati molto complessi e molto profondi, per cui almeno nel nostro linguaggio teologico, non è facile definire la carità semplicemente come un atteggiamento. La carità è prima di tutto una caratteristica di Dio stesso, una caratteristica essenziale, tant’è vero che gli antichi dicevano: Deus est charitas da cui gli antichissimi inni, ubi charitas et amor Deus ibi est, dov’è carità e amore lì c’è Dio. Dunque carità ha in sé questa radice charis, che significa qualche cosa di forte, di caldo, di vivo, di avvolgente. Viene cantato nel Veni Creator, si parla dello Spirito Santo e si dice che lo Spirito Santo è ignis, fuoco, fuoco di carità, fuoco di amore.

4) CARITÀ E AMORE VENGONO SPESSO USATI COME SINONIMI Carità e amore vengono spesso usati come sinonimi per una semplice ragione, sono entrambi concetti estremamente profondi. Se tu dici amore, è sufficiente dire amore per capire tutto ciò che significa la parola amore? No, cioè lo usiamo convenzionalmente però noi sappiamo che l’amore autentico per esprimerlo, per significarlo è molto difficile. Ricordate questa mattina il brano del Vangelo che è stato letto: nessuno ha un amore più grande se non colui che muore per i propri amici. Quindi vedete l’amore coinvolge fino alla donazione della vita. L’amore esige per esempio il concetto, che deve essere chiaro, della capacità di donarsi. Amore e donazione totale coincidono; però quando io dico amore non dico solo donazione totale, dico anche gioia, dico anche situazione di protezione. Una persona che ama è una persona che ne sta proteggendo un’altra; una persona che si sente amata è una persona che si sente protetta. Il concetto di guida: chi ama guida; chi è amato si sente guidato non gettato allo sbaraglio. Voi potete immaginare quale grande significato c’è nella parola amore; viene considerata sinonimo di carità, però entrambe hanno una specificità; che l’amore e la carità sono due realtà vive, coincidono con Dio.

5) PARLARE DI CARITÀ SIGNIFICA PARLARE DI GRAZIA Quindi parlare di carità, significa parlare di grazia, che charis è una traslitterazione, è la radice della parola greca che significa grazia. Che cos’è la grazia? Non è la gentilezza nei movimenti, la grazia è lo Spirito Santo in azione, lo Spirito Santo mentre agisce, lo Spirito Santo che sta agendo. Vieni Padre donaci la tua santa grazia, donaci cioè lo Spirito Santo che agisce dentro di noi. Ricordatevi che anche se avete il concetto chiaro nella mente, quelli che sono davanti a voi fraintendono facilmente, soprattutto queste cose complesse. Quindi dovete avere sempre l’idea di parlare a un bambino di 5 anni e state tranquilli che le persone davanti a voi non si sentiranno umiliate e non vi disprezzeranno se voi parlerete il più semplice possibile.

6) CHIEDI CHE LO SPIRITO SANTO VENGA AD AGIRE DENTRO DI TE Allora, donaci la santa grazia, certo che vuol dire donaci la capacità e la disponibilità a seguire i suggerimenti dello Spirito, però tu chiedi proprio che lo Spirito Santo venga ad agire dentro di te, però non senza di te. Quando invochiamo la grazia di Dio su di noi, invochiamo lo Spirito Santo che venga ad animarci dall’interno, come il lievito che fa lievitare tutta la pasta; il lievito non fa sparire la pasta, la fa solo lievitare; certo se non c’è la pasta puoi mettere anche un chilo di lievito che tanto non lievita niente. Allora quando si dice grazia si dice Spirito Santo in azione. Cosa vuol dire charis? Grazia. Cosa vuol dire grazia? Spirito Santo in azione. Lo Spirito Santo aleggiava sopra le acque informi, quindi lo Spirito Santo era già in azione appena Dio ha fatto esistere qualche cosa, ancora non c’era la luce, ma già lo Spirito Santo era in azione. Lo Spirito Santo agisce continuamente. L’ultimo versetto dell’Apocalisse dice: lo Spirito Santo e la sposa gridano Maranthà, vieni Signore Gesù. Quindi attenzione bene, tutta la Bibbia è contenuta da questa azione di Spirito Santo, dunque, tutta la storia degli uomini è contenuta in questi due punti fondamentali: lo Spirito Santo che aleggia e lo Spirito Santo che anima dicendo vieni. Gli uomini non si accorgono dell’azione dello Spirito Santo.

7) NUTRIRE UNA PARTICOLARE ADORAZIONE DELLO SPIRITO SANTO Allora i catechisti hanno questo compito fondamentale, fra tutti gli altri, di nutrire una particolare adorazione dello Spirito Santo. Dico giusto quando dico adorazione, per una semplice ragione, quale? Perché lo Spirito Santo è Dio. Quindi il catechista che non adora lo Spirito Santo non so che razza di catechista voglia essere. Lo Spirito Santo è la grazia che agisce dentro di noi. Il catechista che si mette al servizio della Chiesa, come fa a mettersi al servizio dicendo l’amore per Gesù se non è lo Spirito Santo a comunicarglielo?

8) PARLARE DI SPIRITO SANTO E DIO COME DUE PERSONE SEPARATE Domanda: questo fatto di parlare di Spirito Santo e Dio come due persone separate, non rischia di confonderci? E quando parliamo del Padre separato dal Figlio, non si rischia di creare dei problemi? Nelle dispense degli anni passati c’è quel disegno molto bello che si riferisce allo schema intuitivo su Dio e le sue tre persone. Dio è Padre, è Figlio e Spirito Santo, un solo Dio, però il Padre non è il Figlio, non è lo Spirito Santo e lo Spirito Santo non è il Padre. È chiaro che la nostra mente è così limitata che noi non riusciamo a capire, possiamo solo contemplare.

9) FACCIAMO PARTE DELLA TRINITÀ Di più ancora. Facciamo parte di questa Trinità, con il Battesimo siamo entrati dentro la Trinità, perché siamo con Gesù una cosa sola. Siamo entrati nella Trinità, però non siamo Dio, siamo esseri umani, però facciamo parte della Trinità. Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; quindi la volontà di Dio è che siamo immersi ( bactizzomai verbo greco che significa essere immersi ) in tutto Dio Padre, in tutto Dio Figlio e in tutto Dio Spirito Santo. Questo vuol dire che dentro di noi c’è tutto Dio Padre, tutto Dio Figlio, tutto Dio Spirito Santo e come lo spieghi questo? Quando tu vai a fare la comunione prendi un’ostia grande così, tu sai che lì dentro c’è il Dio Eterno e Infinito, Signore della storia e dei secoli. Sotto un velo di pane c’è il mistero di tutto ciò che esiste. Possiamo intuire. Come dice l’inno Pange Lingua. Visus tactus gustus in te fallitur, la vista il tatto il sapore falliscono, perché tutto quello che i sensi constatano è fallace, non i sensi ma la fede conosce questa verità. Allora con la fede tu accetti, il mistero lo contempli, però non lo capisci. Perché capire dal latino càpere vuol dire prendere e tenere stretto, contemplare invece significa guardare, ma non da soli, sostenuti. Tu puoi guardare il mistero di Dio da solo, lo puoi contemplare cioè tu puoi entrare nel tempio insieme a qualcuno, contemplare entrare nel tempio insieme a qualcuno. Tu non possiedi il tempio è il tempio che possiede te.

10) IL CATECHISTA DEVE PARLARE UN ITALIANO SEMPLICE E COMPRENSIBILE Attenzione, perché usiamo la lingua, ma non la conosciamo e un catechista non può permettersi questo. Un catechista deve parlare un italiano semplice e comprensibile a quelli che ha di fronte però deve conoscere dieci o venti volte di più di quello che sta dicendo agli altri, se no che cosa sta comunicando? Certamente ai bambini non puoi dire le specificità dei termini che vi sto spiegando, però su tu non conosci il significato delle parole, tu insegnerai delle cose sbagliate e noi non possiamo permetterci di fare questo, se no non stiamo divulgando il Vangelo di Gesù Cristo, ma il Vangelo secondo noi. Quindi ricordatevi, è un servizio fatto a Dio quello anche di essere precisi nel linguaggio che si usa. Siate precisi cercando di conoscere il più possibile il significato delle parole che usate, anche le più comuni. E chiedete allo Spirito Santo che vi dia una struttura logica del pensiero: soggetto, predicato, complemento. Diversamente il vostro discorso non sarà compreso da chi vi ascolta; piuttosto articolate frasi e concetti brevi non un discorso lungo e strutturato. Fate discorsi brevi, frasi brevi, ma che siano chiare.

11) LA CONIUGAZIONE DEI VERBI DEVE ESSERE PRECISA State anche attenti alla coniugazione dei verbi, che deve essere precisa, perché un verbo al condizionale ha un significato diverso da un verbo all’indicativo; perché un verbo all’indicativo indica una realtà, un obbligo imprescindibile, un verbo al condizionale indica una possibilità cioè una dualità di realtà; i congiuntivi sono verbi di consequenzialità; se io nella mente non ho l’idea della consequenzialità delle cose, non userò il congiuntivo, userò l’indicativo e renderò tutto obbligante.

Ricordatevi che abbiamo a che fare con le parole, che noi abbiamo la parola di Dio nella mano e siamo i catechisti, non ci possiamo permettere di giocare con le parole, perché da come io uso le parole, favorisco o freno il passaggio del concetto di Dio. Senza diventare fanatici, senza esagerare, però o prendiamo sul serio il nostro servizio reso a Dio. Quindi tutto quello che dipende da me io cerco di farlo al meglio che posso, oppure facciamo come fanno tanti che improvvisano tutto, vanno avanti e non si rendono conto che stanno giocando con Dio. Se sul Vangelo c’è scritto: in principium erat verbum et verbum erat aput deum et verbum erat deum, allora questo ci fa capire che in principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio.

12) SE DIO SI E’ FATTO PAROLA, IO NON POSSO GIOCARE CON LE PAROLE Se Dio si è fatto la parola che noi possiamo intuire e capire, io posso giocare con le parole? No. Non dico questo perché dobbiamo spaventarci, sentirci colpevolizzati, però sentiamo la necessità di pensare le parole che usiamo e pensare le frasi che usiamo, perché se io devo parlare a dei bambini, dovrò rendere estremamente semplice un discorso difficilissimo. Però usando delle parole che siano giuste, che cerchino di generare meno equivoci possibili, adatte al vocabolario che è in possesso a un bambino di 7-10-12-15 anni, senza mai cedere ad accettare una connotazione di linguaggio che non sia più che dignitosa ed elegante.

13) IL CATECHISTA NON USA MAI PAROLE EQUIVOCHE Se ci sono dei modi di dire che esprimono il concetto di essere arrabbiati in un certo modo, il catechista non li usa mai, neanche quando sta da solo. Se ci sono parole equivoche il catechista si deve abituare non solo a non usarle lui, ma a sentirne ribrezzo quando le sente pronunciare da altri, perché il catechista sta usando con la propria lingua un mezzo di evangelizzazione. Dunque l’apostolo san Giacomo dice nella sua lettera al cap. 4 che chi domina la lingua domina tutto il resto del corpo.

Ora un catechista che non domina la lingua come può produrre negli altri un cambiamento di vita, se le parole che escono da lui sono sporcate da una incapacità di dominare la lingua? Naturalmente quando dico capacità di dominare la lingua non mi riferisco solamente a un linguaggio volgare e pesante, mi riferisco anche a un modo di gestire il linguaggio. Una persona che non è capace a non criticare, una persona dalla cui bocca esce sempre una parola di critica, di giudizio, di condanna, di curiosità, di pettegolezzo ecc. può giustamente essere catechista? Non può. Un catechista che non sente fondamentale dentro di sé l’imperativo di sapere quello che sta dicendo, come lo sta dicendo e non si domanda se le parole che sta usando le capisce prima lui, come fa a spiegarle agli altri?

14) IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE AMARE E AMORE Quante volte abbiamo esaminato il significato delle parole amare e amore. Se un catechista non sa che cosa vuol dire amare, sapete con che cosa lo confonde? Con il romanesco volemose bene. Ma amare non è quello, quello non è amare, quello lì è solo cercare di stare tranquilli, senza prendersi tanti problemi, vero? Invece amare è tutta un’altra cosa. Stamattina abbiamo sentito: dare la vita per i propri amici. Vedete che è estremamente differente. Allora non deve essere così per voi, perché voi avete sentito veramente una chiamata del Signore, se no non sareste qui al sabato mattina.

Però per non perdere tempo né io, né voi e neanche Dio, cerchiamo proprio di capire l’importanza di tutto questo. Quando nelle scuole ci facevano fare l’analisi logica, l’analisi del periodo erano molto importanti; se abbiamo dimenticato tutto questo la prima cosa che dobbiamo fare è chiedere allo Spirito Santo che venga a rispolverare dentro di noi le cose che avevamo studiato allora, che le faccia emergere. Vedrete che lo Spirito Santo vi aiuterà; poi dopo cominciate con l’analizzare il linguaggio che usate, le strutture logiche che usate, se sono chiare.

Ricordatevi che le persone che avete di fronte non sono dentro la vostra mente, dunque loro non sanno esattamente dove voi volete arrivare. Una grande carità che potete fare nei confronti del vostro prossimo, un grande servizio è quello di fare un passettino piccolo alla volta. Non date mai niente per scontato, anche se doveste ripetere cento volte in cento incontri, serve per aiutare quella persona a entrare nel difficile concetto che voi volete dire.

15) DOBBIAMO IMPARARE A PERDONARE Per es.: dobbiamo imparare a perdonare. Che vuol dire perdono? È una parola composta. Dividete a metà la parola, per e dono; quella che capite subito è dono, cosa vuol dire dono? È un regalo, non meritato, perché un dono meritato si chiama premio. Capite perché bisogna essere precisi? Perché se io non dico questo allora il perdono mi diventa un diritto, invece non è un diritto, è un dono, un regalo non meritato; quindi se il regalo non è meritato mi viene fatto perché io sono buono o è buono chi mi fa il regalo? Chi mi fa il regalo. L’altra parola da capire è per che deriva dal greco iper, che vuol dire il più grande; quindi se iper vuol dire il più e donum, regalo, mettendo insieme avete l’insegnamento che dovete fare sul concetto di perdono.

Poi ci potete parlare per sei mesi ai bambini del perdono, però se sapete cosa vuol dire voi insegnate realmente ciò che insegna la Chiesa, non ciò che insegna il mondo: vogliamoci bene perché il Signore è buono e ci perdona, tanto perdona tutto e tutti. No! Il catechista non può fare queste cose, non si può confondere il perdono con un sentimento di piacevolezza e di arrendevolezza, non è così. Allora siamo partiti dal tema dei carismi, la prossima volta ricordatemi che dobbiamo continuare sul significato della parola carisma. Abbiamo appena analizzato la radice charis che vuol dire grazia e che significa Spirito santo in azione.

* UNIONE CATECHISTI. CATECHESI. LEZIONI, 08.10.2005
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/1/2013 20.16
Titolo:IL RACCONTO CONTINUA. Tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno ...
Luca, 4. 20-44:


20 Poi arrotolò il volume, lo consegnò all'inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui.
21 Allora cominciò a dire: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi».
22 Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è il figlio di Giuseppe?».
23 Ma egli rispose: «Di certo voi mi citerete il proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fàllo anche qui, nella tua patria!».
24 Poi aggiunse: «Nessun profeta è bene accetto in patria.
25 Vi dico anche: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese;
26 ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone.
27 C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman, il Siro».
28 All'udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno;
29 si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio.
30 Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò.
31 Poi discese a Cafarnao, una città della Galilea, e al sabato ammaestrava la gente.
32 Rimanevano colpiti dal suo insegnamento, perché parlava con autorità.
33 Nella sinagoga c'era un uomo con un demonio immondo e cominciò a gridare forte:
34 «Basta! Che abbiamo a che fare con te, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? So bene chi sei: il Santo di Dio!».
35 Gesù gli intimò: «Taci, esci da costui!». E il demonio, gettatolo a terra in mezzo alla gente, uscì da lui, senza fargli alcun male.
36 Tutti furono presi da paura e si dicevano l'un l'altro: «Che parola è mai questa, che comanda con autorità e potenza agli spiriti immondi ed essi se ne vanno?».
37 E si diffondeva la fama di lui in tutta la regione.
38 Uscito dalla sinagoga entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei.
39 Chinatosi su di lei, intimò alla febbre, e la febbre la lasciò. Levatasi all'istante, la donna cominciò a servirli.
40 Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi colpiti da mali di ogni genere li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva.
41 Da molti uscivano demòni gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era il Cristo.
42 Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e volevano trattenerlo perché non se ne andasse via da loro.
43 Egli però disse: «Bisogna che io annunzi il regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato».
44 E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/1/2013 21.44
Titolo:LA PRESA DEL POTERE DEL MENTITORE. Dal NOI siamo al VOI siete ...
PAOLO DI TARSO, L’ASTUTO APOSTOLO DELLA GRAZIA ("CHARIS") E DELL’ AMORE ("CHARITAS"), E LA NASCITA DEL CATTOLICESIMO-ROMANO! UNA NOTA

di Federico La Sala *

(...) non equivochiamo! Qui non siamo sulla via di Damasco, nel senso e nella direzione di Paolo di Tarso, del Papa, e della Gerarchia Cattolico-Romana: “[... ] noi non siamo più sotto un pedagogo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Galati: 3, 25-28).
Nella presa di distanza, nel porsi sopra tutti e tutte, e nell’arrogarsi il potere di TUTORAGGIO da parte di Paolo, in questo passaggio dal NOI siamo al VOI siete, l’inizio di una storia di sterminate conseguenze, che ha toccato tutti e tutte. Il persecutore accanito dei cristiani, “conquistato da Gesù Cristo”, si pente - a modo suo - e si mette a “correre per conquistarlo” (Filippesi: 3, 12): come Platone (con tutto il carico di positivo e di negativo storico dell’operazione, come ho detto), afferra l’anima della vita evangelica degli apostoli, delle cristiane e dei cristiani, approfittando delle incertezze e dei tentennamenti di Pietro, si fa apostolo (la ‘donazione’ di Pietro) dei pagani e, da cittadino romano, la porta e consegna nelle mani di Roma. Nasce la Chiesa ... dell’Impero Romano d’Occidente (la ‘donazione’ di Costantino). La persecuzione dei cristiani, prima e degli stessi ebrei dopo deve essere portata fino ai confini della terra e fino alla fine del mondo: tutti e tutte, nella polvere, nel deserto, sotto l’occhio del Paolo di Tarso che ha conquistato l’anima di Gesù Cristo, e la sventola contro il vento come segno della sua vittoria... Tutti e tutte sulla romana croce della morte.

Egli, il vicario di Gesù Cristo, ha vinto: è Cristo stesso, è Dio, è il Dio del deserto... Un cristo-foro dell’imbroglio e della vergogna - con la ‘croce’ in pugno (e non piantata nella roccia del proprio cuore, come indicava Gesù) - comincia a portare la pace cattolico-romana nel mondo. Iniziano le Crociate e la Conquista. Il Dio lo vuole: tutti i popoli della Terra vanno portati nel gelo eterno - questo è il comando dei Papi e dei Concili, cioè delle massime espressioni dell’intelligenza astuta (quella del Dio di Ulisse e della vergine Atena, non del Dio di Giuseppe e di Maria) del Magistero della Chiesa, alle proprie forze armate... fino a Giovanni Paolo II, al suo cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e alla Commissione teologica internazionale, che ha preparato il documento “Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato”.

Uno spirito e un proposito lontano mille miglia, e mille anni prima di Cristo, da quello della “Commissione per la verità e la riconciliazione”, istituita in Sudafrica nel 1995 da Nelson Mandela, per curare e guarire le ferite del suo popolo. Il motto della Commissione bello, coraggioso, e significativo è stato ed è: “Guariamo la nostra terra”!

*

Si cfr.: Federico La Sala, L’enigma della Sfinge e il segreto della Piramide, Ripostes, Roma-Salerno 2001, pp.23-25.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/1/2013 09.28
Titolo:Da CITTADINI/E del "REGNO DI DIO" a sudditi/e ....
"È significativo che l’espressione di Tertulliano: "Il cristiano è un altro Cristo", sia diventata: "Il prete è un altro Cristo"" (Albert Rouet, arcivescovo di Poitiers, 2010).
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/1/2013 13.01
Titolo:Se il Paradiso è in questa terra ...
Se il Paradiso è in questa terra

- Le riflessioni sulla preghiera della teologa Adriana Zarri

- di Umberto Galimberti (la Repubblica 26.01.2013)

«Vi scongiuro fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze». Queste parole di Nietzsche le sento risuonare in ogni pagina del libro di Adriana Zarri, Quasi una preghiera.

Quasi perché siamo soliti chiamare “preghiera” l’invocazione, o la richiesta di grazie, o quelle noiosissime nenie che recitano formule senz’anima, senza partecipazione, senza canto. Queste «formule scritte da altri e assunte da noi senza che spesso riusciamo ad aggiungere nulla di nostro» non sono per Adriana Zarri vere preghiere perché «non consentono un libero e personale esprimerci e parlare col Signore».

Ma perché questa preghiera possa sorgere e scaturire spontanea e sincera con tutta la partecipazione del cuore bisogna ribaltare quella concezione teologica che descrive la terra come «valle di lacrime» o come «esilio», perché, scrive la teologa, monaco ed eremita, Adriana Zarri, se la terra è «la creazione bella e buona predisposta dal Signore per noi», se non è «un deserto, ma un giardino: il giardino dell’Eden», se «il Signore non ci ha messi in esilio, ma ci ha collocati nella nostra patria, nella casa che aveva amorevolmente preparato per noi», allora a questa patria, a questa casa, a questo giardino a questa terra dobbiamo essere fedeli e «pregare Dio per questa terra in senso proprio, questa terra di terra, per questo cielo d’aria e non per quello metaforico popolato dagli angeli, per questo cielo nostro, questo cielo di nuvole e di vento, percorso dalle ali degli uccelli».

Così risuona nelle parole di Adriana Zarri l’invocazione di Nietzsche: «Vi scongiuro fratelli, rimanete fedeli alla terra», ma risuonano anche le «sovraterrene speranze» a cui Nietzsche invita a non credere.

Eppure la fedeltà alla terra di Adriana Zarri fa la sua comparsa anche nelle «sovraterrene speranze» se appena ascoltiamo l’invocazione della sua ultima preghiera: «E questo nostro dolce mondo, ti prego, Dio, fallo risorgere tutto, così com’è, perché è così com’è che noi lo amiamo, ed è così com’è che noi lo attendiamo quando “i cieli nuovi” e “le terre nuove” che ci hai promesso risorgeranno dal gran rogo finale. Ti prego, non dimenticartene, Signore, perché io aspetto di trovarle di là. Se non ci fossero ne resterei delusa, e in paradiso non può esserci delusione».

Possiamo leggere questo libro di Adriana Zarri, che prega il Signore con il canto che si leva dalla contemplazione delle sue creature e delle sue bellezze, che il succedersi delle stagioni offre nella loro varietà, in sintonia con la variazione che caratterizzala la gamma dei nostri sentimenti, come un libro lirico, mistico, non dissimile dalla mistica francescana.

Ma Adriana Zarri non è solo questo. Perché da teologa ha anticipato il Concilio Vaticano II, e da voce libera e forte ha avuto il coraggio di ribaltare quella visione che il cristianesimo, dimentico del Vangelo, ha ereditato da Platone, il quale ha disprezzato la terra e il mondo sensibile per il mondo delle idee collocate sopra il cielo. Questa tradizione greca e non cristiana è stato ripresa da Agostino che ha deprezzato la città terrena per esaltare quella celeste, e da allora in poi la terra è diventata valle di lacrime e di dolore: il dolore che redime. Quasi una preghiera, prima di essere un libro lirico o mistico, è un libro teologico, dove ciò che si chiede è di abbandonare il dualismo platonico e poi cristiano che oppone la terra al cielo, lasciando l’uomo senza quella patria, quella casa, quel giardino che il Signore aveva amorevolmente preparato per lui.

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Titolo articolo : SHOAH: GIORNATA DELLA MEMORIA EUROPEA. L’Europa dei Lumi contro la notte della ragione. Un'intervista a Georges Bensoussan, storico e responsabile editoriale del Mémorial de la Shoah di Parigi,  di Alberto Mattioli - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January/24/2013 - 12:33:49.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/1/2013 15.35
Titolo:RIPENSARE L'EUROPA ....
RIPENSARE L’EUROPA.

PER IL "RISCHIARAMENTO\" ("AUFKLARUNG") NECESSARIO.

ANCORA NON SAPPIAMO DISTINGUERE L’UNO DI PLATONE DALL’UNO DI KANT, E

L’IMPERATIVO CATEGORICO DI KANT DALL’IMPERATIVO DI HEIDEGGER E DI EICHMANN !!!

PER LA PACE E PER IL DIALOGO, QUELLO VERO, PER "NEGARE A HITLER LA VITTORIA POSTUMA" (Emil L. Fackenheim, "Tiqqun. Riparare il mondo")


FLS
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/1/2013 12.33
Titolo:Saggi, diari, romanzi e memoir ...
Saggi, diari, romanzi e memoir la biblioteca del Giorno della memoria
- Dalla ricostruzione di Bensoussan alla fiction, ecco i titoli in uscita

di S. Nir. (la Repubblica, 24.01.2013)

Tra il 1939 e il ’45 il Terzo Reich, con la complicità di molti, ha sterminato sei milioni di ebrei europei nel silenzio pressoché totale del mondo. Volevano decidere chi doveva o non doveva abitare il pianeta segnando un capitolo, unico a tutt’oggi, teso a modificare la configurazione stessa dell’umanità.

Georges Bensoussan, uno dei maggiori storici contemporanei, direttore de la Revue d’histoire de la Shoah, ha scritto un’imperdibile Storia della Shoah (Giuntina, pagg. 165, euro 12): in poche pagine riesce a illuminare il processo che nel pieno della modernità ha fatto precipitare la Germania e l’Europa tutta nella volontà del genocidio.

L’americano Varian Fry scrisse Consegna su richiesta. Marsiglia 1940-1941. Artisti, dissidenti ed ebrei in fuga dai nazisti che esce ora per Sellerio (pagg. 311, euro 16) nel 1945. È la storia vera e coraggiosa di come egli stesso nel 1940, in missione segreta, raggiunse la Francia, in piena occupazione tedesca, con un elenco di rifugiati politici, intellettuali, ebrei ricercati dalla Gestapo che doveva aiutare a fuggire. Lo vedremo far uscire dalla Francia personaggi come Max Ernst, Golo e Heinrich Mann, Marc Chagall.

Primo Levi fu arrestato nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 1943 durante un rastrellamento contro i partigiani. Levi ha parlato poco di quei giorni in montagna, anzi li ha definiti «il periodo più opaco» della sua vita. Perché? Frediano Sessi ricostruisce quelle settimane ne Il lungo viaggio di Primo Levi. La scelta della resistenza, il tradimento, l’arresto. Una storia taciuta pubblicato da Piemme.

Tra le uscite per il Giorno della memoria (27 gennaio) vale la pena di segnalare anche Il Male dentro di Thomas Khune (Altana) un’indagine sulle dinamiche che hanno spinto donne e uomini tedeschi a giustificare e a volere lo sterminio degli “altri”. E ancora, La Shoah dei bambini. La persecuzione dell’infanzia ebraica in Italia di Bruno Maida (Einaudi), il racconto storiografico della distruzione che li colpì, e insieme alla ricostruzione del mondo di allora attraverso i loro occhi. Un’operazione che affronta anche lo storico israeliano che rilegge la sua deportazione ad Auschwitz a 12 anni in Metropoli della morte (Guanda). Ne Il diario di Lena di Lena Mouchina (Mondadori), invece, l’autrice racconta il suo diario pochi giorni prima dell’occupazione nazista di Leningrado.

Da ricordare Il nostro appuntamento. Una storia vera dell’israealiana Ellis Lehman e sua figlia Shulamith Bitran (Piemme), l’impossibile promessa d’amore di due giovani olandesi divisi dalla persecuzione nazista. Anche La sposa di Auschwitz (Newton Compton) di Millie Weber e Eve Keller racconta un amore sotto il nazismo. Riesce Nudo tra i lupi scritto nel 1950 nella Ddr da Bruno Apitz (Longanesi). Ponte alle Grazie ha tradotto Una breve sosta nel viaggio da Auschwitz di Göran Rosenberg, bestseller in Svezia. Infine è uscito Quando finirà la sofferenza. Lettere e poesie da Theresienstadt (Lindau): 60 poesie scritte da Ilse Weber, ritrovate dal marito nel campo, e ora presentate dal figlio.

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Titolo articolo : Caratterologia dei candidati politici,di Giovanni Dotti e Martino Pirone

Ultimo aggiornamento: January/24/2013 - 01:02:33.

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Autore Città Giorno Ora
Roberto Ventrella Napoli 24/1/2013 01.02
Titolo:DEMOCRATICISSIMA AMERICA
Essenzialmente d’accordo sullo studio caratteriale dei candidati, dei loro comportamenti, della loro storia e delle loro azioni, mi ritiro stordito alla notizia d’una democraticissima America. Cazzo! ed io non me ne ero accorto!!
Certo, i signori Dotti e Pirone, indiscutibilmente più esperti di me, hanno scoperto in Truman, in Nixon, in Reagan, nella coppia Clinton o in quella Busch, (solo per fermarsi alla “capa” del pesce America), dei valori morali ed etici che giustificavano le loro cariche. Gli stessi valori che poi hanno portato i Bush ai gloriosi interventi in Irak e in Afganistan o il Truman a sganciare le due famose bombette. Hanno scoperto che le vite di tutti quei gentiluomini erano irreprensibili, hanno letto nello sguardo vivo del Bush figlio tutta l’intelligenza democratica di cui aveva bisogno quel democraticissimo paese (ossia nulla). L’America ha tanta democrazia da regalarla in giro per il mondo così, senza imporla, gratuitamente, in uno schiocco di dita. L’America è tanto democratica da consentire ai propri cittadini il possesso privato e personale e libero di tante armi da fare invidia addirittura… al Generale Di Paola…
Basta! Mi sto annoiando.

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Commenti Articolo 618

Titolo articolo : NISCEMI: la notte porta sempre consiglio.,di Domenico Stimolo

Ultimo aggiornamento: January/23/2013 - 23:15:44.

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Autore Città Giorno Ora
Roberto Ventrella Napoli 23/1/2013 23.15
Titolo:mancanza di spermatozoi
I nostri veri nemici, quelli che minacciano la nostra nazione, sono quelli che operano dal di dentro, quelli che ci governano (eufemismo), quelli che ci governavano e, visti i personaggi in campo, anche quelli che ci governeranno. Bastardi di ieri e di oggi venduti alla piovra statunitense-sionista. I nostri nemici sono i milioni di nostri fratelli che li acclamano. Il problema italiano, il nostro, è la mancanza di spermatozoi nei nostri coglioni e ci vogliono quelli per fare una rivoluzione! Non credo in Dio, ma vorrei consentirmi una debolezza e dire: "Che Dio ci aiuti"! O forse un’altra che mi sembra più positiva che dice: "Aiutiamoci che Dio ci aiuta". (anche se poi sappiamo che…).

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Commenti Articolo 619

Titolo articolo : LA SPERANZA E LA VIRTU'. IL DISCORSO DI INSEDIAMENTO DEL PRESIDENTE BARACK OBAMA. Testo originale con traduzione,a cura di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January/23/2013 - 22:38:06.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/7/2009 17.24
Titolo:Obama ai giovani afroamericani - alla Naacp, la più antica associazione per i di...

Il presidente alla Naacp, la più antica associazione per i diritti dei neri
"Non voglio che i nostri figli aspirino solo di diventare rapper o giocatori di basket"

Obama ai giovani afroamericani
"Studiate per diventare giudici"

dal nostro inviato ANGELO AQUARO *

NEW YORK - Quando Barack Obama si è ribellato, finalmente, all’ultimo padrone, quel tele-prompter, il gobbo, che gli confeziona i discorsi più convincenti, la gente, la sua gente giù in platea, è esplosa in un boato: "Guido per Harlem", ha urlato andando a braccio "scendo per il South Side di Chicago, vedo tutti quei ragazzi buttati agli angoli delle strade, e allora dico: potrei essere io, lì, ma grazie a Dio è andata diversamente". Grazie a Dio, e per volontà della nazione.

Nella sala dell’Hilton Hotel, addobbata di festoni e palloncini per i cent’anni del Naacp, la più antica associazione per i diritti civili, Obama riscopre l’orgoglio nero. "Noi lo sappiamo: anche se la crisi economica colpisce gli americani di ogni razza, tra gli afroamericani ci sono più disoccupati". Boato. "Sembra un sermone", chioserà il New York Times, e infatti i delegati cominciano a fargli eco con il classico "amen" delle funzioni religiose: l’origine del blues. Se ne accorge, Obama. "Ehi", scherza "ho creato un angolo della preghiera".

In campagna elettorale, nei primi cento giorni, il presidente non aveva mai esaltato le sue origini. Anzi. Ora gli analisti sottolineano che mai come adesso, stretto tra la crisi, le riforme che reclamano nuove tasse e le critiche per la scelta della latina Sotomayor alla Corte Suprema, il presidente ha bisogno del sostegno della comunità nera, magari nella forma lobbistica che il Naacp, 300 mila iscritti e 30 milioni di budget, può garantire. "Make no mistake", dice il presidente: non facciamo errori, non illudiamoci. "Il dolore della discriminazione è ancora sentito in America". Dice cose di sinistra, Obama. Parla di responsabilità. "Allontanate dai nostri figli l’Xbox, metteteli a letto presto. Non possono tutti aspirare a essere il prossimo Le Bron o Lil Wayne", dice, additando i due miti, del basket e del rap, dei giovani.

"Io voglio che i nostri figli aspirino a diventare scienziati e ingegneri dottori e insegnanti, non solo giocatori di basket e rappers. Io voglio che i nostri figli aspirino a diventare giudici della Corte Suprema. Io voglio che aspirino a diventare presidente degli Stati Uniti". In sala c’è ancora chi urla "Amen".

* la Repubblica, 18 luglio 2009
Autore Città Giorno Ora
Giovanni Sarubbi Monteforte Irpino 20/3/2011 09.53
Titolo:Gli USA sono un popolo intriso di sangue
Rileggere oggi il testo di questo discorso dopo l'inizio della guerra in Libia, la prima dichiarata da un "premio nobel per la pace", conferma tutti i dubbi e le riserve che io personalmente ho espresso fin dall'inizio sulla presidenza di Barak Obama. Per gli USA non c' differenza fra un presidente "democratico" e uno "repubblicano", sono tutti intrinsecamente guerrafondai, intrisi di sangue fin nel midollo, militaristi incalliti ed incorreggibili, voraci distruttori della Madre Terra e irrispettosi degli altri esseri viventi che non siano gli americani stessi. Che dolore e che angoscia immense mi procurano le decisioni di Obama. Purtroppo avevo visto giusto e ne sono profondamente addolorato. Ma bisogna reagire e far trionfare la pace.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/1/2012 09.50
Titolo:Obama e il dna americano ...
Obama e il dna americano

di Massimo Faggioli

in “Europa” del 28 gennaio 2012

L’identità culturale, politica e civile di un presidente degli Stati Uniti incarna, in un modo unico tra le democrazie occidentali, un determinato momento nella storia del paese. Da questo punto di vista
fa impressione confrontare il dna politico e civile di Barack Obama con quello degli attuali candidati alla nomination repubblicana.

Nel 2008 Obama venne eletto per molti motivi. Uno di questi fu il rigetto dell’innesto neoconservatore della scuola Bush-Rove da parte del corpo politico americano.

Ma a guardare alla storia sociale americana nel corso dell’ultimo secolo, tre elementi spiccano chiaramente come punti
di contrasto tra la biografia di Obama e la proposta dei candidati repubblicani.

Il primo elemento è l’eredità del social gospel di inizio Novecento: la riscoperta della “questione sociale” da parte delle chiese in America costituiva un anello di quella catena spirituale-intellettuale
che connette i padri fondatori con l’esigenza, tipica di un paesechiesa come gli Stati Uniti, di fare dell’America un posto moralmente migliore.

Il social gospel usciva dall’ottica individualista per muovere il discorso sulle condizioni sociali fuori dalle secche della esclusiva responsabilità dei singoli, e inquadrava sia i problemi sia le soluzioni in un quadro di responsabilità comuni. L’esperienza di Obama come community organizer a Chicago era figlia di quella sensibilità social gospel.

Il secondo elemento è il Cold War protestantism degli anni Cinquanta che faceva i conti con la cattiva coscienza d’America e tentava di non raccontarsi più la favola del “destino manifesto” di una nazione al di sopra delle leggi della morale. La famosa intervista di Obama con David Brooks del New York Times nel 2007, in cui il giovane senatore indicava nel teologo protestante Reinhold Niebuhr il suo pensatore di riferimento, era il manifesto intellettuale della politica estera di Obama. Reinterpretata magistralmente nel discorso di accettazione del premio Nobel del dicembre 2009, quell’anima realista, conscia dei paradossi che intristiscono ogni lotta armata per il bene (compresa
la lotta dell’America per la libertà e la democrazia), rappresentava il compromesso necessario tra brusco risveglio dalle guerre di Bush e fedeltà al destino geopolitico degli Stati Uniti.

Il terzo elemento è l’eredità del civil rights movement degli anni Sessanta, quando il paese aveva superato l’eredità della guerra civile sulla segregazione razziale per tentare di liberarsi di uno dei
peccati originali degli Stati Uniti. Per ragioni autobiografiche ma non solo, Obama si è definito come colui che sta «dall’altra parte del ponte» di Selma, in Alabama, dove l’America prese coscienza, grazie alle immagini televisive, della brutalità della segregazione razziale. I candidati repubblicani rappresentano l’eredità culturale di un’altra America, esattamente opposta. Se i due candidati cattolici Santorum e Gingrich fanno propri codici di linguaggio a sfondo razzista, Romney
e Paul predicano un’idea di società ridotta a società per azioni, nella quale i cittadini vengono dopo i consumatori, e i consumatori vengono dopo gli azionisti.

La predicazione da parte di tutti i candidati repubblicani del ritorno ad una società pre-rooseveltiana implica una liquidazione di quegli elementi che hanno fatto dell’America un paese occidentale, non
meno del libero mercato: social gospel, realismo morale della guerra fredda, e movimento per i diritti civili. A questo pensano i candidati repubblicani che vogliono “riprendersi l’America”.

Bisognerebbe avvisare quei pulpiti che da tempo predicano la “guerra culturale” contro gli anni Sessanta, sospinti dal vento di un pontificato e di uno Zeitgeist teologico a loro favorevole: forse
non lo hanno ancora capito, ma l’entusiasmo dei culture warriors mira a travolgere anche le fondamenta delle loro chiese.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/1/2013 17.54
Titolo:2013: NOTE SUL "PRIMO GIORNO" DELL'INSEDIAMENTO
L’insediamento

Obama, uomo libero libera l’America

di Furio Colombo (il Fatto, 23.01.2013)

Nel suo secondo, indimenticabile discorso inaugurale, il presidente Obama, carismatico come la prima volta, forse di più perché i capelli, intanto, si sono ingrigiti, parla all’America del tempo che sta per venire come di un viaggio. Ma di quel viaggio dice cose molto più forti e più audaci della prima volta, qualcosa che non era mai accaduto. Lo testimonia il New York Times nelle pagine dedicate al nuovo “primo giorno”.

Ma poiché noi parliamo dall’Italia, chiedo ai lettori di guardare per un momento a punti più vicini a noi e più lontani da quel grande quadro di festa. Ecco che cosa si vede e si ascolta. Dovunque si riuniscano think tank e gruppi di lavoro addetti a esaminare i problemi del mondo, a immaginare di spostare truppe, di decidere chi manda chi e che cosa e quale prezzo e dove e per quale ragione (o materia prima da salvare) nelle parti di caos del mondo, si notano riferimenti prudenti ma inquieti a proposito “dell’America che tende a tirarsi indietro”.

Stando attenti a citare il meno possibile il presidente Obama e a evitare di parlare di “nuova politica degli Stati Uniti” a proposito di impegno e disimpegno, ti fanno notare che, quando si tratta di combattere “il pericolo”, “il nemico”, “il terrorismo”, la “sfida di civiltà”, “l’America non è più quella di una volta”. L’ho sentito dire, anche nei giorni scorsi, nel Parlamento italiano durante le riunioni di emergenza delle commissioni Esteri della Camera e del Senato e nella imprevista seduta della Camera del 22 gennaio (dunque a Camere formalmente sciolte) per discutere dell’invasione del Mali, dell’intervento francese, del rifinanziamento del corpo di spedizione italiano in Afghanistan. Pensiero e linguaggio sembravano fermi a George W. Bush (che non si è presentato alla festa di Obama).

MA TORNIAMO a Washington. Il fatto è che lunedì 21 gennaio, davanti a un’immensa folla di cittadini che lo capiscono e lo amano, il solo presidente americano (dopo il 1945) che non abbia iniziato alcuna guerra e che stia chiudendo a una a una quelle che ha trovato, piene di sangue e di morti nel mondo, ha aperto con una frase mai detta prima: “Questo Paese deve avere il coraggio di affrontare e risolvere con strumenti di pace differenze, diffidenze e scontri, non perché sottovalutiamo i pericoli, ma perché i pericoli più grandi sono il sospetto e la paura”. E quando ha rivolto lo sguardo a ciò che sta accadendo nella vita del suo Paese ha detto queste parole difficili da dimenticare: “Non scambiate l’assolutismo per un principio, non confondete uno spettacolo con la politica, non pensate che un insulto valga un argomento della ragione”.

Ma ecco il punto alto, caldo e unico di un discorso presidenziale destinato a segnare un prima e un dopo nella vita degli americani, non solo il Paese, lo Stato o le Istituzioni, ma nei rapporti quotidiani e continui fra cittadini. Ricordiamo che Obama ha giurato sulla Bibbia di Martin Luther King (il 21 gennaio è il giorno che l’America dedica al leader assassinato a Memphis) e su quella di Abraham Lincoln, per evocare insieme la svolta della libertà segnata dal presidente antischiavista, e la svolta dei diritti civili conquistati dal predicatore nero contro il Ku Klux Klan e la segregazione.

E infatti l’incedere della voce, se lo ascoltate, diventa quello delle chiese nere del Sud americano che erano, negli anni Sessanta, i centri di mobilitazione, aggregazione e difesa. Ha detto, in sequenza, queste tre frasi: “Il nostro viaggio non è compiuto finché non raggiungeremo il traguardo dell’uguaglianza, a cominciare dalla paga che spetta per lo stesso lavoro a uomini e donne”.

“Il nostro viaggio non è compiuto finché i nostri bambini, dalle strade di Detroit ai quieti viali di Newtown alle colline dell’Apalachia sapranno che noi ci prendiamo cura di loro e gli facciamo festa e li salviamo da ogni pericolo. Il nostro viaggio non è finito finché i nostri fratelli e sorelle gay non saranno trattati come ognuno di noi, uguali di fronte alla legge”. Ed è come un giocatore di bowling che, con un colpo solo, sbaraglia tutti i birilli. Infatti Obama può dire, subito dopo, che è giusto che vi sia marriage equality, parità dei matrimoni.

E DICHIARA, da presidente, contro la destra americana e del mondo: “Non è vero che l’assistenza medica e un minimo di sicurezza sociale sminuiscono lo spirito imprenditoriale di un Paese. Non è vero che l’intervento sociale fa di noi una nazione di cittadini che chiedono. Essi ci rendono liberi di affrontare i rischi che fanno di noi un grande Paese”. Sono le parole di un presidente libero (unbound, dicono i commentatori americani usando parole da libri d’avventure, per dire qualcuno che si è liberato dalle catene) che governerà l’America nei prossimi quattro anni. Un uomo libero che ha poco conformismo e una visione chiara, quasi profetica, che vuole condividere. È vero, come dicono nei gruppi e think tank che studiano strategia, militare o economica: “L’America (certo l’America di Obama) non è più quella di una volta”.

L’uguaglianza di Obama

di Nadia Urbinati (la Repubblica, 23.01.2013)

L’eguaglianza è la grande assente nel linguaggio politico contemporaneo, nonostante la nostra sia un’età a tutti gli effetti di egemonia democratica, e la democrazia sia un sistema che fa dell’eguaglianza (civile e politica, ma anche delle condizioni di partecipazione alla vita della società) il suo fondamento e la sua aspirazione.

Nel suo epico discorso di insediamento come 44esimo Presidente degli Stati Uniti, Barak H. Obama lo ha ricordato ai suoi concittadini e a tutto il mondo. E lo ha fatto riandando alle origini del patto sul quale l’America che lo ha rieletto è nata, alla Dichiarazione di Indipendenza: “Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità”.

A scrivere queste rivoluzionarie parole era stato Thomas Jefferson, un illuminista che credeva come i nostri Filangieri, Verri e Beccaria, che la legge dovesse occuparsi non ad opprimere o dominare ma a creare le condizioni di benessere dei cittadini. La “felicità pubblica” era un ideale importante. Dalla consapevolezza della sua importanza comincia la storia della democrazia moderna.

Il governo, secondo questa filosofia che a noi sembra desueta, dovrebbe creare le condizioni grazie alle quali le persone possono prima di tutto conoscere le loro potenzialità (a questo serve un sistema educativo aperto a tutti) e poi contare su leggi giuste e ben fatte e istituzioni trasparenti e funzionali per poter progettare la loro vita secondo il loro discernimento.

Insomma vivere, e vivere con soddisfazione per quanto possibile, e non nella sofferenza, nell’umiliazione e nella miseria. E questo è un bene per il singolo e la società. Il governo non dispensa felicità dunque. Ciò che si impegna a fare è rendere le persone davvero responsabili della loro vita; far sì che esse possano contare su se stesse, non sulla fortuna di appartenere a una buona famiglia, non sul favore delle persone potenti, non sull’elemosina di chi ha più.

La democrazia, parola per secoli vituperata per volere dare potere e visibilità a tutti, anche ai poveri e inacculturati, è stata nobilitata anche dalla Rivoluzione americana alla quale Obama si è ispirato. Essa ha inaugurato una visione evolutiva delle conquiste sociali e politiche al centro delle quali c’è la persona come valore attivo, agente di scelte, ma anche soggetto dotato di sensazioni e sentimenti, che valuta la propria vita all’interno delle relazioni con gli altri.

Nella democrazia, l’intera struttura della società, dall’etica alla politica, ruota intorno alla persona, ed è valutata in ragione del grado di soddisfazione o di felicità che riesce a procurare a ciascuno. Il benessere e la libertà degli individui sono la condizione per misurare il benessere o il progresso dell’intera società.

Rivalutando questa tradizione che dal Settecento cerca di coniugare democrazia e giustizia, si può dire che c’è giustizia soltanto quando la riflessione pubblica non evade da questi compiti, non lascia il campo alla giungla degli interessi (e quindi alla vittoria di chi è più forte) per riservarsi, eventualmente, di venire in soccorso a chi soccombe. Lo stato della democrazia non fa questo. Esso prepara il terreno all’eguale libertà invece di giungere dopo; non dispensa carità ma garantisce diritti, e per questo promuove politiche sociali.

Ecco perché il principio della libertà individuale non sta solo scritto nelle costituzioni ma diventa a tutti gli effetti un criterio che valorizza le capacità concrete e sostanziali delle persone di vivere il tipo di vita al quale danno valore. L’espansione della libertà è condizione di felicità, perché possibilità di fare, di scegliere, di sperimentare con dignità e senza subire umiliazione.

Ecco perché il tema della giustizia è un tema di risorse o di condizioni di benessere, non semplicemente di esiti e nemmeno soltanto di equo trattamento. A questa promessa di “felicità” è ritornato il presidente Obama per inaugurare il suo secondo mandato: una promessa di impegno per uno sviluppo “illimitato” come o indefinito (cioè senza limiti predeterminati) è il mondo delle nostre possibilità in quanto persone libere nei diritti ed eguali nelle opportunità.

In questo inizio secolo, il viaggio mai finito della democrazia sembra aver trovato il suo Ulisse, nocchiero di un percorso incerto negli esiti e periglioso, ma avvincente e mosso da uno scopo che dovrebbe essere alla nostra portata: vivere con dignità, apprezzando il valore della nostra libertà.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/1/2013 22.19
Titolo:TESTO. Trascrizione discorso Obama ....
Trascrizione discorso Obama per inaugurazione secondo mandato


Il testo diffuso dalla Casa Bianca



Vice President Biden, Mr. Chief Justice,
members of the United States Congress, distinguished guests, and fellow citizens:

Each time we gather to inaugurate a President we bear witness to the enduring strength of our Constitution. We affirm the promise of our democracy. We recall that what binds this nation together is not the colors of our skin or the tenets of our faith or the origins of our names. What makes us exceptional -- what makes us American -- is our allegiance to an idea articulated in a declaration made more than two centuries ago:
“We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal; that they are endowed by their Creator with certain unalienable rights; that among these are life, liberty, and the pursuit of happiness.”

Today we continue a never-ending journey to bridge the meaning of those words with the realities of our time. For history tells us that while these truths may be self-evident, they’ve never been self-executing; that while freedom is a gift from God, it must be secured by His people here on Earth. (Applause.) The patriots of 1776 did not fight to replace the tyranny of a king with the privileges of a few or the rule of a mob. They gave to us a republic, a government of, and by, and for the people, entrusting each generation to keep safe our founding creed.

And for more than two hundred years, we have.

Through blood drawn by lash and blood drawn by sword, we learned that no union founded on the principles of liberty and equality could survive half-slave and half-free. We made ourselves anew, and vowed to move forward together.

Together, we determined that a modern economy requires railroads and highways to speed travel and commerce, schools and colleges to train our workers.

Together, we discovered that a free market only thrives when there are rules to ensure competition and fair play.

Together, we resolved that a great nation must care for the vulnerable, and protect its people from life’s worst hazards and misfortune.

Through it all, we have never relinquished our skepticism of central authority, nor have we succumbed to the fiction that all society’s ills can be cured through government alone. Our celebration of initiative and enterprise, our insistence on hard work and personal responsibility, these are constants in our character.

But we have always understood that when times change, so must we; that fidelity to our founding principles requires new responses to new challenges; that preserving our individual freedoms ultimately requires collective action. For the American people can no more meet the demands of today’s world by acting alone than American soldiers could have met the forces of fascism or communism with muskets and militias. No single person can train all the math and science teachers we’ll need to equip our children for the future, or build the roads and networks and research labs that will bring new jobs and businesses to our shores. Now, more than ever, we must do these things together, as one nation and one people. (Applause.)

This generation of Americans has been tested by crises that steeled our resolve and proved our resilience. A decade of war is now ending. (Applause.) An economic recovery has begun. (Applause.) America’s possibilities are limitless, for we possess all the qualities that this world without boundaries demands: youth and drive; diversity and openness; an endless capacity for risk and a gift for reinvention. My fellow Americans, we are made for this moment, and we will seize it -- so long as we seize it together. (Applause.)

For we, the people, understand that our country cannot succeed when a shrinking few do very well and a growing many barely make it. (Applause.) We believe that America’s prosperity must rest upon the broad shoulders of a rising middle class. We know that America thrives when every person can find independence and pride in their work; when the wages of honest labor liberate families from the brink of hardship. We are true to our creed when a little girl born into the bleakest poverty knows that she has the same chance to succeed as anybody else, because she is an American; she is free, and she is equal, not just in the eyes of God but also in our own. (Applause.)

We understand that outworn programs are inadequate to the needs of our time. So we must harness new ideas and technology to remake our government, revamp our tax code, reform our schools, and empower our citizens with the skills they need to work harder, learn more, reach higher. But while the means will change, our purpose endures: a nation that rewards the effort and determination of every single American. That is what this moment requires. That is what will give real meaning to our creed.

We, the people, still believe that every citizen deserves a basic measure of security and dignity. We must make the hard choices to reduce the cost of health care and the size of our deficit. But we reject the belief that America must choose between caring for the generation that built this country and investing in the generation that will build its future. (Applause.) For we remember the lessons of our past, when twilight years were spent in poverty and parents of a child with a disability had nowhere to turn.

We do not believe that in this country freedom is reserved for the lucky, or happiness for the few. We recognize that no matter how responsibly we live our lives, any one of us at any time may face a job loss, or a sudden illness, or a home swept away in a terrible storm. The commitments we make to each other through Medicare and Medicaid and Social Security, these things do not sap our initiative, they strengthen us. (Applause.) They do not make us a nation of takers; they free us to take the risks that make this country great. (Applause.)

We, the people, still believe that our obligations as Americans are not just to ourselves, but to all posterity. We will respond to the threat of climate change, knowing that the failure to do so would betray our children and future generations. (Applause.) Some may still deny the overwhelming judgment of science, but none can avoid the devastating impact of raging fires and crippling drought and more powerful storms.

The path towards sustainable energy sources will be long and sometimes difficult. But America cannot resist this transition, we must lead it. We cannot cede to other nations the technology that will power new jobs and new industries, we must claim its promise. That’s how we will maintain our economic vitality and our national treasure -- our forests and waterways, our crop lands and snow-capped peaks. That is how we will preserve our planet, commanded to our care by God. That’s what will lend meaning to the creed our fathers once declared.

We, the people, still believe that enduring security and lasting peace do not require perpetual war. (Applause.) Our brave men and women in uniform, tempered by the flames of battle, are unmatched in skill and courage. (Applause.) Our citizens, seared by the memory of those we have lost, know too well the price that is paid for liberty. The knowledge of their sacrifice will keep us forever vigilant against those who would do us harm. But we are also heirs to those who won the peace and not just the war; who turned sworn enemies into the surest of friends -- and we must carry those lessons into this time as well.

We will defend our people and uphold our values through strength of arms and rule of law. We will show the courage to try and resolve our differences with other nations peacefully –- not because we are naïve about the dangers we face, but because engagement can more durably lift suspicion and fear. (Applause.)

America will remain the anchor of strong alliances in every corner of the globe. And we will renew those institutions that extend our capacity to manage crisis abroad, for no one has a greater stake in a peaceful world than its most powerful nation. We will support democracy from Asia to Africa, from the Americas to the Middle East, because our interests and our conscience compel us to act on behalf of those who long for freedom. And we must be a source of hope to the poor, the sick, the marginalized, the victims of prejudice –- not out of mere charity, but because peace in our time requires the constant advance of those principles that our common creed describes: tolerance and opportunity, human dignity and justice.

We, the people, declare today that the most evident of truths –- that all of us are created equal –- is the star that guides us still; just as it guided our forebears through Seneca Falls, and Selma, and Stonewall; just as it guided all those men and women, sung and unsung, who left footprints along this great Mall, to hear a preacher say that we cannot walk alone; to hear a King proclaim that our individual freedom is inextricably bound to the freedom of every soul on Earth. (Applause.)

It is now our generation’s task to carry on what those pioneers began. For our journey is not complete until our wives, our mothers and daughters can earn a living equal to their efforts. (Applause.) Our journey is not complete until our gay brothers and sisters are treated like anyone else under the law –- (applause) -- for if we are truly created equal, then surely the love we commit to one another must be equal as well. (Applause.) Our journey is not complete until no citizen is forced to wait for hours to exercise the right to vote. (Applause.) Our journey is not complete until we find a better way to welcome the striving, hopeful immigrants who still see America as a land of opportunity -- (applause) -- until bright young students and engineers are enlisted in our workforce rather than expelled from our country. (Applause.) Our journey is not complete until all our children, from the streets of Detroit to the hills of Appalachia, to the quiet lanes of Newtown, know that they are cared for and cherished and always safe from harm.

That is our generation’s task -- to make these words, these rights, these values of life and liberty and the pursuit of happiness real for every American. Being true to our founding documents does not require us to agree on every contour of life. It does not mean we all define liberty in exactly the same way or follow the same precise path to happiness. Progress does not compel us to settle centuries-long debates about the role of government for all time, but it does require us to act in our time. (Applause.)

For now decisions are upon us and we cannot afford delay. We cannot mistake absolutism for principle, or substitute spectacle for politics, or treat name-calling as reasoned debate. (Applause.) We must act, knowing that our work will be imperfect. We must act, knowing that today’s victories will be only partial and that it will be up to those who stand here in four years and 40 years and 400 years hence to advance the timeless spirit once conferred to us in a spare Philadelphia hall.

My fellow Americans, the oath I have sworn before you today, like the one recited by others who serve in this Capitol, was an oath to God and country, not party or faction. And we must faithfully execute that pledge during the duration of our service. But the words I spoke today are not so different from the oath that is taken each time a soldier signs up for duty or an immigrant realizes her dream. My oath is not so different from the pledge we all make to the flag that waves above and that fills our hearts with pride.

They are the words of citizens and they represent our greatest hope. You and I, as citizens, have the power to set this country’s course. You and I, as citizens, have the obligation to shape the debates of our time -- not only with the votes we cast, but with the voices we lift in defense of our most ancient values and enduring ideals. (Applause.)

Let us, each of us, now embrace with solemn duty and awesome joy what is our lasting birthright. With common effort and common purpose, with passion and dedication, let us answer the call of history and carry into an uncertain future that precious light of freedom.

Thank you. God bless you, and may He forever bless these United States of America. (Applause.)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/1/2013 22.38
Titolo:VERSIONE ITALIANA DEL TESTO ....
“Ogni volta che ci riuniamo per introdurre un presidente, siamo testimoni della forza duratura della nostra Costituzione. Affermiamo la promessa della nostra democrazia. Ricordiamo che ciò che tiene insieme questa nazione non è il colore della nostra pelle o i dogmi della nostra fede o l’origine dei nostri nomi.

Ciò che ci rende eccezionali – ciò che ci rende americani – è la nostra fedeltà a un’idea, articolato in una dichiarazione fatta più di due secoli fa: ”Noi riteniamo queste verità di per se stesse evidenti, che tutti gli uomini sono creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità”.

Oggi continuiamo il viaggio senza fine, per colmare il senso di quelle parole con le realtà del nostro tempo. La storia ci dice che, mentre queste verità sembrano essere auto-evidenti, non sono mai stati eseguite e divenute reali automaticamente, che, mentre la libertà è un dono di Dio, deve essere garantito da suo popolo sulla Terra.

I patrioti del 1776 non hanno combattuto per sostituire la tirannia di un re con i privilegi di pochi o lo stato di una folla. Ci hanno dato una Repubblica, un governo di, e da, e per il popolo, affidandolo ad ogni generazione per tenere al sicuro il nostro valori.

Per più di duecento anni, lo abbiamo fatto. Attraverso il sangue disegnato sugli occhi ed il sangue prelevato con la spada, abbiamo imparato che nessuna unione fondata sui principi di libertà e di uguaglianza potrebbe sopravvivere se l’uomo è metà schiavo e per metà libero.

Noi siamo fatti per rinnovarci, peri andare avanti insieme. Insieme, abbiamo stabilito che una moderna economia necessita di ferrovie e strade per velocizzare viaggi e commerci, scuole e università per formare i nostri lavoratori. Insieme, abbiamo scoperto che un libero mercato prospera solo quando ci sono delle regole volte a garantire la concorrenza e il fair play.

Insieme abbiamo deciso che una grande nazione deve avere cura per i più vulnerabili, e proteggere il suo popolo dai peggiori pericoli della vita e le disgrazie. Attraverso tutto questo, non abbiamo mai abbandonato il nostro scetticismo di autorità centrale, né abbiamo ceduto alla finzione che tutti i mali della società può essere curata attraverso il governo da solo.

La nostra celebrazione di iniziativa e d’impresa, la nostra insistenza sul duro lavoro e la responsabilità personale, sono costanti nel nostro carattere.

Ma abbiamo sempre capito che quando i tempi cambiano, dobbiamo cambiare anche noi; che la fedeltà ai nostri principi fondatori richiede risposte nuove alle nuove sfide, che preservare le nostre libertà individuali richiede in ultima analisi, l’azione collettiva.

Il popolo americano non può più soddisfare le esigenze del mondo di oggi, agendo da solo. Nessuna singola persona può preparare tutti gli insegnanti di matematica e scienze. Avremo bisogno di preparare i nostri figli per il futuro, o costruire le strade e le reti ferroviarie e laboratori di ricerca che porterà nuovi posti di lavoro e imprese sulle nostre coste.

Ora, più che mai, dobbiamo fare queste cose insieme, come una nazione e un popolo. Questa generazione di americani è stata testata da crisi che rafforzato la nostra determinazione e dimostrato la nostra capacità di ripresa. Un decennio di guerra sta per concludersi. La ripresa economica è iniziata.

Le possibilità dell’america sono infinite, noi possediamo tutte le qualità di questo mondo senza confini: le richieste dei giovani e l’unità, la diversità e l’apertura, una capacità infinita per capacità di rinnovarsi.

Miei colleghi americani, siamo fatti per questo momento, e noi lo coglieremo – fino a quando lo coglieremo insieme.

Noi, il popolo, capiamo che il nostro paese non può avere successo quando alcuni riescono a fare molto bene e un numero sempre più grande di persone invece fatica a fare.

Noi crediamo che la prosperità degli Stati Uniti deve poggiare sulle spalle larghe di una classe media emergente. Sappiamo che l’America prospera quando ogni persona può trovare l’indipendenza e l’orgoglio nel proprio lavoro, quando il salario del lavoro onesto libera le famiglie dal baratro di disagio.

Noi siamo fedeli al nostro credo, quando una bambina nata nella più nera povertà sa che ha la stessa probabilità di avere successo di tutti gli altri, perché è un americana, è libera, e lei è uguale, non solo agli occhi di Dio ma anche ai nostri.

Siamo consapevoli che i programmi siano inadeguati alle esigenze del nostro tempo. Dobbiamo sfruttare le nuove idee e tecnologie per rifare il nostro governo, rinnovare il nostro programma fiscale, riformare le nostre scuole, e responsabilizzare i nostri cittadini con le competenze necessarie per lavorare di più, imparare di più, e raggiungere livelli più alti.

Ma mentre i mezzi cambiano, il nostro scopo resta: una nazione che premia l’impegno e la determinazione di ogni singolo americano. Questo è ciò che questo momento richiede. Questo è ciò che dare un senso al nostro credo.

Noi, il popolo, crediamo ancora che ogni cittadino merita una misura di base di sicurezza e dignità. Dobbiamo fare le scelte difficili per ridurre il costo delle cure sanitarie e la dimensione del nostro deficit.

Ma noi rifiutiamo la convinzione che l’America debba scegliere tra la cura per la generazione che ha costruito questo paese e di investire nella generazione che costruirà il suo futuro. Per noi ricordare le lezioni del nostro passato, quando anni bui sono stati spesi in condizioni di povertà, ed i genitori di un bambino con disabilità non avevano nessuno a cui rivolgersi.

Noi non crediamo che in questo paese, la libertà è riservata per il fortunato, o la felicità per pochi. Ci rendiamo conto che non importa quanto responsabilmente viviamo la nostra vita, ma ognuno di noi, in qualsiasi momento, può affrontare una perdita di posti di lavoro, o una malattia improvvisa, o una casa spazzata via in una terribile tempesta.

Gli impegni che facciamo gli uni agli altri – attraverso Medicare e Medicaid, e della sicurezza sociale – queste cose non fiaccano la nostra iniziativa, ma ci rafforzeranno. Non ci fanno una nazione di appassionati, ma siamo liberi di prendere i rischi che fanno di questo grande paese.

Noi, il popolo, crediamo ancora che i nostri obblighi non sono solo per noi stessi, ma a tutti i posteri. Risponderemo alla minaccia del cambiamento climatico, sapendo che non farlo farlo sarebbe tradire i nostri figli e le generazioni future.

Alcuni possono ancora negare la sentenza schiacciante della scienza, ma nessuno può evitare l’impatto devastante degli incendi, e la siccità paralizzante, e le tempeste più potenti.

Il cammino verso le fonti di energia sostenibili sarà lungo e talvolta difficile. Ma l’America non può resistere a questa transizione, anzi dobbiamo condurla. Non possiamo cedere ad altre nazioni la tecnologia che crea posti di lavoro e nuove industrie – dobbiamo rivendicare la sua promessa. Questo è il modo manterremo la nostra vitalità economica e il nostro tesoro nazionale – i nostri boschi e corsi d’acqua, i nostri campi coltivati ​​e cime innevate. Questo è il modo in cui preserveremo il nostro pianeta, comandato da Dio la nostra cura. Questo è ciò che darà un senso alla fede che i nostri padri hanno dichiarato.

Noi, il popolo, crediamo ancora che la sicurezza duratura e una pace duratura non necessitano di guerra perpetua. I nostri coraggiosi uomini e donne in uniforme, temprati dalle fiamme della battaglia, non hanno rivali in abilità e coraggio.

I nostri cittadini, scottati dal ricordo di coloro che abbiamo perso, conoscono troppo bene il prezzo che si paga per la libertà. La conoscenza del loro sacrificio ci terrà per sempre vigili contro coloro che vorrebbero farci del male. Ma siamo anche eredi di chi ha vinto la pace e non solo la guerra, che ha trasformato in nemici giurati il ​​più sicuro degli amici, e dobbiamo portare le lezioni in questa periodo storico. Noi difenderemo la nostra gente e sosterremo i nostri valori con la forza delle armi e dello Stato di diritto.

Mostreremo il coraggio di cercare di risolvere le nostre differenze con le altre nazioni pacificamente – non perché siamo ingenui circa i pericoli che abbiamo di fronte, ma perché l’impegno può allontanare in maniera più duratura il sospetto e la paura. L’America rimane l’ancora di forti alleanze in ogni angolo del globo, e rinnoveremo le istituzioni che estendono la nostra capacità di gestire le crisi all’estero, perché nessuno ha una partecipazione maggiore in un mondo di pace che la sua più potente nazione.

Sosterremo la democrazia dall’Asia all’Africa, dalle Americhe al Medio Oriente, perché i nostri interessi e la nostra coscienza ci obbligano ad agire per conto di coloro che sognano la libertà. E dobbiamo essere una fonte di speranza per i poveri, i malati, gli emarginati, le vittime di pregiudizi – non per mera beneficenza, ma perché la pace nel nostro tempo richiede l’anticipo costante di questi principi che il nostro credo comune descrive: la tolleranza e la opportunità, della dignità umana e della giustizia.

Noi, il popolo, dichiariamo oggi che la più evidente delle verità – che tutti noi sono stati creati uguali – è la stella che ci guida ancora, proprio come guidò i nostri antenati attraverso Seneca Falls, e Selma, e Stonewall, così come guida tutti gli uomini e le donne, cantati e celebrati, che hanno lasciato impronte lungo il Mall grande, per ascoltare un predicatore dire che non possiamo camminare da soli, per sentire un re proclamare che la nostra libertà individuale è inestricabilmente legata alla libertà di ogni anima sulla Terra.

Ora è compito della nostra generazione a portare avanti quello che questi pionieri hanno iniziato. Il nostro viaggio non è completa fino a quando le nostre mogli, le nostre madri, e figlie possono guadagnarsi da vivere in maniera pari ai loro sforzi.

Il nostro viaggio non è completo fino a quando i nostri fratelli e sorelle gay sono trattati come tutti gli altri in base alla legge – perché se siamo veramente uguali, allora sicuramente l’amore che impegnano gli uni agli altri deve essere pure uguale.

Il nostro viaggio non è completo fino a quando nessun cittadino è costretto ad aspettare per ore per esercitare il diritto di voto.

Il nostro viaggio non è completo fino che non abbiamo trovato un modo migliore per accogliere gli immigrati, che si sforzano di sperare, che ancora vedono l’America come una terra di opportunità, fino a che brillanti giovani studenti e ingegneri siano arruolato nella nostra forza lavoro piuttosto che espulsi dal nostro paese.

Il nostro viaggio non è completo fino a quando tutti i nostri figli, dalle strade di Detroit alle colline di Appalachia ai sentieri tranquilli di Newtown, sanno che sono curati, e amati, e sempre al sicuro.

Questo è il compito della nostra generazione – far si che queste parole, questi diritti, questi valori – di vita, e della libertà e del perseguimento della felicità – siano reali per ogni americano.

Essere fedeli ai nostri documenti fondanti non ci richiede di concordare ogni contorno della vita, non significa che noi tutti definiamo la libertà esattamente nello stesso modo, o seguiamo lo stesso percorso preciso verso la felicità. Il progresso non ci costringe a risolvere il secolare dibattito sul ruolo del governo per tutti i tempi -, ma ci richiede di agire nel nostro tempo. Ora le decisioni sono su di noi, e non possiamo permetterci ritardi.

Non si può confondere l’assolutismo per principio, o sostituire lo spettacolo con la politica, o trattare insulti come dibattiti ragionati. Dobbiamo agire, sapendo che il nostro lavoro sarà imperfetto. Dobbiamo agire, sapendo che la vittoria di oggi sarà solo parziale, e che spetterà a coloro che si trovano qui a quattro anni, e quaranta anni, e 400 anni quindi, per promuovere lo spirito senza tempo, una volta conferito a noi in una Philadelphia cambiata.

Miei compatrioti americani, il giuramento che ho fatto davanti a voi oggi, come quella recitata da altri, che servono in questo Campidoglio, era un giuramento a Dio e al paese, non di partito o fazione – e dobbiamo fedelmente eseguire questo impegno per tutta la durata della nostra servizio.

Ma le parole con cui ho parlato oggi, non sono molto diverse dal giuramento che viene preso ogni volta che un soldato si comporta a dovere, o un immigrato realizza il suo sogno.

Il mio giuramento non è così diverso da quella promessa che tutti facciamo per la bandiera che le onde di cui sopra e che riempie il cuore di orgoglio. Sono le parole dei cittadini, e rappresentano la nostra più grande speranza. Io e te, in quanto cittadini, hanno il potere di fissare corso di questo paese. Io e te, in quanto cittadini, hanno l’obbligo di formare i dibattiti del nostro tempo – non solo con i voti espressi si, ma con le voci che sollevano in difesa dei nostri valori più antichi e ideali duraturi. Che ciascuno di noi ora abbracciare, con solenne dovere e gioia incredibile, ciò che è nostro diritto di nascita duratura.

Con uno sforzo comune e uno scopo comune, con passione e dedizione, cerchiamo di rispondere alla chiamata della storia, e portare in un futuro incerto che la luce prezioso della libertà. Grazie, Dio vi benedica e possa Egli benedica per sempre questi Stati Uniti d’America”.

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Commenti Articolo 620

Titolo articolo : Crocetta decide la sospensione dei lavori,di Domenico Stimolo

Ultimo aggiornamento: January/23/2013 - 22:31:39.

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marilena tomaselli prdara 15/1/2013 16.27
Titolo:No Muos
Esprimo la necessità, a proposito dell'articolo di Stimolo, di un grande sostegno popolare a Crocetta, che sta così esposto in prima fila per noi. Anche i media dovrebbero dargli maggiore visibilità, ma questo mi pare tanto auspicabile quanto improbabile. Siamo noi che dobbiamo fargli un cordone di protezione.
Autore Città Giorno Ora
Roberto Ventrella Napoli 23/1/2013 22.31
Titolo:per piacere, Concetta non mollare
SI, "TENIAMOCI FORTE"!

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Commenti Articolo 621

Titolo articolo : Per la ministra Cancellieri la costruzione del Muos a Niscemi  deve essere imposta con le forze armate!!!,di Coordinamento regionale dei Comitati NoMuos

Ultimo aggiornamento: January/23/2013 - 22:12:23.

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Autore Città Giorno Ora
Roberto Ventrella Napoli 23/1/2013 22.12
Titolo:un robot senza anima
La cancellieri, (come tutti, o quasi tutti, quelli che stanno all’impero yankee come la pecora sta al montone), è una povera donna come tante che passano per le stanze del Palazzo con una laurea in scienze politiche al posto del cervello e una grande ambizione al posto del cuore. In poche parole un robot senza anima che fa quello che i capi dei suoi capi le dicono di fare. Pericolosissima se messa a contatto con Di Paola!
È dura! La parola d’ordine è Resistere, Resistere, Rsistere!!! Che la Forza sia con voi!!!

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Commenti Articolo 622

Titolo articolo : Obama ha giurato sulla Bibbia di Martin Luther King e su quella di Abraham Lincoln. E Benedetto XVI ha giurato sulla "Bibbia" di Costantino. Note di commento di Furio Colombo e di Nadia Urbinati sul discorso del Presidente degli Stati Uniti  - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January/23/2013 - 20:40:45.

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Federico La Sala Milano 23/1/2013 20.40
Titolo:PAROLA A RISCHIO Risalire gli abissi ...
PAROLA A RISCHIO
Risalire gli abissi
La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
Perché è sorriso, liberazione, gioia.

di Giovanni Mazzillo (Teologo) *

G come gioia, come Gesù, respiro di gioia per tutti gli infelici della terra. Parliamo di Gesù, il cui corrispondente nome greco Iesoûs deriva direttamente dall’originale ebraico Je(ho)šhu e significa JHWH salva, per precisare immediatamente che il termine salvezza oggi non significa gran che per i nostri contemporanei, e di conseguenza risuona poco interessante persino quel nome, pur originariamente portatore di una gioia immensa e inaudita. Ciò avviene non solo per l’inevitabile logorio delle parole più usate e talora abusate, ma per il fatto che ha perso rilevanza e pertanto significato il valore stesso della “salvezza”.

Salvezza
Salvezza da chi e/o da che cosa? Appunto, è questo il primo problema. La salvezza appare di primo acchito un concetto immediatamente derivato dal superamento di una situazione negativa, Si salva, o come succede in questo caso, viene salvato, qualcuno che si trova in una situazione di pericolo. Il pericolo di perdere qualcosa, di perdere se stesso. Di essere cancellato, di sparire, appunto come sparisce da un computer un testo non “salvato” o un’immagine non messa al sicuro. Ma essere salvati è per noi persone umane, e pertanto non riducibili a una traccia di codificazione binaria o algoritmica, molto di più che conservare un’impronta e una presenza. Coerentemente con la nostra realtà dinamica e relazionale, essere salvati significa avere un luogo, un senso, una rilevanza nel contesto di una realtà che giustifica, sorregge, garantisce il mantenimento e la crescita qualitativa, e pertanto il conseguente riconoscimento di un originario, inalienabile, imprescindibile valore personale.

La domanda «Chi o che cosa si può dire oggi salvato?» esige pertanto una primordiale differenziazione. Altro è il concetto di ciò che è salvato (cioè il dato messo al sicuro), ben altro è l’essere umano salvato. Questi non è solo garantito in ciò che ha di più proprio e pertanto è distinto dal mero “dato”, che invece è una sorta di file compilato (non per nulla in tedesco proprio il file è chiamato Datei, leggi datai, cioè «rea-ltà data»). L’essere umano è tale solo in un incontro, in una relazione. La persona è tutta nelle relazioni delle quali vive. Proprio la relazionalità sorregge il senso e la gioia del suo esistere.

L’annuncio di Gesù, già nella sua venuta in questo nostro mondo, è l’annuncio di una relazionalità umana felicemente riuscita. Nel Vangelo è direttamente collegato alla Grazia, termine che esprime tutto ciò e anche qualcosa di più.

Nell’annuncio della sua nascita, diversamente da quanto appare nella traduzione latina, e in quella italiana da essa derivata, nella preghiera più popolare che ci sia, Maria è salutata non con il saluto che si dava all’imperatore, alle autorità o anche agli amici con l’esclamativo «Ave!», bensì con l’invito a rallegrarsi, cioè a gioire (chaîre): a entrare in un circuito di esultanza per un dono gratuito e inatteso. Colei che è piena di grazia (kecharitōménē) è invitata a rallegrarsi perché tutto in lei è frutto ed espressione della «grazia» (cháris), cioè di un dono amorevole quanto sorprendente, che sarà presto annuncio di gioia per tutto il popolo e per ogni uomo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...”. L’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia...» (Lc 1,30-31; 2,10-11).

Il resto del Vangelo, soprattutto quello di Luca, evidenzia la gioia improvvisa e incontenibile che contagia quanti vengono a contatto con Ješhu. A cominciare da Elisabetta e dal suo bambino, che le esulta nel grembo, il futuro Battista. Così esultano ancora due anziani che sembrano essere rimasti in vita per mantenere viva la speranza d’Israele: Simeone e Anna, o i pastori; mentre nel racconto di Matteo, viene detto che i Magi “provarono una grandissima gioia” nel rivedere la stella che indicava il luogo della natività di Gesù.

La stessa gioia è testimoniata dai semplici e dagli umili, dagli infelici e dai peccatori che si sentono aiutati, capiti, perdonati. A gioire sono ancora i bambini e le donne, classi tradizionalmente neglette dalla piena partecipazione alla grazia collegata alle tradizionali benedizioni di Dio. Insomma il cuore del Vangelo è la lieta notizia annunciata ai bisognosi e agli infelici della terra. Il Dio che si dona totalmente, è il Dio che dona illimitatamente la gioia agli uomini. E perché la nostra gioia fosse piena (Gv 15,11), il Figlio di Dio è arrivato umanamente a perdere se stesso.

Perché avessimo una gioia che nessuno avrebbe mai più potuto toglierci, ha permesso che fosse tolta a lui la vita, per riprenderla di nuovo, ma con la conoscenza ormai nella sua carne e nella sua psiche di cosa significhi la morte umana. Di cosa voglia dire la gioia di vivere, di vivere non con il naturale sorriso con cui vive ogni creatura per la stessa gioia dell’esistere, ma di provare e diffondere la gioia di chi conosce la sofferenza e non resta inchiodato alla sofferenza. O al limite, di chi, nonostante le ferite e talora i chiodi mai interamente rimossi della sofferenza, sa sorridere della vita, perché questa è ormai rischiarata da colui che vince la morte e la depressione della sofferenza.

La gioia è dunque uno dei nomi della salvezza, ma di una salvezza che assume di volta in volta nomi nuovi e nomi antichi: riscatto, liberazione, sensatezza, leggerezza dell’esistere... Se la parola non fosse tanto inflazionata, si potrebbe dire che la salvezza altro non è che la felicità. È la felicità nel suo senso etimologico: come abbondanza e fertilità. Possiamo tradurre: come vita sensata che raggiunge il suo scopo e nasce da relazioni benevole, tendenti al bene altrui, trovando negli altri la propria gioia e comunicandola con relazioni che fanno crescere se stessi e gli altri.

In quanto tale, la felicità è simile alla pace e ne è la forma storica: è star bene con sé e con gli altri, con il proprio passato e con il proprio futuro. Perché, soprattutto oggi, c’è bisogno paradossalmente più di ricostruire il futuro che il passato o il presente. Per poterlo fare c’è bisogno di quella gioia consapevole che non si arrende e che non si ripiega su se stessa. Si ritrova nel futuro di una convivenza che non nasconde, ma sa riconoscere e superare i conflitti attraverso uno sguardo d’amore verso ciò che ci è intorno. È uno guardo che viene da lontano e tuttavia tocca la nostra umanità, questa mia e questa tua umanità, quella assunta, attraversata e come divinizzata da quel Gesù che continuamente dà senso a ogni tentativo di superare la violenza con l’amore. È l’unico a dar senso a ogni discorso di pace, anche questo che hai appena finito di leggere.

* MOSAICO DI PACE, LUGLIO 2012

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Commenti Articolo 623

Titolo articolo : Basta con la politica delle bombe  ,di Flavio Lotti

Ultimo aggiornamento: January/22/2013 - 12:13:44.

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gianfranco frisciotti sinnai 22/1/2013 12.13
Titolo:sono daccordo ma
sono perfettamente daccordo con l'articolo di Flavio Lotti che stimo molto. Come si fa a non esserlo. Sono però perplesso dal taglio elettoralistico dello stesso, quasi a voler dire vota noi che siamo contro. Certo, farebbe piacere anche a me avere in parlamento qualcuno contro, ma può bastare? Può bastare chiamarsi rivoluzione civile per esserla davvero? purtroppo dispiace vedere che il leader carismatico della nuova formazione non si sia spostato di molto dalle logiche padronali dei partiti nel fare le liste dei candidati. Peccato, ci avevamo sperato in molti. Ma nonostante tutto cambiare si può, anzi cambiare si deve. Saluti fraterni. Gianfranco

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Commenti Articolo 624

Titolo articolo : Osare il protestantesimo,di Giorgio Gardiol

Ultimo aggiornamento: January/22/2013 - 12:13:15.

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Ugo Agnoletto Susegana 22/1/2013 12.13
Titolo:funzione delle chiese
credo che le chiese abbiano una funzione educativa, cioè trasmettere il messaggio del vangelo. La chiesa cattolica è la più ingessata: quelli che insegnano teologia nelle università cattoliche, da quando c'è Ratzinger, hanno la bocca cucita. I vescovi non possono dire qualcosa che dispiaccia al Vaticano. I preti non osano parlare e poi hanno troppe incombenze da seguire. E' ragionevole perciò che continui il salasso nel cattolicesimo. E' caduto anche l'ultimo tabù: che fuori della chiesa (cattolica) non ci sia salvezza. Agli occhi della gente poi, chiesa, vaticano, ior, privilegi sono la stessa cosa. Il mondo protestante non ha tutti questi gravami, è più libero di parlare di Cristo. Ma chi è stato scottato dal cattolicesimo, difficilmente si rivolge ad altre chiese. Fanno eccezione i pentecostali, soprattutto fra gli immigrati, che avvertono la chiesa cattolica come troppo fredda e quindi si trovano più a loro agio tra le chiese pentecostali. Chi è cattolico, non se la prenda a male, ma cerchi piuttosto di guardare le cose dall'esterno.

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Commenti Articolo 625

Titolo articolo : IL COLPO DEFINITIVO DEL CATTOLICESIMO COSTANTINIANO  AL CRISTIANESIMO. "La Necessita' e la Grazia": un breve luminoso testo ripreso da "Il Mandorlo e il Fuoco" di don Ernesto Balducci - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January/22/2013 - 11:48:16.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/1/2013 19.23
Titolo:PARLARE DI CARITÀ SIGNIFICA PARLARE DI GRAZIA
I CARISMI

di don Mauro Agreste *

1) OGGI PARLIAMO DEI CARISMI Oggi parliamo dei carismi ed è importante averne una conoscenza un pochino più strutturata, perché come catechisti nelle vostre comunità parrocchiali, ma anche nei gruppi di preghiera, è bene che abbiate una conoscenza il più possibile ampia su questo tema. Tutto sommato è stato lasciato per molti versi ad alcuni gruppi ecclesiali, oppure a degli alti studi universitari nell’Università Pontificia. Il tema dello spirito dei carismi è un tema che fa parte della vita della Chiesa; se ne tratta nel Concilio e nella Lumen Gentium. Al n°12 dice che la Chiesa costituita dal popolo di Dio è per così dire, il luogo in cui si esercitano i carismi, ognuno per la sua propria specificità. Però la maggior parte delle persone, quando sentono dire la parola carisma non è che abbiano molto chiaro in mente di che cosa si tratti, è vero?

2) PAROLA USATA E ABUSATA DA MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA Per di più questa parola è stata usata e abusata da giornalisti, da mezzi di comunicazione di massa non per indicare il significato preciso della parola carisma, quanto invece per indicare la capacità che ha una persona di attirare l’attenzione degli altri in qualunque campo, con la sua propria capacità di emergere sugli altri. Quindi in senso generico la parola carisma o personaggio carismatico all’interno della Chiesa e di alcuni gruppi ecclesiali vieni intuita in un certo modo. All’infuori della Chiesa il personaggio carismatico è un personaggio che ha delle chances in più, ha un savoir faire diverso in tutti i campi, sportivo, politico, ecc. ecc. da emergere e attirare l’attenzione, quasi catalizzando l’attenzione degli altri.

3) CARISMA HA LA STESSA RADICE DELLA PAROLA CARITÀ Ma che cos’è dunque il carisma e da che cosa nasce? Intanto la parola carisma deriva dal greco e come voi potete benissimo accorgervi contiene dentro di sé una radice, charis, che è la stessa radice della parola carità. Ora la parola carità, anche se abbiamo una vaga intuizione, è una parola che ha significati molto complessi e molto profondi, per cui almeno nel nostro linguaggio teologico, non è facile definire la carità semplicemente come un atteggiamento. La carità è prima di tutto una caratteristica di Dio stesso, una caratteristica essenziale, tant’è vero che gli antichi dicevano: Deus est charitas da cui gli antichissimi inni, ubi charitas et amor Deus ibi est, dov’è carità e amore lì c’è Dio. Dunque carità ha in sé questa radice charis, che significa qualche cosa di forte, di caldo, di vivo, di avvolgente. Viene cantato nel Veni Creator, si parla dello Spirito Santo e si dice che lo Spirito Santo è ignis, fuoco, fuoco di carità, fuoco di amore.

4) CARITÀ E AMORE VENGONO SPESSO USATI COME SINONIMI Carità e amore vengono spesso usati come sinonimi per una semplice ragione, sono entrambi concetti estremamente profondi. Se tu dici amore, è sufficiente dire amore per capire tutto ciò che significa la parola amore? No, cioè lo usiamo convenzionalmente però noi sappiamo che l’amore autentico per esprimerlo, per significarlo è molto difficile. Ricordate questa mattina il brano del Vangelo che è stato letto: nessuno ha un amore più grande se non colui che muore per i propri amici. Quindi vedete l’amore coinvolge fino alla donazione della vita. L’amore esige per esempio il concetto, che deve essere chiaro, della capacità di donarsi. Amore e donazione totale coincidono; però quando io dico amore non dico solo donazione totale, dico anche gioia, dico anche situazione di protezione. Una persona che ama è una persona che ne sta proteggendo un’altra; una persona che si sente amata è una persona che si sente protetta. Il concetto di guida: chi ama guida; chi è amato si sente guidato non gettato allo sbaraglio. Voi potete immaginare quale grande significato c’è nella parola amore; viene considerata sinonimo di carità, però entrambe hanno una specificità; che l’amore e la carità sono due realtà vive, coincidono con Dio.

5) PARLARE DI CARITÀ SIGNIFICA PARLARE DI GRAZIA Quindi parlare di carità, significa parlare di grazia, che charis è una traslitterazione, è la radice della parola greca che significa grazia. Che cos’è la grazia? Non è la gentilezza nei movimenti, la grazia è lo Spirito Santo in azione, lo Spirito Santo mentre agisce, lo Spirito Santo che sta agendo. Vieni Padre donaci la tua santa grazia, donaci cioè lo Spirito Santo che agisce dentro di noi. Ricordatevi che anche se avete il concetto chiaro nella mente, quelli che sono davanti a voi fraintendono facilmente, soprattutto queste cose complesse. Quindi dovete avere sempre l’idea di parlare a un bambino di 5 anni e state tranquilli che le persone davanti a voi non si sentiranno umiliate e non vi disprezzeranno se voi parlerete il più semplice possibile.

6) CHIEDI CHE LO SPIRITO SANTO VENGA AD AGIRE DENTRO DI TE Allora, donaci la santa grazia, certo che vuol dire donaci la capacità e la disponibilità a seguire i suggerimenti dello Spirito, però tu chiedi proprio che lo Spirito Santo venga ad agire dentro di te, però non senza di te. Quando invochiamo la grazia di Dio su di noi, invochiamo lo Spirito Santo che venga ad animarci dall’interno, come il lievito che fa lievitare tutta la pasta; il lievito non fa sparire la pasta, la fa solo lievitare; certo se non c’è la pasta puoi mettere anche un chilo di lievito che tanto non lievita niente. Allora quando si dice grazia si dice Spirito Santo in azione. Cosa vuol dire charis? Grazia. Cosa vuol dire grazia? Spirito Santo in azione. Lo Spirito Santo aleggiava sopra le acque informi, quindi lo Spirito Santo era già in azione appena Dio ha fatto esistere qualche cosa, ancora non c’era la luce, ma già lo Spirito Santo era in azione. Lo Spirito Santo agisce continuamente. L’ultimo versetto dell’Apocalisse dice: lo Spirito Santo e la sposa gridano Maranthà, vieni Signore Gesù. Quindi attenzione bene, tutta la Bibbia è contenuta da questa azione di Spirito Santo, dunque, tutta la storia degli uomini è contenuta in questi due punti fondamentali: lo Spirito Santo che aleggia e lo Spirito Santo che anima dicendo vieni. Gli uomini non si accorgono dell’azione dello Spirito Santo.

7) NUTRIRE UNA PARTICOLARE ADORAZIONE DELLO SPIRITO SANTO Allora i catechisti hanno questo compito fondamentale, fra tutti gli altri, di nutrire una particolare adorazione dello Spirito Santo. Dico giusto quando dico adorazione, per una semplice ragione, quale? Perché lo Spirito Santo è Dio. Quindi il catechista che non adora lo Spirito Santo non so che razza di catechista voglia essere. Lo Spirito Santo è la grazia che agisce dentro di noi. Il catechista che si mette al servizio della Chiesa, come fa a mettersi al servizio dicendo l’amore per Gesù se non è lo Spirito Santo a comunicarglielo?

8) PARLARE DI SPIRITO SANTO E DIO COME DUE PERSONE SEPARATE Domanda: questo fatto di parlare di Spirito Santo e Dio come due persone separate, non rischia di confonderci? E quando parliamo del Padre separato dal Figlio, non si rischia di creare dei problemi? Nelle dispense degli anni passati c’è quel disegno molto bello che si riferisce allo schema intuitivo su Dio e le sue tre persone. Dio è Padre, è Figlio e Spirito Santo, un solo Dio, però il Padre non è il Figlio, non è lo Spirito Santo e lo Spirito Santo non è il Padre. È chiaro che la nostra mente è così limitata che noi non riusciamo a capire, possiamo solo contemplare.

9) FACCIAMO PARTE DELLA TRINITÀ Di più ancora. Facciamo parte di questa Trinità, con il Battesimo siamo entrati dentro la Trinità, perché siamo con Gesù una cosa sola. Siamo entrati nella Trinità, però non siamo Dio, siamo esseri umani, però facciamo parte della Trinità. Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; quindi la volontà di Dio è che siamo immersi ( bactizzomai verbo greco che significa essere immersi ) in tutto Dio Padre, in tutto Dio Figlio e in tutto Dio Spirito Santo. Questo vuol dire che dentro di noi c’è tutto Dio Padre, tutto Dio Figlio, tutto Dio Spirito Santo e come lo spieghi questo? Quando tu vai a fare la comunione prendi un’ostia grande così, tu sai che lì dentro c’è il Dio Eterno e Infinito, Signore della storia e dei secoli. Sotto un velo di pane c’è il mistero di tutto ciò che esiste. Possiamo intuire. Come dice l’inno Pange Lingua. Visus tactus gustus in te fallitur, la vista il tatto il sapore falliscono, perché tutto quello che i sensi constatano è fallace, non i sensi ma la fede conosce questa verità. Allora con la fede tu accetti, il mistero lo contempli, però non lo capisci. Perché capire dal latino càpere vuol dire prendere e tenere stretto, contemplare invece significa guardare, ma non da soli, sostenuti. Tu puoi guardare il mistero di Dio da solo, lo puoi contemplare cioè tu puoi entrare nel tempio insieme a qualcuno, contemplare entrare nel tempio insieme a qualcuno. Tu non possiedi il tempio è il tempio che possiede te.

10) IL CATECHISTA DEVE PARLARE UN ITALIANO SEMPLICE E COMPRENSIBILE Attenzione, perché usiamo la lingua, ma non la conosciamo e un catechista non può permettersi questo. Un catechista deve parlare un italiano semplice e comprensibile a quelli che ha di fronte però deve conoscere dieci o venti volte di più di quello che sta dicendo agli altri, se no che cosa sta comunicando? Certamente ai bambini non puoi dire le specificità dei termini che vi sto spiegando, però su tu non conosci il significato delle parole, tu insegnerai delle cose sbagliate e noi non possiamo permetterci di fare questo, se no non stiamo divulgando il Vangelo di Gesù Cristo, ma il Vangelo secondo noi. Quindi ricordatevi, è un servizio fatto a Dio quello anche di essere precisi nel linguaggio che si usa. Siate precisi cercando di conoscere il più possibile il significato delle parole che usate, anche le più comuni. E chiedete allo Spirito Santo che vi dia una struttura logica del pensiero: soggetto, predicato, complemento. Diversamente il vostro discorso non sarà compreso da chi vi ascolta; piuttosto articolate frasi e concetti brevi non un discorso lungo e strutturato. Fate discorsi brevi, frasi brevi, ma che siano chiare.

11) LA CONIUGAZIONE DEI VERBI DEVE ESSERE PRECISA State anche attenti alla coniugazione dei verbi, che deve essere precisa, perché un verbo al condizionale ha un significato diverso da un verbo all’indicativo; perché un verbo all’indicativo indica una realtà, un obbligo imprescindibile, un verbo al condizionale indica una possibilità cioè una dualità di realtà; i congiuntivi sono verbi di consequenzialità; se io nella mente non ho l’idea della consequenzialità delle cose, non userò il congiuntivo, userò l’indicativo e renderò tutto obbligante.

Ricordatevi che abbiamo a che fare con le parole, che noi abbiamo la parola di Dio nella mano e siamo i catechisti, non ci possiamo permettere di giocare con le parole, perché da come io uso le parole, favorisco o freno il passaggio del concetto di Dio. Senza diventare fanatici, senza esagerare, però o prendiamo sul serio il nostro servizio reso a Dio. Quindi tutto quello che dipende da me io cerco di farlo al meglio che posso, oppure facciamo come fanno tanti che improvvisano tutto, vanno avanti e non si rendono conto che stanno giocando con Dio. Se sul Vangelo c’è scritto: in principium erat verbum et verbum erat aput deum et verbum erat deum, allora questo ci fa capire che in principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio.

12) SE DIO SI E’ FATTO PAROLA, IO NON POSSO GIOCARE CON LE PAROLE Se Dio si è fatto la parola che noi possiamo intuire e capire, io posso giocare con le parole? No. Non dico questo perché dobbiamo spaventarci, sentirci colpevolizzati, però sentiamo la necessità di pensare le parole che usiamo e pensare le frasi che usiamo, perché se io devo parlare a dei bambini, dovrò rendere estremamente semplice un discorso difficilissimo. Però usando delle parole che siano giuste, che cerchino di generare meno equivoci possibili, adatte al vocabolario che è in possesso a un bambino di 7-10-12-15 anni, senza mai cedere ad accettare una connotazione di linguaggio che non sia più che dignitosa ed elegante.

13) IL CATECHISTA NON USA MAI PAROLE EQUIVOCHE Se ci sono dei modi di dire che esprimono il concetto di essere arrabbiati in un certo modo, il catechista non li usa mai, neanche quando sta da solo. Se ci sono parole equivoche il catechista si deve abituare non solo a non usarle lui, ma a sentirne ribrezzo quando le sente pronunciare da altri, perché il catechista sta usando con la propria lingua un mezzo di evangelizzazione. Dunque l’apostolo san Giacomo dice nella sua lettera al cap. 4 che chi domina la lingua domina tutto il resto del corpo.

Ora un catechista che non domina la lingua come può produrre negli altri un cambiamento di vita, se le parole che escono da lui sono sporcate da una incapacità di dominare la lingua? Naturalmente quando dico capacità di dominare la lingua non mi riferisco solamente a un linguaggio volgare e pesante, mi riferisco anche a un modo di gestire il linguaggio. Una persona che non è capace a non criticare, una persona dalla cui bocca esce sempre una parola di critica, di giudizio, di condanna, di curiosità, di pettegolezzo ecc. può giustamente essere catechista? Non può. Un catechista che non sente fondamentale dentro di sé l’imperativo di sapere quello che sta dicendo, come lo sta dicendo e non si domanda se le parole che sta usando le capisce prima lui, come fa a spiegarle agli altri?

14) IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE AMARE E AMORE Quante volte abbiamo esaminato il significato delle parole amare e amore. Se un catechista non sa che cosa vuol dire amare, sapete con che cosa lo confonde? Con il romanesco volemose bene. Ma amare non è quello, quello non è amare, quello lì è solo cercare di stare tranquilli, senza prendersi tanti problemi, vero? Invece amare è tutta un’altra cosa. Stamattina abbiamo sentito: dare la vita per i propri amici. Vedete che è estremamente differente. Allora non deve essere così per voi, perché voi avete sentito veramente una chiamata del Signore, se no non sareste qui al sabato mattina.

Però per non perdere tempo né io, né voi e neanche Dio, cerchiamo proprio di capire l’importanza di tutto questo. Quando nelle scuole ci facevano fare l’analisi logica, l’analisi del periodo erano molto importanti; se abbiamo dimenticato tutto questo la prima cosa che dobbiamo fare è chiedere allo Spirito Santo che venga a rispolverare dentro di noi le cose che avevamo studiato allora, che le faccia emergere. Vedrete che lo Spirito Santo vi aiuterà; poi dopo cominciate con l’analizzare il linguaggio che usate, le strutture logiche che usate, se sono chiare.

Ricordatevi che le persone che avete di fronte non sono dentro la vostra mente, dunque loro non sanno esattamente dove voi volete arrivare. Una grande carità che potete fare nei confronti del vostro prossimo, un grande servizio è quello di fare un passettino piccolo alla volta. Non date mai niente per scontato, anche se doveste ripetere cento volte in cento incontri, serve per aiutare quella persona a entrare nel difficile concetto che voi volete dire.

15) DOBBIAMO IMPARARE A PERDONARE Per es.: dobbiamo imparare a perdonare. Che vuol dire perdono? È una parola composta. Dividete a metà la parola, per e dono; quella che capite subito è dono, cosa vuol dire dono? È un regalo, non meritato, perché un dono meritato si chiama premio. Capite perché bisogna essere precisi? Perché se io non dico questo allora il perdono mi diventa un diritto, invece non è un diritto, è un dono, un regalo non meritato; quindi se il regalo non è meritato mi viene fatto perché io sono buono o è buono chi mi fa il regalo? Chi mi fa il regalo. L’altra parola da capire è per che deriva dal greco iper, che vuol dire il più grande; quindi se iper vuol dire il più e donum, regalo, mettendo insieme avete l’insegnamento che dovete fare sul concetto di perdono.

Poi ci potete parlare per sei mesi ai bambini del perdono, però se sapete cosa vuol dire voi insegnate realmente ciò che insegna la Chiesa, non ciò che insegna il mondo: vogliamoci bene perché il Signore è buono e ci perdona, tanto perdona tutto e tutti. No! Il catechista non può fare queste cose, non si può confondere il perdono con un sentimento di piacevolezza e di arrendevolezza, non è così. Allora siamo partiti dal tema dei carismi, la prossima volta ricordatemi che dobbiamo continuare sul significato della parola carisma. Abbiamo appena analizzato la radice charis che vuol dire grazia e che significa Spirito santo in azione.

* UNIONE CATECHISTI. CATECHESI. LEZIONI, 08.10.2005
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/1/2013 19.25
Titolo:PAROLA A RISCHIO Risalire gli abissi ...
PAROLA A RISCHIO
Risalire gli abissi
La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
Perché è sorriso, liberazione, gioia.

di Giovanni Mazzillo (Teologo) *

G come gioia, come Gesù, respiro di gioia per tutti gli infelici della terra. Parliamo di Gesù, il cui corrispondente nome greco Iesoûs deriva direttamente dall’originale ebraico Je(ho)šhu e significa JHWH salva, per precisare immediatamente che il termine salvezza oggi non significa gran che per i nostri contemporanei, e di conseguenza risuona poco interessante persino quel nome, pur originariamente portatore di una gioia immensa e inaudita. Ciò avviene non solo per l’inevitabile logorio delle parole più usate e talora abusate, ma per il fatto che ha perso rilevanza e pertanto significato il valore stesso della “salvezza”.

Salvezza
Salvezza da chi e/o da che cosa? Appunto, è questo il primo problema. La salvezza appare di primo acchito un concetto immediatamente derivato dal superamento di una situazione negativa, Si salva, o come succede in questo caso, viene salvato, qualcuno che si trova in una situazione di pericolo. Il pericolo di perdere qualcosa, di perdere se stesso. Di essere cancellato, di sparire, appunto come sparisce da un computer un testo non “salvato” o un’immagine non messa al sicuro. Ma essere salvati è per noi persone umane, e pertanto non riducibili a una traccia di codificazione binaria o algoritmica, molto di più che conservare un’impronta e una presenza. Coerentemente con la nostra realtà dinamica e relazionale, essere salvati significa avere un luogo, un senso, una rilevanza nel contesto di una realtà che giustifica, sorregge, garantisce il mantenimento e la crescita qualitativa, e pertanto il conseguente riconoscimento di un originario, inalienabile, imprescindibile valore personale.

La domanda «Chi o che cosa si può dire oggi salvato?» esige pertanto una primordiale differenziazione. Altro è il concetto di ciò che è salvato (cioè il dato messo al sicuro), ben altro è l’essere umano salvato. Questi non è solo garantito in ciò che ha di più proprio e pertanto è distinto dal mero “dato”, che invece è una sorta di file compilato (non per nulla in tedesco proprio il file è chiamato Datei, leggi datai, cioè «rea-ltà data»). L’essere umano è tale solo in un incontro, in una relazione. La persona è tutta nelle relazioni delle quali vive. Proprio la relazionalità sorregge il senso e la gioia del suo esistere.

L’annuncio di Gesù, già nella sua venuta in questo nostro mondo, è l’annuncio di una relazionalità umana felicemente riuscita. Nel Vangelo è direttamente collegato alla Grazia, termine che esprime tutto ciò e anche qualcosa di più.

Nell’annuncio della sua nascita, diversamente da quanto appare nella traduzione latina, e in quella italiana da essa derivata, nella preghiera più popolare che ci sia, Maria è salutata non con il saluto che si dava all’imperatore, alle autorità o anche agli amici con l’esclamativo «Ave!», bensì con l’invito a rallegrarsi, cioè a gioire (chaîre): a entrare in un circuito di esultanza per un dono gratuito e inatteso. Colei che è piena di grazia (kecharitōménē) è invitata a rallegrarsi perché tutto in lei è frutto ed espressione della «grazia» (cháris), cioè di un dono amorevole quanto sorprendente, che sarà presto annuncio di gioia per tutto il popolo e per ogni uomo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...”. L’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia...» (Lc 1,30-31; 2,10-11).

Il resto del Vangelo, soprattutto quello di Luca, evidenzia la gioia improvvisa e incontenibile che contagia quanti vengono a contatto con Ješhu. A cominciare da Elisabetta e dal suo bambino, che le esulta nel grembo, il futuro Battista. Così esultano ancora due anziani che sembrano essere rimasti in vita per mantenere viva la speranza d’Israele: Simeone e Anna, o i pastori; mentre nel racconto di Matteo, viene detto che i Magi “provarono una grandissima gioia” nel rivedere la stella che indicava il luogo della natività di Gesù.

La stessa gioia è testimoniata dai semplici e dagli umili, dagli infelici e dai peccatori che si sentono aiutati, capiti, perdonati. A gioire sono ancora i bambini e le donne, classi tradizionalmente neglette dalla piena partecipazione alla grazia collegata alle tradizionali benedizioni di Dio. Insomma il cuore del Vangelo è la lieta notizia annunciata ai bisognosi e agli infelici della terra. Il Dio che si dona totalmente, è il Dio che dona illimitatamente la gioia agli uomini. E perché la nostra gioia fosse piena (Gv 15,11), il Figlio di Dio è arrivato umanamente a perdere se stesso.

Perché avessimo una gioia che nessuno avrebbe mai più potuto toglierci, ha permesso che fosse tolta a lui la vita, per riprenderla di nuovo, ma con la conoscenza ormai nella sua carne e nella sua psiche di cosa significhi la morte umana. Di cosa voglia dire la gioia di vivere, di vivere non con il naturale sorriso con cui vive ogni creatura per la stessa gioia dell’esistere, ma di provare e diffondere la gioia di chi conosce la sofferenza e non resta inchiodato alla sofferenza. O al limite, di chi, nonostante le ferite e talora i chiodi mai interamente rimossi della sofferenza, sa sorridere della vita, perché questa è ormai rischiarata da colui che vince la morte e la depressione della sofferenza.

La gioia è dunque uno dei nomi della salvezza, ma di una salvezza che assume di volta in volta nomi nuovi e nomi antichi: riscatto, liberazione, sensatezza, leggerezza dell’esistere... Se la parola non fosse tanto inflazionata, si potrebbe dire che la salvezza altro non è che la felicità. È la felicità nel suo senso etimologico: come abbondanza e fertilità. Possiamo tradurre: come vita sensata che raggiunge il suo scopo e nasce da relazioni benevole, tendenti al bene altrui, trovando negli altri la propria gioia e comunicandola con relazioni che fanno crescere se stessi e gli altri.

In quanto tale, la felicità è simile alla pace e ne è la forma storica: è star bene con sé e con gli altri, con il proprio passato e con il proprio futuro. Perché, soprattutto oggi, c’è bisogno paradossalmente più di ricostruire il futuro che il passato o il presente. Per poterlo fare c’è bisogno di quella gioia consapevole che non si arrende e che non si ripiega su se stessa. Si ritrova nel futuro di una convivenza che non nasconde, ma sa riconoscere e superare i conflitti attraverso uno sguardo d’amore verso ciò che ci è intorno. È uno guardo che viene da lontano e tuttavia tocca la nostra umanità, questa mia e questa tua umanità, quella assunta, attraversata e come divinizzata da quel Gesù che continuamente dà senso a ogni tentativo di superare la violenza con l’amore. È l’unico a dar senso a ogni discorso di pace, anche questo che hai appena finito di leggere.

* MOSAICO DI PACE, LUGLIO 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/1/2013 18.42
Titolo:IL CATTOLICESIMO PATINATO E LE FACCE DEI CATTOLICI
Le facce dei cattolici

di Massimo Faggioli (“L’Huffington Post”, 18 gennaio 2013)

Il volto del segretario del papa, il neo arcivescovo Georg Gänswein, che sorride dalla copertina di Vanity Fair, è diventato istantaneamente (e, si spera, inconsapevolmente) una delle maschere del cattolicesimo patinato, quello che piace alla gente che piace: ordinato perché d’ordine, piccoloborghese e benpensante ma anche libertino, che vota per i valori della famiglia tradizionale ma lontanissimo dal social gospel, e vede nella modernità una minaccia costante al cristianesimo più come cultura europea che come fede.

A questa maschera si oppone quella dell’anti-cattolicesimo militante, o di quel cattolicesimo anti-cattolico che anche in Italia inizia ad avere un suo mercato editoriale: i volti sono diversi, e le copertine sono diverse perché le riviste sono diverse. Ma il perbenismo è simile, quanto ad omologazione nelle critiche ad una chiesa accusata di essere sempre inadeguata, sempre uguale a se stessa, mai abbastanza moderna e liberale.

Le facce che invece non si vedono mai, né su Vanity Fair né sulla stampa cattolica ufficiale né sui breviari dell’anticattolicesimo, sono quelle di quanti tentano di costruire ponti tra un mondo moderno che non è ormai neanche più convinto di poter fare a meno di un dio, e una chiesa che rischia ben più che il blocco dei bancomat all’interno delle mura vaticane: rischia la bancarotta morale.

Tra le tante diaspore in corso nel mondo occidentale, la diaspora cattolica parla forse più di altre. Parla dell’esistenza di un universo di cattolici per i quali il “voto cattolico” è solo l’ultima, e nemmeno la più importante, delle mediazioni a cui devono fare ricorso quotidianamente per tentare di essere fedeli alle loro quotidiane responsabilità di cittadini del mondo e di cristiani. Tra queste mediazioni, sempre più difficile è quella dei cristiani che osano ancora essere “cattolici pubblici”: che di fronte al mondo non si vergognano della loro chiesa (che sanno essere ben più del Vaticano), e che di fronte ad una chiesa che si illude sempre più della propria autosufficienza non si vergognano di vivere il proprio cattolicesimo in una realtà sempre più plurale, lontana dagli idealtipi, esattrice di compromessi.

C’è da chiedersi quanti di questi cattolici della terra di nessuno siano candidati alle prossime elezioni. La loro presenza o assenza nelle liste elettorali parla di una politica italiana che ha voluto o non ha voluto farsi carico della diaspora di quel tipo di cattolicesimo politico, e parla di un cattolicesimo che crede o non crede più nella politica italiana. Quella dei “cattolici pubblici” è una solitudine particolarmente invisibile in tempi di campagna elettorale: essi dovrebbero combattere contro l’anticattolicesimo e simultaneamente contro un cattolicesimo ufficiale sempre più impomatato e vanesio, politicante e impolitico al tempo stesso. Quando si tratta di prendere la parola sulle questioni del matrimonio gay o dell’eutanasia, molti “cattolici pubblici” diffidano tanto degli oracoli dell’anticattolicesimo quanto dei principi ereditari di una chiesa ancien régime.

Le facce di questi cattolici si trovano di fronte alla solitudine politica e culturale. In questo deserto, questo cattolicesimo pubblico cerca di offrire una sapienza che oggi non ha diritto di udienza, né in Vaticano, né su Vanity Fair.
Autore Città Giorno Ora
ugo agnoletto ponte della priula 21/1/2013 21.01
Titolo:per favore, un pò di chiarezza
Il cattolicesimo è diventato ormai un mondo talmente variegato (lo conferma l’espressione “diaspora cattolica” di Massimo Faggioli) che è difficile ormai dire cosa vuol dire essere cattolici. Cattolico per me è uno che adegua il suo pensiero a quello del papa che è nello stesso tempo: vicario di Cristo, capo della chiesa, capo del vaticano e presidente dello IOR. Invece succede che ogni cattolico si è fatta una religione a sua misura. C’è chi crede al papa, però non quando parla di morale, c’è chi crede al papa come capo della chiesa, ma non come capo del vaticano, e così via. Diciamo che mai come oggi la chiesa si presta al ridicolo, soprattutto quando pretende di imporre le sue leggi allo stato misconoscendo che lo stato è laico e che la teocrazia dovrebbe essere morta da un pezzo, ma purtroppo dentro il vaticano è ancora vivissima. Quindi a me va benissimo l’articolo di Giovanni Mazzillo. Fa riferimento ai vangeli a Cristo, ma per fortuna non c’è una parola sulla chiesa. Per altri invece è importante l’istituzione chiesa con le sue legge, le sue banche e i vari collegamenti, più o meno nascosti, con la politica per ottenere favori e privilegi. Però, siccome questa è la chiesa di Ratzinger dico: o prendere o lasciare. Perché far finta di essere cattolici e poi non essere d’accordo in tutto e per tutto con Ratzinger? Altrimenti è ipocrisia.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/1/2013 10.28
Titolo:PER CARITA', SENZA IPOCRISIA ....
Caro Agnoletto

A quanto pare ha fatto di tutto per cercare di capire il senso del discorso del teologo Mazzillo e di risalire l’abisso della confusione tra la Chiesa cristiana del Dio-Amore e la Chiesa cattolica del Dio-Mammona, ma non vi è riuscito.

La sua convinzione (“ siccome questa è la chiesa di Ratzinger dico: o prendere o lasciare. Perché far finta di essere cattolici e poi non essere d’accordo in tutto e per tutto con Ratzinger”) l’ha portato fuori strada e lasciato nella confusione.

Se la sua scelta E’ di essere CATTOLICO e di adeguare “ il suo pensiero a quello del papa che è nello stesso tempo: vicario di Cristo, capo della chiesa, capo del vaticano e presidente dello IOR”, non capisco di chi è l’IPOCRISIA e la MENZOGNA?!

Del teologo che critica la teologia della Chiesa Mammona di Raztinger o del “papa teologo” che aggioga la Chiesa di Cristo alle banche e alla politica per ottenere i suoi privilegi?!

Dove sta l’etica, dove sta la carità (“charitas”), dove sta la chiarezza (claritas”), e dove sta “la via la verità la vita”?

SE Cristo è il ratzingeriano “Padrone Gesù” (Dominus Iesus”), dove è più il Cristo “Luce delle genti”?!

E questo non è un COLPO definitivo del CATTOLICESIMO al CRISTIANESIMO?!

Grazie per il suo contributo alla discussione e ala riflessione

Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/1/2013 11.48
Titolo:OBBEDIENZA CIECA E IDENTITA' CATTOLICA ....
La richiesta di silenzio da parte del Vaticano è un prezzo troppo alto

di Tony Flannery

in “The Irish Times” del 21 gennaio 2013 (traduzione: Maria Teresa Pontara Pederiva)

Tre giorni dopo il mio 66° compleanno mi trovo sospeso nel mio ministero di prete, con una minaccia di scomunica e di estromissione dalla mia congregazione che incombe su di me. Come mai mi trovo in questa situazione?

Sono entrato nella congregazione dei Redentoristi nel 1964 e ordinato 10 anni dopo. Quella era un’epoca di grande apertura nella Chiesa cattolica. Abbiamo creduto nella libertà di pensiero e di coscienza, e che l’insegnamento della Chiesa non fosse qualcosa da imporre rigidamente alle persone che dovevamo servire, e che,in quanto intelligenti e istruite, avrebbero potuto assumersi in prima persona la responsabilità per la propria vita.

Come predicatori dobbiamo cercare di presentare il messaggio di Cristo in un modo e con un linguaggio che parli alla realtà della vita delle persone. Ciò richiede una volontà di ascolto, per capire le loro speranze e le loro gioie, le loro lotte e i loro timori.

Aiutare le persone a confrontarsi con la dottrina sulla contraccezione negli anni ’70 è stato un grande campo di addestramento. Basti dire che la linea ufficiale della Humanae Vitae non era di alcun aiuto. In quegli anni sia i preti che i laici hanno imparato molto sul modo di formare la loro coscienza così da prendere decisioni mature in tutti gli ambiti della loro vita. Come preti abbiamo imparato dai laici più di quanto essi non abbiano imparato da noi.

Con il passare degli anni abbiamo potuto tutti constatare che il magistero all’interno della chiesa abbia assunto progressivamente uno stile più autoritario come quello praticato in passato. L’accresciuta centralizzazione dell’autorità in Vaticano ha intensificato la pressione sui preti della mia generazione perché siano più espliciti e decisi nel presentare l’insegnamento della Chiesa: l’ortodossia è ormai l’imperativo, e permettere alle persone di pensare con la propria testa viene ormai visto come pericoloso. Non c’è spazio per le aree grigie, o bianco o nero.

I Rapporti a Roma

Siamo venuti a conoscenza che c’erano persone nel paese che riferivano qualsiasi minima deviazione da parte di un prete dalle indicazioni ufficiali, per esempio permettendo ad una donna di leggere il vangelo durante la messa.

In tutto il mondo, i preti vengono sanzionati, messi a tacere o rimossi perché non allineati. Nell’autunno del 2010, insieme ad un piccolo gruppo, abbiamo fondato l’Associazione dei preti cattolici (ACP). Questa associazione è unica in quanto si tratta di un organismo indipendente del clero, un fenomeno nuovo nella Chiesa, e con cui le autorità, in Irlanda e in Vaticano, si trovano in una posizione scomoda nella gestione dei rapporti. La crescita del movimento ha costituito per me l’occasione di una maggior visibilità, che mi ha portato all’attenzione della Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF).

Avevo scritto su varie riviste religiose per più di 20 anni senza alcun problema, quando, improvvisamente, lo scorso febbraio sono stato informato dai miei superiori Redentoristi che ero nei guai seri per alcune cose che avevo scritto. Sono stato chiamato a Roma, - non in Vaticano, il quale fino ad oggi non ha mai comunicato con me direttamente - alla Casa madre dei Redentoristi. Questo è stato l’inizio di quasi un anno di tensione, stress e difficoltà decisionali per la mia vita futura. Inizialmente la mia politica è stata quella di riflettere sulla possibilità di un qualche compromesso, e all’inizio dell’estate questa sembrava una possibilità reale.

Ma a poco a poco mi resi conto che la CDF continuava ad alzare l’asticella, fino a quando non è giunta al punto in cui io non potevo più negoziare. Mi trovavo di fronte ad una scelta. O firmare una dichiarazione pubblica, affermando di aver accettato insegnamenti che, in coscienza, non potevo accettare, o sarei rimasto permanentemente escluso dal ministero sacerdotale, e sarei forse incorso in sanzioni anche più gravi. E’ importante affermare con chiarezza che i temi controversi non erano materia di insegnamento fondamentale, ma solo questioni di governo della Chiesa.

Così ora, in questo momento della mia vita, dovrei mettere la mia firma a un documento che sarebbe una menzogna, contraria alla mia coscienza, oppure affrontare la realtà dell’abbandono del ministero. Ho sempre creduto nella Chiesa come comunità dei credenti e come un elemento essenziale per far scaturire e alimentare la fede. Ho vissuto con gioia i miei anni di predicazione, che è la missione principale dei Redentoristi, e non ho mai avuto dubbi sul fatto che valesse la pena annunciare il messaggio di Cristo. Ma ora rinunciare alla mia libertà di pensiero, di parola e soprattutto di coscienza lo considero un prezzo troppo alto da pagare per essere riammesso tra le file dei ministri della Chiesa di oggi.

L’identità cattolica

Ci sono persone che mi spingono ad abbandonare la Chiesa cattolica per aderire ad un’altra chiesa cristiana, magari più vicina alla mia posizione. Ma essere un cattolico è fondamentale per la mia identità personale. Ho sempre cercato di predicare il Vangelo. Indipendentemente dalle sanzioni che il Vaticano mi infliggerà, io continuerò ugualmente, in qualsiasi modo possibile, a cercare di realizzare una riforma della Chiesa perché essa diventi di nuovo un luogo dove tutti coloro che vogliono seguire Cristo siano i benvenuti. Nella storia essa ha stretto amicizia con i reietti della società, e io farò tutto ciò che posso nel mio piccolo per oppormi alla tendenza attuale del Vaticano di creare una Chiesa della condanna invece di una Chiesa della misericordia.

Resto convinto che il vero obiettivo della CDF sia quello di sopprimere l’ACP e già dei tentativi sono stati compiuti per tarpare le ali all’iniziativa dei preti austriaci. Spero e prego che non riesca nel suo intento.

Mentre mi occupo di questi problemi personali credo sia opportuno per me almeno temporaneamente rinunciare ad essere leader dell’associazione. Intendo tuttavia restarne un membro attivo, e sarò a disposizione per aiutare in ogni modo possibile il lavoro. Infine, mi si potrebbe chiedere perché sono qui a parlare in pubblico, dopo essere rimasto in silenzio per un anno: perché ho bisogno di riappropriarmi della mia voce.

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Commenti Articolo 626

Titolo articolo : IL RITORNELLO DI BENEDETTO XVI. In nome del Dio della sua "sacra" famiglia costantiniana e faraonica, la sua guerra a difesa di una famiglia naturalisticamente intesa.  Una sintesi di Gian Guido Vecchi - con premessa e note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January/21/2013 - 15:17:10.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/1/2013 12.12
Titolo:LA PROPOSTA DI UN NUOVO "CREDO" DI UNA BENEDETTINA ....
Credo in un solo Dio

di Joan Chittister *

Credo in un solo Dio che ci ha creati tutti e tutte e la cui divinità impregna di sacro tutta la vita.

Credo alle molteplici rivelazioni di questo Dio che è vivo in ogni cuore umano, che si esprime in tutte le culture, e si ritrova in tutte le sapienze del mondo.

Credo che Gesù Cristo, unico figlio di Dio, è il volto di Dio sulla terra, è colui in cui meglio possiamo vedere la giustizia divina, la misericordia divina, la compassione divina a cui siamo chiamati.

Credo in Cristo che è una cosa sola con il Creatore, che ci mostra la presenza di Dio in tutto ciò che esiste e risveglia in noi il sacro.

Credo in Gesù, il Cristo, che ci conduce alla pienezza della statura umana, a cui siamo stati chiamati prima di tutti i tempi e per tutte le altre cose che sono state fatte.

Tramite Cristo diventiamo esseri nuovi, chiamati a superare i limiti della nostra fragilità ed elevati alla pienezza della vita. Per opera dello Spirito Santo è nato dalla donna Maria, dall’anima pura e dalla dedizione totale - segno per tutte le epoche della posizione eminente delle donne nel progetto divino per la salvezza dell’umanità.

È cresciuto come cresciamo noi attraverso tutte le fasi della vita. È vissuto come viviamo noi soggetto alle pressioni del male e determinato nel bene. Non ha rotto i rapporti con il mondo a cui era legato.

Non ha peccato. Non si è mai allontanato dal pensiero di Dio. Ci ha indicato la Via, l’ha vissuta per noi, ne ha sofferto ed è morto per questo perché potessimo vivere con cuore nuovo, mentalità nuova, e nuova forza nonostante tutta la morte a cui siamo quotidianamente soggetti.

Per amore per noi e per amore della Verità eterna è stato braccato tormentato e messo a morte da coloro che si ritenevano essi stessi dei e non rispettavano il sacro in nessun altro.

Ha sofferto perché noi potessimo comprendere che lo spirito in noi non può mai essere ucciso quale che sia il prezzo che dobbiamo pagare per restare fedeli allo spirito di Dio.

È morto ma non è morto perché continua a vivere in noi.

“Il terzo giorno” nella tomba è risorto in coloro che aveva lasciato e anche in ognuno di noi per vivere in cuori che non soccomberanno ai nemici della vita.

Ha cambiato tutto della vita per tutti noi da allora. È asceso alla vita di Dio e là aspetta la nostra ascensione nella vita oltre la vita.

Là aspetta, giudica ciò che è stato e ciò che sarà in base a valori eterni e in nome della virtù eterna, per il tempo in cui ogni vita sarà raccolta in Dio, piena di vita e di luce, immersa nella verità.

Credo nello Spirito Santo, respiro di Dio sulla terra che continua a proporre la visione di Cristo alle anime ancora nell’oscurità, dà vita anche ai cuori ora ciechi. Infonde energia negli spiriti ancora affaticati, soli, confusi e in ricerca.

Lo spirito ha parlato al cuore umano attraverso i profeti e dà un senso nuovo alla Parola attraverso la storia.

Credo nella chiesa una, santa e universale. Unita insieme dalla santità della creazione e dalla santità di cuori eternamente fedeli.

Riconosco il bisogno di essere liberata dalle pulsioni della mia vita disordinata e il mio bisogno di perdono di fronte alla mia fragilità.

Cerco la vita eterna in modi che neppure sono in grado di sognare e credo che la creazione prosegua creando in questo mondo ed in noi per sempre.

Amen.

Amen alla creazione, al Dio che è vita, al coraggio, alla speranza, allo spirito di verità, alla natura, alla felicità, all’integrità, al posto delle donne nel progetto di Dio, a Cristo che ci chiama a superare i nostri limiti, al perdono, a tutto ciò che fa della vita il primo passo nella espansione del nostro cuore alle dimensioni di Dio.

Amen. Amen. Amen. Possiamo certamente credere in tutto ciò. Come ha fatto Dio.

* Joan Chittister è benedettina e in un libro intitolato “Ciò che credo”, riprende, ad uno ad uno, gli articoli del Credo per precisare la sua fede. Ne parla a partire dalla sua esperienza di quarant’anni di vita monastica, segnata dalla malattia e dalla sofferenza, dalla scoperta e dall’impegno. Nel libro, passa dai ricordi personali alla meditazione, dagli interrogativi critici alle lezioni di sapienza, per una sorprendente testimonianza di una fede per l’oggi. In altre parole, l’esperienza di una vita umana.

* Ciò che credo... di Robert Hotte, diacono in “forums-andre-naud.qc.ca” del 3 dicembre 2012 (traduzione: http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/Stampa201301/130120hotte.pdf)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/1/2013 12.44
Titolo:PAROLA A RISCHIO Risalire gli abissi...
PAROLA A RISCHIO
Risalire gli abissi
La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
Perché è sorriso, liberazione, gioia.

di Giovanni Mazzillo (Teologo) *

G come gioia, come Gesù, respiro di gioia per tutti gli infelici della terra. Parliamo di Gesù, il cui corrispondente nome greco Iesoûs deriva direttamente dall’originale ebraico Je(ho)šhu e significa JHWH salva, per precisare immediatamente che il termine salvezza oggi non significa gran che per i nostri contemporanei, e di conseguenza risuona poco interessante persino quel nome, pur originariamente portatore di una gioia immensa e inaudita. Ciò avviene non solo per l’inevitabile logorio delle parole più usate e talora abusate, ma per il fatto che ha perso rilevanza e pertanto significato il valore stesso della “salvezza”.

Salvezza
Salvezza da chi e/o da che cosa? Appunto, è questo il primo problema. La salvezza appare di primo acchito un concetto immediatamente derivato dal superamento di una situazione negativa, Si salva, o come succede in questo caso, viene salvato, qualcuno che si trova in una situazione di pericolo. Il pericolo di perdere qualcosa, di perdere se stesso. Di essere cancellato, di sparire, appunto come sparisce da un computer un testo non “salvato” o un’immagine non messa al sicuro. Ma essere salvati è per noi persone umane, e pertanto non riducibili a una traccia di codificazione binaria o algoritmica, molto di più che conservare un’impronta e una presenza. Coerentemente con la nostra realtà dinamica e relazionale, essere salvati significa avere un luogo, un senso, una rilevanza nel contesto di una realtà che giustifica, sorregge, garantisce il mantenimento e la crescita qualitativa, e pertanto il conseguente riconoscimento di un originario, inalienabile, imprescindibile valore personale.

La domanda «Chi o che cosa si può dire oggi salvato?» esige pertanto una primordiale differenziazione. Altro è il concetto di ciò che è salvato (cioè il dato messo al sicuro), ben altro è l’essere umano salvato. Questi non è solo garantito in ciò che ha di più proprio e pertanto è distinto dal mero “dato”, che invece è una sorta di file compilato (non per nulla in tedesco proprio il file è chiamato Datei, leggi datai, cioè «rea-ltà data»). L’essere umano è tale solo in un incontro, in una relazione. La persona è tutta nelle relazioni delle quali vive. Proprio la relazionalità sorregge il senso e la gioia del suo esistere.

L’annuncio di Gesù, già nella sua venuta in questo nostro mondo, è l’annuncio di una relazionalità umana felicemente riuscita. Nel Vangelo è direttamente collegato alla Grazia, termine che esprime tutto ciò e anche qualcosa di più.

Nell’annuncio della sua nascita, diversamente da quanto appare nella traduzione latina, e in quella italiana da essa derivata, nella preghiera più popolare che ci sia, Maria è salutata non con il saluto che si dava all’imperatore, alle autorità o anche agli amici con l’esclamativo «Ave!», bensì con l’invito a rallegrarsi, cioè a gioire (chaîre): a entrare in un circuito di esultanza per un dono gratuito e inatteso. Colei che è piena di grazia (kecharitōménē) è invitata a rallegrarsi perché tutto in lei è frutto ed espressione della «grazia» (cháris), cioè di un dono amorevole quanto sorprendente, che sarà presto annuncio di gioia per tutto il popolo e per ogni uomo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...”. L’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia...» (Lc 1,30-31; 2,10-11).

Il resto del Vangelo, soprattutto quello di Luca, evidenzia la gioia improvvisa e incontenibile che contagia quanti vengono a contatto con Ješhu. A cominciare da Elisabetta e dal suo bambino, che le esulta nel grembo, il futuro Battista. Così esultano ancora due anziani che sembrano essere rimasti in vita per mantenere viva la speranza d’Israele: Simeone e Anna, o i pastori; mentre nel racconto di Matteo, viene detto che i Magi “provarono una grandissima gioia” nel rivedere la stella che indicava il luogo della natività di Gesù.

La stessa gioia è testimoniata dai semplici e dagli umili, dagli infelici e dai peccatori che si sentono aiutati, capiti, perdonati. A gioire sono ancora i bambini e le donne, classi tradizionalmente neglette dalla piena partecipazione alla grazia collegata alle tradizionali benedizioni di Dio. Insomma il cuore del Vangelo è la lieta notizia annunciata ai bisognosi e agli infelici della terra. Il Dio che si dona totalmente, è il Dio che dona illimitatamente la gioia agli uomini. E perché la nostra gioia fosse piena (Gv 15,11), il Figlio di Dio è arrivato umanamente a perdere se stesso.

Perché avessimo una gioia che nessuno avrebbe mai più potuto toglierci, ha permesso che fosse tolta a lui la vita, per riprenderla di nuovo, ma con la conoscenza ormai nella sua carne e nella sua psiche di cosa significhi la morte umana. Di cosa voglia dire la gioia di vivere, di vivere non con il naturale sorriso con cui vive ogni creatura per la stessa gioia dell’esistere, ma di provare e diffondere la gioia di chi conosce la sofferenza e non resta inchiodato alla sofferenza. O al limite, di chi, nonostante le ferite e talora i chiodi mai interamente rimossi della sofferenza, sa sorridere della vita, perché questa è ormai rischiarata da colui che vince la morte e la depressione della sofferenza.

La gioia è dunque uno dei nomi della salvezza, ma di una salvezza che assume di volta in volta nomi nuovi e nomi antichi: riscatto, liberazione, sensatezza, leggerezza dell’esistere... Se la parola non fosse tanto inflazionata, si potrebbe dire che la salvezza altro non è che la felicità. È la felicità nel suo senso etimologico: come abbondanza e fertilità. Possiamo tradurre: come vita sensata che raggiunge il suo scopo e nasce da relazioni benevole, tendenti al bene altrui, trovando negli altri la propria gioia e comunicandola con relazioni che fanno crescere se stessi e gli altri.

In quanto tale, la felicità è simile alla pace e ne è la forma storica: è star bene con sé e con gli altri, con il proprio passato e con il proprio futuro. Perché, soprattutto oggi, c’è bisogno paradossalmente più di ricostruire il futuro che il passato o il presente. Per poterlo fare c’è bisogno di quella gioia consapevole che non si arrende e che non si ripiega su se stessa. Si ritrova nel futuro di una convivenza che non nasconde, ma sa riconoscere e superare i conflitti attraverso uno sguardo d’amore verso ciò che ci è intorno. È uno guardo che viene da lontano e tuttavia tocca la nostra umanità, questa mia e questa tua umanità, quella assunta, attraversata e come divinizzata da quel Gesù che continuamente dà senso a ogni tentativo di superare la violenza con l’amore. È l’unico a dar senso a ogni discorso di pace, anche questo che hai appena finito di leggere.

* MOSAICO DI PACE, LUGLIO 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/1/2013 15.17
Titolo:Contro una “Santa Alleanza” retrograda ....
Matrimonio gay: no alla collusione dell’odio

- Contro una “Santa Alleanza” retrograda

di Collettivo *

- “Le Monde” del 18 novembre 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Non passa giorno senza che i gay e le lesbiche francesi siano pubblicamente insultati. Si potrebbe datare l’apparizione di questa aggressione permanente dal 4 febbraio 2005, quando un deputato UMP ha osato dichiarare a loro riguardo: “Dico che sono inferiori moralmente”. È stato l’inizio di una litania astiosa proseguita con una dichiarazione parallela a proposito del matrimonio gay: “E perché non delle unioni con animali?”, nel pieno dei lavori della commissione per le leggi dell’Assemblée Nationale (25 febbraio 2011).

Queste frasi hanno potuto essere pronunciate perché certe persone sono “senza complessi”. Si ritengono autorizzate a dire tutto ciò che pensano, se questo si può definire pensare. Il responsabile di questa degradazione del modo di esprimersi in pubblico è l’ex presidente della Repubblica, la cui campagna elettorale è stata caratterizzata dall’omofobia. Fin dalla sua dichiarazione di candidatura, in piena crisi mondiale, non ha parlato prima di tutto di economia, no, il primo punto da lui presentato è stato il rifiuto del matrimonio gay (11 febbraio).

Alcuni giorni dopo (19 febbraio) dichiarava che i gay “non amano la Francia”. L’idiozia di simile affermazione, considerando la storia, da Luigi XIII al maresciallo Lyautey, non ha trattenuto dal parlare un uomo che, per finire, ha schernito i gay, dicendo che sono in contraddizione nel volere il matrimonio, visto che rivendicano il “diritto alla differenza” (17 aprile). Somiglianza, differenza, qualunque cosa i gay e le lesbiche dicano, hanno torto. Peggio, non ne hanno il diritto. Visto che glielo si rifiuta.

Non bisogna quindi sorprendersi del fatto che i discendenti politici del “sarkozysmo” si siano scatenati all’annuncio del progetto di legge timidamente definito “matrimonio per tutti”, come se le parole gay e lesbica fossero vergognose. Durante il dibattito per la presidenza dell’UMP, Fillon ha dichiarato la sua “opposizione totale al matrimonio omosessuale”,seguito da Copé che ha affermato che “non celebrerà nessun matrimonio omosessuale” (25 ottobre). Tre giorni dopo, lo stesso Copé ha pensato di organizzare delle manifestazioni contro il matrimonio gay.

Si è unita a lui su questo punto quella che alcuni hanno soprannominato sua sorella di latte, Marine Le Pen (1° novembre), che ha poi chiesto un referendum sulla questione (4 novembre); la prossima proposta sarà la gogna? L’offesa è non solo quotidiana, ma pluriquotidiana: lo stesso 4 novembre il deputato Laurent Wauquiez prometteva l’abrogazione se la destra tornasse al potere. Il 5, la deputata Valérie Pécresse prevedeva l’annullamento dei matrimoni. La crescente forza dell’insulto politico è manifestata molto bene dal numero dei deputati e dei senatori UMP che hanno firmato una petizione contro il matrimonio gay: erano 82 nel gennaio 2012, e 180 in ottobre.

Da dove arriva l’idea che il matrimonio gay metterebbe in pericolo la Francia? I dieci paesi del mondo in cui esiste hanno forse visto orde di gay e di lesbiche dipingere di rosa le statue de grandi? David Cameron che dice: “Sono a favore del matrimonio gay perché sono conservatore” (10 ottobre) è forse un cattivo britannico? Un cattivo conservatore? Un cattivo uomo? Barack Obama, che, nel suo discorso di elezione, ha dichiarato: “Che voi siate (...) gay o eterosessuali, potete realizzarvi in America” (7 novembre), vuole forse la distruzione della civiltà occidentale?

I politici francesi che fanno quelle dichiarazioni demagogiche, solleticano un elettorato che dovrebbero invece educare. François Mitterrand ha ottenuto il suo status di statista affermando, mentre era candidato alla presidenza e sapeva che la maggioranza dei francesi era contraria, che avrebbe chiesto l’abrogazione della pena di morte se fosse stato eletto. Nel caso del matrimonio gay, la maggioranza della popolazione lo approva.

I rappresentanti di tutte le religioni si sono uniti nella corsa all’insulto. Il 14 settembre, il cardinale di Lione associava il matrimonio gay alla poligamia e all’incesto. Il 3 novembre era l’arcivescovo di Parigi e cardinale che, in nome della democrazia partecipativa, approvava manifestazioni contro questo matrimonio che “distruggerebbe le basi della nostra società”. Lascio a ciascuno di voi qualificare come vuole un uomo che chiama democrazia partecipativa delle manifestazioni di piazza e invita a parteciparvi, mentre il papa viene eletto da 120 cardinali che non rendono assolutamente conto ad un miliardo di fedeli.

Non insisteremo sul silenzio non partecipativo del clero quando di trattava di impedire i torrenti di pedofilia che hanno portato quasi all’annientamento delle Chiese irlandesi e statunitensi, per non parlare solo dei paesi in cui gli scandali sono diventati pubblici. Usando in maniera molto dubbia la parola “lobby”, il cardinale e arcivescovo di Parigi sa di che cosa parla, poiché, in questo caso come in molti altri, la sua Chiesa fa “lobby” in maniera accanita. Sembrerebbe che per lui “lobby” sia un gruppo che difende interessi che non gli piacciono.

Il cardinale è stato preceduto, il 19 ottobre, da venticinque pagine scritte contro il matrimonio gay dal grande rabbino di Francia e seguìto, il 6 novembre, da una dichiarazione nello stesso senso fatta dal presidente del Consiglio francese del culto musulmano (CFCM). La collusione dell’odio è così patente che il Consiglio francese del culto musulmano, che non sapevamo essere così ecumenico, rinvia, sul suo sito, agli attacchi degli altri culti. La Federazione protestante di Francia assicura che il matrimonio gay “non è un regalo da fare alle generazioni future” in una petizione firmata anche dai ministri delle Chiese luterana, greca, anglicana e armena. Occupandosi di faccende di diritto civile che non le riguardano in considerazione della separazione di Chiesa e Stato, questi culti desidererebbero forse l’unione delle Chiese e dello Stato per un migliore ostracismo dei gay e delle lesbiche?

I media riproducono questi attacchi con una premura che sembra rasentare la compiacenza. Anche qui, attacchi quotidiani contro i gay e le lesbiche, e rarissime pubblicazioni di interventi che presentano il punto di vista opposto. Il 3 ottobre, Le Figaro ha pubblicato diverse pagine contro il matrimonio gay basate sui “psi” [ndr.: psicanalisti, psicologi, ecc.], di cui invita di solito a diffidare. Ogni giorno è tornato alla carica, pubblicando ad esempio un appello di sindaci che intenderebbero “scioperare” contro una legge che non è neppure ancora stata votata. Dov’è il rispetto della legalità giustamente sostenuto da un giornale conservatore?

Il 28 ottobre, Le Monde pubblicava l’intervista di un teologo cattolico membro del Comitato consultivo nazionale di etica, diretta contro i gay: “Gli omosessuali vogliono entrare nella norma sovvertendola”. Che l’autore di un’asserzione di tale disprezzo possa essere membro di un comitato di etica è motivo di stupore. Avrà senza dubbio dimenticato le pratiche dei primi cristiani che hanno sovvertito le istituzioni dell’Impero romano fino ad impadronirsene. Tutti questi insulti non avrebbero potuto essere espressi cinque anni fa. Gli indugi del governo e il rinvio della votazione della legge fanno sì che, fino al momento del voto, gli insulti continueranno. Abbiamo deciso di non sopportarli più pazientemente. Non firmiamo petizioni di professione.

Tra noi ci sono gay, lesbiche, eterosessuali. Alcuni di sinistra, altri di destra, alcuni cristiani, altri ebrei, altri agnostici. Indipendentemente dal loro orientamento sessuale, alcuni hanno figli. Alcuni sono celibi o nubili, altri sposati. Nessuno deve render conto a nessuno sul proprio modo di vivere. La maggior parte ha avuto genitori eterosessuali e, tra loro, alcuni hanno avuto un’infanzia infelice. Non accusano di questo l’eterosessualità. Alcuni hanno genitori omosessuali e hanno avuto un’infanzia felice. Non ne attribuiscono il merito all’omosessualità. Non abbiamo i pregiudizi dei nostri nemici.

I gay e le lesbiche rendono servizi alla Francia non meno di strani teologi o politici senza idee. I populisti omofobi si rendono conto che le loro diatribe facilitano il passaggio all’azione? Che, se delle persone, che si presuppone siano responsabili, parlano in maniera irresponsabile, la brutalità si sentirà giustificata? In tutto questo, il matrimonio è un pretesto. Una volta che sarà acquisito, l’omofobia non cesserà, ed è quella che bisogna criminalizzare. Se c’è qualcosa di pericoloso in una società è la lobby della stupidità e dell’odio.

*
- Collettivo

- Charles Dantzig, scrittore;
- Dominique Fernandez, scrittore;
- Christophe Honoré, regista;
- Olivier Poivre d’Arvor, direttore di France Culture;
- Ludivine Sagnier, attrice;
- Danièle Sallenave, scrittrice

Altri sottoscrittori del testo:

Josyane Balasko, attrice; Jean-Luc Barré, scrittore, direttore della collezione Bouquins; Alex Beaupain, cantante; Pierre Bergé, presidente della Fondazione Pierre Bergé - Yves Saint Laurent, azionista di Le Monde; Martin Béthenod, direttore di Palazzo Grassi - Punta della Dogana; Geneviève Brisac, scrittrice; Sylvain Bourmeau, giornalista; Robert Cantarella, regista; Maxime Catroux, editrice; Manuel Carcassonne, vicedirettore generale delle editzioni Grasset; Edmonde Charles-Roux, scrittrice, presidente dell’Académie Goncourt; Patrice Chéreau, regista; Jean-Paul Civeyrac, regista; Kéthévane Davrichewy, scrittrice; Jean-Baptiste Del Amo, scrittore; Vincent Delerm, cantante; Diastème, regista; Virginie Despentes, scrittrice; Florence Dormoy, produttrice; Ferrante Ferranti, fotografo; Marcial Di Fonzo Bo, regista; Marina Foïs, attrice; Louis Garrel, attore; Thomas Gornet,scrittore; Olivier Gluzman, produttore; Marianne James, attrice; Pierre Jourde, scrittore; Thierry Klifa, regista; Jean-Marie Laclavetine, scrittore; Valérie Lang, attrice; Eric Lartigau, regista; Catherine Leblanc, scrittrice; Katia Lewkowicz, regista; Claude Lévêque, artista; Amin Maalouf, scrittore, dell’Académie française; Thierry Magnier, editore; Sébastien Marnier, scrittore; Philippe Martin, produttore; Chiara Mastroianni, attrice; Arnaud Meunier, regista; Jean-Paul Montanari, direttore di Montpellier Danse; Gaël Morel, regista; Amélie Nothomb, scrittrice; Anne Percin, scrittrice; Patrick Rambaud, éscrittore, membro dell’Académie Goncourt ; Eric Reinhardt, scrittore; Serge Renko, attore; Mathieu Riboulet, scrittore, premio Décembre 2012; François de Ricqlès, presidente de Christie’s France; Pierre Rigal, coreografo; Cédric Rivrain, disegnatore; Thomas Scotto, scrittore; Abdellah Taïa, scrittore; Karin Viard, attrice; Eric Vigner, regista; Edouard Weil, produttore e Cathy Ytak, scrittrice.

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Commenti Articolo 627

Titolo articolo : Grazie Grillo…avanti verso il “sol dell’avvenir”,di Domenico Stimolo

Ultimo aggiornamento: January/20/2013 - 14:46:51.

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Autore Città Giorno Ora
Roberto Martinelli Pontedera 20/1/2013 14.46
Titolo:La fine della Democrazia
C'ò stato un altro che nel passato ha eliminato il sindacato e purtroppo i nostri avi l'hanno sopportato per un ventennio prima di toglierlo,fortunatamente, con una guerra civile.
Bisognerebbe ricordarselo un pò piu spesso

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Commenti Articolo 628

Titolo articolo : IL LABORATORIO DI FREUD E LA LEZIONE DI ELVIO FACHINELLI. "Su Freud", un'ottima introduzione a "La mente estatica". Una nota,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January/17/2013 - 13:18:58.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/10/2012 09.54
Titolo:NELLA "NAVE", ODIFREDDI STENTA ANCORA A VEDERE L'ALTRO ...
- Galileo, il più grande scrittore italiano
- La sua lezione: Poesia e conoscenza non si escludono a vicenda

- di Piergiorgio Odifreddi (il Fatto, 03.10.2012)

Anticipiamo parte della lectio magistralis con cui il matematico Piergiorgio Odifreddi inaugurerà domani l’Internet Festival di Pisa

Galileo è il più grande scrittore della letteratura italiana di ogni secolo. Affermazione perentoria, questa, che certamente farà sorridere di sufficienza il lettore umanista, pronto a consigliare al matematico di preoccuparsi degli argomenti di sua competenza. Peccato però che l’affermazione sia di uno dei nostri maggiori letterati: la fece infatti Italo Calvino sul Corriere della Sera il 24 dicembre 1967, non mancando di suscitare reazioni e proteste.

Carlo Cassola, ad esempio, saltò su a dire: “Ma come, credevo che fosse Dante! E poi, Galileo era scienziato e non scrittore”. Senza desistere, Calvino rispose precisando il suo pensiero su due piani. Il primo, interno, rilevava che “Galileo usa il linguaggio non come uno strumento neutro, ma con una coscienza letteraria, con una continua partecipazione espressiva, immaginativa, addirittura lirica”. Il secondo, esterno, notava che “Galileo ammirò e postillò quel poeta cosmico e lunare che fu Ariosto”, e che “Leopardi nello Zibaldone ammira la prosa di Galileo per la precisione e l’eleganza congiunte”.

In altre parole, Galileo sarebbe il medio proporzionale fra l’Ariosto e il Leopardi, e i tre identificherebbero un’ideale linea di forza della nostra letteratura. Inutile dire che Calvino stesso si considerava un punto di questa linea, caratterizzata da una concezione della letteratura come mappa del mondo e dello scibile, e da uno stile intermedio fra il fiabesco realista e il realismo fiabesco. E niente forse esibisce questa comunanza di stili, più delle parallele e quasi identiche metafore che Galileo e Calvino fanno della scrittura stessa, come di un’interminabile e ininterrotta linea creata dal movimento della penna. Leggiamo, infatti, nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo : “quei tratti tirati per tanti versi, di qua, di là, in su, in giù, innanzi, indietro, e intrecciati con centomila ritortole, non sono, in essenza e realissimamente, altro che pezzuoli di una linea sola tirata tutta per un verso medesimo’”.

La “scrittura rampante” del Dialogo sui massimi sistemi

Nelle ultime righe del Barone rampante si legge “Questo filo d’inchiostro, come l’ho lasciato correre per pagine e pagine, zeppo di cancellature, di rimandi, di sgorbi nervosi, di macchie, di lacune, che a momenti si sgrana in grossi acini chiari, a momenti si infittisce in segni minuscoli come semi puntiformi, ora si ritorce su se stesso, ora si biforca, ora collega grumi di frasi con contorni di foglie o di nuvole, e poi s’intoppa, e poi ripiglia a attorcigliarsi, e corre e corre e si sdipana e avvolge un ultimo grappolo insensato di parole idee sogni ed è finito”.

E allora, perché avviciniamo Calvino e gli scrittori per il puro piacere di leggere, e Galileo e gli scienziati soltanto per il dovere di conoscere? Non avrebbe senso portare le pagine del Dialogo sulle pubbliche piazze, allo stesso modo in cui Benigni declama i versi della Commedia? Col vantaggio, fra l’altro, di non essere costretti a sorbirci gli anacronismi del povero padre Dante, che con i suoi angeli e demoni oggi ci appare più un precursore dei fumettoni alla Dan Brown, che il cantore di una moderna visione del mondo? In fondo, “a voler dir lo vero”, sono proprio le bassezze cosmologiche, teologiche, filosofiche e politiche della Commedia a renderla così adatta agli altissimi spettacoli del nostro maggior comico.

Ma non sempre e non tutti abbiamo voglia di ridere, e a volte qualcuno potrebbe desiderare la seria lettura di pagine che fossero nobili e alte anche per il pieno contenuto, e non soltanto per la vuota forma. E che quelle di Galileo lo siano.

La nave su cui Galileo naviga letterariamente costituisce uno dei laboratori in cui si eseguono gli ideali esperimenti scientifici del Dialogo, e il fatto che su di essa la vita si svolga nella stessa identica maniera che sulla Terra, ad esempio per quanto riguarda la caduta di una palla di piombo o il volo di un insetto, dimostra la relatività galileiana: il fatto, cioè, che le leggi della meccanica sono invarianti rispetto a sistemi in moto uniforme, che risultano dunque indistinguibili fra loro da questo punto di vista.

Sulla Luna prima di Leopardi. E sulle leggi dell’universo prima di Einstein

Tre secoli dopo Albert Einstein userà analogamente treni e ascensori per argomentare a favore, rispettivamente, delle relatività speciale e generale: il fatto, cioè, che anche le leggi dell’elettromagnetismo sono invarianti rispetto a sistemi in moto uniforme, e che gravitazione e accelerazione producono effetti indistinguibili fra loro. Ma niente dimostra meglio la differenza tra le metafore fini a se stesse della letteratura d’evasione, e quelle mirate a uno scopo della letteratura di divulgazione, dell’uso che Galileo fa della Luna. Prima di lui, e fino all’Ariosto, il viaggio sul nostro satellite e la sua geografia appartenevano infatti al genere fantasy, e i viaggi spaziali erano sorretti da inverosimili propulsioni: dalle trombe d’acqua della Storia vera di Luciano di Samosata all’ippogrifo dell’Orlando Furioso.

Portiamo pure a teatro Dante. Ma insieme a Newton e Galileo

Con la prima giornata del Dialogo la Luna invece cambia faccia. O meglio, mostra per la prima volta il suo vero volto, con i monti e le valli che il cannocchiale ha permesso di scoprire, e appare come la conosciamo oggi grazie alle foto dei telescopi, dei satelliti e degli astronauti. E anche meglio, perché né Galileo, né Keplero hanno avuto bisogno di andarci di persona per capire come si sarebbe vista la Terra dalla Luna, con variopinti risultati che superano ogni sbiadita invenzione poetica. I poeti dell’inconscio, invece, della Luna sanno soltanto una cosa: che c’`e. Ma anche quelli dilettanti di astronomia non sanno molto di più, visto che persino il Leopardi amante di Galileo continuava a scrivere nel 1819 che la Luna “da nessuno cader fu vista mai se non in sogno”, benché fin dal 1687 Isaac Newton avesse non solo composto il verso che “la Luna cade continuamente verso la Terra”, ma aveva anche calcolato esattamente di quando essa cade.

Che si leggano pure nelle aule e nelle piazze i versi di Dante e Leopardi. Ma che si aggiungano ai programmi di scuola e di teatro anche e soprattutto le prose di Galileo e di Newton, per far gioire la mente con quella che già Pitagora chiamava la Poesia dell’Universo: una poesia che “intender non la puo’ chi non la prova”, e che “non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritta”.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/10/2012 17.16
Titolo:SULLA SPIAGGIA (1985). Il testo di Fachinelli ....
SULLA SPIAGGIA

di Elvio Fachinelli

- Lettera Internazionale, 2, n. 6, autunno 1985;
- E. Fachinelli, La mente estatica, Milano: Adelphi 1989, pp. 13-25.


San Lorenzo al mare. Pomeriggio ventoso di settembre, nuvole rapide sfilacciate. Dal limite della spiaggia dove mi trovo, con le spalle verso il paese, il mare è un nastro viola che si arrotola e si srotola senza fine. Sono fermo da più di un\'ora, forse. Nel punto in cui ho messo la sdraio, al riparo, non c\'è vento, soltanto una folata ogni tanto. Sono scivolato in uno stato di torpore. Invece vorrei essere lucido, attivo, produttivo... Riprendere le idee di questi mesi. Scavare gli appunti, i libri. Scavare l\'insoddisfazione. Mi ci vorrebbe qualcosa che vincesse questo stato d\'inerzia, qualcosa che facilitasse l\'attività intellettuale... Continuo a guardare affascinato il nastro del mare.

Dal fondo del torpore, quasi dal sonno, un pensiero solitario. Dopo lo squarcio iniziale, la psicanalisi ha finito per basarsi sul presupposto di una necessità: quella di difendersi, controllare, stare attenti, allontanare... Ma certo, questo è il suo limite: l\'idea di un uomo che sempre deve difendersi, sin dalla nascita, e forse anche prima, da un pericolo interno. Bardato, corazzato. E l\'essenziale, ovviamente, è che le armi siano ben fatte, adeguate. Se non sono tali in partenza, bisogna renderle adeguate: con la psicanalisi, appunto. Altrimenti disarcionamento, se non disastro.

Ma se questo è vero bisogna rovesciare la prospettiva, mettersi dall\'altro lato (della barricata, mi vien da scrivere: ma usando questa parola, resto nell\'àmbito dell\'arte militare). Non inibizione, rimozione, negazione, eccetera: i diversi stratagemmi, le difese parziali di un\'impostazione difensiva generale. Dalla foresta appuntita delle difese non si esce. Ma invece accoglimento, accettazione, fiducia intrepida verso ciò che si profila all\'orizzonte.

Nausicaa, Ulisse. Le regge di Creta aperte verso il mare, senza difese.

Quest\'idea del rovesciamento di prospettiva, necessario, di colpo mi ha svegliato. Sono lucido, ora, attento, pronto. Ma nello stesso tempo quella comunicazione del semisonno, quasi esterna, mi sembra esaurita. La ricerco volontariamente, invano.

Una ragazza ha sognato schifosi scarafaggi che si accoppiano, le salgono sui piedi. Di giorno, è ossessionata dai possibili \"nidi\" di scarafaggi in casa sua, disinfetta a tutto spiano. \"Che ci sia in me una forza sessuale come nelle bestie?\". Insomma, una strenua difesa, un lungo battagliare contro qualcosa che non riesce ad accogliere. Alla fine, i suoi impulsi sono stati trasformati in scarafaggi.

Qui, sulla spiaggia, mi succede qualcosa di insolito. Improvvisamente, vedo l\'affinità tra ciò che mi è affiorato in un lampo, semplice trovata, pensiero sintetico venuto da un\'altra parte, e il processo dell\'invenzione - scientifica o non scientifica. Perlomeno in alcuni casi.

È l\'improvvisa comparsa di un materiale organizzato, coerente, a partire da frammenti; a partire, spesso, dalla disperazione di riuscire in un compito consapevole.

Dunque non importa l\'àmbito della scoperta - scientifica, artistica, d\'altro tipo; né la sua ampiezza. Importa quel movimento chiaro, netto - sempre lo stesso? -, che mette a posto, ordina, dà forma, e insieme inonda di gioia e certezza.

Anche per la scoperta freudiana fu così? Un\'accettazione di qualcosa che veniva, in certo senso, dall\'esterno, dopo un estenuante brancolare? Bisognerebbe rileggere le origini della psicanalisi da questo punto e non soltanto dal rapporto con Fliess, che di sicuro viene dopo.

Poi, in Freud e soprattutto nei seguaci, slittamento verso una rinnovata apologia della difesa, tendenziale riduzione del cosiddetto inconscio - di ciò che voleva essere accettato - alle dimensioni delle barriere costruite contro di esso. Con l\'esclusione forse di Ferenczi.

Quest\'idea dell\'accettare e della sua importanza mi è venuta, in forma pura, astratta, nel momento in cui, assonnato, ho accettato e direi quasi ascoltato ciò che mi veniva da non so dove. Se l\'avessi cercata, inseguita consapevolmente, l\'avrei trovata? Forse. Anche se ne dubito. Ma in ogni caso non ci sarebbe stata questa gioia di risveglio che mi ha preso.

La coscienza come area ristretta, perimetro definito che tende a imporsi come misura di tutto lo psichico, anche in coloro che l\'hanno misurato e che ogni giorno sono costretti a osservarne i limiti, le coartazioni. O proprio per questo.

Come scrivere tutto questo? Vento sulla fronte, rombo del mare, luce, torpore, pensiero dell\'accettazione, gioia, gioia con senso di gratitudine, verso chi?

L\'immagine di un lungo prato di montagna, visto al tramonto dal limitare di un boschetto. Lo riconosco, è della mia infanzia. E mi è stato evocato per la prima volta, giorni fa, ascoltando la «canzone di ringraziamento» di un quartetto di Beethoven.

Necessario silenzio assoluto, solitudine. Come in una camera anecoica, dove si avverte solo il proprio respirare, pulsare.

Le persone che passano sulla spiaggia, vicine o lontane, m\'infastidiscono. Anche se gradevoli, interessanti. Introducono immediatamente un\'altra logica, la logica del desiderio, del contatto. Limito lo sguardo, allontano i viventi. Nello stesso tempo, mi sento più vivo.

Ora il mare è alternanza di lame di luce. Verità del detto di Ferenczi: non il mare è simbolo della madre, ma la madre del mare.

Non meditazione né raccoglimento. Accoglimento.

A occhi socchiusi, il mare è sottili lamine d\'argento che vibrano obliquamente. Righe di diverso splendore.

Si può variare questo sguardo, che oltrepassa la visione distinta. Prima mare, strisce viola; poi lame, poi righe di luce. A occhi chiusi, fuochi fatui. Riconoscere la necessità, non soltanto l\'esistenza, di queste diverse visioni.

Contemporaneamente, io come sguardo che impara non un paesaggio, o più paesaggi, ma se stesso paesaggio. Sguardo-mare.

Accettazione della posizione del corpo, del suo peso, di ogni singola giuntura. Avvengono aggiustamenti lievi, scricchiolii come nel legno di una barca.

Vivere a lungo in questi modi, mi sembra impossibile; probabilmente non auspicabile. Ma necessario imparare a disporne.

Ora desiderio di continuare questi appunti e insieme impazienza di smettere, andar via. Come se avessi già avuto abbastanza, come se mi allontanassi troppo dal resto. Tempo espanso. Non immobile ma come fluttuante in immobilità.

Riprendo. La difesa, spinta fino alla cancellazione vera e propria, è in rapporto con un certo stato di vigilanza, di senso del pericolo. È il privilegio dovuto o concesso alla vigilanza che conferisce un privilegio sovrano alla difesa. Problema dei limiti di tolleranza, oltre i quali la difesa scatta come una tagliola.

Una tagliola che taglia nel vivo. Uccelli, lepri catturate sull\'altopiano, quando bambino seguivo i miei parenti cacciatori. Altre immagini di taglio, recisione, strappo.
Diminuzione della vigilanza, allentamento della difesa. Allentamento nel sogno, nel fantasticare, nell\'inventare, nell\'usare droghe - insomma in quella phantastica umana dove, a tratti, passa un messaggio inatteso.

Il sogno osa generalmente più di quanto si permetta il sognatore da sveglio. Di qui, l\'idea di Freud di trasferire questo oltrepassamento alla coscienza vigile, nella cura dei nevrotici. Il sogno testimonia ciò che vuoi essere - ciò che puoi essere, allora.

Ma l\'accoglimento non è simmetrico alla difesa. C\'è un funzionamento diverso, un\'altra logica. L\'afasia non procede negli stessi modi della parola intatta - e proprio Freud ne ha trattato. Se l\'afasico torna a parlare, la sua parola potrà risultare simile, quasi indistinguibile, rispetto alla parola intatta. Ma non sarà mai questa parola.

Quindi non esiste difesa \'normale\'? Esistono altri modi di esistere e creare, che soltanto superficialmente possono essere accostati alla difesa.

Un\'analisi basata sistematicamente sullo smantellamento delle difese incontra ad ogni passo quel pericolo che le ha fatte erigere. Da ciò un rinnovato impulso a difendersene. Come un demolire e ricostruire di nuovo, continuamente, dighe, barriere. L\'analisi assume allora il senso di una decondizionamento ad infinitum. Interminabilità, eccetera.

E neppure si tratta di saltare oltre le barriere, di sorpresa, o astutamente. In questo modo, ancora una volta, le barriere sono all\'orizzonte dell\'agire. Piuttosto lasciar affluire, lasciar defluire, immergersi, nuotare nella corrente. I paletti della difesa finiranno, forse, per scendere alla deriva.

Rendere conscio può significare allora soltanto delineare, prima e dopo, il posto occupato dal sistema vigilanza-difesa. Non pretendere di far passare attraverso di esso ciò che non gli appartiene. Progetto infantile: svuotare il mare con un secchiello. O setacciarne tutta la sabbia. Anche il progetto di Freud - prosciugare l\'inconscio, come la civiltà ha prosciugato lo Zuiderzee - è infantile.

L\'insistenza sulle difese è sempre, implicitamente, insistenza sull\'offesa, sulla capacità di offendere. Collegamento del sistema vigilanza-difesa con la più affermata impostazione virile. E allora accogliere: femminile?

Il femminile sarebbe allora nel cuore, il cuore, di molte e diverse esperienze. E anche di questa mia esperienza.

Al momento di diventare sciamani, si dice, gli uomini cambiano sesso. È così posta in rilievo la profondità del mutamento necessario. Il femminile come atteggiamento recettivo non abolisce però il maschile, gli propone un mutamento parallelo.

Il maschile si delinea allora come un paziente, faticoso, a volte quasi cieco operare che precede e segue l\'atto creativo. Scegliere, disporre materiali, ispezionare, scrutare, scavare. Seminare. E più tardi raccogliere, sviluppare, trasformare. Alternanza ritmica del maschile e del femminile.

In questa prospettiva, difesa e offesa come distorsione o perversione del maschile. A volte necessaria; sempre secondaria.

In alcuni casi, delirio di difesa. Contro la minaccia del pericolo interno, costruzione di barriere, controbarriere, altre barriere, secondo formule e numeri che finiscono per essere magici. Somma vigilanza, somma inibizione. Dentro il suo castello dalle sette mura, la principessa non riesce più a muoversi.

La coscienza stessa sembra allora far parte per intero del sistema di fortificazioni. Sembra essere uno dei suoi bastioni più forti.

Eppure, a volte, in questo bastione, mentre si stabilisce una zona del tutto opaca, insensibile, altre si fanno straordinariamente chiare e vibranti. Come nella vita di certe antiche dame di corte giapponesi, attente più alla brina della notte che alla vita stessa, come la si intende comunemente. Ma quell\'attenzione alla brina è vita, vita di intensità prodigiosa.

Animali che, a poco a poco, vivendo nel buio, diventano ciechi. Ma in quel buio sviluppano altri organi di senso.

Chi può stabilire che cos\'è essenziale e non essenziale, importante e non importante? Chi può giurare: questo è il centro, e quella è la periferia?

Il tempo, mi sembra, non passa. Dilatazione e febbre insieme. Un tempo senza centro, vibrante.

Accogliere chi? Un ospite - interno. Accoglierlo prima di esaminarlo ed eventualmente respingerlo. Intrepidezza, atteggiamento infinitamente più ricco e alla fine forse più efficace della prudenza di chi edifica muraglie.

Di nuovo: Cnosso, Festo, le potenze aperte sull\'orizzonte marino. E anche qui, importanza del femminile: la dea dei serpenti, a seno nudo; la dea delle colombe. Le danze estatiche di primavera, ritorno della giovane Kore, dea della vegetazione.

Com\'è angusta, soffocata, a questo punto, la metafora freudiana del «salotto» separato dall\'«anticamera». Triste come la sua casa in Bergasse, con la finestra dello studio rivolta a un muro di cemento. Eppure, anche lì, anche davanti a quel cortile senz\'alberi, Freud sapeva che c\'era il mare.

Il concetto di difesa definiva all\'inizio le difficoltà e le impasses di un comportamento alterato; rapidamente è diventato normativo, capace di stabilire leggi e criteri, anche per il comportamento non alterato. E questo perché si è presupposta implicitamente una continuità tra l\'uno e l\'altro. L\'anormale è diventato, con qualche differenza quantitativa, il normale.

Ecco allora l\'impaccio, mai eliminato, di fronte a ciò che si potrebbe chiamare l\'ipernormale, il comportamento infrequente, talvolta raro, talvolta persino eccezionale, che però riempie e feconda il comportamento medio, statistico.

Miseria incurabile della teoria della sublimazione, che tenta di spiegare ciò che, se è sublime, è sublime sin dal principio. La psicanalisi dichiara: ecco un letterato chiaramente nevrotico; un filosofo ossessivo; un matematico quasi psicotico, un musicista autistico... Ma la legna da ardere non spiega di per sé il divampare del fuoco.

E oltre, il territorio della mistica. Non la religione istituita. Ma la mistica come zona irriducibile, inassimilabile, refrattaria alla religione stessa. Apex mentis. Mistica che è nello stesso tempo rapporto percettivo, percezione possibile ad alcuni, se non comune a tutti. Molte mistiche? evitare i codici che, invariabilmente, da sempre rifiutano o sequestrano questi tipi di esperienze.

Le cose che vengono da un\'altra parte: come un accenno imprevisto che muta, che sposta l\'intera figura. Da questo punto di vista, limiti ben evidenti della psicanalisi. E limiti ben evidenti dell\'antropologia fondata su di essa.

Ora il rombo del mare è un respiro calmo, profondo. Chiudo gli occhi. Non c\'è bisogno di vigilare. I suoni, scollegati dal loro aggancio visivo, hanno più spazio: diventano voci singole, con timbro e grana diversa. Di fronte a ciascuna, non attesa né timore. Soltanto meraviglia.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/10/2012 19.21
Titolo:GEOGRAFIE DELLA PSICOANALISI.
Stesi sul lettino nei Paesi dell’Islam

di Silvia Vegetti Finzi (Corriere della Sera, o5.10.2012)

Lo scorso 26 settembre, di fronte al numeroso corpo consolare insediato a Milano, Ferruccio de Bortoli, direttore del «Corriere della Sera», sottolineava l’urgenza di «progredire nella pace e nel dialogo in una società multietnica». Per una coincidenza tanto casuale quanto indicativa dell’attualità di questi propositi, domani si terrà all’Università di Pavia, nella storica sede del Collegio Ghislieri, un seminario internazionale dal titolo «Geografie della psicoanalisi». La metafora rinvia al confronto e al dialogo tra le molte psicoanalisi operanti oggi nel mondo. Una prospettiva coraggiosa per un sapere nato all’inizio del Novecento, nell’ambito della minoranza ebraica viennese in cerca d’identità e integrazione.

Come spesso accade nella storia del pensiero scientifico, dallo scandaglio del particolare sono emersi paradigmi ritenuti universali. Il primato dell’Inconscio, il complesso di Edipo, il disagio della civiltà e la pulsione di morte, insieme alle regole per lo svolgimento della cura, hanno costituito, sotto la tutela dell’IPA, la Società internazionale di Psicoanalisi, un corpus teorico e clinico sostanzialmente stabile e omogeneo. Ma ora l’intensificarsi di relazioni multietniche induce a chiedersi: «Che cosa sopravvive della psicoanalisi, una volta messa a dimora in culture estranee e lontane?

Dalla rivista «Psiche», cui il seminario s’ispira, sono state anticipate alcune questioni. Ad esempio, si può trasferire la prassi del lettino in contesti, come quello islamico, caratterizzati dalla intransigente affermazione della superiorità maschile? Per lo psicoanalista Gehad Mazarweh dell’Università di Teheran, intervistato da Daniela Scotto di Fasano, la posizione frontale è preferibile soprattutto per la paziente donna, che ne trae una conferma della sua emancipazione. A una conclusione analoga giunge la psicoanalista Gohar Homayounpour osservando che, in Iran, un uomo non si sdraierebbe mai dinnanzi a un’analista donna.

Anche il fine della terapia è diverso: nel mondo occidentale si tratta di ricomporre un individuo frammentato rimettendolo in contatto con le parti rimosse della sua identità e con i rapporti sociali spezzati dall’affermazione narcisistica di sé. In società ad alto indice di collettività si chiede invece alla psicoanalisi di sostenere l’emancipazione dai condizionamenti familiari e ambientali, l’acquisizione di spazi di libertà personale.

Nei nuovi rapporti culturali e professionali Lorena Preta teme possano emergere atteggiamenti neocolonialisti, improntati a una presunta superiorità della cultura occidentale. Una tentazione evitabile privilegiando la psicoanalisi della domanda, cogliendo le provocazioni dell’alterità, sopportando l’ansia del dubbio e la fatica della ricerca, accettando la reciprocità e il cambiamento.

Non dimentichiamo che l’esilio impronta la storia e la teoria della psicoanalisi, fondata sul decentramento dell’Io e l’interpretazione dell’Inconscio. Il seminario si svolgerà attraverso colloqui tra psicoanalisti italiani e stranieri che studiano e lavorano in paesi islamici, mentre Livio Boni, dell’Università di Tolosa, affronterà il contatto con l’India, un subcontinente che suscita in noi contrastanti fantasie di «origine assoluta e irriducibile alterità».

Perché questa straordinaria avventura di traduzioni e ibridazioni reciproche s’inaugura a Pavia? Perché in quell’ateneo gli studi psicoanalitici sono sempre stati aperti alla storia e al confronto con le altre discipline, tra cui una intensa collaborazione con la psichiatria e l’antropologia.

In linea generale, dalla geografia della psicoanalisi ci si attende un contributo alla comprensione di chi, proveniente da paesi lontani, pur vivendo accanto a noi, ci rimane estraneo.

E, in modo specifico, una riflessione su tecniche e saperi minacciati, come sempre accade, dall’irrigidimento delle tradizioni e dal conservatorismo delle istituzioni.

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- Stefano Bolognini "Ecco perché la psicanalisi scopre l’Oriente"

- Il cinese sul lettino

- Stefano Bolognini ora presidente di tutti i freudiani del mondo. "La nostra disciplina si diffonde ovunque"
- "A Pechino non solo ci tollerano, ma contano su di noi per creare una società armoniosa"
- "Ormai sono molto frequenti i casi di Shuttle-analysis Le terapie si fanno on line, via Skype"

- di Luciana Sica (la Repubblica, 30.06.2011)

Se un cinese sogna di mangiare un chow chow, vorrà mordere il suo analista che è un cane o cibarsi di una vera prelibatezza? Non si sottrae allo humour, Stefano Bolognini: «Li amo talmente i cani, io, che un sogno del genere mi metterebbe davvero in difficoltà. Sarei comunque un pessimo analista di un paziente del genere, altro che neutralità!». Poi, più serio: «Non esistono interpretazioni oggettive, formule precostituite e valide per tutti. Èil singolo sognatore che conta: per il paziente cinese, potrà darsi il primo caso, il secondo, o anche - in modo condensato - tutti e due. Andrebbe analizzato senza preconcetti, direi anzi senza pre-concezioni troppo legate alla sua tradizione culturale».

Paziente orientale, analista occidentale. Tutt’altro che un’ipotesi astratta, visto che a sorpresa la Cina comunista risulta estremamente interessata alla psicoanalisi. E a occuparsene sarà proprio Bolognini, da un paio d’anni alla guida della Società psicoanalitica e ora - ed è la prima volta per un italiano - neopresidente dell’International Psychoanalytical Association: l’Ipa, che fu fondata da Freud nel 1910 e oggi conta dodicimila iscritti. «Un gran riconoscimento per la creatività della psicoanalisi italiana», per dirla con la punta di enfasi di Bolognini, che sarà proclamato President Elect al congresso mondiale di Città del Messico in programma dal 3 al 6 agosto. Altra notizia: alla vicepresidenza del tempio dei freudiani ci sarà la svedese Alexandra Billinghurst - mai prima d’ora una donna aveva conquistato i vertici dell’Associazione.

"Non sanno che portiamo la peste", è la celebre frase - del 21 agosto del 1909 - pronunciata da Freud, salpando con Jung (e Ferenczi) alla volta di New York. Dopo un secolo, dottor Bolognini, la psicoanalisi ha "appestato" il mondo?

«Non potrebbe essere diversamente, visto che è il più serio strumento di conoscenza e di cura del mondo interno degli esseri umani che mai sia stato messo a punto. Con una sottolineatura: la psicoanalisi ha una complessità concettuale e tecnica molto maggiore di quella di una volta».

Quali sono i Paesi "nuovi" in cui si sta diffondendo?

«Fino a pochi anni fa erano la Turchia, il Libano, tutto l’Est europeo, in Asia la Corea e in America Latina il Paraguay. Oggi, oltre alla Cina, ci sono il Mozambico che per ragioni linguistiche conta sugli analisti brasiliani, l’Iran dove le classi colte sono affamate di psicoanalisi (a Teheran lavorano otto analisi formati a Parigi e negli Stati Uniti), l’Egitto e il Marocco anche lì con analisi di derivazione francese, il Sudafrica in cui già operano quattro analisti iscritti all’Ipa e la stessa Cuba che ha preso i primi contatti con gli analisti latinoamericani sempre dell’Ipa».

La novità assoluta è la Cina. Nessun problema politico?

«Sono le attività esplicitamente antigovernative ad essere sotto controllo. La psicoanalisi non solo è tollerata ma addirittura inserita in un progetto politico volto a creare una "harmonious society"».

Una società armoniosa, grazie agli epigoni di Freud?

«È così che la pensa la nomenklatura cinese, e a Pechino - lo scorso ottobre - si è svolta la prima conferenza asiatica dell’Ipa, con oltre cinquecento partecipanti. Nella capitale ci sono nove candidati in analisi dalla moglie dell’ambasciatore tedesco e altrettanti a Shangai, sempre da un analista tedesco che si è trasferito lì. Inoltre èstato riconosciuto un "Allied Center" composto da psichiatri e psicologi per così dire tifosi della psicoanalisi, una sorta di "testa di ponte" culturale favorevole all’arrivo di analisti didatti o alla possibilità che terapeuti locali vadano a formarsi all’estero per poi rientrare. Università e ospedali sostengono il progetto formativo di nuovi analisti... E ormai sono molto frequenti i casi di Shuttle-analysis, di terapie on line, via Skype».

Ammetterà una certa alterazione del setting. Non saràun addio al divano?

«Assolutamente no. Intanto il primo anno di analisi è quello "tradizionale", poi la Rete consente almeno il vis-à-vis, ma solo quando c’è un problema di distanza».

I pazienti quanti sono, e soprattutto chi sono?

«Di questo sappiamo pochissimo, non esistono statistiche né censimenti. E al momento ci sono soprattutto analisi di formazione, visto che stanno iniziando. Ma in linea generale, in un paese come la Cina, dove la concezione collettivista ha depersonalizzato gli individui, credo che il recupero della soggettività sarà uno degli elementi decisivi nella richiesta di analisi».

La qualità non verrà decisamente annacquata in Oriente come in Africa?

«Gli inizi in aree lontane dai grandi centri psicoanalitici sono sempre difficili, e così è stato anche nei Paesi ora evoluti quando la psicoanalisi era agli albori - compresa l’Italia, negli anni pioneristici prima della Seconda guerra mondiale».

Mettiamo la celebre riscrittura del "romanzo familiare" dei pazienti. In realtà antropologiche così differenti dalle nostre, dove le famiglie possono essere comunità anche estese, come lavorerà un analista?

«I riferimenti teorici sono comunque quelli classici, validi in tutte le culture perché tengono conto delle invarianti di base della mente umana. Naturalmente le specificità locali vengono rispettate: del resto, già il contesto socioculturale della Sicilia varia molto rispetto a quello dell’Alto Adige. E gli analisti lo sanno».

Ma la psicoanalisi innestata in culture diversissime da quella occidentale, non produrrà nuovi ibridi?

«No, al massimo delle "nuances" differenti. Le pulsioni, il narcisismo, i conflitti di dipendenza sono universali. La sessualità, l’ambivalenza, l’aggressività, le difese contro il dolore riguardano la natura di base di tutto il genere umano».

La psicoanalisi sembra comunque prendersi una rivincita, dopo i requiem intonati negli scorsi anni. Anche grazie ad alcuni studiosi geniali come i Nobel Edelman e Kandel?

«Il riconoscimento della compatibilità con le neuroscienze è stato senz’altro importante, ma è solo una delle ragioni per cui la psicoanalisi non è destinata a morire».

Tutte le scienze evolvono: oggi lei si farebbe operare con una tecnica chirurgica di cent’anni fa o con strumenti di ultima generazione? Nel mondo, la psicoanalisi guarda a Freud come al fondatore o come a un referente teorico ancora attuale?

«La psicoanalisi rischia di diventare una religione se pone le teorie in una posizione "teologica", come fossero verità assolute rivelate. Ma questa non era la posizione mentale di Freud. Certi cultori integralisti ne assumono le teorizzazioni come elementi sacri e indiscutibili, se non come un feticcio. E invece la psicoanalisi va "vista" come un grande albero: se le radici e il tronco sono la base freudiana, tutti i rami successivi sono di una ricchezza irrinunciabile. Lo sviluppo c’è stato, e anche molto grande, ma comunque "sulle spalle di Freud"».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/11/2012 13.20
Titolo:PSICOANALISI E ANALISI DEI POVERI. OLTRE LA CRISI ...
Psicoanalisi anti crisi

A Milano un Centro Musatti offre assistenza gratuita

Il presidente Giuseppe Pellizzari «In questa epoca di incertezza e smarrimento vogliamo fare la nostra parte e ritrovare la vocazione sociale del nostro lavoro»

di Stefania Scateni (l’Unità, 13.11.2012)

LA PSICOANALISI SI FA CARICO DELLA CRISI E RIVENDICA IL SUO IMPEGNO E LA SUA VOCAZIONE SOCIALE. NON SOLO SUL PIANO CLINICO MA ANCHE SU QUELLO DELLA VITA QUOTIDIANA. Così il Centro Milanese di Psicoanalisi Cesare Musatti (Cmp) ha deciso di offrire assistenza gratuita ad adolescenti, bambini e adulti in difficoltà economiche. Gruppi di psicoanalisti si sono già messi a disposizione per consulenze «free» o a prezzi sociali nella sede di via Corridoni 38.

Succede in tempi come questi, precari e oscuri per l’animo e la carne, epoca «delle crisi»: economica, politica, spirituale... D’altronde la crisi è «il mestiere» della psicoanalisi: strada maestra verso il cambiamento, la crepa è un momento di verità che porta alla trasformazione, passaggio, attraversamento verso qualcosa di ignoto, nuovo. Oggi l’angoscia che permea il vissuto soggettivo è impalpabile e incombente, difficilmente identificabile, subita e imprendibile come le ombre scure dei film dell’orrore. L’angoscia che accompagna le vicissitudini del nostro mondo è senza prospettiva, è angoscia allo scoperto. Uno stato dell’anima ancora tutto da esplorare e conoscere radicalmente diverso dai disturbi del passato anche recente.

In mancanza di chiarezza analitica, di questa congiuntura odierna si fa la conta in percentuali di disagio: in Grecia, dal 2008 al 2011, le persone tra i 25 e i 34 anni con problemi di ansia o di depressione sono passati dal 3,8% al 13,6%. La psicoanalisi stessa soffre della crisi e registra, negli ultimi tre anni, un crollo dei pazienti del 20%. Ma persino questo «disfacimento» può essere letto come un’indicazione al cambiamento.

«Oggi viviamo la scomparsa dei grandi contenitori ideologici e simbolici, sperimentiamo una grande sfiducia nelle istituzioni e nei partiti, ci sentiamo derubati del futuro ci dice il presidente del Cmp Giuseppe Pellizzari -. La crisi ha acuito questo senso di smarrimento e incertezza. La decisione di proporre il nostro servizio clinico nasce dall’esigenza di fare la nostra parte: per la psicoanalisi questo è un ritorno alle origini, quando nel 1919 nacque, in un momento di grave crisi post bellica, l’Istituto Psicoanalitico di Berlino, con chiari intenti sociali. Per un decennio funzionò benissimo e nell’istituto lavorarono i migliori analisti di quegli anni». Il loro intento sociale era ispirato a ciò che Freud disse durante il Congresso di Budapest del 1918: la gente ha diritto di essere curata non solo per la tubercolosi, ma anche per le malattie nervose, e lo Stato dovrebbe andare incontro a queste esigenze.

L’iniziativa milanese non è solamente e semplicemente un andare incontro ai cittadini. «Le difficoltà contemporanee non sono soltanto economiche spiega Pellizzari -, la crisi interessa anche i valori, i fondamenti simbolici della vita delle persone. E questo ci interessa, interessa la psicoanalisi. Non possiamo guardare questo fenomeno dall’esterno, perché anch’essa vive una crisi dei suoi fondamenti. Ed è un momento di grande fecondità. Il servizio che vogliamo offrire al territorio ha anche uno scopo formativo per chi ci lavora e uno scopo di ricerca per noi. I “nuovi” pazienti hanno caratteristiche nuove e poco conosciute e per questo possono rappresentare un’occasione importante per imparare cose nuove e sollecitare la psicoanalisi a funzionare in modo nuovo rispetto ai canoni classici».

Oggi le nevrosi classiche, le sindromi ossessive, le isterie e le perversioni, non sono le più diffuse come lo erano un tempo; ad esse si sostituiscono sindromi narcisistiche, disagio, insoddisfazione, vuoto, apatia diffusa, disturbi difficili da trattare perché quasi incosistenti, senza un sintomo predominante e urgente. Quelle più profondamente mutate nel più breve tempo sono le problematiche adolescenziali: non ci sono più i ragazzi ribelli che si scontrano con la cultura dei genitori e vogliono cambiare il mondo. Moltissimi adolescenti oggi non sanno cosa piace loro, non sanno cosa fare, non sanno chi sono, non studiano e non lavorano, non fanno niente.

E infine, la domanda dalle cento pistole: ci avete sempre detto che pagare il trattamento è essenziale e indispensabile per la pulizia e l’efficacia della terapia. Come la mettiamo con il vostro trattamento gratuito?

«Ci sono sempre stati analisti che hanno trattato gratuitamente qualche paziente, ma questo ha sempre posto dei problemi nella conduzione tecnica dell’analisi, cioè nell’ambito del transfert e controtransfert, perché il paziente potrebbe sentirsi diverso, speciale, oppure un povero oggetto di elemosina. Ci siamo resi conto che è molto importante il fatto che la nostra è un’iniziativa istituzionale, del Centro Milanese di Psicoanalisi, non del singolo analista che è tanto buono. La mediazione istituzionale consente una gestione più libera». Miracoli della crisi.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/12/2012 23.23
Titolo:La terapia creativa di Elvio Facchinelli
- La terapia creativa di Elvio Facchinelli

- “Su Freud”, una raccolta di scritti dell’analista italiano

- di Massimo Recalcati

(la Repubblica, 20.12.2012)

“Su Freud” di Elvio Fachinelli Adelphi pagg. 115 euro 12

Elvio Fachinelli è stato probabilmente, insieme a Franco Fornari, ma diversissimo per stile e vocazione teorica, lo psicoanalista italiano più originale e creativo degli anni Settanta-Ottanta. La sua opera non ha mai assunto quello spirito di sistema che ha invece caratterizzato il pensiero di Fornari e anche per questo ne costituisce, seppure nel solco comune della tradizione freudiana, una alternativa radicale.

Se Fornari diede luogo alla psicoanalisi come macchina interpretativa (teoria coinemica), Fachinelli non ha mai smesso di ricordare la centralità dell’imprevisto e della sorpresa nell’esperienza singolare dell’analisi. Se il primo si muoveva attraverso l’uso programmatico di codici simbolici immutabili, il secondo sospingeva la teoria della psicoanalisi al limite dell’indicibile, al confine con l’esperienza estatica rivendicandone il carattere anarchico e avverso ad ogni sistematizzazione che pretendeva di proporsi come definitiva.

Se il primo insisteva sul carattere trasmissibile della psicoanalisi, sulla possibilità di farne una disciplina universitaria, il secondo metteva in guardia sulla dimensione didattica della psicoanalisi che ai suoi occhi appariva come una truffa, una mistificazione intellettuale dell’autentica esperienza dell’inconscio come incontro con il non ancora visto, né saputo. Se il primo è stato un produttore infaticabile di scritti teorici sulla psicoanalisi ordinati in un sistema concettuale rigoroso, il secondo ha sempre scritto nella forma del frammento, dell’intervento breve, privilegiando la parola orale a quella scritta a partire dalla convinzione che lo spirito della psicoanalisi abbia a che fare con il dialogo vivente più che con il carattere immobile della scrittura.

Per tutte queste ragione, e per altre ancora, Jacques Lacan lo considerava il suo allievo prediletto in Italia, sebbene Fachinelli avesse sempre declinato garbatamente l’investitura ufficiale decidendo di non lasciare mai la sua società di appartenenza (la Società psicoanalitica italiana).

Ho incontrato di persona Elvio Fachinelli una sola volta nella mia vita. L’occasione fu quella di un convegno di psicoanalisi svoltosi verso la fine di novembre del 1988 alla Casa della Cultura di Milano. Intervenne tra gli ultimi e mi colpì come la sua parola si differenziasse nettamente da quella pesantemente erudita e scolastica di altri relatori.

Ora questo breve intervento è disponibile in una piccola raccolta di suoi scritti rari proposta da Adelphi col titolo Su Freud.

La mole anoressica di questo libretto conferma il carattere nomadico e anti-sistematico dell’opera di Fachinelli. Il lettore troverà la tesi che ha ispirato tutto il suo lavoro di analista: non si dà esperienza dell’analisi se non attraverso un effetto imprevisto con qualcosa che scompagina l’ordine costituito dei nostri pensieri. Questo significa che un’analisi non è una semplice acquisizione di sapere già dato attraverso la sua accumulazione progressiva. Il sapere analitico si incontra e si produce solo a partire da una sorpresa, da una sospensione del sapere dell’Io, da un suo vacillamento.

E’ questo il contributo decisivo di Freud che in queste pagine Fachinelli ci ricorda puntualmente: la psicoanalisi come nuova pratica della cura non si applica ad un paziente passivo, ma esige un movimento attivo di ricerca da parte dei soggetti (l’analista e il paziente) che vi sono impegnati. Fu questo il contributo più profondo di Freud: porsi lui stesso, nella sua carne e nelle sue ossa, come malato di inconscio.

Egli, ci ricorda Fachinelli, diverrà, con una lucidità che potrà apparire persino “disumana”, “paziente di se stesso” (“Il malato che più mi preoccupa sono io stesso”). E’ su questa base freudiana che egli propone di differenziare una “psicoanalisi della risposta” (quale è, per esempio, quella della teoria coinemica di Franco Fornari) da una “psicoanalisi della domanda” che anziché applicare un codice interpretativo alle parole del paziente dovrebbe essere in grado di sapersi rinnovare ogni volta proprio grazie a quelle parole.

Questo è il grande contributo di Freud: il sapere della psicoanalisi non si trova nelle biblioteche, non è sapere scritto, catalogato, codificato, ma è sapere sempre in movimento, vivente nella dimensione orale della parola di cui si nutre la pratica della psicoanalisi. Per questa ragione, sempre secondo Fachinelli, l’autentico spirito freudiano non va rintracciato nei paradigmi positivistici che riducono la malattia mentale ad una malattia del cervello, ma nell’aver dato valore al potere trasformativo della parola, nell’aver dato forma ad una “conversazione conoscitiva” la cui tradizione si inaugura con la “nobile sofistica” di Protagora e Socrate.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/1/2013 13.18
Titolo:CON FREUD, OLTRE. Freud secondo Fachinelli
Freud secondo Elvio Fachinelli

di Raoul Bruni (Alfabeta2, n. 25, 06.12.2012)

Sono molte le ragioni per cui vale la pena (ri)scoprire oggi la straordinaria figura di Elvio Fachinelli. Attivo nel campo della pedagogia antiautoritaria, lo psicoanalista trentino fondò l’importante rivista (e casa editrice) “L’erba voglio” e si impegnò in prima persona nell’esperienza dell’asilo autogestito di Porta Ticinese a Milano; pubblicò pochi ma fondamentali volumi, oggi inseriti nel catalogo Adelphi, ai quali però vanno aggiunti molti sorprendenti scritti estravaganti, come quelli raccolti, per l’appunto, in questo libretto Su Freud. Fachinelli, che ne tradusse varie opere, a incominciare da L’interpretazione dei sogni, instaurò col padre della psicoanalisi un dialogo ininterrotto, tra fedeltà e slanci eterodossi, condotto in sostanziale sintonia con quel “ritorno a Freud” propugnato da Jacques Lacan. Ma a qual era il Freud a cui tornare, secondo Fachinelli?

Nel denso ritratto di Freud, risalente al 1966, che inaugura il volumetto, si punta l’accento, prima ancora che sullo scienziato, sull’uomo e sullo scrittore: «Il rapporto tra il creatore e la sua opera è in questo caso [nel caso di Freud] assai vicino al legame di figliolanza carnale, per così dire, che si stabilisce fra lo scrittore e il suo libro, fra il pittore e il suo quadro, che non al riferimento indiretto dello scienziato con la sua scoperta. C’è qualcosa di irripetibile, che conferisce per sempre alla costruzione freudiana un carattere di unicum culturale e che genera la sempre risorgente difficoltà di ‘collocarla’ positivamente tra le altre scienze».

Del Freud “scrittore” Fachinelli prospetta (in un articolo apparso sul “Corriere della Sera” nel 1986, incluso in questo libretto) anche un suo proprio canone, inidcandone persuasivamente il vertice nei casi clinici, definiti «dei quasi racconti, dei nuclei narrativi ora più ora meno elaborati» (intuizione che prefigura la recente e felice iniziativa, di Mario Lavagetto, di ripubblicarli, nella collana einaudiana dei “Millenni”, sotto il titolo di Racconti clinici). Sotto questo aspetto, verrebbe da dire, Fachinelli fu perfettamente fedele a Freud, dato che molti dei suoi stessi scritti sono caratterizzati da un evidente afflato narrativo.

Le distanze tra l’autore e il suo nume titolare vengono invece in luce in un articolo in margine al celebre saggio del 1915 in cui Freud, dialogando con un poeta identificabile con Rilke, fornisce una giustificazione filosofica del dramma della caducità. Freud collega la questione della caducità al disastro bellico che allora incombeva sull’Europa, sostenendo che, una volta trascorsa questa terribile crisi, l’uomo avrebbe ricostruito «ciò che la guerra ha distrutto, forse su un fondamento più solido e duraturo di prima».

A differenza di tutti i precedenti commentatori, Fachinelli non sottoscrive la conclusione freudiana, ma anzi osserva: «Il mondo solido e duraturo che Freud si augurava sorgesse dalla catastrofe non sorse affatto. Al contrario. In Europa sorsero nazismo e fascismo e con essi scoppiò una guerra ancor più spaventosa della prima». In questa cogente confutazione della tesi freudiana, si intravede la tipica inquietudine del pensiero psicoanalitico fachinelliano, intrinsecamente riluttante ad ogni soluzione consolatoria dell’enigma dell’esistenza. Fachinelli respinge infatti la tendenza all’«onniesplicabilità, rovinosamente attiva sia dentro l’analisi stessa, sia all’esterno, nel comune gergo psicoanalitico» e auspica invece un’idea quasi zen dell’analisi, basata sull’«elemento sorpresa»: «tutto può essere attivo e fecondo [...] se nasce come sorpresa inaspettata».

L’articolo da cui sto citando (che chiude il volumetto) risale al 1989, l’anno della morte di Fachinelli, e mostra come questi abbia saputo coraggiosamente spingersi ben oltre Freud; d’altronde, in quel periodo, egli stava concludendo La mente estatica, la sua opera testamentaria, incentrata su un’area tematica estranea non solo al freudismo, ma a tutta la tradizione razionalistica occidentale.

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Commenti Articolo 629

Titolo articolo : A PARIGI ACCOLTA E APPLAUDITA  LA VERITA'  RIVELATA AGLI ESSERI UMANI DAL PAPA E DAI VESCOVI.  SIAMO TUTTI UNO: VOI siete nati "da un uomo e una donna" (NOI siamo nati da Donna e da Dio). Sull'Avvenire, in difesa del "dato di natura", un'editoriale di Marina Corradi - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January/17/2013 - 04:12:31.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/1/2013 19.59
Titolo:MEMORIA EVANHELICA: SEMPRE ACCOGLIERE, MAI ESCLUDERE ....
Sempre accogliere, mai escludere...

di Raymond Gravel

in “www.lesreflexionsderaymondgravel.org” del 27 settembre 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

26a domenica del Tempo Ordinario - Anno B

Domenica scorsa eravamo invitati ad accogliere il piccolo, il debole, il povero, il bambino, e a farci servitori di tutti. Oggi, siamo invitati a non escludere colui o colei che vive il vangelo in maniera diversa e che non fa parte del nostro gruppo, della nostra Chiesa. Non possiamo più riservare Dio ad alcuni, a degli eletti, a delle élite. Non possiamo più fissare Dio in una religione, in un gruppo, in un sacerdozio, in una Chiesa. Non possiamo più arricchirci mentre ci sono poveri nella miseria. Quando si va verso Dio, verso la sua Parola, quando si aderisce all’insegnamento del Cristo del vangelo, lo Spirito crea cose nuove, crea la novità, e nulla e nessuno può impedirglielo.

Il vangelo di questa domenica ci dice tre cose:

1. Nessuno è proprietario di Dio o di Cristo: “Giovanni, uno dei Dodici (quindi un apostolo, un vescovo, un dirigente, un responsabile della Chiesa), disse a Gesù: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva” (Mc 9,38). L’evangelista non dice: ’perché non ti seguiva’, ma ’perché non ci seguiva’. Che pretesa! Non è più la fede in Cristo che conta: è la fede agli apostoli che Giovanni rivendica. Una parola così si attualizza facilmente oggi. Le gerarchie ecclesiastiche del primo secolo assomigliano stranamente agli apostoli di oggi e ai responsabili della nostra Chiesa.

Quando, dall’alto della nostra statura, diciamo che il mondo si sta perdendo, perché ha abbandonato l’istituzione Chiesa, ci appropriamo di Dio come se ci appartenesse. E tuttavia, le nostre società dette laiche che si ispirano ai valori cristiani di apertura, di accoglienza, di rispetto, di dignità, di uguaglianza, di tolleranza, di giustizia, sono più vicine a Dio e alla sua Parola di quanto lo siamo noi stessi. Personalmente, quando sento certi capi della Chiesa condannare le persone che difendono gli omosessuali, i divorziati-risposati, le donne che hanno subìto un aborto, le persone umiliate dalla vita, mi dico: ma per chi si prendono? Assomigliano stranamente agli apostoli del vangelo che vogliono impedire alle persone di agire in nome di Cristo.

Purtroppo, per troppo tempo, nella Chiesa si è deciso “per” Dio, al posto di Dio, imponendo ai credenti dottrine, principi, regolamenti che hanno favorito molto di più l’ingiustizia, l’esclusione, l’intolleranza, la disuguaglianza... Mettendo la dottrina prima del vangelo, abbiamo perso le basi stesse della nostra fede cristiana, che deve esprimersi attraverso il rispetto dell’altro, l’accoglienza incondizionata, la giustizia, l’uguaglianza, l’apertura, la tolleranza, il perdono, la misericordia, l’amore gratuito, la dignità di tutti, la fiducia e la speranza.

Il vangelo deve venire prima di tutte le dottrine; se no, non è più il vangelo. È Cristo che dobbiamo seguire e non gli apostoli. Gli apostoli devono condurci a Cristo. E se la dottrina crea degli esclusi, bisogna abolirla, modificarla, adattarla.

Già nell’Antico Testamento si sapeva che Dio non appartiene a nessuno. Nel brano del libro dei Numeri che leggiamo oggi, Mosè trova il proprio incarico troppo pesante, tanto più che il popolo si lamentava in continuazione. Mosè forma allora un consiglio di saggi, 70 persone, che sono invitate nella Tenda dell’Incontro, il tempio, la Chiesa del suo tempo, per una celebrazione della Confermazione in cui la Spirito di Dio sarà dato loro, affinché diventino profeti e possano condividere il compito di Mosè. Ma ecco che due dei settanta non si recano alla celebrazione. Sono Eldad e Medad, restano a casa loro.

Ma l’autore del libro dei Numeri ci dice che anche loro hanno ricevuto lo Spirito di Dio, benché non fossero presenti alla celebrazione della Confermazione. Allora Giosuè, il servo di Mosè, interviene: “Mosè, mio signore, impediscili!” (Nm 11,28). Come se Dio non potesse dare il suo Spirito senza l’autorità di Mosè. Conosciamo la risposta di Mosè: “Sei tu geloso per me? Volesse il Signore porre su di loro il suo spirito per far sì che fossero tutti profeti nel suo popolo!” (Nm 11,29).

2. Lavorare per Cristo, significa seguirlo. La risposta di Gesù all’apostolo Giovanni: alla persona che lavora per me “non impediteglielo, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome, e subito possa, parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi” (Mc 9,39-40). La risposta di Cristo alla Chiesa di oggi è la stessa che ha dato a Giovanni: la famiglia formata da persone provenienti da precedenti separazioni, la coppia divorziata risposata che educa i figli di entrambi, secondo i valori evangelici, lavorano per Cristo; sono Chiesa anche loro. L’omosessuale che si impegna in nome della sua fede cristiana a rendere il mondo più giusto e più fraterno, lavora per Cristo; anche lui è Chiesa. Il prete che vive una relazione d’amore e che svolge bene il suo ministero, lavora per Cristo; anche lui è Chiesa. Le donne che sono state ordinate prete su una barca e che sono a servizio delle loro comunità cristiane, lavorano per Cristo; anche loro sono Chiesa. Allora, perché escludere quelle persone, con il pretesto che non seguono le regole che ci siamo dati. Non sono le regole la cosa importante... L’essenziale, è seguire Cristo.

Può anche capitare che quelle persone siano più profeti di coloro che lo sono ufficialmente, secondo le regole dell’istituzione. È la prima lettura a dircelo. L’autore del libro dei Numeri precisa, parlando delle 68 persone che si sono recate alla celebrazione per essere confermate: “Quando lo Spirito si fu posato su di loro, quelli profetizzarono, ma non lo fecero più in seguito” (Nm 11,25b). In fondo, non è perché hanno seguito delle regole e risposto ai criteri di selezione, che diventano automaticamente profeti. È dalle loro azioni che si riconoscono i veri profeti. È vero anche oggi. Ci sono coppie di persone provenienti da precedenti unioni che sono segni d’amore, più di quanto non lo siano delle coppie sposate, che sono ancora insieme ma che non si amano. Allo stesso modo, ci sono persone che si impegnano sul piano sociale e che sono più cristiani di molte altre che vanno in chiesa tutte le domeniche. Ricordo alcune dichiarazioni dei giudici della Corte Suprema del Canada quando hanno espresso la loro decisione riguardo al matrimonio omosessuale... Le loro dichiarazioni erano molto più vicine al vangelo di quelle che venivano dal Vaticano. È incredibile. Ma è la realtà!

3. Avvertimento per i capi della Chiesa. L’evangelista Marco mette in guardia colui che rifiuta, condanna, esclude un piccolo, un povero, una persona umiliata dalla vita. Questo avvertimento riguarda innanzitutto i capi della Chiesa poiché sono solo loro che possono rifiutare, condannare ed escludere i piccoli; i comuni cristiani non hanno quel potere: “Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare” (Mc 9,42). È dura come sentenza! È la maniera forte degli Hells Angels. Se la si applicasse oggi, penso che saremmo sorpresi di vedere certe persone in fondo all’oceano. E a questo punto Marco menziona tre membra che possono servirci a compiere la nostra missione o che possono nuocere e impedirci di assumerla: la mano, il piede e l’occhio...

La mano: può servire per condividere o per tenere per sé Il piede: può servire per andare verso gli altri o per fermarsi e non andare più avanti L’occhio: può servire per vedere l’altro, aprirsi alla sua realtà, accoglierlo e comunicare con lui, oppure per chiudersi nei confronti dell’altro, per giudicarlo, per condannarlo, per escluderlo. Ciò che Marco ci dice, in fondo, è che se queste membra non ci aiutano a compiere la nostra missione, sarebbe meglio perderle per non perdere noi stessi.

Concludendo, una parola sulla seconda lettura di oggi, la lettera di Giacomo, in cui l’autore ci dice di fare attenzione alla ricchezza: anch’essa ci può chiudere su noi stessi, impedirci di condividere, renderci ingiusti verso gli altri e renderci indifferenti alla miseria e al bisogno degli altri: “Dei lavoratori hanno mietuto sulle vostre terre e voi non li avete pagati; il loro salario grida vendetta, e le proteste dei mietitori sono arrivate alle orecchie del Signore onnipotente” (Gc 5,4). “Avete vissuto sulla terra in mezzo a piaceri e delizie, e vi siete ingrassati per il giorno della strage” (Gc 5,5). “Avete condannato il giusto e lo avete ucciso, ed egli non vi ha opposto resistenza” (Gc 5,6).

E per finire, vorrei condividere con voi la riflessione dell’esegeta francese Jean Debruynne: “Immediatamente, il gruppo degli Apostoli, per bocca di Giovanni, reclama la superiorità esclusiva di Gesù. Vogliono l’esclusività dei diritti d’autore sui fatti e sui gesti di Gesù. Pretendono di essere i soli a poter dare il passaporto, la carta d’identità cristiana. Gesù, al contrario, annuncia loro il superamento del possesso. Voler pretendere di rinchiudere il Vangelo, significa voler impedirgli di essere vangelo. Lo Spirito di Dio è libero. Nessuno potrà obbligarlo a seguire la via gerarchica. La preoccupazione degli Apostoli è di escludere. Quella di Gesù è di chiamare e di aprire".
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/1/2013 12.01
Titolo:IL CRISTIANESIMO RIDOTTO AD ALLEANZA INCESTUOSA ....
COME IN TERRA COSI’ IN CIELO UNA CATTOLICA, UNIVERSALE, ALLEANZA "EDIPICA"!!! L’ORDINE SIMBOLICO DELLA MADRE, L’ALLEANZA AF-FARAONICA COSTANTINIANA, REGNA ANCORA...


"Duemila anni fa, un ovulo fu miracolosamente fecondato dall’azione soprannaturale di Dio, da questa meravigliosa unione risultò uno zigote con un patrimonio cromosomico proprio. Però in quello zigote stava il Verbo di Dio"(dichiarazione del Cardinale Dario Castrillon Hoyos alla XV conferenza internazionale del Pontificio consiglio, la Repubblica del 17 novembre 2000, p. 35)


LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA NON HA NIENTE A CHE FARE CON LA FAMIGLIA DI GESU’, DI GIUSEPPE E MARIA ... E’ UNA COPPIA INCESTUOSA: LA MADRE ELENA E L’IMPERATORE COSTANTINO, IL "SIGNORE DEL MONDO" E LA MADRE DI "DIO".

L’ARCA DELL’ALLEANZA, IL "PRESEPE" EVANGELICO, COME MANGIATOIA DELLA "FATTORIA DEGLI ANIMALI"!
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/1/2013 22.03
Titolo:NATI DA UOMO E DONNA. Parigi insegna ....
NATI DA UOMO E DONNA. Parigi insegna ....

«(...) fino al 1906, data in cui l’insegnamento adotta la tesi della fecondazione dell’ovulo con un solo spermatozoo e della collaborazione di entrambi i sessi alla riproduzione e la Facoltà di Parigi proclama questa verità ex cathedra, i medici si dividevano ancora in due partiti, quelli che credevano, come Claude Bernard, che solo la donna detenesse il principio della vita, proprio come i nostri avi delle società prepatriarcali (teoria ovista), e quelli che ritenevano (...) che l’uomo emettesse con l’eiaculazione un minuscolo omuncolo perfettamente formato che il ventre della donna accoglieva, nutriva e sviluppava come l’humus fa crescere il seme» (Françoise D’Eaubonne).


Cfr.: Federico La Sala, Chi siamo noi in realtà?,

http://xoomer.virgilio.it/gsarubbi/filosofia/chisiamonoi21062003.pdf

p. 9
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/1/2013 04.12
Titolo:IN NOME DEL DIO CARO-PREZZO ("CARITAS"), MONTI ...
Mario Monti boccia i matrimoni gay e le adozioni per le coppie omosessuali. "Per me - dice - la famiglia è formata da un uomo e una donna ed è giusto che i figli crescano con madre e padre". Lo fa nel corso del programma Lo spoglio su Sky Tg24.

Flavio Romani, presidente Arcigay, replica in serata: "Monti getta finalmente la maschera e dimostra la sua conversione da leader Europeo a bulldozer del Vaticano. Dopo aver assistito al passo indietro di Alessio De Giorgi, unico candidato gay visibile nel suo partito, impallinato dalle destre con il metodo Boffo e non difeso da Monti, siamo costretti ad ascoltare una sua dichiarazione contro le famiglie omosessuali buona per le peggiori teocrazie e il più deleterio fondamentalismo. Evidentemente i lunghi anni passati in Europa non gli sono serviti a niente".


VEDI: http://www.repubblica.it/politica/2013/01/16/news/export_monti_bacchetta_berlusconi_all_estero_non_v...

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Commenti Articolo 630

Titolo articolo : QUANTA PAURA DEL LOGOS TRA LE FILA DEI SAPIENTI DEL CATTOLICESIMO RATZINGERIANO! Nati da uomo e da donna, non sanno ben pensare nemmeno l'incarnazione di se stessi, attaccano la Costituzione, e allertano sul "pericolo della logofobia"!  Una riflessione di Adriano Pessina (dall'Osservatore Romano) - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January/14/2013 - 13:37:16.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/1/2013 00.31
Titolo:«I bambini non sono merce»
«I bambini non sono merce»

di Luca Kocci (il manifesto, 13 gennaio 2013)

Contro natura, disumana, contraria ad ogni evidenza antropologica. Sono gli aggettivi che le gerarchie ecclesiastiche e gli organi di stampa cattolici hanno usato per definire la sentenza della Corte di Cassazione che l’altro ieri ha confermato l’affidamento alla madre - ora legata sentimentalmente e convivente con un’altra donna - del figlio piccolo, negando che vivere all’interno di una coppia omosessuale sarebbe stato «dannoso» per «l’equilibrato sviluppo» del bambino.

L’affidamento e «l’adozione dei bambini da parte degli omosessuali porta il bambino ad essere una sorta di merce», ha detto ieri ai microfoni di Radio Vaticana monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia e «padre spirituale» della Comunità di Sant’Egidio del ministro Riccardi, «il bambino deve nascere e crescere all’interno di quella che, da che mondo è mondo, è la via ordinaria, cioè con un padre e una madre». Talvolta questo contesto può frantumarsi, aggiunge il «ministro della famiglia» del Vaticano - che nella Curia romana è considerato un "progressista" -, ma «inficiare questo principio è pericolosissimo per il bambino e per l’intera società». «Suggerisco a monsignor Paglia di leggersi un po’ di letteratura scientifica e di rendersi conto di persona di come crescono i bambini nelle famiglie gay», gli risponde l’ex presidente dell’Arcigay Aurelio Mancuso, fondatore della rete per i diritti civili Equality Italia.

«Sentenza pericolosa», titolava ieri Avvenire, affidando il commento al giurista Carlo Cardia, già paladino dell’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche, che parla di «essenziale diversità e complementarietà tra il padre e la madre» che introducono il bambino «nel più vasto orizzonte degli affetti, dei sentimenti, delle relazioni, dandogli sicurezza, solidità, capacità di realizzarsi pienamente». Invece la sentenza della Cassazione «considera il bambino come soggetto manipolabile, attraverso sperimentazioni che sono fuori della realtà naturale, biologica e psichica».

Un bambino, prosegue, «privato artificiosamente della doppia genitorialità, vede venir meno la dimensione umana e affettiva necessaria per la crescita e il suo armonico sviluppo», si intravede «un profilo disumanizzante» che «comporta il declassamento dei suoi diritti». «Evidentemente Avvenire, pur di non dar ragione a due donne che vogliono educare in libertà il loro figlio, preferiva il genitore islamico che aveva abbandonato il bambino», commenta Franco Grillini.

Netta anche la condanna dell’Osservatore romano: riconosce che un bambino può crescere anche con uno o senza genitori, però aggiunge che non bisogna «creare queste situazioni soltanto perché in alcuni casi non si provocano danni». E comunque, scrive il quotidiano del papa, il nodo resta l’omosessualità: «L’umano è il maschile e il femminile», non possono negarlo nemmeno le coppie omosessuali, che però escludono dalla relazione questa polarità con una scelta «autoreferenziale». Per cui «la peculiarità della genitorialità come espressione del matrimonio eterosessuale deve essere ribadita»: «È dimensione costitutiva della condizione umana». Schematico don Antonio Mazzi: «La Cassazione va contro natura».

Mentre è articolato il ragionamento di Gianni Geraci, portavoce del Guado, uno dei primi gruppi italiani di omosessuali credenti: «Quello che è un valore, ovvero una famiglia con un padre e una madre, non può essere considerato l’unico valore, anche perché l’esperienza ci mostra che talvolta quel nucleo si rompe, o non si realizza, ma il bambino cresce ugualmente sereno», spiega al manifesto. «Piuttosto che condurre inutili e dannose battaglie ideologiche, bisogna pensare soprattutto al bene dei minori. Per questo è urgente una legge che consenta l’adozione anche da parte di un single. Sarà poi una sua scelta, e un suo diritto, decidere con chi educarlo».

Don Franco Barbero, della comunità di base di Pinerolo, sul suo blog racconta la storia di Morena, «figlia felice di due lesbiche»: «È fidanzata. Una bella e gioiosa giovane donna. Quando la incontro, la vedo felice come una ragazza cresciuta in un contesto d’amore. Ha persino convertito dall’omofobia il suo fidanzato. È il più bel commento alla sentenza della Cassazione».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/1/2013 08.07
Titolo:LA BATTAGLIA PERDUTA DELLA CHIESA ....
La battaglia perduta della Chiesa

di Danièle Hervieu-Léger*

in “Le Monde” del 13 gennaio 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Il discorso ostile della Chiesa sul “matrimonio per tutti” conferma la sua incapacità di adattamento alle nuove vie della famiglia

Nel dibattito sul matrimonio per tutti, non sorprende che la Chiesa cattolica faccia sentire la sua voce. Sorprende di più che eviti con cura ogni riferimento ad una proibizione religiosa. Per rifiutare l’idea del matrimonio omosessuale, la Chiesa invoca infatti una “antropologia” che la sua “esperienza in umanità” le dà titolo di riferire a tutti gli uomini, e non solo ai suoi fedeli.

Il nocciolo di questo messaggio universale è l’affermazione secondo la quale la famiglia coniugale - costituita da un padre (maschio) e da una madre (femmina) e da figli che essi procreano insieme - è la sola istituzione naturale suscettibile di fornire al rapporto tra coniugi e tra genitori e figli, le condizioni della sua realizzazione.

Assegnando a questa definizione della famiglia una validità “antropologica” invariante, la Chiesa difende in realtà un modello di famiglia che essa stessa ha prodotto. Ha cominciato a dare forma a questo modello fin dai primi tempi del cristianesimo, combattendo il modello romano di famiglia che si opponeva allo sviluppo delle sue imprese spirituali e materiali, e facendo del consenso dei due sposi il fondamento stesso del matrimonio.

Nel modello cristiano del matrimonio - stabilizzato tra il XII e il XIII secolo -, si presuppone che il volere divino si esprima in un ordine della natura, assegnando all’unione il ruolo della procreazione e mantenendo il principio di sottomissione della donna all’uomo. Significherebbe far torto alla Chiesa non riconoscere l’importanza che questo modello ha avuto nella protezione dei diritti delle persone e dello sviluppo di un ideale di coppia fondato sulla qualità affettiva della relazione tra i coniugi. Ma la distorsione operata facendone il riferimento insuperabile di ogni coniugalità umana è così resa solo più palpabile.

Infatti questa antropologia prodotta dalla Chiesa entra in conflitto con tutto ciò che gli antropologi descrivono invece della variabilità dei modelli di organizzazione della famiglia e della genitorialità nel tempo e nello spazio. Nel suo sforzo per tenere a distanza la relativizzazione del modello familiare europeo indotto da questa constatazione, la Chiesa non ricorre solo all’aiuto di un sapere psicanalitico esso stesso costituito in riferimento a quel modello.

Trova anche, nell’omaggio insistente reso al codice civile, un mezzo per dare un sovrappiù di legittimazione secolare alla sua opposizione ad ogni evoluzione della definizione giuridica di matrimonio. La cosa è inaspettata, se si pensa all’ostilità che essa manifestò a suo tempo all’istituzione del matrimonio civile. Ma questa grande adesione si spiega se ci si ricorda che il codice napoleonico, che ha eliminato il riferimento diretto a Dio, ha però fermato la secolarizzazione alla soglia della famiglia: sostituendo all’ordine fondato in Dio l’ordine non meno sacro della “natura”, il diritto si è fatto esso stesso il garante dell’ordine immutabile che assegna agli uomini e alle donne dei ruoli diversi ed ineguali per natura.

Il riferimento preservato all’ordine non istituito della natura ha permesso di affermare il carattere “perpetuo per destinazione” del matrimonio e di proibire il divorzio. Questa estensione secolare del matrimonio cristiano operata dal diritto ha contribuito a preservare, al di là della laicizzazione delle istituzioni e della secolarizzazione delle coscienze, l’ancoraggio culturale della Chiesa in una società nella quale non le era concesso dire la legge in nome di Dio nell’ambito politico: l’ambito della famiglia restava infatti l’unico sul quale poteva continuare a combattere la problematica moderna dell’autonomia dell’individuo-soggetto.

Se la questione del matrimonio omosessuale può essere considerata come il luogo geometrico dell’esculturazione della Chiesa cattolica nella società francese, è dovuto al fatto che tre movimenti convergono in questo punto per dissolvere i residui di affinità elettiva tra la problematica cattolica e quella secolare del matrimonio e della famiglia.

Il primo di questi movimenti è l’estensione della rivendicazione democratica al di fuori della sola sfera politica: una rivendicazione che raggiunge la sfera dell’intimità coniugale e della famiglia, che fa valere i diritti imprescrittibili dell’individuo rispetto ad ogni legge data dall’alto (quella di Dio o quella della natura) e rifiuta tutte le disuguaglianze fondate in natura tra i sessi.

Da questo punto di vista, il riconoscimento giuridico della coppia omosessuale si inserisce nel movimento che - dalla riforma del divorzio alla liberalizzazione della contraccezione e dell’aborto, dalla ridefinizione dell’autorità genitoriale all’apertura dell’adozione alle persone celibi/ nubili - ha fatto entrare la problematica dell’autonomia e dell’uguaglianza degli individui nella sfera privata.

Questa espulsione progressiva della natura fuori dalla sfera del diritto è essa stessa resa irreversibile da un secondo movimento, che è la rimessa in discussione dell’assimilazione, acquisita nel XIX secolo, tra l’ordine della natura e l’ordine biologico. Questa assimilazione della “famiglia naturale” alla “famiglia biologica” si è iscritta nella pratica amministrativa e nel diritto.

Da parte della Chiesa, lo stesso processo di biologizzazione è sfociato, in funzione dell’equivalenza stabilita tra ordine della natura e volere divino, nel far coincidere, in maniera molto sorprendente, la problematica teologica antica della “legge naturale” con l’ordine delle “leggi della natura” scoperte dalla scienza. Questo schiacciamento rimane al principio della sacralizzazione della fisiologia che segna le argomentazioni pontificie in materia di proibizione della contraccezione o della procreazione medicalmente assistita. Ma, all’inizio del XXI secolo, è la scienza stessa che contesta l’oggettività di tali “leggi della natura”.

La natura non è più un “ordine”: è un sistema complesso che unisce azioni e retroazioni, regolarità e incognite. Questo nuovo approccio fa andare in frantumi i giochi di equivalenza tra naturalità e sacralità di cui la Chiesa ha armato il suo discorso normativo su tutte le questioni riguardanti la sessualità e la procreazione. Le resta quindi, come sola legittimazione esogena e “scientifica” di un sistema di proibizioni che ha sempre meno senso nella cultura contemporanea, il ricorso intensivo e disperato alla scienza degli psicanalisti, ricorso più precario e soggetto a contraddizioni, ce ne rendiamo conto, delle “leggi” dell’antica biologia.

La fragilità dei nuovi montaggi sotto cauzione psicanalitica attraverso i quali la Chiesa fonda in assolutezza la sua disciplina dei corpi viene messa in luce dalle evoluzioni della famiglia coniugale stessa. Perché l’avvento della “famiglia relazionale” ha, in poco più di mezzo secolo, fatto prevalere il primato della relazione tra gli individui sul sistema di posizioni sociali fondate sulle differenze “naturali” tra i sessi e le età.

Il cuore di questa rivoluzione, nella quale il controllo della fecondità ha una parte immensa, è la separazione del matrimonio dalla filiazione, e la correlativa pluralizzazione dei modelli familiari composti e ricomposti. Il diritto di famiglia ha omologato questo fatto importante e ineluttabile: ormai non è più il matrimonio che fa la coppia, è la coppia che fa il matrimonio.

Questi tre movimenti - uguaglianza dei diritti fin nell’ambito intimo, decostruzione del supposto ordine della natura, legittimità dell’istituzione ormai fondata sulla relazione degli individui - si cristallizzano insieme in una esigenza irreprimibile: quella del riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso, e del loro diritto, tramite l’adozione, di formare una famiglia.

Di fronte a questa esigenza, le argomentazioni sostenute dalla Chiesa - fine della civiltà, perdita di punti di riferimento fondativi dell’umano, minaccia di dissoluzione della cellula familiare, indifferenziazione dei sessi, ecc. - sono le stesse che furono usate, a suo tempo, per criticare l’impegno professionale delle donne al di fuori del focolare domestico o per combattere l’instaurazione del divorzio consensuale.

È poco probabile che la Chiesa possa, con questo tipo di armi, arginare il corso delle evoluzioni. Oggi, o domani, l’evidenza del matrimonio omosessuale finirà per imporsi, in Francia come in tutte le società democratiche. Il problema non è sapere se la Chiesa “perderà”: essa ha già perduto - molto al suo interno, e anche nella gerarchia lo sanno.

Il problema più cruciale che essa deve affrontare è quello della propria capacità di produrre un discorso che possa essere ascoltato sul terreno stesso degli interrogativi che si pongono sulla scena rivoluzionata della relazione coniugale, della genitorialità e del rapporto familiare. Quello, ad esempio, del riconoscimento dovuto alla singolarità irriducibile di ogni individuo, al di là della configurazione amorosa - eterosessuale o omosessuale - nella quale è impegnato.

E ancora quello dell’adozione, che, da parente povero della filiazione qual era, potrebbe diventare al contrario il paradigma di ogni genitorialità, in una società, in cui, indipendentemente dal modo in cui lo si fa, la scelta di “adottare il proprio figlio”, e quindi di impegnarsi nei suoi confronti, costituisce la sola difesa contro le perversioni possibili del “diritto ad avere un figlio”, che minacciano le coppie eterosessuali non meno delle coppie omosessuali. In questi diversi ambiti, ci aspettiamo una parola rivolta a persone libere. Il matrimonio omosessuale non è certo la fine della civiltà. Ma potrebbe costituire una pietra miliare drammatica quanto lo fu l’enciclica Humanae Vitae nel 1968 nel cammino verso la fine del cattolicesimo in Francia, se il discorso della Chiesa rimane solo quello della proibizione. E questa non è un’ipotesi solo teorica.

*Danièle Hervieu-Léger
- Sociologa, Directrice d’études alla EHESS (Ecole des hautes études en sciences sociales). Ha diretto dal 1993 al 2004 il Centro di studi interdisciplinari dei fatti religiosi (CNRS/EHESS) e ha presieduto l’EHESS dal 2004 al 2009.
- Ha pubblicato, tra l’altro: "Vers un nouveau christianisme" (éd. Cerf, 2008), "Le Retour à la nature" (éd. de l’Aube, 2005) e "Catholicisme, la fin d’un monde" (Bayard, 2003)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/1/2013 13.19
Titolo:«un attentato alla famiglia». «tutti nati da un uomo e una donna»....
Nozze gay, 300.000 no a Parigi

di Marco Mongiello (l’Unità, 14 gennaio 2013)

Il progetto di legge del Governo socialista di Francois Hollande su matrimoni e adozioni omosessuali scatena la protesta della destra e della chiesa francese. Ieri centinaia di migliaia di persone hanno sfilato per le strade di Parigi dietro un grande striscione con scritto «tutti nati da un uomo e una donna».

Tra i manifestanti, 340.000 per la polizia, 800.000 per gli organizzatori, diversi rappresentanti della chiesa francese, della destra dell’Ump, tra cui il neopresidente Jean-François Copé, e dell’estrema destra del Front National, anche se mancava la leader Marine Le Pen. In un corteo separato hanno sfilato anche gli integralisti cattolici dell’associazione Civitas. «Un padre e una madre, è elementare» recitavano alcuni cartelli.

Già prima di vincere le elezioni presidenziali a maggio Hollande aveva promesso una legge su matrimoni gay e adozioni. In Francia dal 1999 esistono le unioni civili, i cosiddetti Pacs (Pacte civil de solidarité), che però non garantiscono gli stessi diritti dei matrimoni e soprattutto non permettono le adozioni.

Per questo lo scorso 7 novembre il Governo ha varato il disegno di legge «Matrimonio per tutti», preparato dal ministro della giustizia Christiane Taubira, che dovrà iniziare ad essere discusso dal Parlamento a maggioranza socialista il prossimo 29 gennaio. Alcuni deputati socialisti avrebbero voluto inserire anche delle misure sulla procreazione assistita, ma alla fine l’esecu tivo ha deciso di rimandare la questione. Contro la legge però si è levata l’opposizione della chiesa, che considera il progetto di legge «un attentato alla famiglia».

Anche ieri l’arcivescovo di Parigi e presidente della Conferenza episcopale francese, il cardinale André Vingt-Trois, ha dato il suo «sostegno e incoraggiamento» ai manifestanti. Alla sua battaglia si sono uniti il gran rabbino di Francia, Gilles Bernheim, il rettore della grande moschea di Parigi, Dalil Boubakeur, e il presidente della federazione protestante di Francia, Claude Baty. La destra dell’Ump, dopo un primo momento di esitazione, ha deciso di cavalcare il movimento. La manifestazione è «un test per Hollande perché si vede chiaramente che in Francia di sono milioni di francesi che probabilmente sono preoccupati per questa riforma - ha dichiarato ieri il presidente dell’Ump Jean-François Copé - non si può imporre dall’alto senza alcun dibattito un progetto che sconvolge profondamente l’organizzazione della famiglia in Francia da un punto di vista giuridico».

«LA MANIF POUR TOUS»

A rispondere è stata la ministra degli Affari sociali, Marisol Touraine, secondo la qualei «indubbiamente ci sono stati meno manifestanti di quanto speravano gli organizzatori». Quanto alla legge sui matrimoni omosessuali, ha aggiunto il ministro, «è un impegno del presidente della Repubblica. Si tratta di far fare un progresso molto significativo alla nostra società riconoscendo l’uguaglianza di tutti». In serata un comunicato dell’Eliseo ha fatto sapere che nonostante la manifestazione «consistente» il Governo non modifica la sua volontà di avere un dibattito al Parlamento per permettere il voto sul progetto di legge. Il17 novembre il movimento contrario alle nozze gay aveva tenuto una prima manifestazione con 70.000 persone a Parigi e altre 30.000 in altre città della Francia.

L’associazione che tiene le fila dell’organizzazione si chiama «La Manif Pour Tous», la manifestazione per tutti, parafrasando il nome della legge di Hollande. A guidarla è un personaggio televisivo cattolico, conosciuta con il nome d’arte Frigide Barjot, un giovane omosessuale ateo fondatore dell’associazione «Plus Gay Sans Mariage», Xavier Bongibault, e un’insegnante che dice di aver votato per Hollande e di essere di sinistra, Laurence Tcheng, che ha dato vita al suo movimento «La Gauche Pour Le Mariage Républicain».

Gli organizzatori ci tengono a prendere le distanze dall’estrema destra dei cattolici integralisti. «Avevamo chiesto alle autorità di farli sfilare dall’altra parte della Senna ma non ci hanno ascoltato», ha precisato all’Unità Caroline Bernot, una portavoce dell’associazione. «Noi chiediamo al governo un vero dibattito o un referendum - ha spiegato - nel diritto francese la famiglia è un’istituzione e non ha senso sposare due persone dello stesso sesso».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/1/2013 13.37
Titolo:Spagna. Legge è entrata nel costume ...
In Spagna, nonostante l’opposizione della Chiesa, la legge è entrata nel costume

di Sandrine Morel

in “Le Monde” del 13 gennaio 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Sette anni e 23 000 matrimonio omosessuali dopo, che cosa resta del dibattito sulle unioni tra persone dello stesso sesso che aveva scosso la Spagna, al tempo del voto sulla legge, nel 2005? “Nulla”, dichiara decisamente la presidentessa della Federazione lesbiche, gay, transessuali e bisessuali (FELGTB), Boti Garcia, che parla oggi di “normalizzazione assoluta”.

Circa il 70% degli spagnoli sono oggi favorevoli al matrimonio gay rispetto al 60% in occasione del voto sulla legge. Le unioni si celebrano in pace, come le adozioni di figli da parte di coppie omo. E la battaglia giudiziaria è stata richiusa con la risoluzione del Tribunale costituzionale, il 6 novembre 2012, a favore del “matrimonio egualitario”. Ma il percorso fu seminato di trappole. Nel 2003 le organizzazioni gay e lesbiche cominciano la lotta presentando delle richieste di matrimonio gay nei comuni. Per parlare ad una sola vice, si uniscono in seno ad una stessa piattaforma, la FELGTB.

Nei mesi precedenti le elezioni del marzo 2004, fanno pressione sul partito socialista, allora all’opposizione, per “trasmettere l’idea che non eravamo cittadini differenti e che di conseguenza non dovevamo avere diritti differenti”, spiega la signora Garcia. Ottengono che il provvedimento figuri nel programma elettorale di José Luis Rodriguez Zapatero.

Una volta eletto, il giovane presidente si affretta a mantenere la promessa fatta in campagna elettorale: uno schema di progetto di legge viene redatto alla fine del 2004. L’idea è di effettuare una semplice sostituzione nel codice civile dei termini che definiscono il matrimonio come l’unione di un uomo e di una donna con la parola “coniugi”. “La cosa più bella di questa legge è che è esattamente la stessa del resto della società”, assicura la signora Garcia. Nel marzo 2005, il testo comincia, tra vive polemiche, il suo percorso legislativo.

La Chiesa, che gode ancora di un potere e di un’influenza considerevole, utilizza tutti gli strumenti in suo possesso per impedirne l’approvazione. Ma il governo socialista non si lascia impressionare. Né dai volantini distribuiti durante le messe o dalle petizioni firmate all’uscita dalle scuole cattoliche. Né da certi giudici che paragonano pubblicamente il matrimonio gay ad un’unione tra un uomo e un animale. E neanche dalla manifestazione massiccia del 18 giugno 2005 che riunisce a Madrid 1,5 milioni di persone secondo gli organizzatori, 180 000 secondo la polizia.

Convocata dall’associazione ultraconservatrice e cattolica Forum delle famiglie, vi partecipano anche vescovi accanto a rappresentanti di peso del Partito popolare (oggi al potere), tra cui gli attuali ministri dell’agricoltura, Miguel Angel Arias Canete o delle infrastrutture, Ana Pastor. La signora Garcia se ne ricorda come se fosse ieri. “I vescovi con la loro tonaca nera e la croce che brillava al sole, traspiravano omofobia, racconta ancora scossa. In piazza Colon, hanno fatto salire sul palco anche dei bambini, contro i nostri diritti...”

Nonostante queste pressioni, il 30 giugno 2005, la Spagna diventa il terzo paese europeo a legalizzare il matrimonio gay, dopo i Paesi Bassi e il Belgio. La legge viene votata con 187 voti a favore e 147 contrari. L’11 luglio viene celebrato il primo matrimonio tra due uomini. Tuttavia gli attacchi continuano. La Conferenza episcopale spagnola moltiplica le critiche e dal Vaticano l’ex presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, il cardinale colombiano Alfonso Lopez Trujillo, invita i funzionari municipali a non sposare le coppie omosessuali. Mentre diversi giudici, invocando una “impossibilità morale” o mettendo in discussione la costituzionalità del testo, rifiutano di scrivere i matrimoni gay nel registro civile.

Una cinquantina di deputati del Partito Popolare decidono in settembre di deporre un ricorso davanti al Tribunale costituzionale, facendo planare sulle unioni già celebrate una spada di Damocle. “Per sei anni, abbiamo vissuto in un’insicurezza immensa, non solo delle nostre coppie, ma dei nostri figli”, sottolinea la signora Garcia. Nel novembre 2012, il tribunale ha chiuso il dibattito.

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Titolo articolo : Chiudere Guantanamo!,di Patrick Boylan

Ultimo aggiornamento: January/14/2013 - 07:51:56.

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Autore Città Giorno Ora
Giorgio Locatelli Vercurago 14/1/2013 07.51
Titolo:Guantanamo
caro Obama
non è forse giunta l'ora di mantenere la promessa? Va bene che le elezioni sono passate e non potrai più essere rieletto, ma come la mettiamo con il rispetto dei più elemntari diritti umani di cui fai il paladino, più con gli Americani che con il resto del mondo?

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Commenti Articolo 632

Titolo articolo : Un pitone abbandonato ad Avellino,di Giuseppe Fanelli

Ultimo aggiornamento: January/14/2013 - 07:47:20.

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Autore Città Giorno Ora
Giorgio Locatelli Vercurago 14/1/2013 07.47
Titolo:Il pitone abbandonato ad Avellino
Un'altra dimostrazione di ignoranza e mancanza totale di cultura e sensibilità!

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Commenti Articolo 633

Titolo articolo : ABATE BENEDETTINO SVIZZERO: NELLA CHIESA LA CENERE HA ORMAI SPENTO IL FUOCO,da Adista Notizie n. 1 del 12/01/2013

Ultimo aggiornamento: January/13/2013 - 21:41:56.

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Autore Città Giorno Ora
ugo agnoletto ponte della priula 13/1/2013 21.41
Titolo:capisco tutto, ma è già troppo tardi
capisco tutto, ma è già troppo tardi. La gerarchia ha fatto le sue scelte, ha i suoi metodi, è arroccata sulle sue posizioni intransigenti, ha chiuso il dialogo con i teologi. Chi si poneva interrogativi come quelli esposti nell'articolo, ha già fatto le sue scelte, cioè è uscito. Forse mai come oggi Dio tace, perché comunque non viene ascoltato.

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Titolo articolo : QUALE BATTESIMO? QUELLO DEL FIGLIO DI "ADAMO ED EVA" O DI "MARIA E GIUSEPPE"? Una nota di don Giuseppe Dossetti - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January/13/2013 - 18:41:44.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/1/2013 12.57
Titolo:GENITORIALITA' SECONDO LO SPIRITO, NON SECONDO NATURA
"I bambini crescono bene anche nelle famiglie gay"

la svolta della Cassazione

di Elsa Vinci (la Repubblica, 12 gennaio 2013)

Basta pregiudizi. «Un bambino può crescere in modo sano ed equilibrato anche con una coppia omosex, non vi sono certezze scientifiche o dati di esperienza che provino il contrario». La sentenza, definita «storica» dall’Arcigay, è quella con cui la Corte di Cassazione ha legittimato l ’affido di un bimbo a una coppia formata da due donne. La presidente della prima sezione civile, Maria Gabriella Luccioli, aveva aperto il solco della giurisprudenza nel marzo dell’anno scorso, quando sancì che «i gay hanno diritto a una vita familiare». Adesso afferma quanto «il mero pregiudizio possa essere dannoso per lo sviluppo di un minore».

Così è stato respinto il ricorso di un padre musulmano. L’uomo, un egiziano che vive a Brescia, si era rivolto alla Suprema Corte per contestare la sentenza d’appello che nel luglio 2011 aveva affidato la figlia alla ex compagna. Il padre lamentava che la donna fosse andata a vivere con una assistente sociale della comunità per tossicodipendenti in cui, anni prima, era andata a disintossicarsi. «Non è idoneo per mia figlia essere educata in un contesto formato da due donne legate da una relazione omosessuale», contestava. Proprio lui che si era allontanato dalla bimba quando aveva solo 10 mesi, si è messo a invocare l’articolo 29 della Costituzione e, sottolineando di essere musulmano, il diritto del minore ad essere educato secondo i principi religiosi di entrambi i genitori.

La Corte gli ha ricordato che con la sua condotta violenta - aggrediva l’ex compagna - è stato lui piuttosto a turbare la figlia. Poi si è sottratto agli incontri protetti con la piccola e ha assunto «un comportamento non improntato a volontà di recupero e poco coerente con la richiesta di affidamento condiviso». Sulla relazione omosessuale dell’ex convivente, la Cassazione ha sottolineato come «alla base delle doglianze del ricorrente non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza, ma solo mero pregiudizio». Insomma «si è dato per scontato ciò che invece è da dimostrare». Maria Gabriella Luccioli, prima donna a essere nominata presidente di sezione della Suprema Corte, è nota per importanti innovazioni nel diritto di famiglia.

Esultano le associazioni omosex, ma restano divisi i politici. E c’è lo sconcerto della Conferenza episcopale: «Non si può costruire una civiltà sui tribunali», dice monsignor Domenico Sigalini, presidente della commissione Cei per il Laicato. Scontate le critiche di Carlo Giovanardi e Maurizio Gasparri del Pdl, ma da un altro esponente del Popolo della libertà, Giancarlo Galan, arriva un giudizio opposto. «Questa sentenza è un passo avanti - dice - Perché lo Stato laico deve ascoltare i cittadini e nessun altro».

Per Ignazio Marino, del Pd, la Corte ha sancito un principio di civiltà: «La capacità di crescere un figlio non è prerogativa esclusiva della coppia eterosessuale ma riguarda anche gli omosessuali e i single. L ’importante è che l’adozione venga disposta nell’interesse del minore». Non è favorevole il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, che auspica però «maggiore tutela per le coppie di fatto». Contrario anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che nello specifico tuttavia giudica la sentenza «sacrosanta». Medici e specialisti invitano a valutare di volta in volta ma il Movimento italiano genitori invoca «i principi di natura». Mentre la polemica si infiamma, le associazioni omosessuali chiedono alla futura maggioranza di legiferare in merito.

In Europa l’adozione per gli omosessuali è legale in diversi paesi: Gran Bretagna, Spagna, Svezia, Belgio, Olanda. Nel 2008 la Corte di Strasburgo ha stabilito infatti che anche i gay hanno diritto alla genitorialità, lasciando ai paesi dell’Unione la libertà di decidere. Le legislazioni restano molto diverse.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/1/2013 13.56
Titolo:L'INTERESSE DEL BAMBINO ....
L’interesse del bambino

di Carlo Rimini (La Stampa, 12 gennaio 2013)

Leggendo in controluce la sentenza della Cassazione depositata ieri, si vedono immagini di profonda sofferenza. Sono frammenti interrotti: non un racconto dettagliato, perché la Cassazione non ha il compito di ricostruire i fatti, ma solo quello di interpretare il diritto e applicarlo ai fatti già accertati nei precedenti gradi del giudizio.

Le parti sono i genitori non sposati di un bambino. La madre è stata tossicodipendente ma ha superato il suo problema con l’aiuto di un’altra donna alla quale si è legata fino ad iniziare con lei una convivenza, scoprendo una nuova dimensione della propria sessualità.

In un altro fotogramma la Cassazione descrive la sofferenza e la rabbia del bambino che ha assistito alla violenta aggressione del padre verso la compagna e convivente della madre: l’uomo non poteva accettare, anche per ragioni culturali e religiose, che suo figlio crescesse con due donne e non ha trattenuto le mani.

Il tribunale ha cercato di raccogliere i cocci: ha previsto che il padre e il bambino potessero incontrarsi solo alla presenza degli operatori dei servizi sociali fino a che il bambino non avesse riacquistato fiducia nel papà e quest’ultimo non avesse dato prova di saper controlla la sua ira.

Ma il padre non si è adeguato al progetto e si è rivolto alla corte d’appello: due donne, ha affermato, non possono crescere suo figlio. E perché no? Il giudice valuta solo l’interesse del bambino sulla base dei fatti e cerca di proteggerlo da ciò che può compromettere la sua serenità.

L’unica cosa che è apparsa sicura al giudice è che un padre rabbioso che alza le mani contro una donna di fronte a suo figlio non è un genitore idoneo. La convivenza omosessuale della madre non è in sé rilevante, sino a che non si traduce in comportamenti dannosi per il bambino. Lo stesso principio era già stato affermato dal tribunale di Napoli nel 2006 e dal tribunale di Bologna nel 2008. La corte d’appello ha quindi confermato la sentenza del tribunale e ha affidato il bambino alla mamma.

Il padre, non convinto, si è rivolto alla Cassazione. Ma nel nostro ordinamento, l’accertamento dell’interesse del minore è una valutazione dei fatti riservata ai giudici di primo e di secondo grado, la cui valutazione non può essere modificata dalla Cassazione. L’esito era quindi scontato: il ricorso è inammissibile. La madre non si è neppure curata di difendersi.

È tuttavia interessante la motivazione della sentenza della Cassazione: non si limita a dire - come generalmente avviene in questi casi - che il padre ha chiesto una nuova valutazione dei fatti, improponibile dopo la sentenza d’Appello, ma sottolinea che la tesi per cui la crescita di un bambino in una famiglia composta da due donne legate da una relazione omosessuale non garantisce lo sviluppo di un bambino non è sorretta da certezze scientifiche o dati di esperienza, ma si basa sul mero pregiudizio.

Sono parole che hanno un peso, soprattutto considerando che il dibattito sui diritti degli omosessuali e sul loro rapporto con i figli è di grande attualità e non solo in Italia.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/1/2013 18.55
Titolo:GUARDARE AVANTI ...
Il battesimo, la confermazione della fede e la chiamata universale al sacerdozio (LG I, 11a)


“Quando trovo la forza di seppellire il passato e di guardare avanti, lo posso fare solo radicandomi nel mio battesimo: è questo Sacramento che mi dà la forza. E voglio citare un bel testo di Roger Schutz, fratel Roger, fondatore delle Comunità di Taizè, un uomo di 77 anni, che lascia trasparire dalle parole, dagli occhi, dalla preghiera la vita nuova battesimale.

Egli scrive: «Mi chiedi talvolta dove sia la sorgente, dove sia la gioia della speranza. Ti risponderò: tutto il tuo passato, perfino l’istante appena trascorso, è già sepolto, sommerso con Cristo nell’acqua del tuo Battesimo. Non volgere lo sguardo indietro; in ciò consiste una parte della libertà del cristiano che è la libertà di correre avanti. Rinuncia a guardare indietro. Se la tua immaginazione ti presenta l’immagine distruttrice del passato, sappi che Dio non ne tiene più conto, e questo anzitutto in grazia del Battesimo e poi in grazia del sacramento della Penitenza, che rinnova in noi la prima grazia di purificazione».

Quindi, ogni volta che trovo la forza di seppellire il mio passato e di guardare avanti, attualizzo il mio Battesimo.”

(C.M.Martini)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/1/2013 22.38
Titolo:Qual è il bene che va tutelato ...
- Qual è il bene che va tutelato
- Giusta la decisione della Cassazione se tutela il bene del bambino

- di Silvia Vegetti Finzi Corriere della Sera, 12 gennaio 2013)

Per un bambino è meglio crescere con un papà e una mamma. Ma ciò non autorizza, in situazioni diverse, a intervenire nella sua vita con provvedimenti violenti.

La questione dell’omosessualità, a lungo considerata una colpa o una malattia, sta subendo una radicale trasformazione. Riconosciuta coma un’inclinazione sessuale, né immorale né patologica, si sta ridefinendo come una modalità relazionale, come uno scambio di sentimenti e comportamenti che coinvolgono altri, che non necessariamente condividono la medesima inclinazione.

Questa prospettiva rende il problema più complesso ma al tempo stesso impedisce di appellarsi a principi astratti e impersonali, lontani dalla realtà, che è sempre particolare e contingente. Fermo restando che per un bambino è meglio crescere con un papà e una mamma, ciò non autorizza, in situazioni diverse, a intervenire nella sua vita con provvedimenti violenti, che frantumano il fragile tessuto dei legami affettivi.

Non sempre una relazione di coppia prosegue così com’era iniziata, capita che, per motivi non sempre comprensibili, si interrompa e che il figlio sia posto di fronte a un bivio esistenziale.

In questo caso le posizioni dei genitori sono molto diverse: l’uomo che si è rivelato violento e incapace di mantenere relazioni paterne, mentre la madre ha sempre tenuto accanto a sé il figlio, convivendo con l’assistente sociale conosciuta nella comunità in cui si era precedentemente disintossicata. Per questo le era stato concesso l’affidamento esclusivo del bambino.

Affidamento contestato dal padre soprattutto in nome della religione musulmana che non ammette figli educati da coppie omosessuali.

Ma i giudici della Cassazione hanno preso in considerazione il bene del minore. Un bene, che non consiste nei diritti dei genitori, e neppure in una situazione familiare formalmente «normale», ma nella possibilità di crescere e di realizzare le sue potenzialità.

È sempre accaduto che, in determinate circostanze, i bambini siano stati accuditi e amati da due donne. E di solito se la sono cavata piuttosto bene. Su questa constatazione si basa la decisione dei giudici di salvaguardare, anche in condizioni difficili, il benessere del bambino, ma non solo. La pretesa del padre è stata rigettata perché l’uomo «non ha fornito alcuna specificazione delle ripercussioni negative... dell’ambiente familiare in cui il minore vive presso la madre».

La sentenza afferma quindi l’opportunità di valutare la situazione concreta e di mettere al primo posto l’interesse del figlio, a scapito delle affermazioni di principi generali e astratti, incapaci di cogliere gli aspetti vitali di alcune relazioni parentali.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/1/2013 17.20
Titolo:IL BATTESIMO DI GESU'
Lc 3,15-16.21-22:

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».

Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/1/2013 18.41
Titolo:Meglio una famiglia arcobaleno che un solo genitore...
Ma i ragazzi crescono meglio in una famiglia arcobaleno che con un solo genitore

di Massimo Ammaniti (Corriere della Sera, 13 gennaio 2013)

Oggi la famiglia tradizionale, ad esempio quella della Vienna asburgica descritta da Sigmund Freud, non rappresenta più il modello dominante: è sempre più frequente che un genitore single si occupi dell’educazione dei figli o più spesso dell’unico figlio oppure si creino famiglie ricomposte in cui convivono figli di precedenti legami con quelli nati dalla relazione attuale. È evidente che la tradizionale divisione dei ruoli si modifichi sostanzialmente: il genitore singolo può fare da padre e da madre allo stesso tempo oppure nelle famiglie ricomposte non è detto che il nuovo partner del genitore sia disposto a svolgere un ruolo genitoriale.

Questa breve premessa per dire che il mondo della famiglia deve essere visto con occhi nuovi e il dibattito su coppie gay o lesbiche dovrebbe necessariamente tener conto di questi cambiamenti.

Si tratta di un terreno scivoloso, infatti nelle proprie convinzioni intervengono modelli mentali profondamente introiettati durante l’infanzia nella propria famiglia oppure si fa riferimento a teorie psicologiche nate in un contesto culturale e sociale del passato. Come viene ribadito dalla sentenza di questi giorni della Cassazione, il dibattito non può non tenere conto dei dati di ricerche svolte in questo ambito, anche perché in altri Paesi si sono accumulate esperienze consistenti di famiglie di coppie omosessuali con figli.

In un recente articolo del 2011 pubblicato su una rivista francese, «Encephale», viene riferito che in Francia vi sono circa 200-300 mila bambini che vivono in famiglie omosessuali e pertanto servirebbero indagini più approfondite per valutare lo sviluppo dei bambini che crescono in queste famiglie.

Gli studi che sono stati effettuati fino ad ora, soprattutto negli Stati Uniti, mettendo a confronto famiglie di coppie omosessuali con quelle eterosessuali hanno messo in luce che i bambini di coppie omosessuali mostrano uno sviluppo psicologico non diverso dagli altri bambini. E questo non riguarda solo le capacità di socializzazione o il funzionamento affettivo ma anche la costruzione dell’identità di genere, ambito in cui potrebbero emergere maggiori difficoltà.

Gli studi non si fermano solo ai primi anni di vita dei bambini, che sono stati seguiti anche durante l’adolescenza, quando si sviluppa e si stabilizza l’orientamento sessuale e la stessa identità personale dei ragazzi. Anche in questo periodo non emergono differenze rilevanti e non sembrano emergere confusioni dell’identità di genere.

Sicuramente è ancora troppo presto per affermare che i bambini cresciuti in famiglie di coppie omosessuali non abbiano difficoltà in quanto questi studi devono essere replicati anche in gruppi più grandi utilizzando metodiche di indagine più approfondite. Tuttavia emergono fin da ora risultati abbastanza rassicuranti sullo sviluppo dei bambini di coppie omosessuali, che mostrano un funzionamento migliore dei bambini cresciuti in famiglie con un solo genitore.

Da queste osservazioni ci si può chiedere se sia realmente necessaria la presenza di un padre e di una madre in carne ed ossa o se non siano più significativi in famiglia modelli identificativi paterni e materni.

Questo tema era stato sviluppato in passato dallo psicoanalista Franco Fornari che aveva parlato di due codici simbolici, quello paterno e quello materno, che interverrebbero nella costruzione della personalità.

Mentre il codice materno è rappresentato dal principio di appartenenza, ossia la dimensione mentale di cura, di condivisione affettiva e di protezione soprattutto nei momenti di difficoltà, il codice paterno al contrario si basa sul riconoscimento delle capacità e dell’efficienza, sul sostegno dell’autonomia e dell’indipendenza favorendo in questo caso l’esplorazione e l’affermazione personale.

I due codici convivono in ognuno di noi, con una maggiore espressività, ma non sempre, del codice materno nelle donne e di quello paterno negli uomini, anche se ci sono esempi assolutamente contrastanti.

Ritornando alle coppie lesbiche o gay i due codici possono essere maggiormente personificati in uno o nell’altro partner, creando una dinamica di significati simbolici che vengono internalizzati dal bambino. Si tratta evidentemente di un’ipotesi ma che potrebbe spiegare perché i bambini di coppie omosessuali crescono adeguatamente raggiungendo una propria identità sessuale matura.

*Professore di Psicopatologia dello sviluppo all’Università La Sapienza di Roma

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Titolo articolo : Resistere alle lusinghe dell'impero,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: January/13/2013 - 18:01:00.

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Autore Città Giorno Ora
Renzo Coletti Genova 13/1/2013 18.01
Titolo:
Caro Giovanni,
un giorno forse troverò le forze per recarmi in chiesa, nella mia parrocchia e diffondere uno dei tuoi editoriali. Mi domando spesso che effetto avrebbe un mio intervento durante la messa, un grido di sdegno, una preghiera mai udita da parrocchiani decerebrati e bigotti, un verbo sconosciuto, una bestemmia per orecchie corrotte dal dogma.
Poi mi torna alla mente uno dei tanti episodi della mia vita, uno di quelli che ti restano impressi perchè assurdi e stravaganti; mi trovavo in ospedale,come ormai mi capita di frequente, un mio vicino di letto, vista la mia condizione di cieco, mi chiese se avevo provato ad andare a Lourdes, anzi mi disse se avevo provato con Lourdes (come se fosse una medicina). Vedi caro amico, quando ripenso a questa cosa, ma ve ne sono tante altre, mi dico che il mio tentativo in parrocchia di diffondere il tuo editoriale, oppure il mio desiderio di intervenire nel bel mezzo della messa della Domenica, sono pure fantasie di un cervello malato di idealismo e che quelli come me o te, sono mosche bianche che danno solo fastidio.
Tu hai il tuo giornale, io ho il mio spazio vitale tra un ristretto numero di persone, un piccolo spazio che tu amplifichi con la tua generosità di oggi e la tua onestà e generosità di ieri, quando pubblicavi i miei articoli, ma cosa siamo riusciti a creare insieme? Vado avanti nella lettura della tua rivista, leggo cose che mi sorprendono, altre che mi fanno mettere le mani ai capelli. Il mondo cattolico è un mondo chiuso, una realtà che vive di illusione, di perbenismo di facciata, di ipocrisia, di falsità, un mondo che ha sempre sputato su ciò che era altro dal suo modo di essere, un mondo razzista, fanatico, incapace di venire a patti con qualsiasi altra realtà, ma spesso si è camuffato in operatore di pace, in messaggero di tolleranza, si è aperto al dialogo, ma gratta gratta, poi ti chiede all'improvviso se hai provato ad andare a Lourdes per verificare se la Madonna , non si sa mai, ha deciso di miracolarti e darti la vista.
Ho militato nel partito comunista per anni, ho fatto il sindacalista nella CGIL e conosco la mentalità dei vecchi compagni, beh… non è molto diversa da quella dei cattolici, sono entrambi ottusi e lo saranno sempre, è come parlare di destra e sinistra o di centro, una buffonata. Non esiste più nessuna destra e nessuna sinistra, non esiste neppure più un governo nazionale, non esiste un parlamento con dei poteri in tutta Europa; gli ordini vengono dati dai banchieri e finanzieri internazionali, dalle multinazionali ed in Italia, in particolar modo, dagli americani che ci hanno occupato in tutti i sensi possibili ed immaginabili.
Abbiamo due imperi che ci dominano: uno è quello anglo-americano sionista, l'altro è quello Vaticano.
Se un giorno ci libereremo dagli imperi è solo perchè si sgretoleranno e noi risorgeremo dalle loro macerie, oggi non vediamo la divisa del nemico, non possiamo identificarlo; quella che indossa il Vescovo, il Cardinale, il prete, il Papa, la considriamo qualcosa che appartiene alla nostra cultura, quindi una cosa da accettare o al massimo da trasformare. Siamo così sempre gli stessi schiavi, gli stessi cattolici benpensanti, nè più nè meno come i vecchi compagni sono ancora di sinistra, lo saranno sempre, senza mai capire niente, senza mai accettare niente, senza mai comprendere la realtà, la Storia, il mondo che li circonda.
Altro che apocalisse, ci vorrebbe un lavaggio del cervello totale e ripartire da zero, forse allora ciò che siamo dicendo verrebbe finalmente compreso.
Però, caro amico, io e te continueremo a dire le stesse cose, a tentare di farci capire, perchè siamo così, siamo noi stessi, siamo la fiaccola dell'utopia, siamo uomini e possediamo una dignità.
Continua così, io ti seguo e ti seguirò sempre, anche se non sono credente, sono molto più cristiano di molti cristiani che si credono tali.
Un abbraccio

Renzo Coletti.

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Commenti Articolo 636

Titolo articolo : NOI E LA TERRA: JURGEN MOLTMANN ALLA RICERCA DI UN NUOVO "BUON-MESSAGGIO". La Terra redenta dall’eco-teologia. Una sua nota - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January/12/2013 - 01:47:45.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/1/2013 01.47
Titolo:ELIZABETH JOHNSON. Dal suo libro, stralci del capitolo sull’ecoteologia.
Parlare di Dio attraverso un linguaggio nuovo. Le ultime frontiere della teologia contemporanea (Adista Documenti n. 1 del 12/01/2013)

DOC-2493. ROMA-ADISTA. Dalla metà del XX secolo, sulla spinta delle nuove sfide poste da drammatici eventi storici e da inediti contesti sociali, la riflessione teologica si è arricchita di nuove visioni di Dio. Ateismo, Shoah, oppressione dei poveri, delle donne e delle minoranze, incontro tra le religioni, crisi ambientale: «Ognuno di questi contesti richiede una nuova comprensione e offre elementi utili riguardo al modo in cui la ricerca può procedere». Comprensione ed elementi che la teologa Elizabeth Johnson, religiosa della congregazione delle Sisters of Joseph e docente di Teologia alla Fordham University di New York, offre nel suo libro Alla ricerca del Dio vivente, appena tradotto e pubblicato da Fazi editore nella collana Campo dei Fiori, diretta da Vito Mancuso (pp. 309, € 16).

Già presidente della Catholic Theological Society of America (Ctsa) e dell’American Theological Society (Ats), di orientamento ecumenico, Elizabeth Johnson - che ha ricevuto numerosi premi, tra cui il John Courtney Murray Award della Ctsa, è stata eletta, nel 2011, “personaggio dell’anno” dal settimanale cattolico statunitense National Catholic Reporter e ha ricevuto, nel 2008, il primo premio della Catholic Press Association per la categoria “teologia accademica” - è diventata, negli ultimi due anni, uno dei simboli della libertà della ricerca teologica contro la chiusura e la censura della gerarchia ecclesiastica.

Nel marzo 2011, infatti, il suo libro, pubblicato nel 2007, è stato giudicato non in accordo con «l’autentica dottrina cattolica» dalla commissione dottrinale della Conferenza episcopale statunitense, presieduta dall’arcivescovo di Washington card. Donald Wuerl (v. Adista nn. 30, 32, 35, 46, 48, 60, 82/2011).

Il libro, assai diffuso e popolare anche tra i non addetti ai lavori e utilizzato come libro di testo in molte università, veniva accusato, nelle 21 pagine del documento dei vescovi, di «minare completamente il Vangelo e la fede di coloro che credono in esso», in particolare per quanto riguarda il tema della Trinità.

Benché nessun provvedimento disciplinare sia stato preso contro la teologa, quest’ultima ha contestato l’assoluta mancanza di un confronto prima di procedere alla “condanna”: «Avrei gradito avviare un dialogo per chiarire i punti critici – aveva affermato – ma non sono mai stata invitata a farlo». Segno di tale mancanza, sosteneva, era anche il fatto che la dichiarazione dei vescovi «fraintende radicalmente ciò che penso e che in realtà ho scritto».

Non è chiaro il motivo per cui il libro sia finito sotto la lente della Commissione dottrinale a tanto tempo dalla pubblicazione. All’epoca in cui uscì, suscitò infatti molti elogi per il fatto di aver offerto nuovi modi di intendere Dio sulla base delle diverse correnti teologiche contemporanee: da quella femminista a quella nera, da quella della liberazione a quella interreligiosa, da quella politica a quella ecologica.

I capitoli ne ripercorrono lo sviluppo e la riflessione, restituendo l’immagine di un Dio trascendente e al tempo stesso immanente, e tracciando, dunque, nuove frontiere, con lo spostamento del focus sui luoghi ai margini del potere dominante, dove Dio si manifesta «nell’amore che libera, più vicino alla storia e al caos del mondo». Queste teologie, afferma Elizabeth Johnson, «dilatano la grazia divina oltre i confini del cristianesimo per abbracciare tutti i popoli e oltre la razza umana per abbracciare l’intero mondo naturale».

Assumendo come punto di partenza il retaggio del teismo moderno, con la sua immagine monolitica di un Dio monarca al vertice assoluto della piramide dell’essere che va in crisi con le sfide poste dalla trasformazione culturale e dai drammatici eventi del XX secolo, la teologa racconta un Dio “vivente”, dai molteplici volti, che attraversa le epoche e può entrare in relazione con circostanze storicamente inedite. Ecco, allora, che le teologie di oggi cercano e trovano questo Dio ognuna percorrendo un diverso tratto del percorso e ognuna rappresentandone l’ultimo capitolo, senza pretese di possesso della verità ma con propri modi di mettersi in relazione con Lui, significativi e soddisfacenti.

Dal Dio crocifisso della Shoah a quello venuto a liberare i poveri, dal Dio che agisce a partire dall’esperienza delle donne a quello che spezza le catene della schiavitù, dal Dio della religiosità popolare latina a quello delle altre religioni, dal Dio creatore in un mondo che si evolve, si giunge, infine, al Dio trinitario: «Se fosse possibile riassumere le loro riscoperte in una sola metafora - spiega Elizabeth Johnson definendo le varie teologie - sarebbe la fede cristiana tradizionale nel fatto che “Dio è amore”».

Di seguito riportiamo ampi stralci del capitolo relativo all’ecoteologia. (ludovica eugenio)




LO SPIRITO CREATORE IN UN MONDO CHE EVOLVE

di Elizabeth Johnson
COLUI CHE DÀ LA VITA

(...) Nelle fotografie scattate dallo spazio, il nostro pianeta sembra una biglia di un blu brillante, circondata da turbini di nuvole bianche. Questo puntino prezioso, fluttuante su uno sfondo di spazio nero infinito, è l'unico tra tutti i pianeti, le lune e gli asteroidi esplorati fino a oggi a essere ricoperto da una membrana vitale. Gli astronauti che hanno visto questa scena con i loro occhi spiegano che ha il potere di trasformare i loro sentimenti più intimi. Sultan bin Salman al-Saud, astronauta saudita che ha fatto parte di un equipaggio internazionale, ricordava: «Il primo giorno ci siamo messi tutti a indicare i nostri Paesi. Il secondo giorno, i continenti. Arrivati al quinto, vedevamo tutti una Terra sola». L'astronauta Rusty Schweigert, che calcò la superficie lunare, osservò che, da quella posizione privilegiata, la Terra è così piccola che la si può nascondere dietro a un pollice. «Poi capisci», rifletté, «che su quella sfera bianca e blu, bellissima e calda, c'è tutto quello che per te conta», tutta la natura, la storia, l'origine e l'amore. E questo ti cambia per sempre.

Dagli anni Sessanta in poi questa immagine è diventata patrimonio comune della popolazione terrestre. È il simbolo di una consapevolezza nuova e sempre più viva del pianeta Terra da parte degli uomini e delle donne di tutto il mondo, una percezione caratterizzata da una dialettica particolarissima. Da un lato, restiamo pieni di stupore di fronte ai complessi meccanismi di questo mondo, scoperti e divulgati dalla scienza contemporanea. Dall'altro, lamentiamo, pieni di angoscia, il modo in cui l'avidità umana sta rapidamente deturpando la natura. In tale contesto bifronte di meraviglia e di sperpero ambientale, i credenti stanno riscoprendo un tema antico, vale a dire la presenza e l'azione dello Spirito di Dio creatore nel mondo naturale.

La teologia degli ultimi secoli non ci viene molto in aiuto nella comprensione di questo aspetto. Intanto, a differenza della teologia ortodossa della Chiesa Greca e Russa, la teologia occidentale moderna ha mortificato la pneumatologia, lo studio dello Spirito. Ha trattato lo Spirito, per usare le parole di Walter Kasper, come la Cenerentola della teologia, che resta a casa a fare i lavori più umili mentre le altre due sorelle vanno al ballo. La teologia moderna ha anche trascurato il mondo naturale quale oggetto di interesse religioso. Ciò è avvenuto a partire dai tempi della Riforma. Prima di allora, Dio, l'umanità e la natura formavano tre pilastri della teologia, uno sgabello a tre gambe che, insieme, abbracciava la riflessione filosofica e teologica cristiana, ebraica e islamica. Tuttavia, il feroce conflitto riguardo alla salvezza, con i protestanti che insistevano a dire che l'opera redentrice di Cristo era efficace per la sola fede, e i cattolici che lo era per la fede e le opere, fece sì che l'attenzione si concentrasse su questo dilemma umano, eliminando dal campo visivo il resto della creazione. Come accade in qualsiasi battaglia, si perse di vista la realtà più ampia. (...).

Rivisitando oggi questo antico tema, dunque, l'ecoteologia è costretta a lavorare contemporaneamente su due fronti, quello dello Spirito e quello della natura. Il Credo niceno offre un indizio laddove identifica lo Spirito come colui che «è Signore e dà la vita», in latino Dominum et vivificantem, “colui che vivifica”, il “Vivificante”. (…).

Il mondo meraviglioso sviluppatosi dal Big Bang e dalla biologia evolutiva, da un lato, e la vulnerabilità della vita sulla Terra, bisognosa di protezione, dall'altro, stanno conducendo l'ecoteologia a percepire la presenza e l'attività dello Spirito in modo nuovo, vale a dire come Dio vivente che è fonte, sostentamento e traguardo di tutto quanto.

IL MONDO NATURALE

La meraviglia

Tenendo presente l'immagine della Terra vista dallo spazio, consideriamo quattro aspetti di questo pianeta e il suo posto nell'universo.

- Primo, l'universo è antichissimo. In termini di miliardi di anni, i numeri chiave sono il 14, il 5 e il 4. L'universo ebbe origine con un'esplosione originaria chiamata, in modo piuttosto prosaico, Big Bang, circa 14 miliardi di anni fa (più precisamente 13 miliardi e 700 milioni di anni fa, secondo l'attuale consenso scientifico). Dalla deflagrazione di quell'istante fino a oggi l'universo ha continuato a espandersi, mentre le galassie e le loro stelle nascevano e morivano. Il nostro sole e i suoi pianeti fecero la loro comparsa circa 5 miliardi di anni fa, prodotti dall'aggregazione del pulviscolo e dei gas liberati dalle precedenti generazioni di stelle esplose nei loro spasmi di agonia. Sul pianeta Terra, circa 4 miliardi di anni fa, ebbe luogo una nuova esplosione, la vita, affacciatasi nelle comunità di organismi monocellulari delle profondità dei mari primordiali ed evolutasi nel milione e più di specie oggi esistenti. Nel suo libro I draghi dell'Eden, Carl Sagan utilizza la scansione di un anno per rappresentare la sequenza degli eventi. Se il Big Bang è avvenuto a Capodanno, il nostro sole e i pianeti sono nati il 9 settembre. La vita sulla Terra ha avuto origine il 25 settembre e i primi esseri umani hanno fatto la loro comparsa il 31 dicembre alle 22,30. (...). Noi esseri umani siamo i neonati dell'universo, quelli appena arrivati.

- Secondo, l'immensità dell'universo è inimmaginabile. Ci sono più di cento miliardi di galassie, ciascuna con miliardi di stelle, e non si sa quante lune e pianeti, e tutta questa materia visibile e udibile è solo un frammento della materia dell'universo che, non essendo conosciuta fino in fondo, è detta “oscura”. La Terra è un piccolo pianeta che orbita intorno a una stella di media grandezza nei pressi dell'estremità di una galassia a spirale. Siamo solo un granellino.

- Terzo, l'universo è completamente interconnesso, tutto è in qualche modo in relazione con tutto il resto. A proposito del colore rosso del sangue, ad esempio, lo scienziato-teologo inglese Arthur Peacocke scrisse: «Ogni atomo di ferro nell'emoglobina del nostro sangue non sarebbe lì se non fosse stato prodotto in una qualche esplosione galattica miliardi di anni fa e se alla fine non si fosse condensato per formare il ferro della crosta terrestre dal quale siamo nati noi». Gli esseri umani e tutte le creature di questo pianeta sono fatti, letteralmente, di polvere di stelle. La storia dell'evoluzione biologica, inoltre, evidenzia che noi umani condividiamo con tutte le altre creature viventi un patrimonio genetico comune che risale agli organismi monocellulari primordiali dei mari antichi. Batteri, pini, mirtilli, cavalli, le imponenti balene grigie: nella grande comunità della vita siamo tutti parenti. (...).

- Quarto, l'universo è profondamente dinamico. Anche mentre leggete queste parole, si sta formando nuovo spazio, dal momento che l'universo continua a espandersi. Le galassie ruotano attorno al loro buco nero centrale; il nostro pianeta compie ogni anno un giro attorno alla nostra stella e ruota ogni giorno intorno al proprio asse; intere specie nascono, crescono e muoiono, così come accade agli individui il cui tempo disegna un arco dalla nascita alla morte. La natura in sé è storica.

Questo dinamismo spiega anche la comparsa della specie umana. Dall'evoluzione del ciclo vitale degli organismi monocellulari fluì una corrente vitale in progressione: creature che vivono in conchiglie, pesci, anfibi, rettili, insetti, fiori, uccelli e mammiferi, tra i quali ebbero origine gli esseri umani, noi primati il cui cervello è strutturato in modo così complesso da consentirci di sperimentare coscienza introspettiva e libertà o, detto in termini intelletto e volontà. La materia, eccitata di energia, evolve nella vita, poi nella coscienza, poi nello spirito (dal sassolino alla pesca, al barboncino, alla persona). Il pensiero e l'amore umano non sono stati iniettati nell'universo dall'esterno, ma rappresentano lo sbocciare in noi di energie profondamente cosmiche, suscitate dal dinamismo propriamente fisico del cosmo, che è già autorganizzato e creativo. In questa epopea, gli umani non sono alieni atterrati in uno strano mondo materiale, ma parte integrante di una storia in evoluzione. Secondo la suggestiva definizione di Sallie McFague, siamo «terricoli», creature che appartengono a questo luogo. Le nostre aspirazioni personali e la nostra creatività culturale racchiudono la vitalità energetica del cosmo stesso; la nostra piccola pepita di tempo storico concentra in sé l'impresa impetuosa ed eccitante in corso nella natura stessa. Tutto questo ci rende distinti ma non separati, un unico filo nel cosmo, ma al tempo stesso un filo del cosmo.

Da un lato, lo stupore. Dall'altro, invece, l'angoscia, perché questa storia è entrata in un nuovo capitolo che costituisce una minaccia per il pianeta che è la nostra casa.

Lo spreco

Noi umani stiamo danneggiando in modo irreversibile e a un ritmo sempre più accelerato il nostro pianeta, mettendo a rischio la sua identità di luogo dove risiede la vita. Sovraconsumo, riproduzione incontrollata, sfruttamento selvaggio delle risorse, aumento spropositato dell'inquinamento stanno rapidamente impoverendo i sistemi vitali di terra, mare e aria. Ogni anno, ad esempio, il 20% della popolazione della Terra che vive nelle nazioni ricche utilizza il 75% delle risorse mondiali e produce l'80% dei rifiuti di tutto il mondo. Un caso esemplare: Chicago, con 3 milioni di abitanti, consuma in un anno tanta materia prima quanto il Bangladesh, che ha una popolazione di 97 milioni. Questo sovraconsumo è il frutto di un'economia che deve costantemente crescere per continuare a esistere. (…). Altro esempio: nel 1950 la popolazione mondiale ammontava a due miliardi di persone. All'inizio del nuovo millennio eravamo sei miliardi. Se le previsioni si realizzeranno, nel 2030 ci saranno 10 miliardi di persone sul pianeta. Chi, nato nel 1950, arriverà a ottant'anni, avrà visto la popolazione umana mondiale quintuplicata nel corso della sua vita. Per tradurre queste statistiche in un'immagine più immediata, ogni sessanta giorni si aggiunge una nuova Città del Messico; ogni anno, nel pianeta, c'è un nuovo Brasile.

La capacità di carico della Terra si sta esaurendo per colpa di questo uso che ne fa l'essere umano; la nostra specie consuma risorse in tempi più rapidi di quelli che il pianeta impiega per reintegrarle. L'aggressione al pianeta, voluta o meno, causa un danno ecologico di proporzioni enormi. La terribile litania è nota: riscaldamento globale, buchi nello strato di ozono, deforestazione, prosciugamento delle zone paludose, impoverimento del suolo, inquinamento dell'aria, avvelenamento dei fiumi, collasso della pesca negli oceani e, soprattutto, la minaccia di una conflagrazione nucleare. Il dato scioccante è che la conseguenza della diffusa distruzione degli ecosistemi è l'estinzione delle specie vegetali e animali che vivono in questi habitat. Il nostro è un tempo di grande agonia. Secondo stime prudenti, nell’ultimo quarto del XX secolo si è estinto il 10% delle specie. Quando questi esseri viventi, questi magnifici animali o piccole piante si estinguono, non tornano più. Stiamo cancellando il futuro di creature come noi, che si sono evolute nel corso di milioni di anni. La loro scomparsa è un primo segnale di avvertimento della morte del pianeta come luogo vitale. (...).

Il quadro s'incupisce quando prendiamo in esame la profonda connessione tra ingiustizia sociale e devastazione ecologica. I poveri patiscono in modo sproporzionato le conseguenze dell'impoverimento ambientale: devastazione delle popolazioni e devastazione della terra dalla quale la loro vita dipende procedono di pari passo. (…).

Quando si comincia a pensare a Dio in relazione a questo mondo, lo stupefacente mondo naturale che suscita in noi meraviglia ma che viene distrutto dal nostro spreco, ci si presenta un approccio totalmente nuovo. Anticamente, la concezione più elementare del mondo sosteneva che fosse stato creato in principio e che fosse un'entità statica; l'attività di Dio sarebbe consistita in primo luogo nel conservare ciò che era stato già creato. Adesso che comprendiamo che il mondo è in divenire, che grazie all'evoluzione e ad altri processi nascono elementi del tutto nuovi, sono necessarie idee inedite sulla presenza e sull'azione divina. Finora esse sono state centrate sullo Spirito di Dio, chiamato Spirito Creatore nel grande inno medievale Veni, Creator Spiritus. Innestando l'esperienza rivelata di un Dio personale in un assetto cosmologico in espansione, l'ecoteologia, completamente pervasa dal tema della giustizia sociale e da prospettive ecofemministe, sonda un'altra nuova frontiera.

LA PRESENZA DI DIO

Il lavoro sull'idea dello Spirito Creatore pone in primo piano la convinzione che il mondo sia pervaso dalla presenza e dall'azione di Dio e che, quindi, il mondo naturale sia il luogo in cui Dio dimora. Questa presenza divina può essere esaminata in base a tre principi: è costante; è caratterizzata dal modello della croce; è sempre presente come promessa.

Una presenza costante

Al termine del suo celebre libro Dal Big Bang ai buchi neri, il fisico Stephen Hawking si pone il famoso interrogativo: «Che cos'è che infonde vita alle equazioni e che crea un universo che possa essere descritto da esse?». Da ateo convinto, lascia aperta la questione. La fede biblica offre una diversa opzione, osando credere che sia proprio lo Spirito di Dio a infondere vita alle equazioni, facendo nascere così questo universo esuberante. Il mistero del Dio vivente, del tutto trascendente, è anche la potenza creatrice presente nel cuore del mondo, che lo sostiene in ogni fase della sua evoluzione.

Il modello intellettuale che consente di interpretare nel modo più comprensibile questa presenza è il panenteismo (tutto in Dio). Negli ultimi secoli la teologia si è servita soprattutto del modello del teismo, secondo il quale Dio è al vertice della gerarchia dell'essere, insistendo sulla differenza e sulla distanza di Dio rispetto al mondo e prestando ben poca attenzione alla sua prossimità. Il modello opposto è quello del panteismo (tutto è Dio), che cancella la differenza tra creato e increato, facendo sprofondare Dio e il mondo l'uno nell'altro. A differenza di quest'ultimo modello, il panenteismo individua una relazione in cui tutto risiede in Dio, che a sua volta tutto circonda, poiché «è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,6). Ciò che ne consegue è una reciprocità nella presenza, della quale il corpo della donna incinta offre un'ottima metafora. (…).

Alla luce di questa costante presenza divina, il mondo naturale, invece di essere scisso da ciò che è sacro, assume un carattere sacramentale. (…). La materia porta il segno del sacro e ha essa stessa uno splendore spirituale. A sua volta, la presenza divina viene mediata a livello sacramentale all'interno e per mezzo del mondo nella sua concretezza, non necessariamente né in modo assoluto, ma misericordiosamente e in modo reale.

Lo Spirito di Dio in noi si muove al di sopra del vuoto, respira nel caos, accelera, riscalda, libera, benedice e crea continuamente il mondo, rendendo possibile il suo progresso evolutivo. Riconducendo, così, lo Spirito all'interno del quadro, l'ecoteologia colloca Dio non al culmine della piramide dell'essere - o più in alto ancora - come nel teismo moderno, ma dentro e intorno al cerchio della vita che nasce, lotta, vive, muore e si rinnova, e all'universo intero.

IL MODELLO DELLA CROCE

C'è, tuttavia, molto altro da dire. Perché il mondo naturale non è solo meraviglioso nelle sue armonie, ma ci mostra anche un volto implacabilmente violento e sanguinario, pieno di sofferenza e di morte. La corporeità di ogni creatura vivente esige che questa si cibi di altre creature, che siano animali o piante. Predazione e morte fanno inevitabilmente parte del modello della vita biologica. Su grande scala, la storia della vita dipende dalla morte: senza di essa, non vi sarebbe uno sviluppo evolutivo di generazione in generazione. Dov'è Dio, in questo scenario di sofferenza e di morte che dura da milioni di millenni? La tentazione di negare la violenza e di rifugiarsi in una visione romantica del mondo naturale è forte. Ma esiste un'altra possibilità, quella, cioè, di affrontare il dolore e di interpretarlo alla luce del Vangelo.

Coloro che credono che Gesù è la Sapienza di Dio incarnata considerano la sua vita e il suo destino la lente per antonomasia attraverso cui interpretare la natura del Dio vivente, non in modo esauriente, giacché il mistero rimane, ma in modo autentico. Che cosa cogliamo attraverso questa lente? Se parliamo della relazione di Dio con gli esseri umani, cogliamo un amore misericordioso che non conosce limiti. Il ministero di Gesù, con cui egli continuamente guarisce, esorcizza, dà da mangiare, perdona e predica il regno di Dio, ha reso l'amore di Dio concretamente accessibile a tutti, soprattutto agli emarginati. La sua ingiusta esecuzione sulla croce ha stabilito un legame profondo tra la compassione di Dio e la colpevolezza di questo mondo, pieno di penosa sofferenza e di morte terrificante. La sua resurrezione rivela che lo Spirito di Dio, penetrando queste profondità, dischiude la promessa di una nuova vita attraverso e oltre la morte. (…).

Il fatto di vedere nel Dio vivente il Creatore non solo degli esseri umani, ma del mondo intero del quale noi umani siamo parte, autorizza l'ecoteologia ad attraversare il confine tra le specie e a estendere questa solidarietà divina a tutte le creature. Essa avanza l'ipotesi che lo Spirito Creatore sia empaticamente solidale con ogni essere vivente che soffre, dai dinosauri spazzati via da un asteroide al piccolo impala divorato da una leonessa. (…). Il grido d'aiuto della natura trova risposta nello Spirito, che geme con le doglie del parto di tutta la creazione, nel dare alla luce il nuovo (Rm 8,22). In questo modo il modello della croce e della resurrezione viene riscoperto su scala cosmica.

Sempre presente come una promessa

Il resoconto scientifico del cosmo in espansione e dell'evoluzione della vita su questo pianeta fa comprendere che l'universo, anziché essere un fenomeno dotato di stabilità, può essere oggi descritto soltanto nei termini di un'avventura dal finale aperto. All'inizio si trattava di un mare omogeneo di radiazioni. Lungi dal rimanere a uno stadio molecolare, l'universo si è evoluto, nel tempo, in modo affascinante emergendo in una varietà sempre più elaborata di forme via via più complesse e meravigliose. Alcuni biologi, come Stephen Jay Gould, suggeriscono di non interpretare questa storia come un percorso necessariamente dotato di una direzione precisa, lineare, dal Big Bang all'umanità. La storia della vita è simile, piuttosto, a un arbusto pieno di rami; l'umanità ne rappresenta un giovane ramoscello. Pur accettando questa considerazione, Peacocke e altri affermano che, poiché è vero che l'universo, nel suo complesso, ha seguito, fin dalle sue origini cosmiche, una certa direzione, è naturale che tenda a una sempre maggiore complessità, bellezza e novità, pur nella coerenza. Sul lungo termine, possiamo constatare che sin dall'inizio l'universo è stato seminato di promesse, gravido di sorpresa. È normale che dal “meno” venga il “più”. (…).

Questa vastità indefinita di fenomeni naturali pone il mondo esattamente all'interno dei parametri della fede biblica. Questa fede, infatti, incontra sempre un Dio della promessa che si avvicina dal futuro con l'invito a “venire avanti”. Dall'esortazione ad Abramo a partire per una nuova terra, suggellata dal dono sorprendente di un figlio per lui e Sara, anziani e sterili, all'invito al popolo ebraico in schiavitù a uscire dall'Egitto, ormai libero, all'incarico conferito alle discepole di Gesù che si trovavano presso la tomba vuota di andare e raccontare la buona novella della resurrezione: la presenza di Dio nella storia umana è foriera di continue sorprese.

Riflettendo sulla vicenda evolutiva del mondo insieme a queste storie di fede, la teologia propone di interpretare lo Spirito Creatore come fonte generosa del nuovo non solo per gli esseri umani, ma anche per il mondo naturale nel suo insieme. Dimorando nel mondo con potenza creatrice, lo Spirito lo avvia verso una grande avventura, ordinando al Big Bang: «Vai, diventa, esplora, dai alla luce il nuovo, perché di più è ancora possibile. E io sarò con te». (…). Il Dio vivente che sempre nasce è presente nel mondo nel modo più intimo, sotto forma di una promessa: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5).

Insomma, l'ecoteologia suggerisce che lo Spirito Creatore abita nel cuore del mondo naturale, dando energia dall'interno alla sua evoluzione con la propria benevolenza, sorreggendo in modo compassionevole tutte le sue creature nella loro finitezza e nella loro morte e sospingendo il mondo verso un futuro inimmaginabile. (…).

L'INTERVENTO DIVINO

La presenza creatrice, sofferente, piena di promesse dello Spirito nel mondo naturale solleva in modo diretto la questione dell'intervento divino. Come agisce Dio nel cammino di un universo evolutivo? Le forme moderne di teismo affermano che Dio interviene nel mondo a sua discrezione, per portare a compimento il proprio progetto indipendentemente dai processi naturali. L'immagine scientifica dell'universo, tuttavia, indica che ciò non è necessario. La natura si autorganizza attivamente in nuove forme a ogni livello. Anche la nascita della vita e poi del pensiero può essere spiegata senza fare ricorso a uno speciale intervento sovrannaturale. L'asprezza degli attuali dibattiti tra alcuni scienziati e i credenti seguaci del “disegno intelligente” deriva proprio da queste affermazioni discordanti: i primi non trovano traccia di attività divina nel mondo fisico, mentre i secondi postulano una qualche forma di azione diretta e di progetto complessivo da parte di Dio. Il concetto fondamentale di intervento divino da cui entrambi gli schieramenti partono, tuttavia, non è più adeguato.

Le dispute teologiche sulla mediazione divina possono essere feroci quanto quelle tra scienza e religione. Almeno sei sono le posizioni che rivendicano un ruolo nel dibattito. (…) Tutti questi punti di vista, però, hanno molto in comune. Rifuggono da un modello dichiaratamente interventista dell'azione divina, cercano di rendere comprensibile l'idea che lo Spirito Creatore, in quanto potere fondante che tutto sostiene e in quanto fine ultimo del mondo in evoluzione, agisce consentendo il processo dall'interno, e vedono la creatività di Dio attiva all'interno dei processi cosmici, insieme a essi e come loro fondamento. Dio crea il mondo, in altre parole, consentendo che il mondo crei se stesso.

Il caso

Anche ammettendo ciò, a rendere il dibattito tanto rischioso per la teologia, con la sua fede in un Dio provvido, è l'elemento del caso. A differenza della scienza del periodo illuminista, che concepiva un universo operante in modo predeterminato, meccanicistico, la scienza contemporanea ha rivelato l'esistenza, nella natura, di ampie aree aperte nelle quali è intrinsecamente impossibile prevedere quale sarà l'evento successivo. (…).

- Il regno microscopico studiato dalla fisica quantistica è una di queste aree. La nostra incapacità di rilevare contemporaneamente tanto la posizione quanto la velocità di una singola particella ha dato origine a ciò che è stato giustamente chiamato «principio di indeterminazione». Invece di fare semplicemente riferimento ai limiti della misurazione, e dunque alla nostra conoscenza, i filosofi della scienza ora suppongono che ciò abbia a che fare con la natura stessa del fenomeno. (…).

- Gli ampi sistemi non lineari e dinamici studiati dalla fisica del caos rappresentano un'altra di queste aree. Qui, la cosa impressionante è che i nuovi modelli autorganizzati emergenti sono estremamente reattivi alle condizioni iniziali. (…). Non c'è un semplice rapporto di causa ed effetto, ma un sistema aperto e dinamico che può prendere una direzione o un'altra a seconda di cambiamenti minimi. Nel corso del tempo, dal ripetersi di questo meccanismo, emergerà un determinato modello. In nessun caso, però, è possibile fare una previsione sicura.

- Lo sviluppo biologico delle specie grazie alla selezione naturale è la terza area. Un gene muta in seguito al bombardamento dei raggi solari, un uragano devia la rotta di qualche uccello verso una nuova isola, la Terra è colpita da un asteroide. Gli esemplari che si adatteranno meglio al cambiamento dell'ambiente (…) saranno in grado di arrivare alla generazione successiva, ma non c'è modo di prevederlo in anticipo.

In questi come in altri casi, la scienza contemporanea ha messo a nudo l'esistenza, nella natura non umana, di sistemi emergenti, capaci di adattarsi e di autorganizzarsi, il cui funzionamento nel tempo ha portato ad autentiche novità nell'universo. Il modello si dispiega in un modo regolare, codificato, poi viene interrotto dal caso ma, anziché andare in pezzi, al culmine del disordine compaiono nuove forme di ordine, più ricche, complesse e belle. Il futuro continua ad aprirsi. (…). Se ci fosse solo la legge, nell'universo, la situazione stagnerebbe in un ordine ripetitivo e sterile. Se ci fosse solo il caso, le cose diventerebbero talmente caotiche che non potrebbe esserci alcuna struttura ordinata. Ma il caso che lavora all'interno della legge interrompe la regolarità del modello pur tenendola sotto controllo, e nel corso di milioni di millenni la loro interazione consente al mondo di progredire a uno stadio più complesso di quanto sarebbe possibile altrimenti. (…).

Ciò significa che, nella misura in cui la scienza può comprenderlo, il dispiegarsi dell'universo non è avvenuto secondo un piano predeterminato. Poiché la casualità autentica non può essere prevista, vi è un'indeterminatezza nel processo grazie alla quale l'universo genera nuovi modi di essere di cui si può dar conto solo retrospettivamente. È stato sconvolgente quando, a un incontro annuale della Catholic Theological Society of America, William Stoeger, astrofisico gesuita del gruppo di ricerca dell'Osservatorio Vaticano all'Università dell'Arizona, ha chiesto: se riportassimo indietro al primo istante le lancette dell'orologio del mondo e lo lasciassimo ricominciare a ticchettare, le cose andrebbero nello stesso modo? Il consenso scientifico propende decisamente per il no. È sceso un silenzio attonito e poi è esplosa la discussione, in una sala piena di teologi che cercavano di fare i conti con quest'idea e di conciliarla con le proprie supposizioni di fondo.

Mettendo in relazione questa idea con la presenza dello Spirito di Dio, l'ecoteologia sostiene che, in quanto amore sconfinato che si esprime nella continua evoluzione dell'universo, la creatività divina è la sorgente non soltanto dell'ordine cosmico, ma anche del caso che consente la comparsa della novità. Dando potere al mondo dall'interno, lo Spirito non solo dà origine a eventi regolari che rispondono a delle leggi, ma abbraccia anche la rischiosità dei mutamenti casuali e delle condizioni caotiche dei sistemi aperti, essendo molto più affine al disordine di quanto la nostra teologia naturale di un tempo abbia mai immaginato. Gli sconvolgimenti imprevedibili possono essere distruttivi, ma hanno anche la capacità di portare a forme di ordine più complesse. Nell'evoluzione dell'universo, non dobbiamo stupirci di trovare la creatività divina librarsi accanto alla turbolenza. (…).

Considerata l'apertura del mondo naturale, John Haught suggerisce, opportunamente, a mio modo di vedere, di pensare a un Dio che non ha tanto un progetto per l'universo in evoluzione, quanto piuttosto una visione. Questa visione ha come obiettivo la creazione di una comunità d'amore. Al cuore di questo processo c'è lo Spirito Creatore, che guida il mondo in quella direzione, allo stesso tempo invitando il mondo a prendere parte alla propria creazione grazie alla libera attività dei suoi sistemi. (…).

AMARE LA TERRA

È chiaro che questa teologia dello Spirito Creatore che crea, è sempre presente, ama compassionevolmente e mette il mondo nella condizione di affrontare la propria avventura ha delle implicazioni per la ricerca teologica nel suo complesso. Essa è, in particolare, il fondamento di un'etica responsabile e rigorosa di cura della Terra. Un universo morale limitato agli esseri umani non è più sufficiente. Se la Terra è davvero un sacramento della presenza divina, luogo della compassione di Dio e portatrice della sua promessa, allora il danno irreversibile e continuo arrecatole dall'ecocidio, dal biocidio e dal geocidio è un gravissimo sacrilegio. Nella tradizione della profezia biblica e nello spirito di Gesù, i credenti devono reagire in modo profetico e provocatorio, promuovendo la cura, la salvaguardia, il risanamento del mondo naturale anche qualora ciò dovesse andare contro potenti interessi economici e politici, come di fatto accade. Dobbiamo fare ricorso a tutte le tecniche di resistenza nonviolenta attiva per fermare l'aggressione contro ciò che è vulnerabile (…). Il criterio rigoroso che deve ora misurare la moralità delle nostre azioni è se esse contribuiscano o meno a rendere sostenibile la vita sulla Terra. (…).

Ciò, a sua volta, esige che superiamo la nostra esclusiva attenzione etica verso gli esseri umani e che individuiamo come nuovo centro di una solida riflessione morale la comunità di vita nel suo complesso. In un'etica ecologica, il grande comandamento di Gesù «ama il tuo prossimo come te stesso» arriva a includere tutti i membri della comunità di vita. «Chi è il mio prossimo?», si chiede Brian Patrick, «il Samaritano? L'emarginato? Il nemico? Sì, certo. Ma lo è anche la balena, il delfino, la foresta pluviale. Il nostro prossimo è l'intera comunità di vita, l'intero universo. Dobbiamo amarlo tutto come noi stessi». Se la natura è il nuovo povero, come afferma Sallie McFague, allora la nostra passione nell'istituire la giustizia per i poveri e gli oppressi ora va estesa in modo da includere il mondo naturale, gli ecosistemi e le altre specie minacciate. «Salva la foresta pluviale» diventa un'applicazione morale concreta del comandamento «Non uccidere». (…).

Oggi scopriamo che il grande, inintelligibile mistero di Dio, totalmente trascendente e al di là del mondo, è anche il potere dinamico al centro del mondo naturale e della sua evoluzione. Gemendo con il mondo, gioendo dei suoi progressi, conservando la fiducia nonostante i suoi fallimenti, rafforzandolo dall'interno con amore, lo Spirito Creatore è con tutte le sue creature nella loro finitudine e nella loro mortalità e resta legato a loro grazie al suo amore redentivo, portandole con sé, in un futuro imprevedibile, in una vita divina di comunione. Non sono semplici passi sulla strada verso l'Homo sapiens: tutto il complesso arazzo dell'ordine creato ha un suo valore intrinseco, poiché è il luogo in cui Dio esprime la sua presenza creatrice. (…).

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Titolo articolo : Chiesa Madre,di Romano Baraglia

Ultimo aggiornamento: January/11/2013 - 18:23:08.

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Autore Città Giorno Ora
Ernesto Miragoli Como 06/1/2013 18.59
Titolo:Bellissimo
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Autore Città Giorno Ora
elio cassano bari 09/1/2013 07.46
Titolo:Ma la straordinaria incoerenza resta ...
Mi ha sempre stupito, lasciandomio basito, lo straordinario sopravvivere del termine "celibato": cioè si possono (come è arcinoto) chiudere tutti e due gli occhi se va a donne, se ha l'amante segreta, se molesta minori e non, ma ... non deve sposarsi, non deve figurare nulla di "ufficiale", non può riconoscere figli. La Madre Chiesa ufficialmente non deve sapere nulla, deve poter sempre dire - ma solo se la cosa diventa pubblica - che si tratta di una mela marcia. Boh, continuo a non capire se si tratta di buona fede o che. Sono, e resto, credente nonostante certe enormità. Ma a tutti noi che la pensiamo diversamente o vengono propinate inintellegibili spiegazioni che non chiariscono le cose più semplici, o veniamo compatiti, o tacciati, di ignoranza e/o malafede. Ma questa è la Mamma che ci ritroviamo.
Autore Città Giorno Ora
Giuseppe Zanon Cottolengo-Brescia 11/1/2013 18.23
Titolo:I tempi cambiano
I tempi cambiano. Per fortuna. E per i preti sposati cambiano in meglio.Un esempio?
Sul JESUS, il mensile dei Paolini, sono usciti due interessanti articoli sui preti sposati, con aperture che vanno ben oltre le posizioni ufficiali del Vaticano.
Sul numero di Dicembre 2012, a pagina 8-9 c'è l'articolo:"Preti sposati:rivoluzione necessaria?" con apertura di un blog che invita i lettori ad esprimere la propria opinione. Sul numero di Gennaio 2013, a pagina 7-8,il periodico ritorna sull'argomento con l'articolo "Il nodo dei preti sposati e la pastorale del futuro'.
Da leggere, per convincerci che i tempi cambiano.
Giuseppe Zanon

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Commenti Articolo 638

Titolo articolo : C'E' DIO E "DIO", E FAMIGLIA E "FAMIGLIA": IL DIO DI GESU'  GIUSEPPE E MARIA (NON E' QUELLO DI COSTANTINO E DELLA REGINA MADRE ELENA E DELL'INTERO ORDINE GERARCHICO DEL "REGNO DI DIO" VATICANO). Una nota di Ermes Ronchi - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January/11/2013 - 13:21:45.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/12/2012 20.50
Titolo:CONTRO IL "LUMEN GENTIUM", IL "DOMINUS IESUS", IL PADRONE GESU'
LUMEN GENTIUM (1964) E DOMINUS IESUS (200O): IL DISEGNO DI RATZINGER - BERTONE. Spegnere il "Lumen Gentium" e instaurare il potere del "Dominus Iesus", il "Cristo Magno" del Sacro Romano Impero. Due testi a confronto:



LUMEN GENTIUM (21 novembre 1964) *

"1. Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15), illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa. E siccome la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano, continuando il tema dei precedenti Concili, intende con maggiore chiarezza illustrare ai suoi fedeli e al mondo intero la propria natura e la propria missione universale. Le presenti condizioni del mondo rendono più urgente questo dovere della Chiesa, affinché tutti gli uomini, oggi più strettamente congiunti dai vari vincoli sociali, tecnici e culturali, possano anche conseguire la piena unità in Cristo".

*

PER IL TESTO COMPLETO, VEDI:

LUMEN GENTIUM COSTITUZIONE DOGMATICA SULLA CHIESA 21 novembre 1964.
- CAPITOLO I. IL MISTERO DELLA CHIESA. La Chiesa è sacramento in Cristo

DOMINUS IESUS (6 Agosto 2000) *

"INTRODUZIONE
1. Il Signore Gesù, prima di ascendere al cielo, affidò ai suoi discepoli il mandato di annunciare il Vangelo al mondo intero e di battezzare tutte le nazioni: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,15-16); «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,18-20; cf. anche Lc 24,46-48; Gv 17,18; 20,21; At 1,8)".

* PER IL TESTO COMPLETO, VEDI:

DICHIARAZIONE "DOMINUS IESUS"
CIRCA L’UNICITÀ E L’UNIVERSALITÀ SALVIFICA DI GESÙ CRISTO E DELLA CHIESA

Firmato:

Joseph Card. Ratzinger
Prefetto

Tarcisio Bertone, S.D.B.
Arcivescovo emerito di Vercelli
Segretario
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/12/2012 21.55
Titolo:Il papa monarca-assoluto: cenni storici....
Il papa monarca-assoluto: cenni storici su origine e sviluppo del suo potere.

di Leonardo Boff ("Jornal do Brasil”, 17 settembre 2012) *

Abbiamo scritto precedentemente su queste pagine che la crisi della Chiesa-istituzione-gerarchia ha le sue radici nell’assoluta concentrazione di potere nella persona del Papa, potere esercitato in modo assolutistico, lontano da qualsiasi partecipazione dei cristiani e fonte di ostacoli praticamente insormontabili per il dialogo ecumenico con le altre Chiese.

All’inizio non fu così. La Chiesa era una comunità di fratelli. Non esisteva la figura del Papa. Nella Chiesa comandava l’Imperatore. Era lui il sommo pontefice (Pontifex Maximus), non il vescovo di Roma o di Costantinopoli, le due capitali dell’Impero. E così è l’imperatore Costantino a convocare il primo concilio ecumenico a Nicea (325), per decidere la questione della divinità di Cristo.

E di nuovo nel secolo VI è l’imperatore Giustiniano che ricuce Oriente e Occidente, le due parti dell’impero, reclamando per se stesso il primato di diritto e non quello di vescovo di Roma. Tuttavia, per il fatto che Roma vantava le tombe di Pietro e Paolo, la Chiesa romana godeva di particolare prestigio, come del resto il suo vescovo che davanti agli altri deteneva "la presidenza nell’amore" e esercitava il "servizio di Pietro", quello di confermare i fratelli nella fede, non la supremazia di Pietro nel comando.

Tutto cambia con Papa Leone I (440-461), grande giurista e uomo di Stato. Lui copia la forma romana del potere che si esprime nell’assolutismo e autoritarismo dell’imperatore; comincia a interpretare in termini strettamente giuridici i tre testi del N.T. riferibili al primato di Pietro: Pietro, in quanto roccia su cui si costruirebbe la Chiesa (Mt 16,8); Pietro, colui che conforta i fratelli nella fede ( Lc 22,32); e Pietro come pastore che deve prendersi cura delle pecore (Gv 21,15). Il senso biblico e gesuanico va nella direzione diametralmente opposta, quella dell’amore, del servizio e della rinuncia a ogni onore. Ma l’interpretazione dei testi alla luce del diritto romano - assolutistico - ha il sopravvento. Coerentemente, Leone I assume il titolo di Sommo Pontefice e di Papa in senso proprio.

Subito dopo gli altri papi cominciarono a usare le insegne e il vestiario imperiali, porpora, mitra, trono dorato, pastorale, stole, pallio, mozzetta: si creano palazzi con rispettive corti; si introducono abiti per vita da palazzo in vigore fino ai nostri giorni con cardinali e vescovi, cosa che scandalizza non pochi cristiani che leggono nei vangeli che Gesù era un operaio povero e senza fronzoli. Così finisce per essere chiaro che i gerarchi stanno più vicini al palazzo di Erode che alla culla di Betlemme.

C’è però un fenomeno che noi stentiamo a capire: nella fretta di legittimare questa trasformazione per garantire il potere assoluto del Papa, si fabbricano documenti falsi.

Primo. Una pretesa lettera del Papa Clemente (+96), successore di Pietro in Roma, diretta a Giacomo, fratello del Signore, il grande pastore di Gerusalemme, nella quale si dice che Pietro, prima di morire, aveva stabilito che lui, Clemente, sarebbe stato l’unico e legittimo successore. Evidentemente anche gli altri che sarebbero venuti dopo.

Falsificazione ancora più grande è la Donazione di Costantino, documento fabbricato all’epoca di Leone I, secondo il quale Costantino avrebbe dato in regalo al Papa di Roma tutto l’Impero Romano.

Più tardi, nelle dispute con i re Franchi, fu creata un’altra grande falsificazione le Pseudodecretali di Isidoro, che mettevano insieme documenti e lettere come provenienti dai primi secoli, il tutto a rafforzare il Primato giuridico del Papa di Roma.

Tutto culmina con il codice di Graziano (sec. XIII), ritenuto la base del diritto canonico, ma che poggiava su falsificazioni e norme che rafforzavano il potere centrale di Roma oltre che su canoni veri che circolavano nelle chiese.

Evidentemente tutto ciò viene smascherato più tardi, senza che con questo avvenga una qualsiasi modificazione nell’assolutismo dei Papi. Ma è deplorevole, e un cristiano adulto deve conoscere i tranelli usati e fabbricati per gestire un potere che cozza contro gli ideali di Gesù e oscura il fascino del messaggio cristiano, portatore di un nuovo tipo di esercizio del potere servizievole e partecipativo.

In seguito si verifica un crescendo nel potere dei Papi. Gregorio VII (+1085) nel suo Dictatus Papae (dittatura del Papa) si autoproclamò Signore assoluto della Chiesa e del mondo; Innocenzo III (+1216) si annuncia come vicario e rappresentante di Cristo; e infine Innocenzo IV (+1.254) si atteggia a rappresentante di Dio. Come tale sotto Pio IX, nel 1.870, il Papa viene proclamato infallibile in fatto di dottrina e morale.

Curiosamente, tutti questi eccessi non sono mai stati ritrattati o corretti dalla Chiesa gerarchica, perché questa ne trae benefici. Continuano a valere come scandalo per coloro che ancora credono nel Nazareno, povero, umile artigiano e contadino mediterraneo perseguitato e giustiziato sulla croce e risuscitato contro ogni ricerca di potere, e sempre più potere, perfino dentro la Chiesa. Questa comprensione commette una dimenticanza imperdonabile: i veri vicari-rappresentanti di Cristo, secondo il vangelo di Gesù (Mt 25,45) sono i poveri, gli assetati, gli affamati. La gerarchia esiste per servirli non per sostituirli.

Tradotto da Romano Baraglia

* Fonte: Incontri di Fine settimanana
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/12/2012 13.21
Titolo:COME IN CHIESA COSI' IN CASA. Rimozione del femminile e dominio ...
Donne in cerca di guai

di Alessandro Esposito (“MicroMega”, 28 dicembre 2012)

Noi malpensanti e femministi avevamo provato ad accostare all’indignazione dinanzi alla reiterata violenza di cui le donne sono vittime per mano d’uomo la riflessione relativa alle cause che possono scatenare tale ingiustificabile efferatezza: fortunatamente è giunto, inaspettato, il soccorso di un pio ed acuto parroco ligure ad illuminare la nostra insipienza.

Ma come abbiamo fatto a non pensarci prima? Era evidente: la causa prima della violenza fisica, psicologica, sociale e religiosa quotidianamente inflitta alle donne sono le donne stesse. Il fatto è che era talmente ovvio da essere sfuggito alla nostra capacità d’analisi, immancabilmente condizionata da una lettura ideologica della realtà dei fatti. Ebbene, questa realtà, se ben osservata, ci porta alla conclusione insindacabile che siano le donne le principali (giusto perché affermare «le uniche» deve sembrare eccessivo persino a questi irreprensibili cavalieri della fede) responsabili degli istinti che colpevolmente scatenano nel maschio altrimenti avvezzo per natura a docilità e candore: per cui «chi è causa del suo mal...».

Ci sarebbe da rimanere attoniti se non prevalesse lo sdegno: eppure, una volta ancora, voglio pensare che alla doverosa espressione dei sentimenti sia da preferire un’indefessa ricerca delle cause. In qualità di «addetto ai lavori», vorrei concentrare la mia analisi sul retroterra religioso dal quale questa trivialità continua a trarre alimento e a ricevere legittimazione: a tale proposito limiterò le mie considerazioni a tre aspetti che mi paiono nevralgici.

1. L’universo cattolico intransigente entro il quale quest’ignoranza attecchisce è un universo rigorosamente declinato al maschile: la donna non vi è contemplata se non in qualità di figura deliberatamente relegata ai margini che riflette l’immagine, assai rassicurante per l’uomo, di un’obbedienza che rasenta la remissività. A questa malcelata misoginia l’associazionismo cattolico sta reagendo provando a gettare le basi di un’organizzazione ecclesiale profondamente distinta, che si ispira ai documenti di quel Vaticano II tradito dall’impronta autoritaria degli ultimi due pontificati [1]: l’impressione, però, è che sia la gerarchia, sia una fetta ancora troppo ampia della base cattolica siano sostanzialmente indifferenti (quando non espressamente ostili) alla necessità di proseguire (e in alcuni casi persino di avviare) un percorso di riflessione concernente la centralità e la peculiarità dello sguardo femminile al fine di rifondare il cristianesimo.

2. La tendenza sembra, piuttosto, quella volta a sollecitare l’immaginario sia maschile che femminile rimandandolo a figure in cui non è possibile rinvenire la pienezza della femminilità nella molteplicità delle sue forme espressive, affettive come sessuali. Di qui l’elogio tutt’altro che disinteressato di atteggiamenti quali la castità quando non addirittura di condizioni quali la verginità: null’altro che argini entro cui imprigionare il desiderio. Quello femminile, va da sé.

3. Affinché, però, non sia il desiderio maschile a ridestarsi da quel fondo oscuro entro cui l’educazione ecclesiastica lo relega, nulla di meglio che la famiglia, quella tradizionale, si capisce, per estinguerlo. Pazienza poi se la maggior parte delle violenze di cui le donne sono vittime si consumano entro pareti falsamente protettive che diventano prigioni. Ma tant’è, la famiglia rassicura: specie noi maschi, che così possiamo proseguire nella rimozione di quel timore del femminile a cui abbiamo ovviato con il dominio. E le donne seguitare in aeternum nel silenzio che è loro comandato. Come in chiesa, così in casa.

[1] Vorrei citare, su tutti, il prezioso lavoro svolto dal CTI (Coordinamento Teologhe Italiane; sito intetrnet: www.teologhe.org), presieduto dalla filosofa, teologa e biblista Marinella Perroni.

Alessandro Esposito - pastore valdese
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/1/2013 13.21
Titolo:DISCERNIMENTO. Capacità di vedere, quindi capacità di giudicare, dopo aver vist...
“Non c’è bene senza legge non c’è libertà senza trasgressione”

intervista a Paolo Ricca,

a cura di Franco Marcoaldi (la Repubblica, 10 gennaio 2013)

Per un agnostico, o un ateo, affidarsi al “giudizio di Dio” e dunque alla sua Legge, può suonare come la definitiva resa di ogni possibile giudizio critico individuale. Paolo Ricca, pastore valdese, curatore delle opere di Lutero per l’editrice Claudiana, teologo finissimo e di grande apertura mentale, la pensa esattamente all’opposto: proprio la Legge di Dio offre la massima libertà all’essere umano. «Il discernimento del bene e del male è possibile là dove si sa che cosa siano il bene e il male. Nella visione biblica questa capacità l’uomo non ce l’ha. E quindi anche il suo discernimento è offuscato. Perciò è necessaria la parola di Dio».

Ma nella modernità occidentale, diciamo da Montaigne in avanti, l’uomo presume, a torto o a ragione, di disporre di quella capacità. Cosa la spinge, nel 2012, a cercarla ancora nella parola di Dio?

«Almeno due buone ragioni. La prima ha a che fare con Kant, il grande maestro critico della modernità, e con la sua idea di imperativo categorico. Ovvero con la rinuncia della singola persona a decidere che cosa può “imperare” nella sua propria coscienza. Seconda ragione: l’evidenza di ciò che accade intorno a noi, ogni giorno. Le pare che l’umanità nel suo insieme, e non parlo dell’arbitrio del singolo individuo, sia in grado di organizzare un sistema di leggi volte al bene comune?».

Però esistono tradizioni di pensiero, penso ad esempio al confucianesimo, in cui il fondamento etico-sociale della legge ha una base tutta mondana.

«Sì, ma l’aspetto più sorprendente del discorso biblico è che la Legge viene dopo l’Esodo. Ovvero, Dio prima libera il suo popolo e soltanto dopo gli dà la legge, fondata dunque sulla libertà raggiunta, che impedirà di tornare a uno stato di schiavitù. Lei porta l’esempio del confucianesimo, per dimostrare che non è necessario Dio per avere una legge. Ma Dio, che peraltro non è mai “necessario”, ci indica la strada per dare alla legge il suo vero significato: non come sottrazione di libertà, ma come suo massimo dispiegamento. Io penso che dobbiamo liberarci da questa idea secondo cui Dio deve esserci. Bonhoeffer parla di “un Dio che c’è, non c’è”, proprio per riaffermare che Dio non è necessario. Che Dio è libertà, non necessità. La rivelazione della Bibbia è tale proprio per questo. Rivelare, togliere il velo, vuol dire aiutare l’uomo a capire ciò che non vede: Israele ha creduto in un Dio liberatore, prima che in un Dio giudice e legislatore. È un messaggio formidabile. Certo, sempre se uno ci crede!».

Per chi è cresciuto tra le braccia della Chiesa cattolica la prima parola che viene in mente pensando alla religione, non è certo “liberazione”. Semmai il trittico dostoevskjiano “mistero, miracolo, autorità”.

«Lo capisco. Ma Dio non è la Chiesa. Sono due piani del discorso che vanno tenuti accuratamente separati».

Veniamo al Dio legislatore e dunque ai dieci comandamenti. Lei li trova ancora utili per il nostro tempo?

«Assolutamente sì. Pensi al primo comandamento, che impone di distinguere tra gli idoli e Dio. Più attuale di così! Oppure, pensi al comandamento del riposo applicato a una società come la nostra, in cui il tempo libero è ancor più schiavizzato di quello del lavoro. Purtroppo, nella cultura religiosa italiana i dieci comandamenti sono poco predicati. Alcuni sono stati addirittura stravolti: per esempio, quello sul riposo è diventato “santifica le feste”, una definizione del tutto impropria. Obbedendo a una tendenza gnosticizzante del cattolicesimo romano, l’Antico Testamento è stato messo progressivamente da parte, a esclusivo vantaggio del Vangelo. Il che spiega varie cose anche sul fronte morale. Perché il discorso sulla centralità dell’amore va bene, ma quando si arriva al comandamento “non rubare”, le cose si fanno un po’ più complicate».

Ha appena accennato al nuovo comandamento di Gesù: ama il prossimo tuo come te stesso.Gesù, però, oltre a obbedire, trasgredisce la legge.

«Certo, perché non c’è libertà senza trasgressione: bisogna trasgredire alcune leggi degli uomini in nome della legge di Dio, nella quale si manifesta appieno la nostra libertà».

Mi faccia un esempio.

«Gesù viene condannato a morte per due motivi: come trasgressore della legge del sabato e come distruttore del tempio. E perché trasgredisce la legge del sabato? Perché i teologi avevano costruito attorno a quel comandamento una serie di norme assolutamente fuori luogo. Del tipo: nel giorno del riposo puoi fare al massimo dieci passi. Così, se l’uomo caduto a terra è lontano da te dodici passi, non puoi aiutarlo. Ma mille altri sono i casi in cui è giusto trasgredire le leggi umane, in nome di una superiore legge divina. Pensi all’obiezione di coscienza: non prendo in mano il fucile per ammazzare il prossimo, anche se lo Stato me lo impone».

Capisco cosa intende dire. Però intravedo anche il rischio opposto: ogni legge dello Stato laico può essere messa in forse sulla base di una legge superiore. Pensi all’aborto.

«Ma non c’è nessuna legge divina che vieta l’aborto. Quella è una legge della Chiesa, che naturalmente ha il suo peso e il suo valore. Però nella Bibbia non si parla di aborto. Di nuovo, bisogna saper distinguere tra legge divina, legge ecclesiastica e legge civile».

Qual è il luogo simbolico per eccellenza in cui si manifesta il giudizio di Dio?

«La croce di Gesù, e questo è il paradosso dei paradossi: ovvero, il giudizio di Dio viene “giudicato” nell’uomo, e nell’uomo messo in croce. “Dio mio, perché mi hai abbandonato”, dice Gesù. È il momento della lacerazione completa dell’idea stessa di Dio. Paolo definisce la croce “pazzia” per i greci, i laici, e “scandalo” per i giudei, per i religiosi come me. La verità è che se si va alla radice del discorso cristiano, il giudizio di Dio ci conduce a un’afasia totale. Perché si assiste al capovolgimento completo tra un Dio giudicante e un Dio giudicato».

Il primo a portare Dio “in tribunale” è Giobbe, quando verifica sulla propria pelle che l’idea secondo cui se fai il bene ti ritorna il bene, non è così automatica.

«Il suo è il grido di disperazione dell’innocente che soffre ingiustamente. E protesta. La risposta di Dio, in verità non tanto chiara, lo metterà a tacere. Ancora non si dà quel rovesciamento in cui il Dio giudicante viene giudicato. Anche se già nell’Antico Testamento si affaccia l’idea secondo cui il giudizio di Dio si associa alla misericordia e non alla giustizia retributiva. E questo ci porta dritti al Nuovo Testamento, alla vita di Gesù, alla sua passione, quintessenza dell’ingiustizia: un processo farsa, la condanna, la flagellazione, la condanna a morte. Gesù subisce, ma non partecipa. Dice a un certo punto: potrei chiamare dodici legioni di angeli, ma non lo faccio. Non mi metto sullo stesso piano di Pilato, di Erode. Ed ecco il salto ulteriore, sul piano della fede. Non soltanto io non rispondo al tuo male con la stessa moneta, ma prendo su di me la tua colpa. E muoio non soltanto per la tua malvagità, ma perché ti perdono. Ora tutto questo è straordinario. Il paradosso è che le ragioni per cui uno crede o non crede, potrebbero essere le stesse. E rimandano sempre alla figura della croce. Ecco perché non posso prendermela con gli atei. Loro dicono: come posso credere a un Dio messo in croce? E io obietto: gli credo proprio perché è stato messo sulla croce».

Le ripropongo la domanda iniziale, rovesciata. Non c’è il rischio che affidandosi al giudizio di Dio si verifichi una de-responsabilizzazione dell’individuo?

«Se intende un atteggiamento fatalista nei confronti di tutto ciò che accade, come se tutto fosse sempre e comunque frutto della volontà di Dio, allora sì, c’è questo rischio. Ma cito ancora Bonhoeffer quando dice: non tutto quello che accade è volontà di Dio, mentre in tutto ciò che accade c’è un sentiero che porta a Dio. Siamo partiti dalla parola discernimento. Ebbene, io credo che Dio, inteso come libertà d’amare, sia innanzitutto luce. E questa luce illumina il nostro cammino, aiutando o addirittura determinando il nostro discernimento. In fin dei conti, è la luce che ci consente di vedere. E discernimento vuol dire capacità di vedere, quindi capacità di giudicare, dopo aver visto. Non alla cieca».

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Commenti Articolo 639

Titolo articolo : La politica deve fare i conti con la psicologia,di Concetta Centonze

Ultimo aggiornamento: January/09/2013 - 05:29:20.

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Autore Città Giorno Ora
Giovanni Dotti VARESE 07/1/2013 14.19
Titolo:
Perfettamente in sintonia con la prof.ssa Centonze che ha cosi'bene espressi concetti per lo piu' abbastanza difficili. La pregherei di puntualizzare meglio quelli di "unicita' di ciascun essere vivente" e di "dissidenza empatica" scrivendo su questo giornale. Se anche in politica si tenessero in conto queste valutazioni a proposito delle persone che si candidano alla guida delle Istituzioni i governi che ne uscirebbero sarebbero senz'altro migliori e la democrazia ci guadagnerebbe. Inviero' un mio vecchio scritto in proposito. GRAZIE per questo articolo "illuminante".
Autore Città Giorno Ora
elio cassano bari 09/1/2013 05.29
Titolo:Quanto è vero!
Le cose "vere" sono sempre molto semplici da comprendere. Queso scritto della prof. Centonze è di una semplicità che definirei evangelica... Ed esattamente come i sacerdoti al tempo di Gesù, la Gerarchia resta del tutto sorda ed indifferente, se non per bollare, a verità semplici che ciascuno non può che sentire profondamente vere. La verità è semplice da raccontare e da comprendere, sono le elucubrazioni che hanno bisogno di paroloni e di arrampicate, a volte sugli specchi! Grazie. Chissà che un giorno la Verità non possa splendere davvero! per ora continuiamo a vivere nel buio e che la speranza della luce continui a farci battere il cuore!

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Commenti Articolo 640

Titolo articolo : Auguri,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: January/07/2013 - 19:30:49.

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Autore Città Giorno Ora
Dante Mantovani Brescia 24/12/2012 22.20
Titolo:Che liberazione!
Leggendo l'editoriale di Giovanni Sarubbi mi sono sentito liberare dentro, nel profondo; ho trovato parole e concetti che condivido in pienezza. E mi chiedo: perchè nella Chiesa, dalla base, non riesce a partire un movimento di "ritorno al Vangelo", alla buona notizia?
Autore Città Giorno Ora
filippo angileri trapani 31/12/2012 15.48
Titolo:Buon Natale.Auguri
Vorrei dire al giornalista e caro amico Giovanni, nonchè a tutti gli altri, che Gesù è ritornato nel secolo scorso, cioè lo stesso Spirito Santo è ritornato al mondo nella figura di Bahà'ù'llàh(letteralmente: La Gloria di Dio)-1817-1892 (nato Iran- trapassato-Palestina).Ha fondato la "Fede Baha'i, che attualmente ha nel mondo circa 6 milioni di seguaci.
saluti cari
filippo
Autore Città Giorno Ora
Giovanni Dotti VARESE 31/12/2012 23.26
Titolo:le contraddizioni del Cattolicesimo
Forse il Papa attuale all'inizio del suo Pontificato ha cercato di intavolare un discorso sullo spirito del Cristianesimo delle origini, ma poi ne è stato distolto perché imbrigliato nelle maglie dell'apparato che lo costringe quotidianamente ad occuparsi degli affari terrestri dimenticando quelli celesti (relegati alle celebrazioni ufficiali).
Solo se la Chiesa riuscirà a disfarsi del "potere temporale" (il che sarà quasi impossibile) ed a correggere la rotta attuale che l'ha portata ad occuparsi più di affari e finanza che di governo delle anime il mondo Occidentale potrà col suo aiuto risollevarsi e uscire dal mare tempestoso in cui ora si trova. Grazie al dr Sarubbi che ha tracciato così egregiamente in poche righe i due millenni di Cattolicesimo evidenziandone le contraddizioni tra insegnamento Cristiano e la triste realtà attuale. EYEMmb
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Florestana Piccoli Sfredda Rovereto TN 07/1/2013 19.30
Titolo:Chiesa e Chiese
Seguo sempre con interesse quanto scrive Sarubbi che, pur non conoscendolo di persona, mi permetto di considerare un Amico. I suoi articoli provocano e fanno riflettere. Premesso che chi scrive è nata il Natale del 1927 ed è di confessione Cristiana Evangelica Valdese, condivido certamente quanto scritto da Sarubbi: vorrei solo aggiungere brevi interrogativi. 1)Perchè è diffuso sulla stampa italiana l'uso di chiamare "CHIESA" quasi esclusivamente la Chiesa Romana Cattolica? Con il massimo rispetto per tutte le Confessioni,già fra le principali Chiese cristiane corre l'obbligo di riconoscere almeno tre ceppi:Romana Cattolica - Ortodossa - Chiese nate dalla Riforma di Lutero (1517), che si moltiplicarono in libertà di pensiero e di coscienza, ma tutte riconoscendosi nel Dio Trinitario (Padre, Figlio, Spirito Santo)e riponendo la loro fiducia in Cristo Gesù, il Figlio.La salvezza noi la riceviamo per grazia, invocando il nostro Salvatore Cristo Gesù. 2) Perchè è ancora poco noto il movimento ecumenico, che mira a costruire l'ecumene universale dei credenti? 3)Perchè pochi sembrano sapere che la Chiesa Anglicana, pur avendo qualche analogia con la Chiesa Cattolica Romana,è comunque riconosciuta come Chiesa Protestante (aggettivo poco felice, nato soprattutto dal concetto di "protesta" di Lutero, che si oppose fermamente a Papa Leone X)?
Concludo, affermando che nel mondo odierno non possiamo dimenticare come l'interculturalità abbia esteso il dialogo interconfessionale, oggi divenuto dialogo interreligioso. Ci sarebbe da dire ben di più...ma spazio e tempo a disposizione lo impediscono. Un saluto fraterno a quanti hanno avuto la pazienza di leggermi!

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Commenti Articolo 641

Titolo articolo : Perché ho scelto di candidarmi con Antonio Ingroia,di Flavio Lotti

Ultimo aggiornamento: January/07/2013 - 18:20:02.

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teresa Benedini Brescia 07/1/2013 18.20
Titolo:LIBERTA'....
E' da una vita che sento persone di varia estrazione sociale giustificare le proprie scelte con motivazioni più o meno condivisibili. Tu, Flavio Lotti , giustifichi e motivi il tuo impegno diretto in politica adducendolo ad una "delusione" per la incoerenza riscontrata nei vari partiti riguardo i temi della giustizia e della pace. Ma, sarà solo responsabilità dei partiti? Io guardo attonita ( senza dare troppa importanza...) ai sondaggi di questi giorni. Dopo vent'anni di Berlusconi e conseguente berlusconismo, i sondaggi rilevano per lui e Lega il 20% . C'è da ridere o da piangere? Caro Lotti, credo che finchè in Italia ci sarà un Vaticano che ha sostenuto, sostiene spudoratamente persone di questo stampo, sarà perfettamente tempo sprecato scegliere qualche movimento sperando di riuscire a promuovere una cultura della giustizia e della pace. Non sarà tempo perso darsi da fare per criticare e promuovere cammini alternativi a questi falsi profeti che ingannano per avere più potere.

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Commenti Articolo 642

Titolo articolo : PETIZIONE: " NO strada Almirante a Catania",a cura di Domenico Stimolo

Ultimo aggiornamento: January/06/2013 - 19:10:10.

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Roberto Ventrella Napoli 26/12/2012 11.52
Titolo:Il popolo catanese
Il popolo diCatania non si farà beffare da un'affronto simile! Dove i politici cedono , per mancanza di coscienza civile, il popolo entra in azione. AUGURI CATANIA!!!!
Autore Città Giorno Ora
Roberto Ventrella Napoli 26/12/2012 11.52
Titolo:Il popolo catanese
Il popolo diCatania non si farà beffare da un'affronto simile! Dove i politici cedono , per mancanza di coscienza civile, il popolo entra in azione. AUGURI CATANIA!!!!
Autore Città Giorno Ora
Roberto Ventrella Napoli 26/12/2012 11.52
Titolo:Il popolo catanese
Il popolo diCatania non si farà beffare da un'affronto simile! Dove i politici cedono , per mancanza di coscienza civile, il popolo entra in azione. AUGURI CATANIA!!!!
Autore Città Giorno Ora
domenico stimolo catania 06/1/2013 19.10
Titolo:puntualizzazione per invio adesione PETIZIONE
INVIARE L’ADESIONE, indicando * nome e cognome, * indirizzo di residenza, * indirizzo di posta elettronica a: gapa@associazionegapa.org
domenico stimolo

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Commenti Articolo 643

Titolo articolo : LA “SALITA IN POLITICA” del Prof. MONTI e la BENEDIZIONE del VATICANO,di NINO LANZETTA

Ultimo aggiornamento: January/06/2013 - 17:19:41.

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Autore Città Giorno Ora
ugo agnoletto ponte della priula 06/1/2013 17.19
Titolo:Ratzinger è l'unico garante della verità
Ho visto i paramenti indossati in vaticano per l'ordinazione di padre Georg. Tutti rigorosamente quelli prima del concilio vaticano II. E' un messaggio chiaro: il concilio vaticano II è stato affossato. L'illusione che la chiesa potesse essere diversa è finita. O si è con Ratzinger (ma al 100%) o si è fuori della chiesa

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Commenti Articolo 644

Titolo articolo : Smuovere la Chiesa cattolica  ,di Bernard Bauchet

Ultimo aggiornamento: January/06/2013 - 16:02:08.

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paolo marangoni padova 06/1/2013 15.36
Titolo:
per questo sono utili i movimenti, tipo cursillos di cristianita', che con un metodo e carisma proprio(portare il messaggio di cristo specialmente negli ambienti di lavoro) , annunciano il kerygma a tutti gli uomini di buona volonta'-
Autore Città Giorno Ora
ugo agnoletto ponte della priula 06/1/2013 16.02
Titolo:non ci sono le condizioni
non ci sono le condizioni per un cambiamento nel cattolicesimo perché non possono esserci. Questo papa ha definito cos'è il cattolicesimo, praticamente quello che era ai tempi di Costantino. A meno che un'altro papa sconfessi l'operato di Ratzinger. Ma allora la chiesa cadrebbe nel completo relativismo. Ratzinger ha definito dei paletti: o così, o si è fuori. Ratzinger è coerente con la storia del cristianesimo: cioè non è possibile il dialogo col mondo perché la ragione DEVE cedere alla fede. E' su questo principio della superiorità della fede sulla ragione che il cattolicesimo giustifica il suo potere e i suoi privilegi

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Commenti Articolo 645

Titolo articolo : Si riempiano i granai e si svuotino gli arsenali,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: January/01/2013 - 14:38:14.

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Renzo Coletti Genova 01/1/2013 14.38
Titolo:
Caro Giovanni,
questo è un editoriale che sfugge alla mia capacità di comprensione. Essere operatore di pace è come dire qualcosa di simile a comunista: se non si comprende che la pace può esistere solo se si aboliscono le classi, non si comprende altro che l'ipocrisia del messaggio del pacifismo basato sul buonismo, il perbenismo, il paternalismo.
Essere figli di Dio non credo che sia un privilegio o una aspirazione, resta una menzogna da sempre usata per soggiogare le menti ad un potere gestito da umani operatori di falsità e vanagloria.
Quante giornate si dedicano a temi importanti e quanta ipocrisia c'è in queste manifestazioni di solidarietà?
La guerra è frutto di scelte politiche ben precise, è una necessità che si impone in un deternimnato sistema di vita, è l'aberrazione della mente ristretta e soffocata nel dogma, nel fanatismo, nella sete di potere e supremazia ottenuta attraverso il denaro e la forza bruta delle armi, ma c' anche una mente organizzativa dietro a tutto ciò, una mente psicopatica, un modello culturale che si alimenta tra le pieghe del liberismo sfrenato, tra le mura di templi religiosi in cui si celebrano riti religiosi o pagani, ma sempre intrisi di sangue di vittime sacrificali, di vergini donne, di Sante martiri, di Gesù in croce.
Bush, il presidente americano che tu hai citato, è un menbro di una setta che si chiama teschi ed ossa, e celebra riti in cui si sdraia dentro una bara, ma si potrebbero citare altri riti. Ora se pensi che Bush era il presidente della più grande potenza mondiale, puoi trarne le debite conclusioni.
Ma si può continuare parlando di una parte importante dellla chiesa, forse la più importatne, ovvero dell'Opus dei, da cui vengono sfornati la maggior parte dei dirigenti politici e funzionari di altissimo livello nel nostro paese e nel mondo intero: una vera potenza mondiale, il più potente dei servizi segreti mai esititi al mondo. Per essere operatori di pace bisotna sapere cosa significa agire contro il sitema dominante, significa conoscere la Storia dell'umanità e come si è giunti a questa barbarie,: non basta marcciare contro la guerra, non è la guerra il nemico, è chi la fa che bisogna combattere: chi produce gli armamenti è solo il braccio armato, chi spara è solo un esecutore, ma la mente è sta nel cuore del sistema, nel pensiero che lo nutre, nelle motivazioni che rendono l'uomo incapace di ragione sino a diventare distruttore di se stesso in scontri che hanno come fine ultimo il bisongno di sangue come nutrimento di un'egocentrismo folle come l'immagine di Dio.
Caro amico, tu inviti alla partecipazione al voto, indichi un partito, come se un parlamentare oggi potesse essere considerato un operatore di pace, ma i fatti ti contraddicono, tutte le eperienze sin quì vissute parlano di politici che hanno fatto dell parlamento un luogo di perversione, un lupanare in cui si prostituscono le migliori cause che la mente umana abbia creato, un luogo di perdizione dove si decidono solo misfatti, guerre, e guarda un po', persino in nome della pace. Oggi poi il parlamento italiano ha praticamente dato forfait, non conta più niente, così come non conta più niente, ammesso abbia mai contato, il parlamento europeo, chi prende le decisioni sono altri, quindi cosa faranno i tuoi operatori di pace una volta seduti in parlamento?
Ma non siamo ancora andati a votare, non siamo ancora nè vicini nè lontani, siamo solo in un mare in tempesta, in un precipizio che ancora sembra terra ferma, ma di fatto può trasformarsi in quella guerra che i tuoi cari amici pacifisti non potranno che subire, non l'hanno mai conosciuta, non l'hanno mai capita, non la capiranno mai, non gli appartiene come cultura, non gli può appartenere come azione, non possono combattere perchè astrazione della loro mente ancora acerba.
Se accadono femminicidi è solo perchè le donne non sannno usare la loro forza, ottenuta con tante lotte e sacrifici, non sanno individuare il loro vero nemico, vedono nel maschio il loro avversario naturale, il loro oppressore di sempre, ma ciò che è oggi la società non parla lo stesso linguaggio: mai come oggi la donna ha avuto spazi e ruoli di comando, mai come oggi la donna è stata presente nei vari ruoli sociali e nei vari mestieri, persino nella magistratura il femminile è una realtà molto diffusa, ma che cosa ha significato questa presenza per l'evoluzione sociale e l'emancipazione della specie?
Se un parroco si permette di insultare la donna è solo perchè la donna frequenta la sua parrocchia nonostante lui si comporti come un menbro dell'inquisizione: non è con lui che le donne debbono prendersela, un pazzo resta un pazzo, ma con le donne che hanno acettato di avere un parroco del genere e sono andate a Messa da lui tutte le domeniche e magari anche tutti i giorni.
E i maschi dove sono? Ma prima di puntare il dito conto il maschio sarebbe bene che si lavassero prima i panni i casa e si chiarissero le idee tra le donne stesse, comprese quelle che hanno scelto di non esserlo, diventando suore e coprendo i loro ccorpi come se fosse una vergogna il possedere un corpo ed un sesso.
Noi uomini siamo responsabili della Storia, ma non siamo resposnabili del delirio che la storia ha prodotto, siamo vittime come le donne ed insieme dovremmo lottare non come operatori di pace, ma come persone con dignità, con senso critico, con volontà di cambiamento, con capacità di analisi, con spirito rivoluzionario e di classe.

Renzo Coletti

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Commenti Articolo 646

Titolo articolo : La “strage del pane a Natale”: contraddizioni e mancanza di prove nei video dell’opposizione,  di Marinella Correggia

Ultimo aggiornamento: December/31/2012 - 21:44:48.

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Roberto Ventrella Napoli 31/12/2012 21.44
Titolo:giornalismo di qualità
Non posso non restare ammirato per la chiarezza e l'onestà professionale (qualità estremamente rare nel giornalismo di oggi, ma forse di sempre), di questa donna rimarcabile. Una delle pochissime voci libere dello squallido panorama dell’informazione italiana.

Qualcuno ha deciso che alcuni paesi devono scomparire dalla carta del Medio Oriente! La Siria è uno di questi. Ma, sia ben chiaro, non perché siano dei paesi canaglia come Israele, ad esempio, o gli stessi Stati Uniti quando ci si mettono d’impegno, no, ma solo perché danno fastidio, disturbano, hanno troppo petrolio o sono collocati in luoghi strategici o, più semplicemente non vogliono accontentare i nostri occidentali capricci.
È disgustoso assistere a questa idiota e pericolosissima deriva guerrafondaia che porrebbe portarci ad una guerra ben più "mondiale" di quelle che hanno vissuto i nostri padri e i nostri nonni.
Ma questo mio intervento non è per riferire cose già sapute, ma per dire grazie a questa signora dell’informazione che, credo, ma vorrei sbagliarmi, in questi ultimi tempi ha bisogno di molto sostegno.

Grazie Marinella, buon anno e che la verità sia con noi.
rv

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Commenti Articolo 647

Titolo articolo : Dove sono gli uomini  ,di Suor Rita Giarretta

Ultimo aggiornamento: December/31/2012 - 11:02:18.

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Renzo Coletti Genova 31/12/2012 11.02
Titolo:
Dove sono gli uomini? E già… dove sono finiti e dove voi donne li avete collocati? Un piccolo esempio: ero ricoverato in ospedale e per scherzo ho detto ad una infermiera simpatica: "Mi piaci, giuro che ti sposo." Beh.. la risposta è stata istantanea e sincera: " Calma, se hai i soldi affare fatto, altrimenti niente da fare." Certo si stava scherzando, ma mica poi tanto.
E le ragazze che come regalo per la maturità si fanno rifare il seno, stanno forse scherzando o forse giocando al gratta e vinci?
Dove sono finiti gli uomini? Ad un congresso di un partito che si definisce rivoluzionario, socialismo rivoluzionario, (SR) ho visto uomini seduti a destra, donne a sinistra, ed alla fine dei lavori sedersi a tavoli lontani e ben separati, per carità dividiamo bene gli stracci, siamo cose diverse e le donne sono certamente superiori. Di queto gruppo faceva parte un tempo una giornalista famosa, Lucia Annunziata.
Beh… potete crederci o meno, ma per essere dei rivoluzionari,, secondo SR, era fondamentale essere gay, sopratutto lesbiche.La donna era l'essere dominante, guai se ti permettevi di interromperla mentre parlava, eri il solito maschilista, e guai se osavi mettere in discussione la superiorità della femmina.
Ovviamente feci una fuga precipitosa dall'ambiente, sopratutto quando capii che i maschi di maschio avevano ben poco.
Ma dove sono finite le donne? Beh.. alcune le abbiamo viste sotto le lenzuola del potere, altre fare la coda per una manciata di pubblicità, altre sbattersi per la carriera pungnalando alla schiena persino la migliore amica ed il fratello, altre le abbiamo viste da ragazzine esibirsi su palcoscenici in atesa di gloria spinte da madri e padri più ansiosi di grandezza di un pallone gonfiabile. Vinci! Vinci! Dai che ce la Fai! Ce la devi Fare!
E dove è sono le donne in cerca di centomila sfumature di grigio?
E le quote rosa sono donne speciali? Sono dannatamente femmine? Insomma la donna criminalmente femmina, oggi che fine ha fatto? Come definrebbe la donna oggi Fred Buscaglione?
Penso che le donne criminalmente femmine Buscaglione le riconoscerebbe subito nella ministro Fornero, nella Marcegallia, nella Gelmini, nella Rosi Bindi tante altre consimili, ma poichè a scrivere questo articolo è una suora, mi domando quante suore appartengano a questa categoria
Ho visto suore rovinare la vita a bambine cieche, ho visto rubare a loro la gioia di vivere, inculcare loro il senso del peccato, la paura dell'inferno, ho visto cosa può fare l'educazione cattolica sulle menti di giovani donne, ho visto cosa è il marciume degli IPAB (Istituti Provinciali di Assistenza e Beneficenza), ho visto suore compiere atti di libidine e perversione da far rabbrividire ed oggi devo subire la predica da parte di una di loro?
Cara sorella cercava un uomo? Eccomi: sono qui ad attenderla ed a risponderle per le rime. non basteranno milioni di suore per bene, ammesso ne esistano, per sanare le ferite che altre milioni di suore hanno inflitto, non basterà mai nulla che non sia la vostra rinucia ad essere ciò che siete, ovvero delle ipocrite che hanno rinunciato al ruolo di donna e vi brucia sotto la veste come un fuoco.
Dove sono gli uomini? Sono in guerra, in quella guerra che voi donne avete permesso che si compiesse e che voi suore avete benedetto con i vostri riti e le vosttre preghiere.
Potete pure scandalizzarvi se un parroco vi insulta, ma alla fin fine siete responsabili di ciò che vi accade, ma non perchè mostrate la pancia, il culetto, o le tette, ma perchè siete ignoranti come scarpe, perchè vi siete illuse di aver ragiunto il benessere e la libertà , solo perchè vi siete denudate, perchè avete sfondato qualche porta nella competizione con il maschio, ma ora vi ritrovate soffocate nella violenza di una società che avete disperatamente voluto con tutte le forze, una società capitalistica, liberista estremista, una società sostanzialmente bigotta, repressiva, che vi guardate bene dal combattere: il vostro nemico è l'uomo, anzi il maschio, e così facendo peggiorate la vostra situazione. Vi fanno buona compagnia i gay con il loro orgoglio, tutti soggetti singoli di un un mondo plurale che non riuscite a concepire.
Cara sorella, sa quante donne sono state violentate in Libia, in Iraq, in Serbia, ed in tutti i luoghi dove noi italiani abbiamo inviato i nostri militari in missione di pace? E sa chi ha votato per quelle missioni? Sa se la Chiesa ha alzato un solo dito contro queste barbarie?
Voleva un uomo?
Eccolo.

Renzo Coletti

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Commenti Articolo 648

Titolo articolo : L'ORDINE SACERDOTALE E LE DONNE. IL CASO LERICI: LA PUNTA DI UN ICEBERG. Don Corsi insiste: ho scritto quello che penso. Un'intervista di Marco Preve con note di Jolanda Bufalini e Carlo di Foggia - con appunti ,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: December/29/2012 - 13:18:27.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/12/2012 13.32
Titolo:FEMMINICIDIO. Una strage che si può fermare....
Femminicidio, strage che si può fermare

di Barbara Spinelli - Avvocata penalista (l’Unità, 24.12.2012)

«IL FEMMICIDIO E IL FEMMINICIDIO SONO DUE NEOLOGISMI CONIATI PER EVIDENZIARE LA PREDOMINANZA STATISTICA DELLA NATURA DI GENERE della maggior parte degli omicidi e violenze sulle donne. Femmicidio è l’uccisione della donna in quanto donna» (Diana Russell), e nella ricerca criminologica include anche quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta l’esito/la conseguenza di pratiche sociali misogine. In alcuni Paesi, in particolare dell’America Latina, si è scelto anche di introdurre nei codici penali le fattispecie o le aggravanti di femmicidio o di femminicidio.

La violenza maschile sulle donne costituisce una violazione dei diritti umani, della quale il femminicidio costituisce la manifestazione più estrema. La codificazione del femminicidio quale violazione dei diritti umani, è avvenuta nell’ambito del sistema di diritto internazionale umanitario internazionale e regionale. In Italia, anche rispetto ad altri Paesi europei, persiste una significativa difficoltà per le Istituzioni e per i giuristi a concepire la necessità di un approccio giuridico e politico alla violenza maschile sulle donne che la affronti quale violazione dei diritti umani.

Di conseguenza, le politiche e le riforme legislative difficilmente rispondono all’esigenza di attuare le obbligazioni istituzionali in materia - come prevenire la violenza maschile sulle donne, proteggere le donne dalla violenza maschile, perseguire i reati che costituiscono violenza maschile, procurare compensazione alle donne che hanno subito violenza maschile - nei modi e nelle forme indicati dalle Nazioni Unite (Raccomandazioni all’Italia del Comitato Cedaw e della Relatrice Speciale Onu contro la violenza sulle donne, Rashida Manjoo). Si ricorda infatti che anche in materia di violenza maschile sulle donne, gli Stati sono tenuti non solo a non violare direttamente i diritti umani delle donne, ma anche ad esercitare la dovuta diligenza .

Si configura una responsabilità dello Stato, qualora i suoi apparati non siano in grado, attraverso l’esercizio delle funzioni di competenza, di proteggere, attraverso l’adozione di misure adeguate, il diritto alla vita e all’integrità psicofisica delle donne, o qualora l’aggressione da parte di privati a questi diritti fondamentali sia favorita dal mancato o difficile accesso alla giustizia da parte della donna.

In tal senso, si ricorda che l’Italia nel 2009 è già stata condannata dalla Cedu. Il problema principale che caratterizza l’inadeguatezza delle risposte istituzionali alla violenza maschile sulle donne in Italia, è rappresentato dal mancato riconoscimento da parte delle Istituzioni della persistente esistenza di pregiudizi di genere, e dell’influenza che questi esercitano sull’adeguatezza delle risposte istituzionali in materia.

C’è infatti una vera e propria tendenza alla rimozione, del fatto che fino a ieri il sistema giuridico italiano era profondamente patriarcale: chi ricorda la data della riforma del diritto di famiglia, che ha abolito la potestà maritale? E le riforme del codice penale che abolito l’attenuante - per gli uomini - del delitto d’onore e hanno spostato la violenza sessuale da reato contro la morale a reato contro la persona?

Il fatto è che quella stessa mentalità ancora oggi è profondamente radicata nel pensiero degli operatori del diritto e, in assenza di formazione professionale sul riconoscimento della specificità della violenza maschile sulle donne e delle forme in cui si manifesta e degli indicatori di rischio che espongono la donna alla rivittimizzazione, spesso si risolve in sentenze dalle motivazioni anche palesemente sessiste ovvero nella mancata ricezione di denunce-querele ovvero nella mancata adozione di misure cautelari a protezione della donna, il tutto descritto dalle Nazioni Unite come il persistere di atteggiamenti socio-culturali che condonano la violenza di genere.

La percezione di inadeguatezza della protezione da parte delle sopravvissute al femminicidio in Italia risponde a un problema reale, confermato dai dati ormai noti: 7 donne su 10 avevano già chiesto aiuto prima di essere uccise, attraverso una o più chiamate in emergenza, denunce, prese in carico da parte dei servizi sociali.

Allora occorre anche da parte degli operatori del diritto sollecitare i soggetti istituzionali preposti al corretto adempimento delle obbligazioni internazionali in materia di prevenzione e contrasto al femminicidio. In particolare sul fronte della prevenzione, con la predisposizione di sistemi di efficace e uniforme raccolta dei dati sulla vittimizzazione e sulla risposta del sistema giudiziario (con dati pubblici, disponibili online e costantemente aggiornati); e la formazione di genere per tutti gli operatori del diritto.

Mentre sul fronte della protezione bisogna favorire la formazione di sezioni specializzate, l’intervento anche in emergenza da parte di «volanti specializzate» , e favorire linee-guida e protocolli di azione nazionali da adottarsi per i vari uffici (protocolli di intervento per le forze dell’ordine, protocolli della magistratura inquirente sulla conduzione delle indagini, protocolli per l’adozione degli ordini di protezione, ecc.) per facilitare anche l’organizzazione delle procure e dei giudici per le indagini preliminari e per l’esecuzione della pena in maniera tale da trattare in via prioritaria le situazioni di violenza nelle relazioni di intimità. A cui aggiungere un maggiore coordinamento tra tribunale per i minorenni, procura della repubblica, tribunale civile, anche attraverso la previsione di obblighi di comunicazione, e il divieto di mediazione per i reati famigliari.

Sul fronte della persecuzione bisogna invece favorire l’immediata implementazione della direttiva europea del 2012 sulle vittime di reato e sul fronte della compensazione portare avanti la formazione professionale per favorire il riconoscimento della specificità dei danni nei casi di violenza di genere.

* Questo intervento è tratto dalla Tavola sul «Femminicidio: analisi, metodologia e intervento in ambito giudiziario» organizzata a Roma da Luisa Betti e Antonella Di Florio
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/12/2012 13.53
Titolo:Con l’hashtag Pontifex l’omelia diventa un tweet
Con l’hashtag Pontifex l’omelia diventa un tweet

di Alessandro Oppes (il Fatto, 4.12.2012)

Un nuovo user irrompe su Twitter. Si presenta buon ultimo ma, come gli garantisce la massima evangelica, sa di avere tutte le carte in regola per arrivare primo. Chi più di Joseph Ratzinger, con un bacino potenziale di centinaia di milioni di fedeli-inter-nauti, può infatti scalzare dalla vetta Barack Obama, attuale leader della rete di microblogging con 24 milioni di followers? A 85 anni, il Papa si getta nella mischia del social network di moda e, nel giorno d’esordio, ha incassato più di 200 mila followers.. E poco importa che, in Rete, ci sia già qualcuno pronto ad avvisarlo: “Non sai in che pasticcio ti stai mettendo”.

È evidente che, al solo annuncio della notizia, diffusa con solennità dalla Sala Stampa vaticana, non potevano che cominciare a circolare scherzi e battute. Volgarità, in certi casi, ma spesso una banale revisione del linguaggio ecclesiastico. Frasi tipo “ama il follower tuo come te stesso”.

Oppure un Giovanni XXIII aggiornato: “Quando tornate a casa, leggete un tweet ai vostri bambini, e ditegli che è il tweet del Papa”. Inevitabili anche le incursioni calcistiche: “Ben detto, pontifex. Dare il Pallone d’Oro a Messi è peccato”. Inconvenienti che, evidentemente, sono stati messi in conto dai collaboratori di Banedetto XVI.

Niente di cui preoccuparsi, se si pensa ai potenziali benefici di un’operazione di “marketing” della fede di cui il Papa era da tempo il più convinto sostenitore. “L’essenzialità dei messaggi brevi, spesso non più lunghi di un versetto della Bibbia - aveva detto Ratzinger all’ultima giornata mondiale delle comunicazioni sociali - permette anche di formulare pensieri profondi”. E allora, ecco che parte la scommessa.

EVANGELIZZARE in 140 caratteri. Cinguettare le Sacre Scritture. Un account dal nome @pontifex (tutte le possibili alternative sono state scartate, perché già occupate) e, in una fase iniziale, tradotto in otto lingue: inglese, italiano, francese, spagnolo, tedesco, polacco, arabo e portoghese. Il profilo è già on line, ma il primo tweet arriverà solo il 12 dicembre.

Per rivolgere domande al Papa su “questioni relative alla vita di fede”, si dovrà utilizzare l’hashtag #askpontifex. A rispondere, sarà uno staff di suoi collaboratori anche se, assicurano in Vaticano, sempre sotto la supervisione di Benedetto XVI. Ovviamente, chiunque può diventare follower del Papa. Ma non aspettatevi che lui vi chieda di diventare vostro seguace. Sarebbe solo una pia illusione.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/12/2012 13.55
Titolo:RISALIRE GLI ABISSI ....
PAROLA A RISCHIO
Risalire gli abissi
La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
Perché è sorriso, liberazione, gioia.

di Giovanni Mazzillo (Teologo) *

G come gioia, come Gesù, respiro di gioia per tutti gli infelici della terra. Parliamo di Gesù, il cui corrispondente nome greco Iesoûs deriva direttamente dall’originale ebraico Je(ho)šhu e significa JHWH salva, per precisare immediatamente che il termine salvezza oggi non significa gran che per i nostri contemporanei, e di conseguenza risuona poco interessante persino quel nome, pur originariamente portatore di una gioia immensa e inaudita. Ciò avviene non solo per l’inevitabile logorio delle parole più usate e talora abusate, ma per il fatto che ha perso rilevanza e pertanto significato il valore stesso della “salvezza”.

Salvezza
Salvezza da chi e/o da che cosa? Appunto, è questo il primo problema. La salvezza appare di primo acchito un concetto immediatamente derivato dal superamento di una situazione negativa, Si salva, o come succede in questo caso, viene salvato, qualcuno che si trova in una situazione di pericolo. Il pericolo di perdere qualcosa, di perdere se stesso. Di essere cancellato, di sparire, appunto come sparisce da un computer un testo non “salvato” o un’immagine non messa al sicuro. Ma essere salvati è per noi persone umane, e pertanto non riducibili a una traccia di codificazione binaria o algoritmica, molto di più che conservare un’impronta e una presenza. Coerentemente con la nostra realtà dinamica e relazionale, essere salvati significa avere un luogo, un senso, una rilevanza nel contesto di una realtà che giustifica, sorregge, garantisce il mantenimento e la crescita qualitativa, e pertanto il conseguente riconoscimento di un originario, inalienabile, imprescindibile valore personale.

La domanda «Chi o che cosa si può dire oggi salvato?» esige pertanto una primordiale differenziazione. Altro è il concetto di ciò che è salvato (cioè il dato messo al sicuro), ben altro è l’essere umano salvato. Questi non è solo garantito in ciò che ha di più proprio e pertanto è distinto dal mero “dato”, che invece è una sorta di file compilato (non per nulla in tedesco proprio il file è chiamato Datei, leggi datai, cioè «rea-ltà data»). L’essere umano è tale solo in un incontro, in una relazione. La persona è tutta nelle relazioni delle quali vive. Proprio la relazionalità sorregge il senso e la gioia del suo esistere.

L’annuncio di Gesù, già nella sua venuta in questo nostro mondo, è l’annuncio di una relazionalità umana felicemente riuscita. Nel Vangelo è direttamente collegato alla Grazia, termine che esprime tutto ciò e anche qualcosa di più.

Nell’annuncio della sua nascita, diversamente da quanto appare nella traduzione latina, e in quella italiana da essa derivata, nella preghiera più popolare che ci sia, Maria è salutata non con il saluto che si dava all’imperatore, alle autorità o anche agli amici con l’esclamativo «Ave!», bensì con l’invito a rallegrarsi, cioè a gioire (chaîre): a entrare in un circuito di esultanza per un dono gratuito e inatteso. Colei che è piena di grazia (kecharitōménē) è invitata a rallegrarsi perché tutto in lei è frutto ed espressione della «grazia» (cháris), cioè di un dono amorevole quanto sorprendente, che sarà presto annuncio di gioia per tutto il popolo e per ogni uomo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...”. L’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia...» (Lc 1,30-31; 2,10-11).

Il resto del Vangelo, soprattutto quello di Luca, evidenzia la gioia improvvisa e incontenibile che contagia quanti vengono a contatto con Ješhu. A cominciare da Elisabetta e dal suo bambino, che le esulta nel grembo, il futuro Battista. Così esultano ancora due anziani che sembrano essere rimasti in vita per mantenere viva la speranza d’Israele: Simeone e Anna, o i pastori; mentre nel racconto di Matteo, viene detto che i Magi “provarono una grandissima gioia” nel rivedere la stella che indicava il luogo della natività di Gesù.

La stessa gioia è testimoniata dai semplici e dagli umili, dagli infelici e dai peccatori che si sentono aiutati, capiti, perdonati. A gioire sono ancora i bambini e le donne, classi tradizionalmente neglette dalla piena partecipazione alla grazia collegata alle tradizionali benedizioni di Dio. Insomma il cuore del Vangelo è la lieta notizia annunciata ai bisognosi e agli infelici della terra. Il Dio che si dona totalmente, è il Dio che dona illimitatamente la gioia agli uomini. E perché la nostra gioia fosse piena (Gv 15,11), il Figlio di Dio è arrivato umanamente a perdere se stesso.

Perché avessimo una gioia che nessuno avrebbe mai più potuto toglierci, ha permesso che fosse tolta a lui la vita, per riprenderla di nuovo, ma con la conoscenza ormai nella sua carne e nella sua psiche di cosa significhi la morte umana. Di cosa voglia dire la gioia di vivere, di vivere non con il naturale sorriso con cui vive ogni creatura per la stessa gioia dell’esistere, ma di provare e diffondere la gioia di chi conosce la sofferenza e non resta inchiodato alla sofferenza. O al limite, di chi, nonostante le ferite e talora i chiodi mai interamente rimossi della sofferenza, sa sorridere della vita, perché questa è ormai rischiarata da colui che vince la morte e la depressione della sofferenza.

La gioia è dunque uno dei nomi della salvezza, ma di una salvezza che assume di volta in volta nomi nuovi e nomi antichi: riscatto, liberazione, sensatezza, leggerezza dell’esistere... Se la parola non fosse tanto inflazionata, si potrebbe dire che la salvezza altro non è che la felicità. È la felicità nel suo senso etimologico: come abbondanza e fertilità. Possiamo tradurre: come vita sensata che raggiunge il suo scopo e nasce da relazioni benevole, tendenti al bene altrui, trovando negli altri la propria gioia e comunicandola con relazioni che fanno crescere se stessi e gli altri.

In quanto tale, la felicità è simile alla pace e ne è la forma storica: è star bene con sé e con gli altri, con il proprio passato e con il proprio futuro. Perché, soprattutto oggi, c’è bisogno paradossalmente più di ricostruire il futuro che il passato o il presente. Per poterlo fare c’è bisogno di quella gioia consapevole che non si arrende e che non si ripiega su se stessa. Si ritrova nel futuro di una convivenza che non nasconde, ma sa riconoscere e superare i conflitti attraverso uno sguardo d’amore verso ciò che ci è intorno. È uno guardo che viene da lontano e tuttavia tocca la nostra umanità, questa mia e questa tua umanità, quella assunta, attraversata e come divinizzata da quel Gesù che continuamente dà senso a ogni tentativo di superare la violenza con l’amore. È l’unico a dar senso a ogni discorso di pace, anche questo che hai appena finito di leggere.

* MOSAICO DI PACE, LUGLIO 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/12/2012 15.37
Titolo:il vescovo ferma don Piero .....
Donne uccise, frasi choc. Il vescovo ferma don Piero

di Erika Della Casa (Corriere della Sera, 27 dicembre 2012)

Il volantino sul femminicidio che don Piero Corsi, parroco di San Terenzo, frazione di Lerici, aveva affisso nella bacheca della chiesa è stato rimosso e in serata sono arrivate le scuse del sacerdote «alle donne che si sono sentite offese». L’ordine di togliere il volantino è arrivato dal vescovo di La Spezia, monsignor Luigi Ernesto Palletti che ha convocato il parroco «per spiegazioni» dopo le proteste sollevate dalle associazioni attive contro la violenza sulle donne. Titolo del volantino: «Femminicidio: le donne facciano autocritica, quante volte provocano? Donne e ragazze che in abiti succinti provocano gli istinti, facciano un sano esame di coscienza: forse ce lo siamo andate a cercare?». La risposta, pare evidente, per il parroco era un grande sì: se lo sono andate a cercare. Le donne - continuava la disanima di don Piero - sfidano gli uomini non solo con gli «abiti succinti» ma anche con comportamenti supponenti: «Cadono nell’arroganza e si credono autosufficienti e finiscono per esasperare le tensioni». La conseguenza? «Bambini abbandonati a loro stessi, case sporche, piatti in tavola freddi e da fast food, vestiti sudici. Dunque se una famiglia finisce a ramengo e si arriva al delitto (forma di violenza da condannare e punire con fermezza) spesso le responsabilità sono condivise».

È intervenuto monsignor Palletti: «Ho fatto rimuovere immediatamente quel volantino i cui contenuti sono fuorvianti rispetto ai sentimenti di condanna per la violenza contro le donne - ha detto l’alto prelato -. Vi si leggono motivazioni inaccettabili che vanno contro il comune sentire della Chiesa». In attesa di presentarsi davanti al vescovo, questa mattina, don Piero - dopo le prime reazioni piuttosto turbolente (ha dato del gay ad un giornalista del GR2, chiedendogli cosa provasse davanti a una donna nuda) - ha preferito fare retromarcia: «Voglio scusarmi con tutti per quella che voleva essere soltanto una provocazione - ha detto - e in particolare voglio scusarmi con tutte quelle donne che si sono sentite offese dalle mie parole». Ha poi assicurato che affronterà «con serenità le decisioni della Curia». Tutto questo ha rasserenato gli animi, dopo che la presidente del Telefono rosa Gabriella Carnieri Moscatelli aveva chiesto l’intervento non solo del vescovo ma anche del Papa perché «quella del parroco di San Terenzo è una vera e propria istigazione a un comportamento violento nei confronti delle donne e offre un’inaudita motivazione ad atti criminali». Le donne di Lerici hanno organizzato per domani un sit-in di protesta: «Non finisce qui - dicono
- . Ci sembra di essere tornate indietro di duecento anni».

Il volantino sul femminicidio è l’ultima trovata di quella che a San Terenzo è nota come «la guerra di Piero». Nulla a che vedere con gli ideali pacifisti della canzone di De André. Don Piero aveva già affisso nella bacheca vignette anti-Islam e quando fu costretto a toglierle le aveva sostituite con il disegno di un asino che ride. Uno sberleffo ai suoi contestatori. La lista delle sue «battaglie» va dall’intransigenza sull’ora del pranzo per i disabili ad una zuffa con un clochard. Il volantino sul femminicidio - tuttavia - non è tutta farina del suo sacco: è tratto da un sito cattolico ultraconservatore Pontifex.it su cui si dà una lettura particolare della lettera pastorale «Mulieris Dignitatem».

E ieri il sito ha difeso don Piero: «Un sacerdote che ha fatto quello che fanno tutti, stampare articoli, interviste, editoriali e documenti tratti da Pontifex.Roma ed apporli in bacheca in Chiesa. Questo innocente gesto ha dato inizio a una sorta di crociata dei pezzenti messa in piedi da alcuni arroganti tuttologi dell’informazione». E mette in guardia: «Domando al lettore: se, casomai, il figlio la cui madre è stata uccisa da un amante geloso, già afflitto di suo, dovesse leggere certe false dichiarazioni attribuite a don Corsi e, mancando di senno, dovesse scagliare una pietra contro il sacerdote a chi sarebbe ascrivibile la colpa?». Don Piero, per fortuna, sembra aver riflettuto sul significato di quello che aveva scritto
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/12/2012 15.48
Titolo:FEMMINICIDIO. Tacere sarebbe un po’ come avallare
Femminicidio

di don Renato Sacco (“Mosaico di pace”, 27 dicembre 2012)

No. Tacere sarebbe un po’ come avallare. Ci ho pensato molto quando ho letto la notizia di un prete, parroco in Liguria, che ha affisso alla porta della sua chiesa un articolo preso da internet dal titolo: “Le donne e il femminicidio, facciano sana autocritica. Quante volte provocano?” Mi ha molto colpito, come prete e come uomo, tutta questa vicenda con le successive affermazioni, smentite ecc.

Ho pensato che non era giusto stare in silenzio. Credo, di fronte alla morte, all’uccisione, al ‘femmnicidio’ non ci sia spazio per i se e per i ma... Siamo di fronte a persone uccise in quanto donne, quasi sempre da uomini del proprio ambito familiare.

Far finta di non vedere o puntare i riflettori su altro (es. modo di vestire ecc.) credo sia molto grave. E penso che come uomo e come prete, anch’io sono parroco, non si debba spostare l’attenzione dalle vittime, che hanno un nome, un volto e una storia.

Ancora ieri, 26 dicembre, in Liguria, un marito, già denunciato per violenze e minacce, uccide la moglie Olga e la sorella Francesca. No, sulla morte non si scherza, e non si scrivono cose dicendo che servono ‘a far riflettere’. Oppure cercando una qualche colpa nelle vittime.

Credo che una seria autocritica la debba fare io - noi in quanto uomini. E io - noi in quanto preti, che spesso parliamo del valore della vita, della famiglia, ecc.

Molti omicidi avvengono proprio in ambito familiare. Stiamo attenti a non arrivare a dire, com’è già successo in passato, che ‘bisogna contestualizzare’. Di fronte al genocidio degli Ebrei, dobbiamo dire che anche gli Ebrei se la sono un po’ cercata? Di fronte ai bambini uccisi a Sarajevo durante la guerra perché giocavano sulla neve, dobbiamo dire che è anche colpa loro e delle mamme che li hanno lasciati uscire dalle cantine?

E di fronte alla vittime di tante guerre passate e attuali, qualche colpa la troviamo per giustificare le bombe e i massacri? E di fronte a questi cristiani uccisi in una chiesa in Nigeria, dobbiamo dire che se la sono cercata, che era meglio se stavano a casa e non andavano in chiesa a pregare? No, credo proprio che sia importante non perdere la bussola e stare dalla parte delle vittime.

Sempre. Don Tonino Bello, profeta dei nostri tempi, morto 20 anni fa, ci ricordava che "delle nostre parole dobbiamo rendere conto agli uomini. Ma dei nostri silenzi dobbiamo rendere conto a Dio!".
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/12/2012 13.18
Titolo:RIMOZIONE DEL FEMMINILE E DOMINIO .....
Donne in cerca di guai

di Alessandro Esposito (“MicroMega”, 28 dicembre 2012)

Noi malpensanti e femministi avevamo provato ad accostare all’indignazione dinanzi alla reiterata violenza di cui le donne sono vittime per mano d’uomo la riflessione relativa alle cause che possono scatenare tale ingiustificabile efferatezza: fortunatamente è giunto, inaspettato, il soccorso di un pio ed acuto parroco ligure ad illuminare la nostra insipienza.

Ma come abbiamo fatto a non pensarci prima? Era evidente: la causa prima della violenza fisica, psicologica, sociale e religiosa quotidianamente inflitta alle donne sono le donne stesse. Il fatto è che era talmente ovvio da essere sfuggito alla nostra capacità d’analisi, immancabilmente condizionata da una lettura ideologica della realtà dei fatti. Ebbene, questa realtà, se ben osservata, ci porta alla conclusione insindacabile che siano le donne le principali (giusto perché affermare «le uniche» deve sembrare eccessivo persino a questi irreprensibili cavalieri della fede) responsabili degli istinti che colpevolmente scatenano nel maschio altrimenti avvezzo per natura a docilità e candore: per cui «chi è causa del suo mal...».

Ci sarebbe da rimanere attoniti se non prevalesse lo sdegno: eppure, una volta ancora, voglio pensare che alla doverosa espressione dei sentimenti sia da preferire un’indefessa ricerca delle cause. In qualità di «addetto ai lavori», vorrei concentrare la mia analisi sul retroterra religioso dal quale questa trivialità continua a trarre alimento e a ricevere legittimazione: a tale proposito limiterò le mie considerazioni a tre aspetti che mi paiono nevralgici.

1. L’universo cattolico intransigente entro il quale quest’ignoranza attecchisce è un universo rigorosamente declinato al maschile: la donna non vi è contemplata se non in qualità di figura deliberatamente relegata ai margini che riflette l’immagine, assai rassicurante per l’uomo, di un’obbedienza che rasenta la remissività. A questa malcelata misoginia l’associazionismo cattolico sta reagendo provando a gettare le basi di un’organizzazione ecclesiale profondamente distinta, che si ispira ai documenti di quel Vaticano II tradito dall’impronta autoritaria degli ultimi due pontificati [1]: l’impressione, però, è che sia la gerarchia, sia una fetta ancora troppo ampia della base cattolica siano sostanzialmente indifferenti (quando non espressamente ostili) alla necessità di proseguire (e in alcuni casi persino di avviare) un percorso di riflessione concernente la centralità e la peculiarità dello sguardo femminile al fine di rifondare il cristianesimo.

2. La tendenza sembra, piuttosto, quella volta a sollecitare l’immaginario sia maschile che femminile rimandandolo a figure in cui non è possibile rinvenire la pienezza della femminilità nella molteplicità delle sue forme espressive, affettive come sessuali. Di qui l’elogio tutt’altro che disinteressato di atteggiamenti quali la castità quando non addirittura di condizioni quali la verginità: null’altro che argini entro cui imprigionare il desiderio. Quello femminile, va da sé.

3. Affinché, però, non sia il desiderio maschile a ridestarsi da quel fondo oscuro entro cui l’educazione ecclesiastica lo relega, nulla di meglio che la famiglia, quella tradizionale, si capisce, per estinguerlo. Pazienza poi se la maggior parte delle violenze di cui le donne sono vittime si consumano entro pareti falsamente protettive che diventano prigioni. Ma tant’è, la famiglia rassicura: specie noi maschi, che così possiamo proseguire nella rimozione di quel timore del femminile a cui abbiamo ovviato con il dominio. E le donne seguitare in aeternum nel silenzio che è loro comandato. Come in chiesa, così in casa.

[1] Vorrei citare, su tutti, il prezioso lavoro svolto dal CTI (Coordinamento Teologhe Italiane; sito intetrnet: www.teologhe.org), presieduto dalla filosofa, teologa e biblista Marinella Perroni.

Alessandro Esposito - pastore valdese

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Titolo articolo : SECOLARIZZAZIONE E APOCALISSE: RILEGGERE LA BIBBIA. “Io, la Genesi e papa Luciani”: parla Carlo Enzo, professore ed esegeta, che racconta i suoi tormentati rapporti con la Chiesa. Un'intervista di Antonio Gnoli - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: December/28/2012 - 22:30:27.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/12/2012 22.30
Titolo:CON OCCHI E ORECCHIE Una lettura davvero sorprendente ...
Date al cielo quello che è del cielo

di Romano Màdera (l’Unità, 6 marzo 2012)

"Un libro davvero nuovo e davvero originale sarebbe quello che facesse amare vecchie verità ». Questa caustica citazione di Vauvenargues, ripresa da Pierre Hadot per alludere al suo tentativo di tornare alle fonti della filosofia greca come maniera di vivere, è perfetta per lo sterminato commento del Vangelo secondo Matteo che Carlo Enzo sta pubblicando in questi anni.

Ne sono usciti, dal 2010, quattro volumi, uno dedicato al «Progetto di uomo e di mondo delle generazioni di Israele in Genesi 1-4», che riprende Adamo dove sei? uscito per Il Saggiatore nel 2002, e altri tre dedicati a La generazione di Gesù Cristo, rispettivamente Gli Inizi della generazione, La Legge della generazione, La Regola dell’apostolo della generazione. A breve usciranno altri quattro volumi, tutti per Mimesis.

CON OCCHI E ORECCHIE

Una lettura davvero sorprendente: leggere con occhi e orecchie tutte diverse un libro arcinoto, scovare, fra le centinaia di commenti ai Vangeli, qualcosa che si discosta da tutto quello che siamo abituati ad aspettarci da una esegesi, anche da quelle più «nuove» o «rivoluzionarie».

Ma sorprendente è anche l’assenza totale di reazioni, sia da parte del mondo ecclesiale, sia da parte della cosiddetta «cultura laica» (forse perché in Italia vige un doppio clericalismo, basato sul tacito accordo secondo il quale i «laici» dissentono, magari duramente dalla Chiesa, ma ne accettano l’interpretazione della Scrittura?).

Carlo Enzo segue il metodo più tradizionale possibile, quello ebraico del midrash. Ogni passo, ogni parola viene minuziosamente indagata attraverso le sue ricorrenze, sempre nel contesto dei libri che formano la Bibbia. Dunque nessuna lettura dall’esterno, condotta a partire da teologie o da filosofie, da teorie semiologiche o narratologiche contemporanee. Leggere i Vangeli con la Bibbia, tutto l’opposto di ogni tentativo di demitizzazione, scaltrito dalle nostre conoscenze storico-critiche.

Eppure Carlo Enzo è uno dei pochi autori italiani che si siano cimentati seriamente con Bultmann, il grande teologo al quale si deve una interpretazione del cristianesimo fuori dal mito, compreso invece secondo categorie filosofiche vicine all’heideggerismo.

L’approccio al testo non si appoggia sulla critica letteraria né sulle scienze umane, certo è filologia, ma filologia biblica, mostra cioè che questo testo è scritto in un linguaggio particolare, secondo un suo codice di rimandi e di significati interni. Potremmo dire, prendendo alla lettera il termine nel suo significato etimologico: è un geroglifico, sono «lettere sacre incise». Uno dei pochi moderni citati è Galileo Galilei: l’insegnamento contenuto nel Libro Sacro si riferisce a «come si vadia al cielo, non come vadia il cielo», così scriveva Galileo a Cristina di Lorena.

Di qui lo smontaggio di ogni valenza cosmologica o naturalistica, che riguardi il mondo fisico o l’uomo come specie. La Bibbia non parla di questo, non è questo lo scopo del suo racconto, del suo «mito», essa ha di mira un modo di vivere, frutto di una lunga e travagliata esistenza storica, che deve protendersi in un progetto di uomo e di mondo da costruire interrogando questa stessa esperienza. Non si parla dunque di «uomo» o di «donna», di «terra» o di «cielo», di «animali».

Il mio mito, dice Carlo Enzo-Matteo, in una lettera al suo interlocutore romano Cornelio, introduttoria a tutto l’Evangelo, «è progetto del proposito di Ihwh (il tetragramma impronunciabile del Nome di Dio), “sarò”, Dio di Israele e ideale della sua buona coscienza, di elaborare un “mondo” e un “uomo” che siano una eReTs (tradotto troppo semplicisticamente “terra” nelle versioni comuni), una nazione coltivata e salgano fino ai Cieli e diventino stelle, siano cioè luce per i “mondi” e gli “uomini” che stanno nel S_aDeH, nelle nazioni noncoltivate, o nel “mare”, nelle nazioni in cui gli uomini vivono impauriti dai loro tiranni e prigionieri di parole salate...».

LE PECORE DEL BUON PASTORE

Si capisce bene, allora, quali conseguenze abbiano spiegazioni del genere: per esempio, quando Gesù camminerà sulle acque non si tratterà di un prodigio per stupire con la potenza di supereroe o diun dio greco-romano, ma di un segno di chi sa attraversare senza timore il mare delle genti lontane dalla parola di vita che è il suo messaggio.

Nessuno si sognerebbe di interpretare le «pecore» del Buon Pastore come vere e proprie pecore. Perché dunque questa regola non deve valere per tutto il testo evangelico? Se si seguisse la lettura di Carlo Enzo, scomparirebbero tutte le assurde discussioni su verità scientifiche e verità di fede, per la buona ragione che la Bibbia parla della creazione di un «mondo» etico-spirituale, di uno stile di vita, non di astronomia, così come sarebbero prive di fondamento biblico posizioni che volessero appellarsi alla «natura», in quanto creata da Dio, per dirimere questioni di bioetica.

Dio non ha creato nessun mondo fisico, si tratta di un progetto per abitarlo diversamente, e non da parte del genere umano, ma come storia del suo tipo umano, del suo Adamo.

Così si giunge a capire il titolo dell’opera di una vita di questo vecchio sacerdote e professore (Carlo Enzo ha 84 anni ): «la generazione di Gesù Cristo». L’Evangelo non parla solo della missione del Maestro Gesù di Nazareth, generato da Maria e Giuseppe, ma di Gesù Cristo, che è generato da Gesù stesso e dalla sua Ecclesìa, dai discepoli che continuano il cammino del suo popolo, di Israele.

Un mondo che è ancora nel suo farsi, un Gesù Cristo che è ancora in via di compimento. Riprendendo una parola dell’autore: la domanda fondamentale è se il messaggio evangelico può «ancora impegnare l’esistenza di un abitatore di questo pianeta» oppure se sia una delle tante visioni «che ha fatto il suo tempo, e fa parte ormai della storia delle dottrine sul mondo e sull’uomo»

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Commenti Articolo 650

Titolo articolo : LA NASCITA DI GESU': IL SOVVERTIMENTO DEL NATALE. Una riflessione di Bernard Ginisty - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: December/24/2012 - 09:49:58.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/12/2012 19.21
Titolo:il linguaggio e la verita'. Martini il comunicatore ....
Il linguaggio e la verità. Martini il comunicatore

di Giulio Giorello (Corriere della Sera, 23 dicembre 2012)

«In principio era la Parola, la Parola era presso Dio e la Parola era Dio», recita il Vangelo di Giovanni (1,1). E poco dopo: «In lei era la vita e la vita era la luce degli uomini». Se dovessi indicare una laica chiave di lettura di questo celebre incipit evangelico, sceglierei il commento di Carlo Maria Martini dell’anno pastorale 1981-1982, ove non a caso viene meno la maiuscola: «Nella parola il nostro essere profondo si manifesta; la nostra libertà sprigiona le sue capacità operative; la nostra umanità va in cerca dell’umanità degli altri, cerca un contatto con loro, genera consensi, costruisce comunità umane, interviene sulle cose del mondo».

È uno splendido elogio del linguaggio come strumento evolutivo che consente il passaggio dall’individualità dell’io al noi e favorisce l’emergere delle più diverse forme del collettivo umano. Martini ricorre così a una caratterizzazione di Homo sapiens che mostra non poche linee di convergenza con la tradizione del libero pensiero da David Hume a Charles Darwin, da John Stuart Mill a Bertrand Russell: l’umanità è un mosaico di intelligenze, passioni e affetti «eccentrici e insoddisfatti», ed è proprio questa paradossale condizione che rende il linguaggio un elemento ineliminabile di incivilimento.

Certo, Martini ha in mente anzitutto «il primato della parola di Dio», che può sempre trascendere la gabbia dell’espressione puramente umana. Mi pare però significativo che proprio in questo contesto, così impregnato di fede evangelica, Martini non insista tanto su temi escatologici come l’immortalità delle anime o la resurrezione dei corpi, bensì sottolinei che è la parola - e solo essa - che «supera e salva ciò che muore»; anche se l’intero Universo giungesse al punto di «spegnersi». Per questo Dio ha bisogno degli uomini: la sua parola «non cessa di essere una realtà storica» e appunto la sua efficacia si manifesta nell’interpretare e salvare la vicenda della libertà umana, che va valutata «con le sue aspirazioni, i suoi problemi, i suoi peccati, le sue nostalgie di salvezza, le sue realizzazioni nel campo personale e sociale».

Appunto per questa ragione la parola illumina le più diverse situazioni secondo modalità non disgiunte dal contesto culturale, sociale e storico. Scriveva Martini in un biennio difficile come il 1981-1982 che «davanti a urgenti interpellanze provenienti dal mondo del lavoro, dalle nuove circostanze in cui viveva la famiglia, dall’inquieta condizione dei giovani e delle donne», il silenzio impacciato dei timidi e la carenza di linguaggio sono già delle colpe. Il sintomo più grave della malattia provocata dall’incoerenza fra quel che si professa e quel che si è, fra il dover essere e l’esistente di fatto, è la scissione tra «testimonianza e opere». D’altra parte, solo il linguaggio è in grado di colmare lo scarto tra «il mondo misterioso della fede» e «le contraddizioni della civiltà industriale».

La nostra è l’epoca della competenza tecnico-scientifica e Martini si è sempre dimostrato consapevole della forza che si sprigiona dalle idee non meno che dai grandi apparati della ricerca, senza troppe distinzioni tra ricerca pura e applicata, perché la linea di demarcazione tra l’una e l’altra cambia con la costellazione dei successi nella nostra comprensione della realtà.

Nel 1982-1983 Martini osservava «che l’uomo ha compiuto e va compiendo importanti conquiste nel dominio della natura, nella cura della salute, nella promozione della dignità personale, nell’organizzazione della vita sociale». Ma già nell’anno pastorale precedente metteva in guardia che l’incremento delle conoscenze scientifiche e lo sviluppo delle applicazioni tecniche spingono l’umanità a sopravvalutare la sua potenza e a darsi a un’attività produttiva sempre più frenetica.

Il riferimento più ovvio, all’epoca, era ancora alla corsa agli armamenti e all’equilibrio del terrore, garantito - se così si può dire - da Usa e Urss. Ma i giudizi pronunciati in quelle circostanze avevano una portata più ampia di quanto la logica della situazione facesse sospettare. «Di fronte ai tanti casi di corruzione, al generale affievolimento del senso di responsabilità, alla crisi delle istituzioni democratiche, tante voci chiedono un risorgimento della coscienza morale».

La cronaca più recente ci fa sembrare ancor più vive affermazioni di questo genere. Comunque, tale «sfida» per Martini deve venire raccolta, decifrata e fatta evolvere «verso la coscienza del bisogno di un solido fondamento».

A questo punto non posso fare a meno di pensare a un poetico elogio del fondamento nel divino come questo, formulato nell’età dei Lumi:
- «Chi ha dato il moto alla natura? Dio. Chi fa vegetare tutte le piante? Dio. Chi fa muovere gli animali? Dio. Chi dà la forza di pensare all’uomo? Dio». Qualche ingenuo cattolico - non certo Martini - potrebbe stupirsi che queste righe siano state vergate dalla penna di François-Marie Arouet, detto Voltaire, che alla voce «Catechismo cinese» del suo Dizionario filosofico (1764, prima edizione anonima Ginevra, anche se l’indicazione formale è Londra) aveva affidato all’esotico principe Ku la descrizione di come quel fondamento sostenga mondo, vita e intelligenza.

Nonostante la rinascita di forme più o meno virulente di fondamentalismo (cui Martini ha sempre guardato con estrema severità), è difficile sottrarsi all’impressione che il mondo disincantato di oggi si sia ormai affrancato da opzioni deistiche cui dava ancora spazio l’illuminista Voltaire.

L’impresa scientifica non ci pare cattolica o protestante più di quanto non sia induista, buddhista o confuciana. Né abbiamo a che fare nella nostra realtà quotidiana con una morale civile che possa venire dedotta in modo univoco da questa o quella dogmatica religiosa: in tal caso ne soffrirebbe la nostra stessa apertura democratica. In altre parole, siamo lontani da quel pretendersi tutti «cattolici, anzi cattolicissimi» come ancora faceva Galileo Galilei; per non dire dell’omaggio mistico di un Keplero al Dio uno e trino che nelle forme geometriche rispecchia la propria essenza o della sottomissione di un Newton al «Signore del mondo» che colma con la sua insondabile benevolenza le lacune della legalità fisica.

Per Martini la struttura pluralistica di scienza e società non costituiva affatto una sconfitta della proposta cristiana ma un suo punto di forza, nella convinzione che nella rinuncia a qualsiasi imposizione riacquistasse senso persino quel «bisogno indistinto di silenzio, di ascolto, di respiro contemplativo» che intesse l’atto della preghiera.

Né mancava in Martini un franco riconoscimento del valore individuale della scelta: tale «avventura difficile e inebriante» richiede infatti che ci sia sempre un io che corre il rischio della decisione, «anche se vivo, decido, prego in una comunità di fratelli che mi sostiene, mi rianima e spiritualmente mi dilata». Certo, la libertà umana «è sempre tentata d’infedeltà», e cristianamente Martini vedeva qui anche la radice di disordine e prepotenza, che possono inquinare persino l’orazione al punto di farne «il tentativo di piegare la divina volontà alla nostra».

Ma laicamente sapeva pure che quella stessa «infedeltà» può diventare la molla dell’insofferenza al conformismo, che è il frutto della restaurazione di qualsiasi fondamentalismo - persino di un fondamentalismo scientista, che vede nelle conquiste tecnico-scientifiche lo strumento di un dominio assoluto da parte di un’élite di tecnocrati a spese dell’ambiente e dei singoli individui.

Mi sia lecito aggiungere che un siffatto «atteggiamento di orgoglioso e bruciante possesso» a mio parere vanificherebbe la stessa crescita della conoscenza, intesa non solo come ricerca di «verità» continuamente rivedibili e mai definitive, ma anche come condivisione linguistica tra la cerchia degli specialisti e il pubblico più ampio, capace di incrementare la critica e il dissenso, a loro volta intesi come stimoli a nuove e incessanti scoperte. È mia convinzione e speranza che su questo possano davvero convergere le parole degli uomini e quelle di Dio.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/12/2012 09.49
Titolo:IL RIVOLGIMENTO DELL'AMORE: LA SVOLTA RADICALE ....
- La «conciliazione» di divino e umano
- Anche per tanti filosofi laici, da Hegel in poi, l’incarnazione cambia la percezione della vicenda umana
- La Natività
- Libertà e uguaglianza nella storia dell’uomo
- La svolta radicale
- La figura del Cristo capovolge il rapporto uomo-Dio proprio della filosofia greca

- di Michele Ciliberto (l’Unità 24.12.12

Per quale motivo i laici, e anche i non credenti, festeggiano il Natale? Quale è il significato che essi assegnano a questa festività che ricorda, e celebra, l’Incarnazione (insieme alla Resurrezione il centro costitutivo della religione cristiana)?

Vorrei cercare di rispondere a queste domande da storico della filosofia, sostenendo queste tesi: l’Incarnazione è una base essenziale della concezione della storia umana come storia della libertà; è il fondamento di una visione dell’uomo quale principio di libertà e di responsabilità; con essa inizia a svolgersi, in termini nuovi, il principio dell’eguaglianza e di un comune destino come predicato originario dell’umanità.

Alla base di questa visione che fonda una concezione integralmente nuova della storia e dei fini che in essa l’uomo si propone stanno due motivi essenziali: la «conciliazione» di umano e di divino, che si realizza nella figura di Cristo; il mutamento radicale, rispetto alla filosofia greca, nel rapporto tra Dio e uomo e, di conseguenza, tra uomo e Dio. Vediamoli entrambi cominciando dal primo.

«La certezza dell’unità di Dio e dell’uomo è il concetto di Cristo, dell’Uomo-Dio. Cristo è apparso,un uomo che è Dio e un Dio che è uomo; da ciò il mondo ha avuto pace e conciliazione». Così scrive Hegel nelle Lezioni di storia della filosofia, illuminando il significato della Incarnazione e della figura di Cristo nella storia del pensiero e in quella del mondo.

Questa posizione è il punto di approdo di un lungo travaglio che attraversa fin dalle origini anche la filosofia moderna. Esso concerne precisamente la possibilità della «conciliazione» fra umano e divino di cui parla Hegel: come è possibile che finito e infinito, uomo e Dio, possano «conciliarsi» nella figura di Cristo? Se è incommensurabile la distanza tra l’uno e l’altro, la figura di Cristo si rivela come una sorta di creatura mostruosa una specie di centauro senza alcun fondamento filosofico e teologico. Infatti il rapporto tra divinità e umanità potrebbe darsi solo in termini di «assistenza» della prima alla seconda; non di «inerenza», inconcepibile sia dal punto di vista filosofico che teologico.

Queste sono posizioni di pensatori radicalmente estranei al cristianesimo; ma anche un grande cristiano e un profondo pensatore come Pascal esclude, da un punto di vista filosofico, la «conciliazione» di umano e di divino: solo la verità del Vangelo, osserva, «concilia la contrarietà con un’arte affatto divina e ne fa una saggezza veramente celeste in cui si conciliano quegli opposti, incompatibili in quelle dottrine umane». Come egli stesso precisa subito dopo, questa è però teologia, non filosofia.

La forza e la grandezza della posizione di Hegel sta precisamente nel porre in termini filosofici la «conciliazione» di umano e di divino, interpretando a questa luce la figura di Cristo e l’Incarnazione. Lo fa perché elabora una nuova teoria degli «opposti» risolvendo il problema di fronte al quale Pascal si era fermato, abbandonando il campo filosofico per quello teologico.

A differenza di Pascal il quale aveva respinto drasticamente la possibilità che gli «opposti» fossero «nel medesimo soggetto» Hegel «concilia» umano e divino nella figura di Cristo, stabilendo le basi della concezione della storia come storia della libertà. E strappando, con Lutero, Cristo alla tomba in cui l’avevano cercato i crociati, lo pone nella interiorità dell’uomo, nella spiritualità che si «acquista solo nella conciliazione con Dio, nella fede e nella partecipazione». Quella cristiana è perciò una «dottrina della libertà» individuale, fondamento di una nuova concezione dell’uomo e della storia, di cui l’Incarnazione e la figura di Cristo sono fondamento essenziale.

È un’acquisizione filosofica decisiva dalla quale non sarà più possibile tornare indietro, e che il pensiero laico farà sua nei suoi esponenti più alti e significativi. Si potrà discutere dei caratteri della libertà, ma che essa sia il principio della storia umana e che il cristianesimo abbia svolto una funzione essenziale questo è ormai un dato acquisito.

E veniamo ora al secondo elemento. L’Incarnazione e la figura di Cristo generano un altro «principio» filosofico essenziale anche per un laico, consistente nel mutamento radicale, rispetto al pensiero greco, del rapporto tra Dio e l’uomo.

Lo ha detto in pagine molto belle Max Scheler: mentre la concezione greca presenta un uomo che si sforza di salire verso Dio, il cristianesimo con la figura di Cristo rovescia questo punto di vista, presentando un Dio che discendendo verso tutti gli uomini, accoglie con un gesto di amore totale l’intera umanità. Nella concezione cristiana si attua perciò un vero e proprio «rivolgimento dell’amore»: «il nobile si abbassa all’ignobile, il sano all’ammalato, il messia ai pubblicani ai peccatori e questo senza la paura antica di diventare meno nobili ma nella più strana convinzione di guadagnare l’eccelso, di divenire simili a Dio».

Un motivo assai intenso, svolto con efficacia anche da Barth: «L’uomo può dirsi senza Dio, può sentirsi ateo, ma Dio non può dirsi senza l’uomo perché Dio non è più senza l’uomo, rimane abbracciato, così coinvolto con l’umanità da appartenere ad essa». Quello cristiano è un Dio che, coprendo ogni persona con la sua luce e il suo calore, pone le basi di quel principio di solidarietà e di eguaglianza tra tutte le creature che diventerà poi un principio essenziale della filosofia e del pensiero politico moderni.

In conclusione: libertà, responsabilità, eguaglianza sono tutti concetti che hanno a che fare con l’esperienza cristiana e con la dottrina della Incarnazione, e perciò con il Natale. Sarebbe stolto negarlo o occultarlo; come sarebbe sciocco trascurare l’originalità e la creatività con cui il pensiero laico ha ripensato e sviluppato queste radici. La nostra comune civiltà nasce e fiorisce da semi differenti: ieri come oggi il nostro compito è riconoscerli e riaffermarli nella loro autonomia e specificità.
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- La fede cristiana si sviluppa intorno a un’idea di salvezza che è pienezza di umanità, nel mondo e col mondo.
- La storia del Logos ne è paradigma
- Un bimbo il Dio che rischia non è solo spirito
- Il Natale è una memoria coinvolgente e pericolosa
- Il cristianesimo non è una «religione civile»
- È la compromissione radicale del divino con la storia dell’umanità che spinge i cristiani alla passione per la giustizia

di Serena Noceti (l’Unità, 24.12.2012)

In principio era il Logos, il Logos era presso Dio e il Lo gos era Dio... E il Logos divenne carne». Con la loro incisiva lapidarietà queste parole del Quarto Vangelo, che vengono proclamate nelle chiese ogni anno nella liturgia del Natale, consegnano a una prospettiva essenziale, davanti al profluvio di parole sulla solidarietà, la condivisione, la bontà con cui si offre la reinterpretazione del Natale in una società ormai secolarizzata e post-cristiana, ma sempre segnata nei tempi del vivere collettivo dalla sua tradizionale storia cattolica.

Sono parole che sintetizzano la coscienza di fede cristiana sulla ineliminabile relazione di Dio con il mondo, sulla sua compromissione radicale con la storia dell’umanità, e insieme vogliono esprimere una parola significativa sull’umano, a partire dalla concreta vicenda di Gesù di Nazareth.

Le parole del Vangelo di Giovanni sono parole che possono raggiungere nella loro paradossalità anche gli uomini e le donne credenti e non abitatori di questa tarda modernità, perché parlano di «divenire» e di «carne», di un definitivo (che non è l’assoluto) nel frammento di un esistenza singolare e limitata; perché hanno la capacità di interpellarci attraverso il tempo a riconsiderare in modo nuovo la nostra stessa storicità, dischiudendone orizzonti di senso e di resistente speranza. Quando la Bibbia ricorre al termine «carne», infatti, esprime l’essere umano integrale visto nella sua fragilità, nella debolezza, nella mortalità, nello stare in una rete di relazioni che qualificano l’identità singolare e nell’essere determinato e «de-finito» dallo spazio e dal tempo.

La fede cristiana si sviluppa intorno a un’idea di salvezza che è pienezza dell’umanità, nel mondo e con il mondo, di cui la storia del Logos incarnato è fondamento e paradigma. La progressiva tecnicizzazione del mondo e della vita, lo sviluppo rapido dei sistemi di comunicazione e di trasporto, l’evoluzione dei sistemi sociali stanno modificando in maniera sostanziale proprio la nostra percezione dello spazio e del tempo. «Com-presenti» al mondo intero e segnati da un egemonico presente che sembra presentarsi a noi già compiuto, pronto per essere consumato e abbandonato per fare spazio non al futuro, ma a nuovi presenti, siamo affascinati da una «possibile onnipotenza» e insieme sperimentiamo un inedito dis-orientamento: abbiamo smarrito il senso del tempo, di una storia collettiva che goda di radici che custodiscono identità in divenire, di una progettualità di futuro capace di una speranza che orienti le prassi dell’oggi.

L’annuncio cristiano ha al centro non una verità a-storica su Dio, ma la paradossale affermazione che mediatore di salvezza per l’umanità intera è l’uomo Gesù Cristo, nella singolarità della sua vicenda umana, data nello spazio e nel tempo: una biografia segnata dalla parzialità come ogni altra esistenza umana (a iniziare da quella di sesso), ma capace di interpretare

il «qui ed ora» nella permanente dinamica trasformativa del futuro. Davanti a quella volontà di potenza che ci fa perdere di vista la nostra condizione di fragilità il cristianesimo proclama non una verità a-storica sul divino e sulla trascendenza, ma il volto di Gesù di Nazareth. Nel Natale ricorda che, se contraddistingue l’umano (e il divino) lottare per ridurre ogni fragilità e vincere ogni alienazione, è proprio della maturità umana la coscienza che individuazione del senso, esercizio di libertà, crescita autentica sono connessi con il limite e il determinato.

Non «semplicemente» il «farsi uomo» di Dio, ma il «farsi carne» (sarx), lo sperimentarsi nella condizione spazio-temporale e nella storicità di un divenire libero e responsabile, per una salvezza che passa dall’impotenza della sarx di Gesù e quindi non impone, non vincola, ma si propone alla libertà di ognuno. È una proposta di fede che chiede di superare ogni concezione di un Dio «a-patico» e immutabile e ogni comprensione della verità che sia a-storicamente pensata, per aprirsi a una rivelazione di Dio nella storia e come storia, che comporta interpretazione e coscienza del relativo. Al di là del pittoresco e dell’aurea di innocente candore veicolata dai nostri presepi, il Natale è una memoria coinvolgente e pericolosa perché costringe ad abbandonare un’idea infantile di salvatore che, quale onnipotente e deresponsabilizzante Deus ex machina sceso nei contesti dolorosi della vita in cui si è sperimentato il limite del nostro possibile, viene a liberarci dalla finitudine dell’umano e dal rischio della libertà.

Fin dall’inizio del cristianesimo si è vigilato per mantenere la verità della «carne» di Gesù davanti alle ricorrenti tentazioni gnostiche, alle riduzioni spiritualizzanti o etiche della fede, al concentrarsi sulla natura divina di Cristo a detrimento della concretezza della sua persona umana. Anche oggi, in un tempo in cui è sempre più evidente la tentazione di risolvere l’esperienza cristiana nell’interiorità o in una spiritualità dedita a un sacro che semplifica e rifugge dalla complessità del mondo, mentre molti tentano di ri-ascrivere il cristianesimo a un destino di civil religion, la memoria del «Natale nella carne» si pone come interruzione necessaria per i cristiani affinché ritornino a declinare un annuncio significativo per tutti, perché ancorato all’effettività corporea di Gesù quale luogo dell’esserci di Dio, capace di ridisegnare il pensiero sull’umano e sul divino.

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Titolo articolo : I nostri auguri per il Natale e per il nuovo anno,di La Redazione del sito

Ultimo aggiornamento: December/23/2012 - 18:18:25.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/12/2012 10.23
Titolo:EVANGELO, COSTITUZIONE, E "CASA COMUNE". La lezione del Presepe ....
E QUINDI USCIMMO A RIVEDER LE STELLE.....


======= "Nella democrazia - scrive Gaetano Filangieri nella sua opera La Scienza della Legislazione (1781-88) - comanda il popolo, e ciaschedun cittadino rappresenta una parte della sovranità: nella concione [assemblea di tutto il popolo], egli vede una parte della corona, poggiata ugualmente sul suo capo che sopra quello del cittadino più distinto. L’oscurità del suo nome, la povertà delle sue fortune non possono distruggere in lui la coscienza della sua dignità. Se lo squallore delle domestiche mura gli annuncia la sua debolezza, egli non ha che a fare un passo fuori della soglia della sua casa, per trovare la sua reggia, per vedere il suo trono, per ricordarsi della sua sovranità"(Libro III, cap. XXXVI).========

"CASA COMUNE". Che oggi, prima della fine dell’anno (non del mondo!) e alla vigilia di Natale 2012, ai cittadini e alle cittadine del mio Paese siano venute alla mente queste due parole, “casa” e “comune”, è un segno di risveglio e di presa di coscienza di quanto di grave e di preoccupante è accaduto all’interno di tutta la comunità. E non solo del mio Paese!

Consapevoli e consapevole, evidentemente, che da troppo tempo ognuno e ognuna non sa più dove abita e chi è, che ognuno e ognuno vive come se stesse dormendo, come se avesse un proprio “mondo”, un proprio “Sole”, una propria “aria”, una propria “acqua”... una propria “casa” e un proprio “comune”, hanno deciso di mettersi al lavoro con se stessi e con se stesse e con gli altri e le altre e ripensare ciò che unisce ognuno e ognuna non solo in ciò che si chiama “casa” ma anche in ciò che a tutti i livelli e istituzionalmente unisce tutti e tutte e si chiama “Comune”, la Casa di tutti e di tutte, la “Casa Comune”.

L’impegno è grande, ma è urgente e vitale: ne va della vita di ognuno e di ognuna, e di tutti e di tutte.

Non è affatto uno scherzo: si tratta di risalire l’abisso in cui si è caduti e uscire a “rivedere le stelle”. E nascere - ancora e di nuovo!

Non c’è altro da dire, se non invitare a ricordare la lezione di Dante, come dei nostri padri e delle nostre madri: è “l’amor che muove il Sole e le altre stelle”. E augurare “Buon Natale” ... e una nuova e bella Casa Comune per tutti e per tutte.

Buon Anno

Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/12/2012 18.18
Titolo:IL SOVVERTIMENTO DEL NATALE...
Il sovvertimento del Natale

di Bernard Ginisty

in “www.garriguesetsentiers.org” del 21 dicembre 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Una delle tentazioni più forti della mente umana consiste nel fare di tutto perché l’irrompere del nuovo si riduca alla ripetizione del vecchio. La volontà di controllo dell’esistenza cerca di colonizzare il tempo che viene, a rischio di impedirsi la sorpresa dell’imprevisto. Tendiamo a banalizzare l’evento quando sconvolge le nostre tranquillità intellettuali e sociali.

Il senso profondo della liturgia che ci invita ogni anno a rivivere il Natale sta nell’accogliere la rottura provocata da un avvenimento di grande portata qual è una nascita. Una breccia viene aperta dall’irruzione del Verbo fatto carne nella storia degli uomini. La festa che, secondo la liturgia del giorno di Natale, annuncia: “Oggi la luce è discesa sulla terra. Popoli dell’universo, entrate nella luce di Dio” è talmente sconvolgente, che abbiamo tentato di neutralizzarla per farne un grazioso scenario per la celebrazione del consumismo, diventato la pratica “religiosa” indispensabile ad un mondo gestito dall’idolo della finanza.

Questi tentativi di neutralizzazione sono cominciati molto presto. Appena conosciuto l’avvenimento della nascita di Gesù, i poteri, attraverso la figura di Erode, si sono sforzati di uccidere l’avvenimento e di massacrare l’innocenza. Questo scontro tra l’infanzia di Dio e il potere dei Cesari che fa di noi degli schiavi della violenza, del denaro, della produttività e delle immagini sociali, costituisce una linea di continuità nella storia.

L’avvenimento del Natale, quello in cui la Parola si fa carne, introduce un virus radicale nei programmi di coloro che pretendono di avere il potere di controllare l’esistenza umana. L’infanzia degli inizi diventa il luogo fondamentale dell’umano. È la sorgente in cui ciascuno, quale che sia la sua tragedia, può ritrovare una dignità e una speranza. Ecco perché, grazie al Natale, sono i più deboli, gli esclusi, che aprono la via verso il futuro. Non in nome di chissà quale lacrimevole umanitarismo, ma perché coloro che possiedono meno ci invitano a rimanere negli inizi dell’umano. È il senso del versetto evangelico: “la pietra scartata dai costruttori è diventata pietra d’angolo”.

È a tempi di rinascita che ci invita tutti la festa del Natale. Non in un domani incantato, ma nel concreto dell’oggi. Lo stupore del Natale ha la forza delle origini. Ormai, “il Verbo che viene nel mondo illumina ogni uomo”, e nessun potere può più nascondere questa luce. A Natale, cantiamo l’invito ad inventare ogni giorno la fraternità umana, l’unica che può, da quel momento, dare senso alla storia.

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Titolo articolo : QUAL E' IL "SESSO" DI DIO? E GESU' DI CHI E' FIGLIO?!  «Dio deve diventare neutro». Il ministro per la Famiglia tedesco, Kristina Schröder, in imbarazzo con la sua Lotte (un anno e mezzo) parlando di Dio al maschile. Una nota di Paolo Lepri - con appunti,

Ultimo aggiornamento: December/22/2012 - 17:42:12.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/12/2012 17.42
Titolo:L'INFANZIA DI GESU' SECONDO RATZINGER
L’ARCA DELL’ALLEANZA O LA MANGIATOIA DELLA FATTORIA DEGLI ANIMALI?!! "L’infanzia di Gesù" secondo Ratzinger - Benedetto XVI.

Una nota


"Di quale Dio parliamo quando parliamo di Dio, e di quale Dio parlano quando parlano di Dio? La domanda è cruciale. Infatti non è per niente chiaro, non è sempre lo stesso, e sovente non è un Dio innocuo" (Raniero La Valle, "Se questo è un Dio", pag. 9)

E si continuavano a dormire “sonni beati”! Dopo la dichiarazione “Dominus Iesus” circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa (2000), dopo l’enciclica “Deus caritas est” (2006), che proclama la grande “novità” che “Dio è valore”, e la connessa decisione di sottoporre a “copyright tutti gli scritti, i discorsi e le allocuzioni del Papa”, Benedetto XVI, dopo aver tolto la "h" dalla "Charitas" (Amore pieno di grazia) e precisato anche che "Nazaret" si scrive "senza acca" e, infine, che «il calice fu versato per molti», non «per tutti», ha reso pubblico un altro racconto ediphicante sulla vita del suo “Padrone Gesù” (“Dominus Iesus”)!

“Per Natale completata la trilogia”, annuncia trionfante l’Osservatore romano (10.10.2012) e fornisce un’anteprima “del terzo libro di Benedetto XVI su Gesù presentato alla Fiera internazionale del libro di Francoforte”: “L’infanzia di Gesù”. “Da pagina 38 del manoscritto”, con il titolo “Quel bimbo stretto in fasce”, questo il testo che il giornale del Vaticano riprende:

“Maria avvolse il bimbo in fasce. Senza alcun sentimentalismo, possiamo immaginare con quale amore Maria sarà andata incontro alla sua ora, avrà preparato la nascita del suo Figlio. La tradizione delle icone, in base alla teologia dei Padri, ha interpretato mangiatoia e fasce anche teologicamente. Il bimbo strettamente avvolto nelle fasce appare come un rimando anticipato all’ora della sua morte: Egli è fin dall’inizio l’Immolato, come vedremo ancora più dettagliatamente riflettendo sulla parola circa il primogenito.

Così la mangiatoia veniva raffigurata come una sorta di altare. Agostino ha interpretato il significato della mangiatoia con un pensiero che, in un primo momento, appare quasi sconveniente, ma, esaminato più attentamente, contiene invece una profonda verità. La mangiatoia è il luogo in cui gli animali trovano il loro nutrimento.

Ora, però, giace nella mangiatoia Colui che ha indicato se stesso come il vero pane disceso dal cielo - come il vero nutrimento di cui l’uomo ha bisogno per il suo essere persona umana. È il nutrimento che dona all’uomo la vita vera, quella eterna. In questo modo, la mangiatoia diventa un rimando alla mensa di Dio a cui l’uomo è invitato, per ricevere il pane di Dio. Nella povertà della nascita di Gesù si delinea la grande realtà, in cui si attua in modo misterioso la redenzione degli uomini”.

Che a cinquanta anni dall’inizio del Concilio ecumenico Vaticano II non si sappia più né Chi è, né come ne dove sia nato Colui che è stato ed è la Luce delle Genti (“Lumen Gentium”), è più che normale e ‘sacrosanto’ che arrivi un papa teologo e racconti la solita storiella tradizionale del “Signore Gesù” nato ancora e sempre in una “mangiatoia”, “una sorta di altare” per l’Immolato, per il sacrificio del primogenito e che, “prima di ascendere al cielo, affidò ai suoi discepoli il mandato di annunciare il Vangelo al mondo intero e di battezzare tutte le nazioni”(“Dominus Iesus” - Introduzione) e abbia il suo grande successo alla fiera e al mercato di tutto il mondo! E’ un segno dei tempi: la “buona-carestia” avanza e grandi sono gli affari che si possono fare, vendendo a “caro-prezzo” (“caritas”) la grazia (”charis”) di Dio: “l’amministrazione della charity” rende molto, sia in affari sia in termini di domesticamento di liberi esseri umani in “animali”!

Per il papa teologo, infatti, il tempo passa invano: siamo ancora e sempre nella orwelliana “fattoria degli animali” e suo è il comando. Egli è il “grande fratello” e il “Santo padre”, il “Padre nostro”, che guida il suo popolo nel cammino della Storia! Ora, finalmente, la carità è nella verità (“Caritas in veritate”, 2009): “La Luce del mondo”, il libro di Ratzinger - Benedetto XVI (2010) ha scalato le vette delle classifiche: ha avuto uno straordinario successo di vendite e di guadagno con i diritti di autore.

Questa è la ‘bella notizia’ della "mangiatoia", tutto il resto appartiene al passato: l’arca di Noè, l’arca dell’alleanza di Mosè (con i due cherubini e la Legge scritta), l’arca-presepe del messaggio evangelico e di Francesco di Assisi (con i due cherubini - Giuseppe e Maria - e la Legge vivente, Gesù).

“In principio era il Logos” è solo “archeologia”! Oggi, su Piazza San Pietro, sventola il “Logo” del “Dominus Iesus”: “Deus caritas est”!!! Il Terzo Millennio prima di Cristo è già iniziato e il sogno di Ratzinger - Benedetto XVI come quello di Costantino annuncia la sua vittoria: “Forza Signore Gesù”!!!

Federico La Sala (10.10.2012)

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Commenti Articolo 653

Titolo articolo : "LA PIU' BELLA DEL MONDO". L'OMAGGIO DI ROBERTO BENIGNI ALLA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA. Una sintesi di Alessandra Vitali - con appunti ,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: December/22/2012 - 10:50:49.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/12/2012 16.01
Titolo:FINE ANNO. NAPOLITANO RAMMARICATO E PREOCCUPATO.....
Napolitano: "Fine anticipata legislatura mi ha rammaricato e preoccupato"

Nel discorso in occasione degli auguri di fine anno alle alte cariche dello Stato, il presidente lancia pesanti rimproveri alle forze politiche: "Imperdonabilmente grave fallire la prova della riforma elettorale" *

ROMA - Anche se si va verso lo scioglimento delle Camere "con una lieve anticipazione rispetto alla scadenza naturale", "brusca è stata di certo l’accelerazione impressa" dall’annuncio delle dimissioni del premier Monti. Lo ha affermato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano durante la cerimonia per lo scambio degli auguri con le alte cariche dello Stato al Quirinale.

L’incarico al prossimo premier. "Avevo rivolto un invito ad una costruttiva conclusione della legislatura nella convinzione del grande e decisivo valore per l’Italia della continuità e stabilità, spesso trascurato in storia repubblicana", ha detto ancora il capo dello Stato, sottolineando come la conclusione "non piena in extremis" della legislatura ha suscitato "rammarico e preoccupazione per il suo brusco esito finale". Inoltre, altra conseguenza delle dimissioni del governo Monti, ha osservato il presidente, è che "mio malgrado toccherà a me dare l’incarico al nuovo governo".

Guai a bruciare recupero di fiducia. "Stiamo passando un guado molto faticoso, per portare l’Italia fuori dal pantano di un soffocante indebitamento pubblico, per giungere a porre lo sviluppo del Paese su fondamenta più solide, in tutti i sensi, più equilibrate, per guadagnare in dinamismo e coesione", ha ricordato Napolitano. Secondo il presidente "i giudizi per i risultati ottenuti" dal governo Monti "possono divergere ed è possibile che si facciano più divergenti nel fuoco della battaglia elettorale" e proprio per questo "voglio mettere in guardia perché in quel fuoco polemico non si bruci il recupero di fiducia nell’Italia che si è manifestato nella comunità internazionale e nei mercati". "Attenzione - ha avvertito ancora - è in gioco il Paese, il nostro comune futuro e non solo un fascio di voti per questo o quel partito".

Il cammino in Europa. E il futuro per il Quirinale non può che essere nel segno dell’Europa. In vista delle elezioni "a ogni forza politica spetterà il dovere della proposta e l’onere di provarne la sostenibilità, ma non mi pare eccessivo dire che se su molti temi importanti resta intatta la competizione e la distinzione, per la posizione dell’Italia in Europa il cammino è segnato e definito", ovvero quello di "un’Europa che avanza verso una piena integrazione economica e politica".

Una legislatura perduta. Napolitano ha espresso quindi tutto il suo rammarico per il fallimento del cambio di sistema elettorale. E’ stato "imperdonabilmente grave fallire la prova della riforma elettorale del 2005", ha accusato. Più in generale secondo Napolitano da un punto di vista delle riforme quella che si avvia a conclusione è stata "una legislatura perduta", in cui "anche modeste iniziative mirate sono naufragate". "Avviandosi e consolidandosi un clima più disteso nei rapporti politici speravo in un sussulto di operosità riformatrice del modo di essere dei partiti, del loro rapporto con i cittadini - ha ricordatoil capo dello Stato - ma sono state aspettative troppo fiduciose o avanzate, contro le quali si è fatto sentire tutto il peso di resistenze e antichi ostacoli radicati". Questa incapacità della politica di riformarsi, ha aggiunto Napolitano, ha fomentato "il corso limaccioso dell’antipolitica e del qualunquismo istituzionale", aggravato dagli "indegni abusi di denaro pubblico" perpetrati "da eletti nei consigli regionali".

I compiti per il futuro. Nella legislatura che verrà, ha ammonito ancora, "serve una nuova stagione di rigore e un nuovo slancio di laboriosità e unità, serve un lavoro di lunga lena" e i "prossimi 5 anni sono un tempo congruo per il cambiamento e le riforme che servono all’Italia". Tra le molte cose da riformare, Napolitano ha citato in particolare il sistema carcerario. Ci sono "opposizioni e ripensamenti" che rimettono "in forse la legge approvata dalla Camera sulle pene alternative" al carcere e "sta per scadere tempo utile per approvarla al Senato", ha avvertito. "Con quale senso di responsabilità e umanità ci si può sottrarre a un minimo sforzo", si è chiesto il capo dello Stato, per affrontare la "vergognosa realtà carceraria che macchia l’Italia".

La difesa della Consulta. Dopo le accese polemiche dei giorni scorsi per l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, Napolitano nel suo messaggio ha citato anche il rapporto con la magistratura. "Ai magistrati di tutta Italia, da Palermo alla grandi città del Nord, diciamo: andate avanti e fino in fondo con professionalità e rigore, con rispetto delle competenze e dell’equilibrio dei poteri. Siamo così limpidamente al vostro fianco". Dal presidente è arrivata poi anche una stoccata per chi, come Silvio Berlusconi e il pm Ingroia, nei giorni scorsi ha criticato la Consulta. "Al vertice delle istituzioni di garanzia c’è la Corte costituzionale - ha sottolineato - la cui composizione è stata voluta proprio a suggello della sua irriducibile indipendenza da ogni parte politica". Per questo le alte cariche dello Stato devono "esigere assoluto rispetto per l’istituzione, la sua storia, i suoi giudici, devoti all’altissimo ruolo della Corte".

* la Repubblica, 17 dicembre 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/12/2012 18.15
Titolo:BENIGNI CI HAI TRADITI ANCHE TU....
BENIGNI CI HAI TRADITI ANCHE TU....

di Nadia Bizzotto *

Tanti bei discorsi ma io mi sono svegliata stamattina per niente orgogliosa di appartenere a questo popolo, ma schifata della sua ipocrisia, quella che tu ieri sera non hai fatto altro che alimentare: sì, abbiamo proprio la più bella Costituzione del mondo, ma è anche la inapplicata, quindi la più derisa...

Caro Benigni, io vivo in carrozzina da 25 anni in seguito ad un incidente stradale all'età di 20 anni e ho capito bene che sono tra gli ultimi della mia società, quella società che tace su tante cose che non vuole vedere....Sono ultima tra gli ultimi, perchè da 5 anni tutti i giorni mi batto e incontro in carcere i "sepolti vivi" , gli ergastolani che la nostra bella Italia ha condannato a morire in carcere.

Ergastolani senza speranza, senza benefici penitenziari, persone che sono in carcere anche dal 1979, ragazzi di 40 anni che sono stati condannati all’ergastolo a 18 anni e che non sono mai usciti, neanche per il funerale del padre. Ragazzi che hanno vissuto più tempo della loro vita in carcere che fuori, persone che l’ergastolo se lo vivono sulla propria pelle, giorno dopo giorno, anno dopo anno, da decenni. Persone profondamente e completamente cambiate rispetto al tempo dei loro reati, ma che sono uomini da noi condannati ad essere PER SEMPRE CATTIVI E COLPEVOLI, non ci interessa affatto che siano UOMINI NUOVI, come ci chiede l'art.27 della Costituzione che ti piace tanto... Noi li vogliamo REALMENTE FAR MORIRE IN CARCERE, tu che sei contro la pena di morte...

Io li incontro: sono sempre lì, estate, inverno, Natale e Pasqua, hanno la cella del carcere come tomba. Vedo il tempo scorrere sui loro volti, settimana dopo settimana, e lasciare solchi profondi. Ti avevamo chiesto un cenno, una tua parola ieri sera... Niente: indifferenza e silenzio. Eppure tutti quei bei discorsi sulla pena di morte: caro Benigni, quanta ipocrisia quando ci schieriamo contro la pena di morte immediata e condanniamo 1.500 persone ad una pena di morte al rallentatore. A morire giorno dopo giorno. Grazie anche al tuo silenzio.

Nadia Bizzotto

( ... ) Erode mandò a decapitare Giovanni nel carcere. Quelli che mangiavano con lui a tavola non alzarono un dito contro quell’iniquità, ma continuarono a sganasciare. Col silenzio sono divenuti complici. ( Don Oreste Benzi “Scatechismo”).


* IL DIALOGO, Martedì 18 Dicembre,2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/12/2012 19.27
Titolo:Rinnegato l’impegno a votare la legge di stabilità...
Rinnegato l’impegno a votare la legge di stabilità. RAR

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Legge di stabilità, il Pdl prende tempo
Il Pd: vogliono prolungare la legislatura
Il Pdl chiede più tempo per esaminare la legge e il decreto sulla raccolta delle firme.
(Il Messaggero del 18 dic. 2012)
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Scoperto il trucco tipicamente berlusconiano, Monti dovrebbe rassegnare le dimissioni nelle mani del Capo dello Stato.
Il governo Monti è già stato sfiduciato dal PdL ma con l'impegno dello stesso PdL di votare il Patto di Stabilità, ora l'impegno viene meno con la scusa di approfonditi ed esami, mentre è chiaro che temono le votazioni che li ridurrebbe al grado di insignificanti comparse, mentre in atto hanno la maggioranza relativa con la quale esercitano il ricatto, rimasto il solo mezzo nelle mani dell'ex premier.

E' molto probabile che sperano di arrivare alle elezioni del Capo dello Stato e imporre Berlusconi con la maggioranza che si ritrovano, alla quale vanno aggiunti i voti della Lega che difficilmente supererà il quorum in elezioni anticipate e non entrerà in Parlamento.
Per quanto riguarda il Patto di stabilità si ricorra all'esercizio provvisorio... non sarebbe la prima volta.

Berlusconi spera di recuperare tempo per poter dilatare la campagna elettorale, resosi conto che i suoi interventi nelle sue TV non hanno prodotto altro che un fisiologico spostamento insignificante di voti.

E' chiaro che B. non aspira ad una campagna elettorale, ma vuole uno scontro destabilizzante, per tornare sui temi della grande coalizione dove potrebbe esercitare i suoi ricatti e le sue corruzioni.
B. non accetterà mai un isolamento democratico, non glielo consente la sua convinzione (ma solo sua) di essere una grande statista.
Intervenga adesso il PPE licenziando il Pdl dal loro raggruppamento.


Rosario Amico Roxas
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/12/2012 10.50
Titolo:ZAGREBELSKY E LA "RIVELAZIONE" DI rOBERTO bENIGNI
Si può amare la nostra Costituzione?

di Gustavo Zagrebelsky (la Repubblica, 22 dicembre 2012)

IL DISCORSO di Roberto Benigni sulla Costituzione è stato per molti una rivelazione: rivelazione, innanzitutto, di principi fino a lunedì scorso, probabilmente, ignoti ai più; ma, soprattutto, rivelazione di ciò che sta nel nucleo dell’idea stessa di Costituzione. In un colpo solo, è come se fosse crollata una crosta fatta di tante banalità, interessate sciocchezze, luoghi comuni, che impedivano di vedere l’essenziale.

Non si è mancato di leggere, anche a commento di quel discorso, affermazioni che brillano per la loro vuotaggine: che la Costituzione è un ferrovecchio della storia, superata dai tempi, figlia della guerra fredda e delle forze politiche di allora. Benigni, non so da chi, è stato definito "un comico", "un guitto".

Il suo discorso è stato la riflessione d’un uomo di cultura profonda e di meticolosa preparazione, il quale padroneggia in misura somma una gamma di strumenti espressivi che spaziano dall’ironia leggera, alla tenerezza, all’emozione, all’indignazione, alla passione civile. La Costituzione, collocata in questo crogiuolo d’idee e sentimenti, ha incominciato o ricominciato a risuonare vivente, nelle coscienze di molti.

È stato come svelare un patrimonio di risorse morali ignoto, ma esistente. Innanzitutto, è risultata la natura della Costituzione come progetto di vita sociale. La Costituzione non è un "regolamento" che dica: questo si può e questo non si può, e che tratti i cittadini come individui passivi, meri "osservanti".

La Costituzione non è un codice di condotta, del tipo d’un codice penale, che mira a reprimere comportamenti difformi dalla norma. È invece la proposta d’un tipo di convivenza, secondo i principi ispiratori che essa proclama. Il rispetto della Costituzione non si riduce quindi alla semplice non-violazione, ma richiede attuazione delle sue norme, da assumersi come programmi d’azione politica conforme.

L’Italia, o la Repubblica, "riconosce", "garantisce", "rimuove", "promuove", "favorisce", "tutela": tutte formule che indicano obiettivi per l’avvenire, per raggiungere i quali occorre mobilitazione di forze. La Costituzione guarda avanti e richiede partecipazione attiva alla costruzione del tipo di società ch’essa propone. Vuole suscitare energie, non spegnerle. Vuole coscienze vive, non morte. Queste energie si riassumono in una parola: politica, cioè costruzione della pòlis.

A differenza d’ogni altra legge, la cui efficacia è garantita da giudici e apparati repressivi, la Costituzione è, per così dire, inerme: la sua efficacia non dipende da sanzioni, ma dal sostegno diffuso da cui è circondata. La Costituzione è una proposta, non un’imposizione. Anche gli organi cosiddetti "di garanzia costituzionale" - il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale - nulla potrebbero se la Costituzione non fosse già di per sé efficace. La loro è una garanzia secondaria che non potrebbe, da sola, supplire all’assenza della garanzia primaria, che sta presso i cittadini che la sostengono col loro consenso. Così si comprende quanto sia importante la diffusione di una cultura costituzionale. L’efficacia del codice civile o del codice penale non presuppone affatto che si sia tutti "civilisti" o "penalisti".

L’efficacia della Costituzione, invece, comporta che in molti, in qualche misura, si sia "costituzionalisti". Non è un’affermazione paradossale. Significa solo che, senza conoscenza non ci può essere adesione, e che, senza adesione, la Costituzione si trasforma in un pezzo di carta senza valore che chiunque può piegare o stracciare a suo piacimento.

Così, comprendiamo che la prima insidia da cui la Costituzione deve guardarsi è l’ignoranza. Una costituzione ignorata equivale a una Costituzione abrogata. La lezione di Benigni ha rappresentato una sorpresa, un magnifico squarcio su una realtà ignota ai più. È lecito il sospetto che sia ignota non solo a gran parte dei cittadini, ma anche a molti di coloro che, ricoprendo cariche pubbliche, spensieratamente le giurano fedeltà, probabilmente senza avere la minima idea di quello che fanno.

La Costituzione, è stato detto, è in Italia "la grande sconosciuta". Ma c’è una differenza tra l’ignoranza dei governanti e quella dei governati: i primi, ignoranti, credono di poter fare quello che vogliono ai secondi; i secondi, ignoranti, si lasciano fare dai primi quello che questi vogliono. Così, l’ignoranza in questo campo può diventare instrumentum regni nelle mani dei potenti contro gli impotenti.

A questo punto, già si sente l’obiezione: la Costituzione come ideologia, paternalismo, imbonimento, lavaggio del cervello. La Costituzione come "catechismo": laico, ma pur sempre catechismo. La Costituzione presuppone adesione, ma come conciliare la necessaria adesione con l’altrettanto importante libertà? Questione antica.

Non si abbia paura delle parole: ideologia significa soltanto discorso sulle idee. Qualunque costituzione, in questo senso, è ideologica, è un discorso sulle idee costruttive della società. Anche la costituzione che, per assurdo, si limitasse a sancire la "decostituzionalizzazione" della vita sociale, cioè la totale libertà degli individui e quindi la supremazia dei loro interessi individuali su qualunque idea di bene comune, sarebbe espressione d’una precisa ideologia politica.

L’idea d’una costituzione non ideologica è solo un’illusione, anzi un inganno. Chi s’oppone alla diffusione della cultura della costituzione in nome d’una vita costituzionale non ideologica, dice semplicemente che non gli piace questa costituzione e che ne vorrebbe una diversa. Se, invece, assumiamo "ideologia" come sinonimo di coartazione delle coscienze, è chiaro che la Costituzione non deve diventare ideologia.

La Costituzione della libertà e della democrazia deve rivolgersi alla libertà e alla democrazia. Deve essere una pro-posta che non può essere im-posta. Essa deve entrare nel grande agone delle libere idee che formano la cultura d’un popolo. La Costituzione deve diventare cultura costituzionale.

La grande eco che il discorso di Benigni ha avuto nell’opinione pubblica è stata quasi un test. Essa dimostra l’esistenza latente, nel nostro Paese, di quella che in Germania si chiama WillezurVerfassung, volontà di costituzione: anzi, di questa Costituzione. È bastato accennare ai principi informatori della nostra Carta costituzionale perché s’accendesse immediatamente l’immagine d’una società molto diversa da quella in cui viviamo; perché si comprendesse la necessità che la politica riprenda il suo posto per realizzarla; perché si mostrasse che i problemi che abbiamo di fronte, se non trovano nella Costituzione la soluzione, almeno trovano la direzione per affrontarli nel senso d’una società giusta, nella quale vorremmo vivere e per la quale anche sacrifici e rinunce valgono la pena. In due parole: fiducia e speranza. Ma senza illusioni che ciò possa avvenire senza conflitti, senza intaccare interessi e posizioni privilegiate: la "volontà di costituzione" si traduce necessariamente in "lotta per la Costituzione" per la semplice ragione che non si tratta di fotografare la realtà dei rapporti sociali, ma di modificarli.

La Costituzione vive dunque non sospesa tra le nuvole delle buone intenzioni, ma immersa nei conflitti sociali. La sua vitalità non coincide con la quiete, ma con l’azione. Il pericolo non sono le controversie in suo nome, ma l’assenza di controversie. Una Costituzione come è la nostra, per non morire, deve suscitare passioni e, con le passioni, anche i contrasti. Deve mobilitare. Tra i cittadini c’è desiderio di mobilitazione, cui mancano però i punti di riferimento. I quali dovrebbero essere offerti dalle strutture organizzate della partecipazione politica, innanzitutto i partiti che dicono di riconoscersi nella Costituzione. Ma tra questi spira piuttosto un’aria di smobilitazione, come quando ambiguamente si promettono (o minacciano, piuttosto) "stagioni", "legislature" costituenti, senza che si chiarisca che cosa si vorrebbe costituzionalizzare, al posto della Costituzione che abbiamo. Possibile che non si veda a quale riserva d’energia così si rinuncia, in cambio di flosce e vaghe prospettive?

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Titolo articolo : NATALE A LONDRA: LA SOLIDARIETA'-PANETTONE DI BENEDETTO XVI E IL "FINANCIAL TIMES".  Il testo di Benedetto XVI e una nota di Sergio Cesaratto - con alcuni appunti ,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: December/21/2012 - 19:34:13.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/12/2012 18.36
Titolo:L'amministrazione della charity” rende molto, in affari e in allevamneto di anim...
L’ARCA DELL’ALLEANZA O LA MANGIATOIA DELLA FATTORIA DEGLI ANIMALI?!! "L’infanzia di Gesù" secondo Ratzinger - Benedetto XVI.

Una nota


"Di quale Dio parliamo quando parliamo di Dio, e di quale Dio parlano quando parlano di Dio? La domanda è cruciale. Infatti non è per niente chiaro, non è sempre lo stesso, e sovente non è un Dio innocuo" (Raniero La Valle, "Se questo è un Dio", pag. 9)

E si continuavano a dormire “sonni beati”! Dopo la dichiarazione “Dominus Iesus” circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa (2000), dopo l’enciclica “Deus caritas est” (2006), che proclama la grande “novità” che “Dio è valore”, e la connessa decisione di sottoporre a “copyright tutti gli scritti, i discorsi e le allocuzioni del Papa”, Benedetto XVI, dopo aver tolto la "h" dalla "Charitas" (Amore pieno di grazia) e precisato anche che "Nazaret" si scrive "senza acca" e, infine, che «il calice fu versato per molti», non «per tutti», ha reso pubblico un altro racconto ediphicante sulla vita del suo “Padrone Gesù” (“Dominus Iesus”)!

“Per Natale completata la trilogia”, annuncia trionfante l’Osservatore romano (10.10.2012) e fornisce un’anteprima “del terzo libro di Benedetto XVI su Gesù presentato alla Fiera internazionale del libro di Francoforte”: “L’infanzia di Gesù”. “Da pagina 38 del manoscritto”, con il titolo “Quel bimbo stretto in fasce”, questo il testo che il giornale del Vaticano riprende:

“Maria avvolse il bimbo in fasce. Senza alcun sentimentalismo, possiamo immaginare con quale amore Maria sarà andata incontro alla sua ora, avrà preparato la nascita del suo Figlio. La tradizione delle icone, in base alla teologia dei Padri, ha interpretato mangiatoia e fasce anche teologicamente. Il bimbo strettamente avvolto nelle fasce appare come un rimando anticipato all’ora della sua morte: Egli è fin dall’inizio l’Immolato, come vedremo ancora più dettagliatamente riflettendo sulla parola circa il primogenito.

Così la mangiatoia veniva raffigurata come una sorta di altare. Agostino ha interpretato il significato della mangiatoia con un pensiero che, in un primo momento, appare quasi sconveniente, ma, esaminato più attentamente, contiene invece una profonda verità. La mangiatoia è il luogo in cui gli animali trovano il loro nutrimento.

Ora, però, giace nella mangiatoia Colui che ha indicato se stesso come il vero pane disceso dal cielo - come il vero nutrimento di cui l’uomo ha bisogno per il suo essere persona umana. È il nutrimento che dona all’uomo la vita vera, quella eterna. In questo modo, la mangiatoia diventa un rimando alla mensa di Dio a cui l’uomo è invitato, per ricevere il pane di Dio. Nella povertà della nascita di Gesù si delinea la grande realtà, in cui si attua in modo misterioso la redenzione degli uomini”.

Che a cinquanta anni dall’inizio del Concilio ecumenico Vaticano II non si sappia più né Chi è, né come ne dove sia nato Colui che è stato ed è la Luce delle Genti (“Lumen Gentium”), è più che normale e ‘sacrosanto’ che arrivi un papa teologo e racconti la solita storiella tradizionale del “Signore Gesù” nato ancora e sempre in una “mangiatoia”, “una sorta di altare” per l’Immolato, per il sacrificio del primogenito e che, “prima di ascendere al cielo, affidò ai suoi discepoli il mandato di annunciare il Vangelo al mondo intero e di battezzare tutte le nazioni”(“Dominus Iesus” - Introduzione) e abbia il suo grande successo alla fiera e al mercato di tutto il mondo! E’ un segno dei tempi: la “buona-carestia” avanza e grandi sono gli affari che si possono fare, vendendo a “caro-prezzo” (“caritas”) la grazia (”charis”) di Dio: “l’amministrazione della charity” rende molto, sia in affari sia in termini di domesticamento di liberi esseri umani in “animali”!

Per il papa teologo, infatti, il tempo passa invano: siamo ancora e sempre nella orwelliana “fattoria degli animali” e suo è il comando. Egli è il “grande fratello” e il “Santo padre”, il “Padre nostro”, che guida il suo popolo nel cammino della Storia! Ora, finalmente, la carità è nella verità (“Caritas in veritate”, 2009): “La Luce del mondo”, il libro di Ratzinger - Benedetto XVI (2010) ha scalato le vette delle classifiche: ha avuto uno straordinario successo di vendite e di guadagno con i diritti di autore.

Questa è la ‘bella notizia’ della "mangiatoia", tutto il resto appartiene al passato: l’arca di Noè, l’arca dell’alleanza di Mosè (con i due cherubini e la Legge scritta), l’arca-presepe del messaggio evangelico e di Francesco di Assisi (con i due cherubini - Giuseppe e Maria - e la Legge vivente, Gesù).

“In principio era il Logos” è solo “archeologia”! Oggi, su Piazza San Pietro, sventola il “Logo” del “Dominus Iesus”: “Deus caritas est”!!! Il Terzo Millennio prima di Cristo è già iniziato e il sogno di Ratzinger - Benedetto XVI come quello di Costantino annuncia la sua vittoria: “Forza Signore Gesù”!!!

Federico La Sala (10.10.2012)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/12/2012 19.34
Titolo:CARITA' (COME ELEMOSINA) E GIUSTIZIA SOCIALE. Dalla chiesa dei poveri alla chie...
Dalla chiesa dei poveri alla chiesa dei manager

di Massimo Faggioli (”L’Huffington Post”, 21 dicembre 2012)

Non è chiaro cosa sarà dell’impegno politico di alcuni notabili cattolici italiani a favore di una “Lista Monti”. Vista dall’America, l’evoluzione del quadro politico italiano con l’agglomerarsi di una lista di centro fatta di industriali, tecnocrati e cattolici neo-liberisti non sorprende per nulla: è frutto non solo della crisi italiana, ma anche dell’onda lunga del reaganismo cattolico, che in America ha fatto di molte curie episcopali delle succursali del Partito repubblicano.

Dal punto di vista della cultura teologica del cattolicesimo contemporaneo, la svolta si era compiuta già da qualche anno, iniziata in modo silenzioso durante e nonostante il pontificato del papa operaio, Giovanni Paolo II, e consumatasi con Benedetto XVI e il crescente americanismo della cultura cattolica prodotta in Vaticano.

Siamo passati da una chiesa che cinquant’anni fa proclamava di voler essere “la chiesa dei poveri” ad una chiesa che opera per i poveri ma parla sempre meno dei poveri (per tacer degli operai), che non crede nella politica schiava della “dittatura del relativismo”, e che si affida ai tecnici.

Che la “Lista Monti” sia contornata da esponenti del “cattolicesimo sociale” italiano non deve essere visto come elemento di bilanciamento all’identità “padronale”, ma come conferma di quella identità. Il “cattolicesimo sociale” ha sempre vissuto, dalla fine dell’ottocento dall’enciclica Rerum novarum di Leone XIII in poi, all’ombra di un magistero che rigettava il conflitto di classe: ma allora, e fino a pochi anni fa, rigettava anche la religione del mercato e i costi umani e sociali di un sistema economico e produttivo che allora veniva percepito nei suoi aspetti disumanizzanti.

Da qualche tempo invece, in documenti del magistero cattolico forgiati all’ombra di teologi moralisti americani che si occupano di business ethics, la questione principale sembra essere quella di formare business leaders e managers eticamente sensibili ad un’idea di “bene comune” assai vaga e a un’idea di “solidarietà coi poveri” molto più vicina alle opere di carità individuale che alla giustizia sociale.

Parte del cattolicesimo percepisce lo “stato di eccezione” in cui da tempo vive l’Italia come un dato imposto dall’esterno e da cui uscire a tempo dovuto; un’altra parte del cattolicesimo americanizzante vede invece questo “stato di eccezione” come occasione per regolare i conti con una delle eredità più importanti della cultura del concilio Vaticano II. Il ralliement di parte del cattolicesimo italiano alla tecnocrazia ha il sapore di una resa incondizionata del pensiero sociale cattolico nei confronti del Moloch. I preti operai non sono mai stati molto popolari in Vaticano; i manager sembrano invece godere di molta più fiducia.

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Titolo articolo : VIVA IL POTERE, ABBASSO I POVERI,  di Mario Pancera

Ultimo aggiornamento: December/20/2012 - 13:27:51.

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Autore Città Giorno Ora
Augusto Salvioli Reggio Emilia 20/12/2012 13.27
Titolo:
é vero quello che è scritto e non ci fa certo onore. Però eravamo stati avvisati. Nel Vangelo non a caso c'è scritto "i poveri li avrete sempre" perchè Gesù conosceva la natura dell'uomo. Quindi con la politica non si risolverà mai il problema della giustizia e non si risolverà mai il problema della disuguaglianza fra uomini. Questo non ci esime dal tentarlo sempre seguendo le indicazioni evangeliche della ricerca di pace, e quindi sapendo che non si otterranno mai rei risultati definitivi ma solo dei miglioramenti. Penso che sapendo questo uno più difficilmente si lascia prendere da scoramento e quindi lascia perdere tutto o da senso di impotenza che potrebbe sfociare anche in attività violente

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Commenti Articolo 656

Titolo articolo : REGALO DI NATALE DEL PADRONE GESU' ("DOMINUS IESUS") A CHI ODIA IL PROSSIMO COME SE STESSO.  Papa Ratzinger benedice promotrice legge che prevede pena di morte per gay in Uganda. Una nota - con appunti ,a c. di Federico La Sala 

Ultimo aggiornamento: December/18/2012 - 18:39:30.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/12/2012 13.14
Titolo:PENA DI MORTE. Nuovo Catechismo, Art. 2267
Art. 2267 del Nuovo Catechismo:


“L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’ identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte”.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/12/2012 15.07
Titolo:BEATI GLI OPERATORI DI PACE COSTANTINIANA ....
«Matrimoni gay ferita per la pace»

di Luca Kocci (il manifesto, 15 dicembre 2012)

Si apre la campagna elettorale e, puntuale, arriva l’intervento del Vaticano a chiarire da che parte stare, ribadendo i «principi non negoziabili» a cui i politici devono attenersi. Non si tratta di un’esternazione mirata: quelle del papa sono le parole del tradizionale messaggio urbi et orbi per la giornata mondiale della pace dell’1 gennaio, «quasi una piccola enciclica» sottolinea l’editoriale dell’Osservatore Romano. Tuttavia la lettura politica è inevitabile, anche perché è sollecitata direttamente dai due prelati che ieri in Vaticano lo hanno presentato alla stampa.

«Beati gli operatori di pace» è il titolo del messaggio. E subito, dopo un brevissimo cenno «ai focolai di tensione e di contrapposizione causati da crescenti diseguaglianze fra ricchi e poveri» provocate «anche da un capitalismo finanziario sregolato», viene chiarito che «operatori di pace sono coloro che amano, difendono e promuovono la vita nella sua integralità». Segue il consueto elenco: no all’aborto e all’eutanasia, sì al matrimonio fra uomo e donna, no a coppie di fatto e coppie gay, sì alla scuola cattolica. Con un’aggiunta pesante: la negazione di questi principi costituisce «una ferita grave inflitta alla giustizia e alla pace».

«Coloro che non apprezzano a sufficienza il valore della vita umana e, per conseguenza, sostengono per esempio la liberalizzazione dell’aborto, forse non si rendono conto che in tal modo propongono l’inseguimento di una pace illusoria», scrive Benedetto XVI, che chiede: «Come si può pensare di realizzare la pace, lo sviluppo integrale dei popoli o la stessa salvaguardia dell’ambiente, senza che sia tutelato il diritto alla vita dei più deboli, a cominciare dai nascituri?». Non è giusto «codificare in maniera subdola falsi diritti o arbitrii, che, basati su una visione riduttiva e relativistica dell’essere umano e sull’abile utilizzo di espressioni ambigue, volte a favorire un preteso diritto all’aborto e all’eutanasia, minacciano il diritto fondamentale alla vita». Per cui è necessario che «gli ordinamenti giuridici» riconoscano «l’obiezione di coscienza nei confronti di leggi e misure governative che attentano contro la dignità umana, come l’aborto e l’eutanasia».

Il secondo capitolo riguarda la famiglia: «La struttura naturale del matrimonio va riconosciuta e promossa, quale unione fra un uomo e una donna, rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione». Le coppie gay non vengono nominate, ma il papa si riferisce a loro. A tal proposito desta una inquietudine apprendere - lo ha segnalato Il Fatto Quotidiano - che il 13 dicembre Benedetto XVI ha ricevuto in Vaticano Rebecca Kadaga, presidente del Parlamento ugandese, dove è in corso di approvazione una legge che prevede la pena di morte per il reato di omosessualità: in questo caso sulla difesa della vita si può chiudere un occhio.

Infine, fra le righe, la scuola cattolica: «Bisogna tutelare - scrive il papa - il diritto dei genitori e il loro ruolo primario nell’educazione dei figli, in primo luogo nell’ambito morale e religioso». C’è anche dell’altro: il «diritto al lavoro» e la ricerca di «un nuovo modello di sviluppo». Ma quasi scompaiono in mezzo all’elenco dei «valori non negoziabili». Che i destinatari privilegiati delle avvertenze papali siano i politici - non solo italiani, data l’universalità del messaggio e visto che da qualche settimana per esempio di matrimoni gay si parla molto negli Usa (quattro Stati li hanno approvati con un referendum lo stesso giorno della rielezione di Obama) e in Francia, dove il Parlamento presto si esprimerà a breve - lo chiarisce mons. Mario Toso, segretario del Pontificio consiglio Giustizia e Pace, presentando il messaggio: «Le comunità politiche sono chiamate a riconoscere, tutelare, promuovere tali diritti e doveri»; quelle che, «mediante ad esempio la liberalizzazione dell’aborto, attentano alla vita dei più deboli» e quindi «non appaiono dotate di una salda tenuta morale». Quasi una scomunica. Del resto, da anni, la strategia appare la stessa: le gerarchie ecclesiastiche non fanno più esplicita professione di fede per un’unica forza politica, ma usano i «principi non negoziabili» come paletti per delimitare il campo in maniera invalicabile.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/12/2012 16.03
Titolo:LE PAROLE CONTRO I GAY ALLONTANO LA PACE...
Le parole contro i gay allontanano la pace

di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 15 dicembre 2012)

Benedetto XVI si lancia nuovamente contro i matrimoni gay. Legittimarli, afferma, sarebbe una “ferita grave contro la giustizia e la pace”. Così “il Papa alimenta l’odio contro i gay”, ha replicato d’impeto Paola Concia, perché sono “parole pericolose, che esprimono qualcosa di profondamente violento”. Dice la parlamentare pidiellina che rappresentare come minaccia “noi cittadini, che siamo senza diritti, significa fomentare aggressività contro i gay”.

Si fa fatica a comprendere l’urgenza di inserire una frase così dura - inevitabilmente destinata a ferire in primo luogo i gay credenti e portata al paradosso di indicare come nemica della pace una coppia omosessuale - nel tradizionale Messaggio per la giornata della pace inviato ogni anno alla comunità diplomatica. Stride con il suo motto “Beati i costruttori di pace” né si amalgama con l’ampiezza dei temi di un documento, incentrato sulla convivenza in un mondo percorso da forti tensioni sociali. Ormai è una guerra sistematica, quella condotta da Benedetto XVI sui principi che già da cardinale definì “non negoziabili”. Il fatto è che - si tratti di unioni civili o di matrimoni gay - le società contemporanee e la gran massa dei credenti contemporanei si sono lasciati alle spalle l’idea dell’omosessualità come perversione. Persino uno scrittore cattolico osservante come Messori ha dichiarato che le persone omosessuali non possono essere considerate uno “scarto” nel progetto divino.

Gli anatemi rivelano in realtà l’allarme vaticano per l’estendersi dei matrimoni gay in paesi cattolicissimi come la Spagna, il Portogallo, l’Argentina e - da pochi giorni - anche l’Uraguay, dove la Camera dei deputati ha approvato la nuova legge con 81 sì su 87 voti. (La legge passa ora al Senato uruguayano).

Con l’occhio alla prossima legislatura il Gay Center italiano si augura che le “parole del Papa non suonino per la politica in Italia come un diktat”, perché le unioni gay non “minacciano” la famiglia. Nel Messaggio il pontefice ribadisce che il matrimonio è solo “fra un uomo e una donna” e volerlo rendere giuridicamente equivalente a “forme radicalmente diverse di unione...(è) un’ offesa contro la verità della persona umana”. Su questa linea Benedetto XVI si scaglia contro il “preteso diritto all’aborto e all’eutanasia”, esclamando che “chi vuole la pace non può tollerare attentati e delitti contro la vita”. Comunque, il pontefice esorta governi e parlamenti a riconoscere il diritto all’obiezione di coscienza agli operatori chiamati a occuparsi di aborti ed eutanasia.

Consapevole degli echi polemici, l’Osservatore Romano interviene con un editoriale del direttore Giovanni Maria Vian, secondo cui la “Chiesa non è affatto isolata nell’esprimere preoccupazione e dissenso sulle nozze gay”. In Francia, dove Hollande sta introducendo i matrimoni gay, afferma Vian, stanno convergendo con le posizioni cattoliche ortodossi, protestanti, ebrei, musulmani e intellettuali laici. La guerra vaticana contro le unioni gay mette in ombra - ed è un peccato - la forte denuncia del Messaggio nei confronti della crescente svalutazione dei diritti dei lavoratori rispetto ad un “mercato” idolatrato.

Benedetto XVI usa parole che Raffaele Bonanni si vergognerebbe di pronunciare: “Sempre più il lavoro e il giusto riconoscimento dello statuto giuridico dei lavoratori non vengono adeguatamente valorizzati, perché lo sviluppo economico dipenderebbe soprattutto dalla piena libertà dei mercati”. Per il pontefice è negativo che il lavoro sia “considerato una variabile dipendente dei meccanismi economici e finanziari”.

Al contrario per ragioni socio-economiche e politiche e soprattutto in nome della dignità dell’uomo bisogna “perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro, o del suo mantenimento, per tuttì”. Non è accettabile che in un’ottica egoistica ed individualistica di massimizzazione del profitto e del consumo si vogliano “valutare le persone solo per la loro capacità di rispondere alle esigenze della competitività”
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/12/2012 20.39
Titolo:Lettera aperta a Benedetto XVI: perché sbaglia? Santità!
Lettera aperta a Benedetto XVI: perché sbaglia? Santità!

di Giovanni Geraci (portavoce Gruppo del Guado, cristiani omosessuali di Milano)

in “http://gruppodelguado.blogspot.it” del 15 dicembre 2012

Mi permetto di scriverLe, Santità, dopo aver letto il Suo messaggio per la Giornata Mondiale della pace 2013 che cade il prossimo primo Gennaio.

Le dico innanzi tutto di essermi commosso davanti alle parole con cui ha ricordato l’enciclica Pacem in Terris di Giovanni XXIII: io all’epoca ero ancora un bambino, ma quando, diversi anni dopo, ho avuto modo di leggerla, ho vissuto un’esperienza davvero profonda che ha segnato in maniera definitiva la mia Fede

In particolare La ringrazio per aver citato il brano in cui papa Giovanni ricorda che «la realizzazione della pace dipende soprattutto dal riconoscimento di essere, in Dio, un’unica famiglia umana, in cui le relazioni interpersonali e le istituzioni sono sorrette ed animate da un “noi” comunitario implicante un ordine morale, interno ed esterno, ove si riconoscono sinceramente, secondo verità e giustizia, i reciproci diritti e i vicendevoli doveri».

La ringrazio per aver ricordato che la pace c’è solo quando si sentono come propri i bisogni e le esigenze altrui e si rendono partecipi gli altri dei propri beni.

Ed è partendo da queste osservazioni, che fanno senz’altro parte del Magistero che la chiesa esercita quando parla del rapporto tra l’uomo e Dio, che mi permetto di farLe notare quella che, a mio avviso, è una stridente contraddizione presente nel Suo messaggio.

Lei infatti, continuando a sviluppare il discorso intorno alla pace, a un certo punto, afferma che: «La struttura naturale del matrimonio va riconosciuta e promossa, quale unione fra un uomo e una donna, rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale».

Mi permetto di farLe notare, in nome di quel realismo che san Tommaso d’Aquino raccomandava ai suoi allievi (quello stesso realismo che ci impone di riconoscere la realtà per quello che è, senza guardarla con gli occhiali del pregiudizio e senza strumentalizzarla con inutili sofismi) che i paesi che più si adoperano per costruire la pace a livello internazionale sono quelli che, per primi, hanno adottato delle leggi che rendono il matrimonio «giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione».

E in nome dello stesso realismo mi permetto di farLe notare che sono gli stati in cui i diritti delle persone omosessuali sono calpestati quelli che, più di frequente, intraprendono azioni violente nei confronti dei paesi confinanti o nei confronti delle popolazioni su cui hanno giurisdizione. Come la mettiamo con questo dato di fatto che contraddice in maniera palese quello che Lei afferma?

La risposta, saggiamente, la suggerisce Lei stesso, quando scrive che «questi principi non sono verità di Fede» e ci fa quindi capire che, anche se pensa di fare riferimento a una specifica visione della natura umana «riconoscibile con la ragione», quando critica le leggi che riconoscono le unioni omosessuali non fa riferimento al Vangelo, ma fa riferimento a quella che Lei considera una retta ragione che, però, più per ignoranza che per malanimo, in questo caso tanto retta magari non è. Ho l’impressione che Lei parta da una visione parziale e distorta dell’omosessualità, che la porta a valutare in maniera sbagliata il reale rapporto che c’è tra pace e diritti delle persone omosessuali. Una visione distorta che Le impedisce di vedere quanto il mancato riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali sia in palese contraddizione con l’atteggiamento di chi, come Lei scrive nel brano che ho ricordato all’inizio di questa lettera, riconosce «come propri i bisogni e le esigenze altrui» e rende gli altri partecipi del propri beni».

Perché non riconoscere come proprio il bisogno che le persone omosessuali hanno di costruire delle relazioni di coppia fedeli e responsabili?

Perché non renderle partecipi di quei diritti e di quei doveri che, regolando la vita famigliare, aiutano la società nel suo complesso a strutturarsi meglio? E come la mettiamo con i tanti fanatici che nel Suo articolato messaggio leggono solo una dura condanna delle leggi che riconoscono le unioni omosessuali e che, spinti dal loro fanatismo fanno poi di tutto per perseguitare le persone omosessuali?

Certe affermazioni, già gravi quando vengono pronunciate dal primo parroco che parte per la tangente durante un’omelia, diventano gravissime quando compaiono all’interno di un messaggio firmato dal Papa.

Ed è per questo che La invito a domandarsi in cosa sta sbagliando se è arrivato addirittura a stabilire tra pace e rispetto dei diritti delle persone omosessuali una relazione che è l’esatto contrario di quella che tutti possono osservare e se è arrivato a contraddire una raccomandazione morale importante come quella, da Lei ricordata, che ci invita a fare nostri i bisogni degli altri. Si tratta di un invito che Le viene da un cattolico che Le vuole bene e che non vuole che, tra qualche anno, quando Lei si troverà di fronte a nostro Signore, venga interpellato per le conseguenze gravissime (in termini di discriminazioni, di sopraffazioni e di violenze) che possono avere le parole che ha scritto nel suo messaggio di quest’anno.

Inizi finalmente ad incontrare delle coppie di persone omosessuali, a parlare con loro, ad ascoltarle, a guardarle negli occhi e vedrà che il Suo atteggiamento nei confronti della loro situazione cambierà radicalmente. Glielo dice uno che ha fatto questa esperienza e che, forte di questa esperienza osa dirle con chiarezza che, quando parla di diritti delle coppie omosessuali non solo non segue una retta ragione, ma rischia di non seguire nemmeno il Vangelo.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/12/2012 20.01
Titolo:BENEDETTO XVI E LA LAICITA' CATTOLICA
Benedetto XVI e la laicità cattolica

di Giancarla Codrignani

La responsabilità assunte in questi giorni da Papa Benedetto XVI sono la dimostrazione più evidente della necessità espressa dal Concilio Vaticano II di aprire le porte alla collegialità, abbandonando le tentazioni dogmatiche a favore della pastoralità, valore evidentemente superiore. Definire i matrimoni omosessuali "una grave ferita inflitta alla giustizia e alla pace" e aborto ed eutanasia "attentati e delitti contro la vita (che) chi vuole la pace non può tollerare" è una caduta di stile inaccettabile.

La Chiesa ha il diritto di rivolgersi ai suoi fedeli ricordando la coerenza con i princìpi, ma non di riferirsi al vincolo della pace, comune a tutti gli umani, in relazione a condizioni di vita rese drammatiche proprio dai pregiudizi, a cui non è neppure immaginabile dichiarare guerra. Tanto più che il primo e più grave delitto e attentato contro la vita è proprio la guerra, che ancora resta giustificata nel catechismo cattolico.

Ma più grave è la mancanza di rispetto nei confronti dei fratelli omosessuali, tanto più che un teologo dovrebbe ripensare - ormai da gran tempo - il senso profondo della sessualità e della "natura" alla luce di quel Dio che è anche per lui Amore. La mia generazione ha pagato la crescita della coscienza a proprie spese: al liceo scoprendo i pronomi "strani" nei testi greci amorosi e, una volta recuperato il senso dell’essere persona sessuata in forma "etero" e riconosciuta la criminalità del nazismo nella priorità della persecuzione degli omosessuali, incontrando attorno a sé la persistenza dal pregiudizio.

L’avanzamento culturale ha evidenziato quanto grande sia il numero dei discriminati per differenze che debbono far riflettere sulla ricchezza dell’umanità. Come donna mi è venuto solo tardivamente di pensare alle migliaia e migliaia di donne lesbiche che nei secoli furono sposate e generarono figli subendo, ignare quasi sempre anche a se stesse, la violenza del sesso legittimato e benedetto.

Oggi la crudeltà di giudizi non negoziabili dovrebbe essere evitata, soprattutto dopo che i casi di pedofilia non più celati, per essere quasi sempre a danno di bimbi e adolescenti maschi, hanno svelato che dietro le ombre di gravi delitti - che per la chiesa sono anche peccati - si delineano responsabilità dovute a concezioni deterministiche della corporeità e alla definizione dei comportamenti "naturali" o "innaturali" per dogma presunto.

Una delle donne invitate cinquant’anni fa al Vaticano II polemizzò sulla formula del matrimonio religioso fondato su mutuo aiuto, procreazione e - orribile in un sacramento che evidentemente riconosce nella benedizione del prete ai due sposi (che pur sono i reali ministri del rito) l’autorizzazione a "fare le brutte cose" - il remedium concupiscentiae. Ebbe infatti ad ammonire: "Voi padri conciliari ricordate che le vostre madri vi hanno concepito nell’amore e non nella concupiscenza".

Anche questo è un segno che il Vaticano II ha dato indicazioni aperte a realizzazioni che - a dispetto di ogni disputa sulla discontinuità prodotta dal Concilio di Giovanni XXIII - vanno "oltre": per la prima volta nei testi della Chiesa cattolica la Gaudium et Spes riconosceva che principio fondante del matrimonio è l’amore degli sposi. Perché mai dovremmo oggi sentire offensivo "per la giustizia e la pace" l’amore comunque si presenti (soprattutto nella laicità sociale degli stati) e il senso profondo di una sessualità e di una "natura" quando diventano per tutti - i credenti osservanti non sono obbligati dalla legge "permissiva" - diritti alla mutua assistenza, alla cura del prossimo, alla vita?

* FINESETTIMANA.ORG, 16 dicembre 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/12/2012 18.39
Titolo:SCATECHISMO.
(...) Erode mandò a decapitare Giovanni nel carcere. Quelli che mangiavano con lui a tavola non alzarono un dito contro quell’iniquità, ma continuarono a sganasciare. Col silenzio sono divenuti complici. (Don Oreste Benzi, “Scatechismo”).


* CITAZIONE RIPRESA DA:

Nadia Bizzotto, "Benigni ci hai radito anche tu...",

http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/carcere/NotizieCo_1355846988.htm

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Commenti Articolo 657

Titolo articolo : Pillole di Apocalisse (3),di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: December/17/2012 - 21:05:31.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/12/2012 09.54
Titolo:IL MITO imperiale 'NASCOSTO': l'Alleanza della Madre con il Figlio ....
COSTANTINO, SANT’ELENA, E NAPOLEONE. L’immaginario del cattolicesimo imperiale.

LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA NON HA NIENTE A CHE FARE ne' con la Legge Mosaica né con la Nuova Alleanza, CON LA FAMIGLIA DI GESU’, DI GIUSEPPE E MARIA ... E’ UNA COPPIA UN PO’ INCESTUOSA: LA MADRE ELENA E L’IMPERATORE COSTANTINO, IL "SIGNORE DEL MONDO" E LA MADRE DI "DIO":




Tre donne «forti» dietro tre padri della fede

di Marco Garzonio (Corriere della Sera, 25 ottobre 2012)

Il IV secolo è fine di un’epoca e nascita di tempi nuovi anche per i modelli femminili nella cultura cristiana e nella società. Mentre le istituzioni dell’Impero si sfaldano, popoli premono ai confini, corruzione e violenze dilagano e le casse sono vuote, causa guerre ed evasione fiscale, alcune donne sono protagoniste delle trasformazioni almeno tanto quanto gli uomini accanto ai quali la storia le ha accolte. Elena, madre di Costantino, Monica madre di Agostino, Marcellina sorella di Ambrogio.

Ma ci son pure Fausta, moglie di Costantino, da lui fatta assassinare per sospetto tradimento (violenza in famiglia anzi tempo) e la compagna di Agostino, giovane cartaginese vissuta anni more uxorio («coppia di fatto» si direbbe oggi) col futuro santo vescovo d’Ippona. Gli diede pure un figlio, Adeodato, di lei però non è rimasto nemmeno il nome: una rimozione del femminile, nonostante la straordinaria autoanalisi ante litteram compiuta da Agostino nelle Confessioni; un archetipo delle rimozioni collettive della donna praticate dalla cattolicità e di tanta misoginia e sessuofobia che affliggeranno la Chiesa per secoli e ancora la affliggono. Ma andiamo con ordine nel considerare i tipi.

La madre solerte, forte, premurosa, ambiziosa, molto attaccata al figlio maschio, possessiva: è il modello di madre che emerge dalle testimonianze. In parte è un’icona ritagliata sul prototipo della matrona romana, su cui s’innesta la novità del cristianesimo. Questo dalle origini si dibatte in una contraddizione. C’è l’esempio di Gesù che «libera» la donna dalle sudditanze; per lui non è alla stregua di una «cosa» (come negli usi romani); negli incontri rivela l’alta considerazione verso una persona non certo inferiore all’uomo e contraddice così la cultura del tempo. Narrano i vangeli che Gesù si mostra a Maria di Magdala e alle altre donne come il Risorto davanti al sepolcro vuoto: loro sono le protagoniste, a esse affida l’annuncio pasquale. Dall’altra parte c’è San Paolo che invita le mogli a stare sottomesse ai mariti e ispira la visione di un ruolo ancillare, silenzioso, subordinato.

Ecco, allora: Elena anticipa quella che in epoche successive sarà la Regina Madre. Locandiera, legata a Costanzo Cloro cui darà un figlio, Costantino, fa di tutto perché questi diventi padrone dell’Impero: tesse rapporti, guida, consiglia. Verrà ricambiata: Costantino cingerà lei del diadema imperiale (invece della «traditrice» Fausta) introducendo nell’iconografia una coppia un po’ incestuosa: madre e figlio.

Psicologicamente Costantino sarà in un certo modo sottomesso a Elena. A Gerusalemme lei troverà le reliquie del Santo Sepolcro. Dei chiodi della Croce ornerà la corona imperiale (posta sul capo dei padroni del mondo sino a Napoleone) per dire che chi governa è sottomesso a Dio, e farà il morso del cavallo del figlio: anche i sovrani devono frenare le pulsioni.

Madre altrettanto ingombrante, sul piano degli affetti in questo caso, fu Monica per Agostino. Questi aveva cercato di liberarsene partendo per Roma senza dir nulla ma Monica non si scoraggiò, lo inseguì e raggiunse sino a Milano, capitale ai tempi. Qui convinse il figlio, all’apice del successo come retore, a rispedire in Africa la compagna e si diede da fare perché trovasse a corte una moglie. Intanto s’era pure spesa affinché Agostino conoscesse Ambrogio, che a Milano contava più delle insegne imperiali. Così l’amore di madre si trasformò: cadde il progetto di ascesa sociale, venne la conversione e il futuro padre della Chiesa riprese la via dell’Africa, senza più Monica però, che morirà sulla via del ritorno.

Un altro genere di donna, che ebbe e ha importanza nella Chiesa, nei costumi, nella cultura è incarnato da Marcellina. La sorella di Ambrogio, dopo aver contribuito a crescere i fratelli, prese il velo con papa Liberio. Grazie a lei si prospettò una scelta di vita ricalcata sul modello del monachesimo orientale, di cui Ambrogio era estimatore: la verginità (su questa il Patrono di Milano compose una delle sue opere principali), la consacrazione, il chiostro in cui ritirarsi, pregare e, in taluni sviluppi, lavorare, garantire il prosieguo delle tradizioni e aprirsi al mondo attraverso opere di carità. Costantino, Ambrogio, Agostino e lo loro donne: esempi d’una storia plurale che continua, viene costruita giorno dopo giorno ancora, si evolve.
Autore Città Giorno Ora
Renzo Coletti Genova 17/12/2012 21.05
Titolo:
Giovanni questa volta colpisce nel segno e duramente: il suo editoriale ci svela i risvolti di un impero prossimo allo sfacelo, una storia già vissuta che emana un lezzo sempre uguale e sempre attuale. ma il messaggio dell'apocalisse sembra non esaurirsi nella catastrofe: la nuova Chiesa sembra vincere le tenebre culturali dell'impero del male, il povero, lo sfruttato, il vitello sgozzato, sembra essere alla fine risultare vincente. No! Caro Giovanni, sul finale sei troppo vago, lasci all'immaginazione tropo spazio, si possono dedurre troppe cose: il mito dell'impero, ovvero il Dio dei potenti, non può essere messo ancora una volta in competizione con il Dio dei poveri, dei diseredati, ancora una volta la storiella del lupo e della pecora non può esserci d'aiuto. Noi dobbiamo alla fine far scendere Gesù dalla croce, dobbiamo restituirgli la libertà, la dignità, il senso critico, dare a noi stessi il suo nome, dare a lui ciò che di meglio troviamo in noi, dare al mondo la libertà da ogni dogma, mito, fede in ciò che poi si è sempre rivelato un giogo ed una menzogna.
L'apocalisse è la fine di un'era, un modo di pensare, una prigione che si apre ai sentimenti e diventa una nuova dimensione che oggi non riusciamo a distinguere, ma che comincia a sorgere al nostro orizzonte.
Quando saremo finalmente liberi da ogni dio, sia dei ricchi che dei poveri, quando saremo liberi di usare le nostre menti per creare noi stessi e non immagini in cui specchiarci, quando ameremo la diversità perchè ricchezza, quando oseremo perché è sapere, allora avremo compreso il messaggio dell'apocalisse o forse il messaggio di un saggio buddista o semplicemente il grido di un uomo solo.

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Commenti Articolo 658

Titolo articolo : APOCALISSE VATICANA: UNA DONNA 'DENUNCIA' L'IMMAGINARIO "COSTANTINIANO" DELL'INTERO ORDINE SACERDOTALE. "Lui incapace di accettare l’emancipazione" (di se stesso e delle donne)! Una nota di Giulia Galeotti ("l'Osservatore Romano") - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: December/16/2012 - 09:37:26.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/11/2012 19.44
Titolo:FEMMINICIDIO. Ormai ne abbiamo le prove: l’assassino ha le chiavi di casa
- La Spoon river delle donne
- Femminicidio: una parola che dà senso all’orrore
- Uccise, massacrate, violate
- Chiediamo agli uomini un atto di responsabilità per non essere complici dei killer. E per denunciarli

- di Sara Ventroni (l’Unità, 25.11.2012)

ROMA FINCHÉ LE COSE NON HANNO UN NOME NON ESISTONO. SCIVOLANO NELL’OMBRA, NELLA VERGOGNA, NEI SENSI DI COLPA. Finché le cose non hanno un nome, nessuno sa riconoscerle. Allora le cose ci inghiottono nel loro buco nero. In solitudine. Poi è troppo tardi. Poi non c’è più fiato per dire che no, quello non era amore.

Femminicidio (o femicidio) è una parola che dà fastidio. È una parola che suona male, che si stenta a pronunciare perché per alcuni puzza di femminismo. Ha la stessa radice, lo stesso scandalo. Eppure è proprio dal momento in cui questa parola è stata detta, che si è potuto finalmente dare un nome a un fenomeno che ci si ostinava a non voler vedere: la violenza degli uomini sulle donne. Un fenomeno globale, che ogni anno uccide più del cancro. Che entra nelle statitische ma non può essere risolto con i numeri, perché si tratta di una disfunzione relazionale, di una malformazione culturale che richiede uno sguardo acuto come un bisturi.

La parola femminicidio è stata coniata da femministe e attiviste messicane che hanno trovato il coraggio di denunciare l’uccisione in massa di donne, massacrate nel silenzio per l’unico motivo di essere femmine. Siamo a Ciudad Juarez, una piccola città al confine tra il Messico e gli Stati Uniti. Nessuno ne ha mai sentito parlare. Nessuno ha mai ricevuto notizia del fatto che dal 1992 più di 4.500 donne sono scomparse. Nessuno ha mai indagato sui corpi abbandonati nel deserto. Nessuno ha mai voluto capire quale fosse il denominatore comune che permetteva alle forze dell’ordine di non vedere, ai cittadini di non sapere, alla magistratura di insabbiare. Una complicità silenziosa, pacata, micidiale.

Poi l’attivista Marcela Lagarde, in seguito eletta parlamentare, ha messo in fila i dati. Ha dato un senso politico ai fatti, fino ad allora anonimi e isolati, ha indicato i motivi di fondo per cui una comunità di responsabili, di corresponsabili, di complici involontari ha potuto tranquillamente ignorare il fenomeno. Si tratta di femminicidio. E ci riguarda tutti.

L’ALIBI DELL’AMORE

Dal Messico all’Italia, ci è voluto del tempo prima di riuscire a scrostare la patina pruriginosa, da feuilleton, dei luoghi comuni che giustificano la morte di centinaia di donne, ogni anno: l’amore molesto, la gelosia, il senso del possesso, il raptus. Tutte falsificazioni per assopire la coscienza collettiva. L’adagio implicito è che sono fatti così, i nostri uomini, e se lanciano un ceffone o una coltellata al cuore lo fanno per troppo amore.

Fino a poco tempo fa in Italia, è bene ricordarlo, le notizie dei femminicidi erano derubricate nelle pagine della nera. Dettagli conturbanti raccontati in cronache rosso sangue, oppure inquadrati in casi clamorosi, come l’omicidio Reggiani, branditi come una clave mediatica, per cui tutto si risolve con una massiccia operazione di ordine pubblico contro la barbarie culturale degli stranieri. Degli altri. Un brutto affare che non ci riguarda.

Invece ormai ne abbiamo le prove: l’assassino ha le chiavi di casa.

Mariti, compagni, ex conviventi, morosi: da gennaio a oggi sono 106 le donne uccise in Italia. E non si tratta del degrado delle periferie. I dati di Telefono Rosa parlano chiaro: le donne uccise hanno un’età compresa tra i 35 e i 60 anni e provengono da ogni classe sociale. Sono laureate, casalinghe, studentesse, donne in carriera. Gli assassini sono spesso insospettabili professionisti. Le violenze si consumano tra le mura domestiche. Non si tratta solo di rapporti di coppia. C’è anche la violenza dei padri verso le figlie. Come dimenticare Hina Saleem, ragazza di origine pakistana, italiana, che voleva decidere della propria vita, che vestiva all’occidentale, e per questo è stata uccisa dal padre e seppellita nel giardino di casa?

Le femministe direbbero che si tratta di una mentalità patriarcale dura a morire. In effetti sono davvero pochi gli anni trascorsi dalla ratifica del nuovo diritto di famiglia del 1975. Ed è troppo vicino il ricordo del vecchio ordine, quando il marito era il capofamiglia e le donne passavano dalla tutela del padre a quella del marito. Prendevano il cognome dell’uomo certificando, così, il passaggio di proprietà. Il marito aveva potere su tutto: decideva dove abitare, come gestire i soldi e cosa fare della dote della moglie; esercitava la patria potestà sui figli, decidendo per tutti, senza che la moglie potesse dire la sua. Ed è passato troppo poco tempo, era il 1981, dall’abrogazione dell’articolo 587 del Codice penale che garantiva le attenuati all’uomo che uccideva la moglie, la figlia o la sorella in nome della rispettabilità: era il delitto d’onore...

È una storia recente che evidentemente ancora incide, come un palinsesto, sulla formazione degli italiani. Non c’è da meravigliarsi, dunque, se nel fermento degli anni Settanta esplose il femminismo per prendere le distanze dalle clamorose rimozioni dei furori rivoluzionari dei maschi.

RIVOLUZIONE MANCATA

Noi oggi siamo qui. Evidentemente la rivoluzione dei sessi è ancora di là da venire. Su questa linea, che è un solco profondo e non un segno labile di lapis, il movimento Se non ora quando ha lanciato la sua campagna «Mai più complici».

Un progetto che schiva la retorica vittimistica e che interroga direttamente la cultura, spingendo tutti a un esame profondo. Come è accaduto negli incontri, affollatissimi, di Merano, di Torino (con la messa in scena della pièce L’amavo più della sua vita di Cristina Comencini) o nella recente partita della Nazionale giocata a Parma, quando i calciatori di Prandelli hanno ascoltato in silenzio un testo scritto dalla filosofa Fabrizia Giuliani, letto da Lunetta Savino.

La violenza sulle donne è un problema degli uomini. Ora è chiaro. Ma la strada è ancora lunga. In Senato è in discussione il ddl Serafini, un proposta di legge contro il femminicidio. La ministra Fornero ha promesso di ratificare la Conferenza di Istanbul contro la violenza sulle donne firmata a settembre. L’anno scorso il Cedaw (Commissione per l’eliminazione delle discriminazioni contro le donne) ha ammonito pesantemente l’Italia. Siamo ancora indietro. Troppo indietro nel processo di partecipazione. Oggi è la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

Ci sono iniziative in tutta Italia e i media stanno sul pezzo. Anche gli uomini rompono il silenzio e fanno autocoscienza: dal gruppo «Maschileplurale» a Riccardo Iacona, a Sofri. È un passo avanti. Siamo certe che la parola «femminicidio» verrà accolta come neologismo dallo Zingarelli, ma non ci basta. Occorre stabilire un nuovo nesso, per trovare il senso. L’esclusione delle donne dalla piena partecipazione democratica è infatti strettamente legata a una visione paternalistica, che può assumere anche un volto violento. Non si tratta di amore malato che finisce in tragedia. Le donne, questo, lo hanno capito.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/11/2012 21.26
Titolo:APPELLO. "Se non ora quando" chiede di fermare il "femminicidio".
L’appello

Già 54 donne uccise quest’anno

"Il Parlamento affronti l’emergenza"

"Se non ora quando" chiede di fermare il "femminicidio". Più di mille adesioni in poche ore *

ROMA - Cinquantaquattro donne morte per mano di un uomo dall’inizio dell’anno a oggi. È il triste primato dell’Italia. Lo denuncia, parlando di "femminicidio", "Se non ora quando" (Snoq), la rete delle donne, in un appello che in poche ore ha raccolto sul Web più di mille adesioni, da Nadia Urbinati a Rosetta Loy. Nell’appello le donne chiedono che i "media cambino il segno dei racconti di quelle violenze, non li riducano a trafiletti, cancellando con le parole le responsabilità".

PER LEGGERE E FIRMARE L’APPELLO

"Il femminicidio non è solo un fatto criminologico ma ha una valenza simbolica del rapporto (arretrato) uomo-donna in Italia. Ecco perché riguarda la politica", sottolinea Cristina Comencini di Snoq. Ed è per questo che Snoq chiede anche "agli uomini di aprire gli occhi e di camminare e mobilitarsi con le donne per porre fine a questo orrore". Telefono Rosa ha scritto al premier Monti: "Servono risorse economiche e una commissione straordinaria". Barbara Pollastrini del Pd ha chiesto un piano di sicurezza e la senatrice Adriana Poli Bortone ha annunciato che in Senato c’è un ddl per l’inasprimento delle pene contro il femminicidio. Dal mondo politico anche le adesioni di Nicola Zingaretti, Anna Finocchiaro, Livia Turco, Costanza Quatriglio

Il testo dell’appello "Mai più complici":

Cinquantaquattro. L’Italia rincorre primati: sono cinquantaquattro, dall’inizio di questo 2012, le donne morte per mano di uomo. L’ultima vittima si chiama Vanessa, 20 anni, siciliana, strangolata e ritrovata sotto il ponte di una strada statale. I nomi, l’età, le città cambiano, le storie invece si ripetono: sono gli uomini più vicini alle donne a ucciderle. Le notizie li segnalano come omicidi passionali, storie di raptus, amori sbagliati, gelosia. La cronaca li riduce a trafiletti marginali e il linguaggio le uccide due volte cancellando, con le parole, la responsabilità.

E’ ora invece di dire basta e chiamare le cose con il loro nome, di registrare, riconoscere e misurarsi con l’orrore di bambine, ragazze, donne uccise nell’indifferenza. Queste violenze sono crimini, omicidi, anzi FEMMINICIDI. E’ tempo che i media cambino il segno dei racconti e restituiscano tutti interi i volti, le parole e le storie di queste donne e soprattutto la responsabilità di chi le uccide perché incapace di accettare la loro libertà. E ancora una volta come abbiamo già fatto un anno fa, il 13 febbraio, chiediamo agli uomini di camminare e mobilitarsi con noi, per cercare insieme forme e parole nuove capaci di porre fine a quest’orrore. Le ragazze sulla rete scrivono: con il sorriso di Vanessa viene meno un pezzo d’Italia. Un paese che consente la morte delle donne è un paese che si allontana dall’Europa e dalla civiltà.

Vogliamo che l’Italia si distingua per come sceglie di combattere la violenza contro le donne e non per l’inerzia con la quale, tacendo, sceglie di assecondarla.

Comitato promotore nazionale Senonoraquando, Loredana Lipperini, Lorella Zanardo-Il Corpo delle Donne

* la Repubblica, 28 aprile 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/11/2012 12.13
Titolo:UN'ALLEANZA, UN PATTO PER UN PAESE DAVVERO CIVILE ...
Un «patto» per un Paese davvero civile

di Vittoria Franco (l’Unità, 26.11.2012)

QUEST’ANNO SIAMO ARRIVATI ALL’APPUNTAMENTO CON IL 25 NOVEMBRE, GIORNATA INTERNAZIONE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE, CON IL PESO DI 113 FEMMINICIDI DALL’INIZIO DEL 2012. Un peso insostenibile e un dramma intollerabile per un Paese civile. Le azioni possibili per affrontare e combattere questo fenomeno sono molte, e noi donne del Pd le elenchiamo spesso: ratificare subito la Convenzione di Istanbul contro la violenza domestica e sulle donne, investire sui centri antiviolenza, fare prevenzione, approvare le nostre proposte, da tempo depositate in Parlamento, per realizzare tutto questo.

Ma il cambiamento necessario è di natura culturale, ne siamo consapevoli. Le donne italiane, con il loro traguardo di un peso specifico sempre più alto nella società, fondato sul successo nella scolarizzazione e nelle professioni e sulla fatica di interpretare sempre il welfare complementare, stanno mettendo in discussione l’ordine costituito, ma senza reale riconoscimento della loro dignità, del loro valore e del loro potere.

È per questo che serve un «patto» per un nuovo mondo comune. Patto fra uomini e donne che sono e si considerano pari. Un nuovo orizzonte anche per costruire un esito positivo della crisi economica. A differenza del contratto classico, il patto per un nuovo mondo comune viene stipulato espressamente fra donne e uomini e indica un orizzonte di conquiste da realizzare su un terreno diverso rispetto al passato, perché presuppone il contesto di una nuova cultura della convivenza, basata sull’eguale riconoscimento reciproco di libertà e dignità.

Patto per che cosa? Per condividere il potere in ogni settore di attività: nella rappresentanza istituzionale, sul mercato del lavoro e nelle carriere; per affermare una rappresentanza eguale nei luoghi in cui si assumono le decisioni; per condividere il lavoro di cura e la genitorialità, per realizzare la parità salariale. Insomma, per dare gambe e realtà al principio della democrazia paritaria. Tutto questo vuol dire ricontrattare i ruoli, scardinare la dicotomia tra sfera pubblica e sfera privata che si è creata all’origine dello Stato moderno e che si definisce in base a ruoli predefiniti dei due generi.

Noi stiamo mettendo in discussione questo racconto archetipico per costruire una nuova storia, che racconta di un processo di democratizzazione nel quale l’uomo e la donna divengono «cofondatori» della cittadinanza universale stringendo un patto di non discriminazione, fondato sulla valorizzazione e il rispetto delle persone, delle competenze, del saper fare. Patto vuol dire allora, ad esempio, che il rispetto del corpo femminile entra nel lessico e nell’educazione. Patto significa che le donne cedono più spazio agli uomini per la cura familiare e gli uomini più spazio pubblico alle donne (e i congedi paterni obbligatori della legge Fornero, anche se da estendere, vanno in questa direzione). Insomma, il patto va insieme con la giustizia di genere e non solo più con la giustizia sociale. Cominciamo a parlarne.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/11/2012 12.30
Titolo:Padre Roy Bourgeois: Dio chiama al sacerdozio sia gli uomini che le donne ...
Padre Roy Bourgeois è stato espulso dalla società Maryknoll e ridotto allo stato laicale

di APIC

in “www.catholink.ch” del 21 novembre 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Padre Roy Bourgeois, militante per la pace e figura di contestatore dei missionari di Maryknoll, negli Stati Uniti, è stato canonicamente espulso dalla Società delle missioni estere cattoliche d’America. Questa decisione della Congregazione per la dottrina della fede è stata resa pubblica il 20 novembre 2012 dalla società missionaria americana. Ridotto allo stato laicale e scomunicato, Roy Bourgeois è stato destituito dallo stato clericale.

Padre Roy Bourgeois è conosciuto da anni a livello internazionale per la sua lotta a favore della chiusura della “Scuola delle Americhe” - un centro di addestramento dei militari latino-americani situato a Fort Benning, nello stato americano della Georgia.

Il prete, che apparteneva ai missionari di Maryknoll da quarant’anni, aveva partecipato il 9 agosto 2008 ad una cerimonia di ordinazione organizzata dal movimento delle donne prete cattoliche romane (Roma Catholic Womenpriests). Si trattava dell’ordinazione sacerdotale di Janice Sevre- Duszynska, un’ordinazione illecita non riconosciuta dalla Chiesa cattolica, in cui non ci sono donne prete.

Il religioso è stato punito per la sua partecipazione a questo simulacro di ordinazione che si è svolto in una chiesta appartenente alla “Unitarian Universalist Church” a Lexington, nel Kentucky. In seguito a questo atto illecito, padre Bourgeois aveva ricevuto una lettera dal Vaticano nel 2008 che lo minacciava di scomunica latae sententiae (cioè automatica) se non avesse ritrattato.

All’epoca era stato convocato alla sede della sua congregazione, a Maryknoll (New York), dove era stato ricevuto dal superiore generale di allora, Padre John Sivalon, e da altri due membri del Consiglio generale. Nel giugno scorso era stato ricevuto dall’attuale superiore generale, Padre Edward Doucherty. In quell’occasione non si era parlato della sua espulsione. Il giornale americano “National Catholic Reporter”, citando il padre domenicano Tom Doyle, “specialista di diritto canonico e difensore di Padre Bourgeois, scrive che la decisione romana è stata presa uniteralmente il 4 ottobre 2012.

L’ex prete di Maryknoll ha rifiutato piegarsi alla richiesta esplicita di Roma di rinunciare al suo sostegno all’ordinazione delle donne ed è rimasto fermo sulle sue posizioni. Ha risposto al Vaticano affermando di ritenere che Dio chiami al sacerdozio sia gli uomini che le donne e che, per lui, dichiarare una cosa diversa a questo proposito e ritrattare per salvare il suo sacerdozio o la sua pensione equivarrebbe ad una menzogna.

“Sono giunto alla convinzione che le donne possano essere ordinate anche nella nostra Chiesa cattolica”, aveva dichiarato il giorno dopo quella cerimonia controversa. In questi ultimi anni ha ovunque militato contro gli insegnamenti della Chiesa cattolica relativi al non accesso delle donne al sacerdozio.

In un comunicato, la società di Maryknoll si dice rattristata dal fallimento del tentativo di riconciliazione con la Chiesa cattolica voluto sia dalla congregazione che da Roma. La società missionaria “ringrazia calorosamente padre Bourgeois per il suo servizio alla missione, e tutti i membri gli augurano il meglio nella sua vita personale”. In spirito di equità e di carità, sottolinea la società, “Maryknoll assisterà Bourgeois in questa transizione”.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/12/2012 09.37
Titolo:ORDINAZIONE DI DONNE. National Catholic Reporter
L’ordinazione di donne correggerebbe un’ingiustizia

di editoriale

in “National Catholic Reporter” del 3 dicembre 2012
(traduzione: www.finesettimana.org)

La chiamata al ministero ordinato è un dono di Dio. È radicato nel battesimo e richiamato e affermato dalla comunità perché è autentico ed evidente nella persona come carisma. Le donne cattoliche che hanno riconosciuto una chiamata al presbiterato e la cui chiamata è stata confermata dalla comunità dovrebbero essere ordinate nelle Chiesa Cattolica Romana. Sbarrare alle donne la possibilità dell’ordinazione al ministero è un’ingiustizia che non si può permettere.

L’affermazione peggiore contenuta nel comunicato stampa del 19 novembre che annunciava “scomunica, dimissioni e riduzione allo stato laicale” di Roy Bourgeois è che Bourgeois con la sua “disobbedienza” e la sua “campagna contro l’insegnamento della Chiesa cattolica”... “ignorasse le sensibilità dei credenti”. Nulla potrebbe essere più lontano dal vero. Bourgeois, attento in tutta la sua vita all’ascolto degli emarginati, ha sentito la voce dei fedeli ed ha risposto a questa voce. Bourgeois arriva al cuore del problema. Ha detto che nessuno può dire chi Dio chiama, chi Dio può o non può chiamare al magistero ordinato. Ha detto che affermare che l’anatomia sia in qualche modo una barriera alla capacità di Dio di chiamare un figlio di Dio, pone ulteriori limiti assurdi al potere di Dio. La maggioranza dei fedeli crede questo.

Rivediamo la cronistoria della risposta di Roma alla richiesta dei fedeli di ordinare delle donne. Nell’aprile 1976 la Pontificia Commissione biblica giunge a maggioranza a questa conclusione: non sembra che il Nuovo Testamento di per sé ci permetta di definire in modo chiaro ed una volta per tutte il problema del possibile accesso delle donne al presbiterato. In una deliberazione successiva, la commissione votò 12 a 5 a favore dell’opinione che la Scrittura da sola non escluda l’ordinazione delle donne, e 12 a 5 a favore dell’opinione che la chiesa potrebbe ordinare donne al presbiterato senza andare contro le intenzioni originali di Cristo.

In Inter Insigniores (datato 15 ottobre 1976, ma reso pubblico nel gennaio successivo), la Congregazione per la dottrina della fede ha scritto: “La Chiesa, per fedeltà all’esempio del suo Signore, non si considera autorizzata ad ammettere le donne all’Ordinazione sacerdotale”. Tale dichiarazione, pubblicata con l’approvazione di Papa Paolo VI, era un relativamente modesto “non si considera autorizzata”.

Papa Giovanni Paolo II alzò considerevolmente la posta in Ordinatio Sacerdotalis (22 maggio 1994): “Dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa”. Giovanni Paolo II voleva dichiarare il divieto “irriformabile”, una presa di posizione molto più forte di “tenuta in modo definitivo”. La cosa incontrò una sostanziale resistenza da parte di vescovi di alto rango che si riunirono in uno speciale incontro in Vaticano nel marzo 1995 per discutere il documento, incontro di cui NCR parlò all’epoca. Anche allora, vescovi attenti ai bisogni pastorali della chiesa avevano ottenuto una concessione alla possibilità di cambiamento dell’insegnamento.

Ma quella piccolissima vittoria fu effimera. Nell’ottobre 1995, la Congregazione per la dottrina agì ulteriormente, rilasciando un responsum ad propositum dubium riguardante la natura dell’insegnamento in Ordinatio Sacerdotalis:“L’insegnamento richiede un assenso definitivo poiché, fondato sulla parola scritta di Dio, costantemente preservato e applicato fin dall’inizio nella tradizione della Chiesa, è stato stabilito infallibilmente dal magistero ordinario e universale”. Il divieto all’ordinazione delle donne appartiene “al deposito della fede”, disse il responsum.

Lo scopo del responsum era di bloccare ogni discussione. In una lettera di presentazione al responsum, il cardinale Joseph Ratzinger, che era a capo della Congregazione, chiedeva ai presidenti delle conferenze episcopali di “fare tutto il possibile per assicurare la sua distribuzione e ricezione favorevole, facendo particolare attenzione che soprattutto da parte di teologi, operatori pastorali e religiosi, non fossero riproposte posizioni ambigue o contrarie.”

Malgrado la sicurezza con cui Ordinatio Sacerdotalis e il responsum furono diffusi, essi non rispondevano a tutte le domande sul problema.

Molti fecero notare che dire che l’insegnamento era “fondato sulla Parola scritta di Dio” ignorava completamente le conclusioni della Pontificia Commissione Biblica del 1976.

Altri fecero notare che la Congregazione per la dottrina non fece una richiesta di infallibilità papale, ma disse che ciò che il papa insegnava in Ordinatio sacerdotalis era ciò che “era stato stabilito infallibilmente dal magistero ordinario e universale”. Anche questo, tuttavia, è stato posto in discussione, perché in ogni epoca c’erano molti vescovi in varie parti del mondo che avevano serie riserve su tale insegnamento, benché pochi le esprimessero in pubblico.

In un articolo su The Tablet nel dicembre 1995, il gesuita Francis A. Sullivan, autorità teologica nel magistero, citava il Canone 749, affermando che nessuna dottrina deve essere intesa come definita infallibilmente a meno che questo fatto sia chiaramente affermato. Sullivan scriveva: “Il problema che mi rimane è se sia un fatto affermato chiaramente che i vescovi della Chiesa cattolica siano convinti dell’insegnamento quanto lo è evidentemente Papa Giovanni Paolo II.

Il responsum prese quasi tutti i vescovi alla sprovvista. Benché datato ottobre, non fu reso pubblico che il 18 novembre. L’arcivescovo William Keeler di Baltimora, allora presidente uscente della Conferenza episcopale statunitense, ricevette il documento senza nessun avvertimento tre ore dopo che i vescovi avevano rinviato il loro incontro annuale. Un vescovo disse al NCR che aveva saputo del documento leggendo il New York Times. Disse che molti vescovi erano profondamente preoccupati dalla dichiarazione. Sia lui che altri vescovi parlarono solo in maniera anonima.

Il Vaticano aveva già cominciato a giocare le sue carte per bloccare interrogazioni. Come riferì il gesuita Thomas Reese nel suo libro del 1989 Archbishop: Inside the Power Structure of the American Catholic Church, sotto Giovanni Paolo II, il modo di considerare l’insegnamento contro l’ordinazione delle donne da parte di un prete potenziale candidato all’episcopato, era diventato una cartina di tornasole per sapere se potesse essere promosso a vescovo.

Meno di un anno dopo la pubblicazione di Ordinatio Sacerdotalis, Suor Mercy Carmel McEnroy fu rimossa dal suo incarico di ruolo di insegnamento di teologia al St. Meinrad Seminary nell’Indiana per il suo pubblico dissenso dall’insegnamento della Chiesa: aveva firmato una lettera aperta al papa chiedendo l’ordinazione delle donne. Molto probabilmente McEnroy è stata la prima vittima di Ordinatio Sacerdotalis, ma ce ne sono state molte altre. Roy Bourgeois è stato la vittima più recente.

Il beato John Henry Newman aveva detto che ci sono tre magisteri nella Chiesa: i vescovi, i teologie il popolo. Sul problema dell’ordinazione delle donne, due delle tre voci sono state messe a tacere, questo è il motivo per cui la terza voce deve ora farsi sentire. Dobbiamo parlarne a voce alta e forte in tutti gli spazi pubblici che abbiamo a disposizione: durante le riunione dei comitati di parrocchia, nei gruppi di condivisione della fede, nelle convocazioni della diocesi e durante seminari accademici. Dovremmo scrivere delle lettere ai preti, ai redattori-capo dei giornali locali e alle reti televisive.

Il nostro messaggio è questo: noi crediamo che, per il sensus fidelium, l’esclusione delle donne dal magistero ordinato non ha alcun fondamento nelle Scritture né alcun altro fondamento logico convincente; quindi le donne dovrebbero essere ordinate. Abbiamo preso atto del consenso dei fedeli nelle parrocchie, in occasione di conferenze e di riunioni di famiglia. Individui e gruppi hanno studiato e pregato su quel problema. La direttrice esecutiva della Women’s Ordination Conference ci assicura, ad esempio, che i fedeli sono giunti a questa conclusione dopo una valutazione preceduta da preghiera e studio - sì, perfino studiando Ordinatio sacerdotalis. NCR unisce la sua voce a quella di Roy Bourgeois e invita la Chiesa cattolica a correggere questo ingiusto insegnamento.

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Commenti Articolo 659

Titolo articolo : DIO CHIAMA AL SACERDOZIO GLI UOMINI E LE DONNE, MA PER LA CHIESA CATTOLICA COSTANTINIANA E' UNA BESTEMMIA. PADRE ROY BOURGEOIS RIDOTTO ALLO STATO LAICALE E SCOMUNICATO. Una nota di APIC,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: December/16/2012 - 09:34:16.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/11/2012 16.36
Titolo:La disobbedienza sull’insegnamento della Chiesa a proposito dell’ordinazione del...
Dopo quattro anni di incontri e scontri è arrivato il provvedimento canonico

di Fabrizio Mastrofini (La Stampa - Vatican Insider, 20 novembre 2012)

Padre Roy Bourgeois, notissimo pacifista ed attivista, non appartiene più alla congregazione di Maryknoll. La Congregazione per la Dottrina della Fede, responsabile ultima della vicenda (e non la Congregazione per gli istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica), ad ottobre ha emesso il decreto di espulsione.

Due giorni fa la Curia generale dei Maryknoll ha comunicato ufficialmente la decisione, pubblicando il decreto e cogliendo di sorpresa sia il protagonista sia il suo difensore, il frate domenicano Tom Doyle, esperto di diritto canonico. Doyle ha infatti dichiarato che in giugno insieme a Bourgeois aveva incontrato padre Edward Dougherty, superiore generale dei Maryknoll, ed in quella occasione si era deciso di proseguire nel dialogo, senza fare menzione di provvedimenti canonici in arrivo. Dal canto loro i Maryknoll hanno rifiutato qualsiasi commento, rimandando al comunicato ufficiale.

La vicenda che vede protagonista Roy Bourgeois inizia nell’agosto 2008, quando il religioso partecipa all’ordinazione a sacerdote di una donna, fatta dalla chiesa unitariana in Kentucky. La presenza del religioso è chiaramente una esplicita protesta rispetto alle norme canoniche in vigore e a distanza di poche settimane a padre Bourgeois viene comunicato che la sanzione è la scomunica «latae sententiae», cioè automatica.

La vicenda si trascina fino al 2011 quando la congregazione dei Maryknoll spiega a Bourgeois che rischia la riduzione allo stato laicale e l’espulsione qualora non avesse chiarito il senso della sua partecipazione e ritrattato le dichiarazioni a favore dell’ordinazione alle donne rilasciate nel frattempo qua e là negli Stati Uniti.

Il religioso in una serie di lettere con i suoi superiori e con altre interviste ribadisce che è intimamente convinto della bontà del sacerdozio femminile e della rispondenza di questo al messaggio evangelico.

Nell’ultimo incontro di giugno, secondo Bourgeois, si era parlato di libertà di coscienza in generale e in particolare di quanto i missionari di Maryknoll dovessero sentirsi liberi di parlare senza rischiare sanzioni.

Nel comunicato che decreta l’espulsione dalla congregazione si rileva che «il sig. Bourgeois ha scelto di portare avanti una campagna contro l’insegnamento della Chiesa cattolica e senza il permesso dei vescovi ed ignorando la sensibilità dei fedeli. La disobbedienza sull’insegnamento della Chiesa a proposito dell’ordinazione delle donne lo hanno portato alla scomunica, alle dimissioni dalla congregazione ed alla riduzione allo stato laicale».

Roy Bourgeois è nato in Louisiana il 27 gennaio 1938, si è arruolato nell’esercito per quattro anni ed in Vietnam è stato decorato per il suo coraggio. Nel 1972 è stato ordinato sacerdote ed ha lavorato come missionario per molto tempo in Bolivia. Dall’impegno missionario è scaturita la decisione di avviare una campagna pacifista, soprattutto per contrastare l’impegno di assistenza militare fornito dagli Usa ai regimi latinoamericani negli anni Settanta ed Ottanta.

Nel 1990 ha fondato dunque «School of the Americas Watch» (Soa Watch), un gruppo di pressione per chiedere la fine di ogni assistenza militare Usa in America Latina ed in particolare la chiusura del centro di formazione School of the Americas che ha sede a Fort Benning in Georgia. Ogni anno, a metà novembre, si svolge una marcia pacifista davanti ai cancelli del centro, che nel corso degli anni ha cambiato nome ma non destinazione finale e continua a formare gli alti gradi militari dei diversi paesi latinoamericani. L’impegno pacifista ha reso Roy Bourgeois molto famoso e popolare, portandolo però ad impegnarsi su temi ecclesiali diversi da quelli sociali della sua originaria ispirazione.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/11/2012 18.13
Titolo:IN DIRETTA DAL PIANETA MARTE ....
Ancora il solito ritornello sulle donne, in diretta dal pianeta Marte

di Estelle R.

in “www.comitedelajupe.fr” del 9 novembre 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Ci sono giorni in cui mi chiedo davvero se certi prelati della Chiesa cattolica siano uomini che vivono su questo pianeta, tanto il loro sguardo sul mondo è fuori dalla realtà. L’ultimo esempio ci viene dai vescovi riuniti nel sinodo dal 7 al 28 ottobre scorso sul tema “nuova evangelizzazione.

Hanno votato una lista di 58 proposte presentate alla fine a Benedetto XVI. La proposta 46 riguarda la “Collaborazione fra uomini e donne nella Chiesa”.

Proposta 46: Collaborazione fra uomini e donne nella Chiesa

La chiesa apprezza l’eguale dignità, nella società, fra uomini e donne fatti ad immagine di Dio, e nella Chiesa, per la loro vocazione comune di battezzati in Cristo. Il pastori della Chiesa hanno riconosciuto le capacità specifiche delle donne, come la loro attenzione agli altri e i loro doni per l’educazione (nutrimento) e la compassione, particolarmente nella loro vocazione di madre. Le donne sono testimoni con gli uomini del Vangelo della vita per la loro dedizione nella trasmissione della vita nella famiglia. Insieme aiutano a mantenere viva la fede. Il sinodo riconosce che oggi le donne (laiche e religiose) contribuiscono con gli uomini alla riflessione teologica a tutti i livelli e partecipano delle responsabilità pastorali con loro in nuove modi portando avanti così la nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede.

Possiamo apprezzare il primo paragrafo che ricorda (e per fortuna!) l’eguale dignità tra uomini e donne nella Chiesa, ma il secondo e il terzo paragrafo sono semplicemente nauseabondi. Non è nauseante leggere che questi signori credono ancora alle “capacità specifiche delle donne”!!! Apparentemente, hanno perso tutto il periodo (di almeno un secolo, tra l’altro!) in cui le donne non sono più limitate a posti di lavoro di infermiera o insegnante, mestieri in cui possono dispiegare tutta la panoplia dei loro talenti innati in materia di amore del prossimo, di compassione e di maternità. Non si devono neppure esser accorti che Margaret Thatcher era una donna.

Scrivere e votare tali enormità è sicuramente rivoltante per le donne, ma talmente degradante per gli uomini! Significa che qualsiasi uomo, qualunque cosa faccia, non sarà mai all’altezza della sua compagna nell’educazione dei figli e in generale nell’amore per il prossimo, perché, non essendo geneticamente programmato per dare la vita, in fondo è solo un grande handicappato nell’altruismo e nella compassione.

Ma sono cose che non stanno né in cielo né in terra!!! Questi signori non guardano mai attorno a sé? Ad esempio, non hanno fratelli, cugini, nipoti che hanno quell’istinto paterno, forte quanto quello della madre, che ad esempio fa sì che siano presenti e tengano la mano della moglie mentre lei partorisce? E che dire degli uomini e delle donne che non possono dare la vita ma sono disposti, con l’adozione, ad accogliere un bambino? Sono meno atti alla vocazione della famiglia?

Riparliamone, della vocazione! Il massimo dell’assurdità e della stupidaggine torna ancora con la menzione di “vocazione di madre”. Ah, la sacrosanta vocazione di madre! Ah, il modello della Santa Vergine Maria! Oltre al peso (e agli stereotipi che questo mette sulle spalle delle donne), ancora una volta, questo è degradante per gli uomini. E la loro specifica vocazione di padre? È unicamente materiale? Grazie di portare a casa i soldi per nutrire la famiglia ed eventualmente di dare un bacio ai bambini prima di metterli a letto, e basta?

E, andando oltre, questo rinvia una volta ancora al problema globale delle “vocazioni”: ciascuno nella sua casella, e non facciamo confusione. Perché, insomma, le donne sono pregate di fare figli... con chi, ce lo domandiamo, dato che gli uomini hanno la vocazione al presbiterato, come ci ricorda ogni anno la giornata delle vocazioni.

Ma come può la Chiesa cattolica, ancora ai nostri giorni, votare testi che rinchiudono in questo modo gli esseri umani? Come ci si può applicare coscientemente e coscienziosamente ad innalzare muri tra le persone, a determinare così la loro vita e le loro azioni apostoliche? Come si possono convalidare tali sciocchezze e dirsi eredi di un Cristo che ha fatto cadere tante e tante barriere? Quindi no, cento volte no, come uomini e come donne non possiamo accettare in pace questa proposizione del sinodo.

(Se non sono amareggiata al cento per cento, è perché apprezzo molto il fatto che il sinodo riconosca che le donne partecipano alla riflessione teologica e possono avere responsabilità pastorali.)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/11/2012 18.46
Titolo:LA NUOVA ALLEANZA è UN «patto» (per una Chiesa e) un Paese davvero civile
Un «patto» per un Paese davvero civile

di Vittoria Franco (l’Unità, 26.11.2012)

QUEST’ANNO SIAMO ARRIVATI ALL’APPUNTAMENTO CON IL 25 NOVEMBRE, GIORNATA INTERNAZIONE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE, CON IL PESO DI 113 FEMMINICIDI DALL’INIZIO DEL 2012. Un peso insostenibile e un dramma intollerabile per un Paese civile. Le azioni possibili per affrontare e combattere questo fenomeno sono molte, e noi donne del Pd le elenchiamo spesso: ratificare subito la Convenzione di Istanbul contro la violenza domestica e sulle donne, investire sui centri antiviolenza, fare prevenzione, approvare le nostre proposte, da tempo depositate in Parlamento, per realizzare tutto questo. Ma il cambiamento necessario è di natura culturale, ne siamo consapevoli. Le donne italiane, con il loro traguardo di un peso specifico sempre più alto nella società, fondato sul successo nella scolarizzazione e nelle professioni e sulla fatica di interpretare sempre il welfare complementare, stanno mettendo in discussione l’ordine costituito, ma senza reale riconoscimento della loro dignità, del loro valore e del loro potere.

È per questo che serve un «patto» per un nuovo mondo comune. Patto fra uomini e donne che sono e si considerano pari. Un nuovo orizzonte anche per costruire un esito positivo della crisi economica. A differenza del contratto classico, il patto per un nuovo mondo comune viene stipulato espressamente fra donne e uomini e indica un orizzonte di conquiste da realizzare su un terreno diverso rispetto al passato, perché presuppone il contesto di una nuova cultura della convivenza, basata sull’eguale riconoscimento reciproco di libertà e dignità.

Patto per che cosa? Per condividere il potere in ogni settore di attività: nella rappresentanza istituzionale, sul mercato del lavoro e nelle carriere; per affermare una rappresentanza eguale nei luoghi in cui si assumono le decisioni; per condividere il lavoro di cura e la genitorialità, per realizzare la parità salariale. Insomma, per dare gambe e realtà al principio della democrazia paritaria. Tutto questo vuol dire ricontrattare i ruoli, scardinare la dicotomia tra sfera pubblica e sfera privata che si è creata all’origine dello Stato moderno e che si definisce in base a ruoli predefiniti dei due generi.

Noi stiamo mettendo in discussione questo racconto archetipico per costruire una nuova storia, che racconta di un processo di democratizzazione nel quale l’uomo e la donna divengono «cofondatori» della cittadinanza universale stringendo un patto di non discriminazione, fondato sulla valorizzazione e il rispetto delle persone, delle competenze, del saper fare. Patto vuol dire allora, ad esempio, che il rispetto del corpo femminile entra nel lessico e nell’educazione. Patto significa che le donne cedono più spazio agli uomini per la cura familiare e gli uomini più spazio pubblico alle donne (e i congedi paterni obbligatori della legge Fornero, anche se da estendere, vanno in questa direzione). Insomma, il patto va insieme con la giustizia di genere e non solo più con la giustizia sociale. Cominciamo a parlarne.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/11/2012 19.35
Titolo:PADRE BOURGEOIS, My Journey form Silence to Solidarity (scaricabile)
Il cammino che lo ha portato al sostegno della causa dell’uguaglianza di genere nella Chiesa è raccontato nel libro My Journey form Silence to Solidarity (scaricabile dal sito http://www.roybourgeoisjourney.org/.
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ATTACCO FINALE A PADRE BOURGEOIS. DOPO LA SCOMUNICA ARRIVA LA DIMISSIONE DALLO STATO CLERICALE *

36944. NEW YORK-ADISTA. Scomunica, espulsione dalla propria congregazione religiosa e dimissione dallo stato clericale: il massimo della “pena”, dopo quattro anni di braccio di ferro, per p. Roy Bourgeois, religioso dei missionari di Maryknoll, noto per la sua attività pacifista e per il suo impegno contro la famigerata Scuola delle Americhe (terra di coltura delle milizie paramilitari latinoamericane), colpevole di aver appoggiato l’ordinazione sacerdotale femminile (v. Adista nn. 86/08; 66/10; 28, 32, 69, 78, 80/11). Nel 2008, infatti, p. Bourgeois, 74 anni, concelebrò nel Kentucky la funzione in cui venne ordinata una donna, Janice Sevre-Duszynska, ricevendo una scomunica immediata latae sententiae. Non ha mai ritrattato il suo sostegno alla causa delle donne prete, facendone una questione di giustizia e di parità.

Secondo quanto si legge nel laconico e freddo comunicato emesso il 19 novembre dai superiori di Bourgeois, il provvedimento - di cui nemmeno il difensore del religioso, il canonista domenicano p. Tom Doyle, era al corrente - è stato firmato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede ad ottobre. Lo scorso giugno, durante un incontro tra Doyle, Bourgeois e il superiore generale p. Edward Dougherty, la questione dell’espulsione non era neppure stata sfiorata: «Si pensava che le cose sarebbero continuate così, che non avrebbero espulso Roy e che il dialogo sarebbe proseguito», ha detto Doyle, secondo quanto riporta il National Catholic Reporter (19/11). «E invece è appena successo questo, uniltateralmente. Bourgeois non ne aveva idea».

Il comunicato ha un tono piuttosto freddo e parla di «disobbedienza e predicazione contraria all’insegnamento della Chiesa cattolica sull’ordinazione femminile». «Con questa divisione - si legge - la Società di Maryknoll ringrazia calorosamente Roy Bourgeois per il suo servizio alla missione e tutti i membri gli augurano il meglio per la sua vita personale. In uno spirito di equità e carità - conclude - Maryknoll assisterà il sig. Bourgeois [sic] in questo passaggio».

Dopo un primo “no comment”, p. Roy ha diffuso una propria dichiarazione. «Sono prete cattolico nella comunità di Maryknoll da 40 anni», afferma. «Vi sono entrato da giovane per il suo lavoro per la giustizia e l’uguaglianza nel mondo. Essere espulso da Maryknoll e dal sacerdozio perché ritengo che anche le donne siano chiamate ad essere preti è molto difficile e doloroso». Il Vaticano e Maryknoll, continua Bourgeois, «possono espellere me, ma non possono espellere il tema dell’uguaglianza di genere nella chiesa. La richiesta di uguaglianza di genere affonda le sue radici nella giustizia e nella dignità e non scomparirà». L’esclusione delle donne dal sacerdozio, ribadisce ancora una volta, «è una grave ingiustizia contro le donne, contro la nostra Chiesa e il nostro Dio d’amore che chiama sia uomini che donne ad essere preti». Di qui l’esigenza di parlare, perché «dove c’è un’ingiustizia, il silenzio è la voce della complicità». «Ad un incontro con la mia congregazione - aveva detto in un’intervista rilasciataci nel 2011 (v. Adista n. 80/11) ho detto ai miei confratelli: “C’è un grande dibattito nella Chiesa, il sensus fidelium va nella direzione dell’appoggio al sacerdozio femminile; le donne sono chiamate da Dio come voi”. Ma il superiore mi ha risposto: “Non capisci, Roy, papa Giovanni Paolo II ha detto che non vi sarà discussione ulteriore su questo tema”. “Ma i cattolici ormai sono adulti - ho ribattuto - e come adulti si sentono offesi. Il dibattito ci sarà, con o senza di voi. Anche se voi deciderete di non partecipare, la discussione andrà avanti lo stesso”».

Un percorso faticoso

La vicenda di Bourgeois è complessa. Era il marzo del 2011, quando la congregazione dei missionari di Maryknoll aveva rivolto un primo ultimatum al religioso: entro 15 giorni avrebbe dovuto ritrattare il proprio sostegno alla causa del sacerdozio femminile pena l’espulsione dalla comunità (Bourgeois aveva già ricevuto, come detto, la scomunica automatica prevista per questi atti). Il provvedimento dell’espulsione, tuttavia, si è fatto attendere: il 7 marzo 2012 la punizione è stata decisa con votazione all’interno del consiglio generale della congregazione, formato dal superiore generale, tre assistenti e un’altra persona, necessaria per raggiungere il numero minimo di cinque voti. L’esito della votazione era però stato piuttosto ambiguo: due voti a favore dell’espulsione e tre astenuti.

Doyle e Bourgeois si erano lamentati già all’epoca della mancanza di comunicazione: la votazione era avvenuta già qualche mese prima, senza che nulla fosse stato notificato: un modo di procedere che indicava che «manca qualcosa nell’applicazione del diritto canonico», aveva fatto presente Doyle in una lettera al superiore generale, rimasta senza riscontro. «Hanno votato per espellere Bourgeois e lo hanno fatto sapere al Vaticano. Roy non aveva idea di ciò che stava accadendo e nemmeno io, che sono il suo avvocato». Da parte sua, Bourgeois ne faceva una questione di trasparenza: qualsiasi religioso di Maryknoll che si trovi in una situazione del genere, aveva detto, «deve avere il diritto di sapere cosa viene riferito in Vaticano».

La solidarietà

Numerose le attestazioni di solidarietà, tra le quali quella della Women Ordination Conference (Woc). «Forse non sarà più un prete agli occhi del Vaticano o della comunità di Maryknoll - scrive la presidente Erin Saiz Hanna - ma p. Roy resterà un profeta agli occhi degli emarginati. P. Roy si unisce a una Chiesa più ampia, la Chiesa del popolo di Dio, che comprende che uomini e donne sono uguali per Dio. La storia è dalla nostra parte e un giorno, quando lo canonizzeranno, il Vaticano chiederà perdono per questo errore doloroso». Solidariteà anche da parte dell’ex superiore di Maryknoll, p. John Sivalon, che ha parlato del «profondo amore per la Chiesa» di p. Roy e ha definito l’espulsione da parte del Vaticano un’interferenza negli affari della congregazione religiosa, che «ne ha intaccato l’integrità».

Il cammino che lo ha portato al sostegno della causa dell’uguaglianza di genere nella Chiesa è raccontato nel libro My Journey form Silence to Solidarity (scaricabile dal sito http://www.roybourgeoisjourney.org/. (ludovica eugenio)

* Adista Notizie n. 43 del 01/12/2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/11/2012 21.42
Titolo:CARLO m. mARTINI: RENDERE PIU' GIUSTIZIA ALLE DONNE ....
- IL CARDINALE CARLO M. MARTINI, in Conversazioni notturne a Gerusalemme, ricorda:

- "Negli anni ’90 sono andato a trovare a Canterbury l’allora primate della Chiesa d’Inghilterra, l’arcivescovo dottor Gorge Leonard Carey. L’ordinazione di donne aveva provocato tensioni nella sua Chiesa. Ho tentato di infondergli coraggio in questa impresa: potrebbe aiutare anche noi a rendere più giustizia alle donne e a comprendere come andare avanti. Non dobbiamo essere scontenti perché la Chiesa evangelica e quella anglicana ordinano donne, introducendo così un elemento fondamentale nel contesto del grande ecumenismo. E tuttavia questo non è un motivo per uniformare le diverse tradizioni".
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/11/2012 12.17
Titolo:VERRA' IL GIORNO. Come giudicherà la storia?
Padre Roy espulso in relazione all’ordinazione di donne: come giudicherà la storia?

di Bryan Cones

in “www.uscatholic.org” (U.S.Catholics In Conversation with American Catholics) del 21 novembre 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Con molta tristezza ho letto la notizia dell’inevitabile riduzione allo stato laicale di padre Roy Bourgeois e della sua espulsione dalla congregazione dei Maryknoll dopo più di 40 anni di servizio. Dico “inevitabile” perché non ho mai avuto alcuna fiducia nella possibilità che la tattica dello stallo di Maryknoll di questi ultimi anni potesse mai avere successo. Bourgeois ha segnato il suo destino quando ha pubblicamente concelebrato nel 2008 un’ordinazione del gruppo Womenpriests; anche se avesse accettato di “ritrattare” il suo sostegno per l’ordinazione di donne al presbiterato, dubito che gli sarebbe mai stato permesso di esercitare pubblicamente la sua funzione di prete.

Il problema per il Vaticano è che coloro che lì decidono usano l’estrema arma del loro arsenale quando si arriva a punire preti che pubblicamente si esprimono in disaccordo sul tema dell’ordinazione delle donne. Secondo quanto afferma il National Catholic Reporter, anche il modo in cui è stato applicato è stato fuori dall’ordinario. La Congregazione per la dottrina della fede avrebbe potuto ridurre Bourgeois allo stato laicale senza che fosse espulso dalla congregazione dei Maryknoll (revocando la scomunica), ma non lo ha fatto. Usando su di lui anche l’ultima oncia del loro potere, in realtà hanno disarmato se stessi. Ora non hanno assolutamente alcun controllo su ciò che può fare Bourgeois.

Ad esempio, cosa succede se la gente continua a trattarlo da prete? Se celebra l’eucaristia con lui, se riceve la comunione da lui? In altre parole, cosa succede se la gente ignora completamente l’uso da parte del Vaticano dell’opzione nucleare nei suoi confronti? Con molta probabilità, alcune persone lo faranno, benché noi non sappiamo quali saranno le prossime mosse di Bourgeois.

Sono veramente deluso per il fatto che non possiamo avere un dialogo teologico da adulti sul problema dell’ordinazione delle donne, o almeno sul sessismo che esiste nella Chiesa. Ma non posso far a meno di pensare a che cosa succederà se verrà il giorno, forse tra decenni o tra secoli, in cui un futuro papa riaprirà la discussione che Giovanni Paolo II ha chiuso in Ordinatio Sacerdotalis. Mi sembra molto improbabile che tra 100 anni il dialogo sarà ancora come è adesso.

Molti teologi, un numero significativo, hanno affermato che l’ultima dichiarazione del papa, secondo cui la chiesa non avrebbe autorità per ordinare le donne, è reversibile. Ma nello stesso momento, i cattolici sono tenuti alla direttiva vaticana che prevede semplicemente che di questo non si parla.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/11/2012 13.18
Titolo:Il prete, le donne e il Vaticano
Il prete, le donne e il Vaticano

di Louis Frayasse

in “Réforme” n° 3490 del 29 novembre 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Roy Bourgeois, prete cattolico americano impegnato a favore dell’ordinazione delle donne, è stato ridotto [ndr.:o innalzato?] allo stato laicale dal Vaticano.

Un giudizio senza appello. Il 4 ottobre scorso, la Congregazione per la dottrina della fede, incaricata della conservazione del dogma cattolico, ha destituito il prete americano Roy Bourgeois, riducendolo allo stato laicale. La decisione era attesa da diversi anni. Nell’agosto 2008, Roy Bourgeois aveva concelebrato l’eucaristia in occasione dell’ordinazione presbiterale di una donna, Janice Sevre-Suszynska, delitto passibile di scomunica automatica nella Chiesa cattolica.

Il caso ha avuto molta risonanza oltre Atlantico in quanto Roy Bourgeois, oggi settantaquattrenne, è una figura familiare per molti americani. Da più di vent’anni questo prete della Società delle missioni estere cattoliche d’America, meglio conosciuta con il nome di società di Maryknoll, porta avanti una battaglia accanita all’interno della sua organizzazione, SOA Watch.

SOA Watch è nata nel 1990, un anno dopo l’assassinio di sei preti gesuiti in Salvador da parte dei soldati formati alla Scuola delle Americhe (School of the America, SOA, ribattezzata Western Hemisphere Institute for Security Cooperation, nel 2001). Dalla sua creazione nel 1946, questa scuola militare dell’esercito ha accolto decine di migliaia di soldati latino-americani per dispensare loro una formazione centrata attorno alle tecniche della contro-insurrezione. Il principale rimprovero rivolto alla SOA/WHINSEC è aver contribuito a formare - in particolare all’uso della tortura - gli ufficiali degli eserciti dei diversi regimi dittatoriali del secolo scorso in America Latina. Quegli ufficiali sarebbero responsabili della tortura, della morte o della scomparsa di centinaia di migliaia di persone in America Latina.

Fin dalla sua fondazione, l’obiettivo di SOA Watch è quello di far chiudere la Scuola delle Americhe e di modificare radicalmente la politica estera americana in America Latina. Per far questo, l’organizzazione organizza della manifestazioni, dei digiuni e delle veglie silenziose, nonché delle azioni di lobbying mediatico e parlamentare. Militante infaticabile, Roy Bourgeois ha passato diversi anni in prigione per essere entrato all’interno del recinto della scuola militare. Come coronamento di due decenni di attivismo, Roy Bourgeois e SOA Watch sono nominati per il premio Nobel per la pace 2010 dall’American Friends Service Committee, un’organizzazione quacchera, essa stessa premiata nel 1947.

Tuttavia, dopo diversi anni, Roy Bourgeois si è impegnato in un’altra lotta: quella dell’ordinazione delle donne all’interno della Chiesa cattolica. A causa della sua scomunica e della sua riduzione allo stato laicale, è stato costretto a lasciare la società di Maryknoll, in cui ha operato per 40 anni.

“Il Vaticano e Maryknoll possono destituirmi, ma non possono far scomparire il problema dell’uguaglianza dei sessi nella Chiesa cattolica”, ha dichiarato in un comunicato. “La rivendicazione dell’uguaglianza dei sessi è radicata nella giustizia e nella dignità e non scomparirà. Quando c’è un’ingiustizia, il silenzio è la voce della complicità. La mia coscienza mi ha imposto di rompere questo silenzio e di affrontare il peccato di sessismo nella mia Chiesa.”

Recentemente, Roy Bourgeois si era avvicinato all’associazione Roma Catholic Women Priests (RCWP, donne prete cattoliche), un organismo internazionale che rivendica l’accesso delle donne al presbiterato nella Chiesa cattolica.

“Roy è sempre stato solidale con tutti coloro che credono nell’ordinazione delle donne all’interno di una Chiesa non clericale e non gerarchica, afferma Bridget MaryMeehan, membro dell’associazione RCWP e ordinata vescovo nel 2009. La Chiesa cattolica non può continuare la sua discriminazione nei confronti delle donne e attribuirne la responsabilità a Dio. Tutti i battezzati sono a immagine di Cristo e, per questo, sia uomini che donne possono celebrare la messa. Noi non desideriamo lasciare la Chiesa cattolica perché la amiamo, ma desideriamo invece trasformarla affinché riconosca l’uguaglianza di tutti davanti al Vangelo, preconizzata da Gesù”.

Oggi, l’associazione RCWP rivendica la presenza di 150 donne prete nel mondo, la maggior parte delle quali negli Stati Uniti. Le prime sono state ordinate nel 2002 da un vescovo cattolico, Romulo Antonio Braschi, e questo permette alle donne prete di affermare, malgrado la scomunica automatica di cui sono vittime, che la loro ordinazione è valida, poiché non ha infranto la successione apostolica.

“Non si tratta semplicemente di inserire pienamente le donne nella Chiesa, spiega Janice Sevre- Duszynska, la cui ordinazione nel 2008 è all’origine dell’espulsione di Roy Bourgeois. Quello che noi rivendichiamo, è un presbiterato rinnovato in una Chiesa cattolica trasformata, una Chiesa nella quale tutti - divorziati, non cattolici, omosessuali - siano i benvenuti. Spero che i preti maschi trovino il coraggio di dire “ora basta”, e che chiederanno più giustizia ai loro vescovi.” Per il momento le donne prete RCWP celebrano la messa in “chiese case” o in locali presi in affitto ad altre denominazioni cristiane.

Continuano a porre, senza cedimenti, il problema delle donne all’interno della Chiesa cattolica
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/12/2012 09.34
Titolo:L’ordinazione di donne correggerebbe un’ingiustizia
L’ordinazione di donne correggerebbe un’ingiustizia

di editoriale

in “National Catholic Reporter” del 3 dicembre 2012
(traduzione: www.finesettimana.org)

La chiamata al ministero ordinato è un dono di Dio. È radicato nel battesimo e richiamato e affermato dalla comunità perché è autentico ed evidente nella persona come carisma. Le donne cattoliche che hanno riconosciuto una chiamata al presbiterato e la cui chiamata è stata confermata dalla comunità dovrebbero essere ordinate nelle Chiesa Cattolica Romana. Sbarrare alle donne la possibilità dell’ordinazione al ministero è un’ingiustizia che non si può permettere.

L’affermazione peggiore contenuta nel comunicato stampa del 19 novembre che annunciava “scomunica, dimissioni e riduzione allo stato laicale” di Roy Bourgeois è che Bourgeois con la sua “disobbedienza” e la sua “campagna contro l’insegnamento della Chiesa cattolica”... “ignorasse le sensibilità dei credenti”. Nulla potrebbe essere più lontano dal vero. Bourgeois, attento in tutta la sua vita all’ascolto degli emarginati, ha sentito la voce dei fedeli ed ha risposto a questa voce. Bourgeois arriva al cuore del problema. Ha detto che nessuno può dire chi Dio chiama, chi Dio può o non può chiamare al magistero ordinato. Ha detto che affermare che l’anatomia sia in qualche modo una barriera alla capacità di Dio di chiamare un figlio di Dio, pone ulteriori limiti assurdi al potere di Dio. La maggioranza dei fedeli crede questo.

Rivediamo la cronistoria della risposta di Roma alla richiesta dei fedeli di ordinare delle donne. Nell’aprile 1976 la Pontificia Commissione biblica giunge a maggioranza a questa conclusione: non sembra che il Nuovo Testamento di per sé ci permetta di definire in modo chiaro ed una volta per tutte il problema del possibile accesso delle donne al presbiterato. In una deliberazione successiva, la commissione votò 12 a 5 a favore dell’opinione che la Scrittura da sola non escluda l’ordinazione delle donne, e 12 a 5 a favore dell’opinione che la chiesa potrebbe ordinare donne al presbiterato senza andare contro le intenzioni originali di Cristo.

In Inter Insigniores (datato 15 ottobre 1976, ma reso pubblico nel gennaio successivo), la Congregazione per la dottrina della fede ha scritto: “La Chiesa, per fedeltà all’esempio del suo Signore, non si considera autorizzata ad ammettere le donne all’Ordinazione sacerdotale”. Tale dichiarazione, pubblicata con l’approvazione di Papa Paolo VI, era un relativamente modesto “non si considera autorizzata”.

Papa Giovanni Paolo II alzò considerevolmente la posta in Ordinatio Sacerdotalis (22 maggio 1994): “Dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa”. Giovanni Paolo II voleva dichiarare il divieto “irriformabile”, una presa di posizione molto più forte di “tenuta in modo definitivo”. La cosa incontrò una sostanziale resistenza da parte di vescovi di alto rango che si riunirono in uno speciale incontro in Vaticano nel marzo 1995 per discutere il documento, incontro di cui NCR parlò all’epoca. Anche allora, vescovi attenti ai bisogni pastorali della chiesa avevano ottenuto una concessione alla possibilità di cambiamento dell’insegnamento.

Ma quella piccolissima vittoria fu effimera. Nell’ottobre 1995, la Congregazione per la dottrina agì ulteriormente, rilasciando un responsum ad propositum dubium riguardante la natura dell’insegnamento in Ordinatio Sacerdotalis:“L’insegnamento richiede un assenso definitivo poiché, fondato sulla parola scritta di Dio, costantemente preservato e applicato fin dall’inizio nella tradizione della Chiesa, è stato stabilito infallibilmente dal magistero ordinario e universale”. Il divieto all’ordinazione delle donne appartiene “al deposito della fede”, disse il responsum.

Lo scopo del responsum era di bloccare ogni discussione. In una lettera di presentazione al responsum, il cardinale Joseph Ratzinger, che era a capo della Congregazione, chiedeva ai presidenti delle conferenze episcopali di “fare tutto il possibile per assicurare la sua distribuzione e ricezione favorevole, facendo particolare attenzione che soprattutto da parte di teologi, operatori pastorali e religiosi, non fossero riproposte posizioni ambigue o contrarie.”

Malgrado la sicurezza con cui Ordinatio Sacerdotalis e il responsum furono diffusi, essi non rispondevano a tutte le domande sul problema.

Molti fecero notare che dire che l’insegnamento era “fondato sulla Parola scritta di Dio” ignorava completamente le conclusioni della Pontificia Commissione Biblica del 1976.

Altri fecero notare che la Congregazione per la dottrina non fece una richiesta di infallibilità papale, ma disse che ciò che il papa insegnava in Ordinatio sacerdotalis era ciò che “era stato stabilito infallibilmente dal magistero ordinario e universale”. Anche questo, tuttavia, è stato posto in discussione, perché in ogni epoca c’erano molti vescovi in varie parti del mondo che avevano serie riserve su tale insegnamento, benché pochi le esprimessero in pubblico.

In un articolo su The Tablet nel dicembre 1995, il gesuita Francis A. Sullivan, autorità teologica nel magistero, citava il Canone 749, affermando che nessuna dottrina deve essere intesa come definita infallibilmente a meno che questo fatto sia chiaramente affermato. Sullivan scriveva: “Il problema che mi rimane è se sia un fatto affermato chiaramente che i vescovi della Chiesa cattolica siano convinti dell’insegnamento quanto lo è evidentemente Papa Giovanni Paolo II.

Il responsum prese quasi tutti i vescovi alla sprovvista. Benché datato ottobre, non fu reso pubblico che il 18 novembre. L’arcivescovo William Keeler di Baltimora, allora presidente uscente della Conferenza episcopale statunitense, ricevette il documento senza nessun avvertimento tre ore dopo che i vescovi avevano rinviato il loro incontro annuale. Un vescovo disse al NCR che aveva saputo del documento leggendo il New York Times. Disse che molti vescovi erano profondamente preoccupati dalla dichiarazione. Sia lui che altri vescovi parlarono solo in maniera anonima.

Il Vaticano aveva già cominciato a giocare le sue carte per bloccare interrogazioni. Come riferì il gesuita Thomas Reese nel suo libro del 1989 Archbishop: Inside the Power Structure of the American Catholic Church, sotto Giovanni Paolo II, il modo di considerare l’insegnamento contro l’ordinazione delle donne da parte di un prete potenziale candidato all’episcopato, era diventato una cartina di tornasole per sapere se potesse essere promosso a vescovo.

Meno di un anno dopo la pubblicazione di Ordinatio Sacerdotalis, Suor Mercy Carmel McEnroy fu rimossa dal suo incarico di ruolo di insegnamento di teologia al St. Meinrad Seminary nell’Indiana per il suo pubblico dissenso dall’insegnamento della Chiesa: aveva firmato una lettera aperta al papa chiedendo l’ordinazione delle donne. Molto probabilmente McEnroy è stata la prima vittima di Ordinatio Sacerdotalis, ma ce ne sono state molte altre. Roy Bourgeois è stato la vittima più recente.

Il beato John Henry Newman aveva detto che ci sono tre magisteri nella Chiesa: i vescovi, i teologie il popolo. Sul problema dell’ordinazione delle donne, due delle tre voci sono state messe a tacere, questo è il motivo per cui la terza voce deve ora farsi sentire. Dobbiamo parlarne a voce alta e forte in tutti gli spazi pubblici che abbiamo a disposizione: durante le riunione dei comitati di parrocchia, nei gruppi di condivisione della fede, nelle convocazioni della diocesi e durante seminari accademici. Dovremmo scrivere delle lettere ai preti, ai redattori-capo dei giornali locali e alle reti televisive.

Il nostro messaggio è questo: noi crediamo che, per il sensus fidelium, l’esclusione delle donne dal magistero ordinato non ha alcun fondamento nelle Scritture né alcun altro fondamento logico convincente; quindi le donne dovrebbero essere ordinate. Abbiamo preso atto del consenso dei fedeli nelle parrocchie, in occasione di conferenze e di riunioni di famiglia. Individui e gruppi hanno studiato e pregato su quel problema. La direttrice esecutiva della Women’s Ordination Conference ci assicura, ad esempio, che i fedeli sono giunti a questa conclusione dopo una valutazione preceduta da preghiera e studio - sì, perfino studiando Ordinatio sacerdotalis. NCR unisce la sua voce a quella di Roy Bourgeois e invita la Chiesa cattolica a correggere questo ingiusto insegnamento.

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Titolo articolo : Buoi asini e cristiani,a cura della Redazione

Ultimo aggiornamento: December/15/2012 - 14:42:57.

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Autore Città Giorno Ora
mario pancera milano 01/12/2012 18.10
Titolo:armi o presepio
Sono nato in un paese contadino e quindi so che cosa è una stalla per una famiglia e per i bambini, specie nella cattiva stagione. Fa parte della vita. Se scegliete le foto per questo dicembre, io voterei per il religioso che benedice le armi. La foto vale più di un libro.
Cari saluti
Autore Città Giorno Ora
GIOVANNI PIPINO FOSSANO 02/12/2012 13.56
Titolo:
Gradirei conoscere il nome dei due prelati ed in quale occasioni. E quale senso o motivano il loro intervento.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/12/2012 17.22
Titolo:è Natale! cantano i casinò, i mercati, le agenzie di viaggi, le televisioni
Incontro alla stella di Natale

di Philippe Baud

in “www.baptises.fr” del 1° dicembre 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Entriamo nel tempo d’Avvento. Eh sì, di qualcosa che deve avvenire. Ma che cosa deve ancora avvenire? Lasciamo ai fervori New Age e ad altre angosce millenariste l’aumento di adrenalina che esigerebbe, per il 21 dicembre prossimo, la fine di un ciclo del calendario maya (annuncio della... fine del mondo). Gli adepti parlano già di un errore di calcolo che sposterebbe la data...

Quanto ai profeti della Bibbia, anche se prendevano le loro immagini - come del resto anche Gesù - da un genere orientale che chiamiamo “apocalittico”, lo facevano per l’annuncio della buona notizia: “Ecco verranno giorni nei quali io realizzerò le promesse di bene... in quei giorni farò germogliare un germoglio di giustizia... Gerusalemme vivrà tranquilla” (Geremia, 33, 14-16). In una parola, tutto il contrario di quello che abbiamo sotto gli occhi!

Il sole e la luna restano nella loro orbita, ma vi sono giorni in cui sembra siano cadute le stelle: ne sono piene tutte le strade delle nostre città, dei negozi, dei ristoranti, delle cassette delle lettere. Esagerazione! Il mondo stellare non fa restrizioni per il momento commerciale culminante dell’anno. E siccome non siamo pastori per dormire “sotto le stelle” in questa stagione, dimentichiamo l’avvento: è Natale! cantano i casinò, i mercati, le agenzie di viaggi, lei televisioni.

Allora, cercando in mezzo alle galassie la stella della Natività - la nascita di Dio tra gli uomini - arrivo a chiedermi se non sia come una di quelle sorgenti di fuoco di cui gli astrofisici ci dicono che sono morte da moltissimo tempo, così lontano negli abissi, ma di cui percepiamo ancora la luce. È un po’ l’impressione che ci danno spesso le nostre grandi istituzioni, pubbliche o private: stati, partiti politici, religioni, Chiese, aziende, centri amministrativi e finanziari, musei nazionali e centri di divertimenti... I proiettori sono puntati sulla scena, suonano le trombe, si illuminano gli spot, si alza il sipario, l’apparizione... il nulla! Discorsi ripetitivi, voci aggressive o stanche sotto dorature avvizzite, esortazioni e promesse vuote. Prima di essere aperta, la parentesi è già chiusa.

E la mia Chiesa, intanto? Ha perso il fuoco? Si è spenta sotto il peso dei rituali e della proclamazioni inadeguate o contraddittorie? Dobbiamo annoverarla tra quelle istituzioni solenni e perdute, di cui le statistiche prevedono la morte vicina? A meno che io debba capovolgere la domanda, e chiedermi: “Dov’è il fuoco?”

Per vedere le stelle, bisogna osare abbandonare la città e le luci della ribalta, assumersi il rischio di una certa solitudine: scopriremo allora che l’oscurità è popolata e potremo perfino scorgervi degli “angeli”, dei volti radiosi senza orchestra e senza piume. Per questo Gesù raccomanda ai suoi discepoli: “State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano!” (Luca 21, 34-36). Perché, per volare, bisogna saper mantenere il cuore leggero, e questa leggerezza si chiama speranza. Che s’infiltra raramente - ve lo concedo - nei grandi apparati. Ma allora, la Chiesa?

Non cercatela né a Roma né a Gerusalemme, ma “Vegliate in ogni momento pregando”. Abbiate il cuore attento a tutta quella brace d’amore che non muore nel freddo dell’inverno, ma che scalda le anime sole, le case modeste, le famiglie in difficoltà, le comunità in ricerca, i giovani assetati “di diritto e di giustizia”, i vecchi sereni e fiduciosi. Lì si trova la Chiesa, è a quella porta che dobbiamo bussare. E lì “troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” (Luca 2,12): Dio presente in mezzo agli uomini, non visto, fragile, esposto ai rischi delle nostre vacillanti tenerezze, delle nostre insufficienze, delle nostre dimenticanze, ma anche della nostra fede. Paolo, ai suoi amici di Tessalonica, scrive semplicemente: “Che il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore tra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi” (1Ts 3, 12). Lì si trova la stella viva, la luce e il dono. Lì si trova la Chiesa che non muore e la presenza di Dio che sempre nasce: il suo “avvento”.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/12/2012 15.46
Titolo:SENZA BUE E AINELLI, IL PAPA TEOLOGO "CINGUETTA" IN RETE. Tweet...
Pontifex e le cavallette

di Massimo Gramellini (La Stampa, 5 dicembre 2012)

In occasione del Santo Natale e del Santissimo Twitter, dove Benedetto XVI sbarcherà a giorni con il profilo Pontifex, da ieri è possibile inviare una domanda al Papa digitando un massimo di 140 caratteri sul telefonino. Gli italiani, popolo profondo e spirituale, ne hanno immediatamente approfittato per rivelare a Ratzinger i loro tormenti interiori.

«Benedè, di’ la verità. Ogni tanto ce ’a metti ’a nutella dentro l’ostia?», «Se ti mando un po’ di casse d’acqua, mi rimandi indietro i boccioni di vino?», «Santo Padre, ma è lei a essere responsabile dell’evoluzione di Terence Hill da Trinità a don Matteo?», «Visto che c’hai contatti boni, ti fai dire perché Noè ha caricato quelle minchia di zanzare?», «Se qui sulla terra c’è il digitale terrestre, in paradiso hanno il digitale celeste?», «Ok l’invasione delle cavallette e la tramutazione dell’acqua in sangue, ma la Santanché era indispensabile?», «E’ vero che chi fa la spia è figlio di Maria?», «Si mette mai sui condotti d’aria con la gonna per imitare Marilyn Monroe?», «Se il diavolo veste Prada, lei veste Dolce & Gabbana?», «Che me prendi ’na stecca de sigarette, che ’ndo stai tu costano meno?», «Ti è piaciuto l’ultimo di Lady Gaga?», «Sopra la papamobile come stai messo co’ la sinusite?», «Ma er papa c’ha ’e scarpette rosse perché giocava a basket?», «E’ vero che il terzo segreto di Fatima è la birra non pastorizzata?».

Non si offenda, Santità. Siamo italiani. Comici per timidezza. E leoni da tastiera quando nessuno ci vede. Dal vivo, metà di questi le bacerebbe l’anello e l’altra metà, baciandolo, glielo sfilerebbe dal dito.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/12/2012 14.42
Titolo:VERSO IL TERZO MILLENNIO PRIMA DI CRISTO ....
SE UN PAPA TEOLOGO

LANCIA IL "LOGO" DEL SUO DIO ("DEUS CARITAS EST",2006)

in nome del suo Padrone Gesù ("Dominus Iesus": Ratzinger, 2000)

E TUTTO L'ORDINE SACERDOTALE (DAL PRIMO CARDINALE ALL'ULTIMO PRETE)

OBBEDISCE,

E NON VIENE RISPEDITO SUBITO A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO,

DI COSA VOGLIAMO PARLARE DI AFFARI E DI MERCATO?!

EBBENE PARLIAMO DI AFFARI, DI MERCATO, DI "MAMMONA", "MAMMASANTISSIMA", E DI COME I PASTORI ... IMPARANO A MANGIARE LE PECORE E GLI AGNELLI, E CONTINUANO A GOZZOVIGLIARE ALLA TAVOLA DEL LORO "DIO"!!!

Avanti tutta, verso il III millennio avanti Cristo!!!

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Commenti Articolo 661

Titolo articolo : MULTATA LA BANDIERA DELLA PACE IN UNA COOPERATIVA DI ROMA,di Nella Ginatempo

Ultimo aggiornamento: December/14/2012 - 17:40:02.

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Autore Città Giorno Ora
Augusta De Piero Udine 14/12/2012 17.40
Titolo:Imperdibile!
Perdere il senso del ridicolo è patologico

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Commenti Articolo 662

Titolo articolo : Riflessione dopo il ballottaggio per le Primarie,di Youssef salmi

Ultimo aggiornamento: December/13/2012 - 20:55:50.

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Autore Città Giorno Ora
Renzo Coletti Genova 13/12/2012 20.55
Titolo:
Riporto come commento un paio di articoli tratti dalla lista "Per il bene comune".

10/12/2012

Fonte: Conflitti e strategie

Monti: lascia, raddoppia o boicotta? Dalle prime dichiarazioni dell’ormai
ex Premier possiamo dedurre che difficilmente cederà il passo senza
provarci (provaci ancora amico dello Zio Sam!), probabilmente tenterà di
raddoppiarci le pene scalando il Quirinale oppure presentandosi con una
propria lista appoggiata dal Centro, dai transfughi del Pdl in fuga dal
vecchio padrone e, chissà, forse anche da trombati del Pd, ma, certamente,
non avendo dubbi in merito, il suo boicottaggio è già cominciato perché lui
il partito ce l’ha già e non ha bisogno di costituirlo con l’aiuto di Fini
e doppi fini. Il suo partito si chiama mercato, ovvero finanza nazionale e
internazionale, ed ha come fine dichiarato quello affossare l’Italia,
qualora l’agenda dell’austerità e della dismissione del patrimonio
nazionale non sarà portata avanti anche dalla prossima compagine
governativa.
Per questo rischiamo di ritrovarcelo ancora tra i piedi il Tecnico in carne
ed ossa o il suo fantasma alla ricerca di un altro organismo da infiltrare,
in un posto qualsiasi di governo, a garantire quella continuità
liquidatoria che i potentati mondiali si aspettano da Roma. *Il primo a
manifestare profonde preoccupazioni, et pour cause, è stato Obama, secondo
il quale l’abbondono delle politiche rigoriste e orientate al rientro del
debito, imposte da Monti e immediatamente *contraddette nelle intenzioni
da un Berlusconi passato all’opposizione (il quale si ricandida alla guida
del Paese ma quasi senza speranze di riuscita), rischia di trascinare
l’Italia e l’Europa nel baratro del fallimento. Gli americani non sono
stati parchi di critiche nei confronti del bocconiano il quale, a loro
parere, non è stato abbastanza tetragono nel ridurre le spese generali
dello Stato, ma che, soprattutto, non ha saputo attaccare ed intaccare
radicalmente le prerogative di quei gruppi dell’apparato pubblico che
ancora difendono le imprese partecipate e quelle strategiche.
Perché, sia detto precisamente, è questo il vero obiettivo perseguito:
sottrarre al controllo dei drappelli dell’ “oligopolio” statale aziende di
punta come Eni o Finmeccanica, le quali, seppur indebolite sulle piazze
azionarie e costrette a difendersi nei tribunali, continuano a conservare
margini di operabilità e di discrezionalità nei grandi spazi commerciali ed
industriali, territoriali e mondiali. *Questo assalto delle borse e dello
spread all’Italia non è soltanto un tentativo di far pagare alla
popolazione il maggior prezzo della crisi economica, trasferendo ricchezza
dai ceti medio-bassi a quelli più alti e parassitari, a corto di liquidità
e di aspirazioni, no, lo scopo principale, con il pretesto di tagliare le
unghie all’invasività della mano statale, è quello di svendere i gioielli
nazionali dei settori sensibili,* dall’aerospaziale all’energia. *Dopodiché
qualsiasi altra controriforma sociale risulterà più agevole e non
incontrerà ulteriori resistenze, essendo caduti gli ultimi bastioni
fortificati a difesa dell’autonomia nazionale.*

Così crollerà tutta l’impalcatura del Welfare, già ridimensionata e
smobilitata negli ultimi vent’anni, successivamente al golpe di palazzo
chiamato Mani pulite, sotto gli occhi di sindacati corrotti e marciti,
associazioni industriali autoreferenziali e rassegnate, partiti esautorati
o ridotti a paraventi dei banchieri e dei poteri esteri (europei e
statunitensi).
La situazione è questa e non sarà il voto a rovesciarla, anche se
aumenteranno le astensioni o i consensi verso le rappresentazioni
organizzative più movimentistiche ed “antisistema”. Oramai, occorre ben
altro per saltare il fosso evitando di finirci dentro, servirebbero
formazioni di resistenza e rilancio nazionale disciplinate e quasi
militarizzate, avanguardie sociali portatrici di un fondamento ideologico
forte e innovativo nonché di un’idea di salvezza pubblica non commerciabile
e traducibile in compromesso, da opporre allo sfacelo in corso con tutta la
violenza di cui sarebbero capaci, disponibili, pertanto, anche a passare
sui corpi venduti e sulle istituzioni putrefatte senza commuoversi.
Purtroppo siamo ancora lontani dalle auspicate riconfigurazioni politiche.




*Monti o Bersani: ma che cambia? di Osvaldo Pesce*

Fonte: pennabiro.it



Viviamo in una fase storica drammatica causa la crisi economica e
finanziaria. Capire cosa succede in politica - e le sue ripercussioni nei
legami generazionali, nello stile di vita, sino ai problemi pratici della
vita sociale e della sicurezza personale ecc. – necessita di una
informazione completa e libera che rimane il presupposto per pensare ed
agire.
Le recenti elezioni primarie del PD sono state presentate come un ritorno
alla politica e alla partecipazione dei cittadini alle scelte, ma non
corrispondono per niente a questo obiettivo, perché?
I due schieramenti all’interno del PD non hanno smentito nei programmi
presentati né le misure antipopolari del governo Monti fatte passare col
loro appoggio, né una svolta futura; anzi Letta, subito dopo la “vittoria”
di Bersani, ha confermato nella trasmissione della Berlinguer che
proseguiranno sulla strada di Monti. Lo stesso programma di
Renzi,presentato come risposta alle aspirazioni giovanili di cambiamento,
non si differenziava dalla politica di Monti.
Pensare che l’azione ed il risultato ottenuto da Renzi nelle primarie (40%
dei voti) abbia spostato a destra la “sinistra” o viceversa il 60% ottenuto
da Bersani abbia spostato a “sinistra “ il PD sono falsi bilanci senza capo
né coda, fumo negli occhi.
Nella realtà abbiamo assistito sia nel programma di Renzi sia in quello di
Bersani non ad uno scontro di linee, ma più che altro al tentativo di
aumentare il consenso elettorale per il PD, fermare Grillo e mettere in
naftalina Monti, cioè: tutto cambi perché nulla cambi. Oggi, la battaglia
nello schieramento parlamentare è concentrata non sui programmi – l’
”agenda Monti” resta valida per tutti i partiti dell’eterogenea maggioranza
che ha finora sostenuto il governo – ma su come tenere o allontanare Monti
e i suoi ministri tecnici e se anticipare le elezioni o attendere la
scadenza naturale della legislatura. Bersani si illude di essere
vittorioso, Monti e i suoi ministri attendono sornioni, Berlusconi dice e
disdice per restareimprevedibile e dettare condizioni. Esistono nel paese
due schieramenti riguardo al dopo – elezioni, uno per continuare con Monti
azzerando l’autorità del parlamento, l’altro per fingere il ritorno alla
politica con Bersani, che sacrificato dopo le dimissioni di Berlusconi non
divenne presidente del consiglio grazie anche a Napolitano.
Ogni parola, ogni atto di queste due fazioni ha questa finalità. Tutte le
varie forze politiche parlamentari hanno presente tutto ciò, quindi anche
quelle, come il PdL, che sono state travolte dagli avvenimenti e si
dibattono in una profonda crisi da cui vogliono uscire minacciando di
rovesciare il tavolo (vedi l’assenza dal voto sul decreto sviluppo). Ma
tutti sono partecipi in un modo o nell’altro a questo scontro che, deve
essere chiaro, non c’entra con la soluzione dei problemi del lavoro, dello
sviluppo industriale e agricolo, dei servizi sociali, dei giovani, della
scuola, dei pensionati ecc. La realtà non cambia, si continua a
delocalizzare industrie, a chiudere impianti, a lasciare senza tessuto
produttivo intere zone del paese, a precarizzare il lavoro, ad aumentare le
tasse, a portare l’IVA sempre più alta, a tagliare servizi sociali ecc. Non
solo, il debito pubblico continua a crescere paurosamente.
Chi raggiungerà, dei due schieramenti, il proprio intento? Lo scontro è in
corso. Le soluzioni potrebbero portare a riconfermare Monti oppure, se non
si raggiunge una coalizione a tale scopo, dare a Bersani per un breve
periodo il governo, ma proprio per un breve periodo, e poi ritornare ai
tecnici. Di sicuro nessuna di queste due fazioni resta toccata dalla
probabile scarsa affluenza di votanti alle elezioni, che invece ha un
profondo significato politico (la massiccia astensione dal voto alle
elezioni regionali siciliane è già stato un segnale inequivocabile).
Di fronte a queste vicende occorre non lasciarci influenzare dai vecchi
rottami politici o dal “ meno peggio”, ma incoraggiare il popolo a
continuare e sviluppare la lotta, unico strumento a disposizione contro
l’impoverimento e la distruzione del paese. Mantenere la volontà ed il
coraggio di lavorare per costruire un soggetto politico che sappia
unificare le lotte, riunire in un fronte le classi derubate ,schiacciate,
oppresse con un programma di sviluppo alternativo alle attuali politiche.

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Titolo articolo : IL BELLO DEL "TWITTER", IL PAPA TEOLOGO, E LE CAVALLETTE. Note di Riccardo Luna, Teresa Numerico, e Massimo Gramellini ,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: December/11/2012 - 19:43:04.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/12/2012 00.06
Titolo:PAROLA A RISCHIO. Risalire gli abissi ... .
-PAROLA A RISCHIO

- Risalire gli abissi
- La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
- Perché è sorriso, liberazione, gioia.

-di Giovanni Mazzillo (Teologo) *

G come gioia, come Gesù, respiro di gioia per tutti gli infelici della terra. Parliamo di Gesù, il cui corrispondente nome greco Iesoûs deriva direttamente dall’originale ebraico Je(ho)šhu e significa JHWH salva, per precisare immediatamente che il termine salvezza oggi non significa gran che per i nostri contemporanei, e di conseguenza risuona poco interessante persino quel nome, pur originariamente portatore di una gioia immensa e inaudita. Ciò avviene non solo per l’inevitabile logorio delle parole più usate e talora abusate, ma per il fatto che ha perso rilevanza e pertanto significato il valore stesso della “salvezza”.

Salvezza
- Salvezza da chi e/o da che cosa? Appunto, è questo il primo problema. La salvezza appare di primo acchito un concetto immediatamente derivato dal superamento di una situazione negativa, Si salva, o come succede in questo caso, viene salvato, qualcuno che si trova in una situazione di pericolo. Il pericolo di perdere qualcosa, di perdere se stesso. Di essere cancellato, di sparire, appunto come sparisce da un computer un testo non “salvato” o un’immagine non messa al sicuro. Ma essere salvati è per noi persone umane, e pertanto non riducibili a una traccia di codificazione binaria o algoritmica, molto di più che conservare un’impronta e una presenza. Coerentemente con la nostra realtà dinamica e relazionale, essere salvati significa avere un luogo, un senso, una rilevanza nel contesto di una realtà che giustifica, sorregge, garantisce il mantenimento e la crescita qualitativa, e pertanto il conseguente riconoscimento di un originario, inalienabile, imprescindibile valore personale.

La domanda «Chi o che cosa si può dire oggi salvato?» esige pertanto una primordiale differenziazione. Altro è il concetto di ciò che è salvato (cioè il dato messo al sicuro), ben altro è l’essere umano salvato. Questi non è solo garantito in ciò che ha di più proprio e pertanto è distinto dal mero “dato”, che invece è una sorta di file compilato (non per nulla in tedesco proprio il file è chiamato Datei, leggi datai, cioè «rea-ltà data»). L’essere umano è tale solo in un incontro, in una relazione. La persona è tutta nelle relazioni delle quali vive. Proprio la relazionalità sorregge il senso e la gioia del suo esistere.

L’annuncio di Gesù, già nella sua venuta in questo nostro mondo, è l’annuncio di una relazionalità umana felicemente riuscita. Nel Vangelo è direttamente collegato alla Grazia, termine che esprime tutto ciò e anche qualcosa di più.

Nell’annuncio della sua nascita, diversamente da quanto appare nella traduzione latina, e in quella italiana da essa derivata, nella preghiera più popolare che ci sia, Maria è salutata non con il saluto che si dava all’imperatore, alle autorità o anche agli amici con l’esclamativo «Ave!», bensì con l’invito a rallegrarsi, cioè a gioire (chaîre): a entrare in un circuito di esultanza per un dono gratuito e inatteso. Colei che è piena di grazia (kecharitōménē) è invitata a rallegrarsi perché tutto in lei è frutto ed espressione della «grazia» (cháris), cioè di un dono amorevole quanto sorprendente, che sarà presto annuncio di gioia per tutto il popolo e per ogni uomo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...”. L’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia...» (Lc 1,30-31; 2,10-11).

Il resto del Vangelo, soprattutto quello di Luca, evidenzia la gioia improvvisa e incontenibile che contagia quanti vengono a contatto con Ješhu. A cominciare da Elisabetta e dal suo bambino, che le esulta nel grembo, il futuro Battista. Così esultano ancora due anziani che sembrano essere rimasti in vita per mantenere viva la speranza d’Israele: Simeone e Anna, o i pastori; mentre nel racconto di Matteo, viene detto che i Magi “provarono una grandissima gioia” nel rivedere la stella che indicava il luogo della natività di Gesù.

La stessa gioia è testimoniata dai semplici e dagli umili, dagli infelici e dai peccatori che si sentono aiutati, capiti, perdonati. A gioire sono ancora i bambini e le donne, classi tradizionalmente neglette dalla piena partecipazione alla grazia collegata alle tradizionali benedizioni di Dio. Insomma il cuore del Vangelo è la lieta notizia annunciata ai bisognosi e agli infelici della terra. Il Dio che si dona totalmente, è il Dio che dona illimitatamente la gioia agli uomini. E perché la nostra gioia fosse piena (Gv 15,11), il Figlio di Dio è arrivato umanamente a perdere se stesso.

Perché avessimo una gioia che nessuno avrebbe mai più potuto toglierci, ha permesso che fosse tolta a lui la vita, per riprenderla di nuovo, ma con la conoscenza ormai nella sua carne e nella sua psiche di cosa significhi la morte umana. Di cosa voglia dire la gioia di vivere, di vivere non con il naturale sorriso con cui vive ogni creatura per la stessa gioia dell’esistere, ma di provare e diffondere la gioia di chi conosce la sofferenza e non resta inchiodato alla sofferenza. O al limite, di chi, nonostante le ferite e talora i chiodi mai interamente rimossi della sofferenza, sa sorridere della vita, perché questa è ormai rischiarata da colui che vince la morte e la depressione della sofferenza.

La gioia è dunque uno dei nomi della salvezza, ma di una salvezza che assume di volta in volta nomi nuovi e nomi antichi: riscatto, liberazione, sensatezza, leggerezza dell’esistere... Se la parola non fosse tanto inflazionata, si potrebbe dire che la salvezza altro non è che la felicità. È la felicità nel suo senso etimologico: come abbondanza e fertilità. Possiamo tradurre: come vita sensata che raggiunge il suo scopo e nasce da relazioni benevole, tendenti al bene altrui, trovando negli altri la propria gioia e comunicandola con relazioni che fanno crescere se stessi e gli altri.

In quanto tale, la felicità è simile alla pace e ne è la forma storica: è star bene con sé e con gli altri, con il proprio passato e con il proprio futuro. Perché, soprattutto oggi, c’è bisogno paradossalmente più di ricostruire il futuro che il passato o il presente. Per poterlo fare c’è bisogno di quella gioia consapevole che non si arrende e che non si ripiega su se stessa. Si ritrova nel futuro di una convivenza che non nasconde, ma sa riconoscere e superare i conflitti attraverso uno sguardo d’amore verso ciò che ci è intorno. È uno guardo che viene da lontano e tuttavia tocca la nostra umanità, questa mia e questa tua umanità, quella assunta, attraversata e come divinizzata da quel Gesù che continuamente dà senso a ogni tentativo di superare la violenza con l’amore. È l’unico a dar senso a ogni discorso di pace, anche questo che hai appena finito di leggere.



* MOSAICO DI PACE, LUGLIO 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/12/2012 19.43
Titolo:I tweet del papa e la catapulta di Bush
I tweet del papa e la catapulta di Bush

di Massimo Faggioli (L’Huffington Post, 11 dicembre 2012)

La macchina comunicativa vaticana non ha mai avuto paura della modernizzazione dei mezzi atti a raggiungere i fedeli e l’universo mondo. Da questo punto di vista, l’approdo del papa su Twitter rappresenta solo l’ultimo passo, per ora, di un cammino iniziato almeno con Leone XIII nell’uso dei moderni mass media. Gli esperti di comunicazione giudicheranno che tipo di utente è papa Benedetto XVI (o meglio, chi per lui interagisce con questo sistema di comunicazione).

Ma per i cattolici, e i teologi specialmente, "il papa su Twitter" apre una questione relativa agli effetti di questa immediatezza digitale sulle strutture della chiesa e sulle idee che cattolici e non cattolici hanno della chiesa cattolica. Twitter, analogamente alla televisione, dona al papa una nuova accessibilità sia in termini di spazio che di tempo: per vedere il papa non è necessario andare a Roma, per sapere quello che dice non è necessario attendere che arrivino per posta le sue parole. Ma dal punto di vista del funzionamento della chiesa come comunità di credenti con venti secoli di storia alle spalle, è evidente che l’immediatezza e accessibilità indeboliscono la dimensione della "chiesa come comunione" perché indeboliscono, fino talvolta a rendere superflui, molti dei mediatori del messaggio della chiesa - parroci, vescovi, catechisti, genitori, teologi - e tende evidentemente a rendere superflui anche i giornalisti.

Dal concilio Vaticano I (1869-1870) in poi il sistema "chiesa cattolica" ha dato molta più visibilità e poteri al papa di Roma, grazie alle definizioni sul primato e sull’infallibilità papale. Oggi l’immediatezza e l’accessibilità istantanea della parola del papa grazie alle tecnologie come Twitter moltiplicano all’interno della chiesa gli effetti di quel "doping ecclesiologico" deciso dal Vaticano I sotto pressione di papa Pio IX. E’ un fatto nuovo. Infatti, nella lunga storia del cristianesimo ogni documento del magistero della chiesa è sempre sottoposto ad un processo di "recezione": una interpretazione mediata di ogni pronunciamento magisteriale che deve tenere conto del contesto storico del documento, fare una esegesi del testo, e comprendere la posizione di quel testo nel vasto corpus della tradizione della chiesa.

L’immediatezza e l’accessibilità istantanea della parola del papa, invece, indeboliscono indubbiamente il processo di recezione, perché è un processo che ha bisogno di tempi lunghi e di agenti mediatori di quel messaggio all’interno della chiesa: la recezione lavora su testi lunghi e complessi - lunghezza e complessità che non sono un ostacolo, ma al contrario la condizione necessaria per l’interpretabilità di ogni testo religioso.

Non è chiaro se i tweet del papa saranno un conversation starter o un conversation stopper tra il papa e i suoi followers. Ma la nuova leva (americana) di comunicatori professionisti in Vaticano sembra essere andata a lezione da George W. Bush, che spiegò, in un non raro (per lui) momento di candore, che gran parte del suo mestiere di presidente consisteva nel "catapultare la propaganda" al fine di "scavalcare" la stampa e raggiungere direttamente i cittadini. Quella di Bush non era certo una professione di fede nel ruolo della libera stampa in una democrazia. La chiesa non è una democrazia, e il papa su Twitter potrebbe rendere i meccanismi di potere e di autorità ancora di più accentrati su Roma.

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Titolo articolo : A MILANO, A PALAZZO MARINO,  DUE CAPOLAVORI: "Amore e Psiche stanti" di Canova e "Psyché et l’Amour" di François Gérard.  Una sollecitazione anche per rileggere e rimeditare "Le metamorfosi o L' asino d'oro" di Apuleio. Una nota di Flavia Matitti - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: December/10/2012 - 10:50:22.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/12/2012 22.31
Titolo:L'OPERA di Canova e L'OPERA di Gèrard ...
Canova. Nel marmo la leggerezza di una farfalla

Amore e Psiche stanti fu scolpito nel 1797. Gioachino Murat l’acquistò per 2000 zecchini

di Fiorella Minervino (La Stampa, 5.12.2012)

Gli orari L’ingresso alla mostra a Palazzo Marino di Milano è gratuito. Si entra tutti i giorni dalle ore 9,30 alle 20 (ultimo ingresso alle ore 19,30) giovedì dalle ore 9,30 alle 22,30 (ultimo ingresso alle ore 22) Chiusure anticipate 7 dicembre, chiusura alle 12. 24 e 31 dicembre, chiusura alle 18 Aperture straordinarie 8 e 25 dicembre e 1 gennaio 2013 Informazioni al pubblico 24h/24 Numero verde gratuito 800.14.96.17

L’allestimento Sopra la mostra nell’allestimento di Elisabetta Greci nella Sala Alessi di Palazzo Marino a Milano

Il giardino comincia già fuori, in piazza della Scala, all’entrata della mostra e procede tra i profumi che si diffondono nella Sala Alessi oltre le tre pareti ricoperte di erba sintetica fino all’ultimo spazio destinato all’incantevole Amore e Psiche stanti del Canova. Nulla meglio di questo prato ripensato alla maniera neoclassica per illustrare la favola di Apuleio nelle Metamorfosi, dove la coppia mitologica raffigura l’unione fra anima umana e amore divino. Un luogo adatto a ospitare il capolavoro, forse non il più celebre ma prediletto dall’autore, il campione italiano del Neoclassicismo.

Antonio Canova voleva calarsi nello spirito e nel clima dei classici, greci e latini, tanto da farsi leggere nel suo studio mentre lavorava fin tre volte al giorno i testi di Omero, Tacito, Polibio. Felice esito dell’amore intenso per la classicità evocata dal Winckelmann, il bello ideale universale e la quieta grandezza, la scultura in arrivo dal Louvre grandeggia nella luce che la avvolge e nella platonica serenità che promana.

Due teneri giovinetti sono fissati nel marmo candido (Canova li definiva «un gruppetto pudico») e dominano la scena ravvicinati nel turbamento dei corpi nudi levigati e sinuosi sopra il piedestallo adorno di preziose ghirlande di fiori. Il dio poggia la testa sulla spalla di lei cingendola castamente con il braccio, Psiche di bellezza mirabile e dalla nudità appena celata dal delicatissimo velo ai fianchi, posa delicatamente la farfalla, simbolo dell’anima, nella mano di lui. È un gesto sublime, un attimo sospeso, fuori dal tempo, dove l’umano si lega all’eterno. Il prodigio delle dita, la grazia nelle pose, la finezza dei riccioli nella capigliatura di Psyche e lo squisito panneggio sui fianchi raccontano sino a che punto il marmo potesse piegarsi al soffio nuovo dell’arte di Canova, alla «bella natura», il suo ideale di bellezza perfetta.

Alti 150 centimetri circa, i due adolescenti si incontrano e congiungono a nozze, immemori delle mille prove sostenute e dei dissidi celesti nell’Olimpo che li hanno divisi, uniti nella lucentezza e candore del marmo di Carrara dove Canova agitava lo scalpello con la facilità d’un pennello. Figlio d’uno scalpellino di Possagno, dove era nato nel 1757, aveva presto imparato, anche dai copisti di marmi antichi a Roma, a modellare la materia con maestria e scienza personale. Un procedimento che conduceva dal bozzetto vibrante di creta al gesso affidato agli aiutanti, da volgere poi al marmo con numerose rifiniture, come raccontò Hayez. Canova realizzò il gruppo nel 1797 a Roma, mentre si diceva così preoccupato per la desolata nostra nazione e «l’Europa tutta talmente ruinosa che sarei contento di andare in America». L’opera era destinata al colonnello John Campbell in sostituzione della versione famosa (sempre al Louvre) Amore e Psiche giacenti 1787- 83; finirono entrambe nel 1801 per 2000 zecchini a Gioachino Murat, esposte nella galleria del castello di Villiers, dove Napoleone potè ammirarle.

Fama e gloria coronarono il Canova già in vita, come forse nessuno degli artisti amici o ammirati, quali Mengs, Thorwalsen, e fin Piranesi o Batoni, Gavin Hamilton, Proudhon, neppure David. Non volle o mai riconobbe allievi, collezionò cariche e incarichi, con l’esimio merito di ricondurre nel 1815 in Italia dal Louvre alcune opere sottratte dai francesi, incaricato da Pio VII come delegato dello Stato Pontificio a Parigi. Fu venerato e onorato da Papi e dai sovrani d’ Europa, per cui lavorò, compresi Napoleone e Giuseppina Beauharnais e il figlio Eugenio vicerè d’Italia con sede a Milano e Monza. Fedele alla propria arte e condizionato da una salute cagionevole mori a Venezia nel 1822, per poi riposare a Possagno dove è affidato alla storia nel museo a lui dedicato. Oggi il suo genio torna a risplendere in questa mostra a Milano, città che seppe apprezzarlo e amarlo.

Ed è occasione davvero rara questa offerta dall’Eni, di mettere a confronto il celebre scultore con il pittore francese Gérard, nato a Roma da madre italiana, il maggior allievo di David. Le curatrici dell’evento Valeria Merlini e Daniela Storti, si dichiarano assai soddisfatte della formula annuale e di presentare i due esponenti del Neoclassicismo in una città neoclassica come Milano.

La Merlini aggiunge che questa è l’opportunità di raffrontare pittura e scultura nelle differenze e aspetti comuni, come le diverse sensibilità e sensualità degli autori. Poi spiega: «Ci lavoriamo dalla scorsa primavera e aspettiamo oltre 200 mila visitatori. Negli anni passati siamo stati premiati da un pubblico vario per età, cultura e provenienza. Per spiegare a chi viene il valore e i segreti di due capolavori sullo stesso tema, creati a un anno di distanza e per la prima volta esposti insieme, ci affidiamo a un gruppo di giovani storici dell’arte che guidano i visitatori della Sala Alessi».
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Gèrard. La moderna sensualità di due innamorati

Piaceva anche ad Ingres Psyché et l’Amour che tiene testa quasi ad armi pari alla scultura con cui si confronta

di Francesco Poli (La Stampa, 5.12.2012)

Ingres, molto spesso acidamente critico nei riguardi dei suoi colleghi, aveva dichiarato una volta che «Gérard ha abbandonato la pittura e la pittura ha abbandonato lui », aggiungendo però che «quando ha realizzato Psiche e Amore è stato un grande pittore; ha realizzato un capolavoro...».

E in effetti per l’ingrato Ingres (Gérard era stato tra i pochi ad aiutarlo agli inizi, quando era entrato nello studio di David) questo dipinto, esposto con grande successo al Salon parigino del 1798, è stato un punto di riferimento fondamentale. Non tanto come esempio (già allora in auge) di una tematica mitologica disimpegnata e «graziosa», con algide e sofisticate valenze erotiche, ma anche soprattutto per la peculiare elaborazione del linguaggio neoclassico. Gérard lo caratterizza con una straordinaria levità e levigatezza pittorica, e con un formalismo purista tale da subordinare persino la correttezza anatomica all’armonia complessiva dell’impianto compositivo (basta osservare la «impossibile» spalla di Psiche o il collo di Cupido).

Nella suggestiva messa in scena allestita dentro il grande salone di Palazzo Marino, il quadro di François Gérard è il co-protagonista insieme al capolavoro di Antonio Canova, Amore e Psiche stanti, del 1797. La pittura che si confronta con la scultura una bellissima sfida (incentrata su un tema mitico e intramontabile) che nonostante la celebrità dell’avversario, e il fascino assoluto della sua opera marmorea, Gérard è in grado di sostenere quasi ad armi pari.

Bisogna guardarlo a lungo il suo dipinto con le figure in grandezza naturale, per rendersi conto, con uno sguardo attuale (al di là della valutazione storico -critica della indubbia importanza dell’artista) della straniante e «moderna» qualità di questa composizione figurativa ma irreale, e non solo perché mitica.

Più rispettoso di Canova del racconto che si legge nell’ Asino d’oro di Apuleio, Gérard ci presenta Psiche nel momento in cui l’invisibile (per lei) Amore le sta per dare un bacio abbracciandola. Ed è per questo che, sorpresa e misteriosamente incantata, i suoi occhi non guardano lui ma davanti verso il vuoto, o meglio (e qui l’artificio del pittore è geniale) verso di noi, i curiosi esterni.

Questo incrocio di sguardi fra lei e noi crea una sottile e intensa tensione estetica, che fissa visivamente e direi anche strutturalmente tutta la visione pittorica. Dico fissa, perché l’artista ha dipinto i personaggi in modo tale da quasi annullare l’illusione della forza di gravità, senza ombre portate e senza una convincente integrazione con il paesaggio che fa da sfondo. Inoltre, una ulteriore essenziale magia (o astuzia) pittorica è determinata dalla raffinatissima strategia dell’abbraccio che non è tale.

Infatti le braccia di Amore sono attorno e vicinissime al corpo di Psiche ma non lo toccano (anche se c’è una intenzionale ambiguità per quello che riguarda la mano sinistra che sembra toccare la spalla in direzione del seno). Tutto ciò crea un effetto di sospensione, una sensazione di aerea immaterialità e di metafisica idealità.

Così Gérard riesce a trasmettere attraverso la forma (molto più che nella raffigurazione descrittiva) un aspetto cruciale del significato profondo della favola mitica, che ci parla di cose indefinibili come l’anima e l’amore, e cioè del mistero della vita umana terrena e del sogno di quella ultraterrena.

Nell’iconografia antica (per esempio nella copia romana da un originale ellenico) Psiche ha delle ali di farfalla, ma come nel caso di Canova anche Gérard ha pensato che fossero sufficienti quelle di Cupido, e ha inserito una farfalla vera, non nelle mani dei personaggi come ha fatto lo scultore, ma in volo nel cielo sopra la testa di lei (psiche in greco vuol dire farfalla). Questo lepidottero ha una sua precisa valenza simbolica ed è allo stesso tempo un particolare naturalistico, dalla fragile e delicata leggerezza. Ma si può leggere formalmente anche come una metafora strutturale di tutto l’insieme della composizione, che si libra sulla tela con la stessa eterea grazia sospesa.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/12/2012 10.50
Titolo:APULEIO E UNA FIABA BERBERA
Amore e Psiche
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Amore e Psiche, gruppo scultoreo del Canova

Amore e Psiche sono i due protagonisti di una nota storia narrata da Apuleio all'interno della sua opera Le Metamorfosi, anche se è considerata risalire ad una tradizione orale antecedente all'autore.

Nella vicenda narrata da Apuleio, Psiche, mortale dalla bellezza eguale a Venere, diventa sposa di Amore-Cupido senza tuttavia sapere chi sia il marito, che le si presenta solo nell'oscurità della notte. Scoperta su istigazione delle invidiose sorelle la sua identità, è costretta, prima di potere ricongiungersi al suo divino consorte, a effettuare una serie di prove, al termine delle quali otterrà l'immortalità. Altre versioni, differenti da quella di Apuleio, narrano invece la morte della ragazza prima dell'ultima prova.
Indice

1 Storia
2 L'asino d'oro
3 Una fiaba berbera


Storia


Psiche, una bellissima fanciulla che non riesce a trovare marito, diventa l'attrazione di tutti i popoli vicini che le offrono sacrifici e la chiamano Venere (o Afrodite). La divinità, saputa l'esistenza di Psiche, gelosa per il nome usurpatole, invia suo figlio Eros (o Cupido) perché la faccia innamorare dell'uomo più brutto e avaro della terra e sia coperta dalla vergogna di questa relazione. I genitori di Psiche, nel frattempo, consultano un oracolo che risponde:

« "Come a nozze di morte vesti la tua fanciulla ed esponila, o re, su un'alta cima brulla. Non aspettarti un genero da umana stirpe nato, ma un feroce, terribile, malvagio drago alato che volando per l'aria ogni cosa funesta e col ferro e col fuoco ogni essere molesta. Giove stesso lo teme, treman gli dei di lui, orrore ne hanno i fiumi d'Averno e i regni bui."(IV, 33) »

Psiche viene così portata a malincuore sulla cima di una rupe e lì viene lasciata sola. Tuttavia il dio si innamora della mortale e, con l'aiuto di Zefiro, la trasporta al suo palazzo dove, imponendo che gli incontri avvengano al buio per non incorrere nelle ire della madre Venere, la fa sua; così per molte notti Eros e Psiche bruciano la loro passione in un amore che mai nessun mortale aveva conosciuto; Psiche è prigioniera nel castello di Eros, legata da una passione che le travolge i sensi.


Una notte Psiche, istigata dalle sorelle, che Eros le aveva detto di evitare, con un pugnale ed una lampada ad olio decide di vedere il volto del suo amante, nella paura che l'amante tema la luce per la sua natura malvagia e bestiale. È questa bramosia di conoscenza ad esserle fatale: una goccia d'olio cade dalla lampada e ustiona il suo amante:

« … colpito, il dio si risveglia; vista tradita la parola a lei affidata, d'improvviso silenzioso si allontana in volo dai baci e dalle braccia della disperata sposa (V, 23) »

Fallito il tentativo di aggrapparsi alla sua gamba, Psiche straziata dal dolore tenta più volte il suicidio, ma gli dei glielo impediscono. Psiche inizia così a vagare per diverse città alla ricerca del suo sposo, si vendica delle avare sorelle e cerca di procurarsi la benevolenza degli dei, dedicando le sue cure a qualunque tempio incontri sul suo cammino. Arriva però al tempio di Venere e a questa si consegna, sperando di placarne l'ira per aver disonorato il nome del figlio.

Venere sottopone Psiche a diverse prove: nella prima, deve suddividere un mucchio di granaglie con diverse dimensioni in tanti mucchietti uguali; disperata, non prova nemmeno ad assolvere il compito che le è stato assegnato, ma riceve un aiuto inaspettato da un gruppo di formiche, che provano pena per l'amata di Cupido. La seconda prova consiste nel raccogliere la lana d'oro di un gruppo di pecore. Ingenua, Psiche fece per avvicinarsi alle dette pecore, ma una verde canna la avverte e la mette in guardia: le pecore diventano infatti molto aggressive con il sole e dovrà aspettare la sera per raccogliere la lana rimasta tra i cespugli. La terza prova consiste nel raccogliere dell'acqua da una sorgente che si trova nel mezzo di una cima tutta liscia e a strapiombo. Qui viene però aiutata dall'aquila dello stesso Giove.


L'ultima e più difficile prova consiste nel discendere negli Inferi e chiedere alla dea Proserpina (o Persefone) un po' della sua bellezza. Psiche medita addirittura il suicidio tentando di gettarsi dalla cima di una torre; improvvisamente però la torre si anima e le indica come assolvere la sua missione. Durante il ritorno, mossa dalla curiosità, apre l'ampolla (data da Venere) contenente il dono di Proserpina, che in realtà altro non è che il sonno più profondo. Questa volta verrà in suo aiuto Eros, che la risveglia dopo aver rimesso a posto la nuvola soporifera uscita dalla ampolla e va a domandare aiuto a suo padre.

Solo alla fine, lacerata nel corpo e nella mente, Psiche riceve con l'amante l'aiuto di Giove: mosso da compassione il padre degli dei fa in modo che gli amanti si riuniscano: Psiche diviene una dea e sposa Eros. Il racconto termina con un grande banchetto al quale partecipano tutti gli dei, alcuni anche in funzioni inusuali: per esempio, Bacco fa da coppiere, le tre Grazie suonano e il dio Vulcano si occupa di cucinare il ricco pranzo.

Più tardi nasce la figlia, concepita da Psiche durante una delle tante notti di passione dei due amanti prima della fuga dal castello. Questa viene chiamata Voluttà, ovvero Piacere.


L'asino d'oro

Amore e Psiche è la più nota delle favole contenute nell'opera Le metamorfosi di Apuleio e si estende per tre degli undici libri di cui è costituito il romanzo. La favola, come il resto de Le metamorfosi, ha nel libro un significato allegorico: Cupido - identificato con il corrispondente greco Eros, signore dell'amore e del desiderio -, unendosi a Psiche - ossia l'anima - le dona l'immortalità. Tuttavia questa, per giungervi, dovrà affrontare quattro durissime prove, tra cui quella di scendere agli Inferi per purificarsi.

Già il nome Psiche (in greco ψυχή significa "anima") allude al significato mistico della storia, e riconduce alle prove che la donna dovrà affrontare nel corso della storia, simbolo delle iniziazioni religiose al culto di Iside.

Anche la posizione centrale della favola nel testo originale aiuta a capire lo stretto legame che lega questo racconto nel racconto con l'opera principale; è infatti facile scorgervi una "versione in miniatura" dell'intero romanzo: come Lucio, protagonista de Le Metamorfosi, anche Psiche è una persona simplex et curiosa; inoltre, entrambi compiono un'infrazione, alla quale seguirà una dura punizione. Solo in seguito a molte peripezie potranno raggiungere la salvezza.

Una fiaba berbera

Apuleio non faceva mistero di essere mezzo numida e mezzo getulo, anche se la lingua in cui componeva le sue opere letterarie era il latino.

La fiaba di Amore e Psiche è indubbiamente debitrice al genere della fabula Milesia e i riferimenti letterari delle sue opere siano perlopiù relativi alla cultura greco-latina, ma è altrettanto indubbio che può essere riscontrato anche qualche elemento nordafricano.

L'antropologia culturale ha oggi gli strumenti per tentare tale recupero a posteriori: in verità, della cultura letteraria indigena di quei tempi ben poco si sa, dal momento che si espresse prevalentemente a livello orale. Amore e Psiche, per la sua natura esplicitamente dichiarata di "fiaba" (che nel romanzo viene raccontata da una vecchina), ha molte probabilità di riflettere aspetti di questa cultura orale.

E difatti, numerosi elementi ricompaiono, identici o con minimi scarti, anche nelle fiabe di tradizione orale del Nordafrica raccolte e messe per iscritto in tempi recenti. Mouloud Mammeri ha più volte sottolineato l'affinità tra la fiaba di Apuleio e un racconto cabilo assai noto, L'uccello della tempesta. A sua volta, tale racconto ha forti affinità con un'altra trama nordafricana, diffusa soprattutto in Marocco, vale a dire Ahmed Unamir (dove peraltro i generi sono invertiti: l'eroe è un maschio e la consorte misteriosa una femmina). Entrambe le fiabe si limitano alla prima parte del racconto, e si concludono quindi con la cacciata, senza più speranza di ritorno, del coniuge troppo curioso. Ma esistono anche versioni più "complete", per esempio Fiore splendente, della Cabilia orientale, che prosegue fino al lieto fine conclusivo. Interessanti sono qui le congruenze con le peripezie dell'eroina in cerca dello sposo presso la suocera, che in questo caso non è la dea Venere, bensì l'orchessa Tseriel. Nel suo peregrinare, la fanciulla (Tiziri "Chiaro di Luna") si imbatte, tra gli altri in alcuni pastori che le mostrano greggi che sarebbero state riservate a lei, se solo non fosse stata troppo curiosa. Questo dettaglio, perfettamente inserito nella fiaba odierna, potrebbe forse spiegare la presenza, abbastanza slegata dal contesto, del dio Pan (il dio pastore) nel punto corrispondente di Amore e Psiche.

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Titolo articolo : LA "CARITAS" E LA "SCOLA" SENZA LA "H": A MILANO IL MAGISTERO DI BENEDETTO XVI .  L'arcivescovo Scola celebra il suo Costantino e attacca la Costituzione: "Lo Stato laico mette a rischio la libertà religiosa". Una nota di Zita Dazzi e una riflessione di Vito Mancuso  - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: December/09/2012 - 16:22:57.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/12/2012 13.40
Titolo:PISAPIA E G.E.RUSCONI. Caro Scola, laicità dello Stato non è nichilismo
Il sindaco difende la tutela dei diritti civili senza discriminazioni
Pisapia: “Nessun credo va privilegiato rivendico l’autonomia della politica”

di Alessia Gallione (la Repubblica, 7.12.2012)

MILANO — Accogliendo il Papa in città la scorsa estate, Giuliano Pisapia rivendicò l’autonomia delle decisioni della politica. «Ed è quello che continuerò a fare», dice il sindaco. Che aggiunge: «È giusto confrontarsi e riflettere, ma io non penso di possedere la verità e chiedo che, anche chi è profondamente credente, non ritenga di avere la verità assoluta. Lo dico soprattutto per quelle scelte individuali che riguardano la propria vita, anche se questo non deve limitare i diritti altrui».

Crede, come sostiene Scola, che la laicità dello Stato sia una minaccia per la libertà religiosa?

«Il suo discorso sarà per me motivo di riflessione, ma non mi convince la sua posizione negativa sulla “neutralità” dello Stato. Forse bisogna intendersi sul concetto di neutralità: lo Stato non deve essere confessionale, ma deve fare di tutto per rendere effettivo il principio costituzionale della libertà di professare liberamente la propria fede, serve una equidistanza tra tutte le religioni. Il diritto di professare il proprio credo non deve portare a discriminazioni né privilegiare una religione anche se maggioritaria.
In Italia, dobbiamo fare ancora molti passi in avanti ed è per questo che, a Milano, stiamo lavorando per dare vita a un albo delle associazioni e organizzazioni religiose che permetta a tutti di avere gli spazi adeguati per potersi riunire».

La laicità alla francese sarebbe davvero un male?

«Credo che la laicità dello Stato sia un dovere, ma uno Stato profondamente laico deve dare a ognuno la possibilità di esprimere i propri valori e la propria fede».

Milano ha istituito il registro delle coppie di fatto e potrebbe avviare quello di fine vita. Si è sentito chiamato in causa da Scola?

«No, assolutamente. Proprio l’equivicinanza alle religioni comporta che bisogna garantire a tutti, anche ai non credenti, la possibilità di esercitare i propri diritti senza essere discriminati. Il cardinale dice che la libertà religiosa “è ai primi posti nella scala dei diritti”. Io dico che tutti i diritti sono al primo posto nella scala dei valori. Milano continuerà sulla strada dei diritti civili, con la profonda convinzione che non solo non contrasta con la libertà religiosa, ma la rafforza».

Non teme un rapporto conflittuale con la Curia?

«In realtà, no. Quando il Comune ha preso decisioni non condivise dalla Curia, ci sono state comprensibili e legittime prese di posizioni, ma nessun tentativo di bloccare scelte democratiche. Sono molto fiducioso che il confronto e il dialogo continueranno, pur nelle reciproche diversità. Forse, chi crede in una religione — qualunque essa sia — è convinto che quella sia la verità. La differenza, per quanto mi riguarda, è che su certi temi mi pongo sempre il dubbio sulla base della realtà e non di un’indicazione che viene dall’alto. C’è però un passaggio del discorso che condivido pienamente ».

Quale?

«È quello che mette in relazione la libertà religiosa e la pace sociale. Il dialogo e la comprensione tra diverse confessione favoriscono la pace dentro una comunità e tra le diverse comunità. Questa coesione sociale, anche tra fedi e culture diverse, è un obiettivo a cui tutti dovrebbero puntare, ma che alcune forze politiche purtroppo non auspicano».
____________________________________________________________

Caro Scola, laicità dello Stato non è nichilismo

di Gian Enrico Rusconi (La Stampa, 7.12.2012)

Il discorso alla città di Milano pronunciato ieri sera dal cardinal Scola in occasione di Sant’Ambrogio contiene alcuni passaggi cruciali sul tema dello Stato laico che sono sorprendenti per l’atteggiamento che li sottende, per il tono, prima ancora che per alcuni loro contenuti. C’è diffidenza, sfiducia, allarme di fronte a una presunta involuzione della laicità nello Stato, che si configurerebbe addirittura come minaccia alla libertà della coscienza religiosa.

L’ assunto da cui parte il discorso del cardinale è la centralità della «società civile», «la cui precedenza lo Stato deve sempre
rispettare, limitandosi a governarla e non pretendendo di gestirla».

Questa affermazione sarebbe anche condivisibile (nessuno infatti vuole uno Stato etico) se non contenesse un fraintendimento. Non è chiaro, infatti, che cosa significa che lo Stato deve «limitarsi a governare la società civile» senza «pretendere di gestirla». Definire le leggi, le norme di comportamento vincolanti per tutti i cittadini - tramite un dibattito pubblico e costituzionale che tiene presente l’intera «società civile» in tutta la sua complessità - è una «gestione» intrusiva della società?

Proprio su questo punto invece il card. Scola usa parole pesanti: «Sotto una parvenza di neutralità e oggettività delle leggi, si cela e si diffonde una cultura fortemente connotata da una visione secolarizzata dell’uomo e del mondo, priva di apertura al trascendente. In una società plurale essa è in se stessa legittima ma solo come una tra le altre. Se però lo Stato la fa propria finisce inevitabilmente per limitare la libertà religiosa».

Innanzitutto non si capisce come una legislazione neutrale rispetto ai valori religiosi impedisca, a coloro che lo desiderano, di condurre la propria vita e operare le proprie scelte sulla base di quei valori. Salvo garantire che si tratti di scelte effettivamente libere e non di imposizioni familiari o comunitarie.

Inoltre a quale Stato in concreto si riferisce il cardinale? Certo non al nostro Paese con la sua legislazione sull’insegnamento della religione nelle scuole, con la normativa sui simboli religiosi negli spazi pubblici, sul sostegno indiretto alle scuole confessionali, sulla forte (e formalmente legittima) influenza della Chiesa sulla problematica bioetica - per non parlare della deferenza pubblica e dei partiti politici verso la Chiesa.

Non mi è chiaro quali altri spazi possa aprire uno Stato laico «in cui ciascun soggetto personale e sociale possa portare il proprio contributo all’edificazione del bene comune». Non a caso sono i laici spesso a non vedere riconosciuti i propri come «valori» (ma sempre come apertura al peggio) e la legittimità delle proprie opzioni.

E’ deplorevole che la laicità dello Stato sia identificata tout court con una idea di secolarizzazione che sconfina di fatto con il nichilismo. Se c’è uno spazio che dovrebbe essere aperto è il confronto pubblico competente e leale sui valori positivi della laicità, che sono l’unica garanzia della libertà di coscienza.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/12/2012 15.56
Titolo:Il cardinale Scola tra il Medioevo e l’America ....
Il cardinale Scola tra il Medioevo e l’America

di Massimo Faggioli (L’Huffington Post, 7 dicembre 2012)

Il cardinale di Milano, Angelo Scola, è il più ascoltato tra i vescovi italiani, e per buone ragioni: ciellino intelligente, ha scritto cose di valore e non cortigiane sulla teologia di Giovanni Paolo II, e i suoi discorsi sono raramente di circostanza, anche quando le circostanze lo permetterebbero.

Il discorso tenuto a Milano di fronte al sindaco Pisapia per la festa di sant’Ambrogio ha toccato un nervo scoperto della chiesa cattolica, quello dei rapporti tra la dimensione secolare e laica dello Stato moderno in Occidente e la pretesa del cattolicesimo di farsi interprete di una “sana laicità” che per certi cattolici non è mai abbastanza sana. Si sbaglierebbe però a bollare il discorso del cardinale Scola come il manifesto di un cattolicesimo talebanizzante. C’è una parte originale del discorso che descrive il rapporto tra visioni della vita in Occidente non come una coesistenza tra religioni diverse, ma come un confronto-scontro “tra cultura secolarista e fenomeno religioso”, e che ricorda come l’attacco alla libertà religiosa sia, in alcune aree del mondo contemporaneo, uno dei segni dei tempi.

Ma la parte più discutibile del discorso, non solo dal punto di vista politico ma anche storico, è quella che attiene all’uso della parola stessa “laicità”: nel suo discorso il cardinale la usa una volta sola per associarla all’imperatore Costantino (del cui celebre “editto di Milano” del 313 stanno per iniziare le celebrazioni), facendo dell’imperatore Costantino un assai improbabile eroe della libertà religiosa. Nel resto del discorso Scola parla di laicitè alla francese, e significativamente non articola la differenza sostanziale che esiste tra il concetto medievale di libertas Ecclesiae come “libertà della chiesa” da una parte e l’idea di “libertà religiosa” definita dal concilio Vaticano II meno di cinquant’anni fa, nel 1965.

Questo silenzio deriva da una delle malattie del cattolicesimo contemporaneo, un neo-americanismo che è l’altra faccia dello spauracchio della Rivoluzione francese - il fantasma che agita la chiesa di Roma quando essa viene messa di fronte ad una società in evoluzione: alle rivoluzioni democratiche di metà ottocento in Europa come alla questione dello schiavismo e della segregazione razziale in America tra nel secolo che va tra il 1860 e i “sixties”.

Se l’attacco di Scola alla laicitè alla francese non significa necessariamente un auspicio al ritorno allo Stato confessionale, tuttavia prefigura uno Stato che rimanga aconfessionale ma nel quadro di un nuova idea di libertà religiosa, di una “laicità positiva” non neutrale di fronte al fatto religioso. Il modello è chiaramente quello statunitense.

Il neo-americanismo di Scola è trasparente anche dall’accenno nel discorso del cardinale alla “ferita alla libertà religiosa di cui parla la Conferenza episcopale degli Stati Uniti a proposito della riforma sanitaria di Obama”: è un americanismo tipico dei leader del cattolicesimo contemporaneo, chierici e laici, ed è un segnale interessante, specialmente se si tiene conto del retaggio anti-americano che faceva parte del pedigree dell’intellettuale cattolico europeo novecentesco. Ora siamo arrivati all’estremo opposto. Il problema è la validità di quel modello americano invocato ora da Scola, ma più volte lodato anche da papa Benedetto XVI.

I volonterosi americanisti italiani non sanno che è in crisi anche il modello americano, proposto come soluzione al male europeo del laicismo: gli Stati Uniti vivono di una “religione civile” che esige continui sacrifici (culturali e non solo) sconosciuti all’immaginario politico-religioso europeo. Nello spazio pubblico americano la presenza della religione è tutt’altro che pacificamente accettata. Se si mettessero insieme tutti gli ex cattolici statunitensi, sarebbero la seconda chiesa d’America (dopo la chiesa cattolica).

L’America di cui parlano questi neo-americanisti è un’America che è più vicina a quella di Tocqueville di quasi due secoli fa, che a quella di inizio secolo XXI: anche perchè venerare Tocqueville è meno faticoso che leggere le mille pagine de L’età secolare, opus magnum di Charles Taylor, studioso canadese che negli ultimi anni ha ridefinito il dibattito sulla laicità in Nordamerica.

Ma il problema non è solo di cultura dei cattolici. Anche la letteratura italiana recente di parte neoliberale e neo-conservatrice sul tema di una “nuova laicità non laicista” sembra illudersi, tramite il ricorso ad un sistema di tipo americano, di proteggere una chiesa “established” (nazionale) come quella cattolica in Italia e di aprire lo scenario giuridico-costituzionale ad una maggiore presenza delle religioni nello spazio pubblico senza tenere conto dei costi di questo in termini di coesione giuridica e sociale: ma sembra dimenticare la fondamentale mancanza, in Europa, di una cultura nazionale omologatrice come quella statunitense, capace di assorbire e inghiottire le diversità religiose e di americanizzare ogni presenza religiosa sul territorio americano.

La “cura americana” proposta da alcuni vescovi e cardinali, così come da alcuni cattolici neo-liberali (presenti anche nelle file del Partito Democratico in Italia) potrebbe essere esiziale per il delicato sistema europeo: a meno che questo sistema europeo “post-laico neo-americano” che essi immaginano non significhi una libertà religiosa con alcune religioni orwellianamente più libere di altre.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/12/2012 20.58
Titolo:La laicità e la restaurazione di Scola
La laicità e la restaurazione di Scola

di Paolo Naso

in “NEV” (Notizie Evangeliche) del 7 dicembre 2012

Il discorso alla città di Milano del cardinale Angelo Scola pronunciato ieri in occasione di Sant’Ambrogio sta suscitando diverse reazioni da parte di credenti e non credenti. Sconcerto per le parole di Scola arrivano anche da ambienti evangelici.
- Di seguito la dichiarazione del politologo Paolo Naso coordinatore della Commissione studi della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI):

«Le parole del Cardinale Scola nel tradizionale messaggio alla città del 6 dicembre, lasciano sorpresi e sbigottiti perché aggrediscono quel principio di laicità che costituisce, oltre che un caposaldo della nostra Costituzione, l’architrave di ogni modello di convivenza tra fedi diverse nello spazio pubblico. L’arcivescovo di Milano va persino oltre il tradizionale appello di questo pontificato per una “sana laicità” e denuncia “una cultura fortemente connotata da una visione secolarizzata dell’uomo e del mondo, priva di apertura al trascendente” e che, se fatta propria dallo Stato, “finisce inevitabilmente per limitare la libertà religiosa”.

Scola è fine intellettuale e, se usa parole così nette ed esprime giudizi così perentori, è chiaro che ha un obiettivo preciso: a noi pare che intenda richiamare il suo gregge al fatto che il pastore è cambiato, che il tempo di Martini e Tettamanzi è ormai finito e con esso quello spirito di pluralismo, di laicità e di dialogo che per una lunga stagione hanno caratterizzato il cattolicesimo ambrosiano. Ruvidamente, come ruvide sono state le parole udite dalla Cattedra di Sant’Ambrogio, potremmo definirla “restaurazione”».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/12/2012 16.22
Titolo:I “cattolicisti”: quando la fede serve al potere
I “cattolicisti”: quando la fede serve al potere

di Furio Colombo (il Fatto, 9.12.2012)

Discorso storico del cardinale di Milano su un evento che sconvolge il mondo. Il Prelato annuncia che lo Stato minaccia Dio. Quale Stato? Ma qualunque Stato laico, inclusi gli Stati Uniti di Obama. Non una parola sugli Stati in cui vige la Sharia, ovvero una religione, quella islamica, come legge civile e penale. Non una parola sulla bambina Malala, che è stata quasi uccisa in Pakistan (Paese che ha molti problemi ma che trabocca di Dio, nel senso di Scola) per avere sostenuto il diritto delle bambine ad andare a scuola, diritto negato - secondo gli Scola locali - dal Dio di quel Paese.

Noto che il cardinale di Milano dichiara subito che “la laicità dello Stato minaccia la libertà religiosa”. Usa la stessa parola (inspiegabile, dal punto di vista logico) che i cattolici estremisti usano per condannare le coppie di fatto, come se fossero un pericolo per le altre famiglie.

Mi riferisco a un “discorso alla città di Milano” nella ricorrenza dell’Editto di Costantino (312 d. C.) interpretato come l’inizio della libertà del culto cristiano (che invece apre il percorso ad altri editti che porteranno al più violento e rigido divieto di ogni altra pratica religiosa che non sia il cristianesimo.

USERÒ, come interprete delle parole di Scola, il teologo Vito Mancuso: “Per Scola occorre ripensare una visione culturalmente in grado di sostenere i cosiddetti valori non negoziabili cari a Benedetto XVI, cioè vita, scuola, famiglia, da intendersi alla maniera del magistero cattolico attuale, che non è detto che coincida con il vero senso del cristianesimo” (Repubblica, 7 dicembre 2012).

L’ultima frase di questa citazione di Mancuso è confermata e illustrata da un libro di Carlo Casini (Movimento per la vita) dal curioso titolo Non li dimentichiamo. Viaggio fra i bambini non nati. “Non è un libro di fantascienza o un thriller alla Stephen King. ma un testo di presunta ortodossia cattolica. Interessante, infatti, notare che l’autore del libro cerca prove e sostegni per l’“identità giuridica” di embrioni e feti non dalla teologia cristiana (non ne troverebbe) ma in una personale interpretazione della Convenzione Onu sui diritti dell’Infanzia.

Ecco il marchingegno La Carta, ovviamente protegge non solo i bambini nati ma anche le mamme incinte. Carlo Casini pensa che ciò significhi che l’Onu funziona e agisce nel vasto territorio non solo dei non ancora nati, ma dei mai nati e dell’universo non identificabile degli embrioni. Ed esclude del tutto dalla sua interpretazione della Carta dell’Onu ogni protezione del diritto delle donne alla tutela del proprio corpo e delle possibilità di sopravvivenza.

COME SI VEDE, il cardinale Scola, nella solenne occasione del discorso di Milano, si muove con le stesse parole e allo stesso livello del libro inventato alla svelta per l’occasione dal Movimento per la vita, ovvero fuori dalla storia, fuori dalle leggi dei Paesi democratici e fuori dalla Costituzione Italiana. Vito Mancuso ci dice che tutto ciò avviene anche fuori “dal vero senso del cristianesimo”. Credere o non credere è la grande scelta privata e individuale.

Ma resta lo stupore e l’imbarazzo per ciò che Scola ha detto come capo della Chiesa di Milano. Ha detto che “lo scontro non è tra fede e istituzioni civili. Le divisioni più profonde sono quelle fra cultura secolarista e fenomeno religioso e non, come spesso erroneamente si pensa, tra credenti di fedi diverse. “Infatti - aggiunge - sotto una parvenza di neutralità e oggettività delle leggi, si cela e si diffonde una cultura priva di apertura al trascendente”. La frase è arrischiata, perché il solo sistema giuridico fondato sulla trascendenza - nel senso detto e pensato dal Vescovo di Milano - è la legge detta Sharia, un’ortodossia cieca che si avvinghia alla politica, intende dominarla, e tormenta alcuni Paesi islamici bloccando ogni passaggio ai diritti umani e civili.

In che modo l’apertura obbligatoria alla trascendenza, invocata dal Cardinale Scola per le istituzioni pubbliche italiane, sarebbe diversa dalla imposizione paleo-islamica contro cui tante donne e uomini di molti Paesi islamici si battono? Coloro che si oppongono, nella vita e nella cultura italiana, al fondamentalismo ormai ufficiale della Chiesa romana, sono definiti, come è noto, “laicisti”. La parola descrive in modo sprezzante una categoria culturale e politica inferiore (“laici” sono coloro che accettano gentilmente che il cadavere di Welby venga lasciato fuori dalle porte chiuse di una chiesa e privato del funerale della sua fede) a cui non si deve prestare alcuna attenzione.

SI USI ALLORA, per chiarezza nei confronti dei credenti, la parola “cattolicista” per definire tutti coloro, cardinali e no, che usano la religione e la fede come strumento per governare. È storia italiana da decenni. Dovunque si veda o si creda di vedere una promessa di protezione della gerarchia ecclesiastica per un partito o per un potere, subito si raccoglie una folla di cattolicisti, travestiti da fervidi credenti e impegnati a cercare e affermare le loro radici cristiane mentre lasciano morire a migliaia gli immigrati in mare.

Ecco dunque il vero punto di scontro evocato dal Cardinale Scola. Il Vescovo di Milano include tra i veri nemici della trascendenza il presidente americano Obama che vuole estendere il diritto alle cure mediche gratuite anche alle donne in caso di aborto. Alcuni giorni fa un padre gesuita che stava ascoltando questi miei argomenti in un incontro pubblico, mi ha dato la frase giusta per concludere: “Ricordi, però, che la Chiesa non sono soltanto i cardinali”.

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Titolo articolo : Pillole di Apocalisse(2),di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: December/07/2012 - 14:56:31.

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Autore Città Giorno Ora
filippo angileri trapani 03/12/2012 12.47
Titolo:Pillole di Apocalisse
Credo fermamente che l'amore può sussistere benissimo senza l'odio, sono due aspetti dell'essere umano, l'uomo è dotato di una parte materiale e di una parte spirituale(angelica) ; i Messaggeri di Dio sono venuti, anche, per insegnarci a sviluppare la parte spirituale e abbandonare quella materiale(animale).
saluti
filippo
Autore Città Giorno Ora
Laura Giovannini Laives (BZ) 03/12/2012 17.02
Titolo:apocalisse di pace e luce
Condivido la visione piena di speranza dell'Apocalisse.
Il sistema basato sulla violenza ,le menzogne e lo sfruttamento delle persone e della natura sta divorando se stesso e sta collassando.
La verità pur schiacciata e taciuta dalle fonti ufficiali riesce sempre più ad emergere e anche le persone semplici se ne stanno rendendo conto .
Dalle persone che si impegnano nei movimenti di decrescita, quelli che chiedono cibo sano, prodotti biologici, quelli che si battono per l'acqua pubblica, il diffondersi della moneta locale "Scec" .. il volontariato nasce e cresce un nuovo modo di relazionarsi con i beni che abbiamo : le persone e la natura. Continuiamo ad aprirci alla speranza e all'amore nonostante tutto e il nuovo cielo e la nuova terra saranno realtà .
Autore Città Giorno Ora
Renzo Coletti Genova 03/12/2012 22.31
Titolo:
Caro Giovanni,
innanzi tutto ti ringrazio per aver preso spunto dalla mia lettera per proseguire le tue digressioni sull'apocalisse e aprire un dibattito aperto a tutti i lettori.
Il mio pensiero sull'impossibilità dell'esistenza di un amore assoluto è stato frainteso; ogni aspetto della vita ne ha un altro antitetico e complementare: il maschile ed il femminile, il giorno e la notte, la luce ed il buio e così anche l'amore e l'odio. Nelle filosofie orientali il concetto viene espresso con la teoria dello ying e dello yang, che graficamente viene rappresentata da un cerchio diviso in due metà simmetriche, una bianca ed una nera, che si compenetrano nel formare un tutto. Solo un equilibrio tra i due elementi permette il controllo dell'energia vitale che conduce all'armonia e, se si vuole, all'illuminazione. Nel caso in cui tale equilibrio venga meno e le forze del male prevalgano, non è possibile, a mio giudizio, teorizzare la strategia della non-violenza (termine vago); se ciò fosse stato applicato, non sarebbero esistite le lotte dei lavoratori contro lo sfruttamento, la lotta partigiana contro il fascismo, le battaglie in tutto il mondo contro le dittature e così via. Il nazismo ha potuto affermarsi proprio perchè inizialmente era stato sottovalutato e non combattuto prima che la violenza avesse il sopravvento. Oggi siamo in una condizione pre-nazista: la violenza della polizia esercitata contro i manifestanti pacifici o contro i cittadini inermi, la carcerazione delle fasce più deboli ed emarginate della società, il trattamento incivile a loro riservato è l'indicatore più evidente dello stato di barbarie e repressione a cui siamo giunti.
Quindi quando tu proponi la non-violenza, di fatto cosa stai proponendo? Laura Giovannini, nel suo commento, fa riferimento ad iniziative che potrebbero avere una loro ragione di essere se inserite in un contesto politico più ampio che comprendesse i vari componenti della società intera , ossia i lavoratori, i pensionati, gli studenti, le donne, i disoccupati, ecc. uniti in un impegno ed una lotta contro il sistema che è causa della distruzione di quei beni che costituiscono il patrimonio fondamentale della vita sulla terra.
Per quanto riguarda il concetto di Chiesa, caro Giovanni, vorrei chiederti in primo luogo a chi ti stai rivolgendo quando pensi di proporre la "vera chiesa" (assemblea del popolo) ? Come pensi che il mondo cattolico possa recepire una tale proposta, dopo che per duemila anni ha prevalso il dogma imposto dai vertici ecclesiastici ? Vorrei raccontare un breve aneddoto: un giorno, in un negozio vicino a casa, incontrai un bimbo che mi disse di essere appena stato in chiesa a salutare Gesù, ma questi, come al solito, non era lì, ma era uscito. Il piccolo, ovviamente, nella sua mente infantile pensava di incontrare Gesù come persona fisica, ma l'episodio può essere emblematico: la Chiesa è forse oggi l'ultimo posto dove si possa incontrare Gesù, che andrebbe invece ricercato negli spazi più profondi ed intimi di noi stessi. Gesù è quella parte di noi che è stata violentata, frustrata, repressa, resa impotente, estromessa dal nostro spirito, inchiodata su una croce da quei mercanti che avrebbero invece dovuto diffondere il suo insegnamento.
Oggi si adora un nuovo Dio, forse più antico di quanto si pensi, cioè il Dio Danaro ed è la fede in lui che ha generato l'attuale situazione di sete di potere, perversione, guerra infinita: non è la non-violenza che manda in bestia i potenti, ma le avvisaglie che la fede in questo Dio Denaro possa venire meno. Se la tua nuova chiesa avesse successo, sarebbe la fine della Chiesa attuale, la fine del capitalismo e Marx ti sorriderebbe dall'aldilà.

Un abbraccio,
Renzo Coletti
Autore Città Giorno Ora
Rosa Mauro Roma 05/12/2012 12.08
Titolo:commento a pillole di apocalisse
pensando al commento di Renzo, direi che io sono d'accordo con la non violenza, ma non sempre.
se vedi un bambino che viene ucciso, se vedi l'ingiustizia trionfare, un tono veeemente, o anche un forcone in gola a chi sta uccidendo quel bambino, è umano che mi venga in mente di usarlo.
Credo che tu Giovanni, auspichi un atteggiamento non violento, che insegni a contenere la violenza il più possibile.
Questo atteggiamento non è solo tipico del cristianesimo, però, ma anche dei buddisti, di alcuni gruppi di indiani d'america, dei nativi australiani.
Infatti, se tu parti con una tteggiamento non violento, non è detto che non userai mai la violenza, però forse potrai imparare a contenerla il più possibile.
E' come il mangiare, il bere troppo e l'imparare ad amare: è la disciplina a rendere possibile usare bene le emozioni.
Caro Giovanni, è lodevole il tuo tentativo di pensare che la chiesa non volesse diventare una religione, peccato sia falso: se non avesse voluto diventarlo, non avrebbe infatti optato per la fusione con il culto di Mitra, avallando la nascita di Gesù da maria vergine, non avrebbe sostituito con le sue le feste pagane, quindi coscientemente scegliendo di essere oggetto di culto, non avrebbe, piuttosto precocemente a dire il vero, cominciato a perseguitare coloro che chiamava eretici.
Posso essere d'accordo che forse Gesù non volesse tutto questo, ma che lo desiderasse la chiesa, e fin dai primi anni, è purtroppo storia.
Il superomismo di renzo non può essere liquidato in chiave cristiana, visto che pertiene all'ottica post modernista, casomai la critica può essere a spostare il progresso della umanità in una chiave di là da venire.
Quell'uomo siamo sempre noi, Renzo, siamo noi che combattiamo contro i nostri limiti e li superiamo con coraggio, determinazione e forza, ogni giorno
Non serve avere un Dio per questo, basta essere umani..
L'etica umana permette di rendere universale un discorso, quello pacifico altruista, ripeto con i limiti che inevitabilmente tale discorso ha, che permetterà alla umanità di sopravvivere.
Se il tutto si lega solo al cristianesimo, Giovanni, il discorso si chiude e rischia di non prevalere.
Ricordati i monaci che si bruciavano per la giustizia e la libertà, ma anche tutti quegli uomini autenticamente laici che hanno creduto nel valore dell'altruismo e della solidarietà.

Rosa Mauro
Autore Città Giorno Ora
Alessandro Calari bologna 07/12/2012 14.56
Titolo:
Caro Renzo,
mi lusinga che tu tenga ad un parere di un grezzo tecnico, ma per questo motivo desideravo conoscere i contenuti dell'Apocalisse, difronte a tre pezzi da 90 quali siete voi del linguaggio, sotto il tuo incalzare posso solo fare appello al mio pragmatismo.
Tutto in natura è bipolare, non è ancora stata trovata una calamita monopolo, è sempre bipolare, polo nord e l'opposto polo sud, ti dirò di più se disponi di un magnete permanente a forma di barra allungata e lo spezzi in tanti segmenti quanti vuoi, ti ritroverai in ciascuno la conservazione della bipolarità, potrei far altri esempi, pertanto mi chiedo perchè l'uomo nei sentimenti, nelle azioni, ecc. dovrebbe fare eccezione.
Nonostante detto ciò si presentano comportamenti morali assai diversi fra uomo ed uomo, in Leo Szilardindividuo il tipo che con umiltà è capace di cambiare faccia della moneta infunzione della variazione degli eventi, convinse Albert Eistein a suggerire a F. D. Roosvelt ad autorizzare il programma atomico nel timore che i tedeschi fossero vicini al risultato, ma quando ebbe la sicurezza che fossero fuori strada ancora una volta stimolò Eistein di suggerire a H. S. Truman, di non far uso di tali ordigni, ma questo ipocritamente religioso scaricò un problema strettamente di coscienza ad una entità ragiunta con la preghiera, poi J. Von Neumann volle sperimentare una bomba all'uranio ed una al plutonio e calcolò a quale altezza dal suolo dovessero esplodere per il massimo disastro , infine da ultimo, nonostante l'avvenuta l'inutile catastrofe, il E. Teller rincorse e creò la bomba all'idrogeno, la fusione del quale richiede come miccia una esplosione nucleare a fissione.
La mia stima va a Szilard e la maggior condanna, ti meraviglierai, a Truman per la sua ipocrisia, i rimanenti sono la rivelazione della faccia della moneta peggiore dell'uomo.
Rifuggo a tutto ciò che non è dimostrabile in modo scientifico in ogni tempo e luogo, pertanto considero ogni religione e dogma un inganno e strumento di violenza verso i deboli con fini di ottenere un potere che prende tante forme e faccie.
Fra le 4 religioni, così dette rivelate, ritengo che quella cristiana sia la più elaborata e trasformata nel più subdolo ed ipocrito strumento ad uso di potere oligachico immorale.
Per quanto concerne ai così detti testi sacri li considero alla stregua di tanti altri testi antichi giunti fino a noi attraverso manipolazioni, errori e traduzioni infedeli sia volute che per errori.
Altro non mi riesce a dire sull'argomento.

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Commenti Articolo 667

Titolo articolo : "CHARITE DULCISSIMA": IL RACCONTO DI APULEIO, A DIFESA DI UNA FANCIULLA RAPITA DA UNA CRICCA DI BRIGANTI PER OTTENERE UN BUON RISCATTO! Una nota di Franco Manzoni - con alcune note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: December/06/2012 - 19:08:33.

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Autore Città Giorno Ora
Antonio Carli Roma 15/6/2012 14.30
Titolo:Re
Caritè viene rapita da una cricca di banditi (la Chiesa), ma il mito viene ascoltato dall'uomo-asino (noi) nella caverna dei banditi. C'è un concorso di colpa; se l'uomo asino avesse la volontà di riconoscere che non è tale, i banditi non potrebbero più rapire Caritè.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/6/2012 08.25
Titolo:LA GRAZIA ("CHARIS"), L’AMORE ("CHARITAS"), E LA RICCHEZZA ("CARITAS") DELLA GER...
LA GRAZIA ("CHARIS"), L’AMORE ("CHARITAS"), E LA RICCHEZZA ("CARITAS") DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA. IL 'VANGELO' DI PAPA RATZINGER ("Deus caritas est", 2006) E' QUELLO DI VENDERE A "CARO PREZZO" (= "CARITAS")IL "PANE QUOTIDIANO" DEL "PADRE NOSTRO" ...
LA GRAZIA DEL DIO DI GESU' E' "BENE COMUNE" DELL'INTERA UMANITA', MA IL VATICANO LA GESTISCE COME SE FOSSE UNA SUA PROPRIETA'. Bruno Forte fa una 'predica' ai politici, ma non ancora a se stesso e ai suoi colleghi della gerarchia. Una sua nota.....

VEDI AL LINK: http://www.ildialogo.org/Ratzinger/Interventi_1290959038.htm
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/12/2012 19.08
Titolo:A MILANO, a Palazzo Marino. Amore e Psiche di Canova e di Gèrard ...
MILANO /Palazzo Marino

Un mito in mostra.Amore e Psiche la favola di Apuleio incanta gli artisti

Il neoclassicismo la reinterpreta con la raffinatezza delle opere di Canova e Gérard esposte a Milano

Le vicissitudini della fanciulla che fa innamorare un dio narrano l’epopea di un’anima

di Marco Vallora (La Stampa, 5.12.2012)

Sul cartiglio delle cinquecentesche incisioni attribuite all’ancora misterioso «Maestro del Dado» (un pozzo, da cui tutti attingono, per l’iconografia pittorica della storia di Amore e Psiche) si legge: «Narra Apuleio, che (mentre egli cangiato in asino serviva a genti ladre) / una sposa rubbaro... ». Inizia così la gloriosa epopea d’una delle favole più note dell’antichità, piena di peripezie e sorprese narrative, inscatolate, a pressione, entro le Metamorfosi di Apuleio, scrittore nomade e «discepolo platonico».

Proto-romanzo d’avventura (secondo secolo d. C.) influenzato da Luciano, riscoperto da Boccaccio, tradotto da Boiardo. Racconta la magica trasformazione di Lucio in un asino, venduto a dei ladroni. Gli stessi che hanno rapito una fanciulla e la tengono a languire in una caverna. (Qui si ripara anche l’asino: sant’Agostino ribattezzò l’ Asino d’oro le Metamorfosi ). Una vecchia nutrice con fuso, interrompendo il suo filare, proprio come s’interrompe miracolosamente il romanzo, le racconta la favola di Amore (Eros) e Psiche, che si snoda per molti libri e numerosi «ricami» di luoghi, coinvolgendo cielo, terra, Inferi.

Psiche è una bella fanciulla non nobile, così bella che nelle sue contrade la nominano Afrodite. Ma Venere in persona s’ingelosisce di questo suo doppio terrestre, troppo bella e difficile, per trovare un marito. Ed invia il suo figliolo Eros sulla terra, a colpirla con le sue temibili frecce, per farla innamorare della prima persona che capiti, purché mostruosa. Ma è Eros ad essere colpito della sua venustà: s’innamora di Psiche, ottenendo da lei di amarlo solo di notte. L’iconografia pittorica omaggia spesso questo mistero: coltri e baldacchini manieristi, atmosfere notturne, lanterne e fiaccole, bende e panneggi, ed Eros che depone le sue frecce, accanto alle complici lenzuola, quasi fossero occhiali e cellulari messi in carica. Mentre Psiche si rode di curiosità, soprattutto se hai delle sorelle invidiose, che intrigano, come nella falsariga classica di Cenerentola. Facendole credere che lui è un obbrobrioso mostro serpentinato, e sennò, perché non si mostrerebbe, come un consorte qualsiasi?

Infatti, proprio come capita nelle fiabe migliori (che in fondo si equivalgono) è l’interdetto, che maggiormente le brucia e la scotta. Proprio come nella fiaba di Barbablù o nella storia nordica di Lohengrin, che un’unica cosa chiede, di non chiedergli il suo nome. Ed in più, in questo caso, d’essere amato senza immagine, senz’esser guardato: paradosso figurativo, che ha turbato molta pittura. Una notte, munita d’un coltello (in realtà sarebbe un rasoio) per tema di trovarsi di fronte ad un mostro, e di una lucerna, che finalmente le sveli l’enigma, e che in realtà c’illumina regalmente quelle perfette fattezze nude, di putto serenamente addormentato, Psiche rimane incantata a rimirarselo, come se il tempo non esistesse più. Ma la curiositàdonna va punita, così dalla lucerna esausta scende una goccia malandrina, che ustiona il corpo nudo e tradisce il tradimento. Sulle sue ali di Cupido, Eros fugge via irato, mentre desolata Psiche, che lo ha amato d’un amore invincibile, vaga per il mondo spoglio, impossibilitata a reincontrarlo. Ci si mettono gli Dei (consigli parlamentari nell’Olimpo, così ben rappresentati da Giulio Romano, a Palazzo Tè) a complicare le cose e a divertire il lettore.

Venere stessa, tra il piccato e il pietoso, offre ancora un’ultima chance alla peregrina disperata, infilandola come un fuso, dentro terribili prove iniziatiche, che il Flauto Magico, al confronto, la diresti una passeggiata galante e cicisbea. Discese agli Inferi a dialogare con Proserpina (mito dell’inverno e della resurrezione primaverile). Pecore furiose da tosare dei loro velli d’oro, coppe da riempire a fonti inesistenti, semi da dividere, come in una trasmissione misterica della Carrà.

Così ti rendi conto che Apuleio, nato a Madaura e nutrito di cultura orientalnordafricana, sacerdote e avvocato di grido chierico vagante ed iniziato dei Misteri Eleusini, è anche un adepto della cultura neo-platonica, che vuole conciliare la filosofia pagana con il messaggio cristiano. Tra l’altro Apuleio ha sposato Pudentilla, madre molto più vecchia e poco avvenente del suo compagno di studi Ponziano, che muore giovane, lasciandolo tra parenti che lo accusano di plagio e di magia, e lui deve difendersi da solo dalla pena di morte.

Dunque si tratta dell’epopea mistica quotidiana d’un’anima, o Psiche (con ali di farfalla, non a caso: vista l’omonimia in lingua greca di psyké) che deve ricongiungersi con il suo Amore incorruttibile e divino, perché Eros (come l’amore carnale) non è che un viatico graduale verso la Perfezione Ideale. Lo ritroverà in cielo, nel banchetto regale che gli Dei hanno allestito per lei, fanciulla povera e fortunata, assunta nei saloni eleganti d’una reggia chiamata Olimpo.

Allora si capisce perché Raffaello, quando deve celebrare, tra l’esubero di tutte le grottesche di Penni, Perin del Vaga, Giovanni da Udine (suggestionate dalla recente scoperta epocale della creduta «grotta» della Domus Aurea) la storia della fanciulla plebea Francesca Ordeaschi, che va sposa con il nobile senese Agostino Chigi, committente della villa, scelga proprio questa storia allegorica ed edificante. E via così, nel Rinascimento: con Giulio Romano a Mantova, Dosso Dossi nei suoi lividi rami, Zucchi con i suoi dettagli medicei, Vouet ed i caravaggeschi, che sfruttano gli effetti notturni e tenebrosi: una goccia bollente per un amore eterno.

Poi viene il neoclassicismo, con Canova e Gerard (protagonisti della mostra di Palazzo Marino), Cavaceppi & C., storie d’ali di farfalla, infragilite nei marmi, un Giove winckelmanniano, che approfitta per lumacare con Eros, ed infine il Romanticismo, che insiste sugli aspetti più terribilisti (per proiettarsi poi sulla nostra contemporaneità, con allusioni in Fabio Mauri, Pistoletto e Paolini). Un’anima, che nel periodo Impero si fa anche specchierina da camera, per riflettere i patemi ed i pallori di troppe signorine innamorate.

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Canova. Nel marmo la leggerezza di una farfalla

Amore e Psiche stanti fu scolpito nel 1797. Gioachino Murat l’acquistò per 2000 zecchini

di Fiorella Minervino (La Stampa, 5.12.2012)

Gli orari L’ingresso alla mostra a Palazzo Marino di Milano è gratuito. Si entra tutti i giorni dalle ore 9,30 alle 20 (ultimo ingresso alle ore 19,30) giovedì dalle ore 9,30 alle 22,30 (ultimo ingresso alle ore 22) Chiusure anticipate 7 dicembre, chiusura alle 12. 24 e 31 dicembre, chiusura alle 18 Aperture straordinarie 8 e 25 dicembre e 1 gennaio 2013 Informazioni al pubblico 24h/24 Numero verde gratuito 800.14.96.17

L’allestimento Sopra la mostra nell’allestimento di Elisabetta Greci nella Sala Alessi di Palazzo Marino a Milano

Il giardino comincia già fuori, in piazza della Scala, all’entrata della mostra e procede tra i profumi che si diffondono nella Sala Alessi oltre le tre pareti ricoperte di erba sintetica fino all’ultimo spazio destinato all’incantevole Amore e Psiche stanti del Canova. Nulla meglio di questo prato ripensato alla maniera neoclassica per illustrare la favola di Apuleio nelle Metamorfosi, dove la coppia mitologica raffigura l’unione fra anima umana e amore divino. Un luogo adatto a ospitare il capolavoro, forse non il più celebre ma prediletto dall’autore, il campione italiano del Neoclassicismo.

Antonio Canova voleva calarsi nello spirito e nel clima dei classici, greci e latini, tanto da farsi leggere nel suo studio mentre lavorava fin tre volte al giorno i testi di Omero, Tacito, Polibio. Felice esito dell’amore intenso per la classicità evocata dal Winckelmann, il bello ideale universale e la quieta grandezza, la scultura in arrivo dal Louvre grandeggia nella luce che la avvolge e nella platonica serenità che promana.

Due teneri giovinetti sono fissati nel marmo candido (Canova li definiva «un gruppetto pudico») e dominano la scena ravvicinati nel turbamento dei corpi nudi levigati e sinuosi sopra il piedestallo adorno di preziose ghirlande di fiori. Il dio poggia la testa sulla spalla di lei cingendola castamente con il braccio, Psiche di bellezza mirabile e dalla nudità appena celata dal delicatissimo velo ai fianchi, posa delicatamente la farfalla, simbolo dell’anima, nella mano di lui. È un gesto sublime, un attimo sospeso, fuori dal tempo, dove l’umano si lega all’eterno. Il prodigio delle dita, la grazia nelle pose, la finezza dei riccioli nella capigliatura di Psyche e lo squisito panneggio sui fianchi raccontano sino a che punto il marmo potesse piegarsi al soffio nuovo dell’arte di Canova, alla «bella natura», il suo ideale di bellezza perfetta.

Alti 150 centimetri circa, i due adolescenti si incontrano e congiungono a nozze, immemori delle mille prove sostenute e dei dissidi celesti nell’Olimpo che li hanno divisi, uniti nella lucentezza e candore del marmo di Carrara dove Canova agitava lo scalpello con la facilità d’un pennello. Figlio d’uno scalpellino di Possagno, dove era nato nel 1757, aveva presto imparato, anche dai copisti di marmi antichi a Roma, a modellare la materia con maestria e scienza personale. Un procedimento che conduceva dal bozzetto vibrante di creta al gesso affidato agli aiutanti, da volgere poi al marmo con numerose rifiniture, come raccontò Hayez. Canova realizzò il gruppo nel 1797 a Roma, mentre si diceva così preoccupato per la desolata nostra nazione e «l’Europa tutta talmente ruinosa che sarei contento di andare in America». L’opera era destinata al colonnello John Campbell in sostituzione della versione famosa (sempre al Louvre) Amore e Psiche giacenti 1787- 83; finirono entrambe nel 1801 per 2000 zecchini a Gioachino Murat, esposte nella galleria del castello di Villiers, dove Napoleone potè ammirarle.

Fama e gloria coronarono il Canova già in vita, come forse nessuno degli artisti amici o ammirati, quali Mengs, Thorwalsen, e fin Piranesi o Batoni, Gavin Hamilton, Proudhon, neppure David. Non volle o mai riconobbe allievi, collezionò cariche e incarichi, con l’esimio merito di ricondurre nel 1815 in Italia dal Louvre alcune opere sottratte dai francesi, incaricato da Pio VII come delegato dello Stato Pontificio a Parigi. Fu venerato e onorato da Papi e dai sovrani d’ Europa, per cui lavorò, compresi Napoleone e Giuseppina Beauharnais e il figlio Eugenio vicerè d’Italia con sede a Milano e Monza. Fedele alla propria arte e condizionato da una salute cagionevole mori a Venezia nel 1822, per poi riposare a Possagno dove è affidato alla storia nel museo a lui dedicato. Oggi il suo genio torna a risplendere in questa mostra a Milano, città che seppe apprezzarlo e amarlo.

Ed è occasione davvero rara questa offerta dall’Eni, di mettere a confronto il celebre scultore con il pittore francese Gérard, nato a Roma da madre italiana, il maggior allievo di David. Le curatrici dell’evento Valeria Merlini e Daniela Storti, si dichiarano assai soddisfatte della formula annuale e di presentare i due esponenti del Neoclassicismo in una città neoclassica come Milano.

La Merlini aggiunge che questa è l’opportunità di raffrontare pittura e scultura nelle differenze e aspetti comuni, come le diverse sensibilità e sensualità degli autori. Poi spiega: «Ci lavoriamo dalla scorsa primavera e aspettiamo oltre 200 mila visitatori. Negli anni passati siamo stati premiati da un pubblico vario per età, cultura e provenienza. Per spiegare a chi viene il valore e i segreti di due capolavori sullo stesso tema, creati a un anno di distanza e per la prima volta esposti insieme, ci affidiamo a un gruppo di giovani storici dell’arte che guidano i visitatori della Sala Alessi».

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Gèrard. La moderna sensualità di due innamorati

Piaceva anche ad Ingres Psyché et l’Amour che tiene testa quasi ad armi pari alla scultura con cui si confronta

di Francesco Poli (La Stampa, 5.12.2012)

Ingres, molto spesso acidamente critico nei riguardi dei suoi colleghi, aveva dichiarato una volta che «Gérard ha abbandonato la pittura e la pittura ha abbandonato lui », aggiungendo però che «quando ha realizzato Psiche e Amore è stato un grande pittore; ha realizzato un capolavoro...».

E in effetti per l’ingrato Ingres (Gérard era stato tra i pochi ad aiutarlo agli inizi, quando era entrato nello studio di David) questo dipinto, esposto con grande successo al Salon parigino del 1798, è stato un punto di riferimento fondamentale. Non tanto come esempio (già allora in auge) di una tematica mitologica disimpegnata e «graziosa», con algide e sofisticate valenze erotiche, ma anche soprattutto per la peculiare elaborazione del linguaggio neoclassico. Gérard lo caratterizza con una straordinaria levità e levigatezza pittorica, e con un formalismo purista tale da subordinare persino la correttezza anatomica all’armonia complessiva dell’impianto compositivo (basta osservare la «impossibile» spalla di Psiche o il collo di Cupido).

Nella suggestiva messa in scena allestita dentro il grande salone di Palazzo Marino, il quadro di François Gérard è il co-protagonista insieme al capolavoro di Antonio Canova, Amore e Psiche stanti, del 1797. La pittura che si confronta con la scultura una bellissima sfida (incentrata su un tema mitico e intramontabile) che nonostante la celebrità dell’avversario, e il fascino assoluto della sua opera marmorea, Gérard è in grado di sostenere quasi ad armi pari.

Bisogna guardarlo a lungo il suo dipinto con le figure in grandezza naturale, per rendersi conto, con uno sguardo attuale (al di là della valutazione storico -critica della indubbia importanza dell’artista) della straniante e «moderna» qualità di questa composizione figurativa ma irreale, e non solo perché mitica.

Più rispettoso di Canova del racconto che si legge nell’ Asino d’oro di Apuleio, Gérard ci presenta Psiche nel momento in cui l’invisibile (per lei) Amore le sta per dare un bacio abbracciandola. Ed è per questo che, sorpresa e misteriosamente incantata, i suoi occhi non guardano lui ma davanti verso il vuoto, o meglio (e qui l’artificio del pittore è geniale) verso di noi, i curiosi esterni.

Questo incrocio di sguardi fra lei e noi crea una sottile e intensa tensione estetica, che fissa visivamente e direi anche strutturalmente tutta la visione pittorica. Dico fissa, perché l’artista ha dipinto i personaggi in modo tale da quasi annullare l’illusione della forza di gravità, senza ombre portate e senza una convincente integrazione con il paesaggio che fa da sfondo. Inoltre, una ulteriore essenziale magia (o astuzia) pittorica è determinata dalla raffinatissima strategia dell’abbraccio che non è tale.

Infatti le braccia di Amore sono attorno e vicinissime al corpo di Psiche ma non lo toccano (anche se c’è una intenzionale ambiguità per quello che riguarda la mano sinistra che sembra toccare la spalla in direzione del seno). Tutto ciò crea un effetto di sospensione, una sensazione di aerea immaterialità e di metafisica idealità.

Così Gérard riesce a trasmettere attraverso la forma (molto più che nella raffigurazione descrittiva) un aspetto cruciale del significato profondo della favola mitica, che ci parla di cose indefinibili come l’anima e l’amore, e cioè del mistero della vita umana terrena e del sogno di quella ultraterrena.

Nell’iconografia antica (per esempio nella copia romana da un originale ellenico) Psiche ha delle ali di farfalla, ma come nel caso di Canova anche Gérard ha pensato che fossero sufficienti quelle di Cupido, e ha inserito una farfalla vera, non nelle mani dei personaggi come ha fatto lo scultore, ma in volo nel cielo sopra la testa di lei ( psiche in greco vuol dire farfalla). Questo lepidottero ha una sua precisa valenza simbolica ed è allo stesso tempo un particolare naturalistico, dalla fragile e delicata leggerezza. Ma si può leggere formalmente anche come una metafora strutturale di tutto l’insieme della composizione, che si libra sulla tela con la stessa eterea grazia sospesa.

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Titolo articolo : L'IDOLATRIA DEL "MERCATO", LA CONNIVENZA DELLA "CHIESA", E IL "REGNO DI DIO".  ARTURO PAOLI E I SUOI CENTO ANNI. Una intervista di Marco Giorgetti - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: December/05/2012 - 11:33:07.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/12/2012 11.38
Titolo:TWITTERT. Un'operazione di “marketing” della fede ...
Con l’hashtag Pontifex l’omelia diventa un tweet


di Alessandro Oppes (il Fatto, 4.12.2012)

Un nuovo user irrompe su Twitter. Si presenta buon ultimo ma, come gli garantisce la massima evangelica, sa di avere tutte le carte in regola per arrivare primo. Chi più di Joseph Ratzinger, con un bacino potenziale di centinaia di milioni di fedeli-inter-nauti, può infatti scalzare dalla vetta Barack Obama, attuale leader della rete di microblogging con 24 milioni di followers? A 85 anni, il Papa si getta nella mischia del social network di moda e, nel giorno d’esordio, ha incassato più di 200 mila followers.. E poco importa che, in Rete, ci sia già qualcuno pronto ad avvisarlo: “Non sai in che pasticcio ti stai mettendo”.

È evidente che, al solo annuncio della notizia, diffusa con solennità dalla Sala Stampa vaticana, non potevano che cominciare a circolare scherzi e battute. Volgarità, in certi casi, ma spesso una banale revisione del linguaggio ecclesiastico. Frasi tipo “ama il follower tuo come te stesso”.

Oppure un Giovanni XXIII aggiornato: “Quando tornate a casa, leggete un tweet ai vostri bambini, e ditegli che è il tweet del Papa”. Inevitabili anche le incursioni calcistiche: “Ben detto, pontifex. Dare il Pallone d'Oro a Messi è peccato”. Inconvenienti che, evidentemente, sono stati messi in conto dai collaboratori di Banedetto XVI.

Niente di cui preoccuparsi, se si pensa ai potenziali benefici di un'operazione di “marketing” della fede di cui il Papa era da tempo il più convinto sostenitore. “L'essenzialità dei messaggi brevi, spesso non più lunghi di un versetto della Bibbia – aveva detto Ratzinger all'ultima giornata mondiale delle comunicazioni sociali – permette anche di formulare pensieri profondi”. E allora, ecco che parte la scommessa.

EVANGELIZZARE in 140 caratteri. Cinguettare le Sacre Scritture. Un account dal nome @pontifex (tutte le possibili alternative sono state scartate, perché già occupate) e, in una fase iniziale, tradotto in otto lingue: inglese, italiano, francese, spagnolo, tedesco, polacco, arabo e portoghese. Il profilo è già on line, ma il primo tweet arriverà solo il 12 dicembre.

Per rivolgere domande al Papa su “questioni relative alla vita di fede”, si dovrà utilizzare l'hashtag #askpontifex. A rispondere, sarà uno staff di suoi collaboratori anche se, assicurano in Vaticano, sempre sotto la supervisione di Benedetto XVI. Ovviamente, chiunque può diventare follower del Papa. Ma non aspettatevi che lui vi chieda di diventare vostro seguace. Sarebbe solo una pia illusione.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/12/2012 13.04
Titolo:TWITTER, COME MEGAFONO PER ACCRESCERE LA "MEGALOMANIA" MERCANTILE ...
Aspettando @pontifex. Chiesa e nuovi media

di Teresa Numerico (l’Unità, 4 dicembre 2012)

Anche Benedetto XVI cede al fascino dei social network. dal 12 dicembre prossimo, il giorno della festa della Madonna di Guadalupe, sarà possibile leggere i tweet approvati dal papa. Il debutto del profilo in sette lingue è avvenuto ieri. @pontifex ha ottenuto in poche ore migliaia di follower. Solo la versione inglese aveva alle cinque del pomeriggio più di centoventimila seguaci. Tuttavia sappiamo che il Papa non si occuperà di persona di scrivere i suoi cinguettii, perché non è particolarmente abituato alle nuove tecnologie, scrive i suoi testi a mano e non usa direttamente gli strumenti elettronici.

La scelta di usare Twitter si pone comunque come un chiaro segnale di apertura nei confronti delle possibilità offerte dai media sociali per il magistero della Chiesa con lo scopo di ottenere l’attenzione di fedeli e interlocutori.

Nel presentare l’iniziativa i rappresentanti vaticani hanno dichiarato che la presenza del Papa su Twitter è una concreta espressione della convinzione che la Chiesa debba essere presente nell’arena digitale. Il profilo papale su Twitter è solo la punta dell’iceberg della riflessione sull’importanza che il vertice della Chiesa cattolica annette alla cultura dei nuovi media.

Sarà possibile anche porre direttamente domande al Pontefice, utilizzando l’hashtag #askpontifex. Il profilo potrà fornire le risposte alle domande che riterrà più opportuno accogliere, sebbene resti chiaro che non saranno prese di posizione ex cathedra. Greg Burke, il consulente per i media del Pontefice, ha spiegato che non si tratta di mandare Benedetto XVI in giro con l’iPad o il Blackberry, né di mettergli le parole in bocca. Il Papa dirà solo quello che vorrà. Probabilmente, però, il primo tweet lo scriverà di persona.

La Chiesa del resto si è sempre sforzata di essere all’avanguardia nell’uso dei mezzi di comunicazione nei secoli, e questa è una delle caratteristiche che ne ha garantito la longevità. Dagli amanuensi che copiavano i manoscritti da conservare, alla svolta della controriforma con il suo braccio comunicatore affidato ai gesuiti, passando per il primo messaggio radiofonico di Pio XI nel 1931, e ancora l’esperienza di comunicazione del Concilio Vaticano secondo, la Chiesa non ha mai abbandonato l’impegno a sperimentare i mezzi di comunicazione più adatti al proprio messaggio. Del resto, uno dei maggiori contributi alla teoria sui media si deve a un pensatore canadese convertito al cattolicesimo come Marshall McLuhan.

Per tornare al presente, molte altre personalità pubbliche, religiose e non, utilizzano i social media per comunicare con i propri interlocutori. Ha da poco fatto il giro del mondo la foto postata da Obama mentre abbraccia calorosamente Michelle dopo la rielezione, nel caso ci fosse ancora bisogno di riconoscere la potenza mediatica di Twitter, che si conferma il social network più amato dalle celebrità. Ma come mai? Forse perché si tratta di uno strumento che consente di comunicare in modo asincrono e di gestire soprattutto la relazione uno a molti in modo piuttosto efficace. In questo senso non stupisce che il profilo del Pontefice abbia scelto di seguire solo se stesso nelle sue sette varianti linguistiche e di non avere interlocutori, ma solo ascoltatori.

È una scelta precisa: adoperare i social network come un medium di massa e non come uno strumento di interazione. La Santa Sede vuole usare Twitter come un megafono per diffondere la fede e divulgare il proprio messaggio, ma non (o almeno non direttamente) come uno strumento di ascolto di quello che altre personalità religiose e politiche, o anche persone comuni hanno da dire. È una precisa posizione su come essere presenti sui media sociali, non proprio all’avanguardia, pur essendo efficace.

Resta però difficile sottrarsi fino in fondo al carattere interattivo e il profilo @pontifex ci consente di valutare a colpo d’occhio quanti sono i follower nelle varie lingue offrendo un sondaggio naturale sulla reale presenza della religione cattolica nelle diverse comunità linguistiche. Inoltre la scelta delle prime sette lingue, la maggior parte delle quali concentrate in Europa e in America, con l’eccezione dell’arabo, e l’assenza del cinese ci permettono di riconoscere qual è la comunità linguistica alla quale il Vaticano ritiene di doversi rivolgere per sostenere e diffondere il proprio messaggio.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/12/2012 11.33
Titolo:Pontifex e le cavallette ....
Pontifex e le cavallette

di Massimo Gramellini (La Stampa, 5 dicembre 2012)

In occasione del Santo Natale e del Santissimo Twitter, dove Benedetto XVI sbarcherà a giorni con il profilo Pontifex, da ieri è possibile inviare una domanda al Papa digitando un massimo di 140 caratteri sul telefonino. Gli italiani, popolo profondo e spirituale, ne hanno immediatamente approfittato per rivelare a Ratzinger i loro tormenti interiori.

«Benedè, di’ la verità. Ogni tanto ce ’a metti ’a nutella dentro l’ostia?», «Se ti mando un po’ di casse d’acqua, mi rimandi indietro i boccioni di vino?», «Santo Padre, ma è lei a essere responsabile dell’evoluzione di Terence Hill da Trinità a don Matteo?», «Visto che c’hai contatti boni, ti fai dire perché Noè ha caricato quelle minchia di zanzare?», «Se qui sulla terra c’è il digitale terrestre, in paradiso hanno il digitale celeste?», «Ok l’invasione delle cavallette e la tramutazione dell’acqua in sangue, ma la Santanché era indispensabile?», «E’ vero che chi fa la spia è figlio di Maria?», «Si mette mai sui condotti d’aria con la gonna per imitare Marilyn Monroe?», «Se il diavolo veste Prada, lei veste Dolce & Gabbana?», «Che me prendi ’na stecca de sigarette, che ’ndo stai tu costano meno?», «Ti è piaciuto l’ultimo di Lady Gaga?», «Sopra la papamobile come stai messo co’ la sinusite?», «Ma er papa c’ha ’e scarpette rosse perché giocava a basket?», «E’ vero che il terzo segreto di Fatima è la birra non pastorizzata?».

Non si offenda, Santità. Siamo italiani. Comici per timidezza. E leoni da tastiera quando nessuno ci vede. Dal vivo, metà di questi le bacerebbe l’anello e l’altra metà, baciandolo, glielo sfilerebbe dal dito.

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Commenti Articolo 669

Titolo articolo : Premio “Industriale dell'anno” ai Riva,di Ufficio stampa Legambiente Lombardia

Ultimo aggiornamento: December/03/2012 - 09:03:40.

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Autore Città Giorno Ora
renza assola alba 03/12/2012 09.03
Titolo:
il premio ai Riva denota solamente a quali risultati siamo arrivati nel non cercare, a rappresentarci, persone dal profilo umano e culturale di un certo livello. il degrado nell'istruzione e lo svilimento delle competenze e dell'esperienza ha dato spazio alla cialtronaggine. siamo ostaggio dei cialtroni; ma abbiamo voglia di rinunciare a piccoli tornaconto personali per una visione d'insieme più ampia e più illuminata?

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Commenti Articolo 670

Titolo articolo : Il Decreto Ilva non può dissequestrare gli impianti.,di Alessandro Marescotti

Ultimo aggiornamento: December/02/2012 - 18:42:00.

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Autore Città Giorno Ora
Marcella CORO' Mogliano veneto (TV) 02/12/2012 18.42
Titolo:condivido
grazie marescotti, condivido in toto quanto scrive: è vergognoso quanto ha detto Clini e mi vergogno di appartenere ad un popolo che permette un simile ministro incapace, che sostiene i poteri forti e continua a prendere in giro gli operai, andando persino contro la magistratura. Tutta mia stima a quel giudice donna che ha il coraggio di mettere al primo posto la salute, dopo gli innumerevoli disastri causati dall'ILVA.Non si può sostenere un tipo di lavoro che produce MORTE !!Basta con la devastazione di questo modo di produrre !!!Spero che i magistrati riescano a vincere su di un governo traditore della Costituzione !!Grazie e cordiali saluti -Marcella CORO'

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Commenti Articolo 671

Titolo articolo : LEGGE E DESIDERIO: FREUD CERCA LA STRADA OLTRE L'EDIPO, DELEUZE E GUATTARI TEORIZZANO "L'ANTI-EDIPO", E RECALCATI - SEGUENDO LACAN - RESTA ANCORA IN MEZZO AL GUADO. La sua analisi - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: December/02/2012 - 15:25:47.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/11/2012 19.24
Titolo:COME SE LA LEGGE NON ESISTESSE. L'illusione anti-edipica continua ....
Neoanarchici & co.

La rivoluzione senza leader

Né dirigenti, né linea politica

Il fine non è abbattere lo Stato ma agire come se non esistesse

di Antonio Carioti (Corriere La Lettura, 18.11.2012)



Lenin è morto, la rivoluzione è viva. Nessuno oggi sogna più la presa del Palazzo d'Inverno, né immagina avanguardie proletarie rette da una disciplina d'acciaio. Ma l'idea di un profondo sovvertimento dell'ordine vigente, che riorganizzi la vita sociale su basi nuove, non è scomparsa. Anzi la crisi finanziaria mondiale, con l'impoverimento e il vuoto di prospettive che ne sono derivati per un numero enorme di persone anche nei Paesi ricchi, ha rianimato non solo la protesta giovanile, dagli Indignados spagnoli a Occupy Wall Street, ma anche le riflessioni teoriche nutrite dal fuoco della speranza rivoluzionaria.

Nel definire l'obiettivo finale, qualcuno usa ancora la parola «comunismo»: per esempio Francesco Raparelli nel pamphlet Rivolta o barbarie (Ponte alle Grazie). Ma certo nessuno ipotizza più la conquista dell'apparato statale. L'orizzonte è semmai sintetizzato nel titolo-slogan di un libro uscito in Italia nel 2004: Cambiare il mondo senza prendere il potere (Intra moenia) di John Holloway, un docente dell'ateneo messicano di Puebla che, quando cita il comunismo, spesso aggiunge tra parentesi frasi del tipo «o comunque scegliamo di chiamarlo», anche per segnare un distacco netto dall'esperienza bolscevica.

In un saggio più recente, Crack Capitalism (DeriveApprodi), Holloway descrive la rivoluzione come «un processo interstiziale», cioè «il frutto della trasformazione quasi invisibile delle attività quotidiane di milioni di persone», che con i loro «rifiuti nei confronti del sistema» aprono crepe man mano sempre più profonde nella «coltre di ghiaccio» del capitalismo, fino a determinarne il collasso. Non si tratta di distruggere l'ordine borghese, quanto di rifiutare ogni cooperazione al suo funzionamento.

Siamo dunque ben lontani dal marxismo-leninismo. È semmai con un altro filone di pensiero che si registrano forti affinità, come sottolinea l'antropologo David Graeber, ex docente di Yale e militante di Occupy Wall Street, nel testo Rivoluzione: istruzioni per l'uso, di prossima uscita per la Bur. A suo avviso dall'insurrezione zapatista del 1994, passando per le manifestazioni contro il Wto di Seattle (1999) e le varie lotte contro le politiche neoliberiste, fino all'entrata in scena di Occupy, si è manifestata «la più grande fioritura autocosciente di idee anarchiche della storia».

Sta infatti tornando in auge, secondo Graeber, il concetto tipicamente libertario di «azione diretta» (Direct Action è il titolo originale del suo saggio), che «consiste nell'agire, di fronte a strutture di autorità inique, come se si fosse già liberi». Abbattere il sistema politico borghese appare allora un obiettivo fuorviante, bisogna piuttosto comportarsi «come se lo Stato non esistesse».


Gli anarchici, ricorda Graeber, erano il fulcro della sinistra rivoluzionaria nel lungo periodo di pace tra fine Ottocento e inizi del Novecento, mentre hanno conosciuto una grave crisi, sfociata in una duratura eclissi tra il 1914 e il 1991, all'epoca delle guerre mondiali e del conflitto Est-Ovest, quando la rivoluzione si era fatta Stato nel comunismo sovietico, che recava però dentro di sé contraddizioni insanabili. Il fatto è, scrive Graeber, che «non si può creare una società libera attraverso la disciplina militare, non si può creare una società democratica dando ordini, non si può creare una società felice attraverso il sofferto sacrificio di sé». Non a caso la bancarotta dell'Urss ha coinciso con la ripresa di pratiche tendenzialmente anarchiche.

Derivano da questa esperienza storica, sempre secondo l'antropologo americano, due insegnamenti basilari. Il primo è che, se l'uso della forza non può essere ritenuto illegittimo in linea di principio, i rivoluzionari devono sforzarsi di essere «più non violenti possibile», come mostrano in America Latina i successi dei movimenti disarmati (i «senza terra» brasiliani, ma in fondo anche gli zapatisti) e la deriva dei gruppi di guerriglia degenerati in «bande di gangster nichilisti».

Il secondo è che la forza dell'anarchismo risiede nel fatto che «non si considera fondamentalmente un progetto di analisi ma un progetto etico», cioè non intende tracciare una strategia politica rivoluzionaria, ma rispecchia il desiderio di libertà insito nell'animo umano e fa appello alla coscienza degli individui contro ogni coercizione. Quindi rifiuta le gerarchie interne e anche il meccanismo della rappresentanza, mentre aspira a una democrazia diretta basata sul consenso generale dei singoli.

Emergono qui, insieme a molti punti di contatto, anche rilevanti differenze tra Graeber e i teorici d'impianto marxista. Per esempio Raparelli parla ancora di «giusta violenza che deve accompagnare la traiettoria anticapitalista dei movimenti», fino a evocare una «macchina da guerra», sia pure non come apparato militare, ma come prodotto di una «irriducibile proliferazione gruppuscolare».

Antonio Negri e Michael Hardt, nel libro Questo non è un manifesto (Feltrinelli), plaudono alla «mancanza di leader e di ideologia» degli attuali movimenti, ma non rinunciano a una sonora enunciazione di principi e affidano ai contestatori odierni un compito «costituente» che contempla per sua natura una qualche organizzazione politica. Gli Indignados, scrivono Negri e Hardt, «naturalmente non sono anarchici»: un'affermazione su cui Graeber, il quale a sua volta preferisce parlare «non di potere costituente ma destituente», avrebbe parecchio da ridire. Significativa è inoltre la divergenza nel giudizio sul presente.

Consapevoli degli scarsi sbocchi che finora le rivolte hanno trovato a livello politico (basti pensare che le primavere arabe sembrano aver innescato una deriva teocratica), Negri e Hardt confidano nell'irrompere di «eventi inaspettati e imprevedibili», che forniscano l'occasione di «costruire una nuova società».

Graeber si mostra invece convinto che la svolta sia già avvenuta, con il tramonto del «pensiero unico» liberista. Nemmeno la «guerra al terrore» seguita all'11 settembre, sostiene, è riuscita a rimettere in sella le forze dominanti, perché «gli Stati Uniti semplicemente non hanno le risorse economiche per mantenere il nuovo progetto imperialista».

La rivoluzione sarebbe insomma già in cammino, anche se, ammette Graeber, resta aperto il problema di come conciliare le mentalità, inevitabilmente diverse, degli «alienati» (gli occidentali afflitti da varie forme di disagio) e degli «oppressi» (gli abitanti del Terzo Mondo che soffrono la miseria e la fame), senza contare la difficoltà di convincere chi non si ribella al sistema, quelli che il filosofo Paolo Virno chiama «i corrotti e i crumiri». Non è affatto detto che lo spirito rivoluzionario sia contagioso come ritengono i suoi cultori.

In realtà, da un punto di vista estraneo al romanticismo sovversivo, il rilancio delle teorie radicali non assomiglia al preannuncio di un futuro radioso, ma semmai al sintomo di una crescente inadeguatezza del modello occidentale. In Italia lo si vede meglio che altrove, ma è evidente che i canali della rappresentanza e della partecipazione politica sono ostruiti un po' dovunque.

Uno studioso nient'affatto rivoluzionario come il francese Pierre Rosanvallon, nel saggio Controdemocrazia (Castelvecchi), sottolinea la necessità di sviluppare meccanismi di sorveglianza, interdizione e giudizio, peraltro difficili da formalizzare, che consentano ai cittadini un effettivo coinvolgimento nell'attività dei governanti. E un accademico austero come Salvatore Settis lancia un vibrante appello all'iniziativa dal basso per la riaffermazione dei valori costituzionali, in un libro il cui titolo Azione popolare (Einaudi) richiama curiosamente l'«azione diretta» predicata da Graeber.

Forse però il problema è più profondo. Alla fin fine è la modernità stessa che scricchiola, se i rivoluzionari sembrano aver rigettato, recuperando più o meno apertamente l'anarchismo, l'idea marxiana per cui il regno della libertà doveva scaturire dal pieno dispiegamento delle forze produttive.

Oggi al contrario domina la retorica medievaleggiante dei beni comuni, o più semplicemente del «comune» (come lo chiamano Negri e Hardt), che tutti ovviamente distinguono con cura dal collettivismo statalista di sovietica memoria. Ma le rivolte pauperiste latinoamericane, per quanto rispettabili e giustificate, non sembrano collocarsi esattamente all'avanguardia del progresso. E come si possa «rendere comune» la proprietà senza inceppare l'economia resta un interrogativo inevaso.

Lo stesso Graeber prende le distanze dal primitivismo anarchico di John Zerzan, che giunge a condannare come alienante ogni genere di attività, comprese l'agricoltura, l'arte e la scrittura, fino ad auspicare «il ritorno all'età della pietra». Ma non è forse questa la china verso cui si slitta con l'annullamento di ogni regola che non sia spontaneamente e unanimemente accettata?

Tutto ciò, al netto del suggestivo gergo postmoderno, finisce per confermare implicitamente il giudizio di un attento studioso dei fenomeni rivoluzionari da poco scomparso, Domenico Settembrini, secondo cui l'anarchismo è in sostanza «un elemento di disturbo nei confronti del processo di modernizzazione capitalistico-liberale». D'altronde la società in cui viviamo presenta parecchi elementi patologici, la cui denuncia è pienamente legittima. Ma che la ribellione in sé possa configurare la costruzione di un'alternativa già in atto, come ipotizzano i teorici rivoluzionari vecchi e nuovi, pare una pretesa davvero eccessiva.


L'antropologo

Esce in libreria mercoledì 21 novembre il saggio dello studioso americano David Graeber «Rivoluzione: istruzioni per l'uso» (Bur). L'autore, nato nel 1961, è noto come antropologo, ma anche come militante di tendenza anarchica e ideologo di Occupy Wall Street. Quest'anno sono usciti in Italia due libri di Graeber: «Critica della democrazia occidentale» (Eleuthera) e «Debito. I primi 5.000 anni» (Il Saggiatore)

Il sociologo

John Holloway, nato a Dublino nel 1947, insegna sociologia all'Università autonoma di Puebla, in Messico, ed è considerato uno dei teorici del movimento zapatista. Oltre a «Crack Capitalism» (DeriveApprodi), ha pubblicato in Italia «Cambiare il mondo senza prendere il potere» (Intra moenia, 2004) e «Che fine ha fatto la lotta di classe?» (Manifestolibri, 2007)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/11/2012 17.09
Titolo:RECALCATI RIPETE IL RITORNELLO LACANANO ....
La società orizzontale

di Massimo Recalcati (la Repubblica, 25 novembre 2012)

Nel nostro tempo spira un vento forte in direzione contraria alla funzione sociale delle istituzioni. Gli esempi sono molteplici e investono anche la nostra vita collettiva: dalla famiglia alla Scuola, dai partiti ai sindacati, dall’editoria alla vita affettiva, assistiamo ad una caduta tendenziale della mediazione e della sua funzione simbolica.

Di fronte ad una bocciatura i genitori tendono ad allearsi con i loro figli più che con gli insegnanti; possono cambiare scuola o impugnare la loro causa rivolgendosi ai giudici del Tar; il ruolo educativo da parte di un adulto suscita spesso il sospetto di un abuso di potere; la Rete offre la possibilità a chi ritiene di essere uno scrittore di farsi il proprio libro online senza passare dal giudizio degli editori; la figura del critico, che faceva da ponte tra opera e pubblico, è oramai azzerata; le amicizie non passano più dalla mediazione indispensabile dell’incontro dei volti e dei corpi, ma si coltivano in modo immateriale sui social networks;di fronte alla dimensione necessariamente snervante del conflitto politico si preferisce l’opzione della violenza o dell’insulto.

Anche i sintomi che affliggono la vita delle persone hanno cambiato di segno; mentre qualche decennio fa apparivano centrati sulle pene d’amore, sull’importanza irrinunciabile del legame sociale, oggi non è più la rottura del legame a fare soffrire, ma è l’esistenza del legame che viene avvertita come fonte di disagio.

Un disagio diffuso soprattutto tra i ragazzi. Milioni di giovani vivono, nel mondo cosiddetto civilizzato, come prigionieri volontari. Hanno interrotto ogni legame con il mondo, si sono ritirati nelle loro camere, hanno abbandonato scuola e lavoro. Questa moltitudine anonima preferisce il ritiro, il ripiegamento su di sé, alla difficoltà della traduzione imposta dalla legge della parola.

È un segno dei nostri tempi. Il Terzo appare sempre più come un intruso. Eppure non c’è vita umana che non si costituisca attraverso la mediazione simbolica dell’Altro. Il pianto angosciato di un bambino nella notte ci chiama alla risposta, alla presenza, ci convoca nella nostra responsabilità di accogliere la sua vita. Il mito del farsi da se stessi, dell’autogenerazione, come quello del farsi giustizia da sé, è un mito che il liberismo contemporaneo ha assunto come un suo stemma.

In realtà nessuno è padrone delle sue origini, come nessuno può essere salvatore del mondo. Non esiste comunità umana senza mediazione istituzionale, senza mediazione simbolica, senza il lavoro paziente della traduzione della lingua dell’Altro.

Divento ciò che sono solo passando dalla mediazione dell’Altro (famiglia, istituzioni, società, cultura, lavoro, ecc.) e non solo attraverso le esperienze personali che ho fatto. Nel nostro tempo questa mediazione necessaria alla vita è in crisi.

Nel nome di una società orizzontale che esalta i diritti degli individui senza dare il giusto peso alle loro responsabilità evapora la dimensione della mediazione simbolica: fare gli interessi della collettività è percepito come un abuso di potere contro la libertà dell’individuo.

Questo declino della mediazione simbolica non significa solo che il nostro tempo ha smarrito la funzione orientativa dei grandi ideali della modernità e scorre privo di bussole certe al di fuori dei binari solidi che le grandi narrazioni ideologiche del mondo (cattolicesimo, socialismo, comunismo, ecc) e le sue istituzioni disciplinari (Stato, Chiesa, Esercito) assicuravano, ma manifesta una sorta di mutazione antropologica della vita.

L’individualismo si afferma nella sua versione più cinica e narcisistica investendo la dimensione della mediazione simbolica di un sospetto radicale: tutte le istituzioni che dovrebbero garantire la vita della comunità non servono a niente, sono, nella migliore delle ipotesi, zavorre, pesi arcaici che frenano la volontà di potenza dell’individuo o, nella peggiore delle ipotesi, luoghi di sperpero e di corruzione osceni. Ma come? Non è compito delle istituzioni, come dichiarava Lacan, porre un freno al godimento individuale rendendo possibile il patto sociale, la vita in comune?

La violenza di questa crisi economica ha prodotto giusta indignazione e sfiducia verso tutto ciò che agisce in nome della vita pubblica, verso tutto ciò che sfugge al controllo diretto del cittadino. Le istituzioni non l’hanno saputa avvertire, frenare, governare.

Il caso della politica si impone come esemplare. Il luogo che secondoAristotele deve riuscire a determinare l’integrazione pubblica delle differenze individuali sotto il segno del bene dellapolis- il luogo più eminente della traduzione simbolica - si è rivelato corrotto dalla affermazione più scriteriata degli interessi individuali.

Il politico liberato dal peso dell’ideologia si è ridotto a un furfante che ruba per se stesso. Eppure non si può rinunciare così facilmente alla politica, l’arte della mediazione.Perché i rischi sono evidenti, li abbiamo visti in questi anni, tra leadership carismatiche e fondazioni mitiche. Li vediamo oggi quando avanza un nuovo populismo che si appoggia sulla democrazia tecnologica garantita dalla Rete per evitare la “truffa” della mediazione politica.

Ma il populismo non è forse una forma radicale di pensiero anti-istituzionale che rigetta la mediazione simbolica affermando l’illusione di una democrazia diretta puramente demagogica?In questo senso il liberale conservatore Lacan replicava alle critiche degli studenti del ’68 che gli rimproveravano di non autorizzare la rivolta contro le istituzioni che non esiste alcun “fuori” dalla mediazione imposta dal linguaggio. Il destino degli esseri parlanti è infatti quello della traduzione.

Lacan disillude l’impeto rivoluzionario degli studenti: non esiste possibilità che una rivolta animata dalla rottura con il campo istituzionale del linguaggio non ricada nella stessa violenza dalla quale avrebbe voluto liberarsi. La rivoluzione porta sempre con sé un nuovo padrone.

L’invocazione di una democrazia diretta che reagisca in modo anti-istituzionale alla debolezza e alla degenerazione insopportabile delle istituzioni rischia di spalancare il baratro di un populismo che finisce per gettare via insieme all’acqua sporca anche il bambino.

Il grillismo sbandiera una forma di partecipazione diretta del cittadino che rifiuta, giudicandola un ferro vecchio della democrazia, la funzione sociale dei partiti. Ma è un film che abbiamo già visto. È una legge storica e psichica, collettiva e individuale insieme: chi si pone al di fuori del sistema del confronto politico e della mediazione simbolica che la democrazia impone,finisce per rigenerare il mostro che giustamente combatte.

Non è solo un insegnamento della storia ma anche, più modestamente, della pratica della psicoanalisi. La rabbia verso i padri, il puro rifiuto di tutto ciò che si è ricevuto, il disprezzo dell’eredità, rischia sempre di generare una protesta sterile, che impedisce di discriminare l’oro dal fango, che fa di tutta l’erba un fascio, e,dulcis in fundo,che mantiene legati per sempre al padre di cui ci si voleva liberare, rieditandone il volto mostruoso e autoritario.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/11/2012 12.58
Titolo:RECALCATI Jacques Lacan. Desiderio, godimento, soggettivazione
- Tutto Lacan in due volumi il nuovo lavoro di Recalcati
- Dall’etica al desiderio, i pensieri di un maestro

Tutto su Lacan

- Il primo volume, appena pubblicato, è sul soggetto e i sentimenti

- di Roberto Esposito (la Repubblica, 28.11.2012)

Noi, i soggetti. Ma chi siamo, noi? E cosa vuol dire “soggetto”? Che rapporto passa tra me e l’altro, all’interno della comunità? Ma anche tra me e ciò che, senza appartenermi, come il linguaggio che parlo, mi condiziona, mi modella, mi altera? E ancora: cosa è, per ciascuno di noi, il desiderio? A quale legge risponde? E come si articola con l’etica, l’arte, l’amore? Sono le grandi domande che si pone, e ci pone, Massimo Recalcati in Jacques Lacan. Desiderio, godimento, soggettivazione (Cortina), prima parte di un dittico, straordinario per quantità e qualità, cui seguirà un’altra sulla clinica psicoanalitica. Si tratta del suo ultimo libro, ma anche, più a fondo, del libro della sua vita. Certamente Recalcati ne scriverà ancora molti. Ma il libro della vita è un’altra cosa. È il libro cui dedichiamo la vita, ingaggiando una battaglia che non possiamo mai davvero vincere. E che poi, a un certo momento, sorprendendoci, la vita scrive attraverso di noi.

Si potrebbe dire che questo, a conti fatti, è quanto ci ha insegnato Lacan. La sua è un’opera “difficile” - non perché lontana dalla nostra esperienza, ma perché, al contrario, tanto prossima ad essa che quasi non riusciamo a metterla a fuoco e oggettivarla. La forza e il fascino del libro di Recalcati stanno appunto in questa consapevolezza. Nel sapere, e nel dirci, che le tesi di Lacan non possono essere descritte dall’esterno, come una qualsiasi teoria, ma vanno riconosciute dentro di noi - nei nostri gesti e nelle nostre parole, nei nostri impulsi e nei nostri smarrimenti. In questo senso va intesa quella “sovversione del soggetto” cui, fin dai primi seminari, Lacan dedica la propria opera - e dunque, come si diceva, la propria vita. Contro l’idea di una padronanza del soggetto su se stesso egli ci insegna che diveniamo ciò che siamo soltanto attraverso la mediazione simbolica dell’Altro - di un terzo che s’interpone nella relazione narcisistica tra noi e la nostra immagine, complicandola ma anche vivificandola, dando senso a ciò che sembra non averne.

Recalcati ricostruisce in tutte le sue pieghe lo sviluppo, tutt’altro che lineare, di un pensiero, come quello di Lacan, costituito nel punto di confluenza e di tensione tra esistenzialismo e strutturalismo, capace di assorbire, traducendoli in un impasto originalissimo, gli influssi di Hegel e Heidegger, di Sartre e Kojève, di Saussurre e Jakobson - per non parlare di Freud, restato fino all’ultimo il suo interlocutore privilegiato.

In questo quadro complesso e in continua evoluzione, quale è il suo punto di partenza - il nucleo rovente da cui si può dire nasca la necessità del suo pensiero? Si tratta del fatto che, nel rifiuto narcisistico dell’altro, nel tentativo inane di ricucire la propria faglia originaria, il soggetto mostra di odiare innanzitutto se stesso. In questo modo - nel nodo mortifero che lega Narciso a Caino - si può rinvenire la radice dei totalitarismi e della guerra, a ridosso dei quali Lacan comincia a lavorare.

Quello che, nella stretta distruttiva tra Immaginario e Reale, risulta escluso è il piano del Simbolico, della relazione con l’altro, intesa come domanda di riconoscimento reciproco, come legge della parola e del dono. Quando la tendenza all’immunità - alla chiusura identitaria - prevale sulla passione per la comunità, l’Io batte contro il proprio limite rimbalzando sull’altro, secondo una pulsione di morte che finisce per risucchiarli entrambi nel proprio vortice. I grandi temi dell’inconscio come linguaggio, del nome del padre, della dialettica tra desiderio e godimento, sono tutti modi per proporre, da parte di Lacan, la medesima esigenza. Che è quella, per un soggetto esposto alla propria alterità, di non identificarsi con se stesso, ma senza perdersi nell’altro. Di sfuggire alla ricerca compulsiva di un godimento senza limiti, ma anche alla legge di un desiderio senza realizzazione.

L’originalità di Lacan - nell’interpretazione di Recalcati - sta nella capacità di tenersi lontano da entrambi questi estremi. Di non contrapporre il godimento al desiderio, ma di cercare di articolarli in una forma che fa di uno il contenuto dell’altro. Il processo di soggettivazione - vale a dire di elaborazione, da parte dell’io, dell’alterità da cui proviene - è il luogo di questa alleanza, la zona mobile in cui le acque del desiderio confluiscono in quelle del godimento, pur senza mischiarsi. Godere nel desiderio, attraverso il desiderio - vale a dire non di una pienezza irraggiungibile, ma della differenza che ci attraversa e ci costituisce: ecco la sfida, il luogo impervio della nostra responsabilità etica verso l’altro, che né la dissipazione libertina di Sade né la morale sacrificale di Kant potevano mai attingere.

È il tema su cui sono tornati con efficacia anche Bruno Moroncini e Rosanna Petrillo in L’etica del desiderio. Un commentario del seminario sull’etica di Lacan (Cronopio). Quali sono i segni di questa possibile giuntura tra godimento e desiderio, pulsione e legge, uno e altro? Lacan li rintraccia intanto in un’etica del reale - non dei valori trascendenti - che, pur consapevole della necessità che ci governa, la apre alla contingenza dell’incontro inatteso, come quella che, nell’interpretazione sartriana, fa di Flaubert non un idiota, ma un genio.

Ma li ritrova anche nella dinamica dell’amore - come ciò che riscatta l’impossibilità degli amanti di ottenere un godimento reciproco. Mentre il maschio non può godere che di se stesso e in se stesso, la domanda della donna è senza limiti e dunque mai soddisfatta. Vero amore è quello che, anziché rimuoverla, riconosce questa distanza, rinunciando al godimento assoluto. Non l’abolizione della mancanza, ma la sua condivisione nell’abbandono e nel rischio che ne deriva. L’arte, in una diversa esperienza di sublimazione, riproduce tale condizione. Anche in essa la pulsione si afferma circoscrivendo un vuoto - elevando il proprio oggetto alla dignità della Cosa. Come provano i quadri di Cézanne, ma anche la scatola di fiammiferi di Prévert, in una pratica artistica intesa come organizzazione del vuoto, presenza e assenza si sovrappongono in una forma che fa dell’una l’espressione rovesciata dell’altra, così come, in tutta l’arte contemporanea, la figura si rivolge all’infigurabile.

Ancora una volta il soggetto si riconosce assoggettato a qualcosa che lo domina, su cui egli non può avere controllo. E tuttavia, ciò non ne determina né la dissoluzione né la soggezione a una potenza straniera. C’è sempre, in ogni esistenza, una sporgenza rispetto al proprio destino, un punto di resistenza alla ripetizione che coincide con la singolarità della vita. È proprio l’assenza di governo di sé, l’esposizione all’Altro, che riapre il cerchio della necessità alla dimensione del possibile. Forse, si potrebbe aggiungere, l’unico terreno sul quale questa possibilità appare più appannata, nell’opera di Lacan, è quello della politica.

Non a caso il libro di Recalcati percorre i territori della filosofia, dell’etica, dell’estetica, ma non quello della politica. Forse perché alla politica non basta la soggettivazione in quanto tale, e neanche l’incrocio dell’uno con l’altro. Occorre anche una linea conflittuale che, all’interno della società, aggreghi gli uni contro, o almeno di fronte, agli altri. Ecco è la questione ultima, lasciata aperta da Lacan, con cui la ricerca di Recalcati è chiamata a confrontarsi.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/12/2012 15.25
Titolo:LA SOCIETA' DEI MINORENNI E IL PROBLEMA DEL "TERZO" ESCLUSO....
- Leggendo il filosofo tedesco e Platone si capisce meglio

- La società dei minorenni

— Ne bamboccioni né “choosy”
- I giovani d’oggi ce li spiega Kant

di Umberto Curi (Corriere La Lettura, 02.12.2012)

Il copyright è saldamente nelle mani di Tommaso Padoa-Schioppa. Nell’ottobre del 2007, l’allora titolare del ministero dell’Economia nel secondo governo Prodi aveva infatti definito «bamboccioni» quei giovani che, sulla soglia dei trent’anni, continuavano a vivere in casa con i genitori. Benché duramente contestata, quella espressione era destinata ad aprire la strada a un vero florilegio di definizioni, analoghe nel contenuto, anche se differenti nella forma.

Nel giro di pochi anni, malgrado l’avvicendarsi dei governi, i giovani sarebbero stati chiamati «mammoni» (Brunetta, ministro del governo Berlusconi), «sfigati» (Martone, viceministro del governo Monti), «monotoni» (Monti, presidente del Consiglio), «choosy», più o meno: schizzinosi (Fornero, ministro del governo Monti), solo perché non avevano ancora conseguito la laurea, o perché aspiravano a un posto fisso, in un mercato del lavoro in cui la flessibilità è in realtà un eufemismo per indicare la precarietà.

Non si può dire che le polemiche divampate dopo queste esternazioni siano state un modello di eleganza o di rigore concettuale. Eppure, al fondo di un dibattito culturalmente desolante vi sarebbe in realtà una questione tutt’altro che banale o trascurabile. La si potrebbe riassumere nei termini seguenti: come si diventa maggiorenni? Assodata l’insufficienza del criterio puramente anagrafico, in base al quale la maggiore età coinciderebbe con il raggiungimento dei 18 anni, a quali parametri razionalmente definibili ci si può riferire per valutare la fuoriuscita dalla minorità? E poi: davvero basta abitare da soli, o essere disponibili a cambiare lavoro, per allontanare da sé l’infamante epiteto di choosy?

Una risposta appena un po’ meno occasionale a questi interrogativi può essere rintracciata in due testi filosofici, la cui importanza - anche per la comprensione di alcuni temi legati alla diatriba di cui parliamo - è abitualmente ignorata, o almeno non adeguatamente valorizzata. Da una secca definizione della minorità prende le mosse anzitutto un saggio di Immanuel Kant, tanto rilevante quanto per lo più negletto, anche perché offuscato dalla risonanza suscitata dalle tre Critiche. Essa non dipende affatto, secondo il filosofo, dall’età, ma consiste piuttosto in una carenza decisiva, quale è «l’incapacità di servirsi della propria intelligenza senza la guida di un altro».

È opportuno sottolineare che lo scritto kantiano compare originariamente non in una rivista filosofica specializzata, ma in quello che si potrebbe definire un periodico di «varia umanità», quale era la «Berlinische Monatsschrift», in risposta a un interrogativo proposto nel fascicolo precedente da un religioso, il quale chiedeva che qualcuno si prendesse la briga di spiegare «che cos’è l’Aufklärung».

Conservare, almeno provvisoriamente, il termine tedesco non è una inutile civetteria, ma corrisponde all’esigenza di evitare i fraintendimenti ai quali ha dato luogo la traduzione italiana corrente, e gravemente negligente. Mentre, infatti, nel testo originale Aufklärung indica insieme quel movimento culturale che è stato chiamato «Illuminismo» e il «rischiaramento», inteso come processo mediante il quale è possibile «fare chiarezza», la traduzione italiana appiattisce l’ambivalenza del termine tedesco, rendendolo univocamente con «Illuminismo».

Mentre è del tutto evidente che l’iniziativa assunta da Kant con la sua Risposta, pubblicata nel gennaio del 1784, non è motivata dalla volontà (che sarebbe poco comprensibile) di offrire una definizione tecnica di un movimento filosofico, quanto piuttosto dalla ben più significativa esigenza di spiegare in che modo si possa realizzare il «rischiaramento» intellettuale.

Ne è prova il testo del saggio, scritto in maniera limpida e particolarmente incisiva, senza alcuna concessione a «tecnicalità» filosofiche, presumibilmente inadatte al pubblico eterogeneo a cui si rivolgeva la rivista. Aufklärung - scrive Kant - è uscire dallo stato di minorità, è avere il coraggio di servirsi della propria intelligenza, senza soggiacere alla guida di altri. Più esattamente, essa si identifica con una decisione - quella di diventare Selbstdenker, vale a dire letteralmente «uno che pensa con la propria testa». Né questo monito deve apparire scontato o pleonastico.

Al contrario, secondo il filosofo, «la stragrande maggioranza degli uomini ritiene il passaggio allo stato di maggiorità, oltre che difficile, anche pericoloso», e dunque preferisce sottrarsi a quella «fastidiosa occupazione» che richiede l’uso libero delle proprie capacità intellettuali. «È così comodo - sottolinea ancora l’autore delle Critiche - essere minorenni! Se ho un libro che pensa per me, un direttore spirituale che ha coscienza per me, un medico che valuta la dieta per me eccetera, non ho certo bisogno di sforzarmi da me».

Di qui una conclusione linearmente deducibile dalle premesse poste: se si vuole diventare maggiorenni, è necessario sottrarsi alla custodia di quei tutori che costantemente invitano a non ragionare («L’ufficiale dice: non ragionate, fate esercitazioni militari! L’intendente di finanza: non ragionate, pagate! L’ecclesiastico: non ragionate, credete!»), usando invece sistematicamente la propria intelligenza, senza soggiacere alla presunta autorità altrui. Insomma, minorenni - o se si preferisce «bamboccioni» - si può essere a qualunque età. Lo è anzi chiunque fra noi eviti di pensare con la propria testa, delegando di conseguenza ad altri questa «fastidiosa occupazione».

Un ragionamento convergente con quello contenuto nel saggio kantiano si ritrova già in uno dei Dialoghi platonici più noti, anche se spesso misinterpretato. Al centro del Sofista, infatti, vi è la ricerca, condotta da due personaggi presumibilmente «giovani» (tale è se non altro con certezza Teeteto, mentre il suo interlocutore, presentato come lo Straniero, proveniente da Elea, è giovane se non altro nel senso della sua condizione di discepolo rispetto al «grande» Parmenide), impegnati a fornire una definizione della figura del sofista.

L’indagine a due voci prosegue a ritmo serrato, e con esiti apparentemente soddisfacenti, fino a che i protagonisti si imbattono in una difficoltà che minaccia di compromettere radicalmente l’impresa nella quale si stanno cimentando.

Per poter sostenere la conclusione alla quale sono pervenuti, e cioè che il sofista è colui che esercita l’arte di far apparire ciò che non è, essi dovrebbero implicitamente riconoscere che anche il non essere, da un certo punto di vista è, mentre l’essere, sia pure da un certo punto di vista, non è. Ma questa affermazione contraddice frontalmente un divieto, quello proveniente dal «padre» Parmenide, secondo il quale il non essere è «inesprimibile», «impronunciabile», «illogico».

La situazione nella quale si vengono a trovare Teeteto e lo Straniero appare dunque inchiodata a un’alternativa drammatica: piegarsi all’osservanza della proibizione parmenidea, con ciò tuttavia privandosi del logos, e dunque perdendo la possibilità di dire alcunché, ovvero avere il coraggio di epitíthesthai tó patrikó lógo - «dare l’attacco al discorso paterno».

L’impiego di una metafora bellica non è casuale nel contesto di un dialogo in cui ritornano insistentemente termini desunti dal lessico polemologico. Serve a sottolineare quanto delicata sia la scelta che si è chiamati a compiere, quanto sia letteralmente vitale - «questione di vita o di morte», si legge nel testo platonico - la posta in gioco.

È noto il compimento di questo percorso. Onde riprendere la possibilità di parlare e di pensare, i due interlocutori saranno indotti a «torturare» il padre e a «usare violenza» su di lui, giungendo al punto da sfiorare il parricidio.

Per quanto temerario possa apparire questo esito, esso resta l’unica possibile via da percorrere, l’unico modo per riguadagnare il cammino, uscendo dalla mancanza di strada, dall’a-poria, dunque, in cui ci si era imbattuti. Mentre, infatti, Parmenide vorrebbe «trattarci da bambini», «raccontandoci delle favole» e «dialogando con noi con atteggiamento di sufficienza», è imperativo per noi riprenderci il logos, e assoggettare a un vaglio rigoroso le affermazioni «paterne».

Dopo questa autentica svolta, improntata alla rinuncia a ogni filiale subordinazione, la ricerca che si era incagliata può riprendere, giungendo speditamente alla sua conclusione. Teeteto e lo Straniero sono diventati maggiorenni. Non subiranno più i divieti del padre «venerando e terribile». Non accetteranno di farsi trattare da bambini, né si accontenteranno di ascoltare delle favole.

Il compimento dell’intenso drama descritto da Platone ci riporta alla Risposta kantiana. Essere maggiorenni non è un dato di carattere anagrafico, né una condizione statica, nella quale si possa dire di risiedere stabilmente. È una conquista, che impegna energie morali, come il coraggio e la decisione, e risorse intellettuali. Ed è la meta, mai definitivamente raggiunta, di una lotta anzitutto con se stessi, con la viltà di chi preferisca affidarsi alla tutela altrui.

E forse allora si può comprendere fino in fondo il senso dell’affermazione kantiana quando rileva, con un realismo spinto fino al disincanto, che minorenne è ancora la stragrande maggioranza degli uomini. Insomma, per quanto possa apparire paradossale, i giovani che al giorno d’oggi stanno lottando per guadagnarsi la loro autonomia sono meno bamboccioni di coloro che ripetono acriticamente le formule imposte da altri.
Manca un mediatore tra le generazioni

Teeteto e lo Straniero sono diventati maggiorenni. Non subiranno più i divieti del padre "venerando e terribile". Non accetteranno di farsi trattare da bambini, né si accontenteranno di ascoltare delle favole.

di Corrado Ocone (Corriere della Sera La Lettura, 02.12.2012)

Non c’è dubbio che il dibattito pubblico italiano degli ultimi tempi sia come attraversato da una retorica giovanilista, spesso fatta propria da quelle persone anziane e ben collocate che a tutto pensano fuorché a farsi da parte. È una retorica che riproduce, col segno cambiato, il modo di ragionare di certe stucchevoli apologie della vecchiaia come età della saggezza, di cui parla Bobbio nel suo De Senectute.

Il filosofo torinese, a ben vedere, ci dà anche la chiave per ragionare sulla dicotomia giovani-vecchi, invitandoci a considerare la questione almeno sotto tre aspetti: l’età anagrafica, quella biologica e quella psicologica o soggettiva. Non dimenticando che oggi essere o sembrare giovani è diventato quasi un obbligo, sicuramente una moda, e comunque una tendenza che l’industria dei consumi asseconda promuovendo diete, lifting, modi di vivere che ci facciano sembrare sempre giovani.

Però l’aspetto più rilevante della questione è che, nel giovanilismo diffuso e praticato, si sia come persa l’importante funzione di elaborazione e trasmissione del sapere che un tempo regolava il rapporto fra le generazioni. E che quasi accompagnava per mano i giovani nel crescere. Una funzione che si esplicava in istituzioni appositamente create per adempiere a questo scopo. Le quali oggi, anche se continuano ad esistere formalmente, si sono di fatto, tranne pochissime eccezioni, svuotate dell’aura che la funzione esercitata finiva per conferire loro.

Era inimmaginabile ad esempio che chi facesse politica non si fosse formato nelle scuole di partito, o lavorando a fianco di un politico navigato. Le carriere nella pubblica amministrazione, ma anche nel privato, seguivano percorsi ben definiti, che potevano certamente essere accelerati da coloro che erano dotati di un particolare ingegno, ma che comunque non potevano essere ignorati come accade oggi nelle assunzioni per «chiamata diretta».

Per non parlare dell’Università, ove era sempre il docente che cooptava, ma allora lo faceva avendo cura di scegliere i più bravi: sia perché teneva al prestigio derivante dall’autorevolezza morale, sia per continuare la tradizione di pensiero con cui si identificava e a cui spesso aveva dedicato la sua vita di studioso. Il Maestro, come veniva chiamato (nessuno avrebbe osato chiamarlo barone), non aveva certo bisogno, per individuare i continuatori del suo impegno, degli astratti metodi quantitativi oggi in voga, fatti apposta, sembrerebbe, per avvalorare nuovi imbrogli. Persino le parrocchie e le scuole religiose svolgevano una funzione di «educazione alla vita».

Ora, con tutto questo non si vuole certo esaltare il buon tempo antico, che aveva anch’esso i suoi limiti e i suoi difetti. Anche perché di acqua ne è passata tanta sotto i ponti e non si può pensare di fermare il mondo, il che, oltre che stupido, sarebbe anche ingiusto: oggi già un adolescente si trova immerso in una rete di dati ed è sottoposto all’azione di una quantità di «agenzie formative» (diciamo così con un eufemismo).

Quel che si vuole constatare è semplicemente un fatto, che tocca a noi capire e regolare, o (se lo riteniamo) contrastare: il problema del rapporto fra giovani e vecchi riguarda anche la generale scomparsa del «terzo», nella fattispecie dei luoghi di mediazione e di formazione in cui giovani e meno giovani, interagendo, potevano reciprocamente arricchirsi e completarsi, perché anche chi non è più giovane ha bisogno di rinfrescare il suo sapere, di sottoporlo alle naturali e irriverenti forze vitali che rompono le incrostazioni o le abitudini consolidate.

Scomparsa del «terzo» è anche il rinchiudersi delle generazioni in loro stesse: i leader non vogliono mollare il potere perché non danno per garantito che i nuovi continuino la loro opera; i giovani vogliono semplicemente quel potere, dimentichi che il vero nuovo deve porsi in rapporto dialettico con il vecchio, «superandolo» e non semplicemente «rottamandolo». «Il Partito democratico invece di rinnovarsi si limita a cambiare di nome, laddove i nomi dei suoi dirigenti restano invariabilmente gli stessi», osserva Antonio Funiciello nel libro A vita (Donzelli).

Ma il discorso non riguarda solo la politica. Può una società funzionare a lungo con il «principio del terzo escluso»? Il rapporto fra le generazioni, senza un luogo di mediazione, non rischia di porsi su un terreno aspramente conflittuale? E a chi giova un antagonismo fra vecchi e giovani non sulle idee, come in passato, ma solo sulle posizioni di potere da occupare? Più in generale: è possibile sottrarre il rapporto fra generazioni a una logica dicotomica che trascura il carattere chiaroscurale del mondo? Introdurre qualche elemento di consapevolezza è già un primo tentativo di risposta a queste domande.

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Commenti Articolo 672

Titolo articolo : COME SULL'HOREB, IL MORMORIO DELLA LEGGERA BREZZA DIVINA. Quando si andava in montagna. Una riflessione di Mauro Pedrazzoli - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/27/2012 - 17:34:55.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/11/2012 17.34
Titolo:LA NUOVA ALLEANZA O LA MANGIATOIA DELLA FATTORIA DEGLI ANIMALI?!!
L’ARCA DELL’ALLEANZA O LA MANGIATOIA DELLA FATTORIA DEGLI ANIMALI?!!

di Federico La Sala


"Di quale Dio parliamo quando parliamo di Dio, e di quale Dio parlano quando parlano di Dio? La domanda è cruciale. Infatti non è per niente chiaro, non è sempre lo stesso, e sovente non è un Dio innocuo" (Raniero La Valle, "Se questo è un Dio", pag. 9)

E si continuavano a dormire “sonni beati”! Dopo la dichiarazione “Dominus Iesus” circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa (2000), dopo l’enciclica “Deus caritas est” (2006), che proclama la grande “novità” che “Dio è valore”, e la connessa decisione di sottoporre a “copyright tutti gli scritti, i discorsi e le allocuzioni del Papa”, Benedetto XVI, dopo aver tolto la "h" dalla "Charitas" (Amore pieno di grazia) e precisato anche che "Nazaret" si scrive "senza acca" e, infine, che «il calice fu versato per molti», non «per tutti», ha reso pubblico un altro racconto ediphicante sulla vita del suo “Padrone Gesù” (“Dominus Iesus”)!

“Per Natale completata la trilogia”, annuncia trionfante l’Osservatore romano (10.10.2012) e fornisce un’anteprima “del terzo libro di Benedetto XVI su Gesù presentato alla Fiera internazionale del libro di Francoforte”: “L’infanzia di Gesù”. “Da pagina 38 del manoscritto”, con il titolo “Quel bimbo stretto in fasce”, questo il testo che il giornale del Vaticano riprende:

“Maria avvolse il bimbo in fasce. Senza alcun sentimentalismo, possiamo immaginare con quale amore Maria sarà andata incontro alla sua ora, avrà preparato la nascita del suo Figlio. La tradizione delle icone, in base alla teologia dei Padri, ha interpretato mangiatoia e fasce anche teologicamente. Il bimbo strettamente avvolto nelle fasce appare come un rimando anticipato all’ora della sua morte: Egli è fin dall’inizio l’Immolato, come vedremo ancora più dettagliatamente riflettendo sulla parola circa il primogenito.

Così la mangiatoia veniva raffigurata come una sorta di altare. Agostino ha interpretato il significato della mangiatoia con un pensiero che, in un primo momento, appare quasi sconveniente, ma, esaminato più attentamente, contiene invece una profonda verità. La mangiatoia è il luogo in cui gli animali trovano il loro nutrimento.

Ora, però, giace nella mangiatoia Colui che ha indicato se stesso come il vero pane disceso dal cielo - come il vero nutrimento di cui l’uomo ha bisogno per il suo essere persona umana. È il nutrimento che dona all’uomo la vita vera, quella eterna. In questo modo, la mangiatoia diventa un rimando alla mensa di Dio a cui l’uomo è invitato, per ricevere il pane di Dio. Nella povertà della nascita di Gesù si delinea la grande realtà, in cui si attua in modo misterioso la redenzione degli uomini”.

Che a cinquanta anni dall’inizio del Concilio ecumenico Vaticano II non si sappia più né Chi è, né come ne dove sia nato Colui che è stato ed è la Luce delle Genti (“Lumen Gentium”), è più che normale e ‘sacrosanto’ che arrivi un papa teologo e racconti la solita storiella tradizionale del “Signore Gesù” nato ancora e sempre in una “mangiatoia”, “una sorta di altare” per l’Immolato, per il sacrificio del primogenito e che, “prima di ascendere al cielo, affidò ai suoi discepoli il mandato di annunciare il Vangelo al mondo intero e di battezzare tutte le nazioni”(“Dominus Iesus” - Introduzione) e abbia il suo grande successo alla fiera e al mercato di tutto il mondo! E’ un segno dei tempi: la “buona-carestia” avanza e grandi sono gli affari che si possono fare, vendendo a “caro-prezzo” (“caritas”) la grazia (”charis”) di Dio: “l’amministrazione della charity” rende molto, sia in affari sia in termini di domesticamento di liberi esseri umani in “animali”!

Per il papa teologo, infatti, il tempo passa invano: siamo ancora e sempre nella orwelliana “fattoria degli animali” e suo è il comando. Egli è il “grande fratello” e il “Santo padre”, il “Padre nostro”, che guida il suo popolo nel cammino della Storia! Ora, finalmente, la carità è nella verità (“Caritas in veritate”, 2009): “La Luce del mondo”, il libro di Ratzinger - Benedetto XVI (2010) ha scalato le vette delle classifiche: ha avuto uno straordinario successo di vendite e di guadagno con i diritti di autore.

Questa è la ‘bella notizia’ della "mangiatoia", tutto il resto appartiene al passato: l’arca di Noè, l’arca dell’alleanza di Mosè (con i due cherubini e la Legge scritta), l’arca-presepe del messaggio evangelico e di Francesco di Assisi (con i due cherubini - Giuseppe e Maria - e la Legge vivente, Gesù).

“In principio era il Logos” è solo “archeologia”! Oggi, su Piazza San Pietro, sventola il “Logo” del “Dominus Iesus”: “Deus caritas est”!!! Il Terzo Millennio prima di Cristo è già iniziato e il sogno di Ratzinger - Benedetto XVI come quello di Costantino annuncia la sua vittoria: “Forza Signore Gesù”!!!

Federico La Sala (10.10.2012)

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Commenti Articolo 673

Titolo articolo : IL BAMBIN GESU’ DEL PAPA – Quei racconti diversi sull’infanzia del Cristo,Di Vito Mancuso

Ultimo aggiornamento: November/27/2012 - 16:03:02.

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Autore Città Giorno Ora
marco michelis ceva 27/11/2012 16.03
Titolo:I due Gesù Bambino
Se cerchiamo la Verità possiamo trovarla nelle Scritture poichè riportano realmente la storia come si svolse e non su esegesi distanti dalla Verità.
Le storie raccontate da Matteo e da Luca sono necessariamente diverse, in quanto raccontano la nascita di due Bambini diversi, nati circa duemila anni fa. Matteo ci illustra la Santa Nascita del Bambino che portò nel Cristo la corrente Davidica, Luca ci raccontò la Santa Nascita del Bambino che portò la corrente Natanica.(infatti le due Genealogie riportate dagli Evangelisti sono COMPLETAMENTE diverse, come diversi erano i racconti dei Vangeli dei due Evangelisti in questione. Ma se, come afferma il sacerdote alla fine della lettura del Vangelo, " è Parola di Dio", crediamo a queste parole non possiamo accettare interpretazioni diverse da ciò che il Vangelo riporta.
Per essere informati su questa vicenda potete leggere senza paura e senza censura qualcuna delle conferenze che tenne all'inizio del Novecento il dott. Rudolf Steiner ( poi fu messo all 'indice dalla chiesa). Ora si possono reperire dverse pubblicazioni della editrice Antroposofica ( ad esempio il Vangelo di Luca o di Matteo o di Giovanni. di Rudolf Steiner). Si capirà anche come i due Bambini divennero Gesù il Cristo. Buona lettura.

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Commenti Articolo 674

Titolo articolo : E’ ETICO PAGARE IL DEBITO?,di Alex Zanotelli

Ultimo aggiornamento: November/26/2012 - 18:30:34.

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Autore Città Giorno Ora
Aldo Maggiolo Villamiroglio (AL) 26/11/2012 11.21
Titolo:Scambi di persona
Qualcuno dovrebbe fare cortesemente saper ad Alex Zanotelli che Francesco Profumo, gia Rettore del Politecnico di Torino, non è la stessa persona di Alessandro profumo AD di Unicredit, e che può essere stato indotto in errore da una errata informazione contenuta in wikipedia, che è una fonte abbastanza attendibile ma non infallibile.

Cordialità
Autore Città Giorno Ora
Antonio Frassini Civitanova Marche 26/11/2012 18.30
Titolo:Considerazione
Se la correzione vale per Profumo, per gli altri è tutto vero? Se sì siamo messi veramente male! Le considerazioni di Zanotelli sono sacrosante e condivisibili Antonio

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Commenti Articolo 675

Titolo articolo : Pillole di Apocalisse(1),di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: November/25/2012 - 21:12:37.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/11/2012 09.56
Titolo:LO SPIRITO DELLA MENZOGNA, DELLA CHIESA DI ROMA
VATICANO, COPYRIGHT, E "CARO-PREZZO" (DEUS "CARITAS" EST)RATZINGERIANO

"IN PRINCIPIO ERA LA PAROLA" A PAGAMENTO!!! FIN DALLA PRIMA ENCICLICA TUTTO A PAGAMENTO !!!

QUESTO E’ IL " LOGO" DEL "NOSTRO SIGNORE": PAROLA DI RATZINGER, BERTONE, RUINI, BAGNASCO E DI TUTTI I VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICO-ROMANA ...

LA "LUCE DEL MONDO" SONO "IO"!!! CHE SUCCESSO, QUANTI SOLDI CON I DIRITTI DI AUTORE!!!

vedi: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=5036
Autore Città Giorno Ora
enrica bernasconi brunate 25/11/2012 21.12
Titolo:il vero libro della " Rivelazione"
Il papa,che la sa lunga, scrive un libro su Gesù Bambino....e ci rivela che nella capanna il bue e l'asinello non c'erano....50.000 copie vendute il primo giorno.
Domanda: Sapete chi ci metterei io nella capanna a fare l'asino ???

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Commenti Articolo 676

Titolo articolo : E' GIA' NATALE: E' NATO IL "PADRONE GESU'", IL "DOMINUS IESUS" DI PAPA RATZINGER. IL PRESEPE SENZA GIUSEPPE E SENZA IL BUE E L'ASINELLO E' PRONTO! Sulla presentazione di "L'infanzia di Gesù", una nota di Roberto Monteforte - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/25/2012 - 18:08:59.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/11/2012 14.30
Titolo:Il Bambin Gesù dI Bendetto XVI ...
Il Bambin Gesù del Papa

Quei racconti diversi sull'infanzia di Cristo

di Vito Mancuso (la Repubblica, 21 novembre 2012)

Con il volume intitolato L’infanzia di Gesù che arriva oggi in libreria nei principali paesi del mondo si conclude l’opera complessiva di quasi mille pagine in tre volumi dedicata da Joseph Ratzinger a Gesù di Nazaret. Con essa egli intende far tornare i cattolici a identificare narrazione evangelica e storia reale come avveniva fino a qualche decennio fa, prima dello sviluppo della moderna esegesi storico-critica. Raggiunge l’autore il suo obiettivo? A mio avviso no, perché si tratta di una mission impossible.

Tutti amiamo il Natale con la sua atmosfera di gioia e di pace, e questo nuovo libro del Papa è di grande aiuto nel viverne la spiritualità. L’oggetto sono i primi due capitoli del Vangelo di Matteo e del Vangelo di Luca, i cosiddetti “vangeli dell’infanzia”. Per secoli essi sono stati letti come reali resoconti storici, ma oggi l’esegesi biblica storico-critica è pressoché unanime nel dichiarare il contrario. L’obiettivo del Papa è che i vangeli dell’infanzia possano tornare a essere letti come storicamente fondati.

Il suo avversario di conseguenza non può che essere l’esegesi che, privilegiando la filologia e la storiografia, evidenzia la problematica storicità di molte narrazioni evangeliche. Con questo gli esegeti non intendono dire che i Vangeli sono falsi, ma solo che sulla loro base non si può ricostruire con certezza la storia di Gesù, tanto meno quella della sua nascita, e che occorre leggerli sapendo che la finalità è teologico-spirituale e non storiografica. Nei Vangeli vi sono dati storicamente certi accanto a elaborazioni simboliche storicamente inattendibili e il compito dell’esegesi storico-critica consiste nel distinguere le due dimensioni. L’inevitabile conseguenza però è che il Gesù dei Vangeli non coincide con il Gesù della storia, cioè l’esatto contrario dell’intento programmatico di Ratzinger dichiarato nel primo volume: “Presentare il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale, come il Gesù storico in senso vero e proprio”. E precisamente per questo anche nel nuovo libro, come già nei precedenti, il Papa rivolge ricorrenti attacchi all’esegesi storico-critica (cf. per esempio le pagine 25, 60, 62, 78, 123).

Ma, come tutti coloro che prima di lui hanno tentato di armonizzare i racconti evangelici, anche Ratzinger sorvola sulle contraddizioni tra i resoconti di Matteo e di Luca. Sono esse a rendere impossibile una storia dell’infanzia di Gesù degna di questo nome, come ritengono studiosi del calibro di Brown, Sanders, Meier, Dunn, Barbaglio, Fabris, Maggioni, Jossa, Ortensio da Spinetoli, Pesce e molti altri.

Certo tra Matteo e Luca vi sono elementi comuni: l’identità dei genitori, l’annuncio angelico, il concepimento di Maria senza rapporti sessuali con il marito, la nascita a Betlemme sotto il regno di Erode, il trasferimento a Nazaret. Ma vi sono anche discordanze che non possono essere armonizzate: prima della nascita di Gesù, Maria e Giuseppe o risiedevano a Nazaret (Luca) o risiedevano a Betlemme (Matteo); il loro viaggio da Nazaret a Betlemme o ci fu (Lc) o non ci fu (Mt); Gesù nacque o in casa dei genitori (Mt) o in una mangiatoia (Lc); la strage dei bambini di Betlemme o accadde (Mt) o non accadde (Lc); i genitori o fuggirono in Egitto per salvare il bambino dai soldati di Erode (Mt) o andarono al tempio di Gerusalemme per la circoncisione senza che i soldati di Erode si curassero del bambino (Lc); la famiglia da Betlemme o tornò subito a casa a Nazaret di Galilea (Lc), oppure si recò a Nazaret solo dopo essere stata in Egitto e per la prima volta (Mt).

Opposta è inoltre l’atmosfera complessiva che avvolge la nascita di Gesù, regale e tragica in Matteo, semplice e bucolica in Luca: a chi dare credito? Nella mente dei fedeli i due racconti si mescolano senza distinguere gli elementi dell’uno e dell’altro, e il Papa promuove questa tradizionale mescolanza acritica, ma l’esigenza storiografica non lo consente, i dati stanno o come li presenta Matteo o come li presenta Luca, oppure né in un modo né nell’altro, in ogni caso non sono armonizzabili. Quindi se fosse vero, come scrive Ratzinger, che Matteo e Luca “volevano scrivere storia, storia reale, avvenuta” (p. 26), ci troveremmo davvero in un bel guaio, perché uno dei due evangelisti sicuramente sarebbe in errore.

C’è inoltre la questione di come la notizia del concepimento verginale sia giunta agli evangelisti. Il Papa propende per la “tradizione familiare” (p. 65), nel senso che sarebbe stata Maria a comunicare ai discepoli lo straordinario evento di aver concepito il figlio senza rapporti sessuali. Ma se fosse stato davvero così, non si spiegherebbe la scarsa attenzione del Nuovo Testamento per Maria, compreso il libro degli Atti degli apostoli scritto proprio da Luca che la menziona solo una volta e quasi di sfuggita, mentre dà molto più spazio non solo a Pietro e a Paolo ma persino a personaggi secondari come Lidia la commerciante di porpora. È forse credibile che Luca, sapendo direttamente da Maria del concepimento straordinario di Gesù, negli Atti la trascuri completamente, senza scrivere nulla su dove viveva, cosa faceva, come finì la sua vicenda terrena, e senza averle mai dato neppure una volta la parola? Tutto ciò porta a dubitare molto di quanto sostiene il Papa.

La realtà è che i Vangeli dell’infanzia presentano un profilo storico complessivo abbastanza improbabile. Il dato storico sicuro (la nascita di Gesù) è circondato da una serie di particolari incerti se non improbabili, a cominciare dal luogo della nascita, che per il Papa è ovviamente la tradizionale Betlemme, mentre “la maggioranza degli studiosi dubita che Gesù nacque a Betlemme” (The Cambridge Companion to Jesus, p. 22) e un esegeta cattolico come Raymond Brown è giunto a parlare di “prove positive a favore di Nazaret”.

I Vangeli sono quindi inaffidabili? No, sono degni di fiducia, ma solo a patto di distinguervi diversi livelli di storicità, cioè dati storicamente sicuri, dati probabili e dati improbabili. In particolare i vangeli dell’infanzia sono un’interpretazione del significato esistenziale di Gesù, per manifestare il quale il racconto della sua nascita è stato arricchito di una serie di elementi simbolici, com’era normale nell’antichità per i grandi personaggi. Tutto ciò lungo i secoli è servito ad attrarre l’attenzione su Gesù, perché nel passato l’umanità identificava la presenza del divino con i miracoli e lo straordinario. Oggi però avviene il contrario. Oggi i miracoli e lo straordinario sono più di danno che di aiuto all’autentica comunicazione spirituale. Siamo giunti a una visione del mondo più pacata, più disincantata, più realistica, ai fregi del barocco si preferisce l’austera semplicità del romanico.

Questa maggiore maturità si riflette nel lavoro dell’esegesi biblica mediante il metodo storicocritico, un lavoro serio e altamente qualificato come mai prima d’ora nella storia era avvenuto, un lavoro dal respiro internazionale e interconfessionale i cui risultati si offrono alla coscienza senza forzature dogmatiche. Ratzinger però non ama il metodo storico-critico, lo ritiene dannoso per la fede e forse per questo nel suo libro neppure menziona l’autore dello studio più importante sui vangeli dell’infanzia, il già citato Raymond Brown, sacerdote cattolico, a lungo membro della Pontificia Commissione Biblica. Brown conclude così la sua opera monumentale sui vangeli dell’infanzia: “Qualsiasi tentativo di armonizzare le narrazioni fino a farne una storia coerente è destinato al fallimento” (La nascita del Messia, Assisi 1981, p. 677). Ratzinger neppure menziona Brown, ma proprio per questo la sua opera, nonostante alcune belle pagine di taglio spirituale, va incontro al destino prefigurato dal grande biblista americano.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/11/2012 18.08
Titolo:Riproposizione, in chiave devota, del genere ottocentesco delle «vite di Gesù».
Il mondo di Joseph Ratzinger

di Piero Stefani (“Il pensiero della settimana”, 25 novembre 2012)

La Premessa all’ultimo libro di Jospeh Ratzinger - Benedetto XVI, L’infanzia di Gesù - termina con queste parole: «spero che il piccolo libro, nonostante i suoi limiti, possa aiutare molte persone nel loro cammino con e verso Gesù». Non c’è ragione per dubitare che quella dichiarata costituisca l’effettiva intenzione del papa. Tuttavia, forse ancor più dei due volumi precedenti dedicati a Gesù di Nazaret (2007 e 2011), quest’ultimo sembra guidare il lettore non tanto verso la comprensione del Gesù dei vangeli quanto verso la conoscenza del pensiero di Jospeh Ratzinger. Ciò avviene, in buona parte, a motivo del fatto che Benedetto XVI applica ai due vangeli dell’infanzia. secondo Matteo e secondo Luca, gli stessi criteri adottati per descrivere la vita pubblica di Gesù. Poco spazio è concesso alla riflessione sul loro peculiare genere letterario e nessuna attenzione è riservata al fatto che il vangelo più antico, quello di Marco, trascuri ogni riferimento all’infanzia di Gesù.

Leggere queste pagine significa essere trasportati nel mondo di Benedetto XVI, ambito che, il più delle volte, appare distante dal nostro mondo. Le preoccupazioni del papa non sono le nostre, così come i nostri problemi non sono i suoi. Più volte Ratzinger sostiene che le storie contenute nei primi capitoli di Matteo e Luca prospettano il concreto calarsi dell’universale in uno specifico tempo e in un determinato luogo; l’autore dell’Infanzia di Gesù appare invece lontano dal tempo e dal mondo in cui è chiamato a operare. L’atteggiamento avrebbe tratti di nobiltà se fosse consapevole; di contro risulta evanescente se pretende, come lascia ritenere l’autore, di fornire risposte convincenti a problemi contemporanei.

Se le riflessioni contenute nel testo rispettassero rigorosamente un genere letterario di tipo omiletico-spirituale, il lettore troverebbe in esse spunti belli, alcuni dei quali sarebbero, in effetti, in grado di aiutarlo a progredire nel suo cammino di fede. Tuttavia anche questi passaggi sono indeboliti dalla pretesa del libro di essere non tanto una meditazione quanto una presentazione storica della prima parte della vita di Gesù.

Il bersaglio costante del libro di Ratzinger, più volte dichiarato in maniera esplicita, è la posizione, condivisa dalla gran parte della ricerca biblica attuale, secondo cui le storie dell’infanzia di Gesù non sono storiche nel senso fattuale del termine. Esse si presentano piuttosto come racconti teologici i quali sono veri non perché corrispondono agli avvenimenti in quanto tali, ma perché arricchiscono la comprensione del messaggio evangelico. Il loro stile si imparenterebbe perciò a quello del midrash narrativo. Inoltre, in base alla polisemia propria del genere - ed è il secondo grande obiettivo polemico di Benedetto XVI - quelli di Matteo e Luca sono intesi come due racconti differenti, significativi proprio a motivo della loro irriducibile diversità.

La semplice lettura dell’indice del libro attesta che la posizione di Benedetto XVI è una specie di riproposizione, in chiave devota, del genere ottocentesco delle «vite di Gesù». Il discorso, infatti, si dipana attraverso una specie di successione cronologica di storie provenienti sia da Matteo sia da Luca. In effetti, qua e là, l’autore segnala qualche discrepanza tra i due vangeli, ma esse, in ogni caso, sono sempre reciprocamente compatibili; la ragione di ciò è semplice: tutte hanno alle spalle gli stessi eventi effettivamente accaduti.

Il procedimento di Benedetto XVI è diametralmente opposto a quello della ricerca biblica che parte dalle fonti, le valuta per poi chiedersi se, attraverso esse, si possa risalire agli avvenimenti. Ratzinger parte, invece, dal presupposto che gli avvenimenti siano veri in senso fattuale e, al più, concede una qualche diversità nei modi in cui essi sono teologicamente interpretati. Tutto è accaduto nell’ordine dei fatti: l’apparizione dell’angelo a Zaccaria nel tempio, l’annunciazione nella casa di Nazaret, i sogni di Giuseppe, la nascita a Betlemme, i re magi, la fuga in Egitto, la strage degli innocenti e così via. Anzi, sono proprio questi accadimenti a rivelare l’autentico significato di antiche profezie rimaste per secoli «parole in attesa». Il vaticinio di Isaia pronunciato nel 733 a.C. relativo a una vergine che partorirà un figlio ha aspettato per secoli di essere spiegato, ogni tentativo di darne ragione è rimasto, però, frustrato fino al momento in cui il passo viene citato da Matteo in relazione alla nascita di Gesù (di passaggio, Ratzinger non si preoccupa affatto di precisare che ‘almah in ebraico significa giovane donna, vergine, si dice betulah ) (cfr. p.60-62).

Si dirà che per secoli si è ragionato così come fa ora Benedetto XVI. L’affermazione non appare affatto scontata. Basti pensare che una gran parte dell’iconografia delle storie dell’infanzia deriva dai vangeli apocrifi (in particolare il cosiddetto Proto-vangelo di Giacomo). Quando la si raffigurava nessuno si faceva problema se la palma che si piegò verso la famigliola in fuga verso l’Egitto (rappresentata in vari mosaici antichi) corrispondesse o meno a un fatto storico. Lo stesso vale per «lo sposalizio della Vergine» reso celeberrimo da Raffaello. Quale sia il pensiero di Ratzinger al riguardo non può dirsi in modo esplicito (in tutto il libro non c’è alcun riferimento agli apocrifi), tuttavia pare ragionevole ritenere che neppure lui darebbe credito a queste narrazioni le quali, non a caso, sono appunto apocrife. Benedetto XVI, peraltro, dichiara apertamente la storicità del profeta non ebreo Balaam (p. 107), mentre tace sul fatto se lo stesso criterio sia estendibile anche alla sua asina parlante (Nm 24, 22-35).

Ratzinger insiste più volte sul fatto che il testo evangelico deve parlare anche a noi. Questo presupposto ermeneutico relativizzerebbe la portata dell’accesso storico che consegnerebbe quegli scritti a un remoto passato. Si tratta di un argomento rovesciabile come un guanto. L’istanza di conseguire una comprensione storica è infatti tipicamente nostra. Il testo biblico non può parlare a noi moderni a prescindere da questo tipo di approccio il quale, è ovvio, non è, né vuole essere, assoluto. Peraltro ogni documento è da considerarsi in se stesso storico, non nel senso di narrare sempre e comunque eventi realmente accaduti, ma in quanto testimonia le convinzioni di chi l’ha prodotto. Proprio il presupposto che quei testi ci devono parlare induce a considerarli narrazioni teologiche.

Se l’interesse per il libro fosse circoscritto a coloro che si occupano del pensiero del suo autore, questo terzo e conclusivo volume su Gesù sarebbe persino utile. Purtroppo le cose, con ogni probabilità, andranno in modo diverso. Ciò avverrà a causa del silenzio pubblico (e del dissenso privato) manifestato da molti biblisti. Essi non si sentiranno liberi di parlare e incasseranno senza replicare i fendenti che, in modo sbrigativo, Joseph Ratzinger infligge - in questo caso con poca umiltà - a studi condotti con acume ed erudizioni immensi. Visto in quest’ottica, il sintomo è grave

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Commenti Articolo 677

Titolo articolo : LE DONNE, GLI UOMINI, E LA CHIESA ASSOGGETTATA ALL'ORDINE INCESTUOSO DEL CATTOLICESIMO COSTANTINIANO. Un testo di Federico La Sala, con un'intervista ad Anne Soupa, una nota di Estelle R., e altri materiali sul tema,

Ultimo aggiornamento: November/25/2012 - 16:39:11.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/11/2012 18.06
Titolo:FEMMINICIDIO. Accendere la luce sulla violenza
Femminicidio: ribelliamoci ora

di Roberta Agostini (l’Unità, 24.11.2012)

Sono più di cento le donne uccise fino ad oggi nel nostro paese. Dal sud al nord senza distinzione di nessun tipo, reddito, livello di istruzione, etnia, appartenenza religiosa. Un solo elemento unifica queste morti: sono tutte o quasi state uccise da chi conoscevano, il partner, un familiare, un cosiddetto amico. Uccise perché donne, ma in realtà i dati non li conosciamo veramente perché non abbiamo un sistema informativo che ci consenta di monitorare il fenomeno nei suoi diversi aspetti. L’ultima ricerca approfondita l’ha fatta l’Istat nel 2007. L’anno dopo un gruppo di giornaliste e scrittrici ha pubblicato un libro «Amorosi assassini» analizzando per un anno le pagine dei quotidiani e raccogliendo in ordine cronologico, mese per mese, circa trecento casi di violenza e tracciando una terribile e dolorosa fotografia della vita e della morte di quelle donne.

Ma quante rimangono in silenzio? Le donne pagano con la vita per aver detto un no, quel «no» che fu pronunciato da Franca Viola tanti anni fa, che ha cambiato i rapporti tra uomini e donne nel Paese, ma che ancora non si è affermato, così come le parole autonomia ed eguaglianza.

Intorno a questo 25 novembre ci siamo ritrovate in tante occasioni, associazioni, ong, donne impegnate nella politica e nelle istituzioni per discutere di come rilanciare la battaglia contro la violenza. Un primo obiettivo concreto, importantissimo è stato raggiunto anche grazie al nostro impegno parlamentare e alla raccolta di firme che abbiamo promosso in molte città: il governo il 27 settembre scorso ha firmato la convenzione di Istanbul e dobbiamo fare in modo che la legge di ratifica venga approvata entro la fine di questa legislatura, dotando il nostro Paese di uno strumento essenziale di contrasto alla violenza. In più occasioni dalla presentazione della convenzione «No more», promossa da numerose ed importanti associazioni, alle iniziative di «Se non ora quando», fino alla presentazione della proposta di legge del Pd al senato ci siamo tutte dichiarate d’accordo sul fatto che la violenza non è un fatto privato e non è neppure un’emergenza, ma un dato strutturale in una società che pone donne ed uomini in una relazione di disparità e di dominio.

Per combatterla servono politiche concrete in un’ottica multidisciplinare ed integrata: serve uno sforzo coordinato tra enti locali e livelli nazionale e sovranazionale. Serve una rete forte e sinergica tra i diversi attori del contrasto: centri antiviolenza, magistratura, forze dell’ordine, presidi sociali e sanitari e serve la loro formazione aggiornata e costante. Servono risorse per le politiche di accoglienza delle vittime (in Italia ci sono 500 posti letto e ne servirebbero 5000) e per le politiche di prevenzione. Serve una cultura nuova e diversa di educazione alla parità e al rispetto, una battaglia della quale dovrebbero essere protagonisti la scuola, gli insegnanti, i ragazzi ed i mass-media, tutti. Di fronte ad un fenomeno tanto complesso, le politiche giudiziarie e di sicurezza possono essere una risposta solo molto parziale. Serve una reazione civile, una nuova consapevolezza dell’autonomia e della libertà femminile, dalle quali nascono nuove relazioni tra uomini e donne che poggiano sulla reciprocità, sul rispetto e non sul dominio. Un riconoscimento reciproco tra uomini e donne fondato sul senso dei propri limiti. Domani sceglieremo il futuro candidato alla presidenza del consiglio, ma saremo uniti, uomini e donne, per ribadire il nostro impegno costante contro la violenza.

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Accendere la luce sulla violenza. Domani le donne si mobilitano

di Cristiana Cella (l’Unità, 24.11.2012)

Per troppi anni le donne italiane vittime di violenze, intimidazioni e umiliazioni, sono state private della loro libertà e dei loro diritti, nascoste sotto un burka fatto di paura, ignoranza, omertà, vergogna, silenzio. E il silenzio è anch’esso violenza. Per anni, violenze psicologiche e fisiche, fino agli omicidi, sono state rinchiuse nell’ambito ambiguo del privato, nella colpevole tolleranza di una cultura distorta e diffusa, nella palude del sommerso. Non esistono neppure dati certi. Nell’unica ricerca del 2007, dell’Istat, si parla di 6 milioni di donne vittime di stupro, minacce e molestie. Quasi sempre ignorate. Si è giustificata la violenza con la gelosia, la passione, il dolore di essere abbandonati. Le parole sono importanti, hanno conseguenze e l’amore non ha nulla a che fare con la violenza. Le cose, adesso, cominciano finalmente a cambiare, grazie alla tenacia di donne coraggiose, che hanno continuato a denunciare, proteggere e combattere, nelle loro vicende personali, nelle associazioni, nei media e nei Centri Antiviolenza. La parola femminicidio è entrata con forza nel vocabolario, come «specifico reato e crimine contro l’umanità», come scrive Barbara Spinelli.

Nel 2012 l’Italia è scesa dal 74° all’80° posto - dopo il Ghana e il Bangladesh - nella classifica del Gender Gap Report sulla condizione della donna nel mondo, stilata dal World Economic Forum. Nel 2011 e nel 2012 le nazioni Unite e il Comitato Cedaw hanno redarguito il nostro Paese, preoccupati non solo per la diffusione della violenza contro donne e bambine e per l’elevato numero di femminicidi ma anche per « il persistere di tendenze socio-culturali che minimizzano o giustificano la violenza domestica». Nel testo della Convenzione «No more» (www.nomoreviolenza.it), promossa da diverse associazioni di donne si chiede al Governo di verificare l’efficacia del Piano Nazionale contro la violenza varato nel 2011, perché la protezione della vita e della libertà delle donne diventi subito priorità dell’agenda politica. La prima risposta è stata quella del Presidente Napolitano che ha mandato ieri una lettera di ringraziamento al Cooordinamento delle Associazioni promotrici. Cinquanta parlamentari hanno, intanto, aderito all’interpellanza lanciata da Rosa Callipari del Pd.

La data di domani non sarà più solo una ricorrenza formale e scomoda. Ma una giornata di mobilitazione nazionale per divulgare, riflettere e trovare soluzioni concrete. Urgenti, perché il fenomeno non fa che aumentare. In media ci sono più di 100 femminicidi all’anno, quest’anno, siamo già a 115, una donna su tre subisce violenza fisica o sessuale nel corso della sua vita. Secondo le anticipazioni dei dati 2012 di Telefono Rosa questo tipo di abusi, all’interno dei rapporti amorosi, ha raggiunto l’85% di tutte le violenze, il 3% in più del 2011. Per il 25 novembre, Telefono Rosa ha organizzato al Centrale Teatro Preneste, a Roma, alle ore 10, uno spettacolo (15 22, scritto da Pina Debbi, regia Tiziana Sensi; titolo che prende spunto dal numero nazionale antiviolenza che dal 19 dicembre sarà gestito da Telefono Rosa) per far conoscere e riflettere sul fenomeno. Moltissime le iniziative di associazioni di donne per accendere i riflettori sulla ‘normalità’ di questa inaccettabile tragedia che si consuma ogni giorno. Far luce e trovare soluzioni sono le parole d’ordine della giornata di domani. Simbolicamente, dalle ore 17 in poi, si illuminerà anche il Colosseo. Far luce anche su quelle forme di violenza meno conosciute, come stalking, intimidazioni e minacce, di cui sono vittime le donne per il loro lavoro.

Il 27 si terrà a Montecitorio, un convegno sulle gravi minacce di cui sono state vittime nel 2012 molte giornaliste. Nasce in questi giorni anche una nuova associazione, «Hands off WomenHow», con l’obiettivo di creare una rete internazionale di associazioni e persone per contrastare la violenza sulle donne. In questi giorni si rinnova anche il sito zeroviolenzadonne.it. Cambiare è possibile ma richiede il coinvolgimento di tutta la società, soprattutto degli uomini.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/11/2012 20.14
Titolo:I PROFETI INSIEME ALLE SIBILLE PER LA CHIESA UN GROSSO PROBLEMA
MICHELANGELO E LA SISTINA (1512-2012). I PROFETI INSIEME ALLE SIBILLE PER LA CHIESA UN GROSSO PROBLEMA ....

DOPO 500 ANNI, PER IL CARDINALE RAVASI LA PRESENZA DELLE SIBILLE NELLA SISTINA E’ ANCORA L’ELEMENTO PIU’ CURIOSO.


In un bel documentario dal titolo «1512. La volta di Michelangelo nella Sistina compie 500 anni» mandato in onda, ieri, 31 ottobre 2012 (giorno dell’anniversario) su TV2000 alle ore 13.05 (e replicato alle 23.05) con Antonio Paolucci, Gianluigi Colalucci e cardinale Gianfranco Ravasi,
- il cardinale dichiara, con la massima autorevolezza e con la massima ’innocenza’, che nella Volta della Sistina insieme alle figure centrali relative al testo del Genesi, ci sono i profeti e le sibille, e la presenza di "queste donne" è definita come "il più curioso" elemento della narrazione michelangiolesca.

Evidentemente, dopo 500 anni, per la teologia della Chiesa cattolico-romana, la loro presenza è decisamente ancora un problema, un grosso problema! (Federico La Sala, 01.11.2012)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/11/2012 21.35
Titolo:Anne Soupa: “La Chiesa ha una visione distorta delle donne”
Anne Soupa: “La Chiesa ha una visione distorta delle donne”

intervista a Anne Soupa,

a cura di Philippe Clanché

in “www.temoignagechretien.fr” del 4 ottobre 2012

(traduzione: www.finesettimana.org)

In “Dieu aime-t-il les femmes?” (Dio ama le donne?) la biblista Anne Soupa afferma che la visione delle donne da parte della Chiesa sarebbe nata da un equivoco nell’interpretazione della Genesi e da un rifiuto di rielaborare tale interpretazione.

Come è giunta ad interessarsi del problema dello status delle donne nella Bibbia?

È un problema a cui penso da molto tempo. Sono convinta che la Chiesa abbia una visione distorta delle donne e che sia necessario rettificarla. Ho voluto affrontare il problema partendo dalla Bibbia, perché non sopporto la manipolazione di cui sono oggetto le Scritture, semplicemente per giustificare scelte culturali che non hanno niente a che vedere con la fede.

E pensa che tutto derivi da un errore di interpretazione di un passo della Genesi?

Nei due racconti della Genesi della creazione dell’uomo, Dio crea prima l’ha’adam, fatto d’argilla, l’essere umano generico. Il commentatore maschio - perché storicamente è un uomo - , vi si è rispecchiato e si è appropriato di questo essere umano generico per dire che si trattava di lui. Quello è l’errore originale. I lettori medioevali ne hanno tratto la conclusione che la donna fosse una creazione seconda, nel tempo e per importanza, e soprattutto che fosse un aiuto per l’uomo. Ma se l’uomo maschio non esiste ancora, come potrebbe la donna essere il suo aiuto? Eppure, è proprio su questa lettura sbagliata di Genesi 2, 18-24 che si è basato il magistero cattolico. Non si tratta di un problema di vocabolario. La lingua tedesca, che pure dispone di due termini diversi (Mensch, l’essere umano, e Mann, l’uomo) conserva questa confusione... Bisognerebbe ormai compiere un percorso ufficiale per far sì che vengano distinti l’essere umano e l’uomo maschio.

E tuttavia, la creazione divina si struttura sulla differenza dei sessi?

Dio ha effettivamente creato la differenza dei sessi, ma il testo della Genesi non dà alcun contenuto oggettivo a questa differenza. Per ciascuno e ciascuna, essa sorge dall’esperienza. Dio non dice che la donna è frivola, seducente, segreta, regina della casa e che l’uomo è potente, razionale, inquisitore. Dio non ha creato né il femminile, né il maschile, che sono invece caratteristiche culturali.

In senso più ampio, come considera le donne l’Antico Testamento?

Certe donne sono vittime di violenze terribili, come la concubina del levita violentata fino alla morte. Ma la Bibbia denuncia tali atti. Non dimentica mai che la donna è creatura di Dio. Nel progetto biblico, le donne hanno un ruolo decisivo: dicono che Dio prospetta percorsi insospettati. Si scopre ora il contributo importante delle donne profetesse nella Bibbia. Naturalmente, come in ogni società patriarcale, le loro funzioni sono legate alla vita familiare.

Nel Vangelo, lei presenta un Gesù con caratteristiche “femminili” (non violenza, tenerezza, ascolto) e, allo stesso tempo, innamorato delle donne.

Gesù ha mandato all’aria i codici culturali della sua epoca. È stato libero rispetto al “maschile” del suo tempo. Ha ridato alle donne uno spazio. Ed è da uomo che le considera. Tutte le nostre relazioni umane sono caratterizzate dalla sessualità. In Gesù e nelle sue interlocutrici, c’è una innegabile parte di sessualità passiva. Inoltre, il desiderio di Dio, a partire dai profeti, viene evocato con la metafora delle nozze, della vita amorosa. Nulla di sorprendente che alcuni abbiano creduto di vedervi una relazione scandalosa tra Cristo e Maria Maddalena. È il campo d’azione della vita spirituale: è una relazione amorosa sublimata.

Femminile, maschile... il “genere” è un aspetto da tener presente della relazione con Dio?

I grandi spirituali hanno insistito sulla femminilità dell’anima che accoglie Dio. Ne hanno certo diritto: il femminile, come il maschile, appartengono a tutti. Ma in questo modo, in una società a dominanza maschile come quella del Medio Evo, si sono per di più arrogati il femminile. E, stando così le cose, ne hanno quasi privato le “vere” donne, che finiscono per non essere più necessarie! L’interpretazione del Cantico dei cantici mostra chiaramente questa “espropriazione”. La storia d’amore che racconta è stata intesa da quasi tutti i commentatori cristiani come un’immagine dell’amore tra l’essere umano e Dio. Ma così l’Amata del Cantico scompare in quanto vera donna, non è altro che l’icona di colui che desidera Dio.

Ed è proprio a partire dal Cantico dei Cantici che l’assimilazione tra l’Amata del testo e il popolo dei fedeli fa nascere l’espressione “Chiesa, sposa di Cristo”?

Sono soprattutto i profeti che hanno sviluppato questo tema del popolo-sposa di Dio (e Dio viene così mascolinizzato). E, sfruttando questo filone, anche i teologi, Paolo per primo, hanno sviluppato il tema della Chiesa sposa di Cristo. Ma quella che era solo un’immagine, ed anche una richiesta di maggiore fedeltà a Dio, è diventata una norma che regge i veri rapporti dei veri uomini e delle vere donne nella Chiesa. Ed è su questo che si basa la Chiesa per escludere le donne dal sacramento dell’ordine. Le donne, dice, non possono esprimere il Cristo sposo. Ecco come si fa di una metafora uno strumento di esclusione.

Nei primi secoli del cristianesimo, però, le donne esercitavano dei ministeri. Sotto un ritratto nella chiesa di Santa Prassede a Roma, si legge: Theodora episcopa(il vescovo Theodora). Perché lei situa la svolta al momento della riforma gregoriana (XI-XII secolo)?

La riforma gregoriana affida ai soli preti le tre funzioni tradizionali nella Chiesa: governare, insegnare, santificare. Le donne (come i laici uomini) ne sono quindi escluse, fino ad oggi. E inoltre, nel XIII secolo, la Chiesa inizia la guerra contro i preti sposati. Quella decisione suscita molte resistenze, che generano, in risposta, vere campagne di discredito nei confronti delle donne. Sermoni e rappresentazioni iconografiche associano la donna al serpente della Genesi, come sull’architrave della cattedrale di Autun, ad esempio. Allora, le donne occupano altri spazi. Come ogni popolazione minacciata che fugge verso le montagne o i deserti, le donne si rifugiano nel misticismo o nell’avventura coloniale, in Canada, ad esempio.

In quale momento la Chiesa ha creato la vocazione della donna-madre, della donna-ventre che si realizza innanzitutto nella maternità?

Questa concezione è antica, abbiamo visto che la Bibbia ne riconosce la nobiltà. Ma la maternità non dice tutto di un essere umano. Non definisce un’identità. Nel XX secolo, la promozione della donna nelle società civili ha obbligato Roma a prendere posizione. Ma il Vaticano si è limitata a riprendere il discorso delle società patriarcali, senza vedere che l’emancipazione femminile la chiamava ad un discorso nuovo. Tanto ha sostenuto un tempo la causa delle donne, altrettanto frena oggi la corrente di emancipazione che arriva fino a lei, senza dubbio perché non ci sono abbastanza donne al suo interno per aiutarla a prendere coscienza dell’importanza di questa liberazione. Ad esempio, Roma continua a prendere alla lettera la maledizione della Genesi: Dio moltiplicherà il dolore delle gravidanze della donna e l’uomo dovrà lavorare la terra col sudore della fronte. Per la donna, la maternità diventa ontologica per la donna. Ma agli uomini Roma non chiede di tornare ad essere agricoltori... Oggi siamo in una situazione “folle”: il Magistero parla al posto delle donne e non dà loro la parola. Si arroga il diritto di assegnare loro una vocazione specifica che non ha l’equivalente per i maschi.

Abbiamo parlato del rifiuto di Roma del presbiterato al femminile. Perché lei non ne fa un asse portante della sua richiesta?

Il ministero presbiterale è in crisi. Deve innanzitutto risolvere i suoi problemi. Ordinare delle donne non serve a niente se il quadro è sbilenco. Invece, è importante aprire alle donne la possibilità della predicazione e dell’assunzione di funzioni di responsabilità nella Chiesa. È urgente che si senta la loro voce. Essendo diretta solo dal clero, la Chiesa si priva di sangue nuovo. Si devitalizza.

Quale ruolo svolgono le femministe cattoliche?

Hanno riflettuto soprattutto sugli aspetti teologici ed ecclesiologici, in particolare sui ministeri. Una generazione di esegete comincia a pubblicare. Questo è bene, perché è a partire da una lettura nuova della Scrittura che le cose possono cambiare. Si può anche immaginare un sinodo delle donne, idea che propongo alla fine del mio libro. In tale circostanza potrebbero emergere delle mozioni specificamente femminili e, perché no, dei voti che uniscono uomini e donne. Ho lanciato l’idea, resto in attesa di che cosa ne pensa il pubblico. La questione delle donne è talmente scottante! Non si può restare in silenzio davanti ad una negazione così grave del messaggio evangelico.

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Anne Soupa, Dieu aime-t-il les femmes?, Médiaspaul, p. 144, € 19

Biblista e militante

Anne Soupa ha studiato teologia all’Institut de pédagogie de l’Enseignement religieux (Iper) di Lione, poi nelle facoltà cattoliche di Lione e di Parigi. Ha lavorato come biblista, in particolare dirigendo la rivista Biblia presso la casa editrice Cerf. È diventata famosa come promotrice, insieme all’editrice e saggista Christine Pedotti, del Comité de la Jupe e della Conférence catholique des baptisé-e-s francophones, che hanno l’obiettivo di difendere la dignità delle donne e la dignità dei battezzati e delle battezzate. Insieme hanno raccontato queste avventure nel libro Les pieds dans le bénitier, Presses de la Renaissance, 2009.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/11/2012 16.39
Titolo:Femminicidio: una parola che dà senso all’orrore ...
La Spoon river delle donne
Femminicidio: una parola che dà senso all’orrore
Uccise, massacrate, violate
Chiediamo agli uomini un atto di responsabilità per non essere complici dei killer. E per denunciarli

di Sara Ventroni (l’Unità, 25.11.2012)

ROMA. FINCHÉ LE COSE NON HANNO UN NOME NON ESISTONO. SCIVOLANO NELL’OMBRA, NELLA VERGOGNA, NEI SENSI DI COLPA. Finché le cose non hanno un nome, nessuno sa riconoscerle. Allora le cose ci inghiottono nel loro buco nero. In solitudine. Poi è troppo tardi. Poi non c’è più fiato per dire che no, quello non era amore.

Femminicidio (o femicidio) è una parola che dà fastidio. È una parola che suona male, che si stenta a pronunciare perché per alcuni puzza di femminismo. Ha la stessa radice, lo stesso scandalo. Eppure è proprio dal momento in cui questa parola è stata detta, che si è potuto finalmente dare un nome a un fenomeno che ci si ostinava a non voler vedere: la violenza degli uomini sulle donne. Un fenomeno globale, che ogni anno uccide più del cancro. Che entra nelle statitische ma non può essere risolto con i numeri, perché si tratta di una disfunzione relazionale, di una malformazione culturale che richiede uno sguardo acuto come un bisturi.

La parola femminicidio è stata coniata da femministe e attiviste messicane che hanno trovato il coraggio di denunciare l’uccisione in massa di donne, massacrate nel silenzio per l’unico motivo di essere femmine. Siamo a Ciudad Juarez, una piccola città al confine tra il Messico e gli Stati Uniti. Nessuno ne ha mai sentito parlare. Nessuno ha mai ricevuto notizia del fatto che dal 1992 più di 4.500 donne sono scomparse. Nessuno ha mai indagato sui corpi abbandonati nel deserto. Nessuno ha mai voluto capire quale fosse il denominatore comune che permetteva alle forze dell’ordine di non vedere, ai cittadini di non sapere, alla magistratura di insabbiare. Una complicità silenziosa, pacata, micidiale.

Poi l’attivista Marcela Lagarde, in seguito eletta parlamentare, ha messo in fila i dati. Ha dato un senso politico ai fatti, fino ad allora anonimi e isolati, ha indicato i motivi di fondo per cui una comunità di responsabili, di corresponsabili, di complici involontari ha potuto tranquillamente ignorare il fenomeno. Si tratta di femminicidio. E ci riguarda tutti.

L’ALIBI DELL’AMORE

Dal Messico all’Italia, ci è voluto del tempo prima di riuscire a scrostare la patina pruriginosa, da feuilleton, dei luoghi comuni che giustificano la morte di centinaia di donne, ogni anno: l’amore molesto, la gelosia, il senso del possesso, il raptus. Tutte falsificazioni per assopire la coscienza collettiva. L’adagio implicito è che sono fatti così, i nostri uomini, e se lanciano un ceffone o una coltellata al cuore lo fanno per troppo amore.

Fino a poco tempo fa in Italia, è bene ricordarlo, le notizie dei femminicidi erano derubricate nelle pagine della nera. Dettagli conturbanti raccontati in cronache rosso sangue, oppure inquadrati in casi clamorosi, come l’omicidio Reggiani, branditi come una clave mediatica, per cui tutto si risolve con una massiccia operazione di ordine pubblico contro la barbarie culturale degli stranieri. Degli altri. Un brutto affare che non ci riguarda.

Invece ormai ne abbiamo le prove: l’assassino ha le chiavi di casa.

Mariti, compagni, ex conviventi, morosi: da gennaio a oggi sono 106 le donne uccise in Italia. E non si tratta del degrado delle periferie. I dati di Telefono Rosa parlano chiaro: le donne uccise hanno un’età compresa tra i 35 e i 60 anni e provengono da ogni classe sociale. Sono laureate, casalinghe, studentesse, donne in carriera. Gli assassini sono spesso insospettabili professionisti. Le violenze si consumano tra le mura domestiche. Non si tratta solo di rapporti di coppia. C’è anche la violenza dei padri verso le figlie. Come dimenticare Hina Saleem, ragazza di origine pakistana, italiana, che voleva decidere della propria vita, che vestiva all’occidentale, e per questo è stata uccisa dal padre e seppellita nel giardino di casa?

Le femministe direbbero che si tratta di una mentalità patriarcale dura a morire. In effetti sono davvero pochi gli anni trascorsi dalla ratifica del nuovo diritto di famiglia del 1975. Ed è troppo vicino il ricordo del vecchio ordine, quando il marito era il capofamiglia e le donne passavano dalla tutela del padre a quella del marito. Prendevano il cognome dell’uomo certificando, così, il passaggio di proprietà. Il marito aveva potere su tutto: decideva dove abitare, come gestire i soldi e cosa fare della dote della moglie; esercitava la patria potestà sui figli, decidendo per tutti, senza che la moglie potesse dire la sua. Ed è passato troppo poco tempo, era il 1981, dall’abrogazione dell’articolo 587 del Codice penale che garantiva le attenuati all’uomo che uccideva la moglie, la figlia o la sorella in nome della rispettabilità: era il delitto d’onore...

È una storia recente che evidentemente ancora incide, come un palinsesto, sulla formazione degli italiani. Non c’è da meravigliarsi, dunque, se nel fermento degli anni Settanta esplose il femminismo per prendere le distanze dalle clamorose rimozioni dei furori rivoluzionari dei maschi.

RIVOLUZIONE MANCATA

Noi oggi siamo qui. Evidentemente la rivoluzione dei sessi è ancora di là da venire. Su questa linea, che è un solco profondo e non un segno labile di lapis, il movimento Se non ora quando ha lanciato la sua campagna «Mai più complici».

Un progetto che schiva la retorica vittimistica e che interroga direttamente la cultura, spingendo tutti a un esame profondo. Come è accaduto negli incontri, affollatissimi, di Merano, di Torino (con la messa in scena della pièce L’amavo più della sua vita di Cristina Comencini) o nella recente partita della Nazionale giocata a Parma, quando i calciatori di Prandelli hanno ascoltato in silenzio un testo scritto dalla filosofa Fabrizia Giuliani, letto da Lunetta Savino.

La violenza sulle donne è un problema degli uomini. Ora è chiaro. Ma la strada è ancora lunga. In Senato è in discussione il ddl Serafini, un proposta di legge contro il femminicidio. La ministra Fornero ha promesso di ratificare la Conferenza di Istanbul contro la violenza sulle donne firmata a settembre. L’anno scorso il Cedaw (Commissione per l’eliminazione delle discriminazioni contro le donne) ha ammonito pesantemente l’Italia. Siamo ancora indietro. Troppo indietro nel processo di partecipazione. Oggi è la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

Ci sono iniziative in tutta Italia e i media stanno sul pezzo. Anche gli uomini rompono il silenzio e fanno autocoscienza: dal gruppo «Maschileplurale» a Riccardo Iacona, a Sofri. È un passo avanti. Siamo certe che la parola «femminicidio» verrà accolta come neologismo dallo Zingarelli, ma non ci basta. Occorre stabilire un nuovo nesso, per trovare il senso. L’esclusione delle donne dalla piena partecipazione democratica è infatti strettamente legata a una visione paternalistica, che può assumere anche un volto violento. Non si tratta di amore malato che finisce in tragedia. Le donne, questo, lo hanno capito.

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Titolo articolo : A QUANDO UN TRIBUNALE INTERNAZIONALE PER NETANYAHU E I SUOI GENERALI? Dieci volte peggio dei nazisti. Il post di Piergiorgio Odifreddi su Israele cancellato da "la Repubblica" - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/24/2012 - 19:58:30.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/11/2012 12.10
Titolo:Il governo non è un paese. Gli errori non vanno taciuti mai. I frutti della guer...
Israele/1

Critiche no

Il governo non è un paese

di Furio Colombo (il Fatto, 21.11.2012)

Si può parlar male di Israele? Per rispondere dirò che questo è il destino riservato a Israele: molto prima di decidere sulla portata delle sue azioni e l’eventuale gravità dei suoi errori, bisogna decidere se Israele è un Paese normale. L’Italia, ad esempio, è un Paese normale. Eppure ha distrutto intere popolazioni etiopiche e somale con gas asfissianti, ha spossessato e perseguitato i nostri vicini croati e sloveni che vivevano a Trieste, tormentandoli ed eliminandoli fino alla nostra sconfitta; ha scritto con cura, approvato all’unanimità ed eseguito con fervore le leggi razziali, mandando a morte migliaia di famiglie italiane ebree, compresi i bambini, tutti quelli che hanno potuto trovare.

La Cina, ai nostri giorni è un Paese normale, proprio mentre è intento a distruggere il Tibet, a perseguitare le popolazioni cinesi islamiche (Uiguri) e a stroncare con carcere e morte l’ostinata diversità del vasto gruppo Falun gong.

I Paesi normali possono, a volte, essere rimproverati o ammoniti per i loro comportamenti nel passato o nel presente, ma la discussione su di loro avviene (persino per il Ruanda che aveva provocato un milione di morti e due milioni di profughi) partendo da due punti base.

Uno: un governo non è un Paese, e infatti molti di noi non hanno mai accettato che Berlusconi fosse l’Italia.

DUE: OGNI VOLTA che si richiama il nazismo come chiave di analogia, spiegazione e confronto, si chiamano in causa le vittime, dunque gli ebrei. È il momento in cui, agli occhi degli accusatori, diventano i carnefici. Certo, solo alcuni folli neo-nazisti aggiungeranno la bieca frase “vedi? Non ne hanno fatti fuori abbastanza”. Ma il senso pesa due volte. Primo, il legame ebrei-nazisti diventa, allo stesso tempo, reversibile e ferreo, un destino legato all’altro e la condanna a rifare lo stesso ignobile gioco. Secondo, senza gli ebrei, che diventano i nazisti che li hanno per-seguitati, i palestinesi vivrebbero liberi e felici.

Ogni riferimento ai Pashtun dell’Afghanistan, che sotto il nome di Taliban hanno fatto, fanno e faranno stragi di donne con la lapidazione, e di bambini, con l’immensa diffusione di mine antiuomo, è considerato fuori posto. I Taliban saranno pesanti da sopportare, ma non sono ebrei. Ecco dove e come le critiche a Israele (anche le più legittime) possono diventare uno strano discorso che porta al razzismo: quando si evoca il legame rovesciato vittima-carnefice, indicando per forza l’ebreo come protagonista negativo; quando, anche da persone certamente democratiche, si fa finta di credere che un governo sia un popolo e un Paese (come se David Grossman parlasse da Malta) ; quando si stabiliscono per Israele criteri di giudizio (dunque di condanna) che non si applicano mai a nessun altro Paese (eppure le atrocità nel mondo sono immense anche in questo momento) che non sia ebreo.

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Israele/2

Critiche sì

Gli errori non vanno taciuti mai

di Vauro Sanesi (il Fatto, 21.11.2012)

Criticare Israele non solo si può, ma si deve. Critica aperta e libera alla politica israeliana di tutti questi anni sulla questione palestinese e anche riguardo al mancato rispetto di un’infinita serie storica di risoluzioni delle Nazioni Unite. Pare sempre in questi casi che lo Stato di Israele goda di una sorta di non dichiarato salvacondotto rispetto ai canoni minimi di legalità internazionale. Gli esempi sono un’infinità: dalla politica sulle colonie nei Territori Occupati, al bloccare - anche violentemente - in acque internazionali, dunque un atto di pura pirateria i membri militanti pacifisti (come è successo nel 2010 con la nave Mavi Marmara e le sue 9 vittime) che portano aiuti umanitari alla Striscia di Gaza, all’uso di bombe al fosforo, come è successo durante la precedente operazione israeliana “Piombo fuso”. È un lungo elenco, non c’è forse bisogno di scriverle tutte, anche se la memoria non guasta mai.

La questione è che ogni critica a Israele viene equiparata a una recrudescenza di antisemitismo: non lo trovo soltanto desolante ma anche pericolosissimo. Perché, sempre facendo buon uso della memoria, va ricordato che l’antisemitismo ha portato a uno dei più grandi drammi del Novecento, la Shoah: allo stesso tempo, banalizzare questa tragedia trasformandola in un’occasione opportunistica per nascondere dietro a ciò qualsiasi scelta scellerata di un governo, come quello di Israele, rischia di far perdere ogni valenza storica, morale e attuale.

Il criticare Israele non solo è necessario per rompere il silenzio omertoso che da anni si fa intorno alle condizioni di vita dei palestinesi, ma anche per salvaguardare Israele stessa dalla deriva militarista e autoritaria che rischia di soffocare quel che di democratico c’è, ancora, nello Stato di Israele stesso.

I frutti della guerra

di Barbara Spinelli (la Repubblica, 21.11.2012)

E lo stereotipo non è diverso da quello usato ai tempi di Bush figlio: l’America è Marte e virile, il nostro continente è Venere e fugge la spada. L’ashkenazi tornò come altri ebrei in Terra Promessa, ma ha i riflessi della vecchia Europa. Lo storico Tom Segev racconta come erano trattati gli ebrei tedeschi, agli esordi. Li chiamavano yekke: erano ritenuti troppo remissivi, cervellotici, e poco pratici. L’Europa è icona negativa, e lo si può capire: ha idee sulla pace, ma in Medio Oriente è di regola una non-presenza, una non-potenza. Lo scettro decisivo sempre fu affidato all’America.

Tale è, per Yaalon, il vizio di chi biasima Netanyahu e gli rimprovera, in questi giorni, la guerra a Gaza e la tenace mancanza di iniziativa politica sulla questione palestinese. Lo stereotipo dell’ashkenazita mente, perché ci sono ashkenaziti di destra e sinistra. Era ashkenazita Golda Meir. Sono ashkenaziti David Grossman, Uri Avnery, Amira Hass, pacifisti, e espansionisti come Natan Sharansky. Ma lo stereotipo dice qualcosa su noi europei, che vale la pena meditare. Nel continente dove gli ebrei furono liquidati siamo prodighi di commemorazioni contrite, avari di senso di responsabilità per quello che accade in Israele. Predicando soltanto, siamo invisi e inascoltati.

Eppure l’Europa avrebbe cose anche pratiche da dire, sulle guerre infinite che i governi d’Israele conducono da decenni, sicuri nell’immediato di difendersi ma alla lunga distruggendosi. Ne ha l’esperienza, e per questo le ha a un certo punto terminate, unendo prima i beni strategici tedeschi e francesi (carbone, acciaio) poi creando un’unione di Stati a sovranità condivisa.

Le risorse mediorientali sono quelle acquifere in Cisgiordania, gestite dall’occupante e assegnate per l’83% a Israele e colonie. Tanto più l’Europa può contare, oggi che l’America di Obama è stanca di mediazioni fallite. È stato quasi un colpo di fucile, l’articolo che Thomas Friedman, sostenitore d’Israele, ha scritto il 10 novembre sul New York Times: provate la pace da soli, ha detto, poiché «non siamo più l’America dei vostri nonni». Non potremo più attivarci per voi: «Il mio Presidente è occupato-My President is busy». Anche gli ebrei Usa stanno allontanandosi da Israele.

È forse il motivo per cui pochi credono che l’offensiva si protrarrà, ripetendo il disastro che fu l’Operazione Piombo Fuso nel 2008-2009. Ma guerra resta, cioè surrogato della politica, e solo all’inizio la vulnerabilità di Israele scema. Troppo densamente popolata è Gaza, perché un attacco risparmi i civili e non semini odio. Troppo opachi sono gli obiettivi. Per alcuni il bersaglio è l’Iran, che ha dato a Hamas missili per raggiungere Tel Aviv e che ha spinto per la moltiplicazione di lanci di razzi su Israele. Per altri la guerra è invece propaganda: favorirà Netanyahu alle elezioni del 22 gennaio 2013.

Altro è il male di cui soffre Israele, e che lo sfibra, e che gli impedisce di immaginare uno Stato palestinese nascente. Un male evidente, anche se ci s’incaponisce a negarlo. Sono ormai 45 anni - dalla guerra dei sei giorni - che la potenza nucleare israeliana occupa illegalmente territori non suoi, e anche quest’incaponimento ricorda i vecchi nazionismi europei. Nel 2006 i coloni sono stati evacuati da Gaza, ma i palestinesi vi esercitano una sovranità finta (una sovranità morbida, disse Bush padre, come nella Germania postbellica). Il controllo dei cieli, del mare, delle porte d’ingresso e d’uscita, resta israeliano (a esclusione del Rafah Crossing, custodito con l’Egitto e, fino alla vittoria di Hamas, con l’Unione europea). Manca ogni continuità territoriale fra Cisgiordania (la parte più grande della Palestina, 5.860 km²; 2,16 milioni di abitanti) e Gaza (360 km²; 1,6 milioni). I palestinesi possono almeno sperare nella West Bank? Nulla di più incerto, se solo si contempla la mappa degli insediamenti in aumento incessante (350.000 israeliani, circa 200 colonie). Nessun cervello che ragioni può figurarsi uno Stato palestinese operativo, stracolmo di enclave israeliane.

Se poi l’occhio dalle mappe si sposta sul terreno, vedrà sciagure ancora maggiori: il muro che protegge le terre annesse attorno a Gerusalemme, le postazioni bellicose in Cisgiordania, le strade di scorrimento rapido riservate agli israeliani, non ai palestinesi che si muovono ben più lenti su vie più lunghe e tortuose. Un’architettura dell’occupazione che trasforma le colonie in dispositivi di controllo (in panoptikon), spiega l’architetto Eyal Weizman. È urgente guardare in faccia queste verità, scrive Friedman, prima che la democrazia israeliana ne muoia. Forse è anche giunto il tempo di pensare l’impensabile, e chiedersi: può un arabo israeliano (1.5 milioni, più del 20% della popolazione) riconoscersi alla lunga in un inno nazionale (Hatikvah) che canta la Terra Promessa ridata agli ebrei, o nella stella di Davide sulla bandiera? Potrà dire senza tema: sono cittadino dello Stato d’Israele, non di quello ebraico?

Questo significa che anche per Israele è tempo di risveglio. Di una sconfitta del nazionalismo, prima che essa sia letale. Separando patria e religione nazionale, la pace è supremo atto laico. Risvegliarsi vuol dire riconoscere i guasti democratici nati dall’occupazione. Le menti più acute di Israele li indicano da anni. Ari Shavit evoca i patti convenienti con Bush figlio, gli evangelicali Usa, il Tea Party: «Patrocinato dalla destra radicale Usa, Israele può condurre una politica radicale e di destra senza pagare alcun prezzo». Può sprezzare le proprie minoranze, tollerare i vandalismi dei coloni contro palestinesi e attivisti pacifisti.

David Grossman ha scritto una lettera aperta a Netanyahu: l’accusa è di perdere ogni occasione per far politica anziché guerre ( Repubblica, 6 novembre 2012). L’ultima occasione persa è l’intervista di Mahmoud Abbas alla tv israeliana, l’1 novembre: il capo dell’Autorità palestinese si dice disposto a tornare come turista a Safad (la città dov’è nato a nord di Israele). «Nelle sue parole - così Grossman - era discernibile la più esplicita rinuncia al diritto del ritorno che un leader arabo possa esprimere in un momento come questo, prima dei negoziati». Abbas s’è corretto, il 4 novembre: la volontà di chiedere all’Onu il riconoscimento dell’indipendenza aveva irritato Netanyahu, e Obama di conseguenza ha sconsigliato Abbas. Quattro giorni dopo, iniziava a Gaza l’operazione «Pilastro della Difesa».

L’abitudine alla guerra indurisce chi la contrae, sciupa la democrazia. In Israele, allarga il fossato tra arabi e ebrei, religiosi e laici. Vincono gli integralisti, secondo lo scrittore Sefi Rachlevsky che delinea così il volto della prossima legislatura: una coalizione fra Netanyahu, i nazionalisti di Yisrael Beiteinu, e ben quattro partiti che vogliono - come l’Islam politico - il primato della legge ebraica (halakha) sulle leggi dello Stato. In tal caso non si tornerebbe solo alle guerre nazionaliste europee, ma alle più antiche guerre di religione. Stupefacente imitazione, per un paese dove l’Europa è sì cattivo esempio.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/11/2012 12.45
Titolo:Testo di B. Spinelli (integrale)
Le conseguenze della guerra

di Barbara Spinelli (la Repubblica, 21 novembre 2012)

Quando i conservatori israeliani se la prendono con ragionamenti troppo pacifisti, o con chi in patria critica la politica dell’occupazione, subito tirano in ballo l’Europa: «Questo è un tipico ragionamento ashkenazita; non ha alcun rapporto con il Medio Oriente!», dice ad esempio Moshe Yaalon, già capo dell’esercito, oggi vice premier, rispondendo al giornalista Ari Shavit in un libro appena edito da Haaretz (Does this mean war?).

L’ebreo ashkenazita ha radici in Germania e in Europa centrale, parla yiddish. E lo stereotipo non è diverso da quello usato ai tempi di Bush figlio: l’America è Marte e virile, il nostro continente è Venere e fugge la spada. L’ashkenazi tornò come altri ebrei in Terra Promessa, ma ha i riflessi della vecchia Europa. Lo storico Tom Segev racconta come erano trattati gli ebrei tedeschi, agli esordi. Li chiamavano yekke: erano ritenuti troppo remissivi, cervellotici, e poco pratici. L’Europa è icona negativa, e lo si può capire: ha idee sulla pace, ma in Medio Oriente è di regola una non-presenza, una non-potenza. Lo scettro decisivo sempre fu affidato all’America.

Tale è, per Yaalon, il vizio di chi biasima Netanyahu e gli rimprovera, in questi giorni, la guerra a Gaza e la tenace mancanza di iniziativa politica sulla questione palestinese. Lo stereotipo dell’ashkenazita mente, perché ci sono ashkenaziti di destra e sinistra. Era ashkenazita Golda Meir. Sono ashkenaziti David Grossman, Uri Avnery, Amira Hass, pacifisti, e espansionisti come Natan Sharansky. Ma lo stereotipo dice qualcosa su noi europei, che vale la pena meditare. Nel continente dove gli ebrei furono liquidati siamo prodighi di commemorazioni contrite, avari di senso di responsabilità per quello che accade in Israele. Predicando soltanto, siamo invisi e inascoltati.

Eppure l’Europa avrebbe cose anche pratiche da dire, sulle guerre infinite che i governi d’Israele conducono da decenni, sicuri nell’immediato di difendersi ma alla lunga distruggendosi. Ne ha l’esperienza, e per questo le ha a un certo punto terminate, unendo prima i beni strategici tedeschi e francesi (carbone, acciaio) poi creando un’unione di Stati a sovranità condivisa.

Le risorse mediorientali sono quelle acquifere in Cisgiordania, gestite dall’occupante e assegnate per l’83% a Israele e colonie. Tanto più l’Europa può contare, oggi che l’America di Obama è stanca di mediazioni fallite. È stato quasi un colpo di fucile, l’articolo che Thomas Friedman, sostenitore d’Israele, ha scritto il 10 novembre sul New York Times: provate la pace da soli, ha detto, poiché «non siamo più l’America dei vostri nonni». Non potremo più attivarci per voi: «Il mio Presidente è occupato-My President is busy». Anche gli ebrei Usa stanno allontanandosi da Israele.

È forse il motivo per cui pochi credono che l’offensiva si protrarrà, ripetendo il disastro che fu l’Operazione Piombo Fuso nel 2008-2009. Ma guerra resta, cioè surrogato della politica, e solo all’inizio la vulnerabilità di Israele scema. Troppo densamente popolata è Gaza, perché un attacco risparmi i civili e non semini odio. Troppo opachi sono gli obiettivi. Per alcuni il bersaglio è l’Iran, che ha dato a Hamas missili per raggiungere Tel Aviv e che ha spinto per la moltiplicazione di lanci di razzi su Israele. Per altri la guerra è invece propaganda: favorirà Netanyahu alle elezioni del 22 gennaio 2013.

Altro è il male di cui soffre Israele, e che lo sfibra, e che gli impedisce di immaginare uno Stato palestinese nascente. Un male evidente, anche se ci s’incaponisce a negarlo. Sono ormai 45 anni - dalla guerra dei sei giorni - che la potenza nucleare israeliana occupa illegalmente territori non suoi, e anche quest’incaponimento ricorda i vecchi nazionismi europei.

Nel 2006 i coloni sono stati evacuati da Gaza, ma i palestinesi vi esercitano una sovranità finta (una sovranità morbida, disse Bush padre, come nella Germania postbellica). Il controllo dei cieli, del mare, delle porte d’ingresso e d’uscita, resta israeliano (a esclusione del Rafah Crossing, custodito con l’Egitto e, fino alla vittoria di Hamas, con l’Unione europea). Manca ogni continuità territoriale fra Cisgiordania (la parte più grande della Palestina, 5.860 km²; 2,16 milioni di abitanti) e Gaza (360 km²; 1,6 milioni). I palestinesi possono almeno sperare nella West Bank? Nulla di più incerto, se solo si contempla la mappa degli insediamenti in aumento incessante (350.000 israeliani, circa 200 colonie). Nessun cervello che ragioni può figurarsi uno Stato palestinese operativo, stracolmo di enclave israeliane.

Se poi l’occhio dalle mappe si sposta sul terreno, vedrà sciagure ancora maggiori: il muro che protegge le terre annesse attorno a Gerusalemme, le postazioni bellicose in Cisgiordania, le strade di scorrimento rapido riservate agli israeliani, non ai palestinesi che si muovono ben più lenti su vie più lunghe e tortuose. Un’architettura dell’occupazione che trasforma le colonie in dispositivi di controllo (in panoptikon), spiega l’architetto Eyal Weizman.

È urgente guardare in faccia queste verità, scrive Friedman, prima che la democrazia israeliana ne muoia. Forse è anche giunto il tempo di pensare l’impensabile, e chiedersi: può un arabo israeliano (1.5 milioni, più del 20% della popolazione) riconoscersi alla lunga in un inno nazionale (Hatikvah) che canta la Terra Promessa ridata agli ebrei, o nella stella di Davide sulla bandiera? Potrà dire senza tema: sono cittadino dello Stato d’Israele, non di quello ebraico?

Questo significa che anche per Israele è tempo di risveglio. Di una sconfitta del nazionalismo, prima che essa sia letale. Separando patria e religione nazionale, la pace è supremo atto laico. Risvegliarsi vuol dire riconoscere i guasti democratici nati dall’occupazione. Le menti più acute di Israele li indicano da anni. Ari Shavit evoca i patti convenienti con Bush figlio, gli evangelicali Usa, il Tea Party: «Patrocinato dalla destra radicale Usa, Israele può condurre una politica radicale e di destra senza pagare alcun prezzo». Può sprezzare le proprie minoranze, tollerare i vandalismi dei coloni contro palestinesi e attivisti pacifisti.

David Grossman ha scritto una lettera aperta a Netanyahu: l’accusa è di perdere ogni occasione per far politica anziché guerre (Repubblica, 6 novembre 2012). L’ultima occasione persa è l’intervista di Mahmoud Abbas alla tv israeliana, l’1 novembre: il capo dell’Autorità palestinese si dice disposto a tornare come turista a Safad (la città dov’è nato a nord di Israele). «Nelle sue parole - così Grossman - era discernibile la più esplicita rinuncia al diritto del ritorno che un leader arabo possa esprimere in un momento come questo, prima dei negoziati». Abbas s’è corretto, il 4 novembre: la volontà di chiedere all’Onu il riconoscimento dell’indipendenza aveva irritato Netanyahu, e Obama di conseguenza ha sconsigliato Abbas. Quattro giorni dopo, iniziava a Gaza l’operazione «Pilastro della Difesa».

L’abitudine alla guerra indurisce chi la contrae, sciupa la democrazia. In Israele, allarga il fossato tra arabi e ebrei, religiosi e laici. Vincono gli integralisti, secondo lo scrittore Sefi Rachlevsky che delinea così il volto della prossima legislatura: una coalizione fra Netanyahu, i nazionalisti di Yisrael Beiteinu, e ben quattro partiti che vogliono - come l’Islam politico - il primato della legge ebraica (halakha) sulle leggi dello Stato. In tal caso non si tornerebbe solo alle guerre nazionaliste europee, ma alle più antiche guerre di religione. Stupefacente imitazione, per un paese dove l’Europa è sì cattivo esempio.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/11/2012 16.35
Titolo:Gaza non sei sola ma la politica EUROPEA ha dimenticato gli ESSERI UMANI
Gaza non sei sola ma la politica EUROPEA ha dimenticato gli ESSERI UMANI

di amina salina

Mentre un popolo inerme viene massacrato non da 6 giorni ma da anni con un pesante stillicidio di civili uccisi in modo vigliacco dall’esercito sionista, mentre oltre l’80 per cento del popolo israeliano appoggia questo genocidio, la stampa italiana come al solito mette sullo stesso piano aggressori ed aggrediti.

Nel silenzio tombale della classe politica impegnata a rimanere col deretano attaccato alla poltrona per altri 5 anni, Nichi Vendola ha fatto alcune dichiarazioni a favore dei palestinesi per una pace giusta e duratura.

Scrive sulla sua pagina di FB:«Anche oggi penso al cielo sopra Gaza. A quelle colonne di fumo che vorrebbero nascondere l’oscena contabilità delle "vittime collaterali". Mi dicono che il governo di Israele ipotizza a breve un’operazione di terra. Gaza è sola, anche oggi. Io credo che all’Europa dovrebbero ritirare il premio Nobel per la Pace. Non lo merita».

Sempre su FB era intervenuto dicendo "Ancora morti innocenti, ancora ’esecuzioni mirate’, contrarie a ogni convenzione internazionale e, soprattutto, ad ogni elemento di diritto. La polveriera del medio Oriente rischia di scoppiare. Per noi è fondamentale l’immediato cessate il fuoco e scongiurare il paventato intervento di terra, che porterebbe morte e distruzione in una popolazione civile stremata dall’isolamento imposto da Israele. Una "spedizione punitiva" verso i palestinesi di Gaza sarebbe un crimine inaudito. Chiediamo inoltre che cessi l’occupazione militare israeliana e che il governo italiano insieme all’Ue richieda l’apertura di un tavolo negoziale, per il riconoscimento dello stato di Palestina. Auspichiamo infine che il 29 novembre prossimo l’Onu riconosca con un voto lo status di osservatore per la Palestina".

Subito e arrivata la scomunica del portavoce della Comunita Ebraica che ha dichiarato la sua contrarietà al fatto che Vendola possa avere incarichi di Governo, mettendo un’ipoteca sul futuro Governo italiano.

Da oggi siamo una colonia di Tel Aviv, come se non bastassero gli americani ci si mettono anche i sionisti italiani. Tutto questo in un clima politico allucinante dove non solo in Italia, per fini bassamente elettorali e senza un minimo di etica, le persone non sono più di competenza della politica.

Gaza non è certamente sola contando sull’appoggio a livello mondiale delle masse islamiche di uomini e donne di tutto il mondo, ebrei compresi, e addirittura di rabbini che difendono il diritto all’esistenza ed alla resistenza del popolo palestinese, un popolo a tutt’oggi senza stato, senza una vera e propria autonomia, senza un esercito che si batte disperatamente per il diritto all’esistenza sulla sua terra.

Sono 60 anni che ogni giorno muoiono civili palestinesi che sono persone, esseri viventi e senzienti, non danni collaterali, mentre si parla di loro solo come terroristi, ignorando e tacendo quello che fa Israele ai danni non solo dei palestinesi ma anche degli attivisti pacifisti non di rado picchiati o espulsi, ai danni dei bambini detenuti contro ogni convenzione internazionale, all’uso della tortura eccetera.

L’Europa non ha una politica per il Medio Oriente, cosi come non ha una politica per la crisi poiché ormai le persone non sono più di competenza della politica. Il Nobel per la Pace dato all’UE non è altro che una gigantesca ipocrisia in quanto la pace in Europa e direttamente il frutto della guerra fuori d’Europa. Cosi come i paesi ricchi vivono dello sfruttamento bestiale dei paesi poveri, oltre che dello sfruttamento un po meno bestiale dei loro stessi cittadini ed immigrati poveri, cosi l’Europa vive del traffico di armi, di cui le potenze europee sono le maggiori produttrici. Armi che vengono vendute a chiunque in modo legale o illegale dai Governi come da altri loschi soggetti.

I governanti israeliani hanno impunemente usato un linguaggio irriferibile senza scandalo per le cancellerie europee, cosi sensibili alle offese di soggetti più deboli e meno protetti. Per capire che aria tira sentite il vice premier israeliano Eli Yishai. Secondo il ministro bisognerebbe distruggere «tutte le infrastrutture, comprese strade e fonti d’acqua».

In un’altra occasione disse che i musulmani erano «inferiori all’uomo bianco». Per il vice di Netanyahu, i non ebrei dovrebbero «prestare il loro lavoro sotto forma gratuita in appositi campi». Perché, «i non ebrei che scelgono di vivere in Israele devono in qualche modo ripagare il popolo ebraico di tanta generosità». Naturalmente nessuna solidarietà viene dall’Occidente per un Governo eletto dal popolo, quello di Ismail Hanyeh, colpevole di non aver accettato il genocidio del suo popolo, viene lasciato solo da coloro che dovremmo votare con poche lodevoli eccezioni. Ricordatevene ai seggi. Vergogna.

amina salina

* Il Dialogo, 21 Novembre 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/11/2012 19.58
Titolo:Antisemitismo Fatti e opinioni ...
Antisemitismo Fatti e opinioni

di Moni Ovadia (l’Unità, 24 novembre 2012)

Il lettore di questo giornale sa che sono un suo collaboratore con una rubrica settimanale e con qualche altra rapsodica «incursione» che mi viene richiesta di tanto in tanto. Spesso approfitto dello spazio concessomi per scrivere di Medioriente e specificamente di conflitto israelo-palestinese (fatto).

Ogni volta che, sulla dolorosa questione, esprimo le mie idee strettamente personali e, ribadisco «strettamente personali» perché non rappresento nessuno, piovono contro di me le accuse di ebreo antisemita, nemico del popolo ebraico o traditore (opinioni). Questo avviene tramite mail, post e dichiarazioni su vari blog e siti inviatimi da fanatici, farabutti o sbroccati di varia risma (opinione). Alcune persone, sia amici che detrattori, ritengono che ciò che dico e penso, anche a causa della passione partecipante con cui mi esprimo, abbia un’influenza rilevante a causa della mia notorietà e che quindi dovrei essere cauto (opinione).

Io sostengo invece che ogni essere umano, in democrazia, sia libero di esprimere come meglio crede le sue idee (opinione) e se coloro che non le condividono o vi si oppongono ravvisano nei suoi discorsi i reati di istigazione all’odio o al razzismo, possono rivolgersi all’Autorità giudiziaria per denunciarlo (fatto) in luogo di spargere vigliaccamente ripugnanti accuse protetti dalla libertà della rete (fatto).

Sono ebreo e, a mio modo, ho dedicato trent’anni e più della mia vita professionale e di studio, alla cultura ebraica della Diaspora in particolare quella yiddish (fatto). Ho contribuito alla diffusione dei suoi valori e della sua espressività nel mio Paese (fatto).

Antisemitismo è sottocultura dell’odio e della violenza contro gli ebrei (fatto) ed io ho sempre combattuto con tutte le mie forze quest’ideologia criminale come ebreo e come essere umano (fatto).

Ho invece criticato aspramente le politiche di molti governi israeliani (fatto). Esponenti istituzionali e della destra e dell’estrema destra e loro sostenitori in Israele e nella Diaspora, sostengono che chi professa posizioni politiche radicalmente avverse alla loro, sia antisemita tout court (opinione). Io penso invece che costoro siano fanatici, affetti da cortocircuiti psicopatologici o, peggio, siano dei fascisti (opinione).

Non ho mai messo in discussione il diritto di Israele all’esistenza, né la sua piena legittimità (fatto), in primis perché la proclamazione e la nascita dello Stato di Israele è stata sancita a grande maggioranza da una risoluzione dell’Onu (fatto) e io credo al valore della legalità internazionale pur riconoscendo gli enormi limiti che limitano l’efficacia dell’azione degli organismi preposti alla sua tutela (opinione). Altresì condivido l’assioma che non possa essere messo in discussione l’inviolabile diritto a tutelare la sicurezza dei propri cittadini per ogni nazione, nessuna esclusa (fatto).

Nethanyahu, Lieberman e i loro ultras invece praticano il credo che al governo israeliano sia sempre e comunque consentito violare il diritto internazionale (fatto). Condannano giustamente il lancio di razzi da parte di Hamas sulle città israeliane (fatto) e gli attentati terroristici (fatto), ma hanno trovato giusto blindare Gaza come in una gabbia con un blocco totale, compreso quello navale, glissando sulle convenzioni che considerano l’assedio un atto di guerra (fatto).

Praticano l’occupazione e la colonizzazione di terre dei palestinesi con ininterrotto accanimento (fatto), li espropriano dalle loro case a migliaia o le demoliscono (fatto), li cacciano dalle loro terre e gliele rubano (fatto), razionano loro l’acqua (fatto), praticano durante le operazioni militari stragi di civili e punizioni collettive che rendono un inferno la vita della popolazione inerme, in particolare quella dei bimbi (fatto), hanno instaurato un apartheid de facto e promuovono l’ «ebraizzazione» di Gerusalemme con continue requisizioni (fatto).

Questi sedicenti democratici promuovono, senza se e senza ma, questi abusi e criminalizzano chi li condanna con l’infamante calunnia di antisemita (opinione). Ma se stare dalla parte degli oppressi, dei discriminati, dei segregati, chiunque essi siano e chiunque sia l’oppressore è antisemitismo, allora sì, lo confesso, sono un ebreo antisemita (opinione e fatto).

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Commenti Articolo 679

Titolo articolo : UNA PAROLA IN DIFESA E IN ONORE DI BEPPE GRILLO. Contro la catastrofica confusione dell’"antipolitica" in Parlamento e della "politica" in Piazza, l’invito ad uscire dalla "logica" del "mentitore". Una lettera (2002), con un intervento di Beppe Grillo (2004),a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/23/2012 - 18:45:40.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/11/2012 11.28
Titolo:20 ANNI DI AMNESIE ISTITUZIONALI ...
«Mafia sopravvissuta grazie alla trattativa fatta con lo Stato»

I pm: 20 anni di amnesie istituzionali

di Giovanni Bianconi (Corriere della Sera, 6.11.2012)

PALERMO - C’entra la caduta del Muro di Berlino, «la "grande madre" di una catena di eventi». C’entrano «l’eccesso di tassazione e l’utilizzazione distorta della spesa pubblica», che provocò la «rivolta della borghesia commerciale e della piccola imprenditoria» al Nord. C’entrano le inchieste di Manipulite e persino Licio Gelli, che con la sua «inusuale collaborazione giudiziaria» contribuì alla «eliminazione politica» del ministro Martelli, «percepito come un ostacolo».

Fu anche a causa di questa concatenazione di fatti che prese forma la «scellerata trattiva» tra lo Stato e la mafia al tempo delle stragi, divisa in tre distinte fasi: cominciata nel ’92 all’indomani della sentenza definitiva del maxiprocesso a Cosa nostra, quando governavano ancora Andreotti e la Dc; proseguita nel 1993 durante il governo «tecnico» presieduto da Carlo Azeglio Ciampi; culminata nel ’94 con l’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi, quando si realizzò la «definitiva saldatura del nuovo patto di coesistenza Stato-mafia, senza il quale Cosa Nostra non avrebbe potuto sopravvivere e traghettare dalla Prima alla Seconda Repubblica».

La sintesi dell’indagine della Procura di Palermo è contenuta in una memoria di 22 pagine inviata ieri al giudice dell’udienza preliminare Piergiorgio Morosini, l’ultimo atto d’accusa sottoscritto dal procuratore aggiunto Ingroia prima di partire per il Guatemala. Insieme alla sua firma ci sono quelle dei quattro pubblici ministeri che restano a sostenere l’accusa: Lia Sava, Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia. Il documento riassume il processo e chiarisce i singoli capi d’imputazione per i dodici imputati di cui è stato chiesto il rinvio a giudizio (più qualche indagato nell’inchiesta stralcio). E che conferma che restano vaste zone d’ombra, dovute ai «tanti, troppi, depistaggi e reticenze, spesso di fonte istituzionale».

Scrivono i pm: «Questo ufficio è consapevole che non si è del tutto rimossa quella forma di grave amnesia collettiva della maggior parte dei responsabili politico-istituzionali dell’epoca, durata vent’anni, che avrebbe dovuto arrestarsi, se non di fronte alla drammaticità dei fatti del biennio terribile ’92-93, quanto meno di fronte alle risultanze che confermavano l’esistenza di una trattativa ed il connesso, seppur parziale, cedimento dello Stato».

Dopo il delitto Lima (12 marzo ’92), «prima esecuzione della minaccia rivolta verso il governo e in particolare il presidente del Consiglio Giulio Andreotti», con le stragi il ricatto si estende dai singoli uomini politici alle istituzioni in generale. «È il momento in cui irrompe sulla scena una male intesa, e perciò mai dichiarata, Ragion di Stato che fornisce apparente legittimazione alla trattativa e coinvolge sempre più ampi e superiori livelli istituzionali», accusano i pm. Che rivendicano il lavoro svolto citando una frase dell’attuale presidente del Consiglio Mario Monti, pronunciata nel ventennale dell’eccidio di Capaci: «L’unica vera Ragione di Stato è quella verità che questo Ufficio non ha mai smesso, e mai smetterà, di cercare».

Gli imputati si dividono in due grandi gruppi. Da un lato i mafiosi (Riina, Provenzano, Bagarella, Brusca e il «postino» Nino Cinà), che dopo l’omicidio Lima recapitarono il famoso «papello» con le richieste per interrompere le stragi. I loro «minacciosi messaggi» proseguirono con le bombe del ’93, finché nel ’94 «fecero recapitare al governo presieduto dall’on. Berlusconi l’ultimo messaggio intimidatorio prima della stipula definitiva del patto politico-mafioso». Così «la lunga e travagliata trattativa trovò finalmente il suo approdo nelle garanzie assicurate dal duo Dell’Utri-Berlusconi».

Il fondatore di Forza Italia, così come gli altri capi di governo, non risponde di alcun reato; semmai è considerato parte lesa, in quanto vittima del ricatto. Al contrario, i sospetti intermediari istituzionali (i parlamentari Mannino e Dell’Utri, e i tre ex carabinieri del Ros Subranni, Mori e De Donno) «sono tutti accusati di aver fornito un consapevole contribuito alla realizzazione della minaccia» per aver svolto «il ruolo di consapevoli mediatori fra i mafiosi e la parte sottoposta a minaccia, quasi fossero gli intermediari di un’estorsione. Con l’aggravante che il soggetto "estorto" è lo Stato e l’oggetto dell’estorsione è il condizionamento dell’esercizio dei pubblici poteri». Di qui l’imputazione, per loro come per i boss, di «violenza o minaccia a un Corpo politico».

All’appello mancano almeno due imputati che nel frattempo sono morti: Vincenzo Parisi e Francesco Di Maggio, all’epoca capo della polizia e vice direttore generale delle carceri, «che agendo entrambi in stretto rapporto con l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, contribuirono al deprecabile cedimento sul tema del 41 bis». Il riferimento è alla mancata proroga del trattamento del «carcere duro» per oltre trecento detenuti, tra i quali alcuni mafiosi. Secondo la Procura l’impulso arrivò proprio da Di Maggio «uomo fidato dei Servizi di sicurezza e da sempre legato al Ros dei carabinieri, con l’avallo che gli derivava anche dai rapporti con il capo dello Stato Scalfaro, a sua volta influenzato da Parisi». L’ex capo della polizia e Mori vengono dipinti come «gli uomini-cerniera che divennero uomini-artefici della trattativa, decisivi nel garantire l’adempimento degli accordi presi».

Sempre nella ricostruzione della Procura Scalfaro è considerato il regista di altri passaggi-chiave: dall’avvicendamento tra Scotti e Mancino al Viminale a quello tra Martelli e Conso alla Giustizia, fino al cambio della guardia al vertice dei penitenziari, tra Nicolò Amato e il duo Capriotti-Di Maggio. Su Conso e Mancino, accusano i pm, «si è acquisita la prova di una grave e consapevole reticenza». Il primo sulla sua nomina a ministro dell’Interno e sulla consapevolezza dei contatti tra i carabinieri e Vito Ciancimino; il secondo sulla decisione di non prorogare alcuni decreti «41 bis» nell’autunno 1993.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/11/2012 18.45
Titolo:GRILLO, MA DOVE SONO I CARDINI DI UNA SCELTA DI CAMPO?!
Not in my name : Non nel mio nome RAR *


• Not in my name sarà ceduta la più piccola goccia di sovranità nazionale.
• Not in my name verrà smantellato lo Stato Sociale.
• Not in my name i partiti che hanno distrutto l'Italia si ricicleranno come salvatori della Patria.
• Not in my name i giornali che hanno fatto della menzogna un’arte riceveranno un solo euro di finanziamento pubblico.
• Not in my name ci saranno ancora le pensioni d’oro.
• Not in my name ci saranno i finanziamenti pubblici ai partiti.
• Not in my name rimarremo nell’euro senza una consultazione popolare.
• Not in my name saranno distrutte le piccole e medie imprese».
• Not in my name i concessionari di Stato continueranno a lucrare su beni pubblici.
• Not in my name si faranno grandi opere inutili indebitando i cittadini.
• Not in my name chi ha fatto della politica un mestiere rimarrà al suo posto dopo aver rovinato l'economia italiana.
• Not in my name la grande distribuzione ucciderà il commercio locale.
• Not in my name gli alti funzionari pubblici percepiranno stipendi da nababbi.
• Not in my name sarà ancora permesso il falso in bilancio».

Quello qui esposto è una “specie” di programma che Grillo ha pubblicato nel suo blog, il cui titolo non impegna il movimento ma solamente “la faccia” di Grillo; una specie di programma perché si tratta di una serie di promesse e premesse che nulla hanno come scelta politica o come indirizzo ideologico. Si tratta di un programma di buon senso, condivisibile da tutti gli elettori dotati di onestà.

Scelta politica, discutibile, è quella di cacciare fuori dal partito o movimento, colori i quali si permettono di intervenire nel dibattito politico.

Scelta politica sarebbe stata una impostazione economico-sociale di trasformazione della proprietà capitalistica in un bene a proprietà sociale, con diretto interessamento degli operai e impiegati alle sorti dell’azienda, percependone anche una quota di utile.

Scelta politica sarebbe stata una presa di coscienza che nel 1989 cadde il muro di Berlino, travolgendo il sistema del socialismo reale, e nel 2008 è iniziata una crisi che segnò la fine del capitalismo liberista, aprendo le porte alla democrazia liberal-sociale.

Quello che viene chiesto a Grillo è una scelta di campo decisa, mentre fino ad oggi abbiamo solo sentito accuse e proteste, cui corrispondono delle soluzioni che sembrano recuperate da un sondaggio mirato a conoscere cosa infastidisce di più gli elettori.

Non c’è dubbio che nessuno obietterà alcunché, approvando ogni singolo punto; ma questi punti vengono vanificati dalla mancanza di un supporto politico, che è quello che garantisce continuità operativa ispirata non al vento che oggi spira, bensì ai cardini politici di una scelta di campo.

Rosario Amico Roxas

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Commenti Articolo 680

Titolo articolo : LA LEZIONE DEL PRESEPE E L'INFANZIA DI GESU' SECONDO BENEDETTO XVI - RATZINGER. Una nota di Vito Mancuso - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/21/2012 - 21:27:32.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/11/2012 13.46
Titolo:Problemi irrisolti. Il bue e l'asinello non c'erano ....
- Problemi irrisolti

- Il bue e l’asinello negati dal Papa

- di Marco Politi (il Fatto, 21.11.2012)

Sotto l’albero di Natale papa Ratzinger mette il suo libro su L’infanzia di Gesù. Il racconto della nascita di Cristo nella mangiatoia, ma senza il bue e l’asinello. Perché “nel Vangelo non si parla qui di animali”. Ma niente paura. Come in una favola allegorica tutto viene recuperato dal pontefice e così i due animali, così cari ai bimbi di tutto il mondo, vengono riletti come simbolo dell’umanità intera - ebrei e pagani - china sul Salvatore nato nella povertà.

È stato un anno drammatico il 2012 per il pontificato: è esploso lo scandalo della corruzione negli appalti vaticani, è stato decapitato il vertice dello Ior, il Vaticano non è entrato per mancanza di trasparenza finanziaria nella “lista bianca” Moneyval del Consiglio d’Europa. C’è stato il tradimento del maggiordomo ed è emerso il malumore di vasti settori della Curia nei confronti del Segretario di Stato Bertone... e in tutto questo uragano fino al 15 agosto Benedetto XVI ha avuto un pensiero prevalente: finire di scrivere l’ultimo volume della sua trilogia su Gesù di Nazareth.

IL LIBRO (edito da Rizzoli e la Libreria editrice vaticana) conquisterà lettori come i precedenti per il suo stile affettuosamente colloquiale e il suo ripercorrere le storie che per duemila anni hanno nutrito fede, cultura e arte del cristianesimo. Ma soprattutto perché Ratzinger chiama direttamente la massa dei credenti a interrogarsi sulle storie del Vangelo: “È vero ciò che è stato detto? Riguarda me? E se mi riguarda, in che modo? ”. Dopo il 2010, mentre la Chiesa faticava a fare i conti con lo scandalo degli abusi sessuali, qualche cardinale straniero sospirava: “Speriamo che il Papa non scriva un altro libro su Gesù”.

Invece Benedetto XVI si è gettato a capofitto nell’opera, che nel suo intimo sente come missione fondamentale del pontificato. E qui sta forse un aspetto tragico del suo regno. Ratzinger sa - e ha ragione - che le ultime generazioni (vale per i giovani ma ormai anche per una vasta fascia mediana di età) hanno smarrito la conoscenza di base dei vangeli e della storia di Gesù Cristo. E sente come suo dovere, appassionatamente, di riportare i credenti all’incontro con Cristo, definito il “volto di Dio” che ciascuno può conoscere.

Ma in questa impresa, chinandosi sui suoi libri e le ricerche, è diventato un pontefice part-time, che segue un piano editoriale e un obiettivo teologico ma non possiede un programma di governo. Lo ha detto, d’altronde, lui stesso nella messa di insediamento il 24 aprile 2005: “Non ho bisogno di presentare un programma di governo”.

NON LO HA elaborato nemmeno in seguito. Ma un’organizzazione di un miliardo e cento milioni di uomini e donne non è una piccola comunità come quella degli apostoli nell’anno trentatré dopo Cristo. Ha bisogno della mano di un reggente. Sulla scena mondiale è calato il ruolo e il peso della Santa Sede.

Israele minaccia la “guerra di Gaza” per distogliere l’attenzione dall’occupazione di terre palestinesi attraverso le colonie del tutto illegali e impedire il riconoscimento della Palestina come stato-osservatore dell’Onu? Silenzio della Santa Sede. La primavera araba, l’evento internazionale più rilevante dopo il crollo del muro di Berlino? Non c’è stato in due anni un discorso papale di vasto respiro sul fenomeno. È stagnazione sui grandi problemi interni della Chiesa. Si sta accartocciando, per mancanza di preti, la rete delle parrocchie. Si sta riducendo drammaticamente la forza degli ordini religiosi femminili, spina dorsale della Chiesa cattolica: 45.000 presenze perse in sei anni. Il pontefice regnante nulla propone. A Parigi il cardinale Vingt-Troisi ha denunciato la disorganizzazione della Curia: “Ogni dicastero va per conto suo”. E Benedetto XVI finora non riesce a sostituire il Segretario di Stato. Tocca le corde dei ricordi dell’infanzia davanti al presepe e all’albero di Natale, quest’ultimo libro di Benedetto XVI, che narra dell’annunciazione, dei pastorelli, della fuga in Egitto.

CERTO RATZINGER non dice più - come nella sua Introduzione al Cristianesimo di oltre quarant’anni fa - che Giuseppe avrebbe potuto anche essere il padre biologico di Gesù. Oggi proclama che “se Dio non ha anche potere sulla materia, allora egli non è Dio” e quindi è vero il concepimento verginale.

Storicamente veri o almeno verosimili vengono anche presentati la leggendaria strage degli innocenti e l’arrivo dei re magi. Con l’apodittica affermazione dello studioso Klaus Berger: “Anche nel caso di un’unica attestazione... bisogna supporre - fino a prova contraria - che gli evangelisti non intendono ingannare i loro lettori, ma vogliono raccontare fatti storici”. Se è per questo, anche Omero non voleva ingannare i suoi ascoltatori e allora non va contestato il ratto di Elena!

L’infanzia di Gesù ratzingeriana ha molti momenti lirici. Nella rievocazione dell’aprirsi di Maria all’annuncio di Gabriele. Nel racconto intrigante dei re magi visti come “sapienti” alla ricerca del vero oltre la razionalità della scienza, in cerca di Dio e della filosofia più autentica. Pregnante è il suo appello a credere che la vita di Cristo non è mito ma “storia concreta, in un luogo e in un tempo” reali, svoltasi nelle varie fasi della vita umana.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/11/2012 16.03
Titolo:CARLO M. MARTINI E IL PRESEPE DEL LAGER ....
DEL CARDINALE CARLO M. MARTINI, LA LEZIONE PIU’ GRANDE: IL PRESEPE DEL LAGER NELLA BASILICA DI SANT’AMBROGIO (MILANO, 2000) *

Uscire dai cerchi di filo spinato che delimitano dappertutto il nostro presente storico è la scommessa. Come fecero i militari italiani internati nel lager tedesco di Wietzendorf (cfr. il Presepio del lager - Natale 1944, ricostruito nella Basilica di sant’Ambrogio, a Milano, nel Natale 2000) e fece Enzo Paci, anch’egli in un lager tedesco [nello stesso: con Paul Ricoeur, Mikel Dufrenne, Giovannino Guareschi e Altri - fls] nel 1944 (cfr. Nicodemo o della nascita, in Della Terra..., cit., pp. 120-125), oggi non possiamo che riaprire la mente e il cuore alle domande fondamentali e cercare di dare a noi stessi e a noi stesse le risposte giuste: Come nascono i bambini? Come nascono le bambine? Qual è il principio di tutti gli esseri umani? Come si diventa esseri umani? Come io sono diventato Io? Cosa significa che io sono il figlio, la figlia, dell’UNiOne di due esseri umani?... Essi avevano cominciato a capire l’enigma antropologico dell’Egitto dei Faraoni, delle loro Piramidi e delle loro Sfingi, e il ’segreto’ di Betlemme, del presepio di Greccio (1223) e di Francesco e Chiara di Assisi.


* VEDI: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=5519
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/11/2012 21.27
Titolo:NAPOLI. No degli artigiani al presepe senza bue e asinello
No degli artigiani al presepe senza bue e asinello

Guai finanche a pensarlo nei vicoli di Napoli. Nessun posto nel presepe per il bue e l’asinello? La prima reazione dei maestri d’arte presepiale è questa: il sorriso. Poi, subito dopo, c’é anche questo: "Nel presepe napoletano il bue e l’asinello sempre ci sono e sempre ci sarannò". Rispetto massimo, chiariscono gli artigiani, per quanto si legge nel libro di papa Joseph Ratzinger ’L’infanzia di Gesu" secondo il quale nel Vangelo "non si parla di animali". Ma da qui a mettere in discussione un pezzo fondamentale del presepe, ce ne vuole. O meglio: non se ne parla proprio.

* ANSA, 21.11.2012

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Commenti Articolo 681

Titolo articolo : IL VIAGGIO DI "VIK" ARRIGONI, LE SCARPE DI PAPA RATZINGER E I VESTITI DEL CARDINALE BERTONE. Una nota di Angelo d'Orsi e una di Andrea Tornielli,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/20/2012 - 13:19:50.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/11/2012 02.37
Titolo:RESTIAMO UMANI. Così Vittorio restò umano ...
Così Vittorio restò umano

di Egidia Beretta Arrigoni (il manifesto, 13 novembre 2012)

------Anticipazione del libro con cui la madre di "Vik" Arrigoni racconta il sogno del pacifista italiano assassinato a Gaza. «Questo figlio perduto, ma così vivo come forse non lo è stato mai, che, come il seme che nella terra marcisce e muore, darà frutti rigogliosi». È quanto scrive Egidia Beretta Arrigoni sulla copertina del volume «Il viaggio di Vittorio» (Dalai Editore, 200 pagine, euro 15,00), da oggi nelle librerie. Un’opera che racconta il sogno, l’utopia di Vik attraverso l’intenso flusso di corrispondenza tra madre e figlio.---

Il suo «battesimo» come scudo umano, nel primo viaggio in Palestina, fu proprio con i piccoli. Fuori dalle scuole ad attenderli non c’erano i genitori ma i carri armati e Vittorio, con altri internazionali, a frapporsi fra di loro. Quei soldati aspettavano solo il lancio di una pietra per puntargli i cannoni addosso. Quando ci sentivamo per telefono, da Gaza, udivo spesso un gran frastuono di sottofondo. Erano i bambini. «Se tu sapessi, mamma, quanti bambini ci sono a Gaza! Sono qui sotto che mi stanno chiamando perché mi vedono affacciato alla finestra e vogliono che vada da loro.»

Era un’affinità spirituale, intima, quasi mistica, quella che Vittorio aveva con i ragazzini. Era la gioia nel riconoscersi simili, l’innocenza ritrovata. Ancora adesso, quando mi invitano nelle scuole per parlare di lui, mi accorgo di come i bambini mi seguano con occhi incantati.

«L’estate scorsa a Nablus mi sono reso conto, puntando gli occhi in aria, di quale potenza di suggestione abbia la fantasia dei bambini. Chiusa da mesi e mesi, le strade semideserte, le piazze ridotte a un cumulo di macerie, in aria si scorgeva la sfida dei bambini. Guardata verso l’alto, Nablus appariva come una città in festa, centinaia e centinaia di aquiloni ne coloravano il cielo in vortici di volo, come a dichiarare al mondo un segno di libertà a cui tutti questi uomini in miniatura agognano. I soldati sparano spesso contro gli aquiloni, sono il primo bersaglio dopo i lampioni per strada di notte. Ma ad ogni aquilone distrutto, il giorno dopo se ne presentano di nuovi più belli e colorati. "Possono rinchiuderci, toglierci il cibo, l’acqua e anche la luce, ma non potranno mai privarci dell’aria, del cielo e della nostra voglia di sognare", mi mormora un bambino impegnato a sciogliere la matassa dei suoi sogni incastrati su un’insegna arrugginita». (Vittorio, Nablus, estate 2003)

Quei bambini, il bersaglio più comodo. «Sfilano timorosi con gli occhi rivolti in alto, arresi ad un cielo che piove su di loro terrore e morte; timorosi della terra che continua a tremare sotto ogni passo, che crea crateri dove prima c’erano le case, le scuole, le università, i mercati, gli ospedali, seppellendo per sempre le loro vite». (Vittorio, Gaza City, 7 gennaio 2009).

***

Non si uccidono così neanche i gattini. «Recandomi verso l’ospedale Al Quds dove sarò di servizio sulle ambulanze tutta la notte, correndo su uno dei pochi taxi temerari che zigzagando ancora sfidano il tiro a segno delle bombe, ho visto fermi a un angolo della strada un gruppo di ragazzini sporchi, coi vestiti rattoppati, tali e quali i nostri sciuscià del dopoguerra italiano, che con delle fionde lanciavano pietre verso il cielo, in direzione di un nemico lontanissimo e inavvicinabile che si fa gioco delle loro vite. La metafora impazzita che fotografa l’assurdità di questi tempi e di questi luoghi. Restiamo umani.» (Vittorio, Gaza City, 8 gennaio 2009).

Vittorio si era innamorato di Handala, questo bambino palestinese creato dalla matita di Naji Ali che gira le spalle al mondo perché il mondo volta le spalle a lui. Se l’era fatto tatuare su un braccio e raccontava dell’entusiasmo che aveva suscitato fra i palestinesi del campo profughi di Beddawi, in Libano. Tutti conoscevano la storia di Handala. Che un ragazzo italiano lo portasse con sé, forse significava che Handala aveva trovato un amico e aveva finalmente deciso di girarsi. Dopo la morte di Vittorio il disegnatore brasiliano Carlos Latuff li unì in un disegno. Un’immagine che è diventata universale. Vittorio, con la sua pipa e il berretto da marinaio, si gira sorridendo verso Handala tenendolo per mano; il bambino, ancora di spalle, alza però il braccio a indicare la «V». «V» di vittoria e «V» di Vittorio?

***

Da Nablus i suoi racconti iniziarono a farsi più duri, taglienti come coltelli, cominciarono le descrizioni delle case occupate, dei check point, delle corse in ospedale. I check point a volte potevano rappresentare la differenza che passa tra la vita e la morte. File interminabili di persone, molti vecchi, ammalati, donne incinte, che attendevano di poter tornare a casa o recarsi al lavoro o in ospedale. A volte chiudevano all’improvviso e si doveva aspettare la notte intera prima che riaprissero. È facile intuire la rabbia e l’angoscia provate da Vittorio di fronte a questi evidenti soprusi.

Portava spesso una maglietta dei Nirvana, una specie di portafortuna, e raccontava che quei «bambocci», come lui definiva i soldati israeliani ai check point, innamorati del rock americano, ammiravano trasognati la maglietta, e aprivano i cancelli più in fretta.

«Check-point. Mi sono mosso un paio di giorni fa verso Nablus. Giunto innanzi alle porte della città ho veduto una fila di 200 persone sotto un sole cocente che soffrivano e soffocavano per il caldo impietoso e nel tentativo di tornare a casa. Io ultimo della fila, mi preoccupavo del rischio disidratazione che le ore di attesa sotto trentacinque gradi mi avrebbero potuto ben presto riguardare, quando qualcuno mi ha messo a braccetto il più anziano e malato di tutti: "Tu puoi passare, tu puoi passare, tu puoi far passare quest’uomo". Allora ho baciato la mano tremante di questo vecchio arabo, e sussurrandogli le poche parole che conosco della sua lingua tanto per tranquillizzal ci siamo incamminati verso il filo spinato e il cannone del carro armato sembrava riprenderci come in un film. Ho percorso 150 metri fra i bambini piangenti, carrozzelle con infanti e carretti cosparsi di alimenti che si sfaldavano al sole e verdura e frutta che veniva depredata da sciami di insetti. Donne disperate pregavano sotto vesti soffocanti. Uomini tristi e accovacciati in attesa del loro turno. Di fronte al gabbiotto dove il mio passaporto veniva sfogliato con dovizia di domande, ho recitato per benino la parte del turista capitato lì per caso (per caso, a Nablus sotto assedio?) e mi sono stupito ancora una volta della poca arguzia di questi ragazzini vestiti da soldati. Sono scivolato via senza problemi con il baba sottobraccio che mormorava incessantemente parole di benedizione in mio favore». (...)

«A volte il check-point chiude improvvisamente, allora intere famiglie sono costrette a dormire per strada in attesa che pigri ufficiali di servizio decidano di riaprire le imposte la mattina seguente. Un dottore di Ramallah mi ha mostrato i dati che segnano le morti durante le lunghe attese ai posti di controllo, un centinaio di persone in cura di dialisi decedute nei primi due anni di Intifada. E quante madri con un bimbo in grembo, in attesa di un cesareo, sono morte al di là del filo spinato?» (Vittorio, Nablus, estate 2003).

***

Sabato 27 dicembre Vittorio mi chiamò verso le 11 del mattino e con sgomento mi annunciò che Gaza era sotto attacco. I bombardamenti erano iniziati. La domenica ci fu la prima strage di bambini. Durante la Messa ascoltai le parole dell’Antico Testamento e mi parvero scritte per le mamme di Gaza. Le pubblicai su Guerrilla. «28 dicembre 2008 - Santa messa nel IV giorno dell’Ottava di Natale - Santi innocenti martiri - Dal Vangelo secondo Matteo: «Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande. Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più» - Geremia, 31, 15.

Io sono Rachele e migliaia di madri con me. Quando finirà questo olocausto? «Caro Vittorio, in questa ultima mezzanotte dell’anno siamo qui, io e papà, ad ascoltare i botti che diventano i rumori della guerra. Vediamo le facce e gli auguri ipocriti in tv e pensiamo a te, a voi. Nelle nostre calde case, al sicuro, solo minimamente riusciamo a essere voi e a provare quel che provate. Ci aiutano le tue parole. Hai il dono di saper trasformare in parole - e che parole! - i pensieri, i convincimenti e i sentimenti. È anche questa una missione e la stai compiendo molto bene». (...) «Non ti faccio auguri da formuletta, mi auguro e ti auguro che tu tenga in buon conto la tua vita, che è preziosa, per le future battaglie che ti aspettano nell’anno che verrà. Ti pensiamo sempre e ti abbracciamo. Mamma e papà». (da Egidia a Vittorio, 31 dicembre 2008).

***

La motivazione e l’obiettivo dell’attacco addotta dal governo israeliano era la distruzione di Hamas. Ma non solo il gruppo non venne distrutto, riuscì al contrario a consolidare il proprio potere, ristabilendo anche, in quelle circostanze, rapporti migliori con Al Fatah. Chi pagò il prezzo dei bombardamenti furono gli abitanti di Gaza: Piombo fuso si trasformò in una carneficina di civili, soprattutto bambini.

«Quando le bombe cadono dal cielo da diecimila metri, state tranquilli, non fanno distinzioni fra bandiere di Hamas o Fatah esposte sui davanzali. Non esistono operazioni militari chirurgiche: quando si mette a bombardare l’aviazione e la marina, le uniche operazioni chirurgiche sono quelle dei medici che amputano arti maciullati alle vittime senza un attimo di ripensamento, anche se spesso braccia e gambe sarebbero salvabili. Non c’è tempo. Bisogna correre, le cure impegnate per un arto seriamente ferito sono la condanna a morte per il ferito successivo in attesa di una trasfusione». (Vittorio, Gaza City, 31 dicembre 2008).

***

La fine dei bombardamenti su Gaza non riportò la normalità in quella terra straziata. Ci fu la conta dei morti, oltre 1400, in ampia maggioranza civili. Vittorio partecipò a numerosi funerali. Ogni cosa sembrava sospesa, non si poteva ricostruire perché le macerie invadevano le strade, si viveva nelle tende, c’era poco da mangiare. Si rimpastava il vecchio pane ammuffito, o si utilizzava la farina che veniva data normalmente agli animali. Israele non lasciava passare nulla attraverso i valichi, perché considerava pericolosa ogni merce, a iniziare dal cemento, dal ferro, dal vetro, ma nulla scuoteva il mondo dall’apatia verso il popolo palestinese martoriato.

Dopo le bombe, le distruzioni, le morti, Vittorio non fu più lo stesso. Riprese a uscire con i pescatori e con i contadini, ma ci confidò gli incubi a occhi aperti che popolavano le sue giornate e le sue notti. Non passava giorno senza che ricevesse richieste di interviste da radio, giornali, televisioni. Era sempre disponibile; sperava, attraverso i media, di poter comunicare a sempre più persone ciò che stava vivendo il popolo di Gaza. Gli interessava molto poco la celebrità; si stupiva se in una manifestazione compariva il suo motto: «Restiamo umani».

«Cara famiglia, spero che ora converrete con me che la decisione di voler tornare quaggiù, e subito, era la decisione più giusta. Immaginatevi se non ci fosse stato nessuno a raccontarlo questo massacro...». (...)

«Soprattutto, adesso che ho modo di leggiucchiare le centinaia di mail che ho ricevuto, pare che la forza delle mie parole abbia veramente scosso le coscienze, riscosso ciò che di umano in molti si era assopito. Sono stati giorni d’inferno, e continuano a essere durissimi. Potevamo morire, siamo sopravvissuti. L’inferno non è certo finito. Io in particolare, minacciato di morte da più parti, se sono rimasto vivo è perché non sono stato lasciato solo, preda di questo moloch fascista assetato di sangue. Non lasciato solo da migliaia di persone, ma soprattutto dalla mia famiglia, le mie radici affettive. Non so se mi sto guadagnando un posto in paradiso, certo è che lenire l’inferno di questi innocenti è una vita che vale la pena di essere vissuta... Restiamo umani». (Vittorio, Gaza City, 27 febbraio 2009).
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/11/2012 10.42
Titolo:NOTIZIE. Gaza, strage di bambini
Gaza, strage di bambini

Hamas: "Vicini a un accordo"

Intercettati due razzi contro la capitale, un missile colpisce Ashqelon. Continuano le trattative per un cessate il fuoco. Appello dell’Onu. Oltre 70 vittime solo da parte palestinese dall’inizio dell’offensiva. Anonymous pubblica i dati di 5.000 funzionari israeliani *

E’ STATO il giorno della strage dei bambini. Nove piccoli hanno perso la vita durante un raid israeliano a Gaza, mentre altri sono rimasti gravemente feriti. Ma in serata, proprio mentre arrivavano notizie di altre vittime palestinesi, il portavoce di Hamas, Razi Hamed, ha detto che il 90% degli elementi necessari per raggiungere una tregua con Israele sono stati definiti. Lo riferisce la rete al Jazira. Il segretario generale delle Nazioni unite Ban Ki-moon si è detto"profondamente addolorato" per le morti di civili nella Striscia di Gaza e "allarmato per i continui lanci di razzi contro le città israeliane". Da lui parte un appello per un "cessate il fuoco immediato"

I razzi hanno ucciso almeno 28 persone nelle ultime ore nella città. Domenica sera due uomini e un bambino di 6 anni sono morti, dopo l’ennesimo attacco. Molte ore prima, in un’incursione nel quartiere residenziale di Nasser, hanno perso la vita sette membri di una stessa famiglia. Sotto le macerie sono rimasti i corpi senza vita di due donne e quattro ragazzini. Altri tre, fra loro un bimbo di 18 mesi, sono morti nelle prime ore del giorno. Solo oggi, oltre dieci abitazioni di comandanti di Hamas o di loro familiari sono state colpite dai bombardamenti. La maggior parte era vuota, ma almeno tre famiglie si trovavano ancora all’interno. Tra gli obiettivi dell’attacco a Gaza anche l’abitazione di Ihya Abia, uno dei principali dirigenti di Hamas. Abia è rimasto ucciso.

Obama chiede una tregua. Una tensione ai massimi livelli che oggi ha spinto il presidente degli Stati Uniti Barack Obama a chiedere una tregua. "Il lancio di razzi contro Israele ha fatto precipitare la situazione a Gaza", ha detto Obama ribadendo che gli Stati Uniti sostengono il diritto di Israele all’autodifesa. "Ciò che ha fatto piombare gli eventi nella crisi attuale sono stati i razzi lanciati su zone abitate". Una possibilità che però sembra lontana. Israele sta preparando un’offensiva di terra e ha richiamato 75.000 riservisti. E oggi il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha avvertito che eventuali negoziati per un cessate il fuoco potranno iniziare solo dopo che dalla Striscia di Gaza non saranno più lanciati razzi.

Oltre 70 vittime. Si continua a combattere e il bilancio delle vittime si aggrava di ora in ora. Secondo la televisione Al Jazeera le vittime palestinesi dall’inizio dell’offensiva "Pilastro di difesa", scattata la settimana scorsa, sono oltre 70, mentre quelle israeliane sono 3. Oltre 100 razzi sono stati lanciati a sud di Israele dalla mezzanotte scorsa. L’esercito israeliano sostiene di aver colpito solo 50 strutture a Gaza, tra le quali postazioni di lancio, tunnel e depositi di armi. Israele è ancora una volta bersaglio dei cyber-attacchi da parte di Anonymous. Oggi sono stati pubblicati i dati di 5.000 funzionari israeliani.

Sirene a Tel Aviv. Paura anche a Tel Aviv, dove sono tornate a risuonare per due volte le sirene. Il sistema anti missile Iron Dome ha intercettato un missile lanciato da Gaza in direzione della città. Dopo l’avvio dell’allarme gli abitanti della città sono andati nei rifugi.Secondo le forze di sicurezza israeliana molti razzi erano senza esplosivo per spaventare il nemico. Scene di panico anche nei quartieri residenziali di Ashqelon, a Sud d’ Israele, dove da Gaza i palestinesi hanno sparato quattro missili. Un uomo è rimasto ferito.

La trattativa. In serata il portavoce di Hamas, Razi Hamed, ha detto che che il 90% degli elementi necessari per raggiungere una tregua con Israele sono stati definiti. Una notizia arrivata poco dopo che l’inviato israeliano aveva lasciato il Cairo dopo aver partecipato alle trattative mediate dall’Egitto per raggiungere un accordo per una nuova tregua con Hamas. Al Cairo sono infatti in corso negoziati a cui partecipa il capo dell’ufficio politico di Hamas, Khaled Meshaal, e il capo della Jihad islamica, Ramadan Shallah. La testimonianza dei cooperanti. Nella notte fra gli obiettivi dei raid israeliani anche il complesso Al-Shawa, a Gaza, dove hanno sede alcuni media locali e stranieri. "Hanno bombardato da cielo e mare, attaccando e colpendo i palazzi dei media center che ospitano radio e tv, li hanno bombardati per mettere fuori uso tutta la comunicazione interna", ha detto Meri Calvelli, una dei 9 cooperanti italiani che fino a questa mattina si trovavano bloccati a Gaza. Gli italiani sono riusciti a lasciare la zona grazie a un’operazione realizzata dal consolato generale italiano a Gerusalemme. "Siamo riusciti a lasciare la Striscia in Gaza in uno dei rari momenti in cui la situazione si era tranquillizzata" e "abbiamo raggiunto Gerusalemme". "Ora staremo qui qualche giorno, ma la nostra intenzione è tornare presto nella Striscia per dare sostegno alle famiglie più disagiate".

* la Repubblica, 18 novembre 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/11/2012 13.19
Titolo:A GAZA. bambini sono la metà della popolazione ...
Izzeldin Abuelaish: “Il mondo deve aprire gli occhi!”

intervista a Izzeldin Abuelaish,

a cura di Anne Gujon

- in “www.lavie.fr” del 18 novembre 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Ho incontrato il dottor Izzeldin Abuelaish una prima volta all’ospedale Tel A Shomer a Tel Aviv, due settimane dopo la morte di tre delle sue figlie e di sua nipote uccise durante l’operazione Piombo fuso nel 2009. Questo dramma, vissuto in diretta alla televisione israeliana, aveva svegliato gli israeliani che fino ad allora sembravano come anestetizzati, davanti agli orrori di una guerra che ha fatto 1450 morti da parte palestinese, 13 morti in Israele.

All’epoca, quest’uomo parlava già di pace. Pareva quasi una stranezza, tanto l’odio sembra naturale in simili circostanze. “L’odio è una malattia, diceva allora. Un dottore cura le malattie. Io non voglio soffrire di questo e rifiuto che i miei figli ne siano malati.”

Quattro anni dopo, di nuovo le bombe cadono sulla striscia di Gaza. Izzeldin Abuelaish vive oggi a Toronto, in Canada, con la sua famiglia. È di passaggio a Parigi per promuovere il suo libro “Non odierò” e parlare della sua fondazione Daughters for life che promuove l’istruzione delle ragazze in Medio Oriente. E ancora una volta il dottore mi sorprende: lo immaginavo immerso nei suoi ricordi, abbattuto davanti a questa storia che sembra balbettare. Ed eccolo invece, certo in ansia, ma piuttosto combattivo.

Come si sente?

Mi sento triste e angosciato di fronte a ciò che sta succedendo. Ci sono molte ferite in quella regione del mondo. E invece di curarle non facciamo che aggravarle, le infettiamo e vi mettiamo sopra del sale. Questo mi fa veramente arrabbiare. Che cosa potremo fare per ricostruire, annullando i danni? Non parlo delle ricostruzioni materiali, ma delle ferite nelle menti, negli animi causate da tutto questo orrore. I palestinesi hanno sofferto molto e continuano a soffrire.
- Anche gli israeliani sono feriti. Ma invece di dedicare energie nel curare queste piaghe, il governo israeliano aggiunge altre ferite: non fa che aumentare l’odio e allargare il fossato tra palestinesi e israeliani. Non è la prima volta: che cosa vogliono i leader israeliani? Hanno già fallito agendo in questo modo! La sicurezza di Israele è forse stata rafforzata dopo Piombo fuso? No. Perché non cambiano approccio? Tutto ciò che possono ottenere agendo così è l’aumento della paura.

Allora, secondo lei, perché il governo israeliano ricomincia?

Per orgoglio, per ignoranza. E perché la comunità internazionale non svolge il suo ruolo di arbitro. Deve alzare la voce e dire: basta, smettetela con il massacro. Se non si tratta il paziente mentre sta perdendo sangue, morirà. Dobbiamo reagire adesso. Questo nuovo picco di violenza è un test per la comunità internazionale. Siamo responsabili dei nostri atti.

Crede davvero che la comunità internazionale possa agire questa volta?

Ho appena incontrato Stéphane Hessel. Mi ha detto “Niente è impossibile in questa vita. L’Unione Sovietica era un impero, e oggi non esiste più!” Nessuno sa che cosa succederà domani. Il mondo può svegliarsi e rendersi conto di quale interesse avrebbe la comunità internazionale nel porre fine a questa ingiustizia. Permetterebbe di salvare gli israeliani da se stessi. O piuttosto di salvare il popolo israeliano dai suoi capi che portano avanti un processo di autodistruzione. Siamo in un momento chiave. Il mondo comincia ad aprire gli occhi e a guardare. Con internet e i social network il mondo è diventato un libro aperto. Non è mai stato così piccolo. Oggi la gente può farsi da sola un’opinione su ciò che avviene.

Ha notizie dei membri della sua famiglia che sono ancora a Gaza?

Li ho sentiti al telefono alcune ore fa. Erano vivi quando li ho chiamati, ma tutto può succedere. I palestinesi di Gaza sono la mia famiglia! È una grande famiglia. Ed è come se aspettassero la morte on line. Nessuno è al sicuro. Sa, i bambini sono la metà della popolazione di Gaza. Il mondo deve aprire gli occhi: non è una guerra tra combattenti ma una tragedia umana!

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Commenti Articolo 682

Titolo articolo : Fischi per fiaschi,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: November/20/2012 - 10:21:34.

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Autore Città Giorno Ora
gianfranco frisciotti sinnai 20/11/2012 10.21
Titolo:però...
l'articolo fischi per fiaschi mi sembra puntuale e pertinente, in questa situazione politica e sociale non è difficile essere contro, bisogna poi vedere per fare cosa. Però, però, evidenziare che i manifestanti avevano sciarpe e caschi come se si intendesse pugnali e pistole non mi sembra giusto. Le manganellate fanno male, a volte producono danni irreversibili, e poi mentre stai prendendo colpi qualcuno ti filma e ti becchi anche la beffa di una imputazione per resistenza a pubblico ufficiale. Perchè è questo che stanno facendo le persone in questi cortei, stanno facendo resistenza, e nel farla non domandano prima se in piazza ci saranno alcune decine di persone o decine di milioni. La fanno e basta perchè di resistenza c'è bisogno, di resistenza si può vivere, di attesa e rassegnazione si muore. diventeranno milioni? chi può dirlo? Forse si, spero di si.

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Commenti Articolo 683

Titolo articolo : LA FRANCIA, LA CHARITE' EVANGELICA, E LA CARITAS RATZINGERIANA! I vescovi francesi seguono la parola e la strategia scelta da Benedetto XVI. Una nota di Frédéric Mounier (“La Croix”) - con alcuni appunti,a c. di Federico La sala

Ultimo aggiornamento: November/19/2012 - 13:44:41.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/11/2012 13.02
Titolo:COLLETTIVO DI "L E mONDE". Contro una “Santa Alleanza” retrograda
Matrimonio gay: no alla collusione dell’odio

Contro una “Santa Alleanza” retrograda

di Collettivo *

“Le Monde” del 18 novembre 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Non passa giorno senza che i gay e le lesbiche francesi siano pubblicamente insultati. Si potrebbe datare l’apparizione di questa aggressione permanente dal 4 febbraio 2005, quando un deputato UMP ha osato dichiarare a loro riguardo: “Dico che sono inferiori moralmente”. È stato l’inizio di una litania astiosa proseguita con una dichiarazione parallela a proposito del matrimonio gay: “E perché non delle unioni con animali?”, nel pieno dei lavori della commissione per le leggi dell’Assemblée Nationale (25 febbraio 2011).

Queste frasi hanno potuto essere pronunciate perché certe persone sono “senza complessi”. Si ritengono autorizzate a dire tutto ciò che pensano, se questo si può definire pensare. Il responsabile di questa degradazione del modo di esprimersi in pubblico è l’ex presidente della Repubblica, la cui campagna elettorale è stata caratterizzata dall’omofobia. Fin dalla sua dichiarazione di candidatura, in piena crisi mondiale, non ha parlato prima di tutto di economia, no, il primo punto da lui presentato è stato il rifiuto del matrimonio gay (11 febbraio).

Alcuni giorni dopo (19 febbraio) dichiarava che i gay “non amano la Francia”. L’idiozia di simile affermazione, considerando la storia, da Luigi XIII al maresciallo Lyautey, non ha trattenuto dal parlare un uomo che, per finire, ha schernito i gay, dicendo che sono in contraddizione nel volere il matrimonio, visto che rivendicano il “diritto alla differenza” (17 aprile). Somiglianza, differenza, qualunque cosa i gay e le lesbiche dicano, hanno torto. Peggio, non ne hanno il diritto. Visto che glielo si rifiuta.

Non bisogna quindi sorprendersi del fatto che i discendenti politici del “sarkozysmo” si siano scatenati all’annuncio del progetto di legge timidamente definito “matrimonio per tutti”, come se le parole gay e lesbica fossero vergognose. Durante il dibattito per la presidenza dell’UMP, Fillon ha dichiarato la sua “opposizione totale al matrimonio omosessuale”,seguito da Copé che ha affermato che “non celebrerà nessun matrimonio omosessuale” (25 ottobre). Tre giorni dopo, lo stesso Copé ha pensato di organizzare delle manifestazioni contro il matrimonio gay.

Si è unita a lui su questo punto quella che alcuni hanno soprannominato sua sorella di latte, Marine Le Pen (1° novembre), che ha poi chiesto un referendum sulla questione (4 novembre); la prossima proposta sarà la gogna? L’offesa è non solo quotidiana, ma pluriquotidiana: lo stesso 4 novembre il deputato Laurent Wauquiez prometteva l’abrogazione se la destra tornasse al potere. Il 5, la deputata Valérie Pécresse prevedeva l’annullamento dei matrimoni. La crescente forza dell’insulto politico è manifestata molto bene dal numero dei deputati e dei senatori UMP che hanno firmato una petizione contro il matrimonio gay: erano 82 nel gennaio 2012, e 180 in ottobre.

Da dove arriva l’idea che il matrimonio gay metterebbe in pericolo la Francia? I dieci paesi del mondo in cui esiste hanno forse visto orde di gay e di lesbiche dipingere di rosa le statue de grandi? David Cameron che dice: “Sono a favore del matrimonio gay perché sono conservatore” (10 ottobre) è forse un cattivo britannico? Un cattivo conservatore? Un cattivo uomo? Barack Obama, che, nel suo discorso di elezione, ha dichiarato: “Che voi siate (...) gay o eterosessuali, potete realizzarvi in America” (7 novembre), vuole forse la distruzione della civiltà occidentale?

I politici francesi che fanno quelle dichiarazioni demagogiche, solleticano un elettorato che dovrebbero invece educare. François Mitterrand ha ottenuto il suo status di statista affermando, mentre era candidato alla presidenza e sapeva che la maggioranza dei francesi era contraria, che avrebbe chiesto l’abrogazione della pena di morte se fosse stato eletto. Nel caso del matrimonio gay, la maggioranza della popolazione lo approva.

I rappresentanti di tutte le religioni si sono uniti nella corsa all’insulto. Il 14 settembre, il cardinale di Lione associava il matrimonio gay alla poligamia e all’incesto. Il 3 novembre era l’arcivescovo di Parigi e cardinale che, in nome della democrazia partecipativa, approvava manifestazioni contro questo matrimonio che “distruggerebbe le basi della nostra società”. Lascio a ciascuno di voi qualificare come vuole un uomo che chiama democrazia partecipativa delle manifestazioni di piazza e invita a parteciparvi, mentre il papa viene eletto da 120 cardinali che non rendono assolutamente conto ad un miliardo di fedeli.

Non insisteremo sul silenzio non partecipativo del clero quando di trattava di impedire i torrenti di pedofilia che hanno portato quasi all’annientamento delle Chiese irlandesi e statunitensi, per non parlare solo dei paesi in cui gli scandali sono diventati pubblici. Usando in maniera molto dubbia la parola “lobby”, il cardinale e arcivescovo di Parigi sa di che cosa parla, poiché, in questo caso come in molti altri, la sua Chiesa fa “lobby” in maniera accanita. Sembrerebbe che per lui “lobby” sia un gruppo che difende interessi che non gli piacciono.

Il cardinale è stato preceduto, il 19 ottobre, da venticinque pagine scritte contro il matrimonio gay dal grande rabbino di Francia e seguìto, il 6 novembre, da una dichiarazione nello stesso senso fatta dal presidente del Consiglio francese del culto musulmano (CFCM). La collusione dell’odio è così patente che il Consiglio francese del culto musulmano, che non sapevamo essere così ecumenico, rinvia, sul suo sito, agli attacchi degli altri culti. La Federazione protestante di Francia assicura che il matrimonio gay “non è un regalo da fare alle generazioni future” in una petizione firmata anche dai ministri delle Chiese luterana, greca, anglicana e armena. Occupandosi di faccende di diritto civile che non le riguardano in considerazione della separazione di Chiesa e Stato, questi culti desidererebbero forse l’unione delle Chiese e dello Stato per un migliore ostracismo dei gay e delle lesbiche?

I media riproducono questi attacchi con una premura che sembra rasentare la compiacenza. Anche qui, attacchi quotidiani contro i gay e le lesbiche, e rarissime pubblicazioni di interventi che presentano il punto di vista opposto. Il 3 ottobre, Le Figaro ha pubblicato diverse pagine contro il matrimonio gay basate sui “psi” [ndr.: psicanalisti, psicologi, ecc.], di cui invita di solito a diffidare. Ogni giorno è tornato alla carica, pubblicando ad esempio un appello di sindaci che intenderebbero “scioperare” contro una legge che non è neppure ancora stata votata. Dov’è il rispetto della legalità giustamente sostenuto da un giornale conservatore?

Il 28 ottobre, Le Monde pubblicava l’intervista di un teologo cattolico membro del Comitato consultivo nazionale di etica, diretta contro i gay: “Gli omosessuali vogliono entrare nella norma sovvertendola”. Che l’autore di un’asserzione di tale disprezzo possa essere membro di un comitato di etica è motivo di stupore. Avrà senza dubbio dimenticato le pratiche dei primi cristiani che hanno sovvertito le istituzioni dell’Impero romano fino ad impadronirsene. Tutti questi insulti non avrebbero potuto essere espressi cinque anni fa. Gli indugi del governo e il rinvio della votazione della legge fanno sì che, fino al momento del voto, gli insulti continueranno. Abbiamo deciso di non sopportarli più pazientemente. Non firmiamo petizioni di professione.

Tra noi ci sono gay, lesbiche, eterosessuali. Alcuni di sinistra, altri di destra, alcuni cristiani, altri ebrei, altri agnostici. Indipendentemente dal loro orientamento sessuale, alcuni hanno figli. Alcuni sono celibi o nubili, altri sposati. Nessuno deve render conto a nessuno sul proprio modo di vivere. La maggior parte ha avuto genitori eterosessuali e, tra loro, alcuni hanno avuto un’infanzia infelice. Non accusano di questo l’eterosessualità. Alcuni hanno genitori omosessuali e hanno avuto un’infanzia felice. Non ne attribuiscono il merito all’omosessualità. Non abbiamo i pregiudizi dei nostri nemici.

I gay e le lesbiche rendono servizi alla Francia non meno di strani teologi o politici senza idee. I populisti omofobi si rendono conto che le loro diatribe facilitano il passaggio all’azione? Che, se delle persone, che si presuppone siano responsabili, parlano in maniera irresponsabile, la brutalità si sentirà giustificata? In tutto questo, il matrimonio è un pretesto. Una volta che sarà acquisito, l’omofobia non cesserà, ed è quella che bisogna criminalizzare. Se c’è qualcosa di pericoloso in una società è la lobby della stupidità e dell’odio.

*
- Collettivo

- Charles Dantzig, scrittore;
- Dominique Fernandez, scrittore;
- Christophe Honoré, regista;
- Olivier Poivre d’Arvor, direttore di France Culture;
- Ludivine Sagnier, attrice;
- Danièle Sallenave, scrittrice

Altri sottoscrittori del testo:

Josyane Balasko, attrice; Jean-Luc Barré, scrittore, direttore della collezione Bouquins; Alex Beaupain, cantante; Pierre Bergé, presidente della Fondazione Pierre Bergé - Yves Saint Laurent, azionista di Le Monde; Martin Béthenod, direttore di Palazzo Grassi - Punta della Dogana; Geneviève Brisac, scrittrice; Sylvain Bourmeau, giornalista; Robert Cantarella, regista; Maxime Catroux, editrice; Manuel Carcassonne, vicedirettore generale delle editzioni Grasset; Edmonde Charles-Roux, scrittrice, presidente dell’Académie Goncourt; Patrice Chéreau, regista; Jean-Paul Civeyrac, regista; Kéthévane Davrichewy, scrittrice; Jean-Baptiste Del Amo, scrittore; Vincent Delerm, cantante; Diastème, regista; Virginie Despentes, scrittrice; Florence Dormoy, produttrice; Ferrante Ferranti, fotografo; Marcial Di Fonzo Bo, regista; Marina Foïs, attrice; Louis Garrel, attore; Thomas Gornet,scrittore; Olivier Gluzman, produttore; Marianne James, attrice; Pierre Jourde, scrittore; Thierry Klifa, regista; Jean-Marie Laclavetine, scrittore; Valérie Lang, attrice; Eric Lartigau, regista; Catherine Leblanc, scrittrice; Katia Lewkowicz, regista; Claude Lévêque, artista; Amin Maalouf, scrittore, dell’Académie française; Thierry Magnier, editore; Sébastien Marnier, scrittore; Philippe Martin, produttore; Chiara Mastroianni, attrice; Arnaud Meunier, regista; Jean-Paul Montanari, direttore di Montpellier Danse; Gaël Morel, regista; Amélie Nothomb, scrittrice; Anne Percin, scrittrice; Patrick Rambaud, éscrittore, membro dell’Académie Goncourt ; Eric Reinhardt, scrittore; Serge Renko, attore; Mathieu Riboulet, scrittore, premio Décembre 2012; François de Ricqlès, presidente de Christie’s France; Pierre Rigal, coreografo; Cédric Rivrain, disegnatore; Thomas Scotto, scrittore; Abdellah Taïa, scrittore; Karin Viard, attrice; Eric Vigner, regista; Edouard Weil, produttore e Cathy Ytak, scrittrice.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/11/2012 13.29
Titolo:EDITORIALE DI "LE MONDE". Una riforma legittima, necessaria e progressista
Una riforma legittima, necessaria e progressista

- Editoriale
- “Le Monde” del 18 novembre 2012
- (traduzione: www.finesettimana.org)

Fin d’ora, una cosa è certa: nel gennaio 2013, quando arriverà in discussione davanti al Parlamento, il progetto di legge che allarga a “due persone dello stesso sesso” il diritto di sposarsi, sarà stato oggetto di un dibattito pubblico molto approfondito.

È una cosa positiva. Infatti, al di là del codice civile, questa riforma riguarda ciascuno in ciò che ha di più intimo: la sua concezione dell’amore, della coppia, della genitorialità e della famiglia; ma anche le sue convinzioni filosofiche, morali e religiose.

Di fatto, fin dall’estate, dibattiti e scontri sono incessanti. I rappresentanti delle religioni, a cominciare dall’episcopato francese, hanno espresso con molto vigore la loro opposizione a questa riforma, che minaccerebbe, poco o tanto, i fondamenti stessi della famiglia e della società.

Altri, soprattutto psicanalisti, hanno contestato, nel diritto all’adozione, la cancellazione simbolica del padre e un “diritto al figlio” che dimenticherebbe pericolosamente i diritti del figlio. La destra, infine, non ha mancato di infiammare la polemica, nella speranza di mettere in difficoltà il governo, se non addirittura di costringerlo a rinunciare, come è successo nel 1984 per la scuola privata.

Mentre i contrari al progetto si mobilitano in questo fine settimana in tutta la Francia, è venuto il momento di ripeterlo: questa riforma - tutta questa riforma e, a questo stadio, solo questa riforma - è legittima, necessaria e progressista. Essa obbedisce, innanzitutto, ad una logica storica. Da una trentina d’anni, gli omosessuali sono passati dall’ostracismo (essendo l’omosessualità considerata nei casi migliori una malattia, nei peggiore un crimine) alla tolleranza, poi al riconoscimento, quasi all’indifferenza. In tutti i paesi occidentali, l’evoluzione dei costumi e delle mentalità è stata spettacolare.

Aggiungiamo che la famiglia non si conforma più ad un modello unico o dominante. Meno della metà delle coppie francesi sono “legali”, sposate o unite dal “pacs”. Il matrimonio stesso non obbedisce più ai motivi tradizionali di lignaggio o di religione, ma piuttosto alle esigenze e alle scelte della vita affettiva, che sono simili tra persone dello stesso sesso o di sessi diversi. La riforma risponde poi ad una necessità democratica: quella dell’uguaglianza dei diritti.

L’instaurazione dei pacs, nel 1999, ha riconosciuto legalmente la coppia omosessuale, ma l’ha esclusa dal diritto all’adozione e alla famiglia. Il progetto di legge del governo mette fine a questa discriminazione e assicura, inoltre, una migliore sicurezza per il coniuge. Come già accade in paesi diversi tra loro come la Svezia, la Spagna, la Norvegia, i Paesi-Bassi o il Belgio.

Infine, aprendo alle coppie omosessuali il diritto all’adozione (in particolare del figlio di uno dei coniugi), il progetto di legge permetterà di regolarizzare molte situazioni, raffazzonate ed incerte, che già esistono. Permetterà ai figli che hanno un solo genitore biologico ed un genitore “sociale” di avere una doppia filiazione, come gli altri bambini.

Questo dibattito è tutt’altro che anodino. È opportuno, anche per il governo, che sia portato avanti con convinzione e serenità.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/11/2012 13.44
Titolo:I DUE "CRISTIANESIMI". ELOGIO DEL DISSENSO ....
Fuori dal gregge

di Antonio Thellung (mosaico di pace, luglio 2012)

L’obbedienza non è più una virtù, diceva don Milani, esortando a coltivare la presa di coscienza. Non per contrapporsi all’autorità, ma per educare ciascuno ad assumere le proprie responsabilità, senza pretendere di scaricarle su altri. L’obbedienza, infatti, può anche dirsi una virtù, ma soltanto se si mantiene entro limiti equilibrati, da valutare appunto con coscienza. Perché l’obbedienza cieca è il tipico strumento utilizzato dalle strutture autoritarie gerarchico-imperialistiche per esercitare il potere, offrendo in cambio ai sudditi lo scarico della responsabilità personale. Tipico esempio si è avuto nel dopoguerra quando pareva che nessuno dei feroci gerarchi nazisti fosse colpevole, perché sostenevano tutti di aver semplicemente obbedito a ordini superiori.

Il Vangelo è chiarissimo: "Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?", ma la cristianità che si è affermata nella storia ha preferito mutuare dall’Impero Romano un’impostazione imperialistica che si mantiene presente tuttora, sia pure adattata ai tempi odierni. Un’impostazione che riduce i fedeli a "docile gregge", come li definiva a suo tempo Pio X. Il Vangelo, inoltre, esorta anche a non chiamare nessuno padre sulla terra, un lampante invito a non cadere nelle tentazioni del paternalismo, che svaluta la dignità delle persone. Ma l’uso di chiamare "padre" i ministri del culto la dice lunga. Nello stesso brano, poi, Gesù in persona ammonisce i suoi apostoli a non farsi chiamare maestri perché solo Cristo è il maestro, ma sorprendentemente su taluni documenti ecclesiastici anche dei tempi presenti, come ad esempio il Documento di Base del 1970, si legge nientemeno che: "Per disposizione di Cristo, gli Apostoli affidarono ai loro successori, i Vescovi, il proprio ufficio di Maestri". Incredibile!

Si potrebbe dire che il magistero ha sempre richiesto ai fedeli un’obbedienza cieca, e non pochi tra coloro che hanno cercato di opporsi hanno pagato talvolta perfino con la vita. San Francesco, nella sua prima regola, aveva provato a scrivere che un frate non è tenuto a obbedire al superiore se questi gli ordina qualcosa di contrario alla sua coscienza, ma naturalmente papa Innocenzo III si è guardato bene dall’approvarla. In tempi più recenti, nel 1832, Gregorio XVI definiva un delirio la libertà di coscienza e nel 1954 Pio XII scriveva: "È giusto che la Chiesa respinga la tendenza di molti cattolici a essere considerati ormai adulti". Non è stupefacente?

Chi esercita il potere, di qualsiasi tipo, vorrebbe dai sudditi una delega in bianco, perché teme le coscienze adulte, che sono difficilmente governabili per il loro coraggio di esprimere dissenso, quand’è il caso. E tanto più il potere è prepotente e prevaricante, tanto più esige un’obbedienza cieca. Il magistero ecclesiastico ha sempre mostrata una grande avversione al dissenso, trattandolo come un nemico da combattere perfino con metodi violenti, nel caso, senza capire che proprio il dissenso è il miglior amico degli insegnamenti di Cristo, perché agisce come sentinella delle coscienze.

Il dissenso, nella Chiesa, c’è sempre stato, con buona pace di coloro che nelle varie epoche storiche hanno preteso di soffocarlo usando talvolta armi che sono incompatibili con l’insegnamento di Gesù. Sarebbe ora che l’autorità prendesse atto che il dissenso non è un nemico ma, anzi, un grande amico, anche se può rendere più complesso e faticoso il cammino. Il Concilio Vaticano II mostrava di averlo capito quando scriveva, nella Gaudium et Spes: "La Chiesa confessa che molto giovamento le è venuto e le può venire perfino dall’opposizione di quanti la avversano o la perseguitano". Ma ben presto, poi, sono prevalsi nuovamente gli atteggiamenti di repressione e condanna verso chi tenta coraggiosamente di alzare la testa. essere credibili

Personalmente non dubito che un magistero ecclesiastico sia necessario e prezioso, ma di quale tipo? Qualsiasi coscienza adulta sa che di fronte a disaccordi e perplessità non avrebbe alcun senso rifiutare l’autorità o ribellarsi tout court: non sarebbe costruttivo. Ma sente però il dovere, prima ancora che il diritto, di chiedergli maggiore credibilità, di esigere che sappia proporre senza imporre, con rispettoso ascolto delle opinioni altrui. Gli ascoltatori di Gesù "rimanevano colpiti dal suo insegnamento", perché "parlava con autorità", e non perché aveva cariche istituzionali. Così il magistero può sperare di essere creduto, dalle coscienze adulte, quando offre messaggi autorevoli e convincenti, e non per il solo fatto di essere l’autorità costituita. Oggi la credibilità dei vertici ecclesiastici, con tutti gli scandali di questi tempi, è fortemente minata, e si potrebbe dire che solo facendo leva surrettiziamente sulla grande fede in Gesù Cristo che continua a sostenere tante persone (malgrado tutto) evita di porsi in caduta libera. Ma fino a quando, se permane la pretesa di continuare a proporsi come magistero di un "docile gregge?".

La parabola della zizzania insegna che la Chiesa è comunione di consensi e dissensi, perciò, per recuperare credibilità, le autorità dovrebbero finalmente prenderne atto e imparare a dialogare con tutti alla pari, e in particolare proprio con il dissenso. Dovrebbero educarsi ed educare ad accoglierlo con l’attenzione che merita. Perché un dissenso respinto e represso a priori diventa facilmente aspro, arrabbiato, distruttivo mentre, se accolto con benevolenza, può diventare costruttivo, benevolo, e perfino affettuoso.

Una buona educazione al dissenso potrebbe diventare la miglior scuola alla formazione di coscienze adulte, capaci di confrontarsi senza acquiescenze o confusioni e censure. Capaci, cioè, di non farsi travolgere da vergognosi intrallazzi di qualsiasi tipo.

Personalmente, cerco, nel mio piccolo, di fare quel che posso. Qualche anno fa l’editrice la meridiana ha pubblicato un mio libro dal titolo "Elogio del dissenso", e per ottobre prossimo ha in programma di pubblicare un mio nuovo saggio dal titolo "I due cristianesimi", scritto per sottolineare le differenze tra il messaggio originale di Cristo e l’imperialismo cristiano, non solo come si è affermato nella storia, ma anche come si manifesta al presente. L’interrogativo è focalizzato sulla speranza nel futuro, mentre le critiche a quanto è stato ed è contrabbandato in nome di Cristo servono solo per capire meglio come si potrebbe uscir fuori dalle tante macrocontraddizioni.

La speranza è irrinunciabilmente legata a una Chiesa delle coscienze adulte, perciò sogno un magistero impegnato a farle crescere senza sottoporle a pressioni psicologiche; un magistero capace d’insegnare a distinguere il bene dal male senza imporre valutazioni precostituite; lieto di aiutare ognuno a diventare adulto e autonomo senza costringerlo a sottomettersi; volto a stimolare una sempre maggiore consapevolezza rinunciando a imposizioni precostituite. Un magistero che affermi i suoi principi senza pretendere di stigmatizzare le opinioni diverse; che proponga la propria verità senza disprezzare le verità altrui. In altre parole, sogno una Chiesa dove sia possibile ricercare, discutere, confrontarsi, camminare assieme.

Sogno un magistero che affermi il patrimonio positivo della fede, libero dalla preoccupazione di puntualizzare il negativo; che sappia offrire gratuitamente l’acqua della vita, senza voler giudicare chi beve; che proponga la verità di Cristo, esortando a non accettarla supinamente; che tracci la strada, ammonendo a non seguirla passivamente; che offra strumenti per imparare a scegliere, a non essere acquiescenti, a non accontentarsi di un cristianesimo mediocre e tiepido. Un Magistero che preferisca circondarsi da persone esigenti, irrequiete, contestatrici, piuttosto che passive, pavide, addormentate. Esso per primo ne trarrebbe grandi benefici: sarebbe il magistero di un popolo adulto, maturo, responsabile.

Etimologicamente la parola obbedienza significa ascolto, e sarebbe ora di educarci tutti a questo tipo di obbedienza reciproca: i fedeli verso l’autorità, ma anche l’autorità verso chiunque appartenga al Popolo di Dio, non importa con quale ruolo. Solo questa obbedienza è autentica virtù. Chissà se San Paolo, quando esortava a sperare contro ogni speranza, si riferiva anche alle utopie!

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Commenti Articolo 684

Titolo articolo : SENZA UNA TEORIA DELLO STATO, LA "NOSTRA" FILOSOFIA DEL CONFLITTO CONTINUA IL SUO VIAGGIO: "DALL'OPERAISMO ALLA BIOPOLITICA". Sul lavoro di Dario Gentili ("Italian Theory"), una riflessione di Roberto Esposito - con alcune note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/18/2012 - 19:26:35.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 03/11/2012 21.23
Titolo:PER un impegno comune di tutte le componenti della società.....
COSTITUZIONE, EVANGELO, e NOTTE DELLA REPUBBLICA (1994-2012): PERDERE LA COSCIENZA DELLA LINGUA ("LOGOS") COSTITUZIONALE ED EVANGELICA GENERA MOSTRI ATEI E DEVOTI ...

VEDI: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=3211

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DEPORRE LA SPADA: E' TEMPO DI FERTILI CONTAMINAZIONI IN SPIRITO DI CARITA'. La Chiesa oggi: dialogo possibile tra fede e modernità. Un'analisi (e una esortazione) di Eugenio Scalfari

A me è accaduto da vecchio laico non credente d’incontrare un sacerdote come Carlo Maria Martini con la sua incrollabile fede in un Cristo risorto, da lui definito “sempre risorgente”, quindi non un’icona immobile ma una presenza dinamica da riconquistare quotidianamente. A quel Cristo sempre risorgente non ho contrapposto ma ho affiancato Gesù di Nazareth, figlio di Maria e di Giuseppe, predicatore e profeta dei deboli, degli oppressi e degli esclusi, figlio dell’uomo

VEDI: http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/Ratzinger/Interventi_1351182848.htm
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/11/2012 09.27
Titolo:AL DI LA' DELLA RAGIONE ATEA E DEVOTA: .KANT E GRAMSCI......
KANT E GRAMSCI. PER LA CRITICA DELL’IDEOLOGIA DELL’UOMO SUPREMO E DEL SUPERUOMO D’APPENDICE. Materiali sul tema

http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=5007


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ANTITETICA DELLA RAGION PURA

di Immanuel Kant *

Se Tetica è ogni insieme di dottrine dommatiche, io intendo per Antitetica, non affermazioni dommatiche del contrario, ma il conflitto di conoscenze secondo l’apparenza dommatiche (thesin cum antithesi), senza che si annetta all’una piuttosto che all’altra uno speciale diritto all’assenso.

L’Antitetica, dunque, non si occupa punto di affermazioni unilaterali, ma prende a considerare le conoscenze universali della ragione solo pel conflitto di esse tra loro e per le cause di tal conflitto. L’Antitetica trascendentale è una ricerca intorno all’antinomia della ragion pura, le sue cause e il suo risultato.

Quando noi rivolgiamo la nostra ragione non semplicemente, per l’uso dei princìpi dell’intelletto, agli oggetti dell’esperienza, ma ci avventuriamo ad estenderla al di là dei limiti di questa, allora vengon fuori proposizioni sofistiche, che dalla esperienza non possono né sperare conferma, né temere confutazione; ciascuna delle quali non soltanto è in se stessa senza contraddizione, ma trova perfino nella natura della ragione le condizioni della sua necessità; solo che, disgraziatamente, il contrario ha dalla parte sua ragioni altrettanto valide e necessarie di affermazione.

Le questioni che si presentano naturalmente in una tale dialettica della ragion pura, son dunque: 1) In quali proposizioni propria mente la ragion pura è soggetta inevitabilmente a una antinomia. 2) Su quali cause si fonda questa antinomia. 3) Se nondimeno, e in qual modo, alla ragione, in questo conflitto, resti aperta una via alla certezza.

Un teorema dialettico della ragion pura deve, dunque, avere in sé questo, che lo distingua da tutte le proposizioni sofistiche: che non concerna una questione arbitraria, che non si solleva se non per un certo scopo voluto, ma sia una questione siffatta, che ogni ragione umana nel suo cammino vi si deve necessariamente imbattere; e in secondo luogo, che così essa come la contraria porti seco non soltanto un’apparenza artificiosa, che, se uno l’esamini, dilegua tosto, ma un’apparenza naturale e inevitabile, che, quando anche uno non ne sia più ingannato, illude pur sempre, sebbene non riesca più a gabbare; e però può bensì esser resa innocua, ma non può giammai venire estirpata.

Una tale dottrina dialettica non si riferirà all’unità intellettuale di concetti d’esperienza, ma all’unità razionale di semplici idee, le cui condizioni - poiché primieramente, come sintesi secondo regole, essa deve accordarsi con l’intelletto, e pure, insieme, come unità assoluta di essa, con la ragione, - se essa è adeguata all’unità della ragione, saranno troppo grandi per l’intelletto, e se proporzionata all’intelletto, troppo piccole per la ragione; dal che deve sorgere un conflitto, che non si può evitare, donde che si prendano le mosse.

Queste affermazioni sofistiche aprono dunque una lizza dialettica, dove ogni parte cui sia permesso di dar l’assalto ha il disopra, e soggiace di sicuro quella che è costretta a tenersi sulla difensiva. Quindi anche i cavalieri gagliardi, s’impegnino essi per la buona o per la cattiva causa, sono sicuri di riportare la corona della vittoria, se badano solo ad avere il privilegio di dar l’ultimo assalto senza essere più obbligati a sostenere un nuovo attacco dell’avversario.

Si può facilmente immaginare, che questo arringo pel passato è stato abbastanza spesso corso, che molte vittorie sono state guadagnate da ambo le parti; ma per l’ultima, che decide la cosa, si è sempre badato che il difensore della buona causa tenesse solo il terreno, e così fosse impedito all’avversario di impugnare più oltre le armi. Come giudici di campo imparziali, dobbiamo mettere affatto da parte, se sia la buona o la cattiva causa quella che i combattenti sostengono, e lasciar che essi se la sbrighino prima tra loro. Forse, dopo essersi l’un l’altro più stancati che danneggiati, essi scorgeranno da se stessi la vanità della loro lotta e si separeranno da buoni amici.

Questo metodo di assistere a un conflitto di affermazioni, o piuttosto di provocarlo da sé, non per decidere alla fine in favore dell’una o dell’altra parte, ma per ricercare se l’oggetto di esso non sia forse una semplice illusione, che ciascuno vanamente s’affanna ad acchiappare, e in cui ei non può nulla guadagnare, quand’anche non gli si resistesse punto: questo metodo, dico, si può chiamare metodo scettico.

Esso è da distinguere del tutto dallo scetticismo, principio di una inscienza secondo arte e scienza1, che spianta le fondamenta d’ogni cognizione, per non lasciarle, possibilmente, in nessuna parte alcuna certezza e sicurezza. Giacché il metodo scettico mira alla certezza, in quanto cerca di scoprire in un tale combattimento, onestamente inteso da ambo le parti e condotto con intelligenza, il punto dell’equivoco, per fare come i saggi legislatori, che dall’imbarazzo dei giudici nell’amministrazione della giustizia ricavano per sé un ammaestramento intorno a ciò che di manchevole e non abbastanza determinato è nelle loro leggi. L’antinomia, che si rivela nell’applicazione delle leggi, è per la nostra limitata sapienza la maggior prova d’esame della nomotetica, per rendere così attenta la ragione, che nella speculazione astratta non s’accorge facilmente dei suoi passi falsi, ai momenti della determinazione dei suoi princìpi.

Ma codesto metodo scettico è essenzialmente proprio solo della filosofia trascendentale; e in ogni modo, può farsene a meno in ogni altro campo di ricerche, solo in questo no.

Nella matematica il suo uso sarebbe assurdo: poiché in essa non può restar nascosta e sfuggire all’occhio nessuna falsa affermazione, in quanto le dimostrazioni vi debbono sempre procedere al filo dell’intuizione pura, e mediante una sintesi sempre evidente.

Nella filosofia sperimentale può bene un dubbio sospensivo esser utile; se non che, nessun malinteso, almeno, è possibile, il quale non si possa facilmente tòr via, e ad ogni modo nell’esperienza devono in definitiva trovarsi gli ultimi mezzi della decisione del dissidio, presto o tardi che essi abbiano a rintracciarsi. La morale può dare tutti i suoi princìpi anche in concreto e insieme le conseguenze pratiche, almeno in esperienze possibili, e così evitare il malinteso dell’astrazione.

Per contro, le affermazioni trascendentali, che si arrogano vedute che si estendono al di là del campo d’ogni possibile esperienza, né si trovano nel caso che la loro sintesi astratta possa esser data in qualche intuizione a priori, né son tali che il malinteso possa esser scoperto mercé una qualche esperienza. La ragione trascendentale non ci permette dunque altra pietra di paragone che il tentativo d’un accordo delle sue affermazioni tra loro stesse, e quindi, prima, di una gara di combattimento tra loro, libera e senza ostacoli; e a questa gara al presente noi vogliamo dar corso.

*Immanuel Kant, Critica della Ragion Pura, Editori Laterza Bari 1966, vol. II, pp. 350-353.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/11/2012 19.26
Titolo:COME SE LO STATO NON ESISTESSE .....
Neoanarchici & co.

La rivoluzione senza leader

Né dirigenti, né linea politica

Il fine non è abbattere lo Stato ma agire come se non esistesse

di Antonio Carioti (Corriere La Lettura, 18.11.2012)



Lenin è morto, la rivoluzione è viva. Nessuno oggi sogna più la presa del Palazzo d'Inverno, né immagina avanguardie proletarie rette da una disciplina d'acciaio. Ma l'idea di un profondo sovvertimento dell'ordine vigente, che riorganizzi la vita sociale su basi nuove, non è scomparsa. Anzi la crisi finanziaria mondiale, con l'impoverimento e il vuoto di prospettive che ne sono derivati per un numero enorme di persone anche nei Paesi ricchi, ha rianimato non solo la protesta giovanile, dagli Indignados spagnoli a Occupy Wall Street, ma anche le riflessioni teoriche nutrite dal fuoco della speranza rivoluzionaria.

Nel definire l'obiettivo finale, qualcuno usa ancora la parola «comunismo»: per esempio Francesco Raparelli nel pamphlet Rivolta o barbarie (Ponte alle Grazie). Ma certo nessuno ipotizza più la conquista dell'apparato statale. L'orizzonte è semmai sintetizzato nel titolo-slogan di un libro uscito in Italia nel 2004: Cambiare il mondo senza prendere il potere (Intra moenia) di John Holloway, un docente dell'ateneo messicano di Puebla che, quando cita il comunismo, spesso aggiunge tra parentesi frasi del tipo «o comunque scegliamo di chiamarlo», anche per segnare un distacco netto dall'esperienza bolscevica.

In un saggio più recente, Crack Capitalism (DeriveApprodi), Holloway descrive la rivoluzione come «un processo interstiziale», cioè «il frutto della trasformazione quasi invisibile delle attività quotidiane di milioni di persone», che con i loro «rifiuti nei confronti del sistema» aprono crepe man mano sempre più profonde nella «coltre di ghiaccio» del capitalismo, fino a determinarne il collasso. Non si tratta di distruggere l'ordine borghese, quanto di rifiutare ogni cooperazione al suo funzionamento.

Siamo dunque ben lontani dal marxismo-leninismo. È semmai con un altro filone di pensiero che si registrano forti affinità, come sottolinea l'antropologo David Graeber, ex docente di Yale e militante di Occupy Wall Street, nel testo Rivoluzione: istruzioni per l'uso, di prossima uscita per la Bur. A suo avviso dall'insurrezione zapatista del 1994, passando per le manifestazioni contro il Wto di Seattle (1999) e le varie lotte contro le politiche neoliberiste, fino all'entrata in scena di Occupy, si è manifestata «la più grande fioritura autocosciente di idee anarchiche della storia».

Sta infatti tornando in auge, secondo Graeber, il concetto tipicamente libertario di «azione diretta» (Direct Action è il titolo originale del suo saggio), che «consiste nell'agire, di fronte a strutture di autorità inique, come se si fosse già liberi». Abbattere il sistema politico borghese appare allora un obiettivo fuorviante, bisogna piuttosto comportarsi «come se lo Stato non esistesse».


Gli anarchici, ricorda Graeber, erano il fulcro della sinistra rivoluzionaria nel lungo periodo di pace tra fine Ottocento e inizi del Novecento, mentre hanno conosciuto una grave crisi, sfociata in una duratura eclissi tra il 1914 e il 1991, all'epoca delle guerre mondiali e del conflitto Est-Ovest, quando la rivoluzione si era fatta Stato nel comunismo sovietico, che recava però dentro di sé contraddizioni insanabili. Il fatto è, scrive Graeber, che «non si può creare una società libera attraverso la disciplina militare, non si può creare una società democratica dando ordini, non si può creare una società felice attraverso il sofferto sacrificio di sé». Non a caso la bancarotta dell'Urss ha coinciso con la ripresa di pratiche tendenzialmente anarchiche.

Derivano da questa esperienza storica, sempre secondo l'antropologo americano, due insegnamenti basilari. Il primo è che, se l'uso della forza non può essere ritenuto illegittimo in linea di principio, i rivoluzionari devono sforzarsi di essere «più non violenti possibile», come mostrano in America Latina i successi dei movimenti disarmati (i «senza terra» brasiliani, ma in fondo anche gli zapatisti) e la deriva dei gruppi di guerriglia degenerati in «bande di gangster nichilisti».

Il secondo è che la forza dell'anarchismo risiede nel fatto che «non si considera fondamentalmente un progetto di analisi ma un progetto etico», cioè non intende tracciare una strategia politica rivoluzionaria, ma rispecchia il desiderio di libertà insito nell'animo umano e fa appello alla coscienza degli individui contro ogni coercizione. Quindi rifiuta le gerarchie interne e anche il meccanismo della rappresentanza, mentre aspira a una democrazia diretta basata sul consenso generale dei singoli.

Emergono qui, insieme a molti punti di contatto, anche rilevanti differenze tra Graeber e i teorici d'impianto marxista. Per esempio Raparelli parla ancora di «giusta violenza che deve accompagnare la traiettoria anticapitalista dei movimenti», fino a evocare una «macchina da guerra», sia pure non come apparato militare, ma come prodotto di una «irriducibile proliferazione gruppuscolare».

Antonio Negri e Michael Hardt, nel libro Questo non è un manifesto (Feltrinelli), plaudono alla «mancanza di leader e di ideologia» degli attuali movimenti, ma non rinunciano a una sonora enunciazione di principi e affidano ai contestatori odierni un compito «costituente» che contempla per sua natura una qualche organizzazione politica. Gli Indignados, scrivono Negri e Hardt, «naturalmente non sono anarchici»: un'affermazione su cui Graeber, il quale a sua volta preferisce parlare «non di potere costituente ma destituente», avrebbe parecchio da ridire. Significativa è inoltre la divergenza nel giudizio sul presente.

Consapevoli degli scarsi sbocchi che finora le rivolte hanno trovato a livello politico (basti pensare che le primavere arabe sembrano aver innescato una deriva teocratica), Negri e Hardt confidano nell'irrompere di «eventi inaspettati e imprevedibili», che forniscano l'occasione di «costruire una nuova società».

Graeber si mostra invece convinto che la svolta sia già avvenuta, con il tramonto del «pensiero unico» liberista. Nemmeno la «guerra al terrore» seguita all'11 settembre, sostiene, è riuscita a rimettere in sella le forze dominanti, perché «gli Stati Uniti semplicemente non hanno le risorse economiche per mantenere il nuovo progetto imperialista».

La rivoluzione sarebbe insomma già in cammino, anche se, ammette Graeber, resta aperto il problema di come conciliare le mentalità, inevitabilmente diverse, degli «alienati» (gli occidentali afflitti da varie forme di disagio) e degli «oppressi» (gli abitanti del Terzo Mondo che soffrono la miseria e la fame), senza contare la difficoltà di convincere chi non si ribella al sistema, quelli che il filosofo Paolo Virno chiama «i corrotti e i crumiri». Non è affatto detto che lo spirito rivoluzionario sia contagioso come ritengono i suoi cultori.

In realtà, da un punto di vista estraneo al romanticismo sovversivo, il rilancio delle teorie radicali non assomiglia al preannuncio di un futuro radioso, ma semmai al sintomo di una crescente inadeguatezza del modello occidentale. In Italia lo si vede meglio che altrove, ma è evidente che i canali della rappresentanza e della partecipazione politica sono ostruiti un po' dovunque.

Uno studioso nient'affatto rivoluzionario come il francese Pierre Rosanvallon, nel saggio Controdemocrazia (Castelvecchi), sottolinea la necessità di sviluppare meccanismi di sorveglianza, interdizione e giudizio, peraltro difficili da formalizzare, che consentano ai cittadini un effettivo coinvolgimento nell'attività dei governanti. E un accademico austero come Salvatore Settis lancia un vibrante appello all'iniziativa dal basso per la riaffermazione dei valori costituzionali, in un libro il cui titolo Azione popolare (Einaudi) richiama curiosamente l'«azione diretta» predicata da Graeber.

Forse però il problema è più profondo. Alla fin fine è la modernità stessa che scricchiola, se i rivoluzionari sembrano aver rigettato, recuperando più o meno apertamente l'anarchismo, l'idea marxiana per cui il regno della libertà doveva scaturire dal pieno dispiegamento delle forze produttive.

Oggi al contrario domina la retorica medievaleggiante dei beni comuni, o più semplicemente del «comune» (come lo chiamano Negri e Hardt), che tutti ovviamente distinguono con cura dal collettivismo statalista di sovietica memoria. Ma le rivolte pauperiste latinoamericane, per quanto rispettabili e giustificate, non sembrano collocarsi esattamente all'avanguardia del progresso. E come si possa «rendere comune» la proprietà senza inceppare l'economia resta un interrogativo inevaso.

Lo stesso Graeber prende le distanze dal primitivismo anarchico di John Zerzan, che giunge a condannare come alienante ogni genere di attività, comprese l'agricoltura, l'arte e la scrittura, fino ad auspicare «il ritorno all'età della pietra». Ma non è forse questa la china verso cui si slitta con l'annullamento di ogni regola che non sia spontaneamente e unanimemente accettata?

Tutto ciò, al netto del suggestivo gergo postmoderno, finisce per confermare implicitamente il giudizio di un attento studioso dei fenomeni rivoluzionari da poco scomparso, Domenico Settembrini, secondo cui l'anarchismo è in sostanza «un elemento di disturbo nei confronti del processo di modernizzazione capitalistico-liberale». D'altronde la società in cui viviamo presenta parecchi elementi patologici, la cui denuncia è pienamente legittima. Ma che la ribellione in sé possa configurare la costruzione di un'alternativa già in atto, come ipotizzano i teorici rivoluzionari vecchi e nuovi, pare una pretesa davvero eccessiva.


L'antropologo

Esce in libreria mercoledì 21 novembre il saggio dello studioso americano David Graeber «Rivoluzione: istruzioni per l'uso» (Bur). L'autore, nato nel 1961, è noto come antropologo, ma anche come militante di tendenza anarchica e ideologo di Occupy Wall Street. Quest'anno sono usciti in Italia due libri di Graeber: «Critica della democrazia occidentale» (Eleuthera) e «Debito. I primi 5.000 anni» (Il Saggiatore)

Il sociologo

John Holloway, nato a Dublino nel 1947, insegna sociologia all'Università autonoma di Puebla, in Messico, ed è considerato uno dei teorici del movimento zapatista. Oltre a «Crack Capitalism» (DeriveApprodi), ha pubblicato in Italia «Cambiare il mondo senza prendere il potere» (Intra moenia, 2004) e «Che fine ha fatto la lotta di classe?» (Manifestolibri, 2007)

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Commenti Articolo 685

Titolo articolo : STATI GENERALI DELLA CULTURA: CON IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA PER LA COSTITUENTE (MA NELLA CHIAREZZA, PER CARITA'). Testi dell'iniziativa del Sole-24 Ore, con alcune note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/18/2012 - 09:28:58.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/11/2012 19.42
Titolo:In memoria di Watzlawick. Se le idee si ammalano ...
Watzlawick, se le idee si ammalano

di Umberto Galimberti (la Repubblica, 04.04.2007)

Paul Watzlawick, morto ieri nella sua casa di Palo Alto in California all’età di 85 anni, è lo psicologo che meglio di tutti è riuscito a coniugare i problemi della psiche con quelli del pensiero e quindi a sollevare le tematiche psicologiche al livello che a loro compete, perché ad “ammalarsi” non è solo la nostra anima, ma anche le nostre idee che, quando sono sbagliate, intralciano e complicano la nostra vita rendendola infelice. E proprio Istruzioni per rendersi infelici, che Feltrinelli pubblicò nel 1984 facendo undici edizioni in due anni, è stato il libro che ha reso noto Watzlawick in Italia al grande pubblico.

Nato a Villach, in Austria, nel 1921, Watzlawick nel 1949 ha conseguito all’Università di Venezia la laurea in lingue moderne e filosofia. L’anno successivo prese a frequentare l’Istituto di Psicologia analitica di Zurigo dove nel 1954 conseguì il diploma di analista. Dal 1957 al 1960 ottenne la cattedra di psicoterapia presso l’Università di El Salvador e dal 1960 si trasferì al Mental Research Institute di Palo Alto dove lavorò con Don D. Jackson, Janet Helmick Beavin e Gregory Bateson, diventando il massimo studioso della pragmatica della comunicazione umana, delle teorie del cambiamento, del costruttivismo radicale e della teoria breve fondata sulla modificazione delle idee con cui ci costruiamo la nostra “immagine” del mondo, spesso dissonante con la “realtà” del mondo.

Le tesi centrali che sono alla base del pensiero di Watzlawick sono: in primo luogo che la nevrosi, la psicosi e in generale le forme psicopatologiche non originano nell’individuo isolato, ma nel tipo di interazione patologica che si instaura tra individui, in secondo luogo che è possibile, studiando la comunicazione, individuarne le patologie e dimostrare che è la comunicazione a produrre le interazioni patologiche.

A un individuo può capitare infatti di trovarsi sottoposto a due ordini contraddittori, convogliati attraverso lo stesso messaggio che Watzlawick chiama “paradossale”. Se la persona non riesce a svincolarsi da questo doppio messaggio la sua risposta sarà un comportamento interattivo patologico, le cui manifestazioni siamo soliti chiamare “follia”. Questa analisi, ben descritta in Pragmatica della comunicazione umana non si limita a un’interpretazione dei meccanismi interattivi, ma scopre procedimenti pragmatici o comportamentali che consentono di intervenire nelle interazioni e di modificarle. “Paradossalmente” è proprio con l’iterazione di doppi messaggi o di messaggi paradossali, nonché con la “prescrizione del sintomo” e altri procedimenti di questo tipo che il terapeuta riesce a sbloccare situazioni nevrotiche o psicotiche apparentemente inespugnabili.

Partendo da queste premesse Watzlawick intende la terapia non come “guarigione”, ma come “cambiamento” a cui ha dedicato Il linguaggio del cambiamento, Il codino del Barone di Münchhausen e, con Giorgio Nardone L’arte del cambiamento. Secondo Watzlawick sono distinguibili due realtà, una delle quali è supposta oggettiva ed esterna, e un’altra che è il risultato delle nostre opinioni sul mondo. Ogni persona deve sintetizzare queste due realtà ed è questa sintesi che determina convinzioni, pregiudizi, valutazioni e distorsioni dovute al fatto che il mondo della razionalità è controllato dall’emisfero cerebrale sinistro che ci consente di interpretare la realtà oggettiva in termini razionali secondo una logica metodologica. Ma questa è spesso in conflitto con l’attività dell’emisfero destro da cui nascono fantasie, sogni e idee che possono sembrare illogiche e assurde.

Il linguaggio della psicoterapia deve intervenire sull’emisfero destro perché in esso l’immagine del mondo è concepita ed espressa, e, mutandone la grammatica attraverso paradossi, spostamenti di sintomi, giochi verbali, prescrizioni, si determina il cambiamento dell’immagine del mondo che è alla base della sofferenza psichica.

La rivoluzione non è da poco, perché smentisce la persuasione comune secondo cui, a partire dalla nascita la realtà non può che essere “scoperta”. No, dice Watzlawick ne La realtà inventata. Il costruttivismo, che è alla base della sua concezione sostiene che ciò che noi chiamiamo realtà è un’interpretazione personale, un modo particolare di osservare e spiegare il mondo che viene costruito attraverso la comunicazione e l’esperienza. La realtà non verrebbe quindi “scoperta”, ma “inventata”.

Da queste invenzioni nascono “stili di vita” che rendono ciechi non solo gli individui, ma interi sistemi relazionali umani (famiglia, aziende, sistemi sociali e politici) nei confronti di possibilità alternative. Con molti esempi Watzlawick mostra nei suoi libri come attraverso una nuova formulazione di vecchie immagini del mondo possano sorgere nuove “realtà”. E così la psicologia incomincia a respirare.

Oggi a raccogliere questo respiro è la consulenza filosofica che spero annoveri presto Watzlawick tra i suoi precursori e, sulla sua traccia, approfondisca quella terapia delle idee che, inosservate dalla psicologia, sono spesso la causa delle sofferenze dell’anima.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/11/2012 23.17
Titolo:Da "la cultura non si mangia" a "la cultura si mangia eccome"!!!
Un dubbio manifesto: la cultura della Domenica

di Tomaso Montanari (Il Fatto Quotidiano, 09.03.2012)

Ci sarebbero molte ragioni per non prendere sul serio il manifesto «per una costituente della cultura» lanciato dal giornale di Confindustria: prima tra tutte «una determinata opacità, oscillante tra convenzionale deferenza per le competenze umanistiche e indifferenza o fatale estraneità al tema» (così, perfettamente, Michele Dantini sul “Manifesto”).

Tra gli stessi firmatari molti confessano (ovviamente in privato) di trovare il testo irrilevante («Me l’hanno chiesto, son cose che passano come acqua»), mentre altri raccontano di esser stati inclusi a loro insaputa, o addirittura dopo un diniego. Ma la solenne adesione dei ministri Passera, Profumo e Ornaghi e il successo che il “manifesto” sta riscuotendo nel paese più conformista del mondo, significano che esso ha interpretato nel modo più rassicurante un’opinione diffusa. Al famoso “la cultura non si mangia” di Giulio Tremonti, il giornale di Confindustria oppone un discorso che vuol essere «strettamente economico»: “la cultura si mangia eccome”.

Niente di nuovo: è questo il dogma fondante del trentennale pensiero unico sul patrimonio culturale, per cui «le risorse non si avranno mai semplicemente sulla base del valore etico-estetico della conservazione, [ma] solo nella misura in cui il bene culturale viene concepito come convenienza economica» (Gianni De Michelis, 1985). Su questo dogma si fonda l’industria culturale che sta trasformando il patrimonio storico e artistico della nazione italiana in una disneyland che forma non cittadini consapevoli, ma spettatori passivi e clienti fedeli.

È a questo dogma che dobbiamo la privatizzazione progressiva delle città storiche (Venezia su tutte), e un’economia dei beni culturali che si riduce al parassitario drenaggio di risorse pubbliche in tasche private, socializzando le perdite (l’usura materiale e morale dei pochi “capolavori” redditizi) e privatizzando gli utili, senza creare posti di lavoro, ma sfruttando un vasto precariato intellettuale.

È grazie a questo dogma che prosperano le strapotenti società di servizi museali, che lavorano grazie a un opaco sistema di concessioni e che stanno fagocitando antiche istituzioni culturali e cambiando in senso commerciale la stessa politica del Ministero per i Beni culturali.

È in omaggio a questo dogma che la storia dell’arte è mutata da disciplina umanistica in “scienza dei beni culturali” (e infine in una sorta di escort intellettuale), e che le terze pagine dei quotidiani si sono convertite in inserzioni a pagamento. Appare, insomma, realizzata la profezia di Bernard Berenson, che già nel 1941 intravide un mondo «retto da biologi ed economisti dai quali non verrebbe tollerata attività o vita alcuna che non collaborasse a un fine strettamente biologico ed economico». Di tutto ciò il manifesto confindustriale non si occupa, preferendo affermare genericamente che «la cultura e la ricerca innescano l’innovazione, e dunque creano occupazione, producono progresso e sviluppo».

Naturalmente questo è vero, ed è giusto dire che anche dal punto di vista strettamente economico investire in cultura “paga”. Ma il pericolo principale di questa stagione è la debolezza dello Stato e la voracità con cui i privati declinano la valorizzazione (leggi monetizzazione) del patrimonio. E che il manifesto del Sole non intenda per nulla smarcarsi da questa linea dominante, induce a crederlo il nome del primo firmatario, quell’Andrea Carandini che è un guru del rapporto pubblico-privato nei beni culturali, visto che è riuscito ad autoerogarsi fondi pubblici per restaurare il castello di famiglia chiuso al pubblico.

Né tranquillizza il fatto che il “manifesto” fosse accompagnato da un articolo di fondo del sottosegretario Roberto Cecchi, artefice del più smaccato trionfo degli interessi privati in seno al Mibac (dal caso clamoroso del finto Michelangelo alla svendita del Colosseo a Diego della Valle). Induce, infine, a più di un dubbio la sede stessa in cui il “manifesto” è comparso, quel Domenicale che da anni pratica (almeno nelle pagine di storia dell’arte) un elegante cedimento delle ragioni culturali a quelle economiche, con lo sdoganamento di “eventi” impresentabili e di “scoperte” improbabili.

Un meccanismo approdato a una filiera completa: 24 Ore Cultura produce le mostre (per esempio l’ennesima su Artemisia Gentileschi), Motta (dello stesso gruppo) ne stampa i cataloghi, il «Domenicale» le vende con una pubblicità martellante. Dopo il pirotecnico lancio iniziale, il «Domenicale» ha dedicato ad Artemisia altre quattro pagine, con foto di Piero Chiambretti che visita la mostra e con l’immancabile sfruttamento intensivo della condizione femminile di Artemisia (stupro incluso). Così, una mostra mediocre che si apre con la commercialissima trovata di un letto sfatto che si tinge del rosso della verginità violata di Artemisia si trova a essere la mostra più pompata della storia italiana recente.

È forse pensando a questo tipo di esiti che il “manifesto” consiglia l’«acquisizione di pratiche creative, e non solo lo studio della storia dell’arte»? Più che un programma per il futuro, la santificazione del presente. La risposta vera a quanti affermano che la “cultura non si mangia” è, innanzitutto, che «non di solo pane vive l’uomo»: la nostra civiltà non si è mai basata solo su un «discorso strettamente economico», e la cultura è una delle pochissime possibilità di orientare le nostre vite fuori del dominio del mercato e del denaro. Il punto non è «niente cultura, niente sviluppo», ma: lo sviluppo non ci servirà a nulla, se non rimaniamo esseri umani. Perché è a questo che serve la cultura.

Sarebbe stato assai meglio se, invece del fumoso e conformista “manifesto” confindustriale, gli intellettuali italiani avessero sottoscritto una dichiarazione antiretorica e pragmatica come quella pronunciata, qualche anno fa, da uno dei massimi storici dell’arte del Novecento, Ernst Gombrich: «Se crediamo in un’istruzione per l’umanità, allora dobbiamo rivedere le nostre priorità e occuparci di quei giovani che, oltre a giovarsene personalmente, possono far progredire le discipline umanistiche e le scienze, le quali dovranno vivere più a lungo di noi se vogliamo che la nostra civiltà si tramandi. Sarebbe pura follia dare per scontata una cosa simile. Si sa che le civiltà muoiono.

Coloro che tengono i cordoni della borsa amano ripetere che “chi paga il pifferaio sceglie la musica”. Non dimentichiamo che in una società tutta volta alla tecnica non c’è posto per i pifferai, e che quando chiederanno musica si scontreranno con un silenzio ottuso. E se i pifferai spariscono, può darsi che non li risentiremo mai».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/11/2012 10.12
Titolo:BENI CULTURALI E PRECARIATO. STRADA SENZA USCITA
Strada senza uscita
Data di pubblicazione: 05.11.2012

Autore: De Felice, Giuliano

Continua la discussione sul precariato nei beni culturali: una critica – dall’interno – delle responsabilità del mondo accademico. Scritto per eddyburg, 5 novembre 2012 (m.p.g.) *

"Le lauree in beni culturali e in archeologia aprono sbocchi nella ricerca, valorizzazione e tutela presso Enti di ricerca, istituzioni pubbliche e private (enti locali, soprintendenze, musei, biblioteche, archivi, ecc.) nonché presso aziende ed imprese operanti nel settore ...".

Queste parole potrebbero essere prese dal sito di un qualunque ateneo italiano, sezione corsi di laurea, paragrafo sbocchi professionali.

E suonano come una crudele presa in giro. Credo infatti che sia ormai evidente a tutti (e non da poco tempo) che nessun ente di ricerca e nessuna istituzione pubblica potrà mai assumere le migliaia di laureati in beni culturali sfornati annualmente dalle Università italiane; non parliamo nemmeno di aziende e imprese, che non hanno molto interesse a investire in un settore che non promette grandi prospettive di business e in cui la litigiosità fra gli attori è spesso paralizzante.

Eppure ci si continua a meravigliare della contrazione del numero degli iscritti nei corsi universitari, chiamando in causa di volta in volta declinazioni bizzarre e pericolanti del più classico degli o tempora o mores:

"colpa delle giovani generazioni, sono ignoranti", "in Italia non c'è interesse per la cultura", "viviamo un momento di imbarbarimento dei tempi".

Spesso avallate da un forte sentimento antimodernista e antitecnologico: "ormai non legge più nessuno", "i ragazzi giocano sempre con il telefonino", ecc. ecc.

Al di là di questi facili pretesti, buoni solo ad autoconvincersi dell’imminente fine del mondo, esistono in realtà cause ben più serie che minano alla radice un possibile, vero sviluppo del settore dei beni culturali.

Fra queste va sicuramente additato il disinteresse della formazione universitaria umanistica verso il mondo del lavoro.

Che lo sbocco professionale dei propri laureati non sia esattamente il primo pensiero delle facoltà umanistiche è cosa nota. La situazione negli ultimi dieci anni si è ulteriormente aggravata con l'istituzione dei corsi di laurea in beni culturali e affini, che, ben più della contemporanea e famigerata riforma del 3+2, hanno costituito un'occasione persa.

Quel che ha reso disastrosa questa prospettiva, che pure si presentava potenzialmente molto positiva è stata la mancanza di una riforma contestuale del mercato del lavoro e di un impulso deciso verso la creazione di nuove professioni, considerato che veniva meno anche la 'comoda' rete di protezione dell'insegnamento scolastico che storicamente assorbiva (o perlomeno ci provava) i laureati in Lettere che non riuscivano a trovare una occupazione più in linea con i propri studi (archeologi, storici dell'arte, ecc.).

Si sarebbero potute fare cose straordinarie in questi dieci anni, ma non si è nemmeno riusciti ad aggiornare i siti web. Tutti eravamo impegnati in battaglie di civiltà e a difendere il diritto allo studio, e abbiamo colpevolmente trascurato il dovere di pensare al lavoro.

Oggi che vengono al pettine questi nodi atavici (e gordiani!) ci lamentiamo del precariato che uccide la passione, e dei tanti giovani che non ottengono un riconoscimento professionale consono con i loro studi. Ma trascuriamo di indagare più nel profondo, chiedendoci, ad esempio, quanto le nostre ricerche e i nostri insegnamenti siano professionalizzanti e quanto invece siano frutto della totale autoreferenzialità del mondo accademico.

- Siamo infatti noi ricercatori a decidere che ricerche fare e come usare le risorse; poi, se nessuno ci vuole finanziare, è perché il mondo è cattivo e nessuno capisce nulla (all’infuori di noi ...).

- Siamo sempre noi a decidere, di conseguenza, che cosa insegnare, e se gli studenti non capiscono l'importanza dei nostri corsi ... (vedi punto precedente)

- Di conseguenza se i nostri studenti sono bravissimi ma imparano cose che non serviranno mai, questo è colpa del mondo che, ancora una volta è cattivo, e pieno di gente che non capisce nulla, ecc. ecc.

- Idem se i nostri collaboratori se ne vanno a tentare mestieri altrove;

- E lo stesso se nessuno si iscrive più ai corsi di studio;

- E ancora lo stesso motivo se non esistono programmi di finanziamento in cui è possibile candidare una nostra ricerca.

Per un istante proviamo anche noi, ricercatori e docenti, a pensare alle nostre responsabilità e alle colpe di una formazione che non porta all’acquisizione di competenze spendibili sul mercato del lavoro ma solo ad una specializzazione estrema nella ricerca.

Specializzazione che non ha alcun esito se non quello di proporre una perpetuazione infinita di un meccanismo insostenibile di creazione di nuova ricerca (a sua volta fine a se stessa ...)

Sarebbe ora di smetterla con l'autocelebrazione della ricerca 
e con la conseguente immancabile commiserazione del volontariato e del precariato, termini di una triste liturgia che noi stessi abbiamo contribuito a costruire e imporre, 
con la didattica inutile
 e con la ricerca inutile, ma soprattutto rifugiandoci nella aulica impenetrabilità del nostro mondo.

Sarebbe di contro molto utile pensare al placement dei nostri laureati, e iniziare a lavorare per proporre una visione dei beni culturali che non sia più solo protezionistica ed erudita.

Nessun governo infatti darà mai le risorse per assumere diecimila ricercatori o cinquemila archivisti o mille ispettori di soprintendenza. Perché nessuno avrà mai le risorse per pagare un costo così alto.

Oggi infatti i beni culturali sono solo un costo. Dalla formazione al (poco) lavoro è un settore che produce, per la collettività, solo ed esclusivamente oneri, e, ed è la cosa più grave, non è in grado di immaginare un futuro diverso.

E' evidente invece la necessità di una mentalità nuova, e di un nuovo modello per l’utilizzo delle risorse (compreso il tempo) di tutti ed in particolare dei ricercatori e dei docenti universitari, che partecipano da protagonisti alla fase delicata di creazione (e demolizione) di prospettive e speranze.

Il ritardo è enorme. Senza indugio si deve costruire una nuova formazione nel settore, immaginare e realizzare scenari nuovi di impiego delle competenze dei nostri laureati, che non siano quelli, avvilenti, che tutti conosciamo. Prospettive nuove che diano finalmente impulso a un'industria: innovativa, creativa, tecnologicamente avanzata, che assorba e richieda lavoro competente e specializzato (che non è certo la sorveglianza archeologica ...).

Che spinga i nostri laureati a diventare dei professionisti, come fanno i loro colleghi, avvocati, ingegneri, architetti, medici e anche, più recentemente, insegnanti e professori di scuola ...

-- Il testo costituisce una rielaborazione di un post presente su Passato e futuro (www.passatoefuturo.com), un blog nato nell’ottobre 2012 per iniziativa di Giuliano De Felice, ricercatore in archeologia presso l’Università degli Studi di Foggia. I temi che affronta sono legati alla convinzione che uno sviluppo nel settore dei Beni Culturali in Italia sarà possibile solo all’interno di uno scenario completamente nuovo, in cui tutti gli attori imparino a ragionare in maniera condivisa e costruttiva, contribuendo ad una crescita che risulti sostenibile e misurabile in termini di ricchezza e occupazione. In Passato e Futuro riflessioni, proposte e denunce... e un pizzico di ironia.


* EDDYBURG, Data di pubblicazione: 05.11.2012

- http://eddyburg.it/article/articleview/19622/0/150/
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/11/2012 17.24
Titolo:Contestati i ministri Ornaghi, Barca e Profumo...
Napolitano: 'Non possiamo giocare con il rischio fallimento'
Applausi per Capo Stato a Stati Generali Cultura Contestati i ministri Ornaghi, Barca e Profumo

ANSA 15 novembre 2012, 16:36



ROMA - "Non possiamo giocare" con il rischio fallimento "qualunque governo ci sia". Lo dice Giorgio Napolitano sottolineando che "ci sono 80 miliardi di interessi da pagare in un anno" e "questi sono i modi in cui uno Stato può fallire".

"Bisogna cercare di far emergere una scala di interventi pubblici" e "che non ci si debba arrendere a rigidi formalismi" nei tagli "cosiddetti lineari", aggiunge Napolitano sottolineando che "bisognerebbe far salva una logica di investimenti per una ripresa del paese".

Dopo le contestazioni ai ministri gli applausi per il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano agli Stati generali della Cultura in corso al Teatro Eliseo di Roma. Napolitano è stato accolto da applausi al suo arrivo. Applausi che stanno accompagnando anche il suo discorso, ancora in corso.

LE CONTESTAZIONI AI MINISTRI - "Ministro Ornaghi lei parla come un economista perche non parla di cultura? Noi siamo allarmati non ne possiamo più di sentire parole!". Si è animata con una rumorosa contestazione la tavola rotonda degli stati generali della cultura con Napolitano. Il ministro aveva appena cominciato a parlare quando dalla platea si sono alzate voci e contestazioni continuate anche quando a prendere la parola è stata la presidente del Fai Ilaria Buitoni.

Ma contestazioni ci sono state per tutti i ministri agli stati generali della cultura. Dopo Ornaghi sono stati interrotti anche il ministro Fabrizio Barca e il ministro Francesco Profumo: "Ieri sono stati picchiati adolescenti e nessun ministro ha detto niente!". Poi, mentre Profumo parlava della necessità di dare più certezze alla formazione e alla ricerca, anche l'urlo di un'altra ragazza: "voglio sapere del mio presente! Sono preoccupata ora!! Signor ministro voi intanto date soldi alla scuola privata!". Contestazioni anche "perché c'é tavola rotonda chiusa e senza dibattito", ha urlato qualcuno dalla platea mentre il ministro Barca interveniva: "questa platea sembra il Sulcis"
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/11/2012 09.28
Titolo:Ornaghi sale sul palco per dire “meno Stato e più privati” ...
Gli Stati generali della retorica

di Tomaso Montanari (Il Fatto Quotidiano, 17 novembre 2012)

I ripetuti, forti e argomentati “vergogna!” che giovedì hanno clamorosamente cambiato l’agenda dei cosiddetti ‘Stati generali della cultura’ sono l’unico risultato concreto (ma imprevisto e imbarazzante) della retorica sulla ‘costituente della cultura’ che il Sole 24 Ore alimenta ossessivamente da nove mesi. Ma la montagna ha partorito un topolino interessante.

Il parterre schierato sul palco del teatro romano ‘Eliseo’ rappresentava in modo impeccabile l’ossificazione mortuaria della cultura italiana. E come si può chiedere di indicare nuove prospettive a chi ha imbottigliato la cultura italiana in una strada senza uscita?

Fa piacere sentire Giuliano Amato che riscopre l’articolo 9 della Costituzione: ma come non ricordare che l’ormai permanente blocco indiscriminato delle assunzioni dei giovani ricercatori italiani o dei soprintendenti fu inventato proprio da lui? E il danno è stato molto più grave dei pochi benefici ottenuti risparmiando su quei comparti strategici. Che il ministero per i Beni culturali sia “un morente ibernato” è verissimo: ma come non stupirsi che a dirlo sia uno dei congelatori, quell’Andrea Carandini che si precipitò a presiederne il Consiglio superiore quando Salvatore Settis sbatté la porta a causa del maxi-taglio da un miliardo e 300 milioni di euro disposto da Tremonti e subìto da Sandro Bondi?

E non parliamo dei ministri in carica: Lorenzo Ornaghi sale sul palco per dire “meno Stato e più privati”. Niente male per un ministro della Repubblica che dovrebbe invece difendere la dignità e i finanziamenti del sistema di tutela (un tempo) migliore del mondo. E quando un ragazzo gli urla: “Lei parla come un economista, non come un ministro della cultura”, il malcapitato ex rettore della Cattolica mormora che “non si può dire che questo governo non abbia fatto nulla per i beni culturali”. E invece è proprio così, tanto che Ornaghi non riesce a fare un solo esempio concreto.

Che il vento sia bruscamente cambiato se n’è reso conto il direttore del Sole, che nell’editoriale di ieri ha abbandonato la retorica vetero-craxiana sulla cultura come giacimento economico da cui estrarre reddito, e ha parlato della priorità della tutela del patrimonio, finalmente indicandolo come un valore in sé, e non come l’ennesimo strumento del mercato.

In tutto questo, l’affondo del capo dello Stato è apparso provvidenzialmente fuori degli schemi: in tempi di crisi si devono dire molti no, “ma alla cultura bisogna dire molti sì”. Certo, uno si chiede perché Napolitano abbia controfirmato la nomina a ministro dei Beni culturali dell’unico ministro non tecnico del governo Monti: nomina che è stata un vero segnale di disprezzo per la cultura. Ma non è mai troppo tardi, e la frustata presidenziale al governo e all’establishment culturale ha fatto capire che è finito il tempo in cui la pomposa definizione di ‘Stati generali’ può designare un teatrino in cui i responsabili dello sfascio si parlano addosso commentando lo sfascio medesimo. Se non altro di questo siamo gratissimi al Sole 24 Ore.

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Titolo articolo : IL CIELO VUOTO E NOI IGNOTI A NOI STESSI. Il cristianesimo, l’etica e l’Occidente. Una 'risposta' di Vito Mancuso all'ultimo saggio di Umberto Galimberti - con alcune note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/17/2012 - 11:20:55.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/11/2012 10.57
Titolo:LE "REGOLE DEL GIOCO" DELL’OCCIDENTE ....
SUI TEMI TRATTATI NELL'ARTICOLO, SIA CONSENTITO, SI VEDA:


PIANETA TERRA. Fine della Storia o della "Preistoria"? "Pietà per il mondo, venga il nuovo sapere"(M. Serres, Distacco, 1986).

LE "REGOLE DEL GIOCO" DELL’OCCIDENTE ALLA LUCE DEL SOLE.

http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=5556
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/11/2012 11.20
Titolo:Il desiderio onnipotente ...
- L’epoca senza Edipo
- Il desiderio onnipotente di Deleuze e Guattari
- Quarant’anni fa il testo dei due studiosi che ha fatto storia
- Ma quelle tesi così decisive hanno avuto anche effetti negativi

-di Massimo Recalcati (La Repubblica, 17.11.2012)

Quest’anno ricorre il quarantennale dell’uscita di un libro che fece epoca: l’Anti- Edipo di Deleuze e Guattari che uscì a Parigi nel 1972. Si tratta della più potente critica alla pratica e alla teoria della psicoanalisi mossa da “sinistra”. Oggi, come sappiamo, imperversa la critica conservatrice: contro la psicoanalisi vengono invocati la psicologia scientifica, il potere chimico dello psicofarmaco, l’autorità esclusiva della psichiatria nel trattamento del disagio mentale. Invece gli autori dell’Anti- Edipo (un filosofo già molto noto e un brillante psichiatra analizzante di Lacan con il quale ruppe bruscamente) non rimproverano affatto alla psicoanalisi di non essere sufficientemente scientifica nella sue affermazioni teoriche e nella sua pratica clinica, ma qualcosa di assai più radicale. Le rimproverano di essere al servizio del potere e dell’ordine stabilito.

La loro accusa è che la psicoanalisi dopo aver scoperto il “desiderio inconscio” ha volutamente ridotto la portata rivoluzionaria di questa scoperta mettendosi al servizio del padrone. Su cosa si reggerebbe il culto psicoanalitico dell’Edipo se non sull’obbedienza cieca alla Legge repressiva e mortificante del padre? Nonostante la violenza spietata degli Anti-Edipo gli psicoanalisti dovrebbero leggere e rileggere ancora oggi la loro opera come un grande vento di primavera.

Sotto la retorica rivoluzionaria della liberazione del corpo schizo, fuori-Legge, del “corpo senza organi” come macchina desiderante, come fabbrica produttiva del godimento pulsionale, questo libro contiene una serie di rilievi alla psicoanalisi che non si possono accantonare: la critica relativa all’uso paranoico e violento dell’interpretazione (se un paziente dice X vuole dire Y), una rappresentazione dell’inconscio come teatrino familaristico, chiuso su se stesso, che perderebbe di vista il suo carattere sociale e i suoi infiniti concatenamenti collettivi, una apologia conformista e moralista del principio di realtà e dell’adattamento come fine ultimo della pratica analitica, l’uso tutto politico del denaro che seleziona i pazienti in base al loro reddito, una valorizzazione del-l’Io e del suo principio di prestazione, eccetera.

Eppure questo libro va molto al di là di questo, perché ha mobilitato alla rivolta una intera generazione, quella del ’77. Quest’opera è una critica politica alla psicoanalisi che non promuove tanto una improbabile teoria alternativa a quella psicoanalitica (la schizoanalisi) ma una vera e propria teoria della rivoluzione dove “tutto è possibile”.

A questa teoria si sono abbeverati con entusiasmo i giovani della mia generazione. Foucault aveva dichiarato che il nostro secolo forse sarebbe stato deleuziano. Aveva ragione ma in un senso probabilmente molto diverso da quello che auspicava. Il deleuzismo è sfuggito dalle mani di Deleuze (come spesso accade per tutti gli “ismi”).

L’Anti- Edipo ha dato involontariamente la stura ad un elogio incondizionato del carattere rivoluzionario del desiderio contro la Legge che ha finito paradossalmente per colludere con l’orgia dissipativa che ha caratterizzato i flussi - non delle macchine desideranti come si auspicavano Deleuze e Guattari - ma di denaro e di godimento che hanno alimentato la macchina impazzita del discorso del capitalista.

Lacan aveva provato a segnalare ai due questo pericolo. In una intervista rilasciata a Rinascita nel maggio del 1977 a chi gli chiedeva un parere sull’Anti- Edipo rispose che «L’Edipo costituisce di per se stesso un tale problema per me che non penso che ciò che Deluze e Guattari hanno voluto intitolare l’Anti- Edipo possa avere il minimo interesse».

Lacan avverte che non bisogna premere il grilletto troppo rapidamente sul padre. La contrapposizione rivoluzionaria tra le macchine desideranti e la Legge, tra la spinta impersonale e de-territorializzante della potenza del desiderio e la tendenza conservatrice alla territorializzazione rigida del potere e delle sue istituzioni (Chiesa, Esercito, famiglia, psicoanalisi...) rischiava di dissolvere il senso etico della responsabilità soggettiva.

Per Deleuze e Guattari la parola soggetto è infatti una parola da mettere al bando, così come Legge, castrazione, mancanza. L’Anti-Edipo compie un elogio a senso unico della forza della pulsione che lo fa scivolare fatalmente in una prospettiva di naturalizzazione vitalistica dell’umano.

La liberazione dei flussi del desiderio reagisce giustamente al culto rassegnato del principio di realtà al quale sembra votarsi la psicoanalisi, senza accorgersi di generare un nuovo mostro: il mito della schizofrenia come nome della vita che rigetta ogni forma di limite. Il mito del corpo schizo come corpo anarchico, a pezzi, pieno, senza organi, costruito come una macchina pulsionale che gode ovunque, antagonista alla gerarchia dell’Edipo, si è tradotto nei flussi della macchina cinica e perversa del discorso capitalista.

Eppure l’Anti-Edipo a rileggerlo oggi è anche molto più di questo. Non è solo la celebrazione di un desiderio che non riesce a fare i conti con la Legge della castrazione. C’è una linea più sottile che attraversa questo libro e che la nostra generazione non è riuscita probabilmente a cogliere sino in fondo. È un grande tema dell’Anti-Edipo anche se non il tema centrale. Deleuze e Guattari lo ripropongono attraverso le parole dello psicoanalista Reich: «perché le masse hanno desiderato il fascismo? ». Problema che ritroviamo intatto già in Spinoza: perchè gli uomini combattono per la loro servitù come se si trattasse della loro libertà?

In Millepiani Deleuze e Guattari, quasi dieci anni dopo l’Anti- Edipo, devono ritornare sull’opposizione tra desiderio e Legge con una precisazione che avrebbe dovuto essere presa più sul serio. Attenzioni ai micro-fascismi, ai micro-edipi che s’insediano proprio là dove pensavamo ci fosse il flusso liberatorio del desiderio. «La madre - scrivono i due - può credersi autorizzata a masturbare il figlio, il padre può diventare mamma». Un’autocritica che suona anticipatrice dei nostri tempi.

Come Nietzsche avvertiva gli uomini che vivevano nell’annuncio liberatorio della morte di Dio del rischio di generare nuovi idoli (lo scientismo, il fanatismo ideologico, l’ateismo stesso, ogni specie di fondamentalismo), allo stesso modo Deleuze e Guattari avvertono che esiste un pericolo insidioso inscritto nella stessa teoria del desiderio come flusso infinito, come “linea di fuga” che oltrepassa costantemente il limite. Attenzione, sembrano dirci, che questa linea «non si converta in distruzione, abolizione pura e semplice, passione d’abolizione». Attenzione che questa “linea di fuga” che rigetta il limite non diventi una “linea di Morte”.

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Commenti Articolo 687

Titolo articolo : CREDIBILITA’ PERDUTA. Martin Werlen, l’abate di Einsiedeln definisce drammatica la situazione attuale della Chiesa. Una nota di Josef Bossart,a c di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/17/2012 - 02:40:37.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/11/2012 08.58
Titolo:IL TERRIBILE E' GIA' ACCADUTO ...
CHIESA "PER MOLTI", NON "PER TUTTI"!!!

Per il Convegno "Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri" del 15 settembre 2912, cinque note a margine

di Federico La Sala *

1. LA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA HA ROTTO I PONTI CON IL MESSAGGIO EVANGELICO. A 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, bisogna prendere atto che il terribile è già accaduto: il "Lumen Gentium" è stato spento e, sulla cattedra di Pietro, siede il Vicario del Signore e Padrone Gesù ("Dominus Iesus": J. Ratzinger, 2000). Egli regna e governa in nome del suo Dio, Mammona ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006).

2. DIO E’ VALORE! Sul Vaticano, DAL 2006, sventola il "Logo" del Grande Mercante: "Deus caritas est" (Benedetto XVI, 2006)!!! Il papa teologo, ha gettato via la "pietra" su cui posava - in equilibrio instabile - l’intera Costruzione dela Chiesa cattolico-romana ("Deus charitas est": 1 Gv. 4.8).

3. TUTTO A "CARO-PREZZO" ("CARITAS"): QUESTO "IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO". QUESTO E’ IL NOSTRO VANGELO: PAROLA DI RATZINGER -BENEDETTO XVI, CARDINALI E VESCOVI TUTTI. IL "PANE QUOTIDIANO" DEL "PADRE NOSTRO", SI VENDE A "CARO PREZZO", MOLTO CARO (= "CARITAS")!!!

4. ULTIMA CENA ED ECONOMIA VATICANA. Benedetto XVI cambia la formula: «Il calice fu versato per molti», non «per tutti»!!!

5. IN PRINCIPIO ERA IL "LOGO"!!! SE UN PAPA TEOLOGO LANCIA IL "LOGO" DEL SUO DIO ("DEUS CARITAS EST") E TUTTI OBBEDISCONO, E NON VIENE RISPEDITO SUBITO A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO, DI COSA VOGLIAMO PARLARE DI AFFARI E DI MERCATO?! EBBENE PARLIAMO DI AFFARI, DI MERCATO, DI "MAMMONA", "MAMMASANTISSIMA", E DI COME I PASTORI ... IMPARANO A MANGIARE LE PECORE E GLI AGNELLI, E CONTINUANO A GOZZOVIGLIARE ALLA TAVOLA DEL LORO "DIO"!!! Avanti tutta, verso il III millennio avanti Cristo!!!

Federico La Sala

* Il Dialogo, Mercoledì 12 Settembre,2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/11/2012 02.40
Titolo:RISALIRE GLI ABISSI ....
PAROLA A RISCHIO
Risalire gli abissi
La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
Perché è sorriso, liberazione, gioia.

di Giovanni Mazzillo (Teologo) *

G come gioia, come Gesù, respiro di gioia per tutti gli infelici della terra. Parliamo di Gesù, il cui corrispondente nome greco Iesoûs deriva direttamente dall’originale ebraico Je(ho)šhu e significa JHWH salva, per precisare immediatamente che il termine salvezza oggi non significa gran che per i nostri contemporanei, e di conseguenza risuona poco interessante persino quel nome, pur originariamente portatore di una gioia immensa e inaudita. Ciò avviene non solo per l’inevitabile logorio delle parole più usate e talora abusate, ma per il fatto che ha perso rilevanza e pertanto significato il valore stesso della “salvezza”.

Salvezza
Salvezza da chi e/o da che cosa? Appunto, è questo il primo problema. La salvezza appare di primo acchito un concetto immediatamente derivato dal superamento di una situazione negativa, Si salva, o come succede in questo caso, viene salvato, qualcuno che si trova in una situazione di pericolo. Il pericolo di perdere qualcosa, di perdere se stesso. Di essere cancellato, di sparire, appunto come sparisce da un computer un testo non “salvato” o un’immagine non messa al sicuro. Ma essere salvati è per noi persone umane, e pertanto non riducibili a una traccia di codificazione binaria o algoritmica, molto di più che conservare un’impronta e una presenza. Coerentemente con la nostra realtà dinamica e relazionale, essere salvati significa avere un luogo, un senso, una rilevanza nel contesto di una realtà che giustifica, sorregge, garantisce il mantenimento e la crescita qualitativa, e pertanto il conseguente riconoscimento di un originario, inalienabile, imprescindibile valore personale.

La domanda «Chi o che cosa si può dire oggi salvato?» esige pertanto una primordiale differenziazione. Altro è il concetto di ciò che è salvato (cioè il dato messo al sicuro), ben altro è l’essere umano salvato. Questi non è solo garantito in ciò che ha di più proprio e pertanto è distinto dal mero “dato”, che invece è una sorta di file compilato (non per nulla in tedesco proprio il file è chiamato Datei, leggi datai, cioè «rea-ltà data»). L’essere umano è tale solo in un incontro, in una relazione. La persona è tutta nelle relazioni delle quali vive. Proprio la relazionalità sorregge il senso e la gioia del suo esistere.

L’annuncio di Gesù, già nella sua venuta in questo nostro mondo, è l’annuncio di una relazionalità umana felicemente riuscita. Nel Vangelo è direttamente collegato alla Grazia, termine che esprime tutto ciò e anche qualcosa di più.

Nell’annuncio della sua nascita, diversamente da quanto appare nella traduzione latina, e in quella italiana da essa derivata, nella preghiera più popolare che ci sia, Maria è salutata non con il saluto che si dava all’imperatore, alle autorità o anche agli amici con l’esclamativo «Ave!», bensì con l’invito a rallegrarsi, cioè a gioire (chaîre): a entrare in un circuito di esultanza per un dono gratuito e inatteso. Colei che è piena di grazia (kecharitōménē) è invitata a rallegrarsi perché tutto in lei è frutto ed espressione della «grazia» (cháris), cioè di un dono amorevole quanto sorprendente, che sarà presto annuncio di gioia per tutto il popolo e per ogni uomo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...”. L’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia...» (Lc 1,30-31; 2,10-11).

Il resto del Vangelo, soprattutto quello di Luca, evidenzia la gioia improvvisa e incontenibile che contagia quanti vengono a contatto con Ješhu. A cominciare da Elisabetta e dal suo bambino, che le esulta nel grembo, il futuro Battista. Così esultano ancora due anziani che sembrano essere rimasti in vita per mantenere viva la speranza d’Israele: Simeone e Anna, o i pastori; mentre nel racconto di Matteo, viene detto che i Magi “provarono una grandissima gioia” nel rivedere la stella che indicava il luogo della natività di Gesù.

La stessa gioia è testimoniata dai semplici e dagli umili, dagli infelici e dai peccatori che si sentono aiutati, capiti, perdonati. A gioire sono ancora i bambini e le donne, classi tradizionalmente neglette dalla piena partecipazione alla grazia collegata alle tradizionali benedizioni di Dio. Insomma il cuore del Vangelo è la lieta notizia annunciata ai bisognosi e agli infelici della terra. Il Dio che si dona totalmente, è il Dio che dona illimitatamente la gioia agli uomini. E perché la nostra gioia fosse piena (Gv 15,11), il Figlio di Dio è arrivato umanamente a perdere se stesso.

Perché avessimo una gioia che nessuno avrebbe mai più potuto toglierci, ha permesso che fosse tolta a lui la vita, per riprenderla di nuovo, ma con la conoscenza ormai nella sua carne e nella sua psiche di cosa significhi la morte umana. Di cosa voglia dire la gioia di vivere, di vivere non con il naturale sorriso con cui vive ogni creatura per la stessa gioia dell’esistere, ma di provare e diffondere la gioia di chi conosce la sofferenza e non resta inchiodato alla sofferenza. O al limite, di chi, nonostante le ferite e talora i chiodi mai interamente rimossi della sofferenza, sa sorridere della vita, perché questa è ormai rischiarata da colui che vince la morte e la depressione della sofferenza.

La gioia è dunque uno dei nomi della salvezza, ma di una salvezza che assume di volta in volta nomi nuovi e nomi antichi: riscatto, liberazione, sensatezza, leggerezza dell’esistere... Se la parola non fosse tanto inflazionata, si potrebbe dire che la salvezza altro non è che la felicità. È la felicità nel suo senso etimologico: come abbondanza e fertilità. Possiamo tradurre: come vita sensata che raggiunge il suo scopo e nasce da relazioni benevole, tendenti al bene altrui, trovando negli altri la propria gioia e comunicandola con relazioni che fanno crescere se stessi e gli altri.

In quanto tale, la felicità è simile alla pace e ne è la forma storica: è star bene con sé e con gli altri, con il proprio passato e con il proprio futuro. Perché, soprattutto oggi, c’è bisogno paradossalmente più di ricostruire il futuro che il passato o il presente. Per poterlo fare c’è bisogno di quella gioia consapevole che non si arrende e che non si ripiega su se stessa. Si ritrova nel futuro di una convivenza che non nasconde, ma sa riconoscere e superare i conflitti attraverso uno sguardo d’amore verso ciò che ci è intorno. È uno guardo che viene da lontano e tuttavia tocca la nostra umanità, questa mia e questa tua umanità, quella assunta, attraversata e come divinizzata da quel Gesù che continuamente dà senso a ogni tentativo di superare la violenza con l’amore. È l’unico a dar senso a ogni discorso di pace, anche questo che hai appena finito di leggere.

* MOSAICO DI PACE, LUGLIO 2012

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Commenti Articolo 688

Titolo articolo : SCIENZIATI, TERREMOTO DELL'AQUILA, E REGIME MEDIATICO. ALTRO CHE PROCESSO A GALILEO: LA PROTEZIONE INCIVILE. Una nota di Francesco Merlo - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/15/2012 - 18:46:50.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/10/2012 21.25
Titolo:MINIMA IMMORALIA
MINIMA IMMORALIA

di Fulvio Papi *

Stresa. Ho passato una parte dell’estate in un luogo lacustre a me carissimo per pubbliche e segrete ragioni, un tempo luogo di vacanze anche per gli italiani (Gadda vi veniva a trovare la zia, vi passò Piovene), ma oggi soprattutto richiamo pieno di seduzioni per stranieri.

Ogni mattina mi recavo all’edicola della stazione e così, dopo aver ritirato il quotidiano d’abitudine, mi fermavo a dare un’occhiata ai giornali stranieri che, per lo meno nella mostra, subissavano le nostre prestigiose (?) testate.

Non voglio far credere a nessuno che potessi passare da una lingua all’altra come se tutte me le avesse insegnate mia madre (che del resto sapeva male anche l’italiano). Ma una cognizione a un foglio e poi ad un altro per riuscire a capire l’essenziale non era impossibile.

Erano i tempi in cui si preparava la cosiddetta manovra economica poi votata con la fiducia da parte dei parlamentari che, salvo le eccezioni che ci sono sempre, o usurpano quel titolo, o lo onorano parlando da assoluti incompetenti.

Ma allora erano i tempi della cosa da fare. E sui fogli stranieri l’impressione comune non era quella di un incontro-scontro di ipotesi che avessero uno sguardo al complicatissimo avvenire del nostro paese nell’Europa e nel mondo, ma piuttosto che si trattasse di una sfilata su un palcoscenico di varietà nel quale ogni attore aveva il problema di far sentire la sua voce, eco di sgangherati ma solidissimi interessi di qualche corporazione piena di soldi che, di fronte al possibile naufragio, si accaparrava più salvagente possibili per non essere toccata nei propri privilegi. Che cosa ne è venuto fuori lo capisce chiunque sappia leggere i documenti. Tuttavia la cosa più interessante è più personale.

La frequentazione quotidiana dell’edicola mi fece conoscere un professore tedesco che parlava anche un ottimo francese. Egli elogiava il luogo, le sue sponde, i suoi colori, i suoi boschi e soprattutto l’isola Bella.

Allora per un gusto antipatico e un poco maligno (che di solito non credo di avere) gli dissi che tutti i grandi elogi fatti dagli scrittori tedeschi all’isola Bella, Goethe compreso, non derivavano affatto da proprie visite (come fu invece quella di Stendhal) ma da una ripetizione di una guida di viaggio tedesca che andava per la maggiore nell’ultimo Settecento.

Non era sapere mio ma un apprendimento da un valentissimo filologo italiano che ne aveva scritto nel 1923. Il mio interlocutore rimase tra l’incredulo e il perplesso. In ogni modo mi restituì la malignità dicendomi, nella sua lingua ma lentamente e in modo comprensibile: «lo sa che il suo è un paese di merda?».

Avesse detto un paese cui spettava qualche altra qualità, avrei potuto anche non capire e fingere di aver capito. Ma la parola tedesca Scheisse apparteneva al mio antico sapere filosofico poiché appariva nella Ideologia tedesca di Marx-Engels laddove il testo affermava che se il proletariato non avesse colto l’occasione rivoluzionaria, tutto sarebbe tornato nella alte Scheisse (vecchia m....).

Poiché la mia informazione quotidiana non è buona, rimasi quasi un po’ offeso. Il mio paese è pieno di ladri, di parassiti, di ignoranti (che comandano), di imbroglioni, di evasori fiscali (ai quali riserverei pene ottocentesche), di servi nell’anima prima che altrove, ma è anche un paese di gente che fa una vita d’inferno per lavorare, di giovani che, senza nessuna garanzia, si adattano a lavori differenti e precari, di persone colte che leggono anche libri difficili, di forze dell’ordine che (tolte le inevitabili mele marce) sono un esempio di efficienza e di senso del dovere, di scienziati che i centri di ricerca stranieri desiderano rapirci, di madri che fanno tre lavori per farcela ecc. ecc.

Questa Italia la sprezzante Scheisse non la meritava proprio. Poi con un minimo di pazienza ci siamo spiegati, e soprattutto il professore mi ha messo sotto il naso un giornale tedesco. Allora tutto rientrava in una nota autobiografia.

Fulvio Papi

* Odissea, Novembre-Dicembre 2011, n. 2, p. 4
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/10/2012 10.47
Titolo:IN ITALIA,, «A L’AQUILA LA VERITÀ NON SI DICE» ...
L’Aquila, le verità che ci hanno nascosto

di Stefania Pezzopane, Assessore al Comune dell’Aquila *

«A L’AQUILA LA VERITÀ NON SI DICE». CON QUESTE POCHE PAROLE PRONUNCIATE DA BERTOLASO A BOSCHI È STATO SEGNATO IL DESTINO CRUDELE DI UNA CITTÀ. Oggi più che mai sento tutto il dolore per l’inganno che abbiamo subito. L’ennesima ulteriore dimostrazione che prima del terremoto gli aquilani non sono stati messi in condizione di essere informati su quello che stava accadendo.

Sfido chiunque ora a difendere la commissione Grandi Rischi in nome di una ideologica difesa della scienza. Queste persone erano venute all’Aquila con il proposito predeterminato di rassicurarci. I giudici sono stati non solo coraggiosi ma veri difensori dello Stato. Uno Stato che in quei giorni ci ha scientificamente ignorati. Gli scienziati infatti, invece di fare il loro mestiere, hanno piegato la loro scienza e la loro coscienza ad una logica allucinante.

Una pagina vergognosa. Nel mio libro «La politica con il cuore», che ho scritto nel 2009, avevo apertamente denunciato l’inganno e la superficialità dei quali si era resa colpevole la commissione. Nessuno, neanche il Comune dell’Aquila che si è costituito parte civile fin dal 2010, ha mai avuto intenzione di processare la scienza.

Piuttosto ci interessa accertare atti e responsabilità di quei componenti della commissione che a L’Aquila è venuta, non purtroppo per indagare il fenomeno che da mesi colpiva il territorio, bensì per obbedire al comando del capo della Protezione civile Bertolaso che in una intercettazione telefonica con l’assessore Stati affidava agli scienziati il solo scopo di fare esclusivamente «un’operazione mediatica» e «tranquillizzare la gente».

La comunità scientifica e quei politici che insorgono contro questa sentenza, nulla sanno degli atti processuali e non aspettano, come sarebbe giusto, di vedere le motivazioni della sentenza, ma più comodamente usano la metafora ideologica e davvero poco razionale del «processo alla scienza». Il ministro Clini con le sue affermazioni di difesa della commissione fa veramente rigirare nella tomba Galileo Galilei.

Mi sarei aspettata dalla comunità scientifica una presa di distanza dai comportamenti di quei «cosiddetti scienziati» che, invece di comportarsi da tali, hanno piuttosto assecondato il bisogno politico della rassicurazione, invece del bisogno scientifico dell’informazione. Quando un giudice condanna un medico che per negligenza o imperizia ha prodotto menomazioni o morte ad un paziente, è forse un processo alla medicina? O non è molto più semplicemente il processo a quel medico negligente e incapace? Quando si processa un politico che ruba e lo si condanna giustamente, non è semplicemente il processo a quel politico e alle sue ruberie e non un processo alla politica? I medici competenti e i politici onesti ringraziano i giudici che condannano incapaci e disonesti.

Questa coraggiosa sentenza rende un po’ di giustizia agli aquilani truffati prima e dopo il terremoto ed ingannati in maniera vergognosa. Il terremoto dell’Aquila non poteva essere previsto, ma a noi aquilani non è stato detto questo, è stato detto esattamente il contrario, ovvero che non era prevedibile in quel dato momento un terremoto grave e che lo sciame sismico era un fenomeno di scaricamento dell’energia, cioè un elemento positivo e tranquillizzante.

Come può allora una comunità scientifica preferire una difesa ad oltranza di chi è condannato, invece di difendere la scienza dall’oltraggio delle interferenze della brutta politica che in quella circostanza e forse anche in altre ha usato commissioni, comitati per fini che nulla c’entrano con l’informazione scientifica.

La commissione in occasione del terremoto dell’Emilia Romagna e del Pollino si è comportata molto diversamente, così come la Protezione Cilvile in più di un’occasione dopo il 6 aprile ha lanciato allarmi meteo, addirittura invitando la popolazione a non uscire di casa. Non mi sembra che quegli allarmi abbiano prodotto se non qualche disagio, gravi ripercussioni. A L’Aquila sarebbe bastato non negare l’evidenza. Mentre nella città ferita, dopo le rassicurazioni, si sono contati 309 morti e migliaia di feriti. Ma l’Aquila pur truffata ed ingannata non si arrende.

* l’Unità, 29.10.2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/11/2012 18.46
Titolo:Noi scienziati diciamo bravi ai giudici de L’Aquila
Lettera a Napolitano

Noi scienziati diciamo bravi ai giudici de L’Aquila

I soci fondatori e sostenitori dell’International Seismic Safety Organization: Alessandro Martelli, Lalliana Mualchin, Benedetto De Vivo, Indrajit K. Ghosh, Allen W. Hatheway, Jens-Uwe Klügel, Vladimir G. Kossobokov, Ellis L. Krinitzsky, Efraim *

Egregio Signor Presidente,

siamo molto preoccupati per le fuorvianti informazioni diffuse da alcune organizzazioni scientifiche, da alcune riviste e da alcuni quotidiani sulla sentenza di condanna in primo grado dei membri della commissione Grandi Rischi, che si riunirono a L’Aquila il 31 marzo 2009. La disinformazione su tale argomento ha indotto la comunità scientifica e l’opinione pubblica a ritenere erroneamente che le motivazioni del rinvio a giudizio dei componenti della Cgr consistano nel-l’aver essi “fallito nel prevedere il terremoto”; questa interpretazione erronea può influenzare la comunità scientifica e l’opinione pubblica contro una sentenza pronunciata nel nome del popolo italiano. Una lettera firmata da oltre 5.000 esponenti della comunità scientifica internazionale era stata inviata alla Sua attenzione già prima del rinvio a giudizio, sulla base di questo falso assunto.

ABBIAMO osservato, con disappunto, che tale erronea posizione persiste anche ora che il processo al Tribunale de L’Aquila, lungo e doloroso, ha portato alla condanna in primo grado di tutti i componenti della Cgr. Ci sembra che coloro che hanno preso posizione contro la sentenza non abbiano capito, e forse neppure letto, le motivazioni dell’accusa. Noi, invece, siamo convinti che la sentenza abbia messo in luce delle precise responsabilità dei componenti della Cgr, che sono stati accusati non per non aver saputo prevedere il terremoto, bensì per aver voluto convalidare una previsione di “non rischio” in corso, nonostante alcuni di questi scienziati avessero precedentemente pubblicato articoli in cui sostenevano il contrario sulla situazione a L’Aquila. Inoltre, la mancanza d’indipendenza di giudizio della Cgr, che ha rilasciato dichiarazioni in linea con il Dipartimento della Protezione civile, dimostra che il rapporto tra il mondo della ricerca e le istituzioni preposte alla salvaguardia della popolazione deve essere rivisto.

IL PROCESSO è stato pubblico ed è accuratamente documentato nei registri giudiziari. La documentazione processuale, già disponibile, dimostra che non si è messa in discussione, né tantomeno attaccata, la scienza. Lo scopo del processo è stato solo di accertare la verità, per il trionfo della giustizia, non certo di intimidire la scienza. Questo procedimento giudiziario costituirà un riferimento, dal punto di vista giuridico internazionale. Interpretandolo come un attacco alla scienza e agli scienziati, i detrattori dei suoi esiti travisano la realtà dei fatti. Noi crediamo, al contrario, che tali esiti siano di estrema importanza per stimolare i ricercatori a “fare scienza” in modo responsabile e imparziale, in particolare quando si tratta di indagare fenomeni naturali non prevedibili con precisione e suscettibili di gravissime conseguenze quali sono i terremoti. Siamo convinti che tutte le persone dotate di buon senso concorderanno sul fatto che gli scienziati, inclusi i membri del Cgr, sono tenuti a rispondere delle loro azioni in modo responsabile - così come anche tutti gli altri professionisti - in materia di Protezione civile. È giusto che il rispetto e l’onore concessi loro dalla comunità siano da essi ricambiati con un’attività svolta con integrità, altruismo e onestà.

Non ci sentiamo per nulla minacciati nella nostra professionalità dalla sentenza di condanna del Giudice Marco Billi del Tribunale de L’Aquila. Essa non riguarda la scienza, non è una condanna alla scienza. Siamo fortemente in disaccordo con chi paventa che, a seguito della sentenza del Tribunale de L’Aquila, gli scienziati, in futuro, avranno paura di fornire la propria opera a supporto alla Protezione civile. Riteniamo che una tale infondata visione sia il risultato diretto dell’errata interpretazione delle motivazioni dell’accusa e della sentenza di condanna che le ha recepite. Pensiamo che la conclusione di questo tragico evento possa rappresentare l’inizio di un percorso più virtuoso, dal punto di vista sia scientifico che etico, per il futuro dell’Italia.

GLI SCIENZIATI saranno, in futuro, più che disposti a mettere al servizio della comunità la loro esperienza, usando maggiore precauzione sia nell’analisi del rischio sia nella comunicazione alla popolazione, soprattutto per la salvaguardia della sicurezza della popolazione, alla quale dovranno essere comunque sempre comunicati, con onestà, i limiti delle conoscenze scientifiche. Infine, sottolineiamo che, anche se i terremoti non sono prevedibili con precisione, la politica della Protezione civile può essere efficacemente indirizzata anche dai risultati dei più recenti studi sia nel settore della sismologia sia in quello dell’ingegneria sismica, che tengano in considerazione l’evento massimo atteso, che può essere stimato in modo “robusto”, sia nel breve che sul lungo termine.

* I soci fondatori e sostenitori dell’International Seismic Safety Organization: Alessandro Martelli, Lalliana Mualchin, Benedetto De Vivo, Indrajit K. Ghosh, Allen W. Hatheway, Jens-Uwe Klügel, Vladimir G. Kossobokov, Ellis L. Krinitzsky, Efraim Laor, Giuliano Panza, Mark R. Petersen, Francesco Stoppa, Augustin Udias, Patrick J. Barosh

* il Fatto, 15.11.2012

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Titolo articolo : MATRIMONI E FILIAZIONE: LE DIFFICOLTA' DELLA PSICOANALISI DI PENSARE UNA SOGGETTIVITA' AL DI LA' DELL'IDEOLOGIA DELLA TERRA E DEL SANGUE. Un'intervista di Nicolas Truong a Caroline Thompson e un'analisi di Irène Théry (da "Le Monde") - con note,a c. di Federico La Sala

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/11/2012 17.38
Titolo:Notre-Dame lancia la crociata anti-gay --- “Non abbiate paura”
Parigi “Una sola famiglia”

Notre-Dame lancia la crociata anti-gay

di Anais Ginori (la Repubblica, 17 agosto 2012)

Preghiere blasfeme e video omofobi. È un piccolo assaggio di quella che sarà la battaglia dell’autunno francese. Dopo la messa a Notre-Dame contro i matrimoni omosessuali, si è scatenato in rete un gay pride improvvisato, che ha alimentato altri proclami a tinte omofobe. Tutto è cominciato a Ferragosto quando André Vingt-Trois, il cardinale di Parigi e presidente della conferenza episcopale, ha dedicato la preghiera dell’Ascensione alla difesa della “famiglia tradizionale”.

Un riferimento non casuale. Secondo il cardinale di Parigi è il primo atto di «una mobilitazione spirituale in difesa degli interessi cristiani». Dopo l’estate infatti il governo dovrebbe cominciare a discutere la legge che autorizzerà il matrimonio gay e l’adozione da parte di coppie omosessuali. È uno dei punti del programma con il quale François Hollande si è fatto eleggere presidente nel maggio scorso.

Com’era prevedibile, la Chiesa francese ha incominciato a esprimere il proprio disappunto per quella proposta. Ma il normale conflitto di posizioni, solitamente pacato, si è trasformato negli ultimi giorni in una battaglia di simboli e parole. Il presidente della conferenza episcopale ha infatti voluto invitare i francesi a pregare affinché i bambini «possano godere appieno dell’amore di un padre e di una madre».

In vista della Festa dell’Ascensione, il testo è stato distribuito a tutte le diocesi francesi qualche giorno prima. I toni e l’occasione sono stati definiti da alcuni osservatori “senza precedenti” e rappresentano comunque una rottura rispetto alle relazioni che si erano instaurate con il precedente presidente. È rimasto famoso il discorso di Nicolas Sarkozy sulla “laicità positiva” pronunciato nella basilica di San Giovanni in Laterano nel dicembre 2008.

Si riaccende uno scontro tra politica e religione che si credeva insomma archiviato. Non tutte le parrocchie hanno seguito la direttiva di Vingt-Trois, allievo spirituale di Jean-Marie Lustiger, storico cardinale di Parigi. Nella chiesa di Saint-Merri, ad esempio, il parroco non ha sfiorato il tema della famiglia e ha puntato invece su crisi e nuova povertà. La parrocchia del quartiere Marais ha una tradizione di apertura e tolleranza. Organizza periodicamente incontri con l’associazione omosessuale David e Jonathan che ha definito «pericolosa » l’iniziativa di Vingt-Trois perché «incoraggia i timori dei parrocchiani e conforterà certi cattolici nella loro omofobia».

L’associazione ha presentato preghiere alternative per incitare i preti “coraggiosi” a leggerle. Altri gruppi hanno invece confezionato parodie discutibili delle parole di Vingt-Trois. «Preghiamo affinché, preti e suore possano dimenticarsi di noi» recita un video del gruppo Act-Up, considerato da alcuni troppo irriverente. È vero però che, all’altro estremo, circolano immagini e proclami contro i gay, altrettanto sgradevoli, firmati dai cattolici più integralisti. L’associazione Civitas, che in passato ha organizzato la contestazione allo spettacolo di Romeo Castellucci, ha promesso di intensificare le azioni per combattere «con ogni mezzo» il progetto di legge socialista.

In un’intervista al Figaro, il cardinale di Lione Philippe Barbarin ha definito il matrimonio gay «uno shock di civiltà». La legge sui matrimoni gay dovrebbe essere presentata dal governo dopo l’estate e discussa dal parlamento entro la primavera del 2013. Secondo un sondaggio, 65% dei francesi sono favorevoli, con un aumento di due punti rispetto all’anno scorso.

Al di là delle polemiche, Hollande sa di poter contare su una solida maggioranza per far approvare la normativa. Anche la destra ha iniziato a dividersi. Alcuni ex membri del precedente governo, come Chantal Jouanno, Nadine Morano, Roselyne Bachelot, sono d’accordo con l’idea di dare pari diritti alle coppie omosessuali. Nel paese che ha inventato i Pacs, le unioni civili, nell’ormai lontano 1999, si apre insomma un nuovo fronte.
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“Non abbiate paura” dell’omosessualità

di Jean-Pierre Mignard*

in “Le Monde” del 22 agosto 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Difendere la famiglia e invitare a pregare per questo in un paese con una buona progressione demografica sottintende il fatto che essa sia minacciata. Il matrimonio di coppie gay è davvero tale da sconvolgere la famiglia e il diritto dei bambini?

La Chiesa ha il diritto di intromettersi in questo dibattito legislativo. Si tratta di una libertà di espressione indiscutibile che non può essere considerata in nessun modo un attacco alla laicità. La sua opinione è tanto più utile in quanto il matrimonio figura nella lista dei suoi sacramenti. Il cardinale arcivescovo, in qualità di presidente della Conferenza episcopale, può far leggere una preghiera che esprime un minimo di riserva sul matrimonio gay, ma quale opinione riflette, al di là di quella della gerarchia?

Secondo un sondaggio IFOP, il 65% dei francesi sarebbe favorevole al matrimonio omosessuale e il 53% all’omogenitorialità. L’indicazione, nello stesso sondaggio, che il 45% dei cattolici non sarebbe contrario al matrimonio omosessuale colpisce di più. Allora, dispiace che non sia stato organizzata una discussione tra cattolici, invitati a pregare, certo, ma non a “discernere” tra loro e ad alta voce. Ma non è troppo tardi.

È infatti opportuno risolvere una vecchia disputa prima di buttarsi nella faccenda del matrimonio. L’omosessualità è o no una declinazione naturale della sessualità? Il matrimonio gay, sul quale le divergenze sono concepibili, giustifica il fatto che venga tolta l’ambiguità. La tesi ufficiale designa questa sessualità con il vocabolo di “disordine”.

Allineare gli omosessuali, con altri, tra le “vittime di incidenti della vita” esprime un sentimento compassionevole, ma non li considera come soggetti di diritto. Più preoccupante, un’istruzione del 2005 del Vaticano esclude gli omosessuali dal ministero ordinato, salvo se tale sessualità è “transitoria”. La Santa Sede mantiene una posizione ostile alla depenalizzazione dell’omosessualità nei dibattiti alle Nazioni Unite. Questo la pone in compagnia di regimi alcuni dei quali continuano ad infliggere la pena di morte agli omosessuali. Si tratta di una “vera tragedia per le persone coinvolte e di un’offesa alla coscienza collettiva”, secondo le parole del segretario generale Ban Kimoon. Tale umiliazione era proprio necessaria?

In quanto cattolico e cittadino della Repubblica [francese], auspico che la Chiesa francese si esprima su questo punto preciso. Siamo in molti ad auspicarlo, dentro e fuori la Chiesa. Se essa vuole intervenire nel dibattito pubblico, e personalmente ritengo che ne abbia il diritto, deve accettare il verdetto dell’opinione pubblica. Del resto è un omaggio che le è reso, perché dalla Chiesa ci si aspetta dei messaggi in favore della dignità umana.

Poco tempo fa, il cardinale arcivescovo di Lione, Mons. Philippe Barbarin, evocava, con un (altezza?) a lui familiare, due grandi figure omosessuali e cristiane, Michelangelo e Max Jacob. A questi artisti esprimeva la gratitudine della Chiesa, ma soprattutto diceva che la loro omosessualità era un fatto, ponendola così al di fuori di ogni giudizio di valore. Questo non lo ha condotto a dichiararsi favorevole al matrimonio gay, ma almeno è stato reso possibile il fondamento di una discussione liberata dalle sue paure e dal suo immaginario.

L’ex cardinale-arcivescovo di Milano, Carlo Maria Martini, andava oltre e ingiungeva agli Stati di aiutare gli omosessuali a stabilizzare le loro unioni civili. Sull’argomento e con tutta evidenza ci sono diverse dimore nella casa del Padre...

Si capisce molto bene che la Chiesa cattolica difenda il sacramento del matrimonio e la sua destinazione primaria. La soluzione teologica infatti non è semplice. Ma bisogna incidere l’ascesso. Al tavolo delle discussioni sono ammesse tutte le riserve del mondo cattolico, tuttavia esse saranno accettate solo a condizione di un riconoscimento pubblico e franco del fatto che l’omosessualità è una sessualità come un’altra che sfugge alla sfera del giudizio morale e penale o del trattamento psichiatrico, altrettanto legittima e degna di riconoscimento dell’eterosessualità.

Non è ancora giunto il momento, e ce ne dispiace, di una pastorale per gli omosessuali. Ma è venuto quello di affrontare questo problema all’interno della Chiesa e di liberarsi dei propri timori, che hanno condotto, ad esempio, a separare nel piccolo cimitero di Ebnal (Inghilterra) per le esigenze della sua beatificazione, nel 2010, ma contro la sua volontà testamentaria, il corpo del cardinale britannico John Newman (1801-1890) da quello del suo amico, il reverendo Ambrose St. John, “che amava di un amore forte come quello di un uomo per una donna”. Nulla dice che questo grande prelato fosse gay, nulla, ma persino questa grande amicizia preoccupava.

I cattolici devono poterne discutere all’interno della loro comunità, in assemblee parrocchiali, diocesane, nelle loro associazioni, là dove è possibile, là dove è necessario, là dove lo si desidera. Che cosa abbiamo da temere dalle parole, visto che facciamo riferimento alla teologia della Parola? Non saremmo tutti d’accordo? E allora?

È così che ci si apre al mondo, il che non significa sottomettersi ad esso. La Chiesa, esemplare nel dialogo interreligioso, si mostrerebbe incapace di qualsiasi dialogo intrareligioso? I vescovi, che non sono dei despoti, dovrebbero osare questo dibattito. Lo storico Michel de Certeau diceva con un’espressione folgorante che “era in fondo al rischio che si trovava il senso.” E se c’è un’ingiunzione biblica ed evangelica come un leitmotiv, è: “Non abbiate paura.”

*Jean-Pierre Mignard, professore in diritti dei media all’Institut d’études politiques di Parigi, avvocato.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/11/2012 13.03
Titolo:FRANCIA. PARLA IL SOCIOLOGO BAUBEROT ...
- Baubérot: “I veri laici non vietano il burqa”
- I matrimoni omosessuali: “Non capisco il no delle Chiese: dovrebbero solo chiedere di non essere obbligate a benedirli"
- Nelle scuole francesi si insegnerà la morale repubblicana
- Parla il sociologo incaricato di fare proposte su come insegnarla

- di Alberto Mattioli (La Stampa, 14.11.2012)

Matrimonio «per tutti» (leggi: anche per le coppie dello stesso sesso). Eutanasia. E lezioni di «morale laica» nelle scuole della République. La Francia di François Hollande si vuole di nuovo all’avanguardia nella ridefinizione di diritti e doveri del cittadino, sempre nel nome di quella «laicità» che resta uno dei grandi totem nazionali. Nella Commissione che dovrà fare proposte su come insegnare la morale repubblicana c’è anche Jean Baubérot, il fondatore della sociologia della laicità.

Professor Baubérot, i professori di «morale laica» ricordano gli istitutori di inizio Novecento, gli «ussari della Repubblica».

«È ovvio che la morale non si insegna, né si impara, come la storia o la geografia. La scuola francese è caratterizzata da un approccio troppo magistrale, con uno che parla e gli altri che ascoltano. Credo che il professore dovrà guidare la riflessione più che imporla. Insegnare a pensare, non dei dogmi».

Ammetterà che l’idea sa un po’ di Stato etico.

«Sì, il rischio c’è. Ma è appunto quel che bisogna evitare. La Commissione ci sta lavorando. E tuttavia, se siamo contrari al fatto che possa esistere un sistema morale di Stato, siamo anche contro l’idea che il legame sociale non abbia una dimensione etica. I francesi non stanno insieme per caso e nemmeno per coercizione. Si riconoscono in una serie di valori che sono poi quelli elencati nel Preambolo della Costituzione».

Cosa critica del concetto francese di laicità?

«Dal 1905, da quando cioè la legge sancì la separazione dello Stato dalla Chiesa, la laicità è stata eccessivamente intesa come una separazione netta tra il fenomeno sociale e quello spirituale. Ma lo Stato è solo un arbitro e non deve chiedere alla gente di essere neutrale come lui, né nelle sue convinzioni né nei suoi vestiti. La legge che vieta il burqa è discutibile perché è una legge che vieta il velo integrale sempre e comunque. Per lo Stato, invece, che una musulmana giri velata non è un problema. È un problema, e dev’essere vietato, se pretende di riscuotere un assegno velata. Ma questo è un problema pratico, non metafisico».

La legge sul matrimonio per tutti le piace?

«Trovo che sia un vero provvedimento laico. E non capisco l’obiezione delle Chiese. Dovrebbero prendere esempio da quel che ha detto l’arcivescovo di Canterbury, a capo, noti bene, di una Chiesa di Stato: io ammetto che esistano le nozze gay, solo chiedo che lo Stato non mi obblighi a benedirle. Se uno aderisce a una religione, ne accetta le regole. In altri termini, lo Stato garantisce a tutti la libertà esterna, non quella interna. Se una donna si converte all’Islam in piena libertà, senza coercizione e senza violenza, accetta delle regole. Se è una sua libera scelta, lo Stato non deve entrarci. Ha solo il diritto, e il dovere, di promuovere l’eguaglianza. Ma nessuno può essere “emancipato” contro la sua volontà».

Molti sindaci fanno sapere che si rifiuteranno di celebrare i matrimoni gay. Che ne pensa?

«Penso che vada riconosciuto loro il diritto all’obiezione di coscienza, esattamente come ai medici per l’aborto. Ma devono delegare i loro poteri a un assessore, perché esiste, anzi esisterà presto, anche il diritto di tutti a sposarsi».

In nessun Paese del mondo come la Francia la laicità appassiona tanto l’opinione pubblica. Perché? «Per due ragioni. La prima è storica: qui il conflitto politico-religioso è durato secoli. Pensi al Medioevo con le crociate contro gli eretici, Filippo il Bello e il suo conflitto con Roma, il Papa ad Avignone, il gallicanesimo. Poi: quarant’anni di guerre di religione, la persecuzione dei protestanti e dei giansenisti, la Rivoluzione che prima riconosce la libertà religiosa e poi perseguita le religioni, eccetera».

E l’altra?

«L’altra è che anche oggi i temi religiosi hanno un significato politico. Come la grande paura dell’Islam e la strumentalizzazione della laicità per mascherarla. Ma l’Islam radicale è assolutamente minoritario. E, ad esempio, non è vero, come uno studio recente ha dimostrato, che i musulmani siano più prolifici che gli altri francesi. Io vorrei una “laicità del sangue freddo”, come la definiva già Aristide Briand».

L’ITALIA INFLUENZATA DAL VATICANO

«Sulle nozze per tutti e i diritti dei gay è più indietro di altri Paesi cattolici come Spagna o Belgio». Ultima domanda sull’Italia: lo definirebbe un Paese laico?

«Credo che in Italia ci siano degli elementi di laicità diffusi, come si è visto quando si è votato sul divorzio e sull’aborto. Ma certo l’Italia deve fare i conti con la sua storia e sulla sua posizione geopolitica. È chiaro che il fatto di avere il Vaticano “in casa” influenzi le scelte politiche. E infatti in materie come il matrimonio per tutti o i diritti degli omosessuali l’Italia è molto più indietro di altri Paesi pure cattolici come la Spagna, l’Argentina o il Belgio. Quindi a domanda risponderei: l’Italia è un Paese semilaico».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/11/2012 22.05
Titolo:ITALIA E VATICANO: IL FINTO CULTO DELLA FAMIGLIA ...
Vaticano e Italia, mali comuni

di Furio Colombo (il Fatto, 03.06.2012)

La domanda è questa: la turbolenta spaccatura che sta attraversando il Vaticano e - come in un film dell’orrore - arriva fino alle stanze del Papa, è la stessa spaccatura di profondità sconosciuta, che tormenta l’Italia? La risposta è sì. È una brutta risposta, perché dice che il Vaticano - il papa, il governo della Chiesa, la Istituzione - dovranno confrontarsi con uno sforzo immane per uscire dalla palude. Dovranno, soprattutto, dimostrare una decisa volontà di farlo, senza sotterfugi, autocelebrazioni e finzioni. Qualcosa che in Italia non è ancora accaduto.

Che cosa hanno in comune la storia italiana contemporanea e quella del Vaticano, che cosa può dimostrare la stessa natura del male (corvi, complotti, spionaggi, agguati, tradimenti e misteriosi tornaconti, in cui spesso restano ignoti mandante e beneficiario)? Prima di produrre le prove di quello che sto scrivendo, devo tentare di definire questo "male comune" che mette in pericolo l’equilibrio e persino la continuità di due Stati.

Lo descriverei così. È la decisione, abile e pericolosa di affidare immagine e auto-definizione a principi e programmi alti e nobili sempre più lontani dalla realtà che invece peggiora sotto gli occhi di tutti. In questo modo si evita ogni spietata e coraggiosa verifica dei fatti, accusando più o meno oscuri nemici di essere l’unica causa del male (malareligione o malapolitica).

Proverò a produrre alcune prove della situazione inaffidabile che scuote e tormenta tanto l’Italia quanto il Vaticano e la Chiesa, precisando che di questi due ultimi protagonisti parlerò a partire da ciò che vede e constata un osservatore estraneo, dunque dalle manifestazioni sociali, organizzative, di governo, non di fede e di religione, che in questa riflessione non entrano mai.

COMINCIO da uno spunto che mi pare molto utile perché fa da ponte fra politica vaticana e politica italiana (istituzioni e leggi) e dunque chiama apertamente in causa quei cittadini che sono allo stesso tempo attivi nelle istituzioni italiane e vincolati all’ubbidienza di Vaticano-Stato e di Vaticano-Chiesa. Intendo riferirmi al finto culto della famiglia, che viene visto come strumento di aggregazione (ma anche di espulsione, se non si tratta della famiglia giusta) e come fondamento dell’edificio politico conservatore (di nuovo inteso come argine e frontiera contro ogni mutamento di aggregazione sociale, visto come turbamento della conservazione politica).

Ho appena scritto "finto culto della famiglia" perché nessun gruppo sociale è più solo, abbandonato, privo di sostegno morale e sociale, da parte di entrambi i celebranti di questo culto, la Chiesa e la politica. È vero, non tutta la Chiesa e non tutta la politica. Ma qui interessa individuare i percorsi da cui entra con impeto il disordine, il distacco, l’apparente sottomissione e il profondo cinismo di cui stiamo parlando.

Quando si spengono le luci su eventi e giornate organizzate per celebrare la famiglia, non resta né un asilo né una scuola né un sostegno per le madri che lavorano, né un progetto, per quanto austero, per le famiglie troppo povere, per esempio Rom e immigrati, dove la presenza di mamme e bambini non ha mai fatto differenza.

Pensate alla distruzione di un campo nomadi (e agli animaletti di peluche che restano fra i denti delle ruspe). Pensate ai pasti scolastici negati ai bambini se le famiglie non possono pagare. O all’internamento delle donne dette “clandestine” nei “Centri di identificazione”, improvvisamente e brutalmente separate dai loro bambini a causa di un arresto arbitrario (parlo di eventi vissuti e constatati).

E, come se non bastasse, aggiungete la risoluta e congiunta condanna (Stato-Chiesa) delle famiglie “diverse”, definite “una minaccia”. Ecco, in questa finzione, che è forse la madre di tutte le finzioni di atti e fatti che hanno solo un fine politico (impedire che esistano altri tipi di famiglia, di amore, di figli), sta il deposito di cinismo, tradimento, rincorsa del potere, distacco da ogni valore, di patria o di fede, che constatiamo nel doppio dramma, dell’Italia e del Vaticano. Appartengono alla galleria delle finzioni (che si trasformano in veri inganni) le folle di autorevoli finti credenti, pronti a ricevere i sacramenti, purché in presenza di telecamere e di pubblico, o alla gara dei medici che si dichiarano obiettori di coscienza negli ospedali dove essere obiettori “fa curriculum” per i medici, qualunque sia la condizione della donna che chiede aiuto.

IL FINTO credente, che trova Dio solo se la cerimonia è ben frequentata e notata da chi deve notare, corrisponde al finto amor di patria di chi - specialmente fra i politici - cerca la benevolenza delle Forze Armate e “dei nostri ragazzi in armi”, ma si infastidisce se quei ragazzi sono in tuta da operaio, magari iscritti a un sindacato, specialmente se quei ragazzi insistono nel pretendere i diritti che legge e Costituzione garantiscono. Intorno, nell’una e nell’altra chiesa, c’è un deserto di solidarietà.

In Europa nessuno è più solo e più abbandonato dei disabili italiani. In quel vuoto entrano i rapitori di Emanuela Orlandi, i maggiordomi con doppio e misterioso lavoro, i banchieri improvvisamente cacciati per ragioni non dette, i tesorieri di partito, gestori di ricchezze comunque illecite che dividono diamanti e spese indecenti con strani infiltrati nella vita pubblica, tutti molto simili, per coraggio e mancanza di scrupoli, a certi cardinali.

La Repubblica italiana come istituzione politica, e il Vaticano come governo dell’omonimo Stato e della Chiesa, sono contenitori di società segrete, intente a un sommerso, ininterrotto lavorìo di promozione (il mio uomo contro il tuo) e di eliminazione reciproca, in una infinita variazione di casi Boffo. I maggiordomi, con o senza la severa uniforme vaticana, avranno ancora molto da fare. Ai credenti nella fede e nella patria toccano tempi duri

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Titolo articolo : MATRIMONI E FILIAZIONE: LE DIFFICOLTA' DELLA PSICOANALISI DI PENSARE UNA SOGGETTIVITA' AL DI LA' DELL'IDEOLOGIA DELLA TERRA E DEL SANGUE. Un'intervista di Nicolas Truong a Caroline Thompson e un'analisi di Irène Théry (da "Le Monde") - con note,a c. di Federico La Sala

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/11/2012 21.33
Titolo:«Figli e genitori si diventa, in molti modi» (Chiara Saraceno)
Famiglia: perché l’idea di naturalità non ci serve

di Paola Scellenbaum *

Uno dei motivi - forse il principale - che mi spinge a scrivere sull’ultimo libro di Chiara Saraceno è che in "Coppie e famiglie. Non è questione di natura", la sociologa parla della famiglia - o meglio delle famiglie «al plurale» - senza distinguere casi particolari ma approfondendo le differenze tra le diverse forme di aggregazione famigliare, dando così uguale legittimazione a ognuna. Senza pregiudizi, ma con la voglia di scoprire come si vive nelle famiglie di oggi.

È come se in questo libro ci venisse detto - con autorevolezza - che le famiglie sono uguali e diverse. Non è un libro sulla famiglia che in appendice parla anche delle altre forme famigliari e non è nemmeno solo un libro sulla famiglia omosessuale (definizione che viene articolata e criticata in quanto anche le parole che utilizziamo per nominare le situazioni sociali sono importanti e dicono delle lenti sociali attraverso cui guardiamo i fenomeni) o sulle coppie di fatto (sulla cui definizione vi sarebbe molto da dire), che peraltro sono tornate all’attenzione degli studiosi.

Non è nemmeno solo un libro sulle famiglie transnazionali, ovvero sui rapporti tra le persone quando vi è emigrazione e quando si è madri o padri a distanza, quando si pratica il Lat Living Apart Together, magari con l’ausilio delle nuove tecnologie. È un libro, appunto, su tutte queste forme di famiglia, che vengono analizzate a partire dai mutamenti demografici e dalle trasformazioni sociali all’interno di una cornice concettuale che fa riflettere e pensare o ri-pensare le relazioni famigliari.

Insomma, «figli e genitori si diventa, in molti modi», come afferma Saraceno. Ed è lo sguardo d’insieme che conta. Per fare questo, la sociologa attinge a una vasta letteratura scientifica di matrice socioantropologica e storica - ovviamente internazionale - citando alcuni testi «classici» comparsi prima in ambito anglosassone a metà degli anni Ottanta (allora ero una giovane ricercatrice in California e ricordo il dibattito su questi temi), giunti anche in Italia.

E così veniamo al secondo motivo per cui questo libro è davvero significativo: la sociologa invita a riconsiderare un dibattito molto vivace che vuole che sul terreno della famiglia si scontrino diverse visioni delle relazioni, della società, della cultura. Ovvero, ci viene detto che quando si parla di relazioni famigliari e di genere femminile e maschile non è questione di natura. È un’affermazione molto importante che spero possa stimolare la riflessione e il dibattito anche all’interno delle nostre chiese, proprio nell’anno in cui si discute il documento preparatorio presentato in Sinodo dalla Commissione «Famiglia, matrimonio, coppie di fatto», nominata dalla Tavola valdese.

Il fatto che la differenza di genere non sia questione di natura, significa che non vi sono forme famigliari «naturali» - o magari più naturali di altre - e dunque non vi sono nemmeno forme famigliari contro natura. Ci viene cioè detto che sono la società e la cultura (e dunque anche la cultura protestante e la fede vivente) a stabilire, nei diversi contesti storici e sociali, ciò che è socialmente accettabile. Non è la natura.

Questo sembra difficile da comprendere in quanto per molti anni si è parlato di differenza sessuale (anche in ambito femminista, si pensi a esempio al «pensiero della differenza») come se la differenza fosse appunto una questione di «essenza» e non invece il prodotto storico-culturale e il riflesso dei rapporti tra i generi. Così facendo, si è oscurato un dato fondamentale: che le differenze di genere hanno molte più sfumature rispetto alla dicotomia basata sulla differenza sessuale uomodonna o maschilefemminile e questo è ben visibile nelle coppie omosessuali che vivono la loro affettività tra uomini o tra donne, pur mantenendo diversi ruoli e diverse inclinazioni di personalità.

Insomma, ci possono essere più differenze tra due uomini o tra due donne che tra un uomo e una donna, in quanto anche il maschile e il femminile sono frutto di esperienze che si intrecciano con la cultura, la provenienza, la classe sociale, le esperienze lavorative, l’eticità, la religione, ecc.

Insomma, è materia complessa quando la si guardi nella sua trasformazione nei paesi occidentali, figuriamoci se poi dovessimo analizzarla anche tenendo conto delle culture non europee - che però sono ormai parte integrante della nostra società: insomma, non si può che parlare di «famiglie al plurale» e cercare di vivere le relazioni famigliari come espressione dell’amore, della fede e della speranza che invita a rivolgere lo sguardo al futuro. Continuando a riflettere.

* in “Riforma” - settimanale delle chiese Evangeliche Battiste, Metodiste e Valdesi - del 16 novembre 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/11/2012 21.39
Titolo:FRANCIA: MORALE RE-PUBBLICANA (NON "FARISAICA"). Parla il sociologo incaricato.....
- Baubérot: “I veri laici non vietano il burqa”
- I matrimoni omosessuali: “Non capisco il no delle Chiese: dovrebbero solo chiedere di non essere obbligate a benedirli"
- Nelle scuole francesi si insegnerà la morale repubblicana
- Parla il sociologo incaricato di fare proposte su come insegnarla

- di Alberto Mattioli (La Stampa, 14.11.2012)

Matrimonio «per tutti» (leggi: anche per le coppie dello stesso sesso). Eutanasia. E lezioni di «morale laica» nelle scuole della République. La Francia di François Hollande si vuole di nuovo all’avanguardia nella ridefinizione di diritti e doveri del cittadino, sempre nel nome di quella «laicità» che resta uno dei grandi totem nazionali. Nella Commissione che dovrà fare proposte su come insegnare la morale repubblicana c’è anche Jean Baubérot, il fondatore della sociologia della laicità.

Professor Baubérot, i professori di «morale laica» ricordano gli istitutori di inizio Novecento, gli «ussari della Repubblica».

«È ovvio che la morale non si insegna, né si impara, come la storia o la geografia. La scuola francese è caratterizzata da un approccio troppo magistrale, con uno che parla e gli altri che ascoltano. Credo che il professore dovrà guidare la riflessione più che imporla. Insegnare a pensare, non dei dogmi».

Ammetterà che l’idea sa un po’ di Stato etico.

«Sì, il rischio c’è. Ma è appunto quel che bisogna evitare. La Commissione ci sta lavorando. E tuttavia, se siamo contrari al fatto che possa esistere un sistema morale di Stato, siamo anche contro l’idea che il legame sociale non abbia una dimensione etica. I francesi non stanno insieme per caso e nemmeno per coercizione. Si riconoscono in una serie di valori che sono poi quelli elencati nel Preambolo della Costituzione».

Cosa critica del concetto francese di laicità?

«Dal 1905, da quando cioè la legge sancì la separazione dello Stato dalla Chiesa, la laicità è stata eccessivamente intesa come una separazione netta tra il fenomeno sociale e quello spirituale. Ma lo Stato è solo un arbitro e non deve chiedere alla gente di essere neutrale come lui, né nelle sue convinzioni né nei suoi vestiti. La legge che vieta il burqa è discutibile perché è una legge che vieta il velo integrale sempre e comunque. Per lo Stato, invece, che una musulmana giri velata non è un problema. È un problema, e dev’essere vietato, se pretende di riscuotere un assegno velata. Ma questo è un problema pratico, non metafisico».

La legge sul matrimonio per tutti le piace?

«Trovo che sia un vero provvedimento laico. E non capisco l’obiezione delle Chiese. Dovrebbero prendere esempio da quel che ha detto l’arcivescovo di Canterbury, a capo, noti bene, di una Chiesa di Stato: io ammetto che esistano le nozze gay, solo chiedo che lo Stato non mi obblighi a benedirle. Se uno aderisce a una religione, ne accetta le regole. In altri termini, lo Stato garantisce a tutti la libertà esterna, non quella interna. Se una donna si converte all’Islam in piena libertà, senza coercizione e senza violenza, accetta delle regole. Se è una sua libera scelta, lo Stato non deve entrarci. Ha solo il diritto, e il dovere, di promuovere l’eguaglianza. Ma nessuno può essere “emancipato” contro la sua volontà».

Molti sindaci fanno sapere che si rifiuteranno di celebrare i matrimoni gay. Che ne pensa?

«Penso che vada riconosciuto loro il diritto all’obiezione di coscienza, esattamente come ai medici per l’aborto. Ma devono delegare i loro poteri a un assessore, perché esiste, anzi esisterà presto, anche il diritto di tutti a sposarsi».

In nessun Paese del mondo come la Francia la laicità appassiona tanto l’opinione pubblica. Perché? «Per due ragioni. La prima è storica: qui il conflitto politico-religioso è durato secoli. Pensi al Medioevo con le crociate contro gli eretici, Filippo il Bello e il suo conflitto con Roma, il Papa ad Avignone, il gallicanesimo. Poi: quarant’anni di guerre di religione, la persecuzione dei protestanti e dei giansenisti, la Rivoluzione che prima riconosce la libertà religiosa e poi perseguita le religioni, eccetera».

E l’altra?

«L’altra è che anche oggi i temi religiosi hanno un significato politico. Come la grande paura dell’Islam e la strumentalizzazione della laicità per mascherarla. Ma l’Islam radicale è assolutamente minoritario. E, ad esempio, non è vero, come uno studio recente ha dimostrato, che i musulmani siano più prolifici che gli altri francesi. Io vorrei una “laicità del sangue freddo”, come la definiva già Aristide Briand».

L’ITALIA INFLUENZATA DAL VATICANO

«Sulle nozze per tutti e i diritti dei gay è più indietro di altri Paesi cattolici come Spagna o Belgio». Ultima domanda sull’Italia: lo definirebbe un Paese laico?

«Credo che in Italia ci siano degli elementi di laicità diffusi, come si è visto quando si è votato sul divorzio e sull’aborto. Ma certo l’Italia deve fare i conti con la sua storia e sulla sua posizione geopolitica. È chiaro che il fatto di avere il Vaticano “in casa” influenzi le scelte politiche. E infatti in materie come il matrimonio per tutti o i diritti degli omosessuali l’Italia è molto più indietro di altri Paesi pure cattolici come la Spagna, l’Argentina o il Belgio. Quindi a domanda risponderei: l’Italia è un Paese semilaico».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/11/2012 22.02
Titolo:Vaticano e Italia: il finto culto della famiglia ...
Vaticano e Italia, mali comuni

di Furio Colombo (il Fatto, 03.06.2012)

La domanda è questa: la turbolenta spaccatura che sta attraversando il Vaticano e - come in un film dell’orrore - arriva fino alle stanze del Papa, è la stessa spaccatura di profondità sconosciuta, che tormenta l’Italia? La risposta è sì. È una brutta risposta, perché dice che il Vaticano - il papa, il governo della Chiesa, la Istituzione - dovranno confrontarsi con uno sforzo immane per uscire dalla palude. Dovranno, soprattutto, dimostrare una decisa volontà di farlo, senza sotterfugi, autocelebrazioni e finzioni. Qualcosa che in Italia non è ancora accaduto.

Che cosa hanno in comune la storia italiana contemporanea e quella del Vaticano, che cosa può dimostrare la stessa natura del male (corvi, complotti, spionaggi, agguati, tradimenti e misteriosi tornaconti, in cui spesso restano ignoti mandante e beneficiario)? Prima di produrre le prove di quello che sto scrivendo, devo tentare di definire questo "male comune" che mette in pericolo l’equilibrio e persino la continuità di due Stati.

Lo descriverei così. È la decisione, abile e pericolosa di affidare immagine e auto-definizione a principi e programmi alti e nobili sempre più lontani dalla realtà che invece peggiora sotto gli occhi di tutti. In questo modo si evita ogni spietata e coraggiosa verifica dei fatti, accusando più o meno oscuri nemici di essere l’unica causa del male (malareligione o malapolitica).

Proverò a produrre alcune prove della situazione inaffidabile che scuote e tormenta tanto l’Italia quanto il Vaticano e la Chiesa, precisando che di questi due ultimi protagonisti parlerò a partire da ciò che vede e constata un osservatore estraneo, dunque dalle manifestazioni sociali, organizzative, di governo, non di fede e di religione, che in questa riflessione non entrano mai.

COMINCIO da uno spunto che mi pare molto utile perché fa da ponte fra politica vaticana e politica italiana (istituzioni e leggi) e dunque chiama apertamente in causa quei cittadini che sono allo stesso tempo attivi nelle istituzioni italiane e vincolati all’ubbidienza di Vaticano-Stato e di Vaticano-Chiesa. Intendo riferirmi al finto culto della famiglia, che viene visto come strumento di aggregazione (ma anche di espulsione, se non si tratta della famiglia giusta) e come fondamento dell’edificio politico conservatore (di nuovo inteso come argine e frontiera contro ogni mutamento di aggregazione sociale, visto come turbamento della conservazione politica).

Ho appena scritto "finto culto della famiglia" perché nessun gruppo sociale è più solo, abbandonato, privo di sostegno morale e sociale, da parte di entrambi i celebranti di questo culto, la Chiesa e la politica. È vero, non tutta la Chiesa e non tutta la politica. Ma qui interessa individuare i percorsi da cui entra con impeto il disordine, il distacco, l’apparente sottomissione e il profondo cinismo di cui stiamo parlando.

Quando si spengono le luci su eventi e giornate organizzate per celebrare la famiglia, non resta né un asilo né una scuola né un sostegno per le madri che lavorano, né un progetto, per quanto austero, per le famiglie troppo povere, per esempio Rom e immigrati, dove la presenza di mamme e bambini non ha mai fatto differenza.

Pensate alla distruzione di un campo nomadi (e agli animaletti di peluche che restano fra i denti delle ruspe). Pensate ai pasti scolastici negati ai bambini se le famiglie non possono pagare. O all’internamento delle donne dette “clandestine” nei “Centri di identificazione”, improvvisamente e brutalmente separate dai loro bambini a causa di un arresto arbitrario (parlo di eventi vissuti e constatati).

E, come se non bastasse, aggiungete la risoluta e congiunta condanna (Stato-Chiesa) delle famiglie “diverse”, definite “una minaccia”. Ecco, in questa finzione, che è forse la madre di tutte le finzioni di atti e fatti che hanno solo un fine politico (impedire che esistano altri tipi di famiglia, di amore, di figli), sta il deposito di cinismo, tradimento, rincorsa del potere, distacco da ogni valore, di patria o di fede, che constatiamo nel doppio dramma, dell’Italia e del Vaticano.

Appartengono alla galleria delle finzioni (che si trasformano in veri inganni) le folle di autorevoli finti credenti, pronti a ricevere i sacramenti, purché in presenza di telecamere e di pubblico, o alla gara dei medici che si dichiarano obiettori di coscienza negli ospedali dove essere obiettori “fa curriculum” per i medici, qualunque sia la condizione della donna che chiede aiuto.

IL FINTO credente, che trova Dio solo se la cerimonia è ben frequentata e notata da chi deve notare, corrisponde al finto amor di patria di chi - specialmente fra i politici - cerca la benevolenza delle Forze Armate e “dei nostri ragazzi in armi”, ma si infastidisce se quei ragazzi sono in tuta da operaio, magari iscritti a un sindacato, specialmente se quei ragazzi insistono nel pretendere i diritti che legge e Costituzione garantiscono. Intorno, nell’una e nell’altra chiesa, c’è un deserto di solidarietà.

In Europa nessuno è più solo e più abbandonato dei disabili italiani. In quel vuoto entrano i rapitori di Emanuela Orlandi, i maggiordomi con doppio e misterioso lavoro, i banchieri improvvisamente cacciati per ragioni non dette, i tesorieri di partito, gestori di ricchezze comunque illecite che dividono diamanti e spese indecenti con strani infiltrati nella vita pubblica, tutti molto simili, per coraggio e mancanza di scrupoli, a certi cardinali.

La Repubblica italiana come istituzione politica, e il Vaticano come governo dell’omonimo Stato e della Chiesa, sono contenitori di società segrete, intente a un sommerso, ininterrotto lavorìo di promozione (il mio uomo contro il tuo) e di eliminazione reciproca, in una infinita variazione di casi Boffo. I maggiordomi, con o senza la severa uniforme vaticana, avranno ancora molto da fare. Ai credenti nella fede e nella patria toccano tempi duri

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Commenti Articolo 691

Titolo articolo : A SCUOLA, COME in FRANCIA? NO! A SCUOLA, IN ITALIA, DI "MORALE LAICA" NON SE NE DEVE PARLARE PROPRIO!!! Una nota di Maurizio Viroli - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/14/2012 - 12:52:00.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/9/2012 17.25
Titolo:IN ITALIA COME IN FRANCIA. Chi ha paura dei corsi di morale laica?
Chi ha paura dei corsi di morale laica?

di Michela Marzano (la Repubblica, 4 settembre 2012)

Si può insegnare la morale come si insegna la grammatica o l’aritmetica? Spetta alla scuola pubblica spiegare ai cittadini di domani “cosa è giusto”, oppure uno stato liberale non dovrebbe permettersi di intervenire nell’ambito del “bene” e del “male”?

In Francia, in questi ultimi giorni, il dibattito sulla morale a scuola è estremamente vivo. Visto che, prima dell’inizio del nuovo anno scolastico, il ministro dell’Educazione Vincent Peillon ha detto che il compito della scuola non può più essere solo quello di trasmettere una serie di nozioni, ma anche quello di educare all’etica, per permettere ai più giovani di capire che «alcuni valori sono più importanti di altri: la conoscenza, l’abnegazione, la solidarietà, piuttosto che i valori del denaro, della concorrenza e dell’egoismo».

E così il linguaggio dei valori, rifiutato per anni dalla sinistra in quanto sinonimo di un ritorno all’ordine morale, fa la sua comparsa “scandalosa”. Provocando polemiche. Rilanciate, all’indomani delle dichiarazioni di Peillon, dall’ex-ministro del governo sarkozista Luc Chatel, che accusa il socialista di utilizzare argomenti “ pétainistes”.

Chiedere alla scuola di inculcare nei giovani la morale, perché il risanamento di una nazione non può essere solo materiale, ma anche spirituale, significa, per Chatel, fare un passo indietro nella storia: solo il Maresciallo Pétain, negli anni 1940, aveva osato fare dichiarazioni di questo genere.

Come se parlare di decadenza spirituale fosse all’appannaggio della destra. Oppure della Chiesa. Visto che anche da parte del mondo cattolico si sono sollevate alcune obiezioni, per paura che questi famosi valori da insegnare non siano in conformità con il magistero della Chiesa. Ma di quale morale stiamo allora parlando?

Per Peillon, la sola morale che la scuola può insegnare è una “morale laica”. Non si tratta di tornare alle nozioni tradizionali di “patria” e di “famiglia”, né ai concetti di “ordine” e di “disciplina”, ma solo di stimolate la capacità di ragionare, di dubitare e di criticare dei più giovani. È per questo che a scuola si dovrebbe tornare a parlare di libertà, di rispetto, di dignità e di giustizia. Come non dar ragione al ministro dell’educazione, quando si sa che anche solo per formulare correttamente un giudizio critico si devono avere alcune basi? Certo, all’era dell’autonomia individuale, qualunque forma di ritorno al paternalismo sarebbe incongrua.

Non si tratta di dare agli studenti un breviario delle azioni da compiere e di quelle da evitare, né di insegnare cosa si debba o meno pensare della vita, della morte, o della sessualità. Si tratta solo di spiegare il significato preciso dei valori che giustificano l’agire umano. Nozioni come il rispetto, la dignità, la responsabilità o la libertà, che sono alla base di ogni etica pubblica contemporanea, non possono essere utilizzate a casaccio. Ognuna di loro ha una propria “grammatica”; per utilizzarle correttamente si devono conoscere le regole del gioco linguistico.

Ecco quale è lo scopo della scuola oggi: insegnare di nuovo ad utilizzare correttamente le parole della morale per permettere l’organizzazione del “vivere-insieme”; evitare che alcuni radicalismi religiosi interferiscano nella sfera pubblica; alimentare il dibattito democratico, senza che la violenza prenda il posto della critica. Esattamente il contrario di ciò che voleva fare Pétain. Ma anche l’opposto di quello che sognerebbero oggi i nuovi integralisti della morale.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/11/2012 12.51
Titolo:FRANCIA. Parla il sociologo incaricato di fare proposte ...
- Baubérot: “I veri laici non vietano il burqa”
- I matrimoni omosessuali: “Non capisco il no delle Chiese: dovrebbero solo chiedere di non essere obbligate a benedirli"
- Nelle scuole francesi si insegnerà la morale repubblicana
- Parla il sociologo incaricato di fare proposte su come insegnarla

- di Alberto Mattioli (La Stampa, 14.11.2012)

Matrimonio «per tutti» (leggi: anche per le coppie dello stesso sesso). Eutanasia. E lezioni di «morale laica» nelle scuole della République. La Francia di François Hollande si vuole di nuovo all’avanguardia nella ridefinizione di diritti e doveri del cittadino, sempre nel nome di quella «laicità» che resta uno dei grandi totem nazionali. Nella Commissione che dovrà fare proposte su come insegnare la morale repubblicana c’è anche Jean Baubérot, il fondatore della sociologia della laicità.

Professor Baubérot, i professori di «morale laica» ricordano gli istitutori di inizio Novecento, gli «ussari della Repubblica».

«È ovvio che la morale non si insegna, né si impara, come la storia o la geografia. La scuola francese è caratterizzata da un approccio troppo magistrale, con uno che parla e gli altri che ascoltano. Credo che il professore dovrà guidare la riflessione più che imporla. Insegnare a pensare, non dei dogmi».

Ammetterà che l’idea sa un po’ di Stato etico.

«Sì, il rischio c’è. Ma è appunto quel che bisogna evitare. La Commissione ci sta lavorando. E tuttavia, se siamo contrari al fatto che possa esistere un sistema morale di Stato, siamo anche contro l’idea che il legame sociale non abbia una dimensione etica. I francesi non stanno insieme per caso e nemmeno per coercizione. Si riconoscono in una serie di valori che sono poi quelli elencati nel Preambolo della Costituzione».

Cosa critica del concetto francese di laicità?

«Dal 1905, da quando cioè la legge sancì la separazione dello Stato dalla Chiesa, la laicità è stata eccessivamente intesa come una separazione netta tra il fenomeno sociale e quello spirituale. Ma lo Stato è solo un arbitro e non deve chiedere alla gente di essere neutrale come lui, né nelle sue convinzioni né nei suoi vestiti. La legge che vieta il burqa è discutibile perché è una legge che vieta il velo integrale sempre e comunque. Per lo Stato, invece, che una musulmana giri velata non è un problema. È un problema, e dev’essere vietato, se pretende di riscuotere un assegno velata. Ma questo è un problema pratico, non metafisico».

La legge sul matrimonio per tutti le piace?

«Trovo che sia un vero provvedimento laico. E non capisco l’obiezione delle Chiese. Dovrebbero prendere esempio da quel che ha detto l’arcivescovo di Canterbury, a capo, noti bene, di una Chiesa di Stato: io ammetto che esistano le nozze gay, solo chiedo che lo Stato non mi obblighi a benedirle. Se uno aderisce a una religione, ne accetta le regole. In altri termini, lo Stato garantisce a tutti la libertà esterna, non quella interna. Se una donna si converte all’Islam in piena libertà, senza coercizione e senza violenza, accetta delle regole. Se è una sua libera scelta, lo Stato non deve entrarci. Ha solo il diritto, e il dovere, di promuovere l’eguaglianza. Ma nessuno può essere “emancipato” contro la sua volontà».

Molti sindaci fanno sapere che si rifiuteranno di celebrare i matrimoni gay. Che ne pensa?

«Penso che vada riconosciuto loro il diritto all’obiezione di coscienza, esattamente come ai medici per l’aborto. Ma devono delegare i loro poteri a un assessore, perché esiste, anzi esisterà presto, anche il diritto di tutti a sposarsi».

In nessun Paese del mondo come la Francia la laicità appassiona tanto l’opinione pubblica. Perché? «Per due ragioni. La prima è storica: qui il conflitto politico-religioso è durato secoli. Pensi al Medioevo con le crociate contro gli eretici, Filippo il Bello e il suo conflitto con Roma, il Papa ad Avignone, il gallicanesimo. Poi: quarant’anni di guerre di religione, la persecuzione dei protestanti e dei giansenisti, la Rivoluzione che prima riconosce la libertà religiosa e poi perseguita le religioni, eccetera».

E l’altra?

«L’altra è che anche oggi i temi religiosi hanno un significato politico. Come la grande paura dell’Islam e la strumentalizzazione della laicità per mascherarla. Ma l’Islam radicale è assolutamente minoritario. E, ad esempio, non è vero, come uno studio recente ha dimostrato, che i musulmani siano più prolifici che gli altri francesi. Io vorrei una “laicità del sangue freddo”, come la definiva già Aristide Briand».

L’ITALIA INFLUENZATA DAL VATICANO

«Sulle nozze per tutti e i diritti dei gay è più indietro di altri Paesi cattolici come Spagna o Belgio». Ultima domanda sull’Italia: lo definirebbe un Paese laico?

«Credo che in Italia ci siano degli elementi di laicità diffusi, come si è visto quando si è votato sul divorzio e sull’aborto. Ma certo l’Italia deve fare i conti con la sua storia e sulla sua posizione geopolitica. È chiaro che il fatto di avere il Vaticano “in casa” influenzi le scelte politiche. E infatti in materie come il matrimonio per tutti o i diritti degli omosessuali l’Italia è molto più indietro di altri Paesi pure cattolici come la Spagna, l’Argentina o il Belgio. Quindi a domanda risponderei: l’Italia è un Paese semilaico».

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Commenti Articolo 692

Titolo articolo : "SU FREUD" DI ELVIO FACHINELLI. Una piccola antologia di testi: un'ottima occasione per riconsiderare il suo percorso di psicoanalista e pensatore. Una nota,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/13/2012 - 13:18:12.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/10/2012 21.27
Titolo:ULTERIORE SVILUPPO DELLA NOTA ....
IL VOLO "A GRANDE ALTEZZA" DI FACHINELLI (1984-1988)

di Federico La Sala



In “Psicoanalisi”, testo inedito del 1984 (cfr.: Su Freud, cit.), forte anche delle esperienze fatte all’interno della pratica terapeutica, Fachinelli riprende con chiarezza e determinazione il discorso già fatto nel 1966, e riafferma tutto il valore del metodo di lavoro e di ricerca di Freud: “Promozione piena degli Enfalle, ovvero “metodo delle libere associazioni”; rivelazione attraverso di esso dell’inconscio e dell’infantile; elaborazione della relazione analista-analizzato come rapporto che oltrepassa decisamente quello classico di osservatore-osservato: sono questi alcuni elementi fondamentali di un’esperienza ben distinta, nella quale compaiano e si sviluppano, tra il passato spesso dimenticato o distorto e il presente, concordanze, repliche, riprese".

E’ ciò che potremmo chiamare - precisa Fachinelli - "il nucleo solido o pesante della psicoanalisi, ciò che ha consentito all’esperienza freudiana di essere ripetuta, confermata e contraddetta alÌ’interno di uno specifico dispositivo o setting analitico che, pur nelle variazioni intervenute successivamente, manifesta la costanza e l’uniformità di uno specifico laboratorio scientifico”.

E, chiarito questo punto incontrovertibile, sollecita a prendere atto che “è dentro questo laboratorio che sono intervenuti i progressi più significativi della psicoanalisi”, a uscire dal dogmatismo e dalla minorità, a prendere le distanze da quel “luogo comune piuttosto diffuso, secondo il quale la psicoanalisi comincerebbe e finirebbe con Freud”(p.66). e a fare uso della propria intelligenza e della propria facoltà di giudizio, E invita anche a ben comprendere la natura della diffusione della psicoanalisi nel mondo: quanto è avvenuto dopo Freud “è un tipo di diffusione che ricorda l’espansione di un movimento ideologico, o anche di una religione in senso tradizionale”, non “la diffusione - eventualmente ritardata, ma poi rapida e universale - di una scoperta scientifica in senso stretto” (p. 64).

Per Fachinelli, questa è solo una premessa , ma è la premessa fondamentale: “Vi è dunque uno specifico psicoanalitico strettamente collegato all’instaurarsi di un quadro “sperimentale” determinato. Su questo non sembra esservi disaccordo”. La questione decisiva, a cui sollecita a pensare e che pone all’ordine del giorno, è quella di affrontare “il disaccordo” che esiste e sorge “non appena da questo piano di esperienza ripetibile, individuale-tipica, si passa a un tentativo di comprensione o spiegazione generale dell’esperienza stessa, dei suoi presupposti e delle sue implicazioni. Quando cioè ci si pone il problema del modello o dei modelli che organizzano l’esperienza stessa”(pp.67-68).

Detto diversamente e velocemente: per non diventare del tutto ciechi e zoppi all’interno del laboratorio psicoanalitico, è più che urgente andare avanti, oltre Freud, oltre l’orizzonte scientifico del suo tempo e anche della sua grande capacità di far leva su” modelli diversi (energetico, dinamico-conflittuale, topico), alquanto eterogenei tra loro”, per dare conto “dell’insieme complesso dell’esperienza analitica, evitando di scartarne sezioni importanti e irriducibili all’uno o all’altro di essi” (p.68).

In questa direzione e con questa consapevolezza Fachinelli muove e sollecita a muoversi, non altra: il suo desiderio non viene dalle stelle, ma nasce ed è nato all’interno stesso del laboratorio e, per certi aspetti, è la ripresa della stessa lotta di Freud con se stesso, per salvare la sua “creatura”, la stessa psicoanalisi, (dal quadro teorico e) dall’inesorabile avanzata della pulsione di morte.

Di fronte a “casi clinici” come quello dell’“uomo col magnetofono, dramma in un atto con grida d’aiuto di uno psicoanalista” (J.J. Abrahams, edizioni L’erba voglio, 1977), o quello presentato in “La freccia ferma. Tre tentativi di annullare il tempo” (E. Fachinelli, edizioni L’erba voglio, 1979), o quello presentato in “Claustrofilia. Saggio sull’orologia telepatico in psicoanalisi” (E. Fachinelli, Adelphi , Milano 1983), non si può né chiudere un occhio né chiudere gli occhi; Fachinelli rompe gli indugi e decide di muoversi. Egli sa già dove andare, e già anticipa il suo tema.

Sempre nello stesso testo, “Psicoanalisi” del 1984, così scrive: “Dopo Freud, nell’esito trionfale della psicoanalisi, si è andato via via perdendo il senso di situazioni bloccate, impoverite, su cui Freud e gli psicoanalisti intervengono” e di pari passo è si andato riaffermando - egli ipotizza - il potere di quella cultura in cui “funga o fungesse ciò che è caratteristico di Freud, vale a dire la concezione di una continuità di fondo dello psichico, che ignora il discontinuo e il radicalmente diverso, ignora differenze di livello e il salto o la rottura che esse implicano come è evidente “nell’approccio difficoltoso e appunto nostalgico alle figure piene, mitizzate, del Rinascimento” da parte dello stesso Freud (pp.72-73). In questo senso, nelle sue esitazioni, “Freud precorre un’epoca in cui l’esperienza estetica svanisce come esperienza distinta, compatta, e soltanto affiora o balena qua e là, in contesti diversi. E ciò che vale per l’esperienza estetica si potrebbe ripetere per altri livelli dell’umano, in primo luogo per un livello immediatamente contiguo a quello estetico, quello che potremmo chiamare livello estatico. Il quale è certamente, nella nostra cultura, ai limiti del tabù e dell’impronunciabile”.

E proseguendo, ben consapevole del suo programma di ricerca, così conclude: “Proprio in queste direzioni si avvertono forse oggi segni di mutamento: ciò che non si poteva toccare o dire comincia forse a farsi via praticata o praticabile. Ed è a questo punto, crediamo, che si fa sempre più chiaro il limite antropologico e storico della psicoanalisi freudiana” (pp.73-74).

“Sulla spiaggia” è il testo del 1985 (“Lettera Internazionale”, n. 6, autunno 1985) con cui Fachinelli ‘ricorda’ a Freud (e a se stesso) i temi della lunga “conversazione conoscitiva” e spicca il suo “volo a grande altezza”. Negli anni successivi continua a lavorare sul tema: nel febbraio del 1989 è stampata e resa pubblica “La mente estatica” (Adelphi, Milano 1989). Un nuovo orizzonte si spalanca, ma le reazioni di psicoanalisti e filosofi sono timidissime e fredde.

Come sapeva e aveva già scritto nel 1984, l’estatico è, nella nostra cultura, ai limiti del tabù e dell’impronunciabile. Gli intellettuali istituzionalizzati (freudiani e non), alla fine prendono le distanze e tacciono. A vent’anni e più dalla sua morte stentano ancora a capire il senso del suo lavoro. Ma il fatto è un fatto e resta (ancora da pensare): il coraggio di servirsi della sua propria intelligenza e il frutto del lavoro di tutta la sua vita è di grande rilevanza teorica e culturale, in generale.

Contrariamente a quanto sì è ritenuto e detto, Fachinelli non ha mai abbandonato il programma di Freud: pensare non solo se stesso (il medico) come paziente, ma anche l’altro ( il paziente) come medico. Più di tutti, egli ha ben capito la portata radicale del pensare l’altro (anche se stesso!) come soggetto e l’ha fatto proprio da uomo, da psicoanalista, e da pensatore, fin dall’inizio.

Egli non si è mai sganciato dalla pratica clinica e dalla referenza teorica freudiana: anzi, più di tutti, ha difeso e lavorato a illuminare criticamente il “concreto della situazione a due”, per liberarla dalle esitazioni e cecità ereditate dallo stesso Freud, sia dal lato del soggetto-analista sia dal lato soggetto-paziente, non per mandarla in soffitta e andarsene a esplorare i territori dell’immaginario e le potenzialità della suggestione! Nell’aut-aut “Freud o Iung”, egli non ha mai creduto (o ceduto): già nel 1967, nella prefazione al lavoro di E. Glover con l’omonimo titolo, aveva chiarito la sua posizione e non ha mai sognato di proporsi (alla Jung) come “pastore di anime”!

Provare per credere! In “Su Freud”, sono ripresi due testi importanti e fondamentali, scritti dopo la pubblicazione di “La mente estatica”. Un consiglio: per non equivocare (o parlare a ruota libera) sul suo lavoro e sul suo orizzonte teorico ( il primo è del gennaio 1989 ed è intitolato “Freud, Rilke e la caducità”, il secondo è dell’inizio di aprile 1989 ed è intitolato “Il dono dell’imperatore”), vale la pena leggerli e rileggerli con attenzione. Sono stati scritti con i suoi “consiglieri segreti” di sempre: Walter Benjamin (“Angelus Novus”: “Tesi di filosofia della storia”) e Theodor W. Adorno (“Minima moralia”).

Nell’uno la riflessione è ancora e di nuovo sulla pulsione di morte e nell’altro si affronta il tema del potere sulla vita e sulla morte ("questa inquietante istanza centrale di autorità") e dell’analisi dei poveri, in connessione col tema del dono e della gratitudine in Freud, con tutte le sue implicazioni (rispetto al passato e rispetto al futuro non solo della psicoanalisi)!

“Imprevisto e sorpresa in analisi”: alla fine del loro percorso, al di là della morte (l’uno sfuggito alla polizia del “Faraone”, l’altro vittorioso su Oloferne), Fachinelli ritrova Freud e Freud ritrova Fachinelli e , insieme, riprendono la “conversazione conoscitiva” nel loro laboratorio, e la navigazione nel "gran navilio” di Galilei.

(Federico La Sala, 04.10.2012)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/11/2012 13.18
Titolo:PSICOANALISI E CRISI. A Milano assistenza gratuita ....
Psicoanalisi anti crisi

A Milano un Centro Musatti offre assistenza gratuita

Il presidente Giuseppe Pellizzari «In questa epoca di incertezza e smarrimento vogliamo fare la nostra parte e ritrovare la vocazione sociale del nostro lavoro»

di Stefania Scateni (l’Unità, 13.11.2012)

LA PSICOANALISI SI FA CARICO DELLA CRISI E RIVENDICA IL SUO IMPEGNO E LA SUA VOCAZIONE SOCIALE. NON SOLO SUL PIANO CLINICO MA ANCHE SU QUELLO DELLA VITA QUOTIDIANA. Così il Centro Milanese di Psicoanalisi Cesare Musatti (Cmp) ha deciso di offrire assistenza gratuita ad adolescenti, bambini e adulti in difficoltà economiche. Gruppi di psicoanalisti si sono già messi a disposizione per consulenze «free» o a prezzi sociali nella sede di via Corridoni 38.

Succede in tempi come questi, precari e oscuri per l’animo e la carne, epoca «delle crisi»: economica, politica, spirituale... D’altronde la crisi è «il mestiere» della psicoanalisi: strada maestra verso il cambiamento, la crepa è un momento di verità che porta alla trasformazione, passaggio, attraversamento verso qualcosa di ignoto, nuovo. Oggi l’angoscia che permea il vissuto soggettivo è impalpabile e incombente, difficilmente identificabile, subita e imprendibile come le ombre scure dei film dell’orrore. L’angoscia che accompagna le vicissitudini del nostro mondo è senza prospettiva, è angoscia allo scoperto. Uno stato dell’anima ancora tutto da esplorare e conoscere radicalmente diverso dai disturbi del passato anche recente.

In mancanza di chiarezza analitica, di questa congiuntura odierna si fa la conta in percentuali di disagio: in Grecia, dal 2008 al 2011, le persone tra i 25 e i 34 anni con problemi di ansia o di depressione sono passati dal 3,8% al 13,6%. La psicoanalisi stessa soffre della crisi e registra, negli ultimi tre anni, un crollo dei pazienti del 20%. Ma persino questo «disfacimento» può essere letto come un’indicazione al cambiamento.

«Oggi viviamo la scomparsa dei grandi contenitori ideologici e simbolici, sperimentiamo una grande sfiducia nelle istituzioni e nei partiti, ci sentiamo derubati del futuro ci dice il presidente del Cmp Giuseppe Pellizzari -. La crisi ha acuito questo senso di smarrimento e incertezza. La decisione di proporre il nostro servizio clinico nasce dall’esigenza di fare la nostra parte: per la psicoanalisi questo è un ritorno alle origini, quando nel 1919 nacque, in un momento di grave crisi post bellica, l’Istituto Psicoanalitico di Berlino, con chiari intenti sociali. Per un decennio funzionò benissimo e nell’istituto lavorarono i migliori analisti di quegli anni». Il loro intento sociale era ispirato a ciò che Freud disse durante il Congresso di Budapest del 1918: la gente ha diritto di essere curata non solo per la tubercolosi, ma anche per le malattie nervose, e lo Stato dovrebbe andare incontro a queste esigenze.

L’iniziativa milanese non è solamente e semplicemente un andare incontro ai cittadini. «Le difficoltà contemporanee non sono soltanto economiche spiega Pellizzari -, la crisi interessa anche i valori, i fondamenti simbolici della vita delle persone. E questo ci interessa, interessa la psicoanalisi. Non possiamo guardare questo fenomeno dall’esterno, perché anch’essa vive una crisi dei suoi fondamenti. Ed è un momento di grande fecondità. Il servizio che vogliamo offrire al territorio ha anche uno scopo formativo per chi ci lavora e uno scopo di ricerca per noi. I “nuovi” pazienti hanno caratteristiche nuove e poco conosciute e per questo possono rappresentare un’occasione importante per imparare cose nuove e sollecitare la psicoanalisi a funzionare in modo nuovo rispetto ai canoni classici».

Oggi le nevrosi classiche, le sindromi ossessive, le isterie e le perversioni, non sono le più diffuse come lo erano un tempo; ad esse si sostituiscono sindromi narcisistiche, disagio, insoddisfazione, vuoto, apatia diffusa, disturbi difficili da trattare perché quasi incosistenti, senza un sintomo predominante e urgente. Quelle più profondamente mutate nel più breve tempo sono le problematiche adolescenziali: non ci sono più i ragazzi ribelli che si scontrano con la cultura dei genitori e vogliono cambiare il mondo. Moltissimi adolescenti oggi non sanno cosa piace loro, non sanno cosa fare, non sanno chi sono, non studiano e non lavorano, non fanno niente.

E infine, la domanda dalle cento pistole: ci avete sempre detto che pagare il trattamento è essenziale e indispensabile per la pulizia e l’efficacia della terapia. Come la mettiamo con il vostro trattamento gratuito?

«Ci sono sempre stati analisti che hanno trattato gratuitamente qualche paziente, ma questo ha sempre posto dei problemi nella conduzione tecnica dell’analisi, cioè nell’ambito del transfert e controtransfert, perché il paziente potrebbe sentirsi diverso, speciale, oppure un povero oggetto di elemosina. Ci siamo resi conto che è molto importante il fatto che la nostra è un’iniziativa istituzionale, del Centro Milanese di Psicoanalisi, non del singolo analista che è tanto buono. La mediazione istituzionale consente una gestione più libera». Miracoli della crisi.

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Commenti Articolo 693

Titolo articolo : STOP AGLI ARRAFFA TERRE,di Alex Zanotelli

Ultimo aggiornamento: November/12/2012 - 13:55:31.

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Autore Città Giorno Ora
Nellina Guarnieri Bari 12/11/2012 13.55
Titolo:il neocolonialismo portatore di democrazia.....
uno slogan dei movimenti irredentisti africani ottocenteschi così recitava" noi avevamo le terre e voi la Bibbia ora noi abbiamo la Bibbia e voi le terre". Venute meno le aspirazioni "salvifiche" oggi è rimasto solo lo sfruttamento da parte di nuovi concorrenti. oltre che sdegnarsi come denunciare l'omertà dell'occidente?

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Commenti Articolo 694

Titolo articolo : PAROLA TRUCCATA, MENTE ASTUTA E "COMANDAMENTO NUOVO". Una riflessione di Bruno Forte sulla sua partecipazione al Sinodo dei Vescovi - con alcune note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/12/2012 - 13:04:53.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/11/2012 17.10
Titolo:BENEDETTO XVI: UNA CHIESA "PER MOLTI", NON "PER TUTTI"!!!
CHIESA "PER MOLTI", NON "PER TUTTI"!!!

Per il Convegno "Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri" del 15 settembre 2912, cinque note a margine

di Federico La Sala *

1. LA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA HA ROTTO I PONTI CON IL MESSAGGIO EVANGELICO. A 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, bisogna prendere atto che il terribile è già accaduto: il "Lumen Gentium" è stato spento e, sulla cattedra di Pietro, siede il Vicario del Signore e Padrone Gesù ("Dominus Iesus": J. Ratzinger, 2000). Egli regna e governa in nome del suo Dio, Mammona ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006).

2. DIO E’ VALORE! Sul Vaticano, DAL 2006, sventola il "Logo" del Grande Mercante: "Deus caritas est" (Benedetto XVI, 2006)!!! Il papa teologo, ha gettato via la "pietra" su cui posava - in equilibrio instabile - l’intera Costruzione dela Chiesa cattolico-romana ("Deus charitas est": 1 Gv. 4.8).

3. TUTTO A "CARO-PREZZO" ("CARITAS"): QUESTO "IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO". QUESTO E’ IL NOSTRO VANGELO: PAROLA DI RATZINGER -BENEDETTO XVI, CARDINALI E VESCOVI TUTTI. IL "PANE QUOTIDIANO" DEL "PADRE NOSTRO", SI VENDE A "CARO PREZZO", MOLTO CARO (= "CARITAS")!!!

4. ULTIMA CENA ED ECONOMIA VATICANA. Benedetto XVI cambia la formula: «Il calice fu versato per molti», non «per tutti»!!!

5. IN PRINCIPIO ERA IL "LOGO"!!! SE UN PAPA TEOLOGO LANCIA IL "LOGO" DEL SUO DIO ("DEUS CARITAS EST") E TUTTI OBBEDISCONO, E NON VIENE RISPEDITO SUBITO A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO, DI COSA VOGLIAMO PARLARE DI AFFARI E DI MERCATO?! EBBENE PARLIAMO DI AFFARI, DI MERCATO, DI "MAMMONA", "MAMMASANTISSIMA", E DI COME I PASTORI ... IMPARANO A MANGIARE LE PECORE E GLI AGNELLI, E CONTINUANO A GOZZOVIGLIARE ALLA TAVOLA DEL LORO "DIO"!!! Avanti tutta, verso il III millennio avanti Cristo!!!

Federico La Sala

* Il Dialogo, Mercoledì 12 Settembre,2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/11/2012 17.12
Titolo:PAROLA A RISCHIO. Risalire gli abissi ...
- PAROLA A RISCHIO
- Risalire gli abissi
- La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
- Perché è sorriso, liberazione, gioia.

-di Giovanni Mazzillo (Teologo) *

G come gioia, come Gesù, respiro di gioia per tutti gli infelici della terra. Parliamo di Gesù, il cui corrispondente nome greco Iesoûs deriva direttamente dall’originale ebraico Je(ho)šhu e significa JHWH salva, per precisare immediatamente che il termine salvezza oggi non significa gran che per i nostri contemporanei, e di conseguenza risuona poco interessante persino quel nome, pur originariamente portatore di una gioia immensa e inaudita. Ciò avviene non solo per l’inevitabile logorio delle parole più usate e talora abusate, ma per il fatto che ha perso rilevanza e pertanto significato il valore stesso della “salvezza”.

Salvezza
- Salvezza da chi e/o da che cosa? Appunto, è questo il primo problema. La salvezza appare di primo acchito un concetto immediatamente derivato dal superamento di una situazione negativa, Si salva, o come succede in questo caso, viene salvato, qualcuno che si trova in una situazione di pericolo. Il pericolo di perdere qualcosa, di perdere se stesso. Di essere cancellato, di sparire, appunto come sparisce da un computer un testo non “salvato” o un’immagine non messa al sicuro. Ma essere salvati è per noi persone umane, e pertanto non riducibili a una traccia di codificazione binaria o algoritmica, molto di più che conservare un’impronta e una presenza. Coerentemente con la nostra realtà dinamica e relazionale, essere salvati significa avere un luogo, un senso, una rilevanza nel contesto di una realtà che giustifica, sorregge, garantisce il mantenimento e la crescita qualitativa, e pertanto il conseguente riconoscimento di un originario, inalienabile, imprescindibile valore personale.

La domanda «Chi o che cosa si può dire oggi salvato?» esige pertanto una primordiale differenziazione. Altro è il concetto di ciò che è salvato (cioè il dato messo al sicuro), ben altro è l’essere umano salvato. Questi non è solo garantito in ciò che ha di più proprio e pertanto è distinto dal mero “dato”, che invece è una sorta di file compilato (non per nulla in tedesco proprio il file è chiamato Datei, leggi datai, cioè «rea-ltà data»). L’essere umano è tale solo in un incontro, in una relazione. La persona è tutta nelle relazioni delle quali vive. Proprio la relazionalità sorregge il senso e la gioia del suo esistere.

L’annuncio di Gesù, già nella sua venuta in questo nostro mondo, è l’annuncio di una relazionalità umana felicemente riuscita. Nel Vangelo è direttamente collegato alla Grazia, termine che esprime tutto ciò e anche qualcosa di più.

Nell’annuncio della sua nascita, diversamente da quanto appare nella traduzione latina, e in quella italiana da essa derivata, nella preghiera più popolare che ci sia, Maria è salutata non con il saluto che si dava all’imperatore, alle autorità o anche agli amici con l’esclamativo «Ave!», bensì con l’invito a rallegrarsi, cioè a gioire (chaîre): a entrare in un circuito di esultanza per un dono gratuito e inatteso. Colei che è piena di grazia (kecharitōménē) è invitata a rallegrarsi perché tutto in lei è frutto ed espressione della «grazia» (cháris), cioè di un dono amorevole quanto sorprendente, che sarà presto annuncio di gioia per tutto il popolo e per ogni uomo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...”. L’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia...» (Lc 1,30-31; 2,10-11).

Il resto del Vangelo, soprattutto quello di Luca, evidenzia la gioia improvvisa e incontenibile che contagia quanti vengono a contatto con Ješhu. A cominciare da Elisabetta e dal suo bambino, che le esulta nel grembo, il futuro Battista. Così esultano ancora due anziani che sembrano essere rimasti in vita per mantenere viva la speranza d’Israele: Simeone e Anna, o i pastori; mentre nel racconto di Matteo, viene detto che i Magi “provarono una grandissima gioia” nel rivedere la stella che indicava il luogo della natività di Gesù.

La stessa gioia è testimoniata dai semplici e dagli umili, dagli infelici e dai peccatori che si sentono aiutati, capiti, perdonati. A gioire sono ancora i bambini e le donne, classi tradizionalmente neglette dalla piena partecipazione alla grazia collegata alle tradizionali benedizioni di Dio. Insomma il cuore del Vangelo è la lieta notizia annunciata ai bisognosi e agli infelici della terra. Il Dio che si dona totalmente, è il Dio che dona illimitatamente la gioia agli uomini. E perché la nostra gioia fosse piena (Gv 15,11), il Figlio di Dio è arrivato umanamente a perdere se stesso.

Perché avessimo una gioia che nessuno avrebbe mai più potuto toglierci, ha permesso che fosse tolta a lui la vita, per riprenderla di nuovo, ma con la conoscenza ormai nella sua carne e nella sua psiche di cosa significhi la morte umana. Di cosa voglia dire la gioia di vivere, di vivere non con il naturale sorriso con cui vive ogni creatura per la stessa gioia dell’esistere, ma di provare e diffondere la gioia di chi conosce la sofferenza e non resta inchiodato alla sofferenza. O al limite, di chi, nonostante le ferite e talora i chiodi mai interamente rimossi della sofferenza, sa sorridere della vita, perché questa è ormai rischiarata da colui che vince la morte e la depressione della sofferenza.

La gioia è dunque uno dei nomi della salvezza, ma di una salvezza che assume di volta in volta nomi nuovi e nomi antichi: riscatto, liberazione, sensatezza, leggerezza dell’esistere... Se la parola non fosse tanto inflazionata, si potrebbe dire che la salvezza altro non è che la felicità. È la felicità nel suo senso etimologico: come abbondanza e fertilità. Possiamo tradurre: come vita sensata che raggiunge il suo scopo e nasce da relazioni benevole, tendenti al bene altrui, trovando negli altri la propria gioia e comunicandola con relazioni che fanno crescere se stessi e gli altri.

In quanto tale, la felicità è simile alla pace e ne è la forma storica: è star bene con sé e con gli altri, con il proprio passato e con il proprio futuro. Perché, soprattutto oggi, c’è bisogno paradossalmente più di ricostruire il futuro che il passato o il presente. Per poterlo fare c’è bisogno di quella gioia consapevole che non si arrende e che non si ripiega su se stessa. Si ritrova nel futuro di una convivenza che non nasconde, ma sa riconoscere e superare i conflitti attraverso uno sguardo d’amore verso ciò che ci è intorno. È uno guardo che viene da lontano e tuttavia tocca la nostra umanità, questa mia e questa tua umanità, quella assunta, attraversata e come divinizzata da quel Gesù che continuamente dà senso a ogni tentativo di superare la violenza con l’amore. È l’unico a dar senso a ogni discorso di pace, anche questo che hai appena finito di leggere.

* MOSAICO DI PACE, LUGLIO 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/11/2012 19.17
Titolo:LA NUOVA ALLEANZA E I PROFETI E LE SIBILLE .....
UOMINI E DONNE: PROFETI E SIBILLE. La Nuova alleanza e la Volta della Sistina. Dopo 550 anni dalla lezione di Michelangelo la Chiesa fa finta di non capire! *


In un bel documentario dal titolo «1512. La volta di Michelangelo nella Sistina compie 500 anni» mandato in onda, ieri, 31 ottobre 2012 (giorno dell’anniversario) su TV2000 alle ore 13.05 (e replicato alle 23.05) con Antonio Paolucci, Gianluigi Colalucci e cardinale Gianfranco Ravasi, il cardinale dichiara, con la massima autorevolezza e con la massima ’innocenza’, che nella Volta della Sistina insieme alle figure centrali relative al testo del Genesi, ci sono i profeti e le sibille, e la presenza di "queste donne" è definita come "il più curioso" elemento della narrazione michelangiolesca.

Evidentemente, dopo 500 anni, per la teologia della Chiesa cattolico-romana, la loro presenza è decisamente ancora un problema, un grosso problema!


SUL TEMA, VEDI: MICHELANGELO E LA VOLTA DELLA SISTINA (1512-2012):

http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/Ratzinger/Interventi_1351777403.htm
Autore Città Giorno Ora
giulio guerrini firenze 11/11/2012 13.01
Titolo:e se fosse un semplice errore di scrittura ?
Bella la differenza tra "caritas" e "Charitas", ma se per il papa i due termini fossero equivalenti ? Cioè usa caritas intendendo charitas, fa la figura dell'ignorante linguistico, ma il senso è quello. Dio è "caritas", l'ho sempre inteso come Dio è amore.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/11/2012 13.04
Titolo:GIOCARE CON LE PAROEL?. CIO' CHE OGNI BUON CATECHISTA SA ...
I CARISMI

di don Mauro Agreste *

1) OGGI PARLIAMO DEI CARISMI Oggi parliamo dei carismi ed è importante averne una conoscenza un pochino più strutturata, perché come catechisti nelle vostre comunità parrocchiali, ma anche nei gruppi di preghiera, è bene che abbiate una conoscenza il più possibile ampia su questo tema. Tutto sommato è stato lasciato per molti versi ad alcuni gruppi ecclesiali, oppure a degli alti studi universitari nell’Università Pontificia. Il tema dello spirito dei carismi è un tema che fa parte della vita della Chiesa; se ne tratta nel Concilio e nella Lumen Gentium. Al n°12 dice che la Chiesa costituita dal popolo di Dio è per così dire, il luogo in cui si esercitano i carismi, ognuno per la sua propria specificità. Però la maggior parte delle persone, quando sentono dire la parola carisma non è che abbiano molto chiaro in mente di che cosa si tratti, è vero?

2) PAROLA USATA E ABUSATA DA MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA Per di più questa parola è stata usata e abusata da giornalisti, da mezzi di comunicazione di massa non per indicare il significato preciso della parola carisma, quanto invece per indicare la capacità che ha una persona di attirare l’attenzione degli altri in qualunque campo, con la sua propria capacità di emergere sugli altri. Quindi in senso generico la parola carisma o personaggio carismatico all’interno della Chiesa e di alcuni gruppi ecclesiali vieni intuita in un certo modo. All’infuori della Chiesa il personaggio carismatico è un personaggio che ha delle chances in più, ha un savoir faire diverso in tutti i campi, sportivo, politico, ecc. ecc. da emergere e attirare l’attenzione, quasi catalizzando l’attenzione degli altri.

3) CARISMA HA LA STESSA RADICE DELLA PAROLA CARITÀ Ma che cos’è dunque il carisma e da che cosa nasce? Intanto la parola carisma deriva dal greco e come voi potete benissimo accorgervi contiene dentro di sé una radice, charis, che è la stessa radice della parola carità. Ora la parola carità, anche se abbiamo una vaga intuizione, è una parola che ha significati molto complessi e molto profondi, per cui almeno nel nostro linguaggio teologico, non è facile definire la carità semplicemente come un atteggiamento. La carità è prima di tutto una caratteristica di Dio stesso, una caratteristica essenziale, tant’è vero che gli antichi dicevano: Deus est charitas da cui gli antichissimi inni, ubi charitas et amor Deus ibi est, dov’è carità e amore lì c’è Dio. Dunque carità ha in sé questa radice charis, che significa qualche cosa di forte, di caldo, di vivo, di avvolgente. Viene cantato nel Veni Creator, si parla dello Spirito Santo e si dice che lo Spirito Santo è ignis, fuoco, fuoco di carità, fuoco di amore.

4) CARITÀ E AMORE VENGONO SPESSO USATI COME SINONIMI Carità e amore vengono spesso usati come sinonimi per una semplice ragione, sono entrambi concetti estremamente profondi. Se tu dici amore, è sufficiente dire amore per capire tutto ciò che significa la parola amore? No, cioè lo usiamo convenzionalmente però noi sappiamo che l’amore autentico per esprimerlo, per significarlo è molto difficile. Ricordate questa mattina il brano del Vangelo che è stato letto: nessuno ha un amore più grande se non colui che muore per i propri amici. Quindi vedete l’amore coinvolge fino alla donazione della vita. L’amore esige per esempio il concetto, che deve essere chiaro, della capacità di donarsi. Amore e donazione totale coincidono; però quando io dico amore non dico solo donazione totale, dico anche gioia, dico anche situazione di protezione. Una persona che ama è una persona che ne sta proteggendo un’altra; una persona che si sente amata è una persona che si sente protetta. Il concetto di guida: chi ama guida; chi è amato si sente guidato non gettato allo sbaraglio. Voi potete immaginare quale grande significato c’è nella parola amore; viene considerata sinonimo di carità, però entrambe hanno una specificità; che l’amore e la carità sono due realtà vive, coincidono con Dio.

5) PARLARE DI CARITÀ SIGNIFICA PARLARE DI GRAZIA Quindi parlare di carità, significa parlare di grazia, che charis è una traslitterazione, è la radice della parola greca che significa grazia. Che cos’è la grazia? Non è la gentilezza nei movimenti, la grazia è lo Spirito Santo in azione, lo Spirito Santo mentre agisce, lo Spirito Santo che sta agendo. Vieni Padre donaci la tua santa grazia, donaci cioè lo Spirito Santo che agisce dentro di noi. Ricordatevi che anche se avete il concetto chiaro nella mente, quelli che sono davanti a voi fraintendono facilmente, soprattutto queste cose complesse. Quindi dovete avere sempre l’idea di parlare a un bambino di 5 anni e state tranquilli che le persone davanti a voi non si sentiranno umiliate e non vi disprezzeranno se voi parlerete il più semplice possibile.

6) CHIEDI CHE LO SPIRITO SANTO VENGA AD AGIRE DENTRO DI TE Allora, donaci la santa grazia, certo che vuol dire donaci la capacità e la disponibilità a seguire i suggerimenti dello Spirito, però tu chiedi proprio che lo Spirito Santo venga ad agire dentro di te, però non senza di te. Quando invochiamo la grazia di Dio su di noi, invochiamo lo Spirito Santo che venga ad animarci dall’interno, come il lievito che fa lievitare tutta la pasta; il lievito non fa sparire la pasta, la fa solo lievitare; certo se non c’è la pasta puoi mettere anche un chilo di lievito che tanto non lievita niente. Allora quando si dice grazia si dice Spirito Santo in azione. Cosa vuol dire charis? Grazia. Cosa vuol dire grazia? Spirito Santo in azione. Lo Spirito Santo aleggiava sopra le acque informi, quindi lo Spirito Santo era già in azione appena Dio ha fatto esistere qualche cosa, ancora non c’era la luce, ma già lo Spirito Santo era in azione. Lo Spirito Santo agisce continuamente. L’ultimo versetto dell’Apocalisse dice: lo Spirito Santo e la sposa gridano Maranthà, vieni Signore Gesù. Quindi attenzione bene, tutta la Bibbia è contenuta da questa azione di Spirito Santo, dunque, tutta la storia degli uomini è contenuta in questi due punti fondamentali: lo Spirito Santo che aleggia e lo Spirito Santo che anima dicendo vieni. Gli uomini non si accorgono dell’azione dello Spirito Santo.

7) NUTRIRE UNA PARTICOLARE ADORAZIONE DELLO SPIRITO SANTO Allora i catechisti hanno questo compito fondamentale, fra tutti gli altri, di nutrire una particolare adorazione dello Spirito Santo. Dico giusto quando dico adorazione, per una semplice ragione, quale? Perché lo Spirito Santo è Dio. Quindi il catechista che non adora lo Spirito Santo non so che razza di catechista voglia essere. Lo Spirito Santo è la grazia che agisce dentro di noi. Il catechista che si mette al servizio della Chiesa, come fa a mettersi al servizio dicendo l’amore per Gesù se non è lo Spirito Santo a comunicarglielo?

8) PARLARE DI SPIRITO SANTO E DIO COME DUE PERSONE SEPARATE Domanda: questo fatto di parlare di Spirito Santo e Dio come due persone separate, non rischia di confonderci? E quando parliamo del Padre separato dal Figlio, non si rischia di creare dei problemi? Nelle dispense degli anni passati c’è quel disegno molto bello che si riferisce allo schema intuitivo su Dio e le sue tre persone. Dio è Padre, è Figlio e Spirito Santo, un solo Dio, però il Padre non è il Figlio, non è lo Spirito Santo e lo Spirito Santo non è il Padre. È chiaro che la nostra mente è così limitata che noi non riusciamo a capire, possiamo solo contemplare.

9) FACCIAMO PARTE DELLA TRINITÀ Di più ancora. Facciamo parte di questa Trinità, con il Battesimo siamo entrati dentro la Trinità, perché siamo con Gesù una cosa sola. Siamo entrati nella Trinità, però non siamo Dio, siamo esseri umani, però facciamo parte della Trinità. Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; quindi la volontà di Dio è che siamo immersi ( bactizzomai verbo greco che significa essere immersi ) in tutto Dio Padre, in tutto Dio Figlio e in tutto Dio Spirito Santo. Questo vuol dire che dentro di noi c’è tutto Dio Padre, tutto Dio Figlio, tutto Dio Spirito Santo e come lo spieghi questo? Quando tu vai a fare la comunione prendi un’ostia grande così, tu sai che lì dentro c’è il Dio Eterno e Infinito, Signore della storia e dei secoli. Sotto un velo di pane c’è il mistero di tutto ciò che esiste. Possiamo intuire. Come dice l’inno Pange Lingua. Visus tactus gustus in te fallitur, la vista il tatto il sapore falliscono, perché tutto quello che i sensi constatano è fallace, non i sensi ma la fede conosce questa verità. Allora con la fede tu accetti, il mistero lo contempli, però non lo capisci. Perché capire dal latino càpere vuol dire prendere e tenere stretto, contemplare invece significa guardare, ma non da soli, sostenuti. Tu puoi guardare il mistero di Dio da solo, lo puoi contemplare cioè tu puoi entrare nel tempio insieme a qualcuno, contemplare entrare nel tempio insieme a qualcuno. Tu non possiedi il tempio è il tempio che possiede te.

10) IL CATECHISTA DEVE PARLARE UN ITALIANO SEMPLICE E COMPRENSIBILE Attenzione, perché usiamo la lingua, ma non la conosciamo e un catechista non può permettersi questo. Un catechista deve parlare un italiano semplice e comprensibile a quelli che ha di fronte però deve conoscere dieci o venti volte di più di quello che sta dicendo agli altri, se no che cosa sta comunicando? Certamente ai bambini non puoi dire le specificità dei termini che vi sto spiegando, però su tu non conosci il significato delle parole, tu insegnerai delle cose sbagliate e noi non possiamo permetterci di fare questo, se no non stiamo divulgando il Vangelo di Gesù Cristo, ma il Vangelo secondo noi. Quindi ricordatevi, è un servizio fatto a Dio quello anche di essere precisi nel linguaggio che si usa. Siate precisi cercando di conoscere il più possibile il significato delle parole che usate, anche le più comuni. E chiedete allo Spirito Santo che vi dia una struttura logica del pensiero: soggetto, predicato, complemento. Diversamente il vostro discorso non sarà compreso da chi vi ascolta; piuttosto articolate frasi e concetti brevi non un discorso lungo e strutturato. Fate discorsi brevi, frasi brevi, ma che siano chiare.

11) LA CONIUGAZIONE DEI VERBI DEVE ESSERE PRECISA State anche attenti alla coniugazione dei verbi, che deve essere precisa, perché un verbo al condizionale ha un significato diverso da un verbo all’indicativo; perché un verbo all’indicativo indica una realtà, un obbligo imprescindibile, un verbo al condizionale indica una possibilità cioè una dualità di realtà; i congiuntivi sono verbi di consequenzialità; se io nella mente non ho l’idea della consequenzialità delle cose, non userò il congiuntivo, userò l’indicativo e renderò tutto obbligante. Ricordatevi che abbiamo a che fare con le parole, che noi abbiamo la parola di Dio nella mano e siamo i catechisti, non ci possiamo permettere di giocare con le parole, perché da come io uso le parole, favorisco o freno il passaggio del concetto di Dio. Senza diventare fanatici, senza esagerare, però o prendiamo sul serio il nostro servizio reso a Dio. Quindi tutto quello che dipende da me io cerco di farlo al meglio che posso, oppure facciamo come fanno tanti che improvvisano tutto, vanno avanti e non si rendono conto che stanno giocando con Dio. Se sul Vangelo c’è scritto: in principium erat verbum et verbum erat aput deum et verbum erat deum, allora questo ci fa capire che in principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio.

12) SE DIO SI E’ FATTO PAROLA, IO NON POSSO GIOCARE CON LE PAROLE Se Dio si è fatto la parola che noi possiamo intuire e capire, io posso giocare con le parole? No. Non dico questo perché dobbiamo spaventarci, sentirci colpevolizzati, però sentiamo la necessità di pensare le parole che usiamo e pensare le frasi che usiamo, perché se io devo parlare a dei bambini, dovrò rendere estremamente semplice un discorso difficilissimo. Però usando delle parole che siano giuste, che cerchino di generare meno equivoci possibili, adatte al vocabolario che è in possesso a un bambino di 7-10-12-15 anni, senza mai cedere ad accettare una connotazione di linguaggio che non sia più che dignitosa ed elegante.

13) IL CATECHISTA NON USA MAI PAROLE EQUIVOCHE Se ci sono dei modi di dire che esprimono il concetto di essere arrabbiati in un certo modo, il catechista non li usa mai, neanche quando sta da solo. Se ci sono parole equivoche il catechista si deve abituare non solo a non usarle lui, ma a sentirne ribrezzo quando le sente pronunciare da altri, perché il catechista sta usando con la propria lingua un mezzo di evangelizzazione. Dunque l’apostolo san Giacomo dice nella sua lettera al cap. 4 che chi domina la lingua domina tutto il resto del corpo. Ora un catechista che non domina la lingua come può produrre negli altri un cambiamento di vita, se le parole che escono da lui sono sporcate da una incapacità di dominare la lingua? Naturalmente quando dico capacità di dominare la lingua non mi riferisco solamente a un linguaggio volgare e pesante, mi riferisco anche a un modo di gestire il linguaggio. Una persona che non è capace a non criticare, una persona dalla cui bocca esce sempre una parola di critica, di giudizio, di condanna, di curiosità, di pettegolezzo ecc. può giustamente essere catechista? Non può. Un catechista che non sente fondamentale dentro di sé l’imperativo di sapere quello che sta dicendo, come lo sta dicendo e non si domanda se le parole che sta usando le capisce prima lui, come fa a spiegarle agli altri?

14) IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE AMARE E AMORE Quante volte abbiamo esaminato il significato delle parole amare e amore. Se un catechista non sa che cosa vuol dire amare, sapete con che cosa lo confonde? Con il romanesco volemose bene. Ma amare non è quello, quello non è amare, quello lì è solo cercare di stare tranquilli, senza prendersi tanti problemi, vero? Invece amare è tutta un’altra cosa. Stamattina abbiamo sentito: dare la vita per i propri amici. Vedete che è estremamente differente. Allora non deve essere così per voi, perché voi avete sentito veramente una chiamata del Signore, se no non sareste qui al sabato mattina. Però per non perdere tempo né io, né voi e neanche Dio, cerchiamo proprio di capire l’importanza di tutto questo. Quando nelle scuole ci facevano fare l’analisi logica, l’analisi del periodo erano molto importanti; se abbiamo dimenticato tutto questo la prima cosa che dobbiamo fare è chiedere allo Spirito Santo che venga a rispolverare dentro di noi le cose che avevamo studiato allora, che le faccia emergere. Vedrete che lo Spirito Santo vi aiuterà; poi dopo cominciate con l’analizzare il linguaggio che usate, le strutture logiche che usate, se sono chiare. Ricordatevi che le persone che avete di fronte non sono dentro la vostra mente, dunque loro non sanno esattamente dove voi volete arrivare. Una grande carità che potete fare nei confronti del vostro prossimo, un grande servizio è quello di fare un passettino piccolo alla volta. Non date mai niente per scontato, anche se doveste ripetere cento volte in cento incontri, serve per aiutare quella persona a entrare nel difficile concetto che voi volete dire.

15) DOBBIAMO IMPARARE A PERDONARE Per es.: dobbiamo imparare a perdonare. Che vuol dire perdono? È una parola composta. Dividete a metà la parola, per e dono; quella che capite subito è dono, cosa vuol dire dono? È un regalo, non meritato, perché un dono meritato si chiama premio. Capite perché bisogna essere precisi? Perché se io non dico questo allora il perdono mi diventa un diritto, invece non è un diritto, è un dono, un regalo non meritato; quindi se il regalo non è meritato mi viene fatto perché io sono buono o è buono chi mi fa il regalo? Chi mi fa il regalo. L’altra parola da capire è per che deriva dal greco iper, che vuol dire il più grande; quindi se iper vuol dire il più e donum, regalo, mettendo insieme avete l’insegnamento che dovete fare sul concetto di perdono. Poi ci potete parlare per sei mesi ai bambini del perdono, però se sapete cosa vuol dire voi insegnate realmente ciò che insegna la Chiesa, non ciò che insegna il mondo: vogliamoci bene perché il Signore è buono e ci perdona, tanto perdona tutto e tutti. No! Il catechista non può fare queste cose, non si può confondere il perdono con un sentimento di piacevolezza e di arrendevolezza, non è così. Allora siamo partiti dal tema dei carismi, la prossima volta ricordatemi che dobbiamo continuare sul significato della parola carisma. Abbiamo appena analizzato la radice charis che vuol dire grazia e che significa Spirito santo in azione.

* UNIONE CATECHISTI. CATECHESI. LEZIONI, 08.10.2005

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Commenti Articolo 695

Titolo articolo : SCETTICISMO E VERITA'. I FILOSOFI ITALIANI IGNORANO (ANCORA!) I "PARADOSSI DELL'AUTORIFERIMENTO" E CONTINUANO A VIVERE PRIMA DI COPERNICO, DARWIN E FREUD. A "Topolino e Russell, liberi pensatori", un omaggio di Giulo Giorello - con alcune note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/12/2012 - 12:51:47.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/11/2012 18.54
Titolo:"I PRINCIPI DELLA MATEMATICA" DI BERTRAND RUSSELL
FRANCO VOLPI e "I PRINCIPI DELLA MATEMATICA" DI BERTRAND RUSSELL: "Ave­va la vocazione dell’organizzatore oltre che quella dello studioso. Sotto questo aspet­to va elogiato per il Dizionario del­le opere filosofiche (Bruno Monda­dori, 2000) che reca il suo nome al frontespizio, ma si avvale di de­cine e decine di collaboratori per le singole voci.

Di più: Volpi, insie­me ad altri, curò nel 1988 l’edizio­ne tedesca di questo Lexicon der philosophischen Werke, poi ampliata nel 1999; infine la sistemò per gli italiani.

Le polemiche corse all’usci­ta sono ormai evaporate e oggi ci rendiamo conto che l’aver dimenticato - o volutamente non ospita­to - i Principles of Mathematics di Bertrand Russell, non è peccato che richiede assoluzioni speciali"(Cfr. Armando Torno, Franco Volpi, la filosofia al di là del nichilismo, Corriere della Sera, 15.04.2009).
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/11/2012 12.51
Titolo:SCETTICISMO E VERITA'. Il metodo di Kant ...
ANTITETICA DELLA RAGION PURA

di Immanuel Kant *

Se Tetica è ogni insieme di dottrine dommatiche, io intendo per Antitetica, non affermazioni dommatiche del contrario, ma il conflitto di conoscenze secondo l’apparenza dommatiche (thesin cum antithesi), senza che si annetta all’una piuttosto che all’altra uno speciale diritto all’assenso.

L’Antitetica, dunque, non si occupa punto di affermazioni unilaterali, ma prende a considerare le conoscenze universali della ragione solo pel conflitto di esse tra loro e per le cause di tal conflitto. L’Antitetica trascendentale è una ricerca intorno all’antinomia della ragion pura, le sue cause e il suo risultato.

Quando noi rivolgiamo la nostra ragione non semplicemente, per l’uso dei princìpi dell’intelletto, agli oggetti dell’esperienza, ma ci avventuriamo ad estenderla al di là dei limiti di questa, allora vengon fuori proposizioni sofistiche, che dalla esperienza non possono né sperare conferma, né temere confutazione; ciascuna delle quali non soltanto è in se stessa senza contraddizione, ma trova perfino nella natura della ragione le condizioni della sua necessità; solo che, disgraziatamente, il contrario ha dalla parte sua ragioni altrettanto valide e necessarie di affermazione.

Le questioni che si presentano naturalmente in una tale dialettica della ragion pura, son dunque: 1) In quali proposizioni propria mente la ragion pura è soggetta inevitabilmente a una antinomia. 2) Su quali cause si fonda questa antinomia. 3) Se nondimeno, e in qual modo, alla ragione, in questo conflitto, resti aperta una via alla certezza.

Un teorema dialettico della ragion pura deve, dunque, avere in sé questo, che lo distingua da tutte le proposizioni sofistiche: che non concerna una questione arbitraria, che non si solleva se non per un certo scopo voluto, ma sia una questione siffatta, che ogni ragione umana nel suo cammino vi si deve necessariamente imbattere; e in secondo luogo, che così essa come la contraria porti seco non soltanto un’apparenza artificiosa, che, se uno l’esamini, dilegua tosto, ma un’apparenza naturale e inevitabile, che, quando anche uno non ne sia più ingannato, illude pur sempre, sebbene non riesca più a gabbare; e però può bensì esser resa innocua, ma non può giammai venire estirpata.

Una tale dottrina dialettica non si riferirà all’unità intellettuale di concetti d’esperienza, ma all’unità razionale di semplici idee, le cui condizioni - poiché primieramente, come sintesi secondo regole, essa deve accordarsi con l’intelletto, e pure, insieme, come unità assoluta di essa, con la ragione, - se essa è adeguata all’unità della ragione, saranno troppo grandi per l’intelletto, e se proporzionata all’intelletto, troppo piccole per la ragione; dal che deve sorgere un conflitto, che non si può evitare, donde che si prendano le mosse.

Queste affermazioni sofistiche aprono dunque una lizza dialettica, dove ogni parte cui sia permesso di dar l’assalto ha il disopra, e soggiace di sicuro quella che è costretta a tenersi sulla difensiva. Quindi anche i cavalieri gagliardi, s’impegnino essi per la buona o per la cattiva causa, sono sicuri di riportare la corona della vittoria, se badano solo ad avere il privilegio di dar l’ultimo assalto senza essere più obbligati a sostenere un nuovo attacco dell’avversario.

Si può facilmente immaginare, che questo arringo pel passato è stato abbastanza spesso corso, che molte vittorie sono state guadagnate da ambo le parti; ma per l’ultima, che decide la cosa, si è sempre badato che il difensore della buona causa tenesse solo il terreno, e così fosse impedito all’avversario di impugnare più oltre le armi. Come giudici di campo imparziali, dobbiamo mettere affatto da parte, se sia la buona o la cattiva causa quella che i combattenti sostengono, e lasciar che essi se la sbrighino prima tra loro. Forse, dopo essersi l’un l’altro più stancati che danneggiati, essi scorgeranno da se stessi la vanità della loro lotta e si separeranno da buoni amici.

Questo metodo di assistere a un conflitto di affermazioni, o piuttosto di provocarlo da sé, non per decidere alla fine in favore dell’una o dell’altra parte, ma per ricercare se l’oggetto di esso non sia forse una semplice illusione, che ciascuno vanamente s’affanna ad acchiappare, e in cui ei non può nulla guadagnare, quand’anche non gli si resistesse punto: questo metodo, dico, si può chiamare metodo scettico.

Esso è da distinguere del tutto dallo scetticismo, principio di una inscienza secondo arte e scienza1, che spianta le fondamenta d’ogni cognizione, per non lasciarle, possibilmente, in nessuna parte alcuna certezza e sicurezza. Giacché il metodo scettico mira alla certezza, in quanto cerca di scoprire in un tale combattimento, onestamente inteso da ambo le parti e condotto con intelligenza, il punto dell’equivoco, per fare come i saggi legislatori, che dall’imbarazzo dei giudici nell’amministrazione della giustizia ricavano per sé un ammaestramento intorno a ciò che di manchevole e non abbastanza determinato è nelle loro leggi. L’antinomia, che si rivela nell’applicazione delle leggi, è per la nostra limitata sapienza la maggior prova d’esame della nomotetica, per rendere così attenta la ragione, che nella speculazione astratta non s’accorge facilmente dei suoi passi falsi, ai momenti della determinazione dei suoi princìpi.

Ma codesto metodo scettico è essenzialmente proprio solo della filosofia trascendentale; e in ogni modo, può farsene a meno in ogni altro campo di ricerche, solo in questo no.

Nella matematica il suo uso sarebbe assurdo: poiché in essa non può restar nascosta e sfuggire all’occhio nessuna falsa affermazione, in quanto le dimostrazioni vi debbono sempre procedere al filo dell’intuizione pura, e mediante una sintesi sempre evidente.

Nella filosofia sperimentale può bene un dubbio sospensivo esser utile; se non che, nessun malinteso, almeno, è possibile, il quale non si possa facilmente tòr via, e ad ogni modo nell’esperienza devono in definitiva trovarsi gli ultimi mezzi della decisione del dissidio, presto o tardi che essi abbiano a rintracciarsi. La morale può dare tutti i suoi princìpi anche in concreto e insieme le conseguenze pratiche, almeno in esperienze possibili, e così evitare il malinteso dell’astrazione.

Per contro, le affermazioni trascendentali, che si arrogano vedute che si estendono al di là del campo d’ogni possibile esperienza, né si trovano nel caso che la loro sintesi astratta possa esser data in qualche intuizione a priori, né son tali che il malinteso possa esser scoperto mercé una qualche esperienza. La ragione trascendentale non ci permette dunque altra pietra di paragone che il tentativo d’un accordo delle sue affermazioni tra loro stesse, e quindi, prima, di una gara di combattimento tra loro, libera e senza ostacoli; e a questa gara al presente noi vogliamo dar corso.

*Immanuel Kant, Critica della Ragion Pura, Editori Laterza Bari 1966, vol. II, pp. 350-353.

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Commenti Articolo 696

Titolo articolo : A NAPOLI, UNA FIACCOLATA ECUMENICA CONTRO LA CAMORRA. COME DA AGRIGENTO, IL CARDINALE SEPE ROMPE GLI INDUGI E LANCIA IL SUO URLO. "Camorristi, vergognatevi": Il testo del suo intervento - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/10/2012 - 10:30:13.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/11/2012 10.30
Titolo:“Camorristi in chiesa neanche da morti”
“Camorristi in chiesa neanche da morti”

di Antonio Salvati (La Stampa, 10 novembre 2012)

«Se i camorristi non si pentono, non potranno entrare in chiesa neanche da morti». Parole chiare, scandite ritmicamente quasi come a caricarle di maggiore significato. L’arcivescovo di Napoli Crescenzio Sepe ribadisce così un concetto già espresso pubblicamente a più riprese. «L’ho già detto ai miei sacerdoti. Chi semina morte raccoglierà solo morte». E, rivolto ai camorristi: «Vi nascondete perché avete paura mentre dovreste piuttosto avere vergogna di voi stessi e dei vostri comportamenti. Sfuggite alla luce del giorno perché avvertite il peso delle vostre colpe gravissime e non avete il coraggio di stare tra la gente». Un anatema lanciato nel corso dell’omelia che ha chiuso la fiaccolata ecumenica organizzata a Napoli in ricordo delle vittime innocenti della criminalità organizzata.

Un corteo silenzioso, partito da piazza Carità e che si è concluso nella galleria Umberto I dopo aver attraversato via Toledo. «Siete i veri sconfitti ha tuonato l’arcivescovo nel suo discorso anticamorra - cadaveri che camminano, condannati a morte certa da voi stessi, sapendo che chi semina vento raccoglie tempesta».

Una marcia a cui hanno preso parte non solo cittadini, ma anche i rappresentanti delle chiese protestanti, di quelle ortodosse, della comunità ebraica, di quella islamica e buddhista di Napoli. «Sappiate che da parte nostra non ci può essere alcuna indulgenza - ha aggiunto il cardinale - siamo su sponde distinte e distanti, finché rimanete sotto il tunnel della violenza e della morte. Questa Napoli, questa società, questa umanità non vi appartiene perché voi siete altro - ha proseguito - avete scelto di stare contro i vostri fratelli, contro l’umanità, contro la legge, contro quei valori che sono alla base di ogni persona umana della nostra stessa civiltà».

Poi l’appello, rivolto direttamente ai camorristi: «Scegliete la vita, quella vera, quella sacra, deponete le armi perché verrà per voi il giorno del giudizio e non ci saranno sconti», ha detto il cardinale ricordando le parole che Papa Giovanni Paolo II pronunciò ad Agrigento parlando della mafia. Ma nonostante il duro monito, il cardinale non perde la speranza: «Noi continuiamo a credere e a batterci per il cambiamento, per riappropriarci della nostra città liberata dalla violenza per realizzare - ha concluso - una società animata dalla giustizia e dal bene comune».

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in “www.lastampa.it” del 9 novembre 2012

«Chi semina morte raccoglierà solo morte. Se gli uomini dei clan non si pentono, così ho detto ai miei sacerdoti, non potranno entrare in chiesa neanche da morti». L’arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe, lancia il suo anatema proprio mentre ricorda le vittime innocenti della camorra.

La Chiesa cattolica di Napoli con le altre confessioni religiose dovranno «tutte insieme fare - ha auspicato - una barriera per arginare il dilagare del male», male che troppo spesso significa dolore e morte; sangue di mamme, padri e giovani innocenti.

E così questa sera cattolici, ortodossi, buddisti, evangelici, protestanti e islamici si sono ritrovati fianco a fianco - in una marcia silenziosa da piazza Carità alla galleria Umberto, nel cuore della Napoli straziata dai morti di camorra - per dire che la città onesta vuole dire no alla criminalità e che vuole vivere dei «quei valori autentici religiosi e civili». E per gli uomini dei clan, se non si convertiranno, non si pentiranno sinceramente, ha ammonito ancora l’arcivescovo di Napoli le porte delle parrocchie rimarranno sbarrate, «perché non sono degni di ricevere i sacramenti e neanche quando muoiono possono entrare in chiesa».

I vescovi della Campania stanno facendo sentire la loro voce. A Castellammare di Stabia l’arcivescovo Alfano, dopo una lunga polemica, ha impedito che la processione del santo patrono passasse sotto la casa di un presunto boss. «È gente spietata che ha venduto la dignità», ha aggiunto Sepe. «Ai camorristi dico convertitivi», ha detto perché loro «non distruggono solo le loro famiglie ma anche le nostre comunità».

«Come i ragazzi che nascono a Gaza e vivono con la guerra - ha detto Lorenzo Clemente, il marito di Silvia Ruotolo uccisa mentre rientrava a casa mentre era a prendere il figlio a scuola - i nostri figli crescono in un paese che è in guerra». A Napoli le «vittime innocenti della camorra sono sempre in mezzo a Napoli, vivono con noi» ha aggiunto il cardinale Sepe salutando Rosanna, la fidanzata di Lino Romano, il giovane ucciso nelle scorse settimane per uno scambio di persona dai sicari della clan in guerra per il controllo dello spaccio della droga. La ragazza in corteo ha esposto uno striscione con la scritta :«Siamo di più».

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Commenti Articolo 697

Titolo articolo : La mia esperienza ad Algeri,Di Libera Nasti

Ultimo aggiornamento: November/09/2012 - 14:01:16.

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Autore Città Giorno Ora
Lorenzini Agnese Valleris Torino 09/11/2012 14.01
Titolo:Algeria
Cara Libera, mi ha fatto molto piacere leggere il tuo articolo.
Sono stata più volte in Algeria negli anni passati: un lungo giro fino a DJANET, un'altra volta fino a TAMANRASSET,,,Ho un ricordo bello sia di Algeri dove siamo stati ospiti di vecchi amici che altrove. Ne ho nostalgia e un gran desiderio di rivedere quel paese davvero BELLISSIMO. Auguri a te per il tuo lavoro e per la tua vita, Agnese

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Commenti Articolo 698

Titolo articolo : UNA COPPIA UN PO’ INCESTUOSA: LA MADRE ELENA E L'IMPERATORE COSTANTINO, IL "SIGNORE DEL MONDO" E LA MADRE DI "DIO". Tre donne «forti» dietro tre padri della fede. Una nota di Marco Garzonio - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/09/2012 - 11:04:49.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/10/2012 07.31
Titolo:IN HOC SIGNO VINCES: iL "CRISMON" E "LA DONAZIONE DI COSTANTINO". Note
Quel monogramma divino e vittorioso Quanti simboli prima di vedere Cristo

di Francesca Bonazzoli (Corriere della Sera, 25 ottobre 2012)

Si potrebbe immaginare che dopo l’Editto costantiniano di tolleranza l’iconografia cristiana, fino ad allora mutuata dall’arte imperiale, cominciasse a sviluppare una serie di nuove immagini autonome. Invece, secondo lo storico André Grabar che ha dedicato tutti i suoi studi all’iconografia cristiana e bizantina, «anche senza dimenticare le massicce distruzioni, i regni di Costantino e dei suoi figli, che videro la fondazione dell’impero cristiano, sono per la storia dell’iconografia cristiana quasi come una tabula rasa».

Per il momento, in questi primi secoli, c’è fondamentalmente una sola immagine nuova legata al regno di Costantino: il cosiddetto crismon, il monogramma di Cristo, formato dalle lettere sovrapposte dell’alfabeto greco X (si legge chi) e P (si legge ro), ossia le prime due lettere della parola Cristo, l’unto, il prescelto. Secondo le cronache, peraltro celebrative e contraddittorie, dello storico Eusebio, alla vigilia della battaglia contro Massenzio sul ponte Milvio, l’imperatore avrebbe visto apparire in cielo una croce di luce sovrapposta al cerchio del sole con la scritta «In hoc signo vinces», vincerai sotto questa insegna. Costantino avrebbe quindi fatta sostituire nel labaro (il vessillo militare composto da un drappo quadrato color porpora attaccato a una lancia) l’immagine dell’aquila imperiale con quella del crismon.

Il segno compare nelle monete costantiniane anche se, a conferma del fatto che le cose siano forse andate diversamente dal miracolo raccontato da Eusebio, è assente nell’arco di Costantino eretto solo tre anni dopo la battaglia. In effetti Costantino non si convertì di colpo e anzi conservò per tutta la vita la carica di Pontifex maximus, cioè capo supremo della religione pagana tradizionale. È difficile, dunque, credere che avesse sostituito già alla battaglia del ponte Milvio l’immagine dell’aquila imperiale con quella del crismon nel labaro del suo esercito.

Anche se fu Costantino a divulgarlo, il monogramma non fu comunque una sua invenzione. Esisteva già come abbreviazione della parola greca crestòs, con la stessa pronuncia di Cristos, ma con il significato di buono, utile, propizio, usato come simbolo di buon auspicio anche in alcuni sarcofagi orientali. L’imperatore, insomma, potrebbe aver usato il segno preesistente del crismon con un significato di buon auspicio che, solo successivamente e oltre il primitivo intento di Costantino, l’agiografia imperiale avrebbe poi trasformato in monogramma cristiano.

Il buon esito della battaglia poteva a quel punto benissimo servire a far coincidere il simbolo di vittoria militare con il simbolo della vittoria di Cristo sulla morte. Ancora una volta, dunque, l’iconografia cristiana andava a sovrapporsi a quella imperiale, spostando semplicemente il significato delle immagini e dei simboli, esattamente come avviene nella trasmissione del linguaggio da una generazione all’altra quando uno stesso termine può cambiare il valore semantico.

E infatti nel cristogramma costantiniano i significati militari e religiosi si intrecciano e sovrappongono in un continuo andare e venire da uno all’altro. Il cerchio dentro cui è rappresentato il crismon, per esempio, è una possibile allusione alla corona d’alloro della vittoria così come al sole, che ogni giorno risorge come Cristo dopo la morte. E come l’iconografia costantiniana rappresentava l’imperatore con i suoi figli trionfanti su un dragone ai loro piedi, così nel crismon si poteva aggiungere la S del nome finale di Cristos sotto la lettera P con l’allusione alla vittoria finale di Cristo sul male identificato col serpente. E per sovrappiù, a questo intreccio di significati, fra i bracci della X potevano comparire anche la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco, alfa e omega, per alludere all’inizio e alla fine del progetto di salvezza.

Fu proprio la resurrezione di Cristo ad escludere il tema della morte dall’arte funeraria dei primi secoli del cristianesimo, quando la croce era ancora percepita come un simbolo d’infamia. Solo a partire dal V secolo sostituì il crismon come segno per eccellenza del Cristo, anche negli stendardi militari. Ma era ancora una croce senza il corpo del Cristo e molto preziosa, lavorata con oro e gemme. La figura di Cristo non fa la sua comparsa prima del VI secolo e resta rara fino in epoca carolingia. Bisognerà poi aspettare l’XI secolo prima che in Occidente compaia un nuovo tipo di Cristo crocifisso, con il capo reclinato sulla spalla, il corpo emaciato e sulla testa una corona di spine in luogo di quella gemmata che coronava i Cristi trionfanti, vivi e con gli occhi aperti, dell’arte bizantina secondo l’equivalenza del Cristo vittorioso con l’imperatore trionfante
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E il potere temporale della Chiesa si basa su un falso

di Armando Torno (Corriere della Sera, 25 ottobre 2012)

Quando si parla di Donazione di Costantino si fa riferimento a una presunta cessione, da parte dell’imperatore romano a papa Silvestro I (eletto il 31 dicembre 314) e ai suoi successori, di Roma, dell’Italia e delle province occidentali. Il documento che la testimonia apparve già dubbio nel X secolo, ma poi fu impugnato sia da Arnaldo da Brescia (morto nel 1155), da Niccolò Cusano (morto nel 1464) e definitivamente sbugiardato con un’operina da Lorenzo Valla - scritta nel 1440, durante i giorni di Eugenio IV, ma pubblicata nel 1517 - La falsa Donazione di Costantino. In essa l’umanista dimostra che la lingua in cui fu redatto il documento è un latino che risente degli influssi barbarici e i riferimenti ivi contenuti rimandano a un tempo nel quale Costantinopoli è già diventata la nuova capitale dell’impero.

Il contenuto della Donazione va diviso in due parti. Nella prima, la cosiddetta confessio, dopo le solite formule protocollari segue la narrazione della miracolosa guarigione dalla lebbra di Costantino e del suo battesimo. Si racconta che i sacerdoti pagani, dopo che le cure mediche si rivelarono inutili, suggerirono all’imperatore di immergersi in una vasca dove si sarebbe dovuto versare il sangue di bimbi innocenti. Ma egli rifiutò, anche perché il pianto delle madri lo commosse. A quel punto gli appaiono in sogno Pietro e Paolo: i santi garantiscono a Costantino la guarigione se avesse chiesto il battesimo al Papa. Il Pontefice glielo amministrò, anzi lo fece seguire anche dalla cresima. La seconda parte del documento, la cosiddetta donatio o dispositio, registra il gesto imperiale. Costantino, d’accordo con i suoi dignitari, il Senato ma anche con lo stesso popolo, decide di concedere alla Chiesa poteri, dignità e onori imperiali.

Un dettato non particolarmente chiaro, anzi piuttosto ampolloso, giunto in tre lingue: latino, slavo e greco. La prima di esse è considerata la più completa ed è quella che si utilizza con maggior frequenza per i riferimenti. Il testo di questo celebre falso si legge nella riedizione, a cura di Roberto Cessi e Roberta Sevieri, La Donazione di Costantino, pubblicata da La Vita Felice nel 2010 (costa 11,50 euro): in essa, oltre un ampio saggio introduttivo, si trovano le versioni latina e greca.

Insomma, è possibile rileggere le varie scene con cui è di fatto giustificato il potere temporale. Parole come le seguenti dovettero suscitare un certo effetto: «Abbiamo inoltre stabilito anche questo, che lo stesso venerabile padre nostro Silvestro, sommo Pontefice, e tutti i pontefici suoi successori, debbano utilizzare il diadema, ossia la corona d’oro purissimo e gemme preziose, che dal nostro capo a lui abbiamo ceduto, e portarlo sul capo a lode di Dio e gloria del beato Pietro».

Non è facile orientarsi nelle mille storie che nascono o si riflettono in questo documento, ma c’è un saggio di Giovanni Maria Vian, intitolato appunto La donazione di Costantino (Il Mulino 2004), che sa indirizzare il lettore del nostro tempo.

Non è inoltre semplice stabilire quando si cominciò a usare ufficialmente tale documento, anche se sembra che Leone IX nel 1053 sia stato il primo; sicuramente esso ebbe una notevole influenza nel Medioevo se si pensa che già nel 1059 Niccolò II concesse l’investitura della contea di Melfi al normanno Roberto il Guiscardo proprio fondandosi sulla Donazione.

Del resto basterà aggiungere che Dante nel XIX canto dell’Inferno manifesta il disagio provocato dall’insano atto, anche se da uomo del suo tempo lo crede autentico: «Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,/ non la tua conversion, ma quella dote/ che da te prese il primo ricco patre!».

La discussione su vero e falso continuò sino al secolo del romanticismo, quando la Chiesa perse il suo territorio, giacché mai mancò qualche religioso isolato che si arrampicava sugli specchi per difendere le ragioni di quel broglio antico. Si può poi discutere se c’è un’unità testuale o se la Donazione sia stata una costruzione realizzatasi in tempi diversi; comunque se ne fissa in genere la stesura in un periodo che corre tra il 750 e l’850, vale a dire tra Pipino e Carlo il Calvo.

Qualche storico suggerisce l’ipotesi che Stefano II, andando in Francia nel 753, avrebbe portato con sé il documento. Altri, addirittura, sostengono che tale falso avrebbe preparato (e giustificato) l’incoronazione di Carlo Magno. Ma questa è una storia infinita. Per raccontarla in termini esaurienti sarebbe bene approfittare delle opportunità recate dalle celebrazioni costantiniane del prossimo anno.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/11/2012 11.04
Titolo:Costantino il padre dell’antisemitismo ...
Ecco perché Costantino non fu tollerante

risponde Corrado Augias (la Repubblica, 9.11.2012)

Caro Augias,

vari quotidiani, dando notizia della mostra milanese su Costantino, hanno titolato sulla sua “tolleranza”. -Vorrei ricordare che fu proprio Costantino il padre dell’antisemitismo. Egli emanò, l’11 dicembre 321, l’editto Codex Judaeis, prima legge penale antiebraica, segnando così l’inizio di una persecuzione e del tentativo di genocidio degli ebrei.
- L’editto definiva l’ebraismo: “secta nefaria, abominevole, feralis, mortale” e formalizzava l’accusa di deicidio. Da allora, il processo antisemitico non s’è più interrotto, ad eccezione del breve periodo di reggenza dell’imperatore Giuliano detto (a torto) l’Apostata.
- I successivi imperatori introdussero le Norme Canoniche dei Concili nel Codice Civile e Penale.
- Con Costantino II, Valentiniano e Graziano, dal 321 al 399 d.C., una serie spietata di leggi ha progressivamente e drasticamente ridotto i diritti degli ebrei.
- Si condannava ogni ebreo ad autoaccusarsi di esserlo: in caso contrario c’erano l’infamia e l’esilio. -Proibito costruire sinagoghe. Leggi contro la circoncisione. Obbligo di sepoltura in luoghi lontani e separati da quelli cristiani. Altro che tolleranza, c’è un limite anche alla falsificazione della storia.
- Arturo Schwarz

La mostra milanese celebra i 17 secoli che ci separano dalla promulgazione di quell’editto di Milano (313 e.v.) con il quale il grande imperatore rendeva il cristianesimo “religio licita”, dopo che per secoli i suoi seguaci erano stati perseguitati. Le ragioni del provvedimento, al di là delle letture agiografiche, furono ovviamente politiche: l’impero tendeva a spaccarsi, la nuova religione parve un “collante” più efficace dei vecchi culti. Costantino peraltro conservò per tutta la vita il titolo “pagano” di pontifex maximus e si convertì al cristianesimo solo in punto di morte.

Né il suo comportamento personale ebbe nulla di veramente cristiano (fece uccidere moglie e figlio) anche se gli ortodossi lo hanno santificato. Quel che più conta, considerata la lettera del signor Schwarz, fu il suo fiero antigiudaismo. Arrivò a definire quella religione “superstitio hebraica” contrapponendola alla “venerabilis religio” dei cristiani. Presiedette, da imperatore, e diremmo da “papa”, il fondamentale Concilio di Nicea (325).

Soprattutto aprì la strada all’unificazione dei due poteri, temporale e religioso, in uniche mani. All’inizio furono quelle dell’imperatore, cioè le sue, col passare degli anni diventarono quelle del pontefice romano. Alla fine di quello stesso IV secolo il percorso si concluse quando un altro imperatore, Teodosio I, proclamò il cristianesimo religione di Stato, unica ammessa, facendo così passare i cristiani dal ruolo di perseguitati a quello di persecutori di ogni altro culto, ebrei compresi.

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Titolo articolo : LA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE,di Giovanni Dotti

Ultimo aggiornamento: November/08/2012 - 22:19:27.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/11/2012 22.19
Titolo:LA RIVOLUZIONE e IL CAPO. C'E'CAPO e "CAPO". E rivoluzione e "rivoluzione" .....
«Capo»

di Antonio Gramsci [L’Ordine Nuovo, 1° marzo 1924] *

Ogni Stato è una dittatura. Ogni Stato non può non avere un governo, costituito da un ristretto numero di uomini, che a loro volta si organizzano attorno a uno dotato di maggiore capacità e di maggiore chiaroveggenza. Finché sarà necessario uno Stato, finché sarà storicamente necessario governare gli uomini, qualunque sia la classe dominante, si porrà il problema di avere dei capi, di avere un «capo».

Che dei socialisti, i quali dicono ancora di essere marxisti e rivoluzionari, dicano poi di volere la dittatura del proletariato, ma di non volere la dittatura dei «capi», di non volere che il comando si individui, si personalizzi, che si dica, cioè, di volere la dittatura, ma di non volerla nella sola forma in cui è storicamente possibile, rivela solo tutto un indirizzo politico, tutta preparazione teorica «rivoluzionaria».

Nella quistione della dittatura proletaria il problema essenziale non è quello della personificazione fisica della funzione di comando. Il problema essenziale consiste nella natura dei rapporti che i capi o il capo hanno col partito della classe operaia, nei rapporti che esistono tra questo partito e la classe operaia: sono essi puramente gerarchici, di tipo militare, o sono di carattere storico e organico?

Il capo, il partito sono elementi della classe operaia, sono una parte della classe operaia, ne rappresentano gli interessi e le aspirazioni piú profonde e vitali, o ne sono una escrescenza, o sono una semplice sovrapposizione violenta? Come questo partito si è formato, come si è sviluppato, per quale processo è avvenuta la selezione degli uomini che lo dirigono? Perché è diventato il partito della classe operaia? È ciò avvenuto per caso?

Il problema diventa quello di tutto lo sviluppo storico della classe operaia, che lentamente si costituisce nella lotta contro la borghesia, registra qualche vittoria e subisce molte disfatte; e non solo della classe operaia di un singolo paese, ma di tutta la classe operaia mondiale, con le sue differenziazioni superficiali eppure tanto importanti in ogni momento separato, e con la sua sostanziale unità e omogeneità.

Il problema diventa quello della vitalità del marxismo, del suo essere o non essere la interpretazione piú sicura e profonda della natura e della storia, della possibilità che esso all’intuizione geniale dell’uomo politico dia anche un metodo infallibile, uno strumento di estrema precisione per esplorare il futuro, per prevedere gli avvenimenti di massa, per dirigerli e quindi padroneggiarli.

Il proletariato internazionale ha avuto ed ha tuttora un vivente esempio di un partito rivoluzionario che esercita la dittatura della classe; ha avuto e non ha piú, malauguratamente, l’esempio vivente piú caratteristico ed espressivo di chi sia un capo rivoluzionario, il compagno Lenin.

Il compagno Lenin è stato l’iniziatore di un nuovo processo di sviluppo della storia, ma lo è stato perché egli era anche l’esponente e l’ultimo piú individualizzato momento di tutto un processo di sviluppo della storia passata, non solo della Russia, ma del mondo intiero. Era egli divenuto per caso il capo del partito bolscevico? Per caso il partito bolscevico è diventato il partito dirigente del proletariato russo e quindi della nazione russa?

La selezione è durata trent’anni, è stata faticosissima, ha spesso assunto le forme apparentemente piú strane e piú assurde. Essa è avvenuta, nel campo internazionale, al contatto delle piú avanzate civiltà capitalistiche dell’Europa centrale e occidentale, nella lotta dei partiti e delle frazioni che costituivano la II Internazionale prima della guerra.

Essa è continuata nel seno della minoranza del socialismo internazionale, rimasta almeno parzialmente immune dal contagio socialpatriottico. Ha ripreso in Russia nella lotta per avere la maggioranza del proletariato, nella lotta per comprendere e interpretare i bisogni e le aspirazioni di una classe contadina innumerevole, dispersa su un immenso territorio. Continua tuttora, ogni giorno, perché ogni giorno bisogna comprendere, prevedere, provvedere.

Questa selezione è stata una lotta di frazioni, di piccoli gruppi, è stata lotta individuale, ha voluto dire scissioni e unificazioni, arresti, esilio, prigione, attentati: è stata resistenza contro lo scoraggiamento e contro l’orgoglio, ha voluto dire soffrire la fame avendo a disposizione dei milioni d’oro, ha voluto dire conservare lo spirito di un semplice operaio sul trono degli zar, non disperare anche se tutto sembrava perduto, ma ricominciare, con pazienza, con tenacia, mantenendo tutto il sangue freddo e il sorriso sulle labbra quando gli altri perdevano la testa.

Il Partito comunista russo, col suo capo Lenin, si era talmente legato a tutto lo sviluppo del suo proletariato russo, a tutto lo sviluppo, quindi, dell’intiera nazione russa, che non è possibile neppure immaginare l’uno senza l’altro, il proletariato classe dominante senza che il partito comunista sia il partito del governo e quindi senza che il Comitato centrale del partito sia l’ispiratore della politica del governo, senza che Lenin fosse il capo dello Stato. Lo stesso atteggiamento della grande maggioranza dei borghesi russi che dicevano: - una repubblica con a capo Lenin senza il partito comunista sarebbe anche il nostro ideale - aveva un grande significato storico.

Era la prova che il proletariato esercitava non solo piú un dominio fisico, ma dominava anche spiritualmente. In fondo, confusamente, anche il borghese russo comprendeva che Lenin non sarebbe potuto diventare e non avrebbe potuto rimanere capo dello Stato senza il dominio del proletariato, senza che il partito comunista fosse il partito del governo; la sua coscienza di classe gli impediva ancora di riconoscere oltre alla sua sconfitta fisica, immediata, anche la sua sconfitta ideologica e storica; ma già il dubbio era in lui, e questo dubbio si esprimeva in quella frase.

Un’altra quistione si presenta. È possibile, oggi, nel periodo della rivoluzione mondiale, che esistano «capi» fuori della classe operaia, che esistano capi non-marxisti, i quali non siano legati strettamente alla classe che incarna lo sviluppo progressivo di tutto il genere umano?

Abbiamo in Italia il regime fascista, abbiamo a capo del fascismo Benito Mussolini, abbiamo una ideologia ufficiale in cui il «capo» è divinizzato, è dichiarato infallibile, è preconizzato organizzatore e ispiratore di un rinato sacro romano impero. Vediamo stampati nei giornali, ogni giorno, decine e centinaia di telegrammi di omaggio delle vaste tribù locali al «capo». Vediamo le fotografie: la maschera piú indurita di un viso che già abbiamo visto nei comizi socialisti.

Conosciamo quel viso: conosciamo quel roteare degli occhi nelle orbite che nel passato dovevano, con la loro feroce meccanica, far venire i vermi alla borghesia e oggi al proletariato. Conosciamo quel pugno sempre chiuso alla minaccia. Conosciamo tutto questo meccanismo, tutto questo armamentario e comprendiamo che esso possa impressionare e muovere i precordi alla gioventù delle scuole borghesi; esso è veramente impressionante anche visto da vicino e fa stupire.

Ma «capo»? Abbiamo visto la settimana rossa del giugno 1914. Piú di tre milioni di lavoratori erano in piazza, scesi all’appello di Benito Mussolini, che da un anno circa, dall’eccidio di Roccagorga, li aveva preparati alla grande giornata, con tutti i mezzi tribunizi e giornalistici a disposizione del «capo» del partito socialista di allora, di Benito Mussolini: dalla vignetta di Scalarini al grande processo alle Assise di Milano.

Tre milioni di lavoratori erano scesi in piazza: mancò il «capo», che era Benito Mussolini. Mancò come «capo», non come individuo, perché raccontano che egli come individuo fosse coraggioso e a Milano sfidasse i cordoni e i moschetti dei carabinieri. Mancò come «capo», perché non era tale, perché, a sua stessa confessione, nel seno della direzione del partito socialista, non riusciva neanche ad avere ragione dei miserabili intrighi di Arturo Vella o di Angelica Balabanoff.

Egli era allora, come oggi, il tipo concentrato del piccolo borghese italiano, rabbioso, feroce impasto di tutti i detriti lasciati sul suolo nazionale dai vari secoli di dominazione degli stranieri e dei preti: non poteva essere il capo del proletariato; divenne il dittatore della borghesia, che ama le facce feroci quando ridiventa borbonica, che spera di vedere nella classe operaia lo stesso terrore che essa sentiva per quel roteare degli occhi e quel pugno chiuso teso alla minaccia.

La dittatura del proletariato è espansiva, non repressiva. Un continuo movimento si verifica dal basso in alto, un continuo ricambio attraverso tutte le capillarità sociali, una continua circolazione di uomini. Il capo che oggi piangiamo ha trovato una società in decomposizione, un pulviscolo umano, senza ordine e disciplina, perché in cinque anni di guerra si era essiccata la produzione, sorgente di ogni vita sociale. Tutto è stato riordinato e ricostruito, dalla fabbrica al governo, coi mezzi, sotto la direzione e il controllo del proletariato, di una classe nuova, cioè al governo e alla storia.

Benito Mussolini ha conquistato il governo e lo mantiene con la repressione piú violenta e arbitraria. Egli non ha dovuto organizzare una classe, ma solo il personale di una amministrazione. Ha smontato qualche congegno dello Stato, piú per vedere com’era fatto e impratichirsi del mestiere che per una necessità originaria. La sua dottrina è tutta nella maschera fisica, nel roteare degli occhi entro l’orbite, nel pugno chiuso sempre teso alla minaccia...

Roma non è nuova a questi scenari polverosi. Ha visto Romolo, ha visto Cesare Augusto e ha visto, al suo tramonto, Romolo Augustolo

* L’Ordine Nuovo, 1° marzo 1924. Non firmato. Poi nell’Unità, 6 novembre 1924, col titolo Lenin capo rivoluzionario, e firmato Antonio Gramsci. Cfr. Antonio Gramsci, Sul fascismo, pp. 98-100.

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Titolo articolo : DAGLI STATI UNITI DI OBAMA, UNA LEZIONE DI CARITA’ ("CHARITAS") PER BENEDETTO XVI E PER I VESCOVI. La scelta “sociale” dei cattolici e la sconfitta di Ryan. Una nota di Massimo Faggioli con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/08/2012 - 11:37:59.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/11/2012 14.55
Titolo:332 a 206: Barack Obama ce l’ha fatta,...
- su twitter: “altri quattro anni”

- Usa, Obama si conferma presidente:
- “Per noi il meglio deve ancora venire”
- Romney lo chiama: “Lavoriamo uniti”

- Barack Obama si è confermato presidente: immediata è esplosa la gioia a Chicago,alla sede dei democratici

- Il presidente si aggiudica almeno 285 grandi elettori
- ma nel voto popolare sostanziale parità al 49% *

ROMA Barack Obama ce l’ha fatta. Non sarà un presidente da un solo mandato, l’incubo che lo perseguitato in questi mesi di durissima campagna elettorale. Sarà lui a guidare l’America per i prossimi quattro anni. «Four More Years»: è stato ancora una volta uno slogan vincente a trascinarlo alla vittoria, come il «Yes We Can» del 2008. «Finirò quello che ho iniziato. Il meglio deve ancora venire», esulta rivolgendosi ai sostenitori in delirio: da Chicago, dove si trova il suo quartier generale, a New York, dove Time Square è gremita di gente in festa. Fino a Washington, dove la folla esulta davanti alla Casa Bianca. Proprio come quattro anni fa.

Eppure all’Election Day si era arrivati con un serratissimo testa a testa tra lui e Mitt Romney - quello sancito da tutti i principali sondaggi - che lasciava presagire una nottata elettorale difficilissima. Qualcuno agitava lo spettro del riconteggio dei voti in alcuni Stati in bilico - come in Florida nel 2000 - altri addirittura ipotizzavano uno storico pareggio.

Invece per Obama è filata via più liscia del previsto. E alla fine non è servito nemmeno aspettare il risultato del «Sunshine State»,la Florida, e nemmeno quello della cruciale Virginia. A rivelarsi decisivo - come ci si attendeva alla vigilia - è stato l’Ohio. Vinto questo Stato è bastato aspettare i risultati degli Stati della West Coast (dalla California a quello di Washington), e la soglia dei 270 elettori necessaria per l’agognata è stata superata.

Romney, che ha conquistato gli Stati del sud e ha confermato il testa a testa nel voto popolare, ha regalato un po’ di suspense. Non ha concesso immediatamente la vittoria. Dopo l’annuncio di tutti i media, l’ex governatore del Massachusetts ha aspettato un’ora prima di far sapere che aveva chiamato Obama per congratularsi. «Auguro al presidente, alla First Lady e alle loro figlie ogni bene. Questi sono tempi molto difficili per la nostra grande Nazione», ha detto rivolto ai supporter riuniti nel quartier generale di Boston su cui già da parecchio era calato un silenzio di tomba. Niente a che vedere con la folle esultanza del MacCormick Center di Chicago, dove gli obamiani hanno rivissuto le emozioni del 2008.

Ed è un Obama versione 2008 quella che sale sul palco: di nuovo la stessa grinta, la stessa ispirazione, nonostante l’enorme fatica delle ultime settimane. «Torno alla Casa Bianca più determinato che mai», promette nel tripudio generale, assicurando come «l’America migliore deve ancora venire». Come molto probabilmente deve ancora venire l’Obama migliore, quello che in questo secondo mandato potrà agire senza più essere condizionato dalla prospettiva di una rielezione, di una nuova campagna elettorale all’orizzonte. Un Obama che potrà dare a questo punto il massimo di sé stesso e che dovrà dimostrare non non fare promesse solo a parole, come insistentemente lo hanno accusato Mitt e i repubblicani .

Il presidente sa che non sarà facile far fronte alle promesse ancora rimaste evase. Gli americani gli hanno riconsegnato un Congresso spaccato, con la Camera ai repubblicani e il Senato ai democratici. Ma tende la mano e promette di lavorare per trovare «quei compromessi necessari per portare il Paese avanti». «Lavorerò con Romney - assicura - lavorerò con i leader di entrambe gli schieramenti per affrontare quelle sfide che possiamo risolvere solo insieme». A partire da quella del crescente debito pubblico e da quella della crescita e dell’occupazione: «L’economia si sta riprendendo», ha detto, sottolineando come manchi comunque ancora molto lavoro da fare. Lavoro che - è il suo appello - potrà essere compiuto se tutti si impegneranno a lavorare nella stessa direzione, quella dell’interesse generale del Paese, mettendo da parte il cinismo e le partigianerie.

Intanto l’America, il giorno dopo l’Election Day, fa passi avanti anche su alcune spinose questioni sociali. E grazie ai referendum svoltisi in concomitanza del voto si legalizzano le nozze gay nello Stato del Maine e l’uso della marijuana, anche per fini ricreativi, in Colorado e nello Stato di Washington. (Ansa)

* * La Stampa, 07/11/2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/11/2012 16.36
Titolo:Il presidente dei vescovi cattolici USA ...
Il cardinale di New York per il GOP

di Massimo Faggioli (Europa, 24 agosto 2012)

Il cardinale di New York Timothy Dolan, presidente dei vescovi cattolici americani, pronuncerà una preghiera di benedizione alla convention repubblicana dell’inizio della settimana prossima in Florida, proprio nella sera in cui Mitt Romney riceverà la nomination dal partito. Il portavoce del cardinale Dolan si è affrettato a precisare che l’apparizione del presidente della Conferenza episcopale sul palco del GOP non è un “endorsement”, un appoggio al ticket repubblicano. Ma è chiaramente un “non-endorsement endorsement” (analogo a quelle “scuse non-scuse” che si fanno dicendo “non era mia intenzione offendere nessuno, se ho offeso qualcuno”).

La decisione è senza precedenti storici*, e non perché violi la “separazione tra Stato e Chiesa” in America - una separazione che non impedisce a politica e religione di combinarsi come in nessun altro paese occidentale. È senza precedenti perché prassi vuole - non senza buoni motivi teologici - che sia semmai il vescovo locale (e non il presidente di tutti i vescovi americani) ad offrire una preghiera per un evento pubblico-politico di questo tipo.

Il presidente dei vescovi americani che prega alla consacrazione politica del candidato repubblicano alle presidenziali non è di certo solo “un sacerdote che va alla convention per pregare”, come hanno tentato di dire in maniera tutt’altro che ingenua dalla curia di New York. La precisazione del portavoce di Dolan sembra voler dire che il cardinale è aperto anche ad un invito dei democratici alla loro convention di inizio settembre a Charlotte: ma dopo i rapporti tempestosi degli ultimi due anni tra vescovi e Obama, il messaggio di Dolan alla convention dei democrats potrebbe essere molto diverso dalla benedizione rivolta al duo Romney-Ryan.

Nei tre anni da arcivescovo di New York, Dolan ha più volte mostrato di non aver paura di sfidare le prassi consolidate: il funzionamento della Conferenza episcopale, i rapporti coi media, e i rapporti tra chiesa cattolica e politica e con l’amministrazione Obama in particolare.

Contro la Casa Bianca, nella primavera-estate 2012 i vescovi guidati da Dolan hanno mosso una campagna senza precedenti in nome della difesa della libertà religiosa, a loro dire violata da alcune norme della riforma sanitaria che sta per entrare in vigore.

La mossa di Dolan si avvicina molto ad un’investitura del ticket Romney-Ryan. Contrariamente al cattolico Joe Biden, uno degli ultimi “cattolici sociali” vecchia scuola, il candidato alla vicepresidenza Paul Ryan è il tipo di cattolico che piace a Dolan e al cattolicesimo neo-conservatore e neo-liberista americano. Pro-life e pro-business, distante dal magistero sociale dei vescovi americani degli anni ottanta, il giovane Ryan ha ricevuto pubbliche parole di elogio dal cardinale Dolan, mentre nell’aprile scorso una commissione dell’episcopato americano aveva bocciato il “piano Ryan” per la riduzione del deficit con queste parole: “la riduzione del deficit deve proteggere e non danneggiare le necessità dei poveri e dei vulnerabili. I tagli proposti falliscono in questo minimo requisito morale”.

La decisione di pregare sul palco del GOP a Tampa avrà molteplici conseguenze. Dal punto di vista ecclesiale, la mossa di Dolan dividerà ulteriormente la chiesa americana, che già vede, quando si tratta delle emergenze sociali del paese, i cattolici schierati su posizioni opposte: gran parte dei vescovi e i cattolici neo-liberisti col Partito repubblicano, e la maggioranza dei teologi, delle suore e dei laici col Partito democratico.

Dal punto di vista politico, Dolan espone la chiesa cattolica americana nei confronti di un partito e di un ticket presidenziale come non mai prima: c’è solo da immaginare quale tipo di relazioni si avrebbero tra Dolan e la Casa Bianca se Obama dovesse rivincere le elezioni.

Dal punto di vista culturale, infine, le elezioni del 2012 segnalano un passaggio epocale verso l’epoca post-protestante: non solo non c’è nessun protestante bianco in nessuno dei due ticket, ma la questione religiosa della campagna elettorale non ruota più attorno al valore morale della Bibbia, ma attorno alle interpretazioni della dottrina sociale della chiesa cattolica nella società americana.

Circa un secolo fa, l’America usciva dall’era dei “robber barons” e della “gilded age” per diventare, anche grazie al magistero sociale della chiesa cattolica e al “social gospel” protestante, un paese meno ineguale e con un sistema di protezioni sociali che il GOP ha deciso oggi di eliminare in nome di un “vangelo della prosperità” che suona molto più Gordon Gekko che Gesù di Nazareth. Il cardinale Dolan, prete cattolico con un dottorato in storia, lo sa certamente, ma ha deciso che la cultura liberal del Partito democratico è il vero nemico della chiesa americana e che per combatterla ogni mezzo è legittimo. Si può contare sul fatto che questa dichiarazione di guerra sarà ricambiata dall’altra metà del paese contro i vescovi, con conseguenze di lungo periodo che oggi sono difficilmente calcolabili per i fedeli della chiesa cattolica più grande d’Occidente.

* (errata corrige: c’è un precedente storico. Il cardinale Krol, presidente dei vescovi USA, fece lo stesso alla Convention repubblicana del 1972 per Nixon)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/11/2012 11.37
Titolo:La Chiesa americana, con l’appoggio papale, è scesa in campo ...
La Chiesa delusa Aveva puntato sui valori di Mitt

Aborto e sanità obbligatoria, i “peccati” di Obama

di Andrea Tornielli (La Stampa, 8.11.2012)

Benedetto XVI ha inviato un messaggio a Obama, pregando Dio «perché lo assista nelle sue altissime responsabilità di fronte al Paese e alla comunità internazionale» e perché «gli ideali di libertà e giustizia» che hanno guidato i padri fondatori «continuino a risplendere nel cammino della nazione».

Il portavoce, padre Federico Lombardi, ha aggiunto l’augurio che il Presidente «possa servire il diritto e la giustizia» nel «rispetto dei valori umani e spirituali essenziali, nella promozione della cultura della vita e della libertà religiosa». Accenni non casuali, dato che negli ultimi mesi proprio su questi temi a Obama erano arrivate le critiche accese dalla nuova leadership dei vescovi Usa di nomina ratzingeriana.

L’atteggiamento della Santa Sede appare ben più cauto rispetto al novembre 2008. Allora, appena eletto Obama, «L’Osservatore Romano» titolò: «Una scelta che unisce». Il quotidiano vaticano, accusato dai prelati Usa di troppo entusiasmo, oggi invece sottolinea che «l’ondata di speranza in un cambiamento radicale montata quattro anni fa è ormai esaurita».

Nei sacri palazzi abita una pattuglia di prelati americani che speravano nella vittoria di Mitt Romney: il cardinale Raymond Burke, Prefetto della Segnatura, noto per le sue posizioni contrarie a Obama; l’assessore della Segreteria di Stato, Peter Brian Wells e il Prefetto della Casa Pontificia, James Harvey. Contrari anche due porporati curiali ormai pensionati, Bernard Law e James Stafford.

Con Obama il Vaticano ha molte consonanze sulla politica internazionale: la lotta alla povertà, il dialogo con l’Islam, la ricerca di soluzioni diplomatiche per le crisi in Siria e in Iran e la questione palestinese, la gestione dell’immigrazione.

Ma per Benedetto XVI e i suoi collaboratori in Segreteria di Stato rimane imprescindibile il richiamo ai valori «non negoziabili». Non a caso, ricevendolo nel luglio 2009, Ratzinger donò a Obama copia dell’istruzione «Dignitas personae», dedicata alla bioetica e alla dignità da riconoscere a ogni essere umano fin dal concepimento.


La Chiesa americana, con l’appoggio papale, è scesa in campo massicciamente.

Il cardinale di New York Timothy Dolan ha definito «sconsiderata» la decisione di rendere obbligatoria anche per le associazioni religiose l’assicurazione sanitaria per i dipendenti, che comprende rimborsi per la contraccezione e l’aborto. Il cardinale di Chicago Francis George ha invitato il clero a «istruire» i fedeli alla vigilia del voto.

Il vescovo Daniel Jenky ha chiesto ai preti di leggere dal pulpito una lettera anti-Obama, mentre l’arcivescovo di Baltimora, William E. Lori, ha bollato la riforma sanitaria come «minaccia alla libertà religiosa».

Una battaglia che ha trovato sponde anche al di qua dell’Oceano, come quella della Fondazione «Giovanni Paolo II per il Magistero sociale» presieduta dal vescovo di San Marino Luigi Negri, che ha diffuso una nota augurandosi che il popolo americano «non abbia a pentirsi» della scelta.

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Commenti Articolo 701

Titolo articolo : MICHELANGELO E LA VOLTA DELLA SISTINA (1512-2012): I PROFETI INSIEME ALLE SIBILLE PER LA CHIESA UN GROSSO PROBLEMA. Per il cardinale Ravasi ancora l'elemento più curioso. Una nota,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/07/2012 - 18:20:58.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/11/2012 14.52
Titolo:La Volta Sistina compie 500 anni ...
La Volta Sistina compie 500 anni

di Antonio Paolucci (Il Sole-24 Ore, 28 ottobre 2012)

Ci sono date destinate a rimanere indimenticabili nella universale storia delle arti. Una di queste è il 1508. Quell’anno Giulio II della Rovere un vecchio papa che sembrava amare la politica, la diplomazia e la guerra più di quanto non amasse la pittura, chiama al suo cospetto due artisti. Uno è un ragazzo di appena venticinque anni, Raffaello Sanzio da Urbino, e a lui chiede di dipingergli ad affresco le pareti del suo appartamento privato, le Stanze più famose del mondo, quelle che da allora in poi tutti conosceranno come "di Raffaello".

L’altro è Michelangelo Buonarroti, giovane uomo di trentatré anni, celebre per i capolavori di scultura (la Pietà di San Pietro, il David di Piazza della Signoria) lasciati a Roma e a Firenze. A quest’ultimo affida la decorazione della volta nella "cappella magna" che quasi trent’anni prima (1481-83) il papa all’epoca regnante, lo zio Sisto IV, aveva fatto affrescare lungo le pareti dai grandi professionisti umbri e toscani di quegli anni; dal Ghirlandaio, dal Botticelli, dal Perugino, fra gli altri.

Incomincia così nel 1508 l’avventura della volta della Sistina, il duello, quasi il corpo a corpo di Michelangelo con gli oltre mille metri quadrati di intonaco da riempire di centinaia di figure. Il contratto è dell’8 Maggio 1508, l’inaugurazione della prima parte, dall’ingresso fino al centro, è del 15 agosto del 1511, del 31 ottobre 1512 la conclusione dei lavori.

Nel pomeriggio del 31 ottobre di Cinquecento anni fa, ai Vespri della vigilia di Ognissanti, il Papa (con «17 cardinali in cappa festiva» scrive il cronista) inaugurava la grande impresa. Da quei più di mille metri di pittura oggi sospesi sui cinque milioni di visitatori che ogni anno attraversano la Sistina, è precipitato sulla storia dell’arte italiana ed europea - scriverà il Wölfflin nel 1899 con una bella metafora - qualcosa di paragonabile a un «violento torrente montano portatore di felicità e al tempo stesso di devastazione».

Di fatto, dopo la volta della Sistina, nulla sarà più come prima. Incomincia da quel 31 ottobre del 1512 la stagione che i manuali chiamano del Manierismo. Al punto che Giorgio Vasari, in un passaggio famoso delle Vite, potrà scrivere: «questa opera è stata ed è veramente la lucerna dell’arte nostra, che ha fatto tanto giovamento e lume all’arte della pittura, che ha bastato a illuminare il mondo». In una trentina di parole tre volte con tre diversi vocaboli ("lucerna", "lume", "illuminare") il Vasari esalta il concetto di un’opera destinata a svelare e a guidare il destino delle arti nel tempo a venire. In un certo senso le cose sono andate proprio così, a tal punto grande è stata l’influenza che quegli affreschi hanno esercitato sugli artisti d’Italia e d’Europa.

La bibliografia sulla volta della Sistina è così vasta che basterebbe a riempire una biblioteca di medie dimensioni. Del resto l’immane sciarada teologico scritturale che Michelangelo dispiegò nel cielo della "cappella magna" offre di continuo occasioni di singolari interpretazioni e decodificazioni. Il formidabile genio mitopoietico del Buonarroti, la sua ineguagliata capacità di inventare situazioni iconografiche radicalmente nuove, spalancano praterie sterminate agli esegeti contemporanei, specie a quelli di scuola americana.

Per esempio. Di recente, qualcuno con una ipotesi certo fantasiosa e improbabile però suggestiva, ha voluto riconoscere nel gruppo di Dio Padre circondato dagli angeli che "crea" un Adamo già esistente e perfettamente formato, il profilo di un cervello umano. Quasi che quella scena fosse il manifesto di un Michelangelo creazionista precursore del "disegno intelligente".

Molte cose si sono dette e si diranno ancora sulla volta della Sistina. A me piace ricordare l’impresa della volta così come ce la racconta Michelangelo stesso in un celebre sonetto autocaricaturale il cui originale si conserva negli archivi di Casa Buonarroti a Firenze.

- I’ho già fatto un gozzo in questo stento
- come fa l’acqua a’ gacti in Lombardia
- o ver d’altro paese che si sia,
- ch’a forza ’l ventre appicco sotto l’mento
- la barba al ciel, e la memoria sento
- in sullo scrigno, e l’pecto fo d’arpia
- e ’l pennel sopra ’l viso tuctavia
- mel fa, gocciando, un ricco pavimento...

Il testo è grottesco, surreale, sulfureo. Parla di un uomo che il lavoro stravolge e disarticola, che non si sente adatto, da scultore, alla pratica della pittura a fresco, che prova rabbia, delusione, sconforto e che pure è capace di esaltare con due versi bellissimi («e ’l pennel sopra ’l viso tuctavia mel fa gocciando un ricco pavimento») la faticosa gloria dell’arte.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/11/2012 12.42
Titolo:Benedetto XVI ripete la liturgia inaugurale seguita da Giulio II ...
Il Papa: “La cappella Sistina? E’ illuminata dalla luce di Dio”

Benedetto XVI , 500 anni dopo, ripete la liturgia inaugurale seguita da Giulio II per gli affreschi di Michelangelo

di redazione *

Roma. «È la luce di Dio quella che illumina questi affreschi e l’intera Cappella Papale». Così Benedetto XVI ha parlato questo pomeriggio degli affreschi della Cappella Sistina, durante la celebrazione dei Vespri in occasione del cinquecentenario della volta dipinta da Michelangelo. Il Pontefice ha voluto ripetere lo stesso rito con cui il 31 ottobre del 1512 papa Giulio II Della Rovere, alla vigilia della festa di Tutti i Santi, inaugurò la volta affrescata da Michelangelo in quattro anni, dal 1508 al 1512.

«Il grande artista - ha detto Ratzinger nell’omelia -, già celebre per capolavori di scultura, affrontò l’impresa di dipingere più di mille metri quadrati di intonaco, e possiamo immaginare che l’effetto prodotto su chi per la prima volta la vide compiuta dovette essere davvero impressionante».

«Da questo immenso affresco è precipitato sulla storia dell’arte italiana ed europea - dirà il Woelfflin nel 1899 con una bella e ormai celebre metafora - qualcosa di paragonabile a un ’violento torrente montano portatore di felicità e al tempo stesso di devastazione”: nulla rimase più come prima», ha osservato il Papa, che ha ricordato anche le parole di Giorgio Vasari, in un passaggio delle “Vite”: «Questa opera è stata ed è veramente la lucerna dell’arte nostra, che ha fatto tantogiovamento e lume all’arte della pittura, che ha bastato a illuminare il mondo».

«Lucerna, lume, illuminare - ha sottolineato Benedetto XVI -: tre parole del Vasari che non saranno state lontane dal cuore di chi era presente alla Celebrazione dei Vespri di quel 31 ottobre 1512. Ma non si tratta solo di luce che viene dal sapiente uso del colore ricco di contrasti, o dal movimento che anima il capolavoro michelangiolesco, ma dall’idea che percorre la grande volta: è la luce di Dio quella che illumina questi affreschi e l’intera Cappella Papale». «Quella luce - ha aggiunto il Pontefice - che con la sua potenza vince il caos e l’oscurità per donare vita: nella creazione e nella redenzione».

E secondo Ratzinger, «la Cappella Sistina narra questa storia di luce, di liberazione, di salvezza, parla del rapporto di Dio con l’umanità». «Con un’intensità espressiva unica - ha proseguito -, il grande artista disegna il Dio Creatore, la sua azione, la sua potenza, per dire con evidenza che il mondo non è prodotto dell’oscurità, del caso, dell’assurdo, ma deriva da un’Intelligenza, da una Libertà, da un supremo atto di Amore. In quell’incontro tra il dito di Dio e quello dell’uomo, noi percepiamo il contatto tra il cielo e la terra; in Adamo Dio entra in una relazione nuova con la sua creazione, l’uomo è in diretto rapporto con Lui, è chiamato da Lui, è a immagine e somiglianza di Dio».

Secondo Benedetto XVI, infine, «vent’anni dopo, nel Giudizio Universale, Michelangelo concluderà la grande parabola del cammino dell’umanità, spingendo lo sguardo al compimento di questa realtà del mondo e dell’uomo, all’incontro definitivo con il Cristo Giudice dei vivi e dei morti»

* La Stampa / Vatican Insider, 31/10/2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/11/2012 21.45
Titolo:“La Chiesa ha una visione distorta delle donne”
Anne Soupa: “La Chiesa ha una visione distorta delle donne”

intervista a Anne Soupa,

a cura di Philippe Clanché

in “www.temoignagechretien.fr” del 4 ottobre 2012

(traduzione: www.finesettimana.org)



In “Dieu aime-t-il les femmes?” (Dio ama le donne?) la biblista Anne Soupa afferma che la visione delle donne da parte della Chiesa sarebbe nata da un equivoco nell’interpretazione della Genesi e da un rifiuto di rielaborare tale interpretazione.



Come è giunta ad interessarsi del problema dello status delle donne nella Bibbia?

È un problema a cui penso da molto tempo. Sono convinta che la Chiesa abbia una visione distorta delle donne e che sia necessario rettificarla. Ho voluto affrontare il problema partendo dalla Bibbia, perché non sopporto la manipolazione di cui sono oggetto le Scritture, semplicemente per giustificare scelte culturali che non hanno niente a che vedere con la fede.

E pensa che tutto derivi da un errore di interpretazione di un passo della Genesi?

Nei due racconti della Genesi della creazione dell’uomo, Dio crea prima l’ha’adam, fatto d’argilla, l’essere umano generico. Il commentatore maschio - perché storicamente è un uomo - , vi si è rispecchiato e si è appropriato di questo essere umano generico per dire che si trattava di lui. Quello è l’errore originale. I lettori medioevali ne hanno tratto la conclusione che la donna fosse una creazione seconda, nel tempo e per importanza, e soprattutto che fosse un aiuto per l’uomo. Ma se l’uomo maschio non esiste ancora, come potrebbe la donna essere il suo aiuto? Eppure, è proprio su questa lettura sbagliata di Genesi 2, 18-24 che si è basato il magistero cattolico. Non si tratta di un problema di vocabolario. La lingua tedesca, che pure dispone di due termini diversi (Mensch, l’essere umano, e Mann, l’uomo) conserva questa confusione... Bisognerebbe ormai compiere un percorso ufficiale per far sì che vengano distinti l’essere umano e l’uomo maschio.

E tuttavia, la creazione divina si struttura sulla differenza dei sessi?

Dio ha effettivamente creato la differenza dei sessi, ma il testo della Genesi non dà alcun contenuto oggettivo a questa differenza. Per ciascuno e ciascuna, essa sorge dall’esperienza. Dio non dice che la donna è frivola, seducente, segreta, regina della casa e che l’uomo è potente, razionale, inquisitore. Dio non ha creato né il femminile, né il maschile, che sono invece caratteristiche culturali.

In senso più ampio, come considera le donne l’Antico Testamento?

Certe donne sono vittime di violenze terribili, come la concubina del levita violentata fino alla morte. Ma la Bibbia denuncia tali atti. Non dimentica mai che la donna è creatura di Dio. Nel progetto biblico, le donne hanno un ruolo decisivo: dicono che Dio prospetta percorsi insospettati. Si scopre ora il contributo importante delle donne profetesse nella Bibbia. Naturalmente, come in ogni società patriarcale, le loro funzioni sono legate alla vita familiare.

Nel Vangelo, lei presenta un Gesù con caratteristiche “femminili” (non violenza, tenerezza, ascolto) e, allo stesso tempo, innamorato delle donne.

Gesù ha mandato all’aria i codici culturali della sua epoca. È stato libero rispetto al “maschile” del suo tempo. Ha ridato alle donne uno spazio. Ed è da uomo che le considera. Tutte le nostre relazioni umane sono caratterizzate dalla sessualità. In Gesù e nelle sue interlocutrici, c’è una innegabile parte di sessualità passiva. Inoltre, il desiderio di Dio, a partire dai profeti, viene evocato con la metafora delle nozze, della vita amorosa. Nulla di sorprendente che alcuni abbiano creduto di vedervi una relazione scandalosa tra Cristo e Maria Maddalena. È il campo d’azione della vita spirituale: è una relazione amorosa sublimata.

Femminile, maschile... il “genere” è un aspetto da tener presente della relazione con Dio?

I grandi spirituali hanno insistito sulla femminilità dell’anima che accoglie Dio. Ne hanno certo diritto: il femminile, come il maschile, appartengono a tutti. Ma in questo modo, in una società a dominanza maschile come quella del Medio Evo, si sono per di più arrogati il femminile. E, stando così le cose, ne hanno quasi privato le “vere” donne, che finiscono per non essere più necessarie! L’interpretazione del Cantico dei cantici mostra chiaramente questa “espropriazione”. La storia d’amore che racconta è stata intesa da quasi tutti i commentatori cristiani come un’immagine dell’amore tra l’essere umano e Dio. Ma così l’Amata del Cantico scompare in quanto vera donna, non è altro che l’icona di colui che desidera Dio.

Ed è proprio a partire dal Cantico dei Cantici che l’assimilazione tra l’Amata del testo e il popolo dei fedeli fa nascere l’espressione “Chiesa, sposa di Cristo”?

Sono soprattutto i profeti che hanno sviluppato questo tema del popolo-sposa di Dio (e Dio viene così mascolinizzato). E, sfruttando questo filone, anche i teologi, Paolo per primo, hanno sviluppato il tema della Chiesa sposa di Cristo. Ma quella che era solo un’immagine, ed anche una richiesta di maggiore fedeltà a Dio, è diventata una norma che regge i veri rapporti dei veri uomini e delle vere donne nella Chiesa. Ed è su questo che si basa la Chiesa per escludere le donne dal sacramento dell’ordine. Le donne, dice, non possono esprimere il Cristo sposo. Ecco come si fa di una metafora uno strumento di esclusione.

Nei primi secoli del cristianesimo, però, le donne esercitavano dei ministeri. Sotto un ritratto nella chiesa di Santa Prassede a Roma, si legge: Theodora episcopa(il vescovo Theodora). Perché lei situa la svolta al momento della riforma gregoriana (XI-XII secolo)?

La riforma gregoriana affida ai soli preti le tre funzioni tradizionali nella Chiesa: governare, insegnare, santificare. Le donne (come i laici uomini) ne sono quindi escluse, fino ad oggi. E inoltre, nel XIII secolo, la Chiesa inizia la guerra contro i preti sposati. Quella decisione suscita molte resistenze, che generano, in risposta, vere campagne di discredito nei confronti delle donne. Sermoni e rappresentazioni iconografiche associano la donna al serpente della Genesi, come sull’architrave della cattedrale di Autun, ad esempio. Allora, le donne occupano altri spazi. Come ogni popolazione minacciata che fugge verso le montagne o i deserti, le donne si rifugiano nel misticismo o nell’avventura coloniale, in Canada, ad esempio.

In quale momento la Chiesa ha creato la vocazione della donna-madre, della donna-ventre che si realizza innanzitutto nella maternità?

Questa concezione è antica, abbiamo visto che la Bibbia ne riconosce la nobiltà. Ma la maternità non dice tutto di un essere umano. Non definisce un’identità. Nel XX secolo, la promozione della donna nelle società civili ha obbligato Roma a prendere posizione. Ma il Vaticano si è limitata a riprendere il discorso delle società patriarcali, senza vedere che l’emancipazione femminile la chiamava ad un discorso nuovo. Tanto ha sostenuto un tempo la causa delle donne, altrettanto frena oggi la corrente di emancipazione che arriva fino a lei, senza dubbio perché non ci sono abbastanza donne al suo interno per aiutarla a prendere coscienza dell’importanza di questa liberazione. Ad esempio, Roma continua a prendere alla lettera la maledizione della Genesi: Dio moltiplicherà il dolore delle gravidanze della donna e l’uomo dovrà lavorare la terra col sudore della fronte. Per la donna, la maternità diventa ontologica per la donna. Ma agli uomini Roma non chiede di tornare ad essere agricoltori... Oggi siamo in una situazione “folle”: il Magistero parla al posto delle donne e non dà loro la parola. Si arroga il diritto di assegnare loro una vocazione specifica che non ha l’equivalente per i maschi.

Abbiamo parlato del rifiuto di Roma del presbiterato al femminile. Perché lei non ne fa un asse portante della sua richiesta?

Il ministero presbiterale è in crisi. Deve innanzitutto risolvere i suoi problemi. Ordinare delle donne non serve a niente se il quadro è sbilenco. Invece, è importante aprire alle donne la possibilità della predicazione e dell’assunzione di funzioni di responsabilità nella Chiesa. È urgente che si senta la loro voce. Essendo diretta solo dal clero, la Chiesa si priva di sangue nuovo. Si devitalizza.

Quale ruolo svolgono le femministe cattoliche?

Hanno riflettuto soprattutto sugli aspetti teologici ed ecclesiologici, in particolare sui ministeri. Una generazione di esegete comincia a pubblicare. Questo è bene, perché è a partire da una lettura nuova della Scrittura che le cose possono cambiare. Si può anche immaginare un sinodo delle donne, idea che propongo alla fine del mio libro. In tale circostanza potrebbero emergere delle mozioni specificamente femminili e, perché no, dei voti che uniscono uomini e donne. Ho lanciato l’idea, resto in attesa di che cosa ne pensa il pubblico. La questione delle donne è talmente scottante! Non si può restare in silenzio davanti ad una negazione così grave del messaggio evangelico.

Anne Soupa, Dieu aime-t-il les femmes?, Médiaspaul, p. 144, € 19

Biblista e militante

Anne Soupa ha studiato teologia all’Institut de pédagogie de l’Enseignement religieux (Iper) di Lione, poi nelle facoltà cattoliche di Lione e di Parigi. Ha lavorato come biblista, in particolare dirigendo la rivista Biblia presso la casa editrice Cerf. È diventata famosa come promotrice, insieme all’editrice e saggista Christine Pedotti, del Comité de la Jupe e della Conférence catholique des baptisé-e-s francophones, che hanno l’obiettivo di difendere la dignità delle donne e la dignità dei battezzati e delle battezzate. Insieme hanno raccontato queste avventure nel libro Les pieds dans le bénitier, Presses de la Renaissance, 2009.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/11/2012 18.20
Titolo:Il papiro della moglie di Gesù non è un falso ...
Il papiro della moglie di Gesù non è un falso

Clamoroso: il papiro della moglie di Gesù non è falso. A un passo dalla verità. In risposta all’Osservatore Romano e a Voyager, la rivista Fenix pubblica un dossier su Maria Maddalena come possibile moglie di Gesù e una serie di prove sull’autenticità della pergamena *

Il ritrovamento del papiro in cui Gesù parla di una moglie, ha scatenato lo scorso settembre una bomba mediatica senza precedenti. Non ci è voluto molto perché venisse prontamente smentito e ridiscusso, per inserirlo in quel limbo di incertezza in cui si trova tutto ciò che può disturbare i solidi dogmi della Chiesa. Eppure la figura di Maria Maddalena, l’ipotetica moglie di Gesù, ha sempre condotto con sé un alone di interrogativi; perché viene data tanta importanza ad una donna comune alle altre discepole?

La rivista Fenix di novembre 2012 rivela in esclusiva le verità nascoste di Maria Maddalena come presunta moglie di Gesù.

“L’esistenza di tale documento, se confermato nella sua autenticità, dimostrerebbe che una setta cristiana nel II secolo credeva in questa unione. Una scoperta la cui smentita del Vaticano tramite i mass media sembra essere solo stata orchestrata ad arte per le difficoltà che questo frammento, se autentico, genererebbe” con queste parole la giornalista Elisa Bosco avvia il dossier interamente dedicato alla donna che sta emergendo come nuova Dea della cristianità. Nell’articolo della Bosco vengono coinvolti insigni professori quali il prof. Shisha-Halevy, Robert Bagnall direttore dell’Istituto per il Mondo Antico di NY e James Tabor della North Carolina University, di cui è riportata una sua lunga dichiarazione, a favore dell’autenticità del documento.

“Dato il particolare contenuto, abbiamo preso in seria considerazione l’analisi per stabilire se si trattasse di frammento autentico o di un falso.” dichiara in maniera obiettiva Karen King, la scopritrice del papiro “Sinceramente ritengo che sarebbe stato molto difficile riprodurre volontariamente il tipo di danneggiamento tipico da insetti, o il grado di umidità che il materiale present o il danneggiamento dell’inchiostro. Inoltre, vi sono anche altri fattori che porterebbero a propendere per la sua autenticità.”

Dichiarazioni queste prontamente smentite da testate come l’Osservatore Romano che, senza accettare ulteriori prove scientifiche, hanno dichiarato il documento come “falso, in ogni caso”, ovvero falso qualsiasi sia il risultato. Ed invece le prime analisi propendono per il contrario, il papiro presenta proprietà a favore della sua autenticità, elencate nell’articolo della Bosco.

Il dossier su Maria Maddalena prosegue con l’articolo di Isabella Dalla Vecchia di luoghimisteriosi.it in cui vengono elencati i luoghi italiani della presenza segreta di Maria Maddalena. Non solo quadri, ma angoli di passaggio e tutto ciò che riguarda colei che da sempre viene identificata con una donna particolarmente vicina a Gesù. Una figura irraggiungibile perché nessuno sa dove si trovi, eppure ella è accanto a noi, in ogni angolo del nostro bellissimo Paese. “Sopra il portale del Duomo dell’isola de La Maddalena campeggia un’epigrafe le cui prime parole sono Divae Magdalene, che significano “Dea Maddalena”, - scrive la ricercatrice Isabella Dalla Vecchia - davvero singolare l’attribuzione della Santa all’appellativo di Dea. Questo a riprova della figura di Maria come incarnazione umana della Sophia, compagna e sposa universale di Cristo, la vera Dea del Cristianesimo e, guarda caso, si trova proprio nel luogo dove soggiornò e dove si trova il suo tesoro”.

Oltre alla figura della donna accanto a Gesù nelle ultime cene identificata con Maria Maddalena, vengono elencate le opere in cui si narra della vita apocrifa della Santa, dall’altare a lei dedicato nel Duomo di Bari, la chiesa per eccellenza legata alla presenza del Graal, fino alla testimonianza del suo passaggio in terra sarda.

Adriano Forgione, direttore del giornale, invece parla in esclusiva della simbologia nascosta della Santa, presentando un’immagine semplice ma estremamente ricca di significato incisa nei luoghi più legati a Maria e ai Templari. “Il segno della Maddalena è l’indizio di quanto la sua figura sia associabile alla Grande Dea Madre primordiale e sia frutto di una tradizione antica quanto la civiltà in relazione al “parto” o alla “nascita” di un erede divino.” dichiara Adriano Forgione nel suo approfondimento a chiusura dell’intero dossier. “Da questa porta pare farsi strada la figura di quella Dea Madre universale che giustificherebbe la definizione di “Dea Maddalena”.

E’ proprio la nuova Dea del Cristianesimo a divenire protagonista in un momento particolare che affronteremo a breve, quello del 21 dicembre 2012, quello definito come il “momento di passaggio in un’era illuminata”. Saremo proprio noi, con tali forti interrogativi, a contribuire a questo grande cambiamento?

* Affari italiani, Martedì, 6 novembre 2012

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Commenti Articolo 702

Titolo articolo : LA POLITICA E IL CIBO. TERRA MADRE (E STATO MATRIGNO E CHIESA MATRIGNA) E SLOW FOOD. La sovranità che conta di più. Materiali per riflettere (Trilussa, Barbara Spinelli, Luciana Castellina, e altre note),a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/05/2012 - 18:34:10.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/11/2012 18.34
Titolo:MAFIA IN TAVOLA/ Agro-criminalità e inquinamento ...
MAFIA IN TAVOLA/ Agro-criminalità e inquinamento ortofrutticolo




La contraffazione dei prodotti alimentari e dei marchi è il segnale di organizzazioni mafiose a monte. Oltre ad arrecare danni all’UE, le manipolazioni alimentari vanno a danneggiare in primis i cittadini, la loro salute e le loro tasche ma nonostante tutto il fenomeno è in aumento. Esiste, poi, la criminalità agricola che negli ultimi 5 anni ha visto circa 25 mila imprese chiudere per usura e debiti e oltre 350 mila agricoltori subire danni della criminalità. E intanto sulle nostre tavole arrivano prodotti ortofrutticoli ricchi di pesticidi cancerogeni.



di Maria Cristina Giovannitti *

La criminalità alimentare è un fenomeno, soprattutto negli ultimi anni, in forte aumento e vista la dannosità di massa che può apportare ai cittadini diventa sempre più un terrorismo alimentare. La criminalità – camorra,’ndrangheta e mafia- in toto è interessata, indistintamente, all’agro-alimentare perché ‘terreno’ fertile e duraturo, visto che gli alimenti sono bisogni primari necessari. Per le mafie investire nell’agricoltura e nell’alimentazione significa avere garanzie certe. E così accade sempre più spesso che i clan accorpano ettari di terreni, li acquistano e lì investono costruendo centri commerciali che servono a sbaragliare la concorrenza, strozzando il mercato locale e tenendo in pugno l’economia del posto. L’agricoltore, sfavorito dal suo lavoro isolato, molto spesso è una preda vulnerabile ed agognata dalla malavita e cede a certi compromessi. Secondo questa logica un terzo degli agricoltori -350 mila- subisce danni dalla criminalità e sono colpiti da 240 reati al giorno -8 ogni ora: in aumento l’abigeato –il rapimento di bestiame-, le contraffazioni dei marchi alimentari a danno dell’Unione Europea, le macellazioni clandestine e le discariche abusive. Il business delle mafie sull’agricoltura è molto alto: si stima un guadagno di circa 50 miliardi di euro all’anno.

COSA ARRIVA SULLE NOSTRE TAVOLE? - Secondo il dossier ‘Pesticidi nel piatto’ i prodotti ortofrutticoli sono pieni di pesticidi, usati in agricoltura per preservare il prodotto ma cancerogeni per la nostra salute. La tossicità delle sostanze pesticidi deriva dalla loro unione con altri principi attivi resi dannosi. Per esempio nella frutta c’è gran parte dei multi residui –è il quantitativo di residui chimici/ tossici che si trovano negli alimenti- in particolare il 52, 4 per cento è nelle pere, il 44,7 per cento è nell’uva, 43,3 per cento nelle mele e 42 per cento di sostanze chimiche si trovano nelle fragole. Nella provincia di Bolzano circa il 65 per cento delle mele contiene multi residui. Tra gli illeciti alimentari si riscontra un alto numero di irregolarità in Emilia Romagna con campioni di pere, fragole, pesche e ciliegie di cui non sappiamo neanche la provenienza europea o non e in Veneto dove in fragole e piselli sono state riscontrate sostanze chimiche in Italia bandite da anni.


QUALI SONO I DANNI DEI PESTICIDI? - Il problema riguarda la salute del cittadino e anche l’ambiente perché nel momento in cui i pesticidi vengono utilizzati in agricoltura, si inquina il terreno e le acque. Teniamo conto che una sostanza può essere innocua da sola ma combinata con altre può dare tossicità. La lunga esposizione ai pesticidi porta problemi alla tiroide –in particolare sviluppa l’ipotiroidismo- e il morbo di Parkinson. Gli effetti si riscontrano anche dopo decenni. Per esempio l’uso del DDT, proibito in Italia dagli anni ’50, oggi è usato sottoforma di DDE ed aumenta i rischi di tumore al seno.

Il grande problema è reso da una NORMATIVA del tutto inesistente in Italia, manca un regolamento specifico che si esprima in merito al problema dei multi residui negli alimenti e che studi l’azione combinata dei vari principi chimici, che è causa di tossicità. Bisognerebbe mettere appunto quali sono i rischi combinati dall’uso e dall’esposizione ai pesticidi anche se il Governo si muove indifferente in tal senso: sulla questione pesticidi c’è un disegno di legge che giace in Senato ormai da tre anni.

* l'Infiltrato, Domenica 04 Novembre 2012:

http://www.infiltrato.it/inchieste/italia/mafia-in-tavola-agro-criminalita-e-inquinamento-ortofrutti...

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Commenti Articolo 703

Titolo articolo : La confusione continua,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: November/05/2012 - 00:39:47.

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Autore Città Giorno Ora
Giorgio Forti Milano 04/11/2012 19.02
Titolo:Per giudizi informati e critici, non faziosi
Considero improprio, ed inaccettabile, accomunare le idee e proposte politiche del segretario del PRC Ferrero ai Puritani dei secoli scorsi, per di più attrribuendo a Ferrero le loro responsabilità sull'etica del capitalismo e quindi sullo sviluppo del capitalismo mondiale. Io non sono del PRC, e considero che tutti i movimenti ispirati al comunismo debbano riconoscere senza ambiguità che la dottrina leninista della dittatura del Proletariato, e la sua messa inj opera, sia la causa più vistosa della sconfitta del Movimento operaio.
Giorgio Forti
Autore Città Giorno Ora
Giovanni Sarubbi Monteforte Irpino 05/11/2012 00.39
Titolo:
Gentile Giorgio,
non sono io che accomuno proprio nulla ma se Ferrero parla di "imbracciare il puritanesimo" senza specificare a quale parte del puritanesimo si riferisce, credo sia abbastanza logico pensare che egli si riferisca al puritanesimo nel suo complesso, almeno se le parole hanno un senso e non sono buttale li a casaccio giusto per aprire la bocca. Ed è indubitabile che i puritani sono stati il pilastro della costruzione del capitalismo negli USA ed è del tutto evidente che non addebito un bel nulla a Ferrero e a chicchessia. Faccio solo rilevare che mi sembra strano per un comunista avere come punto di riferimento i puritani. Avesse citato Gesù ed il Vangelo lo avrei senz'altro apprezzato. Non capisco poi cosa centri con quanto ho scritto la questione della dittatura del proletariato di cui io non ho affatto parlato. Io ho semplicemente detto che rifondare il comunismo ripartendo dalla ideologia che è stata l'architrave del capitalismo mi sembra una contraddizione insanabile.

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Commenti Articolo 704

Titolo articolo : Fatti e non parole,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: November/04/2012 - 23:52:29.

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Autore Città Giorno Ora
vittorio pedrali marigliano 28/10/2012 11.34
Titolo:articolo "fatti non parole"
Carissimo Giovanni
Cosa vuoi che scriva come commento? rammenterai bene come la penso. A costo di cadere in contraddizione con me stesso, potrei giungere ad affermare che se il diavolo esistesse, il suo nome sarebbe "chiesa"

Ciaone

Vittorio
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/10/2012 12.23
Titolo:I vestiti nuovi dell’Imperatore ( il "Dominus Iesus" ratingeriano) e il bambino ...
I vestiti nuovi dell’Imperatore

di Hans Christian Andersen

Molti anni fa viveva un imperatore, il quale amava tanto possedere abiti nuovi e belli, che spendeva tutti i suoi soldi per abbigliarsi con la massima eleganza. Non si curava dei suoi soldati, non si curava di sentir le commedie o di far passeggiate nel bosco, se non per sfoggiare i suoi vestiti nuovi: aveva un vestito per ogni ora del giorno, e mentre di solito di un re si dice: - E’ in Consiglio! - di lui si diceva sempre:
- E’ nello spogliatoio -

Nella grande città, dove egli abitava, ci si divertiva molto. ogni giorno arrivavano stranieri, e una volta vennero due impostori; si spacciarono per tessitori e dissero che sapevano tessere la stoffa piu straordinaria che si poteva immaginare. Non solo i disegni e i colori erano di singolare bellezza, ma i vestiti che si facevano con quella stoffa avevano lo strano potere di diventare invisibili a quegli uomini che non erano all’altezza della loro carica o che erano imperdonabilmente stupidi.

- Sarebbero davvero vesti meravigliosi! - pensò l’imperatore - Con quelli indosso, io potrei scoprire quali uomini nel mio regno non sono degni della carica che hanno; potrei distinguere gli intelligenti dagli stupidi. Ah! si! mi si deve tessere subito questa stoffa! -

E diede molti soldi in mano ai due impostori perchè incomiciassero a lavorare. Essi montarono due telai, fecero finta di lavorare, ma non avevano assolutamente niente sul telaio. Chiesero senza complinenti la seta più bella e l’oro piu brillante, li ficcarono nella loro borsa e lavorarono con i telai vuoti, senza smettere mai, fino a tarda notte.

- Adesso mi piacerebbe sapere a che punto è la stoffa! - pensò l’imperatore; ma in verità si sentiva un po’ agitato all’idea che una persona stupida, o non degna della carica che occupava, non avrebbe potuto vederla. Egli, naturalmente, non pensava di dover temere per sè; tuttavia preferì mandare un altro, prima, a vedere come andava la faccenda.

Tutti gli abitanti della città sapevano dello straordinario potere della stoffa, e ognuno era desideroso di conoscere quanto incapace o stupido fosse il proprio vicino di casa.

- Manderò dai tessitori il mio vecchio, bravo ministro! - pensò l’imperatore. - Egli può vedere meglio degli altri che figura fa quella stoffa, perchè è intelligente e non c’è un altro che sia come lui all’altezza del proprio compito! -

Così quel vecchio buon ministro andò nella sala dove i due tessitori lavoravano sui telai vuoti: - Dio mio! - pensò spalancando gli occhi - non vedo proprio niente! - Ma non lo disse forte.

I due tessitori lo pregarono di avvicinarsi, per favore, e gli domandarono se il disegno e i colori erano belli; e intanto indicavano il telaio vuoto. Il povero vecchio continuò a spalancare gli occhi, ma non riuscì a vedere niente perchè non c’era niente.

- Povero me! - pensò. - Sono dunque stupido? Non l’avrei mai creduto! Ma ora nessuno deve saperlo! O non sono adatto per questa carica? No, non posso andare a raccontare che non riesco a vedere la stoffa! -
- E allora, non dice niente? - chiese uno dei tessitori.
- Oh! incantevoli, bellissimi! - esclamò il vecchio ministro, guardando da dietro gli occhiali. - Che splendidi disegni, che splendidi colori! Sì, sì ! dirò all’imperatore che mi piacciono in un modo straordinario! -
- Ah! ne siamo davvero contenti! - dissero i due tessitori, e presero a enumerare i colori e a spiegare la bizzarria del disegno. Il vecchio ministro stette bene a sentire per ripetere le stesse cose, quando fosse tornato dall’imperatore; e così fece.

Allora i due impostori chiesero altri soldi, e ancora seta e oro; l’oro occorreva per la tessitura. Si ficcarono tutto in tasca, e sul telaio non ci arrivò neanche un filo. Tuttavia essi seguitarono, come prima, a tessere sul telaio vuoto.

Dopo un po’ di tempo l’imperatore mandò un altro valente funzionario, a vedere come procedeva la tessitura, e a chiedere se la stoffa era finita. Gli successe proprio come al ministro; guardò, guardò; ma siccome non c’era niente all’infuori dei telai nudi, non potè vedere niente.

- Non è forse una bella stoffa? - dissero i due impostori; e gli mostravano e gli spiegavano il bellissimo disegno che non c’era per niente.

- Stupido che sono! - pensò l’uomo. - Dunque, vorrà dire che non sono degno della mia alta carica? Sarebbe molto strano! Ma non bisogna farsi scoprire ! - E così prese a lodare il tessuto che non vedeva, e parlò del piacere che gli davano quei bei colori e quei graziosi disegni.
- Sì, è proprio la stoffa piu bella del mondo! - disse all’imperatore.

Tutti i cittadini discorrevano di quella stoffa magnifica. Allora l’imperatore stesso volle andare a vederla mentre era ancora sul telaio. Con uno stuolo di uomini scelti, tra i quali anche quei due bravi funzionari che già c’erano stati, egli si recò dai due astuti imbroglioni che stavano tessendo con gran lena, ma senza un’ombra di filo.

- Eh!? non è "magnifique"? - dissero i due bravi funzionanari. - Guardi, Sua Maestà, che disegni, che colori! - E indicavano il telaio vuoto, perchè erano sicuri che gli altri la vedevano, la stoffa.
- Che mi succede? - pensò l’imperatore. - Non vedo nulla! Terribile, davvero! Sono stupido? O non sono degno di essere imperatore? Questa è la cosa piu spaventosa che mi poteva capitare! -
- Oh! bellissimo! - disse. - Vi concedo la mia suprema approvazione! - E annuiva soddisfatto, contemplando il telaio vuoto; non poteva mica dirlo, che non vedeva niente! Tutti quelli che s’era portato dietro, guardavano, guardavano, ma, per quanto guardassero, il risultato era uguale; eppure dissero, come l’imperatore:
- Oh! bellissimo! - E gli suggerirono di farsi fare, con quella stoffa meravigliosa, un vestito nuovo da indossare al grande corteo che era imminente.
- Magnifique! Carina, excellent! - dicevano l’un l’altro; e sembravano tutti profondamente felici, dicendo queste cose.

L’imperatore diede ai due impostori la Croce di Cavaliere da appendere all’occhiello e il titolo di Nobili Tessitori.

Per tutta la notte, prima del giorno in cui doveva aver luogo il corteo, gli imbroglioni restarono alzati con piu di sedici candele accese; tutti potevano vedere quanto avevano da fare per ultimare i vestiti nuovi dell’imperatore. Finsero di staccare la stoffa dal telaio, con grandi forbici tagliarono l’aria, cucirono con ago senza filo e dissero infine:

- Ecco, i vestiti sono pronti! - Giunse, allora, l’imperatore in persona, con i suoi più illustri cavalieri: e i due imbroglioni tenevano il braccio alzato come reggendo qualcosa e dicevano:
- Ecco i calzoni, ecco la giubba, ecco il mantello! - e così via di seguito.
- E’ una stoffa leggera come una tela di ragno! Si potrebbe quasi credere di non avere niente indosso, ma è appunto questo, il suo pregio! -
- Si! - dissero tutti i cavalieri, ma non vedevano niente, perchè non c’era niente.
- E adesso, vuole la Sua Imperiale Maestà graziosamente consentire a spogliarsi? - dissero i due imbroglioni.
- Così noi Le potremo mettere questi vestiti nuovi proprio qui, dinanzi alla specchiera! - L’imperatore si spogliò e i due imbroglioni fingevano di porgergli, pezzo per pezzo, gli abiti nuovi, che, secondo loro, andavano terminando di cucire; lo presero per la vita, come per legargli qualcosa stretto stretto: era lo strascico e l’imperatore si girava e si rigirava davanti allo specchio.
- Dio, come sta bene! Come donano al suo personale questi vestiti! - dicevano tutti.
- Che disegno! Che colori! E’ un costume prezioso ! -
- Qui fuori sono arrivati quelli col baldacchino che sarà tenuto aperto sulla testa di Sua Maestà durantc il corteo! - disse il Gran Maestro del Cerimoniale.
- Si, eccomi pronto! - rispose l’imperatore. - Non è vero che sto proprio bene? - E si rigirò un’altra volta davanti allo specchio fingendo di contemplare la sua tenuta di gala.

I ciambellani che dovevano reggere lo strascico, finsero di raccoglierlo tastando per terra; e si mossero stringendo l’aria: non potevano mica far vedere che non vedevano niente!
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/10/2012 20.18
Titolo:Chiamato a partecipare al sinodo in qualità di «esperto» ...
IL "ROMANZO FAMILIARE" DEL CATTOLICESIMO COSTANTINIANO E' FINITO, MA ENZO BIANCHI FA FINTA DI NIENTE E CONTINUA AD AMMIRARE "I VESTITI DELL'IMPERATORE"!!!

L’ARCA DELL’ALLEANZA O LA MANGIATOIA DELLA FATTORIA DEGLI ANIMALI?!!

FEDE E CARITA’ ("CHARITAS")!!! CREDERE "ALL’AMORE" ("CHARITATI") O A "MAMMONA" ( Benedetto XVI, "Deus caritas est"9?!

Enzo Bianchi si domanda "come si può credere in Dio se non si crede nell’altro?", ma non si rende conto che è il quadro teologico costantiniano e mammonico che va abbandonato! (FLS)

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La speranza che arriva dal Sinodo

di Enzo Bianchi (La Stampa, 28 ottobre 2012)

Si conclude oggi il sinodo dei vescovi della Chiesa cattolica per una evangelizzazione rinnovata nel mondo contemporaneo, un mondo che muta rapidamente e che richiede ai cristiani un «aggiornamento», per usare l’espressione coniata dal Papa del Concilio, Giovanni XXIII.

Sono passati ormai cinquant’anni da quell’evento atteso, preparato e vissuto come una nuova pentecoste: da allora, più volte la Chiesa cattolica ha fatto ricorso allo strumento del sinodo per mettere a fuoco nuove problematiche e delineare scelte concrete per la vita dei cattolici.

Così, per tre settimane, circa duecentocinquanta vescovi, provenienti dalle diverse terre in cui vivono i cristiani, si sono ascoltati, hanno ricercato insieme, hanno discusso e dialogato. Chiamato da Benedetto XVI a partecipare al sinodo in qualità di «esperto», ho potuto essere testimone di questa assemblea di respiro mondiale e imparare ad assumere uno sguardo più informato e più attento sulle situazioni diverse e sui differenti problemi che attraversano la Chiesa.

Sì, per la Chiesa cattolica e per le chiese cristiane questo tempo sta sotto il segno della crisi: nelle terre di antica cristianità la trasmissione della fede conosce fatiche e intoppi, la Chiesa registra una diminuzione di membri e di vocazioni al suo interno e, in una società segnata dalla secolarizzazione, appare a volte minoritaria, periferica, marginale. Inoltre, la cultura instauratasi come dominante è sì per molti versi ancora ispirata al cristianesimo, ma sovente i valori che appaiono emergenti e performativi - valori che privilegiano l’individualismo e la negazione di ogni forma di solidarietà e di vincolo comunitario - non sono certo di supporto alla vita cristiana.

In Occidente il cristianesimo è ormai una via religiosa tra le altre e l’indifferentismo della società consumistica mette in affanno i cristiani che vorrebbero aiutare il cammino di umanizzazione attraverso l’annuncio stesso del Vangelo. D’altro canto, in continenti come il Sud America, l’Africa e l’Asia, la Chiesa cattolica, oltre al confronto con le altre religioni «storiche», conosce anche la concorrenza di sette cristiane, di spiritualità esoteriche e di fenomeni legati alla magia. Così, se il mondo è ancora «incantato», potremmo dire «religioso», tuttavia le chiese tradizionali sembrano incapaci di eloquenza.

È indubbio che oggi in Africa, in Medioriente, in Asia e ora anche nei Paesi dell’Occidente a causa dell’immigrazione, l’Islam con le sue diverse componenti costituisce una presenza che interroga: i padri sinodali provenienti dalle Chiese più direttamente implicate in questa non facile convivenza, hanno cercato di far conoscere con molto rispetto i loro problemi, le difficoltà che la dimensione missionaria incontra a causa della mancanza di libertà religiosa, il rischio che i cristiani - pur abitando da secoli, prima che l’Islam apparisse, le terre ora a maggioranza musulmana - siano percepiti come «Occidente», quasi degli intrusi nel loro stesso Paese, e siano spinti a emigrare.

Proprio per questo ho trovato straordinario poter ascoltare le voci di questi vescovi, tutte testimoni di un impegno nel dialogo, prive di accenti aggressivi o toni da crociata. La Chiesa è veramente mutata in questi ultimi cinquant’anni: non più ostilità verso gli «infedeli», ma dialogo, comune responsabilità per il bene della società, ricerca di pace tra le religioni, libertà di coscienza, affermazione della necessaria «ragione umana» in ogni dottrina religiosa...

La Chiesa non vuole promuovere un proselitismo che imponga il Vangelo o seduca gli uomini, ma vuole che la Buona Notizia possa essere ascoltata da tutti, perché ogni essere umano ne ha il diritto. Per questo si impegna a evangelizzare innanzitutto se stessa e quindi a offrire una vita che abbia senso, un messaggio che affermi che l’amore vissuto può vincere la morte.

Ma la Chiesa nella sua opera evangelizzatrice è consapevole che il mondo non è un deserto, un vuoto senza bene e senza valori, bensì un mondo in attesa di risposte adeguate, un mondo ogni giorno abitato e plasmato dall’uomo che è sempre un figlio di Dio, una creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio, dunque capace del bene, anche se a volte il male la ferisce e la rende disumana.

Per annunciare il Vangelo, i cristiani devono allora ascoltare il mondo, conoscerlo, leggerne le gioie e le sofferenze e, soprattutto, discernere in esso i «poveri», gli ultimi, le vittime del potere e di quanti dispongono della ricchezza e non si curano degli altri. Se Gesù ha dichiarato di essere venuto a portare la buona notizia del Vangelo ai poveri, la Chiesa non può fare altrimenti perché, al seguito del suo Signore, è chiamata a essere innanzitutto Chiesa povera e di poveri.

Se qualcuno si attendeva dal sinodo parole di speranza e di bontà per le quotidiane storie di amore che oggi appaiono faticose, contraddette e non sempre adeguate all’ideale di fedeltà e di unione proposto dal Vangelo, queste parole sono state dette e ascoltate: si è ribadito a più riprese che l’amore del Signore resta fedele anche quando ci sono situazioni di infedeltà, perché la Chiesa è casa di tutti i battezzati, anche di quelli che vivono situazioni di contraddizione al Vangelo. Sì, l’evento del sinodo, ormai «ordinario» nella vita della Chiesa cattolica, ha dato un messaggio di speranza ai fedeli, ma ha anche indicato a quanti non appartengono alla Chiesa e se ne proclamano estranei che i cristiani che vivono in mezzo a loro partecipano senza esenzioni alla costruzione di una convivenza più umanizzata e sanno di dover essere portatori di fiducia e di speranza.

La Chiesa è impegnata più che mai nel dialogo con la post-modernità, nella consapevolezza che ciò che le risulta faticoso - ma che costituisce la sua opera più propria - è vivere il Vangelo: questo il mandato ricevuto da Gesù. Realizzare il Vangelo è compito sempre arduo, a volte appare persino impossibile, eppure ai cristiani questo solo è richiesto se vogliono assolvere l’unico vero debito che hanno verso tutti.
Autore Città Giorno Ora
Vincenzo Napolitano Quadrelle ( Av) 29/10/2012 16.54
Titolo:Fuori i mercanti dal tempio
Non sono molto pratico di religione, perche' l' ho sempre considerata come l' oppio dei popoli, ne' da ragazzo mi interessava l'ora di religione ( con qualche sacerdote che magari si addormentava durante la lezione).
Posso dire sulla questione dei cappellani militari, che e' un vero e proprio ossimoro : benedici, proteggi, confessi chi si arroga il diritto di ucidere un proprio simile.
In quanto ai fumi diabolici che infestano la Chiesa e' il giusto risultato delle contraddizioni in cui si barcamena da millenni.
ratzinger cerca ora il colpo di coda ( del diavolo) per ridare dignita' ad una potenza massonica, che comunque continua ad avere consitenza ed influenza in Italia.
Adesso vogliono iniziare, sembra, ad attuare i precetti del Concilio Vaticano II. pur sempre di precetti si tratta, anche se risultato di una teologia di liberazione.
E' una tattica, perche' il Vaticano, che ha ormai invaso tutte le sfere della nuova italia clerico-fascista, vuol darsi una verginita'ed un ruolo importante nel nuovo ordine mondiale costituitosi.
Doveremmo noi cacciare i mercanti dal tempio ?? Il loro tempio ove hanno edificato e progettato un ' Italia neo autoritaria.
O i preti e sacerdoti che catechizzano con il loro " logos" patristico i nostri figli ??
Autore Città Giorno Ora
Giorgio Forti Milano 04/11/2012 19.13
Titolo:Chiesa e Stato Vaticano
Sono anch'io contrario alla politica dello Stato Città del Vaticano, che considero tutt'altra cosa rispetto alla Chiesa fondata da Gesù Cristo. Il Vaticano è un'istituzione della storia umana, anacronistica rispetto ai tempi moderni che non prevedono più l'istituto della monarchia assoluta.Tuttavia, mi sembra che Sarrubi, che se non sbaglio è sacerdote cattolico,trascuri molti fatti della vita della Chiesa che nhon sono affatto spregevoli, come lui sembra considerarli: se non altro, la continuità dell'insegnamento di fondamentali valori, anche quando l'istituzione chiesa non li praticava. Il tono eccessivamente astioso di Sarrubi nuoce al messaggio che vuol comunicare, almeno così sembra.
Giorgio Forti
Autore Città Giorno Ora
Giovanni Sarubbi Monteforte Irpino 04/11/2012 23.52
Titolo:Non sono affatto un sacerdote cattolico
Liberi tutti di considerare astioso questo mio intervento, ma non sono affatto un sacerdote cattolico. Non capisco proprio da dove salta fuori questa qualifica.

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Commenti Articolo 705

Titolo articolo : L'ITALIA RIPUDIA LA GUERRA, ANCHE IL 4 NOVEMBRE,di Movimento nonviolento

Ultimo aggiornamento: November/04/2012 - 18:11:03.

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Autore Città Giorno Ora
Florestana Piccoli Sfredda Rovereto TN 04/11/2012 18.11
Titolo:L'Italia ripudia la guerra
Costituzione Italiana, art. 11: "L'ITALIA RIPUDIA LA GUERRA..."
L'Italia e all'Italia dovrebbe associarsi, in questo fermo ripudio, l'Europa, il mondo intero.
Solo la PACE, l'amicizia fra popoli, etnìe, religioni, uomini/donne può ridare un volto umano al mondo intero e a ciascuno/a di noi.
Ricordiamo Gandhi, M.L.King,Albert Schweitzer, Capitini...ricordiamo il Verbo Incarnato, CRISTO GESU'.
Tutto è perduto con la guerra,con il seminare odio e morte.
La pace a tutti i costi, come cantava Fabrizio d'André e con lui tanti altri cantori della PACE. Lo spazio manca per citarli tutti.

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Commenti Articolo 706

Titolo articolo : LA “QUESTIONE MORALE” della SECONDA REPUBBLICA,di Giovanni Dotti e Martino Pirone

Ultimo aggiornamento: November/03/2012 - 12:18:05.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 03/11/2012 12.18
Titolo:LA QUESTIONE MORALE, QUELLA VERA - EPOCALE. ...
LA QUESTIONE MORALE, QUELLA VERA - EPOCALE.

AL GOVERNO DELLA CHIESA UN PAPA CHE PREDICA CHE GESU’ E’ IL FIGLIO DEL DIO "MAMMONA" ("Deus caritas est")

E

AL GOVERNO DELL’ **ITALIA** UN PRESIDENTE DI UN PARTITO (che si camuffa da "Presidente della Repubblica"), che canta "Forza Italia" con il suo "Popolo della libertà" (1994-2012).

Questo è il nodo da sciogliere....


Federico La Sala

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Commenti Articolo 707

Titolo articolo : CASTORIADIS LEGATO AL CARRO DI RATZINGER. Armato dell'astuta fede cattolica, Pietro Barcellona scende in campo contro la ragione di Kant, e non solo contro quella di Ferraris e Severino. Una sua rilessione - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/03/2012 - 10:52:14.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/11/2012 21.40
Titolo:Perché la multa è una cosa in sè ....
Perché la multa è una cosa in sè

Il dibattito sul nuovo realismo: risposta a Severino

di Maurizio Ferraris (la Repubblica, 18.09.2012)

Il dibattito sul Nuovo Realismo è iniziato dal Manifesto di Ferraris uscito su Repubblica l’8/8/2011 e ora saggio per Laterza

Emanuele Severino, domenica scorsa, su La lettura del Corriere della Sera, rimprovera al nuovo realismo di non tener conto della “svolta trascendentale” del pensiero, avviata da Kant e realizzata da Gentile. Per questa svolta, il pensiero è il primo e immediato oggetto della nostra esperienza, e noi non abbiamo contatto con nessun mondo “là fuori”, se non appunto tramite la mediazione del pensiero e delle sue categorie. In altri termini, e richiamandoci alle cose - il tema del festival di filosofia appena conclusosi a Modena - noi non abbiamo mai a che fare con cose in sé, ma sempre e soltanto con fenomeni, con cose che appaiono a noi.

In effetti, i realisti sono ben consapevoli della rilevanza storica di questa svolta, ma non ne sono convinti per motivi teorici. Questi: la svolta trascendentale ci pone in una perenne contraddizione, e fa sì che, nei nostri rapporti con il mondo, siamo afflitti da uno strabismo divergente. Da una parte, nella vita di tutti i giorni, siamo dei realisti ingenui, convinti che le cose siano quello che appaiono. Dall’altra, siamo degli idealisti costretti a pensare che nulla esorbita dal nostro pensiero e che non abbiamo a che fare con cose, ma con dati di senso, fenomeni, apparenze.

La versione moderna dell’idealismo gentiliano, e cioè il postmodernismo, dice invece che tutto è socialmente costruito (di passaggio, Severino ha perfettamente ragione nel notare che i postmodernisti non hanno riconosciuto il loro debito nei confronti di Gentile). La domanda che si pone il realismo, allora, è semplicemente: è davvero così, o non è una superstizione filosofica, una abitudine inveterata e niente più?

Prendiamo gli oggetti naturali. Per Kant (e a maggior ragione per Gentile, che lo estremizza) sono dei fenomeni per eccellenza: sono situati nello spazio e nel tempo, che però non sono cose che si diano in natura. Stanno nella nostra testa, insieme alle categorie con cui diamo ordine al mondo, al punto che se non ci fossero uomini potrebbe non esserci né lo spazio né il tempo. Se ne dovrebbe concludere che prima degli uomini non c’erano oggetti, almeno per come li conosciamo, ma chiaramente non è così. I fossili ci tramandano esseri che sono esistiti prima di qualunque essere umano, prima di Gentile, prima di Berkeley, prima di Cartesio e prima di qualunque “io penso” in generale.

Come la mettiamo? E come spieghiamo il fenomeno, comunissimo, del giocare con il nostro gatto? Visto che lui ha schemi concettuali e apparati percettivi diversi dai nostri, dovrebbe vivere in un altro mondo, altro che giocare con noi (inoltre, se davvero Gentile avesse ragione, ogni gioco, non solo con il gatto ma anche con un amico, sarebbe virtualmente un solitario).

Ma a ben vedere anche gli oggetti sociali, che dipendono dai soggetti (pur non essendo soggettivi) sono cose in sé e non fenomeni. Questo sulle prime può apparire complicato perché se gli oggetti sociali dipendono da schemi concettuali, allora sembra ovvio che siano dei fenomeni. Ma non è così.

Per essere un fenomeno non basta dipendere da schemi concettuali. Per essere un fenomeno bisogna anche contrapporsi a delle cose in sé. Prendiamo una multa. Quale sarebbe il suo in sé? Dire che una multa è una multa apparente significa semplicemente dire che non è una multa. Una multa vera e propria è una cosa in sé, così come è una cosa in sé e non semplicemente un riflesso del nostro pensiero la crisi economica che ci provoca tante preoccupazioni. Soprattutto, sono cose in sé le persone, che nella prospettiva di Gentile si trasformerebbero in fantasmi, in umbratili proiezioni del pensiero.

E adesso veniamo agli eventi, cose come gli uragani o gli incidenti d’auto. Che spesso sono imprevedibili. L’irregolarità, ciò che disattende i nostri dati e attese, è la più chiara dimostrazione del fatto che il mondo è molto più esteso e imprevedibile del nostro pensiero. Come nel caso della sorpresa, che - se non si è pessimisti, e soprattutto se si è fortunati - può anche essere bellissima. Per esempio, non prevedevo che un grande filosofo (che considero non un fenomeno, ma una cosa in sé: una persona con caratteristiche insostituibili e indipendenti dal mio pensiero) come Severino decidesse di intervenire sul realismo con tanta ampiezza e profondità. Lo ringrazio di nuovo, e spero che trovi questa risposta soddisfacente, o almeno tale da aprire un dialogo.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 03/11/2012 10.52
Titolo:CORNELIUS CASTORIADIS ...
CORNELIUS CASTORIADIS

A cura di Francesca Esposito


CASTORIADIS

1. L’itinerario di Cornelius Castoriadis

Sarebbe certamente un errore definire Cornelius Castoriadis un intellettuale, etichetta che egli stesso giudica qualcosa da evitare. Infatti, egli considera intellettuali filosofi come Sartre e Heidegger, in quanto giustificatori e razionalizzatori dell’ordine stabilito e, rispettivamente, dei regimi stalinisti e del nazismo.

Per Castoriadis il compito del pensatore è quello della critica del già istituito, del pre-stabilito, di ciò che si presuma dato una volta per tutte e, di conseguenza, di ogni ideologia e totalitarismo che minaccino l’autonomia individuale e collettiva. Egli senza dubbio ha incarnato nel corso della sua vita l’ideale di

di pensatore solitario che adotta una posizione impopolare e vi resta aggrappato malgrado lo scherno pubblico e le difficoltà private [1].

Il lavoro critico di Castoriadis ha assunto il significato di una ricerca mai paga, mai definitiva di un pensiero rivoluzionario, di un pensiero altro da quello ereditato, tradizionale, sia nell’ambito della teoria politica che in quello della teoria filosofica, di un pensiero rivolto al progetto di autonomia individuale e collettiva.

Nel proponimento di delucidare i limiti e le aporie di quella che egli ha definito la logica-ontologia ereditata, con cui ha inteso l’intero quadro del pensiero filosofico ereditato, Castoriadis ha sviluppato la categoria di psiche e ha operato, tra il 1965 e il 1968, la rielaborazione della psicoanalisi. Frutto maturo di questo percorso è l’opera intitolata L’istituzione immaginaria della società (1975).

La rielaborazione della psicoanalisi non ha avuto, per Castoriadis, come obiettivo principale un nuovo apporto teorico a questa disciplina specifica, ma il rinnovamento in toto della filosofia tradizionale.

Gli anni dedicati al riesame della teoria psicoanalitica subentrano agli anni di un fervido impegno militante, prima nel PC greco (1941), poi nelle file del partito trotzkista francese, all’indomani del suo trasferimento in Francia nel 1945, e infine, a partire dal 1948, nel gruppo Socialisme ou Barbarie, fondato con Claude Lefort ed esprimentesi nella rivista omonima dal 1949 al 1966.

Gli anni che precedettero la stesura de L’istituzione immaginaria della società, furono per Castoriadis molto fervidi. In una prima fase egli è stato impegnato nella elaborazione del concetto di sociale-storico, contenuta nella prima parte de L’istituzione immaginaria della società, intitolata "Marxismo e teoria rivoluzionaria" (1964-1965); tale elaborazione ha avuto luogo attraverso un’attenta rilettura critica dell’economia e della teoria marxiste. In una seconda fase egli ha compiuto prima, tra il 1968 e il 1971, un’ampia riflessione sul linguaggio, e poi, tra il 1971 e il 1974, un vasto ripensamento della filosofia tradizionale.

Già nella delucidazione della questione del "sociale-storico" – che non è altrimenti se non la questione della società e quella della storia –, come pure nelle osservazioni che vertono sul linguaggio, si fa sempre più prepotente il convincimento, da parte di Castoriadis, di quanto il pensiero ereditato sia adeguato al mondo che l’ha prodotto e, cioè, di quanto esso sia dovuto ad uno determinato modo di intendere l’essere, di un modo consustanziale ad una determinata civiltà: quella greco-occidentale. L’influenza che la società greco-occidentale ha esercitato sugli schemi cognitivi dell’umanità ha fatto sì che venisse disconosciuto, innanzitutto, il ruolo primario che rivestono l’immaginario, nella società, e l’immaginazione, nella psiche individuale. Infatti ciascuno di essi è stato ridotto a mera immagine speculare del reale. In verità, come scrive Castoriadis,

l’immaginario di cui parlo non è immagine di. È creazione incessante ed essenzialmente indeterminata (sociale-storica e psichica) di figure/forme/immagini, a partire da cui soltanto si può parlare di "qualche cosa". [2]

Elaborare la nozione di immaginario radicale, significa, per Castoriadis, riconoscere come fondamento ultimo di individuo e società la "creatività", intesa come capacità di creare forme e figure che non esistevano precedentemente e riconoscere, altresì, nelle istituzioni sociali e in tutti i prodotti del soggetto psichico come dell’individuo sociale, delle creazioni immaginarie.

La nozione di immaginario radicale ritorna in tutta la riflessione filosofica di Castoriadis come un’idea quasi ossessiva, funzionale alla necessità di sottrarla al disconoscimento/occultamento che di essa ha operato la filosofia occidentale nell’affrontare le tematiche che vertono sulla società, sul mutamento o divenire storico, sul linguaggio, sulla psiche, inconscia e conscia.

PER PROSEGUIRE LA LETTURA, VEDI:

http://www.filosofico.net/ccastoriadis.htm

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Commenti Articolo 708

Titolo articolo : IL CIRCOLO VIZIOSO DEL PERCORSO DI PIETRO BARCELLONA: DAL CATTOLICESIMO MARXISTA A CATTOLICESIMO RATZINGERIANO. Come è diventato un altro restando se stesso. Una sua nota - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/02/2012 - 18:26:13.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/8/2012 16.17
Titolo:ASCOLTARE IL PAPA. ...
- Sul quotidiano dei vescovi "Avvenire" il documento di quattro intellettuali di formazione marxista:
- Barcellona, Sorbi, Tronti e Vacca

- "Laicità e relativismo, Bersani ascolti il Papa" *

TODI - La sinistra collabori con la Chiesa, nell’interesse dell’Italia. L’invito a farlo proviene da quattro noti intellettuali di formazione marxista, ed è partito ieri con una lettera aperta pubblicata sul quotidiano dei vescovi Avvenire. Il documento è firmato da Paolo Sorbi, Pietro Barcellona, Mario Tronti e Giuseppe Vacca. Il titolo scelto, con le foto dei quattro studiosi, è "Nuova alleanza per l’emergenza antropologica".

Sorbi, Barcellona, Tronti e Vacca esortano il Pd, e il suo segretario Pierluigi Bersani, a fare i conti con l’insegnamento di Benedetto XVI sulla insopprimibile dignità della vita umana e sul primato della persona, «cercando di andare oltre tutti gli steccati». «La definizione della nuova laicità - spiegano - e l’assunzione di una responsabilità più avvertita della Chiesa per le sorti dell’Italia, esigono uno sviluppo dell’iniziativa politica e culturale volta non solo a interloquire con il mondo cattolico, ma anche a cercare forme nuove di collaborazione con la Chiesa, nell’interesse del Paese». Annota Sorbi sul quotidiano della Cei, alla vigilia dell’incontro di Todi, che «il rischio incombente per un centrosinistra rassegnato a seguire derive radicali è di non riuscire a elaborare una cultura di governo all’altezza delle gigantesche sfide del nostro tempo». (m.ans.)

* la Repubblica, 17.10.2011
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/8/2012 11.45
Titolo:PUBBLICITA' PER LA TRASCENDENZA DELLA CITTA' DEL VATICANO....
SE L' EUROPA SENZA DIO CI CONSEGNA AI TECNICI


DI PIETRO BARCELLONA *


Nonostante ogni tanto si levi qualche voce di denuncia degli effetti devastanti che le attuali politiche economiche (sostenute dai governi europei e incoraggiate dalla cosiddetta troika e dagli economisti tedeschi) stanno producendo sul funzionamento effettivo della nostra democrazia, ho l’impressione che il pensiero dominante non lasci alcuno spazio alla pensabilità di alternative possibili.

Per fare qualche esempio basta citare gli editoriali di Galli della Loggia sul Corriere della Sera e quello di Guido Rossi sul Sole 24 Ore. Dalle politiche economiche adottate al livello della comunità viene sostanzialmente neutralizzata ogni opzione politica capace di caratterizzare il ruolo di un partito nazionale rispetto ai vincoli rigidamente imperativi che riguardano la questione del bilancio pubblico. Guido Rossi addirittura ipotizza il regresso ad una fase feudale in cui le gerarchie tecnocratiche impongono a tutti i cittadini europei le loro inderogabili direttive.

La sovranità popolare è messa fuori campo e le forze politiche trasformate in attori di una sceneggiata senza alcuna effettività pratica. È proprio ridicolo che la Germania rinfacci al presidente del Consiglio Monti di aver mostrato scarsa sensibilità democratica nei confronti dell’opinione pubblica tedesca alla quale il governo federale ritiene di dovere prestare il massimo ossequio contro le visioni tecnocratiche e autoritarie che sarebbero espresse nelle parole del presidente del Consiglio italiano.

In realtà il punto su cui occorre misurare la tenuta democratica dei Paesi dell’Eurozona non è certo la disputa fasulla tra Merkel che difende la democrazia e Monti che si affida alle tecnostrutture dell’economia europea e mondiale. Il punto vero è un altro ed è quello di come in questi ultimi anni il pensiero economico, che attribuisce ai “mercati” e alla contabilità nazionale il ruolo di unici interpreti del senso comune delle società europee, sia diventato dominante nella coscienza di tutti. Si è molto discusso del pensiero unico che attribuisce all’economia il ruolo centrale nella società globalizzata e ai mercati il ruolo di criterio ultimo cui affidare la misura di ogni scelta di governo. Tuttavia la forza di penetrazione del nuovo imperativo epocale di corrispondere alle esigenze dei “mercati” è in realtà fuori discussione anche nei critici delle attuali scelte economiche, giacché tutti sono accomunati dalla premessa secondo la quale se non si riesce a riacquistare la fiducia dei mercati la vera alternativa è la catastrofe come in Grecia.

Ora, è su questo pensiero unico che bisogna puntare la lente di ingrandimento per capire lo spirito del nostro presente che, come sempre, è la cartina di tornasole di come effettivamente si svolge la vita quotidiana degli uomini e delle donne.

Nel corso di questo mese ho avuto modo di leggere uno straordinario libro di un pensatore tedesco di origine ebraica, Eric Voegelin, che ha svolto una preziosa riflessione sulla nazificazione della Germania ai tempi di Hitler e che è riuscito a cogliere l’attualità drammatica di certi processi degenerativi anche nella realtà tedesca e occidentale del nostro tempo. Le lezioni di Voegelin sono del 1964 e hanno un’incredibile attualità se riferite a questo periodo della nostra storia. Voegelin sostiene che il processo di nazificazione accompagna l’ascesa di Hitler ma non ne è il prodotto, giacché riflette un lungo periodo di decadenza morale e intellettuale del popolo tedesco, caratterizzato da fenomeni che appaiono tuttora diffusi nella mentalità tedesca ed europea: la nazificazione del popolo tedesco avviene attraverso il progressivo abbandono di ogni coscienza morale e la progressiva disumanizzazione degli individui che compongono il popolo e la comunità.

Viene cioè affermandosi, secondo Voegelin, una progressiva deresponsabilizzazione e un’indifferenza politico-morale che spingono il popolo ad accettare passivamente tutto ciò che viene comunicato da fonti considerate autorevoli sulla base di una costante manipolazione propagandistica. La spersonalizzazione di ogni regola di condotta e la sua legittimazione in base ad una presunta autorità della fonte di comando destituiscono ogni spazio di libera decisione e ogni capacità critica. La manipolazione da parte del bombardamento sistematico di false informazioni, costruite al fine di creare una seconda realtà rispetto a quella effettiva, rende gli uomini − come dice testualmente Voegelin − dei veri e propri” idioti”.

Scrive De Benedetti nella prefazione: “ogni crimine oggi avviene per via amministrativa in nome di un management delle cose al quale non si può dire di no soltanto per una colpevole stupidità. Il pifferaio magico del nostro tempo conduce i topi nel fiume perché ha falsato un bilancio, ha imbrogliato una proiezione di mercato, ha frainteso gli umori del popolo, e però la maggior parte degli uomini non si trova di fronte una camicia bruna in stivaloni ma solo un capodipartimento qualificato come tecnico assolutamente competente. Si somministra il male e il danno ai più deboli in via democratica, si fa male con l’ordinaria amministrazione. Non c’è nessuna grandezza ma solo banalità dell’osservanza”. Voegelin definisce la situazione del senso comune popolare con il termine di buttermelcher, per indicare la diffusione dello spirito piccolo-borghese dell’ipocrisia sociale delle buone maniere come pedigree per un curriculum di inserimento nella società del consenso di massa e come rinuncia totale alla critica di quella che egli chiama la “seconda realtà” della finzione e della menzogna.

L’aspetto che trovo più interessante nella lezione di Voegelin è quanto questo processo di annichilimento della vita interiore del cittadino e dell’individuo sia accompagnato da un mutamento dell’orizzonte dei saperi, orientati sempre più verso una rappresentazione dell’individuo come mero prodotto della storia biologica e sociale. Una sorta di cultura del “neonaturalismo scientista” che abolisce totalmente il problema del significato della vita in rapporto a tutte le “verità che non siano empiricamente dimostrabili”: un’ottusa immanenza nella vita quotidiana che si risolve nella gestione dei propri interessi particolari senza alcun senso di responsabilità e senza alcuna capacità di mettere in discussione ciò che appare coperto dalla autorità del potere.

Voegelin è molto duro nel definire una società in preda ad una inconsapevole nazificazione come caratterizzata da masse di “idioti” − nel senso di uomini privi di ogni coscienza critica e morale − e di gruppi di “farabutti” attrezzati ad utilizzare la stupidità degli altri. Questo spirito opaco di acquiescenza penetra tutte le articolazioni della società: nelle facoltà di medicina si diffondono culture positivistiche ed eugenetiche che tendono a porsi il problema del miglior funzionamento dell’uomo come macchina produttiva; nelle facoltà di diritto si apprende l’arte del formalismo tecnico che nega ogni rilevanza al significato sostanziale degli interessi e dei valori in gioco; negli stili di vita di massa prevale il conformismo e il carrierismo, l’opportunismo e il trasformismo. Ogni essere umano non risponde più ad un’autorità trascendente ma soltanto ad un capoufficio o a un direttore di dipartimento.

Tutti gli opinionisti esaltano la moderazione e la pacificazione degli animi in vista di un benessere diventato oramai puro accesso ai consumi che simbolizzano gli status gerarchici della società. Secondo Voegelin questo enorme degrado, che si caratterizza per una totale disumanizzazione e per una incapacità di fare esperienza delle realtà profonde, dipende dalla negazione di ogni trascendenza capace di ricondurre l’essere umano alla domanda fondamentale della sua finitezza e del suo destino mortale. Certo, da quando è morto Dio non è più facile stabilire perché un uomo non possa torturare e uccidere un altro uomo. In realtà, in una visione come quella descritta da Voegelin ciò che è completamente negato è il valore della vita di ogni persona e, nonostante le continue affermazioni sulla dignità di un essere umano, non si riesce proprio a capire su quali basi possa essere fondata tale dignità fino a garantirla da ogni sopruso e da ogni manipolazione.

Per questa ragione sono convinto e ho scritto più volte che il problema della trascendenza non può essere ignorato da chi si pone il problema della convivenza democratica. Non possono essere assunte soltanto le regole e le procedure come garanzie di un rapporto umano tra gli appartenenti ad un gruppo o a una comunità. È necessario un principio fondamentale e condiviso che riguardi il valore della vita, il suo significato oltre le esperienze particolari. L’ondata fisicalista e l’offensiva delle neuroscienze, che tendono ad eliminare ogni significato profondo della vita umana, sono certamente produttive di disorientamento morale e di perdita di responsabilità verso la vita. Se l’uomo è un puro assemblaggio di molecole, prodotto da uno strano intreccio di caso e necessità, non si riesce proprio a capire in che modo io sono responsabile della mia vita e di quella degli altri. I segni di una disumanizzazione della vita collettiva vanno ben oltre il significato parossistico dell’egemonia del pensiero economico che riduce la contabilità umana a insiemi di numeri e di valori monetari.

Vorrei cominciare da una banalità: i figli della nostra epoca sono in grado di credere ai genitori, a queste coppie di uomini e donne che li mettono al mondo assumendosi la responsabilità di accoglierli per educarli a comprendere il significato della vita? Senza la responsabilità di persone concrete che si assumono il compito di trasformare un piccolo d’uomo in un essere socievole, non ci può essere alcuna “ santificazione” della vita. La santificazione della vita dovrebbe essere il perno su cui si costruisce l’insieme delle relazioni umane che danno vita a gruppi e popoli. Essa però non è fatta di norme giuridiche nè di imperativi religiosi ma dalla consapevolezza che il venire al mondo inaugura uno spazio nuovo per tutta l’umanità. Santificare la vita significa dare a un essere umano le condizioni per entrare in rapporto con gli altri fiduciosamente, per potere amare ed essere amato senza secondi fini. La santificazione della vita significa il rispetto del suo mistero, il porre un limite ragionevolmente argomentato contro tutto ciò che tende a trasformare la natura umana in un puro accidente programmabile secondo calcoli che non hanno nulla a che vedere col senso profondo del venire al mondo.

Una vita democratica che si pone come “seconda realtà immaginaria”, fatta di conteggi e di strategie astute, non pone neppure come problema la questione della difesa della vita umana.

*

Pietro Barcellona
Fonte: www.ilsussidiario.net
Link: http://www.ilsussidiario.net/News/Cultura/2012/8/16/LETTURE-Se-l-Europa-senza-Dio-si-consegna-ai-tec...
16.08.2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/11/2012 18.26
Titolo:Verita (e Fede) incontrovertibile e democrazia cieca e zoppa ....
Ma la Verità ci salverà dal populismo?

di Pietro Barcellona (l’Unità, 02.11.2012)

SEBBENE I DIBATTITI FILOSOFICI SEMBRINO SITUARSI SU UN TERRENO LONTANO DALLA VITA QUOTIDIANA, i concetti che ne vengono fuori interferiscono notevolmente con la formazione del senso comune: la rilevanza politica delle teorie filosofiche è sempre più evidente, innanzitutto nella formazione del lessico della contemporaneità.

Ad esempio, l’attacco che Maurizio Ferraris da molti anni conduce contro il soggettivismo delle interpretazioni è diventato persino strumento politico per contrastare il populismo: alcuni opinionisti sostengono che l’oggettività impedisca la proliferazione di linguaggi falsi e demagogici, che dimostrerebbero la propria fallacia appena messi a confronto con la nudità dei fatti.

Per capire il significato del tentativo di affermare l’oggettività del mondo reale delle cose sulla soggettività ondivaga e ambigua degli interpreti, bisognerebbe per prima cosa metterne in rilievo la sostanziale infondatezza epistemologica.

Recentemente, in uno scritto polemico verso le tesi di Severino, Ferraris ha affermato che una «multa» è un fatto assolutamente indipendente da ogni interpretazione soggettiva; ma se si riflette su cosa rappresenti la parola multa nel linguaggio corrente, ci si accorge che non si tratta di un fatto che dispiega da se stesso le proprie conseguenze, ma, al contrario, di un fatto che assume un significato pratico soltanto se inscritto nelle fattispecie giuridicamente rilevanti. Il fatto puro della multa non esiste se non all’interno del discorso giuridico.

Basterebbe considerare con più attenzione gli studi di antropologia culturale per rendersi conto che non esistono fatti puri; anche eventi naturali come un’eruzione vulcanica o un terremoto diventano oggetti di comprensione umana e di comunicazione verbale soltanto attraverso il loro inserimento in universi simbolici che esprimono il livello della coscienza collettiva del gruppo rispetto alla natura e al mondo esterno. Il fulmine, che allo stato attuale del nostro sapere possiamo definire come una scarica elettrica che va dalle nuvole verso la terra, è stato per molti secoli vissuto come un segno dell’ira divina. Dal punto di vista epistemologico questa credenza non contraddice per nulla le attuali conclusioni del sapere scientifico che descrive il fenomeno in termini di scarica elettrica; in entrambi i casi, però, le parole adoperate per rappresentare il fatto sono espressive della configurazione del rapporto fra soggettività interpretante e realtà fenomenica.

Tutto ciò che rappresentiamo mentalmente con parole associate ad immagini ha un sostegno nella realtà materiale, biologica e fisica del mondo che ci circonda: indagare il rapporto tra questo sostegno materiale e lo sviluppo di rappresentazioni mentali, che attraverso le parole assegnano un significato alle cose, è un problema che interroga la nostra capacità di riflessione sui processi di pensiero e sul rapporto col mondo.

Al punto in cui siamo, nella vicenda millenaria dell’autorappresentazione degli esseri umani, dovremmo riconoscere che non esiste alcuna via diretta e immediata per avere accesso alle cose se non attraverso la mediazione del pensiero e del linguaggio, che non sono arbitrarie costruzioni determinate dalla capricciosità del parlante ma appartengono ad un contesto di uomini e donne, di soggetti e di oggetti che interagiscono in un rapporto di comunicazione oggettivata attraverso il discorso.

Ciascuno produce un mondo di significazioni e allo stesso tempo abita uno spazio di significati già istituiti che gli consentono di orientarsi praticamente nell’ambiente che lo circonda, motivandolo sia alle cosiddette azioni inconsapevoli e abituali sia alla ricerca di nuove parole e nuove significazioni; tale scarto tra oggettività e soggettività rende possibile configurare la libertà e la responsabilità di ciascuno rispetto al mondo a cui appartiene.

Alla luce di queste considerazioni si capisce il significato politico di tutti i tentativi di affermare il primato dell’oggettività dei fatti e delle cose del mondo sulla soggettività interpretante: solo un’assoluta oggettività dei processi che connettono i movimenti pratici e le operazioni mentali consentirebbe di affermare l’esistenza di una Verità che impedisce ogni arbitrarietà delle scelte e ogni significativo mutamento della visione del mondo.

L’oggettività della Verità, consegnata interamente al processo «naturale» di connessione fra le molecole che compongono il vivente, impedisce di ipotizzare uno spazio di libertà che produca una trasformazione dell’accadere non spiegabile meccanicisticamente. Ma se si abbandona il terreno di questa ideologia dell’oggettività, bisogna riconoscere che la conversazione umana non esprime certezza assoluta ma opinioni confrontabili; il regime della doxa è alla base della costruzione della polis e della forma democratica della convivenza. Al contrario il regime della Verità oggettiva non consente di dare alcun peso alle opinioni che, in quanto tali, sono fragili ed estemporanee.

Il tentativo di Ferraris di riformulare una teoria della Verità incontrovertibile risponde, dunque, all’esigenza politica di ridurre ogni spazio di discrezionalità e sottrae la decisione politica alla contestazione popolare. Viceversa, riconoscere l’inaccessibilità immediata alla Verità non esclude il riconoscimento di una trascendenza che si manifesta attraverso i limiti che incontriamo nella nostra esperienza quotidiana. Ci scontriamo continuamente con la dura realtà del mondo e con la fatica di vivere, per questo siamo spinti a cercare un senso che dia conto della nostra finitezza e mortalità. Il limite della soggettività e dell’ermeneutica impedisce, nel contesto storico in cui si vive, di cadere nell’onnipotenza nichilistica.

Come sosteneva Castoriadis, la democrazia deve essere un regime dell’autolimitazione, in cui l’interesse alla continuazione della specie umana impedisce di disporre del mondo in modo da pregiudicarne la disponibilità per le future generazioni. La democrazia delle opinioni non implica la babele delle lingue, ma il riconoscimento di un patrimonio comune che riguarda la memoria del passato e le speranze del futuro.

Già dal principio dell’autolimitazione della democrazia si possono ricavare regole che impediscono il dispiegarsi della selvatichezza egoistica che abita dentro ciascun essere umano. Per questo, come ha osservato Massimo Recalcati, il riconoscimento dell’inconscio come opacità del sapere di se stessi e del mondo è la garanzia che la democrazia non diventi delirio di onnipotenza.

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Commenti Articolo 709

Titolo articolo : MEMORIA DEI MORTI: UNA "CORRISPONDENZA DI AMOROSI SENSI", UN COR-RISPONDERE NELLA LIBERTA' E CON GRATITUDINE A CHI CI HA DONATO VITA E AMORE. "Dei Sepolcri" e dei "sepolcri imbiancati". Il testo di Foscolo e alcune note,a c. di federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/02/2012 - 08:51:46.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/11/2012 07.13
Titolo:“DEUS CARITAS EST”: UNA CHIESA "PER MOLTI", NON "PER TUTTI"!!!
“DEUS CARITAS EST”:
- IL “LOGO” DEL GRANDE MERCANTE
- E DEL CAPITALISMO

- di Federico La Sala *

In principio era il Logos, non il “Logo”!!! “Arbeit Macht Frei”: “il lavoro rende liberi”, così sul campo recintato degli esseri umani!!! “Deus caritas est”: Dio è caro (prezzo), così sul campo recintato della Parola (del Verbo, del Logos)!!! “La prima enciclica di Ratzinger è a pagamento”, L’Unità, 26.01.2006 )!!!

Il grande discendente dei mercanti del Tempio si sarà ripetuto in cor suo e riscritto davanti ai suoi occhi il vecchio slogan: con questo ‘logo’ vincerai! Ha preso ‘carta e penna’ e, sul campo recintato della Parola, ha cancellato la vecchia ‘dicitura’ e ri-scritto la ‘nuova’: “Deus caritas est” [Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2006]!

Nell’anniversario del “Giorno della memoria”, il 27 gennaio, non poteva essere ‘lanciato’ nel ‘mondo’ un “Logo” ... più ‘bello’ e più ‘accattivante’, molto ‘ac-captivante’!!!

Il Faraone, travestito da Mosè, da Elia, e da Gesù, ha dato inizio alla ‘campagna’ del Terzo Millennio - avanti Cristo!!! (Federico La Sala)

*www.ildialogo.org/filosofia, Giovedì, 26 gennaio 2006

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CHIESA "PER MOLTI", NON "PER TUTTI"!!!

Per il Convegno "Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri" del 15 settembre 2912, cinque note a margine

di Federico La Sala *

1. LA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA HA ROTTO I PONTI CON IL MESSAGGIO EVANGELICO. A 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, bisogna prendere atto che il terribile è già accaduto: il "Lumen Gentium" è stato spento e, sulla cattedra di Pietro, siede il Vicario del Signore e Padrone Gesù ("Dominus Iesus": J. Ratzinger, 2000). Egli regna e governa in nome del suo Dio, Mammona ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006).

2. DIO E’ VALORE! Sul Vaticano, DAL 2006, sventola il "Logo" del Grande Mercante: "Deus caritas est" (Benedetto XVI, 2006)!!! Il papa teologo, ha gettato via la "pietra" su cui posava - in equilibrio instabile - l’intera Costruzione dela Chiesa cattolico-romana ("Deus charitas est": 1 Gv. 4.8).

3. TUTTO A "CARO-PREZZO" ("CARITAS"): QUESTO "IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO". QUESTO E’ IL NOSTRO VANGELO: PAROLA DI RATZINGER -BENEDETTO XVI, CARDINALI E VESCOVI TUTTI. IL "PANE QUOTIDIANO" DEL "PADRE NOSTRO", SI VENDE A "CARO PREZZO", MOLTO CARO (= "CARITAS")!!!

4. ULTIMA CENA ED ECONOMIA VATICANA. Benedetto XVI cambia la formula: «Il calice fu versato per molti», non «per tutti»!!!

5. IN PRINCIPIO ERA IL "LOGO"!!! SE UN PAPA TEOLOGO LANCIA IL "LOGO" DEL SUO DIO ("DEUS CARITAS EST") E TUTTI OBBEDISCONO, E NON VIENE RISPEDITO SUBITO A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO, DI COSA VOGLIAMO PARLARE DI AFFARI E DI MERCATO?! EBBENE PARLIAMO DI AFFARI, DI MERCATO, DI "MAMMONA", "MAMMASANTISSIMA", E DI COME I PASTORI ... IMPARANO A MANGIARE LE PECORE E GLI AGNELLI, E CONTINUANO A GOZZOVIGLIARE ALLA TAVOLA DEL LORO "DIO"!!! Avanti tutta, verso il III millennio avanti Cristo!!!

Federico La Sala

* Il Dialogo, Mercoledì 12 Settembre,2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/11/2012 07.46
Titolo:NESSUNA GRATITUDINE. ANCORA E SOLO PREISTORIA .......
Il lupo e il contadino *

Un lupo supplicò un contadino di nasconderlo ma, quando il pericolo fu passato, saltò fuori e volle mangiarsi il suo salvatore. «Non è giusto che tu mangi chi ti ha aiutato!» esclamò il contadino, ma il lupo ribatté: «Nessuno mai ricorda i benefici ricevuti. Perché dovrei essere io il primo a ricordarlo?». «Ti prego, lupo, sentiamo cosa ne pensano i passanti, prima di decidere».

Si trovava a passare di là un vecchio cane e confermò che il suo padrone, dopo anni di fedele servizio lo trattava, ora che non gli era più utile, con immensa ingratitudine. Giunse anche un cavallo e ammise di aver ricevuto lo stesso trattamento del cane.

Il contadino oramai disperava di dissuadere il lupo dal mangiarlo e quindi di salvarsi quando, d’improvviso, vide arrivare una volpe e, confidando nella sua astuzia, le fece un cenno d’intesa e rivolgendosi al lupo disse: «Interroghiamo anche quest’ultimo passante, poi farai quello che vorrai». «Volpe cara, questo lupo non vuole essermi grato di averlo nascosto nel sacco dai cacciatori che lo inseguivano. Cosa ne pensi?».

E la volpe: «Un lupo così grosso in un sacco così piccolo? Non posso crederlo. Fatemi vedere.» Il lupo rientrò nel sacco e subito la volpe aiutò il contadino a chiuderlo ben bene con un grosso nodo. L’uomo prese allora un bastone, riempì di legnate il lupo ch’era dentro il sacco e poi si girò verso la volpe e atterrò anche lei con un gran colpo in testa esclamando poi: «Sai, volpe? A forza di dirmelo hanno convinto anche me che la gratitudine non esiste affatto!».

* da I libri di Gulliver
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/11/2012 08.51
Titolo:Sorriso, liberazione, gioia. Risalire gli abissi ...
- PAROLA A RISCHIO
- Risalire gli abissi
- La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
- Perché è sorriso, liberazione, gioia.

di Giovanni Mazzillo (Teologo) *

G come gioia, come Gesù, respiro di gioia per tutti gli infelici della terra. Parliamo di Gesù, il cui corrispondente nome greco Iesoûs deriva direttamente dall’originale ebraico Je(ho)šhu e significa JHWH salva, per precisare immediatamente che il termine salvezza oggi non significa gran che per i nostri contemporanei, e di conseguenza risuona poco interessante persino quel nome, pur originariamente portatore di una gioia immensa e inaudita. Ciò avviene non solo per l’inevitabile logorio delle parole più usate e talora abusate, ma per il fatto che ha perso rilevanza e pertanto significato il valore stesso della “salvezza”.

Salvezza
- Salvezza da chi e/o da che cosa? Appunto, è questo il primo problema. La salvezza appare di primo acchito un concetto immediatamente derivato dal superamento di una situazione negativa, Si salva, o come succede in questo caso, viene salvato, qualcuno che si trova in una situazione di pericolo. Il pericolo di perdere qualcosa, di perdere se stesso. Di essere cancellato, di sparire, appunto come sparisce da un computer un testo non “salvato” o un’immagine non messa al sicuro. Ma essere salvati è per noi persone umane, e pertanto non riducibili a una traccia di codificazione binaria o algoritmica, molto di più che conservare un’impronta e una presenza. Coerentemente con la nostra realtà dinamica e relazionale, essere salvati significa avere un luogo, un senso, una rilevanza nel contesto di una realtà che giustifica, sorregge, garantisce il mantenimento e la crescita qualitativa, e pertanto il conseguente riconoscimento di un originario, inalienabile, imprescindibile valore personale.

La domanda «Chi o che cosa si può dire oggi salvato?» esige pertanto una primordiale differenziazione. Altro è il concetto di ciò che è salvato (cioè il dato messo al sicuro), ben altro è l’essere umano salvato. Questi non è solo garantito in ciò che ha di più proprio e pertanto è distinto dal mero “dato”, che invece è una sorta di file compilato (non per nulla in tedesco proprio il file è chiamato Datei, leggi datai, cioè «rea-ltà data»). L’essere umano è tale solo in un incontro, in una relazione. La persona è tutta nelle relazioni delle quali vive. Proprio la relazionalità sorregge il senso e la gioia del suo esistere.

L’annuncio di Gesù, già nella sua venuta in questo nostro mondo, è l’annuncio di una relazionalità umana felicemente riuscita. Nel Vangelo è direttamente collegato alla Grazia, termine che esprime tutto ciò e anche qualcosa di più.

Nell’annuncio della sua nascita, diversamente da quanto appare nella traduzione latina, e in quella italiana da essa derivata, nella preghiera più popolare che ci sia, Maria è salutata non con il saluto che si dava all’imperatore, alle autorità o anche agli amici con l’esclamativo «Ave!», bensì con l’invito a rallegrarsi, cioè a gioire (chaîre): a entrare in un circuito di esultanza per un dono gratuito e inatteso. Colei che è piena di grazia (kecharitōménē) è invitata a rallegrarsi perché tutto in lei è frutto ed espressione della «grazia» (cháris), cioè di un dono amorevole quanto sorprendente, che sarà presto annuncio di gioia per tutto il popolo e per ogni uomo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...”. L’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia...» (Lc 1,30-31; 2,10-11).

Il resto del Vangelo, soprattutto quello di Luca, evidenzia la gioia improvvisa e incontenibile che contagia quanti vengono a contatto con Ješhu. A cominciare da Elisabetta e dal suo bambino, che le esulta nel grembo, il futuro Battista. Così esultano ancora due anziani che sembrano essere rimasti in vita per mantenere viva la speranza d’Israele: Simeone e Anna, o i pastori; mentre nel racconto di Matteo, viene detto che i Magi “provarono una grandissima gioia” nel rivedere la stella che indicava il luogo della natività di Gesù.

La stessa gioia è testimoniata dai semplici e dagli umili, dagli infelici e dai peccatori che si sentono aiutati, capiti, perdonati. A gioire sono ancora i bambini e le donne, classi tradizionalmente neglette dalla piena partecipazione alla grazia collegata alle tradizionali benedizioni di Dio. Insomma il cuore del Vangelo è la lieta notizia annunciata ai bisognosi e agli infelici della terra. Il Dio che si dona totalmente, è il Dio che dona illimitatamente la gioia agli uomini. E perché la nostra gioia fosse piena (Gv 15,11), il Figlio di Dio è arrivato umanamente a perdere se stesso.

Perché avessimo una gioia che nessuno avrebbe mai più potuto toglierci, ha permesso che fosse tolta a lui la vita, per riprenderla di nuovo, ma con la conoscenza ormai nella sua carne e nella sua psiche di cosa significhi la morte umana. Di cosa voglia dire la gioia di vivere, di vivere non con il naturale sorriso con cui vive ogni creatura per la stessa gioia dell’esistere, ma di provare e diffondere la gioia di chi conosce la sofferenza e non resta inchiodato alla sofferenza. O al limite, di chi, nonostante le ferite e talora i chiodi mai interamente rimossi della sofferenza, sa sorridere della vita, perché questa è ormai rischiarata da colui che vince la morte e la depressione della sofferenza.

La gioia è dunque uno dei nomi della salvezza, ma di una salvezza che assume di volta in volta nomi nuovi e nomi antichi: riscatto, liberazione, sensatezza, leggerezza dell’esistere... Se la parola non fosse tanto inflazionata, si potrebbe dire che la salvezza altro non è che la felicità. È la felicità nel suo senso etimologico: come abbondanza e fertilità. Possiamo tradurre: come vita sensata che raggiunge il suo scopo e nasce da relazioni benevole, tendenti al bene altrui, trovando negli altri la propria gioia e comunicandola con relazioni che fanno crescere se stessi e gli altri.

In quanto tale, la felicità è simile alla pace e ne è la forma storica: è star bene con sé e con gli altri, con il proprio passato e con il proprio futuro. Perché, soprattutto oggi, c’è bisogno paradossalmente più di ricostruire il futuro che il passato o il presente. Per poterlo fare c’è bisogno di quella gioia consapevole che non si arrende e che non si ripiega su se stessa. Si ritrova nel futuro di una convivenza che non nasconde, ma sa riconoscere e superare i conflitti attraverso uno sguardo d’amore verso ciò che ci è intorno. È uno guardo che viene da lontano e tuttavia tocca la nostra umanità, questa mia e questa tua umanità, quella assunta, attraversata e come divinizzata da quel Gesù che continuamente dà senso a ogni tentativo di superare la violenza con l’amore. È l’unico a dar senso a ogni discorso di pace, anche questo che hai appena finito di leggere.

* MOSAICO DI PACE, LUGLIO 2012

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Commenti Articolo 710

Titolo articolo : Lettera di don Maurizio Patriciello al Prefetto di Napoli [Sua Eccellenza il dott. Andrea De Martino],

Ultimo aggiornamento: November/01/2012 - 16:00:01.

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Augusta De Piero Udine 24/10/2012 07.45
Titolo:Solidarietà a don Patriciello
So che le mie parole non contano nulla ma è tutto ciò di cui dispongo per esprimerle solidarietà, condivisione e ammirazione.
Pubblicherò la sua lettera nel mio (ben poco letto) blog diariealtro.it.
Augusta De Piero - Udine
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Daniele Bettenzoli Varese 01/11/2012 16.00
Titolo:Intervento sviante
Caro Don Patriciello, ho sofferto con lei nel vederlo strapazzato, e a più riprese strapazzato, dall'illustrissimo, chiarissimo signor Prefetto di Napoli.
Ha ragione di dire che la camorra non sarà mai (o comunque ben difficilmente)estirpata fino a quando vi saranno rappresentanti dello Stato che cercano di "sviare" il discorso dallo stato delle cose e della loro denuncia a quello di quisquiglie assurte a un "problema squalificante" del denunciante. Anche dando all'incidente un senso che potrebbe essere sfuggito all'illustre Prefetto, la sua "oggettività" resta totalmente indiscussa e indiscutibile. Coraggio, caro Don!
Daniele Bettenzoli

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Commenti Articolo 711

Titolo articolo : Questa Italia la sprezzante "Scheisse" non la meritava proprio. Una nota di Fulvio Papi,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/31/2012 - 15:16:31.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/10/2012 18.38
Titolo:A TUTTI I LIVELLI. La protezione incivile .....
La protezione incivile

di Francesco Merlo (la Repubblica, 27.10.2012)

La spavalderia è la stessa che Bertolaso esibiva sulle macerie quando si vestiva da guerrigliero geologico, da capitano coraggioso, gloria e vanto del berlusconismo, con certificati ammiratori a sinistra. Ma i testi delle telefonate che, in rete su repubblica. it, ora tutti vedono e tutti giudicano, lo inchiodano al ruolo del mandante morale. Quel «nascondiamo la verità», quel «mi serve un’operazione mediatica», quel trattare gli scienziati, i massimi esperti italiani di terremoti, come fossero suoi famigli, «ho mandato i tecnici, non mi importa cosa dicono, l’importante è che tranquillizzino », e poi i verbali falsificati...: altro che processo a Galileo! E’ Bertolaso che ha reso serva la scienza italiana.

Più passano i giorni e più diventa chiara la natura della condanna dell’Aquila. Non è stato un processo alla scienza ma alla propaganda maligna e agli scienziati che ad essa si sono prestati. E innanzitutto perché dipendono dal governo. Sono infatti nominati dal presidente del Consiglio come i direttori del Tg1 e come gli asserviti comitati scientifici dell’Unione sovietica. In Italia la scienza si è addirittura piegata al sottopotere, al sottosegretario Bertolaso nientemeno, la scienza come parastato, come l’Atac, come la gestione dei cimiteri. Dunque è solo per compiacere Guido Bertolaso, anzi per obbedirgli, che quei sette servizievoli scienziati sono corsi all’Aquila e hanno improvvisato una riunione, fatta apposta per narcotizzare.

Chiunque ha vissuto un terremoto sa che la prima precauzione è uscire di casa. Il sisma infatti terremota anche le nostre certezze. E dunque la casa diventa un agguato, è una trappola, può trasformarsi in una tomba fatta di macerie. In piazza invece sopra la nostra testa c’è il cielo che ci protegge. Ebbene all’Aquila, su più di trecento morti, ventinove, secondo il processo, rimasero in casa perché tranquillizzati dagli scienziati di Bertolaso. E morirono buggerati non dalla scienza ma dalla menzogna politica, dalla bugia rassicurante.

Purtroppo il nostro codice penale non prevede il mandante di un omicidio colposo plurimo e Bertolaso non era imputato perché le telefonate più compromettenti sono venute fuori solo adesso. E però noi non siamo giudici e non dobbiamo attenerci al codice. Secondo buon senso Bertolaso è moralmente l’istigatore dei condannati, è lui che li ha costretti a sporcarsi con la menzogna.

Tanto più perché noi ora sappiamo che questi stessi scienziati avevano previsto l’arrivo di un’altra scossa mortale, nei limiti ovviamente in cui la scienza può prevedere le catastrofi. Ebbene, il dovere di Franco Barberi, Bernardo De Bernardinis, Enzo Boschi, Mauro Dolce, Giulio Selvaggi, Gian Michele Calvi, Claudio Eva era quello di dare l’allarme. Gli scienziati del sisma sono infatti le sentinelle nelle torri di avvistamento, sono addestrati a decifrare i movimenti sotterranei, sono come i pellerossa quando si accucciano sui binari. Nessuno si sogna di rimproverarli se non “sentono” arrivare il terremoto. Ma sono dei mascalzoni se, credendo di sentirlo, lo nascondono.

Il processo dell’Aquila dunque è stato parodiato. E quell’idea scema che i giudici dell’Aquila sono dei persecutori che si sono accaniti sulla scienza è stata usata addirittura dalla corporazione degli scienziati. Alcuni di loro, per solidarizzare con i colleghi, si sono dimessi, lasciando la Protezione Civile nel caos, proprio come Schettino ha lasciato la Concordia. Il terremoto in Italia è infatti una continua emergenza: giovedì notte ne abbiamo avuto uno in Calabria e ieri pomeriggio un altro più modesto a Siracusa.

Ebbene gli scienziati che sguarniscono le difese per comparaggio con i colleghi sono come i chirurghi che scioperano quando devono ricucire la ferita.

Ma diciamo la verità: è triste che gli scienziati italiani si comportino come i tassisti a Roma, forze d’urto, interessi organizzati, cecità davanti a una colpevolezza giudiziaria che può essere ovviamente rimessa in discussione, ma che non è però priva di senso, sicuramente non è robaccia intrusiva da inquisizione medievale. Insomma la sentenza di primo grado può essere riformata, ma non certo perché il giudice oscurantista ha condannato i limiti della scienza nel fare previsioni e persino nel dare spiegazioni.

E il giudice dell’Aquila è stato sobrio. E’ raro in Italia trovare un magistrato che non ceda alla rabbia, alla vanità, al protagonismo. Ha letto il dispositivo della sentenza, ha inflitto le condanne e se n’è andato a casa sua come dovrebbero fare tutti i magistrati, a Palermo come all’Aquila. Pochi sanno che si chiama Marco Billi. Non è neppure andato a Porta a Porta per difendersi dall’irresponsabile travisamento che ai commentatori frettolosi può essere forse perdonato, ma che è invece imperdonabile al ministro dell’Ambiente Corrado Clini, il quale ha tirato in ballo Galileo e ci ha tutti coperti di ridicolo facendo credere che in Italia condanniamo i sismologi perché non prevedono i terremoti, che mettiamo in galera la scienza, che continuiamo a bruciare Giordano Bruno e neghiamo che la Terra gira intorno al Sole.

Il ministro dell’Ambiente è lo stesso che appena eletto si mostrò subito inadeguato annunziando che l’Italia del referendum antinucleare doveva comunque tornare al nucleare. Poi pensammo che aveva dato il peggio di sé minimizzando i terribili guasti ambientali causati dall’Ilva di Taranto. Non lo avevamo ancora visto nell’opera brechtiana ridotta a battuta orecchiata, roba da conversazione al Rotary, da sciocchezzaio da caffè. E sono inadeguatezze praticate sempre con supponenza, a riprova che c’è differenza tra un tecnico e un burocrate. In Italia puoi scoprire che anche il direttore generale di un ministero non è un grand commis di Stato ma un impiegato di mezza manica.

So purtroppo che è inutile invitare personaggi e comparse di questa tragica farsa ad un atto di decenza intellettuale, a restituire l’onore alla ricerca, alla scienza e alla giustizia, e a risalire su quelle torri sguarnite della Protezione Civile senza mai più umiliarsi con la politica. A ciascuno di loro, tranne appunto al dimenticabile Bertolaso che intanto si è rintanato nel suo buco, bisognerebbe gridare come a Schettino: «Torni a bordo...».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/10/2012 10.49
Titolo:IN ITALIA,, «A L’AQUILA LA VERITÀ NON SI DICE» ...
L’Aquila, le verità che ci hanno nascosto

di Stefania Pezzopane, Assessore al Comune dell’Aquila *

«A L’AQUILA LA VERITÀ NON SI DICE». CON QUESTE POCHE PAROLE PRONUNCIATE DA BERTOLASO A BOSCHI È STATO SEGNATO IL DESTINO CRUDELE DI UNA CITTÀ. Oggi più che mai sento tutto il dolore per l’inganno che abbiamo subito. L’ennesima ulteriore dimostrazione che prima del terremoto gli aquilani non sono stati messi in condizione di essere informati su quello che stava accadendo.

Sfido chiunque ora a difendere la commissione Grandi Rischi in nome di una ideologica difesa della scienza. Queste persone erano venute all’Aquila con il proposito predeterminato di rassicurarci. I giudici sono stati non solo coraggiosi ma veri difensori dello Stato. Uno Stato che in quei giorni ci ha scientificamente ignorati. Gli scienziati infatti, invece di fare il loro mestiere, hanno piegato la loro scienza e la loro coscienza ad una logica allucinante.

Una pagina vergognosa. Nel mio libro «La politica con il cuore», che ho scritto nel 2009, avevo apertamente denunciato l’inganno e la superficialità dei quali si era resa colpevole la commissione. Nessuno, neanche il Comune dell’Aquila che si è costituito parte civile fin dal 2010, ha mai avuto intenzione di processare la scienza.

Piuttosto ci interessa accertare atti e responsabilità di quei componenti della commissione che a L’Aquila è venuta, non purtroppo per indagare il fenomeno che da mesi colpiva il territorio, bensì per obbedire al comando del capo della Protezione civile Bertolaso che in una intercettazione telefonica con l’assessore Stati affidava agli scienziati il solo scopo di fare esclusivamente «un’operazione mediatica» e «tranquillizzare la gente».

La comunità scientifica e quei politici che insorgono contro questa sentenza, nulla sanno degli atti processuali e non aspettano, come sarebbe giusto, di vedere le motivazioni della sentenza, ma più comodamente usano la metafora ideologica e davvero poco razionale del «processo alla scienza». Il ministro Clini con le sue affermazioni di difesa della commissione fa veramente rigirare nella tomba Galileo Galilei.

Mi sarei aspettata dalla comunità scientifica una presa di distanza dai comportamenti di quei «cosiddetti scienziati» che, invece di comportarsi da tali, hanno piuttosto assecondato il bisogno politico della rassicurazione, invece del bisogno scientifico dell’informazione. Quando un giudice condanna un medico che per negligenza o imperizia ha prodotto menomazioni o morte ad un paziente, è forse un processo alla medicina? O non è molto più semplicemente il processo a quel medico negligente e incapace? Quando si processa un politico che ruba e lo si condanna giustamente, non è semplicemente il processo a quel politico e alle sue ruberie e non un processo alla politica? I medici competenti e i politici onesti ringraziano i giudici che condannano incapaci e disonesti.

Questa coraggiosa sentenza rende un po’ di giustizia agli aquilani truffati prima e dopo il terremoto ed ingannati in maniera vergognosa. Il terremoto dell’Aquila non poteva essere previsto, ma a noi aquilani non è stato detto questo, è stato detto esattamente il contrario, ovvero che non era prevedibile in quel dato momento un terremoto grave e che lo sciame sismico era un fenomeno di scaricamento dell’energia, cioè un elemento positivo e tranquillizzante.

Come può allora una comunità scientifica preferire una difesa ad oltranza di chi è condannato, invece di difendere la scienza dall’oltraggio delle interferenze della brutta politica che in quella circostanza e forse anche in altre ha usato commissioni, comitati per fini che nulla c’entrano con l’informazione scientifica.

La commissione in occasione del terremoto dell’Emilia Romagna e del Pollino si è comportata molto diversamente, così come la Protezione Cilvile in più di un’occasione dopo il 6 aprile ha lanciato allarmi meteo, addirittura invitando la popolazione a non uscire di casa. Non mi sembra che quegli allarmi abbiano prodotto se non qualche disagio, gravi ripercussioni. A L’Aquila sarebbe bastato non negare l’evidenza. Mentre nella città ferita, dopo le rassicurazioni, si sono contati 309 morti e migliaia di feriti. Ma l’Aquila pur truffata ed ingannata non si arrende.

* l’Unità, 29.10.2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/10/2012 15.16
Titolo:Il pianeta del cavaliere ....
Il pianeta del cavaliere

di Barbara Spinelli (la Repubblica, 31 ottobre 2012)

Forse è il caso di ascoltare il grido di rabbia, e anche di speranza, che sale dalla Sicilia, questa terra dove fare giustizia è scabroso. Un sindaco anti-mafia, Rosario Crocetta, diventa governatore anche se il Pd è alleato con gli ex tutori di Cuffaro nell’Udc. La vecchia battaglia di Grillo per un Parlamento pulito (2005), che escluda condannati di primo, secondo e terzo grado, ha ottenuto un premio enorme: il suo Movimento è primo partito dell’isola. Non ha usato, stavolta, l’arma del web: Grillo ha battuto città dopo città come i professionisti d’un tempo, facendo comizi per ben 20 giorni. I siciliani, allibiti, si sono sentiti onorati, visti, non identificati con la mafia che pretende incarnarli. Il Movimento offre anche un orizzonte non eversivo: Grillo non ha torto quando dice che senza di lui saremmo sommersi da neonazisti come in Grecia e Ungheria.

Chi vive in un altro pianeta è Berlusconi, che tutto questo non l’ha presentito. Per questo vale la pena ricostruire la genesi dei tribunali. La giustizia, i processi, le leggi, esistono in primo luogo per l’innocente, per il senza-potere: non per il reo da condannare. Se c’è desiderio che sia fatta luce su chi vilipende il bene comune (in Sicilia anche la bellezza comune), è perché l’innocente non sia confuso con il colpevole, sprofondando in una melma dove non distingui nulla. È questo bisogno di giustizia che l’ex Premier offende, disattento alla Sicilia e all’Italia in mutazione. Ogni processo è ritenuto veleno, che ammorba la democrazia e la spegne. La magistratocrazia si sostituirebbe eversivamente alla democrazia, contro il popolo sovrano.

Il dubbio che i processi siano al servizio soprattutto degli indifesi non lo sfiora: lui, condannato per truffa ai danni dello Stato, si presenta come vittima, perfino capro espiatorio. Non sa che per definizione il capro è innocente: che proprio per questo il rito è barbarico. Non c’è, nel capro, la «naturale capacità a delinquere» che i giudici di Milano ravvisano in Berlusconi: non sarebbe agnello sacrificale, se avesse questa capacità.

È importante che gli italiani sappiano che l’idea stessa di giustizia - pietra angolare della pòlis - è negata, ignorata, da chi parla del pianeta giustizia quasi estromettendola dall’orbita terrestre. Che sappiano quel che spinge Berlusconi condannato ad aborrire le sentenze che lo riguardano ma anche, d’un sol fiato, quelle che giudicano colpevoli di incuria gli scienziati che tranquillizzarono gli abitanti dell’Aquila e dintorni, raccomandando di restarsene in casa perché la grande scossa del 6 aprile 2009 era invenzione della paura. Non è escluso che la stessa ripugnanza tocchi alle sentenze del giudice per le indagini preliminari a Taranto, che ha punito la disinvoltura, all’Ilva, con cui la salute dei cittadini è stata per anni messa a repentaglio.

Non è vera follia, perché sempre nelle follie dell’ex Premier c’è un metodico fiuto di rancori nascosti: non della società, ma certo del «suo popolo». Rancore per le tante sentenze, che invadono i campi più diversi perché arati senza legge e controlli a fini privati. La lotta a chi froda impunemente, la protezione dalle catastrofi naturali o da acciaierie tossiche, ma anche la custodia della nostra ricchezza che è il patrimonio artistico: sono mansioni che dovrebbero competere allo Stato, non ai magistrati. I quali non sono giudici vendicatori, e nemmeno chirurghi che guariscono alla radice i mali dell’incuria cialtrona. Possono intervenire solo a danno o crimine compiuto, e non per cambiare le leggi, selezionare onesti amministratori, presidiare il bene pubblico prima che il malaffare lo sfasci. È quel che diceva Borsellino, quando insisteva sull’obbligo propedeutico dei politici di far pulizia a casa propria, sventando patti mafiosi.

Lo dice a 23 anni di distanza Ingroia, procuratore aggiunto a Palermo, quando invoca, contro la ‘ndrangheta radicata ormai stabilmente a Nord, un «cambio di classe dirigente e di ceto politico», tale che si possa «girare la pagina» e bloccare le contrattazioni Stato-mafia. Fu ancora Borsellino, il 22 giugno 1990 in un dibattito a Roma (il tema era “Stato e criminalità organizzata: chi si arrende?”) a replicare che lo Stato non si era arreso, non avendo combattuto. Attilio Bolzoni magistralmente scrive su Repubblica che qualcosa mancherà nel processo sulle stragi del ’92-93. Non un pentito di mafia: «Quel che è sempre mancato è un pentito di Stato».

Cambiare classe dirigente non significa cambiar facce, o rottamare. Significa interrogarsi severamente sulla giustizia omessa, sul vuoto di politica che moltiplica le sentenze, e porre rimedio premurandosi del bene comune. Compreso il bene europeo, altro bersaglio di Berlusconi (perché dobbiamo tener conto delle inquietudini dei tedeschi? si chiede stupito). Significa riconoscere che non solo governanti e politici debbono apprendere la responsabilità e la giustizia, ma anche la classe dirigente non schierata. Anche chi, specialista o manager, ha poteri d’influenza: tecnico della scienza, dell’economia, delle imprese.

Tutti questi potenti tendono a diffidare della magistratura, e non a caso c’è un ministro, Corrado Clini, che giunge sino ad equiparare la condanna di Galilei e quella dei sette scienziati che minimizzarono gli sciami sismici incombenti sull’Abruzzo dal dicembre 2008. Come se gli scienziati fossero accusati di scarsa preveggenza, non di avere perentoriamente escluso rischi gravi. Non di aver servito il potere politico (Bertolaso, Berlusconi) che voleva occultare la verità ai cittadini.

Non dimentichiamo uno dei sette, Bernardo De Bernardinis, che consigliava di chiudersi in casa (in casa! uno scienziato dovrebbe sapere che la casa uccide, nei terremoti) e per calmarsi di bere un bicchiere di Montepulciano in più. Non dimentichiamo lo scienziato Enzo Boschi, che il 9 aprile si piegò all’ingiunzione di Bertolaso: «I sismologi mi servono per un’operazione mediatica (...). È ovvio che la verità non la si dice».

In Todo Modo, Leonardo Sciascia fa dire al luciferino protagonista, Don Gaetano: «Le cose che non si sanno, non sono». Ecco come le classi dirigenti tradiscono. Non il giudice unico dell’Aquila, Marco Billi, è il cardinale Bellarmino censore di Galilei, ma il potere politico che asservisce la scienza. Chi ammorba la democrazia è Berlusconi che truffa, non il tribunale di Milano.

Se a fare le cose con senso di giustizia fossero i politici, i comitati scientifici, gli imprenditori, non avremmo questa riduzione d’ogni gesto all’aspetto penale. Ma è anche vero che senza sentenze, oggi, l’uomo diverrebbe lupo per l’uomo. Perché la catarsi della politica e delle classi dirigenti ancora non c’è. Perfino il governo Monti esita, con le sue leggi anticorruzione piene di indulgenze; anche se ha deciso, grazie a Di Pietro, di costituirsi parte civile nel processo di Palermo sulle trattative Stato-Mafia.

Già, Palermo. Anni di omertà e umiliazione non cancellano la sete di giustizia. È quello che ha dato le ali a Grillo. Non perché si sia dilungato sulla mafia, ma perché per quasi un mese si è messo in ascolto delle collere siciliane. Il grido che sale dalla Sicilia è la risposta più forte all’urlo di Berlusconi a villa Gernetto. A parole che pesano, non raddrizzabili. Per citare ancora Sciascia, parole simili «non sono come i cani, cui si può fischiare a richiamarli».

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Titolo articolo : IDENTITA' DELL'EUROPA: IN PRINCIPIO FU TROIA? NON SCHERZIAMO CON LA GUERRA E IL FUOCO! Una breve sintesi di Paolo Mieli sulla vecchia tradizione storiografica - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/31/2012 - 07:49:03.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/10/2012 19.54
Titolo:LA MEMORIA RITROVATA . BERLINO: A CIASCUNO IL SUO MEMORIALE
La memoria ritrovata

A Berlino un monumento per l’Olocausto di Rom e Sinti

Dopo vent’anni di polemiche e tensioni la Germania celebra lo sterminio negato e chiede ufficialmente scusa al popolo zingaro

di Gherardo Ugolini (l’Unità, 28.10.2012)

BERLINO A CIASCUNO IL SUO MEMORIALE. IN QUEL SUGGESTIVO “PAESAGGIO DELLA MEMORIA” CHE CARATTERIZZA IL CENTRO STORICO DELL’ODIERNA BERLINO, precisamente nell’area nevralgica dove si levano la sede del Reichstag e la Porta di Brandeburgo, gli altari del ricordo collettivo si susseguono uno dopo l’altro. C’è quello dell’Armata Rossa con i carri armati sovietici che per primi violarono la capitale del Reich nella primavera del 1945. Ci sono qua e là frammenti del Muro che per tre decenni è stato l’emblema indiscusso della guerra fredda. C’è l’immenso cimitero di steli grigie, disposto da Peter Eiseman per onorare il ricordo dei milioni di ebrei vittime della Shoah. Più nascosto tra i cespugli e gli alberi del Tiergarten, il grande parco cittadino un tempo riserva di caccia della casa reale, si trova il monumento in onore degli omosessuali perseguitati dal nazismo.

Dallo scorso mercoledì la mappa berlinese del ricordo storico si è arricchita ulteriormente. Ci sono voluti oltre vent’anni di discussioni, polemiche a tratti roventi, promesse non mantenute e rinvii inspiegabili, ma finalmente anche gli zingari hanno in Germania un loro monumento che ricorda le deportazioni e i massacri patiti durante gli anni del Terzo Reich.

«Lo dobbiamo ai morti e lo dobbiamo ai vivi» ha dichiarato la cancelliera Angela Merkel nel discorso ufficiale durante l’inaugurazione. Una volta tanto i discorsi non sono stati né rituali né vacuamente retorici. «Lo sterminio di quel popolo ha lasciato tracce profonde e ferite ancora più profonde» ha affermato la cancelliera invitando a considerare il nuovo memoriale come un monito contro ogni forma di discriminazione etnica e razziale.

E rivolgendosi ai rappresentanti delle comunità di sinti e rom presenti all’inaugurazione, Merkel non ha nascosto i pregiudizi e i problemi di convivenza che tuttora si riscontrano nella società tedesca, evidenziando come sia «compito tedesco ed europeo sostenervi nell’esercizio dei vostri diritti». Un discorso tutto sommato coraggioso, anche se qualcuno ha fatto osservare come sia stato proprio il governo di Frau Merkel non più tardi di due anni orsono ad espellere - nonostante le blande proteste del Consiglio d’Europa e nella più assoluta indifferenza dell’opinione pubblica - oltre diecimila rom kosovari, rifugiatisi alla fine degli anni Novanta nel territorio della Bundesrepublik.

Quello dei rom e dei sinti è stato un destino davvero disgraziato. La loro persecuzione da parte dei nazisti iniziò fin da subito e fu portata avanti con una sistematicità e una violenza del tutto analoghe a quelle impiegate contro gli ebrei. Considerati una «razza inferiore», degenerazione di quella ariana, geneticamente predisposta al nomadismo, all’asocialità e alla delinquenza, gli zingari furono deportati in massa nei campi di concentramento badando anche a tenerli isolati dagli altri prigionieri: per questo ad Auschwitz fu istituito un apposito Zigeunerlager, ovvero un «campo per gli zingari».

Per risolvere la «questione zingara» il nazismo dapprima approvò una serie di leggi e provvedimenti fortemente persecutori, quindi avviò la pratica della sterilizzazione coatta (una sorta di sterminio dilazionato nel tempo), per passare, infine, nel 1942 alla «soluzione finale», ovvero il trasferimento obbligatorio di tutti gli zingari ad Auschwitz in vista del definitivo annientamento. Ne morirono almeno 500mila, ma gli storici calcolano che probabilmente furono molti di più: data la loro natura nomade è difficile stabilire con precisione quanti zingari risiedessero nel territorio della Germania e delle zone occupate dai nazisti.

Anche dopo la fine della guerra i patimenti non sono cessati. Per decenni nel Dopoguerra il loro sterminio è stato negato o minimizzato. Nei processi contro i criminali nazisti - a partire da quello di Norimberga - mai nessuno decise di sentire testimonianze di rom e sinti. E nonostante la Convenzione di Bonn - imposta dagli Alleati alla Germania nel 1945 - prescrivesse il pagamento di indennizzi a quanti erano stati perseguitati per motivi razziali, nel caso dei rom e dei sinti tutte le istanze di risarcimento furono eluse dalla magistratura tedesca.

La ferita del «genocidio negato» ha bruciato toppo a lungo, come ha denunciato pochi giorni fa Romani Rose, presidente del Consiglio centrale dei popoli sinti e rom in Germania. Si dovette attendere fino al 1982 perché un’autorità politica tedesca, il cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt riconoscesse le loro ragioni e chiedesse ufficialmente scusa a nome del popolo tedesco. E quindici anni dopo fu il presidente federale Roman Herzog a sottolineare l’analogia tra ebrei e nomadi per quanto riguarda le pratiche di sterminio del Terzo Reich.

Il memoriale che ricorda la loro tragedia sorge ora nel cuore di Berlino e mette una pezza su una parabola fatta di tormenti e dimenticanze. Le comunità degli zingari residenti in Germania lo hanno fortemente voluto come segnale di pacificazione, ma sono stati necessari due decenni perché si superassero incomprensioni e impedimenti e il progetto diventasse realtà.

L’artista israeliano Dani Karavan lo ha realizzato dandogli la forma di una vasca circolare dal fondale nero, con un triangolo vuoto nel centro da cui ogni giorno emerge una stele con un fiore sulla sommità. A chi lo guarda trasmette la sensazione di sprofondamento nell’abisso, quella sensazione che si provava all’ingresso dei lager, come rievocato dai versi del poeta italiano di etnia Rom Santino Spinelli incisi sul bordo della vasca.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/10/2012 06.22
Titolo:EUROPA ED ASIA. ELENA DI TROIA ... ELENA E COSTANTINO .... IL DISAGIO DELLA CI...
COSTITUZIONE DOGMATICA DELLA CHIESA ’CATTOLICA’ ... E COSTITUZIONE DELL’IMPERO DEL SOL LEVANTE.Un nota sul “disagio della civiltà” di Federico La Sala (www.ildialogo.org/filosofia, 17 novembre 2005)

Il ’delirio’ della Gerarchia della Chiesa ’cattolico’-romana è ormai galoppante!!! E se vogliamo aiutarla a guarire o, che è lo stesso, se vogliamo aiutarci a guarire (il ’delirio’ è generale, e non solo suo!!!) non possiamo non riprendere a pensare - a partire da noi stessi, e da noi stesse!!!

Il problema è pensare proprio a partire da noi, dagli esseri umani in carne ed ossa - dalle persone, quale siamo e quale vogliamo essere, da quell’individuo che non sia un (o una) “Robinson”, come voleva il ’vecchio’ Marx non marxista e non hegeliano!!! Basta con le robinsonate!

La questione è la Relazione (Dio è Amore), e una relazione non edipica!!! Una relazione edipica (sia dal lato della donna sia dell’uomo) porta a postulare l’esistenza di un “dio” (un dio-uomo o un dio-donna) e, di qui, la concezione di un ’mondo’ dove il diritto di comandare in cielo e in terra sia del “dio” (del dio-uomo o del dio-donna)!!!

Da questo punto di vista, la Chiesa ’cattolico’-romana è solo l’ultimo baluardo di quel “dio” che garantisce la proprietà privata dei mezzi di produzione e l’educazione edipico-capitalistica.

Perché i sacerdoti (se vogliono) non si possono sposare?!, o perché le donne non possono diventare sacerdot-esse?!, ma perché il “dio” è concepito come dio-uomo e, come tale, solo il dio-figlio può essere come il dio-padre... e la donna solo come la madre-dea.

Sulla terra (e per tutti e per tutte) il Dio-Figlio è il figlio-dio e il fratello di tutti e di tutte, ma in cielo solo Lui può essere il Padre... e lo Sposo della Madre - e, siccome è solo lui che può avere rapporti con il cielo (ma il messaggio di Gesù proprio perché è un buon-messaggio dice che tutti e tutte siamo tutti e tutte figli e figlie di Dio-Amore... e tutti e tutte possiamo avere rapporti con “Lui”!!!), deve essere anche ’donna’ (perciò si traveste così come si traveste) per ’generare’ e ’riprodurre’ se stesso, in circolo...e comandare su tutti, su tutte, e su tutto! Che follia, senza alcuna saggezza - sconsolatamente!!!

Vedere il caso del Giappone - nella cultura giapponese c’è la Dea in cielo, e l’imperatore sulla terra; ora-oggi!!!, dal momento che alla coppia imperiale è nata una bambina, si parla di cambiare la Costituzione per far sì che Lei possa accedere al trono ... ma il problema è più complesso - come si può ben immaginare - perché ... deve essere cambiata anche la Costituzione celeste dell’Impero del Sol Levante!!! Se no, l’Imperatrice con Chi si ’sposerà’?! Con la Dea?!!

Non è questa forse la ragione nascosta del “disagio della civiltà” dell’Oriente e dell’Occidente ..... e anche della sua fine, se non ci portiamo velocemente fuori da questo orizzonte edipico-capitalistico di peste, di guerra e di morte? Non è ora di andare al di là della tragedia, e riprendere il filo dall’ “Inizio” (filosoficamente, parlando)?! Cosa significa essere EU- ROPEUO*?!!

In principio cosa c’era, il Logos buono o il Logos cattivo?! Sta a noi, tutti e tutte, deciderlo - qui ed ora (come sempre, del resto)!!!

Federico La Sala


*

Sul significato del termine “eu-ropeuo”, mi sia consentito, cfr. Federico La Sala, “Terra!, Terra!: il Brasile dà una ’lezione’ all’Europa e alle sue radici”

www.ildialogo.org/filosofia, Lunedì, 31 ottobre 2005.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/10/2012 07.49
Titolo:DA ELENA DI TROIA A LLE "RADICI CRISTIANE" DELL'EUROPA ....
Tre donne «forti» dietro tre padri della fede

di Marco Garzonio (Corriere della Sera, 25 ottobre 2012)

Il IV secolo è fine di un’epoca e nascita di tempi nuovi anche per i modelli femminili nella cultura cristiana e nella società. Mentre le istituzioni dell’Impero si sfaldano, popoli premono ai confini, corruzione e violenze dilagano e le casse sono vuote, causa guerre ed evasione fiscale, alcune donne sono protagoniste delle trasformazioni almeno tanto quanto gli uomini accanto ai quali la storia le ha accolte. Elena, madre di Costantino, Monica madre di Agostino, Marcellina sorella di Ambrogio.

Ma ci son pure Fausta, moglie di Costantino, da lui fatta assassinare per sospetto tradimento (violenza in famiglia anzi tempo) e la compagna di Agostino, giovane cartaginese vissuta anni more uxorio («coppia di fatto» si direbbe oggi) col futuro santo vescovo d’Ippona. Gli diede pure un figlio, Adeodato, di lei però non è rimasto nemmeno il nome: una rimozione del femminile, nonostante la straordinaria autoanalisi ante litteram compiuta da Agostino nelle Confessioni; un archetipo delle rimozioni collettive della donna praticate dalla cattolicità e di tanta misoginia e sessuofobia che affliggeranno la Chiesa per secoli e ancora la affliggono. Ma andiamo con ordine nel considerare i tipi.

La madre solerte, forte, premurosa, ambiziosa, molto attaccata al figlio maschio, possessiva: è il modello di madre che emerge dalle testimonianze. In parte è un’icona ritagliata sul prototipo della matrona romana, su cui s’innesta la novità del cristianesimo. Questo dalle origini si dibatte in una contraddizione. C’è l’esempio di Gesù che «libera» la donna dalle sudditanze; per lui non è alla stregua di una «cosa» (come negli usi romani); negli incontri rivela l’alta considerazione verso una persona non certo inferiore all’uomo e contraddice così la cultura del tempo. Narrano i vangeli che Gesù si mostra a Maria di Magdala e alle altre donne come il Risorto davanti al sepolcro vuoto: loro sono le protagoniste, a esse affida l’annuncio pasquale. Dall’altra parte c’è San Paolo che invita le mogli a stare sottomesse ai mariti e ispira la visione di un ruolo ancillare, silenzioso, subordinato.

Ecco, allora: Elena anticipa quella che in epoche successive sarà la Regina Madre. Locandiera, legata a Costanzo Cloro cui darà un figlio, Costantino, fa di tutto perché questi diventi padrone dell’Impero: tesse rapporti, guida, consiglia. Verrà ricambiata: Costantino cingerà lei del diadema imperiale (invece della «traditrice» Fausta) introducendo nell’iconografia una coppia un po’ incestuosa: madre e figlio.

Psicologicamente Costantino sarà in un certo modo sottomesso a Elena. A Gerusalemme lei troverà le reliquie del Santo Sepolcro. Dei chiodi della Croce ornerà la corona imperiale (posta sul capo dei padroni del mondo sino a Napoleone) per dire che chi governa è sottomesso a Dio, e farà il morso del cavallo del figlio: anche i sovrani devono frenare le pulsioni.

Madre altrettanto ingombrante, sul piano degli affetti in questo caso, fu Monica per Agostino. Questi aveva cercato di liberarsene partendo per Roma senza dir nulla ma Monica non si scoraggiò, lo inseguì e raggiunse sino a Milano, capitale ai tempi. Qui convinse il figlio, all’apice del successo come retore, a rispedire in Africa la compagna e si diede da fare perché trovasse a corte una moglie. Intanto s’era pure spesa affinché Agostino conoscesse Ambrogio, che a Milano contava più delle insegne imperiali. Così l’amore di madre si trasformò: cadde il progetto di ascesa sociale, venne la conversione e il futuro padre della Chiesa riprese la via dell’Africa, senza più Monica però, che morirà sulla via del ritorno.

Un altro genere di donna, che ebbe e ha importanza nella Chiesa, nei costumi, nella cultura è incarnato da Marcellina. La sorella di Ambrogio, dopo aver contribuito a crescere i fratelli, prese il velo con papa Liberio. Grazie a lei si prospettò una scelta di vita ricalcata sul modello del monachesimo orientale, di cui Ambrogio era estimatore: la verginità (su questa il Patrono di Milano compose una delle sue opere principali), la consacrazione, il chiostro in cui ritirarsi, pregare e, in taluni sviluppi, lavorare, garantire il prosieguo delle tradizioni e aprirsi al mondo attraverso opere di carità. Costantino, Ambrogio, Agostino e lo loro donne: esempi d’una storia plurale che continua, viene costruita giorno dopo giorno ancora, si evolve.

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Commenti Articolo 713

Titolo articolo : la piccola Antigone,di Giampiero Monaca

Ultimo aggiornamento: October/30/2012 - 05:29:13.

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Autore Città Giorno Ora
andrea belingardi torino 30/10/2012 05.29
Titolo:proprio così
sono d'accordo con Voi e con Elena

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Commenti Articolo 714

Titolo articolo : "NUOVO REALISMO": NEL CORTILE DI GENTILE, UN POSSIBILE CONCORDATO (SEMPRE CONTRO KANT). FERRARIS APRE A SEVERINO, E TUTTI E DUE CONTRO VATTIMO (E I PENSATORI "DEBOLI"). L'intervento di Severino e la risposta di Ferraris - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/29/2012 - 11:05:52.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/9/2012 12.41
Titolo:IL POPULISMO FILOSOFICO ....
La filosofia popolare e il populismo filosofico

Perché si può parlare di certi temi ai festival ma bisogna evitare le semplificazioni

di Pier Aldo Rovatti (la Repubblica, 19.09.2012)

Una volta, tanti anni fa, andai in televisione a parlare di filosofia. Il programma, allestito da Rai Educational, si chiamava “Il grillo”. Ero circondato da studenti delle scuole superiori, c’era un tema, e poi dovevo fare tutto da solo, compresa un’autopresentazione. “A cosa serve la filosofia?”, questa era la domanda; avevo un’ora (televisivamente, un tempo enorme) per rispondere assieme ai ragazzi. Me la cavai dicendo che a rigore la filosofia non serviva a nulla, tranne che a interrogarsi in modo critico attorno al senso della parola “servire”.

Non si combatte il populismo filosofico chiudendosi in casa (o nel proprio studiolo, o nella propria aula, che è una specie di casa), insomma rivendicando un atteggiamento elitario. Semmai lo si affronta davvero solo “scendendo in piazza” e rischiando di abbandonare il comodo piedistallo dello studioso solitario o attorniato solo da una sparuta cerchia di pari. Ma, allora, cosa significa fare filosofia e cosa vuol dire combattere il populismo filosofico?

Ci sono parecchi equivoci da stanare e da chiarire. Una filosofia che abdichi al proprio compito critico, anche radicalmente critico, forse anche masochisticamente autocritico, non serve a nulla: legittima di volta in volta l’opinione corrente, le fornisce un po’ di belletto teoretico.

Perciò il cosiddetto “filosofo” è da sempre un personaggio alquanto scomodo, talora irritante, e da sempre, se è un “vero” filosofo, rischia la sua faccia e deve avere il coraggio di sfidare il potere delle idee prevalenti e già codificate. Non basta dire che il filosofo è uno che ama le idee in un mondo involgarito: la filosofia serve a qualcosa solo se accende dei segnali rossi attorno a certe idee lanciando un allarme.

Per esempio, dovrebbe riuscire a distinguere tra populismo filosofico e filosofia popolare, saper individuare bene la natura, il senso e le conseguenze di questo equivoco abbastanza clamoroso sul quale si è costruito il recente dibattito sulle feste filosofiche e sulla filosofia prêt-à-porter (inaugurata a luglio su Repubblica, da Roberto Esposito e proseguita con altri interventi in questi mesi).

Fin dall’antichità la filosofia ha avuto una vocazione popolare: ciò significa che essa si occupa e si preoccupa dell’esperienza quotidiana, si rivolge ai “cittadini” proponendo loro uno stile di vita. La filosofia ha da sempre una vocazione pubblica ed etica, anche quando sembra essere solo un esercizio del soggetto su se stesso. Questa vocazione attraversa tutta la sua storia, solo che oggi i cittadini non sono più un gruppo limitato di persone ma un insieme che riguarda tendenzialmente l’intera società senza distinzioni. Il bisogno di filosofia è avvertito oggi da tutti e perciò hanno presa le feste filosofiche che chiunque può frequentare, e si sviluppano di continuo iniziative di massa che hanno come scopo la divulgazione.

La filosofia popolare deve cessare di essere critica? No, certamente, ma essa si annoda, oggi, con la cosiddetta “cultura televisiva” e accade così che la mediatizzazione appiattisca questa criticità o addirittura la elimini. Può esistere una filosofia popolare senza una tale “semplificazione” che snatura la filosofia stessa? Sì, può esistere, ma qui si deve innestare una vera e propria battaglia culturale contro il “populismo” filosofico, cioè contro la tendenza a ridurre il pensiero filosofico a modelli semplici e unificati. La battaglia tra chi asseconda questa riduzione e chi la combatte, magari anche nelle piazze, dunque anche nelle feste filosofiche (a FilosofiaGrado, qualche giorno fa, ho parlato proprio di questo).

Combattere la semplificazione populistica che è visibilmente in atto significa spingere il pedale della criticità, e battersi per il pensiero critico vuol dire, a mio parere, evidenziare gli aspetti paradossali del discorso filosofico, il suo connaturato pluralismo, il suo piacere della sfumatura, il suo rifiuto delle fissazioni, la sua vocazione storica e genealogica. Non a caso questa battaglia ha ora come campo un’idea di verità non bloccata né presupposta.

Uno dei miei autori preferiti, A.N. Whitehead, aveva lanciato una campagna contro le “cattive astrazioni”. Il populismo filosofico è una cattiva astrazione. Riduce la filosofia a un’ideologia prêt-à-porter. Lavorare contro il populismo filosofico e le sue cattive semplificazioni significa allora accettare la sfida mediatica e tentare di salvare l’identità del filosofo, oggi decisamente messa a rischio. Questa identità è attraversata da parte a parte da una tensione ironica. Se dalla cassetta degli attrezzi del filosofo si toglie l’ironia, con la quale è possibile spiazzare i problemi e farli vedere in una luce inabituale, il cosiddetto filosofo rischia di diventare un funzionario del pensiero abbastanza grigio.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/9/2012 08.47
Titolo:PER UN NUOVO REALISMO" ALL'UNIVERSITA'. I decreto sull'abilitazione ...
Università, chi dà i voti ai prof?

di Angelo d’Orsi (il Fatto, 19.09.2012)

Uno spettro si aggira per l’università italiana: si chiama “Terza Mediana”. Che un giorno emetterà i suoi vagiti (o strepiti inconsulti), qualcuno ci scommette, altri pensano il contrario. Siamo nelle viscere profonde della “riforma” Gelmini-Profumo. Ma il mondo accademico, non contento delle bastonate ricevute da una campagna che lo ha dipinto come dedito alla corruzione, al fannullonismo (ve lo ricordate il Brunetta fantuttone?) se non addirittura alla crapula, si divide, con gli uni pronti ad afferrare l’osso che il collega Profumo getta (a taluni) e a condannare ai margini del campo tutti gli altri. In generale, si sa, è il comparto scientifico (le scienze pretese “esatte”), a fare la parte del leone; agli umanisti restano le briciole. La “riforma” ha partorito il mostro, l’ANVUR, l’Agenzia della Valutazione, una entità che sembra perfetta per incarnare gli “arcana imperii” evocati da Tacito.

Chi decide, chi sceglie, in nome di quale autorità morale e intellettuale? Non si sa. Un’aura di segretezza avvolge il meccanismo della “valutazione”, che, proprio grazie alla campagna mediatica di cui sopra - sostenuta anche da docenti come Giavazzi, Alesina, Perotti, sulla base di dati diciamo “discutibili” - è stata accolta dalla gran parte della pubblica opinione come il toccasana per dare una “regolata” a questa masnada di professori ribaldi.

ORA FINALMENTE saranno valutati in modo oggettivo, e farà carriera chi lo merita. Ecco, il grande totem del Merito, associato alla suprema divinità del Mercato. Mentre dunque l’Università riapre dopo la pausa estiva, tra mille difficoltà, si trova ad affrontare questi nuovi mostri. E accanto alle “mediane”, si parla di “semafori”, quando, per rendere ridicolo il tutto, non ci si butta a capofitto nell’inglese, convinti di rendere più “moderno” il passaggio. Verso dove? Verso il nulla rivestito di smalto, per richiamare un bell’aforisma di Gottfried Benn.

Dunque, un’oligarchia che agisce in nome della totalità del corpo docente, ma non per suo conto, sta decidendo come valutare i “prodotti della ricerca”, ossia come consentire la progressione di carriera dei docenti, come far accedere i giovani che premono, se, come capita sempre più sovente, non hanno mollato, emigrando, oppure hanno cambiato prospettiva di vita e di lavoro. Tutto questo seguendo il mito dell’internazionalizzazione, che è un semplice piegarsi al modello statunitense, quasi che le università le avessero inventate aldilà dell’Atlantico. Mai nella storia italiana era accaduto che un governo facesse una intromissione così rozza e brutale, seppur ammantata di smalto (appunto), nei criteri di valutazione universitaria. Come si fa a non rimpiangere Giovanni Gentile?

Dopo che le discipline “dure” si sono buttate a capofitto nei famigerati “criteri bibliometrici” (ossia più sei citato più vali, il che equivale a un incentivo agli accordi tra colleghi: tu citi me e io cito te, e diventiamo importanti!), le materie umanistiche hanno vagamente resistito, ora rischiano di piegarsi a una logica che nulla ha a che fare con la scienza e con la cultura.

IL DECRETO sull’abilitazione nazionale prevede tre “mediane”: monografie; articoli su rivista scientifica e contributi in volume; articoli su rivista scientifica “di fascia A”: per l’ammissibilità alla abilitazione al candidato basta il possesso di una sola di queste mediane. Essere in fascia A, dunque, significa che puoi non aver pubblicato mai un libro, o null’altro che un articolo che, in quanto collocato nella “prima divisione”, a prescindere dal suo valore, e al limite senza neppure essere valutato, ti accredita come studioso meritevole.

Insomma, qualcuno decide, in base a criteri imperscrutabili, quali siano le riviste elette all’empireo segnato dalla lettera A, ossia la mediana n. 3 sancisce una disuguaglianza tra i concorrenti, talmente clamorosa che Valerio Onida, presidente emerito della Suprema Corte, ha steso un ricorso, a nome dei costituzionalisti italiani (una categoria che di legge qualcosa capisce), contro un’aberrazione giuridica, oltre che scientifica. Purtroppo alcune società accademiche, in base a calcoli di potere e di conventicola, hanno steso un patetico appello al “mantenimento della terza mediana”.

Tra esse, ahinoi, c’è la SIS-SCO, la società dei contemporaneisti, che da anni si segnala per il suo discutibile “modernismo”; del resto l’appello è stato steso dal suo ex presidente. Un socio, Lucio D’Angelo (Università di Teramo) ha osato gridare: “il re è nudo”, facendo notare che se passasse la terza mediana “si arriverebbe all’aberrante risultato che un articolo di 15 pagine pubblicato in una rivista della fascia A verrebbe equiparato automaticamente, senza essere letto, a dieci saggi di 30 o 40 pagine ciascuno apparsi in altre riviste o in volumi collettanei oppure a due monografie, anche se di 400 pagine ognuna”.

COME SPIEGARE una pretesa del genere, se non come una furbata dei boss delle discipline di far passare un loro protetto di scarso valore?

I criteri di valutazione ci devono essere, ma non possono essere inventati da esperti di nomina politica, e con valore retroattivo; devono essere equi e sensati, condivisi dalla comunità scientifica, e non solo da alcune lobby, magari corrive alle centrali del potere. E se quella della terza mediana (ma in generale della “riforma”) è una bandiera di progresso, io mi dichiaro francamente conservatore.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/9/2012 11.01
Titolo:Il «realismo» dei banalizzatori di Kant ..
Quando i filosofi si confrontano con lo scetticismo

di Gianni Vattimo (Corriere della Sera, 21.09.2012)

Caro direttore,

i «nuovi» realisti, a cui Emanuele Severino («la Lettura», 16 settembre) fa l’immeritata gentilezza di prenderli sul serio, saranno «in sé» o «fuori di sé»? Essi (Maurizio Ferraris, «Repubblica», 17 settembre) lo ricambiano facendo dire al povero Kant che i fenomeni, per essere tali, devono avere dietro delle «cose in sé» (ogni fenomeno la sua cosa; multe, colapasta, sciacquoni, ecc); e siccome questo è impossibile (lo era soprattutto per Kant, che non avrebbe mai parlato di cose in sé al plurale), multe, colapasta e sciacquoni non sono fenomeni, ma essi stessi cose in sé. Ma a parte l’imprudenza di dialogare con simili interlocutori, Severino argomenta anche in modo serio; serio e anzi eterno, perché le sue ragioni sono sempre le stesse (del resto lui non se ne preoccupa: «Ogni cosa è un essere eterno», dunque anche il suo discorso sull’incontrovertibile). Due i punti essenziali dell’articolo.

a) Gentile. Come i suoi maestri neoscolastici dell’Università Cattolica, Severino riconduce tutto a Gentile e al suo idealismo estremo e soggettivistico. Sono loro che gli hanno insegnato a preferire Gentile a Croce: più facilmente riducibile ad absurdum: tutto sarebbe nelle mani dell’uomo empirico, io lui loro; soggettivismo, nichilismo, ecc. Se questo è l’esito del pensiero moderno, è chiaro che bisogna tornare agli antichi e agli eterni: Parmenide, alla faccia di ogni esperienza vissuta di storicità, libertà, cambiamento.

b) L’incontrovertibile. Se io, con Nietzsche (e Gadamer e Heidegger; ma anche Marx critico dell’ideologia), dico che non ci sono fatti ma solo interpretazioni, e anche questo è un’interpretazione, Severino sostiene che anch’io (e i sunnominati) pretendo di fare una affermazione metafisica e incontrovertibile. E perché? Lo dico, qui, ora, leggendo così la mia condizione ed eredità storica. La leggo così e non altrimenti. Ah, ecco, il principio di non contraddizione da cui dovrebbe discendere la verità incontrovertibile dell’eternismo severiniano.

Che poi questo vada a braccetto con il «realismo» dei banalizzatori di Kant con cui egli dialoga può solo far da tema a un racconto patafisico. Oltre alla confutazione del pensiero moderno identificato con Gentile, il discorso di Severino (qui e sempre) si riduce tutto al vecchio argomento antiscettico: se dici che tutto è falso, pretendi che la tua tesi sia vera. Dunque... Ma c’è mai stato uno scettico che si sia «convertito» sulla base di questo giochetto logico-metafisico?
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/9/2012 11.49
Titolo:Risposte di Ferraris ai critici e di Taddio a vattimo ....
- «Il nuovo realismo sradica il populismo»

- Parla Maurizio Ferraris, filosofo teoretico, che risponde ai suoi critici

- Una riflessione che parte da lontano: dalla scuola di Pareyson e Vattimo
- E che alla fine si è rovesciata nella difesa dell’oggettività del reale.
- Contro il relativismo e la società dei simulacri

- di Bruno Gravagnuolo (l’Unità, 27.09.2012)

DISCUSSIONE LUNARE: ESISTONO OGGETTIVAMENTE LE COSE E IL MONDO? O TUTTO È INTERPRETABILE E MANIPOLABILE? Ma è da millenni che la filosofia ci ritorna, con corollari pratici per nulla innocui. Capita che un filosofo torinese di 56 anni, allievo di Vattimo, si ribelli al maestro, dopo averne condiviso il pensiero (debole). Pensiero libertario che affermava: tutto è interpretazione e non «verità», in virtù della tecnica e della civiltà delle immagini. La ribellione dell’allievo coltivata a lungo tra i libri esplode nel 2011 con la querelle su «il nuovo realismo». Vi si sono accapigliati Vattimo, Severino, Eco, e filosofi di diverse scuole. Il ribelle è Maurizio Ferraris, filosofo a Torino, assertore del «nuovo realismo», che afferma di averlo scoperto quando si è accorto col trionfo di Berlusconi che la civiltà delle immagini e delle interpretazioni era oppressiva e ingannevole. Dunque carne al fuoco politica oltre che teoretica. Sentiamo Ferraris.

Professor Ferraris, non crede che limitarsi a dire che le cose e i fatti esistono «oggettivamente» non ci faccia fare nessun passo avanti, né etico né conoscitivo?

«Prendiamo la cosa da un altro verso: non crede che dire che le cose e i fatti non esistono oggettivamente (se vuole può anche aggiungere le virgolette, anche se io non ne vedo il motivo) ci faccia fare dei passi in avanti sotto il profilo etico e conoscitivo? Crede che dire che il bianco è nero, che il mondo è una rappresentazione, o che non c’è niente di oggettivo, nemmeno la Shoah, costituisca un avanzamento morale e un progresso del sapere? Io non lo credo, e penso che non lo creda neanche lei. Senza dimenticare poi che il fatto che le cose e i fatti esistano oggettivamente è vero, e il suo contrario è falso. Mi sembra un argomento non trascurabile. È qui che ha inizio il lavoro della filosofia, che personalmente ho articolato negli ultimi vent’anni analizzando i livelli di realtà degli oggetti naturali, degli oggetti sociali e degli oggetti ideali; discutendo la distinzione tra ontologia ed epistemologia; confrontandomi con la tradizione filosofica e le dottrine contemporanee. Se il realismo si limitasse a dire che i fatti esistono sarebbe una scemenza. E spiace che taluni critici lo riducano a questo, non so se per malizia o per insipienza».

Nulla è nell’intelletto che prima non fosse nei sensi, diceva un filosofo a Lei ben noto. Che aggiungeva: sì, a parte lo stesso intelletto. Qualche a-priori dovremmo pure ammetterlo, per articolare concettualmente alcunché. Che obietta?

«Se si riferisce al detto “Nulla è nell’intelletto che non fosse prima nei sensi, a parte l’intelletto», i filosofi sono due. Tommaso d’Aquino, nel Medio Evo, sosteneva per l’appunto che “nulla è nell’intelletto che non fosse prima nei sensi”. Quattro secoli dopo, Leibniz, in polemica con gli empiristi, ha aggiunto “sì, a parte lo stesso intelletto”. Voleva dire che non tutto si impara per esperienza, per esempio posso concepire un poligono di mille lati senza averlo mai incontrato nell’esperienza. Non ho niente da obiettare neanche su questo. Morale: sono d’accordo sia con Tommaso, sia con Leibniz. Mi sembrano affermazioni molto ragionevoli, che però non sono pertinenti al dibattito tra realismo e antirealismo, che non riguarda la contrapposizione tra conoscenze apriori e conoscenze aposteriori, bensì lo stabilire se gli oggetti naturali dipendano in qualche modo dai soggetti (come sostengono gli antirealisti) oppure no (come sostengono i realisti, i quali peraltro ammettono tranquillamente che gli oggetti sociali dipendono dai soggetti)».

Crede che gli idealisti moderni Hegel primo fra tutti ritenessero che la realtà fosse un fantasma spirituale e non avesse nulla di oggettivo? Non era quello di Hegel un idealismo oggettivo dove tutto era logico e massimamente oggettivo e razionale, perfettamente conoscibile e senza trascendenza religiosa? Per inciso: quando Umberto Eco afferma con Aristotele che v’è un «senso» nelle cose, lei come reagisce?

«Hegel, come Kant, come tanti filosofi dei secoli scorsi, confondeva l’epistemologia (quello che sappiamo) con l’ontologia (quello che c’è). Era probabilmente il risultato del grande e meritevole progresso della scienza moderna: riusciamo a fare delle previsioni attendibili, riusciamo a matematizzare la natura, dunque il mondo si risolve nel sapere. Questa posizione ci trasforma tutti in piccoli fisici e in piccoli chimici, è come se noi, nel rapportarci al mondo, fossimo sempre in un laboratorio, e invece non è così. Se io mi scotto, o se sono depresso, lo sono sia che io sappia tutto di fisiologia, sia che lo ignori completamente. Ed è per questo che, con Eco, con Aristotele, con Gibson, con i gestaltisti, con Husserl, con Hartmann, e con il mondo intero quando non indossa i panni del filosofo trascendentale, affermo che le cose hanno un senso anche indipendentemente dalla nostra attività conoscitiva».

Davvero il realismo empirico può salvarci dalle ideologie e dai populismi e pertanto è intimamente democratico? Non teme lo scientismo e la conversione in dato naturale di relazioni economiche e sociali storicamente determinate, come accade nell’economia liberale e liberista?

«Anche qui mi piacerebbe capovolgere la domanda e chiederle: davvero l’idealismo trascendentale è intimamente democratico e può salvarci dalle ideologie e dai populismi? La domanda suona assurda, quasi comica. E allora perché se capisco bene mi attribuisce una tesi non meno assurda e comica come quella secondo cui il realismo empirico (che per inciso non è affatto la mia posizione, visto che, per esempio, sono realista anche rispetto ai numeri, che non sono oggetti d’esperienza) ci salverebbe dal populismo? Io dico semplicemente che il populismo, come si è visto ad abundantiam, attua il principio secondo cui “non ci sono fatti, solo interpretazioni”, e sono convinto che su questo punto sarà d’accordo anche Lei, insieme a tanti realisti empirici e idealisti trascendentali che hanno assistito alle cronache degli ultimi vent’anni. Quanto allo scientismo, ho appena spiegato che la confusione tra ontologia ed epistemologia, dunque lo scientismo e il naturalismo, sono un errore molto diffuso nella filosofia dopo Kant, a cui reagisce il realismo. Perciò quando invito a non confondere gli oggetti sociali con gli oggetti naturali mi impegno proprio a evitare la naturalizzazione di elementi sociali. Non era proprio quello che proponeva Marx quando criticava gli economisti del Settecento?».

Secondo i suoi critici, debolisti, ontologi, metafisici, o post-marxisti, il pensiero è inseparabile dal processo conoscitivo delle cose. Lo era anche per Kant, per il quale l’oggetto andava costruito con le categorie dell’intelletto. Anche Kant stringi stringi era anti-realista?

«La mia posizione realista si fonda proprio sulla tesi secondo cui, confondendo l’essere con il sapere, il trascendentalismo kantiano ha avuto un esito antirealista. Dunque non c’è tanto da stringere: gli antirealisti degli ultimi due secoli derivano da Kant, per il quale “le intuizioni senza concetto sono cieche”, quanto dire che non si possono avere esperienze di oggetti senza averne dei concetti. Il che è problematico e richiede delle distinzioni che Kant non ha fatto: vale per gli oggetti sociali (un tipo di oggetti che Kant non aveva preso in considerazione) ma non per gli oggetti naturali (quelli a cui Kant si riferiva). Certo, se non avessi il concetto di “intervista” non saprei che cosa stiamo facendo in questo momento, ma ciò non significa che per avere mal di testa devo avere il concetto di “emicrania”. Quanto alla prima parte della sua domanda, sinceramente non capisco: poiché sono fermamente convinto del fatto che “il pensiero è comunque inseparabile dal processo conoscitivo”, sono perfettamente d’accordo, su questo punto, con i debolisti, con gli ontologi (che è poi la categoria a cui appartengo) e con tutti gli altri tipi filosofici che Lei menziona, e che non mi risulta mi abbiano mai obiettato nulla del genere. Se poi qualcuno, per avventura, lo avesse fatto, mi permetto educatamente di dirgli che si è sbagliato, e che non troverebbe nei miei libri una sola riga a sostegno di una tesi così stravagante come quella secondo cui si può conoscere senza pensare».

CHI È

Dal debolismo alla lotta contro il mondo ridotto a immagine

Maurizio Ferraris, laureatosi con Gianni Vattimo, insegna filosofia teoretica a Torino. Da vent’anni ha rifiutato il pensiero debole, proponendo una filosofia realista, in libri come «Estetica razionale» (1997), «Il mondo esterno» (2001), «Goodbye Kant» (2004) e «Documentalità» (2009). Nel 2011 ha avviato sui media un ampio dibattito via via estesosi, sulla sua proposta di un «Nuovo realismo». La rassegna di tutta la discussione fin qui svoltasi è consultabile su . Nel marzo di quest’anno ha pubblicato per Laterza «Il Manifesto del nuovo realismo»

Ma il realismo non è tutto nuovo

di Luca Taddio (Corriere della Sera, 27.09.2012)

Dentro il Nuovo Realismo ci sono voci diverse, posizioni non sovrapponibili. A differenza di Ferraris, col quale condivido il senso generale del Nuovo Realismo, non ho mai provato l’ebbrezza di una svolta realista. Quel «Nuovo» che accompagna il termine realismo è occasionale: è l’aggettivo usato da Ferraris in un suo intervento a un convegno e poi ripreso per esigenze di divulgazione filosofico-giornalistica.

Ho appreso la fenomenologia da Paolo Bozzi che è stato un inguaribile realista in anni in cui andavano di moda altre posizioni; lo stesso Ferraris ha un forte debito teoretico, oltre che teorico, con il filosofo e psicologo sperimentale goriziano. Severino ha ragione quando nota come un’eccellente sartoria filosofica, quale quella italiana, venga ignorata per inseguire modelli meno originali. Egli ricorda spesso Leopardi e Gentile, ma ci sono casi meno eclatanti, come quello di Bozzi, rimasto ai margini della psicologia perché non allineato agli standard dei convegni internazionali o dei paper scientifici delle università americane. Potrei aggiungere che lo stesso Severino, o meglio la sua opera difficilmente eguagliabile per rigore e originalità, dovrebbe stare sugli scaffali delle librerie di tutto il mondo.

Severino si è mosso per lungo tempo controcorrente: quando uscì Essenza del nichilismo, pochi in Italia parlavano di verità, parola bandita per coloro che volevano occuparsi di filosofia «seriamente». Ma la radicalità del suo discorso si spinge ben oltre gli ultimi decenni del dibattito filosofico. Egli indaga il senso dell’eterno che ci porta al cuore del discorso metafisico, ossia verso l’interpretazione del divenire propria della metafisica occidentale, l’impossibilità che la «cosa» possa diventar altro da sé. Da qui il riferirsi di Severino al principio di identità e di non contraddizione.

Ferraris chiude la sua risposta su «Repubblica» (18 settembre) auspicando un confronto. Il primo richiamo l’abbiamo indicato implicitamente col termine «verità», che ci consente di fare un tratto di strada assieme; il secondo tratto comune può essere dato da quella «metà di secolo», evocata da Severino su «la Lettura», che lo porta ad affermare «un mondo anche senza che appaia questo o quell’individuo empirico». Questo tratto di strada forse è destinato ad interrompersi presto, quando comincia il vero confronto sul significato dell’apparire e della verità, ma qui usciamo dai confini che la divulgazione ci impone. Ancora una volta dobbiamo limitarci a indicare le prime linee fondamentali della contesa teoretica, il senso dell’affermazione del «Tutto». Scrive Severino: «il Tutto contenente è lo stesso Tutto contenuto: il contenente è insieme il contenuto e il contenuto è insieme il contenente». Qui Severino ci sta indicando il «sentiero del Giorno» che trova inizio ne La struttura originaria (1958, Adelphi 1981), ossia nell’opposizione fondamentale tra essere e nulla.

Contrariamente a quanto dichiarato su questo giornale da Vattimo (21 settembre), ritengo il confronto auspicato da Ferraris sull’«apparire fenomenico» una questione serissima, che investe il significato del trascendentale. Certo, nasce nel segno della distanza, ma può prendere corpo a partire dal senso dell’apparire della cosa e di un mondo: di questo mondo indubitabile sia per noi che per Severino, se pur per ragioni diverse.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/10/2012 11.05
Titolo:Risposta di Markus Gabriel a Severino ....
Il tutto non esiste, ci sono solo i fatti

di Markus Gabriel *

Emanuele Severino è un realista. Ritornando a Parmenide egli accetta, infatti, che ci sia un essere indipendente dall’ambiente umano. Spero non suoni eccessivo affermare che entrambi apparteniamo alla stessa famiglia, il cui capostipite fu Parmenide in persona.

Ciò che accomuna tutti gli appartenenti a tale famiglia, credo, è la convinzione che ci sia almeno un fatto che noi non abbiamo prodotto, aspetto che ho chiamato nel mio libro Il senso dell’esistenza «l’argomento della fatticità». Parmenide lo chiamava semplicemente «l’essere» e argomentava a favore della possibilità di poterlo conoscere. Come minimo un fatto è conoscibile, io interpreto così la celebre sentenza «l’essere e il pensare sono lo stesso».

Nel suo articolo del 16 settembre, Severino formula tre importanti e acute questioni in merito alla mia posizione: 1) Cosa significa «apparizione»? 2) Accetto il principio di non contraddizione in quanto assoluto? 3) La contingenza di cui parlo è, in fin dei conti, una forma di necessità? Rispondiamo.

1) Per «apparizione» intendo l’appartenenza di un oggetto a un campo di senso. Questa relazione non è in generale matematica per il semplice fatto che non tutti gli oggetti sono matematici. La cittadinanza non è una proprietà degli insiemi. Essere italiano significa appartenere al campo di senso della Costituzione italiana, che non è certo identico all’insieme di tutti gli italiani. Proprio per questo non può esistere qualcosa come «il tutto». Perché quest’ultimo non può appartenere ad alcun campo di senso. Nemmeno a se stesso. Se appartenesse a se stesso, tutto ciò che appare, accadrebbe come minimo due volte. Il tutto esisterebbe come raddoppiato: in quanto tutto e in quanto il tutto nel tutto. Io non distinguo fra l’essere e l’ente, come ha fatto Heidegger, bensì tra il campo di senso e gli oggetti che appaiono in esso.

2) Per il campo di senso della costruzione di teorie filosofiche io accetto il principio di non contraddizione. I filosofi devono sempre ambire alla coerenza, fornendo motivazioni per il loro argomentare. La filosofia è una forma d’Illuminismo ed è democratica, essa non contempla meramente la verità, ma propone o confuta principi e teorie per l’opinione pubblica. Il principio di non contraddizione non regna però sul tutto. In primo luogo perché non c’è qualcosa come il tutto e in secondo luogo perché esistono contraddizioni. L’ingenua teoria degli insiemi è contraddittoria, ma non solo, gli esseri umani si contraddicono di continuo, talvolta senza nemmeno rendersene conto. La realtà è dunque parzialmente contraddittoria, per questo ci sforziamo di eliminare le contraddizioni.

3) La necessità esiste solo come proprietà locale in un campo di senso, così come la contingenza. Nel Senso dell’esistenza spero di non aver affermato che tutto è contingente, proprio perché non c’è un campo di senso come il tutto. Io non credo dunque che tutto sia contingente o necessario, ma soltanto che tutto esista (salvo il Tutto). Io concordo con Severino nell’affermare che sia necessario che esista qualcosa e non, piuttosto, il nulla. Ma a differenza di lui, affermo che esistono infiniti campi di senso e infinite forme dell’apparizione. L’apparizione si dice in molti modi. La filosofia non può valutare tutti i campi di senso. Per questo non esiste una filosofia onnicomprensiva. Alcuni campi di senso sono senza dubbio costruttivistici, per esempio alcuni oggetti sociali, come rileva Ferraris.

Che tutto esista non significa inoltre sostenere che ogni affermazione sia vera. Il relativismo in filosofia è una posizione falsa. Perché in essa non si tratta d’altro che della verità e dello scoprire la verità. Chi rinuncia alla verità, rinuncia alla libertà e si abbandona alle tirannie sofistiche. La famiglia di Parmenide rifiuta tale atteggiamento ed è dunque sempre disposta al dialogo, un dialogo in cui la posta in gioco è sempre la verità stessa.

* Professore all’Università di Bonn

* Corriere della Sera, 29.10.2012

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Commenti Articolo 715

Titolo articolo : LO SPIRITO DELL'EUROPA DI IERI, COME DI OGGI: UN "FABLIAU" - UN "RAP" MEDIEVALE FRANCESE. Il villano che da avvocato si conquistò il paradiso.,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/28/2012 - 17:57:48.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/5/2012 13.23
Titolo:SCOPRIAMO UN'ALTRA EUROPA! La nuova stagione dei diritti ...
La nuova stagione dei diritti

di Stefano Rodotà (la Repubblica, 12.05.2012)

Il fronte dei diritti si è appena rimesso in movimento. Obama ha affrontato senza reticenze il tema difficile dei matrimoni omosessuali, e lo stesso ha fatto François Hollande inserendolo nel suo programma e mettendo all’ordine del giorno quello ancor più impegnativo del fine vita. Di questa rinnovata centralità dei diritti dobbiamo tenere conto anche in Italia.

In che modo, però, e con quali contenuti? Qualche esempio. La recente sentenza della Corte di Cassazione sui matrimoni gay è un dono dell’Europa. Così come lo è l’avvio dell’estensione alla Chiesa dell’obbligo di pagare l’imposta sugli immobili. Così come può diventarlo l’utilizzazione degli articoli 10 e 11 del Trattato di Lisbona.

Mi spiego. La Cassazione ha potuto legittimamente mettere in evidenza il venir meno della "rilevanza giuridica" della diversità di sesso nel matrimonio, e il conseguente diritto delle coppie dello stesso sesso ad una "vita familiare", proprio perché queste sono le indicazioni della Corte europea dei diritti dell’uomo e soprattutto dell’innovativo articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Sappiamo, poi, che la norma sul pagamento dell’Ici da parte della Chiesa è andata in porto solo perché erano ormai imminenti sanzioni da parte della Commissione europea. E la discussione sui rapporti tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa, tornata con prepotenza in Italia anche per effetto degli ultimi risultati elettorali, trova nel Trattato chiarimenti importanti, a cominciare dal nuovo potere che almeno un milione di cittadini può esercitare chiedendo alla Commissione di intervenire in determinate materie. Lo ha appena fatto il Sindacato europeo dei servizi pubblici che si accinge a raccogliere le firme perché l’Unione europea metta a punto norme che riconoscano come diritto fondamentale quello di accesso all’acqua potabile.

Scopriamo così un’altra Europa, assai diversa dalla prepotente Europa economica e dall’evanescente Europa politica. È quella dei diritti, troppo spesso negletta e ricacciata nell’ombra. Un’Europa fastidiosa per chi vuole ridurre tutto alla dimensione del mercato e che, invece, dovrebbe essere valorizzata in questo momento di rigurgiti antieuropeisti, mostrando ai cittadini come proprio sul terreno dei diritti l’Unione europea offra loro un "valore aggiunto", dunque un volto assai diverso da quello, sgradito, che la identifica con la continua imposizione di sacrifici.

Questa è, o dovrebbe essere, una via obbligata. Dal 2010, infatti, la Carta ha lo stesso valore giuridico dei trattati, ed è quindi vincolante per gli Stati membri. Bisogna ricordare perché si volle questa Carta. Il Consiglio europeo di Colonia, nel giugno del 1999, lo disse chiaramente: «La tutela dei diritti fondamentali costituisce un principio fondatore dell’Unione europea e il presupposto indispensabile della sua legittimità. Allo stato attuale dello sviluppo dell’Unione, è necessario elaborare una Carta di tali diritti al fine di sancirne in modo visibile l’importanza capitale e la portata per i cittadini dell’Unione». Sono parole impegnative. All’integrazione economica e monetaria si affiancava, come passaggio ineludibile, l’integrazione attraverso i diritti. Fino a che questa non fosse stata pienamente realizzata, al già mille volte rilevato deficit di democrazia dell’Unione europea si sarebbe accompagnato addirittura un deficit di legittimità. Si avvertiva così che la costruzione europea non avrebbe potuto trovare né nuovo slancio, né compimento, né avrebbe potuto far nascere un suo "popolo" fino a quando l’Europa dei diritti non avesse colmato i molti vuoti aperti da quella dei mercati.

Negli ultimi tempi questo doppio deficit si è ulteriormente aggravato. L’approvazione del "fiscal compact", con la forte crescita dei poteri della Commissione europea e della Corte di Giustizia, rende ancor più evidente il ruolo marginale dell’unica istituzione europea democraticamente legittimata - il Parlamento. Oggi si levano molte voci per trasformare la crisi in opportunità, riprendendo il tema della costruzione europea attraverso una revisione del Trattato di Lisbona. In questa nuova agenda costituzionale europea dovrebbe avere il primo posto proprio il rafforzamento del Parlamento, proiettato così in una dimensione dove potrebbe finalmente esercitare una funzione di controllo degli altri poteri e un ruolo significativo anche per il riconoscimento e la garanzia dei diritti.

Non è vero, infatti, che l’orizzonte europeo sia solo quello del mercato e della concorrenza. Lo dimostra proprio la struttura della Carta dei diritti. Nel Preambolo si afferma che l’Unione "pone la persona al centro della sua azione". La Carta si apre affermando che "la dignità umana è inviolabile". I principi fondativi, che danno il titolo ai suoi capitoli, sono quelli di dignità, libertà, eguaglianza, solidarietà, cittadinanza, giustizia, considerati come "valori indivisibili". Lo sviluppo, al quale la Carta si riferisce, è solo quello "sostenibile", sì che da questo principio scaturisce un limite all’esercizio dello stesso diritto di proprietà.

In particolare, la Carta, considerando "indivisibili" i diritti, rende illegittima ogni operazione riduttiva dei diritti sociali, che li subordini ad un esclusivo interesse superiore dell’economia. E oggi vale la pena di ricordare le norme dove si afferma che il lavoratore ha il diritto "alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato", "a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose", alla protezione "in caso di perdita del posto di lavoro". Più in generale, e con parole assai significative, si sottolinea la necessità di "garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti". Un riferimento, questo, che apre la via all’istituzione di un reddito di cittadinanza, e ribadisce il legame stretto tra le diverse politiche e il pieno rispetto della dignità delle persone.

Tutte queste indicazioni sono "giuridicamente vincolanti", ma sembrano scomparse dalla discussione pubblica. Si apre così una questione che non è tanto giuridica, quanto politica al più alto grado. Il riduzionismo economico non sta solo mettendo l’Unione europea contro diritti fondamentali delle persone, ma contro se stessa, contro i principi che dovrebbero fondarla e darle un futuro democratico, legittimato dall’adesione dei cittadini. Da qui dovrebbe muovere un nuovo cammino costituzionale. Se l’Europa deve essere "ridemocratizzata", come sostiene Jurgen Habermas, non basta un ulteriore trasferimento di sovranità finalizzato alla realizzazione di un governo economico comune, perché un’Unione europea dimezzata, svuotata di diritti, inevitabilmente assumerebbe la forma di una "democrazia senza popolo". Da qui dovrebbero ripartire la discussione pubblica, e una diversa elaborazione delle politiche europee.

Conosciamo le difficoltà. L’emergenza economica vuole chiudere ogni varco. Dalla Corte di Giustizia non sempre vengono segnali rassicuranti. Lo stesso Parlamento europeo ha mostrato inadeguatezze sul terreno dei diritti, come dimostrano le tardive e modeste reazioni alla deriva autoritaria dell’Ungheria. Ma l’esito delle elezioni francesi, e non solo, ci dice che un’altra stagione politica può aprirsi, nella quale proprio la lotta per i diritti torna ad essere fondamentale. Di essa oggi abbiamo massimamente bisogno, perché da qui passa l’azione dei cittadini, protagonisti indispensabili di un possibile tempo nuovo.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/5/2012 13.12
Titolo:Un contadino all’Onu in difesa delle tribù
Un contadino all’Onu in difesa delle tribù


di Carlo Petrini (la Repubblica, 14.05.2012)



Sono nato in una terra di contadini. Ed è anche per questo che è un onore, per me che da sempre difendo la biodiversità, prendere la parola oggi al Forum dell’Onu sulle questioni indigene. Credo infatti che fra chi ama la Terra e le popolazioni indigene si debba stringere un’alleanza. Sono convinto che questi popoli sono stati, sono e soprattutto saranno da stimolo per costruire un futuro migliore che non può che partire dalla terra, dal suo rispetto, e dalla salvaguardia della biodiversità. Perché per troppi anni abbiamo calpestato il diritto al cibo e alla sussistenza di molte comunità indigene e di allevatori rincorrendo un progresso miope. L’analisi della realtà ci dice che molte buone pratiche e il sapere empirico tradizionale dei popoli indigeni meritano di essere studiati con attenzione per il bene della nostra Madre Terra. Per questo voglio anticipare ai lettori di Repubblica le parole che leggerò. Eccole.

Lavorare per la salvaguardia della biodiversità in campo agricolo e alimentare come strumento per garantire un futuro al nostro pianeta e all’umanità intera è importante.

La perdita progressiva della diversità di specie vegetali e razze animali può rappresentare, insieme al cambiamento climatico, il più grave flagello per gli anni a venire. Occorre tuttavia precisare che difendere la biodiversità senza tutelare la diversità delle culture dei popoli e il loro diritto di governare sui propri territori è un’impresa insensata. Tale diversità è la più grande forza creatrice della Terra, è l’unica condizione per mantenere e trasmettere un patrimonio straordinario di conoscenze alle generazioni future. Su questi principi Slow Food ha basato la propria esistenza e per mantenere questi principi ha realizzato nel 2004 Terra Madre, una rete di comunità del cibo che si è propagata in oltre 170 Paesi. Terra Madre non è un partito e nemmeno un sindacato, è semplicemente una rete, un movimento di persone che, nel rispetto delle proprie diversità, cercano il dialogo, lo scambio culturale, la solidarietà.

Il diritto al cibo sta al centro di tutto. Il cibo, per essere condiviso, deve essere buono per il piacere di tutti; pulito perché non distrugge l’ambiente e le risorse della Terra; giusto perché rispetta i lavoratori, procurando il nostro sostentamento, garantiscono la vita della comunità terrestre. Tutti i popoli devono avere accesso al cibo buono, pulito e giusto. Tutti i popoli devono avere cibo adeguato che provenga dalle proprie risorse naturali o dai mercati da loro scelti. Tutti i popoli, nel produrre il proprio cibo, hanno il diritto di mantenere le loro pratiche tradizionali e la propria cultura.

Su questi principi e su queste basi molte comunità indigene di tutti i continenti hanno animato la rete di Terra Madre e hanno partecipato attivamente alle conferenze globali che dal 2004 si svolgono ogni due anni a Torino. Nell’ultima la cerimonia di apertura fu consacrata alle riflessioni delle comunità indigene espresse nelle loro lingue ancestrali. Da allora molte iniziative si sono attivate. Nel 2011 si è tenuta "Terra Madre Indigenous People" a Jokmokk, nel nord della Svezia, terra delle popolazioni Sami.

Il congresso ha visto la partecipazione di indigeni provenienti da 61 Nazioni. Questi incontri generano autostima tra i partecipanti. Si avverte forte il senso di appartenere a una grande comunità di destino, di non essere soli nei propri territori, di avere un ruolo importante e costruttivo. Questa consapevolezza è stata rafforzata ed esaltata nel 2007 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che, con la Dichiarazione dei Diritti delle Popolazioni Indigene, ha affermato con chiarezza il contributo straordinario alla diversità e alla ricchezza della civiltà.

Slow Food non solo condivide questi principi ma ritiene che, in questo particolare momento storico caratterizzato da una crisi economica, ecologica e finanziaria, mettere a valore la diversità culturale del pianeta possa contribuire a innescare pratiche virtuose e sostenibili. Il benessere umano passa attraverso il diritto universale a un cibo di qualità per tutti.

Obesità e fame, che dilagano nel mondo, sono i due volti di una stessa medaglia, sono il simbolo del fallimento di un sistema alimentare globale basato principalmente su una produzione industriale che dipende in massima parte dalle risorse energetiche fossili. Mai come in questo momento si avverte l’esigenza di cambiare alla radice questo sistema. Saper guardare indietro alle nostre tradizioni e a sistemi alimentari più sostenibili non è stupida nostalgia. La reintroduzione di produzioni alimentari locali è la risposta per nutrire il pianeta, è l’attivazione della vera democrazia, la partecipazione di tutti per il bene comune.

Per troppo tempo la produzione del cibo ha voluto estromettere o limitare i saperi delle donne, degli anziani e degli indigeni, relegandoli al fondo della scala sociale. L’umanità ha coltivato un’idea di sviluppo e di progresso basata sulla convinzione che le risorse del pianeta fossero infinite.

Oggi la "gloriosa marcia" del progresso è arrivata sull’orlo del baratro e la crisi è figlia dell’avidità e dell’ignoranza. Ma il monito della Natura è ben più grave della crisi finanziaria, esso ci chiama a riflettere su un destino tragico per l’esistenza stessa dell’umanità, se non si cambiano marcia e percorso. Sarà giocoforza ritornare sui nostri passi, ecco allora che gli "ultimi" saranno quelli che indicheranno la strada giusta. Avremo bisogno della sensibilità delle donne e del loro pragmatismo, della saggezza degli anziani e della loro memoria, ci accorgeremo che i popoli indigeni hanno la chiave per un approccio più sostenibile al Diritto al cibo, perché da sempre praticano l’economia della natura.

Ma attenzione: dovrà essere evidente a tutti quanto male è stato procurato a questi soggetti nel nome del progresso e della supremazia del mercato. Quanti saperi, conoscenze e prodotti della Terra sono stati piratescamente derubati alle comunità indigene da multinazionali farmaceutiche e alimentari.

Prima di rimetterci in marcia occorre restituire il maltolto, occorre impedire qualsiasi logica di agricoltura industriale insostenibile nelle aree indigene. Tutti abbiamo bisogno di rispettare e valorizzare l’economia della Natura e della sussistenza, per troppo tempo considerata inferiore all’economia della finanza globale.

Cresce nel mondo la consapevolezza che rafforzare l’economia locale, l’agricoltura locale e il rispetto delle piccole comunità sia una giusta pratica per riconciliarci con la Terra e la Natura. Mancanza d’acqua, perdita di fertilità dei suoli, erosione genetica di piante e animali, spreco di alimenti mai visto nella storia dell’umanità, sono problemi che, se si continua a produrre, a distribuire e a consumare il cibo con questo sistema alimentare, resteranno senza soluzione.

In campo agricolo la nuova disciplina dell’agroecologia altro non è che la capacità di riproporre in chiave moderna il dialogo tra i saperi tradizionali e la comunità scientifica. Non sarebbe onesto non riconoscere che i popoli indigeni hanno un approccio alla produzione del cibo che è storicamente sostenibile. Sanno mantenere la fertilità dei suoli utilizzando risorse e metodi naturali, rafforzando la resilienza delle colture e degli allevamenti. La politica di molti governi e agenzie di sviluppo di contrapporsi e minacciare le pratiche agricole dei popoli indigeni, come la rotazione delle coltivazioni e la pastorizia, è una politica miope e sbagliata.

Slow Food condivide la sfida di questo Forum Permanente delle Nazioni Unite nel difendere le pratiche indigene che in molte parti del mondo operano per il mantenimento della coltura itinerante. Non è giusto appropriarsi dei beni comuni della Terra, ma come dicevano i Nativi Americani: «Insegna ai tuoi figli che la Terra è nostra madre, tutto ciò che accade alla Terra, accadrà ai figli della Terra. Se gli uomini sputano in terra, sputano su se stessi. Questo noi sappiamo: la Terra non appartiene all’uomo, ma è l’uomo che appartiene alla Terra. La Terra vale più del denaro e durerà per sempre».

Anche se in questo momento, in molte parti del mondo, gli arroganti prevalgono sugli umili; anche se le alte gerarchie del sapere e della politica non lasciano spazio ai contadini, ai pastori, ai pescatori e alla parte più sensibile di essi: le donne, gli anziani e gli indigeni; malgrado ciò siamo sempre più coscienti che riconciliarci con la Terra è l’unico modo per uscire dalla crisi. Le buone pratiche della lotta allo spreco, della condivisione e del dono, del ritorno alla Terra si realizzano con lentezza, senza frenesia e ansia. Tutta l’umanità è in debito con i popoli indigeni che hanno saputo nella pratica quotidiana mantenere questi principi, insegnando ai figli che tutte le cose sono collegate tra loro e che prenderci cura di tutte le creature è il dono più grande che ci è stato fatto.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/10/2012 17.57
Titolo:Tutti figli di Caino zappaterra ...
Noi esseri moderni, tutti figli di Caino zappaterra

di Dario Fo (il Fatto, 28.10.2012)

Avevo poco più di tredici anni, perciò un ragazzino, quando sfogliando un libro di commenti scientifici alla Bibbia ho scoperto che la Genesi come me la raccontavano a scuola e a dottrina era falsa o, se vogliamo essere più precisi, molto limitata ed errata nell’informazione.

Subito lo scienziato-autore prendeva in considerazione l’origine dell’uomo che, secondo il sacro libro di Dio, sarebbe nato solo un discreto numero di secoli fa, qualche centinaia di migliaia d’anni prima dell’avvento del cristianesimo; e invece gli antropologi oggi indicano questa origine come avvenuta due milioni di anni prima dell’epoca cosiddetta moderna e soprattutto ci avvertono che il primo uomo e la prima donna sono venuti al mondo in Etiopia, quasi un milione di anni fa e quindi erano di colore scuro, dall’ambrato all’ebano. Hanno pure scoperto che le prime pitture che descrivono la Genesi furono dipinte proprio in Abissinia nel I secolo dopo Cristo, e mostrano non solo Adamo ed Eva di carnagione scura, ma anche Dio molto abbronzato.

“DIO NERO?! ”. “Eh sì! E coi capelli crespi e grandi labbra! ”. Io, allora ragazzino, a questa notizia sono rimasto letteralmente sconvolto. Di colpo nella mia idea della civiltà dell’uomo, tutta la storia della razza eletta, cioè bianca, andava a quel paese. Le immagini di Adamo ed Eva, così come le avevo conosciute sfogliando la Bibbia illustrata da Gustave Doré, erano false.

Inaccettabile era anche l’atteggiamento che Dio aveva tenuto verso i due primi figli di Adamo ed Eva. Sappiamo che Abele era un pastore, quindi allevava pecore e capre, mentre Caino era contadino, piantava sementi di grano, orzo, segale. Caino e Abele erano fratelli e si volevano bene ma Dio fece un grave errore: pubblicamente mostrava di preferire il pastore al contadino. Per Abele aveva un’adorazione, al contrario, un po’ meno, amava e stimava Caino e soprattutto il suo mestiere di zappatore coi piedi sempre zozzi di fango e la faccia arsa dal sole.

“MA COSA stai combinando Padre Nostro? Crei la rissa? A cominciare proprio dall’inizio della stirpe! ”. Abele porta a te, Signore, un agnello perché lo si faccia arrosto. Tu vai in visibilio. Ma, quando arriva Caino, con un mazzo dorato di grano, non ti degni neanche di guardarlo. E allora vuoi proprio l’odio fraterno, che la storia finisca in tragedia! Perciò ti chiedo Signore, chi ha armato di quel bastone la mano di Caino? Santo Padre, guardiamoci negli occhi: tu sei il responsabile del fratricidio! Tanto è vero che a un certo punto te ne rendi conto e gridi: “Guai a chi tocca Caino! Chi lo minaccia o tenta di ucciderlo avrà a che fare con me! ”.

E allora pensateci bene, entrambi i fratelli al momento della tragedia non avevano ancora generato figli propri, quindi la sola stirpe che è venuta al mondo e che ha generato tutta l’umanità discende da un unico esemplare: Caino! Quindi, siamo tutti figli di Caino! Tiè! Siete rimasti male? Bene, sbagliate! Dovreste esserne fieri.

Caino e la sua genìa di contadini hanno creato, inventato, scoperto le cose più importanti della nostra vita, per la nostra crescita: chi ha intuito la possibilità di riprodurre i cereali con cui sfamarci? Chi ha ideato l’innesto, cioè la possibilità di inserire attraverso un ramo diverso, un diverso frutto più succulento e profumato? Un villano.

Chi ha intuito il valore dell’acqua? I contadini, mica le multinazionali! O se preferite fu Noè, anche lui di razza contadina, che appena salvata l’umanità dal diluvio piantò il primo seme per la vite e quindi fu il primo a ubriacarsi fradicio.

E la ruota? Chi l’ha creata? Un ragioniere del Comasco? No, sempre lo zappaterra, che oltretutto ha costruito i primi ponti e ha scoperto l’irrigazione, la rotazione delle semine. Ha allagato deserti per renderli fertili. Ha inciso la terra per creare canali con argini, dighe e chiuse.

VA BENE, va bene, sento già l’erudito contestatore che mi fa notare: “Sì, il contadino è stato utile all’evolversi dell’uomo, ma chi ha tolto dalla condizione animale, rozza e bruta l’essere umano? Forse l’inventore della pagnotta di pane? O del prosciutto di Parma? ”. No, e nemmeno il mastro fornaio, sempre della razza dei villani, che ci ha insegnato a cuocere col lievito le ciambelle e le succose lasagne, ma che hanno fatto fremere dell’uomo soltanto le sue trippe. Chi ha elevato l’intelligenza e la poesia dell’essere umano è stato solo l’autore del canto, il compositore della musica, il maestro di danza e il lirico inventore del ritmo e dell’armonia. “E chi è costui? ”. Nient’altro che il sublime poeta di corte che non sapeva certo zappare, né incidere la corteccia degli alberi.

Caro erudito furbastro, qui stai mettendo in campo il solito furto con raggiro e truffalderia: chi fu il primo essere umano che s’inventò una ninna nanna per indurre al sonno il suo figliolo? “Ma di certo una mamma contadina”. E nelle lagune i contadini hanno imparato a muoversi in equilibrio su lunghe barche spingendo canne o puntali che conficcano nel basso fondale. Remavano, e per meglio andare a tempo cantavano in coro.

Quindi, per favore, rispettate l’intelligenza del villano, la sua straordinaria creatività e chiamatelo per favore Maestro giacché tutto ci ha insegnato, perfino a riunirci fra di noi in momenti di disastro e tragica carestia creati da voi, signori, e impiantare milioni di piccoli orti che avranno di certo il potere di salvarci, se seguiremo il loro esempio, dalla pressante miseria e dalla fame.

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Commenti Articolo 716

Titolo articolo : DEPORRE LA SPADA: E' TEMPO DI FERTILI CONTAMINAZIONI IN SPIRITO DI CARITA'. La Chiesa oggi: dialogo possibile tra fede e modernità. Un'analisi (e una esortazione) di Eugenio Scalfari,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/25/2012 - 21:59:37.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/10/2012 18.46
Titolo:CARITA', AMORE, E GRAZIA. Alcune precisazioni ....
I CARISMI

di don Mauro Agreste *

1) OGGI PARLIAMO DEI CARISMI Oggi parliamo dei carismi ed è importante averne una conoscenza un pochino più strutturata, perché come catechisti nelle vostre comunità parrocchiali, ma anche nei gruppi di preghiera, è bene che abbiate una conoscenza il più possibile ampia su questo tema. Tutto sommato è stato lasciato per molti versi ad alcuni gruppi ecclesiali, oppure a degli alti studi universitari nell’Università Pontificia. Il tema dello spirito dei carismi è un tema che fa parte della vita della Chiesa; se ne tratta nel Concilio e nella Lumen Gentium. Al n°12 dice che la Chiesa costituita dal popolo di Dio è per così dire, il luogo in cui si esercitano i carismi, ognuno per la sua propria specificità. Però la maggior parte delle persone, quando sentono dire la parola carisma non è che abbiano molto chiaro in mente di che cosa si tratti, è vero?

2) PAROLA USATA E ABUSATA DA MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA Per di più questa parola è stata usata e abusata da giornalisti, da mezzi di comunicazione di massa non per indicare il significato preciso della parola carisma, quanto invece per indicare la capacità che ha una persona di attirare l’attenzione degli altri in qualunque campo, con la sua propria capacità di emergere sugli altri. Quindi in senso generico la parola carisma o personaggio carismatico all’interno della Chiesa e di alcuni gruppi ecclesiali vieni intuita in un certo modo. All’infuori della Chiesa il personaggio carismatico è un personaggio che ha delle chances in più, ha un savoir faire diverso in tutti i campi, sportivo, politico, ecc. ecc. da emergere e attirare l’attenzione, quasi catalizzando l’attenzione degli altri.

3) CARISMA HA LA STESSA RADICE DELLA PAROLA CARITÀ Ma che cos’è dunque il carisma e da che cosa nasce? Intanto la parola carisma deriva dal greco e come voi potete benissimo accorgervi contiene dentro di sé una radice, charis, che è la stessa radice della parola carità. Ora la parola carità, anche se abbiamo una vaga intuizione, è una parola che ha significati molto complessi e molto profondi, per cui almeno nel nostro linguaggio teologico, non è facile definire la carità semplicemente come un atteggiamento. La carità è prima di tutto una caratteristica di Dio stesso, una caratteristica essenziale, tant’è vero che gli antichi dicevano: Deus est charitas da cui gli antichissimi inni, ubi charitas et amor Deus ibi est, dov’è carità e amore lì c’è Dio. Dunque carità ha in sé questa radice charis, che significa qualche cosa di forte, di caldo, di vivo, di avvolgente. Viene cantato nel Veni Creator, si parla dello Spirito Santo e si dice che lo Spirito Santo è ignis, fuoco, fuoco di carità, fuoco di amore.

4) CARITÀ E AMORE VENGONO SPESSO USATI COME SINONIMI Carità e amore vengono spesso usati come sinonimi per una semplice ragione, sono entrambi concetti estremamente profondi. Se tu dici amore, è sufficiente dire amore per capire tutto ciò che significa la parola amore? No, cioè lo usiamo convenzionalmente però noi sappiamo che l’amore autentico per esprimerlo, per significarlo è molto difficile. Ricordate questa mattina il brano del Vangelo che è stato letto: nessuno ha un amore più grande se non colui che muore per i propri amici. Quindi vedete l’amore coinvolge fino alla donazione della vita. L’amore esige per esempio il concetto, che deve essere chiaro, della capacità di donarsi. Amore e donazione totale coincidono; però quando io dico amore non dico solo donazione totale, dico anche gioia, dico anche situazione di protezione. Una persona che ama è una persona che ne sta proteggendo un’altra; una persona che si sente amata è una persona che si sente protetta. Il concetto di guida: chi ama guida; chi è amato si sente guidato non gettato allo sbaraglio. Voi potete immaginare quale grande significato c’è nella parola amore; viene considerata sinonimo di carità, però entrambe hanno una specificità; che l’amore e la carità sono due realtà vive, coincidono con Dio.

5) PARLARE DI CARITÀ SIGNIFICA PARLARE DI GRAZIA Quindi parlare di carità, significa parlare di grazia, che charis è una traslitterazione, è la radice della parola greca che significa grazia. Che cos’è la grazia? Non è la gentilezza nei movimenti, la grazia è lo Spirito Santo in azione, lo Spirito Santo mentre agisce, lo Spirito Santo che sta agendo. Vieni Padre donaci la tua santa grazia, donaci cioè lo Spirito Santo che agisce dentro di noi. Ricordatevi che anche se avete il concetto chiaro nella mente, quelli che sono davanti a voi fraintendono facilmente, soprattutto queste cose complesse. Quindi dovete avere sempre l’idea di parlare a un bambino di 5 anni e state tranquilli che le persone davanti a voi non si sentiranno umiliate e non vi disprezzeranno se voi parlerete il più semplice possibile.

6) CHIEDI CHE LO SPIRITO SANTO VENGA AD AGIRE DENTRO DI TE Allora, donaci la santa grazia, certo che vuol dire donaci la capacità e la disponibilità a seguire i suggerimenti dello Spirito, però tu chiedi proprio che lo Spirito Santo venga ad agire dentro di te, però non senza di te. Quando invochiamo la grazia di Dio su di noi, invochiamo lo Spirito Santo che venga ad animarci dall’interno, come il lievito che fa lievitare tutta la pasta; il lievito non fa sparire la pasta, la fa solo lievitare; certo se non c’è la pasta puoi mettere anche un chilo di lievito che tanto non lievita niente. Allora quando si dice grazia si dice Spirito Santo in azione. Cosa vuol dire charis? Grazia. Cosa vuol dire grazia? Spirito Santo in azione. Lo Spirito Santo aleggiava sopra le acque informi, quindi lo Spirito Santo era già in azione appena Dio ha fatto esistere qualche cosa, ancora non c’era la luce, ma già lo Spirito Santo era in azione. Lo Spirito Santo agisce continuamente. L’ultimo versetto dell’Apocalisse dice: lo Spirito Santo e la sposa gridano Maranthà, vieni Signore Gesù. Quindi attenzione bene, tutta la Bibbia è contenuta da questa azione di Spirito Santo, dunque, tutta la storia degli uomini è contenuta in questi due punti fondamentali: lo Spirito Santo che aleggia e lo Spirito Santo che anima dicendo vieni. Gli uomini non si accorgono dell’azione dello Spirito Santo.

7) NUTRIRE UNA PARTICOLARE ADORAZIONE DELLO SPIRITO SANTO Allora i catechisti hanno questo compito fondamentale, fra tutti gli altri, di nutrire una particolare adorazione dello Spirito Santo. Dico giusto quando dico adorazione, per una semplice ragione, quale? Perché lo Spirito Santo è Dio. Quindi il catechista che non adora lo Spirito Santo non so che razza di catechista voglia essere. Lo Spirito Santo è la grazia che agisce dentro di noi. Il catechista che si mette al servizio della Chiesa, come fa a mettersi al servizio dicendo l’amore per Gesù se non è lo Spirito Santo a comunicarglielo?

8) PARLARE DI SPIRITO SANTO E DIO COME DUE PERSONE SEPARATE Domanda: questo fatto di parlare di Spirito Santo e Dio come due persone separate, non rischia di confonderci? E quando parliamo del Padre separato dal Figlio, non si rischia di creare dei problemi? Nelle dispense degli anni passati c’è quel disegno molto bello che si riferisce allo schema intuitivo su Dio e le sue tre persone. Dio è Padre, è Figlio e Spirito Santo, un solo Dio, però il Padre non è il Figlio, non è lo Spirito Santo e lo Spirito Santo non è il Padre. È chiaro che la nostra mente è così limitata che noi non riusciamo a capire, possiamo solo contemplare.

9) FACCIAMO PARTE DELLA TRINITÀ Di più ancora. Facciamo parte di questa Trinità, con il Battesimo siamo entrati dentro la Trinità, perché siamo con Gesù una cosa sola. Siamo entrati nella Trinità, però non siamo Dio, siamo esseri umani, però facciamo parte della Trinità. Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; quindi la volontà di Dio è che siamo immersi ( bactizzomai verbo greco che significa essere immersi ) in tutto Dio Padre, in tutto Dio Figlio e in tutto Dio Spirito Santo. Questo vuol dire che dentro di noi c’è tutto Dio Padre, tutto Dio Figlio, tutto Dio Spirito Santo e come lo spieghi questo? Quando tu vai a fare la comunione prendi un’ostia grande così, tu sai che lì dentro c’è il Dio Eterno e Infinito, Signore della storia e dei secoli. Sotto un velo di pane c’è il mistero di tutto ciò che esiste. Possiamo intuire. Come dice l’inno Pange Lingua. Visus tactus gustus in te fallitur, la vista il tatto il sapore falliscono, perché tutto quello che i sensi constatano è fallace, non i sensi ma la fede conosce questa verità. Allora con la fede tu accetti, il mistero lo contempli, però non lo capisci. Perché capire dal latino càpere vuol dire prendere e tenere stretto, contemplare invece significa guardare, ma non da soli, sostenuti. Tu puoi guardare il mistero di Dio da solo, lo puoi contemplare cioè tu puoi entrare nel tempio insieme a qualcuno, contemplare entrare nel tempio insieme a qualcuno. Tu non possiedi il tempio è il tempio che possiede te.

10) IL CATECHISTA DEVE PARLARE UN ITALIANO SEMPLICE E COMPRENSIBILE Attenzione, perché usiamo la lingua, ma non la conosciamo e un catechista non può permettersi questo. Un catechista deve parlare un italiano semplice e comprensibile a quelli che ha di fronte però deve conoscere dieci o venti volte di più di quello che sta dicendo agli altri, se no che cosa sta comunicando? Certamente ai bambini non puoi dire le specificità dei termini che vi sto spiegando, però su tu non conosci il significato delle parole, tu insegnerai delle cose sbagliate e noi non possiamo permetterci di fare questo, se no non stiamo divulgando il Vangelo di Gesù Cristo, ma il Vangelo secondo noi. Quindi ricordatevi, è un servizio fatto a Dio quello anche di essere precisi nel linguaggio che si usa. Siate precisi cercando di conoscere il più possibile il significato delle parole che usate, anche le più comuni. E chiedete allo Spirito Santo che vi dia una struttura logica del pensiero: soggetto, predicato, complemento. Diversamente il vostro discorso non sarà compreso da chi vi ascolta; piuttosto articolate frasi e concetti brevi non un discorso lungo e strutturato. Fate discorsi brevi, frasi brevi, ma che siano chiare.

11) LA CONIUGAZIONE DEI VERBI DEVE ESSERE PRECISA State anche attenti alla coniugazione dei verbi, che deve essere precisa, perché un verbo al condizionale ha un significato diverso da un verbo all’indicativo; perché un verbo all’indicativo indica una realtà, un obbligo imprescindibile, un verbo al condizionale indica una possibilità cioè una dualità di realtà; i congiuntivi sono verbi di consequenzialità; se io nella mente non ho l’idea della consequenzialità delle cose, non userò il congiuntivo, userò l’indicativo e renderò tutto obbligante.

Ricordatevi che abbiamo a che fare con le parole, che noi abbiamo la parola di Dio nella mano e siamo i catechisti, non ci possiamo permettere di giocare con le parole, perché da come io uso le parole, favorisco o freno il passaggio del concetto di Dio. Senza diventare fanatici, senza esagerare, però o prendiamo sul serio il nostro servizio reso a Dio. Quindi tutto quello che dipende da me io cerco di farlo al meglio che posso, oppure facciamo come fanno tanti che improvvisano tutto, vanno avanti e non si rendono conto che stanno giocando con Dio. Se sul Vangelo c’è scritto: in principium erat verbum et verbum erat aput deum et verbum erat deum, allora questo ci fa capire che in principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio.

12) SE DIO SI E’ FATTO PAROLA, IO NON POSSO GIOCARE CON LE PAROLE Se Dio si è fatto la parola che noi possiamo intuire e capire, io posso giocare con le parole? No. Non dico questo perché dobbiamo spaventarci, sentirci colpevolizzati, però sentiamo la necessità di pensare le parole che usiamo e pensare le frasi che usiamo, perché se io devo parlare a dei bambini, dovrò rendere estremamente semplice un discorso difficilissimo. Però usando delle parole che siano giuste, che cerchino di generare meno equivoci possibili, adatte al vocabolario che è in possesso a un bambino di 7-10-12-15 anni, senza mai cedere ad accettare una connotazione di linguaggio che non sia più che dignitosa ed elegante.

13) IL CATECHISTA NON USA MAI PAROLE EQUIVOCHE Se ci sono dei modi di dire che esprimono il concetto di essere arrabbiati in un certo modo, il catechista non li usa mai, neanche quando sta da solo. Se ci sono parole equivoche il catechista si deve abituare non solo a non usarle lui, ma a sentirne ribrezzo quando le sente pronunciare da altri, perché il catechista sta usando con la propria lingua un mezzo di evangelizzazione. Dunque l’apostolo san Giacomo dice nella sua lettera al cap. 4 che chi domina la lingua domina tutto il resto del corpo.

Ora un catechista che non domina la lingua come può produrre negli altri un cambiamento di vita, se le parole che escono da lui sono sporcate da una incapacità di dominare la lingua? Naturalmente quando dico capacità di dominare la lingua non mi riferisco solamente a un linguaggio volgare e pesante, mi riferisco anche a un modo di gestire il linguaggio. Una persona che non è capace a non criticare, una persona dalla cui bocca esce sempre una parola di critica, di giudizio, di condanna, di curiosità, di pettegolezzo ecc. può giustamente essere catechista? Non può. Un catechista che non sente fondamentale dentro di sé l’imperativo di sapere quello che sta dicendo, come lo sta dicendo e non si domanda se le parole che sta usando le capisce prima lui, come fa a spiegarle agli altri?

14) IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE AMARE E AMORE Quante volte abbiamo esaminato il significato delle parole amare e amore. Se un catechista non sa che cosa vuol dire amare, sapete con che cosa lo confonde? Con il romanesco volemose bene. Ma amare non è quello, quello non è amare, quello lì è solo cercare di stare tranquilli, senza prendersi tanti problemi, vero? Invece amare è tutta un’altra cosa. Stamattina abbiamo sentito: dare la vita per i propri amici. Vedete che è estremamente differente. Allora non deve essere così per voi, perché voi avete sentito veramente una chiamata del Signore, se no non sareste qui al sabato mattina.

Però per non perdere tempo né io, né voi e neanche Dio, cerchiamo proprio di capire l’importanza di tutto questo. Quando nelle scuole ci facevano fare l’analisi logica, l’analisi del periodo erano molto importanti; se abbiamo dimenticato tutto questo la prima cosa che dobbiamo fare è chiedere allo Spirito Santo che venga a rispolverare dentro di noi le cose che avevamo studiato allora, che le faccia emergere. Vedrete che lo Spirito Santo vi aiuterà; poi dopo cominciate con l’analizzare il linguaggio che usate, le strutture logiche che usate, se sono chiare.

Ricordatevi che le persone che avete di fronte non sono dentro la vostra mente, dunque loro non sanno esattamente dove voi volete arrivare. Una grande carità che potete fare nei confronti del vostro prossimo, un grande servizio è quello di fare un passettino piccolo alla volta. Non date mai niente per scontato, anche se doveste ripetere cento volte in cento incontri, serve per aiutare quella persona a entrare nel difficile concetto che voi volete dire.

15) DOBBIAMO IMPARARE A PERDONARE Per es.: dobbiamo imparare a perdonare. Che vuol dire perdono? È una parola composta. Dividete a metà la parola, per e dono; quella che capite subito è dono, cosa vuol dire dono? È un regalo, non meritato, perché un dono meritato si chiama premio. Capite perché bisogna essere precisi? Perché se io non dico questo allora il perdono mi diventa un diritto, invece non è un diritto, è un dono, un regalo non meritato; quindi se il regalo non è meritato mi viene fatto perché io sono buono o è buono chi mi fa il regalo? Chi mi fa il regalo. L’altra parola da capire è per che deriva dal greco iper, che vuol dire il più grande; quindi se iper vuol dire il più e donum, regalo, mettendo insieme avete l’insegnamento che dovete fare sul concetto di perdono.

Poi ci potete parlare per sei mesi ai bambini del perdono, però se sapete cosa vuol dire voi insegnate realmente ciò che insegna la Chiesa, non ciò che insegna il mondo: vogliamoci bene perché il Signore è buono e ci perdona, tanto perdona tutto e tutti. No! Il catechista non può fare queste cose, non si può confondere il perdono con un sentimento di piacevolezza e di arrendevolezza, non è così. Allora siamo partiti dal tema dei carismi, la prossima volta ricordatemi che dobbiamo continuare sul significato della parola carisma. Abbiamo appena analizzato la radice charis che vuol dire grazia e che significa Spirito santo in azione.

* UNIONE CATECHISTI. CATECHESI. LEZIONI, 08.10.2005
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/10/2012 21.02
Titolo:LA MADRE DI DIO-IMERATORE: EELNA, COSTANTINO, E IL CATTOLICESIMO-ROMANO ....
Tre donne «forti» dietro tre padri della fede

di Marco Garzonio (Corriere della Sera, 25 ottobre 2012)

Il IV secolo è fine di un’epoca e nascita di tempi nuovi anche per i modelli femminili nella cultura cristiana e nella società. Mentre le istituzioni dell’Impero si sfaldano, popoli premono ai confini, corruzione e violenze dilagano e le casse sono vuote, causa guerre ed evasione fiscale, alcune donne sono protagoniste delle trasformazioni almeno tanto quanto gli uomini accanto ai quali la storia le ha accolte. Elena, madre di Costantino, Monica madre di Agostino, Marcellina sorella di Ambrogio.

Ma ci son pure Fausta, moglie di Costantino, da lui fatta assassinare per sospetto tradimento (violenza in famiglia anzi tempo) e la compagna di Agostino, giovane cartaginese vissuta anni more uxorio («coppia di fatto» si direbbe oggi) col futuro santo vescovo d’Ippona. Gli diede pure un figlio, Adeodato, di lei però non è rimasto nemmeno il nome: una rimozione del femminile, nonostante la straordinaria autoanalisi ante litteram compiuta da Agostino nelle Confessioni; un archetipo delle rimozioni collettive della donna praticate dalla cattolicità e di tanta misoginia e sessuofobia che affliggeranno la Chiesa per secoli e ancora la affliggono. Ma andiamo con ordine nel considerare i tipi.

La madre solerte, forte, premurosa, ambiziosa, molto attaccata al figlio maschio, possessiva: è il modello di madre che emerge dalle testimonianze. In parte è un’icona ritagliata sul prototipo della matrona romana, su cui s’innesta la novità del cristianesimo. Questo dalle origini si dibatte in una contraddizione. C’è l’esempio di Gesù che «libera» la donna dalle sudditanze; per lui non è alla stregua di una «cosa» (come negli usi romani); negli incontri rivela l’alta considerazione verso una persona non certo inferiore all’uomo e contraddice così la cultura del tempo. Narrano i vangeli che Gesù si mostra a Maria di Magdala e alle altre donne come il Risorto davanti al sepolcro vuoto: loro sono le protagoniste, a esse affida l’annuncio pasquale. Dall’altra parte c’è San Paolo che invita le mogli a stare sottomesse ai mariti e ispira la visione di un ruolo ancillare, silenzioso, subordinato.

Ecco, allora: Elena anticipa quella che in epoche successive sarà la Regina Madre. Locandiera, legata a Costanzo Cloro cui darà un figlio, Costantino, fa di tutto perché questi diventi padrone dell’Impero: tesse rapporti, guida, consiglia. Verrà ricambiata: Costantino cingerà lei del diadema imperiale (invece della «traditrice» Fausta) introducendo nell’iconografia una coppia un po’ incestuosa: madre e figlio.

Psicologicamente Costantino sarà in un certo modo sottomesso a Elena. A Gerusalemme lei troverà le reliquie del Santo Sepolcro. Dei chiodi della Croce ornerà la corona imperiale (posta sul capo dei padroni del mondo sino a Napoleone) per dire che chi governa è sottomesso a Dio, e farà il morso del cavallo del figlio: anche i sovrani devono frenare le pulsioni. Madre altrettanto ingombrante, sul piano degli affetti in questo caso, fu Monica per Agostino.

Questi aveva cercato di liberarsene partendo per Roma senza dir nulla ma Monica non si scoraggiò, lo inseguì e raggiunse sino a Milano, capitale ai tempi. Qui convinse il figlio, all’apice del successo come retore, a rispedire in Africa la compagna e si diede da fare perché trovasse a corte una moglie. Intanto s’era pure spesa affinché Agostino conoscesse Ambrogio, che a Milano contava più delle insegne imperiali. Così l’amore di madre si trasformò: cadde il progetto di ascesa sociale, venne la conversione e il futuro padre della Chiesa riprese la via dell’Africa, senza più Monica però, che morirà sulla via del ritorno.

Un altro genere di donna, che ebbe e ha importanza nella Chiesa, nei costumi, nella cultura è incarnato da Marcellina. La sorella di Ambrogio, dopo aver contribuito a crescere i fratelli, prese il velo con papa Liberio. Grazie a lei si prospettò una scelta di vita ricalcata sul modello del monachesimo orientale, di cui Ambrogio era estimatore: la verginità (su questa il Patrono di Milano compose una delle sue opere principali), la consacrazione, il chiostro in cui ritirarsi, pregare e, in taluni sviluppi, lavorare, garantire il prosieguo delle tradizioni e aprirsi al mondo attraverso opere di carità. Costantino, Ambrogio, Agostino e lo loro donne: esempi d’una storia plurale che continua, viene costruita giorno dopo giorno ancora, si evolve.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/10/2012 21.29
Titolo:.Costantino (come Gesù!!!) e la Madre-Imperatrice (Elena - come Maria)!!!
Il VAN-GELO cattolico-romano di PAPA RATZINGER è quello del Figlio-Imperatore Costantino (come Gesù!!!) e della Madre-Imperatrice (Elena - come Maria!!!).

Una nota a margine dell’intervento di Magdi Allam* , e dell’ offesa di Benedetto XVI ai Musulmani

di Federico La Sala *

Per cominciare, "la verità della storia" ("Il morto fa presa sul vivo"!) ... non è la storia della Verità (l’Eu-angélo, il Buon-messaggio!) in cammino!!! E “il dialogo e il rispetto” di Benedetto XVI, sono abissalmente lontani dal dialogo e dal rispetto, portati avanti e manifestati da GIOVANNI XXIII, e da GIOVANNI PAOLO II - W O ITALY (“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione di risoluzione delle controversie internazionali; consente in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”: art. 11 della Costituzione dei nostri ’Padri’ (‘Giuseppe’) e delle nostre ’Madri’ (‘Maria’)!, sono come quelli del LUPO (o dell’Orso) nei confronti dell’ AGNELLO, nei confronti della religione ebraica come della religione islamica e della stessa intera umanità.

L’istruzione "Dominus Jesus" aveva detto già tutto - contro Giovanni Paolo II e il suo spirito di Assisi, che mirava alla pace e il dialogo, con tutto il cuore e con tutta l’anima!!!

La teologa tedesca Uta Ranke-Heinemann, figlia dell’ex-presidente della Repubblica, e collega di corso del cardinale Ratzinger - in un’intervista del 18.01.1990, in Italia per presentare il suo libro "Eunuchi per il regno dei cieli” - ecco cosa disse di Ratzinger: "un uomo intelligente, ma privo di qualsiasi sensibilità umana".

Vale la pena tenerne conto, ora, quando ascoltiamo le sue parole o leggiamo i suoi testi ... e sappiamo che sono quelle della massima autorità del mondo ’cattolico’-romano.

Al contrario, ricordiamoci di Dante!!! All’inferno, oggi, certamente, egli non avrebbe messo Wojtyla (Bonifacio VIII, con il suo Giubileo 1300-2000) e nemmeno più Maometto ... ma proprio Papa Ratzinger - proprio per la sua volontà di distruggere lo spirito di Assisi (Dante era terziario francescano)! Ricordiamoci - da italiani e da italiane, che "Dio" - in ’volgare’ - si dice Amore e "che muove il Sole e le altre stelle", ma certamente - come ben sappiamo per le vicende politiche recenti - non l’intelligenza teologico-politica e politico-teologica di tutta l’attuale Gerarchia della Chiesa romano-’cattolica’!!!

Che ideologia folle, questa religione costantiniana che vuole imporsi come religione universale: si pretende che, dopo la Legge del "Dio" che dice di onorare il padre e la madre, si sostituisca e si imponga la Legge del "Dio" che dice di amare la Madre (’Maria’) e il Figlio (’ Gesù Cristo’)!!! Ma che Spirito Santo è questo ... contro e senza il Padre - Giuseppe?! Questo è l’ordine simbolico e il credo del Mentitore ... e di “Mammasantissima” (della madre-Giocasta e del figlio-Edipo - come aveva ben capito e ben detto Freud!!!) - questa è la Legge del "Dio" del Faraone, come ben sapeva e sa "Israele"!!! Certamente non di Melchisedech, non di Abramo, non di Mosé, non di Gesù, e non di Maometto!!!

Fin dall’inizio - e subito - Benedetto XVI si è richiamato al IV secolo d. C. per proclamare "urbi et orbi" cosa voleva e vuole: scatenare l’inferno, distruggere definitivamente la memoria della E dell’Eu-angélo (Buon-messaggio), rilanciare la vecchia guerra contro la storia della Verità in cammino ... e mettere fuori legge ogni ’battuta’ o motto di spirito: "Aus".. "Witz"!!! Che tutto vada all’inferno .... nel più profondo dell’inferno! Van-gélo, van-gélo: questo è il messaggio del Lupo travestito da Agnello, oggi! Il deserto avanza ... e la pace dell’impero cattolico-romano, pure - con la sua “croce”: "In hoc signo vinces" !!! "Con questo segno vincerai" - sicuramente, il trono e l’altare ... dei morti!!!

"AMORE E’ PIù FORTE DI MORTE" (Cantico dei cantici: 8.6 - traduz. di G. Garbini) e segna “la diritta via”.... non per la "selva oscura" (Inferno), ma per "la divina foresta spessa e viva" del "paradiso terrestre"(Purgatorio) ed è lo stesso Amore che è al fondamento stesso della Legge dei nostri ‘Padri’ e delle nostre ‘Madri’ Costituenti...

* www.ildialogo.org, 16.09.2006


Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/10/2012 21.59
Titolo:"IN HOC SIGNO VINCES" E LA DONAZIONE DI COSTANTINO ...
Quel monogramma divino e vittorioso Quanti simboli prima di vedere Cristo

di Francesca Bonazzoli (Corriere della Sera, 25 ottobre 2012)

Si potrebbe immaginare che dopo l’Editto costantiniano di tolleranza l’iconografia cristiana, fino ad allora mutuata dall’arte imperiale, cominciasse a sviluppare una serie di nuove immagini autonome. Invece, secondo lo storico André Grabar che ha dedicato tutti i suoi studi all’iconografia cristiana e bizantina, «anche senza dimenticare le massicce distruzioni, i regni di Costantino e dei suoi figli, che videro la fondazione dell’impero cristiano, sono per la storia dell’iconografia cristiana quasi come una tabula rasa».

Per il momento, in questi primi secoli, c’è fondamentalmente una sola immagine nuova legata al regno di Costantino: il cosiddetto crismon, il monogramma di Cristo, formato dalle lettere sovrapposte dell’alfabeto greco X (si legge chi) e P (si legge ro), ossia le prime due lettere della parola Cristo, l’unto, il prescelto. Secondo le cronache, peraltro celebrative e contraddittorie, dello storico Eusebio, alla vigilia della battaglia contro Massenzio sul ponte Milvio, l’imperatore avrebbe visto apparire in cielo una croce di luce sovrapposta al cerchio del sole con la scritta «In hoc signo vinces», vincerai sotto questa insegna. Costantino avrebbe quindi fatta sostituire nel labaro (il vessillo militare composto da un drappo quadrato color porpora attaccato a una lancia) l’immagine dell’aquila imperiale con quella del crismon.

Il segno compare nelle monete costantiniane anche se, a conferma del fatto che le cose siano forse andate diversamente dal miracolo raccontato da Eusebio, è assente nell’arco di Costantino eretto solo tre anni dopo la battaglia. In effetti Costantino non si convertì di colpo e anzi conservò per tutta la vita la carica di Pontifex maximus, cioè capo supremo della religione pagana tradizionale. È difficile, dunque, credere che avesse sostituito già alla battaglia del ponte Milvio l’immagine dell’aquila imperiale con quella del crismon nel labaro del suo esercito.

Anche se fu Costantino a divulgarlo, il monogramma non fu comunque una sua invenzione. Esisteva già come abbreviazione della parola greca crestòs, con la stessa pronuncia di Cristos, ma con il significato di buono, utile, propizio, usato come simbolo di buon auspicio anche in alcuni sarcofagi orientali. L’imperatore, insomma, potrebbe aver usato il segno preesistente del crismon con un significato di buon auspicio che, solo successivamente e oltre il primitivo intento di Costantino, l’agiografia imperiale avrebbe poi trasformato in monogramma cristiano.

Il buon esito della battaglia poteva a quel punto benissimo servire a far coincidere il simbolo di vittoria militare con il simbolo della vittoria di Cristo sulla morte. Ancora una volta, dunque, l’iconografia cristiana andava a sovrapporsi a quella imperiale, spostando semplicemente il significato delle immagini e dei simboli, esattamente come avviene nella trasmissione del linguaggio da una generazione all’altra quando uno stesso termine può cambiare il valore semantico.

E infatti nel cristogramma costantiniano i significati militari e religiosi si intrecciano e sovrappongono in un continuo andare e venire da uno all’altro. Il cerchio dentro cui è rappresentato il crismon, per esempio, è una possibile allusione alla corona d’alloro della vittoria così come al sole, che ogni giorno risorge come Cristo dopo la morte. E come l’iconografia costantiniana rappresentava l’imperatore con i suoi figli trionfanti su un dragone ai loro piedi, così nel crismon si poteva aggiungere la S del nome finale di Cristos sotto la lettera P con l’allusione alla vittoria finale di Cristo sul male identificato col serpente. E per sovrappiù, a questo intreccio di significati, fra i bracci della X potevano comparire anche la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco, alfa e omega, per alludere all’inizio e alla fine del progetto di salvezza.

Fu proprio la resurrezione di Cristo ad escludere il tema della morte dall’arte funeraria dei primi secoli del cristianesimo, quando la croce era ancora percepita come un simbolo d’infamia. Solo a partire dal V secolo sostituì il crismon come segno per eccellenza del Cristo, anche negli stendardi militari. Ma era ancora una croce senza il corpo del Cristo e molto preziosa, lavorata con oro e gemme. La figura di Cristo non fa la sua comparsa prima del VI secolo e resta rara fino in epoca carolingia. Bisognerà poi aspettare l’XI secolo prima che in Occidente compaia un nuovo tipo di Cristo crocifisso, con il capo reclinato sulla spalla, il corpo emaciato e sulla testa una corona di spine in luogo di quella gemmata che coronava i Cristi trionfanti, vivi e con gli occhi aperti, dell’arte bizantina secondo l’equivalenza del Cristo vittorioso con l’imperatore trionfante
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E il potere temporale della Chiesa si basa su un falso

di Armando Torno (Corriere della Sera, 25 ottobre 2012)

Quando si parla di Donazione di Costantino si fa riferimento a una presunta cessione, da parte dell’imperatore romano a papa Silvestro I (eletto il 31 dicembre 314) e ai suoi successori, di Roma, dell’Italia e delle province occidentali. Il documento che la testimonia apparve già dubbio nel X secolo, ma poi fu impugnato sia da Arnaldo da Brescia (morto nel 1155), da Niccolò Cusano (morto nel 1464) e definitivamente sbugiardato con un’operina da Lorenzo Valla - scritta nel 1440, durante i giorni di Eugenio IV, ma pubblicata nel 1517 - La falsa Donazione di Costantino. In essa l’umanista dimostra che la lingua in cui fu redatto il documento è un latino che risente degli influssi barbarici e i riferimenti ivi contenuti rimandano a un tempo nel quale Costantinopoli è già diventata la nuova capitale dell’impero.

Il contenuto della Donazione va diviso in due parti. Nella prima, la cosiddetta confessio, dopo le solite formule protocollari segue la narrazione della miracolosa guarigione dalla lebbra di Costantino e del suo battesimo. Si racconta che i sacerdoti pagani, dopo che le cure mediche si rivelarono inutili, suggerirono all’imperatore di immergersi in una vasca dove si sarebbe dovuto versare il sangue di bimbi innocenti. Ma egli rifiutò, anche perché il pianto delle madri lo commosse. A quel punto gli appaiono in sogno Pietro e Paolo: i santi garantiscono a Costantino la guarigione se avesse chiesto il battesimo al Papa. Il Pontefice glielo amministrò, anzi lo fece seguire anche dalla cresima. La seconda parte del documento, la cosiddetta donatio o dispositio, registra il gesto imperiale. Costantino, d’accordo con i suoi dignitari, il Senato ma anche con lo stesso popolo, decide di concedere alla Chiesa poteri, dignità e onori imperiali.

Un dettato non particolarmente chiaro, anzi piuttosto ampolloso, giunto in tre lingue: latino, slavo e greco. La prima di esse è considerata la più completa ed è quella che si utilizza con maggior frequenza per i riferimenti. Il testo di questo celebre falso si legge nella riedizione, a cura di Roberto Cessi e Roberta Sevieri, La Donazione di Costantino, pubblicata da La Vita Felice nel 2010 (costa 11,50 euro): in essa, oltre un ampio saggio introduttivo, si trovano le versioni latina e greca.

Insomma, è possibile rileggere le varie scene con cui è di fatto giustificato il potere temporale. Parole come le seguenti dovettero suscitare un certo effetto: «Abbiamo inoltre stabilito anche questo, che lo stesso venerabile padre nostro Silvestro, sommo Pontefice, e tutti i pontefici suoi successori, debbano utilizzare il diadema, ossia la corona d’oro purissimo e gemme preziose, che dal nostro capo a lui abbiamo ceduto, e portarlo sul capo a lode di Dio e gloria del beato Pietro».

Non è facile orientarsi nelle mille storie che nascono o si riflettono in questo documento, ma c’è un saggio di Giovanni Maria Vian, intitolato appunto La donazione di Costantino (Il Mulino 2004), che sa indirizzare il lettore del nostro tempo.

Non è inoltre semplice stabilire quando si cominciò a usare ufficialmente tale documento, anche se sembra che Leone IX nel 1053 sia stato il primo; sicuramente esso ebbe una notevole influenza nel Medioevo se si pensa che già nel 1059 Niccolò II concesse l’investitura della contea di Melfi al normanno Roberto il Guiscardo proprio fondandosi sulla Donazione.

Del resto basterà aggiungere che Dante nel XIX canto dell’Inferno manifesta il disagio provocato dall’insano atto, anche se da uomo del suo tempo lo crede autentico: «Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,/ non la tua conversion, ma quella dote/ che da te prese il primo ricco patre!».

La discussione su vero e falso continuò sino al secolo del romanticismo, quando la Chiesa perse il suo territorio, giacché mai mancò qualche religioso isolato che si arrampicava sugli specchi per difendere le ragioni di quel broglio antico. Si può poi discutere se c’è un’unità testuale o se la Donazione sia stata una costruzione realizzatasi in tempi diversi; comunque se ne fissa in genere la stesura in un periodo che corre tra il 750 e l’850, vale a dire tra Pipino e Carlo il Calvo.

Qualche storico suggerisce l’ipotesi che Stefano II, andando in Francia nel 753, avrebbe portato con sé il documento. Altri, addirittura, sostengono che tale falso avrebbe preparato (e giustificato) l’incoronazione di Carlo Magno. Ma questa è una storia infinita. Per raccontarla in termini esaurienti sarebbe bene approfittare delle opportunità recate dalle celebrazioni costantiniane del prossimo anno.

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Commenti Articolo 717

Titolo articolo : L'OFFENSIVA ROTTAMATRICE E IL LESSICO DELLA "GENERAZIONE BERLUSCONI". Rottamazione è un cartello stradale che depista: non dice quel che promette. Un'analisi di Barbara Spinelli - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/25/2012 - 10:16:36.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/10/2012 17.35
Titolo:UNA CLASSE DIRIGENTE ARRETRATA. Allarme laureati .....
Allarme laureati, nel 2020 18 milioni in meno
E in Italia il "disallineamento" esiste già

Da uno studio McKinsey emergono i forti rischi di "mismatch" tra domanda e offerta nei Paesi industrializzati. Da noi disoccupazione e scoraggiamento allontanano gli studenti dall’università, ma già adesso mancano figure qualificate chiave ricercate attivamente dalle imprese

- di ROSARIA AMATO *

ROMA - Per tanti anni la laurea è stata il passaporto per il salto sociale, lo strumento migliore per il passaggio di classe. Poi è venuta la crisi, e molti giovani si sono ritrovati a rigirarsi per le mani quello che sembra essere diventato a tutti gli effetti un inutile pezzo di carta. Eppure, in futuro ci sarà sempre più spazio per laureati e post-laureati, assicurano Richard Dobbs e Anu Madgavkar, i ricercatori di McKinsey autori dell’indagine "Why the jobs problem is not going away" (perché permangono i problemi del lavoro). L’indagine parla di un "mismatch", di un disallineamento tra la domanda e l’offerta di laureati, che da qui al 2020 si allargherà sempre di più: nelle economie avanzate potrebbero mancare all’appello dai 16 ai 18 milioni di laureati, l’11% in meno rispetto alla domanda, con conseguenze dannose per la crescita del Pil.

Un mismatch preoccupante anche in Italia. Sarà così anche per l’Italia? Al momento il tasso di disoccupazione è al 10,7%, 34,5% per i giovani dai 15 ai 24 anni. Per cui non c’è da stupirsi se "negli ultimi anni la partecipazione dei giovani all’istruzione universitaria mostra una tendenza alla riduzione", dice Cristina Freguja, direttore centrale della Direzione delle statistiche socio-economiche dell’Istat. Infatti il "tasso di passaggio" dalla scuola secondaria all’università è sceso nell’anno accademico 2010-2011 al 61%, rileva l’Istat, contro il 73% dell’anno accademico 2003-2004, e il rapporto tra i laureati e la popolazione venticinquenne è al 32%, "mentre superava il 40% nel 2006". E quindi, conclude Freguja, "considerato il contesto demografico atteso per i prossimi decenni e in assenza di eventuali afflussi di immigrazione altamente qualificata, se questo trend dovesse proseguire, il mismatch tra domanda e offerta di lavoro di persone laureate potrebbe effettivamente assumere dimensioni rilevanti".

Un mercato del lavoro "ingiusto". A scoraggiare i giovani, rileva Andrea Cammelli, direttore di Almalaurea, le difficoltà del mercato del lavoro: "Mentre con il contrarsi dell’occupazione negli altri Paesi è cresciuta la quota di occupati ad alta qualificazione, nel nostro Paese è avvenuto il contrario". Tanto che "probabilmente almeno una parte dei laureati che in questi anni sono emigrati dall’Italia fanno parte del contingente di capitale umano che è andato a rinforzare l’ossatura dei sistemi produttivi dei nostri concorrenti!". Eppure "in Italia la percentuale di giovani laureati è al 27%, tra le più basse del mondo: negli Stati Uniti è al 40%", ricorda Francesco Pastore, professore di Economia Politica all’università di Napoli e segretario dell’Associazione Italiana degli Economisti del lavoro. Pochi laureati, e in difficoltà: la colpa principale, secondo Pastore, è che da noi il "mercato del lavoro è ingessato, ingiusto: la percentuale di persone che trova lavoro grazie ad amici e conoscenti è passata in pochi anni dal 28% a oltre il 40%, i giovani che lo trovano grazie ai centri dell’impiego sono appena il 2,5%, gli addetti in Italia sono pochissimi, uno per ogni 150 disoccupati, contro 1/48 in Germania e 1/24 in Gran Bretagna".

Una classe dirigente arretrata. Cambieranno le cose in futuro? Vale la pena di investire in una laurea? "Abbiamo un Paese che non cresce e che non crea occupazione - ammette Stefano Scabbio, presidente e ad di ManpowerGroup Italia e Iberia - e c’è anche un problema di classe dirigente poco preparata, che fa fatica a introdurre laureati brillanti nella propria organizzazione". Eppure, il sistema attuale fatto di piccole imprese concentrate nel settore manifatturiero, ragiona Scabbio, già non regge la concorrenza con gli altri Paesi: bisognerà passare a un sistema che metta al centro la ricerca e l’innovazione, le nuove tecnologie: "Abbiamo ancora un modello di sviluppo molto tradizionale, con poca tecnologia. Per cui i laureati molto preparati finiscono per andare all’estero, lì trovano opportunità. Ma già le cose stanno cambiando, e ci sono dei profili che già adesso sono molto ricercati in Italia: tutta l’area ingegneristica con indirizzo meccanico, elettronico o elettronico, ingegneria informatica, le lingue, economia e commercio per ruoli di controllo di gestione".

E’ già allarme "disallineamento". Dalle indagini di Unioncamere emerge una richiesta non soddisfatta di laureati in Economia bancaria, ingegneria civile, informatica, meccanica e civile, scienze economico aziendale, farmacia, e in discipline sanitarie. Il mismatch tra domanda e offerta di figure professionali altamente qualificate non è un problema futuro, in realtà in Italia esiste già adesso, spiega il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello. E superarlo è fondamentale per la crescita: "La competitività di un Paese come il nostro, privo di risorse naturali, oggi come ieri si gioca sulla competenze delle persone, sulla qualità, originalità e innovatività delle loro idee e, soprattutto, sull’esistenza di un sistema-Paese in grado di valorizzare queste idee portandole sul mercato. Per questo è indispensabile che i nostri giovani siano messi in condizioni di scegliere un percorso formativo - a tutti i livelli - coerente con le esigenze delle imprese. Non a caso, da alcuni anni, le imprese hanno accentuato l’attenzione al tema della qualità delle risorse umane, puntando ancora di più sull’eccellenza per competere. Purtroppo il nostro mercato del lavoro continua a scontare un forte mismatch tra domanda e offerta di figure professionali altamente qualificate che, invece, sono oggi indispensabili per il successo di migliaia di piccole e medie imprese, in particolare di quelle impegnate nei settori trainanti del Made in Italy".

* la Repubblica, 24 ottobre 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/10/2012 18.04
Titolo:LA DECADENZA DELL'ITALIA.
Italia Decadence

Un saggio di Guido Crainz racconta la trasformazione vissuta dal paese e dalla democrazia negli ultimi decenni
- Nell’euforia del boom le radici lontane dei vizi d’oggi

di Nello Ajello (la Repubblica, 23.10.2012)

Perché, e quando, la democrazia si è trasformata, nel nostro paese, in «una partitocrazia decadente, inefficiente e corrotta»? Ecco la domanda che si fa chiunque guardi all’attuale situazione italiana con l’ansia di capirci qualcosa.

Ed è proprio questo l’interrogativo che percorre l’opera di Guido Crainz, Il paese reale in uscita presso l’editore Donzelli (pagg. 403, euro 29). Nel sottotitolo esplicativo - “Dall’assassinio di Moro all’Italia di oggi” - sembra cogliersi il desiderio di dare alla vicenda un inizio meno remoto, e forse l’intenzione di non allarmare troppo il lettore.

In realtà l’intera ricerca di Crainz allarmante è, e tale resta. Essa dimostra, inoltre, che i primi sintomi delle odierne traversie vanno collocati indietro nel tempo. Si manifestarono cioè fin dall’epoca del “miracolo italiano”, un “tumultuoso processo” al quale la politica si limitò ad assistere compiaciuta. Quella “belle époque inattesa” (così la vide Italo Calvino), diffuse una frenesia della crescita cui non si accompagnarono né meditati quesiti sulla sua consistenza né lucidi propositi per l’avvenire.

Non che in questo senso mancassero i pensieri e gli sforzi - come dimenticare quel disegno di “programmazione economica” dovuto alla preveggenza di Ugo La Malfa? - ma restarono a un livello di testimonianza. Un’intera classe dirigente confidò che quel prodigio nostrano, utile e comodo, durasse all’infinito. Ma anche quando la conformistica aspirazione al soddisfacimento di ciò che Crainz chiama le tre M - Macchina, Moglie e Mestiere - venne messa a disagio dall’azione disgregatrice della “baby boom generation”, figlia del dopoguerra avanzato e fucina della rivolta del Sessantotto, anche questi clamorosi preannunzi di cambiamento trovarono il vertice politico più incline a scandalizzarsi che a interpretarli.

Fra i pochi che si mostrarono più riflessivi in materia si sarebbe distinto Aldo Moro. Ma, in generale, la sordità apparve cronica. Così come il vastissimo sconcerto sociale prodotto nel paese dalle fasi ulteriori del disfacimento italiano - il terrorismo prima, e più tardi il “riflusso” nel privato, stagioni di natura opposta ma convergente - trovarono impreparate le istituzioni, quasi che simili eventi e pulsioni non promettessero un catastrofico e crescente disgusto per la politica.

È andata dunque in scena una sequela ininterrotta di sorprese e di sconfitte ai danni del Paese? Crainz crede di sì. La sua lettura può suscitare le impressioni più varie, tranne l’indifferenza. Ne nascerebbe perfino un’inerte assuefazione all’“umor nero” dell’autore se non fosse per le centinaia di felici citazioni, che egli riporta, firmate da giornalisti, commentatori, esponenti politici e testimoni d’epoca. Chi abbia seguito con qualche attenzione i decenni dei quali qui si dà conto, vi troverà continui riscontri di fatti, persone, e giudizi nell’intrecciarsi di cronaca e commento, diario e sentenze, memoria e riflessione.

È un’aria di quotidianità critica che si addensa soprattutto nelle centoventi pagine (oltre un terzo del volume), dedicate agli anni Ottanta e all’alba del decennio successivo, autentica vigilia del dissesto che ora ci assedia.

Sto parlando della stagione segnata dall’euforia craxiana, qui illustrata in ogni sua piega, cui seguiranno Tangentopoli e la nascita di quella che si chiamerà la Seconda Repubblica.

L’aspra trama del racconto si nutre di istantanee eloquenti. Sono pezzi di giornalismo che sembrano qui smentire la caducità attribuita al genere. Se non siamo alla “storiografia dei giornalisti” a suo tempo individuata da Croce, poco ci manca.

È una chiave di scrittura della quale qui si può offrire solo qualche esempio. Nel capitolo intitolato “La frana e il crollo”, l’autore destina quasi un’intera pagina alla trascrizione dei titoli con i quali i quotidiani rivelavano, tra metà aprile e metà maggio del 1992, quel “Watergate all’italiana” che tenne dietro all’arresto del “mariuolo” Mario Chiesa” (così lo battezzò Craxi), il primo di una folla perennemente attuale di tangentomani.

Qui sembra davvero di assistere a uno spettacolo cui si potrebbe incollare un’etichetta: “l’oggi in differita”. Al centro di un libro così impegnativo, con una trama così desolante, è come un invito a sorridere. Invece che assolvere all’obbligo di disperarsi.

Titoli e ritagli, dunque, sottratti al loro tempo e più freschi che mai. Ecco il presidente di Mediaset che definisce una “decisione eroica” e “un calice amaro” il suo proposito di “scendere” in politica (un dramma, o una farsa, che avranno, come sappiamo, delle repliche). Ecco più in là un titolo del Corriere della sera, “Nasce la destra smoderata”, a metà strada tra fra parodia e profezia.

E ancora, una variante dello spettacolo: sullo sfondo di un articolo-istantanea si scorge l’Italia smarrita per le ruberie che le si rivelano, e in primo piano l’Unto del Signore. «Con i tempi grami e luttuosi che corrono - commenta La Stampa - è come se Lui «fosse piombato in mezzo a un funerale distribuendo pacche sulle spalle».

Che quella fosse la natura del leader era già assodato in quei tempi lontani. Ma come definire la psicologia dei suoi seguaci? «Si tratta di “petit peuple”, piccoli e piccolissimi borghesi»: così li vide Sandro Viola, mandato da Repubblica a percorrere la Lombardia. E intanto Barbara Spinelli vedeva nel debutto del Cavaliere «una fiaba con finale infelice: c’era il principe, e nelle ultime righe si apprende invece che è un rospo».

Adesso il finale infelice s’è consumato (così ci si augura), e il rospo nazionale non fa più tanta paura a quella metà degli italiani che non lo ha prediletto. Ma c’è da chiedersi se il paese che gli fece da tana abbia assorbito in pieno la lezione. Dopo una sbornia durata una ventina d’anni, non si sa se e quando riuscirà a riprendersi. Ciò sarebbe essenziale, dovendo l’intero paese accingersi «un’opera di ricostruzione», le cui dimensioni «sono simili» - conclude Guido Crainz - «a quelle della fase post-bellica».

Anziché che una Terza Repubblica, come si sente dire, ciò che ci aspetta è un Secondo Dopoguerra? Nell’attesa, sarà bene ricordare che non sempre i miracoli si ripetono.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/10/2012 10.16
Titolo:L'ULTIMA BARZELLETTA DEL SIGNOR B.
Berlusconi scappa. L’ultima barzelletta

di Antonio Padellaro (il Fatto, 25.10.2012)

Silvio Berlusconi ha tanti difetti, ma non è certo stupido. Da quando, proprio un anno fa, venne cacciato da Palazzo Chigi a furor di popolo e di spread, ha cercato in tutti i modi di rianimare un partito morto. Ha perfino messo in giro la voce di una sua ricandidatura a premier sperando in un sussulto dei sondaggi, ma la picchiata del Pdl non si è fermata.

Ora, mettetevi nei panni di colui che per quasi vent’anni si è sentito (ed è stato) il padrone dell’Italia, per tre volte presidente del Consiglio, ma in grado di gestire un potere assoluto anche dall’opposizione grazie a una sinistra compiacente, signore incontrastato delle tv, servito e riverito come neppure il duce ai suoi tempi, uno che ha fatto votare al Parlamento qualunque cosa (perfino Ruby nipote di Mubarak), un tipo che ha trasformato le istituzioni in un’orgia non soltanto metaforica.

Ecco, mettetelo davanti alla prospettiva di guidare ancora un’armata politica di sbandati rissosi e popolata dai Fiorito e dalle combriccole dedite al furto di pubblico denaro. Perché mai questo anziano viveur dovrebbe desiderare di trascorrere le giornate con Cicchitto e la Santanchè mentre il suo impero si sbriciola e i processi incalzano?

Insomma, ridotto com’è non gli restava altro che scappare velocemente dalle macerie del Pdl raccontandoci l’ultima barzelletta del passo indietro “per amore dell’Italia”. Quanto alle primarie, difficile pensare che non si risolvano in un regolamento di conti tra clan e fazioni accelerando la dissoluzione di un partito personale inventato sul predellino di un’auto e cementato dall’odio.

Lui era già finito da tempo. Forse il giorno in cui ai vertici europei cominciarono a ridergli dietro. Adesso non gli resta che garantirsi uno straccio d’immunità con un seggio al Senato e sperare nella clemenza di Monti. A sua imperitura memoria resta il disastro a cui ha condotto il Paese.


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Il senso di B. per il Senato

Lo slalom tra immunità e prescrizione

di Antonella Mascali e Caterina Perniconi (il Fatto, 25.10.2012)

Chi conosce bene Silvio Berlusconi ci ha messo un attimo a capire che le sue parole non erano di certo un azzardo. Soprattutto processuale. “Guardate che Berlusconi ha detto che si dimette da premier, non da parlamentare”, chiarisce pochi minuti dopo l’annuncio la deputata pdl Jole Santelli in Transatlantico. “Andrà a Palazzo Madama come padre nobile del partito. Alla Camera resteranno i giovani, e fate attenzione a questa parola”.

Lo scenario è quello della rottamazione. Si può fare forse per tutti, nel Pdl, ma nessuno provi a farlo con lui. Perché a Berlusconi un seggio serve, e non soltanto per fargli indossare le vesti di senatore e padre nobile: gli serve soprattutto per conservare l’immunità. È sempre il palazzo di Giustizia di Milano a preoccupare di più Berlusconi. Tra oggi e domani è attesa la sentenza del processo sui diritti televisivi. L’ex presidente del Consiglio è accusato di frode fiscale, insieme al presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, e ad altri imputati. Secondo l’accusa, sono stati gonfiati per anni i costi della compravendita dei diritti televisivi, allo scopo di accantonare fondi neri all’estero.

NEL CORSO DEL TEMPO, la prescrizione ha azzerato una parte dei reati. Restano in piedi le presunti frodi fiscali per il 2001, 2002 e 2003. Secondo i pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, sono stati evasi 14 milioni di euro d’imposta. La procura ha chiesto una condanna a 3 anni e 8 mesi e Berlusconi rischia grosso, in caso di sentenza sfavorevole: l’eventuale pena, infatti, potrebbe diventare definitiva, prima che si apra il paracadute della prescrizione. In astratto, i tempi ci sono: la prescrizione scatta infatti nel-l’aprile 2014 e se si considera che questa settimana contestualmente al dispositivo della sentenza saranno presentate anche le motivazioni, si guadagnano 60-90 giorni. Restano dunque 18 mesi, che possono essere sufficienti per il processo d’appello e per arrivare al verdetto definitivo della Cassazione.

Entro dicembre, poi, potrebbe arrivare anche la sentenza sul caso che ha fatto il giro del mondo: le “cene eleganti” di Arcore, le feste del bunga-bunga e i suoi rapporti con la minorenne marocchina Karima El Mahroug, in arte Ruby Rubacuori. L’ex presidente del Consiglio è imputato di concussione (ha fatto pressioni sui funzionari della questura di Milano, chiedendo il rilascio della “nipote di Mubarak”, fermata per furto a Milano il 27 maggio 2010) e di prostituzione minorile (per averla inserita, minorenne, nel contesto sessuale delle feste di Arcore, pagandola).

SETTIMANA SCORSA, Berlusconi ha pronunciato dichiarazioni spontanee in tribunale, affermando di essere stato veramente convinto che Ruby, minorenne marocchina, fosse la nipote del presidente egiziano e di essersi “informato” presso i funzionari della questura per evitare un incidente diplomatico. Sempre a Milano, Berlusconi ha in corso un altro processo che potrebbe andare a sentenza entro l’anno: quello in cui è imputato di rivelazione di segreto d’ufficio per la diffusione dell’intercettazione segreta, del luglio 2005, tra il presidente di Unipol, Giovanni Consorte, e il segretario dei Ds, Piero Fassino, che esclama: “Allora abbiamo una banca? ”. Quella registrazione (neppure trascritta per i magistrati che indagavano sulle scalate bancarie dei “furbetti del quartierino”) fu ascoltata ad Arcore la vigilia di Natale e poi pubblicata dal Giornale il 31 dicembre 2005.

A Bari, invece, il leader del Pdl è accusato, assieme al faccendiere Valter Lavitola, di aver indotto a dichiarazioni mendaci l’imprenditore Gian-paolo Tarantini, procacciatore di escort per l’ex presidente del Consiglio. Quattro procedimenti penali, quattro buoni motivi per restare in Parlamento.

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Commenti Articolo 718

Titolo articolo : DIRITTI FONDAMENTALI E PLURALISMO RELIGIOSO,di Agenzia NEV del 11/07/2012

Ultimo aggiornamento: October/23/2012 - 17:06:35.

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Autore Città Giorno Ora
Florestana Piccoli Sfredda Rovereto TN 23/10/2012 17.06
Titolo:Diritti umani e pluralismo religioso
La sottoscritta,di confessione cristiana evangelica Valdese, nata a Milano con radici dal Sud Italia fino al Nord Europa, ha sempre seguito con profondo interesse ogni forma di dialogo, che si fondasse sul rispetto reciproco e mirasse alla costruzione di una ecumene universale.Ha perseguito queste finalità dalla gioventù fino ad oggi (nata il Natale 1927):coniugatasi nel 1953 con un Valdometodista, ha perseguito insieme al marito (1922-2007) questo stesso percorso. I 5 figli nati dal loro matrimonio, sono tutti stati battezzati con la presenza del Pastore Valdese e del Pastore Metodista.
Gli ideali di allora sono rimasti intatti, con l'aiuto del Signore, e il dialogo ecumenico-interreligioso è tuttora alla base della vita di chi scrive.

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Commenti Articolo 719

Titolo articolo : Nemici dell'umanità,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: October/21/2012 - 11:20:49.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/10/2012 10.18
Titolo:L'Europa e ... e il “ben” (“eu”) dall’intelletto e dalle nostre Parole perso ...
L'Europa e ... il “ben” (“eu”) dall’intelletto e dalle nostre Parole perso ... *


All’inizio, e su tutta la Terra, gli esseri umani sapevano, sapevano che cosa facevano, e che cosa dicevano! La foresta era la foresta, il deserto il deserto, e sia dall’una sia dall’altra, sapevano trarre energie per vivere, vivere - né morire né distruggere tutto. La foresta, come il deserto o la montagna e il mare, era la loro maestra e palestra di vita e di libertà (dopo millenni, J. J. Rousseau - il primo grande maestro del sospetto - aveva cominciato a capire!). Ed Europa non significava quello che si è voluto che significasse: tramonto, notte, occidente ... e morte!!!

In origine il nome “Europa” designò un territorio ristretto, forse la regione a nord dell’Egeo; in seguito i geografi indicarono con questo nome tutte le terre a nord del Mediterraneo. E, se ci fidiamo delle parole greche, significava e indicava un “buon” (gr.: “Eu”) luogo dove si poteva “far fascine”, “far legna” (gr.: “ropeuo”). Lì, i greci impararono a ‘orientarsi’ e a ‘leggere’: a ‘scegliere’, a ‘raccogliere’, a ‘legare’ e a ‘collegare’, cioè a “far legna”, e a “far fasci” ... ma non di tutte le erbe, né di tutta la legna!!!

Impararono, e impararono presto, divennero saggi (sofòi) e, infine, molto, troppo saggi (sofisti) ... e fu l’inizio della fine!. Nietzsche, che ha tentato di chiarire l’enigma, qualcosa aveva capito: se è vero che “la grecità fu la prima grande unificazione e sintesi di tutto il mondo orientale e appunto perciò l’inizio dell’anima europea, la scoperta del nostro ‘mondo nuovo’”, è anche vero che il “nuovo mondo” che abbiamo costruito dimostra quanto presto abbiamo dimenticato la ‘lezione’ delle foreste, dei mari, dei deserti, e dei fiumi e delle montagne!!!

Così Eu-ropa ed Eu-angelo hanno finito per condividere lo stesso ‘destino’ di cecità e di morte, e una sola parola: la volontà di potenza ha finito per accecare l’una e l’altro - e tutti e tutte abbiamo cancellato il “ben” (“eu”) dall’intelletto e dalle nostre Parole!!! E abbiamo esportato solo e sempre e ancora ..... ‘Fascismo’, e ‘Van-gelo’!!! Questo il nostro Logos?! Questo Logos era all’inizio?! Non scherziamo col fuoco: In principio era Eu-ropa.... ed Eu-angelo. Non dimentichiamolo! Sappiamo distinguere e dire quale Logos era in principio?! O no ... e non più?! (Federico La Sala, www.ildialogo.org/editoriali, 30.10.2005).

* www.ildialogo.org/filosofia, Lunedì, 31 ottobre 2005.
Autore Città Giorno Ora
Florestana Piccoli Sfredda Rovereto TN 14/10/2012 18.34
Titolo:"nemici dell'umanità"
Non è la vecchiaia che avanza, caro Amico:queste cose fanno veramente schifo.
Chi scrive a Natale compirà 85 anni. E' passata attraverso la II Guerra Mondiale, il freddo e la fame di quegli anni, una scuola ad orario ridotto, in cui si stava in classe con guanti e cappotto perchè i vetri del glorioso Liceo Parini di Milano erano andati in frantumi con i bombardamenti...poi la rinascita, le strade di nuovo illuminate dopo gli anni dell'oscuramento, finite le corse notturne in cantina durante gli allarmi aerei...la vita riprendeva! Con difficoltà, ma con tanta speranza! E oggi? La ricchezza del multiculturalismo, ma lo squallore di tanti razzismi, di tanti rifiuti, di tanti inganni.
Autore Città Giorno Ora
antonio nicolini negrar vr 21/10/2012 11.20
Titolo:ma come si fa ad amare la guerra?
Ci aggiungo che non riesco a capire come un essere umano possa dedicarsi alla guerra, se non pensando che non è in grado di vivere le emozioni che ti fanno sentire vivo nella semplicità della vita quotidiana: abbracciare le propria compagna, tenere per mano un bambino, parlare con un amico guardandosi negli occhi, camminare in un bosco, correre sull’erba di un prato, tuffarsi nell’acqua del mare.
Ho riportato il vostro articolo su questo sito: http://www.quarei.it/matonele/ spero sia cosa gradita, in caso contrario lo tolgo.

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Commenti Articolo 720

Titolo articolo : PER UNA CHIESA AL DI LA' DEL SONNAMBULISMO MAMMONICO: RIPRENDERE IL FILO DEL CORAGGIOSO E PROFETICO "PATTO DELLE CATACOMBE" DEI PADRI DEL VATICANO II. In memoria di dom Helder Câmara, uno dei firmatari e propositori del Patto,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/20/2012 - 08:59:11.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/10/2012 23.34
Titolo:IL "SOGNO" DI BENEDETTO XVI: UNA CHIESA "PER MOLTI", NON "PER TUTTI"!!!
CHIESA "PER MOLTI", NON "PER TUTTI"!!!

Per il Convegno "Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri" del 15 settembre 2912, cinque note a margine

di Federico La Sala *

1. LA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA HA ROTTO I PONTI CON IL MESSAGGIO EVANGELICO. A 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, bisogna prendere atto che il terribile è già accaduto: il "Lumen Gentium" è stato spento e, sulla cattedra di Pietro, siede il Vicario del Signore e Padrone Gesù ("Dominus Iesus": J. Ratzinger, 2000). Egli regna e governa in nome del suo Dio, Mammona ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006).

2. DIO E’ VALORE! Sul Vaticano, DAL 2006, sventola il "Logo" del Grande Mercante: "Deus caritas est" (Benedetto XVI, 2006)!!! Il papa teologo, ha gettato via la "pietra" su cui posava - in equilibrio instabile - l’intera Costruzione dela Chiesa cattolico-romana ("Deus charitas est": 1 Gv. 4.8).

3. TUTTO A "CARO-PREZZO" ("CARITAS"): QUESTO "IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO". QUESTO E’ IL NOSTRO VANGELO: PAROLA DI RATZINGER -BENEDETTO XVI, CARDINALI E VESCOVI TUTTI. IL "PANE QUOTIDIANO" DEL "PADRE NOSTRO", SI VENDE A "CARO PREZZO", MOLTO CARO (= "CARITAS")!!!

4. ULTIMA CENA ED ECONOMIA VATICANA. Benedetto XVI cambia la formula: «Il calice fu versato per molti», non «per tutti»!!!

5. IN PRINCIPIO ERA IL "LOGO"!!! SE UN PAPA TEOLOGO LANCIA IL "LOGO" DEL SUO DIO ("DEUS CARITAS EST") E TUTTI OBBEDISCONO, E NON VIENE RISPEDITO SUBITO A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO, DI COSA VOGLIAMO PARLARE DI AFFARI E DI MERCATO?! EBBENE PARLIAMO DI AFFARI, DI MERCATO, DI "MAMMONA", "MAMMASANTISSIMA", E DI COME I PASTORI ... IMPARANO A MANGIARE LE PECORE E GLI AGNELLI, E CONTINUANO A GOZZOVIGLIARE ALLA TAVOLA DEL LORO "DIO"!!! Avanti tutta, verso il III millennio avanti Cristo!!!

Federico La Sala

* Il Dialogo, Mercoledì 12 Settembre,2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/10/2012 05.09
Titolo:RISALIRE GLI ABISSI.....
PAROLA A RISCHIO

- Risalire gli abissi
- La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
- Perché è sorriso, liberazione, gioia.

-di Giovanni Mazzillo (Teologo) *

G come gioia, come Gesù, respiro di gioia per tutti gli infelici della terra. Parliamo di Gesù, il cui corrispondente nome greco Iesoûs deriva direttamente dall’originale ebraico Je(ho)šhu e significa JHWH salva, per precisare immediatamente che il termine salvezza oggi non significa gran che per i nostri contemporanei, e di conseguenza risuona poco interessante persino quel nome, pur originariamente portatore di una gioia immensa e inaudita. Ciò avviene non solo per l’inevitabile logorio delle parole più usate e talora abusate, ma per il fatto che ha perso rilevanza e pertanto significato il valore stesso della “salvezza”.

Salvezza
- Salvezza da chi e/o da che cosa? Appunto, è questo il primo problema. La salvezza appare di primo acchito un concetto immediatamente derivato dal superamento di una situazione negativa, Si salva, o come succede in questo caso, viene salvato, qualcuno che si trova in una situazione di pericolo. Il pericolo di perdere qualcosa, di perdere se stesso. Di essere cancellato, di sparire, appunto come sparisce da un computer un testo non “salvato” o un’immagine non messa al sicuro. Ma essere salvati è per noi persone umane, e pertanto non riducibili a una traccia di codificazione binaria o algoritmica, molto di più che conservare un’impronta e una presenza. Coerentemente con la nostra realtà dinamica e relazionale, essere salvati significa avere un luogo, un senso, una rilevanza nel contesto di una realtà che giustifica, sorregge, garantisce il mantenimento e la crescita qualitativa, e pertanto il conseguente riconoscimento di un originario, inalienabile, imprescindibile valore personale.

La domanda «Chi o che cosa si può dire oggi salvato?» esige pertanto una primordiale differenziazione. Altro è il concetto di ciò che è salvato (cioè il dato messo al sicuro), ben altro è l’essere umano salvato. Questi non è solo garantito in ciò che ha di più proprio e pertanto è distinto dal mero “dato”, che invece è una sorta di file compilato (non per nulla in tedesco proprio il file è chiamato Datei, leggi datai, cioè «rea-ltà data»). L’essere umano è tale solo in un incontro, in una relazione. La persona è tutta nelle relazioni delle quali vive. Proprio la relazionalità sorregge il senso e la gioia del suo esistere.

L’annuncio di Gesù, già nella sua venuta in questo nostro mondo, è l’annuncio di una relazionalità umana felicemente riuscita. Nel Vangelo è direttamente collegato alla Grazia, termine che esprime tutto ciò e anche qualcosa di più.

Nell’annuncio della sua nascita, diversamente da quanto appare nella traduzione latina, e in quella italiana da essa derivata, nella preghiera più popolare che ci sia, Maria è salutata non con il saluto che si dava all’imperatore, alle autorità o anche agli amici con l’esclamativo «Ave!», bensì con l’invito a rallegrarsi, cioè a gioire (chaîre): a entrare in un circuito di esultanza per un dono gratuito e inatteso. Colei che è piena di grazia (kecharitōménē) è invitata a rallegrarsi perché tutto in lei è frutto ed espressione della «grazia» (cháris), cioè di un dono amorevole quanto sorprendente, che sarà presto annuncio di gioia per tutto il popolo e per ogni uomo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...”. L’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia...» (Lc 1,30-31; 2,10-11).

Il resto del Vangelo, soprattutto quello di Luca, evidenzia la gioia improvvisa e incontenibile che contagia quanti vengono a contatto con Ješhu. A cominciare da Elisabetta e dal suo bambino, che le esulta nel grembo, il futuro Battista. Così esultano ancora due anziani che sembrano essere rimasti in vita per mantenere viva la speranza d’Israele: Simeone e Anna, o i pastori; mentre nel racconto di Matteo, viene detto che i Magi “provarono una grandissima gioia” nel rivedere la stella che indicava il luogo della natività di Gesù.

La stessa gioia è testimoniata dai semplici e dagli umili, dagli infelici e dai peccatori che si sentono aiutati, capiti, perdonati. A gioire sono ancora i bambini e le donne, classi tradizionalmente neglette dalla piena partecipazione alla grazia collegata alle tradizionali benedizioni di Dio. Insomma il cuore del Vangelo è la lieta notizia annunciata ai bisognosi e agli infelici della terra. Il Dio che si dona totalmente, è il Dio che dona illimitatamente la gioia agli uomini. E perché la nostra gioia fosse piena (Gv 15,11), il Figlio di Dio è arrivato umanamente a perdere se stesso.

Perché avessimo una gioia che nessuno avrebbe mai più potuto toglierci, ha permesso che fosse tolta a lui la vita, per riprenderla di nuovo, ma con la conoscenza ormai nella sua carne e nella sua psiche di cosa significhi la morte umana. Di cosa voglia dire la gioia di vivere, di vivere non con il naturale sorriso con cui vive ogni creatura per la stessa gioia dell’esistere, ma di provare e diffondere la gioia di chi conosce la sofferenza e non resta inchiodato alla sofferenza. O al limite, di chi, nonostante le ferite e talora i chiodi mai interamente rimossi della sofferenza, sa sorridere della vita, perché questa è ormai rischiarata da colui che vince la morte e la depressione della sofferenza.

La gioia è dunque uno dei nomi della salvezza, ma di una salvezza che assume di volta in volta nomi nuovi e nomi antichi: riscatto, liberazione, sensatezza, leggerezza dell’esistere... Se la parola non fosse tanto inflazionata, si potrebbe dire che la salvezza altro non è che la felicità. È la felicità nel suo senso etimologico: come abbondanza e fertilità. Possiamo tradurre: come vita sensata che raggiunge il suo scopo e nasce da relazioni benevole, tendenti al bene altrui, trovando negli altri la propria gioia e comunicandola con relazioni che fanno crescere se stessi e gli altri.

In quanto tale, la felicità è simile alla pace e ne è la forma storica: è star bene con sé e con gli altri, con il proprio passato e con il proprio futuro. Perché, soprattutto oggi, c’è bisogno paradossalmente più di ricostruire il futuro che il passato o il presente. Per poterlo fare c’è bisogno di quella gioia consapevole che non si arrende e che non si ripiega su se stessa. Si ritrova nel futuro di una convivenza che non nasconde, ma sa riconoscere e superare i conflitti attraverso uno sguardo d’amore verso ciò che ci è intorno. È uno guardo che viene da lontano e tuttavia tocca la nostra umanità, questa mia e questa tua umanità, quella assunta, attraversata e come divinizzata da quel Gesù che continuamente dà senso a ogni tentativo di superare la violenza con l’amore. È l’unico a dar senso a ogni discorso di pace, anche questo che hai appena finito di leggere.



* MOSAICO DI PACE, LUGLIO 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/10/2012 06.19
Titolo:MEMORIA E STORIA DELLA PAROLA "PADRE" ("Abba", "Abbà").
ABATE (Abbé)

di VOLTAIRE *

«Dove andate, Signor abate?» ecc. (1). Vi rendete conto che abate significa padre? Se voi lo diverrete, renderete un servizio allo Stato; e senza dubbio compirete l’opera più alta che possa compiere un uomo: nascerà da voi un essere che pensa. C’è qualcosa di divino in quest’azione.

Ma se siete il signor abate solo per il fatto che avete la chierica e portate un collarino e una mantellina, e ve ne state lì alla posta di qualche beneficio, il nome d’abate non lo meritate.

Gli antichi monaci chiamarono così il superiore che essi eleggevano. L’abate era il loro padre spirituale. Quanti significati diversi assumono, col passare del tempo, gli stessi nomi! L’abate spirituale era un povero a capo di tanti altri poveri; ma i poveri padri spirituali giunsero poi ad avere duecento, quattrocentomila franchi di rendita; e ci sono, oggi, in Germania, dei poveri padri spirituali che posseggono un reggimento di guardie.

Un povero che ha fatto giuramento d’essere povero e che, di conseguenza, diventa sovrano! Già lo si è detto; e va ridetto mille volte: questo è intollerabile. Le leggi protestano contro questo abuso, la religione se ne indigna, e i veri poveri, nudi e affamati, assordano il cielo di lamenti davanti alla porta del signor abate.

Li sento rispondere, i signori abati d’Italia, di Germania, delle Fiandre, della Borgogna: «E perché non dovremmo accumulare anche noi ricchezze ed onori? Perché non dovremmo essere principi? I vescovi lo sono. Una volta erano poveri come noi, e poi si sono arricchiti, si sono innalzati; uno di loro è ora più in alto dei re; lasciate che li imitiamo per quel che ci è possibile.»

Avete ragione, signori; invadete la terra; essa appartiene ai forti e ai furbi che se ne impossessano. Avete approfittato dei tempi dell’ignoranza, della superstizione, della demenza per spogliarci delle nostre eredità e calpestarci; per ingrassarvi con le sostanze degli sventurati: tremate, chissà che non arrivi il giorno della ragione.

* VOLTAIRE, Dizionario filosofico

(1) Accenno a una canzoncina dell’epoca in cui un abate cammina furtivamente al buio, correndo il rischio di rompersi il collo, "pou voir les demoiselles" (Voltaire, Dizionario filosofico, Bur, Milano 1979, p. 47).
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/10/2012 06.50
Titolo:QUALE "PADRE NOSTRO? QUALE CHIESA?
NOTA

«Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri»:

Il convegno autoconvocato sul Concilio, tenutosi a Roma il 15 settembre, si è chiuso con la relazione di Raniero La Valle, Il Concilio nelle vostre mani. Il vento di aria pura è rimasto imprigionato nel "cupolone dei cupoloni". L' "urlo" di un don Mazzolari o di un don Milani è rimasto strozzato in gola....

AVERE IL CORAGGIO di dire ai nostri giovani-vecchi "cattolici" e alle nostre giovani-vecchie "cattoliche" che sono tutte sovrane, tutti sovrani!!! Un nodo ancora non sciolto....

"Sulla riforma della chiesa e delle sue strutture il Concilio è rimasto ai nastri partenza. La Chiesa anticonciliare ha bloccato la collegialità e ha rafforzato i vincoli di dipendenza gerarchica» ma una Chiesa nuova è possibile" (Raniero La valle)

MA QUALE CHIESA, DI QUALE DIO?!

AMORE (PIENO DI GRAZIA): "DEUS CHARITAS EST" (1 Gv. 4.8)

O

MAMMONA (PIENO DI VALORI)": "DEUS CARITAS EST" (Benedetto XVI, 2006)?!

"Di quale Dio parliamo quando parliamo di Dio, e di quale Dio parlano quando parlano di Dio? La domanda è cruciale. Infatti non è per niente chiaro, non è sempre lo stesso, e sovente non è un Dio innocuo" (Raniero La Valle, "Se questo è un Dio", pag. 9)

SPEGNERE IL "LUMEN GENTIUM" E INSTAURARE IL POTERE DEL "DOMINUS IESUS". Il disegno di Ratzinger - Benedetto XVI. Due testi a confronto, con alcune note:

http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/filosofia/interventi_1346344417.htm

NONOSTANTE LA PRESENZA DI RANIERO LA VALLE, L’AFFOLLATA ASSEMBLEA DI ROMA NON HA POSTO LA QUESTIONE ALL'ALTEZZA DEL NOSTRO TEMPESTOSO STORICO PRESENTE !!!

CONFIDIAMO E ASPETTIAMO!

SIAMO SOLO A 50 ANNI DALL’INIZIO DEL CONCILIO VATICANO II ....

Federico La Sala (18 SETTEMBRE 2012)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/10/2012 08.59
Titolo:IL PATTO DELLE CATACOMBE E LA CONFERENZA DI MEDELLIN ....
40 ANNI DOPO LA CONFERENZA DI MEDELLIN

di José Comblin

Il documento di Aparecida proclama con molta forza di volersi porre in continuità con la Conferenza di Medellín. Tale affermazione ha rallegrato molti cattolici che avevano l’impressione che in America Latina la Chiesa si fosse allontanata da Medellín. Tuttavia, guardando con più attenzione ai documenti delle due conferenze, è impossibile non percepire differenze fondamentali.

Il Documento di Medellín intendeva applicare il Concilio Vaticano II in America Latina. Effettivamente, a Medellín il messaggio basilare veniva dalla Gaudium et Spes. Ma la Conferenza di Medellín era anche un’applicazione del Patto delle Catacombe firmato da 40 vescovi in una catacomba di Roma alla fine del Concilio. Con questo patto i vescovi assumevano l’impegno di una vita povera al servizio dei poveri. Molti di coloro che firmarono il Patto erano vescovi del Terzo Mondo e c’era tra loro un gruppo importante di latinoamericani. È chiaro che c’era dom Helder Câmara all’origine di questo Patto. Ed esso era nell’aria a Medellín, nonostante, per ovvie ragioni, non venisse mai menzionato.

La Curia romana era diffidente, malgrado Paolo VI avesse accettato la proposta di Medellín con grande soddisfazione. Così, cambiò qualcosa della programmazione per ridurre la durata degli interventi di vescovi come Leonidas Proaño, assegnando la metà del suo tempo a dom Eugenio Sales, che era pienamente affidabile e naturalmente sarebbe stato molto più moderato. La curia romana eliminò anche dalla lista degli assessori quattro belgi, tutti legati all’Uni-versità di Lovanio, ritenuta pericolosa. Io ero uno dei quattro. Ma la curia, rappresentata a Medellín dal cardinal Samoré, uno dei tre presidenti, non riuscì ad orientare i dibattiti e la redazione del documento, che venne pubblicato immediatamente al termine della Conferenza così come era stato redatto dalle commissioni. Il card. Samoré non riuscì a sospendere la pubblicazione del testo prima che fosse inviato a Roma per le correzioni. Al suo ritorno a Roma, il cardinale venne severamente punito. Ma ormai il documento era nelle mani dei latinoamericani.

Dalla Rivoluzione Francese, che aveva iniziato il processo di distruzione della cristianità dell’Occidente (romana), fino al Vaticano II, i documenti della Chiesa erano basati sulla riaffermazione dell’identità cattolica, identificata con l’istituzione definita nel Concilio di Trento, e sull’invito alla conversione ai popoli che si erano allontanati dalla Chiesa. Si credeva che la formulazione del cattolicesimo integrale avrebbe condotto alla conversione del mondo peccatore, che sarebbe tornato al seno materno della Chiesa. Il processo a cui si anelava era la conversione del mondo alla Chiesa. E il mondo non si era convertito.

Giovanni XXIII volle cambiare questo orientamento. Volle che la Chiesa guardasse al mondo in maniera più positiva e proclamò la fine dell’era delle condanne. Condanne che ricadevano sui cattolici che miravano ad un avvicinamento alla nuova società nata dalle rivoluzioni moderne. Giovanni XXIII creò nel Concilio un ambiente favorevole a questa posizione, ma non tutti quelli che votarono a favore dei testi conciliari compresero e approvarono interiormente. D’altra parte tali testi sono molto eterogenei, perché la maggioranza volle accontentare la minoranza conservatrice inserendo idee che erano contrarie a quello che si proclamava in altre parti. Ciascuno poteva scegliere i testi di proprio gradimento.

Il Concilio avanzò sempre più sulla linea data da papa Giovanni XXIII, che venne assunta da Paolo VI. Il passo finale e definitivo fu dato nella Gaudium et Spes. In questa Costituzione la Chiesa prese ad orientamento il servizio all’umanità. Implicitamente il tema dominante è quello di una conversione della Chiesa al mondo. È ciò che Paolo VI sottolineò e difese chiaramente nel suo discorso di chiusura. Il centro era l’essere umano e la Chiesa era al servizio dell’essere umano.

Conversione del mondo alla Chiesa o conversione della Chiesa al mondo. Questo è il dilemma. Fin dall’introduzio-ne, il Documento di Medellín definisce chiaramente il proposito della Conferenza. "La Chiesa latinoamericana, riunita nella II Conferenza Generale del suo Episcopato, ha posto al centro della sua attenzione l’uomo di questo continente, che vive un momento decisivo del suo processo storico. Ma in questo modo non crede di aver ‘deviato’, bensì di essere ‘tornata verso l’uomo’, cosciente del fatto che, ‘per conoscere Dio, è necessario conoscere l’uomo’. Poiché Cristo è colui in cui si manifesta il mistero dell’uomo. La Chiesa ha cercato di comprendere questo momento storico dell’uomo latinoamericano alla luce della Parola che è Cristo. Ha cercato di essere illuminata da questa parola per prendere coscienza in maniera più profonda del servizio che le tocca prestare in questo momento".

Così, invece, inizia l’introduzione del Documento de Aparecida:

"Con la luce del Signore resuscitato e con la forza dello Spirito Santo, noi vescovi d’America ci siamo riuniti ad Aparecida, Brasile, per celebrare la V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi. Lo abbiamo fatto come pastori che vogliono continuare a stimolare l’azione evangelizzatrice della Chiesa, chiamata a fare di tutti i suoi membri dei discepoli e missionari di Cristo, Via, Verità e Vita, perché i nostri popoli abbiano vita in Lui".

Fin dalle prime parole, la differenza è evidente. In un caso il centro è l’essere umano, nell’altro è la Chiesa. In entrambi c’era un’opzione di base e tutto il lavoro delle due assemblee è consistito nell’esplicitare tale opzione esaminandola nei diversi aspetti.

Altra differenza importante appare nella metodologia adottata. A Medellín le 16 commissioni seguirono il metodo del vedere, giudicare e agire. In ogni questione il punto di partenza era quello di vedere la situazione; quindi si cercava nella rivelazione cristiana la norma che si applicava a quella situazione, il giudicare; infine, venivano le raccomandazioni pastorali per l’azione, l’agire.

Nel documento di Aparecida, l’insieme del testo è diviso in tre parti: una affronta il vedere, un’altra il giudicare e la terza l’agire. Alcune commissioni hanno esaminato la situazione, altre la dottrina, e altre ancora l’azione. Il risultato è che non appare alcuna relazione tra il vedere, il giudicare e l’agire. L’agire non ha nulla da spartire con il vedere e così via. Ufficialmente ad Aparecida i vescovi hanno adottato il metodo del vedere, giudicare a agire, ma in maniera non operativa. Non si può dire che la dottrina sia la risposta alla situazione dell’America Latina. Essa vale per qualunque luogo al mondo. E neppure l’agire è la risposta alla situazione sociale o ecclesiale.

A Medellín ogni commissione redasse il suo testo. Ad Aparecida il testo è stato opera di una commissione di redazione. Il risultato è che nel documento di Aparecida c’è maggiore omogeneità di stile e di vocabolario e più coesione tra i temi. Ma il discorso dei vescovi è soffocato dal discorso della commissione di redazione. Il testo è migliore dal punto di vista letterario e più omogeneo, ma ha molta meno ripercussione.

Il documento di Medellín è chiaramente centrato sul tema della povertà. Esso fu il prolungamento del Patto delle Catacombe. In tale opzione possiamo discernere il riconoscimento della conversione di vari vescovi e vari sacerdoti in America Latina, che si avvicinarono ai poveri, convivendo con essi, soffrendo e vivendo il loro dolore e le loro umiliazioni. Tutto questo già esisteva prima di Medellín. C’era già la traiettoria di dom Helder Câmara e di vari vescovi del Brasile che avevano fatto l’opzione per i poveri. C’era già la lotta di Leonidas Proaño a favore degli indios in Ecuador, di José Dammert in Perú, di Samuel Ruiz in Messico, di Enrique Angelelli in Argentina e di vari altri. C’era già la marcia di vari sacerdoti verso il mondo dei poveri in vari Paesi. E c’era la presenza di Paolo VI, animato dal Concilio e fortemente impegnato in questa linea, che esortava i vescovi ad un maggiore impegno con i poveri.

"La Chiesa dell’America Latina, considerate le condizioni di povertà e di sottosviluppo del continente, avverte l’urgenza di tradurre questo spirito di povertà in gesti, comportamenti e norme che la rendano un segno più chiaro ed autentico del Signore. La povertà di tanti fratelli esorta alla giustizia, alla solidarietà, alla testimonianza, all’impegno, allo sforzo per il suo superamento per il compimento pieno della missione salvifica affidata da Cristo" (14. Pobreza de la Iglesia, 6).

Per questo Medellín aveva accenti profetici: "Un sordo clamore proveniente da milioni di esseri umani chiede ai loro pastori una liberazione che non arriva loro da nessuna parte" (14. Pobreza de la Iglesia, 2).

L’educazione sarebbe stata un’"educazione liberatrice", cioè in grado di trasformare l’educando in soggetto del proprio sviluppo". L’educazione è effettivamente lo strumento chiave per liberare i poveri da ogni sottomissione" (4. Educación, II, 1).

Medellín non aveva quindi paura della parola liberazione. La usò molte volte senza alcun aggettivo. Adottò il tema della liberazione quando la Teologia della Liberazione ancora non esisteva. A lanciare la Teologia della Liberazione fu la Conferenza di Medellín. Questo non venne mai nascosto e tutti i teologi presero Medellín come riferimento privilegiato.

Le raccomandazioni pratiche erano ispirate allo stesso spirito. "Riguardo ai sacerdoti, incoraggeremo quanti si sentono chiamati a condividere la sorte dei poveri, vivendo con loro e lavorando con le loro stesse mani" (14. Pobreza de la Iglesia, 9a).

Quanto alla pastorale delle élite, "questa evangelizzazione deve relazionarsi ai segni dei tempi. Non può essere atemporale né astorica. I segni dei tempi osservati nel nostro continente, soprattutto nella sfera sociale, costituiscono infatti un ‘dato teológico’". (7. Pastoral de las elites, II, 2).

Il Documento di Medellín non ha paura della parola giustizia. L’uso o meno della parola è un buon segnale di identificazione. Le classi dirigenti hanno orrore della parola giustizia. Si sentono sfidate. La povertà è ancora una parola accettabile, ma mai quando è associata alla parola giustizia. È un buon esercizio cercare quante volte un documento usi questa associazione tra povero e giustizia. L’opzione per i poveri non spaventa molto quando non è associata a questa parola.

La ripercussione di Medellín fu straordinaria. La Conferenza di Puebla volle porsi in continuità con Medellín: "Ci siamo posti nella dinamica di Medellín, la cui visione della realtà abbiamo assunto, diventata fonte di ispirazione per tanti dei nostri documenti pastorali dell’ultimo decennio" (Puebla, n. 25).

José Marins ha condotto uno studio dei documenti ispirati a Medellín fino a Puebla. Egli cita 457 documenti di conferenze episcopali o gruppi di vescovi ispirati esplicitamente al Documento di Medellín. In testa c’è il Cile con 70 documenti, seguito dalla Bolivia con 53, dal Brasile con 50, da El Salvador con 41, dalla Colombia con 33, dall’Argentina con 30 (José Marins e la sua équipe, De Medellín a Puebla. La praxis de los padres de América Latina, ed. Paul., Sao Paulo, 1979).

Era prevedibile che il Documento di Medellín non suscitasse solo adesioni. Gli furono rivolte anche critiche. Le più gravi da parte dello stesso Celam, la cui direzione venne radicalmente cambiata nel 1973, soprattutto grazie all’azione di Alfonso López Trujillo, segretario generale e organizzatore della Conferenza di Puebla. Il grande argomento ripetuto instancabilmente fu che la Conferenza di Medellín era stata male interpretata. Nei suoi propositi, la Conferenza di Puebla avrebbe dovuto rettificare le false interpretazioni di Medellín.

A Puebla non si produsse l’attesa rettifica. Per molti aspetti, Puebla rese più esplicito quanto c’era a Medellín. Tuttavia l’argomento della falsa interpretazione di Medellín ebbe lunga vita negli ambienti conservatori.

Molti storici, osservatori, sociologi, teologi e pastori hanno ritenuto che a Medellín la Chiesa latinoamericana avesse raggiunto la piena maturità. Che avesse pensato e parlato a nome proprio. Che avesse guardato a se stessa con occhi propri e non con occhi altrui. Medelllín andò oltre il Concilio Vaticano II, soprattutto rispetto alla questione della povertà. Giovanni XXIII voleva che si proclamasse la Chiesa dei poveri. Malgrado gli sforzi del cardinal Lercaro, non riuscì a farsi comprendere. Ma il tema venne assunto dai leader dell’episcopato latinoamericano e divenne l’anima e il centro della Conferenza di Medellín. La Chiesa latinoamericana assunse un proprio atteggiamento che le attribuì nel mondo un carattere molto speciale.


Adista. Archivio anno 2008. Adista Documenti n. 60

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Commenti Articolo 721

Titolo articolo : Bici & Radici - La bottega del verde e dei pedali,a cura di Laura Tussi

Ultimo aggiornamento: October/17/2012 - 10:45:31.

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Autore Città Giorno Ora
riccardo bsi cusano milanino 17/10/2012 10.45
Titolo:bici e radici
una bellissima idea, un bellissimo spazio!
Sono andato a farmi un giro e mi ha colpito molto come è stato allestito il tutto e l'ottima atmosfera che si respirava gironzolando tra bici pieghevoli e piante grasse.
In bocca al lupo e buon lavoro ai ciclo-fiorai!

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Commenti Articolo 722

Titolo articolo : IL CANILE DI DOMICELLA: TRA PUBBLICA INEFFICIENZA E PRIVATA INGORDIGIA,di Giuseppe Fanelli

Ultimo aggiornamento: October/15/2012 - 21:21:02.

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Autore Città Giorno Ora
eliana gambaretti verolavecchia -bs 15/10/2012 09.23
Titolo:tenetemi informata
buongiorno,
è da pochissimo tempo che mi accosto a questi temi.
Nella mia Provincia è nota la vicenda di green hill... che pare trovare, anche se a fatica una risoluzione... almeno per i cani adottati.
Chiedo pertanto di mandarmi, se possibile tutto quanto sia informazione su queste gravissime violenze su esseri inermi, proprio per diventarne sempre più consapevole.
eliana
Autore Città Giorno Ora
Giuseppe Fanelli Manocalzati 15/10/2012 21.21
Titolo:segnalazione sito
GEAPRESS è un'agenzia di stampa che si occupa di tutto quello che concerne la tutela degli animali. Ad essa confluiscono notizie da associazioni, forze dell'Ordine e cittadini. Consiglio di visitare costantemente il suo sito al seguente indirizzo:
http://www.geapress.org/

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Commenti Articolo 723

Titolo articolo : VATICANO II, 11 OTTOBRE 1962 - 11 OTTOBRE 2012. Ratzinger come Roncalli: «Date un bacio ai bimbi e dite che è del Papa». Una nota di Gian Guido Vecchi e una di Marco Ansaldo -,a c. di Federico La Sala)

Ultimo aggiornamento: October/12/2012 - 20:28:50.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/10/2012 16.50
Titolo:CANTICO DEI CANTICI E MESSAGGIO EVANGELICO .....
AMORE ("CHARITAS") E' PIU' FORTE DI MORTE ....


Il prof. Giovanni Garbini, ordinario di filologia semitica all’Università di Roma “La Sapienza” è autore - tra tante altre opere - di una eccezionale traduzione del Cantico dei cantici (Paideia Editrice, Brescia 1992), che rende e restituisce - contro tutte le menzogne e le disperazioni - il v. 8.6 (“Amore è più forte di Morte”) al suo valore e splendore assoluto.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/10/2012 19.16
Titolo:SETTE ANNI DI OFFESE ALLA CHIESA E ALL'ITALIA. UNA MEMORIA DEL 2005
SE FOSSI PAPA .... SUBITO UN NUOVO CONCILIO !!!

di Federico La Sala

Una nota sull’incontro di Ciampi e Ratzinger *

Se fossi nei panni di Papa Benedetto XVI e ... avessi ancora un po' di dignità di uomo, di studioso, di politico, e di cristiano – oltre che di cattolico, dopo l'incontro di ieri con il Presidente della Repubblica Italiana, di fronte all'elevato ed ecumenico discorso di Carlo Azeglio Ciampi (lodevolmente, L'Unità di oggi, 25.06.2005, a p. 25, riporta sia il discorso del Presidente Ciampi sia di Papa Benedetto XVI), considerato il vicolo cieco in cui ho portato tutta la 'cristianità' (e rischio di portare la stessa Italia), prenderei atto dei miei errori e della mia totale incapacità ad essere all'altezza del compito di "Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale", chiederei onorevolmente scusa Urbe et Orbi, e ....convocherei immediatamente un nuovo Concilio!!!

* Il Dialogo, Sabato, 25 giugno 2005:

http://www.ildialogo.org/filosofia/nuovo25062005.htm
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/10/2012 20.28
Titolo:Il Concilio, la "Lumen Gentium", e i carismi. Una lezione per il Papa e i cardin...
I CARISMI

di don Mauro Agreste *

1) OGGI PARLIAMO DEI CARISMI Oggi parliamo dei carismi ed è importante averne una conoscenza un pochino più strutturata, perché come catechisti nelle vostre comunità parrocchiali, ma anche nei gruppi di preghiera, è bene che abbiate una conoscenza il più possibile ampia su questo tema. Tutto sommato è stato lasciato per molti versi ad alcuni gruppi ecclesiali, oppure a degli alti studi universitari nell’Università Pontificia. Il tema dello spirito dei carismi è un tema che fa parte della vita della Chiesa; se ne tratta nel Concilio e nella Lumen Gentium. Al n°12 dice che la Chiesa costituita dal popolo di Dio è per così dire, il luogo in cui si esercitano i carismi, ognuno per la sua propria specificità. Però la maggior parte delle persone, quando sentono dire la parola carisma non è che abbiano molto chiaro in mente di che cosa si tratti, è vero?

2) PAROLA USATA E ABUSATA DA MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA Per di più questa parola è stata usata e abusata da giornalisti, da mezzi di comunicazione di massa non per indicare il significato preciso della parola carisma, quanto invece per indicare la capacità che ha una persona di attirare l’attenzione degli altri in qualunque campo, con la sua propria capacità di emergere sugli altri. Quindi in senso generico la parola carisma o personaggio carismatico all’interno della Chiesa e di alcuni gruppi ecclesiali vieni intuita in un certo modo. All’infuori della Chiesa il personaggio carismatico è un personaggio che ha delle chances in più, ha un savoir faire diverso in tutti i campi, sportivo, politico, ecc. ecc. da emergere e attirare l’attenzione, quasi catalizzando l’attenzione degli altri.

3) CARISMA HA LA STESSA RADICE DELLA PAROLA CARITÀ Ma che cos’è dunque il carisma e da che cosa nasce? Intanto la parola carisma deriva dal greco e come voi potete benissimo accorgervi contiene dentro di sé una radice, charis, che è la stessa radice della parola carità. Ora la parola carità, anche se abbiamo una vaga intuizione, è una parola che ha significati molto complessi e molto profondi, per cui almeno nel nostro linguaggio teologico, non è facile definire la carità semplicemente come un atteggiamento. La carità è prima di tutto una caratteristica di Dio stesso, una caratteristica essenziale, tant’è vero che gli antichi dicevano: Deus est charitas da cui gli antichissimi inni, ubi charitas et amor Deus ibi est, dov’è carità e amore lì c’è Dio. Dunque carità ha in sé questa radice charis, che significa qualche cosa di forte, di caldo, di vivo, di avvolgente. Viene cantato nel Veni Creator, si parla dello Spirito Santo e si dice che lo Spirito Santo è ignis, fuoco, fuoco di carità, fuoco di amore.

4) CARITÀ E AMORE VENGONO SPESSO USATI COME SINONIMI Carità e amore vengono spesso usati come sinonimi per una semplice ragione, sono entrambi concetti estremamente profondi. Se tu dici amore, è sufficiente dire amore per capire tutto ciò che significa la parola amore? No, cioè lo usiamo convenzionalmente però noi sappiamo che l’amore autentico per esprimerlo, per significarlo è molto difficile. Ricordate questa mattina il brano del Vangelo che è stato letto: nessuno ha un amore più grande se non colui che muore per i propri amici. Quindi vedete l’amore coinvolge fino alla donazione della vita. L’amore esige per esempio il concetto, che deve essere chiaro, della capacità di donarsi. Amore e donazione totale coincidono; però quando io dico amore non dico solo donazione totale, dico anche gioia, dico anche situazione di protezione. Una persona che ama è una persona che ne sta proteggendo un’altra; una persona che si sente amata è una persona che si sente protetta. Il concetto di guida: chi ama guida; chi è amato si sente guidato non gettato allo sbaraglio. Voi potete immaginare quale grande significato c’è nella parola amore; viene considerata sinonimo di carità, però entrambe hanno una specificità; che l’amore e la carità sono due realtà vive, coincidono con Dio.

5) PARLARE DI CARITÀ SIGNIFICA PARLARE DI GRAZIA Quindi parlare di carità, significa parlare di grazia, che charis è una traslitterazione, è la radice della parola greca che significa grazia. Che cos’è la grazia? Non è la gentilezza nei movimenti, la grazia è lo Spirito Santo in azione, lo Spirito Santo mentre agisce, lo Spirito Santo che sta agendo. Vieni Padre donaci la tua santa grazia, donaci cioè lo Spirito Santo che agisce dentro di noi. Ricordatevi che anche se avete il concetto chiaro nella mente, quelli che sono davanti a voi fraintendono facilmente, soprattutto queste cose complesse. Quindi dovete avere sempre l’idea di parlare a un bambino di 5 anni e state tranquilli che le persone davanti a voi non si sentiranno umiliate e non vi disprezzeranno se voi parlerete il più semplice possibile.

6) CHIEDI CHE LO SPIRITO SANTO VENGA AD AGIRE DENTRO DI TE Allora, donaci la santa grazia, certo che vuol dire donaci la capacità e la disponibilità a seguire i suggerimenti dello Spirito, però tu chiedi proprio che lo Spirito Santo venga ad agire dentro di te, però non senza di te. Quando invochiamo la grazia di Dio su di noi, invochiamo lo Spirito Santo che venga ad animarci dall’interno, come il lievito che fa lievitare tutta la pasta; il lievito non fa sparire la pasta, la fa solo lievitare; certo se non c’è la pasta puoi mettere anche un chilo di lievito che tanto non lievita niente. Allora quando si dice grazia si dice Spirito Santo in azione. Cosa vuol dire charis? Grazia. Cosa vuol dire grazia? Spirito Santo in azione. Lo Spirito Santo aleggiava sopra le acque informi, quindi lo Spirito Santo era già in azione appena Dio ha fatto esistere qualche cosa, ancora non c’era la luce, ma già lo Spirito Santo era in azione. Lo Spirito Santo agisce continuamente. L’ultimo versetto dell’Apocalisse dice: lo Spirito Santo e la sposa gridano Maranthà, vieni Signore Gesù. Quindi attenzione bene, tutta la Bibbia è contenuta da questa azione di Spirito Santo, dunque, tutta la storia degli uomini è contenuta in questi due punti fondamentali: lo Spirito Santo che aleggia e lo Spirito Santo che anima dicendo vieni. Gli uomini non si accorgono dell’azione dello Spirito Santo.

7) NUTRIRE UNA PARTICOLARE ADORAZIONE DELLO SPIRITO SANTO Allora i catechisti hanno questo compito fondamentale, fra tutti gli altri, di nutrire una particolare adorazione dello Spirito Santo. Dico giusto quando dico adorazione, per una semplice ragione, quale? Perché lo Spirito Santo è Dio. Quindi il catechista che non adora lo Spirito Santo non so che razza di catechista voglia essere. Lo Spirito Santo è la grazia che agisce dentro di noi. Il catechista che si mette al servizio della Chiesa, come fa a mettersi al servizio dicendo l’amore per Gesù se non è lo Spirito Santo a comunicarglielo?

8) PARLARE DI SPIRITO SANTO E DIO COME DUE PERSONE SEPARATE Domanda: questo fatto di parlare di Spirito Santo e Dio come due persone separate, non rischia di confonderci? E quando parliamo del Padre separato dal Figlio, non si rischia di creare dei problemi? Nelle dispense degli anni passati c’è quel disegno molto bello che si riferisce allo schema intuitivo su Dio e le sue tre persone. Dio è Padre, è Figlio e Spirito Santo, un solo Dio, però il Padre non è il Figlio, non è lo Spirito Santo e lo Spirito Santo non è il Padre. È chiaro che la nostra mente è così limitata che noi non riusciamo a capire, possiamo solo contemplare.

9) FACCIAMO PARTE DELLA TRINITÀ Di più ancora. Facciamo parte di questa Trinità, con il Battesimo siamo entrati dentro la Trinità, perché siamo con Gesù una cosa sola. Siamo entrati nella Trinità, però non siamo Dio, siamo esseri umani, però facciamo parte della Trinità. Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; quindi la volontà di Dio è che siamo immersi ( bactizzomai verbo greco che significa essere immersi ) in tutto Dio Padre, in tutto Dio Figlio e in tutto Dio Spirito Santo. Questo vuol dire che dentro di noi c’è tutto Dio Padre, tutto Dio Figlio, tutto Dio Spirito Santo e come lo spieghi questo? Quando tu vai a fare la comunione prendi un’ostia grande così, tu sai che lì dentro c’è il Dio Eterno e Infinito, Signore della storia e dei secoli. Sotto un velo di pane c’è il mistero di tutto ciò che esiste. Possiamo intuire. Come dice l’inno Pange Lingua. Visus tactus gustus in te fallitur, la vista il tatto il sapore falliscono, perché tutto quello che i sensi constatano è fallace, non i sensi ma la fede conosce questa verità. Allora con la fede tu accetti, il mistero lo contempli, però non lo capisci. Perché capire dal latino càpere vuol dire prendere e tenere stretto, contemplare invece significa guardare, ma non da soli, sostenuti. Tu puoi guardare il mistero di Dio da solo, lo puoi contemplare cioè tu puoi entrare nel tempio insieme a qualcuno, contemplare entrare nel tempio insieme a qualcuno. Tu non possiedi il tempio è il tempio che possiede te.

10) IL CATECHISTA DEVE PARLARE UN ITALIANO SEMPLICE E COMPRENSIBILE Attenzione, perché usiamo la lingua, ma non la conosciamo e un catechista non può permettersi questo. Un catechista deve parlare un italiano semplice e comprensibile a quelli che ha di fronte però deve conoscere dieci o venti volte di più di quello che sta dicendo agli altri, se no che cosa sta comunicando? Certamente ai bambini non puoi dire le specificità dei termini che vi sto spiegando, però su tu non conosci il significato delle parole, tu insegnerai delle cose sbagliate e noi non possiamo permetterci di fare questo, se no non stiamo divulgando il Vangelo di Gesù Cristo, ma il Vangelo secondo noi. Quindi ricordatevi, è un servizio fatto a Dio quello anche di essere precisi nel linguaggio che si usa. Siate precisi cercando di conoscere il più possibile il significato delle parole che usate, anche le più comuni. E chiedete allo Spirito Santo che vi dia una struttura logica del pensiero: soggetto, predicato, complemento. Diversamente il vostro discorso non sarà compreso da chi vi ascolta; piuttosto articolate frasi e concetti brevi non un discorso lungo e strutturato. Fate discorsi brevi, frasi brevi, ma che siano chiare.

11) LA CONIUGAZIONE DEI VERBI DEVE ESSERE PRECISA State anche attenti alla coniugazione dei verbi, che deve essere precisa, perché un verbo al condizionale ha un significato diverso da un verbo all’indicativo; perché un verbo all’indicativo indica una realtà, un obbligo imprescindibile, un verbo al condizionale indica una possibilità cioè una dualità di realtà; i congiuntivi sono verbi di consequenzialità; se io nella mente non ho l’idea della consequenzialità delle cose, non userò il congiuntivo, userò l’indicativo e renderò tutto obbligante. Ricordatevi che abbiamo a che fare con le parole, che noi abbiamo la parola di Dio nella mano e siamo i catechisti, non ci possiamo permettere di giocare con le parole, perché da come io uso le parole, favorisco o freno il passaggio del concetto di Dio. Senza diventare fanatici, senza esagerare, però o prendiamo sul serio il nostro servizio reso a Dio. Quindi tutto quello che dipende da me io cerco di farlo al meglio che posso, oppure facciamo come fanno tanti che improvvisano tutto, vanno avanti e non si rendono conto che stanno giocando con Dio. Se sul Vangelo c’è scritto: in principium erat verbum et verbum erat aput deum et verbum erat deum, allora questo ci fa capire che in principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio.

12) SE DIO SI E’ FATTO PAROLA, IO NON POSSO GIOCARE CON LE PAROLE Se Dio si è fatto la parola che noi possiamo intuire e capire, io posso giocare con le parole? No. Non dico questo perché dobbiamo spaventarci, sentirci colpevolizzati, però sentiamo la necessità di pensare le parole che usiamo e pensare le frasi che usiamo, perché se io devo parlare a dei bambini, dovrò rendere estremamente semplice un discorso difficilissimo. Però usando delle parole che siano giuste, che cerchino di generare meno equivoci possibili, adatte al vocabolario che è in possesso a un bambino di 7-10-12-15 anni, senza mai cedere ad accettare una connotazione di linguaggio che non sia più che dignitosa ed elegante.

13) IL CATECHISTA NON USA MAI PAROLE EQUIVOCHE Se ci sono dei modi di dire che esprimono il concetto di essere arrabbiati in un certo modo, il catechista non li usa mai, neanche quando sta da solo. Se ci sono parole equivoche il catechista si deve abituare non solo a non usarle lui, ma a sentirne ribrezzo quando le sente pronunciare da altri, perché il catechista sta usando con la propria lingua un mezzo di evangelizzazione. Dunque l’apostolo san Giacomo dice nella sua lettera al cap. 4 che chi domina la lingua domina tutto il resto del corpo. Ora un catechista che non domina la lingua come può produrre negli altri un cambiamento di vita, se le parole che escono da lui sono sporcate da una incapacità di dominare la lingua? Naturalmente quando dico capacità di dominare la lingua non mi riferisco solamente a un linguaggio volgare e pesante, mi riferisco anche a un modo di gestire il linguaggio. Una persona che non è capace a non criticare, una persona dalla cui bocca esce sempre una parola di critica, di giudizio, di condanna, di curiosità, di pettegolezzo ecc. può giustamente essere catechista? Non può. Un catechista che non sente fondamentale dentro di sé l’imperativo di sapere quello che sta dicendo, come lo sta dicendo e non si domanda se le parole che sta usando le capisce prima lui, come fa a spiegarle agli altri?

14) IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE AMARE E AMORE Quante volte abbiamo esaminato il significato delle parole amare e amore. Se un catechista non sa che cosa vuol dire amare, sapete con che cosa lo confonde? Con il romanesco volemose bene. Ma amare non è quello, quello non è amare, quello lì è solo cercare di stare tranquilli, senza prendersi tanti problemi, vero? Invece amare è tutta un’altra cosa. Stamattina abbiamo sentito: dare la vita per i propri amici. Vedete che è estremamente differente. Allora non deve essere così per voi, perché voi avete sentito veramente una chiamata del Signore, se no non sareste qui al sabato mattina. Però per non perdere tempo né io, né voi e neanche Dio, cerchiamo proprio di capire l’importanza di tutto questo. Quando nelle scuole ci facevano fare l’analisi logica, l’analisi del periodo erano molto importanti; se abbiamo dimenticato tutto questo la prima cosa che dobbiamo fare è chiedere allo Spirito Santo che venga a rispolverare dentro di noi le cose che avevamo studiato allora, che le faccia emergere. Vedrete che lo Spirito Santo vi aiuterà; poi dopo cominciate con l’analizzare il linguaggio che usate, le strutture logiche che usate, se sono chiare. Ricordatevi che le persone che avete di fronte non sono dentro la vostra mente, dunque loro non sanno esattamente dove voi volete arrivare. Una grande carità che potete fare nei confronti del vostro prossimo, un grande servizio è quello di fare un passettino piccolo alla volta. Non date mai niente per scontato, anche se doveste ripetere cento volte in cento incontri, serve per aiutare quella persona a entrare nel difficile concetto che voi volete dire.

15) DOBBIAMO IMPARARE A PERDONARE Per es.: dobbiamo imparare a perdonare. Che vuol dire perdono? È una parola composta. Dividete a metà la parola, per e dono; quella che capite subito è dono, cosa vuol dire dono? È un regalo, non meritato, perché un dono meritato si chiama premio. Capite perché bisogna essere precisi? Perché se io non dico questo allora il perdono mi diventa un diritto, invece non è un diritto, è un dono, un regalo non meritato; quindi se il regalo non è meritato mi viene fatto perché io sono buono o è buono chi mi fa il regalo? Chi mi fa il regalo. L’altra parola da capire è per che deriva dal greco iper, che vuol dire il più grande; quindi se iper vuol dire il più e donum, regalo, mettendo insieme avete l’insegnamento che dovete fare sul concetto di perdono. Poi ci potete parlare per sei mesi ai bambini del perdono, però se sapete cosa vuol dire voi insegnate realmente ciò che insegna la Chiesa, non ciò che insegna il mondo: vogliamoci bene perché il Signore è buono e ci perdona, tanto perdona tutto e tutti. No! Il catechista non può fare queste cose, non si può confondere il perdono con un sentimento di piacevolezza e di arrendevolezza, non è così. Allora siamo partiti dal tema dei carismi, la prossima volta ricordatemi che dobbiamo continuare sul significato della parola carisma. Abbiamo appena analizzato la radice charis che vuol dire grazia e che significa Spirito santo in azione.

* UNIONE CATECHISTI. CATECHESI. LEZIONI, 08.10.2005

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Titolo articolo : LA “MANGIATOIA” DELLA “FATTORIA DEGLI ANIMALI” E L'ARCA PERDUTA. Una nota su "L’infanzia di Gesù" di J. Ratzinger - Benedetto XVI,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/12/2012 - 15:45:44.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/10/2012 22.13
Titolo:RISALIRE GLI ABISSI ....
- PAROLA A RISCHIO
- Risalire gli abissi
- La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
- Perché è sorriso, liberazione, gioia.

di Giovanni Mazzillo (Teologo) *

G come gioia, come Gesù, respiro di gioia per tutti gli infelici della terra. Parliamo di Gesù, il cui corrispondente nome greco Iesoûs deriva direttamente dall’originale ebraico Je(ho)šhu e significa JHWH salva, per precisare immediatamente che il termine salvezza oggi non significa gran che per i nostri contemporanei, e di conseguenza risuona poco interessante persino quel nome, pur originariamente portatore di una gioia immensa e inaudita. Ciò avviene non solo per l’inevitabile logorio delle parole più usate e talora abusate, ma per il fatto che ha perso rilevanza e pertanto significato il valore stesso della “salvezza”.

Salvezza
- Salvezza da chi e/o da che cosa? Appunto, è questo il primo problema. La salvezza appare di primo acchito un concetto immediatamente derivato dal superamento di una situazione negativa, Si salva, o come succede in questo caso, viene salvato, qualcuno che si trova in una situazione di pericolo. Il pericolo di perdere qualcosa, di perdere se stesso. Di essere cancellato, di sparire, appunto come sparisce da un computer un testo non “salvato” o un’immagine non messa al sicuro. Ma essere salvati è per noi persone umane, e pertanto non riducibili a una traccia di codificazione binaria o algoritmica, molto di più che conservare un’impronta e una presenza. Coerentemente con la nostra realtà dinamica e relazionale, essere salvati significa avere un luogo, un senso, una rilevanza nel contesto di una realtà che giustifica, sorregge, garantisce il mantenimento e la crescita qualitativa, e pertanto il conseguente riconoscimento di un originario, inalienabile, imprescindibile valore personale.

La domanda «Chi o che cosa si può dire oggi salvato?» esige pertanto una primordiale differenziazione. Altro è il concetto di ciò che è salvato (cioè il dato messo al sicuro), ben altro è l’essere umano salvato. Questi non è solo garantito in ciò che ha di più proprio e pertanto è distinto dal mero “dato”, che invece è una sorta di file compilato (non per nulla in tedesco proprio il file è chiamato Datei, leggi datai, cioè «rea-ltà data»). L’essere umano è tale solo in un incontro, in una relazione. La persona è tutta nelle relazioni delle quali vive. Proprio la relazionalità sorregge il senso e la gioia del suo esistere.

L’annuncio di Gesù, già nella sua venuta in questo nostro mondo, è l’annuncio di una relazionalità umana felicemente riuscita. Nel Vangelo è direttamente collegato alla Grazia, termine che esprime tutto ciò e anche qualcosa di più.

Nell’annuncio della sua nascita, diversamente da quanto appare nella traduzione latina, e in quella italiana da essa derivata, nella preghiera più popolare che ci sia, Maria è salutata non con il saluto che si dava all’imperatore, alle autorità o anche agli amici con l’esclamativo «Ave!», bensì con l’invito a rallegrarsi, cioè a gioire (chaîre): a entrare in un circuito di esultanza per un dono gratuito e inatteso. Colei che è piena di grazia (kecharitōménē) è invitata a rallegrarsi perché tutto in lei è frutto ed espressione della «grazia» (cháris), cioè di un dono amorevole quanto sorprendente, che sarà presto annuncio di gioia per tutto il popolo e per ogni uomo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...”. L’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia...» (Lc 1,30-31; 2,10-11).

Il resto del Vangelo, soprattutto quello di Luca, evidenzia la gioia improvvisa e incontenibile che contagia quanti vengono a contatto con Ješhu. A cominciare da Elisabetta e dal suo bambino, che le esulta nel grembo, il futuro Battista. Così esultano ancora due anziani che sembrano essere rimasti in vita per mantenere viva la speranza d’Israele: Simeone e Anna, o i pastori; mentre nel racconto di Matteo, viene detto che i Magi “provarono una grandissima gioia” nel rivedere la stella che indicava il luogo della natività di Gesù.

La stessa gioia è testimoniata dai semplici e dagli umili, dagli infelici e dai peccatori che si sentono aiutati, capiti, perdonati. A gioire sono ancora i bambini e le donne, classi tradizionalmente neglette dalla piena partecipazione alla grazia collegata alle tradizionali benedizioni di Dio. Insomma il cuore del Vangelo è la lieta notizia annunciata ai bisognosi e agli infelici della terra. Il Dio che si dona totalmente, è il Dio che dona illimitatamente la gioia agli uomini. E perché la nostra gioia fosse piena (Gv 15,11), il Figlio di Dio è arrivato umanamente a perdere se stesso.

Perché avessimo una gioia che nessuno avrebbe mai più potuto toglierci, ha permesso che fosse tolta a lui la vita, per riprenderla di nuovo, ma con la conoscenza ormai nella sua carne e nella sua psiche di cosa significhi la morte umana. Di cosa voglia dire la gioia di vivere, di vivere non con il naturale sorriso con cui vive ogni creatura per la stessa gioia dell’esistere, ma di provare e diffondere la gioia di chi conosce la sofferenza e non resta inchiodato alla sofferenza. O al limite, di chi, nonostante le ferite e talora i chiodi mai interamente rimossi della sofferenza, sa sorridere della vita, perché questa è ormai rischiarata da colui che vince la morte e la depressione della sofferenza.

La gioia è dunque uno dei nomi della salvezza, ma di una salvezza che assume di volta in volta nomi nuovi e nomi antichi: riscatto, liberazione, sensatezza, leggerezza dell’esistere... Se la parola non fosse tanto inflazionata, si potrebbe dire che la salvezza altro non è che la felicità. È la felicità nel suo senso etimologico: come abbondanza e fertilità. Possiamo tradurre: come vita sensata che raggiunge il suo scopo e nasce da relazioni benevole, tendenti al bene altrui, trovando negli altri la propria gioia e comunicandola con relazioni che fanno crescere se stessi e gli altri.

In quanto tale, la felicità è simile alla pace e ne è la forma storica: è star bene con sé e con gli altri, con il proprio passato e con il proprio futuro. Perché, soprattutto oggi, c’è bisogno paradossalmente più di ricostruire il futuro che il passato o il presente. Per poterlo fare c’è bisogno di quella gioia consapevole che non si arrende e che non si ripiega su se stessa. Si ritrova nel futuro di una convivenza che non nasconde, ma sa riconoscere e superare i conflitti attraverso uno sguardo d’amore verso ciò che ci è intorno. È uno guardo che viene da lontano e tuttavia tocca la nostra umanità, questa mia e questa tua umanità, quella assunta, attraversata e come divinizzata da quel Gesù che continuamente dà senso a ogni tentativo di superare la violenza con l’amore. È l’unico a dar senso a ogni discorso di pace, anche questo che hai appena finito di leggere.

* MOSAICO DI PACE, LUGLIO 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/10/2012 08.14
Titolo:IL SOGNO DI RATZINGER - BENEDETTO XVI
IL SOGNO DI RATZINGER - BENEDETTO XVI: UNA CHIESA "PER MOLTI", NON "PER TUTTI"!!!

Per il Convegno "Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri" del 15 settembre 2912, cinque note a margine

di Federico La Sala *

1. LA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA HA ROTTO I PONTI CON IL MESSAGGIO EVANGELICO. A 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, bisogna prendere atto che il terribile è già accaduto: il "Lumen Gentium" è stato spento e, sulla cattedra di Pietro, siede il Vicario del Signore e Padrone Gesù ("Dominus Iesus": J. Ratzinger, 2000). Egli regna e governa in nome del suo Dio, Mammona ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006).

2. DIO E’ VALORE! Sul Vaticano, DAL 2006, sventola il "Logo" del Grande Mercante: "Deus caritas est" (Benedetto XVI, 2006)!!! Il papa teologo, ha gettato via la "pietra" su cui posava - in equilibrio instabile - l’intera Costruzione dela Chiesa cattolico-romana ("Deus charitas est": 1 Gv. 4.8).

3. TUTTO A "CARO-PREZZO" ("CARITAS"): QUESTO "IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO". QUESTO E’ IL NOSTRO VANGELO: PAROLA DI RATZINGER -BENEDETTO XVI, CARDINALI E VESCOVI TUTTI. IL "PANE QUOTIDIANO" DEL "PADRE NOSTRO", SI VENDE A "CARO PREZZO", MOLTO CARO (= "CARITAS")!!!

4. ULTIMA CENA ED ECONOMIA VATICANA. Benedetto XVI cambia la formula: «Il calice fu versato per molti», non «per tutti»!!!

5. IN PRINCIPIO ERA IL "LOGO"!!! SE UN PAPA TEOLOGO LANCIA IL "LOGO" DEL SUO DIO ("DEUS CARITAS EST") E TUTTI OBBEDISCONO, E NON VIENE RISPEDITO SUBITO A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO, DI COSA VOGLIAMO PARLARE DI AFFARI E DI MERCATO?! EBBENE PARLIAMO DI AFFARI, DI MERCATO, DI "MAMMONA", "MAMMASANTISSIMA", E DI COME I PASTORI ... IMPARANO A MANGIARE LE PECORE E GLI AGNELLI, E CONTINUANO A GOZZOVIGLIARE ALLA TAVOLA DEL LORO "DIO"!!! Avanti tutta, verso il III millennio avanti Cristo!!!

Federico La Sala

* Il Dialogo, Mercoledì 12 Settembre,2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/10/2012 10.21
Titolo:Il Concilio, la "Lumen Gentium", e i carismi. Una lezione ...
I CARISMI

di don Mauro Agreste *

1) OGGI PARLIAMO DEI CARISMI Oggi parliamo dei carismi ed è importante averne una conoscenza un pochino più strutturata, perché come catechisti nelle vostre comunità parrocchiali, ma anche nei gruppi di preghiera, è bene che abbiate una conoscenza il più possibile ampia su questo tema. Tutto sommato è stato lasciato per molti versi ad alcuni gruppi ecclesiali, oppure a degli alti studi universitari nell’Università Pontificia. Il tema dello spirito dei carismi è un tema che fa parte della vita della Chiesa; se ne tratta nel Concilio e nella Lumen Gentium. Al n°12 dice che la Chiesa costituita dal popolo di Dio è per così dire, il luogo in cui si esercitano i carismi, ognuno per la sua propria specificità. Però la maggior parte delle persone, quando sentono dire la parola carisma non è che abbiano molto chiaro in mente di che cosa si tratti, è vero?

2) PAROLA USATA E ABUSATA DA MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA Per di più questa parola è stata usata e abusata da giornalisti, da mezzi di comunicazione di massa non per indicare il significato preciso della parola carisma, quanto invece per indicare la capacità che ha una persona di attirare l’attenzione degli altri in qualunque campo, con la sua propria capacità di emergere sugli altri. Quindi in senso generico la parola carisma o personaggio carismatico all’interno della Chiesa e di alcuni gruppi ecclesiali vieni intuita in un certo modo. All’infuori della Chiesa il personaggio carismatico è un personaggio che ha delle chances in più, ha un savoir faire diverso in tutti i campi, sportivo, politico, ecc. ecc. da emergere e attirare l’attenzione, quasi catalizzando l’attenzione degli altri.

3) CARISMA HA LA STESSA RADICE DELLA PAROLA CARITÀ Ma che cos’è dunque il carisma e da che cosa nasce? Intanto la parola carisma deriva dal greco e come voi potete benissimo accorgervi contiene dentro di sé una radice, charis, che è la stessa radice della parola carità. Ora la parola carità, anche se abbiamo una vaga intuizione, è una parola che ha significati molto complessi e molto profondi, per cui almeno nel nostro linguaggio teologico, non è facile definire la carità semplicemente come un atteggiamento. La carità è prima di tutto una caratteristica di Dio stesso, una caratteristica essenziale, tant’è vero che gli antichi dicevano: Deus est charitas da cui gli antichissimi inni, ubi charitas et amor Deus ibi est, dov’è carità e amore lì c’è Dio. Dunque carità ha in sé questa radice charis, che significa qualche cosa di forte, di caldo, di vivo, di avvolgente. Viene cantato nel Veni Creator, si parla dello Spirito Santo e si dice che lo Spirito Santo è ignis, fuoco, fuoco di carità, fuoco di amore.

4) CARITÀ E AMORE VENGONO SPESSO USATI COME SINONIMI Carità e amore vengono spesso usati come sinonimi per una semplice ragione, sono entrambi concetti estremamente profondi. Se tu dici amore, è sufficiente dire amore per capire tutto ciò che significa la parola amore? No, cioè lo usiamo convenzionalmente però noi sappiamo che l’amore autentico per esprimerlo, per significarlo è molto difficile. Ricordate questa mattina il brano del Vangelo che è stato letto: nessuno ha un amore più grande se non colui che muore per i propri amici. Quindi vedete l’amore coinvolge fino alla donazione della vita. L’amore esige per esempio il concetto, che deve essere chiaro, della capacità di donarsi. Amore e donazione totale coincidono; però quando io dico amore non dico solo donazione totale, dico anche gioia, dico anche situazione di protezione. Una persona che ama è una persona che ne sta proteggendo un’altra; una persona che si sente amata è una persona che si sente protetta. Il concetto di guida: chi ama guida; chi è amato si sente guidato non gettato allo sbaraglio. Voi potete immaginare quale grande significato c’è nella parola amore; viene considerata sinonimo di carità, però entrambe hanno una specificità; che l’amore e la carità sono due realtà vive, coincidono con Dio.

5) PARLARE DI CARITÀ SIGNIFICA PARLARE DI GRAZIA Quindi parlare di carità, significa parlare di grazia, che charis è una traslitterazione, è la radice della parola greca che significa grazia. Che cos’è la grazia? Non è la gentilezza nei movimenti, la grazia è lo Spirito Santo in azione, lo Spirito Santo mentre agisce, lo Spirito Santo che sta agendo. Vieni Padre donaci la tua santa grazia, donaci cioè lo Spirito Santo che agisce dentro di noi. Ricordatevi che anche se avete il concetto chiaro nella mente, quelli che sono davanti a voi fraintendono facilmente, soprattutto queste cose complesse. Quindi dovete avere sempre l’idea di parlare a un bambino di 5 anni e state tranquilli che le persone davanti a voi non si sentiranno umiliate e non vi disprezzeranno se voi parlerete il più semplice possibile.

6) CHIEDI CHE LO SPIRITO SANTO VENGA AD AGIRE DENTRO DI TE Allora, donaci la santa grazia, certo che vuol dire donaci la capacità e la disponibilità a seguire i suggerimenti dello Spirito, però tu chiedi proprio che lo Spirito Santo venga ad agire dentro di te, però non senza di te. Quando invochiamo la grazia di Dio su di noi, invochiamo lo Spirito Santo che venga ad animarci dall’interno, come il lievito che fa lievitare tutta la pasta; il lievito non fa sparire la pasta, la fa solo lievitare; certo se non c’è la pasta puoi mettere anche un chilo di lievito che tanto non lievita niente. Allora quando si dice grazia si dice Spirito Santo in azione. Cosa vuol dire charis? Grazia. Cosa vuol dire grazia? Spirito Santo in azione. Lo Spirito Santo aleggiava sopra le acque informi, quindi lo Spirito Santo era già in azione appena Dio ha fatto esistere qualche cosa, ancora non c’era la luce, ma già lo Spirito Santo era in azione. Lo Spirito Santo agisce continuamente. L’ultimo versetto dell’Apocalisse dice: lo Spirito Santo e la sposa gridano Maranthà, vieni Signore Gesù. Quindi attenzione bene, tutta la Bibbia è contenuta da questa azione di Spirito Santo, dunque, tutta la storia degli uomini è contenuta in questi due punti fondamentali: lo Spirito Santo che aleggia e lo Spirito Santo che anima dicendo vieni. Gli uomini non si accorgono dell’azione dello Spirito Santo.

7) NUTRIRE UNA PARTICOLARE ADORAZIONE DELLO SPIRITO SANTO Allora i catechisti hanno questo compito fondamentale, fra tutti gli altri, di nutrire una particolare adorazione dello Spirito Santo. Dico giusto quando dico adorazione, per una semplice ragione, quale? Perché lo Spirito Santo è Dio. Quindi il catechista che non adora lo Spirito Santo non so che razza di catechista voglia essere. Lo Spirito Santo è la grazia che agisce dentro di noi. Il catechista che si mette al servizio della Chiesa, come fa a mettersi al servizio dicendo l’amore per Gesù se non è lo Spirito Santo a comunicarglielo?

8) PARLARE DI SPIRITO SANTO E DIO COME DUE PERSONE SEPARATE Domanda: questo fatto di parlare di Spirito Santo e Dio come due persone separate, non rischia di confonderci? E quando parliamo del Padre separato dal Figlio, non si rischia di creare dei problemi? Nelle dispense degli anni passati c’è quel disegno molto bello che si riferisce allo schema intuitivo su Dio e le sue tre persone. Dio è Padre, è Figlio e Spirito Santo, un solo Dio, però il Padre non è il Figlio, non è lo Spirito Santo e lo Spirito Santo non è il Padre. È chiaro che la nostra mente è così limitata che noi non riusciamo a capire, possiamo solo contemplare.

9) FACCIAMO PARTE DELLA TRINITÀ Di più ancora. Facciamo parte di questa Trinità, con il Battesimo siamo entrati dentro la Trinità, perché siamo con Gesù una cosa sola. Siamo entrati nella Trinità, però non siamo Dio, siamo esseri umani, però facciamo parte della Trinità. Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; quindi la volontà di Dio è che siamo immersi ( bactizzomai verbo greco che significa essere immersi ) in tutto Dio Padre, in tutto Dio Figlio e in tutto Dio Spirito Santo. Questo vuol dire che dentro di noi c’è tutto Dio Padre, tutto Dio Figlio, tutto Dio Spirito Santo e come lo spieghi questo? Quando tu vai a fare la comunione prendi un’ostia grande così, tu sai che lì dentro c’è il Dio Eterno e Infinito, Signore della storia e dei secoli. Sotto un velo di pane c’è il mistero di tutto ciò che esiste. Possiamo intuire. Come dice l’inno Pange Lingua. Visus tactus gustus in te fallitur, la vista il tatto il sapore falliscono, perché tutto quello che i sensi constatano è fallace, non i sensi ma la fede conosce questa verità. Allora con la fede tu accetti, il mistero lo contempli, però non lo capisci. Perché capire dal latino càpere vuol dire prendere e tenere stretto, contemplare invece significa guardare, ma non da soli, sostenuti. Tu puoi guardare il mistero di Dio da solo, lo puoi contemplare cioè tu puoi entrare nel tempio insieme a qualcuno, contemplare entrare nel tempio insieme a qualcuno. Tu non possiedi il tempio è il tempio che possiede te.

10) IL CATECHISTA DEVE PARLARE UN ITALIANO SEMPLICE E COMPRENSIBILE Attenzione, perché usiamo la lingua, ma non la conosciamo e un catechista non può permettersi questo. Un catechista deve parlare un italiano semplice e comprensibile a quelli che ha di fronte però deve conoscere dieci o venti volte di più di quello che sta dicendo agli altri, se no che cosa sta comunicando? Certamente ai bambini non puoi dire le specificità dei termini che vi sto spiegando, però su tu non conosci il significato delle parole, tu insegnerai delle cose sbagliate e noi non possiamo permetterci di fare questo, se no non stiamo divulgando il Vangelo di Gesù Cristo, ma il Vangelo secondo noi. Quindi ricordatevi, è un servizio fatto a Dio quello anche di essere precisi nel linguaggio che si usa. Siate precisi cercando di conoscere il più possibile il significato delle parole che usate, anche le più comuni. E chiedete allo Spirito Santo che vi dia una struttura logica del pensiero: soggetto, predicato, complemento. Diversamente il vostro discorso non sarà compreso da chi vi ascolta; piuttosto articolate frasi e concetti brevi non un discorso lungo e strutturato. Fate discorsi brevi, frasi brevi, ma che siano chiare.

11) LA CONIUGAZIONE DEI VERBI DEVE ESSERE PRECISA State anche attenti alla coniugazione dei verbi, che deve essere precisa, perché un verbo al condizionale ha un significato diverso da un verbo all’indicativo; perché un verbo all’indicativo indica una realtà, un obbligo imprescindibile, un verbo al condizionale indica una possibilità cioè una dualità di realtà; i congiuntivi sono verbi di consequenzialità; se io nella mente non ho l’idea della consequenzialità delle cose, non userò il congiuntivo, userò l’indicativo e renderò tutto obbligante. Ricordatevi che abbiamo a che fare con le parole, che noi abbiamo la parola di Dio nella mano e siamo i catechisti, non ci possiamo permettere di giocare con le parole, perché da come io uso le parole, favorisco o freno il passaggio del concetto di Dio. Senza diventare fanatici, senza esagerare, però o prendiamo sul serio il nostro servizio reso a Dio. Quindi tutto quello che dipende da me io cerco di farlo al meglio che posso, oppure facciamo come fanno tanti che improvvisano tutto, vanno avanti e non si rendono conto che stanno giocando con Dio. Se sul Vangelo c’è scritto: in principium erat verbum et verbum erat aput deum et verbum erat deum, allora questo ci fa capire che in principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio.

12) SE DIO SI E’ FATTO PAROLA, IO NON POSSO GIOCARE CON LE PAROLE Se Dio si è fatto la parola che noi possiamo intuire e capire, io posso giocare con le parole? No. Non dico questo perché dobbiamo spaventarci, sentirci colpevolizzati, però sentiamo la necessità di pensare le parole che usiamo e pensare le frasi che usiamo, perché se io devo parlare a dei bambini, dovrò rendere estremamente semplice un discorso difficilissimo. Però usando delle parole che siano giuste, che cerchino di generare meno equivoci possibili, adatte al vocabolario che è in possesso a un bambino di 7-10-12-15 anni, senza mai cedere ad accettare una connotazione di linguaggio che non sia più che dignitosa ed elegante.

13) IL CATECHISTA NON USA MAI PAROLE EQUIVOCHE Se ci sono dei modi di dire che esprimono il concetto di essere arrabbiati in un certo modo, il catechista non li usa mai, neanche quando sta da solo. Se ci sono parole equivoche il catechista si deve abituare non solo a non usarle lui, ma a sentirne ribrezzo quando le sente pronunciare da altri, perché il catechista sta usando con la propria lingua un mezzo di evangelizzazione. Dunque l’apostolo san Giacomo dice nella sua lettera al cap. 4 che chi domina la lingua domina tutto il resto del corpo. Ora un catechista che non domina la lingua come può produrre negli altri un cambiamento di vita, se le parole che escono da lui sono sporcate da una incapacità di dominare la lingua? Naturalmente quando dico capacità di dominare la lingua non mi riferisco solamente a un linguaggio volgare e pesante, mi riferisco anche a un modo di gestire il linguaggio. Una persona che non è capace a non criticare, una persona dalla cui bocca esce sempre una parola di critica, di giudizio, di condanna, di curiosità, di pettegolezzo ecc. può giustamente essere catechista? Non può. Un catechista che non sente fondamentale dentro di sé l’imperativo di sapere quello che sta dicendo, come lo sta dicendo e non si domanda se le parole che sta usando le capisce prima lui, come fa a spiegarle agli altri?

14) IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE AMARE E AMORE Quante volte abbiamo esaminato il significato delle parole amare e amore. Se un catechista non sa che cosa vuol dire amare, sapete con che cosa lo confonde? Con il romanesco volemose bene. Ma amare non è quello, quello non è amare, quello lì è solo cercare di stare tranquilli, senza prendersi tanti problemi, vero? Invece amare è tutta un’altra cosa. Stamattina abbiamo sentito: dare la vita per i propri amici. Vedete che è estremamente differente. Allora non deve essere così per voi, perché voi avete sentito veramente una chiamata del Signore, se no non sareste qui al sabato mattina. Però per non perdere tempo né io, né voi e neanche Dio, cerchiamo proprio di capire l’importanza di tutto questo. Quando nelle scuole ci facevano fare l’analisi logica, l’analisi del periodo erano molto importanti; se abbiamo dimenticato tutto questo la prima cosa che dobbiamo fare è chiedere allo Spirito Santo che venga a rispolverare dentro di noi le cose che avevamo studiato allora, che le faccia emergere. Vedrete che lo Spirito Santo vi aiuterà; poi dopo cominciate con l’analizzare il linguaggio che usate, le strutture logiche che usate, se sono chiare. Ricordatevi che le persone che avete di fronte non sono dentro la vostra mente, dunque loro non sanno esattamente dove voi volete arrivare. Una grande carità che potete fare nei confronti del vostro prossimo, un grande servizio è quello di fare un passettino piccolo alla volta. Non date mai niente per scontato, anche se doveste ripetere cento volte in cento incontri, serve per aiutare quella persona a entrare nel difficile concetto che voi volete dire.

15) DOBBIAMO IMPARARE A PERDONARE Per es.: dobbiamo imparare a perdonare. Che vuol dire perdono? È una parola composta. Dividete a metà la parola, per e dono; quella che capite subito è dono, cosa vuol dire dono? È un regalo, non meritato, perché un dono meritato si chiama premio. Capite perché bisogna essere precisi? Perché se io non dico questo allora il perdono mi diventa un diritto, invece non è un diritto, è un dono, un regalo non meritato; quindi se il regalo non è meritato mi viene fatto perché io sono buono o è buono chi mi fa il regalo? Chi mi fa il regalo. L’altra parola da capire è per che deriva dal greco iper, che vuol dire il più grande; quindi se iper vuol dire il più e donum, regalo, mettendo insieme avete l’insegnamento che dovete fare sul concetto di perdono. Poi ci potete parlare per sei mesi ai bambini del perdono, però se sapete cosa vuol dire voi insegnate realmente ciò che insegna la Chiesa, non ciò che insegna il mondo: vogliamoci bene perché il Signore è buono e ci perdona, tanto perdona tutto e tutti. No! Il catechista non può fare queste cose, non si può confondere il perdono con un sentimento di piacevolezza e di arrendevolezza, non è così. Allora siamo partiti dal tema dei carismi, la prossima volta ricordatemi che dobbiamo continuare sul significato della parola carisma. Abbiamo appena analizzato la radice charis che vuol dire grazia e che significa Spirito santo in azione.

* UNIONE CATECHISTI. CATECHESI. LEZIONI, 08.10.2005
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/10/2012 13.52
Titolo:Dal Vaticano II al Vaticano III. C’è ancora tutto da fare!
Dal Vaticano II al Vaticano III

di Henri Tincq

in “www.slate.fr” del 10 ottobre 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Esattamente cinquant’anni fa, l’11 ottobre 1962, 2500 vescovi che parlano lingue diverse, che rappresentano i popoli e le culture del mondo intero, fanno la loro entrata nella basilica di San Pietro di Roma. Il Concilio Vaticano II apre le porte, in presenza, per la prima volta, di delegati protestanti, anglicani, ortodossi e di altre confessioni cristiane. Si apre una pagina nuova nella storia della Chiesa. Questo concilio durerà tre anni. Tradizionalisti e modernisti già si scontrano e saranno questi ultimi a vincere. La ventina di documenti adottati alla fine dei dibattiti segnano l’entrata della Chiesa, fino a quel momento intransigente e chiusa, nel mondo moderno.

Papa Giovanni XXIII aveva convocato il concilio nel gennaio 1959, tre mesi dopo la sua elezione, tra la sorpresa generale. Diplomatico mediocre, eletto ad età avanzata (77 anni), ritenuto “papa di transizione”, Angelo Roncalli, di fatto, sconvolge la sua Chiesa. Il concilio, per lui, deve essere un “aggiornamento”, deve rompere con secoli di “condanne”, discernere i “segni dei tempi”, spalancare le “finestre” dell’istituzione, riconciliarla con il XX secolo.

La sua morte, nel 1963, gli impedisce di portare a compimento la sua opera, ma il suo successore, Paolo VI, la riprenderà e la porterà a termine, a costo di una lotta accanita con la minoranza conservatrice di Marcel Lefebvre, “padre” dello scisma integralista che, cinquant’anni dopo, prosegue il suo tentativo di minare alla base quel salutare concilio.

ecumenismo

Uno dei punti di maggiore contrasto riguarda la libertà religiosa. La Chiesa che, da 2000 anni, ripete che al di fuori di essa non c’è salvezza, si dispone a rinunciare al monopolio assoluto della Verità, a riconoscere il primato della coscienza, ad entrare in dialogo con le altre religioni, non solo con le confessioni cristiane separate, ma anche con gli ebrei, i musulmani, gli induisti, i buddisti, ecc. Mons. Lefebvre dirà che con la libertà religiosa, “il verme è nel frutto”. Se la Chiesa cattolica non ha più il monopolio della Verità, la porta è aperta al “relativismo” (tutte le religioni si equivalgono), al “soggettivismo”, al detestato ecumenismo.

Rompendo con secoli di intolleranza, il Concilio Vaticano II adotta, nel 1965, una dichiarazione (“Dignitatis humanae”) che afferma per ogni uomo il diritto alla libertà di religione e di credenza, poi un altro testo (“Nostra Aetate”) che riconosce nelle altre confessioni delle “parti di verità”, mettendo fine agli stereotipi offensivi per gli ebrei (“popolo deicida”), ritenendo che l’antisemitismo non aveva più alcuna giustificazione teologica.

Due millenni di antigiudaismo cristiano sono così stati archiviati. Per i cattolici, il dialogo ecumenico con i “fratelli cristiani” separati (protestanti, ortodossi), con le religioni non cristiane e con i non credenti è veramente cominciato grazie al Vaticano II, mezzo secolo fa.

Il Concilio adotta altre riforme capitali. Ridà importanza allo studio della Bibbia, lasciato ai protestanti a partire dalla Riforma. Rinnova la liturgia con il superamento della tonaca per i preti e l’adozione delle lingue moderne invece del latino. Cambia il modo di governo della Chiesa, tollerando maggiore “collegialità”, dando più autonomia ai livelli locali rispetto a Roma, e maggiore responsabilità ai laici (cioè i fedeli che non fanno parte del clero). Invita i cristiani, in un altro testo rimasto celebre (“Gaudium et Spes”), a non condannare più il mondo moderno, a cambiare lo sguardo su tale mondo, ad aprirsi al progresso delle scienze e delle tecniche, alle lotte per la giustizia sociale e per i diritti umani, ad impegnarsi negli ambiti sociali e politici.

duecento anni di ritardo

Una Chiesa più militante a servizio dell’uomo povero, più accogliente nei confronti delle trasformazioni del mondo, aperta alla libertà di coscienza e alle altre confessioni, meno arrogante e più impegnata nel suo tempo: senza il Vaticano II, non sarebbe quella che è oggi. Ma è aperto e acceso il dibattito per sapere se la Chiesa, da allora, non abbia tradito lo spirito del concilio di cinquant’anni fa, se non sia tentata dal ripiegamento su se stessa e sul ritorno indietro, se non sia ora di regolare i conti, di riprendere le questioni tabù allora messe da parte, o addirittura di immaginare un nuovo concilio - Vaticano III - per esplorare tutte le nuove questioni poste all’umanità in questi cinque decenni.

Ex arcivescovo di Milano, il prestigioso cardinale Carlo Maria Martini, gesuita, “capofila” dei progressisti, morto il 31 agosto, ha rilasciato al Corriere della Sera un’intervista (resa pubblica dopo la sua morte) dal sapore amaro molto forte, nella quale scrive: “La Chiesa è in ritardo di 200 anni (...) La Chiesa è stanca. La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l’apparato burocratico della Chiesa lievita”.

Certo, è ingiusto e sbrigativo affermare che la Chiesa è andata indietro - cosa che non dice il cardinal Martini. Per riportare l’unità nelle sue fila, papa Benedetto XVI ha certo portato avanti degli incontri con i cattolici integralisti, eredi di Mons. Lefebvre e della minoranza reazionaria del concilio. Ma l’accordo si scontra proprio sui dati acquisiti del Vaticano II. Gli integralisti rifiutano di allinearsi a questo concilio modernitsta che, a sentir loro, è responsabile di tutti i mali e di tutte le crisi da cinquant’anni.

Vogliono mantenere il diritto di criticare gli orientamenti presi allora, fondamentali come la libertà per ogni uomo di scegliere la propria religione, l’apertura del dialogo alle altre religioni - che gli integralisti continuano a definire “false religioni” - l’adozione di una liturgia più contemporanea, la simpatia per un mondo moderno considerato da loro come “satanico”.

affrontare i temi che bloccano, a suo tempo ritirati dal Vaticano II

Vi è una serie di punti giudicati “non negoziabili” da Benedetto XVI, erede di quel concilio a cui ha partecipato come teologo, progressista all’epoca, e sui quali non cederà. Rimane il fatto che i cattolici detti “conciliari” sono scoraggiati dagli inviti fatti agli integralisti, dai ripiegamenti timorosi che constatano nella dottrina, nel dogma, nella liturgia, nella disciplina, dal centralismo romano che riprende più che mai e dalla mancanza di discussione interna, dalla lentezza del movimento di riavvicinamento ecumenico, dall’immobilismo delle posizioni sulla sessualità dopo la proibizione della contraccezione nell’enciclica Humanae Vitae del 1968, la proibizione della procreazione medicalmente assistita e del matrimonio omosessuale. Il celibato obbligatorio dei preti, lo status di inferiorità della donna e quello delle coppie di divorziati risposati, esclusi dai sacramenti, sono vissuti con sempre maggiore disagio e contestati.

Anche la richiesta di un nuovo concilio, negli ambienti progressisti, ritorna regolarmente. È nuovamente stata esplicitata nell’ottimo libro della teologa Christine Pedotti (“Faut-il faire Vatican III?”, ed. Tallandier), che riassume tutti gli argomenti a favore di una nuova concertazione, universale e decisiva, ai vertici della Chiesa.

Certi temi che bloccavano, come il celibato obbligatorio dei preti o la contraccezione, erano stati ritirati d’autorità dall’ordine del giorno del Vaticano II. Oggi è ora di affrontarli, come le altre questioni urgenti in cui si gioca la credibilità dell’istituzione: una decentralizzazione reale del potere del papa, maggiori responsabilità alle donne, un discorso più aperto e più positivo sulla sessualità e sui divorziati.

Si tratterebbe anche di affrontare tutti i nuovi problemi sollevati da cinquant’anni dal progresso scientifico e medico, dalla conoscenza biologica dell’umano, dalla parità uomo-donna, dalla globalizzazione, dalla ripartizione delle ricchezze, dagli equilibri ecologici.

Sono tutti temi che meritano di essere esaminati, non attraverso testi solitari del papa, redatti da consiglieri nel segreto del Vaticano, ma attraverso una riflessione collettiva ed esigente come quella che i “Padri conciliari” hanno avuto il coraggio di condurre su altri fronti mezzo secolo fa. Già alla fine del Concilio Vaticano II nel 1965, il grande teologo francese Yves Congar, che ne era stato uno dei principali animatori, aveva esclamato: “L’opera realizzata è fantastica, ma c’è ancora tutto da fare!”
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/10/2012 15.45
Titolo:Ratzinger come Roncalli: «Date un bacio ai bimbi e dite che è del Papa»
Ratzinger come Roncalli

«Date un bacio ai bimbi e dite che è del Papa»

di Gian Guido Vecchi (Corriere della Sera, 12 ottobre 2012)

La Chiesa nella tempesta, il peccato e la zizzania, «qualche volta abbiamo pensato: il Signore dorme...». Alle 21 Benedetto XVI s’affaccia alla finestra dell’Appartamento, sono passati cinquant’anni da quando Giovanni XXIII nel primo giorno del Concilio pronunciò il celebre discorso della luna, «date una carezza ai vostri bambini...», e alla fine anche lui saluta (quasi) allo stesso modo, «oso far mie le sue parole», sorride e dice: «Andate a casa, date un bacio ai bambini e dite che è del Papa!».

Ma il saluto di Ratzinger alla fiaccolata dei 40 mila, come nel ’62, non è di circostanza. «Anch’io ero in piazza con lo sguardo a questa finestra, eravamo felici e pieni di entusiasmo, sicuri che dovesse venire una nuova primavera, una nuova Pentecoste. Anche oggi siamo felici, ma di una gioia più sobria, umile». E accenna agli scandali e al male nella Chiesa: «In questi cinquant’anni abbiamo esperito che il peccato originale esiste e si traduce in peccati personali che possono diventare strutture di peccato, che nel campo del Signore c’è sempre anche zizzania, che nella rete di Pietro si trovano anche pesci cattivi, che la nave della Chiesa sta navigando anche con vento contrario in tempeste». Come i discepoli nel Vangelo, «qualche volta abbiamo pensato: il Signore dorme e ci ha dimenticato».

La mattina il Papa aveva parlato della «desertificazione spirituale di questi decenni», invitando a tornare «alla lettera» del Concilio e annunciare il Vangelo. Perché «il Signore c’è e non ci dimentica», ha concluso la sera, «e dà calore ai carismi di bontà che illuminano il mondo: Cristo è con noi e possiamo essere felici anche oggi».

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Titolo articolo : «Il regno di Dio è vicino»,

Ultimo aggiornamento: October/12/2012 - 15:23:19.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/10/2012 09.55
Titolo:IL REGNO DEL DIO DI RATZINGER E' VICINO ....
LA "MANGIATOIA" DELLA "FATTORIA DEGLI ANIMALI" E L'ARCA PERDUTA. Una nota su "L’infanzia di Gesù" di J. Ratzinger - Benedetto XVI,

di Federico La Sala

http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/Ratzinger/Interventi_1349899661.htm

SPEGNERE IL "LUMEN GENTIUM" E INSTAURARE IL POTERE DEL "DOMINUS IESUS". Il disegno di Ratzinger - Benedetto XVI. Due testi a confronto, con alcune note

LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!



"Di quale Dio parliamo quando parliamo di Dio, e di quale Dio parlano quando parlano di Dio? La domanda è cruciale. Infatti non è per niente chiaro, non è sempre lo stesso, e sovente non è un Dio innocuo" (Raniero La Valle, "Se questo è un Dio", pag. 9)



E si continuavano a dormire “sonni beati”! Dopo la dichiarazione “Dominus Iesus” circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa (2000), dopo l’enciclica “Deus caritas est” (2006), che proclama la grande “novità” che “Dio è valore”, e la connessa decisione di sottoporre a “copyright tutti gli scritti, i discorsi e le allocuzioni del Papa”, Benedetto XVI, dopo aver tolto la "h" dalla "Charitas" (Amore pieno di grazia) e precisato anche che "Nazaret" si scrive "senza acca" e, infine, che «il calice fu versato per molti», non «per tutti», ha reso pubblico un altro racconto ediphicante sulla vita del suo “Padrone Gesù” (“Dominus Iesus”)!

“Per Natale completata la trilogia”, annuncia trionfante l’Osservatore romano (10.10.2012) e fornisce un’anteprima “del terzo libro di Benedetto XVI su Gesù presentato alla Fiera internazionale del libro di Francoforte”: “L’infanzia di Gesù”. “Da pagina 38 del manoscritto”, con il titolo “Quel bimbo stretto in fasce”, questo il testo che il giornale del Vaticano riprende:

“Maria avvolse il bimbo in fasce. Senza alcun sentimentalismo, possiamo immaginare con quale amore Maria sarà andata incontro alla sua ora, avrà preparato la nascita del suo Figlio. La tradizione delle icone, in base alla teologia dei Padri, ha interpretato mangiatoia e fasce anche teologicamente. Il bimbo strettamente avvolto nelle fasce appare come un rimando anticipato all’ora della sua morte: Egli è fin dall’inizio l’Immolato, come vedremo ancora più dettagliatamente riflettendo sulla parola circa il primogenito.

Così la mangiatoia veniva raffigurata come una sorta di altare. Agostino ha interpretato il significato della mangiatoia con un pensiero che, in un primo momento, appare quasi sconveniente, ma, esaminato più attentamente, contiene invece una profonda verità. La mangiatoia è il luogo in cui gli animali trovano il loro nutrimento. Ora, però, giace nella mangiatoia Colui che ha indicato se stesso come il vero pane disceso dal cielo - come il vero nutrimento di cui l’uomo ha bisogno per il suo essere persona umana. È il nutrimento che dona all’uomo la vita vera, quella eterna. In questo modo, la mangiatoia diventa un rimando alla mensa di Dio a cui l’uomo è invitato, per ricevere il pane di Dio. Nella povertà della nascita di Gesù si delinea la grande realtà, in cui si attua in modo misterioso la redenzione degli uomini”.

Che a cinquanta anni dall’inizio del Concilio ecumenico Vaticano II non si sappia più né Chi è, né come ne dove sia nato Colui che è stato ed è la Luce delle Genti (“Lumen Gentium”), è più che normale e ‘sacrosanto’ che arrivi un papa teologo e racconti la solita storiella tradizionale del “Signore Gesù” nato ancora e sempre in una “mangiatoia”, “una sorta di altare” per l’Immolato, per il sacrificio del primogenito e che, “prima di ascendere al cielo, affidò ai suoi discepoli il mandato di annunciare il Vangelo al mondo intero e di battezzare tutte le nazioni”(“Dominus Iesus” - Introduzione) e abbia il suo grande successo alla fiera e al mercato di tutto il mondo! E’ un segno dei tempi: la “buona-carestia” avanza e grandi sono gli affari che si possono fare, vendendo a “caro-prezzo” (“caritas”) la grazia (”charis”) di Dio: “l’amministrazione della charity” rende molto, sia in affari sia in termini di domesticamento di liberi esseri umani in “animali”!

Per il papa teologo, infatti, il tempo passa invano: siamo ancora e sempre nella orwelliana “fattoria degli animali” e suo è il comando. Egli è il “grande fratello” e il “Santo padre”, il “Padre nostro”, che guida il suo popolo nel cammino della Storia! Ora, finalmente, la carità è nella verità (“Caritas in veritate”, 2009): “La Luce del mondo”, il libro di Ratzinger - Benedetto XVI (2010) ha scalato le vette delel classifiche: ha avuto uno straordinario successo di vendite e di guadagno con i diritti di autore. Questa è la ‘bella notizia’ della "mangiatoia", tutto il resto appartiene al passato: l’arca di Noè, l’arca dell’alleanza di Mosè (con i due cherubini e la Legge scritta), l’arca-presepe del messaggio evangelico e di Francesco di Assisi (con i due cherubini - Giuseppe e Maria - e la Legge vivente, Gesù). “In principio era il Logos” è solo “archeologia”! Oggi, su Piazza San Pietro, sventola il “Logo” del “Dominus Iesus”: “Deus caritas est”!!! Il Terzo Millennio prima di Cristo è già iniziato e il sogno di Ratzinger - Benedetto XVI come quello di Costantino annuncia la sua vittoria: “Forza Signore Gesù”!!!


Mercoledì 10 Ottobre,2012 Ore: 22:07
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/10/2012 15.23
Titolo:PAROLA DI BENEDETTO XVI. Cristo è con noi e possiamo essere felici anche oggi
Ratzinger come Roncalli «Date un bacio ai bimbi e dite che è del Papa»

di Gian Guido Vecchi


in “Corriere della Sera” del 12 ottobre 2012


La Chiesa nella tempesta, il peccato e la zizzania, «qualche volta abbiamo pensato: il Signore dorme...». Alle 21 Benedetto XVI s'affaccia alla finestra dell'Appartamento, sono passati cinquant'anni da quando Giovanni XXIII nel primo giorno del Concilio pronunciò il celebre discorso della luna, «date una carezza ai vostri bambini...», e alla fine anche lui saluta (quasi) allo
stesso modo, «oso far mie le sue parole», sorride e dice: «Andate a casa, date un bacio ai bambini e
dite che è del Papa!».

Ma il saluto di Ratzinger alla fiaccolata dei 40 mila, come nel '62, non è di circostanza. «Anch'io ero in piazza con lo sguardo a questa finestra, eravamo felici e pieni di entusiasmo, sicuri che dovesse venire una nuova primavera, una nuova Pentecoste. Anche oggi
siamo felici, ma di una gioia più sobria, umile». E accenna agli scandali e al male nella Chiesa: «In questi cinquant'anni abbiamo esperito che il peccato originale esiste e si traduce in peccati personali che possono diventare strutture di peccato, che nel campo del Signore c'è sempre anche zizzania, che nella rete di Pietro si trovano anche pesci cattivi, che la nave della Chiesa sta navigando anche con vento contrario in tempeste». Come i discepoli nel Vangelo, «qualche volta abbiamo pensato: il Signore dorme e ci ha dimenticato».

La mattina il Papa aveva parlato della «desertificazione
spirituale di questi decenni», invitando a tornare «alla lettera» del Concilio e annunciare il Vangelo. Perché «il Signore c'è e non ci dimentica», ha concluso la sera, «e dà calore ai carismi di bontà che
illuminano il mondo: Cristo è con noi e possiamo essere felici anche oggi».

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Commenti Articolo 726

Titolo articolo : IL REGNO DEL DIO DI BENEDETTO XVI: RICCHEZZA "PER NOI" E CARESTIA "PER MOLTI" E "PER TUTTI". Vescovi e cardinali accolgono la linea di Benedetto XVI e superano "Scilla e Cariddi". Una nota di Luigi Accattoli e il testo del novello Ulisse, il teologo Bruno Forte - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/12/2012 - 15:13:28.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/8/2012 10.49
Titolo:PAROLA A RISCHIO. La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
- PAROLA A RISCHIO
- Risalire gli abissi
- La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
- Perché è sorriso, liberazione, gioia.

di Giovanni Mazzillo (Teologo) *

G come gioia, come Gesù, respiro di gioia per tutti gli infelici della terra. Parliamo di Gesù, il cui corrispondente nome greco Iesoûs deriva direttamente dall’originale ebraico Je(ho)šhu e significa JHWH salva, per precisare immediatamente che il termine salvezza oggi non significa gran che per i nostri contemporanei, e di conseguenza risuona poco interessante persino quel nome, pur originariamente portatore di una gioia immensa e inaudita. Ciò avviene non solo per l’inevitabile logorio delle parole più usate e talora abusate, ma per il fatto che ha perso rilevanza e pertanto significato il valore stesso della “salvezza”.

Salvezza
- Salvezza da chi e/o da che cosa? Appunto, è questo il primo problema. La salvezza appare di primo acchito un concetto immediatamente derivato dal superamento di una situazione negativa, Si salva, o come succede in questo caso, viene salvato, qualcuno che si trova in una situazione di pericolo. Il pericolo di perdere qualcosa, di perdere se stesso. Di essere cancellato, di sparire, appunto come sparisce da un computer un testo non “salvato” o un’immagine non messa al sicuro. Ma essere salvati è per noi persone umane, e pertanto non riducibili a una traccia di codificazione binaria o algoritmica, molto di più che conservare un’impronta e una presenza. Coerentemente con la nostra realtà dinamica e relazionale, essere salvati significa avere un luogo, un senso, una rilevanza nel contesto di una realtà che giustifica, sorregge, garantisce il mantenimento e la crescita qualitativa, e pertanto il conseguente riconoscimento di un originario, inalienabile, imprescindibile valore personale.

La domanda «Chi o che cosa si può dire oggi salvato?» esige pertanto una primordiale differenziazione. Altro è il concetto di ciò che è salvato (cioè il dato messo al sicuro), ben altro è l’essere umano salvato. Questi non è solo garantito in ciò che ha di più proprio e pertanto è distinto dal mero “dato”, che invece è una sorta di file compilato (non per nulla in tedesco proprio il file è chiamato Datei, leggi datai, cioè «rea-ltà data»). L’essere umano è tale solo in un incontro, in una relazione. La persona è tutta nelle relazioni delle quali vive. Proprio la relazionalità sorregge il senso e la gioia del suo esistere.

L’annuncio di Gesù, già nella sua venuta in questo nostro mondo, è l’annuncio di una relazionalità umana felicemente riuscita. Nel Vangelo è direttamente collegato alla Grazia, termine che esprime tutto ciò e anche qualcosa di più.

Nell’annuncio della sua nascita, diversamente da quanto appare nella traduzione latina, e in quella italiana da essa derivata, nella preghiera più popolare che ci sia, Maria è salutata non con il saluto che si dava all’imperatore, alle autorità o anche agli amici con l’esclamativo «Ave!», bensì con l’invito a rallegrarsi, cioè a gioire (chaîre): a entrare in un circuito di esultanza per un dono gratuito e inatteso. Colei che è piena di grazia (kecharitōménē) è invitata a rallegrarsi perché tutto in lei è frutto ed espressione della «grazia» (cháris), cioè di un dono amorevole quanto sorprendente, che sarà presto annuncio di gioia per tutto il popolo e per ogni uomo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...”. L’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia...» (Lc 1,30-31; 2,10-11).

Il resto del Vangelo, soprattutto quello di Luca, evidenzia la gioia improvvisa e incontenibile che contagia quanti vengono a contatto con Ješhu. A cominciare da Elisabetta e dal suo bambino, che le esulta nel grembo, il futuro Battista. Così esultano ancora due anziani che sembrano essere rimasti in vita per mantenere viva la speranza d’Israele: Simeone e Anna, o i pastori; mentre nel racconto di Matteo, viene detto che i Magi “provarono una grandissima gioia” nel rivedere la stella che indicava il luogo della natività di Gesù.

La stessa gioia è testimoniata dai semplici e dagli umili, dagli infelici e dai peccatori che si sentono aiutati, capiti, perdonati. A gioire sono ancora i bambini e le donne, classi tradizionalmente neglette dalla piena partecipazione alla grazia collegata alle tradizionali benedizioni di Dio. Insomma il cuore del Vangelo è la lieta notizia annunciata ai bisognosi e agli infelici della terra. Il Dio che si dona totalmente, è il Dio che dona illimitatamente la gioia agli uomini. E perché la nostra gioia fosse piena (Gv 15,11), il Figlio di Dio è arrivato umanamente a perdere se stesso.

Perché avessimo una gioia che nessuno avrebbe mai più potuto toglierci, ha permesso che fosse tolta a lui la vita, per riprenderla di nuovo, ma con la conoscenza ormai nella sua carne e nella sua psiche di cosa significhi la morte umana. Di cosa voglia dire la gioia di vivere, di vivere non con il naturale sorriso con cui vive ogni creatura per la stessa gioia dell’esistere, ma di provare e diffondere la gioia di chi conosce la sofferenza e non resta inchiodato alla sofferenza. O al limite, di chi, nonostante le ferite e talora i chiodi mai interamente rimossi della sofferenza, sa sorridere della vita, perché questa è ormai rischiarata da colui che vince la morte e la depressione della sofferenza.

La gioia è dunque uno dei nomi della salvezza, ma di una salvezza che assume di volta in volta nomi nuovi e nomi antichi: riscatto, liberazione, sensatezza, leggerezza dell’esistere... Se la parola non fosse tanto inflazionata, si potrebbe dire che la salvezza altro non è che la felicità. È la felicità nel suo senso etimologico: come abbondanza e fertilità. Possiamo tradurre: come vita sensata che raggiunge il suo scopo e nasce da relazioni benevole, tendenti al bene altrui, trovando negli altri la propria gioia e comunicandola con relazioni che fanno crescere se stessi e gli altri.

In quanto tale, la felicità è simile alla pace e ne è la forma storica: è star bene con sé e con gli altri, con il proprio passato e con il proprio futuro. Perché, soprattutto oggi, c’è bisogno paradossalmente più di ricostruire il futuro che il passato o il presente. Per poterlo fare c’è bisogno di quella gioia consapevole che non si arrende e che non si ripiega su se stessa. Si ritrova nel futuro di una convivenza che non nasconde, ma sa riconoscere e superare i conflitti attraverso uno sguardo d’amore verso ciò che ci è intorno. È uno guardo che viene da lontano e tuttavia tocca la nostra umanità, questa mia e questa tua umanità, quella assunta, attraversata e come divinizzata da quel Gesù che continuamente dà senso a ogni tentativo di superare la violenza con l’amore. È l’unico a dar senso a ogni discorso di pace, anche questo che hai appena finito di leggere.

* MOSAICO DI PACE, LUGLIO 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/8/2012 10.52
Titolo:SUL “PRO MULTIS” IL PAPA SBAGLIA ...
«SUL “PRO MULTIS” IL PAPA SBAGLIA». IL TEOLOGO SCRIVE, L’EDITORE CATTOLICO PUBBLICA, I VESCOVI LEGGONO

di Adista Notizie n. 29 del 28/07/2012

36800. BOLOGNA-ADISTA. Un libro pubblicato da una casa editrice cattolica che critica apertamente una decisione del papa è di per sé già una notizia. Lo è ancora di più se quel libro ha la prefazione di un noto teologo. Ma se, come in questo caso, il libro è stato addirittura inviato in copia saggio a tutti i vescovi italiani, la notizia allora è davvero sorprendente. Ma assolutamente vera.

Il caso è quello di un saggio già apparso in una versione più breve su Il Regno Attualità (10/2012), per essere poi pubblicato in volume, dopo essere stato riveduto ed ampliato. Si tratta di Per una moltitudine. Sulla traduzione delle parole eucaristiche, un libro scritto da Francesco Pieri, docente di Greco biblico e Patrologia alla Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna, presentato da Severino Dianich, già presidente dell’Associazione Teologica Italiana, e pubblicato dalla casa editrice Dehoniana Libri (che appartiene alla galassia editoriale dei religiosi dehoniani ma non va confusa con Edb, le Edizioni Dehoniane di Bologna).

Nel libro (Dehoniana Libri, 2012, pp. 48, 4,50), Pieri sostiene l’inopportunità della traduzione «il calice del mio sangue versato per molti» (invece che «per tutti»), voluta da Benedetto XVI attraverso la Pontificia Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti (la quale a sua volta ne ha informato i presidenti delle diverse Conferenze episcopali nazionali in una lettera datata 17 ottobre 2006). La formula in latino, presente nel Missale Romanum, unico per tutte le nazioni e su cui si basano le traduzioni autorizzate nelle lingue nazionali, è: «Accipite et bibite ex eo omnes: / hic est enim calix sanguinis mei / novi et aeterni testamenti: / qui pro vobis et pro multis effundetur / in remissionem peccatorum. / Hoc facite in meam commemorationem». L’espressione pro multis dopo il Concilio fu tradotta in italiano con la formula “per tutti” e nella maggior parte delle altre lingue in modo analogo: in tedesco für alle, in inglese for all, in spagnolo por todos los hombres, in francese pour la multitude. Dietro le questioni linguistiche, quella, di enorme rilevanza teologica e pastorale, dell’universalità del messaggio e della testimonianza di Gesù. Per questa ragione, nel corso degli anni più recenti, molte sono state le resistenze delle Conferenze episcopali nazionali a recepire la decisione del Vaticano. E diversi vescovi e consigli presbiterali hanno contestato apertamente l’ordine di Roma. Evitando di conformarvisi. Anche in Italia, nonostante un episcopato molto moderato ed allineato ai vertici ecclesiastici, la Cei stenta ad adeguarsi e, come ha recentemente raccontato Sandro Magister sull’Espresso, nel novembre del 2010, nel corso della loro Assemblea Generale, soltanto 11 dei 187 vescovi presenti votarono in favore della formula «per molti». Inoltre, come spiega Pieri nel suo libro, la decisione di Ratzinger lascia perplessi anche nel metodo, oltre che nel merito. Il Concilio ha riconosciuto alle «autorità ecclesiastiche territoriali» la competenza circa la traduzione e l’adattamento dei testi liturgici, che la Santa Sede ha poi il compito di approvare e promuovere, dopo aver fatto eventuali osservazioni e correzioni. Questo papa ha invece scelto il percorso inverso, come del resto ha fatto su molte altre questioni (e Wojtyla prima di lui), quello che va dal centro alla periferia, minando così quella «reciprocità tra primato della sede romana e collegialità dei vescovi posti a capo delle Chiese» che pure era un assunto del Vaticano II.

Nel merito, l’autore rileva inoltre come non esista un testo biblico nel quale sia presente la formula «pro vobis et pro multis»: per questo, scrive, «le due espressioni sono da considerarsi come sostanzialmente equivalenti, nei rispettivi contesti, e non è esegeticamente corretto contrapporle».

Del resto, rileva ancora Pieri, è evidente che l’espressione «per molti» suona diversamente alle nostre orecchie rispetto all’intenzione di Marco e Matteo: «“Molti” si oppone in italiano sia a “pochi” che a “tutti”»; quindi in diverse frasi la parola “molti” può di fatto equivalere sia a “non pochi”, sia a “non tutti”. L’autore cita a supporto della sua tesi il biblista Albert Vanhoye, il quale spiega che «la parola ebraica rabbim significa soltanto che c’è di fatto “un grande numero”, senza specificare se esso corrisponda o meno alla totalità».

E allora, come tradurre efficacemente? Una soluzione secondo Pieri c’è, ed avrebbe il pregio di salvare “capra” (cioè una maggiore fedeltà nella traduzione), e “cavoli” (ossia cercare di non tradire il senso profondo delle parole di Gesù): «Essa è rappresentata dalla felicissima traduzione del Messale francese “pour la multitude”, che potrebbe senza molte difficoltà essere tradotta in italiano e probabilmente anche nelle altre lingue romanze con la formula “per la moltitudine” o “per una moltitudine”. Con il vantaggio evidente che, proprio come rabbim, “moltitudine” si oppone a “pochi”, ma non si oppone a “tutti”, e lascia aperta l’interpretazione in tal senso. Accogliere tale traduzione nella liturgia della Chiesa italiana offrirebbe un reale aiuto a una corretta comprensione del testo e insieme un esempio d’intelligente ricezione delle disposizioni vaticane, in grado di fungere da modello anche ad altre Chiese particolari». (valerio gigante)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/8/2012 10.57
Titolo:Benedetto XVI, ha gettato via la "pietra" ...
VATICANO: CEDIMENTO STRUTTURALE DEL CATTOLICESIMO-ROMANO. Benedetto XVI, il papa teologo, ha gettato via la "pietra" ("charitas") su cui posava l’intera Costruzione.

OBBEDIENZA CIECA: TUTTI, PRETI, VESCOVI, E CARDINALI AGGIOGATI ALLA "PAROLA" DI PAPA RATZINGER ("DEUS CARITAS EST", 2006).
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/8/2012 16.33
Titolo:SPEGNERE IL "LUMEN GENTIUM" E INSTAURARE IL POTERE DEL "DOMINUS IESUS", IL "CAR...
SPENTO IL "LUMEN GENTIUM". INSTAURARE IL POTERE DEL "DOMINUS IESUS", IL "CARLO MAGNO" DEL SACRO ROMANO IMPERO.... Due testi a confronto:



LUMEN GENTIUM (21 novembre 1964) *

"1. Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15), illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa. E siccome la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano, continuando il tema dei precedenti Concili, intende con maggiore chiarezza illustrare ai suoi fedeli e al mondo intero la propria natura e la propria missione universale. Le presenti condizioni del mondo rendono più urgente questo dovere della Chiesa, affinché tutti gli uomini, oggi più strettamente congiunti dai vari vincoli sociali, tecnici e culturali, possano anche conseguire la piena unità in Cristo".

*

PER IL TESTO COMPLETO, VEDI: LUMEN GENTIUM COSTITUZIONE DOGMATICA SULLA CHIESA 21 novembre 1964.
- CAPITOLO I. IL MISTERO DELLA CHIESA. La Chiesa è sacramento in Cristo

DOMINUS IESUS (6 Agosto 2000) *

"INTRODUZIONE
- 1. Il Signore Gesù, prima di ascendere al cielo, affidò ai suoi discepoli il mandato di annunciare il Vangelo al mondo intero e di battezzare tutte le nazioni: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,15-16); «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,18-20; cf. anche Lc 24,46-48; Gv 17,18; 20,21; At 1,8)".

* PER IL TESTO COMPLETO, VEDI: DICHIARAZIONE "DOMINUS IESUS"
- CIRCA L’UNICITÀ E L’UNIVERSALITÀ SALVIFICA DI GESÙ CRISTO E DELLA CHIESA

- Joseph Card. Ratzinger
- Prefetto

- Tarcisio Bertone, S.D.B.
- Arcivescovo emerito di Vercelli
- Segretario
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/9/2012 17.27
Titolo:Sempre l’imbroglio del latino ...
Sempre l’imbroglio del latino

di Giancarla Codrignani *

Un’amica mi ha segnalato con sua grande afflizione l’ultimo recupero del Concilio di Trento da parte di Benedetto XVI: ha stabilito che, nella formula della consacrazione, il valore salvifico vada limitato a "molti" e non "a tutti", come era diventato abituale dopo il Concilio Vaticano II e come, nell’assemblea plenaria del novembre 2010, 171 vescovi su 182, avevano "votato" di preferire.

A me importano poco le precisazioni filologiche anche perché, non avendo registrazioni dell’ultima cena del Signore, il testo greco è già una traduzione e quella latina di Girolamo è la traduzione di una traduzione. Il guaio è che il praticante cattolico, quello che "sente essa" recitando il rosario o pensando ai casi suoi o a niente, non si accorge di questo genere di cambiamenti, dato che, evidentemente (altrimenti si ribellerebbe), non capisce neppure la differenza di condividere la "comunione" accogliendola con la mano o di riceverla come il bimbo che si fa imboccare. Per questo il cambiamento è grave. Il papa può giustificare la sua scelta raccontando che, andando in giro per il mondo, si è accorto che le parole rituali subiscono impatti linguistici diversi e ha sentito il dovere di definire una volta per tutte il testo del Messale Romano: tanto varrebbe tornare al latino per tutti i paesi del mondo, così si eliminerebbe definitivamente urbi et orbi la possibilità di comprendere il senso della consacrazione. Tuttavia chi si informa sulla vita della sua chiesa pensa che si tratti di un’altra risposta indiretta al clero austro-tedesco in fermento per le marce indietro del Papa e ritenuto disubbidiente.

La strategia autoritaria del pontefice romano rappresenta un atto grave di potere: se il sangue di Gesù è stato versato "per molti" e non per tutti, per salvarsi i peccatori dovrebbero obbligatoriamente farsi assolvere dal prete della Chiesa cattolica e le altre religioni passare per la conversione. Con l’aggravante che il provvedimento va non solo contro il Vaticano II e il suo Spirito, ma anche contro l’ecumenismo e contro tutti gli "infedeli". Di questi tempi abbastanza temerario per un Papa che crede che Dio sia amore.

* http://www.mosaicodipace.it/. 10 maggio 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/10/2012 15.13
Titolo:IL DISCORSO DELLA LUNA DI RATZINGER. Cristo è con noi e possiamo essere felici a...
Ratzinger come Roncalli «Date un bacio ai bimbi e dite che è del Papa»

di Gian Guido Vecchi


in “Corriere della Sera” del 12 ottobre 2012


La Chiesa nella tempesta, il peccato e la zizzania, «qualche volta abbiamo pensato: il Signore dorme...». Alle 21 Benedetto XVI s'affaccia alla finestra dell'Appartamento, sono passati cinquant'anni da quando Giovanni XXIII nel primo giorno del Concilio pronunciò il celebre discorso della luna, «date una carezza ai vostri bambini...», e alla fine anche lui saluta (quasi) allo
stesso modo, «oso far mie le sue parole», sorride e dice: «Andate a casa, date un bacio ai bambini e
dite che è del Papa!».

Ma il saluto di Ratzinger alla fiaccolata dei 40 mila, come nel '62, non è di circostanza. «Anch'io ero in piazza con lo sguardo a questa finestra, eravamo felici e pieni di entusiasmo, sicuri che dovesse venire una nuova primavera, una nuova Pentecoste. Anche oggi
siamo felici, ma di una gioia più sobria, umile». E accenna agli scandali e al male nella Chiesa: «In questi cinquant'anni abbiamo esperito che il peccato originale esiste e si traduce in peccati personali che possono diventare strutture di peccato, che nel campo del Signore c'è sempre anche zizzania, che nella rete di Pietro si trovano anche pesci cattivi, che la nave della Chiesa sta navigando anche con vento contrario in tempeste». Come i discepoli nel Vangelo, «qualche volta abbiamo pensato: il Signore dorme e ci ha dimenticato».

La mattina il Papa aveva parlato della «desertificazione
spirituale di questi decenni», invitando a tornare «alla lettera» del Concilio e annunciare il Vangelo. Perché «il Signore c'è e non ci dimentica», ha concluso la sera, «e dà calore ai carismi di bontà che
illuminano il mondo: Cristo è con noi e possiamo essere felici anche oggi».

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Commenti Articolo 727

Titolo articolo : GIOVANNI XXIII, IL DISCORSO DELLA LUNA, I TRE FILI DEL CONCILIO. A 50 anni dal Vaticano II, i cardinali Bruno Forte e Gianfranco Ravasi ricordano (su "Il Sole-24 ore"). I loro testi - con alcune note di "aggiornamento",a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/12/2012 - 12:51:45.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/10/2012 16.59
Titolo:UNA CHIESA "PER MOLTI", NON "PER TUTTI". Cinque note ...
IL SOGNO DI UNA "COSA" DI BENEDETTO XVI: UNA CHIESA "PER MOLTI", NON "PER TUTTI". Cinque note per un Convegno


CHIESA "PER MOLTI", NON "PER TUTTI"!!!

Per il Convegno "Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri" del 15 settembre 2912, cinque note a margine

di Federico La Sala *

1. LA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA HA ROTTO I PONTI CON IL MESSAGGIO EVANGELICO. A 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, bisogna prendere atto che il terribile è già accaduto: il "Lumen Gentium" è stato spento e, sulla cattedra di Pietro, siede il Vicario del Signore e Padrone Gesù ("Dominus Iesus": J. Ratzinger, 2000). Egli regna e governa in nome del suo Dio, Mammona ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006).

2. DIO E’ VALORE! Sul Vaticano, DAL 2006, sventola il "Logo" del Grande Mercante: "Deus caritas est" (Benedetto XVI, 2006)!!! Il papa teologo, ha gettato via la "pietra" su cui posava - in equilibrio instabile - l’intera Costruzione dela Chiesa cattolico-romana ("Deus charitas est": 1 Gv. 4.8).

3. TUTTO A "CARO-PREZZO" ("CARITAS"): QUESTO "IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO". QUESTO E’ IL NOSTRO VANGELO: PAROLA DI RATZINGER -BENEDETTO XVI, CARDINALI E VESCOVI TUTTI. IL "PANE QUOTIDIANO" DEL "PADRE NOSTRO", SI VENDE A "CARO PREZZO", MOLTO CARO (= "CARITAS")!!!

4. ULTIMA CENA ED ECONOMIA VATICANA. Benedetto XVI cambia la formula: «Il calice fu versato per molti», non «per tutti»!!!

5. IN PRINCIPIO ERA IL "LOGO"!!! SE UN PAPA TEOLOGO LANCIA IL "LOGO" DEL SUO DIO ("DEUS CARITAS EST") E TUTTI OBBEDISCONO, E NON VIENE RISPEDITO SUBITO A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO, DI COSA VOGLIAMO PARLARE DI AFFARI E DI MERCATO?! EBBENE PARLIAMO DI AFFARI, DI MERCATO, DI "MAMMONA", "MAMMASANTISSIMA", E DI COME I PASTORI ... IMPARANO A MANGIARE LE PECORE E GLI AGNELLI, E CONTINUANO A GOZZOVIGLIARE ALLA TAVOLA DEL LORO "DIO"!!! Avanti tutta, verso il III millennio avanti Cristo!!!

Federico La Sala

* Il Dialogo, Mercoledì 12 Settembre,2012

-http://www.ildialogo.org/Ratzinger/Interventi_1347523698.htm
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/10/2012 22.14
Titolo:LA VALLE. Né sudditi, né «società perfetta» ma popolo di Dio
Né sudditi, né «società perfetta» ma popolo di Dio

di Raniero La Valle (l’Unità, 7 ottobre 2012)

Se ricordare i 50 anni dall’inizio del Vaticano II consistesse nell’innalzare una nuvola d’incenso che nasconde il Concilio e poi lascia tutto come prima, le celebrazioni di questo anniversario sarebbero inutili e anzi dannose. Ricordare il Concilio vuol dire invece interrogarlo, chiedergli che cosa esso è stato e ancora può essere per la Chiesa e per gli uomini. E qui le domande sarebbero così tante, che a racchiudere le risposte non basterebbero tutti i libri del mondo, come con un’iperbole dicono i Vangeli della testimonianza di Gesù. Infatti il Concilio ha ricapitolato e reinterpretato tutta la tradizione di fede della Chiesa, e l’ha riproposta, «aggiornata», come diceva Giovanni XXIII, agli uomini di oggi in forme nuove, in quel «modo che la nostra età esige».

Dunque qui possiamo solo accennare ad alcune primissime domande; le altre ognuno potrà farle per conto suo.

La prima domanda è come il Concilio ha pensato la Chiesa. Esso poteva pensarla (come del resto appariva in quel tempo) come una piramide clericale col Papa intangibile al vertice, i vescovi come prefetti e i fedeli come gregge o come «sudditi». Invece l’ha pensata come una comunione di Chiese con al vertice il vescovo di Roma, unito però in un collegio con tutti gli altri vescovi, il cui mandato non deriva dal Papa, come se fossero suoi dipendenti o «collaboratori», ma direttamente da Dio. Quanto ai fedeli, non sono dei sudditi, ma un popolo (che per la cultura del nostro tempo non è formato da pecore, ma da sovrani).

La Chiesa non è poi una «società perfetta», al modo degli Stati, ma è una realtà umano-divina; e se come realtà umana si sa dove comincia e si sa dove finisce, come realtà divina rompe ogni frontiera e giunge ad abbracciare non solo tutte le Chiese oggi divise, ma anche uomini e donne di altre religioni e senza religione, perché tutti oggetto dell’amore di Dio. Sicché lo stesso concetto di popolo di Dio si allarga a comprendere potenzialmente, e non certo per un disegno egemonico, l’umanità tutta intera.

Un vescovo francese, monsignor Dubois, in Concilio lo spiegò così: «Il popolo di Dio, nel senso più pieno della parola, è la Chiesa, con tutti i battezzati; ma popolo di Dio è anche il popolo ebreo che nelle sue sinagoghe continua a leggere i testi di Isaia; popolo di Dio sono anche tutti quelli che credono in un Dio personale e che possono essere, sul piano umano, più morali di certi cristiani; ma popolo di Dio sono anche i ‘gentili’, i pagani (le genti) che non credono in Dio ma sono creati da Dio e ricevono la vita da lui; dunque tutti gli uomini sono di Dio e suo popolo». Insomma la Chiesa di Cristo, che «sussiste» ma non si esaurisce nella Chiesa cattolica, è l’umanità in cammino, la «carovana umana», come l’ha chiamata monsignor Dubois.

Ma se così stanno le cose, la Chiesa deve stare attenta a non trattare male questo popolo che sta anche fuori dei suoi confini visibili. E lo deve accettare con le sue istituzioni e culture, non solo quelle del Medioevo, ma anche quelle di oggi. Ed è proprio qui che, come ha detto Benedetto XVI in un suo famoso discorso alla Curia, la Chiesa del Concilio ha introdotto una discontinuità rispetto alla sua tradizione più recente, instaurando un nuovo rapporto con l’età moderna che fino al Concilio, da Galileo al Sillabo, era stata oggetto di aspre e radicali condanne da parte del magistero romano; è cambiato infatti l’atteggiamento della Chiesa rispetto a tre dimensioni fondamentali della modernità: il valore della scienza, il valore dello Stato con i suoi ordinamenti moderni, e il valore della libertà, che non è un’invenzione del liberalismo, ma è l’immagine stessa di Dio impressa nell’uomo.

In questo quadro la Chiesa ha ripensato anche la sua concezione dell’essere umano: non che sia arrivata a metterci dentro come si deve anche la donna, ma certamente ha approfondito e addolcito la sua antropologia, anche se ancora indistinta.

E questa è la seconda grande domanda che si può fare al Concilio: quale uomo? Senza dubbio il Concilio ha abbandonato l’antropologia che considerava l’umanità (a parte i cattolici) come una «massa dannata», per usare l’impietosa espressione di Sant’Agostino. Non è vero che, come si diceva, fuori della Chiesa visibile non c’è salvezza, e che perciò bisogna farci entrare tutti a tutti i costi.

La libertà religiosa («nessuno sia costretto, nessuno sia impedito») è più importante per il Concilio che il numero dei fedeli. Di conseguenza il Concilio ha fatto cadere la dottrina secondo la quale i bambini morti senza battesimo non vanno in paradiso, e restano privi di Dio. «Questa non è la fede delle nostre Chiese», dissero i vescovi in Concilio. Dio ama e vuole che tutti gli uomini siano salvi, figurarsi i bambini!

peccato originale

Di fatto l’antropologia del Concilio non si appella più alla dottrina del peccato originale per spiegare la condizione umana. Pur nella sua debolezza, l’uomo non è storpiato da quel primo peccato, non è stato punito da Dio con la morte (che altrimenti non ci sarebbe) e scacciato lontano finché il Cristo non venisse a salvarlo. Secondo il Concilio, Dio non ha scacciato nessuno, non si è pentito della creazione dell’uomo, ma anzi «dopo la caduta» non abbandonò l’uomo, ma sempre gli diede gli aiuti necessari alla salvezza, in vista di Cristo, che del resto era già all’opera, con lo Spirito, fin dal principio e prima del principio. Sicché il lavoro, la sessualità, i dolori dei parti, la fatica per procurarsi il cibo e anche la morte non sono la pena del peccato, sono l’umanità dell’uomo. È una buona notizia. Ma non era appunto compito del Concilio dare una «buona notizia», cioè l’Evangelo?
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/10/2012 12.51
Titolo:UNA "BERLUSCONEIDE". Ratzinger fa sue le parole del "Papa Buono": andate a casa...
- Sinodo, i mea culpa dei vescovi
- “Nella Chiesa arroganza e ipocrisia”

- di Marco Ansaldo (la Repubblica, 12 ottobre 2012)

L’ultimo mea culpa in ordine di tempo è venuto dal cosiddetto “papa nero”, il superiore dei gesuiti. «La nuova evangelizzazione - ha detto padre Adolfo Nicolas - deve imparare dagli aspetti buoni e meno buoni della prima evangelizzazione. Mi sembra che noi missionari non l’abbiamo fatto con la profondità richiesta. Abbiamo cercato le manifestazioni occidentali della fede, e non abbiamo scoperto in che maniera Dio ha operato presso altri popoli. E tutti ne siamo impoveriti». Il Sinodo sulla nuova evangelizzazione si è aperto domenica e in Vaticano la discussione è in pieno sviluppo.

Tra i vescovi prevalgono accenti autocritici. Monsignor Rino Fisichella, che del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione è il presidente, nel suo intervento ha detto: «Ci siamo rinchiusi in noi stessi. Mostriamo un’autosufficienza che impedisce di accostarci come una comunità viva e feconda che genera vocazioni, tanto abbiamo burocratizzato la vita di fede e sacramentale ».

Ancora più duro è l’arcivescovo filippino Socrates Villegas: «Perché in alcune parti del mondo c’è una forte ondata di secolarizzazione, una tempesta di antipatia o pura e semplice indifferenza verso la Chiesa? La nuova evangelizzazione richiede nuova umiltà. Il Vangelo non può prosperare nell’orgoglio. L’evangelizzazione è stata ferita e continua ad essere ostacolata dall’arroganza dei suoi agenti. La gerarchia deve evitare l’arroganza, l’ipocrisia e il settarismo. Dobbiamo punire quanti tra noi sbagliano, invece di nascondere gli errori».

Un altro big come il cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York e presidente della Conferenza episcopale Usa, rilancia l’importanza della confessione. «La risposta alla domanda “cosa c’è di sbagliato nel mondo?” non è la politica, l’economia, il secolarismo, l’inquinamento, il riscaldamento globale... No. Come scrisse Chesterton, “la risposta alla domanda cosa c’è di sbagliato nel mondo sono due parole: sono io».

Ieri i lavori del Sinodo si sono sospesi per la celebrazione dei 50 anni del Concilio Vaticano II. E alla sera Benedetto XVI ha sorpreso tutti, affacciandosi al balcone e pronunciando la stessa frase detta da Giovanni XXIII l’11 ottobre 1962 in quello che è passato alla storia come il “discorso alla luna”. «Alla fine oso fare mie - ha detto Joseph Ratzinger - le parole indimenticabili di Papa Giovanni: andate a casa e date una carezza ai bambini e dite che è del Papa».

«Anch’io sono stato in questa piazza 50 anni fa - ha poi dichiarato, anch’egli con parole suonate di critica alla Chiesa - quella sera eravamo felici, pieni di entusiasmo. In questi 50 anni abbiamo imparato che il peccato originale esiste e si traduce in peccati personali. Abbiamo visto che nel campo del Signore c’è sempre la zizzania, che nella rete di Pietro ci sono anche pesci cattivi, che la fragilità umana è presente anche nella Chiesa. Qualche volta abbiamo pensato che il Signore dorme e ci ha dimenticato». Nella messa al mattino, all’apertura solenne dell’Anno della fede, Ratzinger aveva detto che «nei decenni che ci separano dal Concilio è avanzata una desertificazione spirituale».

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Commenti Articolo 728

Titolo articolo : GALILEI, LA MATEMATICA, E LA CECITA' DI ODIFREDDI DINANZI A HEIDEGGER E RATZINGER. Due sue riflessioni - con una premessa e alcune note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/10/2012 - 16:10:19.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/10/2012 08.55
Titolo:L'INDICAZIONE CRITICA DI MAX BORN E LA LEZIONE DI KANT ...
LEZIONE CRITICA PER TUTTI (NON SOLO PER I FILOSOFI, MA ANCHE PER I MATEMATICI).

«I filosofi, muovendosi in mezzo al concetto di infinito senza l’ esperienza e le precauzioni dei matematici, sono come navi immerse nella nebbia in un mare pieno di scogli pericolosi, e ciononostante felicemente ignari del pericolo» (Max Born)

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ANTITETICA DELLA RAGION PURA

di Immanuel Kant *

Se Tetica è ogni insieme di dottrine dommatiche, io intendo per Antitetica, non affermazioni dommatiche del contrario, ma il conflitto di conoscenze secondo l’apparenza dommatiche (thesin cum antithesi), senza che si annetta all’una piuttosto che all’altra uno speciale diritto all’assenso.

L’Antitetica, dunque, non si occupa punto di affermazioni unilaterali, ma prende a considerare le conoscenze universali della ragione solo pel conflitto di esse tra loro e per le cause di tal conflitto. L’Antitetica trascendentale è una ricerca intorno all’antinomia della ragion pura, le sue cause e il suo risultato.

Quando noi rivolgiamo la nostra ragione non semplicemente, per l’uso dei princìpi dell’intelletto, agli oggetti dell’esperienza, ma ci avventuriamo ad estenderla al di là dei limiti di questa, allora vengon fuori proposizioni sofistiche, che dalla esperienza non possono né sperare conferma, né temere confutazione; ciascuna delle quali non soltanto è in se stessa senza contraddizione, ma trova perfino nella natura della ragione le condizioni della sua necessità; solo che, disgraziatamente, il contrario ha dalla parte sua ragioni altrettanto valide e necessarie di affermazione.

Le questioni che si presentano naturalmente in una tale dialettica della ragion pura, son dunque: 1) In quali proposizioni propria mente la ragion pura è soggetta inevitabilmente a una antinomia. 2) Su quali cause si fonda questa antinomia. 3) Se nondimeno, e in qual modo, alla ragione, in questo conflitto, resti aperta una via alla certezza.

Un teorema dialettico della ragion pura deve, dunque, avere in sé questo, che lo distingua da tutte le proposizioni sofistiche: che non concerna una questione arbitraria, che non si solleva se non per un certo scopo voluto, ma sia una questione siffatta, che ogni ragione umana nel suo cammino vi si deve necessariamente imbattere; e in secondo luogo, che così essa come la contraria porti seco non soltanto un’apparenza artificiosa, che, se uno l’esamini, dilegua tosto, ma un’apparenza naturale e inevitabile, che, quando anche uno non ne sia più ingannato, illude pur sempre, sebbene non riesca più a gabbare; e però può bensì esser resa innocua, ma non può giammai venire estirpata.

Una tale dottrina dialettica non si riferirà all’unità intellettuale di concetti d’esperienza, ma all’unità razionale di semplici idee, le cui condizioni - poiché primieramente, come sintesi secondo regole, essa deve accordarsi con l’intelletto, e pure, insieme, come unità assoluta di essa, con la ragione, - se essa è adeguata all’unità della ragione, saranno troppo grandi per l’intelletto, e se proporzionata all’intelletto, troppo piccole per la ragione; dal che deve sorgere un conflitto, che non si può evitare, donde che si prendano le mosse.

Queste affermazioni sofistiche aprono dunque una lizza dialettica, dove ogni parte cui sia permesso di dar l’assalto ha il disopra, e soggiace di sicuro quella che è costretta a tenersi sulla difensiva. Quindi anche i cavalieri gagliardi, s’impegnino essi per la buona o per la cattiva causa, sono sicuri di riportare la corona della vittoria, se badano solo ad avere il privilegio di dar l’ultimo assalto senza essere più obbligati a sostenere un nuovo attacco dell’avversario.

Si può facilmente immaginare, che questo arringo pel passato è stato abbastanza spesso corso, che molte vittorie sono state guadagnate da ambo le parti; ma per l’ultima, che decide la cosa, si è sempre badato che il difensore della buona causa tenesse solo il terreno, e così fosse impedito all’avversario di impugnare più oltre le armi. Come giudici di campo imparziali, dobbiamo mettere affatto da parte, se sia la buona o la cattiva causa quella che i combattenti sostengono, e lasciar che essi se la sbrighino prima tra loro. Forse, dopo essersi l’un l’altro più stancati che danneggiati, essi scorgeranno da se stessi la vanità della loro lotta e si separeranno da buoni amici.

Questo metodo di assistere a un conflitto di affermazioni, o piuttosto di provocarlo da sé, non per decidere alla fine in favore dell’una o dell’altra parte, ma per ricercare se l’oggetto di esso non sia forse una semplice illusione, che ciascuno vanamente s’affanna ad acchiappare, e in cui ei non può nulla guadagnare, quand’anche non gli si resistesse punto: questo metodo, dico, si può chiamare metodo scettico.

Esso è da distinguere del tutto dallo scetticismo, principio di una inscienza secondo arte e scienza1, che spianta le fondamenta d’ogni cognizione, per non lasciarle, possibilmente, in nessuna parte alcuna certezza e sicurezza. Giacché il metodo scettico mira alla certezza, in quanto cerca di scoprire in un tale combattimento, onestamente inteso da ambo le parti e condotto con intelligenza, il punto dell’equivoco, per fare come i saggi legislatori, che dall’imbarazzo dei giudici nell’amministrazione della giustizia ricavano per sé un ammaestramento intorno a ciò che di manchevole e non abbastanza determinato è nelle loro leggi. L’antinomia, che si rivela nell’applicazione delle leggi, è per la nostra limitata sapienza la maggior prova d’esame della nomotetica, per rendere così attenta la ragione, che nella speculazione astratta non s’accorge facilmente dei suoi passi falsi, ai momenti della determinazione dei suoi princìpi.

Ma codesto metodo scettico è essenzialmente proprio solo della filosofia trascendentale; e in ogni modo, può farsene a meno in ogni altro campo di ricerche, solo in questo no.

Nella matematica il suo uso sarebbe assurdo: poiché in essa non può restar nascosta e sfuggire all’occhio nessuna falsa affermazione, in quanto le dimostrazioni vi debbono sempre procedere al filo dell’intuizione pura, e mediante una sintesi sempre evidente.

Nella filosofia sperimentale può bene un dubbio sospensivo esser utile; se non che, nessun malinteso, almeno, è possibile, il quale non si possa facilmente tòr via, e ad ogni modo nell’esperienza devono in definitiva trovarsi gli ultimi mezzi della decisione del dissidio, presto o tardi che essi abbiano a rintracciarsi. La morale può dare tutti i suoi princìpi anche in concreto e insieme le conseguenze pratiche, almeno in esperienze possibili, e così evitare il malinteso dell’astrazione.

Per contro, le affermazioni trascendentali, che si arrogano vedute che si estendono al di là del campo d’ogni possibile esperienza, né si trovano nel caso che la loro sintesi astratta possa esser data in qualche intuizione a priori, né son tali che il malinteso possa esser scoperto mercé una qualche esperienza. La ragione trascendentale non ci permette dunque altra pietra di paragone che il tentativo d’un accordo delle sue affermazioni tra loro stesse, e quindi, prima, di una gara di combattimento tra loro, libera e senza ostacoli; e a questa gara al presente noi vogliamo dar corso.

*Immanuel Kant, Critica della Ragion Pura, Editori Laterza Bari 1966, vol. II, pp. 350-353.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/10/2012 16.10
Titolo:Da Einstein all’ultimo Nobel, se in classe il genio era un somaro ...
- Da Einstein all’ultimo Nobel, se in classe il genio era un somaro
- Spunta la pagella del biologo premiato a Stoccolma: “Un disastro”

- di Elena Dusi (la Repubblica, 10.10.2012)

PER togliersi il sassolino dalla scarpa ci ha messo 64 anni. Ma l’effetto è stato grandioso. Il Nobel per la Medicina John Gurdon, giudicato al liceo troppo stupido per fare lo scienziato, ha dedicato ieri al suo prof una frase pronunciata con un ghigno di vittoria: «Andavo a scuola. A 15 anni seguii il mio primo semestre di scienze. Il professore nel giudizio finale scrisse che la mia idea di questo mestiere era ridicola. Le sue frasi posero fine al mio rapporto con la scienza a scuola».

La pagella della Eton School è incorniciata e appesa nello studio di Gurdon a Cambridge: «Quando gli esperimenti non riescono, mi diverto a pensare che l’insegnante avesse ragione». Il giovane John nel 1949 aveva avuto il punteggio più basso fra i 250 ragazzi del corso di biologia. «È stato un semestre disastroso» scrisse l’insegnante. «Il suo lavoro è stato di gran lunga insoddisfacente. Impara male e i fogli dei suoi test sono pieni di strappi. In una prova ha preso il punteggio di 2 su 50. Spesso si trova in difficoltà perché non ascolta, ma insiste a fare le cose di testa sua. Ho sentito che Gurdon ha intenzione di diventare scienziato. Allo stato attuale, mi sembra una cosa ridicola. Se non può nemmeno imparare i fatti basilari della biologia, non ha chance di fare il lavoro di uno specialista. Sarebbe una pura perdita di tempo per lui e per quelli che dovranno insegnargli».

Quanto ad acume predittivo, il prof di Gurdon era in buona compagnia. Quello di Einstein scrisse: «Non arriverà mai da nessuna parte». E il padre della relatività sembrò dargli ragione quando a 16 anni fu respinto dal Politecnico di Zurigo. Ma non è vero che i suoi punti deboli fossero matematica e scienze, anzi. Einstein aveva voti bassi in francese, geografia e disegno. Peggio di lui Stephen Hawking, che degli anni universitari ricorda «la noia e la sensazione che non ci fosse nulla per cui valesse la pena sforzarsi». L’astrofisico inglese studiava non più di un’ora al giorno, non si sentiva dotato e confessò di aver imparato a leggere a 8 anni. Ma quando a 21 gli diagnosticarono la Sla, ha raccontato, ricevette una frustata: «Capii che sarei morto presto e che c’erano molte cose da fare prima ».

«Un ragazzo al di sotto degli standard comuni di intelletto » secondo i suoi insegnanti e «una disgrazia per sé e la famiglia» secondo suo padre. Charles Darwin, dopo un’esperienza disastrosa a medicina, fu apostrofato dal genitore così: «Non pensi ad altro che alla caccia e ai cani». Il giovane Charles fu indirizzato verso la carriera religiosa, ma per fortuna della teoria dell’evoluzione risultò un disastro anche lì. Di Thomas Edison a 8 anni il suo maestro disse che era «confuso ». Sua madre lo ritirò dalla scuola dopo tre anni per educarlo personalmente. Non scienziato ma politico, Churchill era secondo il maestro delle elementari «un costante disturbo, sempre pronto a ficcarsi in qualche guaio».

Il sistema educativo anglosassone non è il solo a soffocare i giovani geni. Margherita Hack in terza media fu rimandata in matematica e oggi ricorda: «Studiavo, ma il professore mi aveva preso in uggia. Tenevo sempre gli occhi bassi facendo finta di leggere qualcosa sotto al banco. Ma non avevo nulla, era solo uno scherzo. Un giorno lui si avventò su di me e trovò un giornale dentro alla cartella, che però era chiusa, arrabbiandosi moltissimo. Comunque è vero, la scienza studiata a scuola è molto diversa da quella che si affronta più tardi, come professione ». A disagio con matematica e scienza era anche Rita Levi Montalcini. Ma il futuro Nobel per la medicina attribuì le sue difficoltà al fatto che le medie Margherita di Savoia di Torino puntavano a formare brave spose e madri di famiglia. Non scienziate.
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La scuola, per loro un male necessario

di Piergiorgio Odifreddi (la Repubblica, 10.10.2012)

MA LASCIATA a se stessa rimane sicuramente animale. Con buona pace di Gibbon, è più probabile che la scuola sia sempre necessaria, eccetto nei casi in cui è dannosa. Le porte delle scuole devono dunque rimanere aperte a tutti, eccetto a chi è in grado di sviluppare un pensiero indipendente e di guardare al mondo con uno sguardo non convenzionale. Cercare infatti di imbrigliare una tale persona nel sapere comune può appunto tarpargli le ali, e impedirgli di sviluppare le proprie potenzialità. E se non lo fa, crea comunque un ostacolo contro il quale il genio si trova a scontarsi, a volte in maniera tragica e con risultati fatali.

È il caso di Évariste Galois, ad esempio, l’inventore dell’algebra moderna, che fu rifiutato per due volte all’Ècole Polytechnique per la sua incapacità di superare gli esami convenzionali, e morì in duello a vent’anni. Meno tragici, ma sempre emblematici, sono i casi di Albert Einstein ed Henri Poincaré, i due massimi fisici teorici del periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento, che trovarono entrambi molte difficoltà a scuola.

Naturalmente, un genio che non vada a scuola rischia di diventare un fenomeno da baraccone, con una cultura squilibrata e incompleta. Per questo la scuola dovrebbe cercare di «dare a ciascuno secondo i propri bisogni intellettuali, e pretendere da ciascuno secondo le proprie possibilità mentali». Ma chi potrebbe pensare e programmare una tale scuola, se non un genio? Cioè, una delle persone meno adatte a farlo?

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Commenti Articolo 729

Titolo articolo : SETTIMA GIORNATA PARMENSE DEL DIALOGO INTERRELIGIOSO,di La Comunità Bahá’í di Parma

Ultimo aggiornamento: October/10/2012 - 10:06:15.

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Autore Città Giorno Ora
Stefania Denti San Secondo Parmense 10/10/2012 10.06
Titolo:INFO
Scusate il mio ritardo: arrivo ad evento ormai sorpassato (anche se si tratta di un dialogo costantemente in auge).
Mi piacerebbe avere alcune informazioni, nello specifico, se questo tipo d'incontro, viene ripetuto ogni anno, nella medesima data (4 Novembre) e se è aperto a tutti coloro che abbiano intenzione di partecipare. Un'altra informazione: la partecipazione è libera, ad offerta o a pagamento?

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Commenti Articolo 730

Titolo articolo : IL PAPA, IL SUO EX MAGGIORDOMO, E IL GIORNALISTA. Gianluigi Nuzzi chiede solennemente al Santo padre di accordare la grazia al suo ex collaboratore e cerca di intervenire in aiuto dell'uno e dell'altro. Il suo testo - con alcune note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/08/2012 - 20:55:56.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/10/2012 19.50
Titolo:La corte e i cortigiani della Chiesa ... e il Regno di Dio
Il Regno di Dio e la corte della Chiesa

di Felice Scalia *

Il Regno di Dio è vicino: leggere nella fede l’espressione di Marco non è semplice. Prendo quella affermazione, che fa parte del nucleo centrale del messaggio di Gesù, nel senso che il Regno è possibile, accessibile all’essere umano, dato che Dio si è messo all’opera e non cessa mai di “lavorare” per la sua realizzazione. Alla luce del significativo abbandono della stessa parola Regno nel linguaggio ecclesiastico, e di quanto capita ai nostri giorni nella Chiesa e nella società, mi sembra arduo pensare ad una prossima, “vicina”, realizzazione del Regno o di un deciso cammino verso di esso. Resta la promessa, resta la certezza della sua possibilità come verità ultima dell’individuo e della storia, ma spiragli di realistica speranza se ne vedono pochi.

Punto fondamentale: la Chiesa di oggi, e il Dio che essa presenta, aiutano la creazione di un ambito di libertà che permetta una crescita delle persone in dignità e fratellanza? O la ostacolano? Liberano l’essere umano o lo imprigionano? Lo preparano ad essere libero figlio di un Dio innamorato dell’uomo, o figlio della paura e necessariamente nemico di ogni altro essere umano? In altri termini: aiutano od ostacolano la venuta del Regno? Sono segno del Regno di Dio o fanno pensare alla sacralizzazione del regno degli esseri umani?

Mi sembra di potere affermare che l’invocazione ad una “verità che libera”, il richiamo ad un regime di “grazia” e di libertà profonda fatto da Paolo, una liberazione dai legami della Legge, ecc. furono presto dimenticate dai cristiani e dalla stessa Chiesa gerarchica. A partire dalla “svolta costantiniana” la Chiesa non se la sente più di condannare il potere-dominio esercitato dai re e imperatori che si proclamavano cristiani. Nei secoli successivi non condannerà neppure l’assolutismo. Non le sarà mai facile ridimensionare il potere dell’uomo sulla donna, la società patriarcale e maschilista. Non tirerà mai le conseguenze pratiche del valore della coscienza come criterio ultimo-pratico delle scelte nella vita. La Chiesa condanna solo dettagli, eccessi, ma sostiene il sistema. In fondo, forse, era impossibilitata a farlo, dato che essa stessa ben presto era passata dal potere-servizio (essenziale clima del Regno) che costava sangue e vite umane, al potere-dominio portatore di privilegi, denaro, splendore di guardie armate, infallibilità, immunità, sotto la protezione di imperatori a tutto interessati eccetto che al Vangelo ed al suo annunzio di liberazione totale.

Non mi pare esistano storici giunti ad affermare che la Chiesa, custode del potere-servizio, non abbia mai ceduto alla seduzione del potere-dominio. Tentativi di ieri e di oggi di contestualizzare gli avvenimenti ce ne sono. Apologisti che si imbarcano in imprese perdute, pure. Del resto il lavoro di questi ultimi consiste nell’esporre il contesto storico e nell’evidenziare gli aspetti positivi anche di certi papati oscuri. Il fatto incontestabile che la tentazione del potere-dominio, del “primariato”, della grandezza, accompagna la Chiesa fin dal suo primo vagito, anzi si annida perfino in Gesù di Nazareth, alle prese con Satana nel deserto, con Pietro a Cesarea di Filippo, con la folla dopo la condivisione dei pani, questo fatto meticolosamente registrato dai Vangeli non può indurci a giustificare la libido dominandi presente nella Chiesa di ieri e di oggi. Non dice che le cose devono andare nel senso del cedimento alla tentazione, ma ci avverte che là andremo a finire se non si “vigila”.

La Chiesa è passata dal potere-servizio al potere-dominio per via di un processo di istituzionalizzazione che ha preso per modello i potenti di questo mondo. Societas perfecta si è autodefinita la Chiesa, allontanandosi piuttosto vistosamente da quella “ekklesia di Dio” (assemblea pubblica) con cui la comunità cristiana chiama se stessa a Gerusalemme. Così si è dotata di centralismo imperiale, di palazzi, leggi, tribunali, carceri, soldati, cursus honorum, carriere, privilegi, tanto denaro e quindi corruzione.

Il tutto per garantire l’annunzio del Vangelo e del “Regno” di Dio. Solo che i criteri di un “regno mondano” sono radicalmente opposti a quelli che strutturano il Regno di Dio. Qui amore, giustizia, pace, rispetto della dignità infinita di una persona, legame indissolubile tra fratelli, comune obbedienza alla Parola, cammino di purificazione per giungere alla pienezza della vita del Cristo nella propria carne, sono le caratteristiche di un popolo di fratelli che vanno verso la vita con ruoli diversi ma con uguale dignità. Nessuno è maestro di un altro, ma tutti obbedienti alla Parola ed alle sollecitazioni dello Spirito.

Nel regno degli esseri umani la sottomissione a chi comanda, l’intangibilità dei potenti, il dovere di sottostare a regole rigide anche quando imprigionano la vita, l’uso della coercizione e della forza, la rinunzia alla voce della propria coscienza, sono elementi portanti e, per certi versi, irrinunciabili. Una Chiesa centralizzata, un papa-re, un assolutismo dogmatico che prescinde dalla collegialità dei successori degli apostoli, trasformano inesorabilmente in potere-dominio quel potere-servizio che ci era stato donato.

Quando in una istituzione c’è una persona che ha un enorme potere perché occupa una posizione più elevata e centrale rispetto agli altri, si crea il “sistema della corte”. Chi in questa istituzione ha anche un ruolo dirigenziale, non agisce in nome proprio, ma dell’“unico signore” e da lui solo dipende per avere, conservare, difendere privilegi, status sociale e funzioni. Il signore unico distribuisce benefici materiali e spirituali, onore o disonore, può togliere o aumentare qualsiasi potere delegato. In questo sistema la minima sfumatura di umore o di parere nel signore ha un’enorme importanza per gli uomini di corte, per la loro sopravvivenza. Nelle corti è inutile cercare libertà di pensare e di proporre. Si ha un servilismo più o meno interessato, più o meno onesto. L’obiettivo irrinunciabile è stare in sella col signore, dunque difenderlo anche nell’indifendibile. I cortigiani possono essere tra loro ostili, ma la corte è massa. Il sistema di corte, con questa sua compattezza, con questa autogiustificazione quotidiana, non solo tende a difendere sempre se stesso, ma diventa maestro di vita per tutta la nazione. Chi pensa ed agisce diversamente dal signore e dai cortigiani è nemico del popolo e della stessa civiltà con cui la corte si identifica. In questo sistema il signore è l’unico potente in senso stretto, dunque non può non avere che sottomessi, servi. Nessuno uguale a lui, ma tutti sotto di lui. Chi aspira a crescere troppo è un nemico.

È difficile pensare che la Chiesa-istituzione possa essere pensata immune dai difetti del sistema della corte. Solo che bisognerebbe vigilare molto perché quando la Chiesa-mistero diventa Chiesa-istituzione, il mistero è in pericolo, minacciato dalla stessa istituzione. Quest’ultima non si preoccupa principalmente da fine per cui è nata (la custodia e la trasmissione del mistero cristiano) ma di se stessa, della propria sopravvivenza, del proprio onore. «Ahi, Costantin di quanto mal fu matre», dice Dante. La Chiesa centrata principalmente sull’istituzione rischia di abiurare a Dio e di adorare i nuovi vitelli d’oro derivanti dal potere-dominio. Gli uomini del sistema della corte credono di dovere rivendicare per sé il potere dell’onnipotenza del giudizio, del “potere delle chiavi”. Essi assolvono e condannano tutti gli altri. «Sederanno a giudicare le 12 tribù di Israele», dicono spesso di se stessi.

Sarà questo un «pensare secondo gli uomini e non secondo Dio». Peccato in cui cadono gli amici di Gesù Pietro e Giuda. Gesù si ribella a questi amici che «non pensano secondo Dio», che non vivono nello Spirito della verità-servizio (cfr Gv 14,15-21), siano essi al suo seguito o tra i capi. Per questo anche lui ha un sogno: una Chiesa libera dall’ipocrisia (basta con chi dice ma non fa), dalla vanità (niente preghiere e digiuni sulle piazze), dall’onnipotenza (nessuna persona che sia padrona di altre persone fino ad imporre fardelli insopportabili, e nutrire atteggiamenti severi e umilianti che fanno sentire giusti e grandi chi li commina). Lo abbiamo anche noi questo sogno perché come esseri umani e come credenti vogliamo dilatare cuori e polmoni alla speranza, vogliamo poter respirare. Ma quando nella Chiesa, di fatto, si accumulano ipocrisia, senso di onnipotenza, vanità, allora in essa «manca il respiro» dello Spirito e del Vangelo, come osserva Giorgio Campanini (Saverio Xeres e Giorgio Campanini, Manca il respiro. Un prete e un laico riflettono sulla Chiesa italiana, Ancora, Milano, 2012).

Per me, per noi, credere nel “Regno vicino” è credere che i sogni di Gesù sono come la sua Parola: “Non passeranno”. Sempre avremo il tormento dell’inquietudine di sapere che questo è possibile, desiderato dal profondo di ogni cuore umano, eppure rifiutato ogni giorno, ma ogni giorno disegnato e - almeno dalla ecclesia sancta, casta - costruito.

* Gesuita, teologo dell’istituto Ignatianum di Messina, impegnato nell’associazione "Nuovi orizzonti" (Messina)

* Adista Segni Nuovi n. 36 del 13/10/2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/10/2012 20.55
Titolo:E' TEMPO DI RIVOLUZIONE. Hans Küng fa appello ai preti e ai fedeli praticanti af...
Hans Küng

Il teologo cattolico invita alla rivoluzione per mettere fine all’autoritarismo della chiesa *

- Hans Küng invita al movimento dal basso per destabilizzare il papato e dare vita in Vaticano a riforme radicali

- Hans Küng: fa appello ai preti e ai fedeli praticanti affinché si oppongano alla gerarchia cattolica

- Uno dei più autorevoli teologi cattolici ha invitato alla rivoluzione dal basso per destabilizzare il papato e dare vita in Vaticano a riforme radicali.

- Hans Küng fa appello ai preti e ai fedeli praticanti affinché si oppongano alla gerarchia cattolica, che definisce corrotta, senza credibilità e lontana dai veri problemi del popolo.

In una intervista esclusiva al The Guardian, Küng, che è stato a stretto contatto con il papa quando collaboravan da giovani teologi, ha descritto la chiesa come un "sistema autoritario" paragonandlo alla dittatura tedesca durante il nazismo. "L’obbedienza incondizionata richiesta ai vescovi che giurano fedeltà al papa mediante la sacra promessa è tanto estrema quanto quella dei generali tedesci che erano obbligati a giurare fedeltà a Hitler", ha infatti affermato.

Il Vaticano ha inteso schiacciare qualsiasi forma di dissenso, ha aggiunto. "Le regole per la scelta dei vescovi sono talmente rigide che, non appena qualcuno accenna alla pillola contraccettiva, all’ordinazione delle donne, viene depennato". Il risultato è una schiera di "Yes men", quasi tutti allineati senza porre questioni. "La sola strada per la riforma è partire dal basso", dice il prete ottantaquattrenne Küng. "I preti e gli altri chierici che occupano funzioni di responsabilità devono smetterla di essere servili, di organizzarsi per affermare che certi argomenti semplicemente non si toccano".

Küng, autore di circa 30 libri su teologia cattolica, cristianesimo, etica, che hanno venduto milioni di copie in tutto il mondo, ha dichiarato che l’ispirazione per un cambiamento globale può arrivare dalla sua nativa Svizzera o dall’Austria, dove centinaia di preti cattolici hanno dato vita a movimenti che si oppongono apertamente alle attuali pratiche del Vaticano. I dissenzienti sono definiti pionieri anche da osservatori vaticani che li vedono come i probabili portatori di un profondo scisma nella chiesa. "Ho sempre detto che se nella diocesi un prete si desta, non conta nulla. Cinque creano agitazione. Cinquanta già sono praticamente invincibili. In Austria la cifra supera le 300 unità, fino anche a 400; in Svizzera ci sono 150 preti dissenzienti, e il numero è destinato a salire".

Ha dichiarato che i recenti tentativi dell’arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn, di stroncare la rivolta minacciando di punire quelli coinvolti nella iniziativa austriaca sono falliti per via della forza delle loro motivazioni. "Si è immediatamente fermato quando ha capito che molta gente comune li sostiene e sarebbe stato pericoloso inimicarsela", ha aggiunto Küng . Le iniziative mirano a sostenere richieste apparentemente banali come lasciare che i divorziati risposati ricevano la comunione, permettere ai laici di presiedere le liturgie e alle donne di acquisire ruoli chiave nella gerarchia. Tuttavia, poiché essi si oppongono all’insegnamento cattolico tradizionale, le richieste sono state categoricamente respinte dal Vaticano Küng, al quale è stato negato l’insegnamento della teologia cattolica da Giovanni Paolo II nel 1979 per aver messo in dubbio il concetto di infallibilità papale, è stato colui che ha riconosciuto all’allora Joseph Ratzinger il primo step nella gerarchia del cattolicesimo accademico quando lo ha chiamato all’Università di Tubinga, nel nord-ovest della Germania, ad insegnare teologia dogmatica nel 1966.

Per quattro anni i due hanno lavorato a stretto contatto, in qualità di giovani consiglieri, negli anni ’60 durante il Concilio Vaticano II - l’evento riformatore più importante nella chiesa a partire dal Medioevo. Ma il rapporto tra i due non è mai andato oltre, anche a causa delle divergenze politiche che creavano un divario incolmabile tra loro. L’impetuoso e passionale Hans Küng, per molti versi, ha spesso rubato la scena al serio e posato Joseph Ratzinger.

Küng fa riferimento alle leggende che abbondano sul conto suo e di Ratzinger fin dai giorni di Tubinga, non ultimi i racconti apocrifi di quando avrebbe dato un passaggio sulla sua "macchina rossa sportiva" ad un Ratzinger lasciato a piedi dalla bici. "Gli davo sempre un passaggio, specie su per le ripide colline di Tubinga, ma il resto è stato creato. Non ho mai avuto auto sportive, a parte un’Alfa Giulia. Lo stesso Ratzinger ha ammesso di non essere interessato alla tecnologia né tanto meno aveva conseguito una patente di guida. Ma tutto questo è stato spesso tramutato in una specie di metafora idealizzando il "ciclista" contro lo scapestrato "Alfista".

Stando a Küng, infatti, ll’immagine del futuro papa, modesto e prudente ciclista, ora 85enne, ha dominato per anni e ancora oggi è tutt’altro che scemata fin dall’elezione del 2005. "Ha sviluppato una speciale pomposità che non si addice all’uomo che sia io che altri avevamo conosciuto, quello che girava col baschetto in testa ed era pieno di modestia. Ora lo vediamo spesso ricoperto di vesti dorate e splendenti. Di sua sponte indossa la corona di un papa del XIX secolo e si è fatto rifare le vesti del papa Leone X Medici"."

Questa pomposità si manifesta al meglio durante le udienze periodiche in Piazza S. Pietro a Roma. "Queste adunanze hanno dimensioni stile corazzata Potemkin. Gente fanatica si reca in piazza per celebrare il papa e per dirgli quanto è fantastico, mentre le loro stesse parrocchie versano in condizioni preoccupanti, con mancanza di preti, sempre più persone che si allontano rispetto a quante ne vengono battezzate e ora il cosiddetto Vatileaks, che evidenzia in che stato si trovi l’amministrazione del Vaticano", ha detto Küng con riferimento allo scandalo sui documenti segreti trapelati, che hanno rivelato lotte di potere interne al Vaticano e hanno visto l’ex maggiordomo del papa comparire in tribunale. Il processo terminerà sabato.

E’ stato proprio a Tubinga che le strade dei due teologi si sono incrociate per alcuni anni prima di divergere enormemente a seguito delle rivolte studentesche del 1968. Ratzinger rimase scioccato dagli ieventi e fuggì verso la relativa sicurezza della nativa Baviera, dove ha approfondito il suo coinvolgimento nella gerarchia cattolica. Küng restò a Tubinga e assunse sempre più il ruolo dell’"enfant terrible" della Chiesa Cattolica. "Le rivolte studentesche furono un vero e proprio shock per Ratzinger dne divenne sempre più conservatore e simpatizzante della gerarchia ecclesiastica", sostiene Küng.

Dopo aver definito quello di Benedetto XVI un "pontificato di opportunità mancate" in cui ha perso l’occasione di riconciliazione con le fedi protestante, ebraica, ortodossa e musulmana, così come ha mancato di sostenere la lotta all’Aids in Africa non concedendo l’utilizzo dei sistemi di controllo delle nascite, Küng sostiene che lo "scandalo più grave" sia la copertura a livello mondiale dei casi di abusi sessuali commessi dai chierici durante il suo incarico di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, come Cardinale Ratzinger.

"Il Vaticano non è diverso dal Cremlino. Come Putin in qualità di agente segreto è diventato il capo della Russia, così Ratzinger, in qualità di capo dei servizi segreti della Chiesa è diventato capo del Vaticano. Non ha mai chiesto perdono per i molti casi di abusi sessuali posti sotto secretum pontificium e non ha mai riconosciuto questo problema come il maggior disastro della Chiesa Cattolica". Küng ha descritto quello Vaticano come un processo di "Putinizzazione".

Comunque, nonostante le differenze, i due sono rimasti in contatto. Küng ha fatto visita al papa durante le ferie estive a Castel Gandolfo nel 2005, occasione nella quale i due hanno discusso per circa quattro ore.

"Sembrava che avessimo lo stesso passo. Dopotutto siamo stati colleghi per anni. Abbiamo camminato nel parco e ci sono stati momenti in cui ho pensato che potesse cambiare idea su certi punti, ma non lo fece. Da allora ci siamo scritti, ma mai più incontrati".

Küng ha viaggiato in lungo e in largo nella sua vita, familiarizzando con chiunque, dai leader iraniani a John F. Kennedy a Tony Blair, col quale ha costruito uno stetto legame circa dieci anni fa, diventando una sorta di guru spirituale per l’allora primo ministro britannico prima della sua decisione di convertirsi al cattolicesimo.

"Sono rimasto colpito dal modo con cui ha affrontato il conflitto del’Irlanda del Nord. Ma poi è arrivata la guerra in Iraq e sono rimasto colpito dal modo con cui ha collaborato con Bush. Gli ho scritto definendo il gesto un fallimento storico di prim’ordine. Mi scrisse una nota a mano in risposta, dicendo che mi ringraziava e rispettava il mio punto di vista, ma che stava agendo secondo coscienza senza voler in alcun compiacere gli americani. Ero stupito che un primo ministro britannico potesse compiere un errore tanto catastrofico e resta per me un fatto tragico." Ha descritto la coversione al cattolicesimo di Blair come un errore, sostenendo che avrebbe potuto usare il suo ruolo pubblico per rinconciliare le differenze tra gli anglicani e la Chiesa Cattolica nel Regno Unito.

Dal suo studio colmo di libri, in cui troneggia un ritratto di S. Tommaso Moro, martire cattolico inglese del XVI secolo, Küng guarda fuori nel suo girdino alla statua di due metri che lo raffigura. I critici hanno definito la cosa sintomatica del suo auto-compiacimento. Sembra imbarazzato mentre spiega come la statua sia un regalo dei vent’anni da parte dell’associazione Stiftung Weltethos (Fondazionie per l’Etica Globale) che opera da casa sua e continuerà a farlo dopo la sua morte.

Lungi dal mettere un freno alla sua prolifica produzione teologica, Küng di recente ha commutato le idee di Weltethos - che cerca di creare un codice globale di comportamento, una globalizzazione dell’etica - in un estemporaneo libretto musicale. Mischiando la narrativa con sollecitazioni dal confucianesimo, induismo, buddismo, giudaismo e cristianesimo, gli scritti di Küng sono stati inseriti in un’opera sinfonica del compositore inglese Jonathan Harvey che vivrà la sua prima londinese domenica al Southbank Centre.

Küng sostiene che l’opera musicale, come la fondazione, rappresenta un tentativo di enfatizzare ciò che le religioni del mondo hanno in comune in barba a ciò che le divide.

Weltethos è stata fondata nel 1990 per unire le religioni del mondo, sottolineando le parti comuni e non le differenze. Ha istituito un codice di norme comportamentali che si spera un giorno possano essere universalmente riconosciute dalle Nazioni Unite.

L’obiettivo dell’opera è certamente imponente - Harvey ha parlato di "timore reverenziale" nello scrivere una partitura per il testo. Ma Küng, che ha guadagnato il sostegno di figure importanti come Henry Kissinger, Kofi Annan, Jacques Rogge, Desmond Tutu, Mary Robinson e Shirin Ebadi, insiste nel dire che il suo scopo è carpire le esigenze dal basso. "In un tempo di cambiamenti nel paradigma mondiale, abbiamo bisogno di uno schema di principi comuni, tra questi com’è ovvio la Regola d’Oro, secondo la quale Confucio insegnò a non imporre agli altri ciò che non si augurerebbe a se stessi."

- Traduzione di Stefania Salomone

* Il Dialogo, 08.10.2012.

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Commenti Articolo 731

Titolo articolo : UN QUADRO SBILENCO, UNA VISIONE DISTORTA DI DIO, DELLE DONNE E DEGLI UOMINI. Un'intervista alla biblista Anne Soupa - di Philippe Clanché,,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/08/2012 - 18:40:39.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/10/2012 18.04
Titolo:“Koyaanisqatsi: life out of Balance”
Nella lingua degli americani Hopi: “koyanisquatsi è "la vita priva di equilibrio”. Su questa parola ha richiamato l’attenzione, nel 1984, il regista Godfrey Reggio, con il suo importante film e la sua accorata denuncia per la vita stessa sul e del pianeta - con musiche di Phillip Glass - intitolato proprio “Koyaanisqatsi: life out of Balance”).


Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/10/2012 13.18
Titolo:Dossetti sosteneva la necessità di una ricerca teologica ....
L’impatto sulla società liquida

di Aldo Maria Valli (Europa, 6 ottobre 2012)

Non entrerò nella polemica circa la contrapposizione tra ermeneutica della continuità ed ermeneutica della discontinuità. Mi sembra una discussione piuttosto sterile e francamente poco appassionante. Entrambi i fronti hanno qualche ragione. Il Concilio, come ha detto Benedetto XVI, non può essere considerato una nuova costituzione che revoca la vecchia. Intanto perché la chiesa cattolica non è un regime politico, e poi perché per la Chiesa l’unica “costituzione” è il Vangelo, e il Vangelo non è certamente né revocabile né emendabile. D’altra parte chi sostiene l’ermeneutica della discontinuità ha ragione nel sottolineare che con il Concilio Vaticano II si è aperta una pagina tutta nuova («una transizione epocale e una svolta profonda», l’ha definita il cardinale Roberto Tucci) all’insegna di profondi cambiamenti, come la valorizzazione del ruolo dei laici e la riscoperta della Scrittura.

Con il Vaticano II la Chiesa esce dalla dimensione dogmatica, volta a stabilire verità ed errori nel segno dell’assoluto e dell’indiscutibile, ed entra nella dimensione pastorale, volta a trovare il modo di porgere e trasmettere meglio i contenuti della fede agli uomini e alle donne del tempo. Non si può capire il Concilio se non si tiene conto della sua essenza pastorale. Infatti, non a caso, faticano a capirlo i tradizionalisti, legati al carattere dogmatico del messaggio cristiano.

Con il Concilio la chiesa cattolica, consapevole di non vivere più in regime di cristianità diffusa e scontata, ma in un mondo che prende direzioni molto diverse e a volte opposte rispetto al messaggio evangelico, scopre se stessa come pellegrina e quindi missionaria: una realtà che vive in mezzo al mondo, nel confronto costante con tutte le altre realtà. E proprio perché pellegrina non pensa più se stessa come istituzione rigida, come organizzazione strutturata attorno ad alcuni principi immutabili, ma come popolo in cammino, come autentica ecclesia, comunità di persone. Una comunità che, essendo in cammino, non passa al di sopra delle realtà circostanti, ma vi è mescolata, e non guarda con spirito di superiorità alle difficoltà e ai limiti del resto del mondo, ma vi prende parte, attraverso uno stile misericordioso. Il Concilio si mette alle spalle la Chiesa dei grandi sacerdoti, che giudicano stando al di fuori e al di sopra delle sofferenze e dei peccati del mondo, e valorizza la Chiesa samaritana, che si piega sul dolore del bisognoso e se ne prende cura concretamente, in nome della comune umanità.

Ci sono anche rughe sul volto del Concilio. E la principale consiste forse nel suo modo di porre la questione del rapporto con il mondo. Quando Giovanni XXIII annunciò il Concilio la nozione di “mondo” era di gran lunga più semplice, meno articolata, di quella odierna. Limitandoci al mondo di cultura cristiana, quando i padri conciliari parlavano del mondo avevano in mente una realtà che si stava certamente allontanando, già allora, dalla fede, ma era ancora imbevuta di tradizioni e valori cristiani. Era un mondo più compatto, meno complicato, meno differenziato. Nessuno allora avrebbe mai immaginato, per descrivere il mondo, di ricorrere all’espressione di Zygmunt Bauman: “società liquida”. Il mondo stava cambiando, ma era ancora leggibile attraverso le vecchie logiche. Era ancora unitario, mentre oggi siamo in piena frammentazione. E lo stesso mondo ecclesiale era qualcosa di molto meno complesso rispetto all’oggi.

Il mondo al quale si riferisce il Concilio, con un entusiasmo che oggi ci può legittimamente apparire ingenuo, può anche far paura (come nel caso del rischio atomico), ma è ancora comprensibile, anche sul piano morale. In quel mondo le nozioni di bene e male, di buono e cattivo, sono ancora largamente condivise. Esiste ancora un soggetto che osserva e giudica. Ma oggi tutto è messo in discussione. Basti pensare all’avvento della realtà virtuale, per cui è sempre più difficile definire persino il concetto di esperienza personale Come confrontarsi con questo mondo che sfugge come l’acqua, questo mondo così inafferrabile da non poter nemmeno essere descritto con i vecchi linguaggi?

Il problema, oggi come allora, non sta nelle strutture, ma nel rinnovamento spirituale: nel volto della Chiesa deve risplendere il volto di Cristo. Ovviamente è più facile cambiare le strutture. Molto più difficile è spogliarsi di quello che monsignor Casale chiama «un modo improprio di essere e di sentirsi Chiesa». Occorre ritornare sempre al Vangelo. Occorre rendersi conto del fatto che anche la questione delle strutture, e in primo luogo della curia romana, è problema teologico, non amministrativo. Non a caso Giuseppe Dossetti sosteneva la necessità di una ricerca teologica a sostegno di un’autentica riforma.
Autore Città Giorno Ora
ugo agnoletto ponte della priula 08/10/2012 18.40
Titolo:siamo appena agli inizi
il Concilio Vaticano II ha aperto la strada a quello che temevano coloro che avevano condannato Galileo. E cioè: se si incomincia a dire che la Chiesa ha sbagliato su qualcosa, si apre una breccia che non finisce più. Infatti la gente oggi non crede più al 100% al papa che vorrebbe un cattolicesimo granitico. Quindi oggi tutto è possibile nella chiesa.

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Commenti Articolo 732

Titolo articolo : Come ricorderemo la Shoah quando se ne sarà andato anche l’ultimo testimone?,di David Bidussa

Ultimo aggiornamento: October/07/2012 - 12:14:15.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/10/2012 12.14
Titolo:DOC.: STRAGE DI STAZZEMA. LA MEMORIA NON SI ARCHIVIA ....
La memoria non si archivia

di Enzo Collotti (il manifesto, 3 ottobre 2012)

La sentenza con la quale la magistratura di Stoccarda ha disposto l’archiviazione del procedimento contro gli appartenenti al reparto delle Watten-Ss imputati della strage di Sant’Anna di Stazzena e già condannati dalla giustizia italiana ripropone vecchi interrogativi e ne apre di nuovi sia sul terreno tecnico sia dal punto di vista etico e politico. Si presenta anzitutto un conflitto tra magistrature: è possibile che la magistratura tedesca non sia in grado di accertare quanto appurato dai giudici italiani? La difformità di valutazioni, a parte produrre le conclusioni abnormi che sono sotto gli occhi di tutti, rischia di incrinare ogni fiducia delle popolazioni nei confronti della giustizia.

Poiché non è la prima volta che questo accade, nella prospettiva di una unione europea segnala a dir poco una incongruenza che richiede sicuramente un intervento riparatore. Come si può pensare che, indipendentemente dalla dimostrazione delle responsabilità dei singoli militari delle Waffen-Ss, la popolazione dell’area teatro della strage prenda per buona l’ipotesi di essere stata vittima di un’azione non premeditata? L’archiviazione giudiziaria non archivia la memoria e rischia di inasprire ferite che solo con una lenta opera di riconciliazione, di cui sono stati e sono protagonisti anche cittadini e politici tedeschi, erano e sono in via di superamento.

Ma c’è ancora un altro versante del discorso che va considerato. Il conflitto tra la giustizia e la storia. Risulta veramente strano che la magistratura di Stoccarda, alla luce dell’esperienza pluridecennale della giustizia tedesca con crimini commessi dai nazisti in Europa non sia in grado di inquadrare la strage di Sant’Anna nel suo contesto storico. È ben vero che il giudice deve provare le responsabilità individuali ma è altrettanto incontestabile che queste si collocano all’interno di precisi contesti.

Il giudice non è tenuto a compiere lui un’indagine storica, ma certo è tenuto a non ignorare che esiste un’ampia letteratura che può aiutarlo a valutare. Che una strage di centinaia di persone, con centinaia di vittime tra donne e bambini, non gli suggerisca che di ben altro si trattava che non di caccia ai partigiani, è un fatto che non denota insufficienza di informazioni ma piuttosto l’inadeguatezza (per non dire l’incompetenza) del giudice.

La politica delle stragi non è un’invenzione della storiografia, fece parte della strategia della Wehrmacht, e non solo delle Ss, nel tentativo di controllare i territori occupati dell’Europa intera e di intimidire le popolazioni insofferenti dell’oppressione dei nazisti e dei loro collaboratori. Nel caso dell’Italia, la brutalità delle violenze naziste dopo l’8 settembre 1943 non fu soltanto reazione alla secessione dal conflitto dell’alleato fascista, fu tra le opzioni tattiche strategiche adottate per superare le difficoltà del controllo del territorio.

La guerra ai civili non è stata studiata soltanto da storici italiani, su di essa hanno attirato l’attenzione studiosi tedeschi - da Friedrich Andrae a Gerbard Schreiber, a Luiz Klinkhammer: essa caratterizzò la fase più acuta della campagna d’Italia, quando i tedeschi pensavano di non avere più nulla da perdere.

Se i giudici di Stoccarda avessero tenuto presente questo contesto certo non sarebbe sfuggito loro che l’eccidio di Sant’Anna non era avvenuto per caso. Quali che possono essere le cause che hanno reso ulteriormente difficile la valutazione di questo caso - e certo i colpevoli ritardi della giustizia italiana causati dall’armadio della vergogne vanno messi nel debito conto - il comportamento della magistratura tedesca risulta inspiegabile. Per le popolazioni direttamente colpite suona come la capitolazione di fronte all’inesplicabilità della storia e alla viltà di uomini che oggi mentono senza scrupoli come senza scrupoli allora ammazzarono.

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- Strage di Stazzema
- Il debito immenso che la Germania nega

- di Furio Colombo (il Fatto, 07.10.2012)

Un gentile ministro tedesco di passaggio da Palazzo Chigi ha voluto porre un rimedio alla sentenza del Tribunale di Stoccarda che ha deciso di non poter processare i superstiti responsabili del massacro di Sant’Anna di Stazzema con le parole: “Mancano le prove”. L’intero processo di Norimberga avrebbe potuto concludersi così. Ha detto il ministro come per rassicurarci: “La legge non cancella Storia”. Ma la Storia trascina pesi, rinfaccia debiti. In un’epoca come questa “debito” è la parola chiave.

È possibile che Spagna e Italia meritino diffidenza per lo stato della loro economia e (come nel caso italiano) per l’ammontare troppo grande del debito. È possibile che questi sguardi sospetti e - a momenti - decisamente ostili e non privi di compatimento e di un disprezzo appena velato dalle buone maniere, vengano dalla Germania, Paese definito spesso “virtuoso” a causa dei conti in ordine e della produzione ben organizzata che continua a fare profitto. È bene ricordare che prima viene la Grecia ad aprire la lista nera di coloro che hanno troppi debiti non pagati e forse non pagabili. La Grecia, considerata ormai, senza tanti riguardi, un Paese non rispettabile da una Unione europea del tutto sottomessa al rigore tedesco dei conti in ordine. Sicuri che Berlino abbia i conti in pari?

Qui cominciano due discorsi. Il primo porta domande senza risposta sul carattere che l’Europa dovrebbe avere e mostrare. Come mai la voglia di punizione e di espulsione prevale oggi con tanta forza sulla ricerca, per quanto difficile, di soluzioni? Perché è più facile e normale e frequente sentire parlare della “fine della Grecia” piuttosto che di un patto comune per salvarla e trattenerla in Europa? L’altro discorso porta a un’altra domanda, che stranamente non viene mai posta (anche perché tutto lo spazio e il tempo è occupato da lodi e glorificazioni): davvero la Germania non ha debiti? E se li ha avuti, li ha pagati? Questo non è un modesto e maldestro tentativo di sviare il discorso in difesa di economie sgangherate. Purtroppo riguarda fatti ed eventi realmente accaduti, persone realmente esistite e realmente eliminate con crudeltà, con violenza e in massa.

Un fatto è appena accaduto. Una Corte tedesca (Stoccarda) ha rifiutato di considerare come avvenuto e come tedesco il massacro di Sant’Anna di Stazzema (uomini, donne, molti bambini, il prete, tutti uccisi davanti alla chiesa) perché “mancavano le prove”, ovvero non era stata rilasciata ricevuta per quel debito senza senza limiti, e non c’era dunque ragione di considerare qualcuno come responsabile.

Negli stessi giorni, i giorni in cui in Italia è morto Shlomo Venezia, per anni operaio gratuito (il compenso: restare provvisoriamente in vita) nella fabbrica della morte detta Auschwitz Birkenau, un sopravvissuto che solo adesso, morendo, ha finito di raccontare la sua storia pazzesca, il deputato Emanuele Fiano ha informato il Parlamento italiano di questo evento: “Mi ferisce in maniera indicibile, a me che sono figlio di un sopravvissuto di Auschwitz, che si possa permettere, in questo Paese, che un sito neonazista, nella giornata di ieri, in concomitanza con la morte di Shlomo Venezia, abbia potuto aprire una pagina dedicata alla festa per la sua morte”. Questo squallido episodio dimostra ancora una volta che il danno prodotto nella vita e nella cultura europea dai vuoti e dalle negazioni della storia è altrettanto grave quanto i delitti compiuti negli anni spaventosi della persecuzione e della guerra.

Per esempio, a pochi chilometri da quella festa, appena un po’ prima dell’evento nazista, si può trovare la rappresentazione fisica di un estremismo più psichico che politico: il monumento-mausoleo di un grande criminale di guerra e di strage, il generale Rodolfo Graziani. L’episodio è moralmente indecente, storicamente assurdo, ma anche frutto di corruzione. Il monumento a Graziani, infatti, è stato pagato con fondi illecitamente ottenuti dalla Regione. È ciò che ci ha fatto giudicare corrotti e non affidabili, fino a poco fa, in Europa. È qui che torniamo al debito, e al senso del debito della Germania.

Quando il Tribunale di Stoccarda, il tribunale di un Paese rispettato che fa da motore a questa Europa, nega, con il peso della sua credibilità e del suo prestigio, che sia accaduta la strage di Sant’Anna di Stazzema, non nega solo un episodio fra tanti di una guerra crudele e terribile. Nega il suo immenso debito e stabilisce una distanza pericolosa. La bella e moderna Germania di oggi non deve, non può sfiorare quel passato senza rendersi conto di quanto sia grave evocare un debito mai saldato, e rifiutare di saldarlo, sia pure, ormai, solo come gesto simbolico. Meglio essere amico degli amici ritrovati e tentare insieme la salvezza di tutti.

_____________________________________________________________________

- La confessione dell’ex SS “È vero, uccisi 25 donne”
- Ma per la strage di Sant’Anna di Stazzema la Germania lo ha assolto

- «Non può finire così: da noi le condanne sono state confermate in Appello e in Cassazione»
- "Svuotai un’intera cartuccera. Erano solo donne, donne di ogni età"

- di Niccolò Zancan (La Stampa, 07.10.2012)

Eppure c’è chi ha ammesso. Parola per parola. Orrore su orrore. «Verso la parte terminale del pianoro, dove ricominciava la salita, vi erano due case. Si trattava di case piuttosto piccole, erano rivestite in muratura, ma avevano un aspetto misero. Di fronte a queste case, sedevano in cerchio circa 25 donne».

Questa è la voce di Ludwig Göring nato a Itterbash, Germania, il 18 dicembre 1923, tornitore di casse d’orologio in pensione. Ma, soprattutto, «impiegato alla mitragliatrice» nelle Waffen SS come da dizione giudiziaria tedesca durante la seconda guerra mondiale. E quello che ha messo a verbale davanti alla procura della Repubblica di Stoccarda - e poi anche davanti alla procura militare italiana - è il suo ricordo della strage di Sant’Anna di Stazzema. L’avevano chiamata «operazione antipartigiani». Dopo la notte trascorsa vicino a La Spezia, si ritrovarono di fronte a quelle donne disarmate.

«L’ufficiale di grado più elevato era molto impaziente - racconta Göring - ci sollecitò a fare presto. Urlò: “Posizionare la mitragliatrice! ”. Dopo l’ordine di fare fuoco, sparai sulle donne. Durò pochissimo. Tre uomini cosparsero di benzina i cadaveri e vi appiccarono il fuoco. Improvvisamente vidi che dalla catasta in fiamme si levava correndo un bambino, un ragazzo di circa 10-11 anni, che si allontanò subito di corsa, scomparendo dietro la scarpata che distava circa tre metri. Non avevo visto prima il bimbo. Neanche mentre sparavo avevo notato che vi fosse un bambino con le donne».

Ha ammesso in piena consapevolezza, di fronte al preciso avvertimento avanzato dal procuratore generale Bernard Häubler: «Al testimone si fa rilevare che, qualora sostenga di aver sparato, diviene indiziato di concorso di omicidio e potrebbe rendersi perseguibile per concorso in omicidio doloso semplice o omicidio doloso grave». Ludwig Göring risponde così: «Devo parlare, non importa cosa accadrà. Ora voglio dire la verità. In quello spiazzo si trovava una sola mitragliatrice, azionata da me e dall’artigliere addetto alle munizioni... Ero consapevole che una simile fucilazione era proibita. Ma non avevo scelta: un ordine è un ordine».

C’è, dunque, un reo confesso. Eppure il 1° ottobre anche la posizione di Ludwig Göring è stata archiviata dalla Procura di Stoccarda, insieme a quella degli altri soldati nazisti indagati per la strage del 12 agosto 1944, in cui furono trucidati 560 innocenti. Una sentenza che il presidente Giorgio Napolitano ha definito «sconcertante». E che si è basata, per quanto si è potuto capire, proprio sull’impossibilità di ricondurre le singole azioni criminali a precise responsabilità individuali. E invece ci sono i ricordi lucidi del caporalmaggiore Göring, c’è la sua mano che spara: «Quella mattina la mia compagnia si mise in marcia compatta. Si recò sui monti, formando una linea di fucilieri. La distanza fra i soldati era di circa 10 metri. Io trasportavo la mitragliatrice».

A un certo punto fa addirittura un disegno, indica le posizioni: il pianoro, il bosco, le donne costrette a sedersi in cerchio. Aggiunge: «Stavamo a cinque metri da loro. Tutti spararono. Io svuotai un’intera cartucciera, che non fu ricaricata. Altri soldati spararono con il mitra... Erano solo donne, donne di ogni età, ma non le osservai in modo dettagliato... Mentre ci allontanavamo, i cadaveri stavano ancora bruciando». Gli chiedono: «Ha mai parlato con qualcuno di questi fatti dopo l’accaduto? ». Göring risponde: «Sì, circa quattro settimane fa con mia moglie. Quando ricevetti la convocazione della Procura, me ne chiese il motivo». Gli domandano: «Perché adesso è disposto a raccontare questi accadimenti? ». E lui: «Perché li ho sempre davanti agli occhi, in continuazione, da quando sono accaduti. E specie da quando si parla in televisione di attacchi terroristici, questi fatti mi tornano alla mente. Non riesco a liberarmene».

Il verbale è datato 25 marzo 2004. Una ricostruzione confermata successivamente anche davanti al capo della procura militare italiana, Marco De Paolis. Per la stessa strage ha ottenuto dieci condanne. «Senza mancare di rispetto a nessuno - spiega adesso - non può finire così. C’è qualcosa che stride. Da noi la sentenze di condanna sono state confermate in appello e in Cassazione. E tutte si sono basate su prove documentali e testimoniali». Anche sulla confessione tardiva del caporalmaggiore Göring.

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Commenti Articolo 733

Titolo articolo : NON PERDEREMO LA MEMORIA! ADDIO A SHLOMO VENEZIA. Gli interventi di Furio Colombo, Oreste Pivetta, ed Elena Loewenthal,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/07/2012 - 12:10:45.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/10/2012 12.10
Titolo:LA SENTENZA DELLA MAGISTRATURA DI STOCCARDA E LA STRAGE DI STAZZEMA.
- Strage di Stazzema
- Il debito immenso che la Germania nega

- di Furio Colombo (il Fatto, 07.10.2012)

Un gentile ministro tedesco di passaggio da Palazzo Chigi ha voluto porre un rimedio alla sentenza del Tribunale di Stoccarda che ha deciso di non poter processare i superstiti responsabili del massacro di Sant’Anna di Stazzema con le parole: “Mancano le prove”. L’intero processo di Norimberga avrebbe potuto concludersi così. Ha detto il ministro come per rassicurarci: “La legge non cancella Storia”. Ma la Storia trascina pesi, rinfaccia debiti. In un’epoca come questa “debito” è la parola chiave.

È possibile che Spagna e Italia meritino diffidenza per lo stato della loro economia e (come nel caso italiano) per l’ammontare troppo grande del debito. È possibile che questi sguardi sospetti e - a momenti - decisamente ostili e non privi di compatimento e di un disprezzo appena velato dalle buone maniere, vengano dalla Germania, Paese definito spesso “virtuoso” a causa dei conti in ordine e della produzione ben organizzata che continua a fare profitto. È bene ricordare che prima viene la Grecia ad aprire la lista nera di coloro che hanno troppi debiti non pagati e forse non pagabili. La Grecia, considerata ormai, senza tanti riguardi, un Paese non rispettabile da una Unione europea del tutto sottomessa al rigore tedesco dei conti in ordine. Sicuri che Berlino abbia i conti in pari?

Qui cominciano due discorsi. Il primo porta domande senza risposta sul carattere che l’Europa dovrebbe avere e mostrare. Come mai la voglia di punizione e di espulsione prevale oggi con tanta forza sulla ricerca, per quanto difficile, di soluzioni? Perché è più facile e normale e frequente sentire parlare della “fine della Grecia” piuttosto che di un patto comune per salvarla e trattenerla in Europa? L’altro discorso porta a un’altra domanda, che stranamente non viene mai posta (anche perché tutto lo spazio e il tempo è occupato da lodi e glorificazioni): davvero la Germania non ha debiti? E se li ha avuti, li ha pagati? Questo non è un modesto e maldestro tentativo di sviare il discorso in difesa di economie sgangherate. Purtroppo riguarda fatti ed eventi realmente accaduti, persone realmente esistite e realmente eliminate con crudeltà, con violenza e in massa.

Un fatto è appena accaduto. Una Corte tedesca (Stoccarda) ha rifiutato di considerare come avvenuto e come tedesco il massacro di Sant’Anna di Stazzema (uomini, donne, molti bambini, il prete, tutti uccisi davanti alla chiesa) perché “mancavano le prove”, ovvero non era stata rilasciata ricevuta per quel debito senza senza limiti, e non c’era dunque ragione di considerare qualcuno come responsabile.

Negli stessi giorni, i giorni in cui in Italia è morto Shlomo Venezia, per anni operaio gratuito (il compenso: restare provvisoriamente in vita) nella fabbrica della morte detta Auschwitz Birkenau, un sopravvissuto che solo adesso, morendo, ha finito di raccontare la sua storia pazzesca, il deputato Emanuele Fiano ha informato il Parlamento italiano di questo evento: “Mi ferisce in maniera indicibile, a me che sono figlio di un sopravvissuto di Auschwitz, che si possa permettere, in questo Paese, che un sito neonazista, nella giornata di ieri, in concomitanza con la morte di Shlomo Venezia, abbia potuto aprire una pagina dedicata alla festa per la sua morte”. Questo squallido episodio dimostra ancora una volta che il danno prodotto nella vita e nella cultura europea dai vuoti e dalle negazioni della storia è altrettanto grave quanto i delitti compiuti negli anni spaventosi della persecuzione e della guerra.

Per esempio, a pochi chilometri da quella festa, appena un po’ prima dell’evento nazista, si può trovare la rappresentazione fisica di un estremismo più psichico che politico: il monumento-mausoleo di un grande criminale di guerra e di strage, il generale Rodolfo Graziani. L’episodio è moralmente indecente, storicamente assurdo, ma anche frutto di corruzione. Il monumento a Graziani, infatti, è stato pagato con fondi illecitamente ottenuti dalla Regione. È ciò che ci ha fatto giudicare corrotti e non affidabili, fino a poco fa, in Europa. È qui che torniamo al debito, e al senso del debito della Germania.

Quando il Tribunale di Stoccarda, il tribunale di un Paese rispettato che fa da motore a questa Europa, nega, con il peso della sua credibilità e del suo prestigio, che sia accaduta la strage di Sant’Anna di Stazzema, non nega solo un episodio fra tanti di una guerra crudele e terribile. Nega il suo immenso debito e stabilisce una distanza pericolosa. La bella e moderna Germania di oggi non deve, non può sfiorare quel passato senza rendersi conto di quanto sia grave evocare un debito mai saldato, e rifiutare di saldarlo, sia pure, ormai, solo come gesto simbolico. Meglio essere amico degli amici ritrovati e tentare insieme la salvezza di tutti.

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- La confessione dell’ex SS “È vero, uccisi 25 donne”
- Ma per la strage di Sant’Anna di Stazzema la Germania lo ha assolto

- «Non può finire così: da noi le condanne sono state confermate in Appello e in Cassazione»
- "Svuotai un’intera cartuccera. Erano solo donne, donne di ogni età"

- di Niccolò Zancan (La Stampa, 07.10.2012)

Eppure c’è chi ha ammesso. Parola per parola. Orrore su orrore. «Verso la parte terminale del pianoro, dove ricominciava la salita, vi erano due case. Si trattava di case piuttosto piccole, erano rivestite in muratura, ma avevano un aspetto misero. Di fronte a queste case, sedevano in cerchio circa 25 donne».

Questa è la voce di Ludwig Göring nato a Itterbash, Germania, il 18 dicembre 1923, tornitore di casse d’orologio in pensione. Ma, soprattutto, «impiegato alla mitragliatrice» nelle Waffen SS come da dizione giudiziaria tedesca durante la seconda guerra mondiale. E quello che ha messo a verbale davanti alla procura della Repubblica di Stoccarda - e poi anche davanti alla procura militare italiana - è il suo ricordo della strage di Sant’Anna di Stazzema. L’avevano chiamata «operazione antipartigiani». Dopo la notte trascorsa vicino a La Spezia, si ritrovarono di fronte a quelle donne disarmate.

«L’ufficiale di grado più elevato era molto impaziente - racconta Göring - ci sollecitò a fare presto. Urlò: “Posizionare la mitragliatrice! ”. Dopo l’ordine di fare fuoco, sparai sulle donne. Durò pochissimo. Tre uomini cosparsero di benzina i cadaveri e vi appiccarono il fuoco. Improvvisamente vidi che dalla catasta in fiamme si levava correndo un bambino, un ragazzo di circa 10-11 anni, che si allontanò subito di corsa, scomparendo dietro la scarpata che distava circa tre metri. Non avevo visto prima il bimbo. Neanche mentre sparavo avevo notato che vi fosse un bambino con le donne».

Ha ammesso in piena consapevolezza, di fronte al preciso avvertimento avanzato dal procuratore generale Bernard Häubler: «Al testimone si fa rilevare che, qualora sostenga di aver sparato, diviene indiziato di concorso di omicidio e potrebbe rendersi perseguibile per concorso in omicidio doloso semplice o omicidio doloso grave». Ludwig Göring risponde così: «Devo parlare, non importa cosa accadrà. Ora voglio dire la verità. In quello spiazzo si trovava una sola mitragliatrice, azionata da me e dall’artigliere addetto alle munizioni... Ero consapevole che una simile fucilazione era proibita. Ma non avevo scelta: un ordine è un ordine».

C’è, dunque, un reo confesso. Eppure il 1° ottobre anche la posizione di Ludwig Göring è stata archiviata dalla Procura di Stoccarda, insieme a quella degli altri soldati nazisti indagati per la strage del 12 agosto 1944, in cui furono trucidati 560 innocenti. Una sentenza che il presidente Giorgio Napolitano ha definito «sconcertante». E che si è basata, per quanto si è potuto capire, proprio sull’impossibilità di ricondurre le singole azioni criminali a precise responsabilità individuali. E invece ci sono i ricordi lucidi del caporalmaggiore Göring, c’è la sua mano che spara: «Quella mattina la mia compagnia si mise in marcia compatta. Si recò sui monti, formando una linea di fucilieri. La distanza fra i soldati era di circa 10 metri. Io trasportavo la mitragliatrice».

A un certo punto fa addirittura un disegno, indica le posizioni: il pianoro, il bosco, le donne costrette a sedersi in cerchio. Aggiunge: «Stavamo a cinque metri da loro. Tutti spararono. Io svuotai un’intera cartucciera, che non fu ricaricata. Altri soldati spararono con il mitra... Erano solo donne, donne di ogni età, ma non le osservai in modo dettagliato... Mentre ci allontanavamo, i cadaveri stavano ancora bruciando». Gli chiedono: «Ha mai parlato con qualcuno di questi fatti dopo l’accaduto? ». Göring risponde: «Sì, circa quattro settimane fa con mia moglie. Quando ricevetti la convocazione della Procura, me ne chiese il motivo». Gli domandano: «Perché adesso è disposto a raccontare questi accadimenti? ». E lui: «Perché li ho sempre davanti agli occhi, in continuazione, da quando sono accaduti. E specie da quando si parla in televisione di attacchi terroristici, questi fatti mi tornano alla mente. Non riesco a liberarmene».

Il verbale è datato 25 marzo 2004. Una ricostruzione confermata successivamente anche davanti al capo della procura militare italiana, Marco De Paolis. Per la stessa strage ha ottenuto dieci condanne. «Senza mancare di rispetto a nessuno - spiega adesso - non può finire così. C’è qualcosa che stride. Da noi la sentenze di condanna sono state confermate in appello e in Cassazione. E tutte si sono basate su prove documentali e testimoniali». Anche sulla confessione tardiva del caporalmaggiore Göring.

____________________________________________________________________

La memoria non si archivia

di Enzo Collotti (il manifesto, 3 ottobre 2012)

La sentenza con la quale la magistratura di Stoccarda ha disposto l’archiviazione del procedimento contro gli appartenenti al reparto delle Watten-Ss imputati della strage di Sant’Anna di Stazzena e già condannati dalla giustizia italiana ripropone vecchi interrogativi e ne apre di nuovi sia sul terreno tecnico sia dal punto di vista etico e politico. Si presenta anzitutto un conflitto tra magistrature: è possibile che la magistratura tedesca non sia in grado di accertare quanto appurato dai giudici italiani? La difformità di valutazioni, a parte produrre le conclusioni abnormi che sono sotto gli occhi di tutti, rischia di incrinare ogni fiducia delle popolazioni nei confronti della giustizia.

Poiché non è la prima volta che questo accade, nella prospettiva di una unione europea segnala a dir poco una incongruenza che richiede sicuramente un intervento riparatore. Come si può pensare che, indipendentemente dalla dimostrazione delle responsabilità dei singoli militari delle Waffen-Ss, la popolazione dell’area teatro della strage prenda per buona l’ipotesi di essere stata vittima di un’azione non premeditata? L’archiviazione giudiziaria non archivia la memoria e rischia di inasprire ferite che solo con una lenta opera di riconciliazione, di cui sono stati e sono protagonisti anche cittadini e politici tedeschi, erano e sono in via di superamento.

Ma c’è ancora un altro versante del discorso che va considerato. Il conflitto tra la giustizia e la storia. Risulta veramente strano che la magistratura di Stoccarda, alla luce dell’esperienza pluridecennale della giustizia tedesca con crimini commessi dai nazisti in Europa non sia in grado di inquadrare la strage di Sant’Anna nel suo contesto storico. È ben vero che il giudice deve provare le responsabilità individuali ma è altrettanto incontestabile che queste si collocano all’interno di precisi contesti.

Il giudice non è tenuto a compiere lui un’indagine storica, ma certo è tenuto a non ignorare che esiste un’ampia letteratura che può aiutarlo a valutare. Che una strage di centinaia di persone, con centinaia di vittime tra donne e bambini, non gli suggerisca che di ben altro si trattava che non di caccia ai partigiani, è un fatto che non denota insufficienza di informazioni ma piuttosto l’inadeguatezza (per non dire l’incompetenza) del giudice.

La politica delle stragi non è un’invenzione della storiografia, fece parte della strategia della Wehrmacht, e non solo delle Ss, nel tentativo di controllare i territori occupati dell’Europa intera e di intimidire le popolazioni insofferenti dell’oppressione dei nazisti e dei loro collaboratori. Nel caso dell’Italia, la brutalità delle violenze naziste dopo l’8 settembre 1943 non fu soltanto reazione alla secessione dal conflitto dell’alleato fascista, fu tra le opzioni tattiche strategiche adottate per superare le difficoltà del controllo del territorio.

La guerra ai civili non è stata studiata soltanto da storici italiani, su di essa hanno attirato l’attenzione studiosi tedeschi - da Friedrich Andrae a Gerbard Schreiber, a Luiz Klinkhammer: essa caratterizzò la fase più acuta della campagna d’Italia, quando i tedeschi pensavano di non avere più nulla da perdere.

Se i giudici di Stoccarda avessero tenuto presente questo contesto certo non sarebbe sfuggito loro che l’eccidio di Sant’Anna non era avvenuto per caso. Quali che possono essere le cause che hanno reso ulteriormente difficile la valutazione di questo caso - e certo i colpevoli ritardi della giustizia italiana causati dall’armadio della vergogne vanno messi nel debito conto - il comportamento della magistratura tedesca risulta inspiegabile. Per le popolazioni direttamente colpite suona come la capitolazione di fronte all’inesplicabilità della storia e alla viltà di uomini che oggi mentono senza scrupoli come senza scrupoli allora ammazzarono.

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Commenti Articolo 734

Titolo articolo : Forse è la vecchiaia che avanza,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: October/05/2012 - 18:32:59.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/9/2012 08.27
Titolo:E' LA SAGGEZZA E LA LUCIDITA' CHE AVANZA ...
CARO GIOVANNI

Falsificare, truccare, cambiare le carte in tavola è stato problema di sempre del cammino dell'umanità. Ma oggi è diventato problema di vita e di morte, a tutti i livelli: la menzogna si è assisa addirittura sul Trono (Stato) e sull'Altare (Chiesa), in particolare in Italia. E il pericolo è estremo!

Hai fatto benissimo a riprendere il tema del prec. editoriale (75+75=100).

E' segno che la saggezza e la lucidita' avanza ... e che uscire dal labirinto e dall'inferno è possibile!

Dante ricorda e insegna: è l'Amore ("Charitas") che muove il Sole e le altre stelle - non Mammona ("Caritas") né Mammasantissima!

Non si può vivere addormentati in eterno! Svegliarsi è possibile e riprendere la diritta via anche ...

Buona-giornata e molti saluti,

Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/9/2012 11.36
Titolo:DALLA FRANCIA. Avvertimento per i capi della Chiesa ....
Sempre accogliere, mai escludere...

di Raymond Gravel

in “www.lesreflexionsderaymondgravel.org” del 27 settembre 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

26a domenica del Tempo Ordinario - Anno B

Domenica scorsa eravamo invitati ad accogliere il piccolo, il debole, il povero, il bambino, e a farci servitori di tutti. Oggi, siamo invitati a non escludere colui o colei che vive il vangelo in maniera diversa e che non fa parte del nostro gruppo, della nostra Chiesa. Non possiamo più riservare Dio ad alcuni, a degli eletti, a delle élite. Non possiamo più fissare Dio in una religione, in un gruppo, in un sacerdozio, in una Chiesa. Non possiamo più arricchirci mentre ci sono poveri nella miseria. Quando si va verso Dio, verso la sua Parola, quando si aderisce all’insegnamento del Cristo del vangelo, lo Spirito crea cose nuove, crea la novità, e nulla e nessuno può impedirglielo.

Il vangelo di questa domenica ci dice tre cose:

1. Nessuno è proprietario di Dio o di Cristo: “Giovanni, uno dei Dodici (quindi un apostolo, un vescovo, un dirigente, un responsabile della Chiesa), disse a Gesù: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva” (Mc 9,38). L’evangelista non dice: ’perché non ti seguiva’, ma ’perché non ci seguiva’. Che pretesa! Non è più la fede in Cristo che conta: è la fede agli apostoli che Giovanni rivendica. Una parola così si attualizza facilmente oggi. Le gerarchie ecclesiastiche del primo secolo assomigliano stranamente agli apostoli di oggi e ai responsabili della nostra Chiesa.

Quando, dall’alto della nostra statura, diciamo che il mondo si sta perdendo, perché ha abbandonato l’istituzione Chiesa, ci appropriamo di Dio come se ci appartenesse. E tuttavia, le nostre società dette laiche che si ispirano ai valori cristiani di apertura, di accoglienza, di rispetto, di dignità, di uguaglianza, di tolleranza, di giustizia, sono più vicine a Dio e alla sua Parola di quanto lo siamo noi stessi. Personalmente, quando sento certi capi della Chiesa condannare le persone che difendono gli omosessuali, i divorziati-risposati, le donne che hanno subìto un aborto, le persone umiliate dalla vita, mi dico: ma per chi si prendono? Assomigliano stranamente agli apostoli del vangelo che vogliono impedire alle persone di agire in nome di Cristo.

Purtroppo, per troppo tempo, nella Chiesa si è deciso “per” Dio, al posto di Dio, imponendo ai credenti dottrine, principi, regolamenti che hanno favorito molto di più l’ingiustizia, l’esclusione, l’intolleranza, la disuguaglianza... Mettendo la dottrina prima del vangelo, abbiamo perso le basi stesse della nostra fede cristiana, che deve esprimersi attraverso il rispetto dell’altro, l’accoglienza incondizionata, la giustizia, l’uguaglianza, l’apertura, la tolleranza, il perdono, la misericordia, l’amore gratuito, la dignità di tutti, la fiducia e la speranza.

Il vangelo deve venire prima di tutte le dottrine; se no, non è più il vangelo. È Cristo che dobbiamo seguire e non gli apostoli. Gli apostoli devono condurci a Cristo. E se la dottrina crea degli esclusi, bisogna abolirla, modificarla, adattarla.

Già nell’Antico Testamento si sapeva che Dio non appartiene a nessuno. Nel brano del libro dei Numeri che leggiamo oggi, Mosè trova il proprio incarico troppo pesante, tanto più che il popolo si lamentava in continuazione. Mosè forma allora un consiglio di saggi, 70 persone, che sono invitate nella Tenda dell’Incontro, il tempio, la Chiesa del suo tempo, per una celebrazione della Confermazione in cui la Spirito di Dio sarà dato loro, affinché diventino profeti e possano condividere il compito di Mosè. Ma ecco che due dei settanta non si recano alla celebrazione. Sono Eldad e Medad, restano a casa loro.

Ma l’autore del libro dei Numeri ci dice che anche loro hanno ricevuto lo Spirito di Dio, benché non fossero presenti alla celebrazione della Confermazione. Allora Giosuè, il servo di Mosè, interviene: “Mosè, mio signore, impediscili!” (Nm 11,28). Come se Dio non potesse dare il suo Spirito senza l’autorità di Mosè. Conosciamo la risposta di Mosè: “Sei tu geloso per me? Volesse il Signore porre su di loro il suo spirito per far sì che fossero tutti profeti nel suo popolo!” (Nm 11,29).

2. Lavorare per Cristo, significa seguirlo. La risposta di Gesù all’apostolo Giovanni: alla persona che lavora per me “non impediteglielo, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome, e subito possa, parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi” (Mc 9,39-40). La risposta di Cristo alla Chiesa di oggi è la stessa che ha dato a Giovanni: la famiglia formata da persone provenienti da precedenti separazioni, la coppia divorziata risposata che educa i figli di entrambi, secondo i valori evangelici, lavorano per Cristo; sono Chiesa anche loro. L’omosessuale che si impegna in nome della sua fede cristiana a rendere il mondo più giusto e più fraterno, lavora per Cristo; anche lui è Chiesa. Il prete che vive una relazione d’amore e che svolge bene il suo ministero, lavora per Cristo; anche lui è Chiesa. Le donne che sono state ordinate prete su una barca e che sono a servizio delle loro comunità cristiane, lavorano per Cristo; anche loro sono Chiesa. Allora, perché escludere quelle persone, con il pretesto che non seguono le regole che ci siamo dati. Non sono le regole la cosa importante... L’essenziale, è seguire Cristo.

Può anche capitare che quelle persone siano più profeti di coloro che lo sono ufficialmente, secondo le regole dell’istituzione. È la prima lettura a dircelo. L’autore del libro dei Numeri precisa, parlando delle 68 persone che si sono recate alla celebrazione per essere confermate: “Quando lo Spirito si fu posato su di loro, quelli profetizzarono, ma non lo fecero più in seguito” (Nm 11,25b). In fondo, non è perché hanno seguito delle regole e risposto ai criteri di selezione, che diventano automaticamente profeti. È dalle loro azioni che si riconoscono i veri profeti. È vero anche oggi. Ci sono coppie di persone provenienti da precedenti unioni che sono segni d’amore, più di quanto non lo siano delle coppie sposate, che sono ancora insieme ma che non si amano. Allo stesso modo, ci sono persone che si impegnano sul piano sociale e che sono più cristiani di molte altre che vanno in chiesa tutte le domeniche. Ricordo alcune dichiarazioni dei giudici della Corte Suprema del Canada quando hanno espresso la loro decisione riguardo al matrimonio omosessuale... Le loro dichiarazioni erano molto più vicine al vangelo di quelle che venivano dal Vaticano. È incredibile. Ma è la realtà!

3. Avvertimento per i capi della Chiesa. L’evangelista Marco mette in guardia colui che rifiuta, condanna, esclude un piccolo, un povero, una persona umiliata dalla vita. Questo avvertimento riguarda innanzitutto i capi della Chiesa poiché sono solo loro che possono rifiutare, condannare ed escludere i piccoli; i comuni cristiani non hanno quel potere: “Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare” (Mc 9,42). È dura come sentenza! È la maniera forte degli Hells Angels. Se la si applicasse oggi, penso che saremmo sorpresi di vedere certe persone in fondo all’oceano. E a questo punto Marco menziona tre membra che possono servirci a compiere la nostra missione o che possono nuocere e impedirci di assumerla: la mano, il piede e l’occhio...

La mano: può servire per condividere o per tenere per sé Il piede: può servire per andare verso gli altri o per fermarsi e non andare più avanti L’occhio: può servire per vedere l’altro, aprirsi alla sua realtà, accoglierlo e comunicare con lui, oppure per chiudersi nei confronti dell’altro, per giudicarlo, per condannarlo, per escluderlo. Ciò che Marco ci dice, in fondo, è che se queste membra non ci aiutano a compiere la nostra missione, sarebbe meglio perderle per non perdere noi stessi.

Concludendo, una parola sulla seconda lettura di oggi, la lettera di Giacomo, in cui l’autore ci dice di fare attenzione alla ricchezza: anch’essa ci può chiudere su noi stessi, impedirci di condividere, renderci ingiusti verso gli altri e renderci indifferenti alla miseria e al bisogno degli altri: “Dei lavoratori hanno mietuto sulle vostre terre e voi non li avete pagati; il loro salario grida vendetta, e le proteste dei mietitori sono arrivate alle orecchie del Signore onnipotente” (Gc 5,4). “Avete vissuto sulla terra in mezzo a piaceri e delizie, e vi siete ingrassati per il giorno della strage” (Gc 5,5). “Avete condannato il giusto e lo avete ucciso, ed egli non vi ha opposto resistenza” (Gc 5,6).

E per finire, vorrei condividere con voi la riflessione dell’esegeta francese Jean Debruynne: “Immediatamente, il gruppo degli Apostoli, per bocca di Giovanni, reclama la superiorità esclusiva di Gesù. Vogliono l’esclusività dei diritti d’autore sui fatti e sui gesti di Gesù. Pretendono di essere i soli a poter dare il passaporto, la carta d’identità cristiana. Gesù, al contrario, annuncia loro il superamento del possesso. Voler pretendere di rinchiudere il Vangelo, significa voler impedirgli di essere vangelo. Lo Spirito di Dio è libero. Nessuno potrà obbligarlo a seguire la via gerarchica. La preoccupazione degli Apostoli è di escludere. Quella di Gesù è di chiamare e di aprire”.
Autore Città Giorno Ora
Renzo Coletti Genova 05/10/2012 18.33
Titolo:
La critica alle modalità con cui vengono stilati documenti programmatici è pienamente condivisibile: il linguaggio poco comprensibile, la mancanza di contenuti concreti, il divario tra i propositi scritti e l’attuazione degli stessi nella vita reale.
È stato portato l’esempio dei documenti sindacali, politici e religiosi, ma si potrebbe ricordare anche la vacuità dei contenuti delle cosiddette “Vision” e “Mission” aziendali. Il termine "Vision", nell'economia della gestione d'impresa, viene utilizzato per indicare la proiezione di uno scenario che un imprenditore vuole "vedere" nel futuro e che rispecchia i suoi valori, i suoi ideali e le sue aspirazioni generali. La “Mission” definisce il ruolo dell'azienda per attuare la Vision, è la strada che si vuole percorrere per realizzarla e serve per definire le risorse che devono essere utilizzate ed il modo in cui impiegarle. La “Vision” deve essere dichiarata e in teoria dovrebbe essere condivisa con l'intera organizzazione, a tutti i livelli, in modo da far comprendere ai membri dell'organizzazione stessa gli obiettivi che l'azienda si prefigge, al fine di condividerne i successi.
Tali documenti si possono trovare pubblicati sui siti internet di molte società e leggendoli, se si riescono a superare le difficoltà di comprensione dovuti all’abuso frequente di espressioni proprie del “business english” anche nei testi in italiano, si può constatare quanto spesso esprimano soltanto sogni. Infatti il panorama odierno del mondo del lavoro dimostra come la maggioranza delle multinazionali punti solo alla realizzazione del massimo profitto a basso costo, senza nessuno scrupolo nel chiudere qualche stabilimento per trasferirsi in qualche altra parte del pianeta in cui il costo del lavoro è inferiore ed è possibile un maggiore sfruttamento dei lavoratori, in barba a qualsiasi etica e valore, di fronte a sindacati passivi, impotenti e divisi .
La superficialità delle parole, la pochezza di contenuti, le promesse fatte per ottenere consensi e mai realizzate, le menzogne divulgate per indurre l’opinione pubblica ad accettare atti inauditi, sono caratteristiche distintive della società contemporanea nelle nazioni economicamente sviluppate, su cui domina l’alta finanza mondiale che, per il proprio tornaconto, è pronta a sacrificare l’economia e la vita di un paese senza nessuno scrupolo.
In Italia, Berlusconi è stato un maestro nell’insegnare l’arte dell’inganno e della comunicazione ad effetto carica di slogan e priva di contenuti, nel fare dichiarazioni per poi smentirle nell’arco di poche ore, nel far accettare la volgarità più spinta come modello di comportamento, nell’ostentare spudorata indifferenza verso il bene comune per la tutela del proprio interesse personale.
Il danno prodotto da Berlusconi e dal berlusconismo sulle menti degli italiani, dalla sua cosiddetta discesa in campo nel ’94 ad oggi, è di proporzioni smisurate, ma la colpa di tutto ciò non è soltanto sua, è anche di chi ha permesso che ciò avvenisse. Nello stesso arco temporale, i suoi avversari invece di sforzarsi di creare una forza politica capace di costituire una valida alternativa, di proporre programmi concreti e credibili, di diffondere valori onesti, hanno basato le loro campagne esclusivamente sull’antiberlusconismo. Così facendo hanno trascorso gran parte del loro tempo a parlare del fenomeno Berlusconi, denunciando i suoi conflitti di interesse senza emanare una legge che potesse porvi rimedio, criticando il suo leaderismo e la sua esaltazione narcisistica, ma cercando inutilmente a loro volta un leader da poter esporre con un sorriso smagliante nei maxi manifesti elettorali, manifestando sdegno per le sue oscenità e le sue brutte figure internazionali, ma facendole poi diventare solo oggetto di scenette e vignette comiche.
In tal modo Berlusconi ha potuto contare per quasi vent’anni, non solo sulla propaganda diffusa dalle proprie reti televisive e dai propri giornali, ma anche su quella attuata involontariamente dalla controparte, mentre il paese sprofondava senza rimedio verso l’abisso attuale.
Ancora oggi, malgrado la situazione drammatica, il centro-sinistra continua a non proporre nulla, manifesta solo lo squallore delle proprie divisioni interne, delle varie correnti che cercano di affermarsi escogitando stratagemmi per far vincere le primarie al proprio candidato, non si vergogna di avere al proprio interno Matteo Renzi che seduce gli elettori del PDL. Inoltre, perseverando diabolicamente nella propria linea, all’interno del TG3 non si dimentica di dedicare ampi servizi alla possibile nuova discesa in campo di Berlusconi.

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Commenti Articolo 735

Titolo articolo : ELVIO FACHINELLI. Oltre Freud, una seconda rivoluzione copernicana,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/05/2012 - 17:12:43.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/10/2012 17.12
Titolo:Testo di Fachinelli: Sulla spiaggia (1985)
SULLA SPIAGGIA

di Elvio Fachinelli

- Lettera Internazionale, 2, n. 6, autunno 1985;
- E. Fachinelli, La mente estatica, Milano: Adelphi 1989, pp. 13-25.


San Lorenzo al mare. Pomeriggio ventoso di settembre, nuvole rapide sfilacciate. Dal limite della spiaggia dove mi trovo, con le spalle verso il paese, il mare è un nastro viola che si arrotola e si srotola senza fine. Sono fermo da più di un'ora, forse. Nel punto in cui ho messo la sdraio, al riparo, non c'è vento, soltanto una folata ogni tanto. Sono scivolato in uno stato di torpore. Invece vorrei essere lucido, attivo, produttivo... Riprendere le idee di questi mesi. Scavare gli appunti, i libri. Scavare l'insoddisfazione. Mi ci vorrebbe qualcosa che vincesse questo stato d'inerzia, qualcosa che facilitasse l'attività intellettuale... Continuo a guardare affascinato il nastro del mare.

Dal fondo del torpore, quasi dal sonno, un pensiero solitario. Dopo lo squarcio iniziale, la psicanalisi ha finito per basarsi sul presupposto di una necessità: quella di difendersi, controllare, stare attenti, allontanare... Ma certo, questo è il suo limite: l'idea di un uomo che sempre deve difendersi, sin dalla nascita, e forse anche prima, da un pericolo interno. Bardato, corazzato. E l'essenziale, ovviamente, è che le armi siano ben fatte, adeguate. Se non sono tali in partenza, bisogna renderle adeguate: con la psicanalisi, appunto. Altrimenti disarcionamento, se non disastro.

Ma se questo è vero bisogna rovesciare la prospettiva, mettersi dall'altro lato (della barricata, mi vien da scrivere: ma usando questa parola, resto nell'àmbito dell'arte militare). Non inibizione, rimozione, negazione, eccetera: i diversi stratagemmi, le difese parziali di un'impostazione difensiva generale. Dalla foresta appuntita delle difese non si esce. Ma invece accoglimento, accettazione, fiducia intrepida verso ciò che si profila all'orizzonte.

Nausicaa, Ulisse. Le regge di Creta aperte verso il mare, senza difese.

Quest'idea del rovesciamento di prospettiva, necessario, di colpo mi ha svegliato. Sono lucido, ora, attento, pronto. Ma nello stesso tempo quella comunicazione del semisonno, quasi esterna, mi sembra esaurita. La ricerco volontariamente, invano.

Una ragazza ha sognato schifosi scarafaggi che si accoppiano, le salgono sui piedi. Di giorno, è ossessionata dai possibili "nidi" di scarafaggi in casa sua, disinfetta a tutto spiano. "Che ci sia in me una forza sessuale come nelle bestie?". Insomma, una strenua difesa, un lungo battagliare contro qualcosa che non riesce ad accogliere. Alla fine, i suoi impulsi sono stati trasformati in scarafaggi.

Qui, sulla spiaggia, mi succede qualcosa di insolito. Improvvisamente, vedo l'affinità tra ciò che mi è affiorato in un lampo, semplice trovata, pensiero sintetico venuto da un'altra parte, e il processo dell'invenzione - scientifica o non scientifica. Perlomeno in alcuni casi.

È l'improvvisa comparsa di un materiale organizzato, coerente, a partire da frammenti; a partire, spesso, dalla disperazione di riuscire in un compito consapevole.

Dunque non importa l'àmbito della scoperta - scientifica, artistica, d'altro tipo; né la sua ampiezza. Importa quel movimento chiaro, netto - sempre lo stesso? -, che mette a posto, ordina, dà forma, e insieme inonda di gioia e certezza.

Anche per la scoperta freudiana fu così? Un'accettazione di qualcosa che veniva, in certo senso, dall'esterno, dopo un estenuante brancolare? Bisognerebbe rileggere le origini della psicanalisi da questo punto e non soltanto dal rapporto con Fliess, che di sicuro viene dopo.

Poi, in Freud e soprattutto nei seguaci, slittamento verso una rinnovata apologia della difesa, tendenziale riduzione del cosiddetto inconscio - di ciò che voleva essere accettato - alle dimensioni delle barriere costruite contro di esso. Con l'esclusione forse di Ferenczi.

Quest'idea dell'accettare e della sua importanza mi è venuta, in forma pura, astratta, nel momento in cui, assonnato, ho accettato e direi quasi ascoltato ciò che mi veniva da non so dove. Se l'avessi cercata, inseguita consapevolmente, l'avrei trovata? Forse. Anche se ne dubito. Ma in ogni caso non ci sarebbe stata questa gioia di risveglio che mi ha preso.

La coscienza come area ristretta, perimetro definito che tende a imporsi come misura di tutto lo psichico, anche in coloro che l'hanno misurato e che ogni giorno sono costretti a osservarne i limiti, le coartazioni. O proprio per questo.

Come scrivere tutto questo? Vento sulla fronte, rombo del mare, luce, torpore, pensiero dell'accettazione, gioia, gioia con senso di gratitudine, verso chi?

L'immagine di un lungo prato di montagna, visto al tramonto dal limitare di un boschetto. Lo riconosco, è della mia infanzia. E mi è stato evocato per la prima volta, giorni fa, ascoltando la «canzone di ringraziamento» di un quartetto di Beethoven.

Necessario silenzio assoluto, solitudine. Come in una camera anecoica, dove si avverte solo il proprio respirare, pulsare.

Le persone che passano sulla spiaggia, vicine o lontane, m'infastidiscono. Anche se gradevoli, interessanti. Introducono immediatamente un'altra logica, la logica del desiderio, del contatto. Limito lo sguardo, allontano i viventi. Nello stesso tempo, mi sento più vivo.

Ora il mare è alternanza di lame di luce. Verità del detto di Ferenczi: non il mare è simbolo della madre, ma la madre del mare.

Non meditazione né raccoglimento. Accoglimento.

A occhi socchiusi, il mare è sottili lamine d'argento che vibrano obliquamente. Righe di diverso splendore.

Si può variare questo sguardo, che oltrepassa la visione distinta. Prima mare, strisce viola; poi lame, poi righe di luce. A occhi chiusi, fuochi fatui. Riconoscere la necessità, non soltanto l'esistenza, di queste diverse visioni.

Contemporaneamente, io come sguardo che impara non un paesaggio, o più paesaggi, ma se stesso paesaggio. Sguardo-mare.

Accettazione della posizione del corpo, del suo peso, di ogni singola giuntura. Avvengono aggiustamenti lievi, scricchiolii come nel legno di una barca.

Vivere a lungo in questi modi, mi sembra impossibile; probabilmente non auspicabile. Ma necessario imparare a disporne.

Ora desiderio di continuare questi appunti e insieme impazienza di smettere, andar via. Come se avessi già avuto abbastanza, come se mi allontanassi troppo dal resto. Tempo espanso. Non immobile ma come fluttuante in immobilità.

Riprendo. La difesa, spinta fino alla cancellazione vera e propria, è in rapporto con un certo stato di vigilanza, di senso del pericolo. È il privilegio dovuto o concesso alla vigilanza che conferisce un privilegio sovrano alla difesa. Problema dei limiti di tolleranza, oltre i quali la difesa scatta come una tagliola.

Una tagliola che taglia nel vivo. Uccelli, lepri catturate sull'altopiano, quando bambino seguivo i miei parenti cacciatori. Altre immagini di taglio, recisione, strappo.
Diminuzione della vigilanza, allentamento della difesa. Allentamento nel sogno, nel fantasticare, nell'inventare, nell'usare droghe - insomma in quella phantastica umana dove, a tratti, passa un messaggio inatteso.

Il sogno osa generalmente più di quanto si permetta il sognatore da sveglio. Di qui, l'idea di Freud di trasferire questo oltrepassamento alla coscienza vigile, nella cura dei nevrotici. Il sogno testimonia ciò che vuoi essere - ciò che puoi essere, allora.

Ma l'accoglimento non è simmetrico alla difesa. C'è un funzionamento diverso, un'altra logica. L'afasia non procede negli stessi modi della parola intatta - e proprio Freud ne ha trattato. Se l'afasico torna a parlare, la sua parola potrà risultare simile, quasi indistinguibile, rispetto alla parola intatta. Ma non sarà mai questa parola.

Quindi non esiste difesa 'normale'? Esistono altri modi di esistere e creare, che soltanto superficialmente possono essere accostati alla difesa.

Un'analisi basata sistematicamente sullo smantellamento delle difese incontra ad ogni passo quel pericolo che le ha fatte erigere. Da ciò un rinnovato impulso a difendersene. Come un demolire e ricostruire di nuovo, continuamente, dighe, barriere. L'analisi assume allora il senso di una decondizionamento ad infinitum. Interminabilità, eccetera.

E neppure si tratta di saltare oltre le barriere, di sorpresa, o astutamente. In questo modo, ancora una volta, le barriere sono all'orizzonte dell'agire. Piuttosto lasciar affluire, lasciar defluire, immergersi, nuotare nella corrente. I paletti della difesa finiranno, forse, per scendere alla deriva.

Rendere conscio può significare allora soltanto delineare, prima e dopo, il posto occupato dal sistema vigilanza-difesa. Non pretendere di far passare attraverso di esso ciò che non gli appartiene. Progetto infantile: svuotare il mare con un secchiello. O setacciarne tutta la sabbia. Anche il progetto di Freud - prosciugare l'inconscio, come la civiltà ha prosciugato lo Zuiderzee - è infantile.

L'insistenza sulle difese è sempre, implicitamente, insistenza sull'offesa, sulla capacità di offendere. Collegamento del sistema vigilanza-difesa con la più affermata impostazione virile. E allora accogliere: femminile?

Il femminile sarebbe allora nel cuore, il cuore, di molte e diverse esperienze. E anche di questa mia esperienza.

Al momento di diventare sciamani, si dice, gli uomini cambiano sesso. È così posta in rilievo la profondità del mutamento necessario. Il femminile come atteggiamento recettivo non abolisce però il maschile, gli propone un mutamento parallelo.

Il maschile si delinea allora come un paziente, faticoso, a volte quasi cieco operare che precede e segue l'atto creativo. Scegliere, disporre materiali, ispezionare, scrutare, scavare. Seminare. E più tardi raccogliere, sviluppare, trasformare. Alternanza ritmica del maschile e del femminile.

In questa prospettiva, difesa e offesa come distorsione o perversione del maschile. A volte necessaria; sempre secondaria.

In alcuni casi, delirio di difesa. Contro la minaccia del pericolo interno, costruzione di barriere, controbarriere, altre barriere, secondo formule e numeri che finiscono per essere magici. Somma vigilanza, somma inibizione. Dentro il suo castello dalle sette mura, la principessa non riesce più a muoversi.

La coscienza stessa sembra allora far parte per intero del sistema di fortificazioni. Sembra essere uno dei suoi bastioni più forti.

Eppure, a volte, in questo bastione, mentre si stabilisce una zona del tutto opaca, insensibile, altre si fanno straordinariamente chiare e vibranti. Come nella vita di certe antiche dame di corte giapponesi, attente più alla brina della notte che alla vita stessa, come la si intende comunemente. Ma quell'attenzione alla brina è vita, vita di intensità prodigiosa.

Animali che, a poco a poco, vivendo nel buio, diventano ciechi. Ma in quel buio sviluppano altri organi di senso.

Chi può stabilire che cos'è essenziale e non essenziale, importante e non importante? Chi può giurare: questo è il centro, e quella è la periferia?

Il tempo, mi sembra, non passa. Dilatazione e febbre insieme. Un tempo senza centro, vibrante.

Accogliere chi? Un ospite - interno. Accoglierlo prima di esaminarlo ed eventualmente respingerlo. Intrepidezza, atteggiamento infinitamente più ricco e alla fine forse più efficace della prudenza di chi edifica muraglie.

Di nuovo: Cnosso, Festo, le potenze aperte sull'orizzonte marino. E anche qui, importanza del femminile: la dea dei serpenti, a seno nudo; la dea delle colombe. Le danze estatiche di primavera, ritorno della giovane Kore, dea della vegetazione.

Com'è angusta, soffocata, a questo punto, la metafora freudiana del «salotto» separato dall'«anticamera». Triste come la sua casa in Bergasse, con la finestra dello studio rivolta a un muro di cemento. Eppure, anche lì, anche davanti a quel cortile senz'alberi, Freud sapeva che c'era il mare.

Il concetto di difesa definiva all'inizio le difficoltà e le impasses di un comportamento alterato; rapidamente è diventato normativo, capace di stabilire leggi e criteri, anche per il comportamento non alterato. E questo perché si è presupposta implicitamente una continuità tra l'uno e l'altro. L'anormale è diventato, con qualche differenza quantitativa, il normale.

Ecco allora l'impaccio, mai eliminato, di fronte a ciò che si potrebbe chiamare l'ipernormale, il comportamento infrequente, talvolta raro, talvolta persino eccezionale, che però riempie e feconda il comportamento medio, statistico.

Miseria incurabile della teoria della sublimazione, che tenta di spiegare ciò che, se è sublime, è sublime sin dal principio. La psicanalisi dichiara: ecco un letterato chiaramente nevrotico; un filosofo ossessivo; un matematico quasi psicotico, un musicista autistico... Ma la legna da ardere non spiega di per sé il divampare del fuoco.

E oltre, il territorio della mistica. Non la religione istituita. Ma la mistica come zona irriducibile, inassimilabile, refrattaria alla religione stessa. Apex mentis. Mistica che è nello stesso tempo rapporto percettivo, percezione possibile ad alcuni, se non comune a tutti. Molte mistiche? evitare i codici che, invariabilmente, da sempre rifiutano o sequestrano questi tipi di esperienze.

Le cose che vengono da un'altra parte: come un accenno imprevisto che muta, che sposta l'intera figura. Da questo punto di vista, limiti ben evidenti della psicanalisi. E limiti ben evidenti dell'antropologia fondata su di essa.

Ora il rombo del mare è un respiro calmo, profondo. Chiudo gli occhi. Non c'è bisogno di vigilare. I suoni, scollegati dal loro aggancio visivo, hanno più spazio: diventano voci singole, con timbro e grana diversa. Di fronte a ciascuna, non attesa né timore. Soltanto meraviglia.

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Commenti Articolo 736

Titolo articolo : MA LA CHIESA CON CHI E' ANDATA A NOZZE?! "GESU' E' SPOSATO"! Una nota e altri materiali per riflettere,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/05/2012 - 12:32:20.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/9/2012 19.30
Titolo:Un "puttaneggiar" di lunghissima durata ....
"Di voi pastor s’accorse il Vangelista, / quando colei che siede sopra l’acque / puttaneggiar coi regi a lui fu vista;
[...]
Fatto v'avete dio d'oro e d'argento;
[...]
Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,/ non la tua conversion, ma quella dote / che da te prese il primo ricco patre!":

Dante, Inf., XIX, vv 105-7, 112, 115-8.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/9/2012 22.54
Titolo:«E Gesù disse loro: mia moglie...»
- «E Gesù disse loro: mia moglie...»
- Il mistero del papiro ritrovato

di Franca Giansoldati *

ROMA - «Gesù disse loro: mia moglie...» Una coptologa americana, Karen King, docente alla Harvard Divinity School, ha divulgato il risultato di una scoperta basata su un frammento di papiro copto risalente al IV secolo.

Misura appena 3,8 centimetri per 7,6 centimetri ed è la più antica iscrizione che racconta dell’esistenza di una sposa per Cristo, esattamente come sostenevano i primi cristiani secondo i quali Gesù si sarebbe sposato. Chissà. L’annuncio è stato fatto alla Sapienza, nel corso di un convegno internazionale sui copti e ha subito fatto il giro del mondo. La studiosa ha fatto presente ai colleghi che l’antica iscrizione però non prova affatto che Cristo fosse ammogliato, semmai lascia solo aperto uno spiraglio. E non scioglie l’enigma. Insomma, la tradizione cattolica sembra salva.

«All’inizio del cristianesimo i cristiani non si sono mai interessati al fatto che Cristo fosse o meno sposato. Solo un secolo più tardi, molto dopo la morte di Gesù, essi iniziarono a riferire della posizione coniugale di Gesù, e questo per sostenere le loro posizioni». Il frammento del papiro, dunque, rientrerebbe in questa casistica e questo spiegherebbe la frase di Cristo. L’iscrizione, tuttavia, è talmente esplosiva da suggerire un supplemento di studi. Karen King anticipa che bisognerà fare ulteriori verifiche ed esami più approfonditi su altri testi coevi e sulla composizione dell’inchiostro utilizzato per i caratteri in copto.

Con buona pace di tutto il movimento dei preti sposati che da tempo bussa alle porte del Vaticano chiedendo l’abolizione del celibato, il ritrovamento non mette troppo in pericolo la posizione della Chiesa. La dottrina cattolica, insomma, è e resta la stessa. La castità del clero del resto è una regola inserita in numerosi documenti dei primi secoli.

La decretale Directa, del 10 Febbraio 385, inviata da Papa Siriaco al Vescovo Imero, metropolita di Tarragona per esempio («È per legge indissolubile che noi tutti, sacerdoti e diaconi, ci troviamo vincolati, a partire dal giorno della nostra ordinazione, (ed obbligati) a mettere i nostri cuori ed i nostri corpi al servizio della sobrietà e della purezza...».

Poi la decretale Cum in unum, inviata da Papa Siriaco agli episcopati di diverse provincie. Tutti testi che per la Chiesa rivestono una «importanza fondamentale per la storia delle origini del celibato dei chierici». Tuttavia nei primi secoli della Chiesa numerosi chierici o vescovi erano sposati facendo riferimento alla situazione di Pietro e forse di altri Apostoli, probabilmente ammogliati. Ma mai alla situazione di Cristo. Quando Cristo li chiamò alla sua sequela si dice che essi lasciarono «tutto» compresa la propria moglie.

Di sicuro all’infuori del caso di Pietro, non esiste alcuna tradizione generale e costante sulla quale ci si possa basare per affermare con certezza che qualche Apostolo abbia avuto moglie o figli né che fosse viceversa celibe. Esistono solo due eccezioni: l’apostolo Giovanni, che una tradizione quasi unanime riconosce essere stato vergine e l’apostolo Paolo, che la maggioranza dei Padri della Chiesa ritiene non sia mai stato sposato, o, al limite, che fosse vedovo.

Molti studiosi sono concordi nel ritenere che se nei primi secoli vi sono stati numerosissimi vescovi, presbiteri e diaconi sposati e con figli è perché le comunità cristiane dell’epoca, che vivevano intensamente del ricordo degli apostoli e consideravano effettivamente un fatto normale l’ammissione al ministero sacerdotale di uomini sposati, era solo per un omaggio alla santità del matrimonio ed allo stesso tempo alla scelta del Signore che aveva chiamato Pietro e, forse, altri uomini sposati a lasciare tutto per seguirlo. Ma della moglie di Cristo nessuno ha mai parlato.

* Il Messaggero, Venerdì 21 Settembre 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/9/2012 09.10
Titolo:Di quale Dio parliamo quando parliamo di Dio, e di quale Dio parlano quando parl...
PER IL CONVEGNO “CHIESA DI TUTTI, CHIESA DEI POVERI” DEL 15 SETTEMBRE 2012 A ROMA

NOTE A MARGINE

di Federico La Sala *

1. LA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA HA ROTTO I PONTI CON IL MESSAGGIO EVANGELICO. A 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, bisogna prendere atto che il terribile è già accaduto: il "Lumen Gentium" è stato spento e, sulla cattedra di Pietro, siede il Vicario del Signore e Padrone Gesù ("Dominus Iesus": J. Ratzinger, 2000). Egli regna e governa in nome del suo Dio, Mammona ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006).

2. DIO E’ VALORE! Sul Vaticano, DAL 2006, sventola il "Logo" del Grande Mercante: "Deus caritas est" (Benedetto XVI, 2006)!!! Il papa teologo, ha gettato via la "pietra" su cui posava - in equilibrio instabile - l’intera Costruzione dela Chiesa cattolico-romana ("Deus charitas est": 1 Gv. 4.8).

3. TUTTO A "CARO-PREZZO" ("CARITAS"): QUESTO "IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO". QUESTO E’ IL NOSTRO VANGELO: PAROLA DI RATZINGER -BENEDETTO XVI, CARDINALI E VESCOVI TUTTI. IL "PANE QUOTIDIANO" DEL "PADRE NOSTRO", SI VENDE A "CARO PREZZO", MOLTO CARO (= "CARITAS")!!!

4. ULTIMA CENA ED ECONOMIA VATICANA. Benedetto XVI cambia la formula: «Il calice fu versato per molti», non «per tutti»!!!

5. IN PRINCIPIO ERA IL "LOGO"!!! SE UN PAPA TEOLOGO LANCIA IL "LOGO" DEL SUO DIO ("DEUS CARITAS EST") E TUTTI OBBEDISCONO, E NON VIENE RISPEDITO SUBITO A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO, DI COSA VOGLIAMO PARLARE DI AFFARI E DI MERCATO?! EBBENE PARLIAMO DI AFFARI, DI MERCATO, DI "MAMMONA", "MAMMASANTISSIMA", E DI COME I PASTORI ... IMPARANO A MANGIARE LE PECORE E GLI AGNELLI, E CONTINUANO A GOZZOVIGLIARE ALLA TAVOLA DEL LORO "DIO"!!! Avanti tutta, verso il III millennio avanti Cristo!!!

Federico La Sala

* Il Dialogo, Mercoledì 12 Settembre,2012

_____________________________________________________

«Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri»: Il convegno autoconvocato sul Concilio, tenutosi a Roma il 15 settembre, si è chiuso con la relazione di Raniero La Valle, Il Concilio nelle vostre mani. Il vento di aria pura è rimasto imprigionato nel "cupolone dei cupoloni". L' "urlo" di un don Mazzolari o di un don Milani è rimasto strozzato in gola....

AVERE IL CORAGGIO di dire ai nostri giovani-vecchi "cattolici" e alle nostre giovani-vecchie "cattoliche" che sono tutte sovrane, tutti sovrani!!! Un nodo ancora non sciolto....

"Sulla riforma della chiesa e delle sue strutture il Concilio è rimasto ai nastri partenza. La Chiesa anticonciliare ha bloccato la collegialità e ha rafforzato i vincoli di dipendenza gerarchica» ma una Chiesa nuova è possibile" (Raniero La valle)

MA QUALE CHIESA, DI QUALE DIO?!

AMORE (PIENO DI GRAZIA): "DEUS CHARITAS EST" (1 Gv. 4.8)

O

MAMMONA (PIENO DI VALORI)": "DEUS CARITAS EST" (Benedetto XVI, 2006)?!

"Di quale Dio parliamo quando parliamo di Dio, e di quale Dio parlano quando parlano di Dio? La domanda è cruciale. Infatti non è per niente chiaro, non è sempre lo stesso, e sovente non è un Dio innocuo" (Raniero La Valle, "Se questo è un Dio", pag. 9)

SPEGNERE IL "LUMEN GENTIUM" E INSTAURARE IL POTERE DEL "DOMINUS IESUS". Il disegno di Ratzinger - Benedetto XVI. Due testi a confronto, con alcune note

NONOSTANTE LA PRESENZA DI RANIERO LA VALLE, L’AFFOLLATA ASSEMBLEA DI ROMA NON HA POSTO LA QUESTIONE ALL'ALTEZZA DEL NOSTRO TEMPESTOSO STORICO PRESENTE !!!

CONFIDIAMO E ASPETTIAMO!

SIAMO SOLO A 50 ANNI DALL’INIZIO DEL CONCILIO VATICANO II ....

Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/9/2012 17.57
Titolo:Ma la Chiesa sa fare i conti con le donne?
Ma la Chiesa sa fare i conti con le donne?

di Marinella Perroni* (l’Unità, 24 settembre 2012)

In molti ormai si irritano a sentir parlare di donne. Accettano che ci siano donne in grado di prendere la parola, basta però che non parlino di donne, perché la parola, come l’intelligenza, non deve avere determinazioni di genere. Per questo ci si compiace se il direttore della Mostra del cinema di Venezia insiste sul fatto che i sette film diretti da donne sono stati scelti perché belli, non per l’appartenenza sessuale delle rispettive registe, e il disagio collettivo cresce tutte le volte che il movimento Se non ora quando? propone, come condizione necessaria, anche se non sufficiente, per rifondare la politica italiana, il criterio del «50 e 50».

Non è questo il luogo per prendere in esame le tante implicazioni della cultura di genere e, soprattutto, per provare a capire i motivi dell’ostinato quanto diffuso rifiuto che ad essa oppone l’opinione pubblica del nostro Paese, in primis la sua classe intellettuale di ogni ordine e grado. Invece, quando si tratta di donne e Chiesa cattolica, la sensibilità si riaccende. Come se la Chiesa cattolica rappresentasse l’unica enclave ideologica ostile alle donne. Come se l’inviata dell’Onu che ha presentato il primo rapporto sul femminicidio e ha definito la situazione italiana «grave e insostenibile» avesse in mente soltanto i parrocchiani cattolici Piaccia o no ammetterlo, l’impedimentum sexus non determina soltanto l’interdizione dal sacerdozio cattolico, ma si insinua in molti modi nel pieghe della vita civile del nostro Paese.

Cultura di genere nella chiesa

Quando, ormai quasi dieci anni fa, alcune teologhe italiane hanno dato vita al Coordinamento teologhe italiane, spinte dall’esigenza di valorizzare e promuovere gli studi di genere in ambito teologico, pensavano non soltanto al panorama ecclesiale, ma anche a quello culturale. La Chiesa cattolica ha infatti un problema molto serio sulla questione della rappresentanza delle donne, ma questo problema si declina in modi profondamente diversi a seconda dei Paesi in cui essa vive come soggetto storico e culturale, oltre che come comunità religiosa. La questione delle donne è questione italiana, non soltanto cattolica.

Nessuna di noi si illude: la categoria di genere è ambivalente e problematica. Impone però di fare i conti con un dato di fatto ormai evidente: le donne ci sono e, quando acquisiscono gli strumenti per diventare soggetti culturali, sportivi, economici, religiosi, politici, sindacali, sono assolutamente capaci di entrare nella trama delle relazioni e delle competizioni pubbliche che configura una società. Soprattutto, vogliono restare donne, ma non vogliono essere come normalmente ci si aspetta che debbano essere. È vero, sulle passerelle della politica, dei media o della società civile dominano ancora figure o figurine di donne prodotte da un immaginario maschile, da dolce stil novo o da orgetta, poco importa: donne che siano come devono essere, non che siano come sono.

Anche il linguaggio di ecclesiastici illuminati riflette ancora il recondito desiderio che le donne si facciano, sì, sempre più presenti nella Chiesa come nella società, ma che debbano essere quelle che loro si aspettano, sensibili e accoglienti, protagoniste, sì, ma con gli abiti confezionati da una cultura patriarcale che è disposta a farsi femminilizzare (leggi: ammorbidire, edulcorare), ma non è disposta a ridiscutere cosa sia il maschile e il femminile, cosa comporti, sul duplice versante dell’interiorità e delle relazioni, la maschilità e la femminilità, cosa voglia dire vivere in una società capace di declinarsi e di organizzarsi a partire dalla differenza di genere.

E fa amaramente sorridere che rifiutino il femminismo e la prospettiva di genere proprio quelli che hanno organizzato il mondo a partire dal criterio dell’esclusione sulla base della differenza dei sessi. Comprese, evidentemente, le chiese cristiane o le altre tradizioni religiose! Emma Fattorini e Liliana Cavani hanno suggerito alla Chiesa cattolica di convocare un «sinodo sulle donne». Molte di noi sperano fortemente, invece, che ciò non avvenga.

Quando, cinquanta anni fa, Giovanni XXIII convocò il Concilio Vaticano II sapeva molto bene a cosa andava incontro e lo desiderava ardentemente: che i vescovi di tutto il mondo si confrontassero nella trasparenza e nella libertà, perché fossero «le chiese» a ridisegnare il volto di una Chiesa cattolica capace di rispondere alla chiamata di responsabilità che ad essa veniva dalla storia.

La forza del Concilio è stata proprio questa: vi hanno partecipato tutti i vescovi cattolici, con la chiara consapevolezza di dover dare voce alle loro chiese, e vi hanno anche partecipato rappresentanti di un’ecumene cattolica già esistente oltre che vagheggiata, per non dire che, per la prima volta nella storia, vi hanno preso parte, sia pure tra mille limitazioni e vincoli, perfino alcune donne (23 su 2778 presenti!) che erano figure di rilievo in diversi ambiti della vita della Chiesa.

Rileggere il Vaticano II

Al Vaticano II hanno collaborato, con i loro vescovi, 400 teologi in forza nelle diverse università nazionali. Lo sforzo di mediazione che questo ha richiesto, a tutela della comunione ecclesiale, ha dato la misura della vitalità delle chiese e, al contempo, della loro cattolicità reale, non formale.

Oggi, l’atteggiamento di partenza è molto diverso, nell’episcopato, nelle università teologiche, nelle comunità ecclesiali. Perché oggi non si accetta più di partire dal criterio della realtà, percepita e capita come interpellanza per spingere la fedeltà al vangelo lì dove la rivelazione di Dio nella storia chiede, e la giusta distanza tra verità e realtà è diventata insanabile scissione: quali teologi e soprattutto quali teologhe verrebbero chiamati a partecipare? Quale libertà di parola sentirebbero di poter avere?

Dal 4 al 6 ottobre avrà luogo un convegno organizzato dal Coordinamento teologhe italiane dal titolo «Teologhe rileggono il Vaticano II. Assumere una storia, preparare il futuro» (www.teologhe.org). Vuole essere, evidentemente, un evento ecclesiale tra i tanti previsti per celebrare i 50 anni dall’apertura del Vaticano II. Ma vuole anche lasciar emergere quanto e come, a partire dal Concilio, la soggettualità delle donne è diventata una componente irrinunciabile della vita ecclesiale. Una soggettualità di cui, come teologhe, siamo in grado di prenderci la responsabilità. Domandandoci anche, però, se la Chiesa e la cultura italiane sono altrettanto in grado di fare i conti con questa soggettualità che ci spinge ad essere ciò che siamo e non ciò che le aspettative patriarcali pretendono da noi.

*biblista, presidente del Coordinamento teologhe italiane
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/9/2012 21.32
Titolo:La Chiesa su ... un papiro alla deriva!
Il testo copto con la presunta allusione alla "moglie di Gesù"

Un papiro alla deriva

di Alberto Camplani *

"La scoperta di una studiosa di Harvard fa intendere che Gesù ebbe una moglie". Con tale titolo Fox News riprende da altri quotidiani la notizia di una conferenza tenuta martedì 18 settembre sera da Karen L. King, durante il decimo Congresso internazionale di studi copti, che in tale data era ospitato dall’Istituto Patristico Augustinianum, a pochi metri dalla Città del Vaticano. Di tenore simile, ma con variazioni di tono e di consapevolezza critica, nonché riferimenti poco pertinenti al Codice da Vinci di Dan Brown, sono le notizie circolate sulla stampa europea e italiana nei giorni immediatamente seguenti.

Il fatto è presto detto: nel corso della conferenza la studiosa aveva presentato un frammento di papiro che riporta, in traduzione copta, frasi di un dialogo intrattenuto da Gesù con i discepoli a proposito di un personaggio femminile, Maria, che egli definisce "mia moglie" (ta-hime / ta-shime, corrispondente in copto al nostro "donna" o "moglie"). Nulla di strano per un congresso scientifico: in questo caso, tuttavia, il legame troppo immediato tra ricerca e giornalismo, che poco giova ai tempi lunghi del più serio dibattito scientifico, era già stato perseguito da prima del congresso, se è vero che le precocissime notizie di martedì nei giornali americani dipendevano da un’intervista rilasciata dalla studiosa ad Harvard prima della partenza per l’Italia.

Nonostante la deriva mediatica caratterizzata da toni facilmente scandalistici, davanti a un oggetto di questo genere - che, a differenza di tanti altri presentati nel corso del congresso, non è stato scoperto nel corso di scavi, ma proviene dal mercato antiquario - bisogna adottare numerose precauzioni, che ne stabiliscano l’attendibilità e che ne escludano il carattere di contraffazione.

* L’Osservatore Romano 28 settembre 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/10/2012 12.32
Titolo:Anne Soupa: “La Chiesa ha una visione distorta delle donne”
Anne Soupa: “La Chiesa ha una visione distorta delle donne”

intervista a Anne Soupa,

a cura di Philippe Clanché

in “www.temoignagechretien.fr” del 4 ottobre 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

In “Dieu aime-t-il les femmes?” (Dio ama le donne?) la biblista Anne Soupa afferma che la visione delle donne da parte della Chiesa sarebbe nata da un equivoco nell’interpretazione della Genesi e da un rifiuto di rielaborare tale interpretazione.

Come è giunta ad interessarsi del problema dello status delle donne nella Bibbia?

È un problema a cui penso da molto tempo. Sono convinta che la Chiesa abbia una visione distorta delle donne e che sia necessario rettificarla. Ho voluto affrontare il problema partendo dalla Bibbia, perché non sopporto la manipolazione di cui sono oggetto le Scritture, semplicemente per giustificare scelte culturali che non hanno niente a che vedere con la fede.

E pensa che tutto derivi da un errore di interpretazione di un passo della Genesi?

Nei due racconti della Genesi della creazione dell’uomo, Dio crea prima l’ha’adam, fatto d’argilla, l’essere umano generico. Il commentatore maschio - perché storicamente è un uomo - , vi si è rispecchiato e si è appropriato di questo essere umano generico per dire che si trattava di lui. Quello è l’errore originale. I lettori medioevali ne hanno tratto la conclusione che la donna fosse una creazione seconda, nel tempo e per importanza, e soprattutto che fosse un aiuto per l’uomo. Ma se l’uomo maschio non esiste ancora, come potrebbe la donna essere il suo aiuto? Eppure, è proprio su questa lettura sbagliata di Genesi 2, 18-24 che si è basato il magistero cattolico. Non si tratta di un problema di vocabolario. La lingua tedesca, che pure dispone di due termini diversi (Mensch, l’essere umano, e Mann, l’uomo) conserva questa confusione... Bisognerebbe ormai compiere un percorso ufficiale per far sì che vengano distinti l’essere umano e l’uomo maschio.

E tuttavia, la creazione divina si struttura sulla differenza dei sessi?

Dio ha effettivamente creato la differenza dei sessi, ma il testo della Genesi non dà alcun contenuto oggettivo a questa differenza. Per ciascuno e ciascuna, essa sorge dall’esperienza. Dio non dice che la donna è frivola, seducente, segreta, regina della casa e che l’uomo è potente, razionale, inquisitore. Dio non ha creato né il femminile, né il maschile, che sono invece caratteristiche culturali.

In senso più ampio, come considera le donne l’Antico Testamento?

Certe donne sono vittime di violenze terribili, come la concubina del levita violentata fino alla morte. Ma la Bibbia denuncia tali atti. Non dimentica mai che la donna è creatura di Dio. Nel progetto biblico, le donne hanno un ruolo decisivo: dicono che Dio prospetta percorsi insospettati. Si scopre ora il contributo importante delle donne profetesse nella Bibbia. Naturalmente, come in ogni società patriarcale, le loro funzioni sono legate alla vita familiare.

Nel Vangelo, lei presenta un Gesù con caratteristiche “femminili” (non violenza, tenerezza, ascolto) e, allo stesso tempo, innamorato delle donne.

Gesù ha mandato all’aria i codici culturali della sua epoca. È stato libero rispetto al “maschile” del suo tempo. Ha ridato alle donne uno spazio. Ed è da uomo che le considera. Tutte le nostre relazioni umane sono caratterizzate dalla sessualità. In Gesù e nelle sue interlocutrici, c’è una innegabile parte di sessualità passiva. Inoltre, il desiderio di Dio, a partire dai profeti, viene evocato con la metafora delle nozze, della vita amorosa. Nulla di sorprendente che alcuni abbiano creduto di vedervi una relazione scandalosa tra Cristo e Maria Maddalena. È il campo d’azione della vita spirituale: è una relazione amorosa sublimata.

Femminile, maschile... il “genere” è un aspetto da tener presente della relazione con Dio?

I grandi spirituali hanno insistito sulla femminilità dell’anima che accoglie Dio. Ne hanno certo diritto: il femminile, come il maschile, appartengono a tutti. Ma in questo modo, in una società a dominanza maschile come quella del Medio Evo, si sono per di più arrogati il femminile. E, stando così le cose, ne hanno quasi privato le “vere” donne, che finiscono per non essere più necessarie! L’interpretazione del Cantico dei cantici mostra chiaramente questa “espropriazione”. La storia d’amore che racconta è stata intesa da quasi tutti i commentatori cristiani come un’immagine dell’amore tra l’essere umano e Dio. Ma così l’Amata del Cantico scompare in quanto vera donna, non è altro che l’icona di colui che desidera Dio.

Ed è proprio a partire dal Cantico dei Cantici che l’assimilazione tra l’Amata del testo e il popolo dei fedeli fa nascere l’espressione “Chiesa, sposa di Cristo”?

Sono soprattutto i profeti che hanno sviluppato questo tema del popolo-sposa di Dio (e Dio viene così mascolinizzato). E, sfruttando questo filone, anche i teologi, Paolo per primo, hanno sviluppato il tema della Chiesa sposa di Cristo. Ma quella che era solo un’immagine, ed anche una richiesta di maggiore fedeltà a Dio, è diventata una norma che regge i veri rapporti dei veri uomini e delle vere donne nella Chiesa. Ed è su questo che si basa la Chiesa per escludere le donne dal sacramento dell’ordine. Le donne, dice, non possono esprimere il Cristo sposo. Ecco come si fa di una metafora uno strumento di esclusione.

Nei primi secoli del cristianesimo, però, le donne esercitavano dei ministeri. Sotto un ritratto nella chiesa di Santa Prassede a Roma, si legge: Theodora episcopa(il vescovo Theodora). Perché lei situa la svolta al momento della riforma gregoriana (XI-XII secolo)?

La riforma gregoriana affida ai soli preti le tre funzioni tradizionali nella Chiesa: governare, insegnare, santificare. Le donne (come i laici uomini) ne sono quindi escluse, fino ad oggi. E inoltre, nel XIII secolo, la Chiesa inizia la guerra contro i preti sposati. Quella decisione suscita molte resistenze, che generano, in risposta, vere campagne di discredito nei confronti delle donne. Sermoni e rappresentazioni iconografiche associano la donna al serpente della Genesi, come sull’architrave della cattedrale di Autun, ad esempio. Allora, le donne occupano altri spazi. Come ogni popolazione minacciata che fugge verso le montagne o i deserti, le donne si rifugiano nel misticismo o nell’avventura coloniale, in Canada, ad esempio.

In quale momento la Chiesa ha creato la vocazione della donna-madre, della donna-ventre che si realizza innanzitutto nella maternità?

Questa concezione è antica, abbiamo visto che la Bibbia ne riconosce la nobiltà. Ma la maternità non dice tutto di un essere umano. Non definisce un’identità. Nel XX secolo, la promozione della donna nelle società civili ha obbligato Roma a prendere posizione. Ma il Vaticano si è limitata a riprendere il discorso delle società patriarcali, senza vedere che l’emancipazione femminile la chiamava ad un discorso nuovo. Tanto ha sostenuto un tempo la causa delle donne, altrettanto frena oggi la corrente di emancipazione che arriva fino a lei, senza dubbio perché non ci sono abbastanza donne al suo interno per aiutarla a prendere coscienza dell’importanza di questa liberazione. Ad esempio, Roma continua a prendere alla lettera la maledizione della Genesi: Dio moltiplicherà il dolore delle gravidanze della donna e l’uomo dovrà lavorare la terra col sudore della fronte. Per la donna, la maternità diventa ontologica per la donna. Ma agli uomini Roma non chiede di tornare ad essere agricoltori... Oggi siamo in una situazione “folle”: il Magistero parla al posto delle donne e non dà loro la parola. Si arroga il diritto di assegnare loro una vocazione specifica che non ha l’equivalente per i maschi.

Abbiamo parlato del rifiuto di Roma del presbiterato al femminile. Perché lei non ne fa un asse portante della sua richiesta?

Il ministero presbiterale è in crisi. Deve innanzitutto risolvere i suoi problemi. Ordinare delle donne non serve a niente se il quadro è sbilenco. Invece, è importante aprire alle donne la possibilità della predicazione e dell’assunzione di funzioni di responsabilità nella Chiesa. È urgente che si senta la loro voce. Essendo diretta solo dal clero, la Chiesa si priva di sangue nuovo. Si devitalizza.

Quale ruolo svolgono le femministe cattoliche?

Hanno riflettuto soprattutto sugli aspetti teologici ed ecclesiologici, in particolare sui ministeri. Una generazione di esegete comincia a pubblicare. Questo è bene, perché è a partire da una lettura nuova della Scrittura che le cose possono cambiare. Si può anche immaginare un sinodo delle donne, idea che propongo alla fine del mio libro. In tale circostanza potrebbero emergere delle mozioni specificamente femminili e, perché no, dei voti che uniscono uomini e donne. Ho lanciato l’idea, resto in attesa di che cosa ne pensa il pubblico. La questione delle donne è talmente scottante! Non si può restare in silenzio davanti ad una negazione così grave del messaggio evangelico.

Anne Soupa, Dieu aime-t-il les femmes?, Médiaspaul, p. 144, € 19

Biblista e militante

Anne Soupa ha studiato teologia all’Institut de pédagogie de l’Enseignement religieux (Iper) di Lione, poi nelle facoltà cattoliche di Lione e di Parigi. Ha lavorato come biblista, in particolare dirigendo la rivista Biblia presso la casa editrice Cerf. È diventata famosa come promotrice, insieme all’editrice e saggista Christine Pedotti, del Comité de la Jupe e della Conférence catholique des baptisé-e-s francophones, che hanno l’obiettivo di difendere la dignità delle donne e la dignità dei battezzati e delle battezzate. Insieme hanno raccontato queste avventure nel libro Les pieds dans le bénitier, Presses de la Renaissance, 2009.

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Commenti Articolo 737

Titolo articolo : Per una riforma delle Regioni,di Martino Pirone e Giovanni Dotti

Ultimo aggiornamento: October/04/2012 - 15:09:18.

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Autore Città Giorno Ora
martino pirone arcisate 04/10/2012 15.09
Titolo:Per una riforma delle Regioni
Egregio dr. Sarubbi, innanzitutto La ringrazio per il Suo intervento e parere di condivisibilità su questo argomento, e vorrei chiederLe cortesemente, per mia conoscenza, il significato della Sua asserzione: "cancellò la questione meridionale della Costituzione". La ringrazio anticipatamente. Martino Pirone

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Commenti Articolo 738

Titolo articolo : STATO E CHIESA: L'ORA DI RELIGIONE, IL BUON-SENSO DI PROFUMO, E GLI INCONTRI NEL "CORTILE" DI RAVASI AD ASSISI SECONDO IL DETTATO DI PAPA BENEDETTO XVI. Una nota di M. Antonietta Calabrò e una di Armando Torno - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/28/2012 - 10:24:55.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/9/2012 11.40
Titolo:Non toccate l’ora di religione. Profumo fa dietrofront
Non toccate l’ora di religione. Profumo fa dietrofront
di Chiara Paolin (il Fatto, 26.09.2012)

La materia è notoriamente esplosiva. E il ministro dell’istruzione, Francesco Profumo, se n’è reso conto troppo tardi. “Credo che l'insegnamento della religione nelle scuole, così come concepito oggi, non abbia più molto senso. Probabilmente quell’ora di lezione andrebbe adattata, potrebbe diventare un corso di storia delle religioni o di etica" aveva detto venerdì sera alla festa di Sel.

CONCETTO neanche tanto innovativo considerato che il programma ministeriale della scuola italiana, approvato nel 1985 dopo il rinnovo dei Patti Lateranensi, aveva già messo nero su bianco l’obbligo di fornire agli alunni una preparazione di base sulla storia delle religioni. Contestualmente, veniva confermato il diritto del Vaticano a tenere corsi di religione cattolica dalla materna alle superiori, con insegnanti abilitati direttamente dagli organi ecclesiastici. D’altra parte, i genitori avevano la libertà di scegliere un’attività alternativa per i propri figli, completamente estranea alla religione.

Tutto perfetto dunque? “Proprio no - spiega Antonia Sani, pasionaria della scuola laica -. Perché in concreto è successo che l’ora di religione l’hanno dovuta fare tutti. Da sempre, chi chiede l’alternativa viene spedito in altre classi, o in corridoio. I dirigenti scolastici accampano la solita scusa: non ci sono soldi per gli insegnanti in più. Falso, perchè i fondi esistono e basta chiederli”.

Ogni anno si spendono 800 milioni di euro per insegnare la religione cattolica, ma tra i fondi stanziati a questo scopo ci sono anche quelli per la materia alternativa: man mano che le famiglie richiedono corsi diversi, i milioni vengono dirottati. Se nessuno chiede, tutto resta com’è, ma non è facile pretendere dalle scuole il rispetto della norma. Nel 2011 il ministero dell’Istruzione ha inviato una circolare per spiegare alle direzioni scolastiche come attivare i corsi alternativi e dove trovare i soldi: “I genitori di una scuola di Padova avevano chiesto i danni al Tar perchè i loro ragazzi non godevano della materia extra - spiega ancora la Sani - I giudici hanno condannato la scuola a pagare 1.500 euro per ogni studente”.

INSOMMA l’uscita di Profumo casca a pennello tra le esigenze delle famiglie che sempre più numerose non vogliono la religione cattolica (perché di altra fede o semplicemente contrarie alla dottrina in aula) e l’oggettiva disponibilità ministeriale ad applicare finalmente la legge. I fondi 2011, riuniti in un unico asset nazionale, sono generosi: 25 milioni per la scuola materna, 308 per le elementari, 101 per le medie e 224 per le superiori. Dal 1993 al 2011 la percentuale di chi non frequenta l’ora di religione è salita dal 6,5 al 10,2, dice la Cei (cioè 800mila alunni su 8 milioni).


Certo ormai lo Stato italiano ha assunto in pianta stabile 25mila insegnanti di religione scelti dal Vaticano per diffondere la religione cattolica, personale con busta paga garantita e spazio di docenza automatico: qualcosa bisognerà pur fargli fare. Oltretutto nel 1985, allungando l’orario scolastico, si decise di raddoppiare l’ora settimanale e adesso che molte scuole non riescono più a garantire i turni lunghi per mancanza di risorse le ore di religione restano comunque due.

Il ministro Profumo, dopo la consueta zuffa dei pareri (basti la Binetti: “Chi non vuole può uscire di classe”), ha fatto un bel passo indietro: “L’Italia è cambiata, credo che debba cambiare il modo di fare scuola, che debba essere più aperto" ha detto. Un po’ imbarazzato.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/9/2012 11.44
Titolo:L’ora delle religioni La cultura laica in passato ha frenato. Spero che si cambi
L’ora delle religioni

La cultura laica in passato ha frenato. Spero che si cambi

di Michele Ciliberto (l’Unità, 26.09.2012)

È IMPORTANTE IL PROPOSITO ESPRESSO OGGI DAL MINISTRO FRANCESCO PROFUMO DI INTRODURRE NELLA SCUOLA MEDIA L’INSEGNAMENTO DELLE RELIGIONI.

È una proposta importante sia dal punto culturale che da quello civile. Non è la prima volta, in verità, che viene avanzato un progetto di questo genere, ma purtroppo è sempre caduto nel vuoto, senza riuscire ad ottenere una pratica realizzazione.

Alla base di questo fallimento ci sono stati contrasti, opposizioni, diffidenze di vario genere. C’è una diffidenza di matrice ecclesiale. Ma va detto che ostilità sono scaturite anche da vecchie forme di anticlericalismo di matrice vetero risorgimentale che impedivano di cogliere l’importanza della conoscenza storica delle religioni, e il valore che esse hanno avuto, sia pure da punti di vista differenti e configgendo tra di loro, nella formazione dell’uomo moderno e, in generale, della modernità.

Basta pensare all’importanza che l’ebraismo ha avuto nella cultura rinascimentale per fare un solo nome: Giovanni Pico della Mirandola con la sua Biblioteca ebraica e al significato dell’islamismo già nel Medioevo nella costruzione complessa e stratificata dell’identità europea, che non può essere ridotta alla sola matrice cristiana. Essa è il risultato, in varie forme e con differente rilievo, delle tre «religioni del Libro».

E lo stesso atteggiamento negativo e dannosissimo che ha impedito lungamente lo studio della teologia nelle università italiane, non rendendosi conto che senza conoscere le discussioni, e i conflitti, di ordine teologico è impossibile comprendere filosofi di prima grandezza come Cartesio, Spinoza, Leibniz, Kant, Hegel...

Un atteggiamento di cui non è il caso di sottolineare la miopia e la cecità, anzitutto sul piano scientifico, ma anche su quello civile perché impedisce di mettere a fuoco la molteplicità di vie e di forme attraverso cui si è formata, e continua a formarsi, l’esperienza umana, in cui confluiscono, anche polemicamente, correnti e tradizioni religiose di cui occorre mettere in luce, e valorizzare, sia la specificità che l’originalità.

Questo per quanto riguarda il passato. Ma oggi la conoscenza ,e lo studio, delle religioni appare perfino più importante e necessario per le trasformazioni della composizione demografica sia italiana che europea. Oggi sia nel nostro continente che in Italia si sta faticosamente, ma progressivamente, affermando una società multietnica e multireligiosa, che costituisce l’orizzonte attuale della nostra storia, ponendo una serie di problemi nuovi e inediti con cui è indispensabile confrontarsi.

Questo processo richiede la maturazione di nuovi punti di vista e di nuove forme di cittadinanza che impongono di andare al di là della pur fondamentale idea moderna di «tolleranza» e richiedono la costituzione di nuovi modelli e di nuovi istituti di reciproco riconoscimento e convivenza, che non possono, evidentemente, prescindere da una forte e diffusa conoscenza delle reciproche fedi ed esperienze religiose.

In questo senso il problema posto dal ministro Profumo è centrale e riguarda direttamente la figura e l’identità del nuovo Stato nazionale e della nuova identità europea che intendiamo costruire.

Occorre naturalmente vedere se ci siano le condizioni per attuare finalmente questo progetto uscendo da vecchie e superate forme di laicismo e da vecchie contrapposizioni tra credenti e non credenti. E se non ci sono queste condizioni occorre quanto prima crearle, anzitutto sul piano giuridico e istituzionale. E i primi a muoversi in questo senso dovrebbero essere proprio i «laici», se hanno a cuore la formazione di una nuova, e più ricca e più avanzata Italia civile, per riprendere un’espressione cara a un maestro come Norberto Bobbio.

Ma il discorso va al di là della pur importante dimensione civile: l’esperienza religiosa, quando è autentica e profonda, è un patrimonio essenziale per tutti: conoscerla e salvaguardarla è fondamentale per laici e non laici, per credenti e non credenti qualunque sia la «fede» che professano.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/9/2012 15.56
Titolo:Basta dare un’occhiata alle facce che spuntano dai banchi ...
«Religione da rivedere»

di Leo Lancari (il manifesto, 26 settembre 2012)

Per chiunque abbia a che fare con la scuola potrebbe sembrare una constatazione ovvia, eppure le parole dette ieri da Francesco Profumo rappresentano comunque una novità. «Il Paese è cambiato perciò deve cambiare anche modo di fare scuola», ha detto il titolare dell’Istruzione. Basta dare un’occhiata alle facce che spuntano dai banchi per capire come la scuola, così come la società, sia ormai sempre più multietnica, al punto che continuare a non tener conto delle altre culture sia ormai impossibile.

Un discorso che diventa ancora più valido se si parla di religione i cui programmi - ha spiegato ancora Profumo - vanno rivisti. «Credo che l’insegnamento della religione nelle scuole così come concepito oggi non abbia più molto senso. Probabilmente quell’ora di lezione andrebbe adattata, potrebbe diventare un corso di storia delle religioni o di etica», ha affermato il ministro parlando venerdì alla festa di Sel. Concetto ribadito anche ieri, seppure con toni diversi. «Nelle scuole ci sono studenti che vengono da culture, religioni e paesi diversi - ha infatti detto il ministro-. Credo che debba cambiare il modo di fare scuola, che debba essere più aperto. Ci vuole una revisione dei nostri programmi in questa direzione».

E il ripensamento non tocca solo l’ora di religione insegnata nelle classi, che non deve essere solo ed esclusivamente quella cattolica, ma deve toccare anche i programmi di geografia, adeguandoli alla nuova realtà. Come Profumo ha potuto constare direttamente. «Ieri ero in una scuola con il 50% di alunni stranieri - ha spiegato - e mi hanno detto che imparano la geografia dai loro compagni che raccontano del loro paese».

Il ministro ha messo l’indice su una realtà in continua crescita. Secondo gli ultimi dati forniti dal Miur e relativi all’anno scolastico 2010-2011, sono 711 mila gli studenti con cittadinanza non italiana iscritti nelle nostre scuole, il 13,1% in più rispetto all’anno precedente. Di questi quattro su dieci sono nati in Italia, con una concentrazione maggiore nelle scuole d’infanzia dove il 78,3% degli iscritti con cittadinanza non italiana è nato sul territorio italiano. Il gruppo più numeroso è composto da studenti rumeni (125 mila) seguiti dagli albanesi (100 mila)e dai marocchini (poco più di 90 mila). Una presenza corposa, concentrata soprattutto il Lombardia ed Emilia Romagna e, per quanto riguarda le province, a Milano e Roma.

Ignorare questi nuovi cittadini diventa sempre più difficile, al punto da convincere il ministro dell’Istruzione della necessità di aggiornare i programmi scolastici. Ma le parole di Profumo hanno scatenato un vespaio di polemiche. Specie per quanto riguarda la religione cattolica. Critiche sono arrivate dalla Cei, ma anche dagli insegnati di religione, dal Pdl e dall’Udc. Tra i primi ad attaccare il ministro c’è monsignor Gianni Ambrosio, presidente della Commissione episcopale per la scuola della Cei e vescovo di Piacenza. «L’ora di religione cattolica non è certo una lezione di catechismo - ha detto -, bensì un’introduzione a quei valori fondanti della nostra realtà culturale che trovano la propria radice proprio nel cristianesimo». Proteste anche dagli insegnati di religione che attraverso Orazio Rustica, segretario del sindacato di categoria, hanno ricordato a Profumo di aver firmato a fine giugno «le due dichiarazioni riguardanti l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche e le indicazioni didattiche senza aver letto con attenzione ciò che ha sottoscritto». Contro il ministro anche Pdl, Lega e Udc.

Sul fronte opposto apprezzamenti per la presa di posizione del ministro sono arrivati dall’associazione dei genitori cattolici («giusto ampliare l’insegnamento della religione»), dall’Ucoi, da Pd, Idv, Radicali e dalla Flc-Cgil: «Profumo ha perfettamente ragione», ha detto il segretario Mimmo Pantaleo. «E’ fondamentale ridisegnare il ruolo della scuola pubblica all’interno della società, in cui il confronto tra culture diventa decisivo per garantire diritti per tutti».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/9/2012 16.13
Titolo:IL "MAESTRO UNICO". ORIGINE E SVILUPPO DEL SUO POTERE ....
Il papa monarca-assoluto: cenni storici su origine e sviluppo del suo potere.

di Leonardo Boff ("Jornal do Brasil”, 17 settembre 2012) *

Abbiamo scritto precedentemente su queste pagine che la crisi della Chiesa-istituzione-gerarchia ha le sue radici nell’assoluta concentrazione di potere nella persona del Papa, potere esercitato in modo assolutistico, lontano da qualsiasi partecipazione dei cristiani e fonte di ostacoli praticamente insormontabili per il dialogo ecumenico con le altre Chiese.

All’inizio non fu così. La Chiesa era una comunità di fratelli. Non esisteva la figura del Papa. Nella Chiesa comandava l’Imperatore. Era lui il sommo pontefice (Pontifex Maximus), non il vescovo di Roma o di Costantinopoli, le due capitali dell’Impero. E così è l’imperatore Costantino a convocare il primo concilio ecumenico a Nicea (325), per decidere la questione della divinità di Cristo.

E di nuovo nel secolo VI è l’imperatore Giustiniano che ricuce Oriente e Occidente, le due parti dell’impero, reclamando per se stesso il primato di diritto e non quello di vescovo di Roma. Tuttavia, per il fatto che Roma vantava le tombe di Pietro e Paolo, la Chiesa romana godeva di particolare prestigio, come del resto il suo vescovo che davanti agli altri deteneva "la presidenza nell’amore" e esercitava il "servizio di Pietro", quello di confermare i fratelli nella fede, non la supremazia di Pietro nel comando.

Tutto cambia con Papa Leone I (440-461), grande giurista e uomo di Stato. Lui copia la forma romana del potere che si esprime nell’assolutismo e autoritarismo dell’imperatore; comincia a interpretare in termini strettamente giuridici i tre testi del N.T. riferibili al primato di Pietro: Pietro, in quanto roccia su cui si costruirebbe la Chiesa (Mt 16,8); Pietro, colui che conforta i fratelli nella fede ( Lc 22,32); e Pietro come pastore che deve prendersi cura delle pecore (Gv 21,15). Il senso biblico e gesuanico va nella direzione diametralmente opposta, quella dell’amore, del servizio e della rinuncia a ogni onore. Ma l’interpretazione dei testi alla luce del diritto romano - assolutistico - ha il sopravvento. Coerentemente, Leone I assume il titolo di Sommo Pontefice e di Papa in senso proprio.

Subito dopo gli altri papi cominciarono a usare le insegne e il vestiario imperiali, porpora, mitra, trono dorato, pastorale, stole, pallio, mozzetta: si creano palazzi con rispettive corti; si introducono abiti per vita da palazzo in vigore fino ai nostri giorni con cardinali e vescovi, cosa che scandalizza non pochi cristiani che leggono nei vangeli che Gesù era un operaio povero e senza fronzoli. Così finisce per essere chiaro che i gerarchi stanno più vicini al palazzo di Erode che alla culla di Betlemme.

C’è però un fenomeno che noi stentiamo a capire: nella fretta di legittimare questa trasformazione per garantire il potere assoluto del Papa, si fabbricano documenti falsi.

Primo. Una pretesa lettera del Papa Clemente (+96), successore di Pietro in Roma, diretta a Giacomo, fratello del Signore, il grande pastore di Gerusalemme, nella quale si dice che Pietro, prima di morire, aveva stabilito che lui, Clemente, sarebbe stato l’unico e legittimo successore. Evidentemente anche gli altri che sarebbero venuti dopo.

Falsificazione ancora più grande è la Donazione di Costantino, documento fabbricato all’epoca di Leone I, secondo il quale Costantino avrebbe dato in regalo al Papa di Roma tutto l’Impero Romano.

Più tardi, nelle dispute con i re Franchi, fu creata un’altra grande falsificazione le Pseudodecretali di Isidoro, che mettevano insieme documenti e lettere come provenienti dai primi secoli, il tutto a rafforzare il Primato giuridico del Papa di Roma.

Tutto culmina con il codice di Graziano (sec. XIII), ritenuto la base del diritto canonico, ma che poggiava su falsificazioni e norme che rafforzavano il potere centrale di Roma oltre che su canoni veri che circolavano nelle chiese.

Evidentemente tutto ciò viene smascherato più tardi, senza che con questo avvenga una qualsiasi modificazione nell’assolutismo dei Papi. Ma è deplorevole, e un cristiano adulto deve conoscere i tranelli usati e fabbricati per gestire un potere che cozza contro gli ideali di Gesù e oscura il fascino del messaggio cristiano, portatore di un nuovo tipo di esercizio del potere servizievole e partecipativo.

In seguito si verifica un crescendo nel potere dei Papi. Gregorio VII (+1085) nel suo Dictatus Papae (dittatura del Papa) si autoproclamò Signore assoluto della Chiesa e del mondo; Innocenzo III (+1216) si annuncia come vicario e rappresentante di Cristo; e infine Innocenzo IV (+1.254) si atteggia a rappresentante di Dio. Come tale sotto Pio IX, nel 1.870, il Papa viene proclamato infallibile in fatto di dottrina e morale.

Curiosamente, tutti questi eccessi non sono mai stati ritrattati o corretti dalla Chiesa gerarchica, perché questa ne trae benefici. Continuano a valere come scandalo per coloro che ancora credono nel Nazareno, povero, umile artigiano e contadino mediterraneo perseguitato e giustiziato sulla croce e risuscitato contro ogni ricerca di potere, e sempre più potere, perfino dentro la Chiesa. Questa comprensione commette una dimenticanza imperdonabile: i veri vicari-rappresentanti di Cristo, secondo il vangelo di Gesù (Mt 25,45) sono i poveri, gli assetati, gli affamati. La gerarchia esiste per servirli non per sostituirli.

Tradotto da Romano Baraglia

* Fonte: Incontri di Fine settimanana
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/9/2012 11.17
Titolo:Tutti i nomi di dio e il dio dei bambini ....
Scuola

Tutti i nomi di Dio

di Maria Novella De Luca (la Repubblica, 27 settembre 2012)

Bisogna venire qui, in questa ex “scuola ghetto” per stranieri, «da cui le famiglie italiane fuggivano, mentre adesso c’è la fila», ricorda Miriam Iacomini, coordinatrice didattica, per capire come e quanto la polemica sull’ora di religione, la crociata di critiche contro il ministro Profumo che ne ha proposto una (timida) modifica, siano cose e parole lontane dalla vita reale.

Perché l’Italia di Hu, di Massimo, di Pilar, cinesi, filippini, sudamericani, nordafricani, bangladesi, ma anche romeni, ucraini, albanesi, che giocano e corrono nel cortile della loro scuola, è già “multi”- culture, fedi, colori - e il cattolicesimo, visto dalle volte scrostate di questo antico istituto, è soltanto una tra le tante religioni.

Racconta Yusra, 11 anni, accanto alla madre Safia, somala: «Sono musulmana, frequento la moschea, ma qui a scuola fin dalle elementari ho avuto amici di tutte le nazionalità e di tutte le religioni. Ho sempre fatto l’ora di “alternativa”, ma ho partecipato ai laboratori: ognuno raccontava le proprie usanze e anche il proprio modo di pregare». E Safia, con il capo coperto, quietamente precisa: «Nel Corano c’è ogni cosa, anche un po’ della Bibbia, dividersi non serve... ».

Davanti al cancello donne velate e mamme in sari, genitori italiani e la folta, foltissima e sempre più prospera comunità asiatica dell’Esquilino. «Noi siamo buddisti, scandisce sicura la bambina cinese, italiano perfetto e lieve accento romano - ma la mia migliore amica ha fatto la prima comunione, e alla sua festa sono andata anch’io». Integrazione senza barriere. Poi i ragazzini crescono, e può accadere che tutto cambi. Ma per ora è così. Semplicemente.

«Questa scuola negli ultimi dieci anni ha subito una metamorfosi positiva», dice con orgoglio Rosaria D’Amico, maestra con la passione ancora intatta per il suo lavoro. «Le famiglie italiane del quartiere avevano paura di portare i loro figli in un istituto con una percentuale di immigrati così alta. Poi hanno iniziato a frequentarci, hanno capito la nostra didattica aperta ad ogni tipo di diversità, hanno visto le attività, dallo sport alla ludoteca, e le iscrizioni sono cresciute di anno in anno. Italiani e non. E forse sarebbe ora di smetterla di parlare di “stranieri”, visto che il 90% degli immigrati che frequentano la nostra scuola è in realtà nato in Italia ».

I piccoli cinesi ad esempio. Che alle 16,30, quando tutti gli altri vanno a giocare, frequentano la loro seconda scuola, in cinese, appunto. «E sono fortissimi, hanno un allenamento formidabile, come quelli che arrivano dal Bangladesh, che parlano tre lingue», aggiunge Rosaria D’Amico. Mescolarsi fa bene. Apre la mente e i cuori. Come pregare, per chi ci crede. Cristo, Allah, Budda: i grandi poster sulle pareti disegnati dai ragazzi ci ricordano che le fedi sono tante, Dio ha più volti e più nomi. «Ognuno nel cuore sa come invocarlo, soprattutto quando sei un bambino», dice Fatiah, musulmana, che però non ha esonerato i suoi figli dall’ora di religione. «Per loro è come una favola, va bene così».

Educazione alla convivenza. Alla “Di Donato” da alcuni anni, l’associazione “Uva”, che vuol dire “Universo L’Altro”, tiene laboratori di storia delle religioni, finanziati attraverso un bando della Tavola Valdese, con i fondi dell’8 per mille. Spiega la presidente Giulia Nardini: «È da questa eterogeneità che nasce la curiosità dei bambini. Ai nostri corsi partecipano tutti, anche chi è esonerato dall’ora di religione cattolica. Noi facciamo un racconto delle varie fedi attraverso i simboli, le feste e le mappe dei luoghi dove queste storie sono nate. E la narrazione li cattura, conquista sia chi in famiglia prega, chi no. La particolarità è che spesso i bambini di questa scuola già sanno a quale religione appartengono i loro compagni. Sono abituati alla diversità». E gli insegnanti di religione? «A volte collaborano, a volte è come se volessero difendere il loro territorio dalla contaminazione».

Invece questa scuola multi-tutto, aperta dal primo mattino alla sera tardi, grazie ad un efficientissimo comitato di genitori, sede di un Ctp, cioè un centro di educazione per adulti, ha fatto della “contaminazione” la propria cifra. Vincente, sembra. Francesca Longo ha due figlie.

«Entrambe hanno sempre frequentato l’ora di religione. Per cultura, per curiosità. Credo sia giusto. Purché, naturalmente, non diventi catechismo». Aldo è il giovane padre di Paolo, 6 anni, energia incontenibile: «Siamo atei, Paolo non è battezzato e non fa religione. Il ministro Profumo ha ragione: in un mondo globalizzato non si può insegnare ai bambini che esiste soltanto il cattolicesimo. E chi lo critica dovrebbe vedere questa realtà: il miglior amico di mio figlio è di fede islamica, il suo compagno di banco è induista. Il mio sospetto è che la Cei voglia utilizzare l’ora di religione per catechizzare e riportare alla Chiesa i nostri bambini...».

Chissà. Eppure ai più giovani il contatto con il “sacro” piace. Miriam Iacopini, maestra e coordinatrice didattica: «Poco tempo fa abbiamo fatto un lungo lavoro sulle tre religioni monoteiste, portando i bambini a visitare anche la moschea e la sinagoga. E alle famiglie che avevano esonerati i figli dall’ora di religione abbiamo chiesto un esonero “al contrario”. Un’esperienza entusiasmante. Queste polemiche invece sono inutili. Avete visto la nostra scuola? Cadono i cornicioni, la palestra è inagibile, le finestre sono rotte. Abbiano bisogno di fondi non di dibattiti già vecchi per i bambini di domani... ».
Il Dio dei bambini

di Mariapia Veladiano (la Repubblica, 27 settembre 2012)

Come si fa a non parlar di Dio a scuola? Far finta che non esista un credere che ha scosso la storia, disegnato le nazioni, spostato i confini, costruito cattedrali e pievi, riempito musei di opere d’arte. E poi ha dato speranza e suscitato l’azione di persone, popoli, per generazioni, ovunque, da sempre.

Anche adesso. E poi, certo che è capitato, questo credere si è anche rovesciato in conflitti, ordalie atroci, fanatismi devastanti. E bisogna saperlo perché non capiti più, così si dice sempre, tutti d’accordo. Fin qui d’accordo. Poi comincia la guerra. Su come parlare di questa immensità che si declina in infiniti personalissimi modi di far propria una speranza così assoluta da non potersi quasi dire e che pure si deve dire. La via italiana al parlar di Dio a scuola è limpidamente inesemplare.

L’attuale status dell’Insegnamento della religione cattolica (Irc) è formalmente ineccepibile. Ha da anni un suo corretto profilo culturale, dei programmi non confessionali che guardano al cristianesimo come fenomeno religioso fondante per la nostra storia e società, ha suoi obiettivi di apprendimento e sta definendo le specifiche competenze in uscita riferite ai diversi ordini di scuola. Però ha alcuni peccati d’origine che la rendono una disciplina sempre in trincea: nasce da un Concordato (quella del 1984 è stata solo una Revisione del Concordato) internazionale, è disciplina a pieno titolo, ma marginalizzata a livello reale in quanto non entra nell’esame di Stato ed è soggetta a scelta, e marginalizzata anche a livello simbolico, perché la valutazione è fuori dalla pagella.

Poi ci sono i docenti: ora di ruolo per concorso, ma sottoposti all’idoneità dell’ordinario diocesano e però gestiti dallo Stato, privilegiati per alcuni, ma anche crocifissi da una condizione irrimediabilmente anomala che spesso li costringe a programmi molto dipendenti dai desideri degli studenti. A volte eroi a volte fantasisti della didattica.

Ora, a dire che va bene così, magari perché ancora i numeri “tengono” e gli studenti che si avvalgono sono ancora la maggioranza, ci vuol proprio coraggio. Non va bene così anche solo perché decenni di IRC non ci stanno salvando da un analfabetismo religioso impressionante.

Chi insegna lettere conosce la disperazione di dover spiegare tutto, ma proprio tutto, ogni volta che in letteratura si ha bisogno di riferirsi alla cultura religiosa: che sia la cacciata dal paradiso terrestre per il primo capitolo del Candido di Voltaire, o la Pentecoste per gli Inni sacri di Manzoni. Gli studenti non sanno enunciare un dogma quando si parla di principio d’autorità nell’Illuminismo, non sanno dire cosa sia un salmo quando si incontrano i versi struggenti di Quasimodo “alle fronde dei salici per voto,/ anche le nostre cetre erano appese,/ oscillavano lievi al triste vento”. E spesso neppure sanno cosa sia un voto diverso da quello di scuola.

Oggi la scuola è davvero l’ultimo splendido laboratorio della nostra convivenza e l’esperienza religiosa, che per tanti, per la maggior parte di noi, è sì storia, cultura, passato ma anche fondamento e insieme spiraglio di un futuro possibile, deve trovare un posto preservato dalla strumentalizzazione politica, difeso attraverso la sobrietà delle parole e dei toni. Chi crede sa che la fede non ha bisogno dell’IRC, ma del nostro dar ragione della speranza che viviamo, lungo tutto il laico comune costruire insieme i giorni che ci sono dati.

Ai ragazzi a scuola si deve dare la consapevolezza che l’allargarsi dell’umano alla dimensione dello spirito non è un abbaglio, ma una possibilità che moltitudini prima di loro e intorno a loro hanno conosciuto e conoscono. E nella pace possono coltivare. Un parlar di Dio a scuola che venga dalla vittoria di un malsano accanito combattersi è sempre una sconfitta.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/9/2012 10.24
Titolo:La riforma cominci dai docenti
Ora di religione

La riforma cominci dai docenti

di Gian Enrico Rusconi (La Stampa, 28.09.2012)

Ciclicamente sorge il problema dell’insegnamento della religione nella scuola pubblica. Tutti gli argomenti sono stati usati e spesi, con risultati modesti, salvo la possibilità dell’esenzione dall’ora di religione. Sino a qualche anno fa il problema veniva sollevato soprattutto in nome del principio della laicità dell’educazione pubblica. Le richieste che ne seguivano erano molto articolate - dalla soppressione pura e semplice dell’ora di religione alla istituzione sostitutiva di una lezione di etica, all’introduzione della storia delle religioni, Tutte le proposte sono sempre state contestate e respinte dai rappresentanti (quelli che contano) del mondo cattolico. Nel frattempo si sono aggiunte altre problematiche: l’enfasi sulle «radici cristiane» della nostra cultura (argomento poi vergognosamente politicizzato), la presenza crescente di allievi di altre religioni ( con riferimento costante se non esclusivo a quella islamica) e i discorsi sempre più frequenti sul ritorno e «il ruolo pubblico delle religioni».

Il tutto si è accompagnato con crescente deferenza pubblica verso la Chiesa la cui posizione dottrinale poco alla volta ha acquistato la funzione surrogatoria di una «religione civile». Si è creato l’equivoco di misurare i criteri dell’etica pubblica sulle indicazioni della dottrina della Chiesa - senza preoccuparsi della effettiva adesione ad essa dei comportamenti dei cittadini che dicono di essere credenti. Il tasso di trasgressione delle indicazioni ecclesiastiche da parte dei cittadini italiani non è affatto minore di quella generale dei Paesi considerati più secolarizzati.

In questo contesto il monopolio della Chiesa nell’insegnamento religioso nelle scuole - comunque definito - è solo un tassello, cui non intende minimamente rinunciare. D’altra parte oggi né l’istituzione statale né la cosiddetta società civile sono in grado di offrire alternative. E’ possibile superare questo circolo vizioso? Non già contro la Chiesa - come subito si accuserà - ma per rinnovare profondamente o semplicemente dare concretezza alla libertà religiosa.

Nel nostro Paese cresce paurosamente l’incultura religiosa, che non ha nulla a che vedere con la laicità. Anche se gli uomini di Chiesa ne danno volentieri la colpa al laicismo, al relativismo, al nichilismo ecc. Solo i più sensibili si interrogano sul paradosso della crescente incultura religiosa in un Paese dove la Chiesa è accreditata di un’enorme autorità morale. Solo i più sensibili si chiedono se non c’è qualcosa che non va in un magistero e in una strategia comunicativa che rischia di impoverirsi teologicamente, perché tutta assorbita dalla preoccupazione per quelli che sono chiamati perentoriamente «i valori», a loro volta monopolizzati dai temi della «vita» e della «famiglia naturale», sostenuti e trattati con fragili argomentazioni teologiche. Una particolare (discutibile) antropologia morale ha preso il posto della riflessione teologica. So che è un discorso impegnativo e complicato, da rimandare ad altra sede. Ma c’entra con il nostro tema.

La stragrande maggioranza delle famiglie italiane - loro stesse caratterizzate da basso tasso di cultura religiosa - mandano i figli all’ora di religione perché «fa loro bene». Lo considerano un surrogato di insegnamento morale, senza troppo preoccuparsi dei contenuti. Anzi sono ben contenti che i ragazzi non fanno «lezione di catechismo» - come assicurano molti degli insegnanti cattolici.

Ma qui nasce un altro brutto paradosso. Certamente è giusto che non si faccia catechismo. Ma la lezione di religione deve comunque fornire contenuti di conoscenza su che cosa significa avere una fede. La sua origine, la sua storia, la sua evoluzione, i suoi conflitti interni, le differenze rispetto alle altre religioni ma anche il loro confronto positivo. Tutto questo per noi è «storia delle religioni», anche a partire dalla centralità del cristianesimo, che - sia detto per inciso - teologicamente parlando non coincide con il cattolicesimo.

Suppongo che il cattolico che leggesse queste righe, direbbe con cipiglio severo che è esattamente quello che fanno (o dovrebbero fare) gli insegnanti ufficiali di religione, quelli autorizzati dal vescovo, per intenderci. Non dubito che ci sono molti insegnanti di religione «ufficiali» ottimi nel senso delle cose che sto dicendo.

Ma qui si apre un altro problema, forse il più delicato e decisivo. Non ci si può fidare o affidare alla maturità soggettiva dei singoli insegnanti o all’assicurazione dell’autorità ecclesiastica, se vogliamo che la lezione di religione o di storia delle religioni si configuri come vero servizio della scuola pubblica. Si obietterà che le norme attualmente vigenti sono concepite diversamente e vanno rispettate. Bene. Ma è tempo di cambiarle, senza aspettare l’esternazione del prossimo ministro dell’Istruzione o la prossima congiuntura politica.

Il vero problema è che l’Italia ha urgenza di formare laicamente un ceto di insegnanti di religione o delle religioni - non già contro la Chiesa ma sperabilmente con la sua collaborazione - che risponda seriamente alla nuova problematica del pluralismo religioso. In molte università italiane ci sono buoni centri di ricerca sui fenomeni religiosi, con opportuni collegamenti interdisciplinari con le scienze antropologiche e di storia delle civiltà. Si tratta di valorizzare tali centri, di metterli in collegamento e renderli funzionali per la formazione di nuovi docenti per la scuola. E’ un lavoro impegnativo, ma necessario e urgente. E’ un vero peccato invece che molti influenti cattolici del nostro Paese si chiudano a riccio con argomenti davvero molto modesti.

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Titolo articolo : LA CEI E LA PAROLA A "DOUBLE-FACE". Il cardinale Bagnasco e i vescovi di fronte alla crisi. "Anche la Chiesa si indigna". Una nota di Marco Politi - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/27/2012 - 21:49:11.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/9/2012 10.18
Titolo:I TEMI PRINCIPALI DELLA PROLUSIONE DI BAGNASCO ...
CHIESA - CONSIGLIO PERMANENTE CEI

«Stringere i ranghi per amore all’Italia» *

Il cardinale Bagnasco ha aperto questo pomeriggio i lavori del Consiglio permanente della Cei, che proseguiranno fino a giovedì. In mattinata il presidente della Cei è stato ricevuto dal Papa, in udienza nel palazzo apostolico di Castelgandolfo. Nella Prolusione, il cardinale affronta subito il tema più drammatico di questi mesi, la crisi economica, che "interroga" i vescovi.

UN POPOLO TENACE, NON SCORAGGIAMOCI Occorre reagire alla tentazione dello scoraggiamento - dice Bagnasco riecheggiando le parole del Papa -, ma c’è una carenza di una visione globale, capace di tenere insieme i diversi aspetti dei problemi. "Il nostro popolo tiene, resiste, non si arrende e vuol reagire, esige la nuda verità delle cose". Gli italiani sono capaci di sacrifici ma non più a occhi chiusi.

TESTIMONI ATTENDIBILI DELLA SALVEZZA Il cardinale spiega che non si può essere "indifferenti alla sorte di chi è più sfortunato di noi", e cita i testimoni forti del nostro tempo: don Ivano Martini, il parroco morto nel terremoto dell’Emilia, il cardinale Martini, mons. Maffeo Ducoli, vescovo emerito di Belluno, deceduto di recente e poi i coraggiosi sacerdoti e vescovi del Sud, impegnati a riscattare la loro terra.

CHIESA UNITA INTORNO A PIETRO Bagnasco rimanda poi alla figura di Benedetto XVI, "nitida e disarmante". Ed ecco il grido di orgoglio: "La Chiesa non è moribonda, ma è forse l’unica a lottare per i diritti veri dei bambini, degli anziani e deglia mmalati, della famiglia, mentre la cultura dominante vorrebbe isolare e sterilizzare ciò che di umano resta nella nostra civiltà".

UN ANNO PASTORALE BENEDETTO All’avvio dell’anno pastorale nelle comunità cristiane, un pensiero va all’appuntamento di ottobre con il Sinodo mondiale dei vescovi sulla Nuova evangelizzazione e sul successivo Anno della fede. L’invito a di sviluppare al massimo le potenzialità delle comunità, per "bussare a ogni porta e a offrirci alla libertà di ogni famiglia".

PORTA DELLA FEDE E SGUARDO SUL MONDO Il cardinale volge lo sguardo ai "fantasmi anti-religiosi" che fanno la loro comparsa anche in Europa e ai cristiani perseguitati in troppe parti del mondo, nella "sostanziale indifferenza della comunità internazionale", e invoca il rispetto e la libertà religiosa.

SACERDOTI ENTUSIASTI, LAICI COERENTI Un capitolo della prolusione è dedicati a ruolo del clero e al laicato. In un’epoca di forte crisi delle vocazioni, "le anime cercano preti entusiasti, con una chiara identità, che li renda presenti nel mondo senza che siano del mondo". Quanto al laicato, serve un nuovo slancio e di una nuova generazione di politici cristianamente ispirati, capaci di dire una parola chiara e coraggiosa.

L’ITALIA ESCA DAL VICOLO CIECO Dato il momento particolarmente serio, la Chiesa fa appello alla responsabilità della società, perché "è necessario stringere i ranghi per amore al Paese": è l’ora di una "solidarietà lungimirante" - dice Bagnasco - che si concentri sui problemi dell’economia, del lavoro, della rifondazione dei partiti, delle procedure partecipative ed elettive, di una lotta inesorabile alla corruzione. "Dispiace molto che anche dalle Regioni stia emergendo un reticolo di corruttele e di scandali, inducendo a pensare che il sospirato decentramento dello Stato in non pochi casi coincide con una zavorra inaccettabile. Che l’immoralità e il malaffare siano al centro come in periferia non è una consolazione, ma un motivo di rafforzata indignazione, che la classe politica continua a sottovalutare. Ed è motivo di disagio e di rabbia per gli onesti. Possibile che l’arruolamento nelle file della politica sia ormai così degradato? Si parla di austerità e di tagli, eppure continuamente si scopre che ovunque si annidano cespiti di spesa assurdi e incontrollati".

Alla luce di questo, occorre prepararsi con rigore e intelligenza alle prossime elezioni, per un rinnovamento reale delle formazioni politiche.

POVERTA’ CRESCENTE, ASSILLO PER I GIOVANI La crisi morde ed è l’ora della "solidarietà lungimirante". Il clientelismo ha creato nel tempo situazioni oggi insostenibili e i giovani sono il nostro maggiore assillo, con le piaghe del precariato, che sta diventando anche una "malattia dell’anima". "Siamo con questi giovani - scandisce Bagnasco - perché è intollerabile lo sperpero antropologico di cui, lo malgrado, sono attori.

FAMIGLIA E VITA, IMPEGNO ANCHE LAICISSIMO "La gente non perdonerà la poca considerazione verso la famiglia così come la conosciamo", dice il presidente della Cei. "Specialmente in tempo di crisi si finisce per parlare d’altro, per esempio si discute di unioni civli che sono sostanzialmente un’imposizione simbolica, tanto poco in genere vi si è fatto ricorso là dove il registro è stato approvato". Si parla di libertà di scelta, osserva il cardinale, ma si vogliono assicurare gli stessi diritti della famiglia fondata sul matrimonio, senza l’aggravio dei suoi doveri. "Si modifica così il significato proprio del matrimonio, segnando il pensare sociale e l’educazione dei figli". Riconoscere le unioni di fatto non è neutrale, pur non obbligando alcuni, è fortemente condizionante per tutti. "Perché non si vuol vedere? Non si vuole riconoscere le conseguenze nefaste di queste apparenti avanguardie?". Bagnasco poi invoca sostegni per la famiglia, come luogo privilegiato su cui si fonda una società. "Un impegno sacrosanto e insieme laicissimo".

Nello stesso modo, si attende il varo definitivo, da parte del Senato, del provedimento relativo al fine vita (Dat). "Rimane un ultimo passo da compiere, se non si vuole che un’altra legislatura si chiuda con un nulla di fatto". La Chiesa è ugualmente impegnato nella salvaguardia della dignità degli embrioni, così come dei migranti che varcano il mare alla ricerca di una vita migliore.

* Avvenire, 24 settembre 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/9/2012 11.13
Titolo:A SCUOLA DI ... GIULIO CESARE, IL PONTEFICE ATEO
Giulio Cesare, il pontefice ateo

Seguace di Epicuro, fu eletto alla massima carica religiosa

di Luciano Canfora (Corriere della Sera, 25.09.2012)

Nell’anno 63 a.C. Giulio Cesare, non ancora quarantenne, grazie ad una campagna elettorale costosissima che rischiò di portarlo definitivamente alla rovina, riuscì a farsi eleggere pontefice massimo, la più alta carica religiosa dello Stato romano. Lo scontro elettorale era stato durissimo; il suo principale antagonista Quinto Lutazio Catulo aveva messo in atto la più pervasiva corruzione elettorale fondata sulla capillare compravendita del voto. Cesare rispose con la stessa arma. Il «mercato politico» - come ancora oggi elegantemente lo si chiama - raggiunse in quell’occasione una delle sue vette. Cesare dovette indebitarsi a tal punto per far fronte ai costi di una tale oscena campagna elettorale da lasciarsi andare, parlando con la madre, alla celebre uscita: «Oggi mi vedrai tornare o pontefice massimo o esule». È Plutarco, al solito egregiamente informato su tutto quell’aspetto del reale che la storia «alta» trascura, a darci la notizia e a chiosarla con una interessante considerazione: con tale vittoria inattesa, e contro un avversario così forte e così autorevole, Cesare «intimidì gli ottimati, i quali capirono che avrebbe potuto indurre il popolo a qualunque audacia» (Vita di Cesare, 7).

Subito dopo esplode la congiura di Catilina. Cesare, che è pretore designato (entrerà in carica nel gennaio 62), è lambito dalla congiura. Ed in Senato, di fronte alla pressione fortissima di chi (come Cicerone e Catone) propugna l’esecuzione capitale dei congiurati, ormai scoperti e arrestati, Cesare sceglie di motivare, con argomenti tratti dalla filosofia di Epicuro, la proposta di lasciarli in vita. Con l’argomento che, se l’anima è mortale, la pena di morte è più lieve di una lunga detenzione! Sappiamo quanto si sia speculato da parte dei contemporanei, e poi degli studiosi moderni, intorno alla implicazione o meno di Cesare nella congiura. Cicerone - e non lui soltanto - era convinto che Cesare fosse compromesso: ma non ritenne di affermarlo apertamente, se non quando il dittatore era morto. Certo, la vittoria elettorale che consentì a Cesare di assumere il pontificato massimo venne al momento opportuno e rivestì lo stesso Cesare di una nuova sacralità protettiva, quanto mai giovevole in quel momento.

Essere implicati in un’iniziativa eversiva segreta si può in molti modi, che vanno dalla diretta partecipazione alla semplice, passiva consapevolezza del progetto. Cesare non era così imprudente da porsi in una posizione tale da divenire ricattabile, una volta fallito il piano, da compagni imprudenti o sfortunati. Cercò però di salvarli parlando in Senato nel modo in cui Sallustio, suo seguace, lo fa parlare, scomparsi ormai tutti i protagonisti della vicenda.

Decimo Silano aveva proposto la pena capitale e la proposta incontrava largo consenso. Cesare interviene per capovolgere una situazione difficilissima e si sforza di presentare la pena di morte come troppo lieve, con l’argomento che - nella sventura - «la morte non è un supplizio, è un riposo agli affanni», in quanto - prosegue in perfetto stile epicureo - «dopo la morte non c’è posto né per il dolore né per il piacere» (Sallustio, Congiura di Catilina, 51). Fa una notevole impressione il pontefice massimo che impartisce agli altri senatori una breve ed efficace (e strumentale) lezione di filosofia epicurea. Era noto che Cesare avesse, come tantissimi nelle classi colte romane, subìto l’influsso o sentito il fascino di quel lucido pensiero anticonsolatorio.

Replicando a Cesare in quel dibattito memorabile, che si concluse con la decisione illegale di procedere all’esecuzione capitale immediata, e senza processo, dei congiurati, Catone ironizzò: Cesare - disse - pontefice massimo, pretore designato, «ci ha amabilmente intrattenuto (bene et composite disseruit) sulla vita e sulla morte»; «se non erro - soggiunse - ha sostenuto teorie false, ha dichiarato infatti di non credere a quello che si narra degli inferi, che cioè i malvagi andranno a finire, dopo la morte, in contrade diverse da quelle destinate ai buoni: contrade tetre, incolte, sinistre, spaventevoli». Questa lezione di corretta credenza religiosa, impartita al pontefice massimo appena eletto, è una delle più sottili perfidie dell’oratoria politica di tutti i tempi.

Naturalmente il problema da porsi è come mai nella società politica romana fosse possibile e conciliabile con il mos maiorum e con la stabilità delle istituzioni avere un «papa ateo».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/9/2012 09.20
Titolo:Bagnasco fa testamento
Bagnasco fa testamento

di Luca Kocci (il manifesto, 25 settembre 2012)

Il riconoscimento delle unioni di fatto avrebbe «conseguenze nefaste»: l’intera società andrebbe «al collasso». Era previsto che il cardinal Bagnasco, dando ieri il via ai lavori del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana - in corso a Roma fino a giovedì prossimo - sarebbe intervenuto sulla questione dei registri comunali delle unioni di fatto, avviati da diverse amministrazioni comunali, fra cui quella milanese di Pisapia. Ma i toni e le parole usate dal presidente dei vescovi italiani sono state particolarmente, e inusualmente, dure.

Del resto le elezioni si avvicinano, gli schieramenti si agitano, ed è bene fissare preventivamente i paletti, come pure aveva fatto Ratzinger sabato scorso, ricevendo a Castel Gandolfo Pieferdinando Casini e i rappresentanti dell’Internazionale democristiana.

C’è la crisi, ma si perde tempo a «parlare d’altro», cioè di unioni civili, lamenta Bagnasco. In questo modo non si vuole «dare risposta a problemi reali», ma «affermare ad ogni costo un principio ideologico, creando dei nuovi istituti giuridici che vanno automaticamente ad indebolire la famiglia». Idea sbagliata e anche inutile, aggiunge il cardinale, che fa finta di non capire: c’è già il matrimonio civile, che basta e avanza, ma gli interessati vi si «sottraggono» - ovviamente le coppie omosessuali non sono minimamente contemplate -, perché «ci si vuol assicurare gli stessi diritti della famiglia fondata sul matrimonio, senza l’aggravio dei suoi doveri». Se il legislatore riconoscesse le unioni di fatto, «il significato proprio dell’istituzione matrimoniale» sarebbe modificato e «il pensare sociale» verrebbe «pesantemente segnato».

Quindi l’attacco diretto ai fautori del riconoscimento delle unioni: «Quando si vuole ridefinire la famiglia esclusivamente come una rete di amore, dove c’è amore c’è famiglia si dice, disancorata dal dato oggettivo della natura umana, un uomo e una donna, e dalla universale esperienza di essa, la società deve chiedersi seriamente a che cosa porterebbe tale riduzione, a quali nuclei plurimi e compositi, non solo sul versante numerico, ma anche su quello affettivo ed educativo».

Ma la risposta già c’è: «La società, come già si profila in altri Paesi, andrebbe al collasso». La strada, quindi, va percorsa nella direzione opposta, tanto più «nell’attuale congiuntura», in cui la famiglia è l’unico ammortizzatore sociale solido, e quindi va «sostenuta concretamente con provvedimenti sul fronte politico ed economico». È uno dei «principi irrinunciabili, e per questo non in discussione», a cui i politici cattolici devono adeguarsi, senza mercanteggiare «ciò che non è mercanteggiabile». Ricordando sempre, profetizza il presidente della Cei, che «la gente non perdonerà la poca considerazione verso la famiglia così come la conosciamo».

Sul fronte dei «principi non negoziabili» c’è un secondo punto: il testamento biologico. Bagnasco chiede «il varo definitivo, da parte del Senato, del provvedimento relativo al fine vita». Un testo più che controverso - e anche per questo fatto scivolare nelle sabbie mobili di Palazzo Madama - che però per il capo dei vescovi è frutto di «un grande e proficuo lavoro svolto a difesa della vita umana». E così il programma politico della Cei in vista delle prossime elezioni è pronto: chiunque voglia evitare scomuniche dall’alto sa cosa deve e non deve fare.

Chi invece appare già scomunicata è Renata Polverini, sebbene, come è prassi, non venga nominata esplicitamente, ma solo evocata. «Dispiace molto che anche dalle Regioni stia emergendo un reticolo di corruttele e di scandali», dice Bagnasco. «Che l’immoralità e il malaffare siano al centro come in periferia non è una consolazione, ma un motivo di rafforzata indignazione». È necessario che i cittadini, «insieme al diritto di scelta dei propri governanti, esercitino un più penetrante discernimento, per non cadere in tranelli mortificanti la stessa democrazia». Un discernimento che però dovrebbero praticare anche i vescovi, che tre anni fa, durante la campagna elettorale per le regionali del Lazio, quando c’era da sconfiggere il «mostro laicista» Bonino, alla Polverini impartirono solenni benedizioni.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/9/2012 16.21
Titolo:AGLI ORDINI DEL PONTEFICE MASSIMO. cenni storici su origine e sviluppo del suo p...
Il papa monarca-assoluto: cenni storici su origine e sviluppo del suo potere.

di Leonardo Boff ("Jornal do Brasil”, 17 settembre 2012) *

Abbiamo scritto precedentemente su queste pagine che la crisi della Chiesa-istituzione-gerarchia ha le sue radici nell’assoluta concentrazione di potere nella persona del Papa, potere esercitato in modo assolutistico, lontano da qualsiasi partecipazione dei cristiani e fonte di ostacoli praticamente insormontabili per il dialogo ecumenico con le altre Chiese.

All’inizio non fu così. La Chiesa era una comunità di fratelli. Non esisteva la figura del Papa. Nella Chiesa comandava l’Imperatore. Era lui il sommo pontefice (Pontifex Maximus), non il vescovo di Roma o di Costantinopoli, le due capitali dell’Impero. E così è l’imperatore Costantino a convocare il primo concilio ecumenico a Nicea (325), per decidere la questione della divinità di Cristo.

E di nuovo nel secolo VI è l’imperatore Giustiniano che ricuce Oriente e Occidente, le due parti dell’impero, reclamando per se stesso il primato di diritto e non quello di vescovo di Roma. Tuttavia, per il fatto che Roma vantava le tombe di Pietro e Paolo, la Chiesa romana godeva di particolare prestigio, come del resto il suo vescovo che davanti agli altri deteneva "la presidenza nell’amore" e esercitava il "servizio di Pietro", quello di confermare i fratelli nella fede, non la supremazia di Pietro nel comando.

Tutto cambia con Papa Leone I (440-461), grande giurista e uomo di Stato. Lui copia la forma romana del potere che si esprime nell’assolutismo e autoritarismo dell’imperatore; comincia a interpretare in termini strettamente giuridici i tre testi del N.T. riferibili al primato di Pietro: Pietro, in quanto roccia su cui si costruirebbe la Chiesa (Mt 16,8); Pietro, colui che conforta i fratelli nella fede ( Lc 22,32); e Pietro come pastore che deve prendersi cura delle pecore (Gv 21,15). Il senso biblico e gesuanico va nella direzione diametralmente opposta, quella dell’amore, del servizio e della rinuncia a ogni onore. Ma l’interpretazione dei testi alla luce del diritto romano - assolutistico - ha il sopravvento. Coerentemente, Leone I assume il titolo di Sommo Pontefice e di Papa in senso proprio.

Subito dopo gli altri papi cominciarono a usare le insegne e il vestiario imperiali, porpora, mitra, trono dorato, pastorale, stole, pallio, mozzetta: si creano palazzi con rispettive corti; si introducono abiti per vita da palazzo in vigore fino ai nostri giorni con cardinali e vescovi, cosa che scandalizza non pochi cristiani che leggono nei vangeli che Gesù era un operaio povero e senza fronzoli. Così finisce per essere chiaro che i gerarchi stanno più vicini al palazzo di Erode che alla culla di Betlemme.

C’è però un fenomeno che noi stentiamo a capire: nella fretta di legittimare questa trasformazione per garantire il potere assoluto del Papa, si fabbricano documenti falsi.

Primo. Una pretesa lettera del Papa Clemente (+96), successore di Pietro in Roma, diretta a Giacomo, fratello del Signore, il grande pastore di Gerusalemme, nella quale si dice che Pietro, prima di morire, aveva stabilito che lui, Clemente, sarebbe stato l’unico e legittimo successore. Evidentemente anche gli altri che sarebbero venuti dopo.

Falsificazione ancora più grande è la Donazione di Costantino, documento fabbricato all’epoca di Leone I, secondo il quale Costantino avrebbe dato in regalo al Papa di Roma tutto l’Impero Romano.

Più tardi, nelle dispute con i re Franchi, fu creata un’altra grande falsificazione le Pseudodecretali di Isidoro, che mettevano insieme documenti e lettere come provenienti dai primi secoli, il tutto a rafforzare il Primato giuridico del Papa di Roma.

Tutto culmina con il codice di Graziano (sec. XIII), ritenuto la base del diritto canonico, ma che poggiava su falsificazioni e norme che rafforzavano il potere centrale di Roma oltre che su canoni veri che circolavano nelle chiese.

Evidentemente tutto ciò viene smascherato più tardi, senza che con questo avvenga una qualsiasi modificazione nell’assolutismo dei Papi. Ma è deplorevole, e un cristiano adulto deve conoscere i tranelli usati e fabbricati per gestire un potere che cozza contro gli ideali di Gesù e oscura il fascino del messaggio cristiano, portatore di un nuovo tipo di esercizio del potere servizievole e partecipativo.

In seguito si verifica un crescendo nel potere dei Papi. Gregorio VII (+1085) nel suo Dictatus Papae (dittatura del Papa) si autoproclamò Signore assoluto della Chiesa e del mondo; Innocenzo III (+1216) si annuncia come vicario e rappresentante di Cristo; e infine Innocenzo IV (+1.254) si atteggia a rappresentante di Dio. Come tale sotto Pio IX, nel 1.870, il Papa viene proclamato infallibile in fatto di dottrina e morale.

Curiosamente, tutti questi eccessi non sono mai stati ritrattati o corretti dalla Chiesa gerarchica, perché questa ne trae benefici. Continuano a valere come scandalo per coloro che ancora credono nel Nazareno, povero, umile artigiano e contadino mediterraneo perseguitato e giustiziato sulla croce e risuscitato contro ogni ricerca di potere, e sempre più potere, perfino dentro la Chiesa. Questa comprensione commette una dimenticanza imperdonabile: i veri vicari-rappresentanti di Cristo, secondo il vangelo di Gesù (Mt 25,45) sono i poveri, gli assetati, gli affamati. La gerarchia esiste per servirli non per sostituirli.

Tradotto da Romano Baraglia

* Fonte: Incontri di Fine settimanana
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/9/2012 21.49
Titolo:Laziogate, le colpe del Vaticano ...
DON PAOLO FARINELLA - Laziogate, le colpe del Vaticano *

Come ho scritto tante volte, negli anni scorsi e a ridosso del cambio di guardia del governo italiano, imposto dall’Europa, il fallimento su tutta la linea dell’usurpatore Berlusconi non ha significato la fine delle disgrazie italiane. Anzi, adesso vengono allo scoperto con più veemenza perché è l’inizio di una fine tragica che durerà a lungo. Ho scritto, in epoca non sospetta, cioè anni addietro su questi «pacchetti» che il «berlusconismo» come virus infettivo ha inficiato il tessuto vitale del nostro Paese e saranno necessari decenni (dicevo 70 anni) di disintossicazione per cominciare a respirare aria salubre.

I fatti sono davanti a noi. Quando c’erano Pci e Dc, c’erano anche processi di selezione politica, aberranti se si vuole, come la supremazia del partito e il clericalismo raccomandatizio, che fungeva da deterrenza e c’erano «scuole di formazione politica» che preparavano alla responsabilità pubblica. Da quando Berlusconi ha sdoganato l’indecenza e i fascisti, facendo accettare il suo conflitto d’interessi come «sacrificio personale per la patria», la politica è stata invasa dalle cavallette senza testa e senza anima: predoni e prostitute, ladri e corrotti, mafiosi e malavitosi ... tutti hanno avuto accesso indiscriminato alla tavola della politica, trasformata in una mangiatoia a prescindere.

Il deserto è davanti a noi. Vent’anni di berlusconismo ed ecco il risultato: il Lazio, la Lombardia, la Calabria, il Molise e a continuare. Certo, quelli del Pd non scherzano nemmeno e pare che ce la mettano tutta per fare a gara nel tentativo di superare la destra, ma nonostante si sforzino non ci riescono perché la base è onesta, sana, lavoratrice, vive del proprio stipendio, onora gli impegni. La destra no, non può per essenza propria: la base è profittatrice, raccomandata, tendente al furto costitutivo, vuole essere furba, ricca e anche cattolica con l’imprimatur vaticano.

Avvenire, il giornale dei vescovi italiani, sabato 22 settembre 2012 riporta: «Oggi anche il presidente della Conferenza episcopale italiana, Angelo Bagnasco, è intervenuto sulla vicenda. Gli sprechi di cui si sente parlare in questi giorni “sono una cosa vergognosa”, ha detto l’arcivescovo di Genova. “Le ristrettezze devono farci stringere gli uni agli altri con maggiore bontà”, ha aggiunto: “pensare solo a noi stessi sarebbe egoista e miope”». L’Avvenire ha la memoria corta e non può fermarsi ad un cenno senza dire il dritto e il rovescio di come stanno le cose, perché se lo fa diventa immoralmente complice. Proviamo a chiarire per noi, che di solito seppelliamo la memoria passata e dimentichiamo, quasi fossimo affetti da alzheimer politico.

Aprendo i lavori del consiglio di presidenza della Cei, il giorno 22 settembre 2012, il cardinale di Genova e presidente della stessa Cei, Angelo Bagnasco, ha parlato di «un reticolo di corruttele e di scandali» per cui «è l’ora di una lotta penetrante e inesorabile alla corruzione». Ottima risposta in tempo reale. In verità mi sarei anche aspettato un vero atto di contrizione e di pentimento, le scuse dei vescovi a tutto il popolo italiano per avere sostenuto per 18 anni la fucina della corruzione, Silvio Berlusconi e il suo sistema di ladrocinio. Alle elezioni regionali laziali, la Cei appoggiò a spada tratta la candidatura di Renata Polverini alla presidenza della regione Lazio con tutte le forze «cattoliche». Bisogna ricordare cosa avvenne, altrimenti non si capisce cosa stia succedendo oggi.

Alle elezioni regionali del Lazio (28-29 marzo 2010), nel deserto della politica decaduta come un piombo nel vuoto, si candidò Emma Bonino, sostenuta dai radicali e dopo un po’ di torcicollo, anche da quella che eufemisticamente veniva chiamata «sinistra» (dal Pd a Sel). Emma Bonino, che era stata Commissario europeo stimatissima ed era vice presidente del Senato, aveva ufficialmente due handicap: era radicale e abortista. La sua vera colpa, però, fu l’impegno, se fosse stata eletta, a mettere drasticamente mano alla riforma della sanità regionale totalmente in mano privata: cliniche e servizi di istituti religiosi e privati affaristi. Se ciò si fosse realizzato, sarebbe finita la cuccagna dell’allegra compagnia.

Per evitare l’affronto di questa prospettiva che avrebbe visto una «abortista» e laica a capo della Regione Lazio, la «regione del papa» (!!!), l’ex presidente della Cei, il cardinale Camillo Ruini, il 10 gennaio 2010, nella sede del Seminario Romano, dove risiedeva, invitò a colazione il presidente del consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi e il suo reggi-oscenità e ombra complice, il nobiluomo di S. Santità Giovanni Letta, sottosegretario alla presidenza del consiglio, per mettere a punto insieme una strategia per scongiurare la vittoria di Emma Bonino che tutti i sondaggi davano per scontata.

I tre moschettieri si coalizzarono sulla candidatura di Renata Polverini, voluta da Berlusconi e Fini, donna insignificante, fascista e segretaria dello sparuto sindacato destrorso Ugl, da contrapporre all’altra donna con tutta la potenza di fuoco di una vera macchina da guerra agguerrita: l’influenza della gerarchia cattolica, le tv, i giornali e i rotocalchi di proprietà del capo banda e l’arte sottile del nobiluomo si mise in moto per convincere l’Udc di Pierferdinando Casini a fare parte della compagnia massonica. Non andarono tanto per il sottile, mettendo in moto ogni strumento lecito e illecito, sturando senza remore la fogna della corruzione, pur di fare vincere la destra. Era questione di vita o di morte per Berlusconi a livello governativo e per la Cei e il Vaticano a livello d’immagine e d’influenza. Il Vaticano era terrorizzato dalla vittoria di Emma Bonino perché, in caso di vittoria, il papa avrebbe dovuto riceverla e certamente non poteva prevedere i discorsi che avrebbe fatto «davanti al papa».

Per farla breve vennero eletti «i rappresentanti del malaffare» come Fiorito e compagni di merenda, Er Batman de Anagni. Quando nel V secolo in Italia scesero i vandali, furono più generosi e non si papparono tutto. Questi famelici e idrovore non hanno avuto rispetto per alcuno. La Polverini ha tagliato i sussidi ai disabili, ha ridotto alla fame la povera gente, ma ha approvato con la sua giunta e il suo consiglio leggi per distribuire soldi pubblici ai gruppi regionali e ai singoli consiglieri: 100.000,00 euro (diconsi cen-to-mi-la-eu-ro). Senza l’appoggio dei sedicenti cattolici e della gerarchia cattolica Polverini & C. non sarebbero stati eletti, ai disabili non sarebbero stati tolti 150 milioni di aiuti e oggi il presidente della Cei non si scandalizzerebbe a buon mercato.

Il 25 giugno 2012 parlando agli assistenti delle associazioni cattoliche, fu lo stesso segretario del cardinale Angelo Bagnasco, mons. Mariano Crociata a dire con disarmante ingenuità: «E’ impressionante come tanta nostra gente (leggi: cattolici che appoggiamo e di cui ci serviamo, ndr) sia parte integrante di quella folla ... di corrotti e corruttori, di evasori e parassiti, di profittatori e fautori di illegalità diffusa, difensori sistematici della rivendicazione dei diritti nell’ignoranza, se non nella denigrazione, dei doveri».

Tutti costoro fanno a gara per farsi fotografare col papa e con i cardinali, i quali non disdegnano, anzi «posano» beati e beoti con poco e nulla discernimento. Da mesi non si parla che dell’abisso in cui è caduta Comunione e Liberazione, rappresentata dal «povero, vergine e ubbidente» Roberto Formigoni che di corruttela ha intessuto la gestione della Regione lombarda, vendendo morale e religiosità a chi pagava meglio a suon di milioni, a spese della collettività. Non dovevano essere i custodi gelosi del bene comune e della dignità della persona? Il Celeste melmoso ha avuto anche il coraggio di dire al Meeting di Rimini che il papa gli ha fatto sapere che «prega per lui», con ciò volendo dire che stava sotto l’ascella papalina. Se ci stava comodo, lui! Da parte vaticana non c’è stata alcuna smentita, quindi? L’inferno esiste e si è spalancato davanti a noi. Purtroppo non fa distinzione e sta inghiottendo tutto e tutti.

* micromega.blogautore.

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Commenti Articolo 740

Titolo articolo : Un momento storico per Taranto,di Rosella Balestra - Donne per TarantoFabio Matacchiera - Fondo Antidiossina OnlusAlessandro Marescotti - PeaceLink

Ultimo aggiornamento: September/27/2012 - 20:11:01.

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Autore Città Giorno Ora
Renzo Coletti Genova 27/9/2012 20.11
Titolo:
La riduzione delle emissioni inquinanti, il contenimento dei consumi energetici, lo sfruttamento di energie rinnovabili, la ricerca di soluzioni progettuali a minimo impatto ambientale, il risanamento del dissesto idrogeologico e la bonifica di aree contaminate sono tutte condizioni indispensabili per assicurare un futuro all’umanità su questo pianeta.
Il cambiamento dovrà essere radicale per essere efficace, ma il percorso in grado di condurre ad una simile trasformazione può avvenire solo in modo graduale, organico e soprattutto non può prescindere dal diritto delle persone di avere un lavoro e di poter condurre una vita dignitosa.
L’obiettivo da raggiungere è quello di garantire un ambiente lavorativo sano e sicuro per i dipendenti e la popolazione circostante sfruttando le moderne tecnologie ed investendo in ricerca per trovare delle soluzioni impiantistiche ancora più innovative, non quello di costringere una comunità a scegliere tra lavoro e salute in assenza di qualunque progetto alternativo.
E’ vergognoso che dietro il pretesto ecologista e della salvaguardia della salute, si nascondano strategie che mirano ad attuare progetti che sono invece ben lungi dal preoccuparsi dei dati relativi alla percentuale di tumori tra i cittadini di Taranto. La chiusura dello stabilimento metterebbe in ginocchio l’economia di una regione, comporterebbe la cessazione delle attività degli altri due siti produttivi di Genova e Novi Ligure, sarebbe un ulteriore passo nel processo di demolizione del patrimonio tecnologico ed industriale italiano ormai ridotto al lumicino.
Ciò avverrebbe in un contesto di gravissima crisi economica, contraddistinto da tassi altissimi di disoccupazione, consumi mai così bassi dal dopoguerra ed una pressione fiscale a livelli record.
Se gli operai dell’Ilva perderanno il lavoro, difficilmente ne troveranno un altro, dovranno accontentarsi di vivere grazie al misero contributo degli ammortizzatori sociali per il periodo garantito dalla legge e ciò dovrà bastare per il mantenimento della famiglia, l’istruzione dei figli, il pagamento delle tasse esorbitanti che il governo Monti ci impone. Con lo spegnimento dell’altoforno sicuramente respireranno aria più pulita, ma siamo proprio sicuri che godranno di ottima salute? E soprattutto, in caso di malattia potranno permettersi il lusso di curarsi?

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Commenti Articolo 741

Titolo articolo : IL PAPA ATEO: COME E' STATO ED E' ANCORA POSSIBILE - OGGI?! Due note storiche: una di Leonard Boff e una di Luciano Canfora - con alcuni appunti,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/27/2012 - 12:27:35.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/9/2012 21.17
Titolo:RISPETTO E GIUSTIZIA "per tutti" (non "per molti")! NE SA PIU' ZEUS che il dio d...
IL MITO DI PROMETEO, NARRATO DA PROTAGORA (PLATONE)*

Nel "Protagora", il noto sofista di Abdera illustra la propria tesi col mito di Epimeteo e Prometeo: Zeus, per render loro possibile vivere in società, ha distribuito aidos e dike a tutti gli uomini. Gli uomini hanno bisogno della cultura e dell’organizzazione politica perché sono creature prive di doti naturali, come artigli, denti e corna, immediatamente funzionali ai loro bisogni. Tutti partecipano di queste due virtù "politiche". Ma esse non vanno viste come connaturate all’uomo, bensì come qualcosa di sopravvenuto, qualcosa che è stato trasmesso in maniera consapevole, e non semplicemente attribuito in un processo cieco, "epimeteico", del quale si può render conto soltanto ex post: per questo è possibile insegnare aidos e dike agli uomini, mentre non si può "insegnare" a un toro ad avere corna e zoccoli.

Ci fu un tempo in cui esistevano gli dei, ma non le stirpi mortali. Quando giunse anche per queste il momento fatale della nascita, gli dei le plasmarono nel cuore della terra, mescolando terra, fuoco e tutto ciò che si amalgama con terra e fuoco. Quando le stirpi mortali stavano per venire alla luce, gli dei ordinarono a Prometeo e a Epimeteo di dare con misura e distribuire in modo opportuno a ciascuno le facoltà naturali. Epimeteo chiese a Prometeo di poter fare da solo la distribuzione: "Dopo che avrò distribuito - disse - tu controllerai". Così, persuaso Prometeo, iniziò a distribuire. Nella distribuzione, ad alcuni dava forza senza velocità, mentre donava velocità ai più deboli; alcuni forniva di armi, mentre per altri, privi di difese naturali, escogitava diversi espedienti per la sopravvivenza. [321] Ad esempio, agli esseri di piccole dimensioni forniva una possibilità di fuga attraverso il volo o una dimora sotterranea; a quelli di grandi dimensioni, invece, assegnava proprio la grandezza come mezzo di salvezza. Secondo questo stesso criterio distribuiva tutto il resto, con equilibrio. Escogitava mezzi di salvezza in modo tale che nessuna specie potesse estinguersi. Procurò agli esseri viventi possibilità di fuga dalle reciproche minacce e poi escogitò per loro facili espedienti contro le intemperie stagionali che provengono da Zeus. Li avvolse, infatti, di folti peli e di dure pelli, per difenderli dal freddo e dal caldo eccessivo. Peli e pelli costituivano inoltre una naturale coperta per ciascuno, al momento di andare a dormire. Sotto i piedi di alcuni mise poi zoccoli, sotto altri unghie e pelli dure e prive di sangue. In seguito procurò agli animali vari tipi di nutrimento, per alcuni erba, per altri frutti degli alberi, per altri radici. Alcuni fece in modo che si nutrissero di altri animali: concesse loro, però, scarsa prolificità, che diede invece in abbondanza alle loro prede, offrendo così un mezzo di sopravvivenza alla specie.

Ma Epimeteo non si rivelò bravo fino in fondo: senza accorgersene aveva consumato tutte le facoltà per gli esseri privi di ragione. Il genere umano era rimasto dunque senza mezzi, e lui non sapeva cosa fare. In quel momento giunse Prometeo per controllare la distribuzione, e vide gli altri esseri viventi forniti di tutto il necessario, mentre l’uomo era nudo, scalzo, privo di giaciglio e di armi. Intanto era giunto il giorno fatale, in cui anche l’uomo doveva venire alla luce.

Allora Prometeo, non sapendo quale mezzo di salvezza procurare all’uomo, rubò a Efesto e ad Atena la perizia tecnica, insieme al fuoco - infatti era impossibile per chiunque ottenerla o usarla senza fuoco - e li donò all’uomo. All’uomo fu concessa in tal modo la perizia tecnica necessaria per la vita, ma non la virtù politica. [322] Questa si trovava presso Zeus, e a Prometeo non era più possibile accedere all’Acropoli, la dimora di Zeus, protetta da temibili guardie. Entrò allora di nascosto nella casa comune di Atena ed Efesto, dove i due lavoravano insieme. Rubò quindi la scienza del fuoco di Efesto e la perizia tecnica di Atena e le donò all’uomo. Da questo dono derivò all’uomo abbondanza di risorse per la vita, ma, come si narra, in seguito la pena del furto colpì Prometeo, per colpa di Epimeteo.

Allorché l’uomo divenne partecipe della sorte divina, in primo luogo, per la parentela con gli dei, unico fra gli esseri viventi, cominciò a credere in loro, e innalzò altari e statue di dei. Poi subito, attraverso la tecnica, articolò la voce con parole, e inventò case, vestiti, calzari, giacigli e l’agricoltura. Con questi mezzi in origine gli uomini vivevano sparsi qua e là, non c’erano città; perciò erano preda di animali selvatici, essendo in tutto più deboli di loro. La perizia pratica era di aiuto sufficiente per procurarsi il cibo, ma era inadeguata alla lotta contro le belve (infatti gli uomini non possedevano ancora l’arte politica, che comprende anche quella bellica). Cercarono allora di unirsi e di salvarsi costruendo città; ogni volta che stavano insieme, però, commettevano ingiustizie gli uni contro gli altri, non conoscendo ancora la politica; perciò, disperdendosi di nuovo, morivano.

Zeus dunque, temendo che la nostra specie si estinguesse del tutto, inviò Ermes per portare agli uomini rispetto e giustizia, affinché fossero fondamenti dell’ordine delle città e vincoli d’amicizia. Ermes chiese a Zeus in quale modo dovesse distribuire rispetto e giustizia agli uomini: «Devo distribuirli come sono state distribuite le arti? Per queste, infatti, ci si è regolati così: se uno solo conosce la medicina, basta per molti che non la conoscono, e questo vale anche per gli altri artigiani. Mi devo regolare allo stesso modo per rispetto e giustizia, o posso distribuirli a tutti gli uomini?« «A tutti - rispose Zeus - e tutti ne siano partecipi; infatti non esisterebbero città, se pochi fossero partecipi di rispetto e giustizia, come succede per le arti. Istituisci inoltre a nome mio una legge in base alla quale si uccida, come peste della città, chi non sia partecipe di rispetto e giustizia» [323]

Per questo motivo, Socrate, gli Ateniesi e tutti gli altri, quando si discute di architettura o di qualche altra attività artigianale, ritengono che spetti a pochi la facoltà di dare pareri e non tollerano, come tu dici - naturalmente, dico io - se qualche profano vuole intromettersi. Quando invece deliberano sulla virtù politica - che deve basarsi tutta su giustizia e saggezza - ascoltano il parere di chiunque, convinti che tutti siano partecipi di questa virtù, altrimenti non ci sarebbero città. Questa è la spiegazione, Socrate. Ti dimostro che non ti sto ingannando: eccoti un’ulteriore prova di come in realtà gli uomini ritengano che la giustizia e gli altri aspetti della virtù politica spettino a tutti. Si tratta di questo. Riguardo alle altre arti, come tu dici, se qualcuno afferma di essere un buon auleta o esperto in qualcos’altro e poi dimostri di non esserlo, viene deriso e disprezzato; i familiari, accostandosi a lui, lo rimproverano come se fosse pazzo. Riguardo alla giustizia, invece, e agli altri aspetti della virtù politica, quand’anche si sappia che qualcuno è ingiusto, se costui spontaneamente, a suo danno, lo ammette pubblicamente, ciò che nell’altra situazione ritenevano fosse saggezza - dire la verità - in questo caso la considerano una follia: dicono che è necessario che tutti diano l’impressione di essere giusti, che lo siano o no, e che è pazzo chi non finge di essere giusto. Secondo loro è inevitabile che ognuno in qualche modo sia partecipe della giustizia, oppure non appartiene al genere umano. Dunque gli uomini accettano che chiunque deliberi riguardo alla virtù politica, poiché ritengono che ognuno ne sia partecipe. Ora tenterò di dimostrarti che essi pensano che questa virtù non derivi né dalla natura né dal caso, ma che sia frutto di insegnamento e di impegno in colui nel quale sia presente. Nessuno disprezza né rimprovera né ammaestra né punisce, affinché cambino, coloro che hanno difetti che, secondo gli uomini, derivano dalla natura o dal caso. Tutti provano compassione verso queste persone: chi è così folle da voler punire persone brutte, piccole, deboli? Infatti, io credo, si sa che le caratteristiche degli uomini derivano dalla natura o dal caso, sia le buone qualità, sia i vizi contrari a queste. Se invece qualcuno non possiede quelle qualità che si sviluppano negli uomini con lo studio, l’esercizio, l’insegnamento, mentre ha i vizi opposti, viene biasimato, punito, rimproverato.

(Platone, Protagora, 320 C - 324 A)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/9/2012 12.27
Titolo:DANTE E LA LOTTA DI CATONE CONTRO IL PONTEFICE MASSIMO ...
DANTE AVEVA CAPITO MOLTO BENE IL SENSO DELLA LOTTA DI CATONE CONTRO CESARE, OLTRE CHE GLI EFFETTI DELLA "DONAZIONE DI COSTANTINO".

Per chi (cioè, Dante) è diventato come Cristo, un nuovo re di giustizia e un nuovo sacerdote, non resta che denunciare tutta la falsità (con CATONE, "Cristo" del Logos antico - oltre: non della donazione, ma) delle fondamenta stesse dell’intera costruzione teologico-politica della Chiesa di Costantino - e ri-indicare la direzione eu-angélica a tutti gli esseri umani, a tutta l’umanità!!!

SUL TEMA, CFR.:

La Fenomenologia dello Spirito... dei “Due Soli”. Ipotesi di rilettura della “Divina Commedia”.
- di Federico La Sala

http://www.ildialogo.org/filosofia/paratesto1.pdf

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Commenti Articolo 742

Titolo articolo : A 50 ANNI DAL VATICANO II, UNA SITUAZIONE CUPA. Un'analisi di Vito Mancuso - con una nota,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/26/2012 - 16:16:38.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/9/2012 23.38
Titolo:DISOBBEDIRE. La trasgressione in questo caso è responsabilità ....
Disobbedire

di Jacques Noyer (vescovo emerito di Amiens)

in “www.temoignagechretien.fr” del 9 settembre 2012 *

«Signor parroco, vorremmo vederla. Stiamo per sposarci, ma io sono divorziato...» Mi è stato riferito recentemente che un prete sentendo queste parole ha richiuso la porta della casa parrocchiale affermando: «Sono desolato ma non posso far nulla per voi!». Ecco un funzionario come si deve! È questa l’obbedienza?

Senza dubbio molti altri avrebbero fatto entrare la coppia e l’avrebbero ascoltata. Alcuni, con molto garbo, avrebbero concluso con le stesse parole: non posso far nulla per voi. Altri avrebbero cercato di rispondere entrando maggiormente nel merito della richiesta di queste persone abitate dal desiderio di situare il loro amore e il loro progetto di vita sotto lo sguardo del loro Dio o almeno sotto lo sguardo della loro famiglia e dei loro amici cristiani. Molti pastori riterranno loro compito vedere queste persone con lo sguardo di Cristo.

Non possono immaginare che colui che si è fermato a parlare con la Samaritana rifiuti di prestare attenzione alla loro richiesta. In quel dialogo, il pastore si impegna con le proprie convinzioni, ma con la preoccupazione di accogliere la sete profonda dei suoi interlocutori. Non ci sono risposte prefabbricate. Con maggiore o minore audacia, proporrà il cammino che ritiene il migliore per il caso singolare che ha davanti.

Potrà ritenere che l’applicazione pura e semplice delle norme ferirà l’attesa confusa che si trova di fronte. Sa che al di là di Gerusalemme e del Garizim, c’è un Dio d’amore che si adora in spirito e verità. Non ci si può rifiutare di superare la linea gialla quando si tratta di evitare di schiacciare qualcuno. La trasgressione in questo caso non è disobbedienza. È responsabilità.

La situazione ecclesiale che si è creata attorno all’ «appello alla disobbedienza» dei preti austriaci diventa non controllabile. Questa provocazione è molto rischiosa. Vogliamo una reazione intollerante capace di generare drammatiche lacerazioni nella nostra Chiesa? L’inerzia del Vaticano, diffusa da una gerarchia impaurita, avrà, una volta di più, ragione di un modo di sentire di alcuni lasciandolo marcire senza risposte? A mio avviso sarebbe stato meglio un «appello alla obbedienza» all’audacia del vangelo.

La Chiesa non può addormentarsi nelle sue certezze e nelle sue abitudini. Non ha il diritto di sacralizzare un momento della storia per rifiutare di amare il presente. I preti non hanno il diritto di far tacere gli appelli del loro animo di pastori per un’obbedienza formale alla legge. I vescovi non possono giustificare la loro inerzia per la paura di una reazione della Curia.

Il Papa ha sufficientemente ricordato la grandezza del Concilio, perché nessuno si dimentichi delle proprie responsabilità nella missione del popolo di Dio. Abbiamo troppo sofferto per un’obbedienza intesa come una semplice rinuncia all’iniziativa e all’inventiva. Credo che l’obbedienza al Padre di Gesù Cristo è contraria ad una sottomissione cieca al diritto canonico.

Desidererei ascoltare a tutti i livelli della Chiesa il fremito dello Spirito Santo che fa nuove tutte le cose. Mi piacerebbe che ordinare un prete non fosse rinchiuderlo nel ruolo di esecutore di ordini, ma dargli fiducia. Mi piacerebbe che affidare una diocesi ad un vescovo consistesse nel chiedergli pareri e proposte e non invece nell’esigere un giuramento di fedeltà. Mi piacerebbe poter fare ascoltare fino ai vertici le invocazioni di questo popolo che cerca acqua fresca e rifiuta l’acqua stagnante delle cisterne vaticane.

La Volontà del Padre che manda il suo Figlio e ci invita all’avventura del Regno non è un regolamento ma una creazione, un concepimento, una risurrezione. Che la Tua volontà sia fatta, diciamo! Ma non è un abbandono. Come un’eco, ascoltiamo il Padre ridirci che non ha bisogno di schiavi sottomessi, ma di figli liberi alla cui iniziativa affida la responsabilità del suo progetto d’amore

* Fonte: Incontri di "Fine Settimana".
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/9/2012 23.40
Titolo:PAROLA A RISCHIO. Risalire gli abissi ...
PAROLA A RISCHIO

- Risalire gli abissi
- La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
- Perché è sorriso, liberazione, gioia.

-di Giovanni Mazzillo (Teologo) *

G come gioia, come Gesù, respiro di gioia per tutti gli infelici della terra. Parliamo di Gesù, il cui corrispondente nome greco Iesoûs deriva direttamente dall’originale ebraico Je(ho)šhu e significa JHWH salva, per precisare immediatamente che il termine salvezza oggi non significa gran che per i nostri contemporanei, e di conseguenza risuona poco interessante persino quel nome, pur originariamente portatore di una gioia immensa e inaudita. Ciò avviene non solo per l’inevitabile logorio delle parole più usate e talora abusate, ma per il fatto che ha perso rilevanza e pertanto significato il valore stesso della “salvezza”.

Salvezza
- Salvezza da chi e/o da che cosa? Appunto, è questo il primo problema. La salvezza appare di primo acchito un concetto immediatamente derivato dal superamento di una situazione negativa, Si salva, o come succede in questo caso, viene salvato, qualcuno che si trova in una situazione di pericolo. Il pericolo di perdere qualcosa, di perdere se stesso. Di essere cancellato, di sparire, appunto come sparisce da un computer un testo non “salvato” o un’immagine non messa al sicuro. Ma essere salvati è per noi persone umane, e pertanto non riducibili a una traccia di codificazione binaria o algoritmica, molto di più che conservare un’impronta e una presenza. Coerentemente con la nostra realtà dinamica e relazionale, essere salvati significa avere un luogo, un senso, una rilevanza nel contesto di una realtà che giustifica, sorregge, garantisce il mantenimento e la crescita qualitativa, e pertanto il conseguente riconoscimento di un originario, inalienabile, imprescindibile valore personale.

La domanda «Chi o che cosa si può dire oggi salvato?» esige pertanto una primordiale differenziazione. Altro è il concetto di ciò che è salvato (cioè il dato messo al sicuro), ben altro è l’essere umano salvato. Questi non è solo garantito in ciò che ha di più proprio e pertanto è distinto dal mero “dato”, che invece è una sorta di file compilato (non per nulla in tedesco proprio il file è chiamato Datei, leggi datai, cioè «rea-ltà data»). L’essere umano è tale solo in un incontro, in una relazione. La persona è tutta nelle relazioni delle quali vive. Proprio la relazionalità sorregge il senso e la gioia del suo esistere.

L’annuncio di Gesù, già nella sua venuta in questo nostro mondo, è l’annuncio di una relazionalità umana felicemente riuscita. Nel Vangelo è direttamente collegato alla Grazia, termine che esprime tutto ciò e anche qualcosa di più.

Nell’annuncio della sua nascita, diversamente da quanto appare nella traduzione latina, e in quella italiana da essa derivata, nella preghiera più popolare che ci sia, Maria è salutata non con il saluto che si dava all’imperatore, alle autorità o anche agli amici con l’esclamativo «Ave!», bensì con l’invito a rallegrarsi, cioè a gioire (chaîre): a entrare in un circuito di esultanza per un dono gratuito e inatteso. Colei che è piena di grazia (kecharitōménē) è invitata a rallegrarsi perché tutto in lei è frutto ed espressione della «grazia» (cháris), cioè di un dono amorevole quanto sorprendente, che sarà presto annuncio di gioia per tutto il popolo e per ogni uomo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...”. L’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia...» (Lc 1,30-31; 2,10-11).

Il resto del Vangelo, soprattutto quello di Luca, evidenzia la gioia improvvisa e incontenibile che contagia quanti vengono a contatto con Ješhu. A cominciare da Elisabetta e dal suo bambino, che le esulta nel grembo, il futuro Battista. Così esultano ancora due anziani che sembrano essere rimasti in vita per mantenere viva la speranza d’Israele: Simeone e Anna, o i pastori; mentre nel racconto di Matteo, viene detto che i Magi “provarono una grandissima gioia” nel rivedere la stella che indicava il luogo della natività di Gesù.

La stessa gioia è testimoniata dai semplici e dagli umili, dagli infelici e dai peccatori che si sentono aiutati, capiti, perdonati. A gioire sono ancora i bambini e le donne, classi tradizionalmente neglette dalla piena partecipazione alla grazia collegata alle tradizionali benedizioni di Dio. Insomma il cuore del Vangelo è la lieta notizia annunciata ai bisognosi e agli infelici della terra. Il Dio che si dona totalmente, è il Dio che dona illimitatamente la gioia agli uomini. E perché la nostra gioia fosse piena (Gv 15,11), il Figlio di Dio è arrivato umanamente a perdere se stesso.

Perché avessimo una gioia che nessuno avrebbe mai più potuto toglierci, ha permesso che fosse tolta a lui la vita, per riprenderla di nuovo, ma con la conoscenza ormai nella sua carne e nella sua psiche di cosa significhi la morte umana. Di cosa voglia dire la gioia di vivere, di vivere non con il naturale sorriso con cui vive ogni creatura per la stessa gioia dell’esistere, ma di provare e diffondere la gioia di chi conosce la sofferenza e non resta inchiodato alla sofferenza. O al limite, di chi, nonostante le ferite e talora i chiodi mai interamente rimossi della sofferenza, sa sorridere della vita, perché questa è ormai rischiarata da colui che vince la morte e la depressione della sofferenza.

La gioia è dunque uno dei nomi della salvezza, ma di una salvezza che assume di volta in volta nomi nuovi e nomi antichi: riscatto, liberazione, sensatezza, leggerezza dell’esistere... Se la parola non fosse tanto inflazionata, si potrebbe dire che la salvezza altro non è che la felicità. È la felicità nel suo senso etimologico: come abbondanza e fertilità. Possiamo tradurre: come vita sensata che raggiunge il suo scopo e nasce da relazioni benevole, tendenti al bene altrui, trovando negli altri la propria gioia e comunicandola con relazioni che fanno crescere se stessi e gli altri.

In quanto tale, la felicità è simile alla pace e ne è la forma storica: è star bene con sé e con gli altri, con il proprio passato e con il proprio futuro. Perché, soprattutto oggi, c’è bisogno paradossalmente più di ricostruire il futuro che il passato o il presente. Per poterlo fare c’è bisogno di quella gioia consapevole che non si arrende e che non si ripiega su se stessa. Si ritrova nel futuro di una convivenza che non nasconde, ma sa riconoscere e superare i conflitti attraverso uno sguardo d’amore verso ciò che ci è intorno. È uno guardo che viene da lontano e tuttavia tocca la nostra umanità, questa mia e questa tua umanità, quella assunta, attraversata e come divinizzata da quel Gesù che continuamente dà senso a ogni tentativo di superare la violenza con l’amore. È l’unico a dar senso a ogni discorso di pace, anche questo che hai appena finito di leggere.



* MOSAICO DI PACE, LUGLIO 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/9/2012 10.55
Titolo:Non c’erano autorità né religiose né laiche. Nessun prete ....
Chiesa di tutti, chiesa dei poveri

di Giancarla Codrignani (17 settembre 2012) *

Anche gli amici che non erano a Roma, ma fanno parte di quel popolo di Dio che sente il disagio critico di una transizione necessaria (ma ricusata) della sua Chiesa e, forse, non aveva avuto notizia di questa convocazione, dovrebbero essere grati a Vittorio Bellavite, Emma Cavallaro, Giovanni Cereti, Franco Ferrari, Raniero La Valle, Alessandro Maggi, Enrico Peyretti e Fabrizio Truini, che hanno collaborato per costruire un’agorà comunitaria di credenti nel forte convincimento che il Concilio Vaticano II portò nella storia della Chiesa cattolica un rinnovamento irrinunciabile.

Hanno aderito 99 associazioni grandi e piccole (e le più grandi hanno fatto un passo indietro per non prevaricare) e 28 riviste, concordi nel promuovere a Roma l’evento "Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri" rievocando simbolicamente il radiomessaggio di Giovanni XXIII l’undici settembre 1962, quando invitò i fedeli a costruire la "primavera della Chiesa", della "Chiesa dei poveri".

Nessun’intenzione di "commemorare" il Concilio Vaticano II, ma una rinnovata volontà di cercare nuove vie alla sua troppo rinviata attuazione.

Lo ha detto Cettina Militello nella forma più intensa: siamo tutti responsabili della mancata attuazione di una riforma della Chiesa cattolica, non più rinviabile soprattutto perché non si tratta di alterare la tradizione, ma di metterla in novità per evitarne la cristallizzazione in atto. Nessuna contestazione, dunque, ma una fedeltà coraggiosa che vuole una chiesa dei poveri e per i poveri, una chiesa secondo il Vangelo.

Carlo Molari ha approfondito la necessità di una "tradizione vivente", e di una ricerca dell’azione dello Spirito nella nuova situazione storica, individuando nel post-concilio la grande carenza di una Chiesa che non è "dei poveri per i poveri". Che si tratti di esigenze di cambiamenti urgenti lo ha testimoniato p. Felice Scalia con un sofferto e duro intervento sulla situazione della Compagnia di Gesù, in crisi "numerica e di coscienza". Ovvii i richiami a tutta la problematica in questione, dalla liturgia alla collegialità, dall’ecumenismo (evocato da Paolo Ricca) alla presenza delle donne, dalle parole del card. Martini alla rievocazione di Paolo VI fatta da dom Giovanni Franzoni, dalla discriminazione degli omosessuali credenti al valore del concilio "pastorale".

Non c’erano autorità né religiose né laiche. Nessun prete con la veste; alcune suore sì. Le donne hanno più coraggio. Ma tutti dobbiamo andare avanti.

*Fonte: Incontri di "Fine settimana".
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/9/2012 19.30
Titolo:COALIZIONE SUORE USA. Fedeltà a Dio, prima che all’istituzione....
Fedeltà a Dio, prima che all’istituzione.

L’«obbedienza profetica» delle religiose statunitensi

da Adista Documenti n. 33 del 22/09/2012 *

DOC-2471. DENVER-ADISTA. A differenza della più famosa LCWR (Leadership Conference of Women Religious), che rappresenta i vertici delle congregazioni femminili Usa, il Ncan (National Coalition of American Nuns) è l’organizzazione progressista di base delle religiose statunitensi. Fondata nel 1969, conta oggi circa 700 aderenti. La sua missione è quella di lavorare e intervenire sulle questioni che riguardano la giustizia, l’eguaglianza e l’inclusione, nella Chiesa come nella società Usa. A Denver, in Colorado, il 14 agosto scorso si è riunito il Consiglio direttivo della Ncan. Alla conclusione dei lavori, sono stati approvati tre documenti. Il primo, assai significativo perché interviene su un tema oggi molto sentito dall’opinione pubblica cattolica statunitense, plaude la scelta operata dalla Leadership Conference of Women Religious, durante la sua assise annuale di Saint Louis (7-10 agosto 2012, v. Adista Notizie n. 30/2012), di rispondere con una “obbedienza critica” alla valutazione dottrinale fatta dal Vaticano alla fine della sua indagine sulla vita religiosa negli Stati Uniti (v. Adista Notizie nn. 16, 17, 23, 24/12); il secondo documento si interroga sulle vere radici dell’escalation di violenza nei confronti delle donne registrato ultimamente negli Stati Uniti; l’ultimo riguarda invece il traffico degli esseri umani ed il loro sfruttamento sessuale.
- Li proponiamo qui di seguito, in una nostra traduzione dall’inglese. (v. g.)

NELL’INTERESSE DELL’UMANITÀ

di Coalizione nazionale delle suore Usa

IL TEMPO MIGLIORE, IL TEMPO PEGGIORE

L’incipit del romanzo di Charles Dickens Racconto di due città è tornato spesso d’attualità nella nostra Chiesa, sin dal 18 aprile del 2011: «Era il tempo migliore, era il tempo peggiore». Da quel giorno, infatti, la valutazione dottrinale da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) nei confronti della Leadership Conference of Women Religious (LCWR) ha prodotto angoscia e dolore tra le suore statunitensi e le religiose di tutto il mondo, ma ha anche offerto l’opportunità di spiegare alla CDF l’universo dei valori cari alle religiose Usa.

Uno di questi valori è dato dall’obbedienza. La teologia, l’ecclesiologia e la spiritualità del Concilio Vaticano II hanno contribuito a far comprendere alle religiose che il loro impegno, e quindi la loro obbedienza, appartiene a Dio, non ad una istituzione. E, dunque, che essere fedeli e obbedienti a Dio può significare, a volte, dover prendere una direzione diversa da quella indicata dalle autorità religiose. Tale obbedienza profetica richiede la stessa audacia mostrata da Gesù di Nazareth quando ha infranto la legge religiosa del suo tempo per eseguire opere buone di sabato. Tale obbedienza richiede coraggio, perché comporta più di una semplice opposizione alle proprie autorità spirituali. La persona o il gruppo che decida di disattendere una direttiva a favore di una opzione alternativa in cui si ritiene scorra linfa vitale deve essere consapevole, come Gesù, delle sanzioni che ne possono derivare.

L’indicazione sul modo in cui dobbiamo agire appartiene al versante dell’autorità legittimamente costituita, ma le religiose, anzi tutti i fedeli, non devono seguire ciecamente l’autorità. Basta riflettere sulla Shoah per comprendere a quali risultati possa portare una obbedienza acritica. Su ogni direttiva è perciò necessaria un’opera di discernimento con il cuore e con la preghiera. Attraverso il discernimento e la guida dello Spirito, sta poi a noi decidere se una disposizione impartita dall’autorità risponde al vero interesse della comunità umana.

Le religiose hanno cercato di vivere questo tipo di obbedienza adulta dopo il Vaticano II, rivolgendo l’attenzione ai documenti delle proprie comunità, ai bisogni delle persone, alle proprie esperienze di vita, alle dichiarazioni dei leader religiosi e agli appelli dello Spirito per discernere la direzione in cui procedere, e provando a vivere docilmente alla luce di tali fonti.

La Coalizione nazionale delle suore statunitensi plaude la LCWR per l’obbedienza scaturita da un processo di discernimento orante di cui ha dato prova nella sua risposta alla valutazione dottrinale. Sosteniamo la LCWR nel suo desiderio di cogliere questa opportunità per chiarire quali siano la sua missione e i suoi valori in un dialogo con i tre rappresentanti del Vaticano. Siamo liete per il fatto che la LCWR cercherà di aiutare la leadership della Chiesa a comprendere la necessità che i laici, ed in particolare le donne, abbiano voce nella Chiesa e che porterà avanti questa discussione fino a quando l’integrità della sua missione non venga compromessa.

DOVE RISIEDE LA VERA CAUSA DELL’ESCALATION DI VIOLENZA?

Questa estate il nostro Paese ha assistito a due atti orribili di violenza a distanza di poche settimane l’uno dall’altro. Quanto avvenuto in un cinema di Aurora, in Colorado, e nel tempio Sikh in Wisconsin ci ha stordito per l’enormità dell’odio che può aver motivato tali azioni. Questi incidenti sarebbero stati meno devastanti se gli autori non avessero avuto accesso ad armi d’assalto? Sicuramente. Siamo realmente scioccati dalla facilità con cui una persona possa attentare alla vita di qualcun altro per soddisfare le proprie pulsioni? Ce lo auguriamo.

Ma cosa c’è alla base di questi attacchi? Sappiamo molto bene che gli autori di questo genere di crimini sono stati essi stessi vittime o soffrono di una qualche forma di disturbo mentale. Tre quarti degli adulti in età lavorativa in questo Paese non guadagnano abbastanza per vivere al di sopra della soglia della povertà. I loro diritti vengono lentamente erosi da un sistema economico di stampo neoliberista che pone la ricerca del profitto al di sopra delle persone.

Che cosa ci permette di sopportare la quotidiana aggressione fisica e sessuale contro le donne all’interno del matrimonio e come schiave nelle reti della tratta a scopo di sfruttamento sessuale? Che cosa ci permette di chiudere gli occhi di fronte ai casi di bambini che vengono sessualmente, fisicamente ed emotivamente abusati da parenti, insegnanti, uomini di Chiesa? Cosa ci rende immuni dalle notizie quotidiane di omicidi di giovani su larga scala a causa della droga, delle armi e delle bande?

Non abbiamo forse sperimentato un attacco ai nostri sistemi educativi, costantemente privati di sostegno finanziario? Giovani dotati di grande creatività si vedono legare le mani dai crediti scolastici negli anni più produttivi della loro vita.

Pensiamo al nostro sistema militare che addestra giovani donne e uomini a uccidere: per che cosa? Il controllo esercitato su Paesi, giacimenti petroliferi, religioni e qualsiasi altra cosa fa del nostro Paese una realtà spaventosa. Il numero di giovani che, una volta tornati a casa, si tolgono la vita o uccidono altri esseri umani è allarmante. Quanta violenza!

La verità è che una parte della nostra società non solo accetta, ma promuove o sfrutta questa violenza, mentre i mezzi di comunicazione, con il loro continuo bombardamento di immagini di violenza fisica e sessuale, hanno su di noi un effetto anestetizzante. La riforma del sistema di giustizia penale e il contenimento dell’apparato militare-industriale potrebbero essere un buon inizio per dar vita a un altro tipo di mondo.

Come si fa a promuovere lo sviluppo di una società che conferisca dignità alla vita garantendo ad ogni persona il diritto al cibo, alla casa, a un lavoro decoroso che consenta di guadagnarsi da vivere? Possiamo creare una società in cui qualsiasi atto di violenza sia visto come un’infamia? Quando abbracceremo quel tipo di nonviolenza che abbia come fine la promozione della vita? Possono le nostre comunità aiutare un bambino che assume un comportamento violento a capire che tale comportamento non è mai accettabile perché ogni persona ha il suo valore e la sua dignità?

Le vittime delle recenti violenze in Colorado e Wisconsin non sono purtroppo le uniche vittime, ma non riusciremo a cambiare nulla fino a quando non saremo disposti a prendere in considerazione tutte le forme di violenza e le loro cause.

LA TRATTA DELLE DONNE E DELLE GIOVANI

La tratta degli esseri umani - una moderna forma di schiavitù - è tra le industrie criminali più grandi e in più rapida crescita. Casi relativi a questa tratta, che esiste nel mondo sin dalla notte dei tempi, sono stati registrati in tutti i 50 Stati Usa.

Ne fanno parte realtà come il lavoro forzato, lo sfruttamento sessuale e la riduzione in schiavitù. Le vittime possono avere qualsiasi provenienza etnica o sociale. E le donne possono essere ricercate e sfruttate anche per il piacere sessuale degli appassionati del Super Bowl, del World Games Series e di altri eventi sportivi.

In questa guerra contro le donne, vengono negate le libertà fondamentali ad innumerevoli giovani e adolescenti. Siamo a conoscenza di abusi commessi in alcuni Paesi contro bambine di 8 anni, costrette ad un matrimonio combinato e a volte torturate in caso di rifiuto. O obbligate a prostituirsi e cedute al mercato del sesso se non consumano subito il matrimonio o non hanno figli. Approfittando della loro vulnerabilità, queste donne e queste adolescenti vengono comprate, vendute e malmenate per le più diverse ragioni.

La National Coalition of American Nuns si oppone a tutte le forme di tratta di esseri umani. E si congratula con la Leadership Conference of Women Religious per aver affrontato questo tema nel corso della sua assemblea nazionale, svoltasi dal 7 al 10 agosto 2012, attraverso un seminario sul tema “Traffico di esseri umani: persone rapite, speranza rapita” e una risoluzione che impegna a lottare per la sua abolizione.

La National Coalition of American Nuns supporta iniziative studentesche come il Red Thread Movement che fornisce sostegno finanziario per sottrarre le giovani ai trafficanti di sesso.

- Articolo tratto da ADISTA
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* Il Dialogo, Giovedì 20 Settembre,2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/9/2012 18.31
Titolo:Ma la Chiesa sa fare i conti con le donne?
Ma la Chiesa sa fare i conti con le donne?

di Marinella Perroni* (l’Unità, 24 settembre 2012)

In molti ormai si irritano a sentir parlare di donne. Accettano che ci siano donne in grado di prendere la parola, basta però che non parlino di donne, perché la parola, come l’intelligenza, non deve avere determinazioni di genere. Per questo ci si compiace se il direttore della Mostra del cinema di Venezia insiste sul fatto che i sette film diretti da donne sono stati scelti perché belli, non per l’appartenenza sessuale delle rispettive registe, e il disagio collettivo cresce tutte le volte che il movimento Se non ora quando? propone, come condizione necessaria, anche se non sufficiente, per rifondare la politica italiana, il criterio del «50 e 50».

Non è questo il luogo per prendere in esame le tante implicazioni della cultura di genere e, soprattutto, per provare a capire i motivi dell’ostinato quanto diffuso rifiuto che ad essa oppone l’opinione pubblica del nostro Paese, in primis la sua classe intellettuale di ogni ordine e grado. Invece, quando si tratta di donne e Chiesa cattolica, la sensibilità si riaccende. Come se la Chiesa cattolica rappresentasse l’unica enclave ideologica ostile alle donne. Come se l’inviata dell’Onu che ha presentato il primo rapporto sul femminicidio e ha definito la situazione italiana «grave e insostenibile» avesse in mente soltanto i parrocchiani cattolici Piaccia o no ammetterlo, l’impedimentum sexus non determina soltanto l’interdizione dal sacerdozio cattolico, ma si insinua in molti modi nel pieghe della vita civile del nostro Paese.

Cultura di genere nella chiesa

Quando, ormai quasi dieci anni fa, alcune teologhe italiane hanno dato vita al Coordinamento teologhe italiane, spinte dall’esigenza di valorizzare e promuovere gli studi di genere in ambito teologico, pensavano non soltanto al panorama ecclesiale, ma anche a quello culturale. La Chiesa cattolica ha infatti un problema molto serio sulla questione della rappresentanza delle donne, ma questo problema si declina in modi profondamente diversi a seconda dei Paesi in cui essa vive come soggetto storico e culturale, oltre che come comunità religiosa. La questione delle donne è questione italiana, non soltanto cattolica.

Nessuna di noi si illude: la categoria di genere è ambivalente e problematica. Impone però di fare i conti con un dato di fatto ormai evidente: le donne ci sono e, quando acquisiscono gli strumenti per diventare soggetti culturali, sportivi, economici, religiosi, politici, sindacali, sono assolutamente capaci di entrare nella trama delle relazioni e delle competizioni pubbliche che configura una società. Soprattutto, vogliono restare donne, ma non vogliono essere come normalmente ci si aspetta che debbano essere. È vero, sulle passerelle della politica, dei media o della società civile dominano ancora figure o figurine di donne prodotte da un immaginario maschile, da dolce stil novo o da orgetta, poco importa: donne che siano come devono essere, non che siano come sono.

Anche il linguaggio di ecclesiastici illuminati riflette ancora il recondito desiderio che le donne si facciano, sì, sempre più presenti nella Chiesa come nella società, ma che debbano essere quelle che loro si aspettano, sensibili e accoglienti, protagoniste, sì, ma con gli abiti confezionati da una cultura patriarcale che è disposta a farsi femminilizzare (leggi: ammorbidire, edulcorare), ma non è disposta a ridiscutere cosa sia il maschile e il femminile, cosa comporti, sul duplice versante dell’interiorità e delle relazioni, la maschilità e la femminilità, cosa voglia dire vivere in una società capace di declinarsi e di organizzarsi a partire dalla differenza di genere.

E fa amaramente sorridere che rifiutino il femminismo e la prospettiva di genere proprio quelli che hanno organizzato il mondo a partire dal criterio dell’esclusione sulla base della differenza dei sessi. Comprese, evidentemente, le chiese cristiane o le altre tradizioni religiose! Emma Fattorini e Liliana Cavani hanno suggerito alla Chiesa cattolica di convocare un «sinodo sulle donne». Molte di noi sperano fortemente, invece, che ciò non avvenga.

Quando, cinquanta anni fa, Giovanni XXIII convocò il Concilio Vaticano II sapeva molto bene a cosa andava incontro e lo desiderava ardentemente: che i vescovi di tutto il mondo si confrontassero nella trasparenza e nella libertà, perché fossero «le chiese» a ridisegnare il volto di una Chiesa cattolica capace di rispondere alla chiamata di responsabilità che ad essa veniva dalla storia.

La forza del Concilio è stata proprio questa: vi hanno partecipato tutti i vescovi cattolici, con la chiara consapevolezza di dover dare voce alle loro chiese, e vi hanno anche partecipato rappresentanti di un’ecumene cattolica già esistente oltre che vagheggiata, per non dire che, per la prima volta nella storia, vi hanno preso parte, sia pure tra mille limitazioni e vincoli, perfino alcune donne (23 su 2778 presenti!) che erano figure di rilievo in diversi ambiti della vita della Chiesa.

Rileggere il Vaticano II

Al Vaticano II hanno collaborato, con i loro vescovi, 400 teologi in forza nelle diverse università nazionali. Lo sforzo di mediazione che questo ha richiesto, a tutela della comunione ecclesiale, ha dato la misura della vitalità delle chiese e, al contempo, della loro cattolicità reale, non formale.

Oggi, l’atteggiamento di partenza è molto diverso, nell’episcopato, nelle università teologiche, nelle comunità ecclesiali. Perché oggi non si accetta più di partire dal criterio della realtà, percepita e capita come interpellanza per spingere la fedeltà al vangelo lì dove la rivelazione di Dio nella storia chiede, e la giusta distanza tra verità e realtà è diventata insanabile scissione: quali teologi e soprattutto quali teologhe verrebbero chiamati a partecipare? Quale libertà di parola sentirebbero di poter avere?

Dal 4 al 6 ottobre avrà luogo un convegno organizzato dal Coordinamento teologhe italiane dal titolo «Teologhe rileggono il Vaticano II. Assumere una storia, preparare il futuro» (www.teologhe.org). Vuole essere, evidentemente, un evento ecclesiale tra i tanti previsti per celebrare i 50 anni dall’apertura del Vaticano II. Ma vuole anche lasciar emergere quanto e come, a partire dal Concilio, la soggettualità delle donne è diventata una componente irrinunciabile della vita ecclesiale. Una soggettualità di cui, come teologhe, siamo in grado di prenderci la responsabilità. Domandandoci anche, però, se la Chiesa e la cultura italiane sono altrettanto in grado di fare i conti con questa soggettualità che ci spinge ad essere ciò che siamo e non ciò che le aspettative patriarcali pretendono da noi.

*biblista, presidente del Coordinamento teologhe italiane
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/9/2012 16.16
Titolo:Il papa monarca-assoluto: cenni storici su origine e sviluppo del suo potere.
Il papa monarca-assoluto: cenni storici su origine e sviluppo del suo potere.

di Leonardo Boff ("Jornal do Brasil”, 17 settembre 2012) *

Abbiamo scritto precedentemente su queste pagine che la crisi della Chiesa-istituzione-gerarchia ha le sue radici nell’assoluta concentrazione di potere nella persona del Papa, potere esercitato in modo assolutistico, lontano da qualsiasi partecipazione dei cristiani e fonte di ostacoli praticamente insormontabili per il dialogo ecumenico con le altre Chiese.

All’inizio non fu così. La Chiesa era una comunità di fratelli. Non esisteva la figura del Papa. Nella Chiesa comandava l’Imperatore. Era lui il sommo pontefice (Pontifex Maximus), non il vescovo di Roma o di Costantinopoli, le due capitali dell’Impero. E così è l’imperatore Costantino a convocare il primo concilio ecumenico a Nicea (325), per decidere la questione della divinità di Cristo.

E di nuovo nel secolo VI è l’imperatore Giustiniano che ricuce Oriente e Occidente, le due parti dell’impero, reclamando per se stesso il primato di diritto e non quello di vescovo di Roma. Tuttavia, per il fatto che Roma vantava le tombe di Pietro e Paolo, la Chiesa romana godeva di particolare prestigio, come del resto il suo vescovo che davanti agli altri deteneva "la presidenza nell’amore" e esercitava il "servizio di Pietro", quello di confermare i fratelli nella fede, non la supremazia di Pietro nel comando.

Tutto cambia con Papa Leone I (440-461), grande giurista e uomo di Stato. Lui copia la forma romana del potere che si esprime nell’assolutismo e autoritarismo dell’imperatore; comincia a interpretare in termini strettamente giuridici i tre testi del N.T. riferibili al primato di Pietro: Pietro, in quanto roccia su cui si costruirebbe la Chiesa (Mt 16,8); Pietro, colui che conforta i fratelli nella fede ( Lc 22,32); e Pietro come pastore che deve prendersi cura delle pecore (Gv 21,15). Il senso biblico e gesuanico va nella direzione diametralmente opposta, quella dell’amore, del servizio e della rinuncia a ogni onore. Ma l’interpretazione dei testi alla luce del diritto romano - assolutistico - ha il sopravvento. Coerentemente, Leone I assume il titolo di Sommo Pontefice e di Papa in senso proprio.

Subito dopo gli altri papi cominciarono a usare le insegne e il vestiario imperiali, porpora, mitra, trono dorato, pastorale, stole, pallio, mozzetta: si creano palazzi con rispettive corti; si introducono abiti per vita da palazzo in vigore fino ai nostri giorni con cardinali e vescovi, cosa che scandalizza non pochi cristiani che leggono nei vangeli che Gesù era un operaio povero e senza fronzoli. Così finisce per essere chiaro che i gerarchi stanno più vicini al palazzo di Erode che alla culla di Betlemme.

C’è però un fenomeno che noi stentiamo a capire: nella fretta di legittimare questa trasformazione per garantire il potere assoluto del Papa, si fabbricano documenti falsi.

Primo. Una pretesa lettera del Papa Clemente (+96), successore di Pietro in Roma, diretta a Giacomo, fratello del Signore, il grande pastore di Gerusalemme, nella quale si dice che Pietro, prima di morire, aveva stabilito che lui, Clemente, sarebbe stato l’unico e legittimo successore. Evidentemente anche gli altri che sarebbero venuti dopo.

Falsificazione ancora più grande è la Donazione di Costantino, documento fabbricato all’epoca di Leone I, secondo il quale Costantino avrebbe dato in regalo al Papa di Roma tutto l’Impero Romano.

Più tardi, nelle dispute con i re Franchi, fu creata un’altra grande falsificazione le Pseudodecretali di Isidoro, che mettevano insieme documenti e lettere come provenienti dai primi secoli, il tutto a rafforzare il Primato giuridico del Papa di Roma.

Tutto culmina con il codice di Graziano (sec. XIII), ritenuto la base del diritto canonico, ma che poggiava su falsificazioni e norme che rafforzavano il potere centrale di Roma oltre che su canoni veri che circolavano nelle chiese.

Evidentemente tutto ciò viene smascherato più tardi, senza che con questo avvenga una qualsiasi modificazione nell’assolutismo dei Papi. Ma è deplorevole, e un cristiano adulto deve conoscere i tranelli usati e fabbricati per gestire un potere che cozza contro gli ideali di Gesù e oscura il fascino del messaggio cristiano, portatore di un nuovo tipo di esercizio del potere servizievole e partecipativo.

In seguito si verifica un crescendo nel potere dei Papi. Gregorio VII (+1085) nel suo Dictatus Papae (dittatura del Papa) si autoproclamò Signore assoluto della Chiesa e del mondo; Innocenzo III (+1216) si annuncia come vicario e rappresentante di Cristo; e infine Innocenzo IV (+1.254) si atteggia a rappresentante di Dio. Come tale sotto Pio IX, nel 1.870, il Papa viene proclamato infallibile in fatto di dottrina e morale.

Curiosamente, tutti questi eccessi non sono mai stati ritrattati o corretti dalla Chiesa gerarchica, perché questa ne trae benefici. Continuano a valere come scandalo per coloro che ancora credono nel Nazareno, povero, umile artigiano e contadino mediterraneo perseguitato e giustiziato sulla croce e risuscitato contro ogni ricerca di potere, e sempre più potere, perfino dentro la Chiesa. Questa comprensione commette una dimenticanza imperdonabile: i veri vicari-rappresentanti di Cristo, secondo il vangelo di Gesù (Mt 25,45) sono i poveri, gli assetati, gli affamati. La gerarchia esiste per servirli non per sostituirli.

Tradotto da Romano Baraglia

* Fonte: Incontri di Fine settimanana

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Commenti Articolo 743

Titolo articolo : MI RIBELLO A UN ALTRO SGOMBERO!,di Alex Zanotelli

Ultimo aggiornamento: September/25/2012 - 23:55:29.

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Autore Città Giorno Ora
irma vari roma 25/9/2012 23.23
Titolo:io non sono credente ma riesco a sentire nel più profondo del mio cuore la grand...
Articolo 21 - INTERNI
" Siamo persone e non bestie". Parlano i rom "sgomberati" della capitale


di Bruna Iacopino
“ Chi governa ha deciso che adesso gli zingari ( testuale) devono andare tutti via e gli italiani sono d'accordo... e se domani qualcuno si sveglia e dice che bisogna ammazzarci tutti, voi che fate?” Parla con voce bassa e pacata, M. ( la chiameremo così), mentre lentamente, in quell'angolo nascosto di Roma, si fa buio e sale l'umidità dal terreno. Zingari dice, e non rom, perchè così vengono apostrofati durante uno sgombero, così continua a chiamarli la gente.
M. avrà sui quarant'anni, ma ne dimostra molti di più, siede composta sul bordo di un materasso, trovato chissà dove, mentre i suoi due nipotini piccolissimi dormono beatamente coperti solo da un tetto spiovente ricavato con due pannelli di legno leggero e un involucro di plastica in caso di pioggia. Intorno erba alta, rovi, topi e spazzatura.
Prima dello sgombero, avvenuto intorno alla metà di aprile, lei insieme alla sua famiglia, i figli, la nuora, giovanissima e i nipoti di un anno e mezzo e sei mesi, stavano tutti nel campo abusivo di via del Flauto, ora, come tanti altri, centinaia, vive per strada o dove capita, nel primo posto utile, dove è possibile montare una tenda improvvisata e trovare così riparo per la notte. “ Ci trattano come se fossimo animali, ci fanno stare come animali... ma io so bene che qualsiasi persona ha bisogno di lavarsi tutti i giorni, ha bisogno di dormire in un letto con lenzuola pulite, di avere un tetto sopra la testa, di mangiare bene e non come facciamo noi adesso, roba presa dai cassonetti. La vera bestia è chi ci costringe a vivere così”.

Parla un italiano stentato, ma i concetti, nella sua testa e per noi che stiamo lì ad ascoltarla, sono fin troppo chiari.
Racconta di una burocrazia lenta e ingarbugliata, di tribunali e servizi sociali, del terrore più grande: che le venissero sottratti i figli per la mancanza dei documenti... “ Esistono dei diritti internazionali che valgono per tutti, anche per noi che siamo Rom, e allora perchè tutto questo, perchè cacciarci come bestie? Che cosa abbiamo fatto di male? Io... io ho la fedina penale pulita non ho mai fatto nulla di male, però quando vengono a prenderti e ti portano via per identificarti ti mettono insieme ai criminali (gente che ha rubato, ucciso) come se anche tu fossi un criminale...”
E' come se riflettesse a voce alta, un flusso continuo e ininterrotto di pensieri da scacciare, da buttar fuori, il volto stanco di chi è stato in giro tutto il giorno, a rovistare nell'immondizia. La sola alternativa che ha adesso è prendere con se la sua famiglia e tornarsene in Romania da dove è venuta, però prima c'è da risolvere il problema dei documenti della nuora, sepolti durante le operazioni di sgombero, sotto i resti delle baracche insieme a tutto quello che avevano.

Le ruspe, accompagnate dai servizi sociali e le forze dell'ordine in genere arrivano la mattina piuttosto presto, senza un preavviso, danno giusto il tempo di uscire di casa e buttano giù: i documenti li perdono in molti. La stessa sorte è toccata anche ad A., che invece stava nel campo di via Severini, sgomberato nello stesso periodo, anche il suo documento è rimasto sepolto sotto i resti della baracca, da un paio di anni la sua casa, e insieme ai documenti sono rimasti i vestiti della sua bambina di 5 anni. “Non mi hanno dato il tempo di prenderli e la bambina dal 18 aprile non può più andare all'asilo, come faccio a portarla così...” Dove stanno “accampati” adesso non c'è un posto dove potersi lavare, per attingere acqua c'è una fontana pubblica, che usano per bere e cucinare qualcosa.
A. mi racconta che qualche giorno fa l'hanno fermata e portata in questura per l'identificazione, ora ha con se anche un foglio di via.
Anche a via Severini era stata proposta l'accoglienza a Castel Nuovo di Porto, ma solo per donne e bambini, gli uomini si sarebbero dovuti arrangiare, la maggior parte di loro ha rifiutato e si sono sparpagliati per la città. “ Io ho cercato di spiegarglielo, anche alla polizia, che è inutile che ci sgombrano in continuazione, tanto noi ritorniamo.” Sorride A., è poco più di una bambina. Anche qui, dove stanno adesso, le forze dell'ordine sono già arrivate per mandarli via: “Hanno buttato giù tutto e poi hanno anche dato fuoco” mi dicono, facendomi vedere i resti bruciacchiati di legno e cartone.

E loro lì ci sono tornati, alternative non ne hanno. Tornare in Romania?
“ E per fare cosa, senza soldi?” Mi risponde. Suo marito lavora a giornata dove capita, in genere va al mercato a scaricare la merce che arriva la mattina molto presto, così riescono a tirare avanti. “ Dalla Romania siamo venuti via perché non c'era più lavoro per noi, prima lavoravamo in campagna, con la terra, allevavamo gli animali, adesso non c'è più niente e tutto costa il doppio che in Italia...”
Il buio scende sempre più fitto nel fossato in cui ci troviamo, rischiarato appena da un piccolo fuoco che dovrà servire a cuocere la cena. E domani sveglia presto, appuntamento alle 8.30 per andare in via Assisi a richiedere il biglietto per la Romania: “rimpatrio assistito”, lo chiamano.
Ad accompagnarli però non ci sarà qualcuno dei servizi sociali, ma I. una “signora di cuore” come dicono loro, che li conosce e li segue con profonda umanità dall'inizio di tutta questa assurda vicenda, è grazie a lei se sto lì. I. si dibatte tra lo stupore e l'indignazione, animatamente mi racconta della “disavventura” capitata ad una delle famiglie sgomberate: “ ...la mattina dello sgombero a via Severini hanno anche sequestrato un furgone senza neanche accertarsi chi fossero i proprietari e se i documenti stavano posto e senza rilasciare un verbale... ma i documenti erano in regola! E invece no, hanno costretto persone oneste a pagare un avvocato andando a raccogliere ferraglia per la strada solo per farsi restituire il furgone e poter ripartire per la Romania. Mi hanno mandato un messaggio, sono arrivati stamattina...” mi dice, tirando quasi un sospiro di sollievo. Almeno loro sono lontani da qui.
Li salutiamo che ormai è buio. “Vengo domattina a portare un po' di latte caldo, va bene?” Strilla I. allontanandosi.
“Speriamo che stanotte non viene la polizia a sgombrarci...” si sente rispondere dall'altra parte.

I fatti
Dopo lo stop decretato per la Pasqua, in concomitanza con l'occupazione della Basilica di San Paolo, gli sgomberi nella capitale sono ripresi di gran lena, facendone registrare ben 4 nella sola mattinata del 9 maggio, nella zona della Magliana. Le modalità sempre le stesse per tutti, con un aggravante, come denunciano le associazioni e come documentato anche dai mezzi di informazione, lo “sgombero selettivo”: le famiglie con bambini scolarizzati possono continuare a rimanere nel campo fino alla fine dell'anno scolastico, tutti gli altri anche se con bambini, ma non scolarizzati, debbono andar via; l'offerta di accoglienza è sempre vincolata allo smembramento famigliare. Succede allora che i campi si moltiplichino in maniera esponenziale, al momento sarebbero 279, denuncia l'associazione 21 luglio, triplicati, dall'annuncio del Piano nomadi. Una follia propagandistica tutta giocata sulla pelle di uomini, donne e bambini rom.
“ E questa sarebbe sicurezza? Costringere la gente a vivere in maniera disumana? E spingendoli a fare cose che non vorrebbero e dovrebbero fare?” La domanda rimbalza di bocca in bocca ma rimane sospesa in un limbo. Noi la risposta la conosciamo già.
Autore Città Giorno Ora
irma vari roma 25/9/2012 23.55
Titolo:mi ribello contro l'uso politico degli sgomberi senza alternativa dei campi rom...
Cronache di ordinaria persecuzione nei confronti di Rom e di puro razzismo a Roma
TOLLERANZA ZERO

Levatevi la cortina di fumo davanti agli occhi ed iniziate a guardare la vera realtà del nostro bel paese mi rivolgo soprattutto a tutte le donne, madri, educatrici, insegnanti, compagne e mogli.
Sono anni che nel nostro bel paese é passato un messaggio culturale contro l’immigrazione. Questo messaggio ha fatto breccia nella coscienza delle persone trasformandosi in razzismo, purtroppo, questo sentimento, questa ideologia è passata anche tra le fasce socialmente più deboli ed emarginate che popolano le periferie. Ho visto e sentito donne e uomini prendersela con gli immigrati per tutto, dal giardino sporco, ai mezzi pubblici che puzzano con la loro presenza, di essere responsabili di togliere lavoro agli italiani perché ( loro! Gli Immigrati! ) lavorano in nero accettando paghe da fame, dai posti nido occupati dai figli degli immigrati perché rientrano in graduatoria tra le fasce con redditi bassi. Per non parlare poi dei rom e dei bambini rom, visti non come persone ma come degli esseri che cacano e pisciano nei parchi abbandonati e incolti delle nostre ( belle e funzionali ?) periferie della città, usano le fontanelle pubbliche e si permettono di farsi una baracca o aprire una tenda, formando un piccolo accampamento nelle vicinanze di proprietari di case , tanto da essere accusati di essere responsabili della svalutazione del loro appartamento in una eventuale vendita dell’immobile. Questa cultura razzista è studiata ideologicamente dalla politica per distogliere l’attenzione dai veri problemi del nostro bel paese che sono: disoccupazione giovanile, affitti non adeguati allo stipendio, privatizzazioni dei servizi con ricaduta sull’aumento delle tariffe, vendita delle case pubbliche, chiusura delle fabbriche con delocalizzazioni in paesi dove possono avere maggiori guadagni attraverso lo sfruttamento della manodopera a basso costo, non pagando nulla per il maggiore utile ottenuto all’estero; nessuna concreta proposta per affrontare una crisi strutturale, determinata dalla gestione capitalistica della grande finanza europea, dal fondo monetario mondiale e dall’organizzazione mondiale del commercio. Si affronta la crisi facendo cassa tagliando i fondi sulla scuola, sulla sanità, sulla ricerca , ed ora, direttamente sulle buste paga di chi ha sempre pagato.
Allora! toglietevi questa cortina di fumo davanti agli occhi e, se, siamo donne, madri,compagne, educatrici di uguaglianza di giustizia sociale di cultura antirazzista, basta con l’ipocrisia politica che ci vuole tutti coglioni per fare il bello e cattivo tempo. Difendiamo i nostri figli dalla rassegnazione insegnandogli a lottare per il proprio futuro in prima persona accanto a tutti, lavoratori italiani con immigrati, i loro interessi e bisogni sono i nostri, basta ascoltarsi conoscersi ed unirsi,
Ho rabbia, amarezza e preoccupazione per la cultura presente e futura della nuova generazione perché sono reduce dalla constatazione di atti di vera persecuzione nei confronti di un piccolo insediamento rom a Torre Spaccata, composto per la maggior parte da donne e bambini di tutte le fasce di età , anche in età pediatrica . Questo insediamento era presente in via di Torre Maura nei pressi della sede del Messaggero da tre anni, i bambini erano scolarizzati e seguiti da abitanti del quartiere attivi umanamente, seguiti dai sanitari dall’ambulatorio di Medicina Solidale e delle Migrazioni, tutti censiti per essere in linea con il famigerato piano nomadi. La mattina dell’otto aprile la polizia dell’ottavo municipio ha effettuato lo sgombero del campo senza nessuna alternativa , se non quella di una temporanea permanenza in casa famiglia, (non sempre disponibili perché strapiene e non sempre disponibili per nomadi) solo per donne e bambini che, i rom, giustamente, rifiutano, contrari a dividersi dal nucleo familiare. Piano nomadi? No ! Solo tolleranza zero! A dispregio di tutti i diritti umani e civili delle persone. dall’otto aprile queste famiglie seguite e aiutate dalle poche persone solidali di sempre, vagavano nei pressi del campo, aprendo le tende la sera per chiuderle la mattina, continuamente allontanate dalla polizia municipale, fino a lunedì 24 maggio quando la polizia municipale ha impedito loro di aprire le tende, solo per ripararsi dalla pioggia, con la conseguenza che, tutti, compresi i bambini si sono presi tutta la pioggia. E’ intervenuto il centro sociale Corto Circuito portando pasti e vestiti asciutti , la C.R.I. assistenza infanzia chiamata da Medicina Solidale ha portato coperte pannolini e materiale di primo soccorso per i bambini. Troppo!! Il 25 maggio ci siamo recati in delegazione con donne e bambini in Campidoglio per denunciare i modi persecutori nei loro confronti. La delegazione con l’intervento del consigliere comunale Alzetta è stata ricevuta dalla competente rappresentanza del Campidoglio, direttamente in piazza . La delegazione delle donne e bambini rom ha denunciato l’atteggiamento persecutorio chiedendo l’immediata sospensione di interventi di sgomberi nei loro confronti e soluzioni di accoglienza con il mantenimento integro del nucleo familiare, la rappresentanza del Campidoglio ha preso atto delle richieste trasferendo il problema al V dipartimento delle politiche sociali per trovare soluzioni . Il 26 maggio le politiche sociali del V dipartimento ha inviato un nucleo del servizio sociale, operatori che si sono dimostrati disponibili e umani, presso il campo per offrire il trasferimento in un centro di accoglienza con il mantenimento del nucleo familiare, l’offerta è stata accettata positivamente dai rom. Il centro di accoglienza non è e non deve essere la soluzione del problema rom, deve essere solo un momento di emergenza transitorio per trovare una soluzione degna di una vera accoglienza e integrazione nel rispetto dei più elementari diritti umani. Mentre si aspettava il pullman per andare via da Torre Maura (vista Messaggero) è arrivata una donna tutta arrabbiata gridando: “ sono ritornati? Ho chiamato già la polizia” io: “signora ma che fastidio le danno queste persone?” breve silenzio da parte della signora per poi dichiarare: “urinano nel prato” “signora, i marciapiedi di Roma sono pieni di cacche e urine di cani che i loro incivili padroni italiani non raccolgono, il suo è solo razzismo si vergogni!, qui ci sono bambini che hanno avuto bisogno di aiuto e lei non ha chiesto interventi di aiuto né li ha aiutati personalmente, si vergogni!” “io non ho cani”. La signora con il suo gran culone si allontanava infuriata. Questo è quanto
Se non ci leviamo la cortina di fumo dagli occhi fatta di discriminazione e razzismo e in prima persona ci mobilitiamo anche con disubbidienza civile contro chi: profuma ma corrompe e si arricchisce sulla pelle dei terremotati in Abruzzo( la corruzione incide sul disavanzo pubblico nella misura di miliardi di euro); a chi toglie i bambini alle mamme perché povere o perché prive di permesso di soggiorno, considerandole alla pari dei criminali;contro tutti i Tanzi che pisciano nel water ma hanno rapinato centinaia di ignare persone; chi taglia i finanziamenti alla scuola pubblica, taglia le insegnanti di sostegno, il tempo pieno ( non tutti si possono permettere la baby-sitter come la ministra dell’istruzione ); contro chi ha diritto alla pensione con solo 5 anni di duro lavoro in parlamento ma blocca le finestre per accedere alla pensione di vecchiaia anche con 40 anni di contributi lavorativi ; chi rispetta solo il profitto e non le persone; chi massacra di botte fino alla morte persone fermate o arrestate in carcere per pura crudeltà e tortura; contro uomini di chiesa che violentano bambini in luoghi di chiesa; chi licenzia per piani di settore; chi contamina i territori con rifiuti tossici e radioattivi; chi è attualmente all’opposizione (PD ecc) che propone, ma non fa’ opposizione politica, culturale ed economica concreta, seria e di vero attacco contro i responsabili della crisi finanziaria e strutturale, (contro la guerra con ritiro immediato dei soldati in Afghanistan , il 20% della ricchezza finanziaria e immobiliare italiana non viene tassata), ma, coltiva solo i propri interessi elettorali schierandosi se serve con il pacchetto sicurezza contro gli immigrati clandestini, lasciando sole le persone disagiate, gli immigrati, rom e lavoratori nei loro problemi (vedi anche proposta Fiat a Pomigliano, lavoratori di Rosarno ecc.) questa è opposizione da bella addormentata in attesa del principe, ma il finale questa volta potrebbe avere un tragico risvolto . Condanniamo i nostri figli ad una triste e povera vita futura senza valori e all’infelicità
A Camelia, Carmen, Rebecca, Barbara, Giulia ecc.ecc. Per aver sopportato tanto,(donne rom del campo di Torre Maura).
A tutti i bambini di tutte le periferie problematiche ed economicamente fragili dove mancano le infrastrutture per lo sport e cultura gratuite e servizi essenziali per vivere una vita degna per essere chiamata tale.

Irma Vari, che dedica qualche ora della propria vita a
Medicina Solidale e delle Migrazioni come militante contro l’indifferenza, fascismo e razzismo

Roma, 27 maggio 2010

Questo mio articolo del 27 maggio 2010 avevo intenzione di renderlo pubblico, visto che mi interessava solo riuscire ad ottenere l’accoglienza per i nuclei familiari rom non lo resi pubblico, ora, visto lo sgombero dell’insediamento rom di via M. Campigli dopo quasi 2 anni dell’invio della sottoscrizione di alcuni abitanti per risolvere il problema del piccolo insediamento con civiltà, si è, invece, usata a pretesto una manifestazione avvenuta il 7 settembre c.a. a legittimare una sola richiesta su tante altre che gli abitanti denunciavano sul degrado di V. G.Morandi tanto che l’8 c.m. il comune si sente legittimato a sgomberare senza preavviso per gli abitanti dell’insediamento che non si sono macchiati di nessun reato se non quello di farsi una baracca., Questa è politica bellezza!!! Che schifo! sulla pelle della povera gente, soprattutto bambini, patrimonio dell’umanità.
.
L’8 settembre 2010 si è ripetuto l’ennesimo sgombero di un piccolo campo nei pressi di via M. Campigli e G. Morandi , senza preavviso, senza offrire a coloro che vivevano nel campo, da ormai quasi quattro anni , un’accoglienza che mantenesse integro l’intero nucleo familiare ma una temporanea assistenza in casa famiglia solo per donne con figli. Perché continuare a proporre alle donne rom di dividersi dal nucleo familiare durante questi sgomberi? pur sapendo che rifiuteranno? dividersi dal nucleo familiare per loro è come subire un lutto, come per noi del resto, con l’aggravante che queste famiglie si trovano in un paese straniero e non tutti hanno la padronanza della lingua italiana . Come dicevo, questo campo esisteva già dal 2007, non ha creato mai problemi con gli abitanti di via G. Morandi hanno socializzato con il territorio e scolarizzato i propri bambini, tanto che in un tentativo di sgombero da parte della polizia e militari avvenuto l’8 aprile 2009, noi abitanti contestammo la tipologia dello sgombero e sottoscritto una richiesta, inviata tramite fax alla segreteria del sindaco Alemanno e al V dipartimento, sottolineando l’inutilità di tali sgomberi per risolvere il superamento degli insediamenti abusivi, perché vista l’esigenza di queste persone a trovare un posto dove vivere avrebbero ricostruito il campo in poco tempo in un altro posto. Questi metodi persecutori nei confronti dei rom causano sofferenze soprattutto ai bambini che vedendo e subendo questi sgomberi si sentono rifiutati, già segnati senza colpe. La richiesta degli abitanti di via G. Morandi richiedeva e affermava che era un grave errore sgomberare l’insediamento di via M. Campigli perché in mancanza di alternative di accoglienza certe sarebbe stata solo l’occasione per rimuovere una piccola comunità che ha cercato di sapersi inserire nel territorio, problematico e degradato già di suo da diversi anni come la maggior parte delle periferie. Si segnalava la necessità di un intervento non delle forze dell’ordine ma dei servizi sociali al fine di individuare tramite concertazione con gli abitanti dell’insediamento un’alternativa residenziale stabile e duratura , tutelando l’integrità dei nuclei familiari, la continuità didattica dei minori, l’integrazione nel territorio. In questo insediamento viveva anche un italiano senza casa e affermava di trovarsi in armonia con gli abitanti del campo. Ora queste persone dalla baracca si trovano in strada con le tende, ma continuano a mandare i propri bambini a scuola. Oggi 20 settembre abbiamo inviato come Medicina Solidale e delle Migrazioni di Tor Bella Monaca, la richiesta di accoglienza per i 6 nuclei familiari sgomberati al V dipartimento delle politiche sociali aspettando che, dopo 2 anni il direttore A. Scozzafava con l’assessore S. Bel Viso legittimi la sottoscrizione di noi abitanti di via G. Morandi inviata ad aprile 2009. Per i miei commenti e proposte leggere il comunicato del 27 maggio 2010.
Irma Vari
Roma, 20 settembre 2010

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Commenti Articolo 744

Titolo articolo : COME FARE AFFARI E DOMINARE CON LA PAROLA DI "DIO": "DOMINUS IESUS"! Il "decalogo per politici" di Benedetto XVI. Una nota di Giacomo Galeazzi - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/25/2012 - 08:56:44.

Gli ultimi messaggi sono posti alla fine
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/9/2012 11.37
Titolo:AVANTI TUTTA, IN NOME DEL "CATTOLICO" PADRONE GESU' ("DOMINUS IESUS"
COME LA LEGGE FALSA E BUGIARDA DEL FARAONE-PAPA, DEL NEMICO DELL’UMANITA’, SOPPIANTA IL COMANDAMENTO EVANGELICO E REALIZZA "LA (INVERSA) FINE DI TUTTE LE COSE". Alcune pagine dallo scritto di Kant, La fine di tutte le cose (1794)*:



[...] mi sia permesso, di notare modestamente non tanto quel che essi [uomini dallo spirito grande o almeno intraprendente, fls] avrebbero da fare, quanto quel che dovrebbero evitare di urtare, per non agire contro la propria intenzione (e fosse questa anche la migliore).

Il cristianesimo ha, oltre il grandissimo rispetto, inspirato irresistibilmente dalla santità delle sue leggi, anche qualcosa di benigno, in sé. (Non intendo qui la benignità della Persona, che ce lo ha acquistato con grandi sacrifici, ma della cosa stessa: ossia della costituzione morale, che Egli fondò; poiché quella si può desumere solo da questa).

Il rispetto senza dubbio è la prima cosa, poiché senza di esso non vi può essere alcun vero amore, sebbene anche senza amore si possa nutrire grande rispetto per qualcheduno. Ma, se si viene non soltanto alla presentazione del dovere ma anche all’esecuzione del dovere, se si chiede del motivo subiettivo delle azioni, dal quale solo, se lo si può prevedere, c’è da aspettarsi quello che l’uomo farà, e non del motivo obiettivo, di quel che deve fare: allora l’amore come libero accoglimento della volontà di un altro tra le proprie massime, è indispensabile complemento all’imperfezione della natura umana (di dover essere obbligata a quello, chela ragione prescrive con la legge): perché, quel che uno fa malvolentieri, lo fa così stentatamente, ed anche con sofistiche scappatoie dal comandamento del dovere, che non si può contare molto sul dovere, come motivo delle azioni, senza l’intervento dell’amore.

Se ora, per farlo proprio buono, si aggiunge al Cristianesimo un’autorità (sia anche essa divina), possa anche la sua intenzione essere retta e lo scopo realmente buono, allora però la benignità di esso sparisce, perché è una contraddizione comandare a qualcuno, che egli non solo faccia qualche cosa, ma la faccia anche volentieri.

Il Cristianesimo ha per intenzione quella di promuovere amore alla osservanza del proprio dovere, e lo produce anche: perché il suo fondatore non parla nella qualità di un comandante, che esprime la sua volontà richiedente ubbidienza, ma in quella di un amico dell’uomo, che mette nel cuore dei suoi fratelli la loro propria bene-intesa volontà, secondo la quale essi agirebbero da se stessi volontariamente, se si saggiassero come si conviene.

È dunque il modo di pensare liberale - egualmente lontano dallo spirito servile e dallo sfrenato- quello da cui il Cristianesimo attende l’effetto per la sua dottrina e mediante cui guadagna i cuori degli uomini, dei quali la mente sia stata già illuminata dalla legge del dovere. Sebbene dunque il Maestro del Cristianesimo annunzi anche pene, pure ciò non è da intendersi così, almeno non è conforme all’intima costituzione del Cristianesimo lo spiegarlo così, come se quelle pene dovessero divenire i motivi, per eseguire i suoi comandamenti: perché allora il Cristianesimo cesserebbe di essere benigno.

Si deve quindi interpretare ciò solo come un avviso amorevole, scaturito dalla benevolenza del legislatore, per guardarsi dal danno, che inevitabilmente sorgerebbe dalla violazione della legge (lex est res surda et inesorabilis, Livius) : perché qui allora, non il Cristianesimo quale massima di vita volontariamente assunta, ma la legge minaccia: la quale, come ordine immutabile della natura delle cose, non lascia neanche allo stesso creatore l’arbitrio, di decidere le conseguenze in un senso od in un altro.

Se il Cristianesimo indice ricompense (p. es.: “Siate contenti e consolati, perché in cielo vi sarà tutto compensato”): ciò non deve essere interpretato, secondo modo di pensane liberale, come se fosse un’offerta, per attirare gli uomini alla buona condotta: perché allora il Cristianesimo sarebbe di nuovo da sé stesso non benigno. Solo l’esigenza di azioni, che scaturiscono da motivi non egoistici, può inspirare nell’uomo rispetto verso chi lo esige: ma senza rispetto non v’è vero amore.

Quindi a quella promessa non si deve dare il senso, come se le ricompense debbano essere considerate quali i’motivi delle azioni. L’amore, con cui il modo di pensare liberale è avvinto al suo benefattore, non è diretto verso il bene, che il bisogno riceve, ma verso la bontà del volere di colui, che è disposto a parteciparlo: se anche non sia in grado di farlo, o ne sia impedito nell’esecuzione da altri motivi, che porta con sé la considerazione del bene generale del mondo.

Questa è la benignità morale, che il Cristianesimo porta con sé la quale ancor sempre traspare attraverso le molte costrizioni impostegli col frequente mutare delle opinioni e lo ha preservato dall’avversione, che altrimenti avrebbe dovuto colpirlo; in modo da farlo apparire (il che è notevole) in luce tanto più chiara anche nell’epoca della maggiore illuminazione [Aufklarung], che vi sia mai stata tra gli uomini.

Se al Cristianesimo dovesse una volta avvenire che cessasse di esser benigno (il che potrebbe accadere, se si armasse di autorità imperativa, invece del suo spirito mite), allora, siccome nelle cose morali non v’è neutralità (o tanto meno coalizione di opposti principi), un’avversione od opposizione contro di esso dovrebbe divenire il modo dominante degli uomini; e l’anticristo, che anche senza di ciò è ritenuto quale il precursore dell’ultimo giorno, avrebbe il suo regno, se anche di breve durata, fondato presumibilmente sulla paura e sull’egoismo: ma subito dopo, siccome il Cristianesimo invero è destinato ad essere religione universale, ma dal destino non sarebbe stato aiutato a divenirlo, avverrebbe, sotto l’aspetto morale la (inversa) fine di tutte le cose.

* Cfr. I. Kant, La fine di tutte le cose [1794], trad. di G. De Lorenzo, in: Giuseppe De Lorenzo, Scienza d’Occidente e Sapienza d’Oriente, Ricciardi Editore, Milano-Napoli 1953, pp. 18-20
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/9/2012 15.08
Titolo:IN GERMANIA. Niente sacramenti senza l'8x1000
Germania/ Altolà della Chiesa cattolica: niente sacramenti senza l'8x1000

-"Affari italiani",, Venerdì, 21 settembre 2012 *


Chi non versa l'8 per mille alla Chiesa non è più cattolico e non puo' avere accesso ai sacramenti, compreso il funerale religioso: è la dura presa di posizione assunta dalla Conferenza episcopale della Germania con l'avallo del Vaticano in risposta alla fuga dei cattolici tedeschi dal pagamento del contributo. A partire da lunedì prossimo chiunque dichiarerà la sua uscita dalla comunita' ecclesiastica di appartenenza, risparmiandosi così il pagamento dell'8 per mille, si porrà al di fuori della Chiesa cattolica. Nel documento reso noto a Berlino si sottolinea che l'uscita formale dalla Chiesa costituisce "una grave mancanza nei riguardi della comunità ecclesiale". "Chi per qualunque motivo dichiara davanti all'autorità civile la propria uscita dalla Chiesa", e' scritto nel documento, "viene meno all'obbligo di appartenenza alla comunità ecclesiastica e a quello di consentire alla Chiesa con il suo contributo finanziario di assolvere alle proprie mansioni".

Chi non paga l'8 per mille non verrà più considerato cattolico e non potrà dunque più avere accesso ai sacramenti, come la confessione, l'eucarestia, ne' potra' piu' essere padrino di battesimo. In caso di morte, poi, gli verra' negato il funerale religioso, anche se non verra' automaticamente scomunicato. Con questa misura la Chiesa cattolica cerca di arginare il crescente rifiuto di contribuire al suo sostentamento, ai quali basta una semplice dichiarazione alla cancelleria di un tribunale per essere esentati dal pagamento.

Negli ultimi tempi il fenomeno ha assunto grazie alla crisi una dimensione sempre piu' considerevole, anche per i credenti di fede evangelica, che per risparmiare decidono di uscire dalla Chiesa di appartenenza. Finora le conseguenze sul piano ecclesiastico erano praticamente nulle, mentre adesso chi esce si vedra' rifiutare ogni tipo di sacramento. Dal 1990 in poi oltre 100mila tedeschi all'anno hanno voltato le spalle alla Chiesa cattolica, mentre nel 2011 e' stato toccato il record di 126.488 autoesclusioni. Per tentare di arginare il fenomeno la Chiesa cattolica intende agire in futuro anche in maniera attiva, inviando a chiunque ha dichiarato al tribunale la propria uscita una lettera di invito a parlarne con il proprio parroco. Nel colloquio si cerchera' di convincere l'eventuale pecorella smarrita a ripensarci e a tornare all'ovile.


* http://affaritaliani.libero.it/cronache/germania-chiesa-cattolica-sacramenti210912.html?refresh_ce
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/9/2012 22.51
Titolo:BAGNASCO FA FINTA DI NULLA E CONTINUA A GRIDARE "(FORZA) ITALIA"!!!
CONSIGLIO PERMANENTE CEI

«Stringere i ranghi per amore all’Italia» *

Il cardinale Bagnasco ha aperto questo pomeriggio i lavori del Consiglio permanente della Cei, che proseguiranno fino a giovedì. In mattinata il presidente della Cei è stato ricevuto dal Papa, in udienza nel palazzo apostolico di Castelgandolfo. Nella Prolusione, il cardinale affronta subito il tema più drammatico di questi mesi, la crisi economica, che "interroga" i vescovi.

UN POPOLO TENACE, NON SCORAGGIAMOCI Occorre reagire alla tentazione dello scoraggiamento - dice Bagnasco riecheggiando le parole del Papa -, ma c’è una carenza di una visione globale, capace di tenere insieme i diversi aspetti dei problemi. "Il nostro popolo tiene, resiste, non si arrende e vuol reagire, esige la nuda verità delle cose". Gli italiani sono capaci di sacrifici ma non più a occhi chiusi.

TESTIMONI ATTENDIBILI DELLA SALVEZZA Il cardinale spiega che non si può essere "indifferenti alla sorte di chi è più sfortunato di noi", e cita i testimoni forti del nostro tempo: don Ivano Martini, il parroco morto nel terremoto dell’Emilia, il cardinale Martini, mons. Maffeo Ducoli, vescovo emerito di Belluno, deceduto di recente e poi i coraggiosi sacerdoti e vescovi del Sud, impegnati a riscattare la loro terra.

CHIESA UNITA INTORNO A PIETRO Bagnasco rimanda poi alla figura di Benedetto XVI, "nitida e disarmante". Ed ecco il grido di orgoglio: "La Chiesa non è moribonda, ma è forse l’unica a lottare per i diritti veri dei bambini, degli anziani e deglia mmalati, della famiglia, mentre la cultura dominante vorrebbe isolare e sterilizzare ciò che di umano resta nella nostra civiltà".

UN ANNO PASTORALE BENEDETTO All’avvio dell’anno pastorale nelle comunità cristiane, un pensiero va all’appuntamento di ottobre con il Sinodo mondiale dei vescovi sulla Nuova evangelizzazione e sul successivo Anno della fede. L’invito a di sviluppare al massimo le potenzialità delle comunità, per "bussare a ogni porta e a offrirci alla libertà di ogni famiglia".

PORTA DELLA FEDE E SGUARDO SUL MONDO Il cardinale volge lo sguardo ai "fantasmi anti-religiosi" che fanno la loro comparsa anche in Europa e ai cristiani perseguitati in troppe parti del mondo, nella "sostanziale indifferenza della comunità internazionale", e invoca il rispetto e la libertà religiosa.

SACERDOTI ENTUSIASTI, LAICI COERENTI Un capitolo della prolusione è dedicati a ruolo del clero e al laicato. In un’epoca di forte crisi delle vocazioni, "le anime cercano preti entusiasti, con una chiara identità, che li renda presenti nel mondo senza che siano del mondo". Quanto al laicato, serve un nuovo slancio e di una nuova generazione di politici cristianamente ispirati, capaci di dire una parola chiara e coraggiosa.

L’ITALIA ESCA DAL VICOLO CIECO Dato il momento particolarmente serio, la Chiesa fa appello alla responsabilità della società, perché "è necessario stringere i ranghi per amore al Paese": è l’ora di una "solidarietà lungimirante" - dice Bagnasco - che si concentri sui problemi dell’economia, del lavoro, della rifondazione dei partiti, delle procedure partecipative ed elettive, di una lotta inesorabile alla corruzione. "Dispiace molto che anche dalle Regioni stia emergendo un reticolo di corruttele e di scandali, inducendo a pensare che il sospirato decentramento dello Stato in non pochi casi coincide con una zavorra inaccettabile. Che l’immoralità e il malaffare siano al centro come in periferia non è una consolazione, ma un motivo di rafforzata indignazione, che la classe politica continua a sottovalutare. Ed è motivo di disagio e di rabbia per gli onesti. Possibile che l’arruolamento nelle file della politica sia ormai così degradato? Si parla di austerità e di tagli, eppure continuamente si scopre che ovunque si annidano cespiti di spesa assurdi e incontrollati".

Alla luce di questo, occorre prepararsi con rigore e intelligenza alle prossime elezioni, per un rinnovamento reale delle formazioni politiche.

POVERTA’ CRESCENTE, ASSILLO PER I GIOVANI La crisi morde ed è l’ora della "solidarietà lungimirante". Il clientelismo ha creato nel tempo situazioni oggi insostenibili e i giovani sono il nostro maggiore assillo, con le piaghe del precariato, che sta diventando anche una "malattia dell’anima". "Siamo con questi giovani - scandisce Bagnasco - perché è intollerabile lo sperpero antropologico di cui, lo malgrado, sono attori.

FAMIGLIA E VITA, IMPEGNO ANCHE LAICISSIMO "La gente non perdonerà la poca considerazione verso la famiglia così come la conosciamo", dice il presidente della Cei. "Specialmente in tempo di crisi si finisce per parlare d’altro, per esempio si discute di unioni civli che sono sostanzialmente un’imposizione simbolica, tanto poco in genere vi si è fatto ricorso là dove il registro è stato approvato". Si parla di libertà di scelta, osserva il cardinale, ma si vogliono assicurare gli stessi diritti della famiglia fondata sul matrimonio, senza l’aggravio dei suoi doveri. "Si modifica così il significato proprio del matrimonio, segnando il pensare sociale e l’educazione dei figli". Riconoscere le unioni di fatto non è neutrale, pur non obbligando alcuni, è fortemente condizionante per tutti. "Perché non si vuol vedere? Non si vuole riconoscere le conseguenze nefaste di queste apparenti avanguardie?". Bagnasco poi invoca sostegni per la famiglia, come luogo privilegiato su cui si fonda una società. "Un impegno sacrosanto e insieme laicissimo".

Nello stesso modo, si attende il varo definitivo, da parte del Senato, del provedimento relativo al fine vita (Dat). "Rimane un ultimo passo da compiere, se non si vuole che un’altra legislatura si chiuda con un nulla di fatto". La Chiesa è ugualmente impegnato nella salvaguardia della dignità degli embrioni, così come dei migranti che varcano il mare alla ricerca di una vita migliore.

* Avvenire, 24 settembre 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/9/2012 08.56
Titolo:BAGNASCO, I VESCOVI, E LA QUESTIONE MORALE
LA QUESTIONE MORALE, QUELLA VERA - EPOCALE.

SIAMO ANCORA QUI....:

AL GOVERNO DELLA CHIESA UN PAPA CHE PREDICA CHE GESU’ E’ IL FIGLIO DEL DIO "MAMMONA" ("Deus caritas est") ... E AL GOVERNO DELL’ **ITALIA** UN PRESIDENTE DI UN PARTITO (che si camuffa da "Presidente della Repubblica"), che canta "Forza Italia" con il suo "Popolo della libertà" (1994-2012).

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Anche la Chiesa s’indigna


di Marco Politi

in “il Fatto Quotidiano” del 25 settembre 2012


Sulle macerie d’Italia il cardinale Bagnasco si schiera dalla parte della “rabbia degli onesti” contro
la corruzione e gli scandali esplosi nelle Regioni. Immoralità e malaffare al centro e in periferia –
scandisce – provocano “indignazione” mentre la classe politica “continua a sottovalutare” il marcio.

“Possibile che l’arruolamento nelle file della politica sia ormai così degradato?”, esclama. Sono
parole forti quelle del presidente della Cei ad apertura dei lavori del Consiglio permanente, ma
pronunciate come se la Chiesa istituzionale in questi vent’anni fosse stata super partes, inesorabile
nel combattere malapolitica e malaffare.

Ma non è così. Nella lunga stagione berlusconiana, la Cei è stata alla finestra mentre si stravolgeva
la legalità, si approvava la “modica quantità” di falso in bilancio, si aggredivano i giudici, si
approvava il “Porcellum” e ninfette labbra-a-canotto calavano tra i “rappresentanti del popolo”.

Sì,
a volte qualche bacchettata cardinalizia colpiva le indecenze più eccessive, richiamando i
comandamenti della Costituzione, ma appena si doveva dire “basta” sul serio – Boffo ci provò sul
giornale dei vescovi tre anni fa – il direttore dell’Avvenire fu lasciato decapitare da Feltri e la
gerarchia ecclesiastica si è riallineata nel tacito appoggio al Cavaliere. La spina è stata staccata solo
quando l’Europa ha deciso.

Anche ora il “cattolico impegnato in politica” Formigoni può mentire agli elettori su vacanze pagate
dai lobbisti (si è mai visto qualcuno rimborsare un amico per migliaia di euro, tirando rotoli di
banconote dalla tasca, senza usare un assegno o una carta di credito?) e sostenere con impudenza
che il Papa prega per lui, mentre i vertici della Chiesa tacciono su questo strano credente.

Manca nella relazione al Consiglio permanente una riflessione autocritica. Certo, i cittadini sanno,
come Bagnasco, che in alto si parla di austerità e tagli e poi “si scopre che ovunque si annidano
cespiti di spesa assurdi e incontrollati”.

Però quanti vescovi nelle realtà locali hanno ignorato le
malversazioni di fameliche classi dirigenti, cercando di ottenere qualche sussidio per le proprie
opere? Ai cittadini il presidente della Cei chiede di vigilare sui propri governanti con un “più
penetrante discernimento, per non cadere in tranelli mortificanti la stessa democrazia”. Si può dire
che la gerarchia ecclesiastica questo discernimento lo ha sempre esercitato verso i governi passati?
Non è poi trascorso tanto tempo da quando il cardinale Ruini premeva su Casini perché tornasse ad
appoggiare il Berlusconi degli scandali.

E tuttavia l’intervento di Bagnasco rivela la grande preoccupazione che la Chiesa nel suo complesso
– fatta di preti, parrocchie, suore, diocesi, associazioni e anche vescovi e singoli fedeli – nutre per la
crisi attuale. Undici milioni di euro sono stati raccolti per realizzare una ventina di Centri di
comunità nelle zone terremotate dell’Emilia. Le Caritas regionali sono in azione. C’è allarme per i
giovani immersi in un eterno precariato, allarme per la disoccupazione e l’inoccupazione e la
“supremazia arbitraria della finanza” sulla viva società. C’è angoscia per il crescere della povertà.
Bagnasco ribadisce l’importanza della “lotta inesorabile alla corruzione”.


Sul piano delle prospettive politiche la Cei si muove con cautela. Chi pensa che sarà neutrale alle
elezioni, si sbaglia. La strategia è di rafforzare il Nuovo Centro di Casini e andare a un Monti-Bis o
almeno una riedizione della grande coalizione (come risulta dall’indagine Ipsos/Acli sull’elettorato
cattolico). Perciò la relazione insiste sulla necessità che il Governo continui il suo lavoro e “metta il
Paese al riparo definitivo” da rischi e capitolazioni. Bagnasco esorta i politici a “non bruciare alcun
ponte” e si spende per “competenza e autorevolezza” riconosciute internazionalmente.


Durissimo l’attacco del presidente della Cei all’ipotesi di una legge sulle coppie di fatto
(implicitamente anche all’adozione di figli da parte di coppie gay) e all’autodeterminazione del
paziente nel testamento biologico rudemente ricompresa nell’etichetta di “eutanasia”. Con toni da
pre-campagna elettorale Bagnasco lancia l’allarme sulle “conseguenze nefaste di apparenti
avanguardie?”. É un avvertimento pesante al centro-sinistra. Alle elezioni la Cei ci sarà eccome, e il
Consiglio permanente di gennaio darà il là.

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Commenti Articolo 745

Titolo articolo : CHI NON E’ CONTRO DI NOI E’ PER NOI. SE LA TUA MANO TI E’ MOTIVO DI SCANDALO, TAGLIALA.,di p. Alberto Maggi OSM

Ultimo aggiornamento: September/24/2012 - 17:35:29.

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Autore Città Giorno Ora
Marcello Rinaldi ARCETO (RE) 24/9/2012 17.35
Titolo:Attenzione!
Il commento video differisce da quello scritto.
Grazie per l'attenzione.
Marcello

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Commenti Articolo 746

Titolo articolo : IL FORZOSO CELIBATO DEL CLERO,di Ernesto Miragoli

Ultimo aggiornamento: September/24/2012 - 15:54:15.

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Autore Città Giorno Ora
Giuseppe Zanon Cottolengo-Brescia 24/9/2012 15.54
Titolo:
Ernesto,
a prima lettura il tuo articolo sul celibato forzoso mi è sembrato alquanto forte, ma poi ri-leggendolo mi sono ricreduto. A parte la considerazione che la Chiesa è una società monarchica e che in quanto tale può anche forzare quelle leggi che lei ritiene particolarmente utili, resta il fatto però che la legge del celibato ecclesiastico appare in questo momento anche incoerente.

Incoerente con il Vangelo che vuole chiarezza di vita e di linguaggio “ sì sì, no no ” per cui non si può esaltare come ‘Fulgida gemma’ il celibato obbligatorio quando dietro sappiamo cosa ci sta.
Quattro vescovi fatti dimettere in questi ultimi anni per manifesta figliolanza, la schiera di preti che dietro a loro non ottemperano ai dettami del celibato, specialmente in America latina e Africa…..
La coerenza si paga e si paga anche cara, lo sappiamo noi preti sposati che per essa abbiamo anche rischiato di finire sotto i ponti! Con quale coerenza si può denunciare “Quanta sporcizia nella Chie-sa!” e poi tollerare quello che avviene in Essa. E il Vaticano lo sa bene, eccome, ma conviene far fin-ta di non sapere, non prendere provvedimenti troppo…evangelici e troppo coinvolgenti. Fare i pro-feti costa, ci penseranno gli altri. E intanto si tira a campare tra meschinità e compromessi. Leggere il Blog di Stefania su questo sito per avere una antologia di questi casi.
Giuseppe Zanon

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Commenti Articolo 747

Titolo articolo : Sulle attuali risse tra economisti,di Gianni Mula

Ultimo aggiornamento: September/24/2012 - 10:38:20.

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Autore Città Giorno Ora
Guido Pegna Monserrato (Ca) 23/9/2012 14.27
Titolo:E allora?
Condivido completamente. Essendo sconsolatamente consapevole di questa situazione da tempo non leggo più ne’ quotidiani ne’ settimanali. Nel tentativo di capire le cose del mondo e il loro senso mi sono “ritirato” a leggere Borges (occorre conoscere anche quella parte), Soriano, Alvaro Mutis, Vitaliano Brancati, Sciascia, Lussu, e poi Gadda, Bianciardi e di tanto in tanto anche il buon Manzoni.
Autore Città Giorno Ora
Gianni Mula Cagliari 24/9/2012 10.38
Titolo:Quello presente non è l'unico mondo possibile
Caro Guido, la tua reazione è comprensibile e pienamente giustificata dal mondo in cui attualmente viviamo. Ma questo mondo non è l’unico possibile, e quello che tutti siamo chiamati a fare è renderlo diverso e migliore, ciascuno per quello che può fare. Non sto facendo un appello moralistico ad essere più buoni, ma cerco di invitare chi mi legge a rendersi conto che in una società completamente globalizzata non esistono nicchie nelle quali nascondersi ignorando il resto del mondo. Perché quello che succede nel resto del mondo, che lo vogliamo o no, ci riguarda da vicino anche se avviene lontano e anche se riguarda solo persone che non conosciamo.
Grandi del nostro tempo come Ernesto Balducci e Carlo Freccero, ciascuno dal suo punto di vista, di credente impegnato nella testimonianza della propria fede il primo, di laico disincantato ma coerente il secondo, ci esortano, come ho raccontato nel mio post originale sul furto d’informazione, a non aver paura di cercare l’impossibile, cioè a non rassegnarsi alla scomparsa, nella nostra società industriale avanzata e competitiva, di rapporti umani autentici, cioè non soffocati e uccisi dalla convinzione che l’interesse personale è la sola cosa che conta.
E allora quello che possiamo fare è testimoniare tutti, ciascuno nella maniera a lui più congeniale, che la visione del mondo di Balducci e Freccero è anche la nostra. La tua maniera, quella di ritirarti a leggere Borges e gli altri autori che ami, va benissimo, purché non sia vissuta come una rinuncia all’azione e alla testimonianza: la tua azione è contribuire a preservare i valori della cultura non astrattamente, con le solite roboanti e vuote parole della retorica ufficiale, ma concretamente, testimoniando nei fatti che le parole di quegli autori aiutano davvero a vivere e a superare momenti difficili come quello che attraversiamo.
Tornerò presto sull’argomento.

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Commenti Articolo 748

Titolo articolo : MONS. NUNNARI:“VOI MAFIOSI, INCOMPATIBILI COL VANGELO”,da Adista Notizie n. 33 del 22/09/2012

Ultimo aggiornamento: September/23/2012 - 14:16:35.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/9/2012 14.14
Titolo:PER GIOACCHINO DA FIORE, UN INVITO AL VESCOVO NUNNARI ....
PER GIOACCHINO DA GIORE, PER L’ABBAZIA FLORENSE, PER SAN GIOVANNI IN FIORE .....

Si spera solo che la questione non si riduca soltanto a un’occasione di guerra e di contrapposizione politica. Di mezzo c’è ben altro. Ci sono poteri forti, ci sono pesanti irregolarità (non solo del Comune, ma anche responsabilità della Curia). E, soprattutto, c’è un monumento che, ancora una volta, cade nella trappola degli interessi dei singoli. Privati e non. (Carmine Gazzanni)

Un invito al vescovo Nunnari e al vescovo Bonanno.

CHIARISSIMI VESCOVI

Accogliete in spirito di evangelica carità ("charitas") le sollecitazioni di Emiliano Morrone a fare chiarezza. Altro che minacce: uscite dalla confusione e dalla "minorità" gerarchica!

ISTANZE EVANGELICHE O "RAGIONI DI STATO"?! COSA AVETE SCELTO IERI, E COSA SCEGLIETE OGGI, ORA?!:

SINODO DEI VESCOVI. L’ANNO DELLA PAROLA DI DIO: AMORE ("CHARITAS") O MAMMONA ("CARITAS")?! - Fatto sta che la prima enciclica di Papa Benedetto XVI (Deus caritas est, 2006) è per Mammona

La vita e la verità stanno sulla via di Gesù ("Deus charitas est": 1 Gv. 4.8) non su quella di Benedetto XVI ("Deus caritas est", 2006). Riconsiderate non solo la lezione di Gioacchino da Fiore, ma anche di Francesco da Paola !!! Pensate con la vostra testa e con il vostro cuore e ... uscite dal gregge "mammonico"!

Siate veri testimoni di Cristo e del suo Dio e non del "Dominus Iesus" e del "Deus caritas" ratzingeriano!

Siate all’altezza di voi stessi, e del vostro compito ....

O VOLETE ANCHE VOI SPEGNERE IL LUMEN GENTIUM ... PER "RAGIONI DI STATO"?!

PER LA CHIESA, PER L’ITALIA, E PER L’ABBAZIA DI GIOACCHINO DA FIORE!

QUESTO IL MIO INVITO, E IL MIO AUGURIO ....

In fede, speranza, e carità

Federico La Sala (cfr.: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/breve.php3?id_breve=691)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/9/2012 14.16
Titolo:PER L'ABBAZIA FLORENSE, UN APPELLO ...
ABBAZIA FLORENSE/ La politica inizia a muoversi.
- Appello di Infiltrato a vescovo e casa di riposo

Mi rivolgo al vescovo di Cosenza, Salvatore Nunnari (in foto, ndr), e poi ai gestori della casa di riposo. Chiedo loro, ciascuno per il suo ruolo, di cogliere adesso la possibilità di partecipare al recupero dell’Abbazia di Gioacchino da Fiore. Sarebbe un risultato di tutti. La politica, di là da beghe e bandiere, ha già principiato.

di Emiliano Morrone *

Ieri si è tenuto a San Giovanni in Fiore (Cosenza) il consiglio comunale sulla casa protetta per anziani ubicata nell’Abbazia florense. A lungo dormiente, la vicenda è stata sollevata da Infiltrato e dal Comitato civico che si batte per la tutela dell’edificio, del XIII secolo.

Quello dell’Abbazia florense - restauro pagato dall’Ue fermo da anni, crepe, interessi privati e degrado imperdonabile - non è un caso locale, ristretto, di provincia. Lo hanno capito molto bene i nostri lettori e quanti, grazie alla rete, hanno conosciuto l’importanza del monumento e di Gioacchino da Fiore.

Il sapere del profeta è espresso dai quattro rosoni circolari sopra l’abside, che una grave lesione attraversa nel silenzio del potere. Una ferita al cuore della storia, che precede e segue Dante Alighieri, il quale colloca Gioacchino nella luce del Paradiso, con un significato ben più alto del nozionismo scolastico, della catechesi letteraria.

Gioacchino era un uomo di spirito, severo e visionario; uno che immaginava la giustizia in questo mondo, in questa vita; un monaco, non un vescovo, che oggi avrebbe bastonato banchieri e potenti del pianeta.

Gioacchino pensava alla giustizia come risultato dell’armonia generale e della responsabilità di ciascuno, in un sistema contrario all’odierno asservimento collettivo, frutto del capitalismo disumano, selvaggio, ingannevole e vorace. Gioacchino sarebbe stato il riferimento di una rivoluzione che avrebbe incluso, se non avessimo avuto una lunga e schifosa ambiguità nello Stato, i martiri siciliani della libertà. Mi riferisco a Giovanni Falcone, a Paolo Borsellino e agli agenti saltati in aria per le bombe del ‘92.

Jorge Luis Borges avrebbe fatto di Gioacchino un personaggio onnipresente, raccontandoci della sua influenza in Messico o nella fabbrica della Sistina; nei viaggi di Cristoforo Colombo o nelle inquietudini di Martin Heidegger.

Gioacchino e l’Abbazia florense sono anche un bel un pezzo di storia della Calabria, di questa terra violentata dall’affarismo, della sua gente costretta a sopportare, a ingoiare veleni quotidiani, a nutrirsi di paure e promesse. A infossare la dignità e la verità.

La Calabria è il luogo del possibile, dell’infinitamente possibile: dove il male s’innesta nel bene e non c’è mai una distinzione netta, nonostante l’opera di coraggiosi incorruttibili; come Nicola Gratteri, Pierpaolo Bruni, Renato Bellofiore, Giacomo Saccomanno, Jacopo Rizzo, Orfeo Notaristefano, Mauro Minervino, Domenico Monteleone, Roberto Bonina e Angela Napoli.

La Calabria è la regione dell’arretratezza: i treni procedono come la speranza popolare, fiacca, azzoppata o soppressa. Ma è pure la regione in cui si può speculare più facilmente, grazie alle connivenze, al teatro delle istituzioni e all’accettazione della meschinità furba come motore dell’economia.

La vicenda dell’Abbazia florense, offesa, martoriata, predata, è lo specchio della Calabria in croce, agonizzante, affidata a funzionari pubblici che pensano ai cazzi loro e, nella migliore delle ipotesi, sono talmente stanchi da abbandonarsi al solitario del pc.

Infiltrato ha documentato irregolarità e complicità, comportamenti immorali o imbarazzanti di politici, pastori della fede, dirigenti e imprenditori coinvolti. Ieri, finalmente, dopo tutto il casino seguìto alle nostre inchieste, il Consiglio comunale di San Giovanni in Fiore si è riunito per rispondere pubblicamente.

Luigi Astorino (Pdl), presidente del civico consesso, ha rassegnato le dimissioni dalla casa di riposo della San Vincenzo De’ Paoli srl, dove faceva il medico. Un atto dovuto, per il quale restituiamo ad Astorino, qualora a noi si fosse rivolto, le accuse di «gogna mediatica» nel suo intervento. Altri non avrebbe lasciato quell’incarico, ne siamo certi. Per questo apprezziamo la decisione di Astorino, che, con 9 voti contrari, 6 favorevoli e una scheda bianca, ha evitato la sfiducia; non proponibile secondo un parere dirigenziale letto in consiglio.

Il sindaco Antonio Barile (Pdl) ha illustrato gli atti del municipio sulla casa di riposo, riferendo di irregolarità gravissime ai tempi dell’amministrazione precedente (allora sindaco era il socialista Antonio Nicoletti, ndr). Poi ha chiesto ai responsabili dell’Ufficio tecnico e dell’Ufficio commercio di sanare con i dovuti provvedimenti. Ciò ridefinirà la situazione amministrativa della San Vincenzo De’ Paoli srl, che da cinque anni sta in un’ala dell’Abbazia florense senza pagare un che al legittimo proprietario, il Comune.

In consiglio si è discusso anche dei lavoratori e degli anziani della casa di riposo, problema che tocca risolvere anzitutto ai gestori, i quali non hanno mai voluto dialogare - secondo le carte - con il municipio, obiettando titolo legittimo.

Proprio ieri, Infiltrato ha riportato prova di contatti passati tra un titolare della casa di riposo, assolto, e un boss della ‘ndrangheta. La vicenda non si riferisce alla San Vincenzo De’ Paoli srl, sia chiaro. Restano quei contatti, veri come è vera l’innocenza di un bambino. Quei contatti, penalmente superati, contengono una grande possibilità civile, cioè ricordare tutti insieme, ai mafiosi vaccari o signori, che la morte non cancella l’ardore di giustizia né la lotta contro abusi e prepotenza.

C’è una coscienza. Ciascuno ha una coscienza e un cuore, che viene prima delle verifiche della Procura, della Regione o dell’Ufficio tecnico.

Mi rivolgo, allora, al vescovo di Cosenza, Salvatore Nunnari, e poi ai gestori della casa di riposo. Io non sono un giudice, né di uomini né di anime. Chiedo loro di uscire pubblicamente, di collaborare perché si restituisca l’Abbazia florense alla comunità, non solo locale. Chiedo un atteggiamento costruttivo, perché questo è possibile; lontani livori, rancori e procedimenti di sorta.

Chiedo loro, ciascuno per il suo ruolo, di non sentirsi sotto accusa, ma di cogliere adesso la possibilità di partecipare al recupero dell’Abbazia di Gioacchino da Fiore. Sarebbe un risultato corale. La politica, di là da beghe e bandiere, ha già principiato.

* l’Infiltrato, Sabato 22 Settembre 2012 (cfr.: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=5531 )

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Commenti Articolo 749

Titolo articolo : 75+75=100,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: September/23/2012 - 09:31:41.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/9/2012 09.14
Titolo:LA PAROLA: UNA QUESTIONE DI VITA E DI MORTE . Dalla parola di Dio-Amore alla pa...
CARO GIOVANNI ....

QUANTO SIA DECISIVA E IMPORTANTE "LA PAROLA", E' QUANTO SIA IMPORTANTE E DECISIVO CONTRASTARE IL FURTO E LA MISTIFICAZIONE DI ESSA E' TUTTA LA STORIA DEL'UMANITA' CHE CE LO DICE.

APPRODARE DOPO MILLENNI A UNA CHIESA CHE INVECE DI PORTARE LA PAROLA DEL DIO DI GESU' ("DEUS CHARITAS EST": 1 Gv. 4.8) LA PAROLA DEL DIO DI BENEDETTO XVI ("DEU CARITAS EST", ROMA 2006 d. C) significa che siamo arrivati proprio al capolinea: si spaccia "Mammona" per "Amore"!!!

Per cogliere rapidamente la portata dell'evento, vale la pena leggersi questa "storiella" dell'Acca in fuga di GIANNI RODARI. Non c'è bisogno di alcun commento:


- L’Acca in fuga

- di Gianni Rodari

- C’era una volta un’Acca.

- Era una povera Acca da poco: valeva un’acca, e lo
- sapeva. Perciò non montava in superbia, restava
- al suo posto e sopportava con pazienza le beffe
- delle sue compagne.
- Esse le dicevano:

- E così, saresti anche tu una lettera dell’alfabeto?
- Con quella faccia?

- Lo sai o non lo sai che nessuno ti pronuncia?

- Lo sapeva, lo sapeva. Ma sapeva anche che all’estero ci
- sono paesi, e lingue, in cui l’acca ci fa la sua figura.

- " Voglio andare in Germania, - pensava l’Acca,
- quand’era- più triste del solito. - Mi hanno detto
- che lassù le Acca sono importantissime ".

- Un giorno la fecero proprio arrabbiare. E lei, senza
- dire né uno né due, mise le sue poche robe in un
- fagotto e si mise in viaggio con l’autostop.

- Apriti cielo! Quel che successe da un momento
- all’altro, a causa di quella fuga, non si può
- nemmeno descrivere.

- Le chiese, rimaste senz’acca, crollarono come sotto i
- bombardamenti. I chioschi, diventati di colpo troppo
- leggeri, volarono per aria seminando giornali, birre,
- aranciate e granatine in ghiaccio un po’ dappertutto.

- In compenso, dal cielo caddero giù i cherubini:
- levargli l’acca, era stato come levargli le ali.

- Le chiavi non aprivano più, e chi era rimasto
- fuori casa dovette rassegnarsi a dormire all’aperto.

- Le chitarre perdettero tutte le corde e suonavano
- meno delle casseruole.

- Non vi dico il Chianti, senz’acca, che sapore
- disgustoso. Del resto era impossibile berlo, perché
- i bicchieri, diventati " biccieri", schiattavano in
- mille pezzi.

- Mio zio stava piantando un chiodo nel muro, quando
- le Acca sparirono: il "ciodo" si squagliò sotto il
- martello peggio che se fosse stato di burro.

- La mattina dopo, dalle Alpi al Mar Jonio, non
- un solo gallo riuscì a fare chicchirichi’: facevano
- tutti ciccirici, e pareva che starnutissero.
- Si temette un’epidemia.

- Cominciò una gran caccia all’uomo, anzi, scusate,
- all’Acca. I posti di frontiera furono avvertiti di
- raddoppiare la vigilanza. L’Acca fu scoperta nelle
- vicinanze del Brennero, mentre tentava di entrare
- clandestinamente in Austria, perché non aveva
- passaporto. Ma dovettero pregarla in ginocchio: Resti
- con noi, non ci faccia questo torto! Senza di lei, non
- riusciremmo a pronunciare bene nemmeno il nome di
- Dante Alighieri. Guardi, qui c’è una petizione degli
- abitanti di Chiavari, che le offrono una villa al mare.
- E questa è una lettera del capo-stazione di
- Chiusi-Chianciano, che senza di lei
- diventerebbe il capo-stazione di Ciusi-Cianciano:
- sarebbe una degradazione

- L’Acca era di buon cuore, ve l’ho già detto. È rimasta,
- con gran sollievo del verbo chiacchierare e del pronome
- chicchessia. Ma bisogna trattarla con rispetto,
- altrimenti ci pianterà in asso un’altra volta.

- Per me che sono miope, sarebbe gravissimo: con
- gli "occiali" senz’acca non ci vedo da qui a lì.


Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/9/2012 09.31
Titolo:DIO E’ AMORE ("CHARITAS"), MA NON PER BENEDETTO XVI ...
P.S.:


DIO E’ AMORE ("CHARITAS"), MA NON PER IL CATTOLICESIMO-ROMANO! Una gerarchia senza Grazie (greco: Χάριτες - Charites) e un papa che scambia la Grazia ("Charis") di Dio ("Charitas") con il "caro-prezzo" (latino: !caritas" - da "carus", nel doppio senso di affetto e prezzo, valore), del Dio Mammona ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006).


Federico La Sala

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Commenti Articolo 750

Titolo articolo : UN CIELO OSCURO SOPRA TUTTA LA TERRA: LA FINANZA MODELLO AL QAEDA. Un’analisi di Furio Colombo - con note,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/22/2012 - 10:00:03.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/9/2012 19.17
Titolo:L'ITALIA E IL CASO FIAT. Quei ministri usciti da un libro di Calvino ...
Quei ministri usciti da un libro di Calvino

di Luciano Gallino (la Repubblica, 16.09.2012)

SENTITE le dichiarazioni di Marchionne, Passera ha detto che vuole «capirne le implicazioni». Dunque, per lui, un dirigente che ha promesso 20 miliardi di investimento, ne ha effettuato uno, e poi dichiara che degli altri 19 non se ne parla proprio, è stato poco chiaro.

Bisogna capire meglio cosa vuol dire. D’altra parte Passera ha assicurato all’ad che «non è pensabile che la politica si sostituisca alle (sue) scelte imprenditoriali e di investimento». Quanto alla ministra Fornero, ha fornito alcune date disponibili per incontrarlo. «Non ho il potere di convocare l’amministratore delegato di una grande azienda», ha fatto sapere. Però anche lei vuole «approfondire con Marchionne cosa ha in mente per i suoi piani di investimento per l’occupazione».

Dinanzi a una simile remissività dei ministri e dello stesso presidente del Consiglio, e alle difficoltà che denunciano nel comprendere l’ad della Fiat, c’è da chiedersi se hanno capito, loro, il nocciolo della questione: sono in gioco, entro pochi mesi, decine di migliaia di posti di lavoro. Se lo capissero, la telefonata da fare sarebbe di questo tipo: «Dottor Marchionne, il governo considera gravissime le sue dichiarazioni circa le produzioni Fiat in Italia. Pertanto la aspettiamo domattina alle 8 precise a palazzo Chigi. Dovrà spiegarci con dati e cifre solide come la sua società intende operare nel prossimo futuro in questo Paese. Il governo non tollererà informazioni ambigue né generiche espressioni di intenti».

A parte ministri che non capiscono e telefonate che non si faranno, Marchionne ha pure dei sostenitori. C’è la crisi, essi rammentano, che comprime le vendite di auto. I salari lordi, tasse e contributi inclusi, in Italia sono molto alti. La produttività dei nostri operai è scarsa. In realtà le cose non stanno così. D’accordo che la crisi ha ridotto le vendite di auto in Europa di oltre un quarto, rispetto ai 16,8 milioni di vetture del 2007. Ma ciò non spiega perché l’Italia, che ha nel gruppo Fiat l’unico produttore di autoveicoli, sia ormai soltanto il settimo produttore europeo, dopo essere stata a lungo il secondo o il terzo.

Nel 2011, quella che fu una grande potenza automobilistica ha prodotto meno di 0,8 milioni di autoveicoli (vetture più veicoli commerciali leggeri). La sola Polonia ha superato di parecchio tale cifra. Poi ci sono, a crescere, la Repubblica Ceca, con 1,2 milioni di unità; il Regno Unito (1,5 milioni); la Francia (2,3); la Spagna (2,4); infine la Germania, con 6,3 milioni in totale. Per questi Paesi sembra che la crisi sia un’altra cosa.

Del pari inconsistenti sono le altre affermazioni per cui in Italia non conviene produrre auto. Nello stesso settore, i salari lordi dei lavoratori dell’auto sono più alti in Francia, e più alti ancora lo sono nel Regno Unito e in Germania. Quanto alla produttività, basta accostare i dati in modo appropriato. Evitando - ad esempio - di comparare stabilimenti esteri dove si lavora sei giorni la settimana tutti i mesi, tipo quello polacco di Tichy, con Mirafiori, dove da anni si lavora qualche giorno al mese. Si scopre così che la produttività per ora effettivamente lavorata in Italia è analoga a quella di molti impianti stranieri.

In tale quadro di ministri simili al cavaliere di Calvino, inesistenti per quanto attiene alla questione Fiat (ma anche, duole dire, per altri casi recenti), e di commentatori sovente poco o male informati, spiccano le critiche di un imprenditore, Diego Della Valle, alle due massime cariche di Fiat, l’Ad Marchionne e il presidente Elkann. Ha detto, in soldoni, che la colpa di quello che sta accadendo alla società del Lingotto è tutta loro. Pare difficile dargli torto.

Se un’impresa si ritrova in basso nelle classifiche europee, dopo essere stata per decenni in prima fila, chiunque mastichi un poco di questioni industriali e manageriali non può fare a meno di pensare che il suo massimo dirigente, al governo di essa ormai dal lontano 2004, qualche responsabilità ce l’abbia. Siano queste da cercare nell’ambito delle competenze - Marchionne non è un uomo dell’industria, viene dalla finanza - oppure di un disegno volto a trasferire il peso produttivo dell’impresa verso altri lidi per i più diversi motivi.

Semmai si potrebbe obbiettare a Della Valle che al punto in cui siamo arrivati le critiche dovrebbero venir rivolte in maggior misura agli azionisti, in primo luogo alla famiglia che controlla finanziariamente la Fiat, più qualche altro grosso azionista che sta dalla sua parte, che non al dirigente di vertice. L’Ad in carica potrebbe essere congedato anche domani. Ma questo non cambierebbe di per sé la posizione dei maggiori azionisti, i quali ormai da lungo tempo mostrano, non con quello che dicono bensì con le scelte che compiono, di considerare l’industria dell’auto come un intralcio alla loro ricerca di maggiori rendimenti per i capitali di cui dispongono.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/9/2012 10.18
Titolo:LIBANO. La 'politica' di Benedetto XVI e il discorso 'sparito' del patriarca ......
Il discorso ‘sparito’ del patriarca

di Giovanni Panettiere (Quotidiano.net, 16 settembre 2012)

«Il riconoscimento dello Stato palestinese è il bene più prezioso che il mondo arabo possa ottenere in tutte le sue confessioni cristiane e musulmane». Quelle parole non avrebbe dovuto pronunciarle, almeno non davanti al papa, ma, alla fine, il patriarca greco cattolico melchita di Damasco,

Gregorio Laham III - al vertice di una comunità di oltre 1,3 milioni di fedeli -, ha rotto gli indugi. Accogliendo l’altro giorno Benedetto XVI nella basilica di San Paolo ad Harissa, in Libano, dove il Santo Padre ha firmato l’esortazione apostolica post sinodale sul Medio Oriente, il presule si è lanciato in un pieno e convinto sostegno alla causa palestinese, spronando il pontefice a dare il via libera allo Stato arabo.

Per il patriarca «il riconoscimento potrà garantire la realizzazione degli orientamenti espressi in questa esortazione apostolica post-sinodale per la quale abbiamo manifestato la nostra più viva gratitudine. Preparerebbe la strada verso una vera primavera araba, una vera democrazia e una vera rivoluzione capace di cambiare il volto del mondo arabo e dare la pace alla Terra Santa, al vicino Oriente e al mondo».

Non è la prima volta che Laham III si sbilancia sulla questione palestinese. Solo due anni fa, nel corso del sinodo sul Medio Oriente, il patriarca tradì la sua simpatia per Ramallah, senza però incontrare il favore della maggioranza dei padri sinodali. Nei giorni scorsi, invece, sul sito ufficiale della visita del papa in Libano (www.lbpapalvisit.com), era stato pubblicato in anteprima il testo del saluto del presule a Benedetto XVI. L’intervento conteneva anche un richiamo esplicito alle vicende della Terra santa. Ma il messaggio in rete c’è rimasto solo qualche giorno: alla vigilia dell’arrivo di Ratzinger è stato espunto dal web. Censura vaticana?

«Il testo è stato rimosso semplicemente perché questo genere di interventi si pubblicano dopo che sono stati pronunciati», si è affrettato a dire il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi. Appena in tempo, dal momento che fonti vaticane avevano già manifestato una certa irritazione per l’anteprima dell’intervento di Laham III. «È solo la posizione personale del patriarca», avevano precisato alla stampa. In effetti, la tesi del melchita appare chiaramente in disaccordo con l’orientamento della diplomazia d’Oltre Tevere, più propensa ad attendere un intervento delle Nazioni unite che ad avanzare la prima mossa sul terreno minato del riconoscimento di uno Stato palestinese.

Tolto il discorso dal web, Laham III ha tenuto il suo discorso davanti al pontefice. Liberamente, o quasi. Rispetto alla versione pubblicata on-line, il saluto pronunciato ad Harissa è stato, infatti, ripulito dei riferimenti più problematici: via il passaggio sul riconoscimento dello Stato palestinese come «atto coraggioso di equità, di giustizia e di verità», omesso il rimando al Vaticano che, con il disco verde a Ramallah, finirebbe «per incoraggiare gli altri Stati europei e non solo a riconoscere la sovranità dello Stato palestinese». A questa revisione del testo si aggiunge il caso della ripubblicazione sul sito ufficiale del viaggio papale: nonostante siano trascorsi due giorni dalla sua pronuncia, dell’intervento non c’è traccia. Molto probabilmente, una volta che il papa sarà rientrato a Roma, la pagina verrà aggiornata per dare al pubblico un quadro d’insieme della tre giorni in Medio Oriente. Al momento nulla si muove.

Senz’altro Ratzinger avrebbe preferito omettere nella sua visita in Libano qualsiasi riferimento alla politica, specie quella israelo-palestinese dato il rapporto, non sempre facile, tra il Vaticano e Tel Aviv. Solo qualche settimana fa Israele aveva protestato con la Santa sede per la nomina del nuovo nunzio apostolico, mentre resta sempre aperta la questione della beatificazione di Pio XII.

Benedetto XVI, come è suo stile, avrebbe voluto dare un taglio esclusivamente pastorale alla sua tre giorni in Medioriente. Tuttavia, di fronte alle violente manifestazioni nel mondo islamico di questi giorni, c’’è da chiedersi se il richiamo alla Palestina del patriarca Laham III non sia stato, non solo inevitabile, ma anche utile per allentare le tensioni tra Occidente e musulmani.

Giovanni Panettiere
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/9/2012 10.00
Titolo:Occorre una nuova Bretton Woods, questa volta nel segno di Keynes....
La deriva del capitalismo

di Giorgio Ruffolo e Stefano Sylos Labini (la Repubblica, 22.09.2012)

Le mille argomentazioni per spiegare la crisi in cui sono immersi i paesi occidentali da cinque anni a questa parte non ci appaiono molto convincenti e, come ha ricordato Vladimiro Giacché, riportano alla mente le giustificazioni di John Belushi nel film dei Blues Blothers.

Per convincere l’ex fidanzata abbandonata sull’altare a non ammazzarlo, Belushi dice: «Quel giorno finì la benzina. Si bucò un pneumatico. Non avevo i soldi per il taxi! Il mio smoking non era arrivato in tempo dalla tintoria! Era venuto a trovarmi da lontano un amico che non vedevo da anni! Qualcuno mi rubò la macchina! Ci fu un terremoto! Una tremenda inondazione! Un’invasione di cavallette!».

Alle mille spiegazioni della crisi, noi ne aggiungiamo un’altra: la liberazione del movimento dei capitali, che, all’inizio degli anni ’80, pose fine al grande compromesso di Bretton Woods fondato appunto sul divieto di circolazione dei capitali a cui faceva da contrappeso la libertà di circolazione delle merci.

Lo strappo effettuato dai due leader conservatori, Reagan negli Stati Uniti e Thatcher in Inghilterra, determinò un completo rovesciamento dei rapporti di forza sia tra capitale e lavoro, sia tra capitalismo e democrazia poiché creò una condizione di fortissimo vantaggio per le grandi imprese private nei confronti degli stati nazionali. Da quel momento la capacità di intervento dello Stato nell’economia andò incontro ad un drastico ridimensionamento, mentre i lavoratori cominciarono a subire i ricatti delle delocalizzazioni produttive. La liberazione dei capitali rappresentò dunque la mossa decisiva che influenzò l’evoluzione dell’economia mondiale e diede l’avvio alla fase del capitalismo finanziario.

A dire la verità, anche nell’opinione degli economisti classici la libertà dei movimenti di capitale non era stata sempre vista di buon occhio. Un grande pensatore come David Ricardo aveva ammonito sui pericoli inerenti alle loro libere scorribande. I capitali, aveva sostanzialmente osservato, non sono valigie trasportabili indifferentemente da un punto all’altro del mondo: sono elementi essenziali del contesto sociale il cui spostamento non può non determinare conseguenze rilevanti nella sorte della stessa coesione sociale. Per questi motivi sradicare e trasferire i capitali in qualsiasi parte del mondo senza il consenso della c

Ma ci sono anche altre conseguenze molto importanti, poiché si crea un mercato finanziario integrato che consente al capitale di tutto il mondo di entrare in collegamento e di dar luogo “all’internazionale dei capitalisti”, un’élite globale che concentra in sé un potere immenso. L’appello di Karl Marx, “proletari di tutto il mondo unitevi”, si realizza, ma al contrario. I mercati finanziari diventano un’istituzione strutturata e iniziano ad esprimersi come i governi. È ben noto, infatti, che a Wall Street si tengono riunioni periodiche dei capi delle grandi banche e delle società finanziarie che stabiliscono i tassi di interesse e, attraverso le decisioni di investimento o di disinvestimento, possono sfiduciare i governi che attuano politiche economiche non

Il mutamento del rapporto di forza tra il capitale e gli altri fattori di produzione da una parte e tra il capitalismo e il governo democratico dall’altra, rappresentano due fattor

Ma c’è anche un altro motivo, l’enorme concorrenza che si stabilisce dopo la liberazione dei movimenti di capitale tra i capitalismi nazionali e il mercato finanziario internazionale. Questa concorrenza acuisce e aumenta l’importanza del profitto nell’ambito della struttura economica. Nell’impresa i fattori legati al profitto riprendono una posizione dominante e con essi la distribuzione di dividendi agli azionisti e la ricerca continua dell’incremento delle quotazioniazionarie, indice supremo di efficienza e di forza. I finanzieri conquistano così un ruolo centrale nella gestione delle grandi unità produttive imponendo la loro visione del mondo rappresentata dal guadagno immediato da ottenere con ogni mezzo.

Questa è la situazione che dobbiamo rovesciare se vogliamo realmente uscire dalla crisi. Le recenti decisioni della Banca Centrale Europea sugli interventi “antispread” rappresentano un primo passo importante per ricostruire la sovranità monetaria dell’Unione Europea e per ridimensionare l’influenza della speculazione finanziaria sulle politiche economiche dei paesi in difficoltà. Ormai è evidente a tutti che i mercati finanziari rappresentano un potentissimo amplificatore delle fisiologiche fluttuazioni cicliche poiché innescano dei meccanismi cumulativi che si autoalimentano. Quando c’è crescita i mercati gettano benzina sul fuoco e amplificano l’espansione, ma quando c’è crisi i mercati spingono l’economia verso la depressione. Per questo è necessario fare ben di più: la politica deve tornare a fissare le regole fondamentali dei movimenti di capitale a livello mondiale. Occorre una nuova Bretton Woods, questa volta nel segno di Keynes. Non è una riforma. È una rivoluzione.

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Titolo articolo : "FABBRICA ITALIA" E IL "CASO MARCHIONNE".IL PRODOTTO DI UN'APOCALISSE CULTURALE. Uomini e no: un'analisi di Marco Revelli - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/21/2012 - 09:54:02.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/9/2012 09.40
Titolo:Quei ministri usciti da un libro di Calvino
Quei ministri usciti da un libro di Calvino

di Luciano Gallino (la Repubblica, 16.09.2012)

SENTITE le dichiarazioni di Marchionne, Passera ha detto che vuole «capirne le implicazioni». Dunque, per lui, un dirigente che ha promesso 20 miliardi di investimento, ne ha effettuato uno, e poi dichiara che degli altri 19 non se ne parla proprio, è stato poco chiaro.

Bisogna capire meglio cosa vuol dire. D’altra parte Passera ha assicurato all’ad che «non è pensabile che la politica si sostituisca alle (sue) scelte imprenditoriali e di investimento». Quanto alla ministra Fornero, ha fornito alcune date disponibili per incontrarlo. «Non ho il potere di convocare l’amministratore delegato di una grande azienda», ha fatto sapere. Però anche lei vuole «approfondire con Marchionne cosa ha in mente per i suoi piani di investimento per l’occupazione».

Dinanzi a una simile remissività dei ministri e dello stesso presidente del Consiglio, e alle difficoltà che denunciano nel comprendere l’ad della Fiat, c’è da chiedersi se hanno capito, loro, il nocciolo della questione: sono in gioco, entro pochi mesi, decine di migliaia di posti di lavoro. Se lo capissero, la telefonata da fare sarebbe di questo tipo: «Dottor Marchionne, il governo considera gravissime le sue dichiarazioni circa le produzioni Fiat in Italia. Pertanto la aspettiamo domattina alle 8 precise a palazzo Chigi. Dovrà spiegarci con dati e cifre solide come la sua società intende operare nel prossimo futuro in questo Paese. Il governo non tollererà informazioni ambigue né generiche espressioni di intenti».

A parte ministri che non capiscono e telefonate che non si faranno, Marchionne ha pure dei sostenitori. C’è la crisi, essi rammentano, che comprime le vendite di auto. I salari lordi, tasse e contributi inclusi, in Italia sono molto alti. La produttività dei nostri operai è scarsa. In realtà le cose non stanno così. D’accordo che la crisi ha ridotto le vendite di auto in Europa di oltre un quarto, rispetto ai 16,8 milioni di vetture del 2007. Ma ciò non spiega perché l’Italia, che ha nel gruppo Fiat l’unico produttore di autoveicoli, sia ormai soltanto il settimo produttore europeo, dopo essere stata a lungo il secondo o il terzo.

Nel 2011, quella che fu una grande potenza automobilistica ha prodotto meno di 0,8 milioni di autoveicoli (vetture più veicoli commerciali leggeri). La sola Polonia ha superato di parecchio tale cifra. Poi ci sono, a crescere, la Repubblica Ceca, con 1,2 milioni di unità; il Regno Unito (1,5 milioni); la Francia (2,3); la Spagna (2,4); infine la Germania, con 6,3 milioni in totale. Per questi Paesi sembra che la crisi sia un’altra cosa.

Del pari inconsistenti sono le altre affermazioni per cui in Italia non conviene produrre auto. Nello stesso settore, i salari lordi dei lavoratori dell’auto sono più alti in Francia, e più alti ancora lo sono nel Regno Unito e in Germania. Quanto alla produttività, basta accostare i dati in modo appropriato. Evitando - ad esempio - di comparare stabilimenti esteri dove si lavora sei giorni la settimana tutti i mesi, tipo quello polacco di Tichy, con Mirafiori, dove da anni si lavora qualche giorno al mese. Si scopre così che la produttività per ora effettivamente lavorata in Italia è analoga a quella di molti impianti stranieri.

In tale quadro di ministri simili al cavaliere di Calvino, inesistenti per quanto attiene alla questione Fiat (ma anche, duole dire, per altri casi recenti), e di commentatori sovente poco o male informati, spiccano le critiche di un imprenditore, Diego Della Valle, alle due massime cariche di Fiat, l’Ad Marchionne e il presidente Elkann. Ha detto, in soldoni, che la colpa di quello che sta accadendo alla società del Lingotto è tutta loro. Pare difficile dargli torto.

Se un’impresa si ritrova in basso nelle classifiche europee, dopo essere stata per decenni in prima fila, chiunque mastichi un poco di questioni industriali e manageriali non può fare a meno di pensare che il suo massimo dirigente, al governo di essa ormai dal lontano 2004, qualche responsabilità ce l’abbia. Siano queste da cercare nell’ambito delle competenze - Marchionne non è un uomo dell’industria, viene dalla finanza - oppure di un disegno volto a trasferire il peso produttivo dell’impresa verso altri lidi per i più diversi motivi.

Semmai si potrebbe obbiettare a Della Valle che al punto in cui siamo arrivati le critiche dovrebbero venir rivolte in maggior misura agli azionisti, in primo luogo alla famiglia che controlla finanziariamente la Fiat, più qualche altro grosso azionista che sta dalla sua parte, che non al dirigente di vertice. L’Ad in carica potrebbe essere congedato anche domani. Ma questo non cambierebbe di per sé la posizione dei maggiori azionisti, i quali ormai da lungo tempo mostrano, non con quello che dicono bensì con le scelte che compiono, di considerare l’industria dell’auto come un intralcio alla loro ricerca di maggiori rendimenti per i capitali di cui dispongono.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/9/2012 09.54
Titolo:CHI DA' I VOTI AI "PROFESSORI"?! L'Agenzia di valutazione ...
Università, chi dà i voti ai prof?

di Angelo d’Orsi (il Fatto, 19.09.2012)

Uno spettro si aggira per l’università italiana: si chiama “Terza Mediana”. Che un giorno emetterà i suoi vagiti (o strepiti inconsulti), qualcuno ci scommette, altri pensano il contrario. Siamo nelle viscere profonde della “riforma” Gelmini-Profumo. Ma il mondo accademico, non contento delle bastonate ricevute da una campagna che lo ha dipinto come dedito alla corruzione, al fannullonismo (ve lo ricordate il Brunetta fantuttone?) se non addirittura alla crapula, si divide, con gli uni pronti ad afferrare l’osso che il collega Profumo getta (a taluni) e a condannare ai margini del campo tutti gli altri. In generale, si sa, è il comparto scientifico (le scienze pretese “esatte”), a fare la parte del leone; agli umanisti restano le briciole. La “riforma” ha partorito il mostro, l’ANVUR, l’Agenzia della Valutazione, una entità che sembra perfetta per incarnare gli “arcana imperii” evocati da Tacito.

Chi decide, chi sceglie, in nome di quale autorità morale e intellettuale? Non si sa. Un’aura di segretezza avvolge il meccanismo della “valutazione”, che, proprio grazie alla campagna mediatica di cui sopra - sostenuta anche da docenti come Giavazzi, Alesina, Perotti, sulla base di dati diciamo “discutibili” - è stata accolta dalla gran parte della pubblica opinione come il toccasana per dare una “regolata” a questa masnada di professori ribaldi.

ORA FINALMENTE saranno valutati in modo oggettivo, e farà carriera chi lo merita. Ecco, il grande totem del Merito, associato alla suprema divinità del Mercato. Mentre dunque l’Università riapre dopo la pausa estiva, tra mille difficoltà, si trova ad affrontare questi nuovi mostri. E accanto alle “mediane”, si parla di “semafori”, quando, per rendere ridicolo il tutto, non ci si butta a capofitto nell’inglese, convinti di rendere più “moderno” il passaggio. Verso dove? Verso il nulla rivestito di smalto, per richiamare un bell’aforisma di Gottfried Benn.

Dunque, un’oligarchia che agisce in nome della totalità del corpo docente, ma non per suo conto, sta decidendo come valutare i “prodotti della ricerca”, ossia come consentire la progressione di carriera dei docenti, come far accedere i giovani che premono, se, come capita sempre più sovente, non hanno mollato, emigrando, oppure hanno cambiato prospettiva di vita e di lavoro. Tutto questo seguendo il mito dell’internazionalizzazione, che è un semplice piegarsi al modello statunitense, quasi che le università le avessero inventate aldilà dell’Atlantico. Mai nella storia italiana era accaduto che un governo facesse una intromissione così rozza e brutale, seppur ammantata di smalto (appunto), nei criteri di valutazione universitaria. Come si fa a non rimpiangere Giovanni Gentile?

Dopo che le discipline “dure” si sono buttate a capofitto nei famigerati “criteri bibliometrici” (ossia più sei citato più vali, il che equivale a un incentivo agli accordi tra colleghi: tu citi me e io cito te, e diventiamo importanti!), le materie umanistiche hanno vagamente resistito, ora rischiano di piegarsi a una logica che nulla ha a che fare con la scienza e con la cultura.

IL DECRETO sull’abilitazione nazionale prevede tre “mediane”: monografie; articoli su rivista scientifica e contributi in volume; articoli su rivista scientifica “di fascia A”: per l’ammissibilità alla abilitazione al candidato basta il possesso di una sola di queste mediane. Essere in fascia A, dunque, significa che puoi non aver pubblicato mai un libro, o null’altro che un articolo che, in quanto collocato nella “prima divisione”, a prescindere dal suo valore, e al limite senza neppure essere valutato, ti accredita come studioso meritevole.

Insomma, qualcuno decide, in base a criteri imperscrutabili, quali siano le riviste elette all’empireo segnato dalla lettera A, ossia la mediana n. 3 sancisce una disuguaglianza tra i concorrenti, talmente clamorosa che Valerio Onida, presidente emerito della Suprema Corte, ha steso un ricorso, a nome dei costituzionalisti italiani (una categoria che di legge qualcosa capisce), contro un’aberrazione giuridica, oltre che scientifica. Purtroppo alcune società accademiche, in base a calcoli di potere e di conventicola, hanno steso un patetico appello al “mantenimento della terza mediana”.

Tra esse, ahinoi, c’è la SIS-SCO, la società dei contemporaneisti, che da anni si segnala per il suo discutibile “modernismo”; del resto l’appello è stato steso dal suo ex presidente. Un socio, Lucio D’Angelo (Università di Teramo) ha osato gridare: “il re è nudo”, facendo notare che se passasse la terza mediana “si arriverebbe all’aberrante risultato che un articolo di 15 pagine pubblicato in una rivista della fascia A verrebbe equiparato automaticamente, senza essere letto, a dieci saggi di 30 o 40 pagine ciascuno apparsi in altre riviste o in volumi collettanei oppure a due monografie, anche se di 400 pagine ognuna”.

COME SPIEGARE una pretesa del genere, se non come una furbata dei boss delle discipline di far passare un loro protetto di scarso valore?

I criteri di valutazione ci devono essere, ma non possono essere inventati da esperti di nomina politica, e con valore retroattivo; devono essere equi e sensati, condivisi dalla comunità scientifica, e non solo da alcune lobby, magari corrive alle centrali del potere. E se quella della terza mediana (ma in generale della “riforma”) è una bandiera di progresso, io mi dichiaro francamente conservatore.

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Titolo articolo : LA FRANCIA E' SOTTO IL PATRONATO DELLA VERGINE MARIA, MA I VESCOVI FRANCESI (E NON SOLO) CONFONDONO ANCORA "MAMMONA" CON MARIA, "LA PIENA DI GRAZIA"! La Chiesa resta troppo rigida rispetto al matrimonio gay. Da "Le monde", l'editoriale e un articolo di Laure Beaulieu,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/18/2012 - 17:29:36.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/8/2012 12.16
Titolo:Preghiera dei fedeli dell'arcivescovo di Parigi ....
Proposta nazionale per una preghiera dei fedeli

di mons. André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi

in “www.eglisecatholique.fr” del 30 luglio 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)


Fratelli e Sorelle,

NELLA FESTA DELL'ASSUNZIONE 2012

in questo giorno in cui celebriamo l'Assunzione della Vergine Maria, sotto il cui patronato è stata posta la Francia, presentiamo a Dio, per intercessione di Nostra Signora, le nostre preghiere fiduciose per il nostro paese:

1. In questi tempi di crisi economica, molti dei nostri concittadini sono vittime di restrizioni diverse e vedono il futuro con preoccupazione; preghiamo per le donne e gli uomini che hanno dei poteri di decisione in questo ambito e chiediamo a Dio che ci renda più generosi ancora nella solidarietà con i nostri simili.

2. Per le donne e gli uomini che sono stati recentemente eletti per legiferare e governare; che il loro senso del bene comune della società sia più forte delle richieste particolari e che abbiano la forza di seguire le indicazioni della loro coscienza.

3. Per le famiglie; che la loro attesa legittima di un sostegno da parte della società non sia delusa; che i loro membri si sostengano con fedeltà e tenerezza in tutto il corso della loro esistenza,
particolarmente nei momenti dolorosi. Che l'impegno degli sposi l'uno verso l'altro e verso i loro figli siano un segno della fedeltà dell'amore.

4. Per i bambini e i giovani; che tutti aiutiamo ciascuno a scoprire il proprio cammino per progredire verso la felicità; che cessino di essere oggetto dei desideri e dei conflitti degli adulti per
godere pienamente dell'amore di un padre e di una madre.

Signore nostro Dio, ti affidiamo il futuro del nostro paese. Per intercessione di Nostra Signora, concedici il coraggio di fare le scelte necessarie ad una migliore qualità della vita per tutti e per la piena realizzazione dei nostri giovani grazie a famiglie forti e fedeli. Per Gesù Cristo, Nostro Signore.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/8/2012 12.42
Titolo:La Chiesa, il Cardinale Martini e i gay
La Chiesa, Martini e i gay

di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 24 marzo 2012)

Nell’arco di neanche un mese tre colpi di maglio sono calati sulla pretesa della Chiesa di bloccare in Italia una legge sulle coppie di fatto. Prima c’è stato il clamoroso funerale di Lucio Dalla a Bologna: celebrato in cattedrale con tutti i crismi, permettendo al compagno omosessuale del defunto omosessuale di commemorarlo a pochi passi dall’altare.

Poi, il 15 marzo, è venuta la sentenza della Corte di Cassazione, che pur respingendo la trascrizione in Italia di un matrimonio omosessuale celebrato all’estero, ha sancito per la coppia gay, in presenza di specifiche situazioni, il diritto a un “trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata”.

ORA SI FA sentire direttamente dall’interno della Chiesa il cardinale Martini, affermando che non ha senso demonizzare le coppie omosex e impedire loro di stringere un patto. Con la pacatezza che lo contraddistingue l’ex arcivescovo di Milano sfida, dunque, quella “dottrina Ratzinger” che consisterebbe nell’obbligo dei politici cattolici di uniformarsi ai “principi non negoziabili” proclamati dalla cattedra vaticana, impedendo il varo di una legislazione sulle unioni civili e meno che mai sulle unioni gay.

Da molti anni Carlo Maria Martini esercita la sua notevole libertà di giudizio, esortando con mitezza la Chiesa a non scambiare il nocciolo della fede con la fossilizzazione di posizioni non sostenibili per il sentire contemporaneo. Vale anche per la posizione da adottare nei confronti dei rapporti omosessuali, dove l’istituzione ecclesiastica è ferma da anni in mezzo al guado. Perché quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede Joseph Ratzinger aveva emanato documenti per esortare al rispetto delle persone omosessuali e ripudiare ogni tipo di discriminazione, irrisione e persecuzione. Ma al tempo stesso aveva ribadito che la pratica omosessuale rappresenta una grave offesa all’ordine morale: di qui la condanna senza appello delle relazioni uomo-uomo oppure donna-donna. Con la conseguenza di sabotare in Italia i tentativi dell’ultimo governo Prodi di approvare una legge sulle coppie di fatto.

Nel libro Credere e conoscere (ed. Einaudi), dove dialoga con il chirurgo cattolico Ignazio Marino esponente del Pd, il cardinale Martini afferma invece che vi sono casi in cui “la buona fede, le esperienze vissute, le abitudini contratte, l’inconscio e probabilmente anche una certa inclinazione nativa possono spingere a scegliere per sé un tipo di vita con un partner dello stesso sesso”. Nel mondo attuale, sostiene il porporato, questo comportamento non può venire “né demonizzato né ostracizzato”. E perciò Martini si dichiara “pronto ad ammettere il valore di un’amicizia duratura e fedele tra due persone dello stesso sesso”.

L’EX ARCIVESCOVO di Milano, peraltro, sottolinea il significato profondo del fatto che Dio ha creato l’uomo e la donna e quindi il valore primario del matrimonio eterosessuale e aggiunge anche di non ritenere un “modello” l’unione di coppia dello stesso sesso. E tuttavia, attento ai bisogni delle persone nella loro umanità, il cardinale afferma che se due partner dello stesso sesso “ambiscono a firmare un patto per dare una certa stabilità alla loro coppia, perché vogliamo assolutamente che non sia?”. Le motivazioni del matrimonio tradizionale, spiega, sono talmente forti che non hanno bisogno di essere puntellate con mezzi straordinari.

D’altronde molti nella Chiesa, vescovi e parroci, la pensano come lui. Anche se non parlano. Nel 2008 la rivista dei gesuiti milanesi Aggiornamenti sociali pubblicò uno studio per dire che - ferma restando la dottrina - dal punto di vista del bene sociale era positivo dare la possibilità alle coppie gay di avere una relazione stabile regolamentata dal diritto. E quindi era giusto legiferare in materia.I VERTICI ecclesiastici, sulla questione, chiudono occhi e orecchie.

Eppure è un segnale che alla televisione, intervenendo a Otto e mezzo, il leader cattolico Pier Ferdinando Casini si sia detto pubblicamente d’accordo con la sentenza della Cassazione, rimarcando che le “coppie omosessuali hanno diritto alla loro affettività e a essere tutelati nei loro diritti”. Casini ha fatto un esempio concreto: “Se convivo da trent’anni con una persona, in tema di asse ereditario bisogna essere sensibile a quella persona che ha convissuto con me”. È uno dei motivi per cui una legge è necessaria. Ed è bene che in parlamento si torni a parlare di alcune proposte di legge sin qui congelate.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/8/2012 12.55
Titolo:LETTERA APERTA DI PRETI OMOSESSUALI CATTOLICI
“lettera aperta” scritta da un gruppo di sacerdoti e religiosi omosessuali.

da ADISTA [2005] *

Il documento seguente è stato diffuso da Adista che scrive:

NON CI NEGATE DI ESISTERE. LETTERA APERTA DI PRETI OMOSESSUALI CATTOLICI

Non abbiamo nulla da nascondere, e voi? La domanda sale dalla lettera aperta che un gruppo di omosessuali preti sottopone alla comunità cristiana e alla gerarchia cattolica che con la recente Istruzione della Congregazione per l’Educazione Cattolica li vorrebbe far scomparire dalla ‘presentabilità’ ecclesiastica. Non sono nostri gli istinti irrefrenabili nascosti dentro una castità coatta, non è nostra la vostra pedofilia, non è nostro il vostro essere ossessionati dal sesso, non siamo noi ad identificarci con una tendenza sessuale. Noi ci riteniamo e vogliamo essere persone, solo persone. Non vogliono avere nulla da nascondere i preti omosessuali che hanno consegnato ad Adista in esclusiva la lettera aperta. E proprio per questo, questa Chiesa li costringe a nascondersi, a celare il loro volto: costretti a chiedere la garanzia dell’anonimato, pur avendo il coraggio di firmarsi a viso aperto nella redazione di Adista. A firmare la lettera sono 39 preti: 26 diocesani e 13 religiosi, provenienti da tutte le regioni d’Italia (complessivamente 18 diocesi e 6 Istituti religiosi).

Il documento è rivolto a tutti i credenti, e al Cardinale Zenon Grocholewsky, Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, autore dell’”Istruzione”che esclude le persone omosessuali dai seminari. Questo il testo della lettera:




LETTERA APERTA

Carissimi fratelli e carissime sorelle in Cristo,

la recente “Istruzione” della Congregazione dell’educazione sulla esclusione delle persone con tendenza omosessuale al seminario e al sacerdozio ci spinge a presentarvi alcune nostre riflessioni al riguardo.

Siamo dei sacerdoti cattolici con tendenza omosessuale, diocesani e religiosi, e il fatto di essere tali non ci ha impedito di essere buoni preti.

Alcuni di noi hanno speso la loro vita in missione, altri sono parroci e pastori delle anime, amati stimati dalla loro gente, altri ancora vivono il loro sacerdozio nell’insegnamento con molta dedizione e professionalità.

La nostra tendenza omosessuale, come il documento farebbe credere, non è stato un impedimento a far si che la vita del ministro sacro sia animata dal dono di tutta la sua persona alla Chiesa e da un’autentica carità pastorale.

Carissimi fratelli e carissime sorelle in Cristo, la nostra omosessualità non ci ha mai messo in una situazione tale da ostacolare gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne come afferma il documento al paragrafo 2!

Come uomini e sacerdoti ci sentiamo gravemente feriti da questa affermazione assolutamente gratuita!

Non abbiamo problemi maggiori degli eterosessuali a vivere la Castità perché omosessualità non è sinonimo di incontinenza, né di istinti irrefrenabili: non siamo malati di sesso e la tendenza omosessuale non ha intaccato la nostra salute psichica, né le nostre doti morali e umane.

Il documento definisce determinante per il candidato il fatto che eventuali tendenze omosessuali transitorie siano chiarite e superate da tre anni prima dell’ordinazione diaconale.

Vorremmo farvi notare che la maggior parte dei preti hanno vissuto il periodo del seminario come un momento molto sereno dal punto di vista sessuale.

Confrontandoci tra di noi sacerdoti in varie occasioni ci siamo resi conto che i turbamenti, per gli eterosessuali come per gli omosessuali sono venuti dopo, causati non dalla tendenza sessuale, ma dalla solitudine, dalla mancanza di amicizia, dal sentirsi poco amati, e, qualche volta, abbandonati dai superiori o dalle loro comunità.

Inoltre, per quanto ci riguarda moltissimi tra noi hanno preso coscienza della loro omosessualità solo dopo l’ordinazione.

Si ha la sensazione che questo documento nasca come reazione ai casi di pedofilia recentemente manifestati soprattutto nella chiesa americana e brasiliana.

La tendenza omosessuale non è assolutamente sinonimo di pedofilia e soltanto l’idea di essere talvolta scambiati per pedofili diventa per noi insopportabile!

Si ha pure un’altra impressione: che il mondo eterosessuale pensi agli omosessuali come necessariamente inseriti in una cultura gaia, esibizionista, pungente, fuori degli

schemi, una filosofia di vita che spesso appare agli occhi di molti come contraria ad ogni regola morale, in cui tutto è permesso.

Certe manifestazioni del mondo gay così anticonformiste nascono come rivalsa da anni di ghetto e di persecuzione in cui è stato imprigionato il mondo omosessuale, ma sappiate che non tutto il mondo gay condivide tali manifestazioni.

In ogni caso vorremmo assicurarvi che nessun di noi ha mai assunto atteggiamenti stravaganti né accetterebbe un permissivismo edonistico in cui non esistono leggi morali.

Nel documento sembrerebbe che il problema maggior per poter essere buoni preti sia la tendenza sessuale, per poi sorvolare su certi stili di vita che pur ineccepibili dal punto di vista sessuale creano il vero scandalo tra i fedeli: ci riferiamo al lusso, all’attaccamento al denaro, alle egemonie di potere, alla lontananza dai problemi della gente.

Carissimi fratelli e carissime sorelle in Cristo, noi consideriamo la nostra omosessualità come una ricchezza, perché ci aiuta a condividere l’emarginazione e la sofferenza di tanti fratelli e sorelle; per parafrasare San Paolo, possiamo farci tutto a tutti, deboli con i deboli, emarginati con gli emarginati, omosessuali con i gay.

L’esperienza mostra che la nostra condizione omosessuale, se vissuta alla luce del Vangelo, sotto l’azione dello Spirito ci mette in condizione di sostenere e appoggiare nel loro cammino di fede i fratelli e le sorelle con tendenze omosessuali, attuando quella pastorale che la Chiesa riconosce come necessaria e desiderabile.

Quella Chiesa che ha ricevuto il ministero della riconciliazione ha bisogno di riconciliarsi con il mondo gay, di cui fanno parte molti credenti e moltissimi altri figli e figlie di Dio: uomini e donne di buona volontà che hanno il diritto di trovare in essa il tetto della loro anima.

Carissimi fratelli e carissime sorelle in Cristo, come tutte le persone oneste non possiamo negare la nostra fragilità, condizione della natura umana : portiamo il dono di Dio in vasi di creta, ma la nostra situazione non è un ostacolo ad essere pastori secondo il cuore di Dio.

Ora, dopo la pubblicazione del citato documento, proviamo maggiore disagio, come se la nostra vocazione non fosse autentica!

Ci sentiamo figli abbandonati e non amati da quella Chiesa alla quale abbiamo promesso e dato fedeltà e amore!

Ci sentiamo fratelli minori in un presbiterio in cui, ora, ci viene fatto credere essere entrati quasi clandestinamente!

___

*

www.ildialogo.org/omoses, 15.12.2005
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/8/2012 10.40
Titolo:CHIESA FRANCESE. Notre-Dame lancia la crociata anti-gay
- Parigi “Una sola famiglia”
- Notre-Dame lancia la crociata anti-gay

di Anais Ginori (la Repubblica, 17 agosto 2012)

Preghiere blasfeme e video omofobi. È un piccolo assaggio di quella che sarà la battaglia dell’autunno francese. Dopo la messa a Notre-Dame contro i matrimoni omosessuali, si è scatenato in rete un gay pride improvvisato, che ha alimentato altri proclami a tinte omofobe. Tutto è cominciato a Ferragosto quando André Vingt-Trois, il cardinale di Parigi e presidente della conferenza episcopale, ha dedicato la preghiera dell’Ascensione alla difesa della “famiglia tradizionale”.

Un riferimento non casuale. Secondo il cardinale di Parigi è il primo atto di «una mobilitazione spirituale in difesa degli interessi cristiani». Dopo l’estate infatti il governo dovrebbe cominciare a discutere la legge che autorizzerà il matrimonio gay e l’adozione da parte di coppie omosessuali. È uno dei punti del programma con il quale François Hollande si è fatto eleggere presidente nel maggio scorso.

Com’era prevedibile, la Chiesa francese ha incominciato a esprimere il proprio disappunto per quella proposta. Ma il normale conflitto di posizioni, solitamente pacato, si è trasformato negli ultimi giorni in una battaglia di simboli e parole. Il presidente della conferenza episcopale ha infatti voluto invitare i francesi a pregare affinché i bambini «possano godere appieno dell’amore di un padre e di una madre».

In vista della Festa dell’Ascensione, il testo è stato distribuito a tutte le diocesi francesi qualche giorno prima. I toni e l’occasione sono stati definiti da alcuni osservatori “senza precedenti” e rappresentano comunque una rottura rispetto alle relazioni che si erano instaurate con il precedente presidente. È rimasto famoso il discorso di Nicolas Sarkozy sulla “laicità positiva” pronunciato nella basilica di San Giovanni in Laterano nel dicembre 2008.

Si riaccende uno scontro tra politica e religione che si credeva insomma archiviato. Non tutte le parrocchie hanno seguito la direttiva di Vingt-Trois, allievo spirituale di Jean-Marie Lustiger, storico cardinale di Parigi. Nella chiesa di Saint-Merri, ad esempio, il parroco non ha sfiorato il tema della famiglia e ha puntato invece su crisi e nuova povertà. La parrocchia del quartiere Marais ha una tradizione di apertura e tolleranza. Organizza periodicamente incontri con l’associazione omosessuale David e Jonathan che ha definito «pericolosa » l’iniziativa di Vingt-Trois perché «incoraggia i timori dei parrocchiani e conforterà certi cattolici nella loro omofobia».

L’associazione ha presentato preghiere alternative per incitare i preti “coraggiosi” a leggerle. Altri gruppi hanno invece confezionato parodie discutibili delle parole di Vingt-Trois. «Preghiamo affinché, preti e suore possano dimenticarsi di noi» recita un video del gruppo Act-Up, considerato da alcuni troppo irriverente. È vero però che, all’altro estremo, circolano immagini e proclami contro i gay, altrettanto sgradevoli, firmati dai cattolici più integralisti. L’associazione Civitas, che in passato ha organizzato la contestazione allo spettacolo di Romeo Castellucci, ha promesso di intensificare le azioni per combattere «con ogni mezzo» il progetto di legge socialista.

In un’intervista al Figaro, il cardinale di Lione Philippe Barbarin ha definito il matrimonio gay «uno shock di civiltà». La legge sui matrimoni gay dovrebbe essere presentata dal governo dopo l’estate e discussa dal parlamento entro la primavera del 2013. Secondo un sondaggio, 65% dei francesi sono favorevoli, con un aumento di due punti rispetto all’anno scorso.

Al di là delle polemiche, Hollande sa di poter contare su una solida maggioranza per far approvare la normativa. Anche la destra ha iniziato a dividersi. Alcuni ex membri del precedente governo, come Chantal Jouanno, Nadine Morano, Roselyne Bachelot, sono d’accordo con l’idea di dare pari diritti alle coppie omosessuali. Nel paese che ha inventato i Pacs, le unioni civili, nell’ormai lontano 1999, si apre insomma un nuovo fronte.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/8/2012 11.26
Titolo:BAGNASCO E I VESCOVI ITALIANI FANNO ECO AI VESCOVI FRANCESI ...
PER LA CHIESA CATTOLICA, È L’ORA DI UN PROFONDO ESAME DI COSCIENZA!!!

C’E’ "SACRA FAMIGLIA" E "SACRA FAMIGLIA"!!!

QUELLA DI "MAMMONA" e di "mammasantissima" (del "Deus caritas" di Benedetto XVI) E QUELLA DI MARIA, GIUSEPPE E GESU' ("Deus charitas est": 1 Gv. 4.8). "Fate due mucchi" (don Zeno Saltini) e vedete la differenza...


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«La famiglia, valore che fonda una società coesa»

di Adriano Torti (Avvenire, 17 agosto 2012)

La famiglia basata sull’unione di un uomo e una donna è «la cellula fondativa della società e garantisce la vita e l’educazione». L’arcivescovo di Genova cardinale Angelo Bagnasco ha fatto eco all’appello del cardinale André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi, che in occasione della solennità dell’Assunta ha lanciato insieme all’episcopato d’oltralpe la proposta alle parrocchie di una grande preghiera per la Francia che recava, tra le altre intenzioni, anche la difesa del modello naturale di famiglia. Intervenuto a margine della celebrazione per i secondi vespri dell’Assunzione di Maria, il presidente della Cei ha spiegato che «i vescovi francesi hanno pensato bene di richiamare l’attenzione della comunità cristiana, ma anche della comunità civile, affinché i valori fondamentali e fondanti della convivenza di una società solidale e coesa, come la famiglia, non vengano oscurati».

Una posizione condivisa anche dall’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, che nell’omelia della Messa celebrata in Duomo per la solennità dell’Assunzione ha ricordato che «il compito affidato ai cristiani è quello di difendere l’identità dell’uomo nella dignità e inviolabilità della vita, nella sua prima relazione sociale nella famiglia, nelle libertà originarie culturali, educative, religiose».

Sull’intervento della Chiesa francese alcuni media transalpini hanno scatenato una rovente polemica, accusando i vescovi di voler mobilitare i cattolici contro il progetto per legalizzare entro l’anno le unioni omosessuali, voluto dal neo-presidente socialista François Hollande. Monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, ha espresso solidarietà alla Conferenza episcopale francese, che ha esortato a pregare perché i bambini crescano con un padre una madre.

«Ha ragione il cardinale Barbarin nel dire che parlare di matrimonio gay vuol dire ’uno choc di civiltà’» (così si era espresso martedì l’arcivescovo di Lione in un’intervista a «Le Figaro»). «Nessuno vuol negare i diritti individuali - ha aggiunto Paglia, intervistato ieri dalla Radio Vaticana
- ma il matrimonio è un’altra cosa, e la famiglia nasce dal matrimonio. Purtroppo si sta rafforzando sempre più la convinzione che la famiglia sia un peso e non una risorsa. Ed è questa una battaglia enorme e centrale che dobbiamo fare tutti». Com’è stato notato in Francia, è sufficiente leggere il testo della preghiera proposta dai vescovi (di cui ha dato conto «Avvenire» mercoledì) per rendersi conto che non si è trattato di una manifestazione ’politica’ ma di un appello alla responsabilità e alle coscienze.

Il cardinale Bagnasco ha ribadito poi che i valori ricordati dall’arcivescovo di Parigi sono gli stessi che valgono per l’Italia, «perché quando un valore è universale vale per ogni situazione».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/8/2012 09.11
Titolo:NON ABBIATE PAURA... ("Le Monde")
“Non abbiate paura” dell’omosessualità

di Jean-Pierre Mignard*

in “Le Monde” del 22 agosto 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Difendere la famiglia e invitare a pregare per questo in un paese con una buona progressione demografica sottintende il fatto che essa sia minacciata. Il matrimonio di coppie gay è davvero tale da sconvolgere la famiglia e il diritto dei bambini?

La Chiesa ha il diritto di intromettersi in questo dibattito legislativo. Si tratta di una libertà di espressione indiscutibile che non può essere considerata in nessun modo un attacco alla laicità. La sua opinione è tanto più utile in quanto il matrimonio figura nella lista dei suoi sacramenti. Il cardinale arcivescovo, in qualità di presidente della Conferenza episcopale, può far leggere una preghiera che esprime un minimo di riserva sul matrimonio gay, ma quale opinione riflette, al di là di quella della gerarchia?

Secondo un sondaggio IFOP, il 65% dei francesi sarebbe favorevole al matrimonio omosessuale e il 53% all’omogenitorialità. L’indicazione, nello stesso sondaggio, che il 45% dei cattolici non sarebbe contrario al matrimonio omosessuale colpisce di più. Allora, dispiace che non sia stato organizzata una discussione tra cattolici, invitati a pregare, certo, ma non a “discernere” tra loro e ad alta voce. Ma non è troppo tardi.

È infatti opportuno risolvere una vecchia disputa prima di buttarsi nella faccenda del matrimonio. L’omosessualità è o no una declinazione naturale della sessualità? Il matrimonio gay, sul quale le divergenze sono concepibili, giustifica il fatto che venga tolta l’ambiguità. La tesi ufficiale designa questa sessualità con il vocabolo di “disordine”.

Allineare gli omosessuali, con altri, tra le “vittime di incidenti della vita” esprime un sentimento compassionevole, ma non li considera come soggetti di diritto. Più preoccupante, un’istruzione del 2005 del Vaticano esclude gli omosessuali dal ministero ordinato, salvo se tale sessualità è “transitoria”. La Santa Sede mantiene una posizione ostile alla depenalizzazione dell’omosessualità nei dibattiti alle Nazioni Unite. Questo la pone in compagnia di regimi alcuni dei quali continuano ad infliggere la pena di morte agli omosessuali. Si tratta di una “vera tragedia per le persone coinvolte e di un’offesa alla coscienza collettiva”, secondo le parole del segretario generale Ban Kimoon. Tale umiliazione era proprio necessaria?

In quanto cattolico e cittadino della Repubblica [francese], auspico che la Chiesa francese si esprima su questo punto preciso. Siamo in molti ad auspicarlo, dentro e fuori la Chiesa. Se essa vuole intervenire nel dibattito pubblico, e personalmente ritengo che ne abbia il diritto, deve accettare il verdetto dell’opinione pubblica. Del resto è un omaggio che le è reso, perché dalla Chiesa ci si aspetta dei messaggi in favore della dignità umana.

Poco tempo fa, il cardinale arcivescovo di Lione, Mons. Philippe Barbarin, evocava, con un (altezza?) a lui familiare, due grandi figure omosessuali e cristiane, Michelangelo e Max Jacob. A questi artisti esprimeva la gratitudine della Chiesa, ma soprattutto diceva che la loro omosessualità era un fatto, ponendola così al di fuori di ogni giudizio di valore. Questo non lo ha condotto a dichiararsi favorevole al matrimonio gay, ma almeno è stato reso possibile il fondamento di una discussione liberata dalle sue paure e dal suo immaginario.

L’ex cardinale-arcivescovo di Milano, Carlo Maria Martini, andava oltre e ingiungeva agli Stati di aiutare gli omosessuali a stabilizzare le loro unioni civili. Sull’argomento e con tutta evidenza ci sono diverse dimore nella casa del Padre...

Si capisce molto bene che la Chiesa cattolica difenda il sacramento del matrimonio e la sua destinazione primaria. La soluzione teologica infatti non è semplice. Ma bisogna incidere l’ascesso. Al tavolo delle discussioni sono ammesse tutte le riserve del mondo cattolico, tuttavia esse saranno accettate solo a condizione di un riconoscimento pubblico e franco del fatto che l’omosessualità è una sessualità come un’altra che sfugge alla sfera del giudizio morale e penale o del trattamento psichiatrico, altrettanto legittima e degna di riconoscimento dell’eterosessualità.

Non è ancora giunto il momento, e ce ne dispiace, di una pastorale per gli omosessuali. Ma è venuto quello di affrontare questo problema all’interno della Chiesa e di liberarsi dei propri timori, che hanno condotto, ad esempio, a separare nel piccolo cimitero di Ebnal (Inghilterra) per le esigenze della sua beatificazione, nel 2010, ma contro la sua volontà testamentaria, il corpo del cardinale britannico John Newman (1801-1890) da quello del suo amico, il reverendo Ambrose St. John, “che amava di un amore forte come quello di un uomo per una donna”. Nulla dice che questo grande prelato fosse gay, nulla, ma persino questa grande amicizia preoccupava.

I cattolici devono poterne discutere all’interno della loro comunità, in assemblee parrocchiali, diocesane, nelle loro associazioni, là dove è possibile, là dove è necessario, là dove lo si desidera. Che cosa abbiamo da temere dalle parole, visto che facciamo riferimento alla teologia della Parola? Non saremmo tutti d’accordo? E allora?

È così che ci si apre al mondo, il che non significa sottomettersi ad esso. La Chiesa, esemplare nel dialogo interreligioso, si mostrerebbe incapace di qualsiasi dialogo intrareligioso? I vescovi, che non sono dei despoti, dovrebbero osare questo dibattito. Lo storico Michel de Certeau diceva con un’espressione folgorante che “era in fondo al rischio che si trovava il senso.” E se c’è un’ingiunzione biblica ed evangelica come un leitmotiv, è: “Non abbiate paura.”

*Jean-Pierre Mignard, professore in diritti dei media all’Institut d’études politiques di Parigi, avvocato.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/9/2012 21.06
Titolo:Carlo M. Martini: Chiesa indietro di 200 anni ...
L’ultima intervista: «Chiesa indietro di 200 anni. Perché non si scuote, perché abbiamo paura?»

intervista a Carlo Maria Martini

a cura di Georg Sporschill e Federica Radice Fossati Confalonieri (Corriere della Sera, 1 settembre 2012)

Padre Georg Sporschill, il confratello gesuita che lo intervistò in Conversazioni notturne a Gerusalemme, e Federica Radice hanno incontrato Martini l’8 agosto: «Una sorta di testamento spirituale. Il cardinale Martini ha letto e approvato il testo».

Come vede lei la situazione della Chiesa?

«La Chiesa è stanca, nell’Europa del benessere e in America. La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l’apparato burocratico della Chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi. Queste cose però esprimono quello che noi siamo oggi? (...) Il benessere pesa. Noi ci troviamo lì come il giovane ricco che triste se ne andò via quando Gesù lo chiamò per farlo diventare suo discepolo. Lo so che non possiamo lasciare tutto con facilità. Quanto meno però potremmo cercare uomini che siano liberi e più vicini al prossimo. Come lo sono stati il vescovo Romero e i martiri gesuiti di El Salvador. Dove sono da noi gli eroi a cui ispirarci? Per nessuna ragione dobbiamo limitarli con i vincoli dell’istituzione».

Chi può aiutare la Chiesa oggi?

«Padre Karl Rahner usava volentieri l’immagine della brace che si nasconde sotto la cenere. Io vedo nella Chiesa di oggi così tanta cenere sopra la brace che spesso mi assale un senso di impotenza. Come si può liberare la brace dalla cenere in modo da far rinvigorire la fiamma dell’amore? Per prima cosa dobbiamo ricercare questa brace. Dove sono le singole persone piene di generosità come il buon samaritano? Che hanno fede come il centurione romano? Che sono entusiaste come Giovanni Battista? Che osano il nuovo come Paolo? Che sono fedeli come Maria di Magdala? Io consiglio al Papa e ai vescovi di cercare dodici persone fuori dalle righe per i posti direzionali. Uomini che siano vicini ai più poveri e che siano circondati da giovani e che sperimentino cose nuove. Abbiamo bisogno del confronto con uomini che ardono in modo che lo spirito possa diffondersi ovunque».

Che strumenti consiglia contro la stanchezza della Chiesa?

«Ne consiglio tre molto forti. Il primo è la conversione: la Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi. Gli scandali della pedofilia ci spingono a intraprendere un cammino di conversione. Le domande sulla sessualità e su tutti i temi che coinvolgono il corpo ne sono un esempio. Questi sono importanti per ognuno e a volte forse sono anche troppo importanti. Dobbiamo chiederci se la gente ascolta ancora i consigli della Chiesa in materia sessuale. La Chiesa è ancora in questo campo un’autorità di riferimento o solo una caricatura nei media?

Il secondo la Parola di Dio. Il Concilio Vaticano II ha restituito la Bibbia ai cattolici. (...) Solo chi percepisce nel suo cuore questa Parola può far parte di coloro che aiuteranno il rinnovamento della Chiesa e sapranno rispondere alle domande personali con una giusta scelta. La Parola di Dio è semplice e cerca come compagno un cuore che ascolti (...). Né il clero né il Diritto ecclesiale possono sostituirsi all’interiorità dell’uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarire la voce interna e per il discernimento degli spiriti.

Per chi sono i sacramenti? Questi sono il terzo strumento di guarigione. I sacramenti non sono uno strumento per la disciplina, ma un aiuto per gli uomini nei momenti del cammino e nelle debolezze della vita. Portiamo i sacramenti agli uomini che necessitano una nuova forza? Io penso a tutti i divorziati e alle coppie risposate, alle famiglie allargate. Questi hanno bisogno di una protezione speciale. La Chiesa sostiene l’indissolubilità del matrimonio. È una grazia quando un matrimonio e una famiglia riescono (...).

L’atteggiamento che teniamo verso le famiglie allargate determinerà l’avvicinamento alla Chiesa della generazione dei figli. Una donna è stata abbandonata dal marito e trova un nuovo compagno che si occupa di lei e dei suoi tre figli. Il secondo amore riesce. Se questa famiglia viene discriminata, viene tagliata fuori non solo la madre ma anche i suoi figli. Se i genitori si sentono esterni alla Chiesa o non ne sentono il sostegno, la Chiesa perderà la generazione futura. Prima della Comunione noi preghiamo: "Signore non sono degno..." Noi sappiamo di non essere degni (...). L’amore è grazia. L’amore è un dono. La domanda se i divorziati possano fare la Comunione dovrebbe essere capovolta. Come può la Chiesa arrivare in aiuto con la forza dei sacramenti a chi ha situazioni familiari complesse?»

Lei cosa fa personalmente?

«La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. Io sono vecchio e malato e dipendo dall’aiuto degli altri. Le persone buone intorno a me mi fanno sentire l’amore. Questo amore è più forte del sentimento di sfiducia che ogni tanto percepisco nei confronti della Chiesa in Europa. Solo l’amore vince la stanchezza. Dio è Amore. Io ho ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/9/2012 08.07
Titolo:"Le Monde". Carlo Maria Martini ...
Carlo Maria Martini

di Henri Tincq

in “Le Monde” del 6 settembre 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Con il cardinale Carlo Maria Martini, morto venerdì 31 agosto a Gallarate (Lombardia) all’età di 85 anni, scompare una delle figure più brillanti e stimate della Chiesa cattolica. Esegeta di fama mondiale, rettore a Roma dell’Istituto biblico e in seguito della prestigiosa università gregoriana, questo gesuita, nato a Torno il 15 febbraio del 1927, entrato nella Compagnia di Gesù nel 1944, ordinato prete nel 1952, era stato nominato da Giovanni Paolo II, nel 1979, arcivescovo di Milano, la più grande diocesi del mondo, dalla quale diede le dimissioni nel 2002, per ragioni di età e di salute.

Il carisma singolare di quest’uomo non si riduceva all’immagine di capo dell’ala “progressista”. Personalità di spiritualità profonda, autore di una sessantina di opere (commentari biblici e meditazioni), di predicazioni e di conferenze che sono risuonate a Milano e nel mondo, esigerà sempre dalla sua Chiesa “il coraggio della riforma”.

Moltiplicherà i gesti di riconciliazione tra “fratelli” cristiani separati, e intraprenderà una relazione filiale con il popolo ebraico. Aveva espresso la volontà di essere sepolto a Gerusalemme, dove si era ritirato dopo le dimissioni. Sollecitato dai media italiani, l’arcivescovo di Milano diventa un protagonista sulla scena politica. Isolato nell’episcopato, contribuisce all’apertura, negli anni 80, di un cattolicesimo sino ad allora identificato in Italia con la sola Democrazia Cristiana.

Sostiene il pluralismo, evitando qualunque forma di riaffermazione identitaria, qualsiasi iniziativa tendente ad una riconquista di influenza cattolica: “Vogliamo essere solo noi stessi, al servizio di una società, e senza fare torti a nessuno”. Da quel momento, incarnerà un’alternativa riformatrice ai vertici della Chiesa. Non cesserà più di portare come un fardello una reputazione, abbondantemente sopravvalutata, di oppositore numero 1 a Giovanni Paolo II e di potenziale successore. Se le sue relazioni con il papa polacco sono eccellenti, Carlo Maria Martini non manca però di solidi avversari. L’Opus Dei, Comunione e liberazione e altri gruppi, italiani e stranieri, che premono per una riaffermazione autoritaria del cattolicesimo, a lungo hanno paventato che potesse succedere a Giovanni Paolo II.

Dal 1987 al 1993 presiede la Conferenza dei vescovi europei, divenendo uno dei protagonisti della reintegrazione delle Chiese dei paesi dell’Est ex-comunista e animando, nel 1988, il primo incontro ecumenico di Basilea. Ed è durante il sinodo europeo del 1999 in Vaticano che esprime il “sogno” di “un confronto universale di tutti i vescovi” - la parola “concilio” non è pronunciata, ma tutti la pensano - per ridar vigore alla Chiesa del XXI secolo e “sciogliere certi nodi disciplinari e dottrinali che riappaiono continuamente come punti caldi” di contestazione e intralciano il cammino della Chiesa.

Il cardinal Martini pensa al posto limitato delle donne, alla crisi del clero, alla distribuzione dei compiti tra preti e laici, alla proibizione di accedere ai sacramenti per i divorziati risposati. Nel 1997, aveva auspicato che “un futuro concilio riveda tutta la questione” dell’accesso delle donne al sacerdozio. L’obbligo del celibato dei preti non è per lui “un dogma di diritto divino”. L’ordinazione di uomini sposati può essere anche “ una possibile risposta per delle regioni in profonda crisi”, affermava in un’intervista a Le Monde nel 1994.

La voce del cardinal Martini è dunque quella di un uomo libero che chiede che siano dibattuti collettivamente temi ritenuti tabù, che la Chiesa restauri una vera pratica della “collegialità” (equilibrio di poteri tra sede romana e vescovi locali). Se la chiesa è rispettata per la sua lotta a favore dei diritti umani, spiega, il fossato che la separa dalla cultura moderna è dovuto al suo funzionamento, ancora segnato dall’ “intransigentismo” del XIX secolo, che lascia poco spazio al dibattito interno.

In un intervista postuma, pubblicata sabato 1 settembre dal Corriere della Sera, afferma: “La Chiesa è stanca. La nostra cultura è invecchiata, le nostre case religiose sono vuote e l’apparato burocratico della Chiesa lievita. I nostri riti e i nostri abiti sono pomposi. La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Abbiamo paura?” Il cardinale lascia in eredità questo ultimo consiglio: “La Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal papa e dai vescovi. A cominciare dalle domande poste dalla sessualità e dal corpo”.

Una chiesa povera e umile

Carlo Maria Martini deplorava infatti da molto tempo la rottura, sulle questioni di etica sessuale, tra la chiesa da un lato e scienziati e coppie dall’altro. “Se le nostre posizioni vengono percepite come minacce, proibizioni, condanne, è perché noi non facciamo sforzi sufficienti per far comprendere ciò che è veramente in gioco e sostanziale”, affermava ancora nel 1994 a Le Monde. Sottolineava volentieri “gli sviluppi negativi e infelici” dell’enciclica Humanae vitae sulla regolazione delle nascite, pubblicata nel 1968 da Paolo VI. “Decidere in solitudine su temi come la sessualità e la famiglia” non è mai una cosa buona, faceva osservare, e auspicava una nuova enciclica su quel tema. Nel suo libro del 2008 Conversazioni notturne a Gerusalemme il tono è calmo e lucido. “Ho sognato”, confessa in una sorta di testamento spirituale, “una Chiesa povera e umile che non dipende dalle potenze di questo mondo. Una Chiesa che dona coraggio a coloro che si sentono piccoli e peccatori”.

Durante il conclave dell’aprile 2005 che segue la morte di Giovanni Paolo II, il cardinal Martini incarna le speranze degli ambienti progressisti. Le possibilità di essere eletto sono minime, a motivo dell’età e del morbo di Parkinson, ma anche perché i cardinali elettori che, come lui, non si rassegnano all’opzione conservatrice, sono fortemente minoritari. Il cardinale Ratzinger, sul cui nome il cardinal Martini chiede alla fine del conclave di far convergere i voti, è eletto con il nome di Benedetto XVI. Quest’ultimo gli renderà visita a giugno.

Durante i funerali del cardinal Martini, celebrato lunedì 3 settembre a Milano, il papa, in un messaggio letto all’inizio della messa, ha reso omaggio a un “servitore infaticabile del Vangelo e della Chiesa”, che “che non ha solo studiato le Sacre Scritture ma le ha amate intensamente”.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/9/2012 17.29
Titolo:FRANCIA. I vescovi minaccio il referendum ....
Francia, vescovi contro la legge sui matrimoni gay minacciano il referendum

di Franca Giansoldati *

CITTA’ DEL VATICANO - I vescovi francesi sono sul piede di guerra. L’idillio con il governo socialista di Hollande sembra finito tanto che all’orizzonte si profila una battaglia piuttosto aspra. Il 24 ottobre verrà presentato in Consiglio dei Ministri un progetto di legge che permetterà alle coppie omosessuali di sposarsi e adottare bambini a partire dal «primo semestre 2013», come spiegato anche il primo ministro Ayrault alcune settimane fa in Parlamento, confermando così una delle grandi promesse elettorali del presidente socialista Hollande. La reazione dell’episcopato non si è fatta attendere. E la bordata è durissima.

A scendere in campo per primo è stato il presidente dei vescovi, il cardinale di Lione, Barbarin che ha tuonato contro quella che ha definito «una rottura per la società». Una vera disgrazia anche perché potrebbe addirittura condurre i legislatori ad ammettere la «poligamia» e, forse, a bandire il divieto «all’incesto». I cattolici si stanno mobilitando seriamente per fermare una legge che, secondo loro, «annienterà in un colpo solo le culture e i secoli». A distanza di poco un altro vescovo, Dominique Rey ha fatto capire che la Chiesa non starà di certo a guardare lo scempio ma, anzi, inizierà a lavorare per un referendum. «Un referendum deve essere predisposto per permettere in Francia un dibattito vero, affinché il governo non resti alla mercé delle lobbies», aggiungendo che la maggioranza dei francesi a tal proposito mantiene una visione tradizionale e sicura. L’errore per i vescovi è di restare zitti. Perché, ha spiegato il prelato, i matrimoni gay porterebbero ad una «mutazione antropologica tale da mettere in discussione l’ordine naturale delle cose».

L’argomento è scottante. Già due anni fa i vescovi d’Oltralpe, piuttosto preoccupati per l’avanzata del progetto legislativo, avevano mandato alle stampe un documento per dire ’no’ all’adozione di bambini da parte delle coppie dello stesso sesso. «Lo sviluppo e la maturazione di un bambino richiede la presenza di un padre e di una madre» e che nella prospettiva di far crescere un bambino in una coppia omosessuale «bisognerebbe almeno applicare il principio di precauzione». Nella nota, i vescovi criticavano anche il tentativo di sostituire in un testo di legge i termini «padre e madre» con un più generico «genitori». Il vescovo di Rouen, Jean-Charles Descubes ribadiva che «l’interesse superiore dei bambini dovrebbe guidare le decisioni politiche e amministrative».

* Il Messaggero, Lunedì18 Settembre 2012

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Commenti Articolo 753

Titolo articolo : STATO DI MINORITA' E FILOSOFIA COME RIMOZIONE DELLA FACOLTA' DI GIUDIZIO. Una 'lezione' di un Enrico Berti, che non ha ancora il coraggio di dire ai nostri giovani che sono cittadini sovrani. Una sua riflessione - con una nota,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/18/2012 - 09:55:15.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/6/2011 13.50
Titolo:CHI INSEGNA A CHI, CHE COSA?
CHI INSEGNA A CHI, CHE COSA?

Una dichiarazione di indipendenza e un appello

PER IL DIALOGO E LA PACE TRA LE GENERAZIONI E I POPOLI: Apriarno gli occhi, saniarno le ferite dei bambíni (deí ragazzi) e delle bambine (delle ragazze), dentro di noí e fuori di noí...Riannodiamo i fili della nostra rnemoria e della nostra dignità di esseri umani. Fermiamo la strage...

Linee per un Piano di Offerta Formativa della SCUOLA dell’AUTONOMIA, DEMOCRATICA E REPUBBLICANA. *

***

CHI siamo noi in realtà? Qual è íl fondamento della nostra vita? Quali saperi? Quale formazione?

SCUOLA, STATO, E CHIESA: CHI INSEGNA A CHI, CHE COSA?!

IL "DIO" DEI NOSTRI PADRI E DELLE NOSTRE MADRI...
E IL "DIO" ZOPPO E CIECO DELLA GERARCHIA DELLA CHIESA CATTOLICA, EDIPICO-ROMANA.

Alla LUCE, e a difesa, DELLA NOSTRA DIGNITA DI CITTADINI SOVRANI E DI CITTADINE SOVRANE E
DI LAVORATORI E LAVORATRICI DELLA SCUOLA PUBBLICA (campo di RELAZIONE educativa, che basa il suo PROGETTO e la sua AZIONE sulla RELAZIONE FONDANTE - il patto costituzionale
sia la vita personale di tutti e di tutte sia la vita politica di tutta la nostra società),

Per PROMUOVERE LA CONSAPEVOLEZZA (PERSONALE, STORlCO-CULTURALE) E
L’ESERCIZIO DELLA SOVRANITA’ DEMOCRATICA
RISPETTO A SE STESSI E A SE STESSE, RISPETTO AGLI ALTRI E ALLE ALTRE, E RISPETTO ALLE ISTITUZIONI
("Avere il coraggo di dire ai nostri giovani che sono tutti sovrani": don Lorenzo Milani; "Per rispondere ai requisiti sottesi alla libertà repubblicana una persona deve essere un uomo o una donna indipendente e questo presuppone che essi non abbiano un padrone o dominus, che li tenga sotto il suo potere, in relazione ad alcun aspetto della loro vita. [...] La libertà richiede una sorta di immunità da interferenze che diano la possibilità di [...] tenere la propria testa alta, poter guardare gli altri dritto negli occhi e rapportarsi con chiunque senza timore o deferenza": Philippe Pettit)

e un LAVORO DI RETTIFICAZIONE E DI ORIENTAMENTO CULTURALE, CIVILE, POLITICO e religioso (art.7 della Costituzione e Concordato),
per evitare di ricadere nella tentazione dell’accecante e pestifera IDEOLOGIA deII’INFALLIBILITA e deII’ANTISEMITISMO (cfr. la beatificazione di PIO IX) e di un ECUMENISMO furbo e prepotente, intollerante e fondamentalista (cfr. il documento Dominus Jesus di J. Ratzinger, le dichiarazioni anti- islamiche di Biffi, e il rinvio sine die dell’incontro fissato per il 3.10.2000 tra ebrei e cattolici) e di perdere la nostra lucidità e sovranita politica,

e per INSTAURARE un vero RAPPORTO DIALOGICO e DEMOCRATICO, tra ESSERI UMANI, POPOLI e CULTURE, non solo d’Italia, ma dell’Europa e del Pianeta TERRA (e di tutto I’universo, cfr. Giordano Bruno),

IO, cittadino italiano,figlío di Due IO, dell’UNiOne di due esseri umani sovrani, un uomoj ’Giuseppe’, e una donna:’Maria’ (e, in quanto tale, ’cristiano’ - ricordiamoci di Benedetto Croce; non cattolico edipico-romano! - ricordiamoci, anche e soprattutto, di Sigmund Freud), .
ESPRIMO tutta la mia SOLIDARIETA a tutti i cittadini e a tutte le cittadine della Comunità EBRAICA e a tutti i cittadini e a tutte lecittadine della comunità ISLAMICA della REPUBBLICA DEMOCRATICA ITALIANA,

e

PROPONGO di riprendere e rilanciare (in molteplici forme e iniziative) la riflessione e la discussione sul PATTO di ALLEANZA con il qúale tutti i nostri padri (nonni...) e tutte le nostre madri (nonne...) hanno dato vita a quell’UNO, che è il Testo della COSTITUZIONE, e il ’vecchio’ invito dell’Assemblea costituente (come don Lorenzo Milani ci sollecitava nella sUa Lettera ai giudici, cfr. L’obbedienza non è più una virtù) a "rendere consapevoli le nuove generazioni delle raggiunte conquiste morali e sociali" e a riattivare la memoria dell’origine dell’uno, che noi stessi e noi stesse siamo e che ci costituisce
in quanto esseri umani e cittadini - sovraní, sla rispetto a noi stessi e a noi stesse sia rispetto agli altri e alle altre, e sui piano personale e sul piano politico,

e di RAFFORZARE E VALoRIZZARE, in TUTTA la sua fondamentale e specifica portata, IL RUOLo e LA FUNZIONE deila SCUOLA DELLA nostra REPUBBLICA DEMOCRATICA.

P.S.

NESSUNO E’ STRANIERO SULLA TERRA

"A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che ogni straniero è nemico. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione laiente, si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo*,
allora, al termine della catena, sta il lager.
Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano"

*

"Tutti gli stranieri sono nemici.
I nemici devono essere soppressi.
Tutti gli stranieri devono essere soppressi".

Primo Levi, Se questo è un uomo, Prefazione, Torino, Einaudi, 1973, pp. I 3-14.

***

Andiamo alla radice dei problemi. Perfezioniamo la conoscenza di noi stessi e di noi stesse. Riattiviamo la memoria dell’Unita, apriamo e riequilibriamo il campo della nosha, personale e collettiva, coscienza umana e politica.

Sigmund Freud aveva colto chiaramente la tragica confusione in cui la Chiesa cattolico-romana si era cacciata (cfr. L’uomo Mosè e la religione monoteistica): "scaturito da una religione del padre, il cristianesimo divenne una religione del figlio. Non sfuggì alla fatalità di doversi sbarazzare del padre" ... Giuseppe (gettato per la seconda volta nel pozzo) e di dover teorizzare, per il figlio, il ’matrimonio’ con la madre e, nello stesso tempo,la sua trasformazione in ’donna’ e ’sposa’ del Padre e Spirito Santo, che ’generano’ il figlio!

Karol Wojtyla, nonostante tutto il suo coraggio e tutta la sua sapienza, fa finta di niente e, nonostante il ’muro’ sia crollato e lo ’spettacolo’ sia finito, continua a fare l’attore e a interpretare il ruolo di Edipo, Re e Papa.

QUIS UT DEUS? Nessuno può occupare il posto dell’UNO. Non è meglio deporre le ’armi’ della cecità e della follia e, insieme e in pace, cercare di guarire le ferite nostre e della nostra Terra?

"GUARIAMO LA NOSTRA TERRA": è il motto della "Commissione per la verità e la riconciliazione" voluta da Nelson Mandela (nel 1995 e presieduta da Desmond Tutu). In segno di attiva solidarietà, raccogliamo il Suo invito...

"La realtà è una passione. La cosa più cara" (Fulvio Papi). Cerchiamo di liberare ii nostro cielo dalle vecchie idee. Benché diversi, i suoi problemi sono anche i nostri, e i nostri sono anche i suoi...
E le ombre, se si allungano su tutta la Terra, nascondono la luce e portano il buio, da lui come da noi... "nell’attuale momento focale della storia - come scriveva e sottolineava con forza Enzo Paci già nel 1954 (cfr. E. Paci, Tempo e relazione, Milano, Il Saggiatore, 1965 - Il ed., p. 184) - la massima permanenza possibile della libertà democratica coincide con la massina metamorfosí verso un più giusto equilibrio sociale, non solo per un popolo ma per tutti i popoli del mondo".

* Cfr. Federico La Sala, L’enigma della Sfinge e il segreto della Piramide. Considerazioni attuali sulla fine della preistoria ..., Edizioni Ripostes, Roma-Salerno, Febbraio 2001, pp. 49-53.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/7/2011 12.23
Titolo:E’ grave atrofizzare la facoltà, di cui è dotata la nostra mente ...
GIUDICARE E VALUTARE

di Gianfranco Ravasi (Avvenire/Il Mattutino, 07/07/2011)

Il giudizio è la facoltà che acquisiamo più tardi e perdiamo più presto del necessario: i bambini non ne hanno ancora, i vecchi non ne hanno più. Stiamo anche oggi, come abbiamo fatto ieri, nel perimetro della famiglia, ma secondo un angolo di visuale particolare.
Ci affidiamo a questa considerazione del poeta francese ottocentesco Alfred de Vigny che troviamo citata in un saggio dedicato ai trapassi generazionali di questi ultimi decenni. La capacità di giudicare è un po’ come il criterio: ognuno crede di esserne dotato a sufficienza. In realtà, le cose stanno in maniera un po’ diversa, come suggerisce lo scrittore francese. I bambini non l’hanno ancora, i vecchi ormai l’hanno persa con l’annebbiamento delle loro menti e - aggiungiamo noi - gli adulti non la esercitano. Anche all’interno della famiglia è ormai raro ritrovarsi insieme per valutare, vagliare, giudicare appunto le vicende e i comportamenti.

Certo, come insegnava l’Orlando furioso dell’Ariosto, «il giudicio uman spesso erra». Ma è grave atrofizzare la facoltà, di cui è dotata la nostra mente, di sceverare tra vero e falso, ossia la coscienza morale che ci aiuta a distinguere tra bene e male. È, questo, un esercizio che i genitori e gli educatori dovrebbero insegnare ai ragazzi.

Un altro autore francese che spesso abbiamo citato, Montaigne, nei suoi Saggi non esitava ad affermare che «la cura e la spesa dei nostri padri mirano solo a riempirci la testa di sapere; di giudizio e di virtù, non se ne parla nemmeno!». Pensiamo a quanto si investe giustamente in corsi di nuoto, in scuole di musica, in fitness e altro perché i figli siano addestrati e palestrati. Ma quanto poco si fa per una loro educazione civica, sociale e spirituale!
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/9/2012 14.40
Titolo:IN ITALIA COME IN FRANCIA. Chi ha paura dei corsi di morale laica?
Chi ha paura dei corsi di morale laica?

di Michela Marzano (la Repubblica, 4 settembre 2012)

Si può insegnare la morale come si insegna la grammatica o l’aritmetica? Spetta alla scuola pubblica spiegare ai cittadini di domani “cosa è giusto”, oppure uno stato liberale non dovrebbe permettersi di intervenire nell’ambito del “bene” e del “male”?

In Francia, in questi ultimi giorni, il dibattito sulla morale a scuola è estremamente vivo. Visto che, prima dell’inizio del nuovo anno scolastico, il ministro dell’Educazione Vincent Peillon ha detto che il compito della scuola non può più essere solo quello di trasmettere una serie di nozioni, ma anche quello di educare all’etica, per permettere ai più giovani di capire che «alcuni valori sono più importanti di altri: la conoscenza, l’abnegazione, la solidarietà, piuttosto che i valori del denaro, della concorrenza e dell’egoismo».

E così il linguaggio dei valori, rifiutato per anni dalla sinistra in quanto sinonimo di un ritorno all’ordine morale, fa la sua comparsa “scandalosa”. Provocando polemiche. Rilanciate, all’indomani delle dichiarazioni di Peillon, dall’ex-ministro del governo sarkozista Luc Chatel, che accusa il socialista di utilizzare argomenti “ pétainistes”. Chiedere alla scuola di inculcare nei giovani la morale, perché il risanamento di una nazione non può essere solo materiale, ma anche spirituale, significa, per Chatel, fare un passo indietro nella storia: solo il Maresciallo Pétain, negli anni 1940, aveva osato fare dichiarazioni di questo genere.

Come se parlare di decadenza spirituale fosse all’appannaggio della destra. Oppure della Chiesa. Visto che anche da parte del mondo cattolico si sono sollevate alcune obiezioni, per paura che questi famosi valori da insegnare non siano in conformità con il magistero della Chiesa. Ma di quale morale stiamo allora parlando?

Per Peillon, la sola morale che la scuola può insegnare è una “morale laica”. Non si tratta di tornare alle nozioni tradizionali di “patria” e di “famiglia”, né ai concetti di “ordine” e di “disciplina”, ma solo di stimolate la capacità di ragionare, di dubitare e di criticare dei più giovani. È per questo che a scuola si dovrebbe tornare a parlare di libertà, di rispetto, di dignità e di giustizia. Come non dar ragione al ministro dell’educazione, quando si sa che anche solo per formulare correttamente un giudizio critico si devono avere alcune basi? Certo, all’era dell’autonomia individuale, qualunque forma di ritorno al paternalismo sarebbe incongrua. Non si tratta di dare agli studenti un breviario delle azioni da compiere e di quelle da evitare, né di insegnare cosa si debba o meno pensare della vita, della morte, o della sessualità. Si tratta solo di spiegare il significato preciso dei valori che giustificano l’agire umano. Nozioni come il rispetto, la dignità, la responsabilità o la libertà, che sono alla base di ogni etica pubblica contemporanea, non possono essere utilizzate a casaccio. Ognuna di loro ha una propria “grammatica”; per utilizzarle correttamente si devono conoscere le regole del gioco linguistico.

Ecco quale è lo scopo della scuola oggi: insegnare di nuovo ad utilizzare correttamente le parole della morale per permettere l’organizzazione del “vivere-insieme”; evitare che alcuni radicalismi religiosi interferiscano nella sfera pubblica; alimentare il dibattito democratico, senza che la violenza prenda il posto della critica. Esattamente il contrario di ciò che voleva fare Pétain. Ma anche l’opposto di quello che sognerebbero oggi i nuovi integralisti della morale.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/9/2012 15.11
Titolo:UNA LEZIONE (DA RICORDARE) DI POCHI DOCENTI SU OLTRE 1200 ....
Giuramento di fedeltà al Fascismo *

In base a un regio decreto emanato il 28 agosto 1931 i docenti delle università italiane avrebbero dovuto giurare di essere fedeli non solo allo statuto albertino e alla monarchia, ma anche al regime fascista. L’idea dell’inserimento della clausola di fedeltà al fascismo viene attribuita al filosofo Balbino Giuliano, che ricopriva in quegli anni la carica di Ministro per l’Educazione Nazionale nel governo Mussolini[1].

In tutta Italia furono solo una quindicina di personalità, su oltre milleduecento docenti, a rifiutarsi di prestare giuramento di fedeltà al fascismo perdendo così la cattedra universitaria. Il numero effettivo delle persone che non si sottoposero al giuramento oscilla di qualche unità a seconda delle fonti. L’indeterminazione è dovuta anche ad alcune situazioni particolari, di docenti che vi si sottrassero per vie diverse: Vittorio Emanuele Orlando, ad esempio, andò anticipatamente in pensione, mentre altri, come Giuseppe Antonio Borgese, si allontanarono dall’Italia fascista andando esuli all’estero[1]. Allo stesso modo non si sottopose al giuramento il docente ed economista Piero Sraffa, già da alcuni anni esule a Cambridge[1] .

I nomi dei docenti furono:

- Ernesto Buonaiuti (storia del cristianesimo)[2]
- Giuseppe Antonio Borgese (estetica)[3]
- Aldo Capitini (filosofia)
- Mario Carrara (antropologia criminale)
- Antonio De Viti De Marco (scienza delle finanze)
- Gaetano De Sanctis (storia antica)
- Floriano Del Secolo (lettere e filosofia)[4]
- Giorgio Errera (chimica)
- Giorgio Levi Della Vida (lingue semitiche)
- Piero Martinetti (filosofia)
- Fabio Luzzatto (diritto civile)
- Bartolo Nigrisoli (chirurgia)
- Errico Presutti (diritto amministrativo)[3]
- Francesco Ruffini (diritto ecclesiastico)
- Edoardo Ruffini Avondo (storia del diritto)
- Lionello Venturi (storia dell’arte)
- Vito Volterra (fisica matematica)

Molti degli accademici vicini al comunismo aderirono invece al giuramento seguendo il consiglio di Togliatti[1], con la giustificazione che il prestare giuramento permettesse loro di svolgere, come dichiarò Concetto Marchesi, «un’opera estremamente utile per il partito e per la causa dell’antifascismo»[5]. Analogamente, la maggior parte dei cattolici, su suggerimento del Papa Pio XI, ispirato probabilmente da Agostino Gemelli[1], prestò giuramento «con riserva interiore»[1][5].

Vi fu chi accondiscese al giuramento, tra questi Guido Calogero e Luigi Einaudi, seguendo l’invito di Benedetto Croce, «per continuare il filo dell’insegnamento secondo l’idea di libertà»[5] a impedire che le loro cattedre - secondo l’espressione di Einaudi - cadessero «in mano ai più pronti ad avvelenare l’animo degli studenti»[6].

FONTE. Da Wikipedia, l’enciclopedia libera. (ripresa aprziale).
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/9/2012 11.58
Titolo:SEVERINO: RISCOPRIRE IL PENSIERO DI GENTILE ...
- Il senso del Nuovo Realismo
- Altro che Nietzsche, il nucleo sfugge se non si riscopre il pensiero di Gentile
- Una prospettiva filosofica largamente diffusa in Italia e ancor più all’estero ha alimentato un vivace dibattito.
- Con una grave lacuna

di Emanuele Severino (Corriere della Sera/ La Lettura, 16.09.2012)

A proposito del «nuovo realismo», una prospettiva filosofica oggi largamente diffusa, sono stati recentemente pubblicati vari scritti. Mi limiterò qui a due di essi, con l’intento di mostrare come persista il silenzio su uno dei tratti più importanti della cultura contemporanea.

Ho altre volte richiamato quanto sia decisivo il nucleo essenziale del pensiero filosofico del nostro tempo. Sebbene possa sembrare inverosimile, tale nucleo è infatti ciò che fa diventar reale la dominazione del mondo da parte della tecnica - destinata a questo dominio nonostante altre candidature, ad esempio quella capitalistica, politica, religiosa, e anche se la tecno-scienza (ma non solo essa) non è ancora in grado di prestare autenticamente ascolto alla filosofia. Quel nucleo mette in luce che ogni Limite assoluto all’agire dell’uomo, cioè ogni Essere e ogni Verità immutabile della tradizione metafisica, è impossibile; e dicendo questo non solo autorizza la tecnica a oltrepassare ogni Limite, ma con tale autorizzazione le conferisce la reale capacità di superarlo. Non si salta un fosso se non si sa di esserne capaci; e quel nucleo dice alla tecnica che essa ne è capace.

Tra i pochi abitatori del nucleo essenziale c’è sicuramente Nietzsche. Ma anche Giovanni Gentile, la cui radicalità è ben superiore a quella di altre pur rilevanti figure filosofiche, di cui tuttavia continuamente si parla. Invece su Gentile il silenzio, in Italia, è preponderante (sebbene non totale, anche per merito di alcuni miei allievi). All’estero, poi, sia nella filosofia di lingua inglese, sia in quella «continentale», di Gentile, direi, non si conosce neppure il nome. La cosa è interessante, soprattutto in relazione al tema filosofia-tecnica a cui accennavo. Infatti, nonostante i luoghi comuni, la filosofia gentiliana è un potente alleato della tecnica, sì che il silenzio su Gentile è un elemento frenante, «reazionario», rispetto alla progressiva emancipazione planetaria della tecno-scienza. Argomento di primaria importanza sarebbe quindi la chiarificazione dei motivi che producono quel silenzio. Qui vorrei però limitarmi - come ho incominciato a dire - al tema, molto più modesto, riguardante alcune conferme di tale silenzio e alcune implicazioni.

Per Gianni Vattimo, sostenitore della filosofia ermeneutica (Heidegger, Gadamer eccetera), e cioè «antirealista», la critica alla «concezione metafisica della verità» sarebbe una «scoperta» di Heidegger (Della realtà, Garzanti, 2012). Si tratta della critica alla definizione di «verità» come «corrispondenza tra intellectus e res», tra «l’intelletto» e «la cosa». In tutto il libro Gentile non è mai citato. Ma ben prima di Heidegger, e con maggior nitore, Gentile aveva già mostrato (rendendo radicale l’idealismo hegeliano) l’insostenibilità di quella definizione. In sostanza - egli argomentava - per sapere se l’intelletto corrisponda alla cosa, intesa come «esterna» alla rappresentazione che l’intelletto ne ha, è necessario che il pensiero confronti la rappresentazione dell’intelletto con la cosa; la quale, quindi, in quanto in tale confronto viene ad essere conosciuta, non è «esterna» al pensiero, ma gli è «interna».

Ciò significa che il pensiero, per essere vero, non ha bisogno e non deve «corrispondere» ad alcuna cosa «esterna». Solo che Vattimo si fa guidare, prendendolo alla lettera, da un appunto di Nietzsche in cui si annota - probabilmente per studiarne il senso - che «non ci sono fatti, ma solo interpretazioni» e che «anche questa è un’interpretazione», ossia una prospettiva che si forma storicamente e che quindi è revocabile, sostituibile. Poiché Vattimo intende tener ferma questa «sentenza» di Nietzsche, dovrà dire allora che anche la critica alla concezione metafisica della verità è un’interpretazione, ossia qualcosa di revocabile. Capisco quindi che egli consideri anche la propria filosofia soltanto come un’«interpretazione rischiosa», una «scelta», una «volontà» le cui motivazioni sono soltanto decisioni etico-politiche (pagina 53): «Come Heidegger, noi vogliamo uscire dalla metafisica oggettivistica perché la sentiamo come una minaccia alla libertà e alla progettualità costitutiva dell’esistenza» (pagina 122, corsivo mio).

In sostanza, come tanti altri, esclude ogni verità incontrovertibile perché altrimenti libertà e democrazia verrebbero distrutte; ma in questo modo mostra di considerare come verità incontrovertibile la difesa della libertà e della democrazia (la qual cosa è soltanto una bandiera politica o teologica). Oppure - chiedo a lui e a tanti altri - anche l’affermazione che la libertà è «costitutiva» dell’esistenza è solo un’interpretazione revocabile?

En passant, egli è stranamente fuori strada quando mi attribuisce l’intento di oltrepassare la metafisica «attraverso la restaurazione di fasi precedenti del suo sviluppo» (pagina 164 e seguente), e pertanto rifacendomi a Heidegger. Il quale però sostiene che l’Essere è «evento» (contingenza e storicità assoluta, assoluto divenire) e che anche le cose sono avvolte da questo carattere; mentre i miei scritti sostengono che ogni cosa è un essere eterno. E infatti essi indicano qualcosa di abissalmente lontano anche dalla filosofia gentiliana, che afferma la totale storicità del contenuto del pensiero (sebbene Gentile differisca da Heidegger perché, platonicamente, intende il Pensiero come indiveniente).

Comunque, già l’idealismo classico tedesco, soprattutto quello hegeliano, è ben consapevole dell’impossibilità che la verità sia corrispondenza o adeguazione dell’intelletto a una realtà esterna, e tuttavia l’idealismo è una grande metafisica; sì che la critica a tale corrispondenza toglie di mezzo solo un certo tipo di metafisica. Per mostrare l’impossibilità di ogni Limite assoluto, metafisico, all’agire dell’uomo, e in generale al divenire delle cose, occorre altro, che, ripeto, è sì presente in Nietzsche e in Gentile (e in pochi altri, come Leopardi), ma non in Heidegger. Né qui intendo indicare ciò che occorre e che sopra chiamavo il «nucleo essenziale» della filosofia del nostro tempo.

Se Vattimo, che condivide la critica heideggeriana alla verità come corrispondenza, su questo punto è inconsapevolmente d’accordo con Gentile, invece un filosofo tedesco, Markus Gabriel sostiene ora un «nuovo realismo» (che peraltro condivide con molti altri) al quale forse rinuncerebbe se conoscesse Gentile. Egli non è d’accordo con Heidegger, né quindi con Vattimo, ma è d’accordo con Maurizio Ferraris (non più allievo di Vattimo), che presenta in Italia il libro di Gabriel Il senso dell’esistenza (Carocci, 2012). Vi si sostiene subito un «argomento» che conduce alla tesi seguente: «C’è qualcosa che noi non abbiamo prodotto, e proprio questo esprime anche il concetto di verità» (pagina 21).

L’«argomento» è che, una volta ammesso che «noi» produciamo qualcosa, noi però non produciamo il «fatto» consistente nell’esser produttori di qualcosa - il «fatto» che dunque è indipendente da «noi», Gabriel lascia indeterminato il significato di quel «noi» (sebbene egli interpreti in modo a volte condivisibile l’idealismo tedesco). Ma l’idealista e quell’idealista rigoroso che è Gentile risponderebbero che, certo, questo o quell’individuo non producono il «fatto» consistente nella produzione umana di qualcosa, e tuttavia questo «fatto» è pensato (anche da Gabriel, sembra) e, in quanto pensato, non può essere, come invece questo libro sostiene, una «realtà indipendente» dal pensiero, ossia da «noi» in quanto pensiero.

«Io propongo di definire l’esistenza come l’apparizione-in-un-mondo», scrive Gabriel (pagina 46). Intendo: l’apparizione di qualcosa in un mondo. Ma nel suo libro non ho trovato alcun chiarimento sul significato del termine chiave «apparizione». Chi legge quanto vado scrivendo ne conosce l’importanza. L’apparizione non è il qualcosa (o «ente») che appare (anche se essa stessa è un ente). Se Gabriel intende che c’è apparizione di un mondo anche senza che appaia questo o quell’individuo empirico, allora, su questo punto, sono d’accordo con lui da più di mezzo secolo. Ma allora si dovrà dire che ciò che esiste è ciò che appare (e un caso di esistenza è l’apparire in cui tutto-ciò-che-non-appare appare, appunto, come «tutto ciò che non appare»). Ma Gabriel intende così l’«apparizione»?

Per lui ciò che esiste, esiste necessariamente «all’interno di un campo di senso», cioè all’interno di un contesto. Se il motivo è (come mi sembra di capire) che qualcosa esiste solo in quanto differisce da ciò che è altro da esso, sì che questo «altro» è il contesto del qualcosa, sono d’accordo (ma esortando Gabriel a rendersi conto che egli, contrariamente ai suoi intenti, sta sollevando il principio di non contraddizione - ossia il differire dal proprio «altro» - al rango di assoluto principio incontrovertibile). Ma dalla necessità che l’esistente abbia un contesto egli crede di dover concludere che qualcosa come «il Tutto», la «totalità degli enti», non può esistere perché il Tutto non può avere un contesto, e non può nemmeno contenere se stesso, giacché è necessario che il Tutto, in quanto contenente differisca dal Tutto in quanto contenuto (pagina 52 e seguenti).

Mi limito a rilevare che, poiché il Tutto è l’«apparizione» del Tutto (anche per Gabriel dovrebbe esserlo), allora questa apparizione contiene se stessa proprio perché il Tutto contenente è lo stesso Tutto contenuto: il contenente è insieme il contenuto e il contenuto è insieme il contenente. Da gran tempo i miei scritti si sono soffermati su questo tema come su quello del significato che compete all’affermazione che il «nulla» è il contesto del Tutto. (A proposito del tema del «nulla» è curioso che Vattimo, per il quale - come per Gabriel e l’intera cultura del nostro tempo - tutto è contingente, neghi a un certo punto - pagina 60 - l’annullamento delle cose. Curioso, dico, perché senza il loro annullamento e nullità iniziale non si vede in che possa consistere la loro contingenza e storicità).

L’idealismo assoluto di Gentile è poi un assoluto realismo, perché il contenuto del pensiero non è una rappresentazione fenomenica della realtà esterna, ma è la realtà in se stessa. Un rilievo, questo, che potrebbe invogliare Gabriel e i vari neo-realisti a studiare Gentile. E a studiare lo sfruttamento in senso realistico che di Gentile è stato dato da Gustavo Bontadini (del cui pensiero è uscita recentemente una puntuale ricostruzione, Gustavo Bontadini, di Luca Grion, edita dalla Lateran University Press nella collana dedicata ai «Filosofi italiani del Novecento», che la Chiesa non ritiene quindi opportuno passare sotto silenzio).

Certo, la difficoltà maggiore è capire il carattere «trascendentale» del pensiero, che si è presentato in modo sempre più rigoroso da Kant all’idealismo tedesco e al neohegelismo di Gentile. L’«al di là» di ogni pensiero, l’«assolutamente Altro», l’«Ignoto», gli infiniti tempi in cui l’uomo non c’era e non ci sarà: ebbene, di tutto questo possiamo parlare solo in quanto tutto questo è pensato. Per questo Gentile afferma che il pensiero non può essere trasceso e che è esso a trascendere tutto ciò che si vorrebbe porre al di là di esso e come indipendente da esso. Questo trascendimento è la verità.

L’idealistica trascendentalità del pensiero è stata sostituita oggi dal consenso, cioè dall’accordo sociale su un insieme di convinzioni. Insieme a molti altri Popper vede nel consenso il fondamento della verità. È vero ciò su cui la comunità più ampia possibile è d’accordo. Anche Vattimo sostiene questo concetto della verità: per lui il linguaggio, entro cui tutto si presenta, è il linguaggio della «comunità», giacché «siamo esseri storici e "la massima evidenza disponibile qui e ora" si costruisce solo con un accordo, che può essere messo in questione e rinegoziato» (pagina 109).

Ma, daccapo, questa sua affermazione è una verità incontrovertibile? Oppure che gli uomini esistano, ed esistano storicamente, accordandosi o discordando, è soltanto un accordo rinegoziabile? Rinegoziando, non ci si potrebbe forse trovar d’accordo nel far rivivere la metafisica e altre cose non desiderate dalla filosofia ermeneutica? Ma soprattutto a Heidegger (non solo a lui) andrebbe chiesto come mai, se il suo intento è di prendere le distanze da ogni evidenza oggettiva, la configurazione dello sviluppo storico (la sequela delle «epoche» dell’Essere) finisca col valere, nel suo discorso, come un’evidenza oggettiva e indiscutibile.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/9/2012 09.55
Titolo:Risposta di Ferraris a Severino
Perché la multa è una cosa in sè

Il dibattito sul nuovo realismo: risposta a Severino

di Maurizio Ferraris (la Repubblica, 18.09.2012)

-Il dibattito sul Nuovo Realismo è iniziato dal Manifesto di Ferraris uscito su Repubblica l’8/8/2011 e ora saggio per Laterza

Emanuele Severino, domenica scorsa, su La lettura del Corriere della Sera, rimprovera al nuovo realismo di non tener conto della “svolta trascendentale” del pensiero, avviata da Kant e realizzata da Gentile. Per questa svolta, il pensiero è il primo e immediato oggetto della nostra esperienza, e noi non abbiamo contatto con nessun mondo “là fuori”, se non appunto tramite la mediazione del pensiero e delle sue categorie. In altri termini, e richiamandoci alle cose – il tema del festival di filosofia appena conclusosi a Modena – noi non abbiamo mai a che fare con cose in sé, ma sempre e soltanto con fenomeni, con cose che appaiono a noi.

In effetti, i realisti sono ben consapevoli della rilevanza storica di questa svolta, ma non ne sono convinti per motivi teorici. Questi: la svolta trascendentale ci pone in una perenne contraddizione, e fa sì che, nei nostri rapporti con il mondo, siamo afflitti da uno strabismo divergente. Da una parte, nella vita di tutti i giorni, siamo dei realisti ingenui, convinti che le cose siano quello che appaiono. Dall’altra, siamo degli idealisti costretti a pensare che nulla esorbita dal nostro pensiero e che non abbiamo a che fare con cose, ma con dati di senso, fenomeni, apparenze.

La versione moderna dell’idealismo gentiliano, e cioè il postmodernismo, dice invece che tutto è socialmente costruito (di passaggio, Severino ha perfettamente ragione nel notare che i postmodernisti non hanno riconosciuto il loro debito nei confronti di Gentile). La domanda che si pone il realismo, allora, è semplicemente: è davvero così, o non è una superstizione filosofica, una abitudine inveterata e niente più?


Prendiamo gli oggetti naturali. Per Kant (e a maggior ragione per Gentile, che lo estremizza) sono dei fenomeni per eccellenza: sono situati nello spazio e nel tempo, che però non sono cose che si diano in natura. Stanno nella nostra testa, insieme alle categorie con cui diamo ordine al mondo, al punto che se non ci fossero uomini potrebbe non esserci né lo spazio né il tempo. Se ne dovrebbe concludere che prima degli uomini non c’erano oggetti, almeno per come li conosciamo, ma chiaramente non è così. I fossili ci tramandano esseri che sono esistiti prima di qualunque essere umano, prima di Gentile, prima di Berkeley, prima di Cartesio e prima di qualunque “io penso” in generale.

Come la mettiamo? E come spieghiamo il fenomeno, comunissimo, del giocare con il nostro gatto? Visto che lui ha schemi concettuali e apparati percettivi diversi dai nostri, dovrebbe vivere in un altro mondo, altro che giocare con noi (inoltre, se davvero Gentile avesse ragione, ogni gioco, non solo con il gatto ma anche con un amico, sarebbe virtualmente un solitario).

Ma a ben vedere anche gli oggetti sociali, che dipendono dai soggetti (pur non essendo soggettivi) sono cose in sé e non fenomeni. Questo sulle prime può apparire complicato perché se gli oggetti sociali dipendono da schemi concettuali, allora sembra ovvio che siano dei fenomeni. Ma non è così.

Per essere un fenomeno non basta dipendere da schemi concettuali. Per essere un fenomeno bisogna anche contrapporsi a delle cose in sé. Prendiamo una multa. Quale sarebbe il suo in sé? Dire che una multa è una multa apparente significa semplicemente dire che non è una multa. Una multa vera e propria è una cosa in sé, così come è una cosa in sé e non semplicemente un riflesso del nostro pensiero la crisi economica che ci provoca tante preoccupazioni. Soprattutto, sono cose in sé le persone, che nella prospettiva di Gentile si trasformerebbero in fantasmi, in umbratili proiezioni del pensiero.

E adesso veniamo agli eventi, cose come gli uragani o gli incidenti d’auto. Che spesso sono imprevedibili. L’irregolarità, ciò che disattende i nostri dati e attese, è la più chiara dimostrazione del fatto che il mondo è molto più esteso e imprevedibile del nostro pensiero. Come nel caso della sorpresa, che – se non si è pessimisti, e soprattutto se si è fortunati – può anche essere bellissima. Per esempio, non prevedevo che un grande filosofo (che considero non un fenomeno, ma una cosa in sé: una persona con caratteristiche insostituibili e indipendenti dal mio pensiero) come Severino decidesse di intervenire sul realismo con tanta ampiezza e profondità. Lo ringrazio di nuovo, e spero che trovi questa risposta soddisfacente, o almeno tale da aprire un dialogo.

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Titolo articolo : E' IN GIOCO LA CHIESA DI TUTTI: "NON SI COMMEMORA IL FUTURO". La comunicazione di Giancarla Codrignani per il Convegno "Chiesa di tutti, chiesa dei poveri", del 15 settembre a Roma - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/18/2012 - 09:20:10.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/9/2012 18.51
Titolo:PAROLA A RISCHIO. La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti ...
PAROLA A RISCHIO

- Risalire gli abissi
- La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
- Perché è sorriso, liberazione, gioia.

di Giovanni Mazzillo (Teologo) *

G come gioia, come Gesù, respiro di gioia per tutti gli infelici della terra. Parliamo di Gesù, il cui corrispondente nome greco Iesoûs deriva direttamente dall’originale ebraico Je(ho)šhu e significa JHWH salva, per precisare immediatamente che il termine salvezza oggi non significa gran che per i nostri contemporanei, e di conseguenza risuona poco interessante persino quel nome, pur originariamente portatore di una gioia immensa e inaudita. Ciò avviene non solo per l’inevitabile logorio delle parole più usate e talora abusate, ma per il fatto che ha perso rilevanza e pertanto significato il valore stesso della “salvezza”.

Salvezza
- Salvezza da chi e/o da che cosa? Appunto, è questo il primo problema. La salvezza appare di primo acchito un concetto immediatamente derivato dal superamento di una situazione negativa, Si salva, o come succede in questo caso, viene salvato, qualcuno che si trova in una situazione di pericolo. Il pericolo di perdere qualcosa, di perdere se stesso. Di essere cancellato, di sparire, appunto come sparisce da un computer un testo non “salvato” o un’immagine non messa al sicuro. Ma essere salvati è per noi persone umane, e pertanto non riducibili a una traccia di codificazione binaria o algoritmica, molto di più che conservare un’impronta e una presenza. Coerentemente con la nostra realtà dinamica e relazionale, essere salvati significa avere un luogo, un senso, una rilevanza nel contesto di una realtà che giustifica, sorregge, garantisce il mantenimento e la crescita qualitativa, e pertanto il conseguente riconoscimento di un originario, inalienabile, imprescindibile valore personale.

La domanda «Chi o che cosa si può dire oggi salvato?» esige pertanto una primordiale differenziazione. Altro è il concetto di ciò che è salvato (cioè il dato messo al sicuro), ben altro è l’essere umano salvato. Questi non è solo garantito in ciò che ha di più proprio e pertanto è distinto dal mero “dato”, che invece è una sorta di file compilato (non per nulla in tedesco proprio il file è chiamato Datei, leggi datai, cioè «rea-ltà data»). L’essere umano è tale solo in un incontro, in una relazione. La persona è tutta nelle relazioni delle quali vive. Proprio la relazionalità sorregge il senso e la gioia del suo esistere.

L’annuncio di Gesù, già nella sua venuta in questo nostro mondo, è l’annuncio di una relazionalità umana felicemente riuscita. Nel Vangelo è direttamente collegato alla Grazia, termine che esprime tutto ciò e anche qualcosa di più.

Nell’annuncio della sua nascita, diversamente da quanto appare nella traduzione latina, e in quella italiana da essa derivata, nella preghiera più popolare che ci sia, Maria è salutata non con il saluto che si dava all’imperatore, alle autorità o anche agli amici con l’esclamativo «Ave!», bensì con l’invito a rallegrarsi, cioè a gioire (chaîre): a entrare in un circuito di esultanza per un dono gratuito e inatteso. Colei che è piena di grazia (kecharitōménē) è invitata a rallegrarsi perché tutto in lei è frutto ed espressione della «grazia» (cháris), cioè di un dono amorevole quanto sorprendente, che sarà presto annuncio di gioia per tutto il popolo e per ogni uomo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...”. L’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia...» (Lc 1,30-31; 2,10-11).

Il resto del Vangelo, soprattutto quello di Luca, evidenzia la gioia improvvisa e incontenibile che contagia quanti vengono a contatto con Ješhu. A cominciare da Elisabetta e dal suo bambino, che le esulta nel grembo, il futuro Battista. Così esultano ancora due anziani che sembrano essere rimasti in vita per mantenere viva la speranza d’Israele: Simeone e Anna, o i pastori; mentre nel racconto di Matteo, viene detto che i Magi “provarono una grandissima gioia” nel rivedere la stella che indicava il luogo della natività di Gesù.

La stessa gioia è testimoniata dai semplici e dagli umili, dagli infelici e dai peccatori che si sentono aiutati, capiti, perdonati. A gioire sono ancora i bambini e le donne, classi tradizionalmente neglette dalla piena partecipazione alla grazia collegata alle tradizionali benedizioni di Dio. Insomma il cuore del Vangelo è la lieta notizia annunciata ai bisognosi e agli infelici della terra. Il Dio che si dona totalmente, è il Dio che dona illimitatamente la gioia agli uomini. E perché la nostra gioia fosse piena (Gv 15,11), il Figlio di Dio è arrivato umanamente a perdere se stesso.

Perché avessimo una gioia che nessuno avrebbe mai più potuto toglierci, ha permesso che fosse tolta a lui la vita, per riprenderla di nuovo, ma con la conoscenza ormai nella sua carne e nella sua psiche di cosa significhi la morte umana. Di cosa voglia dire la gioia di vivere, di vivere non con il naturale sorriso con cui vive ogni creatura per la stessa gioia dell’esistere, ma di provare e diffondere la gioia di chi conosce la sofferenza e non resta inchiodato alla sofferenza. O al limite, di chi, nonostante le ferite e talora i chiodi mai interamente rimossi della sofferenza, sa sorridere della vita, perché questa è ormai rischiarata da colui che vince la morte e la depressione della sofferenza.

La gioia è dunque uno dei nomi della salvezza, ma di una salvezza che assume di volta in volta nomi nuovi e nomi antichi: riscatto, liberazione, sensatezza, leggerezza dell’esistere... Se la parola non fosse tanto inflazionata, si potrebbe dire che la salvezza altro non è che la felicità. È la felicità nel suo senso etimologico: come abbondanza e fertilità. Possiamo tradurre: come vita sensata che raggiunge il suo scopo e nasce da relazioni benevole, tendenti al bene altrui, trovando negli altri la propria gioia e comunicandola con relazioni che fanno crescere se stessi e gli altri.

In quanto tale, la felicità è simile alla pace e ne è la forma storica: è star bene con sé e con gli altri, con il proprio passato e con il proprio futuro. Perché, soprattutto oggi, c’è bisogno paradossalmente più di ricostruire il futuro che il passato o il presente. Per poterlo fare c’è bisogno di quella gioia consapevole che non si arrende e che non si ripiega su se stessa. Si ritrova nel futuro di una convivenza che non nasconde, ma sa riconoscere e superare i conflitti attraverso uno sguardo d’amore verso ciò che ci è intorno. È uno guardo che viene da lontano e tuttavia tocca la nostra umanità, questa mia e questa tua umanità, quella assunta, attraversata e come divinizzata da quel Gesù che continuamente dà senso a ogni tentativo di superare la violenza con l’amore. È l’unico a dar senso a ogni discorso di pace, anche questo che hai appena finito di leggere.



* MOSAICO DI PACE, LUGLIO 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/9/2012 19.04
Titolo:Assumersi le proprie responsabilità. "Perché non giudicate da voi stessi ciò ch...
Fuori dal gregge

di Antonio Thellung (mosaico di pace, luglio 2012)

L’obbedienza non è più una virtù, diceva don Milani, esortando a coltivare la presa di coscienza. Non per contrapporsi all’autorità, ma per educare ciascuno ad assumere le proprie responsabilità, senza pretendere di scaricarle su altri. L’obbedienza, infatti, può anche dirsi una virtù, ma soltanto se si mantiene entro limiti equilibrati, da valutare appunto con coscienza. Perché l’obbedienza cieca è il tipico strumento utilizzato dalle strutture autoritarie gerarchico-imperialistiche per esercitare il potere, offrendo in cambio ai sudditi lo scarico della responsabilità personale. Tipico esempio si è avuto nel dopoguerra quando pareva che nessuno dei feroci gerarchi nazisti fosse colpevole, perché sostenevano tutti di aver semplicemente obbedito a ordini superiori.

Il Vangelo è chiarissimo: "Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?", ma la cristianità che si è affermata nella storia ha preferito mutuare dall’Impero Romano un’impostazione imperialistica che si mantiene presente tuttora, sia pure adattata ai tempi odierni. Un’impostazione che riduce i fedeli a "docile gregge", come li definiva a suo tempo Pio X.

Il Vangelo, inoltre, esorta anche a non chiamare nessuno padre sulla terra, un lampante invito a non cadere nelle tentazioni del paternalismo, che svaluta la dignità delle persone. Ma l’uso di chiamare "padre" i ministri del culto la dice lunga. Nello stesso brano, poi, Gesù in persona ammonisce i suoi apostoli a non farsi chiamare maestri perché solo Cristo è il maestro, ma sorprendentemente su taluni documenti ecclesiastici anche dei tempi presenti, come ad esempio il Documento di Base del 1970, si legge nientemeno che: "Per disposizione di Cristo, gli Apostoli affidarono ai loro successori, i Vescovi, il proprio ufficio di Maestri". Incredibile!

Si potrebbe dire che il magistero ha sempre richiesto ai fedeli un’obbedienza cieca, e non pochi tra coloro che hanno cercato di opporsi hanno pagato talvolta perfino con la vita.

San Francesco, nella sua prima regola, aveva provato a scrivere che un frate non è tenuto a obbedire al superiore se questi gli ordina qualcosa di contrario alla sua coscienza, ma naturalmente papa Innocenzo III si è guardato bene dall’approvarla. In tempi più recenti, nel 1832, Gregorio XVI definiva un delirio la libertà di coscienza e nel 1954 Pio XII scriveva: "È giusto che la Chiesa respinga la tendenza di molti cattolici a essere considerati ormai adulti". Non è stupefacente?

Chi esercita il potere, di qualsiasi tipo, vorrebbe dai sudditi una delega in bianco, perché teme le coscienze adulte, che sono difficilmente governabili per il loro coraggio di esprimere dissenso, quand’è il caso. E tanto più il potere è prepotente e prevaricante, tanto più esige un’obbedienza cieca.

Il magistero ecclesiastico ha sempre mostrata una grande avversione al dissenso, trattandolo come un nemico da combattere perfino con metodi violenti, nel caso, senza capire che proprio il dissenso è il miglior amico degli insegnamenti di Cristo, perché agisce come sentinella delle coscienze.

Il dissenso, nella Chiesa, c’è sempre stato, con buona pace di coloro che nelle varie epoche storiche hanno preteso di soffocarlo usando talvolta armi che sono incompatibili con l’insegnamento di Gesù. Sarebbe ora che l’autorità prendesse atto che il dissenso non è un nemico ma, anzi, un grande amico, anche se può rendere più complesso e faticoso il cammino.

Il Concilio Vaticano II mostrava di averlo capito quando scriveva, nella Gaudium et Spes: "La Chiesa confessa che molto giovamento le è venuto e le può venire perfino dall’opposizione di quanti la avversano o la perseguitano". Ma ben presto, poi, sono prevalsi nuovamente gli atteggiamenti di repressione e condanna verso chi tenta coraggiosamente di alzare la testa. essere credibili

Personalmente non dubito che un magistero ecclesiastico sia necessario e prezioso, ma di quale tipo? Qualsiasi coscienza adulta sa che di fronte a disaccordi e perplessità non avrebbe alcun senso rifiutare l’autorità o ribellarsi tout court: non sarebbe costruttivo. Ma sente però il dovere, prima ancora che il diritto, di chiedergli maggiore credibilità, di esigere che sappia proporre senza imporre, con rispettoso ascolto delle opinioni altrui. Gli ascoltatori di Gesù "rimanevano colpiti dal suo insegnamento", perché "parlava con autorità", e non perché aveva cariche istituzionali. Così il magistero può sperare di essere creduto, dalle coscienze adulte, quando offre messaggi autorevoli e convincenti, e non per il solo fatto di essere l’autorità costituita.

Oggi la credibilità dei vertici ecclesiastici, con tutti gli scandali di questi tempi, è fortemente minata, e si potrebbe dire che solo facendo leva surrettiziamente sulla grande fede in Gesù Cristo che continua a sostenere tante persone (malgrado tutto) evita di porsi in caduta libera. Ma fino a quando, se permane la pretesa di continuare a proporsi come magistero di un "docile gregge?".

La parabola della zizzania insegna che la Chiesa è comunione di consensi e dissensi, perciò, per recuperare credibilità, le autorità dovrebbero finalmente prenderne atto e imparare a dialogare con tutti alla pari, e in particolare proprio con il dissenso. Dovrebbero educarsi ed educare ad accoglierlo con l’attenzione che merita. Perché un dissenso respinto e represso a priori diventa facilmente aspro, arrabbiato, distruttivo mentre, se accolto con benevolenza, può diventare costruttivo, benevolo, e perfino affettuoso.

Una buona educazione al dissenso potrebbe diventare la miglior scuola alla formazione di coscienze adulte, capaci di confrontarsi senza acquiescenze o confusioni e censure. Capaci, cioè, di non farsi travolgere da vergognosi intrallazzi di qualsiasi tipo.

Personalmente, cerco, nel mio piccolo, di fare quel che posso. Qualche anno fa l’editrice la meridiana ha pubblicato un mio libro dal titolo "Elogio del dissenso", e per ottobre prossimo ha in programma di pubblicare un mio nuovo saggio dal titolo "I due cristianesimi", scritto per sottolineare le differenze tra il messaggio originale di Cristo e l’imperialismo cristiano, non solo come si è affermato nella storia, ma anche come si manifesta al presente. L’interrogativo è focalizzato sulla speranza nel futuro, mentre le critiche a quanto è stato ed è contrabbandato in nome di Cristo servono solo per capire meglio come si potrebbe uscir fuori dalle tante macrocontraddizioni.

La speranza è irrinunciabilmente legata a una Chiesa delle coscienze adulte, perciò sogno un magistero impegnato a farle crescere senza sottoporle a pressioni psicologiche; un magistero capace d’insegnare a distinguere il bene dal male senza imporre valutazioni precostituite; lieto di aiutare ognuno a diventare adulto e autonomo senza costringerlo a sottomettersi; volto a stimolare una sempre maggiore consapevolezza rinunciando a imposizioni precostituite. Un magistero che affermi i suoi principi senza pretendere di stigmatizzare le opinioni diverse; che proponga la propria verità senza disprezzare le verità altrui. In altre parole, sogno una Chiesa dove sia possibile ricercare, discutere, confrontarsi, camminare assieme.

Sogno un magistero che affermi il patrimonio positivo della fede, libero dalla preoccupazione di puntualizzare il negativo; che sappia offrire gratuitamente l’acqua della vita, senza voler giudicare chi beve; che proponga la verità di Cristo, esortando a non accettarla supinamente; che tracci la strada, ammonendo a non seguirla passivamente; che offra strumenti per imparare a scegliere, a non essere acquiescenti, a non accontentarsi di un cristianesimo mediocre e tiepido. Un Magistero che preferisca circondarsi da persone esigenti, irrequiete, contestatrici, piuttosto che passive, pavide, addormentate. Esso per primo ne trarrebbe grandi benefici: sarebbe il magistero di un popolo adulto, maturo, responsabile.

Etimologicamente la parola obbedienza significa ascolto, e sarebbe ora di educarci tutti a questo tipo di obbedienza reciproca: i fedeli verso l’autorità, ma anche l’autorità verso chiunque appartenga al Popolo di Dio, non importa con quale ruolo. Solo questa obbedienza è autentica virtù. Chissà se San Paolo, quando esortava a sperare contro ogni speranza, si riferiva anche alle utopie!
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/9/2012 14.50
Titolo:MADRI DEL CONCILIO. Ma dov'è vera uguaglianza che vige fra tutti i membri del po...
“Sorores carissimae et admirandae” La presenza femminile al Concilio Vaticano II

di Andrea Lebra

in “Settimana” n. 32 del 9 settembre 2012

Da poche settimane è arrivato in libreria, per i tipi di Carocci Editore (luglio 2012), un gradevole ed istruttivo studio sulla presenza delle donne al Concilio Ecumenico Vaticano II. Ne è autrice Adriana Valerio, teologa e storica, tra le fondatrici del “Coordinamento Teologhe Italiane”, docente di Storia del Cristianesimo e delle Chiesa all’Università “Federico II” di Napoli, studiosa di tematiche riguardanti la presenza delle donne nel cristianesimo.

Come scrive nella “presentazione” Marinella Perroni, Presidente del Coordinamento Teologhe Italiane, il libro, dal titolo “Madri del Concilio - Ventitre donne al Vaticano II”, è stato scritto per “tirare fuori finalmente dagli archivi della memoria i volti e le vite di ventitre donne che, per la prima volta nella storia, hanno preso parte ad alcune sessioni di un Concilio e, pur rispettando l’ordine di tacere nelle assemblee generali, hanno saputo trovare le occasioni giuste per pronunciare parole efficaci”.

Ad auspicare l’aumento del numero di “uditori laici” al Concilio e a fare in modo che questo incremento comprendesse delle donne, era stato il 22 ottobre 1963 il cardinal Suenens nel corso di un suo vigoroso discorso sui carismi nella Chiesa. Paolo VI, accogliendo l’invito, aveva deciso di ammettere alle sedute conciliari alcune rappresentanti degli ordini religiosi femminili ed alcune rappresentanti qualificate del laicato cattolico: complessivamente dal settembre 1964 al luglio 1965, furono chiamate ventitre uditrici (dieci religiose e tredici laiche). Delle tredici laiche, nove erano nubili, tre vedove e una sola coniugata: tutte (eccetto una, Gladys Parentelli) rigorosamente vestite di nero con un velo sul capo.

“Amate figlie”

E’ sintomatico che, quando il 14 settembre 1964, per l’inaugurazione della III sessione del Concilio, il papa salutò le uditrici (“le nostre amate figlie in Cristo...alle quali per la prima volta è stata data la facoltà di partecipare ad alcune adunanze del Concilio”), in realtà di uditrici in aula non c’era neppure l’ombra. Motivo ? Non erano ancora state designate: infatti le prime nomine ufficiali avvennero dopo il 21 settembre. Perché - si chiede l’Autrice - questa clamorosa sfasatura dei tempi ? “E’ difficile dirlo se non ipotizzando la resistenza di alcune personalità della Curia a far partecipare le donne” ad una assemblea costituita da soli maschi. Sta di fatto che la prima donna ad entrare in aula il 25 settembre 1964 fu una laica francese, Marie-Louise Monnet, fondatrice del MIASMI (“Mouvement International d’Apostolat des Milieux Sociaux Indépendants”), sorella di Jean, uno dei padri fondatori dell’Unione Europea.

Nonostante Paolo VI, l’8 settembre 1964 a Castel Gandolfo, avesse parlato di rappresentanze femminili al Concilio certamente “significative” ma “quasi simboliche”, non avendo diritto né di parola né di voto, ben presto queste ventitre straordinarie “madri del Concilio”, salutate con enfasi da alcuni “padri conciliari” con le parole “carissimae sorores”, “sorores admirandae” o “pulcherrimae auditrices”, trovarono il modo di partecipare in modo attivo e propositivo ai gruppi di lavoro, presentando memorie scritte e contribuendo con la loro cultura e sensibilità alla stesura dei documenti, in particolare di quelli riguardanti temi come la vita religiosa, la famiglia e la presenza dei laici (uomini e donne) nella Chiesa e nella società o, più semplicemente e prosaicamente, invitando a pranzo vescovi influenti ai quali comunicare i propri “desiderata”. In ciò incoraggiate dalla Segreteria di Stato che, nel settembre 1964, chiarì che la loro presenza non doveva essere intesa in senso passivo, essendo esse invitate a dare un apporto di studio e di esperienza alle commissioni incaricate di ricevere e di emendare gli schemi destinati alle sessioni conciliari.


Un contributo significativo

La più vivace delle uditrici laiche fu senza dubbio la spagnola Pilar Bellosillo, presidente dell’Unione mondiale delle organizzazioni femminili cattoliche (UMOFC). Per ben due volte, in nome del divieto paolino di 1 Cor. 14,34 “le donne tacciano in assemblea”, citato dal segretario del Concilio, Pericle Felice (pare, in difficoltà a rivolgere la parola alle uditrici, anche solo per salutarle), le fu impedito di parlare in assemblea generale, nonostante fosse stata espressamente nominata portavoce del suo “gruppo di studio”. Il secondo rifiuto le fu opposto verso la fine del Concilio: nell’occasione era stata semplicemente incarica di esprimere ai padri conciliari la gratitudine sua e delle colleghe per il privilegio loro accordato di partecipare al Concilio. Ancora una volta il rifiuto fu motivato con l’anacronistico e ridicolo “mulieres in ecclesiis taceant”. Al grande teologo domenicano e perito conciliare Yves Congar che, nell’ambito del gruppo sullo schema dell’apostolato dei laici, voleva inserire nel documento un’elegante espressione con la quale le donne erano paragonate alla delicatezza dei fiori e ai raggi del sole, la (fisicamente) minuta ma energica uditrice australiana Rosemary Goldie disse, a mo’ di rispettosa tiratina d’orecchie: “Padre, lasci fuori i fiori. Ciò che le donne vogliono dalla Chiesa è di essere riconosciute come persone pienamente umane”.

La messicana Luz Maria Longoria, presente al Concilio con il marito Josè Alvarez Icaza, pose in discussione quello che i manuali di teologia, in uso prima del Concilio, definivano fini “primari” e “fini secondari” del matrimonio, dove primaria era la procreazione dei figli e secondario il rimedio alla concupiscenza dell’atto sessuale. La copresidente del MFC (“Movimiento Familiar Cristiano”), molto attiva all’interno del gruppo che doveva esaminare lo “schema XIII”, chiese di liberare l’atto sessuale dal senso di colpa e di restituire ad esso la sua insita motivazione d’amore. Ad un padre conciliare disse: “Disturba molto a noi madri di famiglia che i figli risultino frutto della concupiscenza. Io personalmente ho avuto molti figli senza alcuna concupiscenza: essi sono il frutto dell’amore”.

Verso la chiusura del Concilio, il 23 novembre 1965, uditori e uditrici laiche pubblicarono una dichiarazione congiunta, per rendere conto del lavoro fatto. Consapevoli di essere stati testimoni di una tappa storica di apertura della Chiesa alla sua componente laica, sottolinearono l’importanza vitale di alcuni documenti ai quali avevano dato un significativo contributo con discussioni e scambi di idee. In particolare fecero riferimento al cap. IV della “Lumen gentium” dedicato ai “laici”, alle parti della “Gentium et spes” riguardante la partecipazione dei credenti alla costruzione della città umana e al decreto sull’apostolato dei laici “Apostolicam actuositatem”.

Nella dichiarazione congiunta uditori e uditrici richiamarono anche l’attenzione che, grazie a loro, il Concilio aveva trattato questioni come la costruzione della pace, il dramma della povertà nel mondo, l’esistenza di diseguaglianze e ingiustizie che richiedono una più equa distribuzione delle ricchezze, la difesa della libertà di coscienza, i valori del matrimonio e della famiglia, l’unità di tutti i cristiani, di tutti i credenti e di tutta l’umanità. Il 3 dicembre 1965 vollero redigere un comunicato stampa nel quale ribadirono il loro ruolo attivo svolto, apprezzato dai padri conciliari che si erano spesso rivolti a loro per consigli e a volte si sono fatti eco delle loro opinioni nell’aula conciliare.

Nomi e cognomi

Consapevole del grande impegno profuso nell’adempimento del compito loro assegnato, il 7 dicembre 1965, Paolo VI, ricevendo uditori e uditrici, espresse la propria soddisfazione “per la collaborazione preziosa” assicurata dagli uni e dalle altre, in modo “discreto ed efficace”, “ai lavori dei padri e delle commissioni”.

Nomi e cognomi delle ventitre “madri del Concilio”, ormai quasi tutte tornate al casa del Padre, vanno doverosamente ricordati. Uditrici religiose: Mary Luke Tobin (Usa); Marie de la Croix Khouzam (Egitto); Marie Henriette Ghanem (Libano); Sabine del Valon (Francia); Juliana Thomas (Germania); Suzanne Guillemin (Francia); Cristina Estrada (Spagna); Costantina Baldinucci (Italia); Claudia Feddish (Usa), Jerome Maria Chimy (Canada). Uditrici laiche: Pilar Bellosillo (Spagna); Rosemary Goldie (Australia); Marie-Louise Monnet (Francia); Anne Marie Roeloffzen(Olanda); Amalia Dematteis (Italia); Ida Marenchi-Marengo (Italia); Alda Miceli (Italia); Catherine McCarthy (Usa); Luz Maria Longoria (Messico); Margarita Moyano Llerena (Argentina); Gladys Parentelli (Uruguay); Gertrud Ehrle (Germania); Hedwig von Skoda (Cecoslovacchia).

Leggendo le loro biografie, ricostruite da Adriana Valerio con materiale inedito, un dato emerge con sufficiente chiarezza: nonostante il decisivo riconoscimento, a livello teorico, operato dal Concilio della dignità della donna e del ruolo insostituibile che può e deve svolgere, in forza del battesimo, nella comunità ecclesiale come nella società civile, molto rimane da fare per ridimensionare, a livello pratico, il monopolio clericale e androcentrico sulla storia e sulla vita della Chiesa in nome della vera uguaglianza che vige fra tutti i membri del popolo di Dio.

Andrea Lebra

andleb@libero.i
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/9/2012 17.23
Titolo:OMOSESSUALITA'. Lettera aperta al vescovo di Firenze ...
Chiesa cattolica e omosessualità. Lettera aperta al vescovo di Firenze

di don Fabio Masi, don Alessandro Santoro, don Giacomo Stinghi, suor Stefania Baldini *

"Il numero di ‘Toscana Oggi’ del 24 Giugno 2012 dedicava largo spazio all’argomento dell’omosessualità e delle coppie di fatto eterosessuali, con alcuni articoli del giornale e diverse lettere al Direttore, queste ultime critiche nei riguardi della posizione ufficiale della Chiesa sull’argomento.

Ci sembra che gli articoli del Settimanale diocesano non facciano che ripetere sull’omosessualità le norme ecclesiastiche di sempre, senza approfondire l’argomento che negli ultimi anni si è notevolmente sviluppato e chiarito e che ha ancora bisogno di ricerca.

Il nostro intervento vuole dare testimonianza della diversità di posizioni che ci sono oggi di fronte a questo tema, nella riflessione laica e anche nelle Chiese. Noi, e insieme a noi anche teologi, vescovi e laici cristiani, non ci riconosciamo in quell’analisi che traspare dagli articoli di ‘Toscana Oggi’. Quello che ha portato ad un cambiamento radicale nella comprensione dell’omosessualità è stato un tragitto importante. Nel passato l’omosessualità era considerata un ‘vizio’ praticato da persone ‘etero’ in cerca di piaceri alternativi, e come tale condannata. Ma allora si parlava di ‘comportamenti omosessuali’; soltanto nel secolo scorso si è cominciato a parlare di ‘condizione omosessuale’ e non solo di ‘atti’, inducendo alcuni ad ipotizzare che l’omosessualità fosse da considerare non un vizio ma una ‘malattia’.

In questi ultimi anni è maturato un modo di comprendere l’omosessualità radicalmente diverso, che ormai, con varie sfaccettature, è accettato da quasi tutti. Si parla dell’omosessualità come di un elemento pervasivo della persona che la caratterizza nella sua profonda identità e le fa vivere la sessualità in modo ‘altro’.

E’ importante che la Chiesa riconosca positivamente il cammino della scienza nella conoscenza dell’uomo e non dichiari verità assolute quelle che poi dovrà riconoscere errate, come è accaduto in passato. Questi fatti ci inducono a vedere l’omosessualità in un orizzonte nuovo e ad affrontarla con uno sguardo morale diverso. Su questo tema la Bibbia non dice né poteva dire nulla, semplicemente perché non lo conosceva, così come non dice nulla sull’ecologia e sull’uso della bomba atomica. Comunque nella cultura biblica, come in tutta l’antichità, è totalmente assente l’idea di ‘persona omosessuale’, si parla solo di ‘comportamenti’ e non di ‘condizione omosessuale’, ed è chiaro che vengono condannati non solo perché infecondi, ma anche in quanto legati alla violenza o alla prostituzione sacra.

A questo riguardo sono opportune alcune precisazioni sulla Sacra Scrittura spesso citata per stigmatizzare il rapporto omosessuale. Nel Nuovo Testamento solo Paolo chiama ‘contro natura’ il rapporto omosessuale (Romani 1, 26-27) ma bisogna tener presente che egli si riferisce, più che all’aspetto fisico, al fatto che l’omosessualità minava l’ordine sociale di allora, quando era la donna, per natura, a dover essere ‘sottomessa’ all’uomo. Fra l’altro è cambiata anche la nostra comprensione del concetto di ‘natura’: l’idea di ‘natura’ come realtà già conclusa non corrisponde più al modo di sentire odierno.

Ormai è anche abbastanza chiaro che quegli episodi dell’Antico Testamento su cui ancora si basa la condanna dell’omosessualità hanno un altro significato: negli episodi di Sodoma (Genesi 19) e di quello simile di Gabaa (Giudici 19) il crimine non sta tanto nell’omosessualità, quanto nella violenza e nella volontà di umiliare e rifiutare lo straniero.

Nell’Antico Testamento invece ci sono segnali molto importanti e molto belli, non esplicitamente riferiti all’omosessualità, ma piuttosto al cammino di maturazione che il popolo ebraico compie rispetto all’emarginazione di gruppi e di persone. La Bibbia ci offre così una cornice più larga in cui porre anche questo aspetto della vita.

Dio ‘sceglie’ il popolo ebraico perché sia segno, in mezzo agli altri popoli, della sua volontà di giustizia che vuole salve tutte le creature. Poi Israele, con l’illusione di essere sempre più all’altezza della missione che Dio gli ha dato, al suo interno opera altre ‘scelte’ emarginando gruppi considerati ‘impuri’. Nel Deuteronomio, per esempio, (23, 2-9) si elencano le categorie escluse dall’Assemblea del culto: gli eunuchi, i bastardi e i forestieri. Ma il cammino verso i tempi messianici è un cammino verso l’inclusione, perché i tempi messianici sono per tutti, come si legge nel Terzo Isaia (56,1.3-5): Osservate il diritto e praticate la giustizia..... Non dica lo straniero che ha aderito al Signore: «Certo mi escluderà il Signore dal suo popolo!» Non dica l’eunuco: «Non sono che un albero secco!». Perché così dice il Signore: “Agli eunuchi, che osservano i miei sabati, si comportano come piace a me e restan fermi nella mia alleanza, io darò un posto nel mio Tempio per il loro nome. Questo sarà meglio che avere figli e figlie perché io renderò eterno il loro nome. Nulla potrà cancellarlo”.

Questo capovolgimento di Isaia è una pietra miliare! Non ha alcun valore davanti a Dio lo stato oggettivo di natura o di cultura in cui uno si trova: uomo, donna, omosessuale, eterosessuale, bastardo, straniero, genio o di modesta intelligenza; ciò che conta è osservare il diritto e praticare la giustizia, ciò che conta è amare il Signore e i fratelli.

Non vogliamo dire che Isaia in questo passo alludesse agli omosessuali, non poteva per i motivi che abbiamo detto prima. Ma noi non dovremmo vedere l’omosessualità in questa luce? Compito della Chiesa è allargare le braccia, includere e non emarginare, amare le persone piuttosto che salvare i principî. Ha detto il Maestro: “Il Sabato è stato fatto per l’uomo, non l’uomo per il Sabato”. (Marco 2,27)

Di questo cambiamento hanno preso atto anche i Capi della Chiesa cattolica che più volte hanno dichiarato di non condannare gli omosessuali ma l’omosessualità, e questo per loro è un passo in avanti. In realtà non se ne capisce il significato! sarebbe, come dire ad uno zoppo: "Non abbiamo nulla contro il tuo ’essere zoppo’, basta che tu cammini diritto o che tu stia a sedere!"

A proposito dell’essere sterili o fecondi, Gesù ha detto che è il cuore che deve essere fecondo e Paolo dirà che si entra nel popolo di Dio per fede, non per diritto ereditario. Ma allora chi può onestamente definirsi fecondo? Chi può farsi giudice della fecondità altrui o della propria? La sterilità ci può colpire tutti.

Questo modo di accogliere profondamente la vita di ogni essere umano lo abbiamo imparato dalla Chiesa! Per i discepoli di Gesù non si tratta tanto di difendere principî, di custodirli rigorosamente come gli angeli con la spada di fuoco davanti all’albero della vita, ma di ‘scrutare’ la vita delle donne e degli uomini del nostro tempo, per farla progredire verso la pienezza. Si tratta di esser fedeli non ad un Dio noto e posseduto, ma ad un Dio ‘che viene’. Ha detto Gesù: “Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete valutarlo?” (Luca 12, 56)

A noi sembra che proprio dalla Chiesa dovrebbe arrivare un riconoscimento del modo nuovo di comprendere l’omosessualità, con un segno di accoglienza e di profondo rispetto per i sentimenti di amore di chi vive personalmente questa condizione. Due persone che si amano non sono un attentato alla società né il tradimento del Vangelo. Gli scandali vanno cercati altrove! Rifacendosi da una parte a queste fonti bibliche e dall’altra all’esperienza umana che viviamo ogni giorno con queste persone, sentiamo evangelico e naturale accogliere in pienezza di comunione queste differenti forme di amore. Le sentiamo parte integrante del nostro cammino di comunità di fede e di vita, e con loro, così come con tutti gli altri, partecipiamo insieme alla Comunione sacramentale e comunitaria.

Il Libro della Sapienza (11, 24-26) ci offre un tratto stupendo del Creatore, che dovrebbe essere ‘luce sul nostro cammino’: “Tu, Signore, ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure creata. Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi? O conservarsi se tu non l’avessi chiamata all’esistenza? Tu risparmi tutte le cose, perché tutte son tue, Signore, amante della vita”."

* www.gionata.org, 6 settembre 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/9/2012 13.11
Titolo:L’11 ottobre si compiranno cinquant’anni dall’apertura del Concilio ...
Il Concilio Vaticano II mezzo secolo dopo

di Nino Lisi (il manifesto, 8 settembre 2012)

L’11 ottobre si compiranno cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II e se ne annunciano le prime commemorazioni. Una si terrà a Roma il 15 settembre nell’auditorium dell’istituto Massimo, all’Eur. La promuovono una novantina di soggetti tra riviste, associazioni e comunità, con l’intento di guardare al Concilio con gli occhi d’oggi. Approccio quanto mai opportuno, perché da anni è in atto un dibattito su un dilemma interpretativo: il Concilio segnò o no una discontinuità con il passato?

La risposta è importante, perché da essa dipenderà se la carica innovativa del Concilio sarà definitivamente soffocata o no; questione che non riguarda solo i «credenti». In realtà, per alcuni temi il Concilio fu davvero dirompente; per altri segnò una conferma. Perché allora il dibattito? Perché dietro di esso si nasconde una dialettica che, non raramente, diviene scontro tra due logiche che si fronteggiano nella chiesa quasi dai suoi albori.

Una, «istituzionale», è protesa a custodire una verità ritenuta compiutamente rivelata e a tutelarne l’integrità. Per farlo si è istituita l’area inaccessibile del sacro, cui solo pochi (la gerarchia) vengono ammessi per cooptazione, e vi si è rinchiuso il «patrimonio della fede». Si è così rinnovato quel potere del tempio che Gesù combatté e dal quale fu messo a morte; potere che, oltre a sospingere uomini e donne a rendere a Dio gloria nei cieli, non può fare ameno di preoccuparsi del proprio rafforzamento.

L’altra logica, «dell’annuncio», è protesa a diffondere il detto evangelico secondo cui perseguire la verità e la sua giustizia rende liberi, e la notizia della fraternità e sorellanza che legano insieme tutti gli esseri umani. Induce a praticare la «libertà dei figli di Dio» e ad occuparsi che in terra si renda giustizia in particolare ai più deboli, essendo questo l’unico sacrificio gradito a Dio. In questa ottica le conseguenze della buona novella vanno scoperte, capite e realizzate nella storia. La logica dell’annuncio porta poi a diffidare di ogni potere e sovente ad opporvisi, mentre il potere del tempio è inevitabilmente contiguo agli altri poteri, perché il potere ha tante facce ma in sostanza è uno ed i suoi diversi aspetti si intrecciano, si contaminano e si spalleggiano reciprocamente.

Quando scoppiano conflitti intestini la logica istituzionale porta a schierarsi con chi difende lo status quo, per l’ovvio motivo che il mantenimento dell’ordine costituito garantisce alla istituzione ecclesiastica la conservazione del suo potere, mentre un sovvertimento potrebbe metterlo in discussione. Due logiche distinte e per molti versi contrapposte generano dunque contraddizioni, tensioni e conflitti nella chiesa come nella vita e nella coscienza di tanti e tante uomini e donne di chiesa. E’ da augurarsi che l’assemblea del 15 settembre riesca a discutere apertamente delle due logiche in conflitto, essendo ciò il presupposto necessario per elaborare proficuamente la memoria del Concilio e farne scaturire impegni per il futuro, come i promotori si ripromettono.

L’andamento del conflitto e l’esito dell’assemblea dell’Eur sono importanti per tutti, non solo per i credenti. In primo luogo perché l’istituzione ecclesiastica, anche in virtù delle oltre cento nunziature e della rete di enti sparsi sul pianeta, è parte integrante del sistema di governo di «questo mondo»; e poi perché, connesse alla dialettica di cui si è detto, ci sono non solo differenti idee di chiesa ma anche visioni diverse del divino e le idee sul divino che circolano in una società hanno grande influenza sul modo in cui essa si plasma. «Si immagini - come suggerisce la teologa femminista Mary Hunt - un mondo in cui il divino venga compreso come Amico invece che come Padre, come Fonte invece che come Signore, come Pacificatore invece che come Sovrano, come cittadino invece che come Re». Si intravedrà qualcosa di quel mondo migliore cui tanti aspirano.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/9/2012 10.27
Titolo:IL METODO MARTINI, L'INSEGNAMENTO DEL VATICANO II, E IL NUCLEO DELLA "BUONA-NOT...
L’operazione-anestesia sul cardinal Martini

di Vito Mancuso (la Repubblica, 9 settembre 2012)

Con uno zelo tanto impareggiabile quanto prevedibile è cominciata nella Chiesa l’operazione anestesia verso il cardinal Carlo Maria Martini, lo stesso trattamento ricevuto da credenti scomodi come Mazzolari, Milani, Balducci, Turoldo, depotenziati della loro carica profetica e presentati oggi quasi come innocui chierichetti.

A partire dall’omelia di Scola per il funerale, sulla stampa cattolica ufficiale si sono susseguiti una serie di interventi la cui unica finalità è stata svigorire il contenuto destabilizzante delle analisi martiniane per il sistema di potere della Chiesa attuale. Si badi bene: non per la Chiesa (che anzi nella sua essenza evangelica ne avrebbe solo da guadagnare), ma per il suo sistema di potere e la conseguente mentalità cortigiana.

Mi riferisco alla situazione descritta così dallo stesso Martini durante un corso di esercizi spirituali nella casa dei gesuiti di Galloro nel 2008: “Certe cose non si dicono perché si sa che bloccano la carriera. Questo è un male gravissimo della Chiesa, soprattutto in quella ordinata secondo gerarchie, perché ci impedisce di dire la verità. Si cerca di dire ciò che piace ai superiori, si cerca di agire secondo quello che si immagina sia il loro desiderio, facendo così un grande disservizio al papa stesso”.

E ancora: “Purtroppo ci sono preti che si propongono di diventare vescovi e ci riescono. Ci sono vescovi che non parlano perché sanno che non saranno promossi a sede maggiore. Alcuni che non parlano per non bloccare la propria candidatura al cardinalato. Dobbiamo chiedere a Dio il dono della libertà. Siamo richiamati a essere trasparenti, a dire la verità. Ci vuole grande grazia. Ma chi ne esce è libero”.

Quello che è rilevante in queste parole non è tanto la denuncia del carrierismo, compiuta spesso anche da Ratzinger sia da cardinale che da Papa, quanto piuttosto la terapia proposta, cioè la libertà di parola, l’essere trasparenti, il dire la verità, l’esercizio della coscienza personale, il pensare e l’agire come “cristiani adulti” (per riprendere la nota espressione di Romano Prodi alla vigilia del referendum sui temi bioetici del 2005 costatagli il favore dell’episcopato e pesanti conseguenze per il suo governo). È precisamente questo invito alla libertà della mente ad aver fatto di Martini una voce fuori dal coro nell’ordinato gregge dell’episcopato italiano e a inquietare ancora oggi il potere ecclesiastico.

Diceva nelle Conversazioni notturne a Gerusalemme: “Mi angustiano le persone che non pensano, che sono in balìa degli eventi. Vorrei individui pensanti. Questo è l’importante. Soltanto allora si porrà la questione se siano credenti o non credenti”. Ecco il metodo-Martini: la libertà di pensiero, ancora prima dell’adesione alla fede.

Certo, si tratta di una libertà mai fine a se stessa e sempre tesa all’onesta ricerca del bene e della giustizia (perché, continuava Martini, “la giustizia è l’attributo fondamentale di Dio”), ma a questa adesione al bene e alla giustizia si giunge solo mediante il faticoso esercizio della libertà personale. È questo il metodo che ha affascinato la coscienza laica di ogni essere pensante (credente o non credente che sia) e che invece ha inquietato e inquieta il potere, in particolare un potere come quello ecclesiastico basato nei secoli sull’obbedienza acritica al principio di autorità. Ed è proprio per questo che gli intellettuali a esso organici stanno tentando di annacquare il metodo-Martini.

Per rendersene conto basta leggere le argomentazioni del direttore di Civiltà Cattolica secondo cui “chiudere Martini nella categoria liberale significa uccidere la portata del suo messaggio”, e ancor più l’articolo su Avvenire di Francesco D’Agostino che presenta una pericolosa distinzione tra la bioetica di Martini definita “pastorale” (in quanto tiene conto delle situazioni concrete delle persone) e la bioetica ufficiale della Chiesa definita teorico-dottrinale e quindi a suo avviso per forza “fredda, dura, severa, tagliente” (volendo addolcire la pillola, l’autore aggiunge in parentesi “fortunatamente non sempre”, ma non si rende conto che peggiora le cose perché l’equivalente di “non sempre” è “il più delle volte”).

Ora se c’è una cosa per la quale Gesù pagò con la vita è proprio l’aver lottato contro una legge “fredda, dura, severa, tagliente” in favore di un orizzonte di incondizionata accoglienza per ogni essere umano nella concreta situazione in cui si trova.

Martini ha praticato e insegnato lo stesso, cercando di essere sempre fedele alla novità evangelica, per esempio quando nel gennaio 2006 a ridosso del caso Welby (al quale un mese prima erano stati negati i funerali religiosi in nome di una legge “fredda, dura, severa, tagliente”) scrisse che “non può essere trascurata la volontà del malato, in quanto a lui compete - anche dal punto di vista giuridico, salvo eccezioni ben definite - di valutare se le cure che gli vengono proposte sono effettivamente proporzionate”. Questa centralità della coscienza personale è il principio cardine dell’unica bioetica coerente con la novità evangelica, mai “fredda, dura, severa, tagliente”, ma sempre scrupolosamente attenta al bene concreto delle persone concrete.

Martini lo ribadisce anche nell’ultima intervista, ovviamente sminuita da Andrea Tornielli sulla Stampa in quanto “concessa da un uomo stanco, affaticato e alla fine dei suoi giorni”, ma in realtà decisiva per l’importanza dell’interlocutore, il gesuita austriaco Georg Sporschill, il coautore di Conversazioni notturne a Gerusalemme.

Ecco le parole di Martini: “Né il clero né il Diritto ecclesiale possono sostituirsi all’interiorità dell’uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarire la voce interna e per il discernimento degli spiriti”. È questo il metodo-Martini, è questo l’insegnamento del Vaticano II (vedi Gaudium et spes 16-17), è questo il nucleo del Vangelo cristiano, ed è paradossale pensare a quante critiche Martini abbia dovuto sostenere nella Chiesa di oggi per affermarlo e a come in essa si lavori sistematicamente per offuscarlo.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/9/2012 20.16
Titolo:NOTE A MARGINE PER IL CONVEGNO ....
NOTE A MARGINE PER IL CONVEGNO DEL 15 SETTEMBRE 2012:

1. LA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA HA ROTTO I PONTI CON IL MESSAGGIO EVANGELICO. A 50 anni dall'inizio del Concilio Vaticano II, bisogna prendere atto che il terribile è già accaduto: il "Lumen Gentium" è stato spento e, sulla cattedra di Pietro, siede il Vicario del Signore e Padrone Gesù ("Dominus Iesus": J. Ratzinger, 2000). Egli regna e governa in nome del suo Dio, Mammona ("Deus caritas est": Benedetto XVI, 2006).

2. DIO E' VALORE! Sul Vaticano, DAL 2006, sventola il "Logo" del Grande Mercante: "Deus caritas est" (Benedetto XVI, 2006)!!! Il papa teologo, ha gettato via la "pietra" su cui posava - in equilibrio instabile - l’intera Costruzione dela Chiesa cattolico-romana ("Deus charitas est": 1 Gv. 4.8).

3. TUTTO A "CARO-PREZZO" ("CARITAS"): QUESTO "IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO". QUESTO E' IL NOSTRO VANGELO: PAROLA DI RATZINGER -BENEDETTO XVI, CARDINALI E VESCOVI TUTTI. IL "PANE QUOTIDIANO" DEL "PADRE NOSTRO", SI VENDE A "CARO PREZZO", MOLTO CARO (= "CARITAS")!!!

4. ULTIMA CENA ED ECONOMIA VATICANA. Benedetto XVI cambia la formula: «Il calice fu versato per molti», non «per tutti»!!!

5. IN PRINCIPIO ERA IL "LOGO"!!! SE UN PAPA TEOLOGO LANCIA IL "LOGO" DEL SUO DIO ("DEUS CARITAS EST") E TUTTI OBBEDISCONO, E NON VIENE RISPEDITO SUBITO A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO, DI COSA VOGLIAMO PARLARE DI AFFARI E DI MERCATO?! EBBENE PARLIAMO DI AFFARI, DI MERCATO, DI "MAMMONA", "MAMMASANTISSIMA", E DI COME I PASTORI ... IMPARANO A MANGIARE LE PECORE E GLI AGNELLI, E A CONTINUANO A GOZZOVIGLIARE ALLA TAVOLA DEL LORO "DIO"!!! Avanti tutta, verso il III millennio avanti Cristo!!!

Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/9/2012 18.54
Titolo:FEDE RATZINGERIANA CONTRO VATICANO II E TESTAMENTO DI MARTINI
Non banalizzate il cardinale

di Aldo Maria Valli (Europa, 11 settembre 2012)

Il cardinale Martini è morto a poche settimane dal cinquantesimo anniversario dell’inizio del Concilio (11 ottobre 1962). Furono per lui, disse una volta, i più bei anni della sua vita, perché aria fresca entrava in una Chiesa che sapeva troppo si sacrestia e di muffa, e perché lo studio delle sacre scritture su base storica ne usciva legittimato, permettendo così anche ai cattolici di abbandonare il semplice devozionismo per entrare in un rapporto più maturo e adulto con la Bibbia.

Con il testamento spirituale consegnato al confratello padre Georg Sporschill, Martini ha indicato la strada per la Chiesa del terzo millennio: povertà e non sfarzo, collegialità e non centralismo, profezia e non burocrazia, testimonianza e non legalismo. Ha però ragione Vito Mancuso a dire (sulla Repubblica) che nei confronti del potente messaggio di Martini è subito partita un’operazione di ridimensionamento, una di quelle in cui la Chiesa gerarchica è sempre stata molto abile. Si sta mettendo il silenziatore alle denunce di Martini e si cerca di ridurre il suo messaggio a quello di un servitore della Chiesa generoso ma probabilmente un po’ troppo vivace. Servitore certamente lo è stato, fino all’ultimo, ma indignato! E triste davanti a una Chiesa cieca e sorda di fronte ai veri drammi degli uomini e delle donne di oggi.

Ma un’analoga operazione di ridimensionamento sta avvenendo anche nei confronti dello stesso Concilio Vaticano II. Il papa, in occasione dell’anniversario, ha proclamato un anno della fede. Il che provoca qualche perplessità perché sarebbe come, per un marito, proclamare l’anno dell’amore verso la moglie, o per uno studente l’anno dello studio. Ma, a parte questo, il problema è che, nei commenti e nelle iniziative che arrivano dalla Chiesa gerarchica, l’anno della fede, di cui si occupa il misterioso Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione (nome burocraticissimo), ha completamente soppiantato l’anniversario del Concilio.

Come non bastasse, l’accento viene posto volentieri sul fatto che in questo 2012 ricorre anche il ventesimo anniversario del nuovo Catechismo della Chiesa cattolica (1992), e così il gioco è fatto: anziché parlare del Concilio, della sua attualità e del bisogno, eventualmente, di farne un altro, ecco che tutto viene ridotto di nuovo a devozionismo e legalismo. Così lo spirito profetico viene accantonato, ridotto a folclore, e si torna a mettere in primo piano le norme, proprio come denunciato dal cardinale Martini.

L’operazione, ripetiamo, non è certamente nuova, ma rappresenta una costante da parte dei curiali e della Chiesa gerarchica, sempre pronta a catturare le novità per ingabbiarle, ridimensionarle, assorbirle in sé e sostanzialmente annullarle. Davanti allo stesso annuncio del Concilio da parte di Giovanni XXIII (accolto dai cardinali con un «impressionante, devoto silenzio», come annotò il papa non senza ironia) la curia reagì cercando di riportare il tutto, per quanto possibile, nell’ambito del centralismo, depotenziando immediatamente l’iniziativa papale.

Non dimentichiamo, per esempio, che Giovanni XXIII dovette imporsi per far inviare ai vescovi di tutto il mondo una lettera con la quale chiedeva quali dovessero essere a loro parere i temi da mettere al centro del Concilio. Il cardinale Felici, infatti, voleva che fosse la curia a occuparsi della questione e che ai vescovi fosse inviato un semplice prestampato con l’invito ad esprimere opinioni su quanto elaborato da Roma.

Nei quattro anni di preparazione del Concilio l’impegno di Giovanni XXIII fu di mettere d’accordo la carica profetica dell’iniziativa con le esigenze organizzative senza penalizzare la prima ai danni delle seconde, e su questo terreno dovette combattere una battaglia continua con il partito della curia. La stessa parola messa dal papa al centro della riflessione, “aggiornamento”, venne guardata con sospetto e si cercò di depotenziarla, esattamente come si sta facendo oggi con l’eredità di Martini.

Aggiornamento, per il papa, non doveva essere soltanto una revisione del linguaggio. Doveva essere una nuova creatività, la rinnovata disponibilità a confrontare il Vangelo con le culture e a farne scaturire una vita dalla parte della giustizia e dei più poveri, senza alcuna forma di autocompiacimento per le proprie sicurezze e nessun compromesso con il potere in tutti i suoi aspetti.

Ecco perché papa Roncalli volle un Concilio pastorale, non dogmatico. Come disse il teologo domenicano Marie-Dominique Chenu «tutto questo Concilio è pastorale come presa di coscienza, da parte della Chiesa, della sua missione». Un Concilio, quindi, denotato da una «originalità sensazionale», perché, «senza ignorare gli errori, le malvagità, le oscurità di questo tempo, non si pone in atteggiamento di tensione o di chiusura verso di esso, ma discerne soprattutto nelle sue speranze e nei suoi valori i richiami impliciti del Vangelo e vi trova la materia e la legge di un dialogo».

Giovanni XXII volle che il Concilio fosse libero, dialogo a tutto campo, e anche su questo dovette subire l’opposizione dei curiali e dei tradizionalisti. Criticava apertamente quei padri conciliari che, per il fatto di essere teologi, pensavano di dover produrre lezioni di teologia per dirimere questioni dottrinali e non riuscivano a concepire l’idea di mettersi in ascolto del mondo e delle Chiese dei diversi continenti. Dovette faticare per lasciare libertà ai vescovi e invitarli al confronto, senza paura. Lasciandosi trasportare dallo Spirito, papa Roncalli riuscì a condurre la barca del Concilio in mare aperto, là dove gli fu possibile dispiegare le vele con quelle parole iniziali della sua prima allocuzione: Gaudet Mater Ecclesia, la madre Chiesa si rallegra! I curiali e i tradizionalisti (i “profeti di sventura”), sempre pronti a innestare la marcia indietro, furono sconfitti.

Ma eccoli risorgere ad ogni svolta. E ora ci riprovano. Con l’anniversario del Concilio e con il testamento di Martini. Prontamente soppiantati da un istituzionale anno della fede gestito dal centro, all’insegna di celebrazioni e convegni con i soliti noti, e da una lettura riduzionistica tesa a privilegiare il Martini testimone della fede e, al più, uomo del dialogo, ma ignorando la sua denuncia di una Chiesa che non si scuote, conserva più cenere che brace ed è dominata dalla paura e dall’autoconservazione.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/9/2012 09.20
Titolo:CHIESA "PER MOLTI", NON "PER TUTTI". Non c’erano autorità né religiose né laic...
Chiesa di tutti, chiesa dei poveri

di Giancarla Codrignani (17 settembre 2012) *

Anche gli amici che non erano a Roma, ma fanno parte di quel popolo di Dio che sente il disagio critico di una transizione necessaria (ma ricusata) della sua Chiesa e, forse, non aveva avuto notizia di questa convocazione, dovrebbero essere grati a Vittorio Bellavite, Emma Cavallaro, Giovanni Cereti, Franco Ferrari, Raniero La Valle, Alessandro Maggi, Enrico Peyretti e Fabrizio Truini, che hanno collaborato per costruire un’agorà comunitaria di credenti nel forte convincimento che il Concilio Vaticano II portò nella storia della Chiesa cattolica un rinnovamento irrinunciabile.

Hanno aderito 99 associazioni grandi e piccole (e le più grandi hanno fatto un passo indietro per non prevaricare) e 28 riviste, concordi nel promuovere a Roma l’evento "Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri" rievocando simbolicamente il radiomessaggio di Giovanni XXIII l’undici settembre 1962, quando invitò i fedeli a costruire la "primavera della Chiesa", della "Chiesa dei poveri".

Nessun’intenzione di "commemorare" il Concilio Vaticano II, ma una rinnovata volontà di cercare nuove vie alla sua troppo rinviata attuazione.

Lo ha detto Cettina Militello nella forma più intensa: siamo tutti responsabili della mancata attuazione di una riforma della Chiesa cattolica, non più rinviabile soprattutto perché non si tratta di alterare la tradizione, ma di metterla in novità per evitarne la cristallizzazione in atto. Nessuna contestazione, dunque, ma una fedeltà coraggiosa che vuole una chiesa dei poveri e per i poveri, una chiesa secondo il Vangelo.

Carlo Molari ha approfondito la necessità di una "tradizione vivente", e di una ricerca dell’azione dello Spirito nella nuova situazione storica, individuando nel post-concilio la grande carenza di una Chiesa che non è "dei poveri per i poveri".

Che si tratti di esigenze di cambiamenti urgenti lo ha testimoniato p. Felice Scalia con un sofferto e duro intervento sulla situazione della Compagnia di Gesù, in crisi "numerica e di coscienza". Ovvii i richiami a tutta la problematica in questione, dalla liturgia alla collegialità, dall’ecumenismo (evocato da Paolo Ricca) alla presenza delle donne, dalle parole del card. Martini alla rievocazione di Paolo VI fatta da dom Giovanni Franzoni, dalla discriminazione degli omosessuali credenti al valore del concilio "pastorale".

Non c’erano autorità né religiose né laiche. Nessun prete con la veste; alcune suore sì. Le donne hanno più coraggio. Ma tutti dobbiamo andare avanti.

*Fonte: Incontri di "Fine settimana".

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Commenti Articolo 755

Titolo articolo : NOTE A MARGINE DEL DOCUMENTO, PER IL CONVEGNO DEL 15 SETTEMBRE 2012,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/18/2012 - 08:14:25.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/9/2012 19.21
Titolo:Indicazioni sulla buona-comunicazione (eu-angelo, ev-angelo) ...
«Il modello? Il dialogo misterioso nel sepolcro di Gesù»

di Carlo Maria Martini (Avvenire, 12 settembre 2012)

Solitamente si dà della comunicazione una definizione empirica: comunicare è «dire qualcosa a qualcuno». Dove quel «qualcosa» si può allargare a livello planetario, attraverso il grande mondo della rete che è andato ad aggiungersi ai mezzi di comunicazione classici. Anche quel «qualcuno» ha subìto una crescita sul piano globale, al punto che gli uditori o i fruitori del messaggio in tempo reale non si possono nemmeno più calcolare.

Questa concezione empirica, alla luce dell’odierno allargamento di prospettive, dove sempre più si comunica senza vedere il volto dell’altro, ha fatto emergere con chiarezza il problema maggiore della comunicazione, ossia il suo avvenire spesso solo esteriormente, mantenendosi sul piano delle nude informazioni, senza che colui che comunica e colui che riceve la comunicazione vi siano implicati più di tanto.

Per questo vorrei tentare di dare della comunicazione una descrizione «teologica», che parta cioè dal comunicarsi di Dio agli uomini, e lo vorrei fare enunciando qui alcune riflessioni che potrebbero servire per una nuova descrizione del fenomeno.

Nel sepolcro di Gesù, la notte di Pasqua, si compie il gesto di comunicazione più radicale di tutta la storia dell’umanità. Lo Spirito Santo, vivificando Gesù risorto, comunica al suo corpo la potenza stessa di Dio. Comunicandosi a Gesù, lo Spirito si comunica all’umanità intera e apre la via a ogni comunicazione autentica. Autentica perché comporta il dono di sé, superando così l’ambiguità della comunicazione umana in cui non si sa mai fino a che punto siano implicati soggetto e oggetto.

La comunicazione sarà dunque anzitutto quella che il Padre fa di sé a Gesù, poi quella che Dio fa a ogni uomo e donna, quindi quella che noi ci facciamo reciprocamente sul modello di questa comunicazione divina. Lo Spirito Santo, che riceviamo grazie alla morte e resurrezione di Gesù e che ci fa vivere a imitazione di Gesù stesso, presiede in noi allo spirito di comunicazione. Egli pone in noi caratteristiche, quali la dedizione e l’amore per l’altro, che ci richiamano quelle del Verbo incarnato. Di qui potremmo dedurre alcune conclusioni su ogni nostro rapporto comunicativo.

Primo. Ogni nostra comunicazione ha alla radice la grande comunicazione che Dio ha fatto al mondo del suo Figlio Gesù e dello Spirito Santo, attraverso la vita, morte e resurrezione di Gesù e la vita di Gesù stesso nella Chiesa. Si capisce perciò come i Libri sacri, che in sostanza parlano di questa comunicazione, siano opere di grande valore per la storia del pensiero umano. È vero che anche i libri di altre religioni possono essere ricchi di contenuto, ma questo è dovuto al fatto che sottostà a essi il dato fondamentale di Dio che si dona all’uomo.

Secondo. Ogni comunicazione deve tenere presente come fondante la grande comunicazione di Dio, capace di dare il ritmo e la misura giusti a ogni gesto comunicativo. Ne consegue che un gesto sarà tanto più comunicativo quanto non solo comunicherà informazioni, ma metterà in rapporto le persone. Ecco perché la comunicazione di una verità astratta, anche nella catechesi, appare carente rispetto alla piena comunicazione che si radica nel dono di Dio all’uomo.

Terzo. Ogni menzogna è un rifiuto di questa comunicazione. Quando ci affidiamo con coraggio all’imitazione di Gesù, sappiamo di essere anche veri e autentici. Quando ci distacchiamo da questo spirito, diveniamo opachi e non comunicanti.

Quarto. Anche la comunicazione nelle famiglie e nei gruppi dipende da questo modello. Essa non è soltanto trasmissione di ordini o proposta di regolamenti ma suppone una dedizione, un cuore che si dona e che quindi è capace di muovere il cuore degli altri.

Quinto. Anche la comunicazione nella Chiesa obbedisce a queste leggi. Essa non trasmette solo ordini e precetti, proibizioni o divieti. È scambio dei cuori nella grazia dello Spirito Santo. Perciò le sue caratteristiche sono la mutua fiducia, la parresia, la comprensione dell’altro, la misericordia
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/9/2012 19.52
Titolo:PER LA PACE. Lettera aperta al cardinale Martini (2005)
UN APPELLO PER LA PACE: UN NUOVO CONCILIO, SUBITO!

Caro Cardinale Martini

“Era””, “è ”: GESU’, IL SALoMONE, IL PESCE (“Ixthus”), sempre libero dalle reti del Pastore-Pescatore (del IV sec.)!

di Federico La Sala *

Karol Wojtyla, il grande Giovanni Paolo II è morto! E se è vero che “il mondo - come ha detto il nuovo papa - viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori”, è anche vero che nel IV secolo - con il ‘pallio’ ... di Roma, comincia “la grande politica” - muore il cristianesimo e nasce l’impero cattolico-romano. La religione ebraica diventa passato, archeologia, e la religione cattolico-romana diventa storia, presente e futuro. Contro ogni tentennamento, la “Dominus Jesus” non è stata scritta invano e la prima Omelia (24 aprile 2005) di Ratzinger - Benedetto XVI ha chiarito subito, senza mezzi termini, a tutti i fratelli e a tutte le sorelle, chi è il fratello maggiore (e chi sono - i fratelli maggiori)... chi è il nuovo Papa, e qual è la “nuova Gerusalemme”.

Per Ratzinger - BenedettoXVI non c’è nessun dubbio e nessun passo indietro da fare. Finalmente un passo avanti è stato fatto. Guardino pure i sudditi dell’Urbe, e dell’Orbi: il “distintivo” cattolico è qui! Ma Wojtyla? Giovanni Paolo II? La visita alla Sinagoga di Roma? Toaff? - La Sinagoga?! Toaff?! Gerusalemme?!: “Roma omnia vincit”, non Amor...! Rilegga l’Omelia (www.ildialogo.org/primopiano): la Chiesa cattolico-romana è viva, vince alla grande, im-mediaticamente! Rifletta almeno su questi “passaggi”:

"Cari amici! In questo momento non ho bisogno di presentare un programma di governo [...] Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia. Invece di esporre un programma io vorrei semplicemente cercare di commentare i due segni con cui viene rappresentata liturgicamente l’assunzione del Ministero Petrino; entrambi questi segni, del resto, rispecchiano anche esattamente ciò che viene proclamato nelle letture di oggi". "Il primo segno è il Pallio, tessuto in pura lana, che mi viene posto sulle spalle. Questo antichissimo segno, che i Vescovi di Roma portano fin dal IV secolo, può essere considerato come un’immagine del giogo di Cristo, che il Vescovo di questa città, il Servo dei Servi di Dio, prende sulle sue spalle. Il giogo di Dio è la volontà di Dio, che noi accogliamo. [...]

"E questa volontà non è per noi un peso esteriore, che ci opprime e ci toglie la libertà. Conoscere ciò che Dio vuole, conoscere qual è la via della vita - questa era la gioia di Israele, era il suo grande privilegio. Questa è anche la nostra gioia: la volontà di Dio non ci aliena, ci purifica magari in modo anche doloroso e così ci conduce a noi stessi. [...] In realtà il simbolismo del Pallio è ancora più concreto: la lana d’agnello intende rappresentare la pecorella perduta o anche quella malata e quella debole, che il pastore mette sulle sue spalle e conduce alle acque della vita. La parabola della pecorella smarrita, che il pastore cerca nel deserto, era per i Padri della Chiesa un’immagine del mistero di Cristo e della Chiesa.[...]. Così il Pallio diventa il simbolo della missione del pastore, di cui parlano la seconda lettura ed il Vangelo. La santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore [...]. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi”.

In verità, Nietzsche, uno dei tre grandi - con Marx e Freud - maestri del sospetto che stimava Gesù, ma nient’affatto il cattolicesimo - definito da lui, un platonismo per il popolo, l’aveva già detto - e anche in modo più profetico: “il deserto avanza. Guai a chi nasconde il deserto dentro di sé!” (Così parlò Zarathustra).

Cosa pensare? Che fare, intanto? Aspetterò. Sì! Aspetterò! Per amore di tutta la Terra e “per amore di Gerusalemme non mi darò pace, finché non sorga come stella la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come una lampada. Allora tutti i popoli vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria”(Isaia).

Federico La Sala

*www.ildialogo.org, Mercoledì, 27 aprile 2005
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/9/2012 09.00
Titolo:DISOBBEDIRE. La trasgressione in questo caso è responsabilità ....
Disobbedire

di Jacques Noyer (vescovo emerito di Amiens)

in “www.temoignagechretien.fr” del 9 settembre 2012 *

«Signor parroco, vorremmo vederla. Stiamo per sposarci, ma io sono divorziato...» Mi è stato riferito recentemente che un prete sentendo queste parole ha richiuso la porta della casa parrocchiale affermando: «Sono desolato ma non posso far nulla per voi!». Ecco un funzionario come si deve! È questa l’obbedienza?

Senza dubbio molti altri avrebbero fatto entrare la coppia e l’avrebbero ascoltata. Alcuni, con molto garbo, avrebbero concluso con le stesse parole: non posso far nulla per voi. Altri avrebbero cercato di rispondere entrando maggiormente nel merito della richiesta di queste persone abitate dal desiderio di situare il loro amore e il loro progetto di vita sotto lo sguardo del loro Dio o almeno sotto lo sguardo della loro famiglia e dei loro amici cristiani. Molti pastori riterranno loro compito vedere queste persone con lo sguardo di Cristo.

Non possono immaginare che colui che si è fermato a parlare con la Samaritana rifiuti di prestare attenzione alla loro richiesta. In quel dialogo, il pastore si impegna con le proprie convinzioni, ma con la preoccupazione di accogliere la sete profonda dei suoi interlocutori. Non ci sono risposte prefabbricate. Con maggiore o minore audacia, proporrà il cammino che ritiene il migliore per il caso singolare che ha davanti.

Potrà ritenere che l’applicazione pura e semplice delle norme ferirà l’attesa confusa che si trova di fronte. Sa che al di là di Gerusalemme e del Garizim, c’è un Dio d’amore che si adora in spirito e verità. Non ci si può rifiutare di superare la linea gialla quando si tratta di evitare di schiacciare qualcuno. La trasgressione in questo caso non è disobbedienza. È responsabilità.

La situazione ecclesiale che si è creata attorno all’ «appello alla disobbedienza» dei preti austriaci diventa non controllabile. Questa provocazione è molto rischiosa. Vogliamo una reazione intollerante capace di generare drammatiche lacerazioni nella nostra Chiesa? L’inerzia del Vaticano, diffusa da una gerarchia impaurita, avrà, una volta di più, ragione di un modo di sentire di alcuni lasciandolo marcire senza risposte? A mio avviso sarebbe stato meglio un «appello alla obbedienza» all’audacia del vangelo.

La Chiesa non può addormentarsi nelle sue certezze e nelle sue abitudini. Non ha il diritto di sacralizzare un momento della storia per rifiutare di amare il presente. I preti non hanno il diritto di far tacere gli appelli del loro animo di pastori per un’obbedienza formale alla legge. I vescovi non possono giustificare la loro inerzia per la paura di una reazione della Curia.

Il Papa ha sufficientemente ricordato la grandezza del Concilio, perché nessuno si dimentichi delle proprie responsabilità nella missione del popolo di Dio. Abbiamo troppo sofferto per un’obbedienza intesa come una semplice rinuncia all’iniziativa e all’inventiva. Credo che l’obbedienza al Padre di Gesù Cristo è contraria ad una sottomissione cieca al diritto canonico.

Desidererei ascoltare a tutti i livelli della Chiesa il fremito dello Spirito Santo che fa nuove tutte le cose. Mi piacerebbe che ordinare un prete non fosse rinchiuderlo nel ruolo di esecutore di ordini, ma dargli fiducia. Mi piacerebbe che affidare una diocesi ad un vescovo consistesse nel chiedergli pareri e proposte e non invece nell’esigere un giuramento di fedeltà. Mi piacerebbe poter fare ascoltare fino ai vertici le invocazioni di questo popolo che cerca acqua fresca e rifiuta l’acqua stagnante delle cisterne vaticane.

La Volontà del Padre che manda il suo Figlio e ci invita all’avventura del Regno non è un regolamento ma una creazione, un concepimento, una risurrezione. Che la Tua volontà sia fatta, diciamo! Ma non è un abbandono. Come un’eco, ascoltiamo il Padre ridirci che non ha bisogno di schiavi sottomessi, ma di figli liberi alla cui iniziativa affida la responsabilità del suo progetto d’amore

* Fonte: Incontri di "Fine Settimana".
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/9/2012 10.38
Titolo:UNA CHIESA NUOVA E' POSSIBILE ...
Affollata assemblea di gruppi ecclesiali, riviste, associazioni a 50 anni dall’inizio del Concilio *

di Roberto Monteforte (l’Unità, 16 settembre 2012)

Far vivere il Concilio Vaticano II. Dargli applicazione e con gioia, guardando con speranza al futuro. Perché la sua piena ricezione è ancora lontana.

Di questo si è discusso ieri a Roma nell’affollatissima assemblea tenutasi al teatro dell’Istituto Massimo di Roma. «Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri» è il titolo dell’appuntamento autoconvocato e autofinanziato a 50 anni dall’inizio del Concilio cui hanno aderito oltre 104 sigle di associazioni, gruppi ecclesiali, movimenti, riviste e organizzazioni tutte attente all’esigenza che non si disperda o si depotenzi l’insegnamento del Concilio Vaticano II. Sono stati oltre settecento i partecipanti giunti da tutta Italia. Segno di quanto forte ed estesa sia la domanda per una Chiesa che sappia dialogare con fiducia e speranza con il mondo contemporaneo avendo il coraggio di cambiare se stessa.

L’incontro si è aperto con un ricordo del cardinale Carlo Maria Martini e al suo coraggio profetico. Teologi, storici, studiosi e uomini di Chiesa hanno approfondito i nodi posti dal Concilio alla Chiesa a partire dalla sua ermeneutica. Alla polemica su rottura o continuità con la tradizione della Chiesa.

«È una disputa da abbandonare perché non coglie il nodo rappresentato dal Concilio. Perché il cambiamento era già in corso nella Chiesa. Perché la dottrina cambia sempre e cambiamo i significati. Perché se la Chiesa è sempre la stessa, la Tradizione vivente è in continua evoluzione per rendere “presente” e continuamente aggiornato nella nuova condizione storica ciò che è stato tramandato» lo afferma il teologo padre Carlo Molari. «La pluralità delle dottrine presenti nella Chiesa ed anche le rotture sono importanti per il suo sviluppo». C’è ancora bisogno che la Chiesa sappia «raccordarsi con la modernità».

Lo storico Giovanni Turbanti ha inquadrato il contesto storico, sociale, politico ed economico che ha portato alla sua convocazione. La biblista Rosanna Virgili sottolinea la «festosità liberatoria dell’annuncio cristiano e l’apporto fondamentale dato dalle donne. «Dio parla alle donne - afferma - che sono depositarie di una fede che non esclude. Perché non ci sono più lontani quando si può comunicare e si è abbattuta l’inimicizia fatta di leggi che distinguevano e discriminavano creando inimicizia».

Mentre Cettina Militello ha affrontato il nodo «delle prospettive future nella speranza di un vero aggiornamento». «Bisogna passare dall’ermeneutica conciliare all’attuazione del Concilio. All’attuazione di quanto faticosamente elaborato dai padri conciliari» ha affermato. Sottolinea l’importanza dell’«aggiornamento» della Chiesa. Invita a riflettere sulla speranza di un «vero rinnovamento» della Chiesa, di una sua autentica profezia rispetto alla mutazione culturale in atto. Ne indica gli ambiti: «il piano della Liturgia, dell’autocoscienza di chiesa, dell’acquisizione sempre maggiore della parola di Dio, del dialogo Chiesa con il mondo». Va pure perseguita l’istanza ecumenica, e interreligiosa, l’istanza «dialogica». Sottolinea i limiti della partecipazione attiva, della sinodalità, dell’ ascolto e del dialogo, necessari per attuare quella trasformazione strutturale della Chiesa voluta dai padri conciliari, per il suo ritorno a uno stile evangelico di compartecipazione e effettiva comunione.

Interviene da «testimone» l’allora giovanissimo abate benedettino della Basilica di San paolo, Giovanni Battista Franzoni. Parla della scelta per i «poveri» e del coraggio di Paolo VI. Porta la sua testimonianza il teologo valdese Paolo Ricca. Soprattutto recuperando appieno il ruolo del «Popolo di Dio», dei laici nella Chiesa, successori dei «discepoli». Lo sottolinea Raniero La Valle che conclude i lavori. «Perché - fa notare - non c’è solo la successione apostolica da Pietro sino ai nostri vescovi e al Papa. C’è anche una successione laicale, non meno importante dell’altra che è giunta sino a noi». Senza questa «non vi sarebbe il Popolo di Dio e neanche la Chiesa degli apostoli».

Sottolinea come la forza del Concilio Vaticano II sia stata il fare l’ermeneutica di tutti i concili precedenti. Per questo «non lo si può accantonare ». Sta anche in questo la ragione e la forza dell’assemblea convocata ieri.

La Valle annuncia l’impegno a raccogliere quella domanda che interpella ancora. Chiede una nuova politica, una nuova giustizia, una nuova economia. Che chiede una Chiesa dei poveri e con i poveri. Richiama i compiti nuovi che il Concilio affida e riconosce ai laici. «Sulla riforma della chiesa e delle sue strutture il Concilio è rimasto ai nastri partenza. La Chiesa anticonciliare ha bloccato la collegialità e ha rafforzato i vincoli di dipendenza gerarchica» ma una Chiesa nuova è possibile. Vi è una storia da trasmettere. Un impegno che, assicura La Valle, non si fermerà con questa assemblea. Vi sarà un sito per mettere in rete riflessioni e iniziative e per partecipare alle iniziative delle singole Chiese e a quelle internazionali che culmineranno nel 2015 all’anniversario delle conclusioni del Concilio. Vi sarà un «coordinamento leggero» per far incontrare sforzi diversi e rendere possibile quel «Il Concilio è nelle vostre mani» soprattutto le mani dei poveri invocato dallo stesso Raniero La Valle.

* Titolo redazionale

* Fonte: Incontri di "Fine Settimanana"
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/9/2012 18.41
Titolo:SONNO DOGMATICO PROFONDO, NONSTANTE RANIERO LA VALLE ....
AVERE IL CORAGGIO di dire ai nostri giovani-vecchi "cattolici" e alle nostre giovani-vecchie "cattoliche" che sono tutte sovrane, tutti sovrani!!! Un nodo ancora non sciolto....


"Sulla riforma della chiesa e delle sue strutture il Concilio è rimasto ai nastri partenza. La Chiesa anticonciliare ha bloccato la collegialità e ha rafforzato i vincoli di dipendenza gerarchica» ma una Chiesa nuova è possibile" (Raniero la valle)

MA QUALE CHIESA DI QUALE DIO?!

"DEUS CHARITAS EST" (1 Gv. 4.8)

O

"DEUS CARITAS EST" (Benedetto XVI, 2006)?!


"Di quale Dio parliamo quando parliamo di Dio, e di quale Dio parlano quando parlano di Dio? La domanda è cruciale. Infatti non è per niente chiaro, non è sempre lo stesso, e sovente non è un Dio innocuo" (Raniero La Valle, "Se questo è un Dio", pag. 9)

NONOSTANTE LA PRESENZA DI RANIERO LA VALLE, L'AFFOLLATA ASSEMBLEA NON HA RISPOSTO!!!


ASPETTIAMO!


SIAMO SOLO A 50 ANNI DALL'INIZIO DEL CONCILIO VATICANO II ....

Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/9/2012 08.14
Titolo:Non c’erano autorità né religiose né laiche. Nessun prete con la veste; alcune s...
Chiesa di tutti, chiesa dei poveri

di Giancarla Codrignani (17 settembre 2012) *

Anche gli amici che non erano a Roma, ma fanno parte di quel popolo di Dio che sente il disagio critico di una transizione necessaria (ma ricusata) della sua Chiesa e, forse, non aveva avuto notizia di questa convocazione, dovrebbero essere grati a Vittorio Bellavite, Emma Cavallaro, Giovanni Cereti, Franco Ferrari, Raniero La Valle, Alessandro Maggi, Enrico Peyretti e Fabrizio Truini, che hanno collaborato per costruire un’agorà comunitaria di credenti nel forte convincimento che il Concilio Vaticano II portò nella storia della Chiesa cattolica un rinnovamento irrinunciabile.

Hanno aderito 99 associazioni grandi e piccole (e le più grandi hanno fatto un passo indietro per non prevaricare) e 28 riviste, concordi nel promuovere a Roma l’evento "Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri" rievocando simbolicamente il radiomessaggio di Giovanni XXIII l’undici settembre 1962, quando invitò i fedeli a costruire la "primavera della Chiesa", della "Chiesa dei poveri".

Nessun’intenzione di "commemorare" il Concilio Vaticano II, ma una rinnovata volontà di cercare nuove vie alla sua troppo rinviata attuazione.

Lo ha detto Cettina Militello nella forma più intensa: siamo tutti responsabili della mancata attuazione di una riforma della Chiesa cattolica, non più rinviabile soprattutto perché non si tratta di alterare la tradizione, ma di metterla in novità per evitarne la cristallizzazione in atto. Nessuna contestazione, dunque, ma una fedeltà coraggiosa che vuole una chiesa dei poveri e per i poveri, una chiesa secondo il Vangelo.

Carlo Molari ha approfondito la necessità di una "tradizione vivente", e di una ricerca dell’azione dello Spirito nella nuova situazione storica, individuando nel post-concilio la grande carenza di una Chiesa che non è "dei poveri per i poveri". Che si tratti di esigenze di cambiamenti urgenti lo ha testimoniato p. Felice Scalia con un sofferto e duro intervento sulla situazione della Compagnia di Gesù, in crisi "numerica e di coscienza". Ovvii i richiami a tutta la problematica in questione, dalla liturgia alla collegialità, dall’ecumenismo (evocato da Paolo Ricca) alla presenza delle donne, dalle parole del card. Martini alla rievocazione di Paolo VI fatta da dom Giovanni Franzoni, dalla discriminazione degli omosessuali credenti al valore del concilio "pastorale".

Non c’erano autorità né religiose né laiche. Nessun prete con la veste; alcune suore sì. Le donne hanno più coraggio. Ma tutti dobbiamo andare avanti.

*Fonte: Incontri di "Fine settimana".

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Commenti Articolo 756

Titolo articolo : CHIESA "PER MOLTI", NON "PER TUTTI"!!! AL DI LA' DEL VATICANO II: IL "SACRO IMPERO ROMANO" DEL 'CATTOLICO' OCCIDENTE. Per il Convegno "Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri", cinque note a margine -,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/18/2012 - 08:11:53.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/9/2012 10.11
Titolo:L’obbedienza al Padre di Gesù Cristo è contraria ad una sottomissione cieca
Disobbedire

di Jacques Noyer (vescovo emerito di Amiens)

in “www.temoignagechretien.fr” del 9 settembre 2012 *

«Signor parroco, vorremmo vederla. Stiamo per sposarci, ma io sono divorziato...» Mi è stato riferito recentemente che un prete sentendo queste parole ha richiuso la porta della casa parrocchiale affermando: «Sono desolato ma non posso far nulla per voi!». Ecco un funzionario come si deve! È questa l’obbedienza?

Senza dubbio molti altri avrebbero fatto entrare la coppia e l’avrebbero ascoltata. Alcuni, con molto garbo, avrebbero concluso con le stesse parole: non posso far nulla per voi. Altri avrebbero cercato di rispondere entrando maggiormente nel merito della richiesta di queste persone abitate dal desiderio di situare il loro amore e il loro progetto di vita sotto lo sguardo del loro Dio o almeno sotto lo sguardo della loro famiglia e dei loro amici cristiani. Molti pastori riterranno loro compito vedere queste persone con lo sguardo di Cristo.

Non possono immaginare che colui che si è fermato a parlare con la Samaritana rifiuti di prestare attenzione alla loro richiesta. In quel dialogo, il pastore si impegna con le proprie convinzioni, ma con la preoccupazione di accogliere la sete profonda dei suoi interlocutori. Non ci sono risposte prefabbricate. Con maggiore o minore audacia, proporrà il cammino che ritiene il migliore per il caso singolare che ha davanti.

Potrà ritenere che l’applicazione pura e semplice delle norme ferirà l’attesa confusa che si trova di fronte. Sa che al di là di Gerusalemme e del Garizim, c’è un Dio d’amore che si adora in spirito e verità. Non ci si può rifiutare di superare la linea gialla quando si tratta di evitare di schiacciare qualcuno. La trasgressione in questo caso non è disobbedienza. È responsabilità.

La situazione ecclesiale che si è creata attorno all’ «appello alla disobbedienza» dei preti austriaci diventa non controllabile. Questa provocazione è molto rischiosa. Vogliamo una reazione intollerante capace di generare drammatiche lacerazioni nella nostra Chiesa? L’inerzia del Vaticano, diffusa da una gerarchia impaurita, avrà, una volta di più, ragione di un modo di sentire di alcuni lasciandolo marcire senza risposte? A mio avviso sarebbe stato meglio un «appello alla obbedienza» all’audacia del vangelo.

La Chiesa non può addormentarsi nelle sue certezze e nelle sue abitudini. Non ha il diritto di sacralizzare un momento della storia per rifiutare di amare il presente. I preti non hanno il diritto di far tacere gli appelli del loro animo di pastori per un’obbedienza formale alla legge. I vescovi non possono giustificare la loro inerzia per la paura di una reazione della Curia.

Il Papa ha sufficientemente ricordato la grandezza del Concilio, perché nessuno si dimentichi delle proprie responsabilità nella missione del popolo di Dio. Abbiamo troppo sofferto per un’obbedienza intesa come una semplice rinuncia all’iniziativa e all’inventiva. Credo che l’obbedienza al Padre di Gesù Cristo è contraria ad una sottomissione cieca al diritto canonico.

Desidererei ascoltare a tutti i livelli della Chiesa il fremito dello Spirito Santo che fa nuove tutte le cose. Mi piacerebbe che ordinare un prete non fosse rinchiuderlo nel ruolo di esecutore di ordini, ma dargli fiducia. Mi piacerebbe che affidare una diocesi ad un vescovo consistesse nel chiedergli pareri e proposte e non invece nell’esigere un giuramento di fedeltà. Mi piacerebbe poter fare ascoltare fino ai vertici le invocazioni di questo popolo che cerca acqua fresca e rifiuta l’acqua stagnante delle cisterne vaticane.

La Volontà del Padre che manda il suo Figlio e ci invita all’avventura del Regno non è un regolamento ma una creazione, un concepimento, una risurrezione. Che la Tua volontà sia fatta, diciamo! Ma non è un abbandono. Come un’eco, ascoltiamo il Padre ridirci che non ha bisogno di schiavi sottomessi, ma di figli liberi alla cui iniziativa affida la responsabilità del suo progetto d’amore

* Fonte: Incontri di "Fine Settimana".
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/9/2012 10.15
Titolo:Per la buona-comunicazione (eu-angelo, ev-angelo), indicacioni di Carlo M. Mart...
«Il modello? Il dialogo misterioso nel sepolcro di Gesù»

di Carlo Maria Martini (Avvenire, 12 settembre 2012)

Solitamente si dà della comunicazione una definizione empirica: comunicare è «dire qualcosa a qualcuno». Dove quel «qualcosa» si può allargare a livello planetario, attraverso il grande mondo della rete che è andato ad aggiungersi ai mezzi di comunicazione classici. Anche quel «qualcuno» ha subìto una crescita sul piano globale, al punto che gli uditori o i fruitori del messaggio in tempo reale non si possono nemmeno più calcolare.

Questa concezione empirica, alla luce dell’odierno allargamento di prospettive, dove sempre più si comunica senza vedere il volto dell’altro, ha fatto emergere con chiarezza il problema maggiore della comunicazione, ossia il suo avvenire spesso solo esteriormente, mantenendosi sul piano delle nude informazioni, senza che colui che comunica e colui che riceve la comunicazione vi siano implicati più di tanto.

Per questo vorrei tentare di dare della comunicazione una descrizione «teologica», che parta cioè dal comunicarsi di Dio agli uomini, e lo vorrei fare enunciando qui alcune riflessioni che potrebbero servire per una nuova descrizione del fenomeno.

Nel sepolcro di Gesù, la notte di Pasqua, si compie il gesto di comunicazione più radicale di tutta la storia dell’umanità. Lo Spirito Santo, vivificando Gesù risorto, comunica al suo corpo la potenza stessa di Dio. Comunicandosi a Gesù, lo Spirito si comunica all’umanità intera e apre la via a ogni comunicazione autentica. Autentica perché comporta il dono di sé, superando così l’ambiguità della comunicazione umana in cui non si sa mai fino a che punto siano implicati soggetto e oggetto.

La comunicazione sarà dunque anzitutto quella che il Padre fa di sé a Gesù, poi quella che Dio fa a ogni uomo e donna, quindi quella che noi ci facciamo reciprocamente sul modello di questa comunicazione divina. Lo Spirito Santo, che riceviamo grazie alla morte e resurrezione di Gesù e che ci fa vivere a imitazione di Gesù stesso, presiede in noi allo spirito di comunicazione. Egli pone in noi caratteristiche, quali la dedizione e l’amore per l’altro, che ci richiamano quelle del Verbo incarnato. Di qui potremmo dedurre alcune conclusioni su ogni nostro rapporto comunicativo.

Primo. Ogni nostra comunicazione ha alla radice la grande comunicazione che Dio ha fatto al mondo del suo Figlio Gesù e dello Spirito Santo, attraverso la vita, morte e resurrezione di Gesù e la vita di Gesù stesso nella Chiesa. Si capisce perciò come i Libri sacri, che in sostanza parlano di questa comunicazione, siano opere di grande valore per la storia del pensiero umano. È vero che anche i libri di altre religioni possono essere ricchi di contenuto, ma questo è dovuto al fatto che sottostà a essi il dato fondamentale di Dio che si dona all’uomo.

Secondo. Ogni comunicazione deve tenere presente come fondante la grande comunicazione di Dio, capace di dare il ritmo e la misura giusti a ogni gesto comunicativo. Ne consegue che un gesto sarà tanto più comunicativo quanto non solo comunicherà informazioni, ma metterà in rapporto le persone. Ecco perché la comunicazione di una verità astratta, anche nella catechesi, appare carente rispetto alla piena comunicazione che si radica nel dono di Dio all’uomo.

Terzo. Ogni menzogna è un rifiuto di questa comunicazione. Quando ci affidiamo con coraggio all’imitazione di Gesù, sappiamo di essere anche veri e autentici. Quando ci distacchiamo da questo spirito, diveniamo opachi e non comunicanti.

Quarto. Anche la comunicazione nelle famiglie e nei gruppi dipende da questo modello. Essa non è soltanto trasmissione di ordini o proposta di regolamenti ma suppone una dedizione, un cuore che si dona e che quindi è capace di muovere il cuore degli altri.

Quinto. Anche la comunicazione nella Chiesa obbedisce a queste leggi. Essa non trasmette solo ordini e precetti, proibizioni o divieti. È scambio dei cuori nella grazia dello Spirito Santo. Perciò le sue caratteristiche sono la mutua fiducia, la parresia, la comprensione dell’altro, la misericordia
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/9/2012 10.32
Titolo:IL 'CATTOLICESIMO" OCCIDENTALE, E LA NOSTRA RRESPONSABILITA'
DOBBIAMO DIFENDERE CRISTO DAL CRISTIANESIMO

di Arturo Paoli (Dialogo, n. 97, Settembre 2012)

Trenta anni fa, Ernesto Balducci disse che le tre caravelle di Colombo erano tornate indietro. Era un modo di dire che Cristo è essenzialmente Liberatore, e Liberatore dei poveri. La teologia della liberazione è un messaggio non solo per i poveri, ma anche per tutti coloro, che credenti e non credenti, che fanno parte di quella "cultura" occidentale che oggi è direttamente responsabile dei mali del mondo.

E’ da qui che vengono le guerre, le distruzioni, la fame: dal mondo occidentale cristiano. E’ qui che si fabbricano le armi, e da qui che partono gli arerei che vanno a bombardare.

Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità.

Dobbiamo sapere che non possiamo affrontare temi come la giustizia, l'uguaglianza, i diritti dei popoli se non cambiano radicalmente la nostra cultura.

Noi abbiamo sempre pensato che il centro del mondo è l'io, il soggetto, e abbiamo proiettato questo concetto in tutte le strutture che abbiamo creato e imposto.

Compresa la globalizzazione, apoteosi di un soggetto dominatore e unificante: il mercato. La volontà di sopprimere 1'altro, l'incapacità di riconoscere la sua cultura, la sua storia, la sua religione, il suo diritto alla vita, è la conseguenza diretta del culto dell'io.

Per lo stesso motivo la Chiesa è chiesocentrica. Lo Stato è statocentrico.

Il rispetto dell'altro non è un atto di volontà, deve essere il frutto di una cultura nuova che deve ancora nascere.

Fino a che non cambieremo questo questo paradigma tutti i nostri progetti saranno superficiali.

La richiesta di perdono fatta dal papa Giovanni Paolo II è commovente, ma è come dare l'aspirina a una persona malata di cancro.

Finché non cominciamo a vivere in un altro modo, finché non capiremo che la solidarietà con i poveri non è buon cuore, ma un modo di uscire dalla colpa, di ren¬dere giustizia, tutti i nostri discorsi politici non serviranno a niente.

Ci manca un’etica, abbiamo perso il sentiero della giustizia, non sappiamo più cosa è giusto e cosa non lo è. L’etica deve essere costruita sui diritti degli oppressi: solo par¬tendo da questa base possiamo pensare a un mondo nuovo.

Cristo ha predicato la fraternità a partire dai più deboli.

Oggi noi predichiamo le stesse cose da Wall Street, dal nostro comodo benessere; predichiamo principi, idee, senza mai met¬tere i piedi per terra.

Sono secoli che pensando di amare opprimiamo.

E’ certo, oggi dobbiamo difendere Cristo dal Cristianesimo.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/9/2012 22.23
Titolo:due logiche che si fronteggiano nella chiesa quasi dai suoi albori....
Il Concilio Vaticano II mezzo secolo dopo

di Nino Lisi (il manifesto, 8 settembre 2012)

L’11 ottobre si compiranno cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II e se ne annunciano le prime commemorazioni. Una si terrà a Roma il 15 settembre nell’auditorium dell’istituto Massimo, all’Eur. La promuovono una novantina di soggetti tra riviste, associazioni e comunità, con l’intento di guardare al Concilio con gli occhi d’oggi. Approccio quanto mai opportuno, perché da anni è in atto un dibattito su un dilemma interpretativo: il Concilio segnò o no una discontinuità con il passato?

La risposta è importante, perché da essa dipenderà se la carica innovativa del Concilio sarà definitivamente soffocata o no; questione che non riguarda solo i «credenti». In realtà, per alcuni temi il Concilio fu davvero dirompente; per altri segnò una conferma. Perché allora il dibattito? Perché dietro di esso si nasconde una dialettica che, non raramente, diviene scontro tra due logiche che si fronteggiano nella chiesa quasi dai suoi albori.

Una, «istituzionale», è protesa a custodire una verità ritenuta compiutamente rivelata e a tutelarne l’integrità. Per farlo si è istituita l’area inaccessibile del sacro, cui solo pochi (la gerarchia) vengono ammessi per cooptazione, e vi si è rinchiuso il «patrimonio della fede». Si è così rinnovato quel potere del tempio che Gesù combatté e dal quale fu messo a morte; potere che, oltre a sospingere uomini e donne a rendere a Dio gloria nei cieli, non può fare ameno di preoccuparsi del proprio rafforzamento.

L’altra logica, «dell’annuncio», è protesa a diffondere il detto evangelico secondo cui perseguire la verità e la sua giustizia rende liberi, e la notizia della fraternità e sorellanza che legano insieme tutti gli esseri umani. Induce a praticare la «libertà dei figli di Dio» e ad occuparsi che in terra si renda giustizia in particolare ai più deboli, essendo questo l’unico sacrificio gradito a Dio. In questa ottica le conseguenze della buona novella vanno scoperte, capite e realizzate nella storia. La logica dell’annuncio porta poi a diffidare di ogni potere e sovente ad opporvisi, mentre il potere del tempio è inevitabilmente contiguo agli altri poteri, perché il potere ha tante facce ma in sostanza è uno ed i suoi diversi aspetti si intrecciano, si contaminano e si spalleggiano reciprocamente.

Quando scoppiano conflitti intestini la logica istituzionale porta a schierarsi con chi difende lo status quo, per l’ovvio motivo che il mantenimento dell’ordine costituito garantisce alla istituzione ecclesiastica la conservazione del suo potere, mentre un sovvertimento potrebbe metterlo in discussione. Due logiche distinte e per molti versi contrapposte generano dunque contraddizioni, tensioni e conflitti nella chiesa come nella vita e nella coscienza di tanti e tante uomini e donne di chiesa. E’ da augurarsi che l’assemblea del 15 settembre riesca a discutere apertamente delle due logiche in conflitto, essendo ciò il presupposto necessario per elaborare proficuamente la memoria del Concilio e farne scaturire impegni per il futuro, come i promotori si ripromettono.

L’andamento del conflitto e l’esito dell’assemblea dell’Eur sono importanti per tutti, non solo per i credenti. In primo luogo perché l’istituzione ecclesiastica, anche in virtù delle oltre cento nunziature e della rete di enti sparsi sul pianeta, è parte integrante del sistema di governo di «questo mondo»; e poi perché, connesse alla dialettica di cui si è detto, ci sono non solo differenti idee di chiesa ma anche visioni diverse del divino e le idee sul divino che circolano in una società hanno grande influenza sul modo in cui essa si plasma. «Si immagini - come suggerisce la teologa femminista Mary Hunt - un mondo in cui il divino venga compreso come Amico invece che come Padre, come Fonte invece che come Signore, come Pacificatore invece che come Sovrano, come cittadino invece che come Re». Si intravedrà qualcosa di quel mondo migliore cui tanti aspirano.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/9/2012 10.36
Titolo:CONCILIO VATICANO II. La sua piena ricezione è ancora lontana...
Affollata assemblea di gruppi ecclesiali, riviste, associazioni a 50 anni dall’inizio del Concilio *

di Roberto Monteforte (l’Unità, 16 settembre 2012)

Far vivere il Concilio Vaticano II. Dargli applicazione e con gioia, guardando con speranza al futuro. Perché la sua piena ricezione è ancora lontana.

Di questo si è discusso ieri a Roma nell’affollatissima assemblea tenutasi al teatro dell’Istituto Massimo di Roma. «Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri» è il titolo dell’appuntamento autoconvocato e autofinanziato a 50 anni dall’inizio del Concilio cui hanno aderito oltre 104 sigle di associazioni, gruppi ecclesiali, movimenti, riviste e organizzazioni tutte attente all’esigenza che non si disperda o si depotenzi l’insegnamento del Concilio Vaticano II. Sono stati oltre settecento i partecipanti giunti da tutta Italia. Segno di quanto forte ed estesa sia la domanda per una Chiesa che sappia dialogare con fiducia e speranza con il mondo contemporaneo avendo il coraggio di cambiare se stessa.

L’incontro si è aperto con un ricordo del cardinale Carlo Maria Martini e al suo coraggio profetico. Teologi, storici, studiosi e uomini di Chiesa hanno approfondito i nodi posti dal Concilio alla Chiesa a partire dalla sua ermeneutica. Alla polemica su rottura o continuità con la tradizione della Chiesa.

«È una disputa da abbandonare perché non coglie il nodo rappresentato dal Concilio. Perché il cambiamento era già in corso nella Chiesa. Perché la dottrina cambia sempre e cambiamo i significati. Perché se la Chiesa è sempre la stessa, la Tradizione vivente è in continua evoluzione per rendere “presente” e continuamente aggiornato nella nuova condizione storica ciò che è stato tramandato» lo afferma il teologo padre Carlo Molari. «La pluralità delle dottrine presenti nella Chiesa ed anche le rotture sono importanti per il suo sviluppo». C’è ancora bisogno che la Chiesa sappia «raccordarsi con la modernità».

Lo storico Giovanni Turbanti ha inquadrato il contesto storico, sociale, politico ed economico che ha portato alla sua convocazione. La biblista Rosanna Virgili sottolinea la «festosità liberatoria dell’annuncio cristiano e l’apporto fondamentale dato dalle donne. «Dio parla alle donne - afferma - che sono depositarie di una fede che non esclude. Perché non ci sono più lontani quando si può comunicare e si è abbattuta l’inimicizia fatta di leggi che distinguevano e discriminavano creando inimicizia».

Mentre Cettina Militello ha affrontato il nodo «delle prospettive future nella speranza di un vero aggiornamento». «Bisogna passare dall’ermeneutica conciliare all’attuazione del Concilio. All’attuazione di quanto faticosamente elaborato dai padri conciliari» ha affermato. Sottolinea l’importanza dell’«aggiornamento» della Chiesa. Invita a riflettere sulla speranza di un «vero rinnovamento» della Chiesa, di una sua autentica profezia rispetto alla mutazione culturale in atto. Ne indica gli ambiti: «il piano della Liturgia, dell’autocoscienza di chiesa, dell’acquisizione sempre maggiore della parola di Dio, del dialogo Chiesa con il mondo». Va pure perseguita l’istanza ecumenica, e interreligiosa, l’istanza «dialogica». Sottolinea i limiti della partecipazione attiva, della sinodalità, dell’ ascolto e del dialogo, necessari per attuare quella trasformazione strutturale della Chiesa voluta dai padri conciliari, per il suo ritorno a uno stile evangelico di compartecipazione e effettiva comunione.

Interviene da «testimone» l’allora giovanissimo abate benedettino della Basilica di San paolo, Giovanni Battista Franzoni. Parla della scelta per i «poveri» e del coraggio di Paolo VI. Porta la sua testimonianza il teologo valdese Paolo Ricca. Soprattutto recuperando appieno il ruolo del «Popolo di Dio», dei laici nella Chiesa, successori dei «discepoli». Lo sottolinea Raniero La Valle che conclude i lavori. «Perché - fa notare - non c’è solo la successione apostolica da Pietro sino ai nostri vescovi e al Papa. C’è anche una successione laicale, non meno importante dell’altra che è giunta sino a noi». Senza questa «non vi sarebbe il Popolo di Dio e neanche la Chiesa degli apostoli».

Sottolinea come la forza del Concilio Vaticano II sia stata il fare l’ermeneutica di tutti i concili precedenti. Per questo «non lo si può accantonare ». Sta anche in questo la ragione e la forza dell’assemblea convocata ieri.

La Valle annuncia l’impegno a raccogliere quella domanda che interpella ancora. Chiede una nuova politica, una nuova giustizia, una nuova economia. Che chiede una Chiesa dei poveri e con i poveri. Richiama i compiti nuovi che il Concilio affida e riconosce ai laici. «Sulla riforma della chiesa e delle sue strutture il Concilio è rimasto ai nastri partenza. La Chiesa anticonciliare ha bloccato la collegialità e ha rafforzato i vincoli di dipendenza gerarchica» ma una Chiesa nuova è possibile. Vi è una storia da trasmettere. Un impegno che, assicura La Valle, non si fermerà con questa assemblea. Vi sarà un sito per mettere in rete riflessioni e iniziative e per partecipare alle iniziative delle singole Chiese e a quelle internazionali che culmineranno nel 2015 all’anniversario delle conclusioni del Concilio. Vi sarà un «coordinamento leggero» per far incontrare sforzi diversi e rendere possibile quel «Il Concilio è nelle vostre mani» soprattutto le mani dei poveri invocato dallo stesso Raniero La Valle.

* Titolo redazionale

* Fonte: Incontri di "Fine Settimanana"
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/9/2012 18.37
Titolo:UN NODO NON SCIOLTO, NONOSTANTE LA PRESENZA DI RANIERO LA VALLE
AVERE IL CORAGGIO di dire ai nostri giovani-vecchi "cattolici" e alle nostre giovani-vecchie "cattoliche" che sono tutte sovrane, tutti sovrani!!! Un nodo ancora non sciolto....


"Sulla riforma della chiesa e delle sue strutture il Concilio è rimasto ai nastri partenza. La Chiesa anticonciliare ha bloccato la collegialità e ha rafforzato i vincoli di dipendenza gerarchica» ma una Chiesa nuova è possibile" (Raniero la valle)

MA QUALE CHIESA DI QUALE DIO?!

"DEUS CHARITAS EST" (1 Gv. 4.8)

O

"DEUS CARITAS EST" (Benedetto XVI, 2006)?!


"Di quale Dio parliamo quando parliamo di Dio, e di quale Dio parlano quando parlano di Dio? La domanda è cruciale. Infatti non è per niente chiaro, non è sempre lo stesso, e sovente non è un Dio innocuo" (Raniero La Valle, "Se questo è un Dio", pag. 9)

NONOSTANTE LA PRESENZA DI RANIERO LA VALLE, L'AFFOLLATA ASSEMBLEA NON HA RISPOSTO!!!


ASPETTIAMO!


SIAMO SOLO A 50 ANNI DALL'INIZIO DEL CONCILIO VATICANO II ....

Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/9/2012 08.11
Titolo:Non c’erano autorità né religiose né laiche. Nessun prete con la veste; alcune s...
Chiesa di tutti, chiesa dei poveri

di Giancarla Codrignani (17 settembre 2012) *

Anche gli amici che non erano a Roma, ma fanno parte di quel popolo di Dio che sente il disagio critico di una transizione necessaria (ma ricusata) della sua Chiesa e, forse, non aveva avuto notizia di questa convocazione, dovrebbero essere grati a Vittorio Bellavite, Emma Cavallaro, Giovanni Cereti, Franco Ferrari, Raniero La Valle, Alessandro Maggi, Enrico Peyretti e Fabrizio Truini, che hanno collaborato per costruire un’agorà comunitaria di credenti nel forte convincimento che il Concilio Vaticano II portò nella storia della Chiesa cattolica un rinnovamento irrinunciabile.

Hanno aderito 99 associazioni grandi e piccole (e le più grandi hanno fatto un passo indietro per non prevaricare) e 28 riviste, concordi nel promuovere a Roma l’evento "Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri" rievocando simbolicamente il radiomessaggio di Giovanni XXIII l’undici settembre 1962, quando invitò i fedeli a costruire la "primavera della Chiesa", della "Chiesa dei poveri".

Nessun’intenzione di "commemorare" il Concilio Vaticano II, ma una rinnovata volontà di cercare nuove vie alla sua troppo rinviata attuazione.

Lo ha detto Cettina Militello nella forma più intensa: siamo tutti responsabili della mancata attuazione di una riforma della Chiesa cattolica, non più rinviabile soprattutto perché non si tratta di alterare la tradizione, ma di metterla in novità per evitarne la cristallizzazione in atto. Nessuna contestazione, dunque, ma una fedeltà coraggiosa che vuole una chiesa dei poveri e per i poveri, una chiesa secondo il Vangelo.

Carlo Molari ha approfondito la necessità di una "tradizione vivente", e di una ricerca dell’azione dello Spirito nella nuova situazione storica, individuando nel post-concilio la grande carenza di una Chiesa che non è "dei poveri per i poveri". Che si tratti di esigenze di cambiamenti urgenti lo ha testimoniato p. Felice Scalia con un sofferto e duro intervento sulla situazione della Compagnia di Gesù, in crisi "numerica e di coscienza". Ovvii i richiami a tutta la problematica in questione, dalla liturgia alla collegialità, dall’ecumenismo (evocato da Paolo Ricca) alla presenza delle donne, dalle parole del card. Martini alla rievocazione di Paolo VI fatta da dom Giovanni Franzoni, dalla discriminazione degli omosessuali credenti al valore del concilio "pastorale".

Non c’erano autorità né religiose né laiche. Nessun prete con la veste; alcune suore sì. Le donne hanno più coraggio. Ma tutti dobbiamo andare avanti.

*Fonte: Incontri di "Fine settimana".

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Commenti Articolo 757

Titolo articolo : BENEDETTO XVI IN LIBANO E I 'NOSTALGICI' DEL CONCILIO VATICANO II A ROMA. Una nota dell'Osservatore Romano e un articolo di Nino Lisi - con appunti,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/18/2012 - 08:09:30.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/9/2012 13.35
Titolo:VATICANO II E "PACEM IN TERRIS". Ratzinger e lo stallo della pace ...
Ratzinger e lo stallo della pace

di Marco Politi (il Fatto quotidiano, 14 settembre 2012)

Benedetto XVI arriva in Libano, mentre scorre il sangue in Medio Oriente. La morte dell’ambasciatore americano in Libia, le violente dimostrazioni in Egitto, nello Yemen, in Tunisia e in molte altre città arabe sono il culmine delle proteste seguite al film anti-islamico “Innocence of Muslims”.

Gli ingredienti per altre esplosioni di odio religioso e per aizzare gli estremisti salafiti, l’ala più violenta dell’Islam fondamentalista, sono sul tavolo. Il film, che descrive Maometto come un lussurioso folle e massacratore, è stato prodotto da un cristiano copto di origine egiziana, Morris Sadek, e lo sceneggiatore Sam Bacile - si apprende dal Wall Street Journal - è un ebreo-americano. I finanziatori provengono dall’estremismo copto, ebraico e protestante.

In Egitto la comunità copta è in allarme e si moltiplicano le richieste di espatrio al punto che il papa ha lanciato un accorato appello ai cristiani del Medio Oriente affinché restino nelle terre bibliche e siano “costruttori di pace e attori di riconciliazione”. Sarà il filo conduttore del suo viaggio a Beirut, che inizia stamane e si concluderà nel primo pomeriggio di domenica. Una visita lampo. Papa Ratzinger è sempre più stanco e impone agli organizzatori spostamenti brevi.

Il pontefice firmerà ad Harissa l’Esortazione apostolica per il Medio Oriente, frutto di un’assemblea speciale di vescovi della regione svoltasi a Roma nel 2010. Il clou della visita è rappresentato dall’incontro con la gioventù, dalla grande messa finale e specialmente dal discorso, che terrà domani nel palazzo presidenziale davanti a una platea di esponenti del governo, diplomatici, rappresentati religiosi e accademici. Sarà l’occasione per rivolgersi all’Islam e ricordare le crisi che travagliano la regione. Dialogo interreligioso, cooperazione e amicizia tra cristiani e musulmani, impegno comune per una società democratica, salvaguardia della libertà religiosa e della libertà di coscienza saranno i cardini dei suoi interventi in terra libanese.

ALL’APPUNTAMENTO

Benedetto XVI arriva con il peso internazionale della Santa Sede indebolito. Il Papa considera il rilancio della vita di fede e la “conversione” di ciascun cattolico come obiettivo primario della sua missione, ma è indubitabile che in passato la Santa Sede giocava un ruolo incisivo sulla scena internazionale. Ora il pontificato ratzingeriano ha prodotto una fase di stasi.

Si profila, secondo alcuni diplomatici, un “viaggio impolitico”. Dinanzi alla primavera araba, con le sue speranze e i suoi rischi, Benedetto XVI non ha finora sviluppato un discorso di ampio respiro. Sulla vicenda siriana, al di là degli auspici di pace civile, il Vaticano si trova psicologicamente in uno stallo. In passato si fidava maggiormente della libertà concessa dal regime autoritario di Assad e oggi teme che la “rivoluzione” porti alla ribalta l’integralismo musulmano. Il chirurgo francese Jacques Bérès, co-fondatore di Medecins sans frontières, sostiene di aver trovato nell’ospedale di Aleppo controllato dai ribelli una “forte proporzione di fondamentalisti e jihadisti”, in gran parte stranieri.

Particolarmente preoccupante - alla luce della strategia di pace molto chiara di Giovanni Paolo II - è l’attuale silenzio papale di fronte all’attacco contro l’Iran, perseguito ossessivamente dal governo di Netanyahu. All’interno di Israele, persino negli ambienti dei servizi segreti, vi sono forti obiezioni ad un’avventura dagli esiti devastanti. I falchi israeliani non hanno mai accettato il negoziato di pace globale offerto dalla Lega araba del 2002 e trovano decennio dopo decennio sempre un nuovo nemico (e con il demagogo Ahmadinejad hanno buon gioco) per rimandare la fine dell’occupazione delle terre palestinesi, chiesta compattamente dai vescovi mediorientali. Per la destra israeliana c’è sempre un demone da combattere: Arafat, Hamas, Saddam Hussein, poi (per un periodo) la Siria e ora l’Iran. E il Papa tace. D’altronde anche l’Europa finge di non vedere. Il disastro dell’Iraq, pare, non ha insegnato nulla.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/9/2012 10.33
Titolo:Vaticano II. La sua piena ricezione è ancora lontana...
Affollata assemblea di gruppi ecclesiali, riviste, associazioni a 50 anni dall’inizio del Concilio *

di Roberto Monteforte (l’Unità, 16 settembre 2012)

Far vivere il Concilio Vaticano II. Dargli applicazione e con gioia, guardando con speranza al futuro. Perché la sua piena ricezione è ancora lontana.

Di questo si è discusso ieri a Roma nell’affollatissima assemblea tenutasi al teatro dell’Istituto Massimo di Roma. «Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri» è il titolo dell’appuntamento autoconvocato e autofinanziato a 50 anni dall’inizio del Concilio cui hanno aderito oltre 104 sigle di associazioni, gruppi ecclesiali, movimenti, riviste e organizzazioni tutte attente all’esigenza che non si disperda o si depotenzi l’insegnamento del Concilio Vaticano II. Sono stati oltre settecento i partecipanti giunti da tutta Italia. Segno di quanto forte ed estesa sia la domanda per una Chiesa che sappia dialogare con fiducia e speranza con il mondo contemporaneo avendo il coraggio di cambiare se stessa.

L’incontro si è aperto con un ricordo del cardinale Carlo Maria Martini e al suo coraggio profetico. Teologi, storici, studiosi e uomini di Chiesa hanno approfondito i nodi posti dal Concilio alla Chiesa a partire dalla sua ermeneutica. Alla polemica su rottura o continuità con la tradizione della Chiesa.

«È una disputa da abbandonare perché non coglie il nodo rappresentato dal Concilio. Perché il cambiamento era già in corso nella Chiesa. Perché la dottrina cambia sempre e cambiamo i significati. Perché se la Chiesa è sempre la stessa, la Tradizione vivente è in continua evoluzione per rendere “presente” e continuamente aggiornato nella nuova condizione storica ciò che è stato tramandato» lo afferma il teologo padre Carlo Molari. «La pluralità delle dottrine presenti nella Chiesa ed anche le rotture sono importanti per il suo sviluppo». C’è ancora bisogno che la Chiesa sappia «raccordarsi con la modernità».

Lo storico Giovanni Turbanti ha inquadrato il contesto storico, sociale, politico ed economico che ha portato alla sua convocazione. La biblista Rosanna Virgili sottolinea la «festosità liberatoria dell’annuncio cristiano e l’apporto fondamentale dato dalle donne. «Dio parla alle donne - afferma - che sono depositarie di una fede che non esclude. Perché non ci sono più lontani quando si può comunicare e si è abbattuta l’inimicizia fatta di leggi che distinguevano e discriminavano creando inimicizia».

Mentre Cettina Militello ha affrontato il nodo «delle prospettive future nella speranza di un vero aggiornamento». «Bisogna passare dall’ermeneutica conciliare all’attuazione del Concilio. All’attuazione di quanto faticosamente elaborato dai padri conciliari» ha affermato. Sottolinea l’importanza dell’«aggiornamento» della Chiesa. Invita a riflettere sulla speranza di un «vero rinnovamento» della Chiesa, di una sua autentica profezia rispetto alla mutazione culturale in atto. Ne indica gli ambiti: «il piano della Liturgia, dell’autocoscienza di chiesa, dell’acquisizione sempre maggiore della parola di Dio, del dialogo Chiesa con il mondo». Va pure perseguita l’istanza ecumenica, e interreligiosa, l’istanza «dialogica». Sottolinea i limiti della partecipazione attiva, della sinodalità, dell’ ascolto e del dialogo, necessari per attuare quella trasformazione strutturale della Chiesa voluta dai padri conciliari, per il suo ritorno a uno stile evangelico di compartecipazione e effettiva comunione.

Interviene da «testimone» l’allora giovanissimo abate benedettino della Basilica di San paolo, Giovanni Battista Franzoni. Parla della scelta per i «poveri» e del coraggio di Paolo VI. Porta la sua testimonianza il teologo valdese Paolo Ricca. Soprattutto recuperando appieno il ruolo del «Popolo di Dio», dei laici nella Chiesa, successori dei «discepoli». Lo sottolinea Raniero La Valle che conclude i lavori. «Perché - fa notare - non c’è solo la successione apostolica da Pietro sino ai nostri vescovi e al Papa. C’è anche una successione laicale, non meno importante dell’altra che è giunta sino a noi». Senza questa «non vi sarebbe il Popolo di Dio e neanche la Chiesa degli apostoli».

Sottolinea come la forza del Concilio Vaticano II sia stata il fare l’ermeneutica di tutti i concili precedenti. Per questo «non lo si può accantonare ». Sta anche in questo la ragione e la forza dell’assemblea convocata ieri.

La Valle annuncia l’impegno a raccogliere quella domanda che interpella ancora. Chiede una nuova politica, una nuova giustizia, una nuova economia. Che chiede una Chiesa dei poveri e con i poveri. Richiama i compiti nuovi che il Concilio affida e riconosce ai laici. «Sulla riforma della chiesa e delle sue strutture il Concilio è rimasto ai nastri partenza. La Chiesa anticonciliare ha bloccato la collegialità e ha rafforzato i vincoli di dipendenza gerarchica» ma una Chiesa nuova è possibile. Vi è una storia da trasmettere. Un impegno che, assicura La Valle, non si fermerà con questa assemblea. Vi sarà un sito per mettere in rete riflessioni e iniziative e per partecipare alle iniziative delle singole Chiese e a quelle internazionali che culmineranno nel 2015 all’anniversario delle conclusioni del Concilio. Vi sarà un «coordinamento leggero» per far incontrare sforzi diversi e rendere possibile quel «Il Concilio è nelle vostre mani» soprattutto le mani dei poveri invocato dallo stesso Raniero La Valle.

* Titolo redazionale

* Fonte: Incontri di "Fine Settimanana"
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/9/2012 18.13
Titolo:SPENTO IL "LUMEN GENTIUM", UN CIELO OSCURO SU TUTTA LA TRRA
UN CIELO OSCURO SOPRA TUTTA LA TERRA: CIVILTA’ FINANZIARIA E TEOLOGIA POLITICA "MAMMONICA" ("DEUS CARITAS EST": Benedetto XVI, 2006). "Un fatto è evidente: il punto o i punti di ogni decisione sulla vita dei popoli e degli Stati sono stati del tutto sottratti al controllo della democrazia, benché la democrazia sia, in apparenza, intatta. È un fenomeno nuovo, vasto, sconosciuto"(Furio Colombo).


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La finanza modello al Qaeda

di Furio Colombo (il Fatto, 16.09.2012)

Il modello è al Qaeda. Niente volto, niente luogo, niente Stato, un patrimonio fluido e portatile, continua guerra di propaganda, molta potenza che può colpire dovunque, ma che puoi raggiungere solo inventando un nemico vicario, ovvero qualcuno a caso.

Al Qaeda non ha e non vuole avere una cittadinanza o un territorio, esige una bandiera grande e visibile, che possa scatenare masse grandissime, ma ha punti di comando ignoti e remoti per mantenere segreto e potere intatti. Il suo vertice è leggero e mobile, destinato a restare introvabile. Se lo trovi, non sei mai sicuro che sia quello vero, o se hai raggiunto un avamposto o un personaggio abbandonato.

Il potere della finanza, che riesce a governare, spostare, sottomettere il mondo, che ha devastato e trasformato le esistenze di tutti (e costruito ricchezze enormi per pochi, spesso del tutto ignoti) ha reso in pochi anni irriconoscibile il paesaggio sociale del mondo, e cancellato la precedente epoca industriale, è organizzato allo stesso modo.

NON HA UNA patria, non ha uno Stato con cui coincidere, non condivide ideali, storia o interessi, comanda dovunque e non lo puoi trovare. Esige da Stati, persone, governi potenti e gruppi in rovina, somme immense che vengono restituite in minima parte, detraendo di volta in volta una parte della ricchezza comune.

Si tratta dunque, come per al Qaeda, di un potere grande ed eccentrico, senza Stato e senza popolo, ma con la forza di decidere quali e quanti popoli devono di volta in volta obbedire.

È chiaro - spero - che non sto parlando di questo o di quel governo e neppure di organismi internazionali. Parlo, con la stessa incertezza di chi non fa il finto esperto e la stessa paura di ogni cittadino, del cielo sopra i governi. È un cielo gravido di nuvole impenetrabili sopra tutto ciò che sappiamo, un cielo in cui occasionali schiarite non sono mai una promessa.

Non è più capitalismo, nel senso di Weber, Smith, Stuart Mills. La prova: non è il mercato. Il mercato, infatti, è una delle due strutture nel mondo connesso della produzione e dello scambio, che è stato tolto di mezzo, annullando merito del lavoro e valore del prodotto, sostituito dai versamenti rapidi e obbligati continuamente in corso, detti rating o spread arbitrari in cui vaste ricchezze passano di mano in mano, verso l’alto, fino a far perdere le tracce.

L’altra è l’improvvisa e brutale aggressione al welfare, visto come una intollerabile sottrazione di risorse al versamento globale, che è la nuova regola imposta senza elezioni e senza Parlamenti, e che tutti i governi hanno dovuto accettare.

Il trapasso quasi violento degli Stati Uniti da più grande Paese manifatturiero al più grande Paese di banca, Borsa e finanza, fa pensare, con mentalità del passato, che si tratti di una invasione americana sul benessere degli altri Paesi. Ma non è vero.

Certo, è americano lo storico momento di transizione, quando, durante la presidenza Reagan, è stata abolita ogni regolamentazione di funzioni e settori, di banca, finanza e controllo di imprese, permettendo libertà senza limiti e senza controlli nella formazione e nella gestione della ricchezza che è diventato modello per tutti gli altri Paesi.

Il grande simbolo è il dominio delle compagnie di assicurazione americane sulla salute dei cittadini statunitensi, che persino un presidente come Barack Obama forse non riuscirà ad abbattere o a diminuire.

È la bandiera della civiltà finanziaria che ha iniziato l’invasione (prima di tutto negli Usa), spingendo ai margini la civiltà industriale. E non si può dire che sia americano il dominio o il profitto, misterioso e immenso, della nuova epoca, perché, come per al Qaeda, la cittadinanza dei vari operatori non coincide con gli interessi di uno Stato o della politica di un governo.

È COMINCIATA una nuova internazionalità del capitalismo che non ha più come centro un Paese e neppure una cultura (come quando si parlava con fondamento di disegni e politiche di multinazionali e di imperialismo), ma è una struttura schermata e indipendente che provvede, con espedienti sempre diversi, a un continuo, esorbitante prelievo globale, senza riguardi e senza privilegi.

La nuova situazione, anzi, colpisce in pieno l’America proprio in quanto prima potenza del mondo. Dimostra che non è l’America a decidere, dimostra che il suo presidente "socialista" si muove nel passato. Colpisce gli Usa anche attraverso le connessioni internazionali di grandi banche, americane e non americane, impegnate, attraverso il continuo imbroglio del "libor" (regolamentazione spontanea e concordata dei costo del danaro negli scambi tra banche) a rastrellare vasti profitti in ogni Paese, tra cui l’America, a vantaggio della galassia finanziaria che grava, senza nazione e senza Stato, sul mondo, con agenzie operative dislocate nei diversi Paesi, fra banche, Borse e agenzie mutanti gruppi politici.

I governi, con sempre meno potere, subiscono imposizioni pesanti, pena multe gravissime ai rispettivi Paesi, senza badare alle spinte di rivolta che creano. Quelle rivolte riguardano territori e governi, non il cielo del grande passaggio di ricchezza in corso.

Non sto dicendo che un nuovo fantasma si aggira per il mondo. Dico che si è messa in moto la grande rivoluzione della ricchezza che esige sempre più ricchezza, prelevandola ovunque, non intende rendere conto, sa come dare ordini e sa come punire. Mantiene, soprattutto, una incertezza infinita. Un fatto è evidente: il punto o i punti di ogni decisione sulla vita dei popoli e degli Stati sono stati del tutto sottratti al controllo della democrazia, benché la democrazia sia, in apparenza, intatta. È un fenomeno nuovo, vasto, sconosciuto.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/9/2012 09.16
Titolo:LIBANO, PALESTINA,, E PAPA . Il discorso 'sparito' del patriarca ....
Il discorso ‘sparito’ del patriarca

di Giovanni Panettiere (Quotidiano.net, 16 settembre 2012)

«Il riconoscimento dello Stato palestinese è il bene più prezioso che il mondo arabo possa ottenere in tutte le sue confessioni cristiane e musulmane». Quelle parole non avrebbe dovuto pronunciarle, almeno non davanti al papa, ma, alla fine, il patriarca greco cattolico melchita di Damasco,

Gregorio Laham III - al vertice di una comunità di oltre 1,3 milioni di fedeli -, ha rotto gli indugi. Accogliendo l’altro giorno Benedetto XVI nella basilica di San Paolo ad Harissa, in Libano, dove il Santo Padre ha firmato l’esortazione apostolica post sinodale sul Medio Oriente, il presule si è lanciato in un pieno e convinto sostegno alla causa palestinese, spronando il pontefice a dare il via libera allo Stato arabo.

Per il patriarca «il riconoscimento potrà garantire la realizzazione degli orientamenti espressi in questa esortazione apostolica post-sinodale per la quale abbiamo manifestato la nostra più viva gratitudine. Preparerebbe la strada verso una vera primavera araba, una vera democrazia e una vera rivoluzione capace di cambiare il volto del mondo arabo e dare la pace alla Terra Santa, al vicino Oriente e al mondo».

Non è la prima volta che Laham III si sbilancia sulla questione palestinese. Solo due anni fa, nel corso del sinodo sul Medio Oriente, il patriarca tradì la sua simpatia per Ramallah, senza però incontrare il favore della maggioranza dei padri sinodali. Nei giorni scorsi, invece, sul sito ufficiale della visita del papa in Libano (www.lbpapalvisit.com), era stato pubblicato in anteprima il testo del saluto del presule a Benedetto XVI. L’intervento conteneva anche un richiamo esplicito alle vicende della Terra santa. Ma il messaggio in rete c’è rimasto solo qualche giorno: alla vigilia dell’arrivo di Ratzinger è stato espunto dal web. Censura vaticana?

«Il testo è stato rimosso semplicemente perché questo genere di interventi si pubblicano dopo che sono stati pronunciati», si è affrettato a dire il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi. Appena in tempo, dal momento che fonti vaticane avevano già manifestato una certa irritazione per l’anteprima dell’intervento di Laham III. «È solo la posizione personale del patriarca», avevano precisato alla stampa. In effetti, la tesi del melchita appare chiaramente in disaccordo con l’orientamento della diplomazia d’Oltre Tevere, più propensa ad attendere un intervento delle Nazioni unite che ad avanzare la prima mossa sul terreno minato del riconoscimento di uno Stato palestinese.

Tolto il discorso dal web, Laham III ha tenuto il suo discorso davanti al pontefice. Liberamente, o quasi. Rispetto alla versione pubblicata on-line, il saluto pronunciato ad Harissa è stato, infatti, ripulito dei riferimenti più problematici: via il passaggio sul riconoscimento dello Stato palestinese come «atto coraggioso di equità, di giustizia e di verità», omesso il rimando al Vaticano che, con il disco verde a Ramallah, finirebbe «per incoraggiare gli altri Stati europei e non solo a riconoscere la sovranità dello Stato palestinese». A questa revisione del testo si aggiunge il caso della ripubblicazione sul sito ufficiale del viaggio papale: nonostante siano trascorsi due giorni dalla sua pronuncia, dell’intervento non c’è traccia. Molto probabilmente, una volta che il papa sarà rientrato a Roma, la pagina verrà aggiornata per dare al pubblico un quadro d’insieme della tre giorni in Medio Oriente. Al momento nulla si muove.

Senz’altro Ratzinger avrebbe preferito omettere nella sua visita in Libano qualsiasi riferimento alla politica, specie quella israelo-palestinese dato il rapporto, non sempre facile, tra il Vaticano e Tel Aviv. Solo qualche settimana fa Israele aveva protestato con la Santa sede per la nomina del nuovo nunzio apostolico, mentre resta sempre aperta la questione della beatificazione di Pio XII.

Benedetto XVI, come è suo stile, avrebbe voluto dare un taglio esclusivamente pastorale alla sua tre giorni in Medioriente. Tuttavia, di fronte alle violente manifestazioni nel mondo islamico di questi giorni, c’’è da chiedersi se il richiamo alla Palestina del patriarca Laham III non sia stato, non solo inevitabile, ma anche utile per allentare le tensioni tra Occidente e musulmani.

Giovanni Panettiere
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/9/2012 08.09
Titolo:ROMA. Non c’erano autorità né religiose né laiche. Nessun prete con la veste; al...
Chiesa di tutti, chiesa dei poveri

di Giancarla Codrignani (17 settembre 2012) *

Anche gli amici che non erano a Roma, ma fanno parte di quel popolo di Dio che sente il disagio critico di una transizione necessaria (ma ricusata) della sua Chiesa e, forse, non aveva avuto notizia di questa convocazione, dovrebbero essere grati a Vittorio Bellavite, Emma Cavallaro, Giovanni Cereti, Franco Ferrari, Raniero La Valle, Alessandro Maggi, Enrico Peyretti e Fabrizio Truini, che hanno collaborato per costruire un’agorà comunitaria di credenti nel forte convincimento che il Concilio Vaticano II portò nella storia della Chiesa cattolica un rinnovamento irrinunciabile.

Hanno aderito 99 associazioni grandi e piccole (e le più grandi hanno fatto un passo indietro per non prevaricare) e 28 riviste, concordi nel promuovere a Roma l’evento "Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri" rievocando simbolicamente il radiomessaggio di Giovanni XXIII l’undici settembre 1962, quando invitò i fedeli a costruire la "primavera della Chiesa", della "Chiesa dei poveri".

Nessun’intenzione di "commemorare" il Concilio Vaticano II, ma una rinnovata volontà di cercare nuove vie alla sua troppo rinviata attuazione.

Lo ha detto Cettina Militello nella forma più intensa: siamo tutti responsabili della mancata attuazione di una riforma della Chiesa cattolica, non più rinviabile soprattutto perché non si tratta di alterare la tradizione, ma di metterla in novità per evitarne la cristallizzazione in atto. Nessuna contestazione, dunque, ma una fedeltà coraggiosa che vuole una chiesa dei poveri e per i poveri, una chiesa secondo il Vangelo.

Carlo Molari ha approfondito la necessità di una "tradizione vivente", e di una ricerca dell’azione dello Spirito nella nuova situazione storica, individuando nel post-concilio la grande carenza di una Chiesa che non è "dei poveri per i poveri". Che si tratti di esigenze di cambiamenti urgenti lo ha testimoniato p. Felice Scalia con un sofferto e duro intervento sulla situazione della Compagnia di Gesù, in crisi "numerica e di coscienza". Ovvii i richiami a tutta la problematica in questione, dalla liturgia alla collegialità, dall’ecumenismo (evocato da Paolo Ricca) alla presenza delle donne, dalle parole del card. Martini alla rievocazione di Paolo VI fatta da dom Giovanni Franzoni, dalla discriminazione degli omosessuali credenti al valore del concilio "pastorale".

Non c’erano autorità né religiose né laiche. Nessun prete con la veste; alcune suore sì. Le donne hanno più coraggio. Ma tutti dobbiamo andare avanti.

*Fonte: Incontri di "Fine settimana".

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Commenti Articolo 758

Titolo articolo : Un'idea da respingere decisamente!,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: September/17/2012 - 10:08:22.

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Autore Città Giorno Ora
chino piraccini cesena 17/9/2012 10.08
Titolo:
caro Giovanni, condivido in pieno quanto hai scritto. C'è una voglia matta di eliminare la voce scomoda e flebile di Obama, che ha cercato di creare condizioni politiche e culturali di pace nel mondo. Purtroppo è sufficente un barlume di profezia evangelica per scatenare le forze dell'inferno. Ciao,Chino,Cesena

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Commenti Articolo 759

Titolo articolo : Divorziati risposati: una questione ecumenica,di Elio Cirimbelli

Ultimo aggiornamento: September/17/2012 - 05:59:41.

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Autore Città Giorno Ora
giovanna bonan montegrotto terme 17/9/2012 05.59
Titolo:
ci sono delle piccole inesattezze,per quanto riguarda il matrimonio protestante.

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Commenti Articolo 760

Titolo articolo : PER IL 12° FESTIVAL DI FILOSOFIA E PER LA RICOSTRUZIONE. "COSE" DELL'ALTRO MONDO. LA LEZIONE MAGISTRALE (E INTRAMONTABILE) DI IMMANUEL KANT. L'antitetica della ragion pura e il suo metodo.,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/16/2012 - 18:19:31.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/9/2012 17.39
Titolo:C’è cosa e cosa. Un occhio diverso sulla realtà ...
Il Festival di filosofia

C’è cosa e cosa

Un occhio diverso sulla realtà

«Nell’Emilia del terremoto ricostruiamo dal pensiero»

di Marcello Parilli (Corriere della Sera, 11.09.2012)

In questa fetta di Emilia, colpita al cuore dal terremoto, fa quasi strano tornare a occuparsi di filosofia. Che non vuol dire scrollarsi di dosso la polvere dei calcinacci per dissertare di aria fritta, ma sentire la necessità e l’importanza di una ricostruzione interiore oltre a quella che rimette un mattone sopra l’altro. Sarà per questo che la dodicesima edizione del festivalfilosofia, in programma tra Modena, Carpi e Sassuolo dal 14 al 16 settembre, è dedicata alle «cose», quasi a evocare un legame invisibile tra il «dire» e il «fare».

«Il tema era stato scelto l’anno scorso, in tempi non sospetti - dice Michelina Borsari, direttrice di festivalfilosofia dalla prima edizione -, ma certamente il terremoto ha cambiato tutto, e non solo in negativo. Perché questo si è trasformato nel festival della rinascita, un segnale di speranza per una ricostruzione civile, collettiva e condivisa che non salvi soltanto gli edifici, ma soprattutto la socialità: le iniziative di solidarietà si sono moltiplicate, diversi ospiti parteciperanno gratuitamente e gli stessi dibattiti verranno "sincronizzati" sull’attualità: si discuterà di cosa significhi aver perso la casa ma anche dei modelli in base ai quali case e fabbriche dovranno essere ricostruite. Un’energia che ha coinvolto anche le amministrazioni, che hanno fatto il possibile per riconsegnare al festival piazze ed edifici agibili».

In questi undici anni il festival ha richiamato 1 milione 227 mila visitatori e organizzato quasi 1.800 eventi. Risultati sorprendenti per una materia così ostica. «La nostra sfida? Far uscire la filosofia da un cenacolo per pochi iniziati, rendere fruibile una materia rigorosa e complessa senza banalizzarla - dice Borsari -. Così abbiamo scelto la formula della lezione magistrale: a ogni relatore abbiamo affidato 50 minuti per sviluppare un argomento e 30 di dialogo diretto con il pubblico, con la richiesta di utilizzare un linguaggio chiaro e diretto, senza severità né ascetismi».

A guidare le oltre 50 lezioni magistrali che si terranno in piazze, chiese e cortili di Modena, Carpi e Sassuolo ci saranno, tra gli altri, Remo Bodei, Enzo Bianchi, Emanuele Severino e Massimo Cacciari, Andrei Linde e Antonio Masiero, Zygmunt Bauman, Michela Marzano, Carlo Sini, Richard Sennet e Giorgetto Giugiaro, Serge Latouche, Umberto Galimberti, Silvia Vegetti Finzi e Anne Cheng, fino a lectio sui generis come quella linguisticamente pirotecnica di Alessandro Bergonzoni o la tragicommedia «climatica e globale» scritta da Bruno Latour.

Le lezioni magistrali sono però solo il cuore di un’edizione 2012 che si preannuncia ricchissima di eventi (quasi 200, tutti gratuiti) che intendono esercitare una sorta di pedagogia pubblica attraverso la filosofia, codici diversissimi che vanno a costruire quell’intelaiatura di proposte «alte» e «basse» tra le quali ogni visitatore potrà costruire un personalissimo percorso: mostre (una trentina, tra cui Edward Weston, Lucio Riva e Antonio Porta), concerti e spettacoli (Fabio Volo, Giobbe Covatta, Francesco Guccini, Danilo Rea, ma anche le performance teatrali di Stefano Benni e Massimiliano Finazzer Flory o le gag dei Soliti Idioti), letture, giochi per bambini e le cene filosofiche curate da Tullio Gregory in oltre sessanta ristoranti delle tre città.

Una formula che appare funzionale ai tempi che stiamo vivendo: «Ci interessava rimettere la parola filosofica, quella razionale, non profetica, al centro di una scena pubblica caratterizzata dal disorientamento e dalla scarsa qualità della comunicazione - aggiunge Borsari -. Per questo abbiamo voluto creare ponti, passerelle che trasmettessero al nostro pubblico il sapere prezioso della filosofia mostrandone l’importanza per il tempo presente. Un’opera comune ai vari festival italiani, peraltro molto imitati all’estero, ai quali va riconosciuto il rinnovamento dell’offerta culturale nel nostro Paese. Non so se i festival siano la soluzione, ma certamente sono una risposta antropologica importante e di successo».

Un successo che si basa su un’ esigenza reale del pubblico: «Secondo l’università di Ferrara, il 40% dei nostri visitatori ha il diploma di terza media. Magari non comprendono tutto - conclude Michelina Borsari -, ma certamente hanno capito che la comprensione del tempo presente passa attraverso l’impegno diretto e quotidiano del soggetto. E il piccolo boom dell’editoria filosofica degli ultimi anni ne è una conferma».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/9/2012 17.59
Titolo:L'ANTITETICA RATZINGERIANA: I "DUETTI" IN CASA DEI NOBEL .....
«Cosa significa credere e non credere?»

«Il mondo con o senza Dio?» ....

IL CARDINALE RAVASI, IN OBBEDIENZA CIECA AL VICARIO DEL PADRONE GESU\' (\"DOMINUS IESU\": J. RATZINGER, 200) CONTINUA A GIOCARE AL \"DUETTO\" TRUCCATO SECONDO LA TRADIZIONALE \"ASTUZIA DELLA RAGIONE\" CATTOLICO-IDEALISTA, molto mammonica (\"Deus caritas est\": Benedetto XVI, 2006) e nient\'affato critica e cristiana (\"Deus charitas est\": 1 Gv. 4.8).

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Il cortile dei Gentili a casa dei Nobel

di Armando Torno (Corriere della Sera, 10 settembre 2012)

Questa settimana il Cortile dei Gentili - lo spazio di incontri voluto da Benedetto XVI e organizzato dal Pontificio Consiglio della Cultura - riprende a Stoccolma. La capitale svedese ospiterà dibattiti sul tema «Il mondo con o senza Dio?». Sono stati chiamati «duetti», giacché sono dei faccia a faccia tra personalità contrastanti. O forse saranno scontri. E per la bisogna si è messo in campo un argomento chiave che da sempre fa riflettere filosofi e teologi.

Tutto comincerà giovedì 13 settembre all’Accademia reale svedese delle scienze, con i saluti del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, e dello scrittore Georg Klein. Poi il primo duetto. Su «Cosa significa credere e non credere?» si contrapporranno Ulf Danielsson (professore di fisica all’Università di Uppsala) e Ingemar Ernberg (biologo, autore del libro Cos’è la vita?); sarà poi la volta dell’incontro «Esiste un mondo non materiale?»: il confronto avverrà tra Antje Jackelén (vescovo della Chiesa di Svezia, diocesi di Lund) e lo scrittore-medico Per Christian Jersild. Tra l’altro, venerdì 14, secondo e ultimo giorno del Cortile svedese, si discuterà «Cosa significa credere e non credere?». Anders Carlberg, scrittore e fondatore del Fryshuset, dibatterà con Linnea Jacobsson, vicepresidente dei Giovani cristiani di sinistra.

Le due giornate svedesi, oltre a evocare una questione sempre aperta, desiderano provocare per meglio far conoscere le ragioni della scienza e le speranze della fede. Inoltre, il Cortile si riunirà in due luoghi simbolo di Stoccolma: l’Accademia, che ha legato il suo nome al Premio Nobel, e il Fryshuset, centro leader di attività sociali, creato per accogliere e soccorrere ragazzi in difficoltà. E tutto questo nell’attesa di Assisi, il 5 e il 6 ottobre, con un Cortile che sarà ricco di sorprese.

A Stoccolma non mancheranno scintille parlando di Dio. Ma è bene che sia così. Il cardinale Ravasi ci ha confidato: «A volte la tensione, forse la ferita impediscono la sonnolenza, l’indifferenza, il distacco». Si parla di «ferita» morale. Che, secondo il teologo Ratzinger, genera la bellezza nell’anima.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/9/2012 08.57
Titolo:PENSANTI E NON PENSANTI. L’operazione-anestesia sul cardinal Martini
L’operazione-anestesia sul cardinal Martini

di Vito Mancuso (la Repubblica, 9 settembre 2012)

Con uno zelo tanto impareggiabile quanto prevedibile è cominciata nella Chiesa l’operazione anestesia verso il cardinal Carlo Maria Martini, lo stesso trattamento ricevuto da credenti scomodi come Mazzolari, Milani, Balducci, Turoldo, depotenziati della loro carica profetica e presentati oggi quasi come innocui chierichetti.

A partire dall’omelia di Scola per il funerale, sulla stampa cattolica ufficiale si sono susseguiti una serie di interventi la cui unica finalità è stata svigorire il contenuto destabilizzante delle analisi martiniane per il sistema di potere della Chiesa attuale. Si badi bene: non per la Chiesa (che anzi nella sua essenza evangelica ne avrebbe solo da guadagnare), ma per il suo sistema di potere e la conseguente mentalità cortigiana.

Mi riferisco alla situazione descritta così dallo stesso Martini durante un corso di esercizi spirituali nella casa dei gesuiti di Galloro nel 2008: “Certe cose non si dicono perché si sa che bloccano la carriera. Questo è un male gravissimo della Chiesa, soprattutto in quella ordinata secondo gerarchie, perché ci impedisce di dire la verità. Si cerca di dire ciò che piace ai superiori, si cerca di agire secondo quello che si immagina sia il loro desiderio, facendo così un grande disservizio al papa stesso”.

E ancora: “Purtroppo ci sono preti che si propongono di diventare vescovi e ci riescono. Ci sono vescovi che non parlano perché sanno che non saranno promossi a sede maggiore. Alcuni che non parlano per non bloccare la propria candidatura al cardinalato. Dobbiamo chiedere a Dio il dono della libertà. Siamo richiamati a essere trasparenti, a dire la verità. Ci vuole grande grazia. Ma chi ne esce è libero”.

Quello che è rilevante in queste parole non è tanto la denuncia del carrierismo, compiuta spesso anche da Ratzinger sia da cardinale che da Papa, quanto piuttosto la terapia proposta, cioè la libertà di parola, l’essere trasparenti, il dire la verità, l’esercizio della coscienza personale, il pensare e l’agire come “cristiani adulti” (per riprendere la nota espressione di Romano Prodi alla vigilia del referendum sui temi bioetici del 2005 costatagli il favore dell’episcopato e pesanti conseguenze per il suo governo). È precisamente questo invito alla libertà della mente ad aver fatto di Martini una voce fuori dal coro nell’ordinato gregge dell’episcopato italiano e a inquietare ancora oggi il potere ecclesiastico.

Diceva nelle Conversazioni notturne a Gerusalemme: “Mi angustiano le persone che non pensano, che sono in balìa degli eventi. Vorrei individui pensanti. Questo è l’importante. Soltanto allora si porrà la questione se siano credenti o non credenti”. Ecco il metodo-Martini: la libertà di pensiero, ancora prima dell’adesione alla fede.

Certo, si tratta di una libertà mai fine a se stessa e sempre tesa all’onesta ricerca del bene e della giustizia (perché, continuava Martini, “la giustizia è l’attributo fondamentale di Dio”), ma a questa adesione al bene e alla giustizia si giunge solo mediante il faticoso esercizio della libertà personale. È questo il metodo che ha affascinato la coscienza laica di ogni essere pensante (credente o non credente che sia) e che invece ha inquietato e inquieta il potere, in particolare un potere come quello ecclesiastico basato nei secoli sull’obbedienza acritica al principio di autorità. Ed è proprio per questo che gli intellettuali a esso organici stanno tentando di annacquare il metodo-Martini.

Per rendersene conto basta leggere le argomentazioni del direttore di Civiltà Cattolica secondo cui “chiudere Martini nella categoria liberale significa uccidere la portata del suo messaggio”, e ancor più l’articolo su Avvenire di Francesco D’Agostino che presenta una pericolosa distinzione tra la bioetica di Martini definita “pastorale” (in quanto tiene conto delle situazioni concrete delle persone) e la bioetica ufficiale della Chiesa definita teorico-dottrinale e quindi a suo avviso per forza “fredda, dura, severa, tagliente” (volendo addolcire la pillola, l’autore aggiunge in parentesi “fortunatamente non sempre”, ma non si rende conto che peggiora le cose perché l’equivalente di “non sempre” è “il più delle volte”).

Ora se c’è una cosa per la quale Gesù pagò con la vita è proprio l’aver lottato contro una legge “fredda, dura, severa, tagliente” in favore di un orizzonte di incondizionata accoglienza per ogni essere umano nella concreta situazione in cui si trova.

Martini ha praticato e insegnato lo stesso, cercando di essere sempre fedele alla novità evangelica, per esempio quando nel gennaio 2006 a ridosso del caso Welby (al quale un mese prima erano stati negati i funerali religiosi in nome di una legge “fredda, dura, severa, tagliente”) scrisse che “non può essere trascurata la volontà del malato, in quanto a lui compete - anche dal punto di vista giuridico, salvo eccezioni ben definite - di valutare se le cure che gli vengono proposte sono effettivamente proporzionate”. Questa centralità della coscienza personale è il principio cardine dell’unica bioetica coerente con la novità evangelica, mai “fredda, dura, severa, tagliente”, ma sempre scrupolosamente attenta al bene concreto delle persone concrete.

Martini lo ribadisce anche nell’ultima intervista, ovviamente sminuita da Andrea Tornielli sulla Stampa in quanto “concessa da un uomo stanco, affaticato e alla fine dei suoi giorni”, ma in realtà decisiva per l’importanza dell’interlocutore, il gesuita austriaco Georg Sporschill, il coautore di Conversazioni notturne a Gerusalemme.

Ecco le parole di Martini: “Né il clero né il Diritto ecclesiale possono sostituirsi all’interiorità dell’uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarire la voce interna e per il discernimento degli spiriti”. È questo il metodo-Martini, è questo l’insegnamento del Vaticano II (vedi Gaudium et spes 16-17), è questo il nucleo del Vangelo cristiano, ed è paradossale pensare a quante critiche Martini abbia dovuto sostenere nella Chiesa di oggi per affermarlo e a come in essa si lavori sistematicamente per offuscarlo.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/9/2012 09.23
Titolo:Italia penultima tra i paesi Ocse: alla scuola solo il 9% della spesa pubblica t...
- Rapporto Ocse
- Allarme giovani: il 25% non lavora e non studia
- Generazione tradita: non fa nulla un giovane su 4
- Abbiamo i docenti più anziani d’Europa: il 58% ha oltre 50 anni
- Italia penultima tra i paesi Ocse: alla scuola solo il 9% della spesa pubblica totale
- Il personale docente è primo per anzianità: il 58% ha più di 50 anni, il 10% meno di 40

- di Luigina Venturelli (l’Unità, 12.09.2012)

MILANO Un Paese avaro nei confronti della scuola è un Paese avaro nei confronti dei propri giovani. Ed è un Paese destinato a pagarne pesantemente le conseguenze, in termini di istruzione, di occupazione e, in fin dei conti, di benessere economico e sociale. La fotografia dell’Italia, penultima tra le nazioni più industrializzate del mondo per spesa pubblica destinata al sistema scolastico quella scattata dall’ultimo rapporto Ocse «Education at a glance» è la diretta proiezione di una crisi che affonda le sue radici in anni di continui tagli alle risorse il colpo di grazia assestato dal recente governo Berlusconi e che, di questo passo, rischia di condannare al declino la penisola. Ai primi posti, infatti, tra i paesi più sviluppati per tasso d’inattività tra i giovani che né studiano né lavorano, 23% contro una media del 16%.

FANALINO DI CODA

Ad oggi l’Italia spende per l’istruzione dei suoi cittadini più giovani solo il 9% del totale della spesa pubblica, piazzandosi al 31esimo posto in una classifica di 32 paesi che vede solo il lontano Giappone in posizione peggiore, contro una media Ocse del 13%. Uno scivolone inevitabile, dopo il calo dal pur modesto 9,8% registrato nel 2000, confermato anche dai ridotti margini di spesa in rapporto al prodotto interno lordo, il 4,9% del Pil contro una media generale del 6,2%. In termini assoluti, la spesa media per studente in Italia non si discosta molto dai livelli Ocse 9.055 dollari rispetto ai 9.249 dollari medi ma è distribuita in modo molto diverso tra i vari gradi di istruzione.

Si conferma l’eccellenza nelle prime fasce scolastiche, dall’asilo alle elementari, che ci vede addirittura sopra la media Ocse pari al 93% e al 97% contro rispettivamente il 66% e l’81% e si confermano le criticità progressive in quelle superiori, tanto che all’università il differenziale con le altre nazioni industrializzate sfiora i 4mila dollari 9.562 euro a fronte dei 13.179 medi.

UNIVERSITÀ AL PALO

Una distanza che si ripercuote immediatamente sui risultati dell’istruzione universitaria, sia in termini di giovani laureati, sia in termini di sbocchi nel mondo del lavoro. La percentuale di persone che hanno conseguito una laurea in Italia resta tra le più basse dell’area Ocse, pur essendo cresciuta nell’arco degli ultimi trenta anni: il 15% delle persone tra i 25 e i 64 anni contro il 31% delle nazioni più industrializzate e il 28% della media Ue (in Francia la quota è del 28%, in Gran Bretagna del 38% e in Germania del 27%). La percentuale di laureati nella fascia d’età 25-34, inoltre, è superiore di soli dieci punti a quella registrata nella fascia 55-64, 21% contro 11%, sintomo della fatica con cui i cambiamenti globali in tema di istruzione collettiva hanno preso piede nel paese.

Di più: ormai avere in tasca una laurea non rende più facile trovare un lavoro, visto che il tasso di occupazione è sceso tra il 2002 e il 2010 dall’82,2% al 78,3% per i laureati, mentre è rimasto stabile per i diplomati (72,3% nel 2002 e 72,6% nel 2010).

E i dati sulle retribuzioni indicano le notevoli difficoltà dei giovani laureati a trovare un lavoro adeguato alla propria preparazione: i lavoratori italiani con una laurea tra i 25 e i 34 anniguadagnano soltanto il 9% in più dei loro colleghi diplomati (la media Ocse è del 37%), mentre i laureati tra i 55 e i 64 anni guadagnano il 96% in più dei coetanei diplomati (la media Ocse è del 69%).

PERSONALE DOCENTE ANZIANO

Non stupisce, dunque, l’estrema difficoltà registrata anche nel ricambio del personale docente: l’Italia infatti ha i professori più anziani dell’area Ocse, il 58% di quelli della scuola secondaria hapiùdi50anni,esoloil10%neha meno di 40. Un dato che il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo protagonista di una rovente polemica con i precari del mondo della scuola per l’intenzione annunciata dal governo Monti di eliminare le graduatorie per passare ai concorsi come modalità d’ingresso nel sistema pubblico d’istruzione si è affrettato a commentare come «elemento di stimolo affinchè le azioni che sono state intraprese siano rafforzate». Insomma: «Sul concorso che abbiamo annunciato, ci dice che la strada intrapresa non è così sbagliata». Ma restano «punti deboli» del sistema che necessitano una strategia di medio-lungo periodo per avere risultati convincenti e stabili: «Li stiamo analizzando per poter intervenire e allocare meglio le risorse» ha assicurato Profumo.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/9/2012 12.55
Titolo:UNA SITUAZIONE CONTRADDITTORIA.. CAMBIARE STRADA ....
l progresso è fallito: ora una nuova civiltà

di Edgar Morin e Mauro Ceruti (l’Unità, 13 settembre 2012)

La nostra crisi è una crisi di civiltà, dei suoi valori e delle sue credenze. Ma è soprattutto una transizione fra un mondo antico e un mondo nuovo. Le vecchie visioni della politica, dell’economia, della società ci hanno resi ciechi, e oggi dobbiamo costruire nuove visioni. Ogni riforma politica, economica e sociale è indissociabile da una riforma di civiltà, da una riforma di vita, da una riforma di pensiero, da una rinascita spirituale.

La riuscita materiale della nostra civiltà è stata formidabile, ma ha anche prodotto un drammatico insuccesso morale, nuove povertà, il degrado di antiche solidarietà, il dilagare degli egocentrismi, malesseri psichici diffusi e indefiniti. Oggi si impone una vigorosa reazione atta a ricercare nuove convivialità, a ricreare uno spirito di solidarietà, a intessere nuovi legami sociali, a fare affiorare dalla nostra e dalle altre civiltà quelle fonti spirituali che sono state soffocate. Questa sfida deve essere integrata nella politica, che deve porsi il compito di rigenerarsi in una politica di civiltà.

Le visioni della politica e dell’economia si sono basate sull’idea, che risale al settecento e all’ottocento, del progresso come legge ineluttabile della Storia. Questa idea è fallita. Soprattutto, è fallita l’idea che il progresso segua automaticamente la locomotiva tecno- economica. È fallita l’idea che il progresso sia assimilabile alla crescita, in una concezione puramente quantitativa delle realtà umane. Negli ultimi decenni la storia non va verso il progresso garantito, ma verso una straordinaria incertezza. Così oggi il progresso ci appare non come un fatto inevitabile, ma come una sfida e una conquista, come un prodotto delle nostre scelte, della nostra volontà e della nostra consapevolezza.

vedi alla voce sviluppo

Altrettanto discutibile è la nozione tradizionale di sviluppo, definita in una prospettiva unilateralmente tecno-economica, ritenuta quantitativamente misurabile con gli indicatori di crescita e di reddito. Ha assunto come modello universale la condizione dei Paesi detti appunto «sviluppati», in particolare occidentali, alla quale si dovrebbero ispirare tutti gli altri Paesi del mondo (detti perciò «sotto-sviluppati» o «in via di sviluppo »). Così si è arrivati a credere che lo stato attuale delle società occidentali costituisca lo sbocco e la finalità della storia umana stessa, trascurando i tanti problemi drammatici, le tante miserie, i tanti sotto-sviluppi, non solo materiali, provocati dal perseguimento degli obiettivi di una crescita tecno-economica fine a se stessa. Ma le soluzioni che volevamo proporre agli altri sono diventate problemi per noi stessi.

L’iperspecializzazione disciplinare ha frammentato il tessuto complesso dei fenomeni e ha modellato una scienza economica che non riesce a concepire e a comprendere tutto ciò che non è calcolabile e quantificabile: passioni, emozioni, gioie, infelicità, credenze, miserie, paure, speranze, che sono il corpo stesso dell’esperienza e dell’esistenza umana.

Oggi siamo chiamati a respingere quello che continua a essere in primo piano: la potenza della quantificazione contro la qualità, la dissoluzione della pluralità di dimensioni dell’esistenza umana a poche variabili, la razionalizzazione che è l’opposto della razionalità critica e che è il tentativo cieco di rifiutare tutto ciò che le sfugge e che non riesce a comprendere a prima vista. Uno dei tratti più nocivi di questi ultimi decenni è l’esasperazione della competitività, che conduce le imprese a sostituire i lavoratori con le macchine e, ove questo non accada, ad aumentare i vincoli sulla loro attività lavorativa. Allo sfruttamento economico, contro il quale hanno sempre lottato i sindacati, oggi si aggiunge un’ulteriore alienazione in nome della produttività e dell’efficienza. Abbiamo urgente bisogno di una politica di umanizzazione di quella che è ormai un’economia disumanizzata.

cambiare strada

Se si vogliono seriamente realizzare gli obiettivi di «sostenibilità» e di «umanizzazione », non basta spianare la via con qualche levigatura: bisogna cambiare via. La necessità di cambiare via, naturalmente, non ci impone di ripartire da zero. Anzi, ci spinge a integrare tutti gli aspetti positivi che sono stati acquisiti nel nostro difficile cammino, anche e soprattutto nei Paesi occidentali, a cui dobbiamo i diritti umani, le autonomie individuali, la cultura umanistica, la democrazia. E tuttavia la necessità di cambiare via diventa sempre più urgente, nel momento in cui il dogma della crescita all’infinito viene messo drasticamente in discussione dal perdurare della crisi economica europea e mondiale, dai pericoli prodotti di certo sviluppo tecnico e scientifico, dagli eccessi della civiltà dei consumi che rendono infelici gli individui e la collettività.

Certamente, la crescita deve essere misurata in termini diversi da quelli puramente quantitativi del Pil, mettendo in gioco gli indicatori dello sviluppo umano. Ma la cosa più importante è superare la stessa alternativa crescita/decrescita, che è del tutto sterile. Si deve promuovere la crescita dell’economia verde, dell’economia sociale e solidale. Un imperativo ineludibile dei prossimi decenni è l’accelerazione della transizione dal dominio quasi assoluto delle energie fossili a un sempre maggiore sviluppo delle energie rinnovabili. Anche questa transizione impone di cambiare via, paradigma: dall’attuale paradigma imperniato su un sostanziale monismo energetico (le fonti di energia fossile) a un paradigma imperniato su un pluralismo energetico, nella cui prospettiva si deve sostenere simultaneamente la crescita di molteplici fonti rinnovabili di energia (solare, eolico, biogas, idroelettrico, geotermico...), che possono avere un valore non solo additivo ma moltiplicativo, se messe in rete e se condivise da ambiti internazionali sempre più ampi.

In questo senso, la realizzazione di un pluralismo energetico è indissociabile dalla realizzazione di una democrazia energetica: la condivisione energetica risulta un valore fondante delle politiche internazionali, su scala continentale come su scala globale. Nello stesso tempo si deve sostenere la decrescita dei prodotti inutili dagli effetti illusori tanto decantati dalla pubblicità, la decrescita dei prodotti che generano rifiuti ingombranti e non riciclabili, la decrescita dei prodotti di corta durata e a obsolescenza programmata. Si deve promuovere la crescita di un’economia basata sulla filiera corta, e promuovere la decrescita delle predazioni di tutti quegli intermediari che impongono prezzi bassi ai produttori e prezzi alti ai consumatori. E per imboccare una via nuova bisogna concepire una nuova politica economica che possa contrastare l’onnipotenza della finanza speculativa e mantenere nello stesso tempo il carattere concorrenziale del mercato.

Nello stesso tempo, si rivela sterile anche l’alternativa globalizzazione/deglobalizzazione. Dobbiamo globalizzare e deglobalizzare in uno stesso tempo. Dobbiamo valorizzare tutti gli aspetti della globalizzazione che producono cooperazioni, scambi fecondi, intreccio di culture, presa di coscienza di un destino comune. Ma dobbiamo anche salvare le specificità territoriali, salvaguardare le loro conoscenze e i loro prodotti, rivitalizzare i legami fra agricoltura e cultura. Questo andrebbe di pari passo con una nuova politica nei confronti delle aree rurali, volta a contrastare l’agricoltura e l’allevamento iperindustrializzati, ormai divenuti nocivi per i suoli, per le acque, per gli stessi consumatori, e a favorire invece l’agricoltura biologica basata su stretti legami con il territorio.

Certo, quando parliamo dell’attuale fase della globalizzazione, non possiamo certo sottovalutare il fatto che Paesi solo poco tempo fa definiti sottosviluppati abbiano decisamente migliorato i loro livelli di vita: sotto questo aspetto le delocalizzazioni della produzione hanno sicuramente svolto un ruolo importante. Ma dinanzi all’eccesso di queste delocalizzazioni, e di conseguenza all’annientamento dell’industria europea, dobbiamo certamente prevedere interventi protettivi.

Per quanto riguarda il destino particolare dell’Europa nell’età della globalizzazione, è decisivo il fatto che tutte le nazioni siano oggi diventate multiculturali. L’Italia stessa è entrata appieno in questo processo, anche se con un certo ritardo rispetto ad altre nazioni storicamente più ricche di legami con il mondo intero: Francia, Gran Bretagna, Olanda, Germania... Le nuove diversità conseguenti alla globalizzazione si sono aggiunte alle diversità etniche e regionali tradizionalmente costitutive dei nostri paesi.

Oggi non basta dire che la Repubblica è una e indivisibile, bisogna anche dire che è multiculturale. Concepire insieme unità, indivisibilità e multiculturalità significa far sì che l’unità eviti il ripiegamento delle singole culture su se stesse e nello stesso tempo riconoscere la diversità feconda di tutte le culture. Anche in questo caso dobbiamo superare le alternative rigide.

Dobbiamo superare l’alternativa fra l’omologazione che ignora le diversità, che è stata la politica prevalente negli stati nazionali europei degli ultimi due secoli, e una visione del multiculturalismo come semplice giustapposizione delle culture. Per evitare la disgregazione delle nostre società abbiamo bisogno di riconoscere nell’altro sia la sua differenza sia la sua somiglianza con noi stessi. Rendere le diversità interne non un ostacolo, ma una ricchezza per la nazione: questo è un compito essenziale per la ricostruzione civile dell’Italia e di tutte le nazioni europee, nel momento in cui le sfide globali possono essere affrontate solo da società che siano nello stesso tempo aperte e coese.

un nuovo pensiero

Oggi il pensiero politico deve riformularsi sulla base di una diagnosi pertinente del momento storico dell’era planetaria che stiamo vivendo, deve concepire una via di civiltà, e deve di conseguenza trovare un percorso coerente sul piano nazionale, europeo, mondiale. Attualmente, siamo in una situazione contraddittoria: c’è un mondo che vuole nascere e che non riesce a nascere, e nel contempo questa nascita incipiente è accompagnata da uno scatenamento di forze di distruzione.

Questa situazione contradditoria ci impone di superare anche un’altra falsa alternativa classica, basata sulla contrapposizione fra conservazione e rivoluzione. Dobbiamo fare nostra l’idea di metamorfosi, combinando insieme conservazione e rivoluzione. Questa metamorfosi ci appare ancora improbabile, anzi quasi inconcepibile. Ma questa constatazione a prima vista disperante comporta un principio di speranza, motivato dalla consapevolezza che ci viene dalla conoscenza delle grandi soglie della storia e dell’evoluzione umana. Sappiamo che le grandi mutazioni sono invisibili e logicamente impossibili prima della loro attuazione; sappiamo anche che esse compaiono quando i mezzi dei quali un sistema dispone sono divenuti incapaci di risolvere i suoi problemi all’interno del sistema stesso. Così siamo inclini a sperare che, pur ancora improbabile e inconcepibile, la metamorfosi non sia impossibile.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/9/2012 14.24
Titolo:Il sogno di definire cos’è la «cosa» ...
Il sogno di definire cos’è la «cosa»: opera, mezzo, idolo o strumento

di Pierluigi Panza (Corriere della Sera, 13.09.2012)

È «cose» il tema dell’edizione 2012 del Festival Filosofia che si svolge a Modena, Carpi e Sassuolo da domani a domenica. Quasi 200 appuntamenti, in 40 luoghi, tra lezioni, mostre (domani si inaugura la retrospettiva del fotografo Edward Weston), spettacoli e letture in piazza, giochi per bambini e persino cene filosofiche.

Sono talmente tante le «cose» proposte che la rassegna risulta esorbitante, frutto di uno sforzo organizzativo enorme sostenuto dalla direttrice, Michelina Borsari, e da tutto il Consorzio. Si prevedono appuntamenti rari, come l’arrivo in Italia del logico John Searle e della cinese Anne Cheng; lezioni dei maestri stranieri come Bruno Latour, Serge Latouche, Peter Sloterdijk, Francisco Jarauta, Scott Lash e Krzysztof Pomian; quelle dei filosofi di casa nostra come Tullio Gregory, Remo Bodei, Massimo Cacciari, Emanuele Severino, Salvatore Natoli, Giovanni Reale, Sergio Givone, Umberto Galimberti, Maurizio Ferraris, Salvatore Settis (ecc. ecc.); un po’ di passerella con i presenzialisti Zygmunt Bauman e Marc Augé (se sono in ogni festival, quando studiano?) e anche uno spaccato da fiera Ligabue-style con gli intrattenitori Fabio Volo, Giobbe Covatta, Bergonzoni, poi Guccini e un po’ di musica...

«In sé» il problema posto dal festival è il problema di tutta la Metafisica, da Platone a Heidegger: cos’è la cosa? Cos’è l’ente? Bastasse un festival per rispondere, l’avrebbero già organizzato nella stoà di Atene. Il Festival di Modena cerca però di declinare l’interrogazione in molteplici direzioni. In questo è molto omnicomprensivo, anche se emerge una certa tendenza anticapitalistica in coloro che intervengono sulla «cosa sociale». La declinazione del concetto di «cosa», infatti, asseconda sia le tendenze neo-realiste che quelle ermeneutiche, sia l’interrogazione della cosa come mezzo e strumento di lavoro che quella come accadimento e anche bene o patrimonio, idolo e feticcio. Ciascuno può scegliere la «cosa» che vuole e vederla come vuole, dalle «Cose prime» di Severino, alla «Cosa ultima» di Cacciari a quelle intermedie. Tra le quali soffermerei lo sguardo su quelle terrestri legate al terremoto e al recupero del patrimonio (l’archeologo Settis e l’architetto Ciorra), ovvero al recupero di quella «materia signata», come aveva scritto Tommaso D’Aquino, che andrebbe trattata come una reliquia e non trasformata per uffici&residenze (come la Manifattura Tabacchi).

Senza scomodare Kant, Heidegger sarebbe uno snodo del tema scelto: Sentieri interrotti resta infatti una delle raccolte di riflessioni più utili per capire come il passaggio della cosa da mezzo a opera avvenga attraverso varie forme di accrescimento e disvelamento, di messa in opera. Questa è una chiave di lettura del festival. Un’altra è quella proposta dai nuovi realisti o tentata da Remo Bodei (presidente del Comitato scientifico del Consorzio per il festival) che mostrerà «come si possa restituire agli oggetti la loro qualità di "cose", ossia l’insieme degli investimenti affettivi, concettuali e simbolici che individui e società vi ripongono». Un’altra ancora è quella di indagare le connessioni tra cosa e passione con Enzo Bianchi (sul debito d’amore che costituisce la vita umana), Sergio Givone (sulla peculiare forma di dono che è il perdono) e Krzysztof Pomian (sulla logica del collezionismo).

Naturalmente bisognerà attendere le relazioni, anche se appaiono più esplorati i filoni pop-estetici legati a idoli, feticci e ipermerce che quelli teoretici vicini alla fenomenologia (Husserl è comunque trattato da Roberta de Monticelli in apertura) e quindi ai limiti dell’esperienza sensibile in rapporto ai fenomeni naturali, agli oggetti e loro percezione. Pochi sembrano voler riaffrontare il criticismo di Locke e Hume alla base dell’indagine kantiana sull’impossibilità di trovare un fondamento teorico alla conoscenza scientifica e l’interrogazione sulla possibilità di fare affermazioni sulla realtà oltre i limiti dell’esperienza. In fondo si privilegia una certa attenzione pragmatica alla Richard Rorty parlando sulle cose così come si sono affermate oggi (idoli, feticci, patrimonio, merci) piuttosto che cercare di fornire una legge capace di descriverle o coglierne «l’essenza». Bisogna del resto considerare che si tratta di un festival e non un convegno gnostico, che interseca più piani al di fuori di superati steccati disciplinari o di esclusive patenti accademiche nell’età della pluralità dei saperi e degli attori didattici. Il programma propone anche la sezione «La lezione dei classici» con studiosi che commenteranno i testi di Platone, Aristotele, Adam Smith, Hegel, Marx, fino a Husserl, Heidegger, Benjamin e Arendt.

Il festival, promosso dal «Consorzio per il festivalfilosofia» (ovvero i Comuni di Modena, Carpi e Sassuolo, la Provincia di Modena, la Fondazione Collegio San Carlo e la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena) lo scorso anno ha registrato oltre 176 mila presenze.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/9/2012 18.19
Titolo:UCCISO KANT: UN CIELO OSCURO SOPRA DI NOI ....
UN CIELO OSCURO SOPRA TUTTA LA TERRA: CIVILTA’ FINANZIARIA E TEOLOGIA POLITICA "MAMMONICA" ("DEUS CARITAS EST": Benedetto XVI, 2006). "Un fatto è evidente: il punto o i punti di ogni decisione sulla vita dei popoli e degli Stati sono stati del tutto sottratti al controllo della democrazia, benché la democrazia sia, in apparenza, intatta. È un fenomeno nuovo, vasto, sconosciuto"(Furio Colombo).


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La finanza modello al Qaeda

di Furio Colombo (il Fatto, 16.09.2012)

Il modello è al Qaeda. Niente volto, niente luogo, niente Stato, un patrimonio fluido e portatile, continua guerra di propaganda, molta potenza che può colpire dovunque, ma che puoi raggiungere solo inventando un nemico vicario, ovvero qualcuno a caso.

Al Qaeda non ha e non vuole avere una cittadinanza o un territorio, esige una bandiera grande e visibile, che possa scatenare masse grandissime, ma ha punti di comando ignoti e remoti per mantenere segreto e potere intatti. Il suo vertice è leggero e mobile, destinato a restare introvabile. Se lo trovi, non sei mai sicuro che sia quello vero, o se hai raggiunto un avamposto o un personaggio abbandonato.

Il potere della finanza, che riesce a governare, spostare, sottomettere il mondo, che ha devastato e trasformato le esistenze di tutti (e costruito ricchezze enormi per pochi, spesso del tutto ignoti) ha reso in pochi anni irriconoscibile il paesaggio sociale del mondo, e cancellato la precedente epoca industriale, è organizzato allo stesso modo.

NON HA UNA patria, non ha uno Stato con cui coincidere, non condivide ideali, storia o interessi, comanda dovunque e non lo puoi trovare. Esige da Stati, persone, governi potenti e gruppi in rovina, somme immense che vengono restituite in minima parte, detraendo di volta in volta una parte della ricchezza comune.

Si tratta dunque, come per al Qaeda, di un potere grande ed eccentrico, senza Stato e senza popolo, ma con la forza di decidere quali e quanti popoli devono di volta in volta obbedire.

È chiaro - spero - che non sto parlando di questo o di quel governo e neppure di organismi internazionali. Parlo, con la stessa incertezza di chi non fa il finto esperto e la stessa paura di ogni cittadino, del cielo sopra i governi. È un cielo gravido di nuvole impenetrabili sopra tutto ciò che sappiamo, un cielo in cui occasionali schiarite non sono mai una promessa.

Non è più capitalismo, nel senso di Weber, Smith, Stuart Mills. La prova: non è il mercato. Il mercato, infatti, è una delle due strutture nel mondo connesso della produzione e dello scambio, che è stato tolto di mezzo, annullando merito del lavoro e valore del prodotto, sostituito dai versamenti rapidi e obbligati continuamente in corso, detti rating o spread arbitrari in cui vaste ricchezze passano di mano in mano, verso l’alto, fino a far perdere le tracce.

L’altra è l’improvvisa e brutale aggressione al welfare, visto come una intollerabile sottrazione di risorse al versamento globale, che è la nuova regola imposta senza elezioni e senza Parlamenti, e che tutti i governi hanno dovuto accettare.

Il trapasso quasi violento degli Stati Uniti da più grande Paese manifatturiero al più grande Paese di banca, Borsa e finanza, fa pensare, con mentalità del passato, che si tratti di una invasione americana sul benessere degli altri Paesi. Ma non è vero.

Certo, è americano lo storico momento di transizione, quando, durante la presidenza Reagan, è stata abolita ogni regolamentazione di funzioni e settori, di banca, finanza e controllo di imprese, permettendo libertà senza limiti e senza controlli nella formazione e nella gestione della ricchezza che è diventato modello per tutti gli altri Paesi.

Il grande simbolo è il dominio delle compagnie di assicurazione americane sulla salute dei cittadini statunitensi, che persino un presidente come Barack Obama forse non riuscirà ad abbattere o a diminuire.

È la bandiera della civiltà finanziaria che ha iniziato l’invasione (prima di tutto negli Usa), spingendo ai margini la civiltà industriale. E non si può dire che sia americano il dominio o il profitto, misterioso e immenso, della nuova epoca, perché, come per al Qaeda, la cittadinanza dei vari operatori non coincide con gli interessi di uno Stato o della politica di un governo.

È COMINCIATA una nuova internazionalità del capitalismo che non ha più come centro un Paese e neppure una cultura (come quando si parlava con fondamento di disegni e politiche di multinazionali e di imperialismo), ma è una struttura schermata e indipendente che provvede, con espedienti sempre diversi, a un continuo, esorbitante prelievo globale, senza riguardi e senza privilegi.

La nuova situazione, anzi, colpisce in pieno l’America proprio in quanto prima potenza del mondo. Dimostra che non è l’America a decidere, dimostra che il suo presidente "socialista" si muove nel passato. Colpisce gli Usa anche attraverso le connessioni internazionali di grandi banche, americane e non americane, impegnate, attraverso il continuo imbroglio del "libor" (regolamentazione spontanea e concordata dei costo del danaro negli scambi tra banche) a rastrellare vasti profitti in ogni Paese, tra cui l’America, a vantaggio della galassia finanziaria che grava, senza nazione e senza Stato, sul mondo, con agenzie operative dislocate nei diversi Paesi, fra banche, Borse e agenzie mutanti gruppi politici.

I governi, con sempre meno potere, subiscono imposizioni pesanti, pena multe gravissime ai rispettivi Paesi, senza badare alle spinte di rivolta che creano. Quelle rivolte riguardano territori e governi, non il cielo del grande passaggio di ricchezza in corso.

Non sto dicendo che un nuovo fantasma si aggira per il mondo. Dico che si è messa in moto la grande rivoluzione della ricchezza che esige sempre più ricchezza, prelevandola ovunque, non intende rendere conto, sa come dare ordini e sa come punire. Mantiene, soprattutto, una incertezza infinita. Un fatto è evidente: il punto o i punti di ogni decisione sulla vita dei popoli e degli Stati sono stati del tutto sottratti al controllo della democrazia, benché la democrazia sia, in apparenza, intatta. È un fenomeno nuovo, vasto, sconosciuto.

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Titolo articolo : SENZA PIU' FIDUCIA E SENZA PIU' GRATITUDINE. Il senso della comunità al tempo della crisi. Una recensione del libro di Michela Marzano ("Avere fiducia") di Roberto Esposito - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/12/2012 - 13:08:48.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/9/2012 12.30
Titolo:IN FRANCIA, COME IN ITALIA. Chi ha paura dei corsi di morale laica?
Chi ha paura dei corsi di morale laica?

di Michela Marzano (la Repubblica, 4 settembre 2012)

Si può insegnare la morale come si insegna la grammatica o l’aritmetica? Spetta alla scuola pubblica spiegare ai cittadini di domani “cosa è giusto”, oppure uno stato liberale non dovrebbe permettersi di intervenire nell’ambito del “bene” e del “male”?

In Francia, in questi ultimi giorni, il dibattito sulla morale a scuola è estremamente vivo. Visto che, prima dell’inizio del nuovo anno scolastico, il ministro dell’Educazione Vincent Peillon ha detto che il compito della scuola non può più essere solo quello di trasmettere una serie di nozioni, ma anche quello di educare all’etica, per permettere ai più giovani di capire che «alcuni valori sono più importanti di altri: la conoscenza, l’abnegazione, la solidarietà, piuttosto che i valori del denaro, della concorrenza e dell’egoismo».

E così il linguaggio dei valori, rifiutato per anni dalla sinistra in quanto sinonimo di un ritorno all’ordine morale, fa la sua comparsa “scandalosa”. Provocando polemiche. Rilanciate, all’indomani delle dichiarazioni di Peillon, dall’ex-ministro del governo sarkozista Luc Chatel, che accusa il socialista di utilizzare argomenti “ pétainistes”. Chiedere alla scuola di inculcare nei giovani la morale, perché il risanamento di una nazione non può essere solo materiale, ma anche spirituale, significa, per Chatel, fare un passo indietro nella storia: solo il Maresciallo Pétain, negli anni 1940, aveva osato fare dichiarazioni di questo genere.

Come se parlare di decadenza spirituale fosse all’appannaggio della destra. Oppure della Chiesa. Visto che anche da parte del mondo cattolico si sono sollevate alcune obiezioni, per paura che questi famosi valori da insegnare non siano in conformità con il magistero della Chiesa. Ma di quale morale stiamo allora parlando?

Per Peillon, la sola morale che la scuola può insegnare è una “morale laica”. Non si tratta di tornare alle nozioni tradizionali di “patria” e di “famiglia”, né ai concetti di “ordine” e di “disciplina”, ma solo di stimolate la capacità di ragionare, di dubitare e di criticare dei più giovani. È per questo che a scuola si dovrebbe tornare a parlare di libertà, di rispetto, di dignità e di giustizia. Come non dar ragione al ministro dell’educazione, quando si sa che anche solo per formulare correttamente un giudizio critico si devono avere alcune basi? Certo, all’era dell’autonomia individuale, qualunque forma di ritorno al paternalismo sarebbe incongrua. Non si tratta di dare agli studenti un breviario delle azioni da compiere e di quelle da evitare, né di insegnare cosa si debba o meno pensare della vita, della morte, o della sessualità. Si tratta solo di spiegare il significato preciso dei valori che giustificano l’agire umano. Nozioni come il rispetto, la dignità, la responsabilità o la libertà, che sono alla base di ogni etica pubblica contemporanea, non possono essere utilizzate a casaccio. Ognuna di loro ha una propria “grammatica”; per utilizzarle correttamente si devono conoscere le regole del gioco linguistico.

Ecco quale è lo scopo della scuola oggi: insegnare di nuovo ad utilizzare correttamente le parole della morale per permettere l’organizzazione del “vivere-insieme”; evitare che alcuni radicalismi religiosi interferiscano nella sfera pubblica; alimentare il dibattito democratico, senza che la violenza prenda il posto della critica. Esattamente il contrario di ciò che voleva fare Pétain. Ma anche l’opposto di quello che sognerebbero oggi i nuovi integralisti della morale.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/9/2012 09.30
Titolo:Se manca la solidarietà essere liberi è solo un’illusione
Un mondo senza regole. Perché se manca la solidarietà essere liberi è solo un’illusione

di Zygmunt Bauman (la Repubblica, 5 settembre 2012)

«Chi ha detto che dobbiamo stare alle regole?» La domanda appare con grande rilievo in testa al sito internet locationindependent.com. Immediatamente più in basso, viene suggerita una risposta: «Sei stufo di dover seguire le regole? Regole che ti impongono di ammazzarti di lavoro e guadagnare un mucchio di soldi in modo da permetterti una casa e un mutuo imponente? E lavorare ancora più duramente per ripagarlo, sino al momento in cui avrai maturato una bella pensioncina [...] e finalmente potrai iniziare a goderti la vita? A noi quest’idea non andava - e se non va neanche a te, sei finito nel posto giusto».

Leggendo queste parole non ho potuto fare a meno di ricordare una vecchia barzelletta che circolava all’epoca del colonialismo europeo: mentre passeggia tranquillo per la savana, un inglese che indossa gli irrinunciabili simboli di un compìto colonialista, con tanto di elmetto di ordinanza, s’imbatte in un indigeno che russa beato all’ombra di un albero. Sopraffatto dall’indignazione, per quanto mitigata dal senso di missione di civiltà che lo ha portato in quelle terre, l’inglese sveglia l’uomo con un calcio, gridando: «Perché sprechi il tuo tempo, fannullone, buono a nulla, scansafatiche?». «E cos’altro potrei fare, signore?», ribatte l’indigeno, palesemente interdetto. «È pieno giorno, dovresti lavorare!». «Perché mai?», replica l’altro, sempre più stupito. «Per guadagnare denaro!». E l’indigeno, al colmo dell’incredulità: «Perché?». «Per poterti riposare, rilassare, goderti l’ozio!». «Ma è esattamente quello che sto facendo!», aggiunge l’uomo, risentito e seccato.

Beh, il cerchio si è chiuso: siamo forse arrivati alla fine di una lunga deviazione e tornati al punto di partenza? Lea e Jonathan Woodward, due professionisti europei estremamente colti e capaci che dirigono il sito locationindependent citato prima, stanno forse riconoscendo, esplicitamente e direttamente, senza tanti giri di parole, un concetto premoderno, innato e intuitivo che i pionieri, gli apostoli e gli esecutori della modernità avevano screditato, ridicolizzato e tentato di estirpare quando esigevano invece che le persone lavorassero duramente per tutta la vita e che solo in seguito, alla fine di interminabili fatiche, iniziassero a «spassarsela»?!

Per i Woodward, così come per l’«indigeno» del nostro aneddoto, l’insensatezza di una tale proposta è talmente lampante da non meritare alcuna spiegazione, né una riprova discorsiva. Per loro, così come per l’«indigeno», è chiaro come il giorno che anteporre il lavoro al riposo - e quindi, indirettamente, rimandare una soddisfazione potenzialmente istantanea (quella sacrosanta regola a cui il colonialista dell’aneddoto e i suoi contemporanei si attenevano alla lettera) - non è una scelta più saggia né più utile di quella di chi mette il carro davanti ai buoi.

Che oggi i Woodward possano affermare con tale sicurezza e convinzione delle opinioni che solo una o due generazioni fa sarebbero state considerate un’abominevole eresia è indice di un’imponente «rivoluzione culturale». Una rivoluzione che non ha trasformato soltanto la visione che i rappresentanti delle classi colte hanno del mondo, ma il mondo stesso in cui sono nati e cresciuti, che impararono a conoscere e sperimentarono. Affinché potesse apparire lampante, la loro filosofia di vita doveva basarsi sulla realtà contemporanea e su solide fondamenta materiali che nessuna autorità costituita sembra intenzionata a mettere in discussione.

Le fondamenta della vecchia/nuova filosofia di vita appaiono ormai incrollabili. Quanto profondamente e irreversibilmente il mondo sia cambiato nella sua transizione alla fase «liquida» della modernità è dimostrato dalla timidezza delle reazioni dei governi di fronte alla più grave catastrofe economica verificatasi dalla fine della fase «solida», quando ministri e legislatori hanno deciso, quasi per istinto, di salvare il mondo della finanza - ma anche i privilegi, i bonus, i «colpacci» in Borsa e le strette di mano che suggellavano accordi miliardari e ne consentivano la sopravvivenza: quella potente forza causale e operativa che è stata alla base della deregulation, e principale paladina ed esponente della filosofia dell’«inizieremo a preoccuparcene quando accadrà»; di pacchetti azionari suddivisi in parcelle rimasti immuni dalla responsabilità delle conseguenze; di una vita che si basa sul denaro e sul tempo presi a prestito, e di una modalità di esistenza ispirata al «godi subito e paga dopo». In altre parole, quelle stesse abitudini, che il potere ha facilitato, a cui in definitiva il terremoto economico in questione potrebbe (e dovrebbe) essere ricondotto. (...)

Tuttavia, nell’appello dei Woodward c’è qualcosa di più in gioco, molto di più, della differenza tra un posto di lavoro ancorato a un luogo, tutto racchiuso all’interno di un unico edificio commerciale, e uno itinerante, diretto verso mete predilette quali la Tailandia, il Sudafrica e i Caraibi. (...) A essere realmente in gioco è, come loro stessi ammettono, la «libertà di scegliere ciò che è giusto per te» - per te, e non «per gli altri» - o di come condividere il pianeta e lo spazio con questi altri.

Assumendo tale principio a parametro con cui misurare la correttezza e il valore delle scelte di vita, i Woodward si trovano sulla stessa linea di pensiero delle persone contro le quali si ribellano, come i dirigenti e i manager della Lehman Brothers e tutti i loro innumerevoli emuli, nonché coloro che - come scrive Alex Berenson, del New York Times - ricevono «stipendi a otto cifre» (accusa che con ogni probabilità i Woodward rifiuterebbero indignati).

Tutti, unanimemente, approvano il fatto che «l’ordine dell’egoismo» abbia preso il sopravvento su quell’«ordine della solidarietà», che un tempo aveva il suo vivaio più fertile e la cittadella principale nella protratta condivisione (ritenuta senza fine) dei locali in uffici e fabbriche.

Sono stati i consigli di amministrazione e i dirigenti delle multinazionali, con il tacito o manifesto sostegno e incoraggiamento del potere politico in carica, a occuparsi di smantellare le fondamenta della solidarietà tra impiegati mediante l’abolizione del potere di contrattazione collettivo, smobilitando le associazioni di tutela dei lavoratori e obbligandole ad abbandonare il campo di battaglia; tramite l’alterazione dei contratti di lavoro, l’esternalizzazione e il subappalto delle funzioni manageriali e delle responsabilità dei dipendenti, deregolamentando (rendendo «flessibili») gli orari di lavoro, limitando i contratti di lavoro e al tempo stesso intensificando l’avvicendarsi del personale e legando il rinnovo dei contratti alle prestazioni individuali, controllandole da vicino e in continuazione. Ovvero, per farla breve, facendo tutto il possibile per colpire la logica dell’autotutela collettiva e favorire la sfrenata competitività individuale per assicurarsi vantaggi dirigenziali.

Il passo definitivo per porre fine una volta per tutte a qualsiasi occasione di solidarietà tra dipendenti - che per la grande maggioranza delle persone rappresenta l’unico mezzo per raggiungere la «libertà di scegliere ciò che fa per te» - richiederebbe, comunque, l’abolizione della «sede di lavoro fissa» e dello spazio condiviso dai lavoratori, in ufficio o in fabbrica.

Ed è questo il passo che Lea e Jonathan Woodward hanno compiuto. Con le loro competenze e credenziali se lo sono potuti permettere. Tuttavia non sono molte le persone che si trovano nella condizione di cercare un rimedio alla propria mancanza di libertà in Tailandia, in Sudafrica o ai Caraibi, non necessariamente in questo stesso ordine.

Per tutti gli altri che non sono in una simile posizione, il nuovo concetto/stile di vita/impostazione mentale dei Woodward confermerebbe una volta per tutte quanto le loro perdite siano definitive, dal momento che meno persone rimarrebbero impegnate nella difesa collettiva delle loro libertà individuali. L’assenza più cospicua sarebbe quella delle «classi colte», a cui un tempo spettava il compito di sollevare dalla miseria gli oppressi e gli emarginati.

(Traduzione di Marzia Porta)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/9/2012 10.20
Titolo:UNA MAREA CHE TRAVOLGE OGNI COSA ....
Chi vuole bloccare il cambiamento

di Michele Ciliberto (l’Unità, 06.09.2012)

IN ITALIA SIAMO ABITUATI, SE NON A TUTTO, A MOLTE COSE. MA LA DICHIARAZIONE di Pietro Grasso sulle «menti raffinatissime» che sono all’opera, come nel 1992, per impedire una soluzione positiva della crisi italiana non può passare inosservata. Quale è la situazione dell’Italia in questo momento? Qual è il nostro problema principale? Credo debba essere questo il punto centrale della discussione, né, a mio giudizio, ci sono dubbi sulla risposta. In questione oggi è il destino, e il futuro, dello Stato nazionale italiano, per motivi sia di ordine interno che internazionale. Riguardo a questi ultimi, sono sotto gli occhi di tutti le gravissime difficoltà in cui si trova il nostro Paese, e i problemi che sono oggi aperti intorno ai rapporti tra sovranità nazionale e sovranità europea.

Ma non meno decisivi, e gravi, sono i problemi di ordine interno. Anzi, per molti aspetti, è anzitutto qui che bisogna guardare per capire cosa sta effettivamente accadendo.

In Italia sono oggi in profonda crisi sia il potere esecutivo che quello legislativo e giudiziario. Se si volesse usare una espressione del linguaggio ordinario si potrebbe dire che stanno «saltando» i binari e che viviamo in una situazione eccezionale, in cui tutto è diventato possibile.

L’azione del presidente della Repubblica compreso il conflitto di attribuzione sollevato presso la Corte costituzionale si situa in questo contesto: è un momento importante ma un momento di un’azione che, restando nell’ambito delle proprie prerogative, si sta sforzando da tempo di evitare che il Paese deragli e di ricostituire le fondamenta della legalità e le regole repubblicane. In questo senso è anche, oggettivamente, una iniziativa politica opportuna, a mio giudizio. Ma certo, esposta, proprio per questa sua natura, alla possibilità di critiche di varia natura.

Detto questo, resta però da capire perché la presidenza della Repubblica venga attaccata con questa violenza e perché sia stata individuata da un fronte composito come il nemico principale, l’ostacolo da abbattere con tutti gli strumenti possibili. Si può cominciare a capirlo se si analizzano gli schieramenti in campo e, quando ci siano, le strategie da essi proposte, sapendo che il governo Monti periodizza anche da questo punto di vista la storia della Repubblica.

Semplificando, le proposte principali di soluzione della crisi sono in sostanza tre: la democratica; la tecnocratica; la neo-giacobina. Esse ed è un punto interessante non sono, peraltro, specifiche di un singolo partito: ad esempio, la soluzione democratica e quella tecnocratica convivono nel Pd.

A conferma della complessità, della vischiosità e anche della novità della situazione, va però subito detto che a queste tre se ne aggiunge una quarta, altrettanto importante: paradossalmente, si potrebbe definire quella della non-soluzione della crisi. In altre parole, è quella che, in una situazione come quella attuale, punta, da un lato, a una sorta di «feudalizzazione» dei poteri economici e politici (con un nuovo ruolo politico e organizzativo affidato ai giornali); dall’altro a un declino del nostro Stato nazionale come realtà autonoma e specifica, con una strategia che non ha nulla a che fare con le vecchie politiche della Lega di Bossi: qui è l’idea di Stato in quanto tale che viene subordinata a una riorganizzazione proprietaria dei poteri, refrattaria ad ogni regola a cominciare da quelle sindacali -, e proiettata in un orizzonte post-statale e post-nazionale.

Riprendendo la distinzione schematica ora proposta, sono forze che si oppongono frontalmente alla proposta «democratica»; ma sono distanti anche dalla prospettiva «tecnocratica» o dall’ipotesi di una «grande coalizione». Né c’è da fare dietrologia. Basta limitarsi alla lettura di alcuni giornali per vedere all’opera forze che tengono in una condizione di tensione permanente il Paese per evitare che la crisi trovi una soluzione politica. Sono forze favorite, e alimentate, da alcuni dati obiettivi: la crisi dei partiti e delle culture politiche tradizionali; la decomposizione dei vecchi legami sociali ed economici; la frantumazione delle strutture associative, a cominciare dal sindacato; e, naturalmente, la crisi della sovranità nazionale...

Dicendo questo non penso solo alla camorra o alla mafia (cosa ben nota); ma a forze economiche ed politiche che puntano alla crisi e alla dissoluzione dei «vincoli» essenziali dello Stato, proprio mentre il problema del rapporto tra sovranità nazionale e sovranità europea si configura in termini, per molti aspetti, drammatici. La violenza e la durezza dell’attacco alla presidenza della Repubblica e al suo ruolo nasce qui: essa è, di fatto, individuata come l’ostacolo politico principale a questo disegno. Quella che si sta svolgendo in questi mesi è una battaglia integralmente politica, condotta con tutte le armi-lecite ed illecite-; ed è strategica per una serie di forze che stanno cercando di ricollocarsi dopo la fine del berlusconismo per fronteggiare e risolvere la crisi internazionale a proprio vantaggio. Questa è la sostanza della cosa. Si tratta di un complesso di forze potenti, ed è, certo, possibile che, alla loro testa, siano «menti raffinatissime»; ma per capire come esse agiscono e cosa vogliono basta Karl Marx. Quelli che sono in campo sono interessi precisi, materiali, che si sono schierati sulla base di quelle che considerano le proprie convenienze.

Credo che sia un altro, invece, il punto principale da sottolineare per capire la situazione in cui ci troviamo: la realtà dei fatti, specie in queste ultime settimane, è stata fortemente annebbiata, e confusa, da uno scontro ideologico di estrema violenza. Non è la prima volta, né sarà l’ultima. Ma in questo caso la nebbia si è particolarmente infittita perché l’ideologia si è «colorata» in buona o in cattiva fede (mi guardo bene dal fare di ogni erba un fascio) di «legalismo» e di «moralismo», diffondendosi e trovando consensi anche a sinistra. E si capisce: il «moralismo», oltre ad essere una cosa in sé rispettabile, è un classico, ed eccezionale strumento ideologico anche se non è mai servito per capire, o per cambiare, la realtà. Ma questa «coloritura» (parola cara a Machiavelli) ha contribuito ad accentuare ulteriormente la confusione sotto il cielo.

A differenza di quanto pensava il presidente Mao, da questa confusione è però necessario uscire, e per farlo bisogna richiamare l’attenzione di tutti sul punto centrale, mettendolo in piena luce: il nostro destino come Stato, come comunità nazionale imperniata sui diritti e sui doveri sanciti dalla Costituzione.

Giorno dopo giorno, intorno a noi sale una marea che travolge ogni cosa, anche i principi elementari di un possibile confronto. Per cercare di ristabilire le fondamenta del nostro «vivere civile» a cominciare da quello costituzionale occorre andare alla sostanza delle cose ponendo al centro della discussione, in modo rigoroso e disincantato, le ragioni interne e internazionali della lunga crisi dello Stato italiano, i motivi profondi del conflitto attuale, interrogandosi ed è il punto decisivo su quale possa essere un suo possibile futuro, mentre si esaurisce il paradigma «moderno» della statualità.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/9/2012 12.26
Titolo:LE REGOLE DEL GIOCO. Nell’infanzia abbiamo la capacità di imparare le «regole» ...
L’intervento della De Monticelli a Torino Spiritualità

Sono i giochi dei bimbi a distinguerci dalle scimmie

Nell’infanzia abbiamo la capacità di imparare le «regole»

di Roberta De Monticelli (La Stampa, 06.09.2012)

LA DIFFERENZA. Gli altri primati seguono gli istinti, solo gli umani vivono secondo «norme»
LA COOPERAZIONE. Quest’interazione non sempre ha un connotato positivo, oggi spesso si trasforma in consorteria

L’ uomo è animale normativo. Questo vuol dire che mentre gli altri primati vivono, per intenderci rapidamente, in base agli istinti, tutta la nostra vita è invece soggetta a norme. Bisognerebbe imparare a sentire, nella parola «normalità», proprio il senso pervasivo della normatività radicata nel nostro comportamento quotidiano.

Tutta la nostra vita cosciente, che si tratti di azioni, decisioni, emozioni, pensieri, percezioni, è soggetta alla questione se sia come dovrebbe. C’è una coscienza normativa - tipicamente, un senso di (in) adeguatezza - che attraversa ogni nostro fare, dire, pensare, percepire, sentire: ci rendiamo conto del suo essere più o meno adeguato, corretto, opportuno, riuscito, «esatto» (da «esigere»).

Del resto, l’anima di ogni cultura - a cominciare dalla suo stesso scheletro, la lingua di quella cultura - è un’anima normativa, è in qualche modo coscienza di un dovuto.

Nell’esempio della lingua lo si vede con la massima chiarezza. Nessuno parla come gli passa per la testa, perché non parlerebbe affatto. Parlare è piegarsi alle norme di senso della lingua in cui si parla...

Da dove viene il potere obbligante delle norme? Da Dio, dalla Natura, dalla Società, dalla Ragione? Possiamo ricostruire la storia della filosofia in base alle risposte che si danno a questa questione. Ma se il mondo antico e quello moderno ancora disputano in noi con le loro risposte, è dai tempi di Socrate che noi conosciamo un modello di «normalità» umana che è centrato sul potere dell’interrogativo.

Socrate incentrò su questo potere la sua paideia, l’educazione dell’uomo alla ricerca dei fondamenti di giustificazione delle norme, di qualunque tipo, inclusi i nostri mores. Lungo la via di Socrate è cresciuto, nell’anima d’Europa, quasi tutto ciò per cui vale la pena di vivere: la libera ricerca nelle scienze, nelle arti, nell’etica, nel diritto, nella politica, nella religione.

La «normalità» socratica è il rinnovamento morale quotidiano, che idealmente presuppone la libertà e la ricerca di verità, per dare alla norma quotidiana verifica, o allora ragionevole e giusta modifica.

Husserl nello stesso spirito pensava che «etica» e «rinnovamento» quotidiano siano quasi sinonimi. Il gioco socratico della verifica delle regole è in un certo senso l’eterna giovinezza: in un senso opposto a quello della grottesca, scimmiesca simulazione di giovinezza che abbiamo sotto gli occhi nelle viziose gerontocrazie di oggi.

Oggi però sappiamo molto di più di un tempo sulle basi naturali della cultura. Sulla differenza fra noi e le specie più evolute di primati la scienza ha detto molto.

La differenza è minima in termini genetici, eppure enorme all’apparenza. Come mai? Michael Tomasello, ugualmente esperto nella psicologia sperimentale dei primati e degli infanti umani, è diventato famoso per aver individuato questa differenza nel fatto che questa pur minima differenza ha fatto di noi degli animali cooperativi.

Tomasello ha giocato a lungo coi bambini più piccoli, e ha studiato il loro giocare. Qui, nel loro gioco, ha scoperto quello che ci distingue davvero dai primati. Noi abbiamo delle capacità naturali in cui questa attitudine cooperativa si fonda. Noi sappiamo veramente imitare, cioè non semplicemente copiare le azioni, ma capire le loro intenzioni e riprodurle: direi, afferrare la regola che anima un gesto.

Mentre le scimmie, quand’anche scimmiottino, sanno solo «emulare»: cioè imitare l’uso di un mezzo per scopi che già hanno indipendentemente. Non apprendono per imitazione fini e intenzioni nuove. Non imparano le regole di giochi per loro nuovi, come i bambini anche piccolissimi. Non imparano a scambiarsi il ruolo nei giochi, quindi a relativizzare il proprio punto di vista sulla realtà, capire ce ne sono anche altri. Non sanno condividere l’attenzione, e quindi il riferimento a un comune contesto. Non sono fatti per condividere un linguaggio, e neppure una cultura materiale. Non c’è propriamente crescita tramite accumulo e innovazione nel mondo animale.

Un equivoco grava su questa scoperta: una sorta di tesi neo-roussoviana, per cui noi saremmo allora «naturalmente» buoni, simpatici. È l’equivoco della naturalizzazione dell’etica: questa starebbe già nella nostra natura cooperativa - e non soltanto competitiva.

Un equivoco, perché non è affatto il carattere cooperativo come tale a rendere un’interazione umana, o addirittura una società umana, giusta. È vero che le società umane sono organizzate in modo cooperativo. Ma la cooperazione funziona tanto nella giustizia quanto nell’ingiustizia, tanto è vero che fin dall’inizio delle civiltà si dibatte sull’alternativa fondamentale: la legge si fonda sulla forza o sulla giustizia?

Socrate e Trasimaco aprono una disputa che dura fino ai nostri giorni - e se la filosofia tende a dar ragione a Socrate la storia tende a darla a Trasimaco.

Il fenomeno più palese della cooperazione senza giustizia è la consorteria, origine di ogni forma di criminalità organizzata, che è la tendenza a co-operare conformemente al vantaggio dei cooperanti qualunque sia lo svantaggio di terzi estranei all’accordo, e quindi della comunità più vasta cui il gruppo dei cooperanti appartiene.

Il modello di «normalità» che sembra oggi dominante in Italia è quella dell’uomo di consorteria. È la soggettività così caratteristica dei nostri giorni: la «normalità» priva di ogni senso di (in) adeguatezza, priva perfino dell’ombra di un interrogativo, mera funzione di quella collettiva della consorteria d’appartenenza.

È la mentalità dell’esecutore - che sia poi quella del complice, del servitore o di quel mezzo fra i due che è il moderno «mediatore»: il faccendiere, il referente politico per l’attività lobbistica, il funzionario di partito, il giornalista deferente. La sua funzione è quella del topo roditore di normatività. Si parla oggi più correntemente di erosione di legalità, perché di questa abbiamo dati contabili, l’enorme fatturato annuale che comporta.

Ma non è che la punta dell’iceberg, dove l’iceberg è l’erosione di legalità interiore. Ne esiste una gamma quasi infinita di varianti, a seconda del tipo di consorteria: dalle cordate dei concorsi universitari alle cosche mafiose.

Ciò che l’erosione di legalità esterna e interiore produce, è la sostituzione della regola esplicita, che si rivolge alla coscienza personale e alla sua facoltà di dubbio e interrogazione, con il potere normativo della pressione sociale, la cui caratteristica è la delegittimazione del dissenso. Ne sappiamo qualcosa in questi giorni, quando torna in auge una frase che potevamo sperare sepolta nel cimitero degli orrori politici: «Se dici così fai il gioco dell’avversario».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/9/2012 13.08
Titolo:Per ogni nostro rapporto comunicativo .....
«Il modello? Il dialogo misterioso nel sepolcro di Gesù»

di Carlo Maria Martini (Avvenire, 12 settembre 2012)

Solitamente si dà della comunicazione una definizione empirica: comunicare è «dire qualcosa a qualcuno». Dove quel «qualcosa» si può allargare a livello planetario, attraverso il grande mondo della rete che è andato ad aggiungersi ai mezzi di comunicazione classici. Anche quel «qualcuno» ha subìto una crescita sul piano globale, al punto che gli uditori o i fruitori del messaggio in tempo reale non si possono nemmeno più calcolare.

Questa concezione empirica, alla luce dell’odierno allargamento di prospettive, dove sempre più si comunica senza vedere il volto dell’altro, ha fatto emergere con chiarezza il problema maggiore della comunicazione, ossia il suo avvenire spesso solo esteriormente, mantenendosi sul piano delle nude informazioni, senza che colui che comunica e colui che riceve la comunicazione vi siano implicati più di tanto.

Per questo vorrei tentare di dare della comunicazione una descrizione «teologica», che parta cioè dal comunicarsi di Dio agli uomini, e lo vorrei fare enunciando qui alcune riflessioni che potrebbero servire per una nuova descrizione del fenomeno.

Nel sepolcro di Gesù, la notte di Pasqua, si compie il gesto di comunicazione più radicale di tutta la storia dell’umanità. Lo Spirito Santo, vivificando Gesù risorto, comunica al suo corpo la potenza stessa di Dio. Comunicandosi a Gesù, lo Spirito si comunica all’umanità intera e apre la via a ogni comunicazione autentica. Autentica perché comporta il dono di sé, superando così l’ambiguità della comunicazione umana in cui non si sa mai fino a che punto siano implicati soggetto e oggetto.

La comunicazione sarà dunque anzitutto quella che il Padre fa di sé a Gesù, poi quella che Dio fa a ogni uomo e donna, quindi quella che noi ci facciamo reciprocamente sul modello di questa comunicazione divina. Lo Spirito Santo, che riceviamo grazie alla morte e resurrezione di Gesù e che ci fa vivere a imitazione di Gesù stesso, presiede in noi allo spirito di comunicazione. Egli pone in noi caratteristiche, quali la dedizione e l’amore per l’altro, che ci richiamano quelle del Verbo incarnato. Di qui potremmo dedurre alcune conclusioni su ogni nostro rapporto comunicativo.

Primo. Ogni nostra comunicazione ha alla radice la grande comunicazione che Dio ha fatto al mondo del suo Figlio Gesù e dello Spirito Santo, attraverso la vita, morte e resurrezione di Gesù e la vita di Gesù stesso nella Chiesa. Si capisce perciò come i Libri sacri, che in sostanza parlano di questa comunicazione, siano opere di grande valore per la storia del pensiero umano. È vero che anche i libri di altre religioni possono essere ricchi di contenuto, ma questo è dovuto al fatto che sottostà a essi il dato fondamentale di Dio che si dona all’uomo.

Secondo. Ogni comunicazione deve tenere presente come fondante la grande comunicazione di Dio, capace di dare il ritmo e la misura giusti a ogni gesto comunicativo. Ne consegue che un gesto sarà tanto più comunicativo quanto non solo comunicherà informazioni, ma metterà in rapporto le persone. Ecco perché la comunicazione di una verità astratta, anche nella catechesi, appare carente rispetto alla piena comunicazione che si radica nel dono di Dio all’uomo.

Terzo. Ogni menzogna è un rifiuto di questa comunicazione. Quando ci affidiamo con coraggio all’imitazione di Gesù, sappiamo di essere anche veri e autentici. Quando ci distacchiamo da questo spirito, diveniamo opachi e non comunicanti.

Quarto. Anche la comunicazione nelle famiglie e nei gruppi dipende da questo modello. Essa non è soltanto trasmissione di ordini o proposta di regolamenti ma suppone una dedizione, un cuore che si dona e che quindi è capace di muovere il cuore degli altri.

Quinto. Anche la comunicazione nella Chiesa obbedisce a queste leggi. Essa non trasmette solo ordini e precetti, proibizioni o divieti. È scambio dei cuori nella grazia dello Spirito Santo. Perciò le sue caratteristiche sono la mutua fiducia, la parresia, la comprensione dell’altro, la misericordia

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Commenti Articolo 762

Titolo articolo : IN SVEZIA, IN MISSIONE PER IL DIO DI BENEDETTO XVI. Il cortile dei Gentili a casa dei Nobel: "duetti" all'Accademia reale delle scienze. Una nota di Armando Torno e un intervento di Gianfranco Ravasi - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/12/2012 - 12:36:21.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/9/2012 10.41
Titolo:Non banalizzate il cardinale Martini ...
Non banalizzate il cardinale

di Aldo Maria Valli (Europa, 11 settembre 2012)

Il cardinale Martini è morto a poche settimane dal cinquantesimo anniversario dell’inizio del Concilio (11 ottobre 1962). Furono per lui, disse una volta, i più bei anni della sua vita, perché aria fresca entrava in una Chiesa che sapeva troppo si sacrestia e di muffa, e perché lo studio delle sacre scritture su base storica ne usciva legittimato, permettendo così anche ai cattolici di abbandonare il semplice devozionismo per entrare in un rapporto più maturo e adulto con la Bibbia.

Con il testamento spirituale consegnato al confratello padre Georg Sporschill, Martini ha indicato la strada per la Chiesa del terzo millennio: povertà e non sfarzo, collegialità e non centralismo, profezia e non burocrazia, testimonianza e non legalismo. Ha però ragione Vito Mancuso a dire (sulla Repubblica) che nei confronti del potente messaggio di Martini è subito partita un’operazione di ridimensionamento, una di quelle in cui la Chiesa gerarchica è sempre stata molto abile. Si sta mettendo il silenziatore alle denunce di Martini e si cerca di ridurre il suo messaggio a quello di un servitore della Chiesa generoso ma probabilmente un po’ troppo vivace. Servitore certamente lo è stato, fino all’ultimo, ma indignato! E triste davanti a una Chiesa cieca e sorda di fronte ai veri drammi degli uomini e delle donne di oggi.

Ma un’analoga operazione di ridimensionamento sta avvenendo anche nei confronti dello stesso Concilio Vaticano II. Il papa, in occasione dell’anniversario, ha proclamato un anno della fede. Il che provoca qualche perplessità perché sarebbe come, per un marito, proclamare l’anno dell’amore verso la moglie, o per uno studente l’anno dello studio. Ma, a parte questo, il problema è che, nei commenti e nelle iniziative che arrivano dalla Chiesa gerarchica, l’anno della fede, di cui si occupa il misterioso Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione (nome burocraticissimo), ha completamente soppiantato l’anniversario del Concilio.

Come non bastasse, l’accento viene posto volentieri sul fatto che in questo 2012 ricorre anche il ventesimo anniversario del nuovo Catechismo della Chiesa cattolica (1992), e così il gioco è fatto: anziché parlare del Concilio, della sua attualità e del bisogno, eventualmente, di farne un altro, ecco che tutto viene ridotto di nuovo a devozionismo e legalismo. Così lo spirito profetico viene accantonato, ridotto a folclore, e si torna a mettere in primo piano le norme, proprio come denunciato dal cardinale Martini.

L’operazione, ripetiamo, non è certamente nuova, ma rappresenta una costante da parte dei curiali e della Chiesa gerarchica, sempre pronta a catturare le novità per ingabbiarle, ridimensionarle, assorbirle in sé e sostanzialmente annullarle. Davanti allo stesso annuncio del Concilio da parte di Giovanni XXIII (accolto dai cardinali con un «impressionante, devoto silenzio», come annotò il papa non senza ironia) la curia reagì cercando di riportare il tutto, per quanto possibile, nell’ambito del centralismo, depotenziando immediatamente l’iniziativa papale.

Non dimentichiamo, per esempio, che Giovanni XXIII dovette imporsi per far inviare ai vescovi di tutto il mondo una lettera con la quale chiedeva quali dovessero essere a loro parere i temi da mettere al centro del Concilio. Il cardinale Felici, infatti, voleva che fosse la curia a occuparsi della questione e che ai vescovi fosse inviato un semplice prestampato con l’invito ad esprimere opinioni su quanto elaborato da Roma.

Nei quattro anni di preparazione del Concilio l’impegno di Giovanni XXIII fu di mettere d’accordo la carica profetica dell’iniziativa con le esigenze organizzative senza penalizzare la prima ai danni delle seconde, e su questo terreno dovette combattere una battaglia continua con il partito della curia. La stessa parola messa dal papa al centro della riflessione, “aggiornamento”, venne guardata con sospetto e si cercò di depotenziarla, esattamente come si sta facendo oggi con l’eredità di Martini.

Aggiornamento, per il papa, non doveva essere soltanto una revisione del linguaggio. Doveva essere una nuova creatività, la rinnovata disponibilità a confrontare il Vangelo con le culture e a farne scaturire una vita dalla parte della giustizia e dei più poveri, senza alcuna forma di autocompiacimento per le proprie sicurezze e nessun compromesso con il potere in tutti i suoi aspetti.

Ecco perché papa Roncalli volle un Concilio pastorale, non dogmatico. Come disse il teologo domenicano Marie-Dominique Chenu «tutto questo Concilio è pastorale come presa di coscienza, da parte della Chiesa, della sua missione». Un Concilio, quindi, denotato da una «originalità sensazionale», perché, «senza ignorare gli errori, le malvagità, le oscurità di questo tempo, non si pone in atteggiamento di tensione o di chiusura verso di esso, ma discerne soprattutto nelle sue speranze e nei suoi valori i richiami impliciti del Vangelo e vi trova la materia e la legge di un dialogo».

Giovanni XXII volle che il Concilio fosse libero, dialogo a tutto campo, e anche su questo dovette subire l’opposizione dei curiali e dei tradizionalisti. Criticava apertamente quei padri conciliari che, per il fatto di essere teologi, pensavano di dover produrre lezioni di teologia per dirimere questioni dottrinali e non riuscivano a concepire l’idea di mettersi in ascolto del mondo e delle Chiese dei diversi continenti. Dovette faticare per lasciare libertà ai vescovi e invitarli al confronto, senza paura. Lasciandosi trasportare dallo Spirito, papa Roncalli riuscì a condurre la barca del Concilio in mare aperto, là dove gli fu possibile dispiegare le vele con quelle parole iniziali della sua prima allocuzione: Gaudet Mater Ecclesia, la madre Chiesa si rallegra! I curiali e i tradizionalisti (i “profeti di sventura”), sempre pronti a innestare la marcia indietro, furono sconfitti.

Ma eccoli risorgere ad ogni svolta. E ora ci riprovano. Con l’anniversario del Concilio e con il testamento di Martini. Prontamente soppiantati da un istituzionale anno della fede gestito dal centro, all’insegna di celebrazioni e convegni con i soliti noti, e da una lettura riduzionistica tesa a privilegiare il Martini testimone della fede e, al più, uomo del dialogo, ma ignorando la sua denuncia di una Chiesa che non si scuote, conserva più cenere che brace ed è dominata dalla paura e dall’autoconservazione.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/9/2012 12.36
Titolo:IMPARATE DA MARTINI A COMUNICARE .....
«Il modello? Il dialogo misterioso nel sepolcro di Gesù»

di Carlo Maria Martini (Avvenire, 12 settembre 2012)

Solitamente si dà della comunicazione una definizione empirica: comunicare è «dire qualcosa a qualcuno». Dove quel «qualcosa» si può allargare a livello planetario, attraverso il grande mondo della rete che è andato ad aggiungersi ai mezzi di comunicazione classici. Anche quel «qualcuno» ha subìto una crescita sul piano globale, al punto che gli uditori o i fruitori del messaggio in tempo reale non si possono nemmeno più calcolare.

Questa concezione empirica, alla luce dell’odierno allargamento di prospettive, dove sempre più si comunica senza vedere il volto dell’altro, ha fatto emergere con chiarezza il problema maggiore della comunicazione, ossia il suo avvenire spesso solo esteriormente, mantenendosi sul piano delle nude informazioni, senza che colui che comunica e colui che riceve la comunicazione vi siano implicati più di tanto.

Per questo vorrei tentare di dare della comunicazione una descrizione «teologica», che parta cioè dal comunicarsi di Dio agli uomini, e lo vorrei fare enunciando qui alcune riflessioni che potrebbero servire per una nuova descrizione del fenomeno.

Nel sepolcro di Gesù, la notte di Pasqua, si compie il gesto di comunicazione più radicale di tutta la storia dell’umanità. Lo Spirito Santo, vivificando Gesù risorto, comunica al suo corpo la potenza stessa di Dio. Comunicandosi a Gesù, lo Spirito si comunica all’umanità intera e apre la via a ogni comunicazione autentica. Autentica perché comporta il dono di sé, superando così l’ambiguità della comunicazione umana in cui non si sa mai fino a che punto siano implicati soggetto e oggetto.

La comunicazione sarà dunque anzitutto quella che il Padre fa di sé a Gesù, poi quella che Dio fa a ogni uomo e donna, quindi quella che noi ci facciamo reciprocamente sul modello di questa comunicazione divina. Lo Spirito Santo, che riceviamo grazie alla morte e resurrezione di Gesù e che ci fa vivere a imitazione di Gesù stesso, presiede in noi allo spirito di comunicazione. Egli pone in noi caratteristiche, quali la dedizione e l’amore per l’altro, che ci richiamano quelle del Verbo incarnato. Di qui potremmo dedurre alcune conclusioni su ogni nostro rapporto comunicativo.

Primo. Ogni nostra comunicazione ha alla radice la grande comunicazione che Dio ha fatto al mondo del suo Figlio Gesù e dello Spirito Santo, attraverso la vita, morte e resurrezione di Gesù e la vita di Gesù stesso nella Chiesa. Si capisce perciò come i Libri sacri, che in sostanza parlano di questa comunicazione, siano opere di grande valore per la storia del pensiero umano. È vero che anche i libri di altre religioni possono essere ricchi di contenuto, ma questo è dovuto al fatto che sottostà a essi il dato fondamentale di Dio che si dona all’uomo.

Secondo. Ogni comunicazione deve tenere presente come fondante la grande comunicazione di Dio, capace di dare il ritmo e la misura giusti a ogni gesto comunicativo. Ne consegue che un gesto sarà tanto più comunicativo quanto non solo comunicherà informazioni, ma metterà in rapporto le persone. Ecco perché la comunicazione di una verità astratta, anche nella catechesi, appare carente rispetto alla piena comunicazione che si radica nel dono di Dio all’uomo.

Terzo. Ogni menzogna è un rifiuto di questa comunicazione. Quando ci affidiamo con coraggio all’imitazione di Gesù, sappiamo di essere anche veri e autentici. Quando ci distacchiamo da questo spirito, diveniamo opachi e non comunicanti.

Quarto. Anche la comunicazione nelle famiglie e nei gruppi dipende da questo modello. Essa non è soltanto trasmissione di ordini o proposta di regolamenti ma suppone una dedizione, un cuore che si dona e che quindi è capace di muovere il cuore degli altri.

Quinto. Anche la comunicazione nella Chiesa obbedisce a queste leggi. Essa non trasmette solo ordini e precetti, proibizioni o divieti. È scambio dei cuori nella grazia dello Spirito Santo. Perciò le sue caratteristiche sono la mutua fiducia, la parresia, la comprensione dell’altro, la misericordia

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Commenti Articolo 763

Titolo articolo : "DIRE DIO" OGGI: SECONDO LA LEZIONE DI MARTINI O LA "TRADIZIONE" DI RATZINGER!? Perché Gesù insegnava in parabole? Una riflessione in eredità (per credenti e non credenti) del cardinale Carlo M. Martini - con alcune note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/12/2012 - 12:13:13.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/9/2012 17.23
Titolo:L'ULTIMA INTERVISTA A CARLO M. MARTINI ....
L’ultima intervista: «Chiesa indietro di 200 anni. Perché non si scuote, perché abbiamo paura?»

intervista a Carlo Maria Martini

a cura di Georg Sporschill e Federica Radice Fossati Confalonieri (Corriere della Sera, 1 settembre 2012)

Padre Georg Sporschill, il confratello gesuita che lo intervistò in Conversazioni notturne a Gerusalemme, e Federica Radice hanno incontrato Martini l’8 agosto: «Una sorta di testamento spirituale. Il cardinale Martini ha letto e approvato il testo».

Come vede lei la situazione della Chiesa?

«La Chiesa è stanca, nell’Europa del benessere e in America. La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l’apparato burocratico della Chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi. Queste cose però esprimono quello che noi siamo oggi? (...) Il benessere pesa. Noi ci troviamo lì come il giovane ricco che triste se ne andò via quando Gesù lo chiamò per farlo diventare suo discepolo. Lo so che non possiamo lasciare tutto con facilità. Quanto meno però potremmo cercare uomini che siano liberi e più vicini al prossimo. Come lo sono stati il vescovo Romero e i martiri gesuiti di El Salvador. Dove sono da noi gli eroi a cui ispirarci? Per nessuna ragione dobbiamo limitarli con i vincoli dell’istituzione».

Chi può aiutare la Chiesa oggi?

«Padre Karl Rahner usava volentieri l’immagine della brace che si nasconde sotto la cenere. Io vedo nella Chiesa di oggi così tanta cenere sopra la brace che spesso mi assale un senso di impotenza. Come si può liberare la brace dalla cenere in modo da far rinvigorire la fiamma dell’amore? Per prima cosa dobbiamo ricercare questa brace. Dove sono le singole persone piene di generosità come il buon samaritano? Che hanno fede come il centurione romano? Che sono entusiaste come Giovanni Battista? Che osano il nuovo come Paolo? Che sono fedeli come Maria di Magdala? Io consiglio al Papa e ai vescovi di cercare dodici persone fuori dalle righe per i posti direzionali. Uomini che siano vicini ai più poveri e che siano circondati da giovani e che sperimentino cose nuove. Abbiamo bisogno del confronto con uomini che ardono in modo che lo spirito possa diffondersi ovunque».

Che strumenti consiglia contro la stanchezza della Chiesa?

«Ne consiglio tre molto forti. Il primo è la conversione: la Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi. Gli scandali della pedofilia ci spingono a intraprendere un cammino di conversione. Le domande sulla sessualità e su tutti i temi che coinvolgono il corpo ne sono un esempio. Questi sono importanti per ognuno e a volte forse sono anche troppo importanti. Dobbiamo chiederci se la gente ascolta ancora i consigli della Chiesa in materia sessuale. La Chiesa è ancora in questo campo un’autorità di riferimento o solo una caricatura nei media?

Il secondo la Parola di Dio. Il Concilio Vaticano II ha restituito la Bibbia ai cattolici. (...) Solo chi percepisce nel suo cuore questa Parola può far parte di coloro che aiuteranno il rinnovamento della Chiesa e sapranno rispondere alle domande personali con una giusta scelta. La Parola di Dio è semplice e cerca come compagno un cuore che ascolti (...). Né il clero né il Diritto ecclesiale possono sostituirsi all’interiorità dell’uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarire la voce interna e per il discernimento degli spiriti.

Per chi sono i sacramenti? Questi sono il terzo strumento di guarigione. I sacramenti non sono uno strumento per la disciplina, ma un aiuto per gli uomini nei momenti del cammino e nelle debolezze della vita. Portiamo i sacramenti agli uomini che necessitano una nuova forza? Io penso a tutti i divorziati e alle coppie risposate, alle famiglie allargate. Questi hanno bisogno di una protezione speciale. La Chiesa sostiene l’indissolubilità del matrimonio. È una grazia quando un matrimonio e una famiglia riescono (...).

L’atteggiamento che teniamo verso le famiglie allargate determinerà l’avvicinamento alla Chiesa della generazione dei figli. Una donna è stata abbandonata dal marito e trova un nuovo compagno che si occupa di lei e dei suoi tre figli. Il secondo amore riesce. Se questa famiglia viene discriminata, viene tagliata fuori non solo la madre ma anche i suoi figli. Se i genitori si sentono esterni alla Chiesa o non ne sentono il sostegno, la Chiesa perderà la generazione futura. Prima della Comunione noi preghiamo: "Signore non sono degno..." Noi sappiamo di non essere degni (...). L’amore è grazia. L’amore è un dono. La domanda se i divorziati possano fare la Comunione dovrebbe essere capovolta. Come può la Chiesa arrivare in aiuto con la forza dei sacramenti a chi ha situazioni familiari complesse?»

Lei cosa fa personalmente?

«La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. Io sono vecchio e malato e dipendo dall’aiuto degli altri. Le persone buone intorno a me mi fanno sentire l’amore. Questo amore è più forte del sentimento di sfiducia che ogni tanto percepisco nei confronti della Chiesa in Europa. Solo l’amore vince la stanchezza. Dio è Amore. Io ho ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/9/2012 17.41
Titolo:MARTINI E IL SOGNO DI UNA CHIESA NUOVA ....
Il cardinale Martini e il sogno deluso di una chiesa “nuova” (2008) *

- L’81enne Carlo Maria Martini, già arcivescovo di Milano, in una lunga intervista tira le somme di un’esistenza trascorsa nella costante ricerca di Dio e dentro la Chiesa, riflettendo su questioni profonde di fede, di etica, di società e di Chiesa. Proprio alla chiesa il cardinale Martini indirizza un accorato appello per una sua rapida e profonda riforma ed aggiunge che, in passato, “ho sognato una Chiesa nella povertà e nell’umiltà ... Oggi non ho più di questi sogni. Dopo i settantacinque anni ho deciso di pregare per la Chiesa".

"Ho sognato una Chiesa nella povertà e nell’umiltà, che non dipende dalle potenze di questo mondo. Una Chiesa che concede spazio alla gente che pensa più in là. Una Chiesa che dà coraggio, specialmente a chi si sente piccolo o peccatore. Una Chiesa giovane. Oggi non ho più di questi sogni. Dopo i settantacinque anni ho deciso di pregare per la Chiesa". Sono le parole del card. Carlo Maria Martini raccolte nei “Colloqui notturni a Gerusalemme", libro recentemente edito in Germania dalla casa editrice Herder.

L’81enne gesuita, già arcivescovo di Milano, tira le somme di un’esistenza trascorsa nella costante e travagliata ricerca di Dio, vissuta dentro la Chiesa. E confida queste riflessioni all’amico padre Georg Sporschill, anch’egli gesuita, in un testo che assume la forma del colloquio o dell’intervista. I 7 capitoli del volume affrontano questioni profonde di fede, di etica, di società e di Chiesa.

A quest’ultima Martini indirizza un accorato appello per una rapida e profonda riforma. Ad esempio, di fronte alla crisi vocazionale che investe la Chiesa cattolica soprattutto in Occidente, considera inefficaci le soluzioni proposte fino ad ora delle gerarchie. "La Chiesa dovrà farsi venire qualche idea", afferma, come ad esempio "la possibilità di ordinare viri probati" (uomini sposati ma di provata fede, ndr) o di riconsiderare il sacerdozio femminile, sul quale riconosce la lungimiranza delle Chiese protestanti.

Ricorda persino di aver incoraggiato questa posizione in un incontro con il primate anglicano George Carey: "Gli dissi di farsi coraggio - spiega Martini - che questa audacia poteva aiutare anche noi a valorizzare di più le donne e a capire come andare avanti".

Se le sue tesi sull’organizzazione della Chiesa appaiono già fortemente riformatrici, ancora più avanti guarda nell’affrontare i temi etici legati alla sessualità. Critica l’Humanae Vitae di Paolo VI sulla contraccezione, enciclica scritta "in solitudine" dal papa e che proponeva indicazioni poco lungimiranti.

"Questa solitudine decisionale a lungo termine non è stata una premessa positiva per trattare i temi della sessualità e della famiglia". Sarebbe opportuno, afferma, gettare "un nuovo sguardo" sull’argomento. La Bibbia, in definitiva, non condanna a priori né il sesso né l’omosessualità.

È la Chiesa, invece, che nella storia ha spesso dimostrato insensibilità nel giudizio della vita delle persone. Tra i miei conoscenti - ricorda ancora Martini - ci sono coppie omosessuali. Non mi è stato mai domandato né mi sarebbe venuto in mente di condannarli". Dunque la Chiesa, invece di educare il popolo di Dio alla libertà e alla "coscienza sensibile", ha preferito inculcare nel credente una dogmatica moralistica ed acritica.

Il contatto con le altre religioni, saggiato in prima persona durante il lungo soggiorno a Gerusalemme, ha rappresentato per Martini un punto di non ritorno, una scuola di vita e di fede. La ricerca di Dio in quelle terre - peraltro, come lui stesso afferma, estremamente travagliata ed attraversata spesso da lunghe ombre - costringe a ripensare il dialogo interreligioso perché, dice, "Dio non è cattolico", "Dio è al di là delle frontiere che vengono erette".

È l’uomo che sente la necessità di razionalizzare in apparati normativi e istituzionali la gestione del sacro.

In realtà, le istituzioni ecclesiastiche "ci servono nella vita, ma non dobbiamo confonderle con Dio, il cui cuore è sempre più largo". Incontrare e (perché no) pregare insieme all’amico di altra religione, dice, "non ti allontanerà dal cristianesimo, approfondirà al contrario il tuo essere cristiano". E invita: "Non aver paura dell’estraneo".

Il grande comandamento invita ad amare l’altro come se stessi. "Ama il tuo prossimo - afferma - perché è come te". Il "giusto" - e in questo caso Martini prende in prestito la II sura del Corano - è colui che "pieno di amore dona i suoi averi ai parenti, agli orfani, ai poveri e ai pellegrini".

* Articolo di Giampaolo Petrucci tratto da Adista n.41 del 31 Maggio 2008
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/9/2012 18.47
Titolo:LETTERA APERTA AL CARDINALE MARTINI (2005)
UN APPELLO PER LA PACE: UN NUOVO CONCILIO, SUBITO!

Caro Cardinale Martini

“Era””, “è ”: GESU’, IL SALoMONE, IL PESCE (“Ixthus”), sempre libero dalle reti del Pastore-Pescatore (del IV sec.)!

di Federico La Sala *

Karol Wojtyla, il grande Giovanni Paolo II è morto! E se è vero che “il mondo - come ha detto il nuovo papa - viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori”, è anche vero che nel IV secolo - con il ‘pallio’ ... di Roma, comincia “la grande politica” - muore il cristianesimo e nasce l’impero cattolico-romano. La religione ebraica diventa passato, archeologia, e la religione cattolico-romana diventa storia, presente e futuro. Contro ogni tentennamento, la “Dominus Jesus” non è stata scritta invano e la prima Omelia (24 aprile 2005) di Ratzinger - Benedetto XVI ha chiarito subito, senza mezzi termini, a tutti i fratelli e a tutte le sorelle, chi è il fratello maggiore (e chi sono - i fratelli maggiori)... chi è il nuovo Papa, e qual è la “nuova Gerusalemme”.

Per Ratzinger - BenedettoXVI non c’è nessun dubbio e nessun passo indietro da fare. Finalmente un passo avanti è stato fatto. Guardino pure i sudditi dell’Urbe, e dell’Orbi: il “distintivo” cattolico è qui! Ma Wojtyla? Giovanni Paolo II? La visita alla Sinagoga di Roma? Toaff? - La Sinagoga?! Toaff?! Gerusalemme?!: “Roma omnia vincit”, non Amor...! Rilegga l’Omelia (www.ildialogo.org/primopiano): la Chiesa cattolico-romana è viva, vince alla grande, im-mediaticamente! Rifletta almeno su questi “passaggi”:

"Cari amici! In questo momento non ho bisogno di presentare un programma di governo [...] Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia. Invece di esporre un programma io vorrei semplicemente cercare di commentare i due segni con cui viene rappresentata liturgicamente l’assunzione del Ministero Petrino; entrambi questi segni, del resto, rispecchiano anche esattamente ciò che viene proclamato nelle letture di oggi". "Il primo segno è il Pallio, tessuto in pura lana, che mi viene posto sulle spalle. Questo antichissimo segno, che i Vescovi di Roma portano fin dal IV secolo, può essere considerato come un’immagine del giogo di Cristo, che il Vescovo di questa città, il Servo dei Servi di Dio, prende sulle sue spalle. Il giogo di Dio è la volontà di Dio, che noi accogliamo. [...]

"E questa volontà non è per noi un peso esteriore, che ci opprime e ci toglie la libertà. Conoscere ciò che Dio vuole, conoscere qual è la via della vita - questa era la gioia di Israele, era il suo grande privilegio. Questa è anche la nostra gioia: la volontà di Dio non ci aliena, ci purifica magari in modo anche doloroso e così ci conduce a noi stessi. [...] In realtà il simbolismo del Pallio è ancora più concreto: la lana d’agnello intende rappresentare la pecorella perduta o anche quella malata e quella debole, che il pastore mette sulle sue spalle e conduce alle acque della vita. La parabola della pecorella smarrita, che il pastore cerca nel deserto, era per i Padri della Chiesa un’immagine del mistero di Cristo e della Chiesa.[...]. Così il Pallio diventa il simbolo della missione del pastore, di cui parlano la seconda lettura ed il Vangelo. La santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore [...]. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi”.

In verità, Nietzsche, uno dei tre grandi - con Marx e Freud - maestri del sospetto che stimava Gesù, ma nient’affatto il cattolicesimo - definito da lui, un platonismo per il popolo, l’aveva già detto - e anche in modo più profetico: “il deserto avanza. Guai a chi nasconde il deserto dentro di sé!” (Così parlò Zarathustra).

Cosa pensare? Che fare, intanto? Aspetterò. Sì! Aspetterò! Per amore di tutta la Terra e “per amore di Gerusalemme non mi darò pace, finché non sorga come stella la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come una lampada. Allora tutti i popoli vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria”(Isaia).

Federico La Sala

*www.ildialogo.org, Mercoledì, 27 aprile 2005
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/9/2012 21.44
Titolo:Nel 2005 poteva diventare pontefice ...
Nel 2005 poteva diventare pontefice

di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 1 settembre 2012)


L’uomo, che poteva diventare Papa, non divideva il mondo in credenti e non-credenti ma in pensanti e non-pensanti. Aveva il dono dell’intelligenza, della fede, dell’umiltà e il coraggio della
ricerca. Radicato nella Bibbia e al tempo stesso sensibile ai valori della modernità, esortava i credenti a misurarsi con la “libertà individuale e sociale, la democrazia, l’autonomia della ricerca
come libertà dell’intelligenza individuale”. C’è stato un tempo, raccontava, in cui aveva sognato una “Chiesa nella povertà e nell’umiltà, che non dipende dalle potenze di questo mondo. Una
Chiesa che concede spazio alla gente che pensa più in là. Una Chiesa che da coraggio, specialmente a chi si sente piccolo o peccatore. Una Chiesa giovane”.

Oggi, confessava dopo avere varcato l’ottantina, “non ho più di questi sogni… ho deciso di pregare per la Chiesa”. A Dio domandava di non essere lasciato solo, a Gesù avrebbe voluto chiedere nel
momento del trapasso “se mi ama nonostante le mie debolezze e i miei errori e se mi viene a prendere nella morte, se mi accoglierà”.


È MORTO, rifiutando l’accanimento terapeutico, respingendo l’idea di un corpo mantenuto artificialmente in esistenza dalla tecnologia. D’altronde, con il chirurgo cattolico e parlamentare Pd Ignazio Marino, il cardinale aveva affrontato il tema delicato della morte non procurata, ma accettata naturalmente come rifiuto del dominio della macchina sul corpo. Casi come quello di Welby, ammonì, saranno sempre più frequenti e bisognerà riflettere come trattarli. Si trattasse del testamento biologico o della comprensione per i rapporti omosessuali – lui ammetteva il “valore di un’amicizia duratura e fedele tra due persone dello stesso sesso” – si trattasse di un nuovo approccio alla fecondazione artificiale o del ruolo della donna nella Chiesa o delle coppie di fatto o della collegialità come espressione della partecipazione dei vescovi del mondo al governo della Chiesa universale, Martini irritava spesso le gerarchie ufficiali con i suoi interventi pensosi e quindi scomodi.

Poteva diventare pontefice per le sue qualità e il vasto credito di cui godeva nel mondo cattolico e tra le Chiese cristiane. Un credito, che andava ben al di là dei confini confessionali, favorito dalla
grande stima che gli portavano anche ebrei e musulmani e non credenti.

Ma al conclave del 2005 Martini arrivò già piegato dal Parkinson e la Chiesa cattolica non poteva permettersi due pontefici
malati di seguito. In ogni caso Mar-tini appariva troppo riformista per un conclave, che si stava orientando su una linea di difesa identitaria del cattolicesimo. Non avrebbe avuto i voti necessari.
Sicché alla fine invitò i suoi seguaci a votare per Josef Ratzinger.


Uomo di Chiesa, il porporato è stato in maniera “laica” estremamente partecipe alle convulsioni italiane. Politicamente, negli anni del berlusconismo trionfante, non si potrà scordare il suo tacito,
ma chiaro contrapporsi alla linea di attivismo politico del cardinale Camillo Ruini, allora presidente della Cei. Non amava il clericalismo a copertura di fazioni politiche.


L’ARCIVESCOVO di Milano aveva il costume di intervenire periodicamente e con grande insistenza sui temi della legalità, della giustizia e della democrazia minacciata dagli interessi privati,
perorando la causa di una politica per il bene comune. Contro il leghismo becero parlava di rispetto e accoglienza degli immigrati.

Contro la tendenza a frantumare il Paese parlava di solidarietà. I suoi discorsi per la festa di Sant’Ambrogio era campanelli d’allarme contro il degrado del Paese. Di “Mani pulite”, evento esploso nella sua diocesi, diceva che aveva insegnato che la “disonestà non paga mai. Prima o poi si arriva a un'esplosione. Tutte le forme di appropriazione del bene pubblico, coperte o subdole, non possono durare a lungo”.

Giovanni Paolo II lo aveva lanciato, spingendo lo studioso biblista ad assumere nel 1979 la carica impegnativa di arcivescovo di Milano e facendolo cardinale nel 1983. Giovanni Paolo II lo ridimensionò. Non piaceva a Wojtyla la tranquilla carica riformista di Martini, che pure stimava.

Wojtyla non accettava che la visione di Chiesa, di cui Martini era tenace portatore, potesse diventare un modello alternativo alla sua linea. Perciò, quando l’arcivescovo di Milano diventò troppo
influente come presidente del Consiglio delle conferenze episcopali (cattoliche) europee, Giovanni Paolo II fece cambiare lo statuto dell’organizzazione, imponendo che potesse guidarla solo il presidente di un episcopato nazionale. Così Martini dovette lasciare il posto nel 1993.

Ma il
cardinale non era personalità da scoraggiarsi. Nel 1999 – durante il Sinodo internazionale dei vescovi convocato da Wojtyla per analizzare l’Europa dopo la caduta del Muro di Berlino – l’arcivescovo di Milano sorprese i suoi confratelli evocando un “sogno”. Il sogno di un nuovo
Concilio, che avesse il coraggio di discutere dei problemi più spinosi: l’“ecclesiologia di comunione del Vaticano II”, la carenza già drammatica di sacerdoti, la posizione della donna nella società e
nella Chiesa, la partecipazione dei laici ad alcune responsabilità ministeriali, il tema della sessualità, la disciplina cattolica del matrimonio, l’ecumenismo e i rapporti con le “Chiese sorelle
dell’Ortodossia”.

Un agenda cruciale, che papa Wojtyla ieri e papa Ratzinger oggi non hanno mai voluto affrontare.

QUALCHE ANNO prima, rifacendosi espressamente all’enciclica di Giovanni Paolo II Ut unum sint sul ripensamento della funzione dei pontefici, il cardinale aveva proposto di “rimodellare” in senso ecumenico il primato papale alla luce dell’autonomie delle diverse Chiese cristiane. “Si potrebbe – mi disse in un colloquio – iniziare in modo semplice. Con una consultazione di tutte le comunità cristiane convocate dal Papa… un tavolo in cui si affrontino i grandi problemi dell’ umanità per trovare una linea di azione al servizio dell' uomo”. Martini era una miniera di idee riformatrici. O meglio aveva il coraggio di esprimere ciò che tanti nel mondo cattolico pensano di nascosto o avvolgono in scritti specialistici. Ma non era un esibizionista del riformismo. Era profondamente convinto del valore essenziale della preghiera, dello studio, della meditazione.

A
Milano creò la “cattedra dei non credenti” per dialogare con la cultura contemporanea, ma istituì anche un giorno della settimana in cattedrale dedicato al “silenzio”, affinché i giovani dell’era del
chiacchiericcio imparassero a calarsi nel proprio intimo. Via maestra per incontrare Dio.

Dei suoi tanti scritti e interventi rimane viva l’idea di un Concilio fecondo di nuove riforme . E che il fatto cristiano non si misura sul suo successo di massa, ma sulla capacità di testimonianza. “La
domanda è: viviamo autenticamente il Vangelo?”. Pensosamente amava sottolineare: “Non puoi rendere cattolico Dio… certamente gli uomini hanno bisogno di regole e confini… ma Dio ha il cuore sempre più largo”.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/9/2012 10.28
Titolo:Con le sue parole intorno alla Parola, Martini mi ha cambiato Dio ...
CARLO MARIA MARTINI

DI GIOVANNI COLOMBO - MILANO



Oggi il Cardinal Martini ha terminato la sua corsa terrena. Scompare dai nostri occhi uno dei personaggi principali della vita della chiesa nell' ultimo trentennio, un (quasi) Papa, molto letto, molto ascoltato dai media (anche se non è mai stato, a differenza di Wojtyla, l' uomo delle folle e del gesto).

Se ne va il Gigante, il principale riferimento religioso, morale, intellettuale della mia giovinezza. L' ho seguito fin dal suo arrivo in diocesi, ho avuto la fortuna di conoscerlo personalmente e di confidarmi con Lui come fosse mio padre. A lungo mi sono vantato di essere un "martiniano", poi ho smesso, visto che lui stesso mi ripeteva: di Maestro ce n'è uno solo!

Martini si è speso fino all'osso per farci conoscere la Parola. "In principio la Parola" è il titolo della sua più intensa lettera pastorale e ben sintetizza il cuore del suo magistero. "Leggi la Parola... sottolinea la Parola", quante volte l' ha ripetuto. La Parola che parla di Gesù è Gesù stesso, e come lui incessantemente in moto, senza fine nel movimento di dare tutto di se stessa. Se ascoltata e "ruminata", susciterà in noi le parole giuste per quest' epoca di alto sbandamento, le parole gocciolanti in grado di "rimettere al mondo il mondo".

Con le sue parole intorno alla Parola, Martini mi ha cambiato Dio. Non più il Dio lombardo, cupo, controriformista, il Dio col vocione che produce l' inflazione del senso di colpa. Ormai Dio è vento sottile e sua volontà la nostra liberazione: la partenza da tutti i varchi, l' apertura di tutte le gabbie. Ah, le gabbie...
In Martini ho visto da vicino la fatica di star dentro le tante costrizioni in cui s' infossa la vita della chiesa cattolica d'Occidente, sia dal punto di vista morale sia dal punto di vista pastorale. Alla fatica si è presto aggiunta (metà degli anni ottanta) anche la viva preoccupazione di non apparire l'anti-Papa, l'anti-Wojtyla, e di riuscire a sottrarsi al continuo controllo vaticano.

A mio avviso, era in battaglia continua, fuori e dentro di sé, con il marmo di sacra romana chiesa. Da un certo punto in poi il campo di questa battaglia è diventato il suo stesso corpo, come se il tremolio parkinsoniano non foss'altro che la costante lotta tra la spinta ad essere se stesso e la controspinta a non esserlo, per non disobbedire all' autorità costituita. Alla fine il controllo estremo ha avuto il sopravvento e il Gigante si è trovato rinchiuso dentro una corazza. Ha dovuto rinunciare alla sua originalità, alla sua "martinità".

E' stato bello, sì, molto bello conoscere e frequentare padre Carlo. E il modo migliore di ricordarlo sarà quello di seguire la strada che lui stesso aveva intravisto dal suo personale monte Nebo e di cui parlò tanti anni fa durante la messia esequiale di uno dei suoi più cari amici, don Luigi Serenthà: "procedere per una più grande scioltezza nella Chiesa, per una più grande libertà di spirito, per una più grande creatività, soltanto in questo modo si manifesta la vitalità della Parola, del mistero pasquale della morte e della risurrezione di Gesù".

Aveva capito assai bene quant' è indispensabile alleggerire e, in tal senso, è riuscito a fare più di quanto lasciasse prevedere la sua estrazione alto borghese, la sua impostazione perfetta e il suo ruolo di "principe della Chiesa".

Oggi, finalmente sciolto da pesi obblighi dolori, è giunto "nella pienezza totale che non è cancellazione delle singole individualità ma affermazione piena dell' individualità di ciascuno in una perfetta armonia in Dio" (citazione dell' Inno all' universo di un altro gesuita, Teilhard de Chardin, che Martini stesso usava per spiegare come sarà in Cielo). Adesso tocca a noi, che restiamo per qualche giorno ancora su questa terra di terra e sassi, non farci frenare dalle pesantezze del vivere e volteggiare in libertà di spirito sopra ogni pietra tombale.

Saluti chiari come gli occhi di padre Carlo
Giovanni

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Giovanni Ambrogio Colombo
Milano
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/9/2012 11.11
Titolo:Bettazzi: «Voleva andare avanti. E noi abbiamo avuto paura»
Bettazzi: «Voleva andare avanti. E noi abbiamo avuto paura»

intervista a Luigi Bettazzi

a cura di Roberto Monteforte (l’Unità, 2 settembre 2012)

È stato un riferimento per molti, anche nella Chiesa il cardinale Carlo Maria Martini. Soprattutto per il suo coraggio e per la sua libertà, alimentata dalla forza del Vangelo, di parlare all’uomo contemporaneo.

Da qui anche la sua fedeltà al Concilio Vaticano II e la sua capacità di guardare con fiducia al futuro. È il biblista che si fa pastore e profeta. Così lo ricorda monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea e uomo del Concilio.

Monsignor Bettazzi, come risponderebbe a una delle ultime domande poste dal cardinale Martini: perché la Chiesa ha paura di avere coraggio?

«Perché cercando di incarnare il Vangelo nelle situazioni storiche - che è un suo dovere - troppo spesso si è rimasti fermi al passato. Quando il Papa era anche re, si dava un’impronta alla Chiesa adatta a quei tempi, ma non certo all’oggi. La Chiesa invecchia quando perde il rapporto con la storia che muta. Per questo Giovanni XXIII ha voluto un Concilio Vaticano II pastorale e non dogmatico. Che aiuti la Chiesa a camminare con la gente.

Forse abbiamo avuto paura che ciò portasse ad eccessivi rinnovamenti e tutti assieme - gerarchia e popolo di Dio - abbiamo avuto paura ad andare avanti. Questo avrebbe richiesto una purificazione dei nostri modi di pensare e di agire che forse richiedevano troppo sacrificio. A questa purificazione e al superamento di certi modi del passato ci ha chiamato il cardinale Martini, lui così radicato nella Parola di Dio, da sentire quanto forte fosse il richiamo a viverla nel nostro tempo».

Cosa è stato per lei?

«Un punto di riferimento. Non ho avuto molte occasioni di contatti personali con lui. Era un uomo di grande levatura, sia per la sua profonda conoscenza delle scritture, che per la sua preparazione. Sapeva illuminare le situazioni. Ho avuto modo di frequentarlo negli ultimi tempi a Gallarate, quando gli abbiamo presentato un progetto di rilancio del Concilio. Abbiamo trovato una certa consonanza, una simpatia. Durante uno di questi incontri mi ha chiesto di presiedere l’eucarestia familiare. Lo ricordo con molta commozione e gratitudine».

Cosa è stato per la Chiesa in Italia?

«Lo ripeto. Un punto di riferimento. L’insieme della Chiesa ufficiale gli riconosceva la sua grande personalità. Ma restava molto legata all’idea della tradizione come continuità da conservare. In latino tradere vuole dire trasmettere, quindi saper rinnovare i principi forti secondo le situazioni di un mondo che si sviluppa. Come dicevano gli antichi: nelle cose necessarie bisogna essere uniti, in quelle opinabili liberi, purché in tutte ci sia la carità. Era questo lo stile di Martini: da una parte l’attenzione alla Bibbia e dall’altra il dialogo con “la cattedra per i non credenti”. Il rinnovamento che cercava di vivere nella sua diocesi a Milano, non poteva non diventare motivo di attenzione per il resto della Chiesa. Il dialogo con i non credenti, ad esempio, che allora creò scalpore, alla fine è stato riproposto da papa Benedetto XVI all’incontro di preghiera per la pace tra le religioni tenutosi ad Assisi lo scorso anno. Ha voluto che ci fosse anche un non credente».

Ma intervenendo nel 2005 alla riunione dei cardinali che precedette l’elezione del successore di Giovanni Paolo II ha posto con chiarezza l’esigenza di un rinnovamento nella Chiesa...

«Non da candidato al pontificato. D’altra parte era già malato. Pare che abbia invitato tutti i porporati a votare per Ratzinger, chiedendo però al futuro Benedetto XVI di impegnarsi per il Concilio, per la collegialità e per l’ecumenismo. Sono i punti che il nuovo Papa affronterà nel suo primo discorso dopo l’elezione al Conclave. Quando due anni fa Martini si è recato in udienza dal Papa, non avrebbe parlato della successione alla diocesi di Milano, ma posto l’esigenza di un rilancio del Concilio a 50 anni dalla sua apertura».

Ha avuto ascolto...

«Non poteva non averlo. Poneva le sue idee con moderazione. Ed anche chi divergeva da lui, non poteva non guardare alle sue idee. Non poteva ignorare che nascevano da un uomo profondamente radicato nella parola di Dio. Una parola che, ci ha aiutato a capire, non è un deposito delle verità di fede, ma l’invenzione di Dio per metterci a tu per tu - il popolo antico e quello nuovo composta da ciascuno di noi -con Lui. E se sei “a tu per tu con Dio” hai la forza anche per sacrificare modi di valutare le cose che in passato potevano essere utili alla Chiesa, ma che oggi non lo sono più. È così che può parlare al cuore del tempo e quindi anche ai giovani, con le loro sensibilità e mentalità diverse dalla nostra. Lo chiede il Concilio che con il documento sulla Chiesa pone con nettezza la centralità del popolo di Dio nella Chiesa. Il laicato, prima di di dover obbedire alla gerarchia, deve vedere questa mettersi al suo servizio».

Sono stati punti fermi per Martini...

«...Che non chiese mai la convocazione di un Concilio Vaticano III. Sapeva bene che vi era il rischio che si mettessero in discussione punti importanti del Vaticano II. Quello che ha chiesto è che su alcuni punti particolari, come la sessualità, la bioetica, la pastorale dei divorziati e sui punti oggi caldi per la Chiesa tutti i vescovi del mondo venissero a Roma per decidere con l’autorevolezza del Concilio e con il Papa. Sarebbe il modo di vivere la collegialità superando i limiti dei Sinodi». Saranno accolte queste richieste poste da un profeta che ha avuto la libertà di guardare oltre? «Me lo auguro. A volte i profeti da morti hanno più influenza che da vivi. Direbbe Martini: è il principio evangelico, quello del frutto di frumento che in terra se vive resta solo, se muore da molto frutto».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/9/2012 11.41
Titolo:La profezia del cardinale Martini. Un concilio per una Chiesa collegiale
La profezia del cardinale Martini
Un concilio per una Chiesa collegiale

di Alberto Melloni (Corriere della Sera, 2 settembre 2012)

«Quand’eri giovane ti cingevi da te»: chissà quante volte Martini avrà riletto quei versi alla fine del Vangelo di Giovanni, nei quali Gesù disegna ad ogni discepolo la debolezza come via della fecondità spirituale. Che è piena solo quando «un Altro ti condurrà dove non vuoi». Chissà quante volte la Chiesa tornerà a riflettere sullo stile-Martini, così intriso di quella forza biblica che è l’ascolto, con cui Martini s’è lasciato accompagnare in una rarefazione della presenza, che fino al pomeriggio di venerdì è stata eloquente, sempre più eloquente. Per tutti, certo: ma soprattutto nella Chiesa.

Martini ha infatti spiazzato uno dei più duri e resistenti luoghi comuni del e sul cattolicesimo, specie in Italia: l’idea cioè che un cattolico, specialmente se gesuita e vescovo, debba essere e non possa non essere arrogante, chiuso, mordace, sprezzante, spietato con gli altri, autoindulgente con sé stesso. Tanti non credenti credono che, salvo rare eccezioni, essere cattolici sia esser così; alcuni cattolici, peraltro, vedono quelle come le virtù del perfetto intransigente e se la prendono - Martini è stato anche un bersaglio di cattolicissimi attacchi per questo - con chi è diverso. Martini, lo stile- Martini è stato per tutti questi un problema, una spina, una occasione di ripensamento.

Lo è stato da arcivescovo di Milano: «l’antipapa», diceva la canzoncina dei tradizionalisti, i quali anziché leggere la tradizione come un unico immenso fiume di diversità che inizia dentro il nuovo testamento, credono che sia il loro album di personali nostalgie e rimpianti. Martini lo sapeva. Si lasciava anche dare del «progressista», piccolo cilicio di tanti riformatori: ma sapeva anche che questa condizione, non insolita per il cardinale di Milano, andava riportata dentro quello che la malattia aveva ormai ammutolito, ma non cancellato. E di cui oggi tutti - dal papa al cristiano comune - sentono l’assenza, temono l’assenza.

In due momenti della sua lunga vita lo stile-Martini, marcato da un ascolto assiduo della parola, ha segnato non solo la sua vita di sposo della Chiesa di Milano ma anche quella della Chiesa universale. Quello di maggior clamore è stato il conclave del 18-19 aprile 2005.

Martini all’indomani della morte del papa polacco, quando ormai malato della stessa malattia, sembrava comunque il perfetto candidato di bandiera, utile a rendere visibile quella parte di collegio che riteneva scivolosa per la Chiesa un’agenda corta, fatta di lotta al relativismo e di concessioni ai lefebvriani. Rifiutò ovviamente il ruolo di «fantoccio»: ma del conclave fu un protagonista. Nelle prime tre votazioni, mentre la candidatura di Ratzinger palesava la sua consistenza, il cardinale argentino Bergoglio, gesuita, vide salire i propri voti, fino a varcare il martedì a mezzogiorno la quota dei due terzi. Cioè quella soglia che di norma sbarra la via a un candidato e costringe la maggioranza a cambiare nome.

Ma a quel punto, nella pausa del pranzo, fu Martini a portare i voti con i quali, nel primo scrutinio del 19 pomeriggio, Ratzinger superò il quorum e diventò papa. Nella mai celata differenza di posizioni Martini fece valere la stima intellettuale, sperò le «belle sorprese» (come disse in un’intervista) che non vennero e sbarrò la via alle mediocri soluzioni che vedeva profilarsi dietro la desistenza di Ratzinger. Una scelta che ha deciso del timbro d’un cattolicesimo che forse deve ritornare a riflettere sulle attese di Martini e sul suo stile.

Ma non è stato di minore importanza, e lo sarà ancora di più in un qualche futuro, il discorso che Martini pronunciò il 7 ottobre 1999, davanti al sinodo dei vescovi: allora egli espresse il «sogno» di un concilio e di una forma di espressione conciliare della collegialità nella Chiesa cattolica. Per riguardo alle prerogative del pontefice usò delle perifrasi: chiese un «confronto collegiale e autorevole tra tutti i vescovi su alcuni dei temi nodali».

Ma era evidente che il «sogno» era un balzo innanzi ver(s)o una collegial(ità) schietta e verso un concilio che non era il Vaticano III di chi voleva rottamare il Vaticano II: ma un concilio visto con quella fiducia (nel senso di pistìs) tipica del cristianesimo che affida i problemi urgenti alla disciplina, quelli normali alla misericordia e quelli immensi alla comunione.

Il tempo ha dato modo a Martini di vedere il valore della sua posizione nel conclave. Non l’alba della collegialità che il cattolicesimo attende pazientemente da quasi mezzo secolo. E nemmeno di un concilio al quale affidare la sempre più sfilacciata agenda della Chiesa: ma quando il concilio verrà, egli ne sarà detto profeta
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/9/2012 10.41
Titolo:Quel cammino con i non credenti
Quel cammino con i non credenti

di Silvia Vegetti Finzi (Corriere della Sera - Milano, 4 settembre 2012)

Che cosa significano la personalità e il magistero dell’arcivescovo Carlo Maria Martini per un «non credente», per giunta donna, e di origine ebraica da parte di padre? Innanzitutto capacità di ascolto e poi riconoscimento di una appartenenza, direi all’umanità, che supera ogni genere di divisioni, sbarramenti, differenze e certificazioni.

All’opposizione «credenti e non credenti» sostituiva, come si sa, quella tra «pensanti e non pensanti» ove, alla seconda, non corrisponde nessuno in quanto alle domande più radicali non ci si può sottrarre. Nella vita procediamo verso un orizzonte a tratti oscuro, a tratti luminoso, mai definito una volta per tutte.

In questo senso siamo tutti in viaggio verso un luogo inesplorato di cui, più che la meta, Martini indicava la mappa: i testi sacri della cristianità, la Bibbia e il Vangelo. E in particolare la zona intermedia tra l’uno e l’altro, lo spazio in cui l’attesa s’illumina di speranza e la Salvezza diviene una possibilità concreta già nella Città terrestre, ancor prima di approdare nella Città celeste.

Quando, nel 1996, fui chiamata a parlare dalla «Cattedra dei non credenti» sul tema «La violenza è dentro di me?», non sapevo perché ero stata prescelta tra tanti possibili candidati. E non lo so tuttora. Forse per una certa incollocabilità: per non essermi mai schierata con un partito o identificata con una istituzione pur restando aperta al sociale, disponibile alle sue richieste.

La sera precedente m’invitò a cena e, intorno a una tavola frugale, cui partecipavano anche altri due o tre prelati, mi chiese che cosa ne pensavo dei bambini che crescono a Milano, in una città così poco favorevole all’infanzia.

Raramente ho trovato un interlocutore più attento e seriamente impegnato a comprendere i problemi e, se possibile, trovare soluzioni praticabili. Quanto alla successiva conferenza, mi chiese di riflettere sulla mia vita, sul fatto di essere nata, con un cognome evidentemente ebreo, nell’anno della emanazione delle «Leggi speciali» che inaugurarono le persecuzioni antisemite in Italia.

La seconda parte del mio discorso avrebbe invece dovuto esporre l’etica femminile. Trattai il tema nel segno della «differenza sessuale» contrapposta all’omologazione e proposi che, in quanto donne, dovremmo cercare di acquisire, non tanto autorità, quanto autorevolezza.

La serata, aperta dal biblista padre Salmann, proseguì con lo straordinario accostamento di Lalla Romano tra violenza e poesia. Ma il contributo più rilevante fu la riflessione sull’intero ciclo di conferenze che il cardinal Martini volle concludere così: «Dipende anche da ciascuno di noi se allo Spirito è dato ancora oggi di operare attraverso la nostra voce e le nostre mani».

Il pubblico era innumerevole e l’attenzione, nonostante l’ora tarda, senza cedimenti. Forse quelle potenzialità non ebbero l’esito sperato ma sono convinta che nulla vada perduto e che la folla, che ha sfilato due giorni per portargli l’ultimo saluto sia l’erede, talvolta inconsapevole, di quella grande stagione. Testimonianza di una Milano custode di un patrimonio di intelligenza e di sensibilità, di cultura e di solidarietà che ci fa sperare, anzi credere, in un domani migliore.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/9/2012 09.57
Titolo:Il metodo-Martini, l’insegnamento del Vaticano II, il nucleo dell'Evangelo
L’operazione-anestesia sul cardinal Martini

di Vito Mancuso (la Repubblica, 9 settembre 2012)

Con uno zelo tanto impareggiabile quanto prevedibile è cominciata nella Chiesa l’operazione anestesia verso il cardinal Carlo Maria Martini, lo stesso trattamento ricevuto da credenti scomodi come Mazzolari, Milani, Balducci, Turoldo, depotenziati della loro carica profetica e presentati oggi quasi come innocui chierichetti.

A partire dall’omelia di Scola per il funerale, sulla stampa cattolica ufficiale si sono susseguiti una serie di interventi la cui unica finalità è stata svigorire il contenuto destabilizzante delle analisi martiniane per il sistema di potere della Chiesa attuale. Si badi bene: non per la Chiesa (che anzi nella sua essenza evangelica ne avrebbe solo da guadagnare), ma per il suo sistema di potere e la conseguente mentalità cortigiana.

Mi riferisco alla situazione descritta così dallo stesso Martini durante un corso di esercizi spirituali nella casa dei gesuiti di Galloro nel 2008: “Certe cose non si dicono perché si sa che bloccano la carriera. Questo è un male gravissimo della Chiesa, soprattutto in quella ordinata secondo gerarchie, perché ci impedisce di dire la verità. Si cerca di dire ciò che piace ai superiori, si cerca di agire secondo quello che si immagina sia il loro desiderio, facendo così un grande disservizio al papa stesso”.

E ancora: “Purtroppo ci sono preti che si propongono di diventare vescovi e ci riescono. Ci sono vescovi che non parlano perché sanno che non saranno promossi a sede maggiore. Alcuni che non parlano per non bloccare la propria candidatura al cardinalato. Dobbiamo chiedere a Dio il dono della libertà. Siamo richiamati a essere trasparenti, a dire la verità. Ci vuole grande grazia. Ma chi ne esce è libero”.

Quello che è rilevante in queste parole non è tanto la denuncia del carrierismo, compiuta spesso anche da Ratzinger sia da cardinale che da Papa, quanto piuttosto la terapia proposta, cioè la libertà di parola, l’essere trasparenti, il dire la verità, l’esercizio della coscienza personale, il pensare e l’agire come “cristiani adulti” (per riprendere la nota espressione di Romano Prodi alla vigilia del referendum sui temi bioetici del 2005 costatagli il favore dell’episcopato e pesanti conseguenze per il suo governo). È precisamente questo invito alla libertà della mente ad aver fatto di Martini una voce fuori dal coro nell’ordinato gregge dell’episcopato italiano e a inquietare ancora oggi il potere ecclesiastico.

Diceva nelle Conversazioni notturne a Gerusalemme: “Mi angustiano le persone che non pensano, che sono in balìa degli eventi. Vorrei individui pensanti. Questo è l’importante. Soltanto allora si porrà la questione se siano credenti o non credenti”. Ecco il metodo-Martini: la libertà di pensiero, ancora prima dell’adesione alla fede.

Certo, si tratta di una libertà mai fine a se stessa e sempre tesa all’onesta ricerca del bene e della giustizia (perché, continuava Martini, “la giustizia è l’attributo fondamentale di Dio”), ma a questa adesione al bene e alla giustizia si giunge solo mediante il faticoso esercizio della libertà personale. È questo il metodo che ha affascinato la coscienza laica di ogni essere pensante (credente o non credente che sia) e che invece ha inquietato e inquieta il potere, in particolare un potere come quello ecclesiastico basato nei secoli sull’obbedienza acritica al principio di autorità. Ed è proprio per questo che gli intellettuali a esso organici stanno tentando di annacquare il metodo-Martini.

Per rendersene conto basta leggere le argomentazioni del direttore di Civiltà Cattolica secondo cui “chiudere Martini nella categoria liberale significa uccidere la portata del suo messaggio”, e ancor più l’articolo su Avvenire di Francesco D’Agostino che presenta una pericolosa distinzione tra la bioetica di Martini definita “pastorale” (in quanto tiene conto delle situazioni concrete delle persone) e la bioetica ufficiale della Chiesa definita teorico-dottrinale e quindi a suo avviso per forza “fredda, dura, severa, tagliente” (volendo addolcire la pillola, l’autore aggiunge in parentesi “fortunatamente non sempre”, ma non si rende conto che peggiora le cose perché l’equivalente di “non sempre” è “il più delle volte”).

Ora se c’è una cosa per la quale Gesù pagò con la vita è proprio l’aver lottato contro una legge “fredda, dura, severa, tagliente” in favore di un orizzonte di incondizionata accoglienza per ogni essere umano nella concreta situazione in cui si trova.

Martini ha praticato e insegnato lo stesso, cercando di essere sempre fedele alla novità evangelica, per esempio quando nel gennaio 2006 a ridosso del caso Welby (al quale un mese prima erano stati negati i funerali religiosi in nome di una legge “fredda, dura, severa, tagliente”) scrisse che “non può essere trascurata la volontà del malato, in quanto a lui compete - anche dal punto di vista giuridico, salvo eccezioni ben definite - di valutare se le cure che gli vengono proposte sono effettivamente proporzionate”. Questa centralità della coscienza personale è il principio cardine dell’unica bioetica coerente con la novità evangelica, mai “fredda, dura, severa, tagliente”, ma sempre scrupolosamente attenta al bene concreto delle persone concrete.

Martini lo ribadisce anche nell’ultima intervista, ovviamente sminuita da Andrea Tornielli sulla Stampa in quanto “concessa da un uomo stanco, affaticato e alla fine dei suoi giorni”, ma in realtà decisiva per l’importanza dell’interlocutore, il gesuita austriaco Georg Sporschill, il coautore di Conversazioni notturne a Gerusalemme.

Ecco le parole di Martini: “Né il clero né il Diritto ecclesiale possono sostituirsi all’interiorità dell’uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarire la voce interna e per il discernimento degli spiriti”. È questo il metodo-Martini, è questo l’insegnamento del Vaticano II (vedi Gaudium et spes 16-17), è questo il nucleo del Vangelo cristiano, ed è paradossale pensare a quante critiche Martini abbia dovuto sostenere nella Chiesa di oggi per affermarlo e a come in essa si lavori sistematicamente per offuscarlo.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/9/2012 12.13
Titolo:COMUNICARE: UNA DESCRIZIONE "TEOLOGICA" .....
«Il modello? Il dialogo misterioso nel sepolcro di Gesù»

di Carlo Maria Martini (Avvenire, 12 settembre 2012)

Solitamente si dà della comunicazione una definizione empirica: comunicare è «dire qualcosa a qualcuno». Dove quel «qualcosa» si può allargare a livello planetario, attraverso il grande mondo della rete che è andato ad aggiungersi ai mezzi di comunicazione classici. Anche quel «qualcuno» ha subìto una crescita sul piano globale, al punto che gli uditori o i fruitori del messaggio in tempo reale non si possono nemmeno più calcolare.

Questa concezione empirica, alla luce dell’odierno allargamento di prospettive, dove sempre più si comunica senza vedere il volto dell’altro, ha fatto emergere con chiarezza il problema maggiore della comunicazione, ossia il suo avvenire spesso solo esteriormente, mantenendosi sul piano delle nude informazioni, senza che colui che comunica e colui che riceve la comunicazione vi siano implicati più di tanto.

Per questo vorrei tentare di dare della comunicazione una descrizione «teologica», che parta cioè dal comunicarsi di Dio agli uomini, e lo vorrei fare enunciando qui alcune riflessioni che potrebbero servire per una nuova descrizione del fenomeno.

Nel sepolcro di Gesù, la notte di Pasqua, si compie il gesto di comunicazione più radicale di tutta la storia dell’umanità. Lo Spirito Santo, vivificando Gesù risorto, comunica al suo corpo la potenza stessa di Dio. Comunicandosi a Gesù, lo Spirito si comunica all’umanità intera e apre la via a ogni comunicazione autentica. Autentica perché comporta il dono di sé, superando così l’ambiguità della comunicazione umana in cui non si sa mai fino a che punto siano implicati soggetto e oggetto.

La comunicazione sarà dunque anzitutto quella che il Padre fa di sé a Gesù, poi quella che Dio fa a ogni uomo e donna, quindi quella che noi ci facciamo reciprocamente sul modello di questa comunicazione divina. Lo Spirito Santo, che riceviamo grazie alla morte e resurrezione di Gesù e che ci fa vivere a imitazione di Gesù stesso, presiede in noi allo spirito di comunicazione. Egli pone in noi caratteristiche, quali la dedizione e l’amore per l’altro, che ci richiamano quelle del Verbo incarnato. Di qui potremmo dedurre alcune conclusioni su ogni nostro rapporto comunicativo.

Primo. Ogni nostra comunicazione ha alla radice la grande comunicazione che Dio ha fatto al mondo del suo Figlio Gesù e dello Spirito Santo, attraverso la vita, morte e resurrezione di Gesù e la vita di Gesù stesso nella Chiesa. Si capisce perciò come i Libri sacri, che in sostanza parlano di questa comunicazione, siano opere di grande valore per la storia del pensiero umano. È vero che anche i libri di altre religioni possono essere ricchi di contenuto, ma questo è dovuto al fatto che sottostà a essi il dato fondamentale di Dio che si dona all’uomo.

Secondo. Ogni comunicazione deve tenere presente come fondante la grande comunicazione di Dio, capace di dare il ritmo e la misura giusti a ogni gesto comunicativo. Ne consegue che un gesto sarà tanto più comunicativo quanto non solo comunicherà informazioni, ma metterà in rapporto le persone. Ecco perché la comunicazione di una verità astratta, anche nella catechesi, appare carente rispetto alla piena comunicazione che si radica nel dono di Dio all’uomo.

Terzo. Ogni menzogna è un rifiuto di questa comunicazione. Quando ci affidiamo con coraggio all’imitazione di Gesù, sappiamo di essere anche veri e autentici. Quando ci distacchiamo da questo spirito, diveniamo opachi e non comunicanti.

Quarto. Anche la comunicazione nelle famiglie e nei gruppi dipende da questo modello. Essa non è soltanto trasmissione di ordini o proposta di regolamenti ma suppone una dedizione, un cuore che si dona e che quindi è capace di muovere il cuore degli altri.

Quinto. Anche la comunicazione nella Chiesa obbedisce a queste leggi. Essa non trasmette solo ordini e precetti, proibizioni o divieti. È scambio dei cuori nella grazia dello Spirito Santo. Perciò le sue caratteristiche sono la mutua fiducia, la parresia, la comprensione dell’altro, la misericordia

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Titolo articolo : AL VICARIO DEL SIGNORE, IL PADRONE GESU' ("DOMINUS IESUS"), UN GIURAMENTO DI OBBEDIENZA CIECA E ASSOLUTA. UNICA RILEVANTE ECCEZIONE: CARLO MARIA MARTINI. A partire dal funerale, cominciata l'operazione "anestesia". Una nota di Vito Mancuso - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/11/2012 - 20:08:44.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/9/2012 21.11
Titolo:«Voleva che l’ultima intervista fosse inserita nel testamento»
L’ultima intervista: «Chiesa indietro di 200 anni. Perché non si scuote, perché abbiamo paura?»

intervista a Carlo Maria Martini

a cura di Georg Sporschill e Federica Radice Fossati Confalonieri (Corriere della Sera, 1 settembre 2012)

Padre Georg Sporschill, il confratello gesuita che lo intervistò in Conversazioni notturne a Gerusalemme, e Federica Radice hanno incontrato Martini l’8 agosto: «Una sorta di testamento spirituale. Il cardinale Martini ha letto e approvato il testo».

Come vede lei la situazione della Chiesa?

«La Chiesa è stanca, nell’Europa del benessere e in America. La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l’apparato burocratico della Chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi. Queste cose però esprimono quello che noi siamo oggi? (...) Il benessere pesa. Noi ci troviamo lì come il giovane ricco che triste se ne andò via quando Gesù lo chiamò per farlo diventare suo discepolo. Lo so che non possiamo lasciare tutto con facilità. Quanto meno però potremmo cercare uomini che siano liberi e più vicini al prossimo. Come lo sono stati il vescovo Romero e i martiri gesuiti di El Salvador. Dove sono da noi gli eroi a cui ispirarci? Per nessuna ragione dobbiamo limitarli con i vincoli dell’istituzione».

Chi può aiutare la Chiesa oggi?

«Padre Karl Rahner usava volentieri l’immagine della brace che si nasconde sotto la cenere. Io vedo nella Chiesa di oggi così tanta cenere sopra la brace che spesso mi assale un senso di impotenza. Come si può liberare la brace dalla cenere in modo da far rinvigorire la fiamma dell’amore? Per prima cosa dobbiamo ricercare questa brace. Dove sono le singole persone piene di generosità come il buon samaritano? Che hanno fede come il centurione romano? Che sono entusiaste come Giovanni Battista? Che osano il nuovo come Paolo? Che sono fedeli come Maria di Magdala? Io consiglio al Papa e ai vescovi di cercare dodici persone fuori dalle righe per i posti direzionali. Uomini che siano vicini ai più poveri e che siano circondati da giovani e che sperimentino cose nuove. Abbiamo bisogno del confronto con uomini che ardono in modo che lo spirito possa diffondersi ovunque».

Che strumenti consiglia contro la stanchezza della Chiesa?

«Ne consiglio tre molto forti. Il primo è la conversione: la Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi. Gli scandali della pedofilia ci spingono a intraprendere un cammino di conversione. Le domande sulla sessualità e su tutti i temi che coinvolgono il corpo ne sono un esempio. Questi sono importanti per ognuno e a volte forse sono anche troppo importanti. Dobbiamo chiederci se la gente ascolta ancora i consigli della Chiesa in materia sessuale. La Chiesa è ancora in questo campo un’autorità di riferimento o solo una caricatura nei media?

Il secondo la Parola di Dio. Il Concilio Vaticano II ha restituito la Bibbia ai cattolici. (...) Solo chi percepisce nel suo cuore questa Parola può far parte di coloro che aiuteranno il rinnovamento della Chiesa e sapranno rispondere alle domande personali con una giusta scelta. La Parola di Dio è semplice e cerca come compagno un cuore che ascolti (...). Né il clero né il Diritto ecclesiale possono sostituirsi all’interiorità dell’uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarire la voce interna e per il discernimento degli spiriti.

Per chi sono i sacramenti? Questi sono il terzo strumento di guarigione. I sacramenti non sono uno strumento per la disciplina, ma un aiuto per gli uomini nei momenti del cammino e nelle debolezze della vita. Portiamo i sacramenti agli uomini che necessitano una nuova forza? Io penso a tutti i divorziati e alle coppie risposate, alle famiglie allargate. Questi hanno bisogno di una protezione speciale. La Chiesa sostiene l’indissolubilità del matrimonio. È una grazia quando un matrimonio e una famiglia riescono (...).

L’atteggiamento che teniamo verso le famiglie allargate determinerà l’avvicinamento alla Chiesa della generazione dei figli. Una donna è stata abbandonata dal marito e trova un nuovo compagno che si occupa di lei e dei suoi tre figli. Il secondo amore riesce. Se questa famiglia viene discriminata, viene tagliata fuori non solo la madre ma anche i suoi figli. Se i genitori si sentono esterni alla Chiesa o non ne sentono il sostegno, la Chiesa perderà la generazione futura. Prima della Comunione noi preghiamo: "Signore non sono degno..." Noi sappiamo di non essere degni (...). L’amore è grazia. L’amore è un dono. La domanda se i divorziati possano fare la Comunione dovrebbe essere capovolta. Come può la Chiesa arrivare in aiuto con la forza dei sacramenti a chi ha situazioni familiari complesse?»

Lei cosa fa personalmente?

«La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. Io sono vecchio e malato e dipendo dall’aiuto degli altri. Le persone buone intorno a me mi fanno sentire l’amore. Questo amore è più forte del sentimento di sfiducia che ogni tanto percepisco nei confronti della Chiesa in Europa. Solo l’amore vince la stanchezza. Dio è Amore. Io ho ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?».

______________________________________________________________

- «Voleva che l’ultima intervista fosse inserita nel testamento»
- intervista a Federica Radice

a cura di Gian Guido Vecchi (Corriere della Sera, 4 settembre 2012)

«Quando ho incontrato per l’ultima volta il cardinale era il 23 agosto. Avevamo fatto avere a don Damiano Modena il testo della conversazione che il cardinale Martini aveva avuto con padre Georg Sporschill e me due settimane prima, l’8. Padre Sporschill aveva limato il testo in tedesco, io l’avevo ritradotto in italiano per poi mandare a Gallarate le due versioni, il cardinale aveva letto e approvato.

Quel giorno don Damiano mi disse: il testo è stupendo ma è molto forte, aspettiamo a renderlo pubblico dopo la morte. Tutti avevamo la consapevolezza che fosse una sorta di testamento. E ormai sapevamo che era una questione di giorni. L’idea era che quel testo facesse parte anche del suo lascito testamentario, don Damiano lo aveva già consegnato all’esecutore». Federica Radice Fossati Confalonieri non fa la giornalista, vive a Vienna e ha impegni più urgenti, «mi occupo dei miei tre bambini», è una delle persone che in questi anni è stata più vicina al cardinale, «un amico, un padre spirituale, un confessore: fu padre Georg a presentarmelo, nella Pasqua del 2008 a Gerusalemme».

La eco mondiale della «conversazione» con Martini pubblicata dal Corriere l’ha colta di sorpresa, ma fino a un certo punto. Il lamento per una Chiesa «stanca» e «rimasta indietro di 200 anni», l’invito a «liberare la brace dalla cenere», il bisogno di «uomini che ardono in modo che lo Spirito possa diffondersi ovunque», le domande: «Come mai non si scuote? Abbiamo paura?», l’esortazione: «Fede, fiducia, coraggio».

E gli occhi di Martini che sembravano ardere a loro volta, racconta Federica Radice Fossati Confalonieri, quando chiese secco a padre Georg: «E tu, che cosa puoi fare tu per la Chiesa?». La signora sorride: «L’ho visto vacillare, e far vacillare un uomo come Sporschill non è facile: uno che cercava i bambini nelle fogne in Romania, che ne ha salvati più di mille, un santo vivente. Lo dico per spiegare a chi il cardinale ha aperto l’ultima volta il suo cuore».

Non «un’intervista» dice, «piuttosto l’ultima conversazione, l’epilogo delle Conversazioni notturne a Gerusalemme che è diventato il libro più letto di Martini». Una conversazione che ha stupito loro per primi: «Pensavamo di parlare dieci minuti e siamo andati avanti due ore, padre Sporschill in tedesco, il cardinale in italiano e io, una donna laica, che traducevo e mi trovavo ad essere testimone di quel dialogo tra due grandi gesuiti».

Avevano deciso di andare a trovarlo quando don Damiano Modena era andato a Vienna in giugno. «Per Martini era un figlio spirituale, gli aveva detto: dopo la mia morte andrai da padre Georg». Decisero di rivedersi all’Aloisianum di Gallarate, la casa dei gesuiti dove Martini ha passato gli ultimi anni. Rimasero tutto il giorno, quell’otto agosto: la messa al mattino, dopo il pranzo e il riposo quella conversazione serrata di due ore nel pomeriggio. E Martini che, nonostante la fatica, sembrava sentisse l’urgenza di proseguire: «Continuava a parlare, andava avanti, io ero sbigottita. Poi, quando abbiamo finito, ha detto sollevato: adesso prendiamo il tè».

Non un attacco alla Chiesa, piuttosto un atto d’amore: «Non ha parlato di persone. L’attacco, semmai, è alla struttura rigida che vincola la Chiesa, i "vincoli dell’istituzione". La necessità di fare breccia, di aprirsi. Quando parlava dell’apparato burocratico ci ha detto: "Il nostro patrimonio culturale che dobbiamo conservare è ancora in grado di servire l’evangelizzazione e gli uomini? Oppure intrappolano le nostre forze in modo da paralizzarci quando un bisogno ci schiaccia?"».

Federica Radice Fossati Confalonieri si concede una breve risata: «Diceva che c’era bisogno di cardinali un po’ matti, di gente fuori dalle righe, persone che rompessero le barriere e sapessero portare novità. Come Madre Teresa». Poi ricorda quel 23 agosto: «Mi ha chiesto della mia famiglia, dei figli. Io gli ho domandato la sua benedizione. Sono uscita in lacrime. È difficile salutarsi quando sai che, su questa terra, non ti rivedrai più».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/9/2012 22.17
Titolo:GAUDIUM ET SPES: 16. Dignitaà della coscienza morale, 17. Grandezza della liber...
L’insegnamento del Vaticano II. "Gaudium et spes":


"16. Dignità della coscienza morale.

Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell'intimità del cuore: fa questo, evita quest'altro.

L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato (17). La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità (18).

Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo compimento nell'amore di Dio e del prossimo (19). Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità numerosi problemi morali, che sorgono tanto nella vita privata quanto in quella sociale. Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità. Tuttavia succede non di rado che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità.

Ma ciò non si può dire quando l'uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all'abitudine del peccato.

17. Grandezza della libertà.

Ma l'uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà.

I nostri contemporanei stimano grandemente e perseguono con ardore tale libertà, e a ragione. Spesso però la coltivano in modo sbagliato quasi sia lecito tutto quel che piace, compreso il male.

La vera libertà, invece, è nell'uomo un segno privilegiato dell'immagine divina.

Dio volle, infatti, lasciare l'uomo « in mano al suo consiglio » (20) che cerchi spontaneamente il suo Creatore e giunga liberamente, aderendo a lui, alla piena e beata perfezione.

Perciò la dignità dell'uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e determinato da convinzioni personali, e non per un cieco impulso istintivo o per mera coazione esterna. L'uomo perviene a tale dignità quando, liberandosi da ogni schiavitù di passioni, tende al suo fine mediante la scelta libera del bene e se ne procura con la sua diligente iniziativa i mezzi convenienti. Questa ordinazione verso Dio, la libertà dell'uomo, realmente ferita dal peccato, non può renderla effettiva in pieno se non mediante l'aiuto della grazia divina.

Ogni singolo uomo, poi, dovrà rendere conto della propria vita davanti al tribunale di Dio, per tutto quel che avrà fatto di bene e di male (21)".
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/9/2012 09.18
Titolo:Il Vaticano II, L'Assemblea del 15 settembre, e le due logiche che si fronteggia...
Il Concilio Vaticano II mezzo secolo dopo

di Nino Lisi (il manifesto, 8 settembre 2012)

L’11 ottobre si compiranno cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II e se ne annunciano le prime commemorazioni. Una si terrà a Roma il 15 settembre nell’auditorium dell’istituto Massimo, all’Eur. La promuovono una novantina di soggetti tra riviste, associazioni e comunità, con l’intento di guardare al Concilio con gli occhi d’oggi. Approccio quanto mai opportuno, perché da anni è in atto un dibattito su un dilemma interpretativo: il Concilio segnò o no una discontinuità con il passato?

La risposta è importante, perché da essa dipenderà se la carica innovativa del Concilio sarà definitivamente soffocata o no; questione che non riguarda solo i «credenti». In realtà, per alcuni temi il Concilio fu davvero dirompente; per altri segnò una conferma. Perché allora il dibattito? Perché dietro di esso si nasconde una dialettica che, non raramente, diviene scontro tra due logiche che si fronteggiano nella chiesa quasi dai suoi albori.

Una, «istituzionale», è protesa a custodire una verità ritenuta compiutamente rivelata e a tutelarne l’integrità. Per farlo si è istituita l’area inaccessibile del sacro, cui solo pochi (la gerarchia) vengono ammessi per cooptazione, e vi si è rinchiuso il «patrimonio della fede». Si è così rinnovato quel potere del tempio che Gesù combatté e dal quale fu messo a morte; potere che, oltre a sospingere uomini e donne a rendere a Dio gloria nei cieli, non può fare ameno di preoccuparsi del proprio rafforzamento.

L’altra logica, «dell’annuncio», è protesa a diffondere il detto evangelico secondo cui perseguire la verità e la sua giustizia rende liberi, e la notizia della fraternità e sorellanza che legano insieme tutti gli esseri umani. Induce a praticare la «libertà dei figli di Dio» e ad occuparsi che in terra si renda giustizia in particolare ai più deboli, essendo questo l’unico sacrificio gradito a Dio.

In questa ottica le conseguenze della buona novella vanno scoperte, capite e realizzate nella storia. La logica dell’annuncio porta poi a diffidare di ogni potere e sovente ad opporvisi, mentre il potere del tempio è inevitabilmente contiguo agli altri poteri, perché il potere ha tante facce ma in sostanza è uno ed i suoi diversi aspetti si intrecciano, si contaminano e si spalleggiano reciprocamente.

Quando scoppiano conflitti intestini la logica istituzionale porta a schierarsi con chi difende lo status quo, per l’ovvio motivo che il mantenimento dell’ordine costituito garantisce alla istituzione ecclesiastica la conservazione del suo potere, mentre un sovvertimento potrebbe metterlo in discussione. Due logiche distinte e per molti versi contrapposte generano dunque contraddizioni, tensioni e conflitti nella chiesa come nella vita e nella coscienza di tanti e tante uomini e donne di chiesa.

E’ da augurarsi che l’assemblea del 15 settembre riesca a discutere apertamente delle due logiche in conflitto, essendo ciò il presupposto necessario per elaborare proficuamente la memoria del Concilio e farne scaturire impegni per il futuro, come i promotori si ripromettono.

L’andamento del conflitto e l’esito dell’assemblea dell’Eur sono importanti per tutti, non solo per i credenti. In primo luogo perché l’istituzione ecclesiastica, anche in virtù delle oltre cento nunziature e della rete di enti sparsi sul pianeta, è parte integrante del sistema di governo di «questo mondo»; e poi perché, connesse alla dialettica di cui si è detto, ci sono non solo differenti idee di chiesa ma anche visioni diverse del divino e le idee sul divino che circolano in una società hanno grande influenza sul modo in cui essa si plasma. «Si immagini - come suggerisce la teologa femminista Mary Hunt - un mondo in cui il divino venga compreso come Amico invece che come Padre, come Fonte invece che come Signore, come Pacificatore invece che come Sovrano, come cittadino invece che come Re». Si intravedrà qualcosa di quel mondo migliore cui tanti aspirano.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/9/2012 18.55
Titolo:Non banalizzate il cardinale Martini ...
Non banalizzate il cardinale

di Aldo Maria Valli (Europa, 11 settembre 2012)

Il cardinale Martini è morto a poche settimane dal cinquantesimo anniversario dell’inizio del Concilio (11 ottobre 1962). Furono per lui, disse una volta, i più bei anni della sua vita, perché aria fresca entrava in una Chiesa che sapeva troppo si sacrestia e di muffa, e perché lo studio delle sacre scritture su base storica ne usciva legittimato, permettendo così anche ai cattolici di abbandonare il semplice devozionismo per entrare in un rapporto più maturo e adulto con la Bibbia.

Con il testamento spirituale consegnato al confratello padre Georg Sporschill, Martini ha indicato la strada per la Chiesa del terzo millennio: povertà e non sfarzo, collegialità e non centralismo, profezia e non burocrazia, testimonianza e non legalismo. Ha però ragione Vito Mancuso a dire (sulla Repubblica) che nei confronti del potente messaggio di Martini è subito partita un’operazione di ridimensionamento, una di quelle in cui la Chiesa gerarchica è sempre stata molto abile. Si sta mettendo il silenziatore alle denunce di Martini e si cerca di ridurre il suo messaggio a quello di un servitore della Chiesa generoso ma probabilmente un po’ troppo vivace. Servitore certamente lo è stato, fino all’ultimo, ma indignato! E triste davanti a una Chiesa cieca e sorda di fronte ai veri drammi degli uomini e delle donne di oggi.

Ma un’analoga operazione di ridimensionamento sta avvenendo anche nei confronti dello stesso Concilio Vaticano II. Il papa, in occasione dell’anniversario, ha proclamato un anno della fede. Il che provoca qualche perplessità perché sarebbe come, per un marito, proclamare l’anno dell’amore verso la moglie, o per uno studente l’anno dello studio. Ma, a parte questo, il problema è che, nei commenti e nelle iniziative che arrivano dalla Chiesa gerarchica, l’anno della fede, di cui si occupa il misterioso Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione (nome burocraticissimo), ha completamente soppiantato l’anniversario del Concilio.

Come non bastasse, l’accento viene posto volentieri sul fatto che in questo 2012 ricorre anche il ventesimo anniversario del nuovo Catechismo della Chiesa cattolica (1992), e così il gioco è fatto: anziché parlare del Concilio, della sua attualità e del bisogno, eventualmente, di farne un altro, ecco che tutto viene ridotto di nuovo a devozionismo e legalismo. Così lo spirito profetico viene accantonato, ridotto a folclore, e si torna a mettere in primo piano le norme, proprio come denunciato dal cardinale Martini.

L’operazione, ripetiamo, non è certamente nuova, ma rappresenta una costante da parte dei curiali e della Chiesa gerarchica, sempre pronta a catturare le novità per ingabbiarle, ridimensionarle, assorbirle in sé e sostanzialmente annullarle. Davanti allo stesso annuncio del Concilio da parte di Giovanni XXIII (accolto dai cardinali con un «impressionante, devoto silenzio», come annotò il papa non senza ironia) la curia reagì cercando di riportare il tutto, per quanto possibile, nell’ambito del centralismo, depotenziando immediatamente l’iniziativa papale.

Non dimentichiamo, per esempio, che Giovanni XXIII dovette imporsi per far inviare ai vescovi di tutto il mondo una lettera con la quale chiedeva quali dovessero essere a loro parere i temi da mettere al centro del Concilio. Il cardinale Felici, infatti, voleva che fosse la curia a occuparsi della questione e che ai vescovi fosse inviato un semplice prestampato con l’invito ad esprimere opinioni su quanto elaborato da Roma.

Nei quattro anni di preparazione del Concilio l’impegno di Giovanni XXIII fu di mettere d’accordo la carica profetica dell’iniziativa con le esigenze organizzative senza penalizzare la prima ai danni delle seconde, e su questo terreno dovette combattere una battaglia continua con il partito della curia. La stessa parola messa dal papa al centro della riflessione, “aggiornamento”, venne guardata con sospetto e si cercò di depotenziarla, esattamente come si sta facendo oggi con l’eredità di Martini.

Aggiornamento, per il papa, non doveva essere soltanto una revisione del linguaggio. Doveva essere una nuova creatività, la rinnovata disponibilità a confrontare il Vangelo con le culture e a farne scaturire una vita dalla parte della giustizia e dei più poveri, senza alcuna forma di autocompiacimento per le proprie sicurezze e nessun compromesso con il potere in tutti i suoi aspetti.

Ecco perché papa Roncalli volle un Concilio pastorale, non dogmatico. Come disse il teologo domenicano Marie-Dominique Chenu «tutto questo Concilio è pastorale come presa di coscienza, da parte della Chiesa, della sua missione». Un Concilio, quindi, denotato da una «originalità sensazionale», perché, «senza ignorare gli errori, le malvagità, le oscurità di questo tempo, non si pone in atteggiamento di tensione o di chiusura verso di esso, ma discerne soprattutto nelle sue speranze e nei suoi valori i richiami impliciti del Vangelo e vi trova la materia e la legge di un dialogo».

Giovanni XXII volle che il Concilio fosse libero, dialogo a tutto campo, e anche su questo dovette subire l’opposizione dei curiali e dei tradizionalisti. Criticava apertamente quei padri conciliari che, per il fatto di essere teologi, pensavano di dover produrre lezioni di teologia per dirimere questioni dottrinali e non riuscivano a concepire l’idea di mettersi in ascolto del mondo e delle Chiese dei diversi continenti. Dovette faticare per lasciare libertà ai vescovi e invitarli al confronto, senza paura. Lasciandosi trasportare dallo Spirito, papa Roncalli riuscì a condurre la barca del Concilio in mare aperto, là dove gli fu possibile dispiegare le vele con quelle parole iniziali della sua prima allocuzione: Gaudet Mater Ecclesia, la madre Chiesa si rallegra! I curiali e i tradizionalisti (i “profeti di sventura”), sempre pronti a innestare la marcia indietro, furono sconfitti.

Ma eccoli risorgere ad ogni svolta. E ora ci riprovano. Con l’anniversario del Concilio e con il testamento di Martini. Prontamente soppiantati da un istituzionale anno della fede gestito dal centro, all’insegna di celebrazioni e convegni con i soliti noti, e da una lettura riduzionistica tesa a privilegiare il Martini testimone della fede e, al più, uomo del dialogo, ma ignorando la sua denuncia di una Chiesa che non si scuote, conserva più cenere che brace ed è dominata dalla paura e dall’autoconservazione.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/9/2012 20.08
Titolo:RIFONDARE, NON RIFORMARE ....
Rifondare, non riformare

di Ortensio da Spinetoli *


Il termine profezia è sinonimo di tensione, propensione, apertura verso il futuro: attesa, cambiamento, novità, avventura; è utopia, sogno. Tecnicamente però è capacità di ascolto delle voci segrete che salgono dal proprio intimo, la coscienza, che è il luogo nascosto in cui lo spirito dell’essere umano si incontra con quello di Dio, riceve le sue proposte e se ne fa portavoce presso i suoi simili. Senza i profeti la storia non si arresta, ma manca dei suoi timonieri.

L’istituzione, come dice già il verbo da cui il termine deriva, fa appello al passato, a ciò che è accaduto e che si vuole continuare a tenere in vita, opponendosi ai cambiamenti richiesti dalle mutate situazioni culturali e spirituali. Due fasi, la staticità e il movimento, che si alternano da sempre nella storia, con la netta prevalenza della conservazione sul rinnovamento.

Nella Chiesa, il Concilio si è provato a interrompere siffatto predominio, riandando non alla comunità delle origini, già istituzionalizzata, ma al suo “fondatore”, che non sembra aver pensato a questo o quel “successore” ma ha affidato la sua eredità all’insieme dei suoi ascoltatori.

Il nuovo profetismo

Gesù è uno dei “grandi profeti” (Lc7,16) della storia, non il primo né l’ultimo. La sua singolarità è di non essersi preoccupato dell’onore (culto) da rendere alla divinità bensì dell’attenzione, del rispetto, dell’amore da portare alle persone. Si può dire anche di lui quanto il priore di Barbiana affermava di se stesso sul letto di morte: che aveva amato più i suoi alunni che Dio.

Gesù ha fatto anche una innovativa scelta religiosa, contraria ai moduli correnti, ma ancor più originale è stata quella socio-umanitaria, optando per una convivenza di eguali, amici e fratelli, che non conoscesse superiorità e sopraffazioni e in cui fossero bandite fame, povertà, malattie, divisioni, discriminazioni e ingiustizie. Un paradiso ante litteram!

Da subito si sente inviato a portare ai “poveri” il lieto annunzio della fine immediata (“oggi”) del loro stato di indigenza, ai “prigionieri” la libertà e a tutti l’apertura di un “anno santo”, cioè la cancellazione dei soprusi accumulatisi nel tempo (Lc 4,18).

È ciò che non cesserà di ripetere, sul Monte di Cafarnao (Mt 5,3), ai messi di Giovanni (Mt 11,2), nella parabola del ricco epulone (Lc 16,19) e soprattutto nel discorso di chiusura della sua missione profetica (Mt 25,31-42). In Gesù si ritrovano quanti prima e dopo di lui, dentro e fuori Israele, hanno lottato non per sostenere troni e altari, ma per far valere i diritti degli ultimi cioè per eliminare concretamente le aporie presenti in mezzo ai suoi simili, provocando così la reazione di quanti, sentendo minacciato il proprio potere, si prendono subito cura di mettere a tacere i fastidiosi importuni.

La nuova comunità: «Né padri né maestri» (Mt 23,8-10)

L’altro annuncio che Gesù fa agli esseri umani è l’invito a liberarsi dal giogo di quanti vogliono farsi passare per “benefattori” (Lc 22,25) mentre di fatto sono degli sfruttatori dei propri simili. E non chiede ai membri della sua comunità di tenersi uniti per via di «giunture e articolazioni» (Ef 4,16) o di «funzioni di governo» (1Cor 12,28-30; Rom 12,6-8) bensì richiamandosi alla loro «buona volontà», cioè al grado di carità che lega gli uni verso gli altri e tutti insieme con lui e con il padre.

La comunità che Gesù sogna è sui generis; collegamenti e comunicazioni tra i suoi componenti sono reali ma invisibili, nascono dal soffio dello Spirito (Gv 3,6-8; 4,21-24) che è lo stesso in tutti. Gesù vi si è affidato (Mt 3,16; Lc 4,18) accogliendo proposte inaudite come l’amore fino al perdono anche per il nemico. Lo stesso ha ritenuto di poter chiedere anche ai suoi discepoli.

Tra di loro alcuni avrebbero voluto sapere chi, nel futuro regno, sarebbe stato il primo e chi il secondo, ma Gesù li libera immediatamente da siffatte preoccupazioni. Tra le nazioni «quelli che sono ritenuti capi le tiranneggiano e i loro grandi hanno potere su di esse» (Mc 10,40), comportamenti che nella sua comunità sono categoricamente vietati: «Tra voi non sia così». Per loro c’è una sola possibilità, essere uno più pronto dell’altro a mettersi a disposizione del fratello, a “servirlo”, fino a «farsi schiavo di tutti».

In questa comunità singolare senza capi tutti i componenti sono tenuti a sentirsi responsabili delle soluzioni e decisioni da prendere per realizzare in opere e parole l’evangelizzazione, l’unica attività che spetta ai discepoli di Cristo per la quale non contano vesti, divise, imposizioni di mani, tutti simboli che non creano dignità o competenze reali.

E se la stessa comunità si risolve a designare persone (di servizio) che le ricordi gli impegni presi, queste non devono presumere di rappresentare Dio, che non è mai assente. Nella casa i servi non danno ordini, ma li ricevono e li eseguono.

Il rientro delle istituzioni (giudaiche)

Gesù si era liberato dalle strutture religiose del suo Paese ma certi suoi discepoli (Paolo, Giovanni, l’autore della Lettera agli ebrei), si sono premurati di ricollocarvelo. Ben presto infatti “tra i suoi” si ritrovano “capi” o “grandi” (Mt 10,1; 16,18; 18,18; Lc 22,32; Gv 21) che lui aveva chiaramente escluso. Figure che col tempo diventeranno sempre più emergenti, eminenti, eccellenti; anch’essi si dicono “servi”, ma fanno i “signori”.

Gesù non aveva scritto o fatto scrivere nulla, si era rivolto a folle anonime e illetterate con un linguaggio immaginoso e popolare; ma ben presto vede riproposte le sue considerazioni in formule astruse che nascondono la semplicità e l’immediatezza della sua persona.

Incomprensibili sono gli stravolgimenti della sua identità: la missione profetica diventa ministero sacerdotale, addirittura fino al rango di sommo sacerdote – colui che in vita fu il suo più acerrimo nemico; il suo impegno in favore di esclusi e oppressi diventa un atto di offerta sacrificale di se stesso a Dio per risarcirlo per le offese ricevute dagli esseri umani.

La nuova immagine della divinità proposta da Gesù è rovesciata: non più il Padre totalmente misericordioso, ma un vero Moloch mai sazio di vedere bruciare vittime anche innocenti sulle sue braccia.

È quanto la liturgia ancora ripete: «Gesù è stato crocifisso per noi uomini», «si è sacrificato per i nostri peccati», è «il nostro redentore», «il salvatore». Crocifisso sì, ma a causa della sua opposizione con fatti e parole (At 1,1) ai potenti che tenevano schiave moltitudini umane. Martire di carità, quindi, non vittima di espiazione verso l’Altissimo, mai adirato con nessuno, tanto meno con gli esseri umani, i suoi figli prediletti (1Gv 3,1).

Gesù, che aveva annunziato la distruzione del tempio, quindi la fine del sacerdozio e del culto, vede proliferare luoghi e funzionari sacri. Il vasto assetto culturale e cultuale che si instaura sotto il nome di “cristianesimo” è ben altra cosa che la continuazione della sua testimonianza. Sembra più un ibrido di giudaismo e paganesimo e dimostra, per lo meno fino ad oggi, l’irrealizzazione della sua utopia profetica.

Quasi inspiegabile poi è che le segnalazioni rituali che egli aveva voluto (Lc 22,15) proporre ai suoi dopo la “cena d’addio”, perché tenessero a mente il senso della sua morte in croce, abbiano acquistato esse stesse il valore che dovevano solo simboleggiare, cosicché più che mettere in gioco la propria vita per il bene del prossimo, i suoi seguaci possono accontentarsi di stare a “ripresentare” al Padre l’“offerta” del “figlio”.

Ma i segni non sono fatti, non cambiano la storia, indicano solo cosa è da fare per cambiarla, e se non si agisce concretamente non accade nulla, tutto rimane com’è, come appunto avviene dopo le innumerevoli celebrazioni che si ripetono ininterrottamente nel mondo in nome di Gesù Cristo.

Lentamente il culto eucaristico (messe, visite al sacramento, ore di adorazione, ecc.), mettendo in scena tutta una serie di rappresentazioni pubbliche che richiamano – ma non realizzano – l’esperienza di Gesù Cristo, ha finito per far coincidere l’impegno cristiano con delle innocue celebrazioni.

Conclusione

È sorprendente che la comunità cristiana, che pure ha conosciuto accesi dibattiti dottrinali cristologici e trinitari, non si sia resa conto, salvo le rimostranze dei riformatori del secolo XVI, di tali colossali distorsioni e non si sia mai provata a correggerle, soprattutto dopo che la ricerca biblica ha offerto una migliore conoscenza delle fonti cristiane.

La storia avrebbe certamente avuto un altro corso se la morte di Gesù in croce e la sua commemorazione rituale avessero conservato la loro portata originaria: il prezzo della sua resistenza ai tiranni per l’amore ai diseredati della famiglia umana.

Il ritorno al Gesù della storia non comporta la chiusura delle chiese o l’abbattimento degli altari, solo l’eliminazione di un culto magico e superstizioso instaurato in suo nome che attribuisce valore salvifico a delle semplici recitazioni a soggetto sacro, o, per dirla con Amos, delle celebrazioni «festive», dei «frastuoni di canzoni» (7,21-24).

La “giusta chiave” del Concilio è quella di chi lo ha voluto e indetto, un «aggiornamento e rinnovamento della Chiesa»: obiettivo che oggi sembra richiedere, più che una qualche riforma, una vera rifondazione.

*

Ortensio da Spinetoli, 1925, ordinato sacerdote cappuccino nel 1949. Biblista formato negli atenei di Friburgo, Innsbruck, Roma (Pontificio Istituto Biblico) e Gerusalemme (Studio Biblico Francescano), ha insegnato nello Studentato Teologico di Loreto, al Seminario vescovile di Macerata e a Roma (Antonianum, Facoltà teologica valdese, Pime). Vissuto in un periodo di transizione, si è impegnato per il rinnovamento esegetico, sia nella scuola che nella Chiesa. Ma, diradatasi presto l’aria nuova del Concilio, ha avuto poi inizio un periodo difficile per i ricercatori. Anche Ortensio ha subìto «un regolare processo» dalla Congregazione della Dottrina della Fede (1974), che ha portato alla sua rimozione dall’insegnamento e alla restrizione dei suoi interventi pubblici. è iniziato così un trentennio di silenziosa emarginazione, ma Ortensio ha sempre proseguito nel suo impegno di studio e divulgazione dei risultati della ricerca biblica.


Adista Notizie n. 32 del 15/09/2012

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Titolo articolo : ISTANZE EVANGELICHE E "RAGIONI DI STATO". NEL GIORNO DELLE ESEQUIE DEL CARD. CARLO M. MARTINI. Una nota di Alberto Simoni op,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/09/2012 - 18:37:22.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 03/9/2012 18.03
Titolo:Autoritarismo politico e autoritarismo religioso
Autoritarismo politico e autoritarismo religioso


di Rosario Amico Roxas

L’affermazione del pontefice con la quale afferma che il cardinale Martini è stato un “uomo di Dio”, “un uomo della Chiesa”, per cui sarebbe errato utilizzarlo contro la Chiesa, risulta molto approssimativa, come una preventiva difesa, peraltro non richiesta, della Chiesa, ancor prima che l’itinerario del cardinale Martini, venisse utilizzato in alternativa all’attuale itinerario NON della Chiesa, bensì dell’attuale vertice vaticano.

La solenne promessa di Cristo “non praevalebunt” (…. le porte degli inferi non prevarranno contro di essa…) non vale solamente per gli estranei alla Chiesa, per i nemici dichiarati della Chiesa, ma riguarda prevalentemente la Chiesa stessa e le tentazioni personali di stravolgimento delle parole di Cristo, o il cedimento al fascino di un potere temporale estraneo alle parole di Cristo: “Il mio regno non è di questo mondo”.

E’ così che la figura del cardinale Martini non sarà mai, né potrebbe esserlo, utilizzata contro la Chiesa, perché Martini è stato la Chiesa, incarnando al meglio le risultanze del Concilio Vaticano II, al punto da auspicare un Concilio Vaticano III°, per dirimere troppe contraddizioni che separano sempre più la religione dalla Fede, la gerarchia vaticana dal popolo dei credenti.

Possedere l’indiscutibile potere di identificare cosa è “giusto” e poterlo imporre dall’alto del potere, vuoi che sia politico, economico o anche religioso, rappresenta il sogno più antico inseguito da quanti si sono ritrovati, o si ritrovano, a rivestire una condizione di potere.

Questo desiderio ancestrale ha forgiato le menti dei dittatori investiti dal delirio di onnipotenza, e anche degli aspiranti dittatorelli sconvolti dall’uso di un potere che sovrasta gli indiscutibili limiti intellettuali che li affliggono.
L’arte di reggere il potere pretende un esercizio di equilibrio non indifferente; il fascino di selezionare il giusto dal non-giusto, secondo una personale interpretazione, riesce a stroncare molti equilibri, specie se instabili o precari.

L’idea della democrazia o del dialogo viene utilizzata per cercare e trovare le scorciatoie di un autoritarismo di fatto, anche se ammantato da un perbenismo di facciata, come l’esaltazione della libertà di stampa per nascondere la negazione di fatto della libertà di opinione.

Fascismo, nazismo e comunismo hanno avuto queste basi culturali; hanno chiuso la loro storia ma sono rimasti i semi che hanno generato un assurdo capitalismo, sfociato nel liberismo di parte, aggressivo, egoista e avido, che sta distruggendo se stesso, non senza avere, prima, distrutto buona parte del mondo che lo circonda.

Ma questa parabola evolutiva coinvolge anche l’autoritarismo in campo religioso, con la pretesa di imporre un primato non conquistato, anzi distruttivo di tutto quanto era già stato elaborato per unire credenti di diverse fedi; un primato che rifiuta a-priori ogni ipotesi di dialogo interreligioso

Nasce da ciò la pretesa ricerca di “radici cristiane dell’Europa”, come se la fede fosse diventata un elemento antropologico distintivo, condivisa da due persone che non avrebbero alcun momento di contiguità se non nell’uso del potere, ciascuno dal proprio punto di vista avente un analogo comun divisore. Ratzinger e Berlusconi inseguono un analogo autoritarismo:

• antropologico e politico il presidente del consiglio con la pretesa superiorità culturale della genìa occidentale che disprezza le altre culture in nome di un vetero razzismo sconfitto e condannato dalla storia;

• religioso e confessionale il pontefice regnante, supportato da un triplice esercizio di potere: politico in quanto sovrano del piccolo ma potente Stato Città del Vaticano, dottrinario in quanto si ritrova a poter esigere obbedienza alle sue elaborate dottrine, confessionale in quanto capo della Chiesa di Roma; tutto in contrasto con l’evoluzione del Magistero sociale della Chiesa culminato nel Concilio Ecumenico Vaticano II che si cerca di sminuire nelle conclusioni e contraddire nei fatti.

Berlusconi è solo l’esecutore materiale di un itinerario disegnato altrove su misura, su progetto della P2 che rappresenta il trait-d’union anche con il Vaticano e con i residui emergenti lasciati in sonno da Marcinkus. Il 21 agosto 1967, Marcinkus entrò a far parte della massoneria, con numero di matricola 43/649 e soprannome "Marpa".

Il suo nome fu trovato nella lista contenente 121 ecclesiastici massoni, fra cui Jean-Marie Villot (Cardinale Segretario di Stato), Agostino Casaroli (capo del ministero degli Affari Esteri del Vaticano), Pasquale Macchi (segretario di Paolo VI), monsignor Donato de Bonis (alto esponente dello IOR), Ugo Poletti (vicario generale di Roma), don Virgilio Levi (ex-vicedirettore de «L'Osservatore Romano») e Roberto Tucci (ex direttore di Radio Vaticana).

Ratzinger opera e decide in proprio, con finalità sovrapponibili, aventi come scopo il primato del cattolicesimo su tutte le religioni, un primato preteso, ma non conquistato, che non prevede nessuna forma di dialogo, di incontro e di confronto, alterando le conclusioni del Concilio Vaticano II; ciò è ampiamente dimostrato dalle periodiche derive di scontri con le altre religioni monoteiste.

Rosario Amico Roxas
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/9/2012 09.37
Titolo:IL SEGRETO DI MARTINI. Da una parte l’amore dei fedeli dall’altra la freddezza d...
Da una parte l’amore dei fedeli dall’altra la freddezza del Papa

di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 4 settembre 2012)

Il segreto di Martini sta nei volti di quanti alla vigilia dei funerali si sono seduti nei banchi del duomo di Milano semplicemente per pensare a lui. Il segreto sta nel silenzio del Papa all’Angelus domenicale, quando avrebbe dovuto scegliere se indicarlo o no come esempio. E non lo ha fatto. Il segreto sta nei buddisti e nei musulmani e nei non-credenti, che hanno partecipato alla messa. E nei rabbini ebrei che sono andati in fila a fare le condoglianze in arcivescovado.

Non è questione dell’impatto mediatico di questi giorni. Carlo Maria Martini viveva nel cuore di una massa enorme di cattolici, che aspettavano l’apparire dei suoi libri e delle sue frasi illuminanti, sparse con misura sulle pagine del Corriere della Sera in una rubrica di colloquio con i lettori che - apprendiamo dallo stesso direttore Ferruccio Bortoli - “spiacque a Roma”, cioè al Vaticano. I fedeli amavano Martini perché dava voce ai loro dubbi, alla loro ansia di trovare risposte a problemi difficili, perché dava forma teologica a scelte di coscienza che sentono giuste e in sintonia col loro essere cristiani. I cattolici del quotidiano, quelli delle parrocchie, del volontariato, dell’associazionismo, amavano - anzi amano - Martini, perché la sua cultura teneva insieme la parola della Bibbia e i nodi esistenziali con cui credenti e diversamente credenti devono misurarsi. Ha colpito come una folgore, ieri nel duomo, l’applauso scrosciante indirizzato al cardinale Tettamanzi perché ha detto la semplice parola “Noi ti amiamo”. Un contrasto fortissimo con il compatto silenzio riservato al messaggio papale letto dal cardinale Comastri e all’omelia del cardinale Scola.

Perché Ratzinger ha dedicato a Martini parole molto belle, di affettuosa stima, ne ha lodato l’impegno generoso, la “grande apertura d’animo”, la carità, l’incontro e il “dialogo con tutti”. Ma nella scelta precisa delle parole affiorava l’ergersi di una barriera fredda, che non permette la condivisione dell’esperienza di Martini: il distacco profondo da tutto quello che Martini ha detto e scritto negli ultimi anni. A partire dal grido finale “La Chiesa è indietro di 200 anni”, lanciato dal cardinale poche settimane prima della sua morte.

In tutti i discorsi cesellati, ascoltati durante i funerali, il crinale è stato uno solo: Carlo Maria Martini è un indicatore del futuro o no? Soltanto il cardinale Tettamanzi ha espresso ciò che la folla sentiva di pancia, di cuore e di testa: “Ti abbiamo amato per il tuo sguardo capace di vedere lontano...”. E la vox populi ha reagito con l’ovazione.

Il segreto di Martini sta in tutte quelle donne cattoliche, giovani e anziane, impegnate in famiglia o immerse nella vita professionale, che sentivano la sua disponibilità ad aprire le porte dell’istituzione ecclesiastica ad una partecipazione reale, determinante, del mondo femminile nel cammino della comunità dei fedeli. Quelle donne che ieri in duomo osservavano che di femminile c’era solo il canto delle soliste e due suore e tre laiche nel corteo delle offerte, sommerse da una nuvola di tonache maschili.

Il segreto di Martini sta in quei giovani - vicini o lontani dall’istituzione ecclesiastica - che ne amavano l’assenza di teatralità, lo stile controllato di chi non vuole strappare punti alla hit parade dei consensi, ma propone cose su cui riflettere, rimuginare, da cui lasciarsi interrogare. La sua capacità di attrazione riluce anche nella volgarità dei suoi avversari come il ciellino Antonio Socci, felice di proclamare che le massime del cardinale era “terribilmente banali” e ansioso di accusarlo di avere “accarezzato il Potere, quello della mentalità dominante...” e di essere stato “ospite assiduo dei salotti mediatici”.

La folla, che si è recata a vedere la sua bara nei giorni scorsi e ieri straripava in piazza Duomo, amava soprattutto il suo coraggio di parlare, di dire apertamente che ci sono problemi che la Chiesa deve affrontare e risolvere. L’Italia cattolica si sta desertificando. Sono morti cattolici non intimiditi come Lazzati, Scoppola, Alberigo. Ora che si è spenta anche la voce autorevole di Martini la scena è popolata da persone che parlano per piccoli accenni, che temono di apparire dissenzienti, che hanno paura di essere bollati come critici fuori dal coro.

Avranno nostalgia di Martini i credenti e i diversamente credenti, interessati a riflettere su quanto di “infinito” c’è nell’uomo, ma avidi di un confronto vero, non fra chi sa tutto e chi deve essere ammaestrato. Sentiranno bisogno delle sue ultime riflessioni quanti - di nascosto, e ce ne sono tanti tra preti e vescovi - condividono il suo giudizio su una Chiesa che “non si scuote”, che sembra avere paura invece di coraggio. Se il cardinale Scola ha evocato un cattolicesimo, in cui esistano “diversità di sensibilità e letture diverse delle urgenze del tempo”, in cui ci sia spazio per la pluriformità nell’unità, manca ancora molto perché questa visione diventi realtà praticata nella Chiesa di Roma.

Martini non lascia successori. Nel collegio cardinalizio non ci sono voci, come la sua, pronte a proporre un concilio o un vertice di capi cristiani insieme al pontefice. Ma poiché la sua visione di riforme si contrappone alla Chiesa in trincea dell’era ratzingeriana, il porporato sarà ben presente in spirito e scritti al futuro conclave.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/9/2012 10.43
Titolo:Quel cammino con i non credenti ...
Quel cammino con i non credenti

di Silvia Vegetti Finzi (Corriere della Sera - Milano, 4 settembre 2012)

Che cosa significano la personalità e il magistero dell’arcivescovo Carlo Maria Martini per un «non credente», per giunta donna, e di origine ebraica da parte di padre? Innanzitutto capacità di ascolto e poi riconoscimento di una appartenenza, direi all’umanità, che supera ogni genere di divisioni, sbarramenti, differenze e certificazioni.

All’opposizione «credenti e non credenti» sostituiva, come si sa, quella tra «pensanti e non pensanti» ove, alla seconda, non corrisponde nessuno in quanto alle domande più radicali non ci si può sottrarre. Nella vita procediamo verso un orizzonte a tratti oscuro, a tratti luminoso, mai definito una volta per tutte.

In questo senso siamo tutti in viaggio verso un luogo inesplorato di cui, più che la meta, Martini indicava la mappa: i testi sacri della cristianità, la Bibbia e il Vangelo. E in particolare la zona intermedia tra l’uno e l’altro, lo spazio in cui l’attesa s’illumina di speranza e la Salvezza diviene una possibilità concreta già nella Città terrestre, ancor prima di approdare nella Città celeste.

Quando, nel 1996, fui chiamata a parlare dalla «Cattedra dei non credenti» sul tema «La violenza è dentro di me?», non sapevo perché ero stata prescelta tra tanti possibili candidati. E non lo so tuttora. Forse per una certa incollocabilità: per non essermi mai schierata con un partito o identificata con una istituzione pur restando aperta al sociale, disponibile alle sue richieste.

La sera precedente m’invitò a cena e, intorno a una tavola frugale, cui partecipavano anche altri due o tre prelati, mi chiese che cosa ne pensavo dei bambini che crescono a Milano, in una città così poco favorevole all’infanzia.

Raramente ho trovato un interlocutore più attento e seriamente impegnato a comprendere i problemi e, se possibile, trovare soluzioni praticabili. Quanto alla successiva conferenza, mi chiese di riflettere sulla mia vita, sul fatto di essere nata, con un cognome evidentemente ebreo, nell’anno della emanazione delle «Leggi speciali» che inaugurarono le persecuzioni antisemite in Italia.

La seconda parte del mio discorso avrebbe invece dovuto esporre l’etica femminile. Trattai il tema nel segno della «differenza sessuale» contrapposta all’omologazione e proposi che, in quanto donne, dovremmo cercare di acquisire, non tanto autorità, quanto autorevolezza.

La serata, aperta dal biblista padre Salmann, proseguì con lo straordinario accostamento di Lalla Romano tra violenza e poesia. Ma il contributo più rilevante fu la riflessione sull’intero ciclo di conferenze che il cardinal Martini volle concludere così: «Dipende anche da ciascuno di noi se allo Spirito è dato ancora oggi di operare attraverso la nostra voce e le nostre mani».

Il pubblico era innumerevole e l’attenzione, nonostante l’ora tarda, senza cedimenti. Forse quelle potenzialità non ebbero l’esito sperato ma sono convinta che nulla vada perduto e che la folla, che ha sfilato due giorni per portargli l’ultimo saluto sia l’erede, talvolta inconsapevole, di quella grande stagione. Testimonianza di una Milano custode di un patrimonio di intelligenza e di sensibilità, di cultura e di solidarietà che ci fa sperare, anzi credere, in un domani migliore.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/9/2012 14.22
Titolo:Una chiesa che non si sottrae a riformare se stessa
Una chiesa che non si sottrae a riformare se stessa

di mons. Giovanni Giudici (www.paxchristi.it, 4 settembre 2012)

La notizia, per quanto attesa, del ritorno alla casa del Padre di Carlo Maria Martini, Cardinale e Arcivescovo emerito di Milano, ci rende partecipi della sofferenza di coloro che lo hanno conosciuto. Ci sarà tempo e modo di riflettere sulla sua figura e sulla sua lezione. In queste ore, basti il ricordo della sua attenzione alle ragioni alte della giustizia e della pace, come pure del tratto umano di rispetto per ogni persona e ogni causa che aveva a che fare con la libertà e la dignità umana. Ambedue questi aspetti non sono estranei alla sua opera di biblista e di pastore. In certo modo l’essersi lasciato lui stesso plasmare dalla Parola di Dio mostra quale è la radice e lo sfondo della sua testimonianza.

Questo piemontese austero e riservato, con la fama di uomo di ricerca e dedito a studi severi, posto alla guida della diocesi di sant’Ambrogio e di san Carlo, ha saputo essere in pari tempo padre sollecito, un fratello maggiore, un signore amabile e accogliente. Con questa semplicità di uomo tra gli uomini, prima e più dell’eminente studioso e pastore di fama mondiale, ha saputo condividere la condizione comune degli uomini, su tutti i fronti della sua personalità e del suo ministero.

A partire dallo studio e dalla meditazione, e dalla predicazione della Parola, tutto il suo magistero e la sua azione pastorale sono riconducibili a un solo fine: educare i cristiani alla familiarità con la Parola e mostrarne ai non credenti la portata e la sapienza umana. L’umanità condivisa senza riserve da Martini, alla luce della Parola, lo ha condotto ad una interpretazione del cristianesimo come amico dell’intelligenza e della libertà. Da qui ancora la sua visione di una Chiesa povera, libera, sciolta, aggettivo cui spesso ricorreva per descrivere la Chiesa. Comunità strutturata sì, ma immune da ogni tentazione di potere e da propositi di costrizione.

Egli ci ha fatto sperimentare una Chiesa concentrata nella proclamazione di una parola che sa illuminare, confortare, chiedere cambiamenti. Vivendo con intensità il presente egli ci ha presentato una Chiesa che illumina e giudica le parole dell’uomo, comprese le parole della politica. Sui temi della pace si è posto, con semplicità e apertura di cuore, come segno e speranza di riconciliazione.

Ci ha proposto una Chiesa che accompagna con fiducia le opere dell’uomo, che apprezza il portato della scienza e della cultura moderna, anche in quelle zone grigie‚ che stanno al confine tra ciò che già possiamo giudicare, perché è conosciuto, e ciò che ancora ci pone interrogativi sulla sua qualità etica. In particolare una Chiesa che non si sottrae al dovere di riformare se stessa e di rileggere talune sue posizioni tradizionali. Quanti hanno fede nella comunione dei santi sono certi che misteriosamente continuerà ad accompagnarci.

Mons. Giudici

Vescovo di Pavia - Presidente di Pax Christi Italia
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/9/2012 18.37
Titolo:Operazione anestesia sul cardinale Martini
L’operazione-anestesia sul cardinal Martini

di Vito Mancuso (la Repubblica, 9 settembre 2012)

Con uno zelo tanto impareggiabile quanto prevedibile è cominciata nella Chiesa l’operazione anestesia verso il cardinal Carlo Maria Martini, lo stesso trattamento ricevuto da credenti scomodi come Mazzolari, Milani, Balducci, Turoldo, depotenziati della loro carica profetica e presentati oggi quasi come innocui chierichetti.

A partire dall’omelia di Scola per il funerale, sulla stampa cattolica ufficiale si sono susseguiti una serie di interventi la cui unica finalità è stata svigorire il contenuto destabilizzante delle analisi martiniane per il sistema di potere della Chiesa attuale. Si badi bene: non per la Chiesa (che anzi nella sua essenza evangelica ne avrebbe solo da guadagnare), ma per il suo sistema di potere e la conseguente mentalità cortigiana.

Mi riferisco alla situazione descritta così dallo stesso Martini durante un corso di esercizi spirituali nella casa dei gesuiti di Galloro nel 2008: “Certe cose non si dicono perché si sa che bloccano la carriera. Questo è un male gravissimo della Chiesa, soprattutto in quella ordinata secondo gerarchie, perché ci impedisce di dire la verità. Si cerca di dire ciò che piace ai superiori, si cerca di agire secondo quello che si immagina sia il loro desiderio, facendo così un grande disservizio al papa stesso”.

E ancora: “Purtroppo ci sono preti che si propongono di diventare vescovi e ci riescono. Ci sono vescovi che non parlano perché sanno che non saranno promossi a sede maggiore. Alcuni che non parlano per non bloccare la propria candidatura al cardinalato. Dobbiamo chiedere a Dio il dono della libertà. Siamo richiamati a essere trasparenti, a dire la verità. Ci vuole grande grazia. Ma chi ne esce è libero”.

Quello che è rilevante in queste parole non è tanto la denuncia del carrierismo, compiuta spesso anche da Ratzinger sia da cardinale che da Papa, quanto piuttosto la terapia proposta, cioè la libertà di parola, l’essere trasparenti, il dire la verità, l’esercizio della coscienza personale, il pensare e l’agire come “cristiani adulti” (per riprendere la nota espressione di Romano Prodi alla vigilia del referendum sui temi bioetici del 2005 costatagli il favore dell’episcopato e pesanti conseguenze per il suo governo). È precisamente questo invito alla libertà della mente ad aver fatto di Martini una voce fuori dal coro nell’ordinato gregge dell’episcopato italiano e a inquietare ancora oggi il potere ecclesiastico.

Diceva nelle Conversazioni notturne a Gerusalemme: “Mi angustiano le persone che non pensano, che sono in balìa degli eventi. Vorrei individui pensanti. Questo è l’importante. Soltanto allora si porrà la questione se siano credenti o non credenti”. Ecco il metodo-Martini: la libertà di pensiero, ancora prima dell’adesione alla fede.

Certo, si tratta di una libertà mai fine a se stessa e sempre tesa all’onesta ricerca del bene e della giustizia (perché, continuava Martini, “la giustizia è l’attributo fondamentale di Dio”), ma a questa adesione al bene e alla giustizia si giunge solo mediante il faticoso esercizio della libertà personale. È questo il metodo che ha affascinato la coscienza laica di ogni essere pensante (credente o non credente che sia) e che invece ha inquietato e inquieta il potere, in particolare un potere come quello ecclesiastico basato nei secoli sull’obbedienza acritica al principio di autorità. Ed è proprio per questo che gli intellettuali a esso organici stanno tentando di annacquare il metodo-Martini.

Per rendersene conto basta leggere le argomentazioni del direttore di Civiltà Cattolica secondo cui “chiudere Martini nella categoria liberale significa uccidere la portata del suo messaggio”, e ancor più l’articolo su Avvenire di Francesco D’Agostino che presenta una pericolosa distinzione tra la bioetica di Martini definita “pastorale” (in quanto tiene conto delle situazioni concrete delle persone) e la bioetica ufficiale della Chiesa definita teorico-dottrinale e quindi a suo avviso per forza “fredda, dura, severa, tagliente” (volendo addolcire la pillola, l’autore aggiunge in parentesi “fortunatamente non sempre”, ma non si rende conto che peggiora le cose perché l’equivalente di “non sempre” è “il più delle volte”).

Ora se c’è una cosa per la quale Gesù pagò con la vita è proprio l’aver lottato contro una legge “fredda, dura, severa, tagliente” in favore di un orizzonte di incondizionata accoglienza per ogni essere umano nella concreta situazione in cui si trova.

Martini ha praticato e insegnato lo stesso, cercando di essere sempre fedele alla novità evangelica, per esempio quando nel gennaio 2006 a ridosso del caso Welby (al quale un mese prima erano stati negati i funerali religiosi in nome di una legge “fredda, dura, severa, tagliente”) scrisse che “non può essere trascurata la volontà del malato, in quanto a lui compete - anche dal punto di vista giuridico, salvo eccezioni ben definite - di valutare se le cure che gli vengono proposte sono effettivamente proporzionate”. Questa centralità della coscienza personale è il principio cardine dell’unica bioetica coerente con la novità evangelica, mai “fredda, dura, severa, tagliente”, ma sempre scrupolosamente attenta al bene concreto delle persone concrete.

Martini lo ribadisce anche nell’ultima intervista, ovviamente sminuita da Andrea Tornielli sulla Stampa in quanto “concessa da un uomo stanco, affaticato e alla fine dei suoi giorni”, ma in realtà decisiva per l’importanza dell’interlocutore, il gesuita austriaco Georg Sporschill, il coautore di Conversazioni notturne a Gerusalemme.

Ecco le parole di Martini: “Né il clero né il Diritto ecclesiale possono sostituirsi all’interiorità dell’uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarire la voce interna e per il discernimento degli spiriti”. È questo il metodo-Martini, è questo l’insegnamento del Vaticano II (vedi Gaudium et spes 16-17), è questo il nucleo del Vangelo cristiano, ed è paradossale pensare a quante critiche Martini abbia dovuto sostenere nella Chiesa di oggi per affermarlo e a come in essa si lavori sistematicamente per offuscarlo.

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Commenti Articolo 766

Titolo articolo : FA UDIRE I SORDI E FA PARLARE I MUTI,di p. Alberto Maggi OSM

Ultimo aggiornamento: September/05/2012 - 17:13:36.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/9/2012 17.13
Titolo:IN RICORDO DI CARLO M. MARTINI. Testi....
DUE LETTERE PASTORALI DI CARLO M. MARTINI SUL TEMA:



CARLO MARIA MARTINI LETTERA PASTORALE (1990-1991) “EFFATÀ, APRITI”. (in: http://www.odg.mi.it/node/236)

CARLO MARIA MARTINI LETTERA PASTORALE (1991-1992) “IL LEMBO DEL MANTELLO” (in: http://www.odg.mi.it/node/237)

___________________________________________________________________

L’ultima intervista: «Chiesa indietro di 200 anni. Perché non si scuote, perché abbiamo paura?»

intervista a Carlo Maria Martini

a cura di Georg Sporschill e Federica Radice Fossati Confalonieri (Corriere della Sera, 1 settembre 2012)

Padre Georg Sporschill, il confratello gesuita che lo intervistò in Conversazioni notturne a Gerusalemme, e Federica Radice hanno incontrato Martini l’8 agosto: «Una sorta di testamento spirituale. Il cardinale Martini ha letto e approvato il testo».

Come vede lei la situazione della Chiesa?

«La Chiesa è stanca, nell’Europa del benessere e in America. La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l’apparato burocratico della Chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi. Queste cose però esprimono quello che noi siamo oggi? (...) Il benessere pesa. Noi ci troviamo lì come il giovane ricco che triste se ne andò via quando Gesù lo chiamò per farlo diventare suo discepolo. Lo so che non possiamo lasciare tutto con facilità. Quanto meno però potremmo cercare uomini che siano liberi e più vicini al prossimo. Come lo sono stati il vescovo Romero e i martiri gesuiti di El Salvador. Dove sono da noi gli eroi a cui ispirarci? Per nessuna ragione dobbiamo limitarli con i vincoli dell’istituzione».

Chi può aiutare la Chiesa oggi?

«Padre Karl Rahner usava volentieri l’immagine della brace che si nasconde sotto la cenere. Io vedo nella Chiesa di oggi così tanta cenere sopra la brace che spesso mi assale un senso di impotenza. Come si può liberare la brace dalla cenere in modo da far rinvigorire la fiamma dell’amore? Per prima cosa dobbiamo ricercare questa brace. Dove sono le singole persone piene di generosità come il buon samaritano? Che hanno fede come il centurione romano? Che sono entusiaste come Giovanni Battista? Che osano il nuovo come Paolo? Che sono fedeli come Maria di Magdala? Io consiglio al Papa e ai vescovi di cercare dodici persone fuori dalle righe per i posti direzionali. Uomini che siano vicini ai più poveri e che siano circondati da giovani e che sperimentino cose nuove. Abbiamo bisogno del confronto con uomini che ardono in modo che lo spirito possa diffondersi ovunque».

Che strumenti consiglia contro la stanchezza della Chiesa?

«Ne consiglio tre molto forti. Il primo è la conversione: la Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi. Gli scandali della pedofilia ci spingono a intraprendere un cammino di conversione. Le domande sulla sessualità e su tutti i temi che coinvolgono il corpo ne sono un esempio. Questi sono importanti per ognuno e a volte forse sono anche troppo importanti. Dobbiamo chiederci se la gente ascolta ancora i consigli della Chiesa in materia sessuale. La Chiesa è ancora in questo campo un’autorità di riferimento o solo una caricatura nei media?

Il secondo la Parola di Dio. Il Concilio Vaticano II ha restituito la Bibbia ai cattolici. (...) Solo chi percepisce nel suo cuore questa Parola può far parte di coloro che aiuteranno il rinnovamento della Chiesa e sapranno rispondere alle domande personali con una giusta scelta. La Parola di Dio è semplice e cerca come compagno un cuore che ascolti (...). Né il clero né il Diritto ecclesiale possono sostituirsi all’interiorità dell’uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarire la voce interna e per il discernimento degli spiriti.

Per chi sono i sacramenti? Questi sono il terzo strumento di guarigione. I sacramenti non sono uno strumento per la disciplina, ma un aiuto per gli uomini nei momenti del cammino e nelle debolezze della vita. Portiamo i sacramenti agli uomini che necessitano una nuova forza? Io penso a tutti i divorziati e alle coppie risposate, alle famiglie allargate. Questi hanno bisogno di una protezione speciale. La Chiesa sostiene l’indissolubilità del matrimonio. È una grazia quando un matrimonio e una famiglia riescono (...).

L’atteggiamento che teniamo verso le famiglie allargate determinerà l’avvicinamento alla Chiesa della generazione dei figli. Una donna è stata abbandonata dal marito e trova un nuovo compagno che si occupa di lei e dei suoi tre figli. Il secondo amore riesce. Se questa famiglia viene discriminata, viene tagliata fuori non solo la madre ma anche i suoi figli. Se i genitori si sentono esterni alla Chiesa o non ne sentono il sostegno, la Chiesa perderà la generazione futura. Prima della Comunione noi preghiamo: "Signore non sono degno..." Noi sappiamo di non essere degni (...). L’amore è grazia. L’amore è un dono. La domanda se i divorziati possano fare la Comunione dovrebbe essere capovolta. Come può la Chiesa arrivare in aiuto con la forza dei sacramenti a chi ha situazioni familiari complesse?»

Lei cosa fa personalmente?

«La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. Io sono vecchio e malato e dipendo dall’aiuto degli altri. Le persone buone intorno a me mi fanno sentire l’amore. Questo amore è più forte del sentimento di sfiducia che ogni tanto percepisco nei confronti della Chiesa in Europa. Solo l’amore vince la stanchezza. Dio è Amore. Io ho ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?».

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Commenti Articolo 767

Titolo articolo : “INTESA” PIÙ CHE CORDIALE TRA STATO E CEI PER RILANCIARE IL “VALORE CULTURALE” DELL’IRC,di Adista Notizie n. 27 del 14/07/2012

Ultimo aggiornamento: September/04/2012 - 12:36:22.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/9/2012 12.36
Titolo:IN ITALIA COME IN FRANCIA. Chi ha paura dei corsi di morale laica?
Chi ha paura dei corsi di morale laica?

di Michela Marzano (la Repubblica, 4 settembre 2012)

Si può insegnare la morale come si insegna la grammatica o l’aritmetica? Spetta alla scuola pubblica spiegare ai cittadini di domani “cosa è giusto”, oppure uno stato liberale non dovrebbe permettersi di intervenire nell’ambito del “bene” e del “male”?

In Francia, in questi ultimi giorni, il dibattito sulla morale a scuola è estremamente vivo. Visto che, prima dell’inizio del nuovo anno scolastico, il ministro dell’Educazione Vincent Peillon ha detto che il compito della scuola non può più essere solo quello di trasmettere una serie di nozioni, ma anche quello di educare all’etica, per permettere ai più giovani di capire che «alcuni valori sono più importanti di altri: la conoscenza, l’abnegazione, la solidarietà, piuttosto che i valori del denaro, della concorrenza e dell’egoismo».

E così il linguaggio dei valori, rifiutato per anni dalla sinistra in quanto sinonimo di un ritorno all’ordine morale, fa la sua comparsa “scandalosa”. Provocando polemiche. Rilanciate, all’indomani delle dichiarazioni di Peillon, dall’ex-ministro del governo sarkozista Luc Chatel, che accusa il socialista di utilizzare argomenti “ pétainistes”. Chiedere alla scuola di inculcare nei giovani la morale, perché il risanamento di una nazione non può essere solo materiale, ma anche spirituale, significa, per Chatel, fare un passo indietro nella storia: solo il Maresciallo Pétain, negli anni 1940, aveva osato fare dichiarazioni di questo genere.

Come se parlare di decadenza spirituale fosse all’appannaggio della destra. Oppure della Chiesa. Visto che anche da parte del mondo cattolico si sono sollevate alcune obiezioni, per paura che questi famosi valori da insegnare non siano in conformità con il magistero della Chiesa. Ma di quale morale stiamo allora parlando?

Per Peillon, la sola morale che la scuola può insegnare è una “morale laica”. Non si tratta di tornare alle nozioni tradizionali di “patria” e di “famiglia”, né ai concetti di “ordine” e di “disciplina”, ma solo di stimolate la capacità di ragionare, di dubitare e di criticare dei più giovani. È per questo che a scuola si dovrebbe tornare a parlare di libertà, di rispetto, di dignità e di giustizia. Come non dar ragione al ministro dell’educazione, quando si sa che anche solo per formulare correttamente un giudizio critico si devono avere alcune basi? Certo, all’era dell’autonomia individuale, qualunque forma di ritorno al paternalismo sarebbe incongrua. Non si tratta di dare agli studenti un breviario delle azioni da compiere e di quelle da evitare, né di insegnare cosa si debba o meno pensare della vita, della morte, o della sessualità. Si tratta solo di spiegare il significato preciso dei valori che giustificano l’agire umano. Nozioni come il rispetto, la dignità, la responsabilità o la libertà, che sono alla base di ogni etica pubblica contemporanea, non possono essere utilizzate a casaccio. Ognuna di loro ha una propria “grammatica”; per utilizzarle correttamente si devono conoscere le regole del gioco linguistico.

Ecco quale è lo scopo della scuola oggi: insegnare di nuovo ad utilizzare correttamente le parole della morale per permettere l’organizzazione del “vivere-insieme”; evitare che alcuni radicalismi religiosi interferiscano nella sfera pubblica; alimentare il dibattito democratico, senza che la violenza prenda il posto della critica. Esattamente il contrario di ciò che voleva fare Pétain. Ma anche l’opposto di quello che sognerebbero oggi i nuovi integralisti della morale.

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Commenti Articolo 768

Titolo articolo : LEGGE 40 E VESCOVI. Spento il "Lumen Gentium", e confuso Dio ("Charitas") con Mammona ("Caritas"), confondono anche "bambino" con "embrione", e attaccano la Corte di Strasburgo che invita a distinguere (prima di unire). Un editoriale dell'Avvenire - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/02/2012 - 20:58:32.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/8/2012 15.48
Titolo:UNA LEGGE INCOMPATIBILE CON I DIRITTI .....
Una legge incompatibile con i diritti

di Vladimiro Zagrebelsky (La Stampa, 29.08.2012)

La legge italiana che disciplina l’utilizzo delle procedure mediche di fecondazione assistita e più particolarmente le limitazioni che essa impone, sono oggetto di critiche e polemiche fin dalla sua approvazione nel 2004. Critiche e polemiche che riguardano sia la legge in sé, sia le linee guida emanate dal ministero della Salute per specificarne, integrarne e aggiornarne le previsioni. Come si ricorda un referendum parzialmente abrogativo venne fatto fallire nel 2005 con il non raggiungimento del quorum di votanti.

E’ recente la decisione dalla Corte Costituzionale di restituire ai giudici che l’avevano prospettata, la questione di costituzionalità del divieto di ricorso alla fecondazione con ovocita o gamete di persona esterna alla coppia (la fecondazione eterologa). La questione verrà certo riproposta e la Corte Costituzionale deciderà. In passato, nel 2009, la stessa Corte aveva dichiarato incostituzionale perché irragionevole e in contrasto con il diritto fondamentale della donna alla salute, la limitazione a tre degli embrioni da impiantare contemporaneamente, senza possibilità di produrne un maggior numero da utilizzare nel caso che il primo impianto non avesse avuto esito positivo.

Ora è un diverso aspetto della regolamentazione, che una diversa Corte ritiene incompatibile con i diritti fondamentali della persona. Ancora una volta si tratta dell’irragionevolezza di un impedimento posto dalla legge italiana all’accesso a una tecnica che è frutto del progresso medico. In proposito va ricordato che il Patto internazionale dei diritti economici e sociali delle Nazioni Unite, riconosce a tutti la possibilità di «godere dei benefici del progresso scientifico e delle sue applicazioni». Limiti e condizioni sono possibili, ma, come per tutte le deroghe a diritti fondamentali, essi devono essere ristretti al minimo indispensabile per la tutela di altri diritti fondamentali confliggenti.

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha deciso il ricorso di una coppia italiana protagonista (e vittima) di una vicenda esemplare dell’irragionevolezza della legge, che li esclude dalla possibilità di utilizzare le tecniche di fecondazione medicalmente assistita. I due ricorrenti avevano generato una figlia malata di mucoviscidosi. Fu così che essi appresero di essere entrambi portatori sani di quella malattia. Nel corso di una successiva gravidanza, la diagnosi prenatale rivelò che il feto era anch’esso malato. Ricorrendo alla legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, essi procedettero all’aborto. Poiché tuttavia desideravano un secondo figlio e naturalmente volevano evitare che fosse malato, richiesero di procedere alla fecondazione artificiale, per conoscere lo stato dell’embrione prima di impiantarlo, escludere quello malato e utilizzare quello sano.

La legge che disciplina la materia limita il ricorso alla fecondazione medicalmente assistita al solo caso in cui la coppia è sterile o infertile. Le linee guida ministeriali del 2008 hanno ritenuto che sia assimilabile al caso d’infertilità maschile quello in cui l’uomo sia portatore delle malattie sessualmente trasmissibili derivanti da infezione da Hiv o da Epatite B e C. Ma non hanno considerato altre situazioni di genitori malati. E così alla coppia restò negata la possibilità di superare l’infermità e dar corso, con la fecondazione medicalmente assistita, a una gravidanza che si sarebbe conclusa con la nascita di un bimbo sano.

La Corte europea ha rilevato che la legge italiana nel caso in cui la diagnosi prenatale riveli che il feto è portatore di anomalie o malformazioni, consente di procedere all’interruzione della gravidanza. In effetti proprio a ciò aveva fatto ricorso la coppia, nella gravidanza successiva alla nascita della figlia malata. Vi è dunque, secondo la Corte, un’evidente irragionevolezza della disciplina, che, permettendo l’aborto e invece proibendo l’inseminazione medica con i soli embrioni sani, autorizza il più (e il più penoso), mentre nega il meno (e meno grave).

La Corte ha così rifiutato gli argomenti del governo italiano, che sosteneva che la legge tende a proteggere la dignità e libertà di coscienza dei medici e a evitare possibili derive eugenetiche. Argomenti contraddetti dal fatto che la legge consente di procedere all’aborto in casi come quello esaminato dalla Corte. In più ha pesato il fatto che la grande maggioranza dei Paesi europei consente la fecondazione medicalmente assistita per prevenire la trasmissione di malattie genetiche (solo l’Italia e l’Austria la vietano e la Svizzera ha in corso un progetto di legge per ammetterla). Irragionevole nel sistema legislativo italiano e ingiustificato nel quadro della tendenza europea, il divieto ha inciso senza ragione sul diritto della coppia al rispetto delle scelte di vita personale e familiare, garantito dalla Convenzione europea dei diritti umani.

La sentenza non è definitiva. Il governo italiano può chiederne il riesame da parte della Grande Camera della Corte europea. Se diverrà definitiva, sarà vincolante per l’Italia, una modifica della legge sarà inevitabile e saranno inapplicabili le linee guida ministeriali. La Corte Costituzionale ha già più volte detto che la conformità alla Convenzione europea dei diritti umani, «nella interpretazione datane dalla Corte europea», è condizione della costituzionalità delle leggi nazionali.

Una revisione della legge potrebbe convincere il legislatore ad abbandonare l’ambizione di disciplinare il dettaglio, con ammissioni ed esclusioni particolari che inevitabilmente creano disparità irragionevoli. Questa è una materia in cui occorrerebbe lasciar spazio alle scelte individuali (in questo caso quella di non rinunciare a procreare un figlio, un figlio sano) e alla responsabilità dei medici nel fare il miglior uso possibile del frutto della ricerca e dell’avanzamento delle conoscenze e possibilità umane. La Corte Costituzionale ha già ripetutamente posto l’accento sui limiti che alla discrezionalità legislativa pongono le acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione e sulle quali si fonda l’arte medica: sicché, in materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere la autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali.
Ora liberi dalle ideologie

di Stefano Rodotà (la Repubblica, 29.08.2012)

PEZZO dopo pezzo la terribile legge sulla procreazione assistita, la più ideologica tra quelle approvate durante la sciagurata stagione politica che abbiamo alle spalle, viene demolita dai giudici italiani e europei. Ieri è intervenuta la Corte europea dei diritti dell’uomo con una sentenza che ha ritenuto illegittimo il divieto di accesso alla diagnosi preimpianto da parte delle coppie fertili di portatori sani di malattie genetiche. Si tratta di una decisione di grandissimo rilievo per diverse ragioni, che saranno meglio chiarite quando ne sarà nota la motivazione. Viene eliminata una irragionevole discriminazione tra le coppie sterili o infertili, che già possono effettuare la diagnosi grazie ad un intervento della nostra Corte costituzionale, e quelle fertili. Viene rilevata una violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che tutela la vita privata e familiare. Viene constatata una contraddizione interna al sistema giuridico italiano, che permette l’aborto terapeutico proprio nei casi in cui una diagnosi preimpianto avrebbe potuto evitare quel concepimento. Viene messo in evidenza il rischio per la salute della madre, quando viene obbligata ad affrontare una gravidanza con il timore che alla persona che nascerà potrà essere trasmessa una malattia genetica (è questo il caso della coppia che si era rivolta alla Corte di Strasburgo perché, dopo aver avuto una bambina affetta da fibrosi cistica e dopo un aborto determinato dall’accertamento che nel feto era presente la stessa malattia, intendeva ricorrere alla diagnosi preimpianto per procreare in condizioni di tranquillità).

È bene sapere che tutte queste obiezioni erano state più volte avanzate nella discussione italiana già prima che la legge 40 venisse approvata, senza che la maggioranza di centrodestra sentisse il bisogno di una riflessione, condannando così la legge al destino che poi ha conosciuto, al suo progressivo smantellamento. La Corte costituzionale, già nel 2010, aveva dichiarato illegittime le norme che indicavano in tre il numero massimo degli embrioni da creare e accompagnavano questo divieto con l’obbligo del loro impianto. Vale la pena di ricordare quel che allora scrissero i nostri giudici: “la giurisprudenza costituzionale ha ripetutamente posto l’accento sui limiti che alla discrezionalità legislativa pongono le acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione e sulle quali si fonda l’arte medica; sicché, in materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere la autonomia e la responsabilità del medico che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali” (così la sentenza n. 151 del 2010). Le pretese del legislatore-scienziato, che vuol definire quali siano le tecniche ammissibili, e del legislatore-medico, che vuol stabilire se e come curare, vennero esplicitamente dichiarate illegittime.

La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo si colloca lungo questa linea. Quando si parla del rispetto della vita privata e familiare, si vuol dire che in materie come questa la competenza a decidere spetta alle persone interessate. Quando si sottolineano contraddizioni e forzature normative, si fa emergere la realtà di un contesto nel quale le persone sono obbligate a compiere scelte rischiose proprio là dove dovrebbe essere massima la certezza, come accade tutte le volte che si affrontano le questioni della vita. Vi sono due diritti da rispettare, quello all’autodeterminazione e quello alla salute, non a caso definiti “fondamentali”. Di questi diritti nessuno può essere espropriato. Questo ci dicono i giudici, che non compiono improprie invasioni di campo, ma adempiono al compito di riportare a ragione e Costituzione le normative che investono il governo dell’esistenza. Né si può parlare di una deriva verso una eugenetica “liberale”, proprio perché si è di fronte ad una specifica questione, che riguarda gravi patologie.

Ma la sentenza della Corte di Strasburgo è una mossa che apre una complessa partita politica e istituzionale. Saranno necessari passaggi tecnici per far sì che tutte le coppie a rischio di trasmissione di malattie genetiche possano effettivamente accedere alla diagnosi preimpianto. Passaggi che potranno essere ritardati dal fatto che il governo ha tre mesi per impugnare la decisione davanti alla “Grande Chambre” di Strasburgo. Questa impugnativa è invocata dai responsabili di questo disastro legislativo e umano. Il ministro Balduzzi, prudentemente, parla della necessità di attendere le motivazioni della sentenza: Ma può il Governo scegliere una sorta di accanimento terapeutico per una legge di cui restano soltanto brandelli, di cui le giurisdizioni europea e italiana hanno ripetutamente messo in evidenza le innegabili violazioni della legalità costituzionale?

Questa sarebbe, invece, la buona occasione per uscire finalmente dalle forzature ideologiche. In primo luogo, allora, bisogna prendere atto, come buona politica e buon diritto vorrebbero, che bisogna riscrivere la legge davvero sotto la dettatura, non dei giudici, ma delle indicazioni costituzionali, obbedendo alla logica dei diritti fondamentali. Ma, in tempi di carte d’intenti e di programmi elettorali, sarebbe proprio il caso di abbandonare fondamentalismi e strumentalizzazioni. Il dissennato conflitto intorno ai “valori non negoziabili” dovrebbe lasciare il posto ad una attitudine capace di riconoscere che vi sono materie nelle quali l’intervento del legislatore deve essere in primo luogo rispettoso della libertà delle persone e della loro dignità, che non possono essere sacrificate a nessuna imposizione esterna.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/8/2012 15.51
Titolo:PER IL GOVERNO DEI PROF, UNA BUONA OCCASIONE PER FARE I COMPITI A CASA
La legge 40, i compiti a casa

di Ida Dominijanni (il manifesto, 29 agosto 2012)

Da un governo così europeista da accettare qualunque diktat neoliberista perché «ce lo chiede Bruxelles» e così preoccupato per la nostra salute da tassare la Coca cola perché ci fa ingrassare ci aspetteremmo salti di gioia per la sentenza della Corte europea di Strasburgo che distrugge uno degli assurdi divieti della legge italiana sulla procreazione assistita tacciandola di incoerenza e autorizzando l’accesso alla diagnosi preimpianto di una coppia non sterile, portatrice sana di una malattia, la fibrosi cistica, trasmissibile al feto.

Il ministro della salute Renato Balduzzi, invece, traccheggia: che ci fosse contraddizione fra la legge 40 (che vieta la diagnosi preimpianto) e la legge 194 (che consente l’aborto terapeutico se il feto risulta affetto da una malattia che la suddetta diagnosi potrebbe individuare anzitempo) era problema noto (ma perché allora non si è cercato di rimuoverlo?), però bisogna aspettare le motivazioni della sentenza, e poi rifletterci sopra, sì, ma bilanciando i due principi della soggettività giuridica dell’embrione e della salute della madre.

Ora, in primo luogo la sentenza è chiarissima anche senza le motivazioni: la legge 40 è sostanzialmente da buttare e riscrivere, sia perché limita l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita alle sole coppie sterili e dunque ne vieta un uso terapeutico più ampio come quello richiesto dai coniugi che hanno fatto ricorso alla Corte, sia per via dell’incompatibilità di cui sopra con la legge sull’aborto: e a conti fatti, invece di promuovere contrasta, scrive la Corte, il diritto di ciascuno/a al rispetto della propria vita privata e familiare.

In secondo luogo, il bilanciamento fra i due principi della (opinabilissima, come il ministro dovrebbe sapere) soggettività giuridica dell’embrione e della salute della madre, bilanciamento sempre tirato in ballo per demolire la 194, in questo caso non c’entra nulla: qui il principio da tutelare, di puro buon senso, è uno solo, cioè la possibilità di usare la fecondazione in vitro e la diagnosi preimpianto per evitare di trasmettere al feto una malattia (i casi sono molti e frequenti) di cui i genitori siano portatori. Un uso illuminato, per così dire, della tecnologia, e non l’unico, che la legge 40, scritta - male - sulla base di un oscurantismo fobico, impedisce.

Accettando il ricorso di Rosetta Costa e Walter Pavan, già genitori di una bambina ammalata di fibrosi cistica e già costretti all’interruzione di una seconda gravidanza per la stessa ragione, la Corte di Strasburgo non fa altro che rimuovere un pilastro della legge 40 duramente contestato durante il suo tormentato e isterico iter parlamentare, poi incrinato da un parziale intervento dell’ex ministra Livia Turco e già demolito nel 2010 da una sentenza del tribunale di Salerno a tutela di una coppia portatrice sana di atrofia muscolare.

La sensatezza dei commenti favorevoli, di parte scientifica e politica, e l’insensatezza delle reazioni proibizioniste (la solita Eugenia Roccella e l’imperitura associazione cattolica Scienza e vita) confermano l’immobilismo granitico del dibattito italiano sulle materie cosiddette «eticamente sensibili». L’Europa, dal canto suo, si conferma bifronte: tanto sorda, politicamente, ai diritti sociali, quanto attenta, giuridicamente, ai diritti di libertà.

Per il governo dei prof, ecco una buona occasione per fare i famosi compiti a casa: provarsi a riscrivere con qualche serena competenza tecnica una legge fin qui tecnicamente impresentabile
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/8/2012 17.59
Titolo:Strasburgo. La Corte europea per i diritti dell’uomo boccia la legge 40.
Strasburgo: no alla legge sulla fecondazione

La Corte europea per i diritti umani accoglie il ricorso di una coppia portatrice sana di fibrosi cistica

«Nega la diagnosi genetica preimpianto, ma autorizza l’aborto terapeutico»

di Anna Tarquini (l’Unità, 29.08.12)

La Corte europea per i diritti dell’uomo boccia la legge 40. Con una sentenza che ha accolto il ricorso di una coppia portatrice sana di fibrosi cistica, accusa il legislatore: «L’incoerenza del sistema legislativo italiano, da una parte proibisce l’accesso alla diagnosi genetica preimpianto e dall’altra autorizza all’aborto terapeutico». Il ministro Balduzzi: «Ce ne faremo carico». Livia Turco: «Norme da riscrivere».

Una legge incoerente che viola i diritti dell’uomo e il rispetto della vita privata e familiare. Un insieme di norme contraddittorie che da un lato negano alla coppia la diagnosi preimpianto in caso di malattie genetiche, perché sarebbe eugenetica, e dall’altro autorizzano la stessa all’aborto terapeutico.

La Corte Europea di Strasburgo, chiamata per la seconda volta a pronunciarsi nel merito, boccia per violazione dell’articolo 8 della Convenzione dei diritti dell’uomo due articoli cardine della legge 40 sulla fecondazione assistita. Sono il 4 e il 13, quelli che vietano ai coniugi portatori di malattie genetiche, soggetti sani ma non sterili, di ricorrere alla fertilizzazione in vitro. Cosa che la stessa legge invece consente a coppie portatrici di malattie come l’Hiv o l’epatite C per evitare il contagio del feto.

Che la legge 40 fosse, come dice oggi Ignazio Marino, «il frutto di una negoziazione avvenuta nel Parlamento italiano», era chiaro fin dalla sua approvazione. Bocciata sedici volte dai tribunali italiani, smantellata punto dopo punto dai ricorsi dei singoli cittadini.

Lasciata all’interpretazione dei singoli giudici e finita 5 volte all’esame della Consulta che già prima della di Strasburgo aveva messo un primo vero paletto con sentenza del 2009 dichiarando illegittimo l’articolo 14 nella parte che prevedeva un unico e contemporaneo impianto e comunque non superiore a tre embrioni.

Ieri però la Corte europea ha fatto un passo in più mettendo a confronto la Legge 40 con la 194, cioè con le norme che in Italia regolamentano l’aborto legale, per arrivare a un punto che tradotto in termini più semplici si può sintetizzare così: non è possibile vietare per etica la selezione dell’embrione e consentire invece l’aborto a feto nato malato.

Il ricorso era stato presentato nel 2010 da una coppia italiana fertile, ma portatrice sana di fibrosi cistica. Rosetta Costa e Walter Pavan, dopo aver avuto un figlio nato con la patologia, e di fronte al 25% di possibilità di mettere al mondo un altro figlio malato o portatore sano, avevano deciso di accedere alla procreazione assistita con diagnosi preimpianto.

La coppia decise allora di rivolgersi alla Corte europea per violazione del diritto al rispetto della vita privata e per discriminazione. La procreazione assistita, dopo l’entrata in vigore della legge 40, è consentita solo a coppie sterili o a quelle che hanno una malattia sessualmente trasmissibile. Ma rigorosamente vietata alle coppie non sterili e portatrici sane di una malattia.

E qui è la contraddizione sottolineata da Strasburgo che accusa: «l’incoerenza del sistema legislativo italiano che da una parte priva i richiedenti dell’accesso alla diagnosi genetica preimpianto e dall’altra li autorizza a effettuare un’interruzione di gravidanza quando. il feto è affetto da questa stessa patologia». «L’ingerenza nel diritto dei richiedenti è motivato al rispetto della loro vita privata e familiare è quindi sproporzionata».

Nelle motivazioni i giudici europei criticano le posizioni del governo italiano secondo cui la legge 40 ha lo scopo di proteggere la salute del bambino e della donna, la dignità e la libertà di coscienza del personale medico e allo stesso tempo evitare il rischio di derive eugenetiche.

«La Corte non è convinta da queste argomentazioni», si legge nel documento diffuso, poiché tenendo conto che la nozione di bambino e embrione non sono assimilabili, «non vede come la protezione degli interessi invocati dal governo possano conciliarsi con la possibilità di procedere a un aborto teraupetico di un feto malato».

La Corte sottolinea poi come Italia, Austria e Svizzera (che è però in procinto di rivedere la legge) siano gli unici tre Paesi, su 32 Stati membri del Consiglio d’Europa presi in considerazione, a proibire ancora il ricorso alla diagnosi preimpianto degli embrioni.


Il problema dei rapporti tra la legge 40 e la legge 194 era già presente all'attenzione italiana, ha commentato ieri il ministro della Salute Renato Balduzzi. «Adesso leggeremo la pronuncia e capiremo se e in che misura il bilanciamento accolto dalla legislazione italiana è stato compreso dai giudizi di Strasburgo. Il governo poi deciderà di conseguenza».

I coniugi Pavan saranno risarciti. La sentenza però non gli stravolgerà la vita. Non è definitiva. Lo Stato ha tre mesi di tempo per ricorrere all’ Alta Camera della Corte per i diritti dell’uomo.

Ma bisogna ricordare che appena 19 mesi fa Strasburgo aveva respinto il medesimo ricorso di due coppie austriache. Al momento nessuna ripercussione giuridica in Italia, ma la sentenza ha riacceso il dibattito. E se l’Osservatore Romano preferisce non commentare, Scienza e Vita si appella alla questione etica e il Centro di Bioetica cattolica parla di «eugenetica liberale», c’è chi ora vuole riscrivere la legge. «Nel rispetto delle coppie e della conoscenza scientifica» dice Ignazio Marino.

«Il Parlamento intervenga per riscrivere norme sagge e ispirate a un diritto mite dice Barbara Pollastrini che permettano alle coppie di accedere serenamente alla fecondazione assistita». «Una sentenza che indica la strada per cambiare la normativa osserva Anna Finocchiaro, presidente gruppo Pd al Senato come è auspicabile che si riesca a fare il prima possibile».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/8/2012 10.19
Titolo:Il governo sta con i vescovi contro l’Europa ...
Legge 40, il governo sta con i vescovi contro l’Europa

di Marco Papola (il Fatto, 30.08.2012)

Sorpresa: il capo dei vescovi italiani interviene in difesa della magistratura. In un momento in cui i giudici sono sotto attacco su vari fronti, il Vaticano si schiera con le toghe. Peccato, però, che la difesa d'ufficio sia in realtà un attacco ad altri giudici, quelli della Corte di Strasburgo, che hanno bocciato la legge 40 (fecondazione assistita) nella parte che riguarda la diagnosi preimpianto.

“Bisogna ripensarci un attimo a livello nazionale, a livello di esperti, sia per il merito sia anche per il metodo, perché non si è passati attraverso la magistratura italiana. Bisogna pensarci. C'è stato un superamento della magistratura italiana, è singolare” ha detto ieri il presidente della Cei,
cardinale Angelo Bagnasco, al santuario genovese della Madonna della Guardia.

LA PRESA di posizione del porporato arriva all'indomani della sentenza della Corte di Strasburgo. I giudici europei hanno dato ragione a una coppia, portatrice sana di una grave malattia genetica, la fibrosi cistica, che chiedeva una diagnosi dell'embrione prima dell'impianto. Per scongiurare di mettere al mondo un bimbo malato con limitate aspettative di vita e percorsi di cura costanti e dolorosi. La diagnosi è vietata dalla legge 40 e la coppia ha fatto ricorso. E ha vinto: lo Stato italiano è stato condannato a pagare un risarcimento.

Ma oltre alla Chiesa, la decisione non è andata giù neanche al ministro della Sanità, Renato Balduzzi, in queste ore alle prese anche con il “decretone” stoppato sul nascere. Il ministro pensa al ricorso (l’organo d’appello è la Grande Camera, tre mesi di tempo prima che la decisione diventi definitiva) motivandolo con la necessità di fare chiarezza.

A sottolineare l'opportunità di un “punto di riferimento fermo sulla questione", e il fatto "che un ricorso da parte del nostro Paese valga proprio a consolidare un punto di riferimento", è stato ieri lo stesso ministro. Una motivazione, quella alla base dell’eventuale ricorso, che però convince poco. Infatti in molti hanno sottolineato che la decisione presa dalla Corte di Strasburgo lascia poco spazio al dubbio.

Non c’è bisogno di fare chiarezza: i giudici (all’unanimità) hanno stabilito che la legge 40 viola i diritti dell’uomo.

E non è la prima bocciatura per la legge sulla procreazione assistita. Nella sua tormentata esistenza, per 17 volte non ha superato l’esame di un collegio giudicante. Da molti fronti arriva l’invito al governo a cogliere l’occasione per cambiare la legge. In modo da mettere a tacere anche chi accusa Monti di essere europeista solo quando si tratta di chiedere sacrifici.


“EVIDENTEMENTE l’europeismo del governo Monti funziona a corrente alternata: quando si tratta di nuove tasse, tagli e sacrifici, i memorandum europei sono irrinunciabili, mentre quando si tratta di rispettare i diritti umani e modificare una legge per restituire a chi ha problemi il diritto alla maternità e alla
paternità le decisioni della Corte europea dei diritti umani, l'Europa può attendere”. Ad affermarlo è il presidente dei Verdi Angelo Bonelli, commentando l’annuncio del ministro Balduzzi di voler proporre ricorso.

“Invece di fare melina o cercare cavilli per difendere una norma indifendibile, governo e Parlamento devono mettersi a lavoro per una nuova legge”. Sulla stessa lunghezza d’onda la Lega italiana fibrosi cistica: “Riteniamo che l’obiettivo di una vita “normale” che i malati di fibrosi cistica si stanno faticosamente conquistando sarebbe stato fortemente compromesso dall’ipocrisia di chi, tutelando a parole l'intangibilità della vita, ne sancisce invece la condanna alla sofferenza per chi deve ancora nascere”.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/8/2012 12.08
Titolo:LA PROCREAZIONE DAVVERO RESPONSABILE ....
La procreazione davvero responsabile

di Chiara Saraceno (la Repubblica, 31.08.2012)

Il quotidiano Avvenire, con la consueta pesantezza di toni quando si tratta di diritti dell’embrione e di status della “vita nascente”, ha agitato lo spauracchio dell’eugenetica nel caso l’Italia adeguasse la legge 40 sulla fecondazione assistita per rispondere ai rilievi critici della Corte europea dei diritti dell’uomo. Il ministro della Sanità si è subito accodato, senza un attimo di riflessione.

Tra l’accusa di omicidio e quella di pratiche eugenetiche sembra non ci siano soluzioni possibili - salvo la castità e la non procreazione - per chi, consapevole della potenzialità distruttiva dei propri geni, vuole evitare di generare figli destinati quasi subito a morte orribile e certa. Il fantasma di Mengele e dei suoi “esperimenti” nei campi di sterminio viene sovrapposto a quello di aspiranti genitori responsabili, che non vogliono un bambino perfetto, ma solo un bambino che abbia la possibilità di crescere. E non vogliono neppure accettare l’ipocrita, e fisicamente e psicologicamente costosa, scappatoia offerta dalla contraddittorietà delle leggi italiane. Mentre una vieta la diagnosi pre-impianto e la stessa fecondazione assistita ai portatori sani di malattie gravi che mettono a rischio i nascituri, un’altra consente l’aborto di feti che abbiano queste stesse malattie. È questa contraddittorietà ipocrita - per altro ampiamente nota al legislatore italiano, come ha ammesso lo stesso ministro della Salute - che è stata giudicata inaccettabile dalla Corte europea. Così come è stato giudicato inaccettabile che sia sottratta agli aspiranti genitori la decisione ultima rispetto alle condizioni in cui mettere al mondo un figlio, incluse le conoscenze necessarie per valutare ragionevolmente i pro e i contro.

L’idea che ci sia una responsabilità non solo verso i figli che si mettono al mondo, una volta nati, ma prima ancora rispetto alla stessa decisione di metterli al mondo è una conquista culturale relativamente recente. Implica che ci si interroghi non solo sullo spazio che si è in grado di fare nella propria vita al nuovo nato, ma sulle condizioni in cui, appunto, lo si mette al mondo. Condizioni materiali, sociali, relazionali, ma anche di possibilità ragionevoli di sopravvivenza e di protezione da sofferenze gravi durante il processo di crescita.

Come si può giudicare egoista o irresponsabile, o peggio ancora un epigono di Mengele, un genitore che vuole evitare non solo a sé lo strazio di perdere un bambino fortemente voluto, ma soprattutto a questo bambino di morire soffocato dalla propria incapacità a respirare (è il caso della fibrosi cistica)? Certo, come tutte le conoscenze, anche quella sulle caratteristiche sanitarie e il sesso degli embrioni può avere effetti perversi, non sulle norme in sé, ma sui comportamenti. Esattamente come già oggi l’amniocentesi può dare di fatto luogo ad aborti selettivi, non solo per motivi compassionevoli, come nel caso ricordato dalla Corte Europea, ma eugenetici, ed anche per sessismo culturale. È il caso degli aborti di embrioni di femmine in molti Paesi, e presso gruppi sociali, in cui la vita di una donna non conta nulla e una figlia femmina è percepita come una disgrazia.

La soluzione non è mantenere le persone nell’ignoranza. Abbandoni, uccisione di neonate femmine o disabili, maltrattamento di bambine, ragazze, donne fanno parte purtroppo della storia dell’umanità ben prima, e indipendentemente, dell’accesso alle conoscenze mediche sugli embrioni. Contrastare questi abusi richiede forme di controllo efficaci, ma anche mutamenti culturali profondi e una diversa distribuzione di risorse, non un aumento dell’ignoranza e dei vincoli alla assunzione di responsabilità da parte degli individui. Al contrario, questa responsabilità va coltivata e fatta maturare con tutti i mezzi possibili.

Per altro, la diagnosi pre-impianto, dato che avviene solo in caso di embrioni fecondati al di fuori dell’utero e di un rapporto sessuale, riguarda casi molto più circoscritti e individuabili dell’amniocentesi. Consentirla (dopo una sentenza di un tribunale italiano del 2009) a chi ricorre alla fecondazione assistita perché ha difficoltà a procreare per le vie “naturali”, e non a chi rischia di procreare bambini destinati a sofferenze e morte precoce certa, non risponde ad alcuna logica.

È troppo sperare che il ministro della Salute e il governo di cui fa parte, prima di decidere se ricorrere contro la sentenza della Corte europea, si interroghino su quanto di irrispettoso della vita umana e del senso di responsabilità individuale ci sia nella legge 40? Senza cedere ai ricatti morali più o meno ipocriti di chi agita lo spettro dell’eugenetica per nascondere la propria incapacità a rispettare la durezza dei dilemmi in cui si trovano molti aspiranti genitori e la delicatezza di quella scelta complessa, per nulla solo biologica, e comunque non di pertinenza dello Stato, che riguarda il generare un figlio.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/9/2012 20.58
Titolo:Carlo M. Martini: Chiesa indietro di 200 anni ...
L’ultima intervista: «Chiesa indietro di 200 anni. Perché non si scuote, perché abbiamo paura?»

intervista a Carlo Maria Martini

a cura di Georg Sporschill e Federica Radice Fossati Confalonieri (Corriere della Sera, 1 settembre 2012)

Padre Georg Sporschill, il confratello gesuita che lo intervistò in Conversazioni notturne a Gerusalemme, e Federica Radice hanno incontrato Martini l’8 agosto: «Una sorta di testamento spirituale. Il cardinale Martini ha letto e approvato il testo».

Come vede lei la situazione della Chiesa?

«La Chiesa è stanca, nell’Europa del benessere e in America. La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l’apparato burocratico della Chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi. Queste cose però esprimono quello che noi siamo oggi? (...) Il benessere pesa. Noi ci troviamo lì come il giovane ricco che triste se ne andò via quando Gesù lo chiamò per farlo diventare suo discepolo. Lo so che non possiamo lasciare tutto con facilità. Quanto meno però potremmo cercare uomini che siano liberi e più vicini al prossimo. Come lo sono stati il vescovo Romero e i martiri gesuiti di El Salvador. Dove sono da noi gli eroi a cui ispirarci? Per nessuna ragione dobbiamo limitarli con i vincoli dell’istituzione».

Chi può aiutare la Chiesa oggi?

«Padre Karl Rahner usava volentieri l’immagine della brace che si nasconde sotto la cenere. Io vedo nella Chiesa di oggi così tanta cenere sopra la brace che spesso mi assale un senso di impotenza. Come si può liberare la brace dalla cenere in modo da far rinvigorire la fiamma dell’amore? Per prima cosa dobbiamo ricercare questa brace. Dove sono le singole persone piene di generosità come il buon samaritano? Che hanno fede come il centurione romano? Che sono entusiaste come Giovanni Battista? Che osano il nuovo come Paolo? Che sono fedeli come Maria di Magdala? Io consiglio al Papa e ai vescovi di cercare dodici persone fuori dalle righe per i posti direzionali. Uomini che siano vicini ai più poveri e che siano circondati da giovani e che sperimentino cose nuove. Abbiamo bisogno del confronto con uomini che ardono in modo che lo spirito possa diffondersi ovunque».

Che strumenti consiglia contro la stanchezza della Chiesa?

«Ne consiglio tre molto forti. Il primo è la conversione: la Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi. Gli scandali della pedofilia ci spingono a intraprendere un cammino di conversione. Le domande sulla sessualità e su tutti i temi che coinvolgono il corpo ne sono un esempio. Questi sono importanti per ognuno e a volte forse sono anche troppo importanti. Dobbiamo chiederci se la gente ascolta ancora i consigli della Chiesa in materia sessuale. La Chiesa è ancora in questo campo un’autorità di riferimento o solo una caricatura nei media?

Il secondo la Parola di Dio. Il Concilio Vaticano II ha restituito la Bibbia ai cattolici. (...) Solo chi percepisce nel suo cuore questa Parola può far parte di coloro che aiuteranno il rinnovamento della Chiesa e sapranno rispondere alle domande personali con una giusta scelta. La Parola di Dio è semplice e cerca come compagno un cuore che ascolti (...). Né il clero né il Diritto ecclesiale possono sostituirsi all’interiorità dell’uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarire la voce interna e per il discernimento degli spiriti.

Per chi sono i sacramenti? Questi sono il terzo strumento di guarigione. I sacramenti non sono uno strumento per la disciplina, ma un aiuto per gli uomini nei momenti del cammino e nelle debolezze della vita. Portiamo i sacramenti agli uomini che necessitano una nuova forza? Io penso a tutti i divorziati e alle coppie risposate, alle famiglie allargate. Questi hanno bisogno di una protezione speciale. La Chiesa sostiene l’indissolubilità del matrimonio. È una grazia quando un matrimonio e una famiglia riescono (...).

L’atteggiamento che teniamo verso le famiglie allargate determinerà l’avvicinamento alla Chiesa della generazione dei figli. Una donna è stata abbandonata dal marito e trova un nuovo compagno che si occupa di lei e dei suoi tre figli. Il secondo amore riesce. Se questa famiglia viene discriminata, viene tagliata fuori non solo la madre ma anche i suoi figli. Se i genitori si sentono esterni alla Chiesa o non ne sentono il sostegno, la Chiesa perderà la generazione futura. Prima della Comunione noi preghiamo: "Signore non sono degno..." Noi sappiamo di non essere degni (...). L’amore è grazia. L’amore è un dono. La domanda se i divorziati possano fare la Comunione dovrebbe essere capovolta. Come può la Chiesa arrivare in aiuto con la forza dei sacramenti a chi ha situazioni familiari complesse?»

Lei cosa fa personalmente?

«La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. Io sono vecchio e malato e dipendo dall’aiuto degli altri. Le persone buone intorno a me mi fanno sentire l’amore. Questo amore è più forte del sentimento di sfiducia che ogni tanto percepisco nei confronti della Chiesa in Europa. Solo l’amore vince la stanchezza. Dio è Amore. Io ho ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?».

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Commenti Articolo 769

Titolo articolo : E' morto il cardinale Carlo Maria Martini,di Corona Perer

Ultimo aggiornamento: September/02/2012 - 11:33:51.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/8/2012 18.32
Titolo:Storia di un uomo. Martini, sognare secondo il Concilio.......
Martini, sognare secondo il Concilio

di Enzo Bianchi (La Stampa, 15 ottobre 2011)

«Una memoria umile e grata»: è questo lo spirito che animò, ormai dieci anni fa, l’ultima lettera pastorale del cardinal Martini alla sua diocesi di Milano. Nell’accomiatarsi da quella chiesa cui aveva dedicato il meglio di sé durante ventidue anni di servizio pastorale, esplicitò «l’assillo quotidiano», la domanda decisiva che l’aveva accompagnato: «Ciò che sto proponendo è davvero secondo il Vangelo?». Umiltà di chi si è interrogato ogni giorno sull’essenziale del proprio ministero e gratitudine verso chi ha assecondato, accompagnato, arricchito quel lavoro quotidiano. Ma una memoria umile e grata è anche la qualità che ha guidato Aldo Maria Valli nel raccontare la Storia di un uomo (Ancora, pp. 206, € 16: un «ritratto di Carlo Maria Martini» che ridà voce all’ormai anziano cardinale, reso afono dall’implacabile morbo di Parkinson.

Valli è uno dei giornalisti che ha seguito più da vicino il cardinal Martini durante tutti gli anni del suo ministero a Milano, ed è anche un «cattolico ambrosiano», un credente che nell’accostarsi a colui che è stato per lunghi anni il «suo» pastore, ha sempre saputo conservare un prezioso e fecondo equilibrio tra il professionista al lavoro e il credente in ricerca di una conferma alla propria fede. In questo avvincente percorso tra libri, scritti, omelie, gesti e aneddoti del cardinal Martini vi è una parola che ritorna e che il libro aiuta a cogliere nel suo significato più profondo: «sogno».

Personalmente diffido di chi abusa di questo termine, come se la realtà che siamo chiamati a vivere e le responsabilità che dobbiamo assumere nei confronti di quanti ci sono accanto o verranno dopo di noi dovessero essere relegate nel mondo onirico, minacciate costantemente dall’inevitabile risveglio. Ma per il cardinal Martini il «sogno» non è questo.

È, invece, un altro nome della contemplazione cristiana, è, secondo le sue stesse parole, ridestare con la riflessione e l’agire concreto «quella capacità di sognare che il Concilio aveva comunicato alla nostra Chiesa e che ci procurò tanta gioia»; è quel «mondo visto con gli occhi di Dio, con gli occhi della fede, con gli occhi della preghiera» che l’arcivescovo di Milano va a contemplare da Gerusalemme una volta terminato il suo ministero episcopale.

Così si esprimeva il cardinale in un’intervista circa il suo lascito a Milano: «Spero di aver lasciato l’amore per la parola di Dio, la coscienza della sua esistenza e la certezza che questa parola ci guida in ogni momento». Dalle pagine amorosamente curate da Aldo Maria Valli, possiamo dire che questa speranza è esaudita e che la «memoria umile e grata» di tanti credenti e non credenti si aggiunge a quella dei suoi fedeli ambrosiani e degli abitanti di quella metropoli che il cardinale ha saputo capire, servire e amare.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/9/2012 11.33
Titolo:Bettazzi: «Voleva andare avanti. E noi abbiamo avuto paura»
Bettazzi: «Voleva andare avanti. E noi abbiamo avuto paura»

intervista a Luigi Bettazzi

a cura di Roberto Monteforte (l’Unità, 2 settembre 2012)

È stato un riferimento per molti, anche nella Chiesa il cardinale Carlo Maria Martini. Soprattutto per il suo coraggio e per la sua libertà, alimentata dalla forza del Vangelo, di parlare all’uomo contemporaneo.

Da qui anche la sua fedeltà al Concilio Vaticano II e la sua capacità di guardare con fiducia al futuro. È il biblista che si fa pastore e profeta. Così lo ricorda monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea e uomo del Concilio.

Monsignor Bettazzi, come risponderebbe a una delle ultime domande poste dal cardinale Martini: perché la Chiesa ha paura di avere coraggio?

«Perché cercando di incarnare il Vangelo nelle situazioni storiche - che è un suo dovere - troppo spesso si è rimasti fermi al passato. Quando il Papa era anche re, si dava un’impronta alla Chiesa adatta a quei tempi, ma non certo all’oggi. La Chiesa invecchia quando perde il rapporto con la storia che muta. Per questo Giovanni XXIII ha voluto un Concilio Vaticano II pastorale e non dogmatico. Che aiuti la Chiesa a camminare con la gente.

Forse abbiamo avuto paura che ciò portasse ad eccessivi rinnovamenti e tutti assieme - gerarchia e popolo di Dio - abbiamo avuto paura ad andare avanti. Questo avrebbe richiesto una purificazione dei nostri modi di pensare e di agire che forse richiedevano troppo sacrificio. A questa purificazione e al superamento di certi modi del passato ci ha chiamato il cardinale Martini, lui così radicato nella Parola di Dio, da sentire quanto forte fosse il richiamo a viverla nel nostro tempo».

Cosa è stato per lei?

«Un punto di riferimento. Non ho avuto molte occasioni di contatti personali con lui. Era un uomo di grande levatura, sia per la sua profonda conoscenza delle scritture, che per la sua preparazione. Sapeva illuminare le situazioni. Ho avuto modo di frequentarlo negli ultimi tempi a Gallarate, quando gli abbiamo presentato un progetto di rilancio del Concilio. Abbiamo trovato una certa consonanza, una simpatia. Durante uno di questi incontri mi ha chiesto di presiedere l’eucarestia familiare. Lo ricordo con molta commozione e gratitudine».

Cosa è stato per la Chiesa in Italia?

«Lo ripeto. Un punto di riferimento. L’insieme della Chiesa ufficiale gli riconosceva la sua grande personalità. Ma restava molto legata all’idea della tradizione come continuità da conservare. In latino tradere vuole dire trasmettere, quindi saper rinnovare i principi forti secondo le situazioni di un mondo che si sviluppa. Come dicevano gli antichi: nelle cose necessarie bisogna essere uniti, in quelle opinabili liberi, purché in tutte ci sia la carità. Era questo lo stile di Martini: da una parte l’attenzione alla Bibbia e dall’altra il dialogo con “la cattedra per i non credenti”. Il rinnovamento che cercava di vivere nella sua diocesi a Milano, non poteva non diventare motivo di attenzione per il resto della Chiesa. Il dialogo con i non credenti, ad esempio, che allora creò scalpore, alla fine è stato riproposto da papa Benedetto XVI all’incontro di preghiera per la pace tra le religioni tenutosi ad Assisi lo scorso anno. Ha voluto che ci fosse anche un non credente».

Ma intervenendo nel 2005 alla riunione dei cardinali che precedette l’elezione del successore di Giovanni Paolo II ha posto con chiarezza l’esigenza di un rinnovamento nella Chiesa...

«Non da candidato al pontificato. D’altra parte era già malato. Pare che abbia invitato tutti i porporati a votare per Ratzinger, chiedendo però al futuro Benedetto XVI di impegnarsi per il Concilio, per la collegialità e per l’ecumenismo. Sono i punti che il nuovo Papa affronterà nel suo primo discorso dopo l’elezione al Conclave. Quando due anni fa Martini si è recato in udienza dal Papa, non avrebbe parlato della successione alla diocesi di Milano, ma posto l’esigenza di un rilancio del Concilio a 50 anni dalla sua apertura».

Ha avuto ascolto...

«Non poteva non averlo. Poneva le sue idee con moderazione. Ed anche chi divergeva da lui, non poteva non guardare alle sue idee. Non poteva ignorare che nascevano da un uomo profondamente radicato nella parola di Dio. Una parola che, ci ha aiutato a capire, non è un deposito delle verità di fede, ma l’invenzione di Dio per metterci a tu per tu - il popolo antico e quello nuovo composta da ciascuno di noi -con Lui. E se sei “a tu per tu con Dio” hai la forza anche per sacrificare modi di valutare le cose che in passato potevano essere utili alla Chiesa, ma che oggi non lo sono più. È così che può parlare al cuore del tempo e quindi anche ai giovani, con le loro sensibilità e mentalità diverse dalla nostra. Lo chiede il Concilio che con il documento sulla Chiesa pone con nettezza la centralità del popolo di Dio nella Chiesa. Il laicato, prima di di dover obbedire alla gerarchia, deve vedere questa mettersi al suo servizio».

Sono stati punti fermi per Martini...

«...Che non chiese mai la convocazione di un Concilio Vaticano III. Sapeva bene che vi era il rischio che si mettessero in discussione punti importanti del Vaticano II. Quello che ha chiesto è che su alcuni punti particolari, come la sessualità, la bioetica, la pastorale dei divorziati e sui punti oggi caldi per la Chiesa tutti i vescovi del mondo venissero a Roma per decidere con l’autorevolezza del Concilio e con il Papa. Sarebbe il modo di vivere la collegialità superando i limiti dei Sinodi».

Saranno accolte queste richieste poste da un profeta che ha avuto la libertà di guardare oltre?

«Me lo auguro. A volte i profeti da morti hanno più influenza che da vivi. Direbbe Martini: è il principio evangelico, quello del frutto di frumento che in terra se vive resta solo, se muore da molto frutto»

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Commenti Articolo 770

Titolo articolo : CONTRO IL "NEW REALISM", IL PENSIERO DEBOLE E' ANCORA FORTE. Una nota di Pier Aldo Rovatti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/01/2012 - 22:45:53.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/9/2012 22.45
Titolo:LA LEZIONE E LA MEMORIA DI ENZO PACI R-ESISTE ANCORA ....
L’attenzione ai non credenti

di Carlo Sini (l’Unità, 1 settembre 2012)

Ho incontrato per la prima volta il cardinale Martini in occasione della preparazione dei programmi per la Cattedra dei non credenti. Mi accolse nel suo studio in Arcivescovado, in ora serale. Nella penombra mi venne incontro con quel fare semplice e cordiale, mai affettato e mai impostato, che tutti coloro che lo conoscevano ricordavano e ammiravano in lui. Il tratto accogliente contrastava, senza che lui certo se ne avvedesse, con quella sua figura singolarmente alta e ieratica che non poteva non colpire chi per la prima volta lo incontrava e che comunque restava impressa poi nella memoria.

Parlammo del dialogo che, qualche giorno dopo, ci avrebbe visti insieme nell’aula magna della Università degli studi di Milano. L’argomento di quell’anno, per la Cattedra, era il tempo e io avevo proposto di concentrare il mio intervento su Agostino. Mi aspettavo qualche discreta domanda relativa alla impostazione che intendevo dare al discorso, ma con signorile distacco e discrezione Martini non vi fece il minimo cenno.

Si trattava semplicemente di un contatto preliminare per conoscerci un po’ e fu soprattutto lui a parlare di sé, del suo amore per gli studi teologici, purtroppo da tempo limitati dai suoi incarichi pastorali, della sua convinzione che la ricerca vive di libertà: l’iniziativa della Cattedra dei non credenti era pensata appunto in questo spirito di carità e di apertura.

Parlava con una modestia non affettata e con una serenità di tono che da un lato attraevano alla confidenza, dall’altro e nel contempo imponevano un istintivo riserbo. Da tempo avevo maturato una meditata stima per questo arcivescovo di Milano che coraggiosamente si adoperava e si esponeva in favore dei diritti del lavoro e della giustizia sociale e si batteva per l’accoglienza dei fratelli che venivano da lontano.

Per la mia relazione all’università mi preparai con molto impegno, naturalmente: anche i non credenti hanno, a loro modo, un’anima; ma Martini, prendendo dopo di me la parola, disse letteralmente: «Il professor Sini ci ha messo in parete!» Alludeva scherzosamente, con questa metafora da scalatori, ai passaggi forse troppo ardui della mia relazione. Per parte sua, abbassò considerevolmente il livello e il tono: parlava per i suoi credenti e per il buon popolo di Dio, senza nessuna pretesa di ben figurare. Anche in questo lo ammirai: a ognuno la sua parete e la sua parte, con reciproco rispetto e trasparente onestà.

Un seconda volta incontrai Martini in occasione della enciclica «filosofica» di papa Woityla: si trattava di un convegno organizzato dalla diocesi milanese per il quale ero invitato a portare una interpretazione «laica» del testo. Non feci mistero della mia posizione critica su certe tesi, ma Martini non mi ascoltò: dopo aver aperto i lavori e ringraziato i presenti, se ne andò, adducendo impegni improrogabili.

Aveva fatto il suo dovere, organizzando al meglio la manifestazione; ebbi però l’impressione che dell’enciclica non fosse entusiasta. Se ripenso alla conversazione privata all’Arcivescovado e ai suoi riferimenti al modo di intendere gli studi religiosi, l’insistenza dell’enciclica in favore di una filosofia universale che caratterizzerebbe l’intera umanità, consapevole o inconsapevole, non poteva trovarlo consenziente, o così mi parve e mi pare.

La grande e nobile figura di Martini mi ricorda ciò che disse Enzo Paci in occasione del discorso di Paolo V all’ONU: se un papa parla così, noi non possiamo che rallegrarcene. Lo spirito soffia dove vuole e non chiede a noi di decidere dove, come e per chi. La Cattedra per i non credenti ne è stato un segno indelebile.

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Commenti Articolo 771

Titolo articolo : E' morto il Cardinale Carlo Maria Martini,di Redazione

Ultimo aggiornamento: September/01/2012 - 11:47:40.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/8/2012 19.19
Titolo:MARTINI E IL SOGNO DI UNA CHIESA NUOVA ...
Il cardinale Martini e il sogno deluso di una chiesa “nuova” *

- L’81enne Carlo Maria Martini, già arcivescovo di Milano, in una lunga intervista tira le somme di un’esistenza trascorsa nella costante ricerca di Dio e dentro la Chiesa, riflettendo su questioni profonde di fede, di etica, di società e di Chiesa. Proprio alla chiesa il cardinale Martini indirizza un accorato appello per una sua rapida e profonda riforma ed aggiunge che, in passato, “ho sognato una Chiesa nella povertà e nell’umiltà ... Oggi non ho più di questi sogni. Dopo i settantacinque anni ho deciso di pregare per la Chiesa".

"Ho sognato una Chiesa nella povertà e nell’umiltà, che non dipende dalle potenze di questo mondo. Una Chiesa che concede spazio alla gente che pensa più in là. Una Chiesa che dà coraggio, specialmente a chi si sente piccolo o peccatore. Una Chiesa giovane. Oggi non ho più di questi sogni. Dopo i settantacinque anni ho deciso di pregare per la Chiesa". Sono le parole del card. Carlo Maria Martini raccolte nei “Colloqui notturni a Gerusalemme", libro recentemente edito in Germania dalla casa editrice Herder.

L’81enne gesuita, già arcivescovo di Milano, tira le somme di un’esistenza trascorsa nella costante e travagliata ricerca di Dio, vissuta dentro la Chiesa. E confida queste riflessioni all’amico padre Georg Sporschill, anch’egli gesuita, in un testo che assume la forma del colloquio o dell’intervista. I 7 capitoli del volume affrontano questioni profonde di fede, di etica, di società e di Chiesa.

A quest’ultima Martini indirizza un accorato appello per una rapida e profonda riforma. Ad esempio, di fronte alla crisi vocazionale che investe la Chiesa cattolica soprattutto in Occidente, considera inefficaci le soluzioni proposte fino ad ora delle gerarchie. "La Chiesa dovrà farsi venire qualche idea", afferma, come ad esempio "la possibilità di ordinare viri probati" (uomini sposati ma di provata fede, ndr) o di riconsiderare il sacerdozio femminile, sul quale riconosce la lungimiranza delle Chiese protestanti.

Ricorda persino di aver incoraggiato questa posizione in un incontro con il primate anglicano George Carey: "Gli dissi di farsi coraggio - spiega Martini - che questa audacia poteva aiutare anche noi a valorizzare di più le donne e a capire come andare avanti".

Se le sue tesi sull’organizzazione della Chiesa appaiono già fortemente riformatrici, ancora più avanti guarda nell’affrontare i temi etici legati alla sessualità. Critica l’Humanae Vitae di Paolo VI sulla contraccezione, enciclica scritta "in solitudine" dal papa e che proponeva indicazioni poco lungimiranti.

"Questa solitudine decisionale a lungo termine non è stata una premessa positiva per trattare i temi della sessualità e della famiglia". Sarebbe opportuno, afferma, gettare "un nuovo sguardo" sull’argomento. La Bibbia, in definitiva, non condanna a priori né il sesso né l’omosessualità.

È la Chiesa, invece, che nella storia ha spesso dimostrato insensibilità nel giudizio della vita delle persone. Tra i miei conoscenti - ricorda ancora Martini - ci sono coppie omosessuali. Non mi è stato mai domandato né mi sarebbe venuto in mente di condannarli". Dunque la Chiesa, invece di educare il popolo di Dio alla libertà e alla "coscienza sensibile", ha preferito inculcare nel credente una dogmatica moralistica ed acritica.

Il contatto con le altre religioni, saggiato in prima persona durante il lungo soggiorno a Gerusalemme, ha rappresentato per Martini un punto di non ritorno, una scuola di vita e di fede. La ricerca di Dio in quelle terre - peraltro, come lui stesso afferma, estremamente travagliata ed attraversata spesso da lunghe ombre - costringe a ripensare il dialogo interreligioso perché, dice, "Dio non è cattolico", "Dio è al di là delle frontiere che vengono erette".

È l’uomo che sente la necessità di razionalizzare in apparati normativi e istituzionali la gestione del sacro.

In realtà, le istituzioni ecclesiastiche "ci servono nella vita, ma non dobbiamo confonderle con Dio, il cui cuore è sempre più largo". Incontrare e (perché no) pregare insieme all’amico di altra religione, dice, "non ti allontanerà dal cristianesimo, approfondirà al contrario il tuo essere cristiano". E invita: "Non aver paura dell’estraneo".

Il grande comandamento invita ad amare l’altro come se stessi. "Ama il tuo prossimo - afferma - perché è come te". Il "giusto" - e in questo caso Martini prende in prestito la II sura del Corano - è colui che "pieno di amore dona i suoi averi ai parenti, agli orfani, ai poveri e ai pellegrini".

* Articolo di Giampaolo Petrucci tratto da Adista n.41 del 31 Maggio 2008
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/8/2012 20.49
Titolo:RICORDANDO MARTINI, Una lettera aperta del 2005 ....
UN APPELLO PER LA PACE: UN NUOVO CONCILIO, SUBITO!

Caro Cardinale Martini

- “Era””, “è ”: GESU’, IL SALoMONE, IL PESCE (“Ixthus”),
- sempre libero dalle reti del Pastore-Pescatore (del IV sec.)!

di Federico La Sala *

Karol Wojtyla, il grande Giovanni Paolo II è morto! E se è vero che “il mondo - come ha detto il nuovo papa - viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori”, è anche vero che nel IV secolo - con il ‘pallio’ ... di Roma, comincia “la grande politica” - muore il cristianesimo e nasce l’impero cattolico-romano. La religione ebraica diventa passato, archeologia, e la religione cattolico-romana diventa storia, presente e futuro. Contro ogni tentennamento, la “Dominus Jesus” non è stata scritta invano e la prima Omelia (24 aprile 2005) di Ratzinger - Benedetto XVI ha chiarito subito, senza mezzi termini, a tutti i fratelli e a tutte le sorelle, chi è il fratello maggiore (e chi sono - i fratelli maggiori)... chi è il nuovo Papa, e qual è la “nuova Gerusalemme”.

Per Ratzinger - BenedettoXVI non c’è nessun dubbio e nessun passo indietro da fare. Finalmente un passo avanti è stato fatto. Guardino pure i sudditi dell’Urbe, e dell’Orbi: il “distintivo” cattolico è qui! Ma Wojtyla? Giovanni Paolo II? La visita alla Sinagoga di Roma? Toaff? - La Sinagoga?! Toaff?! Gerusalemme?!: “Roma omnia vincit”, non Amor...! Rilegga l’Omelia (www.ildialogo.org/primopiano): la Chiesa cattolico-romana è viva, vince alla grande, im-mediaticamente! Rifletta almeno su questi “passaggi”:

"Cari amici! In questo momento non ho bisogno di presentare un programma di governo [...] Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia. Invece di esporre un programma io vorrei semplicemente cercare di commentare i due segni con cui viene rappresentata liturgicamente l’assunzione del Ministero Petrino; entrambi questi segni, del resto, rispecchiano anche esattamente ciò che viene proclamato nelle letture di oggi". "Il primo segno è il Pallio, tessuto in pura lana, che mi viene posto sulle spalle. Questo antichissimo segno, che i Vescovi di Roma portano fin dal IV secolo, può essere considerato come un’immagine del giogo di Cristo, che il Vescovo di questa città, il Servo dei Servi di Dio, prende sulle sue spalle. Il giogo di Dio è la volontà di Dio, che noi accogliamo. [...]

"E questa volontà non è per noi un peso esteriore, che ci opprime e ci toglie la libertà. Conoscere ciò che Dio vuole, conoscere qual è la via della vita - questa era la gioia di Israele, era il suo grande privilegio. Questa è anche la nostra gioia: la volontà di Dio non ci aliena, ci purifica magari in modo anche doloroso e così ci conduce a noi stessi. [...] In realtà il simbolismo del Pallio è ancora più concreto: la lana d’agnello intende rappresentare la pecorella perduta o anche quella malata e quella debole, che il pastore mette sulle sue spalle e conduce alle acque della vita. La parabola della pecorella smarrita, che il pastore cerca nel deserto, era per i Padri della Chiesa un’immagine del mistero di Cristo e della Chiesa.[...]. Così il Pallio diventa il simbolo della missione del pastore, di cui parlano la seconda lettura ed il Vangelo. La santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore [...]. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi”.

In verità, Nietzsche, uno dei tre grandi - con Marx e Freud - maestri del sospetto che stimava Gesù, ma nient’affatto il cattolicesimo - definito da lui, un platonismo per il popolo, l’aveva già detto - e anche in modo più profetico: “il deserto avanza. Guai a chi nasconde il deserto dentro di sé!” (Così parlò Zarathustra).

Cosa pensare? Che fare, intanto? Aspetterò. Sì! Aspetterò! Per amore di tutta la Terra e “per amore di Gerusalemme non mi darò pace, finché non sorga come stella la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come una lampada. Allora tutti i popoli vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria”(Isaia).

Federico La Sala

*www.ildialogo.org, Mercoledì, 27 aprile 2005
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/9/2012 11.47
Titolo:Chi è stato Carlo Maria Martini?
Un uomo di Dio

di Vito Mancuso (la Repubblica, 01.09.2012)

Chi è stato Carlo Maria Martini? Si può rispondere dicendo un cardinale per lungo tempo papabile, l’arcivescovo per oltre vent’anni di una delle più grandi diocesi del mondo, il presidente per un decennio del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee. Un biblista all’origine dell’edizione critica più accreditata a livello internazionale del Nuovo Testamento (The Greek New Testament), il rettore di due tra le più prestigiose istituzioni accademiche del mondo cattolico (Università Gregoriana e Istituto Biblico), un esperto predicatore di esercizi spirituali a ogni categoria di persone, un gesuita di quella gloriosa e discussa Compagnia di Gesù fondata da Ignazio di Loyola, un autore con una bibliografia sterminata in diverse lingue, e altre cose ancora.

Ma la risposta che coglie la peculiarità della sua persona si ottiene dicendo che fu un uomo di Dio. Il tratto essenziale della sua persona e del suo messaggio è tutto contenuto nel titolo del primo documento programmatico che egli indirizzò alla diocesi di Milano all’inizio del suo episcopato nel 1980: La dimensione contemplativa della vita.

A questo obiettivo egli ha educato con i suoi insegnamenti, e ancor più con tutta la sua persona, con la voce, lo sguardo, il portamento. Accostare Martini significava infatti intravedere quanto di più alto può dimorare nel petto di un uomo, ovvero l’intelligenza che serve incondizionatamente il bene e la giustizia e che non cessa mai, neppure di fronte alle assurdità e alle tragedie del vivere, di nutrire una singolare speranza nel senso e nella direzione della vita. Se l’espressione "nobiltà dello spirito", tanto cara a Meister Eckhart e a Thomas Mann, significa qualcosa, questo è il tentativo di descrivere l’esperienza suscitata dall’incontro con persone come Martini, profondamente uomini ma anche così diversi da ciò che è semplicemente umano, del tutto trasparenti ma non privi di silente mistero.

Martini è stato tra gli esponenti più significativi di ciò che viene solitamente definito cattolicesimo progressista, quell’ideale cioè di essere cristiani non contro, ma sempre e solo a favore della vita del mondo. In questo egli ha rappresentato uno dei frutti più belli del Concilio Vaticano II e di quella stagione che credeva nel rinnovamento della Chiesa in autentica fedeltà al Vangelo di Cristo, senza più nessun compromesso con il potere.

Ora che egli è morto, quella stagione si allontana sempre di più e si fanno sempre più rare, nel mondo cattolico italiano, le voci profetiche. Ma proprio a proposito di profezia, è necessario sottolineare la sua libera autodeterminazione di affrontate la morte in modo del tutto naturale, senza sondini nasogastrici o altri apparecchi del genere messi a disposizione dalla tecnica, nella piena fiducia di chi sa che sta per entrare in quella dimensione eterna che la fede chiama "casa del Padre".

Mi sia concesso infine un ricordo personale di colui che è stato il mio padre spirituale. Se io infatti iniziai a vivere seriamente la fede cristiana, fu prevalentemente a causa sua: in quanto vescovo della mia diocesi, egli faceva risplendere nella mia giovane mente di liceale l’ideale cristiano. Ciò che mi conquistò, fin dai suoi primi discorsi che leggevo o ascoltavo, fu il linguaggio. Prima ancora delle cose che diceva, ciò che catturava la mia giovane attenzione era il modo con cui le diceva, del tutto privo di retorica ecclesiastica ma al contempo così diverso rispetto al linguaggio quotidiano, un modo di parlare che sapeva far percepire un altro mondo senza essere "dell’altro mondo".

Le sue parole erano semplici ma severe, comprensibili ma profonde, elementari ma arcane, e soprattutto riferite sempre alle cose e alle situazioni, mai dette per se stesse, per far colpo sull’uditorio. Io ero poco più di un ragazzo e certamente allora non avrei saputo dire nulla delle caratteristiche del suo linguaggio, ma ne percepivo dentro di me l’autenticità esistenziale, avvertivo uno stile diverso, per nulla ecclesiastico ma non per questo privo di sacralità, anzi tale da farmi sentire che c’era veramente qualcosa di sacro nell’esistenza concreta degli uomini che andava servita con rettitudine, intelligenza e amore. E questo Carlo Maria Martini ha fatto, in fedeltà a Dio e agli uomini, per tutta la sua lunga vita.
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Titolo articolo : ALLARME TOTALE: "PAROLA A RISCHIO. Risalire gli abissi. La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti". Un "urlo" del teologo Giovanni Mazzillo (dal "mosaico di pace") - con alcune note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: August/31/2012 - 10:24:57.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/8/2012 20.07
Titolo:ELOGIO DEL DISSENSO. FUORI DAL GREGGE ....
Fuori dal gregge

di Antonio Thellung (mosaico di pace, luglio 2012)

L’obbedienza non è più una virtù, diceva don Milani, esortando a coltivare la presa di coscienza. Non per contrapporsi all’autorità, ma per educare ciascuno ad assumere le proprie responsabilità, senza pretendere di scaricarle su altri. L’obbedienza, infatti, può anche dirsi una virtù, ma soltanto se si mantiene entro limiti equilibrati, da valutare appunto con coscienza. Perché l’obbedienza cieca è il tipico strumento utilizzato dalle strutture autoritarie gerarchico-imperialistiche per esercitare il potere, offrendo in cambio ai sudditi lo scarico della responsabilità personale. Tipico esempio si è avuto nel dopoguerra quando pareva che nessuno dei feroci gerarchi nazisti fosse colpevole, perché sostenevano tutti di aver semplicemente obbedito a ordini superiori.

Il Vangelo è chiarissimo: "Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?", ma la cristianità che si è affermata nella storia ha preferito mutuare dall’Impero Romano un’impostazione imperialistica che si mantiene presente tuttora, sia pure adattata ai tempi odierni. Un’impostazione che riduce i fedeli a "docile gregge", come li definiva a suo tempo Pio X.

Il Vangelo, inoltre, esorta anche a non chiamare nessuno padre sulla terra, un lampante invito a non cadere nelle tentazioni del paternalismo, che svaluta la dignità delle persone. Ma l’uso di chiamare "padre" i ministri del culto la dice lunga. Nello stesso brano, poi, Gesù in persona ammonisce i suoi apostoli a non farsi chiamare maestri perché solo Cristo è il maestro, ma sorprendentemente su taluni documenti ecclesiastici anche dei tempi presenti, come ad esempio il Documento di Base del 1970, si legge nientemeno che: "Per disposizione di Cristo, gli Apostoli affidarono ai loro successori, i Vescovi, il proprio ufficio di Maestri". Incredibile!

Si potrebbe dire che il magistero ha sempre richiesto ai fedeli un’obbedienza cieca, e non pochi tra coloro che hanno cercato di opporsi hanno pagato talvolta perfino con la vita.

San Francesco, nella sua prima regola, aveva provato a scrivere che un frate non è tenuto a obbedire al superiore se questi gli ordina qualcosa di contrario alla sua coscienza, ma naturalmente papa Innocenzo III si è guardato bene dall’approvarla. In tempi più recenti, nel 1832, Gregorio XVI definiva un delirio la libertà di coscienza e nel 1954 Pio XII scriveva: "È giusto che la Chiesa respinga la tendenza di molti cattolici a essere considerati ormai adulti". Non è stupefacente?

Chi esercita il potere, di qualsiasi tipo, vorrebbe dai sudditi una delega in bianco, perché teme le coscienze adulte, che sono difficilmente governabili per il loro coraggio di esprimere dissenso, quand’è il caso. E tanto più il potere è prepotente e prevaricante, tanto più esige un’obbedienza cieca.

Il magistero ecclesiastico ha sempre mostrata una grande avversione al dissenso, trattandolo come un nemico da combattere perfino con metodi violenti, nel caso, senza capire che proprio il dissenso è il miglior amico degli insegnamenti di Cristo, perché agisce come sentinella delle coscienze.

Il dissenso, nella Chiesa, c’è sempre stato, con buona pace di coloro che nelle varie epoche storiche hanno preteso di soffocarlo usando talvolta armi che sono incompatibili con l’insegnamento di Gesù. Sarebbe ora che l’autorità prendesse atto che il dissenso non è un nemico ma, anzi, un grande amico, anche se può rendere più complesso e faticoso il cammino.

Il Concilio Vaticano II mostrava di averlo capito quando scriveva, nella Gaudium et Spes: "La Chiesa confessa che molto giovamento le è venuto e le può venire perfino dall’opposizione di quanti la avversano o la perseguitano". Ma ben presto, poi, sono prevalsi nuovamente gli atteggiamenti di repressione e condanna verso chi tenta coraggiosamente di alzare la testa. essere credibili

Personalmente non dubito che un magistero ecclesiastico sia necessario e prezioso, ma di quale tipo? Qualsiasi coscienza adulta sa che di fronte a disaccordi e perplessità non avrebbe alcun senso rifiutare l’autorità o ribellarsi tout court: non sarebbe costruttivo. Ma sente però il dovere, prima ancora che il diritto, di chiedergli maggiore credibilità, di esigere che sappia proporre senza imporre, con rispettoso ascolto delle opinioni altrui. Gli ascoltatori di Gesù "rimanevano colpiti dal suo insegnamento", perché "parlava con autorità", e non perché aveva cariche istituzionali. Così il magistero può sperare di essere creduto, dalle coscienze adulte, quando offre messaggi autorevoli e convincenti, e non per il solo fatto di essere l’autorità costituita.

Oggi la credibilità dei vertici ecclesiastici, con tutti gli scandali di questi tempi, è fortemente minata, e si potrebbe dire che solo facendo leva surrettiziamente sulla grande fede in Gesù Cristo che continua a sostenere tante persone (malgrado tutto) evita di porsi in caduta libera. Ma fino a quando, se permane la pretesa di continuare a proporsi come magistero di un "docile gregge?".

La parabola della zizzania insegna che la Chiesa è comunione di consensi e dissensi, perciò, per recuperare credibilità, le autorità dovrebbero finalmente prenderne atto e imparare a dialogare con tutti alla pari, e in particolare proprio con il dissenso. Dovrebbero educarsi ed educare ad accoglierlo con l’attenzione che merita. Perché un dissenso respinto e represso a priori diventa facilmente aspro, arrabbiato, distruttivo mentre, se accolto con benevolenza, può diventare costruttivo, benevolo, e perfino affettuoso.

Una buona educazione al dissenso potrebbe diventare la miglior scuola alla formazione di coscienze adulte, capaci di confrontarsi senza acquiescenze o confusioni e censure. Capaci, cioè, di non farsi travolgere da vergognosi intrallazzi di qualsiasi tipo.

Personalmente, cerco, nel mio piccolo, di fare quel che posso. Qualche anno fa l’editrice la meridiana ha pubblicato un mio libro dal titolo "Elogio del dissenso", e per ottobre prossimo ha in programma di pubblicare un mio nuovo saggio dal titolo "I due cristianesimi", scritto per sottolineare le differenze tra il messaggio originale di Cristo e l’imperialismo cristiano, non solo come si è affermato nella storia, ma anche come si manifesta al presente. L’interrogativo è focalizzato sulla speranza nel futuro, mentre le critiche a quanto è stato ed è contrabbandato in nome di Cristo servono solo per capire meglio come si potrebbe uscir fuori dalle tante macrocontraddizioni.

La speranza è irrinunciabilmente legata a una Chiesa delle coscienze adulte, perciò sogno un magistero impegnato a farle crescere senza sottoporle a pressioni psicologiche; un magistero capace d’insegnare a distinguere il bene dal male senza imporre valutazioni precostituite; lieto di aiutare ognuno a diventare adulto e autonomo senza costringerlo a sottomettersi; volto a stimolare una sempre maggiore consapevolezza rinunciando a imposizioni precostituite. Un magistero che affermi i suoi principi senza pretendere di stigmatizzare le opinioni diverse; che proponga la propria verità senza disprezzare le verità altrui. In altre parole, sogno una Chiesa dove sia possibile ricercare, discutere, confrontarsi, camminare assieme.

Sogno un magistero che affermi il patrimonio positivo della fede, libero dalla preoccupazione di puntualizzare il negativo; che sappia offrire gratuitamente l’acqua della vita, senza voler giudicare chi beve; che proponga la verità di Cristo, esortando a non accettarla supinamente; che tracci la strada, ammonendo a non seguirla passivamente; che offra strumenti per imparare a scegliere, a non essere acquiescenti, a non accontentarsi di un cristianesimo mediocre e tiepido. Un Magistero che preferisca circondarsi da persone esigenti, irrequiete, contestatrici, piuttosto che passive, pavide, addormentate. Esso per primo ne trarrebbe grandi benefici: sarebbe il magistero di un popolo adulto, maturo, responsabile.

Etimologicamente la parola obbedienza significa ascolto, e sarebbe ora di educarci tutti a questo tipo di obbedienza reciproca: i fedeli verso l’autorità, ma anche l’autorità verso chiunque appartenga al Popolo di Dio, non importa con quale ruolo. Solo questa obbedienza è autentica virtù. Chissà se San Paolo, quando esortava a sperare contro ogni speranza, si riferiva anche alle utopie!
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/8/2012 13.07
Titolo:SE DIO SI E' FATTO PAROLA... IL CATECHISTA NON USA MAI PAROLE EQUIVOCHE
I CARISMI

di don Mauro Agreste *

1) OGGI PARLIAMO DEI CARISMI Oggi parliamo dei carismi ed è importante averne una conoscenza un pochino più strutturata, perché come catechisti nelle vostre comunità parrocchiali, ma anche nei gruppi di preghiera, è bene che abbiate una conoscenza il più possibile ampia su questo tema. Tutto sommato è stato lasciato per molti versi ad alcuni gruppi ecclesiali, oppure a degli alti studi universitari nell’Università Pontificia. Il tema dello spirito dei carismi è un tema che fa parte della vita della Chiesa; se ne tratta nel Concilio e nella Lumen Gentium. Al n°12 dice che la Chiesa costituita dal popolo di Dio è per così dire, il luogo in cui si esercitano i carismi, ognuno per la sua propria specificità. Però la maggior parte delle persone, quando sentono dire la parola carisma non è che abbiano molto chiaro in mente di che cosa si tratti, è vero?

2) PAROLA USATA E ABUSATA DA MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA Per di più questa parola è stata usata e abusata da giornalisti, da mezzi di comunicazione di massa non per indicare il significato preciso della parola carisma, quanto invece per indicare la capacità che ha una persona di attirare l’attenzione degli altri in qualunque campo, con la sua propria capacità di emergere sugli altri. Quindi in senso generico la parola carisma o personaggio carismatico all’interno della Chiesa e di alcuni gruppi ecclesiali vieni intuita in un certo modo. All’infuori della Chiesa il personaggio carismatico è un personaggio che ha delle chances in più, ha un savoir faire diverso in tutti i campi, sportivo, politico, ecc. ecc. da emergere e attirare l’attenzione, quasi catalizzando l’attenzione degli altri.

3) CARISMA HA LA STESSA RADICE DELLA PAROLA CARITÀ Ma che cos’è dunque il carisma e da che cosa nasce? Intanto la parola carisma deriva dal greco e come voi potete benissimo accorgervi contiene dentro di sé una radice, charis, che è la stessa radice della parola carità. Ora la parola carità, anche se abbiamo una vaga intuizione, è una parola che ha significati molto complessi e molto profondi, per cui almeno nel nostro linguaggio teologico, non è facile definire la carità semplicemente come un atteggiamento. La carità è prima di tutto una caratteristica di Dio stesso, una caratteristica essenziale, tant’è vero che gli antichi dicevano: Deus est charitas da cui gli antichissimi inni, ubi charitas et amor Deus ibi est, dov’è carità e amore lì c’è Dio. Dunque carità ha in sé questa radice charis, che significa qualche cosa di forte, di caldo, di vivo, di avvolgente. Viene cantato nel Veni Creator, si parla dello Spirito Santo e si dice che lo Spirito Santo è ignis, fuoco, fuoco di carità, fuoco di amore.

4) CARITÀ E AMORE VENGONO SPESSO USATI COME SINONIMI Carità e amore vengono spesso usati come sinonimi per una semplice ragione, sono entrambi concetti estremamente profondi. Se tu dici amore, è sufficiente dire amore per capire tutto ciò che significa la parola amore? No, cioè lo usiamo convenzionalmente però noi sappiamo che l’amore autentico per esprimerlo, per significarlo è molto difficile. Ricordate questa mattina il brano del Vangelo che è stato letto: nessuno ha un amore più grande se non colui che muore per i propri amici. Quindi vedete l’amore coinvolge fino alla donazione della vita. L’amore esige per esempio il concetto, che deve essere chiaro, della capacità di donarsi. Amore e donazione totale coincidono; però quando io dico amore non dico solo donazione totale, dico anche gioia, dico anche situazione di protezione. Una persona che ama è una persona che ne sta proteggendo un’altra; una persona che si sente amata è una persona che si sente protetta. Il concetto di guida: chi ama guida; chi è amato si sente guidato non gettato allo sbaraglio. Voi potete immaginare quale grande significato c’è nella parola amore; viene considerata sinonimo di carità, però entrambe hanno una specificità; che l’amore e la carità sono due realtà vive, coincidono con Dio.

5) PARLARE DI CARITÀ SIGNIFICA PARLARE DI GRAZIA Quindi parlare di carità, significa parlare di grazia, che charis è una traslitterazione, è la radice della parola greca che significa grazia. Che cos’è la grazia? Non è la gentilezza nei movimenti, la grazia è lo Spirito Santo in azione, lo Spirito Santo mentre agisce, lo Spirito Santo che sta agendo. Vieni Padre donaci la tua santa grazia, donaci cioè lo Spirito Santo che agisce dentro di noi. Ricordatevi che anche se avete il concetto chiaro nella mente, quelli che sono davanti a voi fraintendono facilmente, soprattutto queste cose complesse. Quindi dovete avere sempre l’idea di parlare a un bambino di 5 anni e state tranquilli che le persone davanti a voi non si sentiranno umiliate e non vi disprezzeranno se voi parlerete il più semplice possibile.

6) CHIEDI CHE LO SPIRITO SANTO VENGA AD AGIRE DENTRO DI TE Allora, donaci la santa grazia, certo che vuol dire donaci la capacità e la disponibilità a seguire i suggerimenti dello Spirito, però tu chiedi proprio che lo Spirito Santo venga ad agire dentro di te, però non senza di te. Quando invochiamo la grazia di Dio su di noi, invochiamo lo Spirito Santo che venga ad animarci dall’interno, come il lievito che fa lievitare tutta la pasta; il lievito non fa sparire la pasta, la fa solo lievitare; certo se non c’è la pasta puoi mettere anche un chilo di lievito che tanto non lievita niente. Allora quando si dice grazia si dice Spirito Santo in azione. Cosa vuol dire charis? Grazia. Cosa vuol dire grazia? Spirito Santo in azione. Lo Spirito Santo aleggiava sopra le acque informi, quindi lo Spirito Santo era già in azione appena Dio ha fatto esistere qualche cosa, ancora non c’era la luce, ma già lo Spirito Santo era in azione. Lo Spirito Santo agisce continuamente. L’ultimo versetto dell’Apocalisse dice: lo Spirito Santo e la sposa gridano Maranthà, vieni Signore Gesù. Quindi attenzione bene, tutta la Bibbia è contenuta da questa azione di Spirito Santo, dunque, tutta la storia degli uomini è contenuta in questi due punti fondamentali: lo Spirito Santo che aleggia e lo Spirito Santo che anima dicendo vieni. Gli uomini non si accorgono dell’azione dello Spirito Santo.

7) NUTRIRE UNA PARTICOLARE ADORAZIONE DELLO SPIRITO SANTO Allora i catechisti hanno questo compito fondamentale, fra tutti gli altri, di nutrire una particolare adorazione dello Spirito Santo. Dico giusto quando dico adorazione, per una semplice ragione, quale? Perché lo Spirito Santo è Dio. Quindi il catechista che non adora lo Spirito Santo non so che razza di catechista voglia essere. Lo Spirito Santo è la grazia che agisce dentro di noi. Il catechista che si mette al servizio della Chiesa, come fa a mettersi al servizio dicendo l’amore per Gesù se non è lo Spirito Santo a comunicarglielo?

8) PARLARE DI SPIRITO SANTO E DIO COME DUE PERSONE SEPARATE Domanda: questo fatto di parlare di Spirito Santo e Dio come due persone separate, non rischia di confonderci? E quando parliamo del Padre separato dal Figlio, non si rischia di creare dei problemi? Nelle dispense degli anni passati c’è quel disegno molto bello che si riferisce allo schema intuitivo su Dio e le sue tre persone. Dio è Padre, è Figlio e Spirito Santo, un solo Dio, però il Padre non è il Figlio, non è lo Spirito Santo e lo Spirito Santo non è il Padre. È chiaro che la nostra mente è così limitata che noi non riusciamo a capire, possiamo solo contemplare.

9) FACCIAMO PARTE DELLA TRINITÀ Di più ancora. Facciamo parte di questa Trinità, con il Battesimo siamo entrati dentro la Trinità, perché siamo con Gesù una cosa sola. Siamo entrati nella Trinità, però non siamo Dio, siamo esseri umani, però facciamo parte della Trinità. Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; quindi la volontà di Dio è che siamo immersi ( bactizzomai verbo greco che significa essere immersi ) in tutto Dio Padre, in tutto Dio Figlio e in tutto Dio Spirito Santo. Questo vuol dire che dentro di noi c’è tutto Dio Padre, tutto Dio Figlio, tutto Dio Spirito Santo e come lo spieghi questo? Quando tu vai a fare la comunione prendi un’ostia grande così, tu sai che lì dentro c’è il Dio Eterno e Infinito, Signore della storia e dei secoli. Sotto un velo di pane c’è il mistero di tutto ciò che esiste. Possiamo intuire. Come dice l’inno Pange Lingua. Visus tactus gustus in te fallitur, la vista il tatto il sapore falliscono, perché tutto quello che i sensi constatano è fallace, non i sensi ma la fede conosce questa verità. Allora con la fede tu accetti, il mistero lo contempli, però non lo capisci. Perché capire dal latino càpere vuol dire prendere e tenere stretto, contemplare invece significa guardare, ma non da soli, sostenuti. Tu puoi guardare il mistero di Dio da solo, lo puoi contemplare cioè tu puoi entrare nel tempio insieme a qualcuno, contemplare entrare nel tempio insieme a qualcuno. Tu non possiedi il tempio è il tempio che possiede te.

10) IL CATECHISTA DEVE PARLARE UN ITALIANO SEMPLICE E COMPRENSIBILE Attenzione, perché usiamo la lingua, ma non la conosciamo e un catechista non può permettersi questo. Un catechista deve parlare un italiano semplice e comprensibile a quelli che ha di fronte però deve conoscere dieci o venti volte di più di quello che sta dicendo agli altri, se no che cosa sta comunicando? Certamente ai bambini non puoi dire le specificità dei termini che vi sto spiegando, però su tu non conosci il significato delle parole, tu insegnerai delle cose sbagliate e noi non possiamo permetterci di fare questo, se no non stiamo divulgando il Vangelo di Gesù Cristo, ma il Vangelo secondo noi. Quindi ricordatevi, è un servizio fatto a Dio quello anche di essere precisi nel linguaggio che si usa. Siate precisi cercando di conoscere il più possibile il significato delle parole che usate, anche le più comuni. E chiedete allo Spirito Santo che vi dia una struttura logica del pensiero: soggetto, predicato, complemento. Diversamente il vostro discorso non sarà compreso da chi vi ascolta; piuttosto articolate frasi e concetti brevi non un discorso lungo e strutturato. Fate discorsi brevi, frasi brevi, ma che siano chiare.

11) LA CONIUGAZIONE DEI VERBI DEVE ESSERE PRECISA State anche attenti alla coniugazione dei verbi, che deve essere precisa, perché un verbo al condizionale ha un significato diverso da un verbo all’indicativo; perché un verbo all’indicativo indica una realtà, un obbligo imprescindibile, un verbo al condizionale indica una possibilità cioè una dualità di realtà; i congiuntivi sono verbi di consequenzialità; se io nella mente non ho l’idea della consequenzialità delle cose, non userò il congiuntivo, userò l’indicativo e renderò tutto obbligante. Ricordatevi che abbiamo a che fare con le parole, che noi abbiamo la parola di Dio nella mano e siamo i catechisti, non ci possiamo permettere di giocare con le parole, perché da come io uso le parole, favorisco o freno il passaggio del concetto di Dio. Senza diventare fanatici, senza esagerare, però o prendiamo sul serio il nostro servizio reso a Dio. Quindi tutto quello che dipende da me io cerco di farlo al meglio che posso, oppure facciamo come fanno tanti che improvvisano tutto, vanno avanti e non si rendono conto che stanno giocando con Dio. Se sul Vangelo c’è scritto: in principium erat verbum et verbum erat aput deum et verbum erat deum, allora questo ci fa capire che in principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio.

12) SE DIO SI E’ FATTO PAROLA, IO NON POSSO GIOCARE CON LE PAROLE Se Dio si è fatto la parola che noi possiamo intuire e capire, io posso giocare con le parole? No. Non dico questo perché dobbiamo spaventarci, sentirci colpevolizzati, però sentiamo la necessità di pensare le parole che usiamo e pensare le frasi che usiamo, perché se io devo parlare a dei bambini, dovrò rendere estremamente semplice un discorso difficilissimo. Però usando delle parole che siano giuste, che cerchino di generare meno equivoci possibili, adatte al vocabolario che è in possesso a un bambino di 7-10-12-15 anni, senza mai cedere ad accettare una connotazione di linguaggio che non sia più che dignitosa ed elegante.

13) IL CATECHISTA NON USA MAI PAROLE EQUIVOCHE Se ci sono dei modi di dire che esprimono il concetto di essere arrabbiati in un certo modo, il catechista non li usa mai, neanche quando sta da solo. Se ci sono parole equivoche il catechista si deve abituare non solo a non usarle lui, ma a sentirne ribrezzo quando le sente pronunciare da altri, perché il catechista sta usando con la propria lingua un mezzo di evangelizzazione. Dunque l’apostolo san Giacomo dice nella sua lettera al cap. 4 che chi domina la lingua domina tutto il resto del corpo. Ora un catechista che non domina la lingua come può produrre negli altri un cambiamento di vita, se le parole che escono da lui sono sporcate da una incapacità di dominare la lingua? Naturalmente quando dico capacità di dominare la lingua non mi riferisco solamente a un linguaggio volgare e pesante, mi riferisco anche a un modo di gestire il linguaggio. Una persona che non è capace a non criticare, una persona dalla cui bocca esce sempre una parola di critica, di giudizio, di condanna, di curiosità, di pettegolezzo ecc. può giustamente essere catechista? Non può. Un catechista che non sente fondamentale dentro di sé l’imperativo di sapere quello che sta dicendo, come lo sta dicendo e non si domanda se le parole che sta usando le capisce prima lui, come fa a spiegarle agli altri?

14) IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE AMARE E AMORE Quante volte abbiamo esaminato il significato delle parole amare e amore. Se un catechista non sa che cosa vuol dire amare, sapete con che cosa lo confonde? Con il romanesco volemose bene. Ma amare non è quello, quello non è amare, quello lì è solo cercare di stare tranquilli, senza prendersi tanti problemi, vero? Invece amare è tutta un’altra cosa. Stamattina abbiamo sentito: dare la vita per i propri amici. Vedete che è estremamente differente. Allora non deve essere così per voi, perché voi avete sentito veramente una chiamata del Signore, se no non sareste qui al sabato mattina. Però per non perdere tempo né io, né voi e neanche Dio, cerchiamo proprio di capire l’importanza di tutto questo. Quando nelle scuole ci facevano fare l’analisi logica, l’analisi del periodo erano molto importanti; se abbiamo dimenticato tutto questo la prima cosa che dobbiamo fare è chiedere allo Spirito Santo che venga a rispolverare dentro di noi le cose che avevamo studiato allora, che le faccia emergere. Vedrete che lo Spirito Santo vi aiuterà; poi dopo cominciate con l’analizzare il linguaggio che usate, le strutture logiche che usate, se sono chiare. Ricordatevi che le persone che avete di fronte non sono dentro la vostra mente, dunque loro non sanno esattamente dove voi volete arrivare. Una grande carità che potete fare nei confronti del vostro prossimo, un grande servizio è quello di fare un passettino piccolo alla volta. Non date mai niente per scontato, anche se doveste ripetere cento volte in cento incontri, serve per aiutare quella persona a entrare nel difficile concetto che voi volete dire.

15) DOBBIAMO IMPARARE A PERDONARE Per es.: dobbiamo imparare a perdonare. Che vuol dire perdono? È una parola composta. Dividete a metà la parola, per e dono; quella che capite subito è dono, cosa vuol dire dono? È un regalo, non meritato, perché un dono meritato si chiama premio. Capite perché bisogna essere precisi? Perché se io non dico questo allora il perdono mi diventa un diritto, invece non è un diritto, è un dono, un regalo non meritato; quindi se il regalo non è meritato mi viene fatto perché io sono buono o è buono chi mi fa il regalo? Chi mi fa il regalo. L’altra parola da capire è per che deriva dal greco iper, che vuol dire il più grande; quindi se iper vuol dire il più e donum, regalo, mettendo insieme avete l’insegnamento che dovete fare sul concetto di perdono. Poi ci potete parlare per sei mesi ai bambini del perdono, però se sapete cosa vuol dire voi insegnate realmente ciò che insegna la Chiesa, non ciò che insegna il mondo: vogliamoci bene perché il Signore è buono e ci perdona, tanto perdona tutto e tutti. No! Il catechista non può fare queste cose, non si può confondere il perdono con un sentimento di piacevolezza e di arrendevolezza, non è così. Allora siamo partiti dal tema dei carismi, la prossima volta ricordatemi che dobbiamo continuare sul significato della parola carisma. Abbiamo appena analizzato la radice charis che vuol dire grazia e che significa Spirito santo in azione.

* UNIONE CATECHISTI. CATECHESI. LEZIONI, 08.10.2005
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/8/2012 22.18
Titolo:NON CI SONO "SUPERCRISTIANI". Ritrovare certi accenti del Vaticano II
Ritrovare certi accenti del Vaticano II

di Gaston Piétri, prete ad Ajaccio

in “La Croix” del 25 agosto 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Vi sono degli accenti, perfettamente fedeli alla tradizione cristiana più antica, che nell’opera del Vaticano II sono apparsi come innovatori. Sono quegli stessi accenti che oggi non solo si attenuano, ma addirittura scompaiono troppo frequentemente dalle parole e dalle pratiche di certe nostre comunità.

Per esprimere la condizione comune dei credenti in Cristo, la Costituzione Lumen Gentium mette al primo piano l’uguaglianza: “sussiste una vera uguaglianza nella dignità e nell’agire, e per tale uguaglianza tutti cooperano all’edificazione del corpo di Cristo” (n° 31). Al di fuori di questa uguaglianza ci sarebbero altrimenti dei cristiani di serie A e dei cristiani di serie B? Il Concilio non manca, nello stesso testo, di notare la differenza delle funzioni, e tra queste funzioni quella del pastore.

Perché parlare così poco dell’uguaglianza e aver così poca audacia per viverla in maniera più visibile? Senza dubbio per timore di “far scomparire” i pastori nella comunità. Per insufficiente comprensione della vera natura delle differenze. E in definitiva per una deplorevole svalutazione di quel nome comune di “cristiano” che i discepoli hanno ricevuto un giorno ad Antiochia (Atti 11,26). Ma che cosa ci sarebbe per noi, al di sopra dell’onore di essere cristiani, cioè di Cristo? È stato detto, ma bisogna ripeterlo: non ci sono “supercristiani”.

Talvolta si sente dire “i cristiani e i pastori”. Enunciare in questo modo la distinzione non ha alcun senso nella logica del cristianesimo. Nel decreto sul ministero e sulla vita dei presbiteri, il Vaticano II ricorda quanto il ministero dei preti sia insostituibile “nel e per il popolo di Dio”, e precisa subito: “sono discepoli del Signore come gli altri fedeli (...). In mezzo a tutti i battezzati, i presbiteri sono fratelli dei loro fratelli, membra dello stesso e unico corpo di Cristo, la cui edificazione è affidata a tutti” (n° 9). La relazione di fraternità è la più fondamentale e, se non fosse visibile nella vita quotidiana, l’aspetto di “paternità spirituale” che il ministero pastorale comporta si snaturerebbe perdendo il suo senso evangelico: “avete un unico Padre, e siete tutti fratelli”.

Durante “l’anno sacerdotale”, abbiamo fatto molta fatica, nell’abbondanza delle pubblicazioni, a scoprire delle tracce nette e insistenti di questo importante richiamo conciliare. Di che cosa abbiamo paura? Abbiamo bisogno di vocazioni al ministero presbiterale. Crediamo forse che la valorizzazione urgente di questa vocazione possa essere feconda e soprattutto ben compresa, se non tiene seriamente in considerazione il “rientro” del ministero del prete all’interno del popolo di Dio come ve lo include la dinamica di Lumen Gentium?

Nel decreto sull’ecumenismo, il Concilio raccomanda una presentazione della fede cristiana che metta nel giusto posto, cioè al centro, ciò che è direttamente “in rapporto con i fondamenti della nostra fede” (n° 11). A questo titolo parla di “una gerarchia delle verità”. Le devozioni hanno la loro ragion d’essere. Illustrano talvolta in maniera opportuna un aspetto o un altro del Mistero cristiano.

Ma in altri momenti l’eccessiva e persistente attenzione su certi aspetti finisce per occultare ciò che è al cuore della Rivelazione del Dio di Gesù Cristo e di conseguenza ciò che è comune tra confessioni cristiane. L’identità cattolica manifestata da queste devozioni nate nel corso dei secoli, deve essere subordinata alla specificità cristiana in ciò che essa ha di essenziale. È quella che bisogna far vedere innanzitutto.

La Costituzione Gaudium et Spes esamina l’originalità della Chiesa, che non può essere ridotta al alcun modello politico. Ma lo fa situando questa particolarità nella società in cui la Chiesa è solidale con tutti i protagonisti della vita comune. Il Concilio non esita a presentare la Chiesa e la società in situazione di reciprocità. Ciò che la Chiesa dona al mondo non è slegato da ciò che la Chiesa riceve dal mondo (n° da 41 a 44).

È da Cristo stesso che noi riceviamo incessantemente il Vangelo della salvezza per proporlo al mondo. È “dalla storia e dal genere umano” che la Chiesa riceve nuove indicazioni per la sua presenza effettiva tra gli uomini di questo tempo. Non possiamo prendere a pretesto degli errori individuali e collettivi dei nostri contemporanei per porre la Chiesa al di sopra di una società che non avrebbe nulla da dirci.

L’idea democratica, ad esempio, non si applica alla Chiesa allo stesso modo che nella società politica. Essa può e deve tuttavia ispirare i modi di relazione all’interno della comunità cristiana. Non basta ripetere fino alla nausea che “la Chiesa non è una democrazia”. Sarebbe meglio mostrare ciò che può offrire di vivificante un sano spirito democratico nell’attuazione di quel “momento comune” che è l’espressione del popolo di Dio. Ci crediamo veramente a questo “momento comune” dove lo Spirito stesso “parla alla Chiesa”?

Questi accenti non esauriscono certo l’opera del Vaticano II. Tuttavia è necessario rivivificarli se la Chiesa ci tiene a che non si stemperino quegli elementi importanti del rinnovamento voluto dal Concilio. La vera Tradizione ecclesiale vi perderebbe in parte il soffio che si è manifestato cinquant’anni fa e di cui la comunità cristiana ha più che mai bisogno per essere fedele testimone dello Spirito che “rinnova la faccia della terra”.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/8/2012 10.24
Titolo:L’inquisizione di oggi e le religiose nordamericane
L’inquisizione di oggi e le religiose nordamericane

di Ivone Gebara, suora, scrittrice, filosofa e teologa brasiliana

in “www.paves-reseau.be” del 25 aprile 2012 (traduzione dal francese: www.finesettimana.org)

Una volta ancora assistiamo stupite alla “valutazione dottrinale” o piuttosto al sedicente appello alla sorveglianza o alla punizione condotta dalla Congregazione della Dottrina della fede nei confronti di chi, a suo avviso, si discosta dall’osservanza della dottrina cattolica corretta. Unica differenza: oggi, non è su una persona che puntano il dito accusatore, ma su un’istituzione che riunisce e rappresenta più di 55000 religiose nordamericane. Si tratta della Conferenza nazionale delle Religiose, conosciuta sotto la sigla LRWC - Conferenza della Direzione religiosa femminile. In tutta la loro storia, queste religiose hanno sviluppato - e sviluppano ancora - una vasta missione educativa a favore della dignità di molte persone e di molti gruppi negli Stati Uniti e oltre.

La maggioranza di queste donne appartiene a diverse congregazioni nazionali e internazionali; oltre alla loro formazione umanista cristiana, sono delle intellettuali e delle professioniste impegnate negli ambiti più diversi della conoscenza. Sono scrittrici, filosofe, biologhe, sociologhe, avvocate, teologhe e possiedono un vasto curriculum e una competenza riconosciuta a livello nazionale e internazionale. Sono anche educatrici, catechiste e militanti per i diritti umani. In molteplici circostanze sono state capaci di mettere a rischio la propria vita a favore delle vittime dell’ingiustizia o di opporsi a comportamenti gravi assunti dal governo nordamericano.

Ho l’onore di conoscerne alcune che sono state imprigionate perché si erano messe in prima fila in una manifestazione per la chiusura della Ecole des Amériques, istituzione del governo nordamericano che prepara i militari in vista di interventi repressivi e crudeli nei nostri paesi. Queste religiose sono donne di pensiero e d’azione, hanno una lunga storia di servizio non solo nei loro paesi ma anche in altri. Oggi sono sotto il sospetto e la sorveglianza del Vaticano. Sono criticate per le loro divergenze con i vescovi considerati come “gli autentici maestri della fede e della morale”.

Inoltre sono accusate di essere sostenitrici di un femminismo radicale, di deviazioni rispetto alla dottrina cattolica romana, di complicità con l’approvazione delle unioni omosessuali e di altre accuse che ci stupiscono per il loro anacronismo. Che cosa sarebbe un femminismo radicale? Quali sarebbero le sue manifestazioni reali nella vita delle congregazioni religiose femminili? Quali devianze teologiche vivrebbero queste religiose? Noi donne saremmo spiate e punite per la nostra incapacità ad essere fedeli a noi stesse e alla tradizione del vangelo attraverso la sottomissione cieca ad un ordine gerarchico maschile? I responsabili delle Congregazioni vaticane sarebbero estranei alla grande rivoluzione mondiale femminista che raggiunge tutti i continenti, comprese le congregazioni religiose?

Molte religiose negli Stati Uniti e in altri paesi sono, di fatto, eredi, maestre e discepole di una delle più interessanti espressioni del femminismo mondiale, soprattutto del femminismo teologico che si è sviluppato negli Stati Uniti a partire dalla fine degli anni ’60. Le loro idee originali, le loro critiche, le loro posizioni libertarie permetteranno una nuova lettura teologica che, a sua volta, può accompagnare i movimenti di emancipazione delle donne. Di modo che esse potranno contribuire a ripensare la nostra tradizione religiosa cristiana al di là della “invisibilizzazione” e dell’oppressione delle donne. Creeranno anche spazi alternativi di formazione, testi teologici, testi di celebrazione affinché la tradizione del Movimento di Gesù continui a nutrire il nostro presente e non sia abbandonata da migliaia di persone affaticate dal peso delle norme e delle strutture religiose patriarcali.

Quale atteggiamento adottare davanti alla violenza simbolica degli organismi di governo e di amministrazione della Chiesa cattolica romana? Che cosa pensare del riferimento filosofico rigido che assimila il meglio dell’essere umano alla sua parte maschile? Che dire della visione antropologica filosofica unilaterale e misogina a partire dalla quale interpretano la tradizione di Gesù?

Che cosa pensare di questo trattamento amministrativo-punitivo a partire dal quale si nomina un arcivescovo per rivedere, orientare e approvare le decisioni prese dalla Conferenza delle Religiose, come se noi fossimo incapaci di discernimento e di lucidità. Saremmo per caso una multinazionale capitalistica nella quale i nostri “prodotti” dovrebbero obbedire ai diktat di una linea di produzione unica? E per mantenerla, dovremmo essere controllate come degli automi da coloro che si considerano i proprietari e i guardiani dell’istituzione? Dove vanno a finire la libertà, la carità, la creatività storica, l’amore ’sororale’ e fraterno?

Nel momento in cui l’indignazione si fa strada in noi, un sentimento di fedeltà alla nostra dignità di donne e al Vangelo annunciato ai poveri e agli emarginati ci invita a reagire a questo ulteriore atto di ripugnante ingiustizia.

Non è da oggi che i prelati e i funzionari della Chiesa agiscono con due pesi e due misure. Da un lato, gli organismi superiori della Chiesa cattolica romana sono stati capaci di accogliere di nuovo al loro interno i gruppi di estrema destra, la cui storia negativa soprattutto nei confronti dei giovani e dei bambini è ampiamente conosciuta.

Penso in modo particolare ai Legionari di Cristo di Marcial Maciel (Messico) o ai religiosi di Mons. Lefebvre (Svizzera), la cui disobbedienza al papa e i metodi coercitivi per creare dei discepoli sono attestati da molti. La stessa Chiesa istituzionale accoglie gli uomini che le interessano in vista del proprio potere e respinge le donne che desidera mantenere sottomesse. Questo atteggiamento le espone alle critiche ridicole veicolate anche nei media religiosi cattolici in mala fede. I prelati fingono di riconoscere in maniera formale qualche merito a queste donne quando le loro azioni si riferiscono a quelle esercitate tradizionalmente dalle religiose nelle scuole e negli ospedali. Ma noi siamo forse solo quello?

Sappiamo che mai, negli Stati Uniti, c’è stato il minimo sospetto che quelle religiose possano aver violentato dei giovani, dei bambini e dei vecchi. Nessuna denuncia pubblica ha offuscato la loro immagine. Non si è mai sentito dire che si siano alleate per i propri interessi alle grandi banche internazionali. Nessuna denuncia per traffico di influenze, scambio di favori per preservare il silenzio dell’impunità. Ma anche così, nessuna di loro è stata canonizzata e neanche beatificata dalle autorità ecclesiastiche come invece è stato fatto per degli uomini di potere. Il riconoscimento di queste donne viene da molte comunità e gruppi cristiani o non cristiani che hanno condiviso la vita e il lavoro con molte di loro. E certamente quei gruppi non resteranno in silenzio davanti a questa “valutazione dottrinale” ingiusta che colpisce anche loro in maniera ingiusta.

Plagiando Gesù nel suo vangelo, lo sento dire: “Ho pietà di quegli uomini” che non conoscono le contraddizioni e le bellezze della vita nella prossimità, che non lasciare vibrare il loro cuore in tutta chiarezza con le gioie e le sofferenze delle persone, che non amano in tempo presente, che preferiscono la legge severa alla festa della vita. Hanno soltanto imparato le regole chiuse di una dottrina chiusa in una razionalità superata ed è a partire da lì che giudicano una fede diversa , specialmente quella delle donne. Forse pensano che Dio li approvi e si sottometta a loro e alle loro elucubrazioni talmente lontane da quelle di coloro che hanno fame di pane e di giustizia, dagli affamati, dagli abbandonati, dalle prostitute, dalle donne violentate o dimenticate. Fino a quando dovremo soffrire sotto il loro giogo? Quali atteggiamenti ci ispirerà “lo Spirito che soffia dove vuole” perché possiamo continuare ad essere fedeli alla VITA che è in noi?

Alle care suore nordamericane della LWRC, la mia riconoscenza, la mia tenerezza e la mia solidarietà. Se siete perseguitate per il bene che fate, probabilmente il vostro lavoro produrrà frutti buoni e abbondanti. Sappiate che noi, donne di altri continenti, con voi, non permetteremo che facciano tacere la nostra voce. Ancor di più, se le facessero tacere con un decreto di carta, ce ne faremmo una ragione ulteriore per continuare a lottare per la dignità umana e per la libertà che ci costituisce.

Continueremo con tutti i mezzi ad annunciare l’amore del prossimo come la chiave della comunione umana e cosmica presente nella tradizione di Gesù di Nazareth ed in molti altri, sotto forme diverse. Continueremo insieme a tessere per il nostro momento storico un tratto supplementare della vasta storia dell’affermazione della libertà, del diritto di essere diversi e di pensare in modo diverso, e, cercando di fare questo, di non aver paura di essere felici.

Testo originale al sito:

http://www.adital.com.br/site/noticia.asp?lang=PT&langref=PT&cod=66441

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Commenti Articolo 773

Titolo articolo : Giù le mani dalla Siria!,

Ultimo aggiornamento: August/31/2012 - 01:20:04.

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Autore Città Giorno Ora
Anna Favarolo Grottolella 31/8/2012 01.20
Titolo:Guerra in Siria
Non si vergognano gli americani e la Nato per questi soprusi e massacri che stanno operando non solo in Siria, ma in tante parti del mondo?
Ormai sappiamo che SONO LORO I VERI COLPEVOLI e non ci siamo bevuti la solita favoletta che bisogna aiutare le popolazioni contro i loro dittatori!
Questa gentaglia dovrebbe essere processata per crimini di guerra !
Il loro unico scopo è di impossessarsi di tutto e spadroneggiare riducendo di molto la popolazione mondiale!
A noi tutti farebbe piacere non avere loro più tra i piedi!
VOGLIAMO LA PACE!
Sulla terra c'è spazio per tutti e ci potrebbe essere anche il benessere per tutti, ma per colpa di sporchi satanisti, l'umanità tutta è sottoposta a sacrifici e condizioni atroci da sopportare!

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Commenti Articolo 774

Titolo articolo : IL MAGISTERO EQUIVOCO DI BENEDETTO XVI OGGI (2006-2012) E CIO' CHE OGNI BUON CATECHISTA INSEGNAVA IERI (2005). Una lezione di don Mauro Agreste - con alcune note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: August/30/2012 - 16:38:49.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/8/2012 23.32
Titolo:PAROLA EVANGELICA A RISCHIO. Risalire gli abissi ...
PAROLA A RISCHIO
Risalire gli abissi
La salvezza è per tutti. Alla portata di tutti.
Perché è sorriso, liberazione, gioia.

di Giovanni Mazzillo (Teologo) *

G come gioia, come Gesù, respiro di gioia per tutti gli infelici della terra. Parliamo di Gesù, il cui corrispondente nome greco Iesoûs deriva direttamente dall’originale ebraico Je(ho)šhu e significa JHWH salva, per precisare immediatamente che il termine salvezza oggi non significa gran che per i nostri contemporanei, e di conseguenza risuona poco interessante persino quel nome, pur originariamente portatore di una gioia immensa e inaudita. Ciò avviene non solo per l’inevitabile logorio delle parole più usate e talora abusate, ma per il fatto che ha perso rilevanza e pertanto significato il valore stesso della “salvezza”.

Salvezza
Salvezza da chi e/o da che cosa? Appunto, è questo il primo problema. La salvezza appare di primo acchito un concetto immediatamente derivato dal superamento di una situazione negativa, Si salva, o come succede in questo caso, viene salvato, qualcuno che si trova in una situazione di pericolo. Il pericolo di perdere qualcosa, di perdere se stesso. Di essere cancellato, di sparire, appunto come sparisce da un computer un testo non “salvato” o un’immagine non messa al sicuro. Ma essere salvati è per noi persone umane, e pertanto non riducibili a una traccia di codificazione binaria o algoritmica, molto di più che conservare un’impronta e una presenza. Coerentemente con la nostra realtà dinamica e relazionale, essere salvati significa avere un luogo, un senso, una rilevanza nel contesto di una realtà che giustifica, sorregge, garantisce il mantenimento e la crescita qualitativa, e pertanto il conseguente riconoscimento di un originario, inalienabile, imprescindibile valore personale.

La domanda «Chi o che cosa si può dire oggi salvato?» esige pertanto una primordiale differenziazione. Altro è il concetto di ciò che è salvato (cioè il dato messo al sicuro), ben altro è l’essere umano salvato. Questi non è solo garantito in ciò che ha di più proprio e pertanto è distinto dal mero “dato”, che invece è una sorta di file compilato (non per nulla in tedesco proprio il file è chiamato Datei, leggi datai, cioè «rea-ltà data»). L’essere umano è tale solo in un incontro, in una relazione. La persona è tutta nelle relazioni delle quali vive. Proprio la relazionalità sorregge il senso e la gioia del suo esistere.

L’annuncio di Gesù, già nella sua venuta in questo nostro mondo, è l’annuncio di una relazionalità umana felicemente riuscita. Nel Vangelo è direttamente collegato alla Grazia, termine che esprime tutto ciò e anche qualcosa di più.

Nell’annuncio della sua nascita, diversamente da quanto appare nella traduzione latina, e in quella italiana da essa derivata, nella preghiera più popolare che ci sia, Maria è salutata non con il saluto che si dava all’imperatore, alle autorità o anche agli amici con l’esclamativo «Ave!», bensì con l’invito a rallegrarsi, cioè a gioire (chaîre): a entrare in un circuito di esultanza per un dono gratuito e inatteso. Colei che è piena di grazia (kecharitōménē) è invitata a rallegrarsi perché tutto in lei è frutto ed espressione della «grazia» (cháris), cioè di un dono amorevole quanto sorprendente, che sarà presto annuncio di gioia per tutto il popolo e per ogni uomo: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù...”. L’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia...» (Lc 1,30-31; 2,10-11).

Il resto del Vangelo, soprattutto quello di Luca, evidenzia la gioia improvvisa e incontenibile che contagia quanti vengono a contatto con Ješhu. A cominciare da Elisabetta e dal suo bambino, che le esulta nel grembo, il futuro Battista. Così esultano ancora due anziani che sembrano essere rimasti in vita per mantenere viva la speranza d’Israele: Simeone e Anna, o i pastori; mentre nel racconto di Matteo, viene detto che i Magi “provarono una grandissima gioia” nel rivedere la stella che indicava il luogo della natività di Gesù.

La stessa gioia è testimoniata dai semplici e dagli umili, dagli infelici e dai peccatori che si sentono aiutati, capiti, perdonati. A gioire sono ancora i bambini e le donne, classi tradizionalmente neglette dalla piena partecipazione alla grazia collegata alle tradizionali benedizioni di Dio. Insomma il cuore del Vangelo è la lieta notizia annunciata ai bisognosi e agli infelici della terra. Il Dio che si dona totalmente, è il Dio che dona illimitatamente la gioia agli uomini. E perché la nostra gioia fosse piena (Gv 15,11), il Figlio di Dio è arrivato umanamente a perdere se stesso.

Perché avessimo una gioia che nessuno avrebbe mai più potuto toglierci, ha permesso che fosse tolta a lui la vita, per riprenderla di nuovo, ma con la conoscenza ormai nella sua carne e nella sua psiche di cosa significhi la morte umana. Di cosa voglia dire la gioia di vivere, di vivere non con il naturale sorriso con cui vive ogni creatura per la stessa gioia dell’esistere, ma di provare e diffondere la gioia di chi conosce la sofferenza e non resta inchiodato alla sofferenza. O al limite, di chi, nonostante le ferite e talora i chiodi mai interamente rimossi della sofferenza, sa sorridere della vita, perché questa è ormai rischiarata da colui che vince la morte e la depressione della sofferenza.

La gioia è dunque uno dei nomi della salvezza, ma di una salvezza che assume di volta in volta nomi nuovi e nomi antichi: riscatto, liberazione, sensatezza, leggerezza dell’esistere... Se la parola non fosse tanto inflazionata, si potrebbe dire che la salvezza altro non è che la felicità. È la felicità nel suo senso etimologico: come abbondanza e fertilità. Possiamo tradurre: come vita sensata che raggiunge il suo scopo e nasce da relazioni benevole, tendenti al bene altrui, trovando negli altri la propria gioia e comunicandola con relazioni che fanno crescere se stessi e gli altri.

In quanto tale, la felicità è simile alla pace e ne è la forma storica: è star bene con sé e con gli altri, con il proprio passato e con il proprio futuro. Perché, soprattutto oggi, c’è bisogno paradossalmente più di ricostruire il futuro che il passato o il presente. Per poterlo fare c’è bisogno di quella gioia consapevole che non si arrende e che non si ripiega su se stessa. Si ritrova nel futuro di una convivenza che non nasconde, ma sa riconoscere e superare i conflitti attraverso uno sguardo d’amore verso ciò che ci è intorno. È uno guardo che viene da lontano e tuttavia tocca la nostra umanità, questa mia e questa tua umanità, quella assunta, attraversata e come divinizzata da quel Gesù che continuamente dà senso a ogni tentativo di superare la violenza con l’amore. È l’unico a dar senso a ogni discorso di pace, anche questo che hai appena finito di leggere.

* MOSAICO DI PACE, LUGLIO 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/8/2012 18.44
Titolo:Lettera alle teologhe e ai teologi italiani ...
Lettera alle teologhe e ai teologi italiani di alcuni presbiteri e teologi (“Adista”, n. 1 del 7 gennaio 2012)

- «Dove stai tu quando si soffrono cambiamenti climatici e cambiamenti di umore?
- Dove stai tu mentre il nostro pianeta va al collasso e le multinazionali e le banche, vendute al dio profitto e al dio denaro, governano il mondo?
- Dove stai tu quando si deve decidere se intervenire per sostenere un intervento armato della Nato nella terra degli altri?
- Dove stai tu quando si riducono tutte le spese per il sociale, la sanità e la scuola, mentre continuano ad aumentare i bilanci della difesa e si spendono cifre folli per le armi?
- Dove stai tu quando la gente dei Sud del mondo si sospinge fino alle spiagge di Lampedusa e viene ricacciata indietro o chiusa nei Cie, colpevoli soltanto di immigrazione?
- Dove stai tu quando qualcuno dice che l’ex primo ministro è meglio che un politico dichiarato gay, perché il primo è “secondo natura”?
- Dove stai tu quando il bilancio familiare è insufficiente e si vive una precarietà che riduce a brandelli sogni e progetti?
- Dove stai tu quando gli indignados scendono in piazza o fanno rete virtuale su internet?

E ancora... perché accettiamo solamente che qualcuno tenga le chiavi del Regno e decida chi farci entrare? Forse tu ci sei? E se ci sei, ci sei clandestinamente perché la tua teologia non appartiene a questi ambiti?

Quando il profeta Gioele (3,1-2) dice che tutti diventeranno profeti e gli anziani faranno sogni e i giovani avranno visioni, a chi si rivolge? Forse non parla a tutti gli uomini e le donne del nostro tempo? E allora, se fare sogni e interpretarli e diventare profeti è proprio della teologia, non è forse vero che tutti i credenti sono teologi? E perché non glielo diciamo più?».

- Alessandro Santoro (prete della Comunità delle Piagge di Firenze),
- Antonietta Potente (teologa domenicana),
- Andrea Bigalli (prete di S. Andrea in Percussina, Firenze),
- Pasquale Gentili (parroco di Sorrivoli, Cesena),
- Benito Fusco (frate dei Servi di Maria),
- Pier Luigi Di Piazza del Centro Balducci di Zugliano (Udine),
- Paolo Tofani (parroco di Agliana, Pistoia)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/8/2012 18.34
Titolo:Don Andrea Gallo, Povera Chiesa....
“Corvi, Ior e potere

Povera Chiesa”

intervista a don Andrea Gallo,

a cura di Gianni Barbacetto (il Fatto Quotidiano, 18 agosto 2012)

“La mia non è una riflessione di gioia. Io mi sento dentro la Chiesa, e la vedo ridotta così”. Don Andrea Gallo pensa agli scandali del Vaticano, alla richiesta di rinvio a giudizio del maggiordomo del Papa. “Da 53 anni sono presbitero di questa Chiesa e oggi vedo la sede apostolica in difficoltà. Non ne sono contento. Sono triste, addolorato. Il Papa dovrebbe essere il centro della carità mondiale e invece è il centro di scandali, di contese, di corvi, di scontri attorno allo Ior, la banca del Vaticano. Un tempo la Chiesa era considerata una ‘comunità perfetta’, comunità di credenti al servizio della carità. Oggi appare un centro di potere attorno a cui si muovono gruppi come l’Opus Dei, Cl, i Legionari di Cristo...”.

La miccia che ha fatto scoppiare gli scandali sembra essere lo Ior, la banca del Vaticano : una banca offshore nel cuore di Roma.

Lo Ior era un centro di raccolta di fondi per la carità senza fine di lucro. Poi Papa Pacelli, nel 1942, in piena guerra mondiale, lo trasformò in una vera e propria banca. Ed è diventato un centro di potere. In passato ha avuto a che fare con Michele Sindona. Poi è stato diretto da Paul Marcinkus, che in Vaticano ha trovato riparo da tre mandati di cattura internazionali. Oggi lo Ior è oggetto di sospetti per la cacciata del suo presidente, Ettore Gotti Tedeschi, e per le accuse di riciclaggio per 20-23 milioni di euro. Il Papa personalmente ha incaricato della questione un cardinale che appartiene all’Opus Dei. Molte critiche sono state rivolte al cardinale Segretario di Stato. Dobbiamo tornare al messaggio evangelico, dobbiamo salvare la Chiesa che è anche la nostra Chiesa, questa Chiesa di cui mi dichiaro appartenente, con le sue luci e le sue ombre. La logica di potere pesa sulla Chiesa, in Vaticano e nella Cei, tra i vescovi italiani. Mentre Papa Gregorio si definiva “servus servorum Dei”, servo dei servi di Dio. La Chiesa deve avere non una logica di potere, ma di servizio.

L’unico “corvo”, il solo colpevole della fughe di notizie dal Vaticano è il maggiordomo del Papa...

Mai io mi chiedo: è mai possibile che un maggiordomo possa aver fatto tutto da solo? Può essere l’unico corvo, può aver organizzato lui la fuga di notizie e di documenti vaticani? Non credo. Dietro a un maggiordomo vedo figure più potenti, vedo cardinali, vedo lo scontro tra gruppi di potere, vedo l’Opus Dei, Cl, i Legionari di Cristo... Il linguaggio della Chiesa, dice il Vangelo, deve essere “sì, sì, no, no”. Invece nell’indagine sul maggiordomo del Papa ci sono oltre 40 omissis. Il popolo di Dio aspetta chiarezza. Ha il diritto di sapere che cosa è davvero successo. Mi pare che non gli abbiano neppure sospeso lo stipendio: il maggiordomo è un ostaggio e basta. Lui sta nell’anticamera, dietro di lui ci sono quelli, ben più potenti, che stanno nelle camere. Il suo è stato un arresto anomalo, un segnale alla segreteria di Stato”.

Padre Lombardi, il portavoce vaticano, sostiene che la stampa ha gettato fango sul Vaticano.

Ma è un’impalcatura che non sta in piedi. In questi scontri, i gruppi di potere del Vaticano si sono fatti male da soli. E allora ricordo che la Chiesa, la nostra Chiesa, è “semper reformanda”, come dice il Concilio, è gloriosa ma anche composta di peccatori che devono riconciliarsi davanti a Cristo e alla Croce. A dicembre dovremo ricordare i 50 anni del Concilio ecumenico Vaticano II. Con che coraggio celebreremo questo anniversario? Come ricorderemo il Concilio che ha detto che la Chiesa è una comunità di fedeli e di carità, e non di potere (Lumen Gentium)? E l’opzione per i poveri? E il primato della coscienza personale? Come faremo a parlare di “nuova evangelizzazione”?

Anche sul Concilio, dentro la Chiesa, ci sono giudizi molto diversi.

La scelta del Concilio ci deve portare alla globalizzazione della solidarietà, non ad accettare un mondo in cui i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Bisogna mettere in discussione il modello egemone di sviluppo, in vista di una solidarietà liberatrice. La Chiesa non può ridursi a una crociata sul testamento biologico, non può basare la fede sul solo principio d’autorità. È questa la fede? La diocesi di Genova nel 2011 non ha ordinato neppure un presbitero, nel 2012 uno solo. Vedo molti attorno a me che sono tentati dall’abbandono. Ma io dico no: non dobbiamo abbandonare la nostra Chiesa, dobbiamo salvare insieme la nostra barca che ci porta alla salvezza.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/8/2012 16.38
Titolo:INSTAURAZIONE E RESTAURAZIONE DEL POTERE DEL "DOMINUS ISESUS"
SPEGNERE IL "LUMEN GENTIUM" E INSTAURARE IL POTERE DEL "DOMINUS IESUS", IL "CARLO MAGNO" DEL SACRO ROMANO IMPERO. L'OPERAZIONE RATZINGER - BERTONE... Due testi a confronto:



LUMEN GENTIUM (21 novembre 1964) *

"1. Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15), illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa. E siccome la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano, continuando il tema dei precedenti Concili, intende con maggiore chiarezza illustrare ai suoi fedeli e al mondo intero la propria natura e la propria missione universale. Le presenti condizioni del mondo rendono più urgente questo dovere della Chiesa, affinché tutti gli uomini, oggi più strettamente congiunti dai vari vincoli sociali, tecnici e culturali, possano anche conseguire la piena unità in Cristo".

*

PER IL TESTO COMPLETO, VEDI: LUMEN GENTIUM COSTITUZIONE DOGMATICA SULLA CHIESA 21 novembre 1964.
- CAPITOLO I. IL MISTERO DELLA CHIESA. La Chiesa è sacramento in Cristo

_________________________________________________________________

DOMINUS IESUS (6 Agosto 2000) *

"INTRODUZIONE
- 1. Il Signore Gesù, prima di ascendere al cielo, affidò ai suoi discepoli il mandato di annunciare il Vangelo al mondo intero e di battezzare tutte le nazioni: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,15-16); «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,18-20; cf. anche Lc 24,46-48; Gv 17,18; 20,21; At 1,8)".

* PER IL TESTO COMPLETO, VEDI: DICHIARAZIONE "DOMINUS IESUS"
- CIRCA L’UNICITÀ E L’UNIVERSALITÀ SALVIFICA DI GESÙ CRISTO E DELLA CHIESA

- Joseph Card. Ratzinger
- Prefetto

- Tarcisio Bertone, S.D.B.
- Arcivescovo emerito di Vercelli
- Segretario

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Commenti Articolo 775

Titolo articolo : WILLIAM TODD AKIN,di Giancarla Codrignani

Ultimo aggiornamento: August/29/2012 - 13:14:38.

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Autore Città Giorno Ora
Augusta De Piero Udine 29/8/2012 13.14
Titolo:
Sono un'abituale ascoltatrice della rassegna stampa di redio 3, Prima Pagina,trasmissione qualche volta utile per la professionalità del giornalista che la conduce, sempre interessante per le voci degli ascoltatori.
Oggi parecchi interventi vertevano sul parere della Corte europea in merito alla legge 40 e un ascoltatore ha qualificato come nazista la distruzione degli embrioni.
Hai fatto bene, Giancarla, a non fermarti agli USA. Pensiamo anche a noi, almento quanti e quante disponiamo ancora dell'esercizio del pensiero.
augusta

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Commenti Articolo 776

Titolo articolo : Le "imprecisioni" ... della DESTRA BUGIARDA (come si può ancora NON CAPIRE ???).,di Maurizio Sbrana da Lucca.

Ultimo aggiornamento: August/27/2012 - 23:10:11.

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Autore Città Giorno Ora
alessandra oddone savigliano 27/8/2012 23.10
Titolo:più pubblicità a questi articoli
questo articolo l'ho letto per caso facendo scorrere i molto articoli e lettere del dialogo, ma perche non lo evidenziamo di più? mettiamolo si facebook su t...

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Commenti Articolo 777

Titolo articolo : «SUL “PRO MULTIS” IL PAPA SBAGLIA». IL TEOLOGO SCRIVE, L’EDITORE CATTOLICO PUBBLICA, I VESCOVI LEGGONO,di Adista Notizie n. 29 del 28/07/2012

Ultimo aggiornamento: August/26/2012 - 15:22:00.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/7/2012 16.46
Titolo:IL PAPA SBAGLIA ... MA TUTTI OBBEDISCONO!!!
LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!


SE UN PAPA TEOLOGO SCRIVE LA SUA PRIMA ENCICLICA, TITOLANDOLA "DEUS CARITAS EST" ("CHARITAS", SENZA "H"), E’ ORA CHE TORNI A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO!!!


Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/8/2012 12.42
Titolo:"PRO MULTIS. Sulla lettera del 14 aprile scorso ai vescovi tedeschi ...
LITURGIA

Il sangue di Gesù «per molti»
e perché lo riconoscessero

di Mimmo Muolo (Avvnire, 07.08.2012)

La questione del pro multis, sulla quale il Papa si è pronunciato con la lettera del 14 aprile scorso ai vescovi tedeschi, continua a essere approfondita a livello accademico da teologi e liturgisti con contributi sensibili alla riflessione di Benedetto XVI. Tra questi quelli di Francesco Pieri, sacerdote bolognese e docente di liturgia, e di Silvio Barbaglia, presbitero novarese e docente di esegesi dell’Antico e Nuovo Testamento. Il primo ha dedicato all’argomento un libro in uscita per i tipi della Dehoniana Libri (Per una moltitudine. Sulla traduzione delle parole eucaristiche). Il secondo un saggio sulla rivista Fides et Ratio dell’Istituto Superiore di Scienze religiose "Romano Guardini" di Taranto.

In discussione non è in alcun modo l’indicazione pontificia di adottare il pro multis nella liturgia, ma il modo migliore di tradurre l’espressione latina in italiano, dove - come hanno evidenziato autorevoli studiosi e numerosi pastori - dire semplicemente «per molti», dopo decenni di «per tutti», potrebbe anche risultare disorientante. Problema che nella traduzione in tedesco non è stato ravvisato e, infatti, in Germania sta per essere adottata la formula «für viele» e anche in altre parti del mondo (America Latina, Spagna, Ungheria, Stati Uniti) si sta tornando all’uso del «per molti», mentre in Francia si è optato da tempo per l’espressione «per la moltitudine». Una scelta, questa, ritenuta valida sia da Pieri, sia da Barbaglia, il quale ultimo tra l’altro dichiara di essere partito dall’intenzione di dimostrare la maggiore plausibilità della traduzione «per tutti», ma di aver cambiato idea nel corso della sua ricerca.

Vediamo più da vicino la questione. Attualmente al momento della consacrazione del vino il sacerdote dice: «Prendete e bevetene tutti: questo è il calice del mio sangue, per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati». Questa traduzione, entrata in uso con il Messale di Paolo VI, come ricorda Pieri nel suo saggio, era imperniata su un’interpretazione – detta tecnicamente inclusiva e all’epoca unanimemente accolta dagli esegeti – secondo cui il «per molti» di fatto equivarrebbe al «per tutti». Ora, però, come ha ricordato il Papa nella sua lettera ai vescovi tedeschi, su questa tesi non c’è più il «consenso esegetico» di qualche decennio fa. E si impone, dunque, una maggiore fedeltà agli originali neotestamentari che fondano il testo liturgico. I quali originali sono in particolare due: Marco 14,24 e Matteo 26,28. Il pro multis ripreso dalla liturgia latina nelle parole sul calice deriva esattamente da qui.

Ed eccoci al problema della traduzione in italiano. Sia Pieri nel suo testo, sia il teologo Severino Dianich, nella prefazione, ricordano che nella lingua ebraica e nelle lingue antiche l’espressione «per molti» indica semplicemente un grande numero, senza specificare se esso corrisponde o meno alla totalità. Ecco perché Pieri conclude: «Nel caso del pro multis riteniamo che esista una soluzione per avvicinarsi alla lettera della formula senza tradirne il senso. Essa è rappresentata dalla felicissima traduzione del Messale francese, pour la multitude, che sarebbe senza difficoltà adottabile in italiano e probabilmente anche nelle altre lingue romanze: "per la moltitudine" o se si preferisce "per una moltitudine". Una tale traduzione, più vicina alla lettera del Messale romano di quella attualmente in uso, aiuterebbe a dischiudere a un maggior numero di fedeli il cuore stesso della preghiera eucaristica».

Anche per Barbaglia la parola «molti» è portatrice di una natura «indefinita», funzionale ad aprire in termini universali ex parte Dei la destinazione del dono salvifico». Solo Dio conosce l’identità e il numero dei molti. Per cui il biblista piemontese propone di tradurre «per voi e per moltitudini», eventualmente aggiungendo l’aggettivo «immense» , proprio per sottolineare la dimensione indefinita.

Sin qui il dibattito accademico. Resta il fatto che Gesù ha detto «per molti» e non «per tutti». Ma egli non è forse venuto a salvare tutti gli uomini? La risposta di Benedetto XVI è nella già ricordata lettera all’episcopato tedesco: «La ragione vera consiste nel fatto che Gesù in tal modo si è fatto riconoscere come il Servo di Dio di Isaia 53». Cioè, dice il Papa, in tal modo «egli si è rivelato con la figura annunciata dalla profezia».

Mimmo Muolo
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/8/2012 13.10
Titolo:L’Ultima cena ....
L’Ultima cena. Per molti ma non per tutti

di Luigi Accattoli (Corriere della Sera/la Lettura, 12 agosto 2012)

«Questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati»: dice così l’attuale formula della consacrazione del vino in traduzione italiana. Ma da sei anni il Papa chiede che in tutto il mondo si adotti una traduzione letterale del testo latino, che ha «pro vobis et pro multis» e gli episcopati si vanno allineando, ma non quello italiano che vorrebbe mantenere le parole «per tutti». Ne è nata una disputa che vede anche la proposta «per la moltitudine», o «per moltitudini immense».

Il dibattito ha più di quarant’anni e risale alle traduzioni del Messale Romano nelle lingue moderne, all’indomani del Vaticano II. Quella italiana fu approvata da Paolo VI nel 1971. La questione è stata riproposta da papa Benedetto con una lettera ai vescovi della Germania che ha la data del 14 aprile di quest’anno, con la quale si rifaceva a una lettera circolare inviata nel 2006 dalla Congregazione per il culto alle Conferenze episcopali dei Paesi dov’era in vigore la traduzione «per tutti» per invitarle a rimediare. La sollecitazione del Papa teologo fa parte del suo miniprogramma di «riforma della riforma liturgica», com’è stato chiamato da alcuni osservatori.

La lettera del Papa ai vescovi della sua Germania ovviamente vale per gli episcopati di tutto il mondo alle prese con analoghe traduzioni «inclusive» e dunque anche per il nostro. Benedetto nella lettera rifà la storia della traduzione «per tutti», si appella alla più recente traduzione «unificata tedesca» della Bibbia - cioè condivisa da cattolici e protestanti - che è tornata al «per molti» e conclude: «La traduzione di pro multis con per tutti non è stata una traduzione pura, bensì un’interpretazione, che era, e tuttora è, ben motivata, ma è una spiegazione e dunque qualcosa di più di una traduzione». È perciò necessario che essa venga «sostituita dalla semplice traduzione per molti».

Le lingue coinvolte sono tutte le principali, tranne il francese che ha «pour la multitude». La prima Conferenza episcopale ad accettare l’invito del Papa è stata nel 2009 quella dell’Ungheria. Sono seguite alcune Conferenze latinoamericane (Messico, Cile, Argentina, Paraguay, Uruguay, Bolivia), mentre i vescovi spagnoli attendono che venga approvata la nuova edizione del messale che avrà «por muchos» e non più «por todos los hombres». Nelle chiese anglofone «for many» al posto di «for all» è in uso dal 2011. I vescovi del Portogallo hanno votato per la sostituzione del «por todos» con il «por muitos» e attendono il via libera di Roma per la pubblicazione del nuovo messale. In tedesco sta per arrivare il «ffir Viele» voluto dal Papa tedesco al posto di «ffir Alle».

I nostri vescovi - generalmente in prima fila nel seguire i desiderata papali - in questa occasione sono tra i renitenti e si mostrano affezionati al «per tutti», se non altro al fine di risparmiarsi le obiezioni dei partecipanti alle celebrazioni, che direbbero: «Si cambia di nuovo?», ma anche: «Il sangue di Cristo non è sparso per tutti?». Nel novembre del 2010, in una votazione su questa richiesta del Papa, 171 nostri vescovi votarono «no», 11 «sì», mentre solo 4 furono quelli che proposero «per la moltitudine». Ed è oggi verosimile che siano quei quattro ad averla vinta: la soluzione alla francese sta infatti guadagnando terreno tra i nostri studiosi.

Francesco Pieri, prete di Bologna e professore di Liturgia e greco biblico, propone «per la moltitudine» nel volumetto appena uscito Per una moltitudine. Sulla traduzione delle parole eucaristiche (Edb). Un altro studioso, Silvio Barbaglia, prete di Novara e professore di Esegesi, suggerisce «per moltitudini» con un intervento sulla rivista «Fides et Ratio» intitolato Per tutti oppure per molti? I due hanno l’appoggio del decano dei teologi italiani Severino Dianich, prete di Pisa, che firma l’introduzione al volume di Pieri.

Per Pieri «una soluzione per avvicinarsi alla lettera della formula senza tradirne il senso è rappresentata dalla felicissima traduzione del messale francese, pour la multitude, che sarebbe senza difficoltà adottabile in italiano e probabilmente anche nelle altre lingue romanze: per la moltitudine o se si preferisce per una moltitudine. Una tale traduzione, più vicina alla lettera del messale romano di quella attualmente in uso, aiuterebbe a dischiudere a un maggior numero di fedeli il cuore stesso di quella preghiera eucaristica con la quale per oltre un millennio e mezzo l’Occidente ha celebrato la messa, professando la propria fede e alimentando la propria devozione».

«Credo - scrive Barbaglia - che l’espressione letterale più corretta che renda il senso innovativo dato dalla redazione liturgica sia: per voi e per moltitudini. Ma l’espressione pro multis potrebbe anche essere resa con due termini invece di uno: attraverso un sostantivo che esprima l’idea della moltitudine, accompagnato da un aggettivo che ne sottolinei la dimensione in-definita. L’aggettivo della lingua italiana - proveniente dalla lingua latina - che meglio esprime tutto ciò è immenso, che significa senza misura: esattamente la dimensione di ciò che non è delimitato o definito. L’esito dell’analisi qui condotta sarebbe dunque per voi e per moltitudini immense».

Tra le accezioni di «moltitudine» il dizionario Battaglia elenca come sesta - e con una quantità di esempi, dal Pallavicino al Leopardi - quella che indica «l’universalità, la generalità, la maggioranza degli uomini, l’umanità intera». E in questo significato che già l’adottarono i vescovi francesi e che la propongono ora gli studiosi italiani, sostenendo che «moltitudine» corrisponde meglio di «molti» al senso del greco «polloi» che è nei Vangeli (e dell’ebraico «rabbim» che forse fu sulla bocca di Gesù), dal quale viene il latino «multis», perché indica una «quantità senza misura», aperta alla totalità, mentre «molti» nella nostra lingua si oppone a «tutti» e suona quindi come escludente la totalità
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/8/2012 15.22
Titolo:Quell’Ultima Cena con le sedie vuote ...
Quell’Ultima Cena con le sedie vuote

di Bruno Forte (Corriere della Sera, 26 agosto 2012)

«Per tutti» o «per molti?». «Equivalenza dinamica» o «equivalenza formale» nell’esercizio della traduzione? «Corrispondenza letterale» o «corrispondenza strutturale» all’originale? Queste antitesi stanno animando il dibattito («la Lettura», 12 agosto) intorno all’opportunità di modificare la traduzione della formula della consacrazione eucaristica del vino, che nell’attuale versione suona: «Prendete, e bevetene tutti: questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me».

L’espressione dibattuta è quel «per tutti», che - se rende correttamente il senso generale del greco hypér pollôn e del latino pro multis - è tuttavia meno precisa sul piano strettamente esegetico e su quello teologico.

Sul piano esegetico, Papa Benedetto XVI, nella lettera inviata ai vescovi tedeschi sull’argomento (14 aprile), precisa: «Negli anni Sessanta, quando il messale romano, sotto la responsabilità dei vescovi, dovette essere tradotto in lingua tedesca, esisteva un consenso esegetico sul fatto che il termine "i molti", "molti", in Isaia 53,11, fosse una forma espressiva ebraica per indicare l’insieme, "tutti". La parola "molti" nei racconti dell’istituzione di Matteo e di Marco era pertanto considerata un semitismo e doveva essere tradotta con "tutti". Ciò venne esteso anche alla traduzione del testo latino, dove pro multis, attraverso i racconti evangelici, rimandava a Isaia 53 e quindi doveva essere tradotto con "per tutti". Tale consenso esegetico si è sgretolato; non esiste più. Nel racconto dell’Ultima Cena della traduzione unificata tedesca si legge: "Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza, versato per molti". Ciò rende evidente una cosa molto importante: la traduzione di pro multis con "per tutti" non è stata una traduzione pura, bensì un’interpretazione, che era, e tuttora è, ben motivata, ma è una spiegazione e dunque qualcosa di più di una traduzione».

A quest’affermazione viene da alcuni obiettato che «tradurre» è comunque sempre «interpretare»: «Anche laddove lessicalmente possibile, il calco linguistico può nascondere un profondo tradimento del senso» (Francesco Pieri, Per una moltitudine. Sulla traduzione delle parole eucaristiche, Dehonianna, Bologna 2012). Vale, tuttavia, specialmente per il testo sacro e per la lingua liturgica il principio che il linguaggio da usarsi nelle traduzioni ha e deve mantenere una sua alterità, che in certa misura lo sottrae ai gusti spesso effimeri del tempo e delle mode: «La sacra Parola - scrive ancora il Papa - deve emergere il più possibile per se stessa, anche con la sua estraneità e con le domande che reca in sé... La Parola deve essere presente per se stessa, nella sua forma propria, a noi forse estranea; l’interpretazione deve essere misurata in base alla sua fedeltà alla Parola, ma al tempo stesso deve renderla accessibile a chi l’ascolta oggi».

Da una parte, dunque, è bene rispettare l’«estraneità» dell’originale; dall’altra, bisogna cogliere la «coappartenenza» ad esso dell’uditore attuale: «Alla Chiesa è affidato il compito dell’interpretazione affinché - nei limiti della nostra rispettiva comprensione - ci giunga il messaggio che il Signore ci ha destinato... Anche la traduzione più accurata non può sostituire l’interpretazione: fa parte della struttura della Rivelazione il fatto che la Parola di Dio venga letta nella comunità interpretante della Chiesa, che la fedeltà e l’attualizzazione si leghino tra loro».

Ci si deve muovere, dunque, fra Scilla e Cariddi, anche se è evidente che tutte le soluzioni intermedie, per quanto apprezzabili, siano inevitabilmente compromissorie. Così quella preferita dai vescovi francesi - pour la multitude - o l’altra con l’articolo indeterminativo, sostenuta nel citato libro di Pieri: «per una moltitudine», così argomentata: «Moltitudine si oppone a pochi, ma non si oppone a tutti e lascia aperta l’interpretazione in tal senso». L’uso dell’articolo indeterminativo rimanderebbe anche alla traduzione italiana di Apocalisse 7,9, riferita ai salvati: «Ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani».

All’argomentazione esegetica va unita quella teologica, a mio avviso particolarmente chiarificatrice: mi riferisco alla distinzione comune nella tradizione teologica fra redemptio objectiva e redemptio subjectiva. La ripropone, ad esempio, un geniale tomista del secolo scorso, il canadese Bernard Lonergan: «È vero che Cristo è la causa efficiente necessaria a che noi compiamo opere salutari... ma non è vero che tutta l’opera di Cristo per noi si riduca alla ragione efficiente ed esemplare, in quanto la redenzione come mezzo o, come talvolta si dice, la redenzione oggettiva vuol dire più di questo» (traduzione del De bono et malo. Supplementum). Quale sia questo di più, lo si comprende dalla necessità del libero assenso della creatura all’opera del Redentore: se «la redenzione obiettiva si riferisce all’opera di Cristo compiuta per amore nostro», la redenzione soggettiva è il nostro appropriarci del dono gratuitamente offertoci dal Salvatore attraverso l’adesione ad esso.

Mi sembra allora corretto ragionare così: col «per tutti» si mette bene in luce la redenzione oggettiva, la destinazione universale del dono della salvezza offerta in Cristo; col «per molti», presupponendo ovviamente il dato oggettivo, si mette in luce la dignità e la necessità della libera scelta di ciascuno. Teologicamente, mi sembra insomma più rispettosa della libertà di ognuno la traduzione «per molti», che peraltro in nessun modo esclude l’offerta della salvezza a tutti fatta da Gesù in Croce. Per questo preferisco la traduzione "per molti" e ritengo che ben spiegata possa essere di aiuto e di stimolo a tanti.

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Commenti Articolo 778

Titolo articolo : 2012 DOPO CRISTO: L'ITALIA ANCORA E DI NUOVO SOTTO LA FINESTRA-BALCONE DI BENEDETTO XVI. L’appello del cardinale Bagnasco e l’operoso Ferragosto del "centro" per il Governo Monti. Note di Orazio La Rocca e di Francesco Lo Sardo,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: August/14/2012 - 14:54:13.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/8/2012 10.39
Titolo:I VESCOVI, IL MERCANTEGGIARE, E LA RETORICA ...
Mai mercanteggiare

di Enrico Peyretti

dell'11 agosto 2012

Mai «mercanteggiare » sui valori cristiani, dice il card. Bagnasco.
Bene. Non è un valore (anche) cristiano il "non uccidere"? Eppure su questo la chiesa cardinalizia "mercanteggia" con la ragion di stato nel giustificare la guerra (chiamata pace), in casi che praticamente al 100% non sono quei singoli rari casi tragicamente estremi in cui uccidere per non lasciar uccidere può diventare una orrenda necessità (un male, ma meno grave di quello che si cerca di evitare, come fu la collaborazione di Bonhoeffer al complotto contro Hitler).

Praticamente sempre le guerre di oggi (ora lasciamo stare il passato), terribilmente predisposte con la gigantesca e piratesca economia di rapina e di guerra, non sono contrastate con "parresia" evangelica dalla chiesa.

E così la pena di morte inflitta per legge (e anche contro la legge) dagli stati con cui la chiesa vuole restare amica, secondo il magistero di Costantino, da 1700 anni.

E così l'economia dell'ingiustizia sistematica, a cui le strutture ecclesiastiche non di rado partecipano.

E così, non è stato un vero "mercanteggiare" con Berlusconi e i suoi misfatti politici quello della chiesa gerarchica italiana per tanti anni, in cambio di vantaggi materiali?

Cosa tutta diversa dal mercanteggiare è la mediazione politica, per la quale, se non si ottiene libero consenso democratico legale sulla maggiore giustizia, nella società pluralistica, si accettano dei
passi intermedi, nella direzione giusta, ma senza mai cessare di dichiarare, ricordare e proporre il valore evangelico intero, come la pace e la giustizia, negando la collaborazione dei cristiani alla
guerra e all'offesa pianificata della vita e della dignità umana.

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Guerra e pace
di Aldo Maria Valli (Europa, 10 agosto 2012)

Titolo a tutta pagina: “Eroi per la pace”. La pagina è quella dedicata alle inchieste più importanti e il giornale è Avvenire, quotidiano dei vescovi italiani. Si parla «missioni di pace» dei militari italiani nel mondo e di un’associazione che sta per nascere, per raccogliere i reduci e le famiglie dei caduti, dall’Afghanistan all’Iraq, dal Libano alla Somalia. C’è anche un’intervista a monsignor Vincenzo Pelvi, arcivescovo e ordinario militare, in pratica la guida dei cappellani militari. Il paginone è corredato da una grande foto di soldati italiani con il mitragliatore in pugno, sullo sfondo un mezzo blindato.

Poi c’è anche la foto di un soldato che agita un tricolore. Il tono generale pagina è dato da due frasi dell’arcivescovo: «Chi avvicina i reduci avverte la serenità di chi ha seminato giustizia». E poi quella ripresa nel titolo: «Essere cristiani ed essere militari non sono dimensioni divergenti, ma convergenti, perché la condizione militare trova il suo fondamento morale nella logica della carità».

Passano ventiquattro ore e il paginone di Avvenire provoca una dura reazione di Pax Christi, il movimento cattolico internazionale alla cui presidenza c’è l’attuale vescovo di Pavia, monsignor Giovanni Giudici. «Eroi per la pace o vittime della guerra?» si chiede l’associazione in un documento, firmato per ora da trenta parroci di tutta Italia, che stigmatizza «l’insopportabile retorica» del servizio e giudica inaccettabile l’idea circa la convergenza dell’essere cristiano e soldato. «Da sempre l’esperienza cristiana ci ha impegnato nella cura della missione e ci scandalizziamo ogni volta che un cristiano infanga questo valore confondendolo con le guerre, chiamate appunto missioni di pace ma in realtà avventure senza ritorno».

La sola «missione» in Afghanistan, nota Pax Christi, costa due milioni di euro al giorno. Non sarebbe stato meglio investirli in ospedali, scuole e acquedotti? Parliamo tanto delle vittime italiane, ma dei morti afghani o iracheni chi si occupa? «Chiediamo di aprire un confronto serio e schietto sul tema della guerra, del servizio militare e della presenza dei cappellani tra i militari». Di questo, dicono i firmatari, dovrebbe occuparsi il giornale cattolico. Magari ricordando quei cattolici (come il tedesco Franz Jägerstätter, ucciso dai nazisti) che sacrificarono la propria vita pur di ribadire il no all’uso delle armi.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/8/2012 14.54
Titolo:Don Aldo Antonelli, al direttore di "Avvenire" ....
Lettera aperta al direttore di AVVENIRE *

Un minestrone di luoghi comuni, una brodaglia di affermazioni generiche, una collezione di citazioni anche autorevoli e di alto spessore, incollate tra loro, però, da una ideologia militarista, servile e di comodo. Noi, caro direttore, non siamo daltonici; e sappiamo distinguere il rosso del sangue delle vittime dal nero del sangue dei carnefici. E sappiamo distinguere, negli stessi soggetti, in questo caso i nostri soldati, ma senza indifferenziate giustapposizioni, la loro parte di oppressi e il loro ruolo inconsapevole, ma reale, di oppressori. Quando affermiamo che “il sangue degli uomini e delle donne non ha nazionalità” è per contestare e contrastare il narcisismo nazionalistico della retorica militare e non, con sembra far lei, per accomunare indistintamente carnefici e vittime, occupanti ed occupati, colonizzatori e colonizzati.

A dividerci, caro direttore, sembra esserci un “pre-giudizio” sulla guerra che per noi è sempre una sconfitta della ragione ed una sciagura per l’umanità, mentre per lei sembra rivestire i panni della dignità, morale oltre che politica, in un mondo nel quale la politica stessa è diventata il proseguimento della guerra con altri mezzi.

C’è un passaggio, nella sua lettera, in cui riporta questo lamento di Benedetto XVI: «Purtroppo talora altri interessi - economici e politici - fomentati dalle tensioni internazionali, fanno sì che questa tendenza costruttiva trovi ostacoli e ritardi». Ci farebbe piacere quando mai il suo giornale ha denunciato “questi interessi”, in maniera puntuale ed in equivoca, smascherando così il vero, triste volto di morte degli eserciti asserviti al Potere.

*

- Don Aldo Antonelli
- (uno dei 78 sacerdoti firmatari dell’appello “Eroi per la Pace o Vittime della Guerra?”

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Commenti Articolo 779

Titolo articolo : Benedetto XVI e la crisi del papato in quanto forma istituzionale. "I corvi, il papa e la posta in gioco". Un'analisi di Aldo Maria Valli - con alcune note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: August/12/2012 - 16:49:08.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/6/2012 20.15
Titolo:La Chiesa cattolica ha esercitato per un millennio il suo potere temporale ...
«La gerarchia italiana fa fatica ad abituarsi all’internazionalizzazione della Chiesa»

intervista a Manlio Graziano*,

- a cura di Isabelle de Gaulmyn

- in “La Croix” del 13 giugno 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Questi scandali mostrano gli stretti legami che uniscono ancora il Vaticano agli affari italiani. Come spiegare questo legame?

Innanzitutto con la storia. La Chiesa cattolica ha esercitato per un millennio il suo potere temporale su una grande parte del territorio della penisola e, anche al di fuori dello Stato pontificio, il clero è stato per moltissimo tempo il più importante proprietario fondiario (del resto, non solo in Italia).
- Tale posizione ha necessariamente lasciato delle tracce, ma in Italia più che altrove, perché, fin dalla sua nascita, lo Stato italiano ha sempre tenuto in considerazione gli interessi della Chiesa. Nella memoria dei responsabili politici italiani, infatti, la mobilitazione organizzata dalla Chiesa, che aveva provocato la caduta della Repubblica napoletana del 1799, è rimasta un ricordo indelebile.
- Al momento della presa di Roma, la prima decisione del governo italiano è quindi stata di esentare l’antico Stato pontificio, per un periodo di due anni, dall’applicazione delle leggi di soppressione dei benefici ecclesiastici, e la seconda di votare delle leggi di garanzia (le guarentigie) a favore della persona e dei beni del papa e del Vaticano.
- Durante la sospensione delle leggi dette “anticlericali” a Roma, fu il clero stesso che alienò gran parte delle sue proprietà fondiarie e fece nascere un grande impero finanziario (che in Italia viene chiamato “le banche cattoliche”), che da allora è uno dei protagonisti, di cui non si può non tener conto, della vita economica (e quindi politica) del paese. Ma non tutte le proprietà in mano al clero sono state alienate o espropriate in seguito. Secondo diverse fonti, la Chiesa conserverebbe oggi ancora un controllo diretto o indiretto sul 20-25% del patrimonio immobiliare italiana, e gli accordi del Laterano del 1929 lo autorizzavano a non pagare imposte su tali proprietà.

Gli italiani della Santa Sede conservano uno stretto legame con quanto succede nella Chiesa italiana?

Per rispondere a questa domanda, bisogna fare una distinzione tra i cittadini della Repubblica italiana che lavorano per una delle istituzioni della Città del Vaticano, e i vescovi e i cardinali italiani che lavorano nel governo centrale della Chiesa universale. Questi ultimi mantengono certo un legame molto forte con la Chiesa della penisola, e molti di loro fanno ancora fatica ad abituarsi all’internazionalizzazione della Chiesa di Roma. È comunque certo che l’Italia resta il pilastro su cui si basa la Chiesa universale. Questo autorizza una parte della gerarchia di origine italiana a mantenere una certa ambiguità, arrivando a volte perfino a pensare che il governo della Chiesa universale le spetti di diritto. Ora, dal 1978, la direzione centrale della Chiesa è affidata ad un nonitaliano, e oggi sappiamo che una delle ragioni dell’elezione di Karol Wojtyla fu proprio la volontà di sottrarre la Chiesa universale ai conflitti che dividevano i cardinali italiani.

Quali sono le poste in gioco, per la Chiesa italiana, di questa prossimità col Vaticano?

Come ho appena detto, la Chiesa italiana, in generale, si sovrastima. La vicinanza ai sacri palazzi, il suo ruolo storicamente decisivo, l’obiettiva importanza della penisola come “laboratorio” nel quale le scelte del papa e della gerarchia sono sperimentate, e il fatto di rappresentare un “polmone” per l’amministrazione e per il governo della Santa Sede: tutto questo dà ai responsabili della Chiesa italiana la sensazione di potersi in qualche modo “sottrarre” alle regole di funzionamento che sono imposte a tutte le altre Chiese nazionali in nome della centralizzazione della Chiesa universale.

* insegnante di geopolitica e di geopolitica delle religioni alla Sorbona Parigi IV e all’American Graduate School di Parigi, autore di Identité catholique et identité italienne. L’Italie laboratoire de l’Église (Parigi, 2007) et Il secolo cattolico. La strategia geopolitica della Chiesa (Roma, 2010)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/6/2012 21.10
Titolo:La crisi del Vaticano II: pesa la collegialità mancata
La crisi del Vaticano II: pesa la collegialità mancata

di Alberto Melloni (Corriere della Sera - La Lettura, 17 giugno 2012)

Il Vaticano II non ha tratto grandi benefici dalla stagione nella quale andava di moda. Le sue intuizioni più profonde sono spesso state banalizzate, le sue esigenze più imperative disattese. Adesso il vento dei vezzi ha girato e quelli che si vergognavano di non capirlo, o che osavano dare alle proprie pigrizie spirituali il venerando nome di Tradizione, fanno sogni impossibili. Questa galassia, alla quale Benedetto XVI ha regalato molti gesti di indulgenza, anziché accontentarsi e ringraziare, si è montata la testa.

Alcuni di loro, come padre Gherardini, supplicano da tempo un declassamento del Vaticano II a concilio adogmatico: così da liberarsi di quelle decisioni che hanno ridisegnato il volto ecumenico, interreligioso e eucaristico della Chiesa. E trovano talora sostegno inatteso in una storiografia che sente ormai di aver le prove che il Concilio si è svolto dopo la metà del secolo XX, quasi di sicuro all’inizio degli anni Sessanta, e che, testi alla mano, può dimostrare che in esso affiorano convinzioni religiose di chiara impronta cristiana...

Altri si sono ormai convinti che con poco - un altro decano o un altro segretario di Stato o un’altra infornata o addirittura un altro Papa - si potrebbe davvero seppellire il Concilio e saltare a un punto imprecisato del tempo, all’indietro o se mai in avanti, come se davvero l’esperienza fondamentale del cristianesimo fosse cruda materia, pensabile fuori da una storia. Ma al di là delle mode il Vaticano II rimane al centro della vita cristiana e della Chiesa cattolica, nelle sue decisioni cruciali sulla liturgia, la rivelazione, il ministero, la pneumatologia, la libertà, l’alleanza di Israele, l’alterità, la povertà.

Certo, ci sono decisioni che gli furono sottratte, e che si rischia talora di leggere come lacune. Paolo VI, com’è noto, ritenne che c’erano temi talmente delicati e complessi che il Papa li avrebbe risolti meglio da solo che non con un’assemblea: la guerra nell’era della deterrenza nucleare, il celibato ecclesiastico, la riforma della Curia romana, la contraccezione, la pratica della collegialità episcopale. Nodi che hanno isolato, tormentato, e alla fine schiacciato papa Montini. Giovanni Paolo II li ha letteralmente «sorvolati» col suo stile di non-governo. E sono rimasti lontani dall’agenda di Benedetto XVI.

A partire da quello più «latino» e più istituzionale di tutti che è la forma del governo ecclesiale. I1 Vaticano II, infatti, indicò la via della collegialità - che non è una specie di «democrazia», ma la conseguenza di un modo di vedere la Chiesa universale e le Chiese particolari in un dinamismo di comunione che nasce dal sacramento episcopale e non da una concessione del Papa o da un diritto dal basso.

Quella indicazione non è stata ubbidita: né nelle riforme della curia, né in quella del Codice di diritto canonico e neppure quando una enciclica wojtyliana - Ut unum sint - pose la questione della fisionomia del ministero petrino.

Ma se il Vaticano II non ha voluto costringere, non è stato per debolezza e nemmeno perché ignorava che la nostra storia sarebbe stata rapida: è stato il suo stesso modo d’essere e la convinzione che a esso toccasse iniziare, dare responsabilità. Che con quell’inizio e responsabilità ci si misuri malvolentieri non è colpa del Concilio, ma di chi esita.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/6/2012 16.22
Titolo:PARADOSSI DI UNA FINE ....
Paradossi di una fine di pontificato

di Stéphanie Le Bars

in “Le Monde” del 16 giugno 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Furti, macchinazioni, complotti, tradimenti, minacce: il Vaticano ha forse fatto in queste ultime settimane un salto indietro di secoli? Sembra perfino che la morte si aggiri nei vicoli lastricati di Roma, se si deve credere all’ex presidente della banca del Vaticano: congedato in fretta dal suo incarico, il 23 maggio, Ettore Gotti Tedeschi ha assicurato poco dopo di “temere per la sua vita”. Nemmeno un anno, o quasi, di pontificato di Benedetto XVI, è stato risparmiato da scandali e rivelazioni che hanno dato una coloritura “noir” ai metodi di governo di alcuni gerarchi della “Chiesa universale”. Iniziato nel 2005 come regno di transizione di un papa anziano e poco intraprendente, questo pontificato sconfina, per certi aspetti, nel tragico.

Dopo gli scandali di pedofilia e i numerosi casi di incomprensione tra il papa e il mondo, ora i Vatileaks, queste pubblicazioni di lettere confidenziali sulla stampa, delineano dei contorni di una fine regno paradossale. Benedetto XVI sembra come superato dalla vastità dei cantieri che lui stesso ha dovuto aprire, suo malgrado. E non è certo che l’energia e il tempo che gli restano gli bastino per rimettere ordine nella curia, per ristabilire la fiducia e restaurare un’immagine appannata.

Eppure Benedetto XVI sapeva che cosa doveva aspettarsi. Poco prima della sua elezione, il cardinale Ratzinger aveva fatto una diagnosi terribile. “Spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli!”, aveva affermato durante la Via Crucis nel 2005. Ahimè! La politica di “trasparenza e di purificazione”, rivendicata da allora dal papa in materia finanziaria o sul problema della morale del clero, si scontra con le resistenze all’interno della curia e negli episcopati. Certo, affinché che “la barca” trovasse acque meno torbide, sarebbe stato necessario un papa politico, esperto nell’amministrazione degli uomini e in grado di sventare gli intrighi vaticani, un’arte italiana nella quale eccellono i membri della curia. Benedetto XVI è l’esatto contrario. Prima di tutto teologo, ha fatto una scelta diversa. Con una costanza che suscita l’ammirazione dei suoi sostenitori ma spiega in parte le disavventure del pontificato, l’ottuagenario ha preferito dedicare le sue forze alla restaurazione di una fede cattolica che considera in pericolo.

Costantemente, quindi, il papa invita i credenti a ritrovare “la lettura della parola di Dio”, a ritornare “al sacro”, a difendere posizioni “non negoziabili” in materia di morale, a mostrarsi fedeli alla “tradizione della Chiesa”, al punto da fare promesse agli integralisti contrari alla modernità... Questa strategia è adatta al “nocciolo duro” dei credenti. Ma non per una gestione politica e umana della Chiesa, tale da renderla più efficiente e seducente.

Così, dopo sette anni di pontificato, le riforme in materia di trasparenza e di governance, che il suo predecessore Giovanni Paolo II non aveva saputo né voluto intraprendere, restano incompiute. Dovendo affrontare scandali ricorrenti nel funzionamento dell’Istituto delle Opere di Religione (IOR), il Vaticano è stato spinto dagli organismi europei a mettere la sua banca in regola con le norme internazionali di lotta al riciclaggio di denaro sporco, per avere la possibilità di essere inserito nella “white list” dei paesi virtuosi. Le recenti fughe di documenti e la destituzione a sorpresa di Gotti Tedeschi fanno pensare che non tutti condividano l’opinione del papa e/o i metodi impiegati.

Lo scandalo Vatileaks ha messo in luce ciò che molti osservatori avevano già notato: una polarizzazione sulla persona del cardinal Bertone, numero due del Vaticano e fedele a Benedetto XVI, alimentata dall’importanza crescente dei suoi amici italiani negli affari della curia e nelle poste in gioco della successione. Se dovesse essere fatto oggi un conclave, gli italiani sarebbero presenti con 30 elettori su 125.

Questa situazione rende difficile per il Vaticano l’uscita dal suo italocentrismo, nel momento in cui la mondializzazione e le sfide che si presentano alla Chiesa (scristianizzazione da un lato, corruzione dall’altro, concorrenza, altrove, con il protestantesimo o con l’islam...) esigerebbero uno sguardo plurale, collegiale e nuovo sulle situazioni dell’istituzione. Ma la Chiesa resta segnata da un centralismo mortifero; il papa e le persone a lui vicine si muovono in un universo da “ancien régime”, in cui vige una “benevolenza fraterna”, dove i cattivi soggetti vengono spostati senza essere mai, o quasi mai, sanzionati. Al contempo, una parte dei fedeli e del clero hanno fatto proprie le esigenze di trasparenza, di individualismo, di democrazia, di concertazione delle società moderne e del loro funzionamento attraverso le reti.

Non avendo tenuto conto di queste nuove realtà, certe decisioni prese a Roma vengono contestate in Germania, negli Stati Uniti o in Giappone. Ci sono credenti fanno enormi sforzi per restare “cattolici”, ma il “cattolicesimo romano” verticale e onnipotente non sta più loro bene. Perfino dei preti arrivano a definirsi ufficialmente “disobbedienti”. Nel momento in cui occorrerà fare un bilancio, la “Chiesa universale” che sarà lasciata in eredità da Benedetto XVI al suo successore potrebbe rivelarsi addirittura più fragile e frammentata che non profondamente “purificata” e rinnovata.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/8/2012 16.49
Titolo:Il corvo paga per tutti? Una foglia di fico ....
Il corvo paga per tutti?

di Aldo Maria Valli

in “Europa” dell'11 agosto 2012


Rinvio a giudizio per Paolo Gabriele, l’ex aiutante di camera di Benedetto XVI. L’esito dell’istruttoria, che sarà comunicato da padre Federico Lombardi lunedì mattina, sembra questo.

Con l’accusa di furto aggravato di documenti riservati, dopo una lunga detenzione e ora agli arresti domiciliari, il maggiordomo dovrà dunque affrontare il processo, in autunno, e lo farà da solo, visto
che ha detto di aver agito senza complici. Si parla della possibilità che il papa conceda la grazia, il che non dovrebbe comunque evitare il processo.

Dall’istruttoria sarebbe emerso che Gabriele, detto Paoletto, ha trafugato i documenti, consegnandoli al giornalista Gian Luigi Nuzzi e tenendone un bel po’ in casa (sia nell’appartamento vicino a Porta Sant’Anna, sia in quello di Castel Gandolfo), per «il bene del papa». Pensava che la sua azione avrebbe contribuito a fare pulizia nei sacri palazzi, mettendo allo scoperto affarismo e trame di potere e aiutando il papa a disfarsi dei collaboratori infedeli. Una ben strana operazione trasparenza, condotta, quanto meno, in modo un po’ avventato.

Come dimostra il risultato, al momento opposto a quello desiderato da Gabriele: il papa ha infatti confermato nella sua carica il segretario di stato Bertone, obiettivo numero uno della manovra del Corvo, e lo ha ricoperto di elogi con una lettera affettuosa. Restano sul campo tante domande.

Possibile che Gabriele, novello Don Chisciotte, abbia fatto tutto da solo? Possibile che l’iniziativa sia stata tutta sua? Tutta sua la strategia? Tutta sua la decisione di rivolgersi a Nuzzi e non ad altri
giornalisti? A quanto pare il Vaticano intende pubblicare la sentenza del giudice istruttore Bonnet e la requisitoria del promotore di giustizia Picardi. Sarà così possibile, si spera, entrare nei dettagli
della vicenda.

Ma se anche questi documenti dovessero confermare che il corvo ha volato da solo sarà difficile non restare scettici. E peggio ancora sarebbe se i documenti dovessero essere pubblicati, come si vocifera, con omissis.

Veramente l’accusa sarà soltanto di furto aggravato e non anche di divulgazione dei documenti? La domanda è decisiva, perché nel primo caso ci sarebbe una contraddizione evidente con la tesi secondo cui l’accusato ha agito da solo. Se lui ha solo rubato, qualcun altro ha trafugato. Il legale di Gabriele, avvocato Fusco, ha ripetuto che nella vicenda non ci sono né mandanti né complici, ma la tesi del cavaliere solitario, oltre a non convincere, assomiglia troppo a una foglia di fico.


Specialmente considerando il fatto che in Vaticano anche i muri hanno orecchie e mantenere un segreto, per di più di questa entità, è veramente un’impresa da superprofessionista dell’intelligence,
cosa che Paoletto non è. L’appuntamento con i giornalisti è stato rimandato più volte, segno che la stesura dei documenti non è stata agevole.

Alla fine il papa ha voluto incontrare a Castel Gandolfo i tre cardinali che hanno formato la commissione d’indagine (Herranz, De Giorgi e Tomko), i magistrati vaticani, il comandante della
gendarmeria Giani e il neoconsulente per la comunicazione, il giornalista americano Greg Burke.

Non c’era Bertone, perché in vacanza (ma non poteva prendere un aereo e farci un salto, visto il suo ruolo decisivo?). Ultima annotazione. Paoletto durante gli interrogatori ha detto che era lui il corvo
camuffato e irriconoscibile apparso nella trasmissione televisiva Gli intoccabili in febbraio.

Ma
quella volta disse che di corvi in Vaticano ce n’erano diversi, almeno una ventina. Depistaggio o
voce dal sen fuggita?

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Commenti Articolo 780

Titolo articolo : Risposta alla “Lettera Aperta” sulla Siria,di Patrick Boylan, NoWar – Roma; U.S. Citizens for Peace & Justice - Rome

Ultimo aggiornamento: August/11/2012 - 19:37:22.

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Autore Città Giorno Ora
Indignato italiano Viterbo 11/8/2012 19.37
Titolo:ma questo è un prete?
Per costui gli appelli del Papa sono meno importanti che la sua voce ispirata...

Padre dall’Oglio: “In Siria l\'Onu deve intervenire con le armi”

Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/padre-oglio-siria#ixzz23GAxnS58

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Commenti Articolo 781

Titolo articolo : LE RELIGIOSE AMERICANE, UN VIVAIO DI INIZIATIVE, E IL SOCIOLOGO CHARLES TAYLOR AGGIOGATO AL CARRO DEL VATICANO. Una sua intervista a "la Croix", tradotta e tradita dal giornale dei Vescovi. Una nota di "Fine Settimana",a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: August/10/2012 - 13:30:45.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/7/2012 13.12
Titolo:Religiose americane: dall’inchiesta all’intervento ...
Religiose americane: dall’inchiesta all’intervento

di Massimo Faggioli

in “Il Regno” di maggio 2012


Il 18 aprile 2012 la Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato un “Doctrinal Assessment” circa la maggiore organizzazione delle religiose statunitensi, la LCWR (Leadership Conference of Women Religious, che rappresenta circa l’80% delle 57.000 suore americane).

In questo documento di otto pagine pubblicato in inglese la Congregazione denuncia “seri problemi dottrinali in molti che vivono la vita consacrata” all’interno di ordini religiosi membri della LCWR.
La CDF individua tre ambiti critici: i discorsi tenuti da alcuni invitati alle assemblee della LCWR (si fa riferimento al discorso tenuto da suor Laurie Brink a un’assemblea del 2007[1]); una “politica
di dissenso collettivo” rispetto agli insegnamenti del magistero della chiesa in particolare negli ambiti della sessualità, dell’omosessualità e sul sacerdozio femminile (Ordinatio sacerdotalis di Giovanni Paolo II); la presenza nella cultura della LCWR di temi tipici del “femminismo radicale”.


Le suore americane erano finite sotto osservazione già nel 2008-2011, con una visita apostolica iniziata col cardinale prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata, Rodè (in
seguito ad una segnalazione ricevuta dall’ala più conservatrice delle religiose americane, che non fanno parte della LCWR): la visita apostolica si era conclusa alla fine del 2011 con un rapporto
presentato alla Santa Sede che non aveva evidenziato problemi urgenti[2]. Il documento dell’aprile 2012 riguarda invece una “indagine dottrinale” e ricorda che la decisione della CDF di procedere a questa indagine sulla LCWR era iniziata anch’essa nel 2008 ed era stata comunicata dal cardinale Levada alle indagate nell’aprile 2008. L’indagine della CDF è durata tre anni, e i risultati del rapporto dottrinale erano stati presentati al papa già nel gennaio 2011: quindi è da oltre un anno che le religiose americane sono nei dossier della CDF per un’azione di “riforma della LCWR” a cui la Santa Sede vuole procedere ricorrendo “alle varie forme di intevento canonico disponibili”.

La decisione annunciata il 18 aprile 2012 prefigura un’azione in più punti: rivedere gli statuti della LCWR, rivedere i programmi della LCWR, creare nuovi programmi di formazione per provvedere ad una più profonda comprensione della dottrina della chiesa, offrire sostegno
nell’applicazione dei testi e delle norme in materia liturgica, rivedere i legami di LCWR con organizzazioni affiliate.

La CDF, guidata dall’americano cardinale Levada, ha nominato una
commissione di tre vescovi degli Stati Uniti guidata dall’arcivescovo di Seattle, Sartain e composta dal vescovo di Toledo, Blair, e dal vescovo Paprocki di Springfield (Illinois).

Se i canonisti americani hanno reagito alla notizia notando che l’iniziativa prefigura, dal punto di vista giuridico, l’alternativa tra adeguarsi alle direttive vaticane o affrontare la perdita del carattere di organizzazione di religiose riconosciuta dal Vaticano, dal canto suo la LCWR si è detta “sbalordita” dalle conclusioni del rapporto. La notizia ha avuto grande impatto nella chiesa americana e ha sollecitato una presa di posizione in favore delle suore da parte di tutta la stampa cattolica liberal, ma anche di figure di “teologi pubblici” noti per la loro moderazione (da James Martin SJ di America Magazine a R. Scott Appleby dell’Università di Notre Dame)[3].

La questione ha raggiunto anche la grande stampa laica, inclusa la New York Review of Books, con la penna del noto intellettuale cattolico Garry Wills[4].


Dal punto di vista ecclesiale non è chiaro quale tipo di supporto l’ultima iniziativa della CDF incontrerà, se si tiene conto della freddezza che la visita apostolica del 2009-2010 aveva incontrato presso i vescovi americani. Ma negli ultimi tre anni il clima è cambiato: la leadership dei vescovi è passata all’energico cardinale di New York Dolan, è aumentato l’attivismo dei vescovi sul piano interno ecclesiale come sul piano del confronto con la politica (e con l’amministrazione democratica di Obama specialmente) ed è cresciuta la consonanza con Roma (anche grazie ad una serie di recenti nomine episcopali di grande rilievo ecclesiale e politico, tra cui New York, Los Angeles, Philadelphia, Baltimora).

C’è da chiedersi quale ruolo giochi, in questo giudizio dottrinale
sulla LCWR, la lotta interna alla chiesa cattolica sull’approvazione della riforma sanitaria di Obama, pubblicamente appoggiata dalle suore americane e fieramente combattuta dai vescovi perché non abbastanza pro-life. Ma non vi è dubbio che agli occhi della gran parte del laicato cattolico (specialmente di quello che ebbe la fortuna di frequentare le scuole cattoliche gestite dalle suore) questa azione della CDF non è altro che l’ultima puntata di una serie di iniziative volte a disciplinare le donne nelle chiesa: il caso della teologa Elizabeth Johnson nel 2011[5], la battaglia contro la contraccezione, la posizione del magistero sul sacerdozio femminile.

Quello che invece ha colpito maggiormente l’opinione pubblica in generale è stata l’accusa rivolta alla LCWR di rivolgere troppa attenzione alle questioni di giustizia sociale e di non impegnarsi adeguatamente per la difesa del magistero sulle questioni di morale sessuale e di difesa della vita.

È un capo d’accusa, questo, che a suo modo rappresenta in modo veritiero la scelta di un campo d’azione compiuta dalle religiose americane dal concilio Vaticano II a questa parte, e che rende le suore americane care e preziose agli occhi di molti cattolici e non solo. Ma in America il cattolicesimo è diventato parte integrante (se non il motore principale) della “culture war” attorno ai “valori”, e questa azione disciplinare proveniente da Roma non ha fatto altro che rinsaldare i due fronti, ecclesiali e politici: in un anno in cui la cosiddetta “war on women” è una delle questioni della campagna e della matematica elettorale per le presidenziali del novembre prossimo.


[1] Per il testo di quel discorso di Laurie Brink e due accurate analisi da parte di M. Wilson O’Reilly e di F.X. Clooney si vedano rispettivamente i blog di Commonweal
-http://www.commonwealmagazine.org/blog/?p=18612 e di America Magazine
-http://www.americamagazine.org/blog/entry.cfm?blog_id=2&entry_id=5075.

[2] Cfr. Regno-att. 16,2009,534 e 20,2009,667-669. Per il rapporto finale della visita apostolica, pubblicato nel gennaio 2012, http://www.apostolicvisitation.org/en/materials/close.pdf

[3] Tra le eccezioni di rilievo, il National Catholic Register, che non ha caso ha ricondotto la vicenda allo scontro del 2010 tra i vescovi americani e suor Carol Keehan, presidente della “Catholic Health Association of the United States”, in occasione della riforma sanitaria dell’amministrazione Obama.

[4] G. Wills, Bullying the Nuns http://www.nybooks.com/blogs/nyrblog/2012/apr/24/bullying-nuns/.

[5] Cfr. Regno-att. 8,2011,238.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/7/2012 11.07
Titolo:I VESCOVI USA E LA RIFORMA SANITARIA...
Accolto il ricorso dei Vescovi Usa
Rischia la riforma sanitaria di Obama

"È bastato un mese alla Chiesa cattolica americana per rispondere alla battaglia vinta da Obama di fronte alla Corte Suprema a difesa della sua riforma sanitaria.""Portano loro (i cattolici), oggi, la bandiera del primo emendamento: ispirano il conservatorismo americano; intravedono il trionfo contro Obama." (cit. da: Marco Ventura, Corriere della Sera, 30 luglio 2012)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/7/2012 11.37
Titolo:L'AMERICA E IL SINODO DEI VESCOVI 2012: BENEDETTO XVI ALL'ATTACCO .....
La guerra che verrà. L’ultima offensiva di Roma contro il Vaticano II

di John Sivalon

da Adista Documenti n. 24 del 23/06/2012

DOC-2451. SCRANTON-ADISTA. Qual è la relazione tra il recente commissariamento, da parte del Vaticano, del massimo organismo di rappresentanza delle religiose statunitensi (Lcwr, v. Adista Notizie n. 16/2012) e la “barricata” che papa Ratzinger sembra ergere da tempo, nella Chiesa, contro il Concilio Vaticano II?

A collegare i vari punti del disegno è p. John C. Sivalon, ex superiore generale della Congregazione religiosa di Maryknoll ed attualmente docente di teologia presso l’Università di Scranton (Pennsylvania), in un articolo pubblicato il 27 maggio sul sito di sostegno alle religiose www.istandwiththesisters.org. Per Sivalon, in realtà, il peggio deve ancora venire: l’attacco più forte allo spirito del Vaticano II arriverà il prossimo ottobre, con l’apertura del Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana. Riportiamo l’articolo, intitolato «Il Vaticano dichiara l’Anno dell’attacco» in una nostra traduzione dall’inglese. (l. e.)


L’ANNO DELL’ATTACCO

di John Sivalon

Sotto il pretesto di un “Anno della Fede”, il Vaticano ha lanciato un attacco frontale contro qualunque teologia o interpretazione del Vaticano II basata su quella che viene definita come “ermeneutica della rottura”. Tale attacco teologico viene articolato nel documento di Benedetto XVI noto come Porta Fidei (la lettera apostolica con cui è indetto l’Anno della Fede, ndt) e si precisa ulteriormente nella “Nota con indicazioni pastorali per l’Anno della Fede” elaborata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Entrambi i documenti sono citati dal card. Levada nella sua Valutazione dottrinale della Leadership Conference of Women Religious (Lcwr). La logica di questa valutazione come di altre misure punitive messe a punto negli ultimi mesi (Caritas Internationalis, istituti educativi, ragazze scout) va intesa nel contesto più ampio di questo speciale “Anno dell’Attacco”.

Il vero nodo della questione, secondo la Nota, è quello di una «corretta assimilazione» del Vaticano II contro «interpretazioni erronee». Secondo Benedetto XVI tali interpretazioni sarebbero basate su un’“ermeneutica della discontinuità”, in contrasto con l’“ermeneutica del rinnovamento” su cui si basa invece la sua interpretazione. In realtà, tali ermeneutiche andrebbero meglio definite, rispettivamente, come “ermeneutica della missione” e come “ermeneutica del trinceramento”.

L’ermeneutica della missione individua nei documenti del Vaticano II un tentativo da parte della Chiesa di riscoprire nel suo passato nuclei di nuove comprensioni e di nuove strutture ecclesiali che rispondano in maniera più autentica e rilevante a quello che il Concilio ha chiamato mondo moderno. A tale ermeneutica appartiene l’affermazione, da parte dei Padri Conciliari, della tradizione come fondamento sul quale la fede può costruire e crescere continuamente in un contesto che cambia. E la visione della presenza continua di Dio nella storia e nella cultura, che generosamente offre nuove percezioni per comprendere e interpretare la pienezza della rivelazione.

L’ermeneutica del trinceramento, al contrario, vede nei documenti del Vaticano II la riaffermazione di dottrine fossilizzate in un linguaggio che possa essere inteso dal mondo moderno. L’ermeneutica del trinceramento si riferisce alla tradizione come un baluardo contro comprensioni erronee. E tende anche a leggere negativamente la modernità, definendola in termini di secolarismo, relativismo o pluralismo. Come afferma Benedetto XVI, «mentre, nel passato, era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, ampiamente condiviso nel suo appellarsi ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi pare che non sia più così in grandi settori della società...». L’ermeneutica del trinceramento, pertanto, rimpiange il passato, un’epoca idealizzata della cristianità.

Così, il provvedimento contro la Lcwr e le altre misure nei confronti di voci leali di cristiani fedeli, aperti al discernimento della saggezza di Dio nella cultura moderna, devono essere considerate delle incursioni iniziali per spaventare e ammorbidire le aree più forti di resistenza, prima che il vero attacco abbia inizio. Questa grande offensiva è prevista per ottobre del 2012, in occasione dell’apertura del Sinodo dei vescovi sulla “Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”. I Lineamenta di questo sinodo stabiliscono chiaramente il bersaglio della “Nuova Evangelizzazione”, che è chiaramente la cultura moderna. Secondo il documento, il mondo moderno è espresso da una cultura del relativismo, che si è infiltrato fin nella stessa vita cristiana e nelle comunità ecclesiali. Gli autori affermano che le sue «gravi implicazioni antropologiche (...) mettono in discussione la stessa esperienza elementare umana, come la relazione uomo-donna, il senso della generazione e della morte». Associato a questo fenomeno, afferma il documento, vi è l’enorme mescolanza di culture, che si traduce in «forme di contaminazione e di sgretolamento dei riferimenti fondamentali della vita, dei valori per cui spendersi, degli stessi legami attraverso i quali i singoli strutturano le loro identità e accedono al senso della vita». Benedetto XVI ha definito tutto questo, in altre occasioni, come pluralismo, completando così la sua trilogia del demoniaco: secolarismo, relativismo e pluralismo, a fronte del sogno di una cultura dell’Europa medioevale recuperata e romanticizzata.

Gli istituti religiosi femminili, invece, esemplificano in maniera forte l’ermeneutica della missione: le suore hanno superato lo stile di separazione dal mondo; affrontano la sfida di abbracciare la presenza di Dio nella cultura moderna; lottano fedelmente per essere un segno autentico e chiaro dell’amore di Dio per il mondo. La Valutazione dottrinale è oltraggiosa per l’arroganza paternalista e patriarcale che esprime. Ma è chiaro che ha a che vedere con molto di più: la crepa drammatica all’interno della Chiesa Cattolica Romana in relazione all’interpretazione del Vaticano II e alla presenza o meno di Dio nella cultura moderna.

Quello che è più pernicioso in questo attacco, al di là degli effetti sulle vite delle persone che ne sono immediatamente e drammaticamente vittime, è l’appropriazione di concetti sviluppati da quanti operano a partire da un’ermeneutica della missione da parte di coloro che difendono un’ermeneutica del trinceramento, i quali ridefiniscono e utilizzano tali concetti in funzione della loro offensiva. Tre rapidi esempi si incontrano nella Valutazione dottrinale della Lcwr del card. Levada.

Per prima cosa, Levada afferma che l’obiettivo principale della Valutazione è quello di contribuire a realizzare un’“ecclesiologia di comunione”. I teologi che hanno sviluppato tale ecclesiologia hanno basato le proprie riflessioni sull’enfasi posta dal Vaticano II sulla Chiesa come Popolo di Dio, come Corpo di Cristo o come Popolo Pellegrino. Tutte queste immagini sono state utilizzate dal Vaticano II per ampliare la comprensione della Chiesa al di là della gerarchia. E nessuna immagina l’unità come qualcosa di costruito per mezzo della forza o dell’obbedienza alla dottrina. Al contrario, l’unità è vista come frutto del dialogo e del discernimento comune laddove il Popolo di Dio lotta unito per essere testimone fedele e autentico dell’Amore che spoglia se stesso. Chi più di questi istituti religiosi femminili riassume la comunione fondata sulla fede e vissuta come autospoliazione?

In secondo luogo, la Valutazione dottrinale sulla Lcwr definisce il carattere sacramentale della Chiesa quasi esclusivamente come gerarchia patriarcale. Di nuovo, il documento usurpa una comprensione della Chiesa del Vaticano II come sacramento e la riformula. Il Vaticano II, al contrario, postula la Chiesa nella sua interezza come sacramento del Regno di Dio.

Nel post-Vaticano II, molti teologi di varie parti del mondo hanno elaborato l’immagine della Chiesa come Profeta, fondando tale visione sull’opzione preferenziale per i poveri, sulla fede nella salvezza come liberazione e sulla necessità di denuncia nei confronti non solo delle strutture del mondo ma anche di quelle della Chiesa stessa e del suo ruolo di supporto a situazioni di oppressione e di negazione dei diritti. Al contrario, la Valutazione nega qualunque possibilità di profezia nei confronti della gerarchia della Chiesa o qualunque presenza profetica separata da tale gerarchia. Questa aberrante mancanza di considerazione per i profeti biblici e per la loro forte presa di posizione contro sacerdoti, re e rituali di fede svuotati non è colta come una rottura con il passato o con la tradizione da parte di coloro che operano a partire da questa ermeneutica del trinceramento.

Nel momento in cui si celebra il 50º anniversario dell’apertura del Vaticano II, entriamo in un nuovo capitolo della storia della Chiesa. Il Concilio convocato per aprire le finestre è ora reinterpretato con le persiane chiuse, per proteggere la Chiesa dai venti di tempesta di un mondo in cerca di autenticità spirituale. Per quanto lo si presenti come un momento di rinnovamento, l’Anno della Fede è realmente dedicato all’idolatria della dottrina, del potere e della gerarchia. Le suore che, nel loro servizio alla Chiesa e al mondo, non si limitato al voto di povertà, ma lo vivono realmente senza privilegi, status o accumulazione di ricchezze, sono in forte e profetico contrasto con l’inautenticità di un trinceramento mascherato da rigenerazione.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/8/2012 13.30
Titolo:SUORE USA: RICHIAMO ALL'ORDINE RESPINTO. ...
- Suore Usa a conclave
- Piegarsi o no a Roma?

- di Massimo Gaggi (Corriere della Sera, 10 agosto 2012)

Intonano canti folk religiosi, danzano agitando sciarpe colorate, indossano gonne e pantaloni, invitano sul podio, per il discorso d’apertura, Barbara Marx Hubbard, una futurologa che cattolica non è: una sostenitrice dell’«evoluzionismo coscienzioso» apprezzata più dai discepoli della filosofia New Age che dalle gerarchie ecclesiastiche. La «Leadership conference of women religious», l’organizzazione riconosciuta dalla Chiesa di Roma che raduna l’80% delle 57 mila suore americane, ha vissuto così, con apparente leggerezza, il momento più difficile e angoscioso della sua storia: il meeting, in corso da tre giorni in un albergo di St. Louis, in Missouri, per decidere la risposta da dare al Vaticano che le accusa di aver commesso gravi trasgressioni dottrinarie e chiede un atto di sottomissione alla gerarchia ecclesiastica.

Un caso che si trascina da mesi: da quando la Congregazione per la dottrina della fede imputò loro di non opporsi alla contraccezione e ai matrimoni gay e di non impegnarsi con sufficiente determinazione contro l’aborto, mentre tutte le loro energie erano concentrate sull’aiuto ai poveri. Una requisitoria durissima, condita con l’accusa di essersi fatte infettare dalle posizioni del «femminismo radicale».

Un richiamo all’ordine respinto dalle suore che considerano legittimo fare riferimento ai valori sociali esaltati dal Concilio Vaticano Secondo. Prive di carte da giocare, almeno sul terreno del diritto canonico che mantiene le suore in una posizione subordinata rispetto al resto del clero, le religiose hanno comunque ribattuto colpo su colpo, forti del sostegno di molti fedeli americani che le hanno conosciute e apprezzate come infermiere negli ospedali, insegnanti nelle scuole cattoliche, amministratrici di parrocchie. Un paio di mesi fa un gruppo di loro ha addirittura dato vita a un tour battezzato «Nuns on the bus»: suore americane on the road per spiegare attraverso nove Stati Usa le ragioni della loro ribellione al diktat di Roma.

Al culmine della polemica, lo scontro ha rischiato addirittura di acquistare il sapore di una contrapposizione politica: le suore impegnate nel sociale e liberal sui temi etici accomunate a Obama, il community organizer arrivato alla Casa Bianca, mentre la gerarchia ecclesiastica carica a testa bassa il partito del presidente per le unioni omosessuali, la riforma sanitaria e altro ancora. Qualche giorno fa la nuova richiesta del Vaticano: tornate su una linea più aderente alla dottrina della Chiesa e accettate il controllo di tre vescovi. Da martedì sera 900 suore, in rappresentanza delle congregazioni maggiori, sono riunite a St. Louis per decidere cosa fare.

Comunicheranno le loro scelte stasera, alla fine di quella che è già considerata la riunione più cruciale mai tenuta da un organismo cattolico americano. A giudicare dalle dichiarazioni di madre Patt Farrell, la suora dell’Iowa che guida il movimento, atti di sottomissione non ce ne saranno. Ma, probabilmente, nemmeno gesti irrimediabili di rottura.

Le suore non hanno alcuna voglia di farsi espellere e adesso si sentono più forti, anche perché il tentativo di isolarle è fallito: per loro è arrivata la solidarietà dell’ordine francescano d’America, a St. Louis hanno avuto il caldo benvenuto del vescovo della città e perfino il cardinale di New York Timothy Dolan, che è anche presidente della Conferenza dei vescovi Usa e che nella Chiesa passa per un duro, si è lasciato andare a un «noi cattolici amiamo le nostre sorelle». Parole forse dette per scongiurare una rottura irreparabile in un periodo nel quale la gerarchia ecclesiastica Usa, scossa dagli scandali dei preti pedofili, deve già fronteggiare una grave crisi d’immagine.

Ma il genio ormai sembra essere uscito dalla lampada: ieri è stato reso noto che le un tempo silenziosissime suore saranno le protagoniste di un pranzo - con annessa conferenza stampa - che si svolgerà il 16 agosto al National press club di Washington.

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Titolo articolo : Siria: Mussalaha (riconciliazione) unica via,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: August/05/2012 - 17:56:53.

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Autore Città Giorno Ora
Hamza Roberto Piccardo IMPERIA 03/8/2012 02.50
Titolo:caro Giovanni, la Siria..
sai come la penso ne abbiamo parlato a suo tempo. ma dire che in Siria si sta combattendo una guerra per procura è ingiusto.
Va da se che la partita è cruciale per molti attori extrasiriani ma comunque il problema di fondo è che quel regime è ormai insopportabile per la maggioranza della popolazione che sempre più si sta muovendo per abbatterlo e la guerra non è mai bella e pulita.
Nessuna rivoluzione o lotta di liberazione nazionale degli ultimi 50/60 anni (eccetto quella cubana forse) ha potuto fare a meno di un appoggio esterno, il Vietnam ad esempio, l'Afghanistan ecc.
Il problema dell'Occidente è d'impedire che il popolo siriano lo possa fare da solo e quindi decidere poi autonomamente del suo destino, forma di governo inclusa.
Armi e mercenari (magari non tutti gli stranieri presenti sul terreno lo sono, non posso non pensare alla guerra di Spagna e alle Brigate internazionale che colà combatterono) sicuramente vengono dai paesi che hai indicato ma non è detto che alla fine siano determinanti.
La preoccupazione degli USA è sempre Israele, quella dei signori del Golfo contenere ( ed eventualmente distruggere la minaccia sciita che ha stabilito un asse Iran-mediterraneo passando per l'iraq che gli USA hanno consegnato loro e hezbollah che controllano il Libano).
Aderisco convintamente alla Mussalaha ma credo che non sia cosa di domani e che cmq ci vorranno molti anni perché possa realizzarsi.
Purtroppo i maggiorenti delle minoranze religiose si sono addossati pesanti responsabilità nel sostegno ad uno dei peggiori regimi che ha oppresso la stragrande maggioranza del popolo siriano e questo avrà inevitabilmente delle conseguenze.
Mi adopero da mesi perché si possano dare a queste minoranze garanzie certe, ma temo che il livello raggiunto dagli scontri renda questo mio (e di altri musulmani europei) assolutamente inefficace.
Allah dia luce e misericordia a tutti quanti
un abbraccio sincero
Autore Città Giorno Ora
Giovanni Sarubbi Monteforte Irpino 04/8/2012 09.49
Titolo:Speriamo che il dialogo continui
Caro Hamza,
converrai con me che gli USA non sono assolutamente impegnati a sostenere gli interessi dei popoli oppressi del mondo ma che al contrario sono i capofila del peggiore imperialismo che sia mai esistito. Loro sostengono solo il loro modo di vivere e difendono solo il loro livello di potenza e di consumi. Credo anche che paragonare le brigate internazionali spagnole con gli agenti della Cia o i mercenari del Qatar dell'Arabia Saudita e soci sia quanto meno azzardato. Questo premesso converrai anche con me che avere gli USA come alleati in quella che molti sostengono essere una lotta di liberazione del popolo siriano da un regime oppressivo pone non pochi interrogativi sulla reale natura di ciò che sta accadendo in Siria e su chi sono effettivamente le forze che stanno promuovendo il cambio di regime che di fatto sta avvenendo sotto i nostri occhi. Io, e non solo io, penso che i siriani stiano quanto meno per passare dalla padella nella brace, come dimostra sia l'esperienza irachena, sia la tragica e recentissima esperienza libica. Se ci si appoggia ad un regime imperialista come quello americano che in patria e all'estero è il peggio che mente umana possa concepire proprio sui temi dei diritti umani da essi sbandierati(e purtroppo non sono mie fantasticherie) che speranza può derivare da ciò per il popolo siriano? Credo nessuna. sconfiggere un regime ed una oppressione è innanzitutto un fatto politico. Se il governo Assad cadrà sotto i colpi dell'aggressione esterna diretta dalla Cia e appoggiata da Arabia Saudita, Qatar, Turchia, questo dimostra sicuramente la sua poca credibilità politica interna e di non avere quell'appoggio popolare che i suoi sostenitori vantano. Per il popolo siriano sarà comunque un disastro e nulla di positivo verrà costruito in Siria, in medio-oriente e in tutto il mondo. Solo l'abbandono delle armi può portare benefici al popolo siriano e al mondo intero. Mi auguro che si continui questo dialogo per il bene dell'umanità.
Ricambio gli abbracci sinceri con grande amicizia
Autore Città Giorno Ora
Hamza Roberto Piccardo IMPERIA 05/8/2012 17.56
Titolo:
Caro Giovanni...

Non ho detto che non ci siano mercenari (CONTRACTORS) in Siria, ma sono certo una minoranza infima dei combattenti e sono certo che altri combattenti siano andati a sostenere la rivoluzione del popolo siriano senza alcun contratto. Erano questi che paragonavo alle Brigate Internazionali.

Una parte di noi italiani accettò le truppe alleate contro i fascisti e i tedeschi loro alleati (dal 43 anche occupanti), da 67 anni non ce li siamo più levati di dosso con tutto quel che ne è seguito. Eppure mi sento meno oppresso dall'ingerenza americana in Italia di quanto mi sentirei come cittadino siriano dall'oppressione del regime assadista-bathista-alawita.

Mi spiace che tu sia tanto pessimista, la speranza è invece grande che un'area enorme che va dal Marocco al Golfo e che comprende la Turchia si stia formando anche grazie agli USA e i loro alleati, ma che non sarà servo sciocco dei loro interessi.

Oggi il sostegno a chi lotta con poco più che armi leggere contro artiglieria, aviazione e carri me sembra un dovere fondamentale.

Anche stavolta voglio che l'ottimismo della volontà abbia la meglio sul pessimismo della cosiddetta ragione, che spesso è solo retaggio pesante dell'ideologia che tarpa la fede.


Dice il Corano parole che hanno questo significato: "Loro tramano intrighi e Allah tesse strategie, e Allah è il miglior stratega".

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Commenti Articolo 783

Titolo articolo : "A MAGGIOR RAGIONE ORA": DIECI ANNI DI FILOSOFIA AL "SAN RAFFAELE" DI MILANO. Un "avviso a pagamento" di Massimo Cacciari, Edoardo Boncinelli, Elena Loewenthal, Alberto Martinelli, Angelo Panebianco, Giovanni Reale, Marco Santambrogio, Emanuele Severino, Vincenzo Vitiello.,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: August/04/2012 - 11:31:44.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/7/2012 20.34
Titolo:AL SAN RAFFAELE, NEL GIARDINO DEL VERZE'.....
LA SCHIZOFENIA ETICA DI ENZO BIANCHI: LA CRISI, LA GRATUITA' EVANGELICA ("CHARITAS"), E L'APOLOGIA DELLA MAMMONICA "CARITAS IN VERITATE" DEL "DOMINUS IESUS" RATZINGERIANO E DEL SUO UOMO DELLA PROVVIDENZA .....

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Riscoprire la gratuità

di Enzo Bianchi (Rocca, n. 15, 1 agosto 2012)

La crisi economica che stiamo attraversando - crisi dai risvolti umani e sociali pesantissimi per così tante persone - ha però tra le sue conseguenze anche un’inversione di tendenza rispetto al progressivo rarefarsi della capacità di percepire cosa davvero conti nella verifica di questi ultimi decenni.

Assistiamo oggi a una sorta di schizofrenia etica: da un lato confermiamo l’ormai ultrasecolare intuizione di Oscar Wilde secondo il quale «oggi si conosce il prezzo di ogni cosa e il valore di nessuna», ma d’altro lato constatiamo la diffusione della pratica del dono. Dalle associazioni di volontariato di ogni tipo alle banche del tempo, da quanti usano ogni momento libero per condividere sulla rete conoscenze e progettualità a quanti continuano a dedicarsi al miglioramento delle condizioni di vita della collettività, troviamo sempre più persone capaci di «donare» gratuitamente risorse e capacità.

Così quello che a prima vista sembrerebbe il pensiero dominante - cinismo del mercato, ricerca del proprio interesse, volontà di cavarsela a dispetto degli altri, monetizzazione di ogni attività, valutazione degli altri in base alla ricchezza posseduta... - è contestato silenziosamente da chi fa spazio alla gratuità, al prevalere del bene comune sul vantaggio personale. Apparentemente non c’è spiegazione alla logica del gratuito: «la rosa è senza perché», osservava già il poeta mistico Angelo Silesius nel XVII secolo. Così nel nostro mondo di dilagante dominio della redditività, dell’ottimizzazione dei profitti, la rosa custodisce la memoria attiva dell’essere senz’altra ragione che l’esserci.

Oggi questo senso della gratuità sembra smarrito: non riusciamo più a vederla come ricchezza nelle nostre vite e nelle nostre relazioni, convinti di essere noi gli unici protagonisti di ogni cosa, coloro che determinano l’evolversi delle vicende e delle società.

Eppure non manca chi ci ricorda che, come la vita, il dono è qualcosa che ci precede, che esula dai diritti-doveri, che non può mai essere pienamente ricambiato, che nasce da energie liberate e origina a sua volta capacità inattese. La gratuità non è tale solo perché non comporta un prezzo, ma più ancora perché suscita gratitudine e, più in profondità ancora, perché sgorga da un cuore a sua volta grato per quanto già ha ricevuto.

Nel dono autentico non si riesce mai a tracciare un confine certo e invalicabile tra chi dà e chi riceve: non perché vi sia il calcolo di chi pesa il contraccambio, ma perché, come dice Gesù, «c’è più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,35). Chi dona, infatti, gode a sua volta della gioia che suscita in chi riceve. D’altronde, il fondamento dell’amore è la rinuncia alla reciprocità e alla sicurezza che ne deriva: occorre indirizzare l’amore verso l’altro senza essere sicuri che l’altro ricambierà.

Da tempo vado anche ripetendo che non dovremmo pensare al dono solo come a una possibile forma di scambio tra le persone: riscoprire la gratuità come istanza anche sociale costituisce un’esperienza liberante e arricchente per ogni tipo di convivenza. Lo ha ricordato con parole forti Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate: «La gratuità è presente nella vita dell’uomo in molteplici forme, spesso non riconosciute a causa di una visione solo produttivistica e utilitaristica dell’esistenza... Lo sviluppo economico, sociale e politico ha bisogno, se vuole essere autenticamente umano, di fare spazio al principio di gratuità come espressione di fraternità». Se a livello personale e relazionale possiamo riscoprire la libertà profonda che il donare richiede e la gioia che suscita sia in colui che dona che in colui che riceve, a livello sociale ci è dato di prendere coscienza di come, anche nell’ottica mercantile ormai dominante, si possano concretamente immettere istanze di gratuita fraternità: la solidarietà umana, uno stile di vita più sobrio ed essenziale, una ritrovata dimensione di fratellanza universale non sono alternative alle ferree leggi economiche o all’esercizio della giustizia, ma sono anzi correttivi preziosi per una più equa distribuzione di quei doni naturali che sono intrinsecamente destinati a tutti.

Come cristiani testimonieremo così l’unicità del Signore, dono sceso dall’alto che non ha cercato né atteso il nostro contraccambio per portare a tutti le ricchezze della sua grazia, il volto divino della gratuità. Senza il concetto di dono e di dono gratuito non sarebbe possibile un parlare cristiano perché, non lo si dimentichi, nel cristianesimo persino l’alleanza, che di per sé è bilaterale, è diventata alleanza unilaterale di Dio offerta all’uomo nella gratuità.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/8/2012 11.31
Titolo:PIETRO BARCELLONA A SCUOLA DA CACCIARI ....
BARCELLONA, A SCUOLA DA CACCIARI, SPIEGA COME E' DIVENTATO UN ALTRO RESTANDO SE STESSO: ATEO E DEVOTO. "Come ha scritto egregiamente Massimo Cacciari nel volume Ama il prossimo tuo, il samaritano del Vangelo non è un altruista ma uno che sente nella ferita dell’altro la propria ferita, un uomo che cura l’altro per curare se stesso".

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Come sono diventato cristiano

di Pietro Barcellona (l’Unità, 4 agosto 2012)

In tutti i profili che mi riguardano su internet o in altri contesti, come ad esempio nelle recensioni ai miei libri, vengo sistematicamente definito come «un ateo marxista convertito al cristianesimo».

Nei termini in cui questa sorta di definizione della storia intellettuale di una persona si risolve in una mera notizia essa non è solo falsa ma è anche strumentale ad una sorta di doppia censura: da parte dei giornali laici, perché le mie posizioni appaiono viziate da una grave contaminazione religiosa, e da parte del mondo cattolico perché esse risulterebbero inaffidabili e tendenzialmente fuori da ogni linea ecclesiale.

Poiché continuo a collocarmi idealmente in quell’area della sinistra che persiste tenacemente nella critica al capitalismo come forma totalizzante di vita e che allo stesso tempo considera indispensabile a una profonda revisione delle nostre categorie interpretative il rapporto con la trascendenza, vorrei provare a rendere esplicito il mio percorso per una ragione di chiarezza e di rispetto verso tutti coloro ai quali mi sono rivolto nei miei scritti e nei miei libri.

Io non mi sono convertito l’altro ieri per effetto di un’improvvisa illuminazione ma ho vissuto in tutta la mia vita un percorso tormentato di ricerca oltre ciò che di volta in volta è sembrata l’ultima spiegazione possibile del nostro stare al mondo. Il filo costante della mia ricerca sono stati la critica del presente e il rifiuto di un mondo che non mi è sembrato mai il migliore dei mondi possibili. La mia riflessione politica si è sempre perciò intrecciata con la riflessione filosofico-religiosa.

A diciotto anni, studente dei salesiani, presentai un programma autonomo che comprendeva il concetto dell’angoscia di Kierkegaard (Scuola di Cristianesimo) e La fenomenologia dello Spirito di Hegel. Era la mia prima ribellione al conformismo del programma ufficiale. Qualche anno dopo, ai tempi dell’università, incontrai un giovane agitatore comunista, venuto in Sicilia su incarico del partito, e divenni subito suo amico e compagno di pensieri.

Il mio bisogno di rivolta contro uno stato di cose ripugnanti trovò in un libro suggeritomi dall’amico torinese il punto più significativo per dare ordine ai miei pensieri confusi. Si trattava del libro di Concetto Marchesi in cui l’autore spiegava le ragioni del suo esser comunista con l’insopportabile visione dei giovani braccianti che tornavano malati di malaria dal lago di Lentini con una borsetta di pane e una bottiglia di vino.

La cosa che mi colpì fu che Marchesi non era propenso ad un atteggiamento di altruismo caritatevole ma colpito nella sua stessa persona come se questa fosse offesa nella propria dignità dalla condizione subumana dei braccianti di Lentini.

Da allora cominciai a cercare le ragioni del mio spirito di scissione rispetto ad una società omologata sul conformismo piccolo borghese che considerava l’ingiustizia un puro accidente naturale al quale dedicare qualche rimedio compensativo.

IL PROBLEMA DI CHI SUBISCE VIOLENZA

Già in quegli anni era per me invece diventato centrale il problema del dolore di chi subisce la violenza dell’emarginazione e che viene implicitamente condannato ad occupare sempre l’ultimo gradino della scala sociale. Una rabbia cresceva dentro di me che non riguardava soltanto una generica vocazione alla generosità verso i più deboli ma la consapevolezza di una ferita interiore che toccava la mia stessa identità di meridionale.

Come ha scritto egregiamente Massimo Cacciari nel volume Ama il prossimo tuo, il samaritano del Vangelo non è un altruista ma uno che sente nella ferita dell’altro la propria ferita, un uomo che cura l’altro per curare se stesso.

Per questo ho scritto in anni ormai lontani L’egoismo maturo e la follia del capitale, perché ciò che mi colpiva dell’egemonia capitalistica sulla vita quotidiana era la folle pretesa di ridurre l’uomo ad una pura dimensione economica. L’alienazione di cui avevo appreso con Marx la straordinaria manifestazione nel feticismo delle merci e del denaro mi è apparsa subito un furto dell’anima e ho visto nell’espropriazione della libertà interiore la ragione più profonda della passività delle masse, specialmente meridionali.

Sin da allora ho contaminato la mia molto dilettantesca conoscenza del marxismo con l’apporto della psicoanalisi come antidoto a una pura accettazione del presente dominato da un conformismo senza alcuno spirito critico che produceva passività e adattamento nelle masse meridionali.

In quegli anni l’incontro con Ingrao è stato decisivo perché ha allargato il mio orizzonte oltre la triste banalità delle spiegazioni economicistiche. La critica dell’economicismo che ho sviluppato in tutti i miei scritti ha sostanzialmente messo in discussione uno dei punti che allora sembravano indiscutibili della vulgata marxista: la distinzione fra struttura e sovrastruttura.

Mi sono convinto che restare nella trappola della gestione economica del capitalismo impedisce ogni vero trascendimento dello stato di cose presenti. Il codice del capitalismo è quello dell’egoismo competitivo e dell’individualismo esasperato e, seguendo questa via, si resta fatalmente prigionieri di una logica calcolistica e contabile.

L’impatto traumatico con la crisi dell’ ’89 ha sconvolto la mia esistenza fino a provocarmi una depressione grave che ho affrontato con una lunga psicoanalisi. Mi sono convinto attraverso questa dolorosa esperienza che nell’idea di comunismo che avevo perseguito si manifestava un delirio di onnipotenza (Democrazia e tecnocrazia, Editori Riuniti) in cui una sorta di esplosione megalomanica tendeva ad impedire l’emersione di ogni punto di vista diverso. Era il tema dell’ortodossia assoluta che cominciavo a vedere come il vero nemico del pensiero.

Ciò che mi appariva chiaro era che finché l’uomo pretende di spiegare con i propri saperi tutto ciò che riguarda le condotte umane finisce col negare ciò che di specificamente umano la nostra condizione mortale esprime: il bisogno di trascendere l’orizzonte dentro il quale ci troviamo ad agire per riscoprire una presenza ulteriore rispetto all’azione degli uomini. Mi servirono in quegli anni le riflessioni di Ernesto de Martino che intuiva come nella tendenza al trascendimento ci fosse qualcosa in più di una pura istintività naturale.

Approfondendo questo tema sono stato costretto a chiarire i rapporti fra teologia e politica, e tra il messianesimo e la speranza di una società di uomini liberi. Condivido la riflessione di Massimo Cacciari e quella di Mario Tronti dove si afferma con chiarezza che non può esserci spazio ulteriore per un pensiero teologico-politico senza affrontare il tema della trascendenza.

Dopo il crollo del Muro di Berlino mi sono sentito fisicamente assediato dal non senso dell’esistenza. Perché non uccidere, non sfruttare, non seviziare, non torturare un altro uomo che ostacola comunque i tuoi desideri di godimento se non c’è una ragione ulteriore che istituisce il criterio per distinguere in qualche modo ciò che si può fare da ciò che non si può fare?

Nel proseguire questa riflessione di ricerca ho scritto dei libri molto trasparenti nelle intenzioni e che segnano un processo orientato verso un traguardo, ma mai concluso in un’asserzione definitiva. La critica della ragione laica e la lezione magistrale svolta per il compleanno di Ingrao sul tema dell’epoca del postumano, erano già espressamente indicativi di una ricerca che tendeva a mettere in campo la questione della trascendenza. Veniva ripresa fra l’altro tutta la riflessione della Kristeva sull’assoluta novità di un dio sofferente che si pone come percorso doloroso per raggiungere una salvezza effettivamente trasformativa della condizione umana.

Le pagine della Kristeva sul Cristo sofferente mi hanno coinvolto e commosso. La mia non è una conversione quindi, ma un processo lungo, aperto e tormentato. In questo processo mi è apparsa la possibilità di sentire la presenza fuori di te di qualcosa che ti sollecita soltanto a seguire un esempio di amore, nel quale l’alterità non è lo specchio illuministico dell’Io ma la pura condivisione di un’esperienza che si realizza principalmente sul piano dell’esistenza concreta e non su quello intellettualistico della razionalità.

Mi veniva davanti agli occhi un Cristo pasoliniano, intriso di passioni umane, proporre un modello di vita fondato essenzialmente sulla identificazione con il prossimo sofferente. Nella lettura dei Vangeli che ho cercato di fare, Gesù Cristo mi è parso sempre come un interlocutore umano che si limitava a proporre un modello di identificazione con gli ultimi emarginati ed esclusi. Nella mia esperienza ho potuto verificare cosa significhi sul piano esistenziale l’identificazione con un’altra persona, il farla diventare una parte di te e prenderti cura di lei come ti prendi cura di te stesso.

L’identificazione non è una pura imitazione di un modello ma un’integrazione della propria persona con le parti doloranti che sono state prima riconosciute nell’altro.Per questo io oggi sono convinto che ciò che Cristo rappresenta nella storia del rapporto fra l’umano e il divino sia uno spartiacque della nostra visione del mondo. Ma il Cristo da cui io mi sento attratto e affascinato non è quello delle gerarchie e della precettistica, ma quello molto più rischioso di cercare di riviverne la presenza in ogni incontro con chi soffre la disperazione della delusione affettiva e del dolore della solitudine.

In questi termini non so se sia proprio corretto definire il mio status come quello di un «convertito» che si è definitivamente acquietato. Sono sicuramente un cristiano che nella temperie del presente è convinto che solo il discorso di Cristo si può opporre al nichilismo biologico dello scientismo che cerca di cancellare ogni specificità della condizione umana. Penso con assoluta convinzione che la via della salvezza e la fuoriuscita dal pensiero unico dell’economia dominante possono realizzarsi soltanto restituendo all’uomo la sua vocazione divina. Non per farne l’arrogante e presuntuoso sostituto di Dio ma l’interlocutore privilegiato di una vicenda enigmatica come resta sempre quella della salvezza rispetto all’inevitabile «morte del sole» che nessun sapere può riuscire mai a spiegare.

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Commenti Articolo 784

Titolo articolo : I PESCI DEL WEB E LA RETE DELLA CYBERTEOLOGIA "CATTOLICA": L'APOLOGIA DEL "CRISTIANEISMO" RATZINGERIANO DI ANTONIO SPADARO, DIRETTORE DELLA "CIVILTA' CATTOLICA". Una nota di Claudio Canal - con note,a c. di federico La Sala

Ultimo aggiornamento: August/03/2012 - 12:02:05.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/8/2012 15.34
Titolo:ANNO DELLA FEDE E GRANDEZZA DEL CREDERE.....
SE UN PAPA TEOLOGO SCRIVE LA SUA PRIMA ENCICLICA, TITOLANDOLA "DEUS CARITAS EST" ("CHARITAS", SENZA "H"), E’ ORA CHE TORNI A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO. (Federico La Sala)
________________________________________________________________

Verso l’Anno della fede indetto da Benedetto XVI


La grandezza del credere

di Rino Fisichella *

Benedetto XVI è ritornato più volte sul tema della fede. Nei suoi auguri natalizi alla Curia romana ha detto: "Il nocciolo della crisi della Chiesa in Europa è la crisi della fede. Se ad essa non troviamo una risposta, se la fede non riprende vitalità, diventando una profonda convinzione ed una forza reale grazie all’incontro con Gesù Cristo, tutte le altre riforme rimarranno inefficaci".

Alla stessa stregua durante il suo viaggio in Germania aveva osservato: "Occorre forse cedere alla pressione della secolarizzazione, diventare moderni mediante un annacquamento della fede? Naturalmente, la fede deve essere ripensata e soprattutto rivissuta oggi in modo nuovo per diventare una cosa che appartiene al presente. Ma non è l’annacquamento della fede che aiuta, bensì solo il viverla interamente nel nostro oggi. Non saranno le tattiche a salvarci, ma una fede ripensata e rivissuta in modo nuovo".

Come si può osservare, due idee ritornano con frequenza: la fede deve essere ripensata e vissuta. L’Anno della fede potrebbe essere un’occasione propizia su questo versante. Un vero kairos da cogliere per consentire alla grazia di illuminare la mente e al cuore di dare spazio per far emergere la grandezza del credere.

Una mente illuminata dovrebbe essere capace, anzitutto, di evidenziare le ragioni per cui si crede. In questi ultimi decenni, il tema non è stato proposto in teologia né, di conseguenza, nella catechesi. La cosa non è indolore. Senza una solida riflessione teologica che sia in grado di produrre le ragioni del credere, la scelta del credente non è tale. Essa si ferma a una stanca ripetizione di formule o di celebrazioni, ma non porta con sé la forza della convinzione. Non è solo questione di conoscenza di contenuti, ma di libertà.

Si può parlare di fede come se si trattasse di formule chimiche conosciute a memoria. Se, tuttavia, manca la forza della scelta sostenuta da un confronto con la verità sulla propria vita, tutto si sgretola. La forza della fede è gioia di un incontro con la persona viva di Gesù Cristo che cambia e trasforma la vita. Saper dare ragione di questo permette ai credenti di essere nuovi evangelizzatori in un mondo che cambia.

Il secondo termine usato da Benedetto XVI è una fede vissuta. Essa è tanto più necessaria, quanto più si coglie il valore della testimonianza. D’altronde, proprio in riferimento all’evangelizzazione, Paolo VI affermava senza indugi che "il mondo di oggi non ascolta più volentieri i maestri, ma ascolta i testimoni. E se ascolta i maestri è perché sono testimoni" (Evangelii nuntiandi, 41). Sono passati decenni, eppure questa verità permane con una carica di inalterata attualità. Il mondo di oggi ha fame di testimoni. Ne sente un bisogno vitale, perché ricerca coerenza e lealtà.

Siamo dinanzi al tema del cor ad cor loquitur, che ha avuto in Newman un vero maestro. Una fede che porta con sé le ragioni del cuore è più convincente, perché ha la forza della credibilità. La sfida, pertanto, è poter coniugare la fede vissuta con la sua intelligenza e viceversa.

*

(©L’Osservatore Romano 1° agosto 2012)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 03/8/2012 12.02
Titolo:NUOVA EVANGELIZZAZIONE E ... FISICHELLA. Una lettera .di don Antonelli ...
LETTERA DI DON ALDO ANTONELLI A:

- Don Giuseppe Costa
- Direttore Libreria Editrice Vaticana
- 00120 CITTA’ DEL VATICANO

Ricevo la Vs. del 31 Luglio 2012, nella quale vi pregiate di presentare in offerta le Vostre pubblicazioni. Il sottoscritto fa presente la sua piena riluttanza ad accettare offerte di pubblicazioni nelle quali figura anche solo la firma di mons. Rino Fisichella, fosse anche la Bibbia.

Non vogliamo avere niente a che fare con colui che frequenta ambienti depravati ed è amico di ladri, spergiuri, mendaci e corruttori di minorenni.

- Aldo Antonelli
- (Parroco della Parrocchia Santa Croce Antrosano - AQ)

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Commenti Articolo 785

Titolo articolo : LA CRISI ECONOMICA E TEOLOGICO-POLITICA, LA GRATUITA' EVANGELICA, E LA SUBDOLA APOLOGIA DELLA DOTTRINA DI RATZINGER-BENEDETTO XVI. Una riflessione di Enzo Bianchi - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: July/30/2012 - 11:40:59.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/7/2012 04.00
Titolo:UN BEL DISCORSO PER LA FESTA NEL GIARDINO DEL GRAN VERZE' (E DEL PAPA AF-FARAO...
Dieci anni di Filosofia al San Raffaele *

Fin dalla sua fondazione nel 2002 - ricorre infatti in questo 2012 il Decennale dalla sua istituzione - la Facoltà di Filosofi a dell’Università Vita-Salute San Raffaele si è caratterizzata per il pluralismo degli orientamenti fi losofi ci, per il reclutamento di un corpo docente di altissima qualità, presto rinforzato da giovani ricercatori selezionati su basi meritocratiche, nonché per la natura innovativa dell’insegnamento impartito.

Ciò è testimoniato sul piano dei contenuti da un’offerta didattica rappresentata ai massimi livelli tanto nell’ambito della fi losofi a continentale (nelle aree teoretica, ermeneutica, metafi sica, estetica, fenomenologica), quanto in quello della filosofi a analitica (logica, filosofi a della mente e del linguaggio, filosofi a della scienza, della matematica, logica e ontologia, semantica formale), a cui si aggiungono la storia della filosofi a e la filosofi a morale e politica.

A tutto questo si affianca, come elemento caratterizzante, un signifi cativo numero di insegnamenti raramente presenti nei corsi di laurea italiani, che spaziano dalle discipline scientifi - che come Genetica e antropologia, Fondamenti biologici della conoscenza, Linguistica generale, Intelligenza artifi ciale, Economia cognitiva, Neuroeconomia, Basi neurofi siologiche delle funzioni cognitive, ai corsi di Teologia biblica, Teologia moderna e contemporanea, Cultura ebraica, Civiltà islamica, Teoria politica, Geopolitica, Pensiero economico, Economia della globalizzazione.

Grazie a questo intreccio di diverse tradizioni di ricerca filosofica, religiosa, intellettuale e culturale, agli studenti viene offerta una formazione che scaturisce dal vivo del pluralismo contemporaneo, in termini di confronto sia fra culture sia fra discipline e metodi diversi - formazione che è alla base del successo che i laureati della Facoltà di Filosofia possono vantare nell’accesso al mondo del lavoro e della ricerca (master e dottorati di ricerca in Italia e all’estero).

Nel quadro di questo progetto, guidato da una tensione verso la libertà del pensiero e l’eccellenza degli studi (che caratterizza tutta l’Università Vita-Salute San Raffaele), hanno trovato e trovano spazio presso la Facoltà di Filosofi a alcuni dei più illustri pensatori e scienziati che il nostro Paese possa vantare.

Tra questi, a fianco dei docenti di ruolo come Michele Di Francesco, Roberta De Monticelli, Massimo Donà, Roberto Mordacci, Matteo Motterlini, Andrea Tagliapietra, si possono ricordare numerosi professori a contratto che hanno offerto e offrono il loro autorevole contributo, tra cui Salvatore Natoli, Umberto Curi, Enzo Bianchi, Guido Rossi, Luigi Luca e Francesco Cavalli-Sforza, Giacomo Rizzolatti, Andrea Moro, il compianto Enrico Bellone, Giorgio Cosmacini, Achille Varzi, Andrea Bonomi, Andrea Bottani, Massimo Piattelli Palmarini.

Per questi motivi, noi professori a contratto della Facoltà di Filosofi a vogliamo esprimere la nostra soddisfazione nel lavorare con tanti illustri colleghi e tanti giovani preparati e impegnati in un progetto così significativo di didattica e ricerca, e siamo certi che le difficoltà ben note sorte nella complessa e, per tanti versi, straordinaria impresa del San Raffaele, troveranno presto defi nitiva soluzione.

Il bilancio di questo primo decennio appare infatti decisamente positivo, e rappresenta il miglior viatico per guardare al futuro. Anche in un periodo diffi cile per il nostro Paese e per il complesso ospedaliero del San Raffaele, la Facoltà di Filosofia non ha cessato di progettare e innovare.

A maggior ragione ora che la situazione problematica attraversata dall’Ospedale San Raffaele si è risolta positivamente con l’arrivo di una nuova Proprietà interessata al suo rilancio e dopo che l’Università Vita-Salute è uscita indenne dalle difficoltà, grazie ai suoi bilanci in ordine e all’impegno di tutto il corpo docente, ci sembra importante testimoniare come la tensione verso l’eccellenza che ha accompagnato fin dalla nascita la Facoltà di Filosofia sia tuttora viva e salda, e caratterizzi il suo presente e il suo futuro.

Massimo Cacciari, Edoardo Boncinelli, Elena Loewenthal, Alberto Martinelli, Angelo Panebianco, Giovanni Reale, Marco Santambrogio, Emanuele Severino, Vincenzo Vitiello.

*

- "Avviso a pagamento" apparso su "la Repubblica" del 23 luglio 2012 (pag. 32)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/7/2012 11.40
Titolo:CON PAPA RATZINGER, ALL'ATTACCO: SINODO DEI VESCOVI 2012....
La guerra che verrà. L’ultima offensiva di Roma contro il Vaticano II

di John Sivalon

da Adista Documenti n. 24 del 23/06/2012

DOC-2451. SCRANTON-ADISTA. Qual è la relazione tra il recente commissariamento, da parte del Vaticano, del massimo organismo di rappresentanza delle religiose statunitensi (Lcwr, v. Adista Notizie n. 16/2012) e la “barricata” che papa Ratzinger sembra ergere da tempo, nella Chiesa, contro il Concilio Vaticano II?

A collegare i vari punti del disegno è p. John C. Sivalon, ex superiore generale della Congregazione religiosa di Maryknoll ed attualmente docente di teologia presso l’Università di Scranton (Pennsylvania), in un articolo pubblicato il 27 maggio sul sito di sostegno alle religiose www.istandwiththesisters.org. Per Sivalon, in realtà, il peggio deve ancora venire: l’attacco più forte allo spirito del Vaticano II arriverà il prossimo ottobre, con l’apertura del Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana. Riportiamo l’articolo, intitolato «Il Vaticano dichiara l’Anno dell’attacco» in una nostra traduzione dall’inglese. (l. e.)

L’ANNO DELL’ATTACCO

di John Sivalon

Sotto il pretesto di un “Anno della Fede”, il Vaticano ha lanciato un attacco frontale contro qualunque teologia o interpretazione del Vaticano II basata su quella che viene definita come “ermeneutica della rottura”. Tale attacco teologico viene articolato nel documento di Benedetto XVI noto come Porta Fidei (la lettera apostolica con cui è indetto l’Anno della Fede, ndt) e si precisa ulteriormente nella “Nota con indicazioni pastorali per l’Anno della Fede” elaborata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Entrambi i documenti sono citati dal card. Levada nella sua Valutazione dottrinale della Leadership Conference of Women Religious (Lcwr). La logica di questa valutazione come di altre misure punitive messe a punto negli ultimi mesi (Caritas Internationalis, istituti educativi, ragazze scout) va intesa nel contesto più ampio di questo speciale “Anno dell’Attacco”.

Il vero nodo della questione, secondo la Nota, è quello di una «corretta assimilazione» del Vaticano II contro «interpretazioni erronee». Secondo Benedetto XVI tali interpretazioni sarebbero basate su un’“ermeneutica della discontinuità”, in contrasto con l’“ermeneutica del rinnovamento” su cui si basa invece la sua interpretazione. In realtà, tali ermeneutiche andrebbero meglio definite, rispettivamente, come “ermeneutica della missione” e come “ermeneutica del trinceramento”.

L’ermeneutica della missione individua nei documenti del Vaticano II un tentativo da parte della Chiesa di riscoprire nel suo passato nuclei di nuove comprensioni e di nuove strutture ecclesiali che rispondano in maniera più autentica e rilevante a quello che il Concilio ha chiamato mondo moderno. A tale ermeneutica appartiene l’affermazione, da parte dei Padri Conciliari, della tradizione come fondamento sul quale la fede può costruire e crescere continuamente in un contesto che cambia. E la visione della presenza continua di Dio nella storia e nella cultura, che generosamente offre nuove percezioni per comprendere e interpretare la pienezza della rivelazione.

L’ermeneutica del trinceramento, al contrario, vede nei documenti del Vaticano II la riaffermazione di dottrine fossilizzate in un linguaggio che possa essere inteso dal mondo moderno. L’ermeneutica del trinceramento si riferisce alla tradizione come un baluardo contro comprensioni erronee. E tende anche a leggere negativamente la modernità, definendola in termini di secolarismo, relativismo o pluralismo. Come afferma Benedetto XVI, «mentre, nel passato, era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, ampiamente condiviso nel suo appellarsi ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi pare che non sia più così in grandi settori della società...». L’ermeneutica del trinceramento, pertanto, rimpiange il passato, un’epoca idealizzata della cristianità.

Così, il provvedimento contro la Lcwr e le altre misure nei confronti di voci leali di cristiani fedeli, aperti al discernimento della saggezza di Dio nella cultura moderna, devono essere considerate delle incursioni iniziali per spaventare e ammorbidire le aree più forti di resistenza, prima che il vero attacco abbia inizio. Questa grande offensiva è prevista per ottobre del 2012, in occasione dell’apertura del Sinodo dei vescovi sulla “Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”. I Lineamenta di questo sinodo stabiliscono chiaramente il bersaglio della “Nuova Evangelizzazione”, che è chiaramente la cultura moderna. Secondo il documento, il mondo moderno è espresso da una cultura del relativismo, che si è infiltrato fin nella stessa vita cristiana e nelle comunità ecclesiali. Gli autori affermano che le sue «gravi implicazioni antropologiche (...) mettono in discussione la stessa esperienza elementare umana, come la relazione uomo-donna, il senso della generazione e della morte». Associato a questo fenomeno, afferma il documento, vi è l’enorme mescolanza di culture, che si traduce in «forme di contaminazione e di sgretolamento dei riferimenti fondamentali della vita, dei valori per cui spendersi, degli stessi legami attraverso i quali i singoli strutturano le loro identità e accedono al senso della vita». Benedetto XVI ha definito tutto questo, in altre occasioni, come pluralismo, completando così la sua trilogia del demoniaco: secolarismo, relativismo e pluralismo, a fronte del sogno di una cultura dell’Europa medioevale recuperata e romanticizzata.

Gli istituti religiosi femminili, invece, esemplificano in maniera forte l’ermeneutica della missione: le suore hanno superato lo stile di separazione dal mondo; affrontano la sfida di abbracciare la presenza di Dio nella cultura moderna; lottano fedelmente per essere un segno autentico e chiaro dell’amore di Dio per il mondo. La Valutazione dottrinale è oltraggiosa per l’arroganza paternalista e patriarcale che esprime. Ma è chiaro che ha a che vedere con molto di più: la crepa drammatica all’interno della Chiesa Cattolica Romana in relazione all’interpretazione del Vaticano II e alla presenza o meno di Dio nella cultura moderna.

Quello che è più pernicioso in questo attacco, al di là degli effetti sulle vite delle persone che ne sono immediatamente e drammaticamente vittime, è l’appropriazione di concetti sviluppati da quanti operano a partire da un’ermeneutica della missione da parte di coloro che difendono un’ermeneutica del trinceramento, i quali ridefiniscono e utilizzano tali concetti in funzione della loro offensiva. Tre rapidi esempi si incontrano nella Valutazione dottrinale della Lcwr del card. Levada.

Per prima cosa, Levada afferma che l’obiettivo principale della Valutazione è quello di contribuire a realizzare un’“ecclesiologia di comunione”. I teologi che hanno sviluppato tale ecclesiologia hanno basato le proprie riflessioni sull’enfasi posta dal Vaticano II sulla Chiesa come Popolo di Dio, come Corpo di Cristo o come Popolo Pellegrino. Tutte queste immagini sono state utilizzate dal Vaticano II per ampliare la comprensione della Chiesa al di là della gerarchia. E nessuna immagina l’unità come qualcosa di costruito per mezzo della forza o dell’obbedienza alla dottrina. Al contrario, l’unità è vista come frutto del dialogo e del discernimento comune laddove il Popolo di Dio lotta unito per essere testimone fedele e autentico dell’Amore che spoglia se stesso. Chi più di questi istituti religiosi femminili riassume la comunione fondata sulla fede e vissuta come autospoliazione?

In secondo luogo, la Valutazione dottrinale sulla Lcwr definisce il carattere sacramentale della Chiesa quasi esclusivamente come gerarchia patriarcale. Di nuovo, il documento usurpa una comprensione della Chiesa del Vaticano II come sacramento e la riformula. Il Vaticano II, al contrario, postula la Chiesa nella sua interezza come sacramento del Regno di Dio.

Nel post-Vaticano II, molti teologi di varie parti del mondo hanno elaborato l’immagine della Chiesa come Profeta, fondando tale visione sull’opzione preferenziale per i poveri, sulla fede nella salvezza come liberazione e sulla necessità di denuncia nei confronti non solo delle strutture del mondo ma anche di quelle della Chiesa stessa e del suo ruolo di supporto a situazioni di oppressione e di negazione dei diritti. Al contrario, la Valutazione nega qualunque possibilità di profezia nei confronti della gerarchia della Chiesa o qualunque presenza profetica separata da tale gerarchia. Questa aberrante mancanza di considerazione per i profeti biblici e per la loro forte presa di posizione contro sacerdoti, re e rituali di fede svuotati non è colta come una rottura con il passato o con la tradizione da parte di coloro che operano a partire da questa ermeneutica del trinceramento.

Nel momento in cui si celebra il 50º anniversario dell’apertura del Vaticano II, entriamo in un nuovo capitolo della storia della Chiesa. Il Concilio convocato per aprire le finestre è ora reinterpretato con le persiane chiuse, per proteggere la Chiesa dai venti di tempesta di un mondo in cerca di autenticità spirituale. Per quanto lo si presenti come un momento di rinnovamento, l’Anno della Fede è realmente dedicato all’idolatria della dottrina, del potere e della gerarchia. Le suore che, nel loro servizio alla Chiesa e al mondo, non si limitato al voto di povertà, ma lo vivono realmente senza privilegi, status o accumulazione di ricchezze, sono in forte e profetico contrasto con l’inautenticità di un trinceramento mascherato da rigenerazione.

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Titolo articolo : ILVA Taranto - salute e lavoro,di Lidia Menapace

Ultimo aggiornamento: July/29/2012 - 17:44:39.

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Autore Città Giorno Ora
GIOVANNI PIPINO FOSSANO 29/7/2012 17.44
Titolo:Province autonome
Il pane o la malattia? Certo la situazione è grave e senza lavoro con si campa (almeno per i cittadini "normali"), e lo so avendo un figlio sposato che ha perduto il lavoro. Tuttavia mi sembra semplicistico il riferimento alle due Province autonome. Anche quelle godono di privilegi che Regioni ordinarie non hanno. Con l'avvento delle Regioni, tutte avrebbero dovute essere uguali, ma le soluzioni all'italiana consentono Regioni a Statuto speciale ed altre, come la Sicilia più speciale delle altre, a cui si aggiungono le province Bolzano e Trento (anche se con altre "teste", come dimostrano i fatti. A quando un'Italia equa e solidale?

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Commenti Articolo 787

Titolo articolo : Rovesciare Assad con la violenza? Le due risposte di padre Dall'Oglio,di Patrick Boylan

Ultimo aggiornamento: July/28/2012 - 21:17:23.

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Autore Città Giorno Ora
Anna Favarolo Grottolella 28/7/2012 21.17
Titolo:Intervento in Siria
Siamo stanchi dell'ingerenza dell'Onu negli altri stati.
Sappiamo TUTTI che la crisi presso questi popoli è iniziata per massacri voluti dagli occidentali che pagano mercenari del Qatar e dell'Arabia Saudita.
Siamo stanchi e schifati dalle FINTE MISSIONI DI PACE!
Basta con questi meschini sotterfugi.
Ormai tutti sono al corrente delle cose vergognose che gli Stati Uniti sono capaci di architettare per sottomettere gli altri popoli, per ammazzare quante più persone è possibile e per accaparrarsi tutte le ricchezze del mondo!
A noi ci stanno sottomettendo mediante le società di rating e le truffe dei banchieri
VERGOGNA!

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Commenti Articolo 788

Titolo articolo : Lavoro e dignità,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: July/28/2012 - 18:05:09.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/7/2012 18.05
Titolo:Il grande ricatto tra lavoro e salute ...
Il grande ricatto tra lavoro e salute

di Guglielmo Ragozzino (il manifesto, 27.07.2012)

Cosa avrà deciso ieri pomeriggio il gip Patrizia Todisco? Avrà davvero firmato «il provvedimento di sequestro (senza facoltà d’uso) degli impianti dell’area a caldo dell’Ilva di Taranto, oppure avrà accolto i miti, unanimi consigli di governo, padronato, sindacato metalmeccanico, ricamati sul giornale della Confindustria? Si sarà fidata dei mediatori della Regione? Per una volta, il giornale non aveva rampogne, ma comprensione e sostegno ai lavoratori che bloccavano le strade nazionali e il centro della Città, si addensavano intorno alle sedi della giustizia e della politica, per difendere il proprio lavoro e insieme l’azienda e i proprietari Riva. Dal canto loro, i verdi - il presidente Bonelli è consigliere comunale a Taranto - descrivono una città divisa tra gli operai e chi non vuole morire di cancro.

Se i sindacati vogliono «fare presto», è per prendere la guida delle manifestazioni ed evitare che la situazione degeneri e diventi ingovernabile: in effetti si aspettano che la decisione del gip sarà contro di loro. I lavoratori sanno che il fermo dell’area a caldo bloccherà l’intera acciaieria e quindi porterà in un breve futuro al loro licenziamento; altre prospettive di lavoro - a Taranto! - non riescono a immaginarne. Tanto meno riescono a immaginare una città o forse un civiltà prive del loro prodotto, del loro orgoglioso lavoro: fare acciaio, base di tutto il resto che esiste al mondo. Riva è un pessimo padrone, dicono i metalmeccanici; ma spetta a noi dirlo, a nessun altro. Per competente che sia, un giudice non può condannare Riva e costringerlo a chiudere la fabbrica. La fabbrica è anche nostra che lavoriamo, che viviamo lì dentro. «Noi non meritiamo condanne».

D’altra parte la fabbrica di Riva è pericolosa da sempre e sono gli operai i primi a morirne. Nell’udienza preliminare di maggio per 30 dirigenti dell’Italsider, vecchio nome, poi mutato in quello ancora più vecchio di Ilva, risuona l’accusa di aver provocato la morte di 15 operai facendoli lavorare senza protezione in ambienti di gas tossici e amianto.

La risposta, a nome di tutti difensori della «fabbrica siderurgica più grande d’Europa», la fornisce in un’intervista lo stesso ministro dell’ambiente Clini che una volta di più parla all’incontrario su Il Sole 24 Ore: non si può condannare uno per vicende passate. «L’Ilva di Taranto non va fermata. Il giudizio sui rischi connessi ai processi industriali dello stabilimento va attualizzato». Qualche mese prima, in gennaio, dalla perizia veniva anche un’accusa un po’ diversa. Emergeva «la quantità rilevante di polveri rilasciata dagli impianti, anche dopo gli interventi di adeguamento».

Uno Stato padrone di sé avrebbe imposto un ciclo di riconversione degli impianti, con molti lavori in cui impiegare lavoratori competenti per tutto il tempo necessario. Il nostro Stato è pezzente e incatenato; quel poco che aveva lo ha ceduto all’Europa che lo costringe a non fare niente e poi lo rimprovera per non avere fatto niente. Possiamo sperare che un giudice più potente rovesci la decisione di Patrizia Todisco e si dia così, secondo il modello consueto, «tempo al tempo»?

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Commenti Articolo 789

Titolo articolo : Approvate le Intese con gli ortodossi, gli apostolici e i mormoni,di Agenzia NEV del 18/07/2012

Ultimo aggiornamento: July/22/2012 - 07:03:48.

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Autore Città Giorno Ora
Augusta De Piero Udine 22/7/2012 07.03
Titolo:informazione
Grazie, è una buona notizia.
E' possibile sapere se vi sia qualche previsione d'intesa con i mussulmani? Lo scrivo a conoscenza delle difficoltà legate alle differenze interne al mondo islamico
Augusta De Piero

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Commenti Articolo 790

Titolo articolo : UNA CHIESA ALLE CORDE,di Ernesto Miragoli

Ultimo aggiornamento: July/16/2012 - 11:50:54.

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Autore Città Giorno Ora
Italo Vivacqua Corleto Perticara 16/7/2012 11.50
Titolo:Preti criminali
Non è la Chiesa alle corde, ma chi la occupa indegnamente: preti
criminali che, per appagare il loro istinto bestiale uccidono due
volte le loro vittime, e Prelati complici che \\\" raccogliendosi in
preghiera, invitano i poveri credenti a pregare per questi prteti
assassini e maniaci.
Mi chiedo, dopo tanti crimini che quotidianamente leggiamo, dov\'è finita la bolla di scomunica? E\' possibile che viene pronunciata solo per i Laici? La corda al collo e la macina, che leggiamo nel messaggio di Cristo, peccato che viene usata, per i tempi che corrono, solo daglioperai che perdono il posto di lavoro e dalle imprese.CHE SCHIFO!!!!!

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Commenti Articolo 791

Titolo articolo : Sudditi o figli ?,di Mario MAriotti

Ultimo aggiornamento: July/16/2012 - 06:23:13.

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Autore Città Giorno Ora
Massimo Vaj Grandola ed Uniti 16/7/2012 06.23
Titolo:Punti di vista limitati
Nessuno può fare per ognuno quello che spetta a ognuno compiere, nemmeno il Cristo. Non la beatitudine, ma la conoscenza che comprende la beatitudine è il fine e il mezzo per soddisfare le esigenze dell'esistenza. L'Assoluto non ha destra e sinistra, un sopra e un sotto, un dentro e un fuori; è indiviso e, a rigore, sarebbe contraddittorio chiedersi se esiste, perché l'esistenza è un effetto dell'Assoluto e nessun effetto partecipa alla propria causa la quale dai suoi effetti non può essere modificata. Se l'Assoluto esistesse non sarebbe assoluto. I punti di vista dai quali ci si chiede se l'uomo è servo o figlio dell'Assoluto sono limitati punti di vista, ognuno dei quali non soddisfa la domanda dalla quale nasce che in modo parziale e incompleto. L'uomo è parte dell'universo, una parte per nulla privilegiata, e ancor meno di pregio è la sua pretesa di far parte di un popolo eletto. L'Assoluto è oltre l'essere ed è indiviso, dunque in Esso potenza e atto sono un'unica Realtà. Noi esistiamo perché possiamo esistere, dal momento che la Perfezione del nostro stato dell'essere lo chiede. Non domandiamoci se sia il caso di trasformare la magnificenza della realtà in servi e padroni o padri e figli; chiediamoci piuttosto quanto siamo disposti ad amare, a essere amati e a servire la Verità che conosciamo essere sacra. Sacralità che fonda se stessa sulla radice che affonda nel Mistero assoluto e si nutre del sacrificio di sé.

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Titolo articolo : Un grande "biscotto",di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: July/09/2012 - 15:50:57.

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Giovanni Dotti VARESE 09/7/2012 15.50
Titolo:congratulazioni
Egregio dr. Giovanni Sarubbi, Direttore de “IL DIALOGO” di Monteforte Irpino
Le scrivo per congratularmi per la sua bellissima ultima lettera del 30 giugno u.s. (solo il titolo non mi è molto piaciuto, ironico ma poco comprensibile) le cui analisi condivido appieno. Siamo ormai in balia delle banche e dei banchieri, comanda indisturbata l’alta finanza internazionale (non c’è più distinzione tra nazione e nazione, “tutto il mondo è paese”) ed il pessimismo pervade larghe fasce delle nostre società.
Mi permetto inviarLe un articolo inviatomi da un mio amico a proposito di Mario Monti, se ha tempo e non l’ha ancora letto La inviterei a farlo (anche se è un po’ arraffazzonato) e poi, se lo ritiene attendibile, di farci sapere cosa ne pensa eventualmente in qualche suo prossimo articolo “magistrale” (lo dico con convinzione, mi creda) per farci capire di più. La ringrazio per quanto scrive sul DIALOGO, perché ci fa capire cosa ci sta dietro le apparenze.
Con viva stima e simpatia Giovanni Dotti - VARESE, 8 luglio 2012

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Titolo articolo : UN PROFETA NON E’ DISPREZZATO SE NON NELLA SUA PATRIA,di p. Alberto Maggi OSM

Ultimo aggiornamento: July/08/2012 - 18:33:55.

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ignazio sansone catania 08/7/2012 18.33
Titolo:
Ringrazio il dialogoAvaaz per la profonditò delle esegesi che mo stupiscono, ogni volta, per le stimolanti verità che fanno emergere dall'esegesi di pericopi sia chiarendo dubbi interppretativo che tante volta essillano il fedele, sia trendo interpretazioni da una lettura che trova normalmente una interpretazione banale, come in questo caso, mai avrei pensato di rivelare una verità tamnoimportante attraverso l'accostamento del pèasso di questa settimana con la precedente pericope di Marco relativo alla prima predicazione a Cafarnao

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Titolo articolo : Storico accordo teologico sull'ecclesiologia,di Agenzia NEV del 4/07/2012

Ultimo aggiornamento: July/08/2012 - 17:58:59.

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Franco Zasa Parma 08/7/2012 17.58
Titolo:augurio
E' veramente importante ed entusiasmante questa notizia! La rifessione sulla Chiesa porterà ad abbattere gli steccati tra i nostri recinti. Ed anche la riflessione comune sui temi etici va incontro ad un'esigenza molto profonda di chiarezza. Un sincero augurio alla Commissione e al suo lavoro ispirato.

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Titolo articolo : Educare se stessi e la Comunità cristiana al dialogo e all’ ascolto nei confronti del “prete sposato”.,di p. Nadir Giuseppe Perin

Ultimo aggiornamento: July/07/2012 - 07:55:46.

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Giuseppe Zanon Cottolengo-Brescia 05/7/2012 15.55
Titolo:Complimenti
Carissimo Nadir,

cone al solito, complimenti per il tuo nuovo pezzo ''Educare se stessi...' sui preti sposati e sul loro raduno internazionele a Bruxelles.
Mia impressione: voli alto, voli alto perchè dici benissimo quello che si dovrebbe fare per applicare pienamente il Vangelo, perchè la Chiesa applichi la legge del confronto, dell'amore, dell'apertura indicata da Concilio Vaticano. Dici bene (come già nel tuo libro 'Uomini senza collare...') ma le cose, per i preti sposati, stanno un pò differentemente (almeno secondo me) e la loro lotta si infrange contro un muro di gomma; la controparte non ci sente, solo la speranza ci sorregge.
Provo a fare una chiacchierata su questo, riprendendo alcune tue affermazioni.
1 '..a Bruxelles ci sarà la riunione del Movimento internazionale di tutte le organizzazioni dei preti sposati'
No, a Bruxelles ci saranno alcune oraganizzazioni internazionali, per l'Italia l'organizzazione più solida e antica 'Vocatio' con il valido rappresentante Franco Brescia, ma quanti anche da noi parlano di preti sposati e a loro modo: Barbero,Serrone,Miragoli, Gennari (il fondatore di Vocatio), Sante Sguotti, Bollettini Federico, per non parlare di te e di Giovanni Sarubbi, per non parlare, nel mondo, di Milingo.... et omnis spiritus laudet Dominum, son convinto che ognuno ha qualcosa di valido da portare avanti....
2 '...superamento dell'obbligo del celibato...dal punto di vista biblico, storico,teologico,pastorale,spirituale...'
ma serve poco, han sempre ragione loro, sono i maestri in Israele, loro parlano a nome di Dio! Ci vogliono anche argomenti più terra terra e le cose cambieranno 'per forza', quando i fatti costringeranno a rivedere tutti i loro bei discorsi.
Il magistero degli ultimi pontefici parla del celibato come 'sommamente conveniente al sacerdozio', ma bisogma aggiungere che anche l'attuale gerarchia, in pratica, lo considera 'sommamente conveniente' ma per motivi pratici: economico, perchè il prete celibe costa meno e dà tutto alla chiesa,motivo organizzativo perchè il prete senza famiglia può essere spostato facilmente. E non importa se la legge del celibato non viene rispettata, c'è la giustificazione della fragilità umana e la sanatoria della misericordia di Dio.
E la severità contro i separati-divorziati-risposati? Eh, ma quelli infrangono il sacramento del matrimonio,...quelli sono in peccato!
E se dicessimo che per la par condicio nei componenti il popolo di Dio, anche tutti i preti con relazione con donne non possono celebrare e confessare:ma no, non si può dire, impensabile! diabolico! Fuori di ogni logica!
3 '..una chiusura quesi totale al dialogo....'
Non illudiamoci, è chiusura e basta, totale,di tutta la gerarchia (almeno per adesso...e chi pensa diversamente rischia forte).
Ti ricordo il fatto concreto. Giubileo 2000, Mauro del Nevo, presidente di Vocatio, inoltra tramite il suo vescovo Ablondi e tramite il cardinale Re, una umile domanda al Papa perchè i preti sposati siano ricevuti da lui, anche in forma privata e silenziosa. Esito?
Nessuna risposta, neanche una risposta di cortesia, e in bella evidenza televisiva, don Benzi presentava al Papa ..le prostitute (e che diamine...era Giubileo o no?) molto più gratificanti di quei romp.............che sono i preti sposati!!!!!!!!!
4 'grande e valido aiuto per quanti hanno abbandonato il ministero'
In questo ci dobbiamo impegnare tutti perchè il trauma dell'abbandono del ministero ha buttato fuori causa qualcuno di noi, che non ce l'ha fatta. Chi ha percorso un faticoso cammino ed ha metabolizzato la triste esperienza passata e ha recuperato fiducia in sè e soprattutto in Dio Padre, deve aiutare 'evangelicamente' il fratello in difficoltà. E il sito di Giovanni ci aiuta al dialogo e, in merito, conosco qualcuno di noi che sta facendo cose davvero belle. Come dici tu '..un ascolto attento diventa un grande servizio ed un effettivo aiuto che si offre al fratello'.
Nadir Giuseppe, un incoraggiamento ed una preghiera per i nostri confratelli che sono a Bruxelles, qualcosa di buono verrà fuori di certo per la causa dei preti sposati, senza pretendere l'unità di intenti perchè c'è già quella della fede e del vangelo.
Ciao e belle cose
Giuseppe Zanon
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Ernesto Miragoli Como 07/7/2012 07.55
Titolo:LASCEREI I MORTI SEPPELLIRE I MORTI
Ho letto con molto interesse l'articolo di G.Nadir e la risposta di G.Zanon. Mi sento in sintonia con entrambi. A proposito del raduno dei preti sposati a Bruxelles ho inviato delle riflessioni al presidente di Vocatio Giovanni Monteasi. Ha ragione G.Zanon quando afferma che quell'incontro potrebbe essere incompleto, ma non credo che si possa fare altrimenti in quanto mi sembra un po' difficile riuscire ad organizzare tutti.
E qui vengo al punto.
Le riflessioni di Nadir ben esprimono il sentire di moltissimi di noi sacerdoti che hanno abbandonato il ministero e le sue indicazioni sono sintesi di quanto molti di noi dicono e scrivono in questi anni.
Vorrei aggiungere una mia riflessione particolare.
Sono sempre stato - e lo sono tuttora - per un dialogo collaborativo con i Pastori, ma trovo la centralità romana e anche quella italiana sempre più refrattaria a questo.
Allora proporrei che ognuno faccia il proprio percorso di testimonianza. Non sempre l'unione materiale fa la forza perchè qui non si tratta di rivendicazioni sindacali, ma di un nuovo modo di vivere la propria testimonianza ecclesiale. Mi piace pensare che i preti sposati siano un seme per la chiesa di domani. Essi soffrono situazioni e disagi che spesso sono frustranti, ma debbono continuare la propria testimonianza a livello singolo o di piccolo gruppo per il futuro di una realtà che trascende le opinioni di coloro che s'arrogano il diritto di parlare in nome di Dio e del Cristo di Dio.
Il piccolo seme crescerà come una grande pianta : a Dio ed al suo Spirito il compito di stabilire i tempi del germoglio della pianta.

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Titolo articolo : SOLENNITÀ SAN GIOVANNI BATTISTA-2012,di Paolo Farinella, prete

Ultimo aggiornamento: July/03/2012 - 15:01:45.

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luigi torre Celenza Valfortore 03/7/2012 15.01
Titolo:Grazie
Grazie Paolo Farinella di Dio,i profeti e le persone alte Dio li regala ancora al mondo,grazie che ci sei.Un abbraccio Luigi

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Commenti Articolo 797

Titolo articolo : Comportamento ingiusto di Obama nei riguardi dei sospetti di terrorismo,di Movimento per la società di giustizia e per la speranza

Ultimo aggiornamento: July/02/2012 - 19:39:22.

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Daniele Bettenzoli Varese 02/7/2012 19.39
Titolo:potete facilitare l'adesione?
Condivido il messaggio in tutto e per tutto, ma sono così poco esperto di pc. da trovarmi imbranato nel trasferire il testo ecc.
Chiedo se sarebbe complicato per voi chiederci semplicemente un'adesione al testo stesso...come di solito si fa. Grazie e comunque go on

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Commenti Articolo 799

Titolo articolo : Un nuovo impegno,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: June/25/2012 - 21:59:11.

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Renzo Coletti Genova 25/6/2012 21.59
Titolo:La sinistra non è mai esistita dalla fine della guerra
Questo nuovo editoriale dell'amico giovanni Sarubbi mi lascia molto perplesso.
Oggi si parla di destra o di fascismo, nè più nè meno come si parlasse di una possibilità futura o di una realtà a venire, ma il fatto è che siamo già in un sistema di fascismo avanzato e di un perverso clerical darwinismo intenazionalista che vuole una mondializzazione dell'estremismo di destra.
Insoma la sinistra di fatto non esiste più e non è mai esistita dalla fine della guerra ad oggi.
Il partito comunista che abbiamo conosciuto era nato come partito stalinista e filo sovietico, per poi trasformarsi in partito riformista berlibgueriano filo americano e quindi di fatto schierato con l'occidente ed i suoi valori liberisti che oggi vediamo realizzarsi nel loro contenuto reale e da sempre ispirato dalla politica anglo americana e sionista.
Ciò che pensano i lavoratori o quel branco di rincoglioniti che fanno ancora parlare di se perchè ex partigiani pronti a partecipare ad ogni manifestazione pur di ricordare i valori della resistenza sotto qualsiasi regime e sotto quasiasi bandiera di comodo, non significa niente, non ha mai significato niente perchè non hanno mai capito niente e non capiranno mai niente.
Non siao mai stati liberati, siamo stati semplicementi occupati e colonizzati dagli anglo americani e oggi ne vediamo i risultati.
Questo è il vero nocciolo del discorso.
La sinistra ha tradito sia perchè ha tradito la costituzione, sia perchè ha tradito i diritti dei lavoratori conquistati con anni di lotte spesso costate vite innocenti.
Ora vedere partiti che si definiscono di sinistra sostenere governi fascisti e liberisti, è il massimmo dell'ipocrisia e dell'ignoranza storica e politica.
Il G8 genovese del 2001 ha chiarito tutto, ovviamente per cchi ha voluto vedere, sentire, toccare; il messaggio è stato chiaro, i padroni siamo noi e se provate a ribellarvi vi massacriamo di botte.
Il non voto è la risposta del popolo che ha voluto dire quanta distanza ormai cìè tra la politica ed i cittadini, quanto sia ormai inutile esprimere un voto se non esiste una democrazia reale, se non esiste una oposizione, se non esiste una informazione libera, se non esiste una costituzione applicata, se non esiste più uno stato di diritto.
Ora sperare è lecito, ma sarebbe meglio affrontare la realtà per quella che è e comprendere che il movimento operaio ed il popolo tutto dovrà ripartire da zero e dovrà riconquisare il diritto al lavoro, allo scipero, alla salute, alla pensione, alla scuola, insomma a tutto ciò che lentamente ma inesorabilmente ha perso con il beneplacito dei sindacati e dei partiti tutti, compreso quelli di sinistra o detti tali.
Vendere altro fumo o oppio, non servirà a mikgliorare le cose e non servirà a far capire a dei decerebrati come organizzarsi e riprendere la lotta che ormai non sanno più neppure cosa sia.
La fiom? Se facesse sul serio sarebbero manganellate , quindi vedremo se i lavoratori sono pronti a lottare o contiunano a genofelttersi davanti al Papa e al presidente della repubbica.

renzo coletti.

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Commenti Articolo 800

Titolo articolo : Giornata per la carità del papa? No grazie!,di don Vitaliano della Sala

Ultimo aggiornamento: June/25/2012 - 11:28:38.

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cecilia bonatti milano 24/6/2012 20.48
Titolo:Come vi vorrei......
Ricordando, un po' parafrasata una vecchia canzone ( Come ti vorrei), come auspicherei che ci fossero tanti, tantissimi sacerdoti che la pensano e soprattutto agiscono come lei!!
Cecilia
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MARIA REGINA BRUN CASTEL D'ARIO MN 25/6/2012 11.28
Titolo:

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Commenti Articolo 801

Titolo articolo : NOI SIAMO CHIESA: POTERE, DENARO E SEGRETEZZA LE VERE CAUSE DEL “VATILEAKS”,da Adista Notizie n. 24 del 23/06/2012

Ultimo aggiornamento: June/25/2012 - 05:49:04.

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claudio bellavita torino 25/6/2012 05.49
Titolo:non è tanto difficile chiarire se IOR fa riciclaggio
basta sapere se le buste paga dei dipendenti del Vaticano, enti collegati e magari quelli dell'ospedale Bambin Gesù sono in contanti. Questo vuol dire la possibilità di riciclare circa un miliardo di euro all'anno, cui va aggiunto l'importo dell'annuo "obolo di san Pietro" che si può presupporre in contanti. Il mezzo è la valigia diplomatica delle nunziature.
Corre voce che a essere bene presentati ( il che, ovviamente, ha un costo a parte) il riciclaggio in IOR costa il 10%: però non conosco nessuno che lo abbia fatto.

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Commenti Articolo 802

Titolo articolo : Invasione di droni nei cieli della Sicilia,di Antonio Mazzeo

Ultimo aggiornamento: June/19/2012 - 11:14:07.

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valeriano cisini milano 19/6/2012 11.14
Titolo:droni
Da una parte, al riparo anche dalla pioggia o dal sole in ambiente
confortevole la guerra virtuale,davanti ad una consolle.
Dall'altra la morte e le distruzioni reali, questo è il mondo che ci attende? E noi subiamo passivi ?
valeriano

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Commenti Articolo 803

Titolo articolo : AL VATICANO LE SUORE USA NON PIACCIONO PROPRIO. NEL MIRINO UN’ALTRA RELIGIOSA,da Adista Notizie n. 23 del 16/06/2012

Ultimo aggiornamento: June/18/2012 - 07:33:41.

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Giorgio Forti Milano 18/6/2012 07.33
Titolo:sulla sessualità e comportamento
Non ero al corrente della disputa tra le religiose americane e lo Stato Città del Vaticano. Senza entrare nel merito delle argomentazioni espresse dalle due parti, sono del parere che opinioni ed idee non debbano essere trattate d'autorità, ma discusse nel merito tra interlocutori su piede di parità.Suggerisco a chi voglia discutere di sessualità, per quanto riguarda il problema dei rapporti sociali degli omosessuali e verso gli omosessuali, di studiare la ormai ricca documehtazione scientifica sulla genetica molecolare del omportamento omosessuale e sulle integrazioni, nella specie umana, delle determinazioni genetiche e delle proprietà e influenze dll'ambiente culturale.

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Commenti Articolo 804

Titolo articolo : CONTURSI TERME, 24 GIUGNO 2012: UNA FESTA DI BEATIFICAZIONE NELLA "SMEMORATEZZA"! LETTERA APERTA AL PARROCO,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: June/17/2012 - 17:06:42.

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Federico La Sala Milano 12/5/2012 11.06
Titolo:Lettera aperta al cardinale Angelo Amato e all’arcivescovo di Salerno Luigi More...
Lettera aperta al cardinale Angelo Amato e all’arcivescovo di Salerno Luigi Moretti

CONSIDERATO CHE “Contursi Terme si appresta a vivere un momento di grande solennità e di grande gioia per la beatificazione, in programma il prossimo 24 giugno 2012, dell’illustre concittadino don Mariano Arciero. Il comitato parrocchiale, guidato dal monsignor Spingi, parroco di Contursi, e il comitato diocesano, presieduto dall’arcivescovo Luigi Moretti, hanno individuato la zona del Tufaro, quale luogo in cui celebrare la beatificazione, l’orario (intorno alle 18), e ricevuto assicurazioni che a celebrarla sarà il delegato dal Papa, cardinale Angelo Amato, prefetto per la congregazione per le cause dei Santi”(cfr. Gianluca Squaccio, Una vita per la carità: don Arciero. La beatificazione il 24 giugno, Avvenire, 27.11.2011)

CONSIDERATO CHE “La beatificazione del sacerdote Mariano Arciero va vista come una grande grazia che il Signore ha elargito alla nostra Arcidiocesi di Salerno - Campagna - Acerno e, in particolare, al clero. Riflettere sulla vita, sull’insegnamento, sulle opere di Don Mariano Arciero va visto come un dono ed un impegno per ciascuno di noi. Egli, animato da autentico spirito missionario, fu tutto dedito al ministero sacerdotale, all’evangelizzazione, alla predicazione, alla catechesi ed all’istruzione degli adulti. Oltre a tutto questo, la sua opera fu molto feconda nella formazione delle coscienze e nella direzione spirituale di seminaristi, sacerdoti, religiosi, laici (Luigi Moretti, Arcivescovo Metropolita Arcidiocesi di Salerno - Campagna - Acerno)

CONSIDERATO CHE A CONTURSI TERME SIETE STATI GIA’ IN VISITA ALTRE E VARIE VOLTE E CHE CONOSCETE LE VIE ...

CHIEDO A VOI ILLUSTRISSIMI - come già alla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Salerno e Avellino (si cfr. allegato), UN INTERVENTO URGENTE PER FERMARE IL DEGRADO E RESTITUIRE AL SUO SPLENDORE LA RITROVATA “CAPPELLA SISTINA”, LA CHIESA DELLA “MADONNA DEL CARMINE”, UN PATRIMONIO STORICO E VITALE PER L’INTERA COMUNITA’ CONTURSANA, ITALIANA ED EUROPEA.

“CONOSCI LE VIE” (“SCIVIAS”)

VISTO, INOLTRE, CHE PAPA BENEDETTO XVI HA DEDICATO TANTA ATTENZIONE A SANTA ILDEGARDA, LA “SIBILLA DEL RENO” (che riceverà da Lui il titolo di “dottore” della Chiesa, ad ottobre di questo anno),

ABBIATE LA BONTA’ DI ACCOGLIERE ANCHE QUESTO ULTERIORE INVITO:

INVITATE IL PAPA A PRESENZIARE PERSONALMENTE ALLA CELEBRAZIONE DELLA BEATIFICAZIONE DEL VENERABILE MARIANO ARCIERO E A FARE VISITA ALLA CHIESA DI MARIA SS DEL CARMINE, OVE POTRA’ FINALMENTE VEDERE MARIA INSIEME AI PROFETI ELIA E GIOVANNI BATTISTA ANCHE LE 12 SIBILLE DELLA TRADIZIONE RINASCIMENTALE E CARMELITANA.

CERTO DELLA VOSTRA NOBILE E CARITATEVOLE ATTENZIONE,

VI PREGO DI ACCOGLIERE I MIEI PIU’ DISTINTI SALUTI

E IL MIO FRATERNO AUGURIO DI BUON LAVORO E

BUONA PASQUA

Federico La Sala (29.03.2012)


http://www.ildialogo.org/Ratzinger/Interventi_1333024512.htm
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/5/2012 20.22
Titolo:DONNE E UOMINI, DINANZI ALLA LEGGE E DINANZI A DIO .....
- ILLUSTRISSIMI SIGG.,

- CARDINALE AMATO

- ARCIVESCOVO MORETTI

- MONSIGNOR SPINGI ...

è tempo! Per le donne e per gli uomini, è tempo: non solo per le pari opportunità, ma anche per la pari dignità - dinanzi alla Legge e dinanzi a Dio.

Questa la grande e importante lezione non solo della nostra “Cappella Sistina” carmelitana, ma anche delle nostre stesse madri e dei nostri stessi padri del nostro amato Paese.

Mi auguro che non vada in rovina non solo la nostra piccola Chiesa ma neanche il nostro piccolo paese, la stessa Contursi - e il nostro grande Paese, la stessa Italia!!!

- Molti cari saluti e buon lavoro,

- per la beatificazione di don Mariano Arciero e per la salvaguardia della Chiesa di Maria SS. del Carmine

Federico La Sala

P. S.:

MEMORIA EVANGELICA, BIBLICA, E UMANA:

Nell’enciclica ‘conciliare’ Pacem in terris di Giovanni XXIII (1963) al n.22 l’ingresso crescente delle donne nella vita pubblica veniva annoverato tra i segni dei tempi, insieme alla crescita delle classi lavoratrici (n.21) e alla fine del colonialismo (n.23). NON DIMENTICHIAMOLO!!!
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/5/2012 20.46
Titolo:ZONA DEL TUFARO: BEATIFICAZIONE SUL LUOGO DI UN DELITTO...
ZONA DEL TUFARO: LA CELEBRAZIONE DELLA BEATIFICAZIONE SUL LUOGO DI UN DELITTO.

Quando i contursani e le contursane hanno saputo della scelta del luogo, hanno pensato subito che le ragioni non fossero casuali o solo logistiche, ma che fossero dettate da una bella e buona volontà - in nome di don Mariano Arciero (tornato a Contursi nel 1950) - di risanare le ferite di un momento terribile di tutta la comunità. Ma poi hanno dovuto ricredersi.

Incredibilmente, da parte dei due comitati, c’è stato silenzio assoluto su quanto accaduto nella "zona del Tufaro", nel 1959. La preoccupazione dominante è stata unicamente quella di mettere a punto la macchina organizzativa. Di tutto il resto, niente!

Che dire?! C’è solo da sperare che lo spirito di don Mariano Arciero li illumini alla grande! E che il 24 giuno 2012, la giornata della celebrazione della sua beatificazione, possa essere una giornata memorabile di rinnovamento civile e morale di tutta la comunità locale e di tutta la comunita religiosa (da quella parrocchiale a quella diocesana e a quella vaticana - vista anche la presenza del cardinale Angelo Amato alla cerimonia).


Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/5/2012 14.31
Titolo:DON MARIANO ARCIERO, BEATO ... TRA LE BRACCIA DELLA VECCHIA DEA "MEFITE"!!!
LA "SMEMORATEZZA" FA BRUTTI SCHERZI. DON MARIANO ARCIERO, BEATO ... TRA LE BRACCIA DELLA VECCHIA DEA "MEFITE"!!!

LA ZONA DEL TUFARO DI CONTURSI TERME, LUNGO IL FIUME SELE, ERA ED E’ LA ZONA DELLA DEA "MEFITE". LE RAGIONI PER CUI LA GIOVANE UCCISA NEL 1959 FU PORTATA E RITROVATA IN QUESTO LUOGO ERANO DOVUTE PROPRIO AL SAPERE CHE QUESTO LUOGO ERA UN LUOGO "MEFITICO", DI MORTE..

DOPO IL TERREMOTO DEL 1980 LA ZONA DEL TUFARO E’ STATA BONIFICATA ED E’ DIVENTATA LA "ZONA INDUSTRIALE" DEL PAESE. ORA, PROPRIO NEL PIAZZALE APPUNTO DI QUEST’ AREA INDUSTRIALE AVVERRA’ LA BEATIFICAZIONE DEL VENERABILE DON MARIANO ARCIERO.

PER MEGLIO CAPIRE CHI ERA "MEFITE" E COSA SIGNIFICA "MEFITICO", E’ PIU’ CHE INTERESSANTE LEGGERSI E RILEGGERSI L’ ARTICOLO DI PAOLO RUMIZ:

MEFITE

Capatina all’inferno e ritorno

di Paolo Rumiz (la Repubblica, 19 agosto 2009, p. 35).

Visita alla pozza di fango di Rocca San Felice in Irpinia. È chiamata Mefite e il nome dice tutto. Quando la notte del 22 novembre 1980 il parroco la vide asciutta capì che qualcosa di tremendo stava per succedere. E successe. Qui i popoli pre-romani adoravano la dea della fertilità. E la più forte emissione gassosa di tipo non vulcanico che si sia mai vista in Europa. Sfiata anidride carbonica più di Stromboli e Vulcano messi insieme.

Il parroco di Rocca San Felice in Irpinia lo sapeva bene. Da secoli nella valletta sotto il paese accadevano brutte cose. Passanti uccisi da veleni, animali morti, odore tremendo di uova marce specialmente la sera; e tutto sempre lì, attorno a una pozza di fango detta Mefite dove popoli pre-romani avevano adorato la dea della fertilità. Ma quando la notte del 22 novembre 1980 il prete vide che la pozza s’era disseccata e una tempesta elettromagnetica stava sparando strani fulmini globulari, capì che qualcosa stava per succedere. E difatti arrivò il terremoto.

Poi, gli scienziati ci misero anni a capire che l’epicentro della cannonata che aveva scardinato il Sud dalle fondamenta stava proprio lì, in quella valletta mefitica a due passi dalla via Appia dove Virgilio aveva collocato una porta dell’inferno e dove il poeta Orazio, in una locanda lì accanto, aveva tentato di portarsi a letto una servetta di campagna. Il Terribile era lì, visibilissimo, mille volte esplorato e raccontato nei secoli, ma nessuno lo prendeva sul serio. Eppure nel 1980 aveva parlato chiaro: la pozza della morte che si era disseccata, solo per poi vomitare con maggior violenza i miasmi che aveva temporaneamente trattenuto.

Una capanna all’inferno! Come farne a meno? Stavolta ho con me un amico, Livio Sirovich, un sismologo di prim’ordine dell’Osservatorio Geofìsico Sperimentale di Trieste che nel 1980 ha battuto l’Irpinia metro per metro per conto del Cnr. Ora è venuto a rivedere i suoi luoghi. È un raffinato esploratore, ma nemmeno lui si è mai avvicinato alla Nera Madre che cucina i veleni e depista gli scienziati. Così la nostra curiosità è allo spasimo, unita a un vago timore.

«Nun ci jate, se more», ci avverte una donna sotto il tiglio della piazza, a Rocca San Felice. C’è da capirla: è dal XVII secolo che i registri parrocchiali segnalano decessi di esploratori e ficcanaso. Gli ultimi, due archeologi, asfissiati mentre cercavano monete antiche attorno alla palude. Ma noi andiamo lo stesso. Abbiamo una guida speciale, Giovanni Martinelli, super-esperto di gas sotterranei, uno che sente la Terra dall’odore. È lui che,via telefono,ci pilota fin sull’orlo del cratere e come una Sibilla ci enumera oscure meraviglie.

«Ah, la Mefite, luogo parlante della profondità. La più forte emissione gassosa d’Europa di tipo non vulcanico. Sfiata CO2 più di Stromboli e Vulcano messi insieme...». Passiamo il cartello con la scritta "Pericolo di morte" e l’altro incalza: «Ribollendo, il fango fa riemergere resti sanniti e romani... la Mefite è il collegamento più diretto al Profondo che esista in Italia...». Ecco, ora siamo sull’orlo, l’ambiente è selvaggio, il fondo scroscia come una cascata; ma non è vapore, è gas, mortale ossido di carbonio unito ad anidride solforosa.

Perché si adorava un luogo simile? «Morte e fertilità erano sempre collegate. I fanghi erano rimedi contro le malattie, si son trovati ex voto antichissimi a forma di piede o braccio...». Verso il fondo si vedono carcasse. Un cane, qualche uccello, insetti a non finire, olocausti involontari. Possiamo scendere? Martinelli: «Attenti al vento, all’inversione termica, il gas può salire...». Così dopo un po’ ce ne andiamo, prima che la dea si accorga di noi e ci catturi.

Trent’anni fa c’era un asino che viveva in un cunicolo scavato sotto il castello di Calitri. Per arrivare alla stalla, che aveva una finestrella sul precipizio, la bestia doveva passare per la cucina, la camera da letto e la cantina dei padroni. Un po’ come nella rupestr eMatera, anche sulle alture irpine uomini e animali talvolta dividevano gli stessi spazi. «Ma quando alle 19.34 del 23 novembre 1980 il terremoto arrivò come un’onda di tempesta, lo strapiombo e un pezzo di castello vennero giù con tutta la stalla. Ore dopo, nel marasma dei soccorsi, il padrone andò a vedere che ne era del ciuco, e lo trovò vivo sessanta metri sotto. Malfermo e con i denti rotti, ma incredibilmente in piedi».

Torniamo a caccia dei luoghi sulla linea dell’Ofanto, e intanto Livio ripesca dalla memoria le storie di quei giorni in prima linea. Prodigi, coincidenze, salvataggi funambolici, furbizie di speculatori, guerre di resistenza al cemento. Storie di un’altra Irpinia, che ha saputo uscire talvolta migliore dalla prova del fuoco. Sant’Angelo dei Lombardi, sbarrata alle ruspe dalla determinazione di un funzionario della soprintendenza, Vito De Nicola, e oggi centro delizioso, con castello medievale, chiesa madre e basilica paleocristiana. Ca litri, in bilico su una frana antichissima, con corso Matteotti piazzato sulla linea di distacco dello smottamento e il resto del paese che scivola di metri a ogni sisma, ma in modo così compatto che tutti ci hanno fatto l’abitudine. E che dire del destino di Caposele, nell’alta valle, uscita solo malconcia dalla catastrofe e immediatamente condannata dai geologi a un sommario abbattimento per via delle faglie individuate sotto le case?

Qualcuno chiese delle verifiche, vennero i tecnici triestini dell’Ogs, e presto si vide che le faglie c’erano davvero, ma non erano attive, dunque il paese poteva tranquillamente essere ricostruito nel vecchio posto. Così Caposele si salvò, e per la contentezza il sindaco offrì ai tecnici forestieri una delle cene più memorabili dellaloro vita.

Un chiavistello, un lucchetto che si apre, ed ecco i ruderi di Conza proibiti agli occhi degli uomini. Con Livio e Vito De Nicola scendiamo come palombari nel fondo dei secoli, fino al ciclopico basamento romano, una solidità che ridicolizza tutto quello che è stato costruito dopo. L’evidenza stratigrafica è sconvolgente. Più si sale verso il recente, più la friabilità aumenta, come se dopo l’Evo Antico nulla fosse stato più costruito a rego la d’arte. De Nicola: «È come se la distruzione aumentasse col rarefarsi della memoria delle tecniche edilizia antiche».

Per quali misteriosi canali la Bestia colpisca un paese e non un altro a poca distanza, è spesso un mistero. Sirovich mostra una mappa della "microzonazione sismica" dell’Irpinia, dove - a farla breve - si individuano i punti dove è sensato costruire e quelli dove invece è pericoloso farlo. «Ci sono aree proibite in partenza, per esempio quelle su terreni soffici e sabbie che possono fluidificarsi in certe condizioni. Ma spesso tutto dipende da geometrie profondissime che fanno concentrare diverse onde sismiche in un certo posto e non in un altro. Un po’ come uno specchio ustorio fa con i raggi del sole». Ma lì ogni previsione è un temo al lotto.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/6/2012 17.06
Titolo:23 GIUGNO 2012, AREA DEL TUFARO ...
BEATIFICAZIONE:

NEL "PROGRAMMA PER LA SETTIMANA DAL 17 AL 24 GIUGNO 2012" (http://www.comune.contursiterme.sa.it/index.php?action=index&p=610)

SI LEGGE:

- "Sabato 23 giugno 2012, ore 19.00
- Area del Tufaro, Santa Messa prefestiva
- a purificazione della memoria del luogo"

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Commenti Articolo 805

Titolo articolo : Lettera aperta al Presidente Napolitano e al Presidente Monti,di Suor Rita Giaretta e sorelle Comunità Rut

Ultimo aggiornamento: June/14/2012 - 15:52:09.

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Autore Città Giorno Ora
antonietta monaco Altare (SV) 11/6/2012 10.18
Titolo:lettera aperta.
Gen. Suor Rita
desidero ringraziarla per la sua lettera a Presidente Napolitano e al Presidente Monti. Lei ha espresso con chiarezza il pensiero di moltissimi di noi e lo ha fatto con una grande sensibilità.
io non avrei avuto nè la sua capacità di esprimermi, nè la sua pacatezza, perchè pur rispettando i presidenti Napolitano e Monti ho maturato un giudizio molto negativo nei confronti di tutta la classe politica. Siamo diventati sudditi e non più cittadini e questo mi fa molto arrabbiare. Sarei più disposta a scendere in piazza, piuttosto che aprire un dialogo.
Perciò dal profondo del cuore le sono riconoscente. Antonietta
Autore Città Giorno Ora
maria laura martinelli bresso 12/6/2012 14.12
Titolo:lettera aperta
Grazie!Avete saputo esprimere con forza e chiarezza il pensiero di molti, traducendolo non in mero lamento, ma in un forte e concreto richiamo a ciò che è possibile fare subito, se la volontà degli interessati c'è.Mimma
Autore Città Giorno Ora
maurizio dei zotti sovizzo 12/6/2012 14.34
Titolo:
Maurizio e Bianca da Vicenza condividono quanto da voi scritto e inviato a Monti e Napolitano...speriamo siano conseguenti...un abbraccio
Autore Città Giorno Ora
Mario Vecchiato Firenze 12/6/2012 16.37
Titolo:Condivido
Condivido, carissima Sr Rita e consorelle, la chiarezze ed il coraggio di chiamare alla verità e alla giustizia. Credo che ad ognuno spetti il compito di avere la forza di osare gesti nuovi e radicali se cogliamo davvero cambiare ed essere fedeli al nostro tempo e agli altri. Un abbraccio forte e continuate ad essere segno e provocazione per noi e per tutti.
Mario
Autore Città Giorno Ora
Luigi Infanti Vicenza 14/6/2012 15.52
Titolo:

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Commenti Articolo 806

Titolo articolo : LA PALUDE INFERNALE IN CUI IL VATICANO E L'ITALIA SGUAZZANO ANCORA! Una nota di Furio Colombo,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: June/13/2012 - 20:19:12.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/6/2012 16.30
Titolo:C'E' FAMIGLIA E "FAMIGLIA"!!! Famiglia, teatro del mondo .....
Famiglia, teatro del mondo

di Claudio Magris (Corriere della Sera, 03.06.2012)

Le grandi religioni universali, e soprattutto il Cristianesimo, non sono cosa da family day. Cristo è venuto a cambiare la vita degli uomini e a proclamare valori più alti dell’immediata cerchia degli affetti, anzi a sferzare duramente questi ultimi quando essi regressivamente si oppongono a un amore più grande. Perfino il legame più forte, quello tra il figlio e la madre, è trattato bruscamente quando Maria vuole interferire: «Donna, che c’è tra me e te?» le dice. Quando, mentre sta parlando a una folla, gli vengono a dire che sua madre e i suoi fratelli lo stanno cercando, Cristo replica: «Chi è mia madre? E chi sono i miei fratelli?», aggiungendo che è suo fratello chi fa la volontà del Padre. Se c’è conflitto tra il rapporto di parentela e il comandamento, la scelta è chiara: egli afferma di essere venuto a separare, ove sia necessario, «il figlio dal padre, la figlia dalla madre». La sua stessa nascita, del resto, scandalosa rispetto alle regole, non rientra certo nel modello dall’ordine famigliare.

Naturalmente Cristo non intende negare l’amore fra e per gli sposi, i figli, i fratelli, i genitori. Vuole potenziarlo, liberarlo dalla sua così frequente degenerazione egoistica, benpensante e riduttiva che immiserisce quei legami universali-umani in una chiusura pavida e arida, sbarrando la porta alla vita e agli altri, trincerandosi in un piccolo mondo pulito e perbene ma indifferente alla miseria e alla sofferenza, che magari iniziano fuori della porta sbarrata. C’è una colorita espressione veneta che raffigura questa falsa e piccina armonia famigliare basata sul rifiuto degli altri: «far casetta».

«Tengo famiglia» è la scusa migliore per tirarsi indietro dinanzi a un dovere che ci chiama a metterci a rischio. A questo proposito, Noventa - grande poeta cattolico, uno dei grandi poeti del Novecento - replicava nel suo dialetto veneto a chi piega vilmente la testa («son vigliaco») accampando i vecchi genitori, la moglie ancor giovane e i figli da mantenere: «Copé la mare, / Copé el pare, /La mugier zóvene / e i fioi - (...) No’ saré più vigliachi».

La famiglia è certo una realtà storica, anche se di particolare durata, e come tale soggetta a trasformazioni e a mutamenti, mai così intensamente e confusamente come oggi, in un groviglio di liberazioni ora giuste ora pacchianamente ideologiche e stupide, conformismi travestiti da trasgressione o da sacri principi, esibizionismi supponenti, in un sommovimento di secolari tradizioni, costumi, valori, forme di aggregazione familiare.

La famiglia è stata e difficilmente potrà cessare di essere una cellula primaria dell’universale umano; il Teatro del Mondo in cui l’individuo viene al mondo, le cui voci gli sono giunte già quando era ancora nella prima stazione del suo viaggio, nel ventre della madre; in cui l’individuo scopre il mondo, fa l’esperienza fondante dell’amore o devastante del disamore, impara con i fratelli il gioco, l’avventura, la lotta, l’ambivalenza di affetto e rivalità; in cui il padre e la madre gli trasmettono non solo la vita ma anche il suo senso. Non sbagliava Francesco Ferdinando, l’erede al trono absburgico ucciso a Sarajevo, quando volle che sulla sua tomba venissero incise solo tre date: della nascita, del matrimonio e della morte.

La famiglia può essere l’incantevole scenario della scoperta del mondo, come in Guerra e pace di Tolstoj, e può essere tragedia e abiezione, odio e violenza, Caino e Abele, gli Atridi e la stirpe di Edipo. Può essere luogo di opaca estraneità, di meschini risentimenti, di violenza e di oppressione; violenza di padri o di mariti padroni su figli e su mogli, sordida rivalsa femminile di soffocanti tirannidi domestiche, incombenti clan parentali che hanno trapiantato la tribù nella civitas e risucchiano l’individuo, come scriveva Kafka, nella pappa informe delle origini.

Già la parola famiglia è un Giano bifronte: indica il mondo che ci è più caro e può indicare il bestiale legame mafioso. Gide poteva dire: «Famiglie, quanto vi odio». Le nuove forme di famiglia radicalmente diverse da quella tradizionale, che si annunciano pure sbracciandosi con enfasi, possono portare valori o disvalori ma non sono certo al riparo dalle degenerazioni della convivenza.

La liberazione dell’uomo - il senso del Cristianesimo - non può non liberare pure la famiglia; anche da se stessa, se occorre. E allora la famiglia può diventare veramente un Teatro del Mondo e dell’universale-umano: quando, giocando con i propri fratelli e amandoli, facciamo il primo fondamentale passo verso una fraternità più grande, che senza la famiglia non avremmo imparato a sentire così vivamente; quando i genitori ci fanno capire concretamente che cosa significa essere portati per mano nella giungla del mondo, da una mano che continua a sorreggere anche quando non la si stringe più fisicamente.

In una famiglia libera e aperta anche l’Eros trova la sua avventura più grande, misteriosa e conturbante; mangiare in pace il proprio pane con la donna amata in giovinezza, come dice un passo biblico spesso citato da Saba, è esperienza di grandi amanti. E i figli, in un universo di rapporti liberati da familismo (ansioso, autoritario, debole, ossessivo, a seconda dei casi) diventano realmente la passione più grande che la vita ci fa conoscere.

La civiltà greca ci ha dato Edipo e gli Atridi, ma anche Ettore che, senza preoccuparsi della propria morte, sulle mura di Troia assediata gioca con suo figlio Astianatte e il suo desiderio più grande è che questi cresca migliore e più forte di lui.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/6/2012 20.19
Titolo:Gli stretti legami che uniscono ancora il Vaticano agli affari italiani ...
«La gerarchia italiana fa fatica ad abituarsi all’internazionalizzazione della Chiesa»

intervista a Manlio Graziano*,

- a cura di Isabelle de Gaulmyn

- in “La Croix” del 13 giugno 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Questi scandali mostrano gli stretti legami che uniscono ancora il Vaticano agli affari italiani. Come spiegare questo legame?

Innanzitutto con la storia. La Chiesa cattolica ha esercitato per un millennio il suo potere temporale su una grande parte del territorio della penisola e, anche al di fuori dello Stato pontificio, il clero è stato per moltissimo tempo il più importante proprietario fondiario (del resto, non solo in Italia).
- Tale posizione ha necessariamente lasciato delle tracce, ma in Italia più che altrove, perché, fin dalla sua nascita, lo Stato italiano ha sempre tenuto in considerazione gli interessi della Chiesa. Nella memoria dei responsabili politici italiani, infatti, la mobilitazione organizzata dalla Chiesa, che aveva provocato la caduta della Repubblica napoletana del 1799, è rimasta un ricordo indelebile.
- Al momento della presa di Roma, la prima decisione del governo italiano è quindi stata di esentare l’antico Stato pontificio, per un periodo di due anni, dall’applicazione delle leggi di soppressione dei benefici ecclesiastici, e la seconda di votare delle leggi di garanzia (le guarentigie) a favore della persona e dei beni del papa e del Vaticano.
- Durante la sospensione delle leggi dette “anticlericali” a Roma, fu il clero stesso che alienò gran parte delle sue proprietà fondiarie e fece nascere un grande impero finanziario (che in Italia viene chiamato “le banche cattoliche”), che da allora è uno dei protagonisti, di cui non si può non tener conto, della vita economica (e quindi politica) del paese. Ma non tutte le proprietà in mano al clero sono state alienate o espropriate in seguito. Secondo diverse fonti, la Chiesa conserverebbe oggi ancora un controllo diretto o indiretto sul 20-25% del patrimonio immobiliare italiana, e gli accordi del Laterano del 1929 lo autorizzavano a non pagare imposte su tali proprietà.

Gli italiani della Santa Sede conservano uno stretto legame con quanto succede nella Chiesa italiana?

Per rispondere a questa domanda, bisogna fare una distinzione tra i cittadini della Repubblica italiana che lavorano per una delle istituzioni della Città del Vaticano, e i vescovi e i cardinali italiani che lavorano nel governo centrale della Chiesa universale. Questi ultimi mantengono certo un legame molto forte con la Chiesa della penisola, e molti di loro fanno ancora fatica ad abituarsi all’internazionalizzazione della Chiesa di Roma. È comunque certo che l’Italia resta il pilastro su cui si basa la Chiesa universale. Questo autorizza una parte della gerarchia di origine italiana a mantenere una certa ambiguità, arrivando a volte perfino a pensare che il governo della Chiesa universale le spetti di diritto. Ora, dal 1978, la direzione centrale della Chiesa è affidata ad un nonitaliano, e oggi sappiamo che una delle ragioni dell’elezione di Karol Wojtyla fu proprio la volontà di sottrarre la Chiesa universale ai conflitti che dividevano i cardinali italiani.

Quali sono le poste in gioco, per la Chiesa italiana, di questa prossimità col Vaticano?

Come ho appena detto, la Chiesa italiana, in generale, si sovrastima. La vicinanza ai sacri palazzi, il suo ruolo storicamente decisivo, l’obiettiva importanza della penisola come “laboratorio” nel quale le scelte del papa e della gerarchia sono sperimentate, e il fatto di rappresentare un “polmone” per l’amministrazione e per il governo della Santa Sede: tutto questo dà ai responsabili della Chiesa italiana la sensazione di potersi in qualche modo “sottrarre” alle regole di funzionamento che sono imposte a tutte le altre Chiese nazionali in nome della centralizzazione della Chiesa universale.

* insegnante di geopolitica e di geopolitica delle religioni alla Sorbona Parigi IV e all’American Graduate School di Parigi, autore di Identité catholique et identité italienne. L’Italie laboratoire de l’Église (Parigi, 2007) et Il secolo cattolico. La strategia geopolitica della Chiesa (Roma, 2010)

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Commenti Articolo 807

Titolo articolo : PER CARLO OSSOLA UNA CATTEDRA AL "COLLEGE DE FRANCE" VAL BENE UNA MESSA: UNA "CELEBRAZIONE DELL'EUCARESTIA", SECONDO IL RITO DEL RATZINGERIANO BENEDETTO XVI. Una sua nota 'autobiografica' - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: June/12/2012 - 10:05:04.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/6/2012 10.05
Titolo:LA FILOLOGIA E LA TEOLOGIA DEL "MENTITORE" ......
PAOLO DI TARSO, L’ASTUTO APOSTOLO DELLA GRAZIA ("CHARIS") E DELL’ AMORE ("CHARITAS"), E LA NASCITA DEL CATTOLICESIMO-ROMANO! UNA NOTA

di Federico La Sala *

- (...) non equivochiamo! Qui non siamo sulla via di Damasco, nel senso e nella direzione di Paolo di Tarso, del Papa, e della Gerarchia Cattolico-Romana: “[... ] noi non siamo più sotto un pedagogo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Galati: 3, 25-28).

- Nella presa di distanza, nel porsi sopra tutti e tutte, e nell’arrogarsi il potere di tutoraggio da parte di Paolo, in questo passaggio dal NOI siamo al VOI siete, l’inizio di una storia di sterminate conseguenze, che ha toccato tutti e tutte. Il persecutore accanito dei cristiani, “conquistato da Gesù Cristo”, si pente - a modo suo - e si mette a “correre per conquistarlo” (Filippesi: 3, 12): come Platone (con tutto il carico di positivo e di negativo storico dell’operazione, come ho detto), afferra l’anima della vita evangelica degli apostoli, delle cristiane e dei cristiani, approfittando delle incertezze e dei tentennamenti di Pietro, si fa apostolo (la ‘donazione’ di Pietro) dei pagani e, da cittadino romano, la porta e consegna nelle mani di Roma. Nasce la Chiesa ... dell’Impero Romano d’Occidente (la ‘donazione’ di Costantino).

La persecuzione dei cristiani, prima e degli stessi ebrei dopo deve essere portata fino ai confini della terra e fino alla fine del mondo: tutti e tutte, nella polvere, nel deserto, sotto l’occhio del Paolo di Tarso che ha conquistato l’anima di Gesù Cristo, e la sventola contro il vento come segno della sua vittoria... Tutti e tutte sulla romana croce della morte.

- Egli, il vicario di Gesù Cristo, ha vinto: è Cristo stesso, è Dio, è il Dio del deserto... Un cristo-foro dell’imbroglio e della vergogna - con la ‘croce’ in pugno (e non piantata nella roccia del proprio cuore, come indicava Gesù) - comincia a portare la pace cattolico-romana nel mondo. Iniziano le Crociate e la Conquista. Il Dio lo vuole: tutti i popoli della Terra vanno portati nel gelo eterno - questo è il comando dei Papi e dei Concili, cioè delle massime espressioni dell’intelligenza astuta (quella del Dio di Ulisse e della vergine Atena, non del Dio di Giuseppe e di Maria) del Magistero della Chiesa, alle proprie forze armate... fino a Giovanni Paolo II, al suo cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e alla Commissione teologica internazionale, che ha preparato il documento “Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato”.

- Uno spirito e un proposito lontano mille miglia, e mille anni prima di Cristo, da quello della “Commissione per la verità e la riconciliazione”, istituita in Sudafrica nel 1995 da Nelson Mandela, per curare e guarire le ferite del suo popolo. Il motto della Commissione bello, coraggioso, e significativo è stato ed è: “Guariamo la nostra terra”!

*

Si cfr.: Federico La Sala, L’enigma della Sfinge e il segreto della Piramide, Ripostes, Roma-Salerno 2001, pp.23-25.

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Commenti Articolo 808

Titolo articolo : EUROPA 2013: LA LEZIONE TEOLOGICO-POLITICA DI GIOVANNI BOCCACCIO, A 700 DALLA NASCITA.,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: June/09/2012 - 12:35:21.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/5/2012 14.54
Titolo:DA BONIFACIO VIII AD OGGI ........
Delitti e castighi sul soglio di Pietro

di Corrado Augias (la Repubblica, 28 maggio 2012)

Più volte nel corso dei secoli il vento ha scosso la casa di Dio con raffiche anche più intense di quelle attuali. Più volte il fumo di Satana si è infiltrato nelle stanze più sacre dei sacri palazzi, come ebbe a lamentare Paolo VI.

Un ambiente come quello vaticano sembra fatto apposta per scuotimenti e infiltrazioni data la sua scarsa trasparenza, l’ostinata paura di aprirsi al mondo, l’atmosfera che sempre si crea in una corte dove un sovrano assoluto regna su uomini senza famiglia e dipende dal suo favore l’intera loro vita. Il che spiega quasi da solo perché le storie vaticane abbiano dato vita ad un intero filone narrativo che vede nei romanzi di Dan Brown (celebre "Il Codice da Vinci") solo gli ultimi esempi di un ’amplissima casistica.

Uno degli esempi più antichi di violenza e tradimento consumati per la conquista del soglio di Pietro è quello di cui fu protagonista Benedetto Caetani che costrinse il suo predecessore Celestino V (Pietro da Morrone) ad abdicare per l’impazienza di salire al trono dove regnerà col nome, famigerato, di Bonifacio VIII (1235-1303). Il povero Celestino era un uomo umile e pio, certamente inadatto all’incarico. Ma la violenza con la quale il futuro Bonifacio lo scalzò rimane degna delle più sinistre tradizioni del potere. Dante infatti lo caccerà, ancora vivo, all’inferno.

Il periodo più fecondo dal punto di vista narrativo è quello rinascimentale quando la corte di Alessandro VI Borgia divenne sede di intrighi e di delitti commessi a volte alla stessa presenza del papa. Celebre l’episodio di quando Cesare, figlio del papa e fratello di Lucrezia, assalì nei corridoi vaticani un tal Pedro Caldes, detto Perotto, 22 anni, primo cameriere del pontefice proprio come il Paolo Gabriele di cui si parla in questi giorni. Perotto si tratteneva affettuosamente con Lucrezia cosa che rischiava di compromettere il matrimonio al quale la bellissima donna era stata destinata.

Un giorno che Perotto passava per un corridoio s’imbatté casualmente in Cesare. Intuì da uno sguardo ciò che stava per accadere e cominciò a correre gridando a perdifiato, inseguito dall’altro che aveva estratto il pugnale. La corsa ebbe termine nella sala delle udienze dove Perotto si gettò ai piedi del pontefice implorando protezione. Non bastò. Cesare si avventò su di lui trafiggendolo con tale impeto che "il sangue saltò in faccia al papa" macchiandogli di rosso la bianca tonaca.

Non solo delitti ma anche orge caratterizzavano in quegli anni la corte. Preti e cardinali mantenevano una o più concubine "a maggior gloria di Dio", come scrive sarcastico lo storico Infessura, mentre il maestro di cerimonie pontificio Jacob Burchkardt nota che i monasteri di donne erano ormai "quasi tutti lupanari" poco o nulla distinguendo le religiose dalle "meretrices".

Cronache vivacissime ha lasciato il protonotario apostolico Johannes Burchard. Racconta ad esempio che una sera, a una delle consuete feste date dal papa: «Presero parte cinquanta meretrici oneste, di quelle che si chiamano cortigiane e non sono della feccia del popolo. Dopo la cena esse danzarono con i servi e con altri che vi erano, da principio coi loro abiti indosso, poi nude». La serata si concluse come si può immaginare, il protonotario riferisce dettagli che richiamano altre e assai recenti serate di ugual tenore.

Del resto fu questo tipo di atmosfera, aggiunto alla vendita scandalosa delle indulgenze, a convincere il frate agostiniano Martin Lutero a proclamare quella Riforma (1517) che avrebbe drammaticamente spaccato la cristianità fino ai nostri giorni.

Per venire ad anni a noi vicini, una vasta eco ha sollevato una mossa assai ambigua dell’allora segretario di Stato Eugenio Pacelli. Nel 1939, papa Pio XI avrebbe voluto pronunciare un discorso nel decennale del Concordato dove tra l’altro avrebbe denunciato le violenze del regime fascista e la persecuzione razziale dei nazisti contro gli ebrei. Alla vigilia dell’importante allocuzione papa Ratti venne però a morte e Pacelli, che sarebbe stato suo successore, fece prontamente sparire il discorso avendo in mente un diverso tipo di rapporti con le due dittature. Divenuto papa a sua volta col nome di Pio XII, lo dimostrerà. Intrighi e tradimenti all’ombra del trono di Pietro sono tutti accomunati da elementi rimasti invariati nel tempo: ritrosia a dare informazioni e addirittura a collaborare ad eventuali indagini, ostinati silenzi a costo di alimentare le ipotesi peggiori.

Se n’è avuta una prova in occasione della morte, altrettanto repentina, di Giovanni Paolo I, papa Luciani. Ancora una volta l’evento si verificò alla vigilia di una decisione importante con la quale il papa avrebbe riorganizzato la famigerata banca vaticana, in sigla Ior. Così oscure le circostanze dell ’evento che i media anglo-sassoni avanzarono apertamente l’ipotesi di un assassinio. L’autopsia avrebbe probabilmente fugato le voci ma le gerarchie vaticane la rifiutarono preferendo mantenere un silenzio che le ha ulteriormente alimentate.

Il caso più grave di reticenza si è però avuto quando, la sera del 4 maggio 1998, tre cadaveri vennero trovati in una palazzina a pochi metri dagli appartamenti pontifici. Il colonnello Alois Estermann, 44 anni, comandante delle "guardie svizzere"; sua moglie, Gladys Meza Romero di origine venezuelana; il vice-caporale Cédric Tornay, nato a Monthey (Svizzera), 24 anni. Poche ore dopo il portavoce vaticano Joaquin Navarro Valls dette ai giornalisti questa versione: il caporale, in un accesso di collera incontrollata, aveva ucciso il colonnello e sua moglie per poi togliersi la vita. Invano l’avvocato francese Luc Brossolet ha fatto eseguire (in Svizzera) perizie che dimostrano l ’incongruenza grossolana di quella versione. Da allora non è più stata cambiata.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/6/2012 12.35
Titolo:CRISI EPOCALE. Un modello che ha retto per secoli sta mostrando ora crepe ...
I corvi, il papa e la posta in gioco

di Aldo Maria Valli (Europa, 9 giugno 2012)

A questo punto occorre pur dirlo. La vicenda dei corvi è anche la forma espressiva, sotto molti aspetti sciagurata ma efficace, trovata dalle tensioni interne in Vaticano in vista del nuovo conclave. Senza voler mancare di rispetto al papa regnante, sul piano storico non si può ignorare che siamo entrati nella fase fibrillatoria che contraddistingue la fine dei pontificati, quando le forze in campo si muovono per guadagnare le posizioni migliori e raggiungere equilibri e accordi da far contare nel momento della scelta del nuovo papa.

La posta in gioco è il papato che sarà, e il terreno di scontro è la politica attuata da Ratzinger, specie per quanto riguarda la sua lettura del Concilio Vaticano II. In modo felpato, com’è nel suo stile, ma anche molto chiaro nei contenuti, Benedetto XVI ha di fatto riletto il Concilio in senso anti-innovativo. Basandosi sull’idea, incontestabile, che la Chiesa non ha né può avere una carta costituzionale, perché la sua sola “costituzione” è la sacra scrittura, Ratzinger ha però depotenziato l’eredità conciliare per quanto riguarda almeno quattro contenuti fondamentali del Concilio stesso: la collegialità, la liturgia, l’ecclesiologia, l’ecumenismo.

Circa la collegialità, la prassi dei sinodi fa capire di che tipo sia lo svuotamento attuato. Il sinodo, creatura conciliare, nasce per dare voce al confronto fra i vescovi e per far giungere le loro istanze al papa, ma oggi questa è una finzione, perché al posto di un confronto aperto c’è solo un accostamento di voci sotto il controllo del potere centrale della curia, senza un autentico dibattito e senza la possibilità, per ogni vescovo, di interloquire con il papa e di avere da lui qualche risposta concreta.

Quanto alla liturgia, le simpatie di Benedetto XVI per il rito antico sono note, e da queste derivano le sue scelte. Il concilio, su questo piano, non è mai stato apertamente criticato, ma con l’andare del pontificato sono state ripristinate forme liturgiche decisamente preconciliari e la preoccupazione di Ratzinger per il recupero dei lefebvriani, con tutte le energie spese in proposito, è di per sé eloquente.

Sul piano dell’ecclesiologia, abbiamo un rinnovato centralismo, con il papa e la curia romana in posizione di preminenza, i vescovi nel ruolo di meri esecutori, senza possibilità di vero confronto, e i laici totalmente subordinati, chiamati in causa in funzione di supplenza e solo se del tutto in linea con le indicazioni centrali. La nozione di Chiesa come “popolo di Dio” sembra lontana, persa nelle nebbie di un clericalismo di ritorno.

Infine l’ecumenismo. Anche in questo caso, nessuna sconfessione aperta del concilio, ma se poi si vanno a vedere i comportamenti concreti si nota la regressione. Significativa la giornata di Assisi di un anno fa, dove la preoccupazione di evitare il sincretismo ha svuotato l’incontro di contenuto ecumenico per farlo diventare un pellegrinaggio fatto in comune ma senza reali segni di fraternità, e dove si è preferito accentuare il ruolo dei non credenti, trasportando così il confronto dal piano della preghiera a quello del confronto culturale.

Stando così le cose, mentre la Chiesa (per ammissione dello stesso Benedetto XVI) sta vivendo una pagina “drammatica”, segnata anche dalla disubbidienza di alcuni preti europei che, non trovando altre forme per manifestare le proprie richieste e il proprio disagio, hanno deciso di dire no al magistero su questioni come il celibato, la consacrazione ministeriale delle donne e il divieto di comunione per i divorziati risposati, dentro le sacre mura si confrontano e si scontrano le fazioni: continuare su questa strada che è di sostanziale ridimensionamento dell’eredità conciliare oppure aprire una pagina diversa, all’insegna del confronto tra i punti fermi del concilio, che devono restare tali, e le nuove realtà? Il fatto che il confronto sia emerso secondo le modalità che abbiamo sotto gli occhi, attraverso fughe di documenti, è di per sé significativo.

Quella che vediamo non è soltanto la crisi di questo papato. E una crisi del papato in quanto forma istituzionale. La concentrazione di potere, senza eguali, nelle mani di uno solo, l’influenza inevitabile che il ruolo di capo di stato ha su quello di capo spirituale e la mancanza di veri luoghi di dibattito all’interno della curia stanno determinando una situazione che, specialmente nel confronto con la società della comunicazione, si è fatta insostenibile. Un modello che ha retto per secoli sta mostrando ora crepe sempre più evidenti.

Ma fino a quando la Chiesa, nella sua espressione gerarchica, potrà fingere di non accorgersene? Fino a quando la linea della segretezza potrà essere privilegiata rispetto a quella della trasparenza e la forma dell’assolutismo (che alimenta inevitabilmente manovre oscure e maldicenze) rispetto a un confronto aperto, magari anche duro ma istituzionalizzato? Fino a quando la paura dovrà prevalere sulla fiducia? Questa è la posta in gioco. Questi i veri problemi che i corvi e le conseguenti battaglie fra guardie e ladri hanno portato alla luce.

Queste le vere tensioni che stanno sotto e dietro i fatti di cronaca. Se nella Chiesa cattolica ci fosse un’opinione pubblica sarebbero motivo di dibattito. Ma nella Chiesa una vera opinione pubblica non c’è, perché chi cerca di alimentarla viene costantemente mortificato ed emarginato. Ed anche su questo aspetto, a cinquant’anni dal concilio, bisognerebbe riflettere.

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Commenti Articolo 809

Titolo articolo : CRISTO, LE RELIGIOSE AMERICANE, E BENEDETTO XVI: LO SVELAMENTO DEL TRADIMENTO DA PARTE DEI GERARCHI DELLA CHIESA CATTOLICA. Intervista a suor Gramick, sull'attacco alla Leadership Conference of Women Religious (Lcwr) - con alcune note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: June/07/2012 - 11:31:38.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/5/2012 16.53
Titolo:«CONTINUATE A SOSTENERE LE RELIGIOSE». APPELLO DI EX SUORE AI VESCOVI USA
«CONTINUATE A SOSTENERE LE RELIGIOSE». APPELLO DI EX SUORE AI VESCOVI USA *

36679. NEW YORK-ADISTA. «Nessuno spazio per il dissenso; nessuna possibilità di prospettive diverse; nessun modo di impegnarsi nel dialogo su posizioni cattoliche tradizionali e spesso ristrette; in breve, le religiose devono tenersi le loro idee per loro e seguire semplicemente il dettato e la direzione di Roma, pena la censura, imbarazzo pubblico, atteggiamento oppressivo e persino potenziale espulsione». Dopo innumerevoli testimonianze di solidarietà e di appoggio cui hanno dato voce, negli Usa, media cattolici e laici, così inizia una lettera aperta che quindici ex suore statunitensi, capitanate da Helen Urbain-Majzler, direttora di un’istituzione sanitaria di carattere pubblico, hanno inviato ai vescovi del loro Paese - formalmente al card. Timothy Dolan, arcivescovo di New York, con preghiera di condividerla con i confratelli - riguardo all’attacco lanciato dal Vaticano alla Leadership Conference of Women Religious (Lcwr), l’organismo che riunisce i vertici dell’80% delle congregazioni religiose femminili, giudicati da Roma troppo liberal e femministe (v. Adista Notizie nn. 16 e 17/12 e notizia precedente).

Se la Lcwr ha mostrato sorpresa per il provvedimento romano, scrivono le ex-suore, tra le quali medici, psicologhe, docenti universitarie, educatrici, «donne come noi non si sono stupite. Tutte noi - ora ex religiose - abbiamo vissuto molti anni in comunità religiose e abbiamo sperimentato il trattamento crudele e punitivo delle religiose che hanno assunto posizioni coraggiose a livello pubblico per difendere i poveri, i più vulnerabili nella salute, e le vittime della società, tra cui gli omosessuali».

Il Vaticano, proseguono le ex-religiose, non ha riconosciuto i cambiamenti avvenuti nella Chiesa e nella società americana negli ultimi 40-50 anni, nella quale le forze cattoliche, un tempo maggioritarie, hanno lasciato il posto al pluralismo culturale, ma anche religioso; nella quale il cattolicesimo obbediente e mansueto del passato è in gran parte scomparso e numerosissimi sono i fedeli che hanno deciso di abbandonare la Chiesa. «Per molti cattolici adulti - scrivono le suore - le riforme del Vaticano II, così come il divieto della contraccezione naturale da parte della Chiesa, gli scandali degli abusi sessuali, le coperture della gerarchia, hanno cominciato a intaccare l’obbedienza cieca di molti fedeli. Di sicuro, i vescovi americani sono consapevoli del fatto che l’87% dei cattolici si oppone alla proibizione papale della contraccezione artificiale. Forse il Vaticano non ha capito che la cultura occidentale pone più enfasi sulla responsabilità personale».

Anche le superiore delle congregazioni religiose si sono trovate immerse in questa trasformazione e hanno dovuto fare i conti con le mutate esigenze delle donne che facevano parte delle loro congregazioni, nonché pubblico al quale rivolgevano il loro ministero, ma questo cambiamento «non ha messo in discussione l’orientamento spirituale e la fede in Dio», poiché «dottrina e ministero sono questioni separate». Il problema, semmai, è che non si comprende «perché il Vaticano trovi così difficile permettere un dialogo sincero e aperto sul futuro della Chiesa, sulla spiritualità, sulle priorità ministeriali, senza ingenerare paura di un’azione punitiva». E «solo le organizzazioni più repressive e autocratiche temono l’apporto sincero e onesto dei loro membri. Che cosa esprime questo aspetto riguardo all’autorità della Chiesa e alla relazione con le donne, che hanno offerto migliaia di anni di servizio dedicato, coerente e fedele?».

Le suore firmatarie della lettera affermano che l’impatto personale del provvedimento sulle suore della Lcwr, a molte delle quali sono legate da rapporti di amicizia, è stato pesante. «Speriamo che la Conferenza episcopale statunitense mantenga un atteggiamento di apertura mentale e di cuore nei confronti delle leader religiose, e continuino ad apprezzare e promuovere i loro numerosi doni, invece di supportare con atteggiamento mite e obbediente il Vaticano nel mettere al silenzio questa voce dello Spirito nella chiesa di oggi. Speriamo - è la loro conclusione - che abbiate il coraggio di fare la cosa giusta per le donne, anche se non siamo del tutto fiduciose nel fatto che ciò avverrà. Molte di noi hanno lasciato la propria comunità religiosa per il modo in cui le donne venivano trattato. La Chiesa, purtroppo, mostra ancora di avere paura e di volersi difendere dalla nostra influenza. Come potrà sopravvivere la Chiesa se continua a ignorare o a soggiogare metà della popolazione mondiale?».

Nel frattempo si sono moltiplicate, in numerose città statunitensi, veglie di preghiera e di sostegno alle religiose nonché manifestazioni di protesta; per il 29 maggio è stata programmata una grande manifestazione di supporto a Oakland, in California. È stato inoltre lanciato in tempi record un sito, www.nunjustice.org sul quale è possibile, tra l’altro, sottoscrivere le petizioni di sostegno. (ludovica eugenio)

* Adista Notizie, n. 19, 19/05/2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/5/2012 18.53
Titolo:Dopo l'intervento sulle religiose, sotto esame le associazioni femminili scout
Dopo l'intervento romano sulle religiose, i vescovi USA mettono sotto
esame le associazioni femminili scout

di Ja – die neue Kirchenzeitung
in “www.ja-kirchenzeitung.at” n° 22 del maggio 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Il movimento femminile scout negli USA è sottoposto ad esame da parte della Conferenza episcopale americana per valutarne la concordanza con la dottrina cattolica. Oggetto dell'esame sono dei materiali dell'associazione (che conta 2,3 milioni di ragazze), riferisce il sito britannico “Independent Catholic News”, in riferimento ad una lettera inviata dal vescovo Kevin Rhoades, che si occupa dell'indagine, al Comitato episcopale per i laici, il matrimonio, la famiglia e la gioventù.


Si tratterebbe di “possibili problematici rapporti con altre organizzazioni”.
Secondo “Independent Catholic News”, una portavoce dell'associazione femminile scout, Michelle Thompkins, ha dichiarato, in merito a tale comunicazione, che la sua associazione mantiene da 98 anni uno “strettissimo rapporto con la Chiesa cattolica”, rapporto che continuerà, e che l'associazione coopera strettamente con i vescovi per chiarire i problemi e portare avanti il lavoro.

L'associazione scout è già stata più volte criticata dalle organizzazioni e dai media cattolici. I rimproveri riguardavano, tra l'altro, il fatto che l'associazione, nei suoi siti web o durante
manifestazioni, faccia riferimento a del materiale che consiglia la contraccezione artificiale, come quello di “Planned Parenthood”.


L'organizzazione femminile aveva dichiarato in febbraio di non avere alcun rapporto con “Planned Parenthood” e di non aver mai partecipato alla distribuzione di tali materiali. Numerosi link oggetto di critica sono stati nel frattempo rimossi su iniziativa interna.

L'associazione femminile scout americana non è legata ad una specifica confessione; solo un quarto delle ragazze che ne sono
membri appartiene, secondo dati dell'associazione, alla Chiesa cattolica.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/5/2012 17.57
Titolo:Ricordiamo Suor Emmanuelle ...
Il silenzio che manca in Vaticano

di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 22.03.2009)

C’è forse una parte di verità in quello che si dice delle ultime parole e azioni di Benedetto XVI: comunicare quel che pensa gli è particolarmente difficile. Sempre s’impantana, mal aiutato da chi lo circonda. Sempre è in agguato il passo falso, precipitoso, mal capito. Il pontefice stesso, nella lettera scritta ai vescovi dopo aver revocato la scomunica ai lefebvriani, enumera gli errori di gestione sfociati in disavventura imprevedibile. Confessa di non aver saputo nulla delle opinioni del vescovo Williamson sulla Shoah («Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante l’Internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza del problema»). Ammette che portata e limiti della riconciliazione con gli scismatici «non sono stati illustrati in modo sufficientemente chiaro». Poi tuttavia sono venuti altri gesti, e l’errore di gestione non basta più a spiegare. È venuta la scomunica ai medici che hanno fatto abortire una bambina in Brasile, stuprata e minacciata mortalmente perché gravida a 9 anni.

La scomunica, che colpisce anche la madre, è stata pronunciata da Don Sobrinho, arcivescovo di Olinda e Recife: il Vaticano l’ha approvata. Infine è venuta la frase del Papa sui profilattici, detta sull’aereo che lo portava in Africa: profilattici giudicati non solo insufficienti a proteggere dall’Aids - una verità evidente - ma perfino nocivi. C’è chi comincia a vedere patologie. Una quasi follia, dicono alcuni. L’ex premier francese Juppé parla di autismo. Sono spiegazioni che non aiutano a capire. C’è del metodo in questa follia. C’è il riaffiorare possente di un conservatorismo che ha seguaci e non è autistico. Sono più vicini al vero coloro che stanno tentando di resuscitare il Concilio Vaticano II, nel cinquantesimo anniversario del suo annuncio, e vedono nella disavventura papale qualcosa di più profondo: l’associazione Il Nostro 58, sorretta da Luigi Pedrazzi a Bologna, considera ad esempio la presente tempesta una prova spirituale.

Una prova per il Papa, per i cattolici, per la pòlis laica: l’occasione che riesumerà lo spirito conciliare o lo seppellirà. Non si è mai parlato tanto di Concilio come in queste settimane che sembrano svuotarlo. Le figure di Giovanni XXIII e Paolo VI risaltano più che mai. Chi legga l’ultimo libro di Alberto Melloni sul Papa buono capirà più profondamente quel che successe allora, che succede oggi. Capirà che quello straordinario Concilio è appena cominciato, e avversato oggi come allora. Quando Papa Roncalli lo annunciò, il 25 gennaio ’58 nella basilica di San Paolo, solo 24 cardinali su 74 aderirono (7 nella curia). Inutile invocare un Concilio Vaticano III se il secondo è ai primordi. Eppure son tante le parole papali che contraddicono errori, avventatezze. Il filosofo Giovanni Reale sul Corriere della Sera ne ricorda una: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Enciclica sull’Amore). Se in principio non c’è un dogma ideologico diventa inspiegabile la durezza vaticana sul fine vita, conclude Reale. Diventa inspiegabile anche la chiusura su profilattici e controllo delle nascite in Africa, dove Aids e sovrappopolazione sono flagelli. In realtà il Papa sostiene, nella lettera ai vescovi, che «il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini, e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento».

È un annuncio singolare, perché chi certifica la catastrofe? E il certificatore non tenderà a un potere fine a se stesso? Se Dio davvero scompare, tanto più indispensabile è l’autorità del suo vicario: una tentazione non del Papa forse - che nell’orizzonte nuovo pareva credere - ma di parte della Chiesa. L’auctoritas diventa più importante dell’incontro con Gesù: urge affermarla a ogni costo. Così come più importante diventa la gerarchia, rigida, astratta, dei valori. In un orizzonte vuoto non restano che astrazione e potere. L’arcivescovo brasiliano afferma il monopolio sui valori, innanzitutto: «La legge di Dio è superiore a quella degli uomini»; «L’aborto è molto più grave dello stupro. In un caso la vittima è adulta, nell’altro un innocente indifeso». E si è felicitato degli elogi del cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione dei vescovi. Né Sobrinho né Re vedono l’uomo: né l’uno né l’altro vedono che la bambina ingravidata non è adulta. Non vedono l’essere umano, il legno storto di cui è fatto: proprio quello che invece vide Giovanni XXIII, alla vigilia del Concilio. Melloni ricorda l’ultima pagina del Giornale dell’Anima di Roncalli, scritta il 24 maggio ’63, pochi giorni prima di morire: «Ora più che mai, certo più che nei secoli passati, siamo intesi a servire l’uomo in quanto tale e non solo i cattolici; a difendere, anzitutto e dovunque, i diritti della persona umana e non solo quelli della chiesa cattolica. (...) Non è il Vangelo che cambia: siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio». Comprenderlo meglio era «riconoscere i segni dei tempi».

O come dice Melloni: indagare l’oggi. Vedere nell’uomo in quanto tale il vangelo che parla alla Chiesa, e «non semplicemente il destinatario del messaggio, o il protagonista di un rifiuto, ovvero - peggio ancora - il mendicante ferito di un “senso” di cui la Chiesa sarebbe custode indenne e necessariamente arrogante» (Papa Giovanni, Einaudi, 2009). Questi mesi erranti e maldestri sono una prova perché gran parte della Chiesa non pensa come il Papa: dà il primato alla libertà, alla coscienza, sul dogma. Indaga l’oggi, specie dove l’uomo è pericolante come in Africa o nelle periferie occidentali.

Ricordiamo Suor Emmanuelle, che a 63 anni decise di vivere con gli straccivendoli nei suburbi del Cairo, e un giorno scrisse una lettera a Giovanni Paolo II in cui illustrò la necessità delle pillole per bambine continuamente ingravidate. Lo narra in un libro scritto prima di morire (J’ai 100 ans et je voudrais vous dire, Plon). Distribuiva profilattici senza teorizzare su di essi. Giovanni Paolo II non rispose alla lettera. La sintonia con Ratzinger era forte. Ma il silenzio ha un pregio inestimabile, è un’apertura infinita all’umano. Suor Emmanuelle gli fu grata: disse che il suo silenzio era un balsamo. È il silenzio che oggi manca in Vaticano. Il silenzio che pensa, ha sete di sapienza, ascolta. Che non vede orizzonti vuoti. Il Vangelo è sempre lì, va solo compreso meglio. Contiene una verità che sempre riaffiora, quella detta da Gesù a Nicodemo: «Lo spirito soffia dove vuole. Ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va» (Giovanni 3,8). Soffia come il fato delle tragedie greche: innalzando gli impotenti, spezzando l’illusione della forza. Chi fa silenzio o è solitario lo lascia soffiare, afferrato dal mistero.

In Africa, il Papa ha accennato al «mito» della sua solitudine, dicendo che «gli viene da ridere», visto che ha tanti amici. Perché questo ridere? Come capire il dolore umano, senza solitudine? Cosa resta, se non l’ammirazione della forza (la forza numerica dei lefebvriani, evocata nella lettera del 12 marzo) e l’oblio di chi, impotente, incorre nell’anatema come il padre di Eluana, la madre della bambina brasiliana, i malati che si difendono come possono dall’Aids? Per questo quel che vive il Papa è prova e occasione. Prova per chi tuttora paventa gli aggiornamenti giovannei, e sembra voler affrettare la fine della Chiesa per rifarne una più pura. Prova per chi difende il Concilio come rottura e riscoperta di antichissima tradizione. La tradizione del rinascere dall’alto, dello spirito che soffia dove vuole: vicino a chi crede nei modi più diversi.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/6/2012 11.31
Titolo:Il Vaticano e la teologia delle sorelle
Il Vaticano e la teologia delle sorelle

di Massimo Faggioli (Europa, 6 giugno 2012)

Durante e nonostante lo scandalo delle divisioni interne alla Curia romana ormai noto come “VatiLeaks”, proseguono i richiami del magistero della Chiesa rivolti contro teologhe e teologi cattolici. Due giorni fa è toccato a suor Margaret A. Farley, docente alla Divinity School della Yale University, ricevere da Roma una notifica (datata 30 marzo 2012) riguardo il suo recente libro, Just Love: A Framework for Christian Sexual Ethics. Le critiche riguardano la trattazione di questioni come la masturbazione, gli atti omosessuali, le unioni omosessuali e il matrimonio.

In questi ambiti suor Farley presenta dei casi in cui, sulla base di una morale esperienziale e non dottrinale, si difende la moralità di pratiche rigettate dalla morale sessuale ufficiale della Chiesa. La notifica viene non dai vescovi americani, ma dalla Congregazione per la dottrina della fede che attualmente è guidata da un cardinale americano, William Levada. Il libro viene accusato di insegnare in materia morale principi significativamente differenti da quelli insegnati dal papa e dei vescovi, e quindi di provocare confusione tra i fedeli. Il libro di conseguenza «non può essere usato come valida espressione della dottrina cattolica».

Nella sua risposta, Farley ha «ringraziato la Congregazione» per l’attenzione ricevuta e non ha smentito il fatto che il libro contenga opinioni che non sono in accordo con l’insegnamento ufficiale della Chiesa, ma ha anche puntualizzato che il libro è inteso ad offrire non una dottrina cattolica alternativa, ma «un’interpretazione contemporanea di significati tradizionali che sono rilevanti per il corpo umano, la differenza di genere e la sessualità».

Come accade di consueto, i teologi americani si sono schierati in difesa del libro sotto accusa, che al momento della pubblicazione nel 2006 venne accolto da recensioni molto positive. Una delle teologhe moraliste più importanti, Lisa Cahill del Boston College, ha affermato che una delle questioni-chiave del libro è la violenza contro le donne e le sue conseguenze per la teologia morale cattolica - una questione che non viene menzionata nel giudizio della Congregazione, che invece accorda grande importanza alla moralità della masturbazione.

Anche l’ordine religioso a cui appartiene suor Farley, quello delle “Sisters of Mercy of the Americas”, ha espresso il suo sostegno all’autrice del libro, docente a Yale dal 1971, pluripremiata e celebre a livello mondiale non come esperta di morale sessuale bensì di bioetica ed etica medica.

Agli occhi dei cattolici americani, infatti, è chiaro lo schema di azione della gerarchia verso la teologia americana e in particolare contro le teologhe. Risale al 2010 l’inizio delle tensioni tra i vescovi americani e le religiose circa la riforma sanitaria dell’amministrazione Obama, che le religiose hanno appoggiato per il tentativo di estendere la copertura sanitaria a quasi tutti quelli attualmente senza accesso alle cure mediche.

È dell’autunno 2011, poi, lo scontro tra la conferenza episcopale americana e la docente di teologia di Fordham University, Elizabeth Johnson circa il suo libro, Quest for the Living God. Nel maggio 2012 si è infine avuta notizia dell’indagine aperta dai vescovi americani sulle Girl Scouts (che negli Stati Uniti sono separate dai Boy Scouts of America e politicamente molto più liberal e socialmente più impegnate) per i legami che le Girl Scouts hanno con organizzazioni che promuovono la contraccezione e la salute sessuale delle donne.

È una spaccatura grave e crescente quella tra il Vaticano e i vescovi da una parte, e la teologia americana dall’altra: si tenta di ironizzare apprezzando il fatto che immediatamente, qualche ora dopo la pubblicazione di queste “condanne” vaticane, i libri presi di mira scalano le classifiche di vendita. Nel caso di Farley, i proventi andranno al suo ordine religioso, anch’esso nel mirino del Vaticano per i provvedimenti annunciati due mesi fa contro la Lcwr, la più grande federazione degli ordini religiosi femminili degli Stati Uniti.

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Titolo articolo : Il veleno e la cura,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: June/05/2012 - 04:36:10.

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Autore Città Giorno Ora
Franco Canavero Monticello d'Alba 05/6/2012 04.36
Titolo:
Buona riflessione. Proviamo a combattere ogni giorno con le nostre scelte di vita.

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Commenti Articolo 811

Titolo articolo : “NO” ai venti di guerra sul nucleare iraniano“SI” alla denuclearizzazione euromediterranea,

Ultimo aggiornamento: June/03/2012 - 23:51:41.

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Autore Città Giorno Ora
antonio lupo milano 03/6/2012 21.16
Titolo:
denuclearizziamo Israele, la 3° potenza militare nucleare dell'Occidente, che è il vero pericolo di guerra , come hanno detto gunter grass e il vescovo Desmond Tutu

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Commenti Articolo 812

Titolo articolo : Per la guerra i soldi ci sono sempre,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: May/30/2012 - 23:21:31.

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Autore Città Giorno Ora
Laura Giovannini Laives (BZ) 30/5/2012 20.10
Titolo:Che schiettezza
Trovo sempre istruttivo leggere le sue parole e purtroppo anche tragico.
Occorre trovare una proposta operativa che accomuni le persone di buona volontà ed oneste, unendone le forze, ma non è facile.
A proposito delle persone che hanno subito danni con il terremoto, Avaaz.org , via internet, sta raccogliendo firme per una petizione al governo che dirotti i soldi ai partiti in loro favore.
Con il mezzo che voi avete riuscite certo a raggiungere molte persone, non perdiamo la speranza.

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Commenti Articolo 813

Titolo articolo : IL SONNO DOGMATICO E IL SILENZIO DEL CARDINALE RAVASI (E DI TUTTI GLI ALTRI CARDINALI): LA PAROLA INCOMPRESA. Una sua riflessione - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: May/29/2012 - 08:17:48.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/5/2012 12.40
Titolo:IL SILENZIO DEI VESCOVI. Linee-guida per i casi di abuso .....
- Pedofilia, il clero non denuncia
- I vescovi non vogliono indagare

di Marco Politi (il Fatto, 23.05.2012)

Molte parole, ottime intenzioni, nessun meccanismo concreto per portare alla luce i crimini di pedofilia commessi dal clero attraverso i decenni. Le Linee-guida “per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici”, emesse ieri dalla Conferenza episcopale italiana, deludono quanti dentro e fuori la Chiesa cattolica si aspettavano che anche in Italia l’istituzione ecclesiastica si attrezzasse per rendere efficacemente giustizia alle vittime e scoprire i criminali nascosti al proprio interno. Si fa prima a elencare quello che non c’è nel documento che indicare le novità. Positivo è certamente l’incitamento ai vescovi a essere sollecitamente disponibili ad ascoltare le vittime e i familiari, ad offrire sostegno spirituale e psicologico, a proteggere i minori e a procedere immediatamente ad una “accurata ponderazione” della notizia del crimine per aprire altrettanto rapidamente un’indagine ecclesiastica. Poi, se del caso, si passa al processo diocesano, allontanando nel frattempo il prete da ogni contatto con minori per evitare il “rischio che i fatti delittuosi si ripetano”.

DOPO DUE anni di riflessione e un anno di elaborazione del testo, la Conferenza episcopale si ferma qui. Chiudendo ostinatamente gli occhi di fronte alle esperienze più avanzate realizzate in altri paesi come gli Stati Uniti, la Germania, l’Austria, il Belgio, l’Inghilterra. In Belgio e in Austria hanno formato commissioni di inchiesta nazionali, guidate da personalità laiche indipendenti? Pollice verso dei vescovi italiani. In Germania esiste un vescovo incaricato a livello federale di monitorare il dossier pedofilia e di intervenire nelle diocesi - diciamo così - poco attente? In Italia non se ne parla nemmeno. In Inghilterra operano gruppi di vigilanza nelle parrocchie? La Cei si guarda bene dal suggerirlo. Nella diocesi di Bressanone era stato istituito un indirizzo mail e un referente per le vittime? La Cei non istituisce neanche questo piccolo strumento operativo.

Don Fortunato Di Noto, il prete siciliano impegnato nel contrasto alla pedofilia, aveva proposto che in tutte le diocesi venisse istituito un “vicario per i bambini”, una sorte di angelo custode per prevenire e vigilare. Proposta cestinata. Spira in tutto il documento un vento difensivo, concentrato nel respingere interventi energici delle autorità giudiziarie. “Eventuali informazioni o atti concernenti un procedimento giudiziario canonico possono essere richiesti dall’autorità giudiziaria dello Stato, ma non possono costituire oggetto di un ordine di esibizione o di sequestro”. È la paura che - come è accaduto in America - i tribunali possano ottenere la documentazione delle manovre che hanno portato a insabbiamenti. Impedito anche l’accesso agli archivi vescovili.

Altrove nel mondo gli episcopati si preoccupano di approntare anche un equo risarcimento per le vittime. Le Linee-guida si preoccupano di proclamare che “nessuna responsabilità, diretta o indiretta, per gli eventuali abusi sussiste in capo alla Santa Sede o alla Conferenza episcopale italiana”. Il culmine del documento si raggiunge nell’affermazione lapidaria che nell’ordinamento italiano il vescovo non riveste la qualifica di pubblico ufficiale e perciò “non ha l’obbligo giuridico di denunciare all’autorità giudiziaria statuale le notizie che abbia ricevuto in merito ai fatti illeciti”.

È vero, in Italia l’obbligo non c’è. (Lo potrebbe introdurre il Parlamento!) Ma come dimenticare le migliaia di vittime soffocate dal silenzio. Sarebbe stato un gesto di responsabilità se la Cei, liberamente, avesse impegnato tutti i vescovi a denunciare i criminali. Non accadrà. Nonostante episodi vergognosi di inrzia verificatisi in passato. Si chiama - lo si legge nelle Linee - “rispetto della libertà della vittima di intraprendere le iniziative giudiziarie che riterrà più opportune”. Dice mons. Crociata, segretario della Cei, che non va dimenticato che gli abusi del clero sono un “delitto”. Aggiunge che la pedofilia è un fenomeno che “purtroppo ha un’estensione enorme e richiede uno sforzo collettivo per combatterlo” e che la cooperazione tra autorità ecclesiastiche e civili è prassi.

MA QUANDO gli si chiede perché i vescovi non sentono il dovere della denuncia, risponde: “Non possiamo chiedere al vescovo di diventare un pubblico ufficiale”. Una spiegazione razionale, giuridica o evangelica non c’è. C’è solo la grande paura dell’episcopato italiano di affrontare un bagno di verità. Dopo due anni (due anni!) la Cei ha fornito qualche cifra: 135 casi di abusi di chierici avvenuti tra il 2000 e il 2011 e portati alla Congregazione per la Dottrina della fede. “53 condanne, 4 assolti e gli altri casi in istruttoria”, spiega Crociata. E ancora: delle settantasette denunce alla magistratura: 2 condanne in primo grado, 17 in secondo, 21 patteggiamenti, 5 assolti e 12 casi archiviati.

Il rapporto tra la maggioranza dei colpevoli e la piccola percentuale di innocenti è palese. La grande paura di scavare nella realtà nasce da qui.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/5/2012 15.52
Titolo:OBBEDIENZA E LIBERTA'. Nella responsabilità trovano realizzazione entrambe ...
OBBEDIENZA E LIBERTA’

di don Aldo Antonelli

«Alzati! Anch’io sono un uomo»! Sono le parole di Pietro ad un “fedele” che gli si era inginocchiato per omaggiarlo.

Potrà anche essere umanamente spiegabile il gesto della prostrazione. Potrà anche essere “spontaneo” genuflettere se stesso di fronte ad un altro. Spesso, comunque, non è disinteressato. Di sicuro non è Umano, né proprio della dignità della persona.

Benedire le persone perché sappiano stare in piedi, invece che educarle alle genuflessioni; questa è l’istanza prima dell’etica evangelica. Una comunità di fratelli e sorelle che sappiano guardarsi negli occhi con dignità, liberi da sospette riverenze e umilianti deferenze; questa è la chiesa del Risorto. Un papa che abbia il coraggio di dire, come Pietro: “Alzati! Anch’io sono un uomo!”. Questa la rivoluzionaria novità del vangelo del Magnificat.

C’è un cammino ancora lungo da compiere per una chiesa che dell’obbedienza come sottomissione ne ha fatto una virtù e che della libertà come emancipazione ha sempre nutrito sospetti e diffidenze.

Vi auguro buona domenica con questo pensiero di Dietrich Bonhoeffer:

- «L’obbedienza sa cosa è bene,
- e lo compie,
- La libertà osa agire, e rimette a Dio il giudizio
- su ciò che è bene e male.
- L’obbedienza segue ciecamente,
- la libertà ha gli occhi ben aperti.
- L’obbedienza agisce senza domandare,
- la libertà vuole sapere il perché.
- L’obbedienza ha le mani legate, la libertà è creativa.

- Nell’obbedienza l’uomo osserva i comandamenti di Dio,
- nella libertà l’uomo crea comandamenti nuovi.
- Nella responsabilità trovano realizzazione entrambe, l’obbedienza è libertà».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/5/2012 18.00
Titolo:IL SILENZIO CHE MANCA IN VATICANO ....
Il silenzio che manca in Vaticano

di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 22.03.2009)

C’è forse una parte di verità in quello che si dice delle ultime parole e azioni di Benedetto XVI: comunicare quel che pensa gli è particolarmente difficile. Sempre s’impantana, mal aiutato da chi lo circonda. Sempre è in agguato il passo falso, precipitoso, mal capito. Il pontefice stesso, nella lettera scritta ai vescovi dopo aver revocato la scomunica ai lefebvriani, enumera gli errori di gestione sfociati in disavventura imprevedibile. Confessa di non aver saputo nulla delle opinioni del vescovo Williamson sulla Shoah («Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante l’Internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza del problema»). Ammette che portata e limiti della riconciliazione con gli scismatici «non sono stati illustrati in modo sufficientemente chiaro». Poi tuttavia sono venuti altri gesti, e l’errore di gestione non basta più a spiegare. È venuta la scomunica ai medici che hanno fatto abortire una bambina in Brasile, stuprata e minacciata mortalmente perché gravida a 9 anni.

La scomunica, che colpisce anche la madre, è stata pronunciata da Don Sobrinho, arcivescovo di Olinda e Recife: il Vaticano l’ha approvata. Infine è venuta la frase del Papa sui profilattici, detta sull’aereo che lo portava in Africa: profilattici giudicati non solo insufficienti a proteggere dall’Aids - una verità evidente - ma perfino nocivi. C’è chi comincia a vedere patologie. Una quasi follia, dicono alcuni. L’ex premier francese Juppé parla di autismo. Sono spiegazioni che non aiutano a capire. C’è del metodo in questa follia. C’è il riaffiorare possente di un conservatorismo che ha seguaci e non è autistico. Sono più vicini al vero coloro che stanno tentando di resuscitare il Concilio Vaticano II, nel cinquantesimo anniversario del suo annuncio, e vedono nella disavventura papale qualcosa di più profondo: l’associazione Il Nostro 58, sorretta da Luigi Pedrazzi a Bologna, considera ad esempio la presente tempesta una prova spirituale.

Una prova per il Papa, per i cattolici, per la pòlis laica: l’occasione che riesumerà lo spirito conciliare o lo seppellirà. Non si è mai parlato tanto di Concilio come in queste settimane che sembrano svuotarlo. Le figure di Giovanni XXIII e Paolo VI risaltano più che mai. Chi legga l’ultimo libro di Alberto Melloni sul Papa buono capirà più profondamente quel che successe allora, che succede oggi. Capirà che quello straordinario Concilio è appena cominciato, e avversato oggi come allora. Quando Papa Roncalli lo annunciò, il 25 gennaio ’58 nella basilica di San Paolo, solo 24 cardinali su 74 aderirono (7 nella curia). Inutile invocare un Concilio Vaticano III se il secondo è ai primordi. Eppure son tante le parole papali che contraddicono errori, avventatezze. Il filosofo Giovanni Reale sul Corriere della Sera ne ricorda una: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Enciclica sull’Amore). Se in principio non c’è un dogma ideologico diventa inspiegabile la durezza vaticana sul fine vita, conclude Reale. Diventa inspiegabile anche la chiusura su profilattici e controllo delle nascite in Africa, dove Aids e sovrappopolazione sono flagelli. In realtà il Papa sostiene, nella lettera ai vescovi, che «il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini, e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento».

È un annuncio singolare, perché chi certifica la catastrofe? E il certificatore non tenderà a un potere fine a se stesso? Se Dio davvero scompare, tanto più indispensabile è l’autorità del suo vicario: una tentazione non del Papa forse - che nell’orizzonte nuovo pareva credere - ma di parte della Chiesa. L’auctoritas diventa più importante dell’incontro con Gesù: urge affermarla a ogni costo. Così come più importante diventa la gerarchia, rigida, astratta, dei valori. In un orizzonte vuoto non restano che astrazione e potere. L’arcivescovo brasiliano afferma il monopolio sui valori, innanzitutto: «La legge di Dio è superiore a quella degli uomini»; «L’aborto è molto più grave dello stupro. In un caso la vittima è adulta, nell’altro un innocente indifeso». E si è felicitato degli elogi del cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione dei vescovi. Né Sobrinho né Re vedono l’uomo: né l’uno né l’altro vedono che la bambina ingravidata non è adulta. Non vedono l’essere umano, il legno storto di cui è fatto: proprio quello che invece vide Giovanni XXIII, alla vigilia del Concilio. Melloni ricorda l’ultima pagina del Giornale dell’Anima di Roncalli, scritta il 24 maggio ’63, pochi giorni prima di morire: «Ora più che mai, certo più che nei secoli passati, siamo intesi a servire l’uomo in quanto tale e non solo i cattolici; a difendere, anzitutto e dovunque, i diritti della persona umana e non solo quelli della chiesa cattolica. (...) Non è il Vangelo che cambia: siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio». Comprenderlo meglio era «riconoscere i segni dei tempi».

O come dice Melloni: indagare l’oggi. Vedere nell’uomo in quanto tale il vangelo che parla alla Chiesa, e «non semplicemente il destinatario del messaggio, o il protagonista di un rifiuto, ovvero - peggio ancora - il mendicante ferito di un “senso” di cui la Chiesa sarebbe custode indenne e necessariamente arrogante» (Papa Giovanni, Einaudi, 2009). Questi mesi erranti e maldestri sono una prova perché gran parte della Chiesa non pensa come il Papa: dà il primato alla libertà, alla coscienza, sul dogma. Indaga l’oggi, specie dove l’uomo è pericolante come in Africa o nelle periferie occidentali.

Ricordiamo Suor Emmanuelle, che a 63 anni decise di vivere con gli straccivendoli nei suburbi del Cairo, e un giorno scrisse una lettera a Giovanni Paolo II in cui illustrò la necessità delle pillole per bambine continuamente ingravidate. Lo narra in un libro scritto prima di morire (J’ai 100 ans et je voudrais vous dire, Plon). Distribuiva profilattici senza teorizzare su di essi. Giovanni Paolo II non rispose alla lettera. La sintonia con Ratzinger era forte. Ma il silenzio ha un pregio inestimabile, è un’apertura infinita all’umano. Suor Emmanuelle gli fu grata: disse che il suo silenzio era un balsamo. È il silenzio che oggi manca in Vaticano. Il silenzio che pensa, ha sete di sapienza, ascolta. Che non vede orizzonti vuoti. Il Vangelo è sempre lì, va solo compreso meglio. Contiene una verità che sempre riaffiora, quella detta da Gesù a Nicodemo: «Lo spirito soffia dove vuole. Ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va» (Giovanni 3,8). Soffia come il fato delle tragedie greche: innalzando gli impotenti, spezzando l’illusione della forza. Chi fa silenzio o è solitario lo lascia soffiare, afferrato dal mistero.

In Africa, il Papa ha accennato al «mito» della sua solitudine, dicendo che «gli viene da ridere», visto che ha tanti amici. Perché questo ridere? Come capire il dolore umano, senza solitudine? Cosa resta, se non l’ammirazione della forza (la forza numerica dei lefebvriani, evocata nella lettera del 12 marzo) e l’oblio di chi, impotente, incorre nell’anatema come il padre di Eluana, la madre della bambina brasiliana, i malati che si difendono come possono dall’Aids? Per questo quel che vive il Papa è prova e occasione. Prova per chi tuttora paventa gli aggiornamenti giovannei, e sembra voler affrettare la fine della Chiesa per rifarne una più pura. Prova per chi difende il Concilio come rottura e riscoperta di antichissima tradizione. La tradizione del rinascere dall’alto, dello spirito che soffia dove vuole: vicino a chi crede nei modi più diversi.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/5/2012 18.22
Titolo:A San Pietro un popolo disorientato
A San Pietro un popolo disorientato

In piazza San Pietro lo scandalo che scuote il Vaticano preoccupa i fedeli

I fedeli traditi e disorientati “Alla deriva come l’Italia laica”

E in piazza San Pietro le sacre mura non riescono a contenere la “crisi parallela”

di Federico Geremicca (La Stampa, 28.05.2012)

"Ver-go-gna, ver-gogna, ver-go-gna». Le urla cattive si alzano dalla piazza assieme ai palloncini bianchi ai quali è legata la solita foto - foto di trent’anni fa - di Emanuela Orlandi. Il Papa è lassù, in alto, come al solito troppo in alto per poter sentire il coro che si leva, ora che è mezzogiorno. Protesta e gesticola Pietro, il fratello di Emanuela. E protestano e urlano i cittadini arrivati per l’ennesima volta fin qui a chiedere verità e giustizia. E’ vero, ci sono giornate che sarebbe meglio non cominciassero mai. Per Papa Ratzinger e la sua cittadella assediata, questa è una di quelle: e al di là delle mura, anzi, cancellerebbero con un amen l’intera settimana, se solo si potesse.

Ci sono giornate che sarebbe meglio non cominciassero mai. E fatti che si vorrebbe scolorissero in fretta. I fatti, solo gli ultimi fatti, sono questi: il presidente del potentissimo Ior rimosso dal suo incarico come un fannullone qualunque, sepolto da accuse infamanti, infedele e sfaccendato; il maggiordomo del Papa spiato, perquisito e arrestato per aver «passato ai media» documenti riservati e personali del Santo Padre: alla stregua di un cancelliere infedele che distribuisca intercettazioni e verbali a questo o a quel cronista.

Guerra tra bande Verrebbe voglia di non crederci: e la voglia riguarda tutti, atei e fedeli. E invece, purtroppo, in questa piazza San Pietro inondata di sole, non solo ci credono, ma ricordano quando la Chiesa si divideva - è vero - ma su ben altro: se sostenere e come Solidarnosc, oppure cosa fare con quei «ribelli» della teologia della liberazione. Oggi, in quelle stesse stanze drappeggiate di scuro, si trama per il controllo di una banca, tutto è ridotto a una guerra per bande bande sante, naturalmente - e si corrompono e utilizzano funzionari infedeli e (pare) senza scrupoli. Come in un film. E proprio come al di là delle mura benedette.

Che è pur sempre una spiegazione, oltre che una inevitabile constatazione. E che magari può aiutare a capire l’incredulità, lo smarrimento e la rabbia - la rabbia anche, certo di un altro popolo che si sente tradito, e che quasi non ci crede. E’ una suggestione che si insinua ascoltando una signora anziana, nonna Luigina, arrivata fin qui da un paesino vicino Como: «E’ che al Papa - dice sicura - lo vogliono fregare come hanno fregato su da noi l’Umberto. Guai a fidarsi dei figli, dei maggiordomi e ascolti me: anche delle mogli le dico... ». Un popolo disorientato, quello di Piazza San Pietro, come disorientato è il «popolo di Pontida», una fede tradita, due fedi tradite, e non capisci ancora né come nè perché.

Senso di vergogna La lotta - presunta - tra il cardinal Bertone e il Papa, come la lotta - accertata - tra il «cerchio magico» e il resto della Lega. E la delusione del popolo di San Pietro un senso di vergogna - che fa tornare in mente lo smarrimento rabbioso del fu popolo berlusconiano, di fronte all’inefficienza e ai bunga bunga, un Paese che tira la cinghia e gli altri che ballano, cantano e si travestono. Può sembrare un paradosso unire così il sacro e il profano: ma le mura sante del Vaticano sembrano non bastar più ad arginare la «crisi parallela» della più antica istituzione del mondo.

«La fede non basta» E’ quel che teme Marco, che ha i capelli scuri, è giusto al centro della piazza e veste una maglietta nera con la scritta «Viareggio Marineria». E’ preoccupato, e guarda con timore un angolo di folla che rumoreggia: «E’ terribile. Se diventiamo come gli altri è finita ed è terribile. La fede da sola non basta, perché non può camminare sulle gambe di gente cattiva e di uomini infedeli». Il Papa, intanto, è lassù e parla. Prima, dentro San Pietro, aveva celebrato la Pentecoste con parole amare: «Sembra che gli uomini stiano diventando più aggressivi e più scontrosi... C’è un senso di diffidenza, di sospetto e di timore reciproco che ci fa diventare pericolosi gli uni per gli altri».

E’ quel senso di diffidenza - quella mancanza di orizzonti certi e di fiducia, insomma - che l’Italia laica conosce già. Ora, questa maledetta crisi di credibilità sembra investire - autoinvestire - anche la cittadella circondata da mura sante. Come se la Chiesa fosse un partito e il Papa il suo segretario, ombre tetre si allungano sugli uomini a lui più vicini: che siano leader anch’essi, che siano tecnici arrivati dal mondo dell’economia e delle banche, che siano amici e servitori del cerchio stretto che vigila sul Santo Padre. Non è che ci si debba soprendere chissà quanto, dopo la sconfinata bibliografia (e filmografia) sui misteri, gli scandali ed i segreti del Vaticano: però sia lecito e sia lecito soprattutto al popolo che riempie questa piazza - dirsi sconcertato e ferito dall’idea che corvi neri abbiano preso (ripreso) a volteggiare dentro le mura sante, come fossero un tribunale, una Procura o perfino la sede di un partito.

Il viaggio a Milano Lassù - intanto - il Papa parla, annuncia un viaggio a Milano, saluta i fedeli in più lingue, ringrazia e rende omaggio alle forze di polizia per il loro «compleanno» e perfino alla Federazione di tiro con l’arco. I palloncini con la foto di Emanuela Orlandi gli passano quasi davanti e salgono al cielo, segno di un passato che continua a inseguire un incerto presente. Il fratello Pietro aspettava dal Papa un segno, una parola. Ma il vento impiega un attimo a portar via la foto. E’ mezzogiorno e un quarto, la messa è finita: e chi riesce, allora, vada in pace..
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/5/2012 08.17
Titolo:SILENZIO E GENDARMI. Il discredito aumenta a dismisura ....
I corvi e i gendarmi

di Aldo Maria Valli (Europa, 29 maggio 2012)

Chi frequenta i palazzi vaticani sa che là dentro ci sono tante persone stanche del misto di affarismo, carrierismo e ipocrisia dominante in quel mondo a causa di gruppi di potere.

Sono persone che non accettano più questo andazzo, e se fino a ieri esprimevano delusione in colloqui privati, ora alcune di loro hanno deciso di agire, consegnando alla stampa le prove di ciò che sostengono: documenti attraverso i quali si può vedere che la curia romana, proprio ai suoi vertici, si occupa di questioni di potere, piccolo o grande che sia, quasi ventiquattro ore su ventiquattro. Non solo. Chi si occupa di questi problemi molto spesso, all’esterno, si presenta come moralizzatore e fustigatore di costumi altrui. Una situazione che provoca grande disagio in coloro che ancora hanno un briciolo di onestà intellettuale e di amore per la Chiesa.

L’idea di far uscire le carte si presenta come un’extrema ratio. Non essendo riusciti altri tentativi di cambiamento, si cerca così di forzare l’istituzione. A mali estremi, estremi rimedi. I corvi sanno che l’operazione è pericolosa, perché il rischio di essere screditati è alto, così come notevole è la possibilità che l’istituzione risponda facendo passare i cospiratori per avversari della Chiesa. Ma i corvi hanno deciso di rischiare. Nell’epoca della comunicazione, sono le notizie le vere armi. Ciò che per secoli non è riuscito con altri sistemi può riuscire oggi attraverso l’informazione.

L’operato dei corvi può essere criticato sotto diversi aspetti. Quando si agisce nell’ombra, senza mostrare il volto, è molto facile vanificare tutto il proprio operato. Ma chi ha deciso di passare all’azione ha calcolato anche questo pericolo. Era necessario scatenare una bufera mediatica.

Gli obiettivi dei corvi sono di ordine morale e organizzativo, e le due questioni sono strettamente collegate. Il Vaticano si è sporcato le mani, e con le mani anche la coscienza, perché fa troppa politica nel senso più ampio e meno nobile del termine: si dedica a questioni che nulla hanno a che vedere con l’annuncio del Vangelo.

Come si può ben vedere dalla carte pubblicate nel libro del giornalista Nuzzi, i vertici della curia romana trascorrono gran parte del loro tempo immersi in problemi del tutto estranei al mandato che Gesù ha affidato a Pietro e ai suoi. Si parla di tutto, soprattutto di soldi, meno che del Vangelo. Qualcuno dice: ma è così in tutti i centri di potere e non si vede perché solo la curia romana debba essere attaccata per questo.

È un ragionamento che non regge. Perché la curia romana, anche se lo è da secoli, non deve essere un centro di potere. Al di là del nodo più immediato, come la successione al cardinale Bertone o allo stesso pontefice, la questione ha una portata ben più ampia. Si tratta di decidere cosa dev’essere la Santa Sede (e definirla “santa” oggi più che mai provoca un amaro sorriso) e cosa dev’essere quella struttura al suo servizio che è lo stato della Città del Vaticano.

La linea dei corvi, o per lo meno dei più lungimiranti fra loro, è chiara: Santa sede e Città del Vaticano hanno bisogno di una radicale cura dimagrante all’insegna della sobrietà e dell’essenzialità. Meno uffici e meno strutture vuol dire meno tentazioni e meno occasioni di compromissione con gli affari economici e il potere politico. Il papa è un sovrano assoluto e può tutto. Potrebbe denunciare tutto ciò che vede e sa, ma è anche un pastore e ha il dovere di tenere unito il gregge. Il suo timore è che lo scandalo sarebbe troppo grande e che il gregge potrebbe subirne conseguenze devastanti. I corvi pensano invece che non ci sia più spazio per attese e compromessi: occorre una radicale operazione di pulizia e di trasparenza, e si deve incominciare dalla segreteria di Stato, ganglio vitale di tutta la macchina.

Le domande sono di portata radicale. Perché il papa deve essere capo di stato? Perché il Vaticano deve avere una banca? Perché il successore del pescatore Pietro deve essere al centro di un sistema di potere? In Vaticano sono ore drammatiche. Mentre il povero Paoletto è in carcere, pesce piccolo catturato senza troppe difficoltà, diversi schieramenti si affrontano e si osservano. Perché anche tra i corvi non tutti sono puri di cuore e c’è chi vuole utilizzare la situazione per altre trame di potere. Finora la Santa sede sta reagendo nel modo più sbagliato. Con i gendarmi e il silenzio.

Lo si è visto domenica in piazza San Pietro. Quando è arrivata la marcia per Emanuela Orlandi, persone insospettabili si aggiravano per osservare e fotografare. Come se i partecipanti alla manifestazione fossero malfattori da schedare. E il papa, che avrebbe potuto dire una parola come padre su una sua giovane cittadina scomparsa nel nulla e una famiglia distrutta dal dolore, è rimasto zitto nel giorno dedicato allo Spirito santo. Quando dalla folla si è levato qualche fischio e qualcuno ha gridato “vergogna” abbiamo misurato l’intensità del dramma in corso.

In Vaticano non hanno ancora capito che nell’era dell’informazione non possono continuare ad agire in base all’ideologia del segreto e dell’opportunità. La credibilità sta venendo meno, ed è questo il bene più importante che la curia dovrebbe coltivare. I corvi saranno utilizzati, lo stiamo già vedendo, anche da chi vuole il male e non il bene della Chiesa. Questo è forse il pericolo più grande. Ecco perché la curia è folle se pensa di poter continuare a reagire utilizzando da un lato i gendarmi e dall’altro il segreto. Non è bastata la lezione della pedofilia? Non si è visto che il discredito aumenta a dismisura se non si è primi a denunciare e a sollevare il velo dell’ipocrisia?

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Commenti Articolo 814

Titolo articolo : Mons. Dante Lanfranconi "prescritto". Una dichiarazione di "Noi Siamo Chiesa",di "Noi Siamo Chiesa"

Ultimo aggiornamento: May/25/2012 - 10:48:50.

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Autore Città Giorno Ora
antonella ninci certaldo 25/5/2012 10.48
Titolo:Solidarieta'
Sono completamente d'accordo con "Noi siano chiesa" . La Chiesa non può sperare di farsi testimone di Cristo nel mondo fino a quando non assume atteggiamenti di chiarezza e giustizia in tutti i campi, invece di contribuire a offendere la dignità e nascondere la verità .

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Commenti Articolo 815

Titolo articolo : Paura e speranza,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: May/23/2012 - 21:53:13.

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Autore Città Giorno Ora
Laura Giovannini Laives (BZ) 23/5/2012 21.53
Titolo:grazie per la sua analisi
Buona sera, la ringrazio per la sua dettagliata analisi,
sono la mamma di un anarchico, che sta rischiando per un processo a carico suo e dei compagni.
Questa esperienza , mi ha fatto aprire gli occhi su molte cose, tra le quali la campagna mediatica pesante e diffamatoria su gruppi e persone molto critiche ed attive che vengono in toto criminalizzate nel chiaro intento di dissuadere le persone a partecipare.
I fatti gravi che stanno avvenendo nel nostro paese mi fanno proprio pensare alla vecchia strategia della tensione.
Voglio sperare nella giustizia , ma a volte non è facile.

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Commenti Articolo 816

Titolo articolo : Femicidio,di Claudio Giusti

Ultimo aggiornamento: May/23/2012 - 12:37:39.

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Autore Città Giorno Ora
pierangela dordi clusone - bergamo 23/5/2012 12.37
Titolo:femminicidio
molto interessante e di "sollievo"...se così si può dire....la mia riflessione è che si potrebbe completare la lista con altri dati del tipo: chi compie questi omicidi? Quante donne uccidono un uomo? Quanti uomini uccidono un uomo o una donna? e soprattutto ..perchè?....quali sono i fattori scatenanti...esiste un motivo per cui una donna "merita" di essere uccisa....

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Commenti Articolo 817

Titolo articolo : Un rapporto dal Monastero di Qara (Siria) e un chiarissimo appello del patriarca,a cura di Marinella Correggia

Ultimo aggiornamento: May/17/2012 - 10:49:02.

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Autore Città Giorno Ora
davide marra medicina 17/5/2012 10.49
Titolo:inoltro
gentili

potete dirmi se inoltrate le notizie ai giornali italiani? specialmente irapporti sui paesi mediterranei libia siria etc....
certo è che sono manipolati e non parlano di verità concupiscenti di un gioco inumano.

grazie

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Commenti Articolo 818

Titolo articolo : DALL'AMERICA, LEZIONI DI CARITA' PER BENEDETTO XVI E PER TUTTI I CARDINALI. Veglie e manifestazioni davanti alle cattedrali di una quindicina di metropoli per sostenere la Leadership Conference of Women Religious (LCWR). Una nota di Céline Hoyeau (“La Croix”),a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: May/15/2012 - 13:24:10.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/5/2012 20.34
Titolo:LA CHIESA NON APPREZZA IL GENIO FEMMINILE. Suor Viviana Ballarin, presidente del...
Madre Viviana, suor femminista: la Chiesa non apprezza il genio delle donne

di Franca Giansoldati (Il Messaggero, 7 maggio 2012)

Il genio femminile? Non sempre nella Chiesa sembra essere apprezzato. Suor Viviana Ballarin, presidente dell’Usmi, l’organismo dal quale dipendono tutti gli ordini religiosi femminili italiani, un esercito di circa 70 mila suore, riflette sulla mancanza di adeguati riconoscimenti da parte del Vaticano.

Non vuole parlare di maschilismo strisciante, né di discriminazione su base sessuale ma sul tappeto - effettivamente - restano diversi problemi insoluti. «Il cosiddetto genio femminile è una ricchezza per la società e anche per la Chiesa, ma molto spesso si ha paura del diverso; ciò che è diverso rappresenta per molti non tanto una ricchezza ma anche una minaccia e io credo che in gran parte per questo anche negli ambienti ecclesiastici si preferisce non confrontarsi con il diverso» dice.

Ecco che così iniziano i guai. «Allora si affidano alle donne, anche plurititolate, servizi e ruoli secondari ed esecutivi», afferma suor Viviana osservando la presenza di diverse religiose in curia e in altri organismi ecclesiali, con mansioni non adeguate per gli studi e la preparazione maturati nel corso degli anni. «E’ ancora piuttosto raro che vengano affidati nella Chiesa alle donne ruoli a più ampio respiro, intendo dire di responsabilità, di decisionalità. E’ abbastanza raro che possano sedere ai tavoli dove si pensa o si programma».

La questione che intende affrontare la presidente dell’Usmi è ampia e affonda le radici nella cultura del nostro tempo. «Quando nelle culture, nelle società e anche nella Chiesa non viene rispettato il progetto creazionale si cade o nel maschilismo o nel femminismo o altro. Gli ismi dicono sempre qualcosa di negativo».

Se ne deduce che il problema non è tanto della Chiesa ma di un influsso culturale che «volere o no influenza e condiziona anche la Chiesa degli uomini. Ma non la Chiesa di Cristo. Gesù, infatti, nella vita terrena ha dato esempi meravigliosi di rottura con leggi molto sfavorevoli nei confronti delle donne, pensiamo ad esempio al suo rapporto con la donna emorroissa, con la peccatrice in casa di Simone, con l’adultera, con la Samaritana e altre ancora».

Alla domanda se vorrebbe che il Papa introducesse il sacerdozio femminile, suor Viviana risponde subito di no. «Non sono smaniosa di rivendicazioni per quanto riguarda le questioni teologiche aperte. Come donna mi sento pienamente realizzata sia nella mia identità che nella mia missione. Se un giorno il sacerdozio e il diaconato verranno dati alle donne ben venga, mi pare però che ciò che conta veramente per ogni donna sia vivere quella diaconia e quel sacerdozio che sono stati impressi nella sua carne come fuoco il giorno in cui Dio l’ha voluta femmina e non maschio». Le religiose in Italia sono circa 70 mila secondo le ultime statistiche dell’Usmi.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/5/2012 20.37
Titolo:Donne e ministeri da segno dei tempi a indice di autenticità
Donne e ministeri da segno dei tempi a indice di autenticità

di Lilia Sebastiani

in “Viandanti” (www.viandanti.org) del 10 marzo 2012

Nell’enciclica ‘conciliare’ Pacem in terris di Giovanni XXIII (1963) al n. 22 l’ingresso crescente delle donne nella vita pubblica veniva annoverato tra i segni dei tempi, insieme alla crescita delle classi lavoratrici (n.21) e alla fine del colonialismo (n.23).

Ricordare l’enciclica è doveroso, per il valore storico di questo semplice e cauto riconoscimento: infatti è la prima volta che un documento magisteriale rileva la cosiddetta promozione della donna senza deplorarla - anzi come un fatto positivo. I segni dei tempi sono ancora al centro della nostra attenzione, ma per quanto riguarda le donne la questione cruciale e non ignorabile è ormai quella del loro accesso al ministero nella Chiesa, a tutti i ministeri.

Venerande esclusioni

Certo il problema dei ministeri non è l’unico connesso con lo status della donna nella Chiesa, ma senza dubbio è fondamentale; guardando al futuro, è decisivo. Non solo e non tanto in se stesso, ma per la sua natura di segno.

In questo momento nella Chiesa la donna è ancora esclusa dai ministeri ecclesialmente riconosciuti: non solo da quelli ordinati (l’Ordine sacro, cioè, nei suoi tre gradi: episcopato, presbiterato, diaconato) ma anche da quelli istituiti, il lettorato e l’accolitato. Questi ultimi, chiamati un tempo “ordini minori” e considerati solo tappe di passaggio obbligatorie per accedere all’ordinazione, furono reintrodotti nel 1972 da Paolo VI (Ministeria quaedam) come “ministeri istituiti” - per distinguerli da quelli ordinati, mantenendo però l’elemento della stabilità e del riconoscimento ecclesiale - e furono aperti anche a laici non incamminati verso l’Ordine; tuttavia si specificava chiaramente che tali ministeri erano riservati agli uomini, “secondo la veneranda tradizione della chiesa latina”.

Un po’ più recente l’istituzione dei “ministri straordinari dell’Eucaristia”: con prerogative non molto diverse da quelle degli accoliti, questi possono essere anche donne. E di fatto sono più spesso donne che uomini. Un passo avanti, forse? Certo però la dichiarata ‘straordinarietà’ sembra messa lì a ricordare che si tratta di un’eccezione, di una supplenza..., di qualcosa che normalmente non dovrebbe esserci.

A parte i servizi non liturgici ma fondamentali, come la catechesi dei fanciulli, quasi interamente femminile, e le varie attività organizzative e caritative della parrocchia, le letture nella Messa vengono proclamate più spesso da donne che da uomini; ma si tratta sempre e comunque di un ministero di fatto, che in teoria sarebbe da autorizzare caso per caso, anche se poi, di solito, l’autorizzazione viene presunta.

Il Concilio e l’incompiuta apertura

Il problema dell’accesso femminile ai ministeri è diventato di attualità nella Chiesa nell’immediato post-concilio, nel fervore di dibattito che caratterizzò quell’epoca feconda e rimpianta della storia della Chiesa. Il Vaticano II aveva mostrato una notevole apertura sulle questioni che maggiormente sembravano concernere il problema della donna in generale e della donna nella Chiesa in particolare. Sulle questioni più specifiche e sul problema dei ministeri i documenti conciliari erano generici fino alla reticenza, ma senza chiusure di principio. Ciò autorizzava a sperare nel superamento, non proprio immediato ma neppure troppo lontano, di certe innegabili contraddizioni che persistevano sul piano disciplinare. Inoltre altre chiese cristiane avevano cominciato da qualche anno, certo non senza resistenze anche aspre, a riconsiderare e a superare gradualmente il problema dell’esclusione (a nostra conoscenza, la chiesa luterana svedese fu la prima ad ammettere donne al pastorato, nel 1958)

.Una chiusura fragile

Nel decennio che seguì il Concilio, il dibattito in proposito fu intenso. La Chiesa ufficiale mantenne però una posizione di cautela e di sostanziale chiusura sempre più netta, che culminò - volendo chiudere la questione una volta per sempre - nella dichiarazione vaticana Inter insigniores, che è della fine del 1976, ma resa pubblica nel 1977.

In questo documento l’esclusione delle donne dal ministero ordinato veniva ribadita con caratteri di definitività vagamente ‘infallibilista’, ma anche con un significativo mutamento di argomentazione, che ci sembra importante poiché dimostra che l’esclusione è un fatto storico-sociologico in divenire e non un fatto teologico-sacramentale. Non si dice più, come affermava Tommaso d’Aquino, che la donna è per natura inferiore all’uomo e quindi esclusa per volere divino da ogni funzione implicante autorità; si richiama invece l’ininterrotta tradizione della Chiesa (che è evidente, ma è anche evidentissimo portato della storia e delle culture) e soprattutto la maschilità dell’uomo Gesù di Nazaret, da cui deriverebbe la congruenza simbolica della maschilità del prete che, presiedendo l’assemblea, agisce in persona Christi.

Quest’ultimo argomento fragile e sconveniente è stato lasciato cadere, infatti, nei pronunciamenti successivi: questi si rifanno solo alla tradizione della Chiesa e a quella che viene indicata come l’esplicita volontà di Gesù manifestata dalla sua prassi.

Anche questo argomento non funziona. Gesù, che non mostra alcun interesse di tipo ‘istituzionale’, alle donne accorda, con naturalezza, una piena parità nel gruppo dei suoi seguaci. Sembra insieme scorretto e pleonastico dire che “non ha ordinato nessuna donna”, dal momento che, semplicemente, non ha ordinato nessuno. Non vi è sacerdozio nella sua comunità, ma servizio e testimonianza, diakonìa non formalizzata - eppure rispondente a una chiamata precisa - che, prima di essere attività, è opzione fondamentale, stile di vita, sull’esempio di Gesù stesso “venuto per servire”.

Nel Nuovo Testamento di sacerdozio si può parlare solo in riferimento al sacerdozio universale dei fedeli (cfr 1 Pt 2,9; Ap 1,6), negli ultimi decenni tanto rispettato a parole quanto sfuggente e ininfluente nel concreto del vissuto ecclesiale; oppure in riferimento all’unico sacerdote della Nuova Alleanza - sacerdote nel senso di mediatore fra Dio e gli esseri umani -, Gesù di Nazaret (cfr Ebr 9), il quale nella società religiosa era un laico, oltretutto in rapporti abbastanza conflittuali con il sacerdozio del suo tempo.

Un’esclusione che interpella tutti

Vi sono due fatti, molto modesti ma significativi, che aiutano a tenere viva la speranza. Il primo, che i pronunciamenti dell’autorità ecclesiastica volti a chiudere ‘definitivamente’ la questione sono diventati abbastanza ricorrenti, il che dimostra che non è poi tanto facile chiuderla. Il dibattito è aperto e procede. Il secondo, che l’argomentazione teologica sembra cambiata ancora: felicemente sepolto l’infelicissimo argomento della coerenza simbolica, già pilastro dell’Inter insigniores, si richiama solo la prassi ininterrotta della chiesa romana e sempre più spesso si sente riconoscere, anche dalle voci più autorevoli, che contro l’ordinazione delle donne non ci si può appellare a ragioni biblico-teologiche.

No, non si tratta di banali rivendicazioni. L’esclusione interpella tutti: nessuna/nessun credente adulto può disinteressarsi di questo problema chiave finché le donne nella chiesa non avranno di fatto le stesse possibilità degli uomini, la stessa dignità di rappresentanza.

E’ necessario ricordare che vi sono donne cattoliche di alto valore e seriamente impegnate - tra loro anche alcune teologhe - che a una domanda precisa sul problema dei ministeri istituiti rispondono o risponderebbero più o meno così: no grazie, il sacerdozio così com’è proprio non ci interessa. E’ un atteggiamento che merita rispetto: almeno in quanto manifesta il timore che insistere troppo sul tema dell’ordinazione induca ad accentuare l’importanza dei ministri ordinati nella Chiesa (mentre sarebbe urgente semmai ridurre quell’importanza, insomma ‘declericalizzare’).

Ma dobbiamo ricordare che il “sacerdozio così com’è”, nella storia e nella mentalità corrente, si fonda proprio sulla ‘separazione’, sullo spirito di casta, sul sospetto previo e sul rifiuto nei confronti della donna, che nella chiesa di Roma si esprime in una doppia modalità: l’esclusione delle donne dalle funzioni di culto, di governo e di magistero, è parallela all’obbligo istituzionale di essere “senza donna” per coloro che le esercitano. Il divieto per le donne di essere ministri ordinati el’obbligo per i ministri ordinati di restare celibi sembrano due problemi ben distinti, mentre sono congiunti alla radice. E ormai sappiamo che potranno giungere a soluzione solo insieme.

Segno dei tempi, certo. Segno di trasformazione, segno contraddittorio, segno incompleto, proprio come il tempo in cui viviamo. Per quanto riguarda la chiesa cattolica, però, non solo segno, ma indice di autenticità. Non temiamo di dire che sulla questione dei ministeri, che solo a uno sguardo superficiale o ideologico può apparire circoscritta, si gioca il futuro della chiesa.

Lilia Sebastiani

Teologa
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/5/2012 11.27
Titolo:«Cristo è la vite, non il Vaticano». intervista a suor Gramick ...
«Cristo è la vite, non il Vaticano». intervista a suor Gramick sul futuro delle religiose Usa

intervista a Suor Jeannine Gramick

a cura di Ludovica Eugenio (Adista- Notizie, n. 19, 19 maggio 2012)

La Curia vaticana e Benedetto XVI hanno paura «del significato dato dal Concilio Vaticano II a ciò che significa essere cattolico», della «libertà di espressione che esso comporta». Di conseguenza, hanno anche paura di permettere «alle voci critiche di essere ascoltate perché alcune di esse potrebbero legittimamente portare al cambiamento». Un cambiamento che, «nelle personalità autoritarie», fa temere di perdere «potere e controllo». In questa chiave, le suore statunitensi, prese di mira dal Vaticano con il commissariamento del loro organismo di coordinamento più importante, la Leadership Conference of Women Religious (Lcwr) (v. Adista Notizie nn. 16 e 17/12), risultano pericolose «perché forse sono l’ultimo gruppo organizzato a riflettere lo spirito conciliare di ciò che significa veramente essere Chiesa». È molto decisa suor Jeannine Gramick, dal 2001 componente della congregazione delle Sisters of Loretto, da sempre dedita al ministero rivolto alle minoranze sessuali e in tale ambito cofondatrice, insieme a p. Robert Nugent, dell’associazione New Ways Ministry, impegnata nella ricerca della giustizia sociale per gay e lesbiche.

Suor Gramick ha accettato di condividere con Adista le proprie opinioni e il proprio punto di vista sulla misura intrapresa di recente dal Vaticano e sul futuro della Lcwr, Di seguito, in una nostra traduzione dall’inglese, l’intervista che suor Gramick ci ha rilasciato.

- Con il Vaticano II la Chiesa, popolo di Dio, è stata chiamata ad essere più vicina al mondo. Le religiose statunitensi hanno incarnato questo appello in un’ampia varietà di ministeri, vivendo profondamente nel mondo e ascoltando le persone che, in diversi modi, si trovano in difficoltà. Ci può dire quali tipi di ministeri si sono sviluppati?

Prima dell’inizio degli anni ’60, le religiose svolgevano il loro ruolo soprattutto come insegnanti nelle scuole o come infermiere o amministratrici negli ospedali. Dopo il Concilio Vaticano II, si sono impegnate in numerose nuove forme di ministero. Per esempio, in attività riguardanti la giustizia e la pace, per cambiare le politiche e le strutture nella società e nella Chiesa, a beneficio dei poveri e degli emarginati. Questo ruolo è stato portato avanti in un ministero di tipo politico che puntava sull’educazione e sulle pressioni, lavorando con i media, alla radio, alla tv e attraverso un ministero che si occupa di ecologia e di cura della terra. Molte religiose si sono messe a difendere le persone lesbiche e gay e per una partecipazione più piena delle donne in ogni forma di ministero ecclesiale, compresa l’ordinazione. Oltre al tradizionale ministero di servizio sociale, le suore hanno raggiunto i divorziati risposati, le prostitute, i detenuti, i senza fissa dimora e le donne maltrattate.

- Il Vaticano ha accolto positivamente questa vicinanza al mondo e alle persone?

Il Vaticano non ha obiettato al fatto che le suore si facessero più vicine al mondo e alle persone, ma ha contestato le implicazioni di questa vicinanza nei ministeri non tradizionali che si occupano di politica, di sessualità o di entrambi. Per esempio, nel 1983 il Vaticano obbligò suor Agnes Mary Mansour a dare le proprie dimissioni dalla congregazione delle Sisters of Mercy a causa del suo incarico di direttore del Dipartimento dei servizi sociali del Michigan, che finanziava l’aborto per le donne povere. Nel mio caso, il Vaticano mi ha ingiunto, nel 1999, di interrompere il mio ministero pastorale rivolto ai cattolici gay e lesbiche perché avevo scelto di affermare che non condividevo la posizione tradizionale sulla moralità dell’omosessualità.

Si sono verificati numerosi casi meno noti nei quali vescovi diocesani hanno messo in pratica le posizioni vaticane. Per esempio, le religiose hanno ricevuto l’ordine di dimettersi dalla direzione di organismi che hanno a che fare con l’Hiv-Aids, perché promuovevano l’utilizzo dei condom. Alcune religiose sono state licenziate dai loro incarichi parrocchiali o diocesani perché appoggiavano l’ordinazione sacerdotale femminile.

L’attuale valutazione dottrinale della Lcwr da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede (Cdf) ne costituisce un ulteriore esempio. Le due obiezioni concrete citate dalla Cdf sono state la posizione dell’Lcwr sull’omosessualità e sull’ordinazione femminile.

- Il suo ministero ha portato la sua congregazione, quella della School Sisters of Notre Dame, ad escluderla perché lei aveva scelto di non obbedire al silenzio impostole, e nel 2001 è entrata nella congregazione delle Sisters of Loretto che, al contrario, l’hanno sostenuta nel suo ministero. Da allora ha più avuto problemi con il Vaticano?

Tra il 2001 e il 2009 il Vaticano ha mandato nove lettere alla presidente delle Sisters of Loretto riguardanti il mio ministero. In ognuna di esse, in sostanza, si affermava che dovevo interrompere il mio ministero a favore delle persone Lgbtq o sarei stata allontanata dalla vita religiosa. Le mie consorelle hanno scelto di non allontanarmi e, a questo punto, non l’ha fatto nemmeno il Vaticano.

- Dal 1956 la Lcwr rappresenta la maggioranza delle congregazioni religiose femminili statunitensi. Quali sono state le sue maggiori conquiste, attività e interessi?

La Lcwr offre una vasta gamma di attività e programmi che sono di supporto alle superiore e sono tese al rafforzamento delle relazioni tra le componenti della Lcwr con altri gruppi importanti. Tra queste attività vi è un workshop con cadenza annuale, comprensivo di un ritiro, per le nuove leader e un manuale che aiuta a sviluppare le competenze importanti per la leadership. Produce regolarmente anche materiali scritti, come una pubblicazione trimestrale sulla giustizia sociale, un volumetto di preghiera e riflessione, un diario di Occasional Papers e informazioni su giustizia e pace.

Credo che la conquista più importante dell’Lcwr sia stata quella di aver reso tutte le religiose che vi aderiscono, ma anche un pubblico più ampio, consapevoli di ogni genere di tema che implichi la giustizia. Offre riflessioni teologiche, analisi sociali e suggerimenti per l’azione su molti temi, come la giustizia economica, la difesa dei poveri, il dialogo con l’islam e interreligioso, la pena di morte, la riforma delle politiche migratorie, il cambiamento climatico e le questioni ambientali, la riforma sanitaria, gli armamenti nucleari, la testimonianza contro la tortura, la cancellazione del debito per i Paesi impoveriti, il traffico d’organi e la militarizzazione dello spazio e molti altri temi legati alla giustizia. La lista è praticamente inesauribile.

- Negli ultimi anni, le religiose sono state nel mirino del Vaticano. Oltre a singoli casi individuali, le congregazioni religiose femminili hanno subìto una visita apostolica. Lo stesso è accaduto alla Lcwr. C’è una relazione tra le due visite apostoliche? Di cosa ha paura Roma?

Non sono stata licenziata, perché la Cdf non è il mio datore di lavoro e non mi ha mai supportata finanziariamente in questo ministero. La Cdf, nel 1999, ha affermato che non avrei dovuto impegnarmi in questo ministero, ma dopo un discernimento approfondito ho concluso che Dio continuava a chiamarmi ad esso, quindi ho deciso di non cooperare con l’oppressione del silenzio. Continuo a occuparmi delle persone lesbiche e gay.

Per il resto sì, credo che ci sia un legame tra le visite alle singole congregazioni religiose e la valutazione dottrinale (o inquisizione dottrinale) dell’Lcwr, entrambe avviate all’inizio del 2009. Sono in molti a ritenere che entrambi i progetti di indagine sono stati avviati per eliminare il dissenso e spazzare via le ultime vestigia del rinnovamento portato dal Vaticano II. Nel documento che presenta il processo della visita, una delle domande poste ai leader delle comunità era: «Qual è il processo messo in atto per rispondere alle consorelle che esprimono pubblicamente o privatamente il loro dissenso dall’insegnamento autoritativo della Chiesa?».

A mio giudizio, la Curia vaticana e papa Benedetto XVI hanno paura del significato dato dal Concilio Vaticano II a ciò che significa essere cattolico. Hanno paura della libertà di espressione che esso comporta. Hanno paura di permettere alle voci critiche di essere ascoltate perché alcune di queste voci potrebbero legittimamente portare al cambiamento. Le personalità autoritarie hanno paura del cambiamento e di perdere potere e controllo. Ken Briggs, autore di Double Crossed: Uncovering the Catholic Church’s Betrayal of American Nuns (Vittime di un doppio gioco: lo svelamento del tradimento delle suore americane da parte della Chiesa cattolica, ndr), ritiene che le suore abbiano conservato più di qualsiasi altro gruppo nella Chiesa l’etica e lo spirito conciliare, nonostante una strenua opposizione da parte dei due ultimi papi. Le suore statunitensi sono pericolose perché forse sono l’ultimo gruppo organizzato a riflettere lo spirito conciliare di ciò che significa veramente essere Chiesa.

- Come vede il futuro della Lcwr, alla luce della nomina di un commissario che ne riveda gli statuti e i programmi?

Penso che la Lcwr abbia due scelte: sottomettersi al controllo Vaticano o sciogliere la Lcwr e ricostituirla come organismo privo di legami con il Vaticano. Credo che la prima scelta rappresenterebbe un ripudio dei quarant’anni e più di rinnovamento nei quali le comunità religiose si sono impegnate. Bisogna ricordare che è stato chiesto alle religiose di rivalutare e aggiornare le loro comunità affinché rispondano alle esigenze dei tempi. Le religiose hanno preso sul serio questa richiesta e ora al Vaticano non piacciono i risultati. Il Vaticano vuole che le suore tornino alla vita religiosa del passato.

La storia ha dimostrato che la politica di appeasement (accomodamento, ndt) di Neville Chamberlain (primo ministro del Regno Unito dal 1937 al 1940, ndt) non ha soddisfatto i desideri di un dittatore come Hitler. La Chiesa istituzionale cattolica, come è attualmente, è uno stato totalitario religioso che dall’epoca del papato di Pio IX ha vissuto una sempre crescente centralizzazione. Il Concilio Vaticano II ha tentato di riportare la Chiesa sul binario di una comunità di credenti sulla via di Cristo, ma le forze curiali hanno cercato di far deragliare il rinnovamento negli ultimi 30 e più anni.

La seconda opzione, ritengo, rispetterebbe l’onore e l’integrità delle congregazioni religiose che hanno cercato, con la loro fedeltà, di tenere vivi i valori di una Chiesa come comunità di discepoli fedeli di Cristo. La ricostituzione della Lcwr come organismo che rispetta il Vaticano ma non abbandona nulla della propria autonomia rappresenterebbe un’applicazione del valore conciliare della sussidiarietà. Tale ricostituzione sarebbe un vantaggio per le religiose, ma anche per la Chiesa nel suo complesso. Essa affermerebbe la necessità di abbandonare un atteggiamento di obbedienza cieca a favore di una capacità decisionale morale adulta.

Fin da papa Pio IX, la Chiesa ha dato prova di un’atmosfera di infallibilità strisciante in forza della quale si partiva dal presupposto che ad ogni decisione, da parte di qualsiasi leader, accettata spesso come infallibile, si dovesse obbedire senza discutere. Il Vaticano II ha cercato di cambiare questo atteggiamento sottolineando la libertà di coscienza. Una ricostituzione mostrerebbe che la Chiesa consiste in molti rami radicati in Cristo, la vite. Il Vaticano è uno dei rami. Le singole diocesi, congregazioni religiose apostoliche, ordini monastici e contemplativi e movimenti laicali sono altri rami. Dobbiamo ricordarci sempre che Cristo, non il Vaticano, è la vite.

Non so per quale scelta opterà la Lcwr. Ha già cooperato con la Cdf nella sua investigazione dottrinale, quindi non so se l’organizzazione continuerà a collaborare nella sua oppressione invece di resistere alla presa di possesso da parte del Vaticano. Continuo a nutrire la speranza che i nuovi vertici della Lcwr siano più realistici nel constatare che si ha a che fare con il totalitarismo religioso e che esso rifiuterà la misura come intrusione indebita e come affronto alla natura profetica della vita religiosa.

- In che misura questo passo del Vaticano toccherà la vita, il ministero e il ruolo delle religiose nella Chiesa Usa in futuro?

L’intervento vaticano avrà effetti enormi sulla vita, il ministero e il ruolo delle religiose negli Usa e nella Chiesa mondiale. Gli effetti dipenderanno dal corso che la Lcwr sceglierà di intraprendere. Vorrei essere ottimista e credere che la decisione della Lcwr rafforzerà non solo le religiose ma la Chiesa intera. Rifiutare garbatamente di essere dominate da un sistema patriarcale che non comprende la natura comunitaria della Chiesa significherà dimostrare che un cristiano maturo non obbedisce ciecamente agli uomini, ma segue la chiamata di Dio nella preghiera. Tale scelta dirà che non c’è bisogno di persone controllori dell’ortodossia o di inquisizioni. Tale scelta dirà che Cristo, e non il Vaticano, è la vite e noi ne siamo i rami. Tale scelta dirà che lo Spirito di Dio guida la Chiesa e che sotto questa guida non abbiamo paura. Sotto questa guida abbiamo fede e fiducia. (l. e.)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/5/2012 13.24
Titolo:SOSTENERE LE RELIGIOSE. APPELLO DI EX SUORE AI VESCOVI USA
«CONTINUATE A SOSTENERE LE RELIGIOSE». APPELLO DI EX SUORE AI VESCOVI USA

36679. NEW YORK-ADISTA. «Nessuno spazio per il dissenso; nessuna possibilità di prospettive diverse; nessun modo di impegnarsi nel dialogo su posizioni cattoliche tradizionali e spesso ristrette; in breve, le religiose devono tenersi le loro idee per loro e seguire semplicemente il dettato e la direzione di Roma, pena la censura, imbarazzo pubblico, atteggiamento oppressivo e persino potenziale espulsione». Dopo innumerevoli testimonianze di solidarietà e di appoggio cui hanno dato voce, negli Usa, media cattolici e laici, così inizia una lettera aperta che quindici ex suore statunitensi, capitanate da Helen Urbain-Majzler, direttora di un’istituzione sanitaria di carattere pubblico, hanno inviato ai vescovi del loro Paese – formalmente al card. Timothy Dolan, arcivescovo di New York, con preghiera di condividerla con i confratelli – riguardo all’attacco lanciato dal Vaticano alla Leadership Conference of Women Religious (Lcwr), l’organismo che riunisce i vertici dell’80% delle congregazioni religiose femminili, giudicati da Roma troppo liberal e femministe (v. Adista Notizie nn. 16 e 17/12 e notizia precedente).

Se la Lcwr ha mostrato sorpresa per il provvedimento romano, scrivono le ex-suore, tra le quali medici, psicologhe, docenti universitarie, educatrici, «donne come noi non si sono stupite. Tutte noi – ora ex religiose – abbiamo vissuto molti anni in comunità religiose e abbiamo sperimentato il trattamento crudele e punitivo delle religiose che hanno assunto posizioni coraggiose a livello pubblico per difendere i poveri, i più vulnerabili nella salute, e le vittime della società, tra cui gli omosessuali».

Il Vaticano, proseguono le ex-religiose, non ha riconosciuto i cambiamenti avvenuti nella Chiesa e nella società americana negli ultimi 40-50 anni, nella quale le forze cattoliche, un tempo maggioritarie, hanno lasciato il posto al pluralismo culturale, ma anche religioso; nella quale il cattolicesimo obbediente e mansueto del passato è in gran parte scomparso e numerosissimi sono i fedeli che hanno deciso di abbandonare la Chiesa. «Per molti cattolici adulti – scrivono le suore – le riforme del Vaticano II, così come il divieto della contraccezione naturale da parte della Chiesa, gli scandali degli abusi sessuali, le coperture della gerarchia, hanno cominciato a intaccare l’obbedienza cieca di molti fedeli. Di sicuro, i vescovi americani sono consapevoli del fatto che l’87% dei cattolici si oppone alla proibizione papale della contraccezione artificiale. Forse il Vaticano non ha capito che la cultura occidentale pone più enfasi sulla responsabilità personale».

Anche le superiore delle congregazioni religiose si sono trovate immerse in questa trasformazione e hanno dovuto fare i conti con le mutate esigenze delle donne che facevano parte delle loro congregazioni, nonché pubblico al quale rivolgevano il loro ministero, ma questo cambiamento «non ha messo in discussione l’orientamento spirituale e la fede in Dio», poiché «dottrina e ministero sono questioni separate». Il problema, semmai, è che non si comprende «perché il Vaticano trovi così difficile permettere un dialogo sincero e aperto sul futuro della Chiesa, sulla spiritualità, sulle priorità ministeriali, senza ingenerare paura di un’azione punitiva». E «solo le organizzazioni più repressive e autocratiche temono l’apporto sincero e onesto dei loro membri. Che cosa esprime questo aspetto riguardo all’autorità della Chiesa e alla relazione con le donne, che hanno offerto migliaia di anni di servizio dedicato, coerente e fedele?».

Le suore firmatarie della lettera affermano che l’impatto personale del provvedimento sulle suore della Lcwr, a molte delle quali sono legate da rapporti di amicizia, è stato pesante. «Speriamo che la Conferenza episcopale statunitense mantenga un atteggiamento di apertura mentale e di cuore nei confronti delle leader religiose, e continuino ad apprezzare e promuovere i loro numerosi doni, invece di supportare con atteggiamento mite e obbediente il Vaticano nel mettere al silenzio questa voce dello Spirito nella chiesa di oggi. Speriamo – è la loro conclusione – che abbiate il coraggio di fare la cosa giusta per le donne, anche se non siamo del tutto fiduciose nel fatto che ciò avverrà. Molte di noi hanno lasciato la propria comunità religiosa per il modo in cui le donne venivano trattato. La Chiesa, purtroppo, mostra ancora di avere paura e di volersi difendere dalla nostra influenza. Come potrà sopravvivere la Chiesa se continua a ignorare o a soggiogare metà della popolazione mondiale?».

Nel frattempo si sono moltiplicate, in numerose città statunitensi, veglie di preghiera e di sostegno alle religiose nonché manifestazioni di protesta; per il 29 maggio è stata programmata una grande manifestazione di supporto a Oakland, in California. È stato inoltre lanciato in tempi record un sito, www.nunjustice.org sul quale è possibile, tra l’altro, sottoscrivere le petizioni di sostegno. (ludovica eugenio)

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Commenti Articolo 819

Titolo articolo : AD AREZZO, IL 13 MAGGIO, INCONTRO TRA RATZINGER E MONTI: CONTESTAZIONI IN ARRIVO CONTRO IL CAROPAPA E IL CAROMONTI. Una nota di Franca Corradini - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: May/14/2012 - 11:51:10.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/5/2012 20.42
Titolo:REGRESSIONE COSTITUZIONALE ...
Regressione costituzionale

di Gianni Ferrara (il manifesto, 18 aprile 2012)

Con l’approvazione del Senato in seconda deliberazione si è concluso ieri il procedimento di revisione dell’art. 81 della Costituzione. Male. Un giudizio non tanto distante da quello che si arguiva dalle parole di chi dichiarava, dai banchi della sinistra, un voto più disciplinato che convinto.

Con l’approvazione di tale legge costituzionale, la politica economica è sottratta al Parlamento italiano, al Governo italiano, al corpo elettorale italiano. Con tale approvazione la nostra Costituzione non è più nostra. È stata trasformata in strumento giuridico funzionale ad un feticcio, quello neoliberista, che la tecnocrazia finanziaria europea interpreterà volta a volta dettando le misure che dispiegheranno la mistica del feticcio.

Con tale approvazione un altro demerito si accompagnerà a quelli sciaguratamente ottenuti dal nostro paese in tema di regimi politici. Il demerito di aver inventato un nuovo tipo di Costituzione. A quelle scritte, consuetudinarie, flessibili, rigide, programmatiche, pluraliste, liberali, democratiche, lavoriste, si aggiungerà la Costituzione abdicataria, una costituzione-decostituzione. Un ossimoro istituzionale che preconizza una recessione seriale che, partendo dalla neutralizzazione della politica, porterà alla compressione dei diritti e poi alla dissoluzione del diritto, sostituito dalla mera forza del dominio economico.

Emerge, improrogabile, la necessità di un intervento. Votando questa autentica regressione costituzionale, i gruppi parlamentari della strana maggioranza delle due camere hanno tenuto in irresponsabile dispregio i giudizi di economisti di molti paesi del mondo, tra i quali 5 premi Nobel, di giuristi di varie discipline.

Su un tema così intrinseco alla sovranità popolare, e su cui, e non per caso, è stato stesa una coltre fittissima di silenzio, hanno escluso che potesse pronunziarsi il corpo elettorale. I fondati dubbi sulla legittimità costituzionale della legge elettorale da cui deriva la loro presenza in parlamento non ne hanno frenato la cupidigia di sottomettersi al diktat della Cancelliera tedesca.

Hanno respinto anche la richiesta di approvarla pure questa legge, ma non con la maggioranza dei due terzi, quella che impedisce l’indizione di un referendum su tale gravissima spoliazione della sovranità nazionale.

Ci resta ora un solo strumento per chiedere a questo o al prossimo parlamento di invertire la rotta.

Un solo modo per impegnarsi nella difesa di una conquista di civiltà arrisa con il riconoscimento, nel secolo scorso, dei diritti sociali. Sono quelli messi per primi in grave ed imminente pericolo dal feticcio liberista.

Lo strumento che ci resta è quello di una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare, ai sensi dell’articolo 71 della Costituzione, con cui integrare l’art. 81 in modo che le entrate dello stato, delle regioni e dei comuni siano riservate per il cinquanta per cento ad assicurare direttamente o indirettamente il godimento dei diritti sociali.

Imponendo quindi che nei bilanci di previsione dello stato, delle regioni, dei comuni, il cinquanta per cento della spesa risulti complessivamente destinato a garantire direttamente o anche indirettamente i diritti: alla salute, all’istruzione, alla formazione e all’elevazione professionale delle lavoratrici e dei lavoratori, alla retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro, all’assistenza sociale, alla previdenza, all’esistenza dignitosa ai lavoratori e delle loro famiglie.

Si tratta dei diritti riconosciuti dagli articoli da 32 a 38 della Costituzione. Si tratta di creare una garanzia efficace per i diritti, volta sia a neutralizzare gli effetti delle disposizioni inserite nell’articolo 81 della Costituzione e pericolosissime per i diritti sociali, sia a precludere, o almeno a ridurre, la spesa pubblica per armamenti, per grandi e disastrose opere, per variegate clientele.

Ad ipotizzarla non è la stravaganza di un vecchio costituzionalista, testardamente convinto della necessità storica della democrazia di pervadere la base economica della società. È contenuta nella Costituzione della Repubblica del Brasile, all’articolo 159 ed è specificata in quelli lo seguono, la riserva di bilancio a favore dei diritti sociali.

Raccogliere cinquanta mila firme e più, tante, tante altre ancora, per sostenere una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare con i contenuti indicati è possibile. È doveroso.

A tema centrale della prossima campagna elettorale per il rinnovo del parlamento va posta la garanzia finanziaria dei diritti sociali. Di fronte al pericolo del crollo di un pilastro della civiltà giuridica e politica, dobbiamo usare tutti gli strumenti della democrazia costituzionale che ci sono rimasti. Non possiamo altrimenti.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/5/2012 23.22
Titolo:Se la feroce religione del denaro divora il futuro ....
Se la feroce religione del denaro divora il futuro

di Giorgio Agamben (la Repubblica, 16.02.2012)

Per capire che cosa significa la parola "futuro", bisogna prima capire che cosa significa un’altra parola, che non siamo più abituati a usare se non nella sfera religiosa: la parola "fede". Senza fede o fiducia, non è possibile futuro, c’è futuro solo se possiamo sperare o credere in qualcosa.

Già, ma che cos’è la fede? David Flüsser, un grande studioso di scienza delle religioni - esiste anche una disciplina con questo strano nome - stava appunto lavorando sulla parola pistis, che è il termine greco che Gesù e gli apostoli usavano per "fede". Quel giorno si trovava per caso in una piazza di Atene e a un certo punto, alzando gli occhi, vide scritto a caratteri cubitali davanti a sé Trapeza tes pisteos. Stupefatto per la coincidenza, guardò meglio e dopo pochi secondi si rese conto di trovarsi semplicemente davanti a una banca: trapeza tes pisteos significa in greco "banco di credito".

Ecco qual era il senso della parola pistis, che stava cercando da mesi di capire: pistis, " fede" è semplicemente il credito di cui godiamo presso Dio e di cui la parola di Dio gode presso di noi, dal momento che le crediamo. Per questi Paolo può dire in una famosa definizione che "la fede è sostanza di cose sperate": essa è ciò che dà realtà a ciò che non esiste ancora, ma in cui crediamo e abbiamo fiducia, in cui abbiamo messo in gioco il nostro credito e la nostra parola. Qualcosa come un futuro esiste nella misura in cui la nostra fede riesce a dare sostanza, cioè realtà alle nostre speranze.

Ma la nostra, si sa, è un’epoca di scarsa fede o, come diceva Nicola Chiaromonte, di malafede, cioè di fede mantenuta a forza e senza convinzione. Quindi un’epoca senza futuro e senza speranze - o di futuri vuoti e di false speranze. Ma, in quest’epoca troppo vecchia per credere veramente in qualcosa e troppo furba per essere veramente disperata, che ne è del nostro credito, che ne è del nostro futuro?

Perché, a ben guardare, c’è ancora una sfera che gira tutta intorno al perno del credito, una sfera in cui è andata a finire tutta la nostra pistis, tutta la nostra fede. Questa sfera è il denaro e la banca - la trapeza tes pisteos - è il suo tempio. Il denaro non è che un credito e su molte banconote (sulla sterlina, sul dollaro, anche se non - chissà perché, forse questo avrebbe dovuto insospettirci - sull’euro), c’è ancora scritto che la banca centrale promette di garantire in qualche modo quel credito.

La cosiddetta "crisi" che stiamo attraversando - ma ciò che si chiama "crisi", questo è ormai chiaro, non è che il modo normale in cui funziona il capitalismo del nostro tempo - è cominciata con una serie sconsiderata di operazioni sul credito, su crediti che venivano scontati e rivenduti decine di volte prima di poter essere realizzati. Ciò significa, in altre parole, che il capitalismo finanziario - e le banche che ne sono l’organo principale - funziona giocando sul credito - cioè sulla fede - degli uomini.

Ma ciò significa, anche, che l’ipotesi di Walter Benjamin, secondo la quale il capitalismo è, in verità, una religione e la più feroce e implacabile che sia mai esistita, perché non conosce redenzione né tregua, va presa alla lettera. La Banca - coi suoi grigi funzionari ed esperti - ha preso il posto della Chiesa e dei suoi preti e, governando il credito, manipola e gestisce la fede - la scarsa, incerta fiducia - che il nostro tempo ha ancora in se stesso. E lo fa nel modo più irresponsabile e privo di scrupoli, cercando di lucrare denaro dalla fiducia e dalle speranze degli esseri umani, stabilendo il credito di cui ciascuno può godere e il prezzo che deve pagare per esso (persino il credito degli Stati, che hanno docilmente abdicato alla loro sovranità).

In questo modo, governando il credito, governa non solo il mondo, ma anche il futuro degli uomini, un futuro che la crisi fa sempre più corto e a scadenza. E se oggi la politica non sembra più possibile, ciò è perché il potere finanziario ha di fatto sequestrato tutta la fede e tutto il futuro, tutto il tempo e tutte le attese.

Finché dura questa situazione, finché la nostra società che si crede laica resterà asservita alla più oscura e irrazionale delle religioni, sarà bene che ciascuno si riprenda il suo credito e il suo futuro dalle mani di questi tetri, screditati pseudosacerdoti, banchieri, professori e funzionari delle varie agenzie di rating.

E forse la prima cosa da fare è di smettere di guardare soltanto al futuro, come essi esortano a fare, per rivolgere invece lo sguardo al passato. Soltanto comprendendo che cosa è avvenuto e soprattutto cercando di capire come è potuto avvenire sarà possibile, forse, ritrovare la propria libertà. L’archeologia - non la futurologia - è la sola via di accesso al presente.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/5/2012 10.21
Titolo:CL, cerchio magico intorno a papa Ratzinger ....
CL, cerchio magico intorno a papa Ratzinger

Nonostante scandali e “amici” arrestati l’organizzazione domina in Vaticano

di Marco Lillo (il Fatto, 05.05.2012)

Dopo 30 anni di assenza, un pontefice torna al Meeting di Cl a Rimini. Papa Ratzinger terrà un discorso alla grande kermesse di Comunione e Liberazione che quest’anno avrà come tema il rapporto tra l’uomo e l’infinito. Non è solo una voce ma un impegno preso nero su bianco da Benedetto XVI e dal segretario di Stato Tarcisio Bertone in un carteggio inedito che pubblichiamo. In un giorno d’estate compreso tra il 19 e il 25 agosto nei padiglioni della fiera il pontefice tedesco abbraccerà decine di migliaia di seguaci e simpatizzanti del movimento fondato da don Luigi Giussani nel 1954 e guidato dopo la morte del “Don” nel 2005 da don Julian Carron.

L’ULTIMO PAPA a partecipare al meeting è stato Giovanni Paolo II nel 1982. E proprio alla ricorrenza del trentennale si richiama la presidente del Meeting, Emilia Guarnieri, per chiedere a Benedetto XVI di tornare. La professoressa Guarnieri scrive il 23 novembre 2011 al segretario di Stato Tarcisio Bertone: “Il 1982 fu l’anno della storica visita al meeting del Beato Giovanni Paolo II. Il medesimo anno vide anche il riconoscimento pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione. Il2012pertantorappresenta per noi un duplice e significativo trentennale ed un contesto estremamente suggestivo per accogliere il Santo Padre”. La professoressa, nella sua lettera a Bertone ricordava un incontro del 19 giugno a San Marino, nel quale il Papa le disse: “È molto tempo che non ci vediamo! Lei lavora ancora per il Meeting? ” in memoria delle antiche partecipazioni dei primi anni novanta dell’allora cardinale Joseph Ratzinger alla kermesse. E la lettera si concludeva con una preghiera a Bertone: “Affido alla Sua paternità e alla Sua benevolenza questo invito”. Il segretario di Stato non si è risparmiato e nel volgere di due settimane ha ottenuto il sì del Pontefice. Il 9 dicembre del 2011 Tarcisio Bertone scrive al segretario del Papa don Georg Ganswein perché annoti l’impegno: “Con la presente Ti informo che nell'Udienza a me concessa il 5 dicembre 2011, il Santo Padre ha preso visione della lettera del 23 novembre 2011 della professoressa Emilia Guarnieri, Presidente del Meeting di Rimini. Considerando i due anniversari che cadono nel 2012, il Santo Padre ha espresso il suo favore per una breve visita e un suo intervento al Meeting di Rimini in data da stabilire”.

In fondo però quella che si sta preparando da mesi è solo la consacrazione di un legame che sempre di più sta diventando un elemento caratterizzante di questo e forse persino del prossimo pontificato, se troveranno conferma le voci dell’investitura dell’arcivescovo di Milano di provenienza ciellina, Angelo Scola. Proprio il Fatto ha pubblicato nel febbraio scorso un documento anonimo nel quale si annunciava la fine del papato di Ratzinger entro novembre 2012. Un annuncio di morte reinterpretato da alcuni osservatori come una previsione certa di “dimissioni” del Papa per far posto al suo successore preferito, cioè proprio Angelo Scola.


UNA SOLUZIONE “anomala” ma possibile, secondo l’interpretazione dottrinaria che lo stesso Ratzinger avrebbe avallato in un’intervista. Vera o falsa che fosse, la profezia della staffetta tra Ratzinger e Scola ha portato allo scoperto il peso crescente di Cl negli equilibri vaticani. Non è un mistero che siano cielline le quattro signore cinquantenni che dormono nell’appartamento papale e sono ammesse a pranzare e cenare con il Pontefice tanto da formare la cosiddetta famiglia papale. Per l’esattezza sono aderenti ai Memores Domini, associazione laicale i cui membri vivono i consigli evangelici di povertà, castità perfetta e obbedienza sotto l’egida di Comunione e Liberazione. Anche l’arcivescovo di Milano Angelo Scola condivide la quotidianità con alcune signore aderenti ai Memores.

Il legame tra Cl e Scola è molto stretto. Il Fatto ha rintracciato una lettera del marzo 2011 al Nunzio Apostolico in Italia Giuseppe Bertello dal leader di Cl don Julian Carron. In questa lettera Carron suggerisce di nominare Scola anche per la sua sensibilità all’area politica di centrodestra. “Rispondo alla Sua richiesta permettendomi di offrirle”, scrive Carron “in tutta franchezza e confidenza”, ben consapevole della responsabilità che mi assumo di fronte a Dio e al Santo Padre, alcune considerazioni sullo stato della Chiesa ambrosiana”. La diagnosi del leader di Cl è spietata: “Il primo dato di rilievo è la crisi profonda della fede del popolo di Dio... perdura la grave crisi delle vocazioni... la presenza dei movimenti è tollerata, ma essi vengono sempre considerati più come un problema che come una risorsa”.

Poi Carron arriva al dunque: “dal punto di vista poi della presenza civile della Chiesa non si può non rilevare una certa unilateralità di interventi sulla giustizia sociale, a scapito di altri temi fondamentali della Dottrina sociale, e un certo sottile ma sistematico ‘neocollateralismo’, soprattutto della Curia, verso una sola parte politica (il centrosinistra) trascurando, se non avversando, i tentativi di cattolici impegnati in politica, anche con altissime responsabilità nel governo locale, in altri schieramenti”. Il nome di Formigoni non c’è ma chiunque intravede dietro queste righe la figura del governatore. “Questa unilateralità di fatto... finisce per rendere poco incisivo il contributo educativo della Chiesa al bene comune, all’unità del popolo e alla convivenza pacifica”.

Per tutte queste ragioni, conclude Carron: “l’unica candidatura che mi sento in coscienza di presentare all’attenzione del Santo Padre è quella dell’attuale Patriarca di Venezia, Card. Angelo Scola. Tengo a precisare che con questa indicazione non intendo privilegiare il legame di amicizia e la vicinanza del Patriarca al movimento di Comunione e Liberazione, ma sottolineare il profilo di una personalità di grande prestigio e esperienza... ”.

L’arcivescovo di Milano, con la raccomandazione di Cl, oggi è dato per favorito a prendere il posto di Benedetto XVI. È questo il paradosso di Cl: proprio nell’anno della sua massima potenza e della annunciata benedizione del Papa con la sua visita al Meeting, esplodono gli scandali e le indagini della magistratura.

Dopo gli arresti di due ciellini amici di Formigoni come Antonio Simone e Pierangelo Daccò e la pubblicazione delle fotografie dei resort a cinque stelle dove il presidente della Lombardia è stato in vacanza persino don Julian Carron ha scritto a Repubblica: “Sono stato invaso da un dolore indicibile dal vedere cosa abbiamo fatto della grazia che abbiamo ricevuto. Se il movimento di Comunione e Liberazione è continuamente identificato con l’attrattiva del potere, dei soldi, di stili di vita che nulla hanno a che vedere con quello che abbiamo incontrato, qualche pretesto dobbiamo aver dato”. Una lettera che finora non ha fatto cambiare idea sul suo viaggio a Rimini a Benedetto XVI.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/5/2012 10.31
Titolo:NELLA "NOSTRA AETATE", TORNA LA "RAZZA"!!! Nel sito vatican.va, manipolata la ...
E nel Vaticano II torna la «razza» ebraica

di Alberto Melloni (Corriere della Sera, 06.05.2012)

Lavora o ha lavorato per il sito della Santa Sede. Ignoriamo il suo nome, i suoi studi, cosa abbia pensato mentre mutavano i rapporti fra la Chiesa ed Israele. Ma questo sconosciuto - impunito come chi commercia carte e gossip d’oltre Tevere - è riuscito a depositare nel sito web vatican.va, per sfregio, una riga sulla «razza» ebraica.

L’ha infilata nella traduzione italiana del Vaticano II: Nostra ætate affermò che la Chiesa ha sempre innanzi agli occhi le parole di Paolo «de cognatis eius» (cioè «sui suoi congiunti») che dicono che l’adozione, la gloria, il patto, la legge, il culto e le promesse appartengono a Israele e ai padri «dai quali è nato Cristo secondo la carne». Nel sito vatican.va quel «de cognatis» viene oggi tradotto «della sua razza»: ebraica, naturalmente.

Non è un errore antico: è un atto recente, volontario. Il testo latino (lo mostra la mia critica del Vaticano II nei Conciliorum œcumenicorum generaliumque decreta) non dava appigli. L’Osservatore Romano del 17 novembre 1965 traduceva «della sua stirpe». Le altre traduzioni d’allora, raccolte senza ritocchi dal sito, non hanno esitazioni. Il tedesco recita «Stammverwandten», cioè parenti. La versione portoghese parla di «compatriotas». L’inglese «kinsmen», come «soukmenovcích» in ceco. In swahili «juu ya watu wa ukoo wake» indica le persone «del suo clan». Più inquietante l’«hermanos de sangre» dello spagnolo, identica al bielorusso. Solo in francese si era già osato tradurre «race» nel 1965 (idiozia rimasta intonsa anche nel sito odierno).

La traduzione italiana usuale, dunque, è stata volontariamente manipolata per sfregiare il Vaticano II con un termine dalla storia inquietante: la razza. Entrato nella Spagna del secolo XV, passato al linguaggio giuridico e politico, venne consegnato dal trattato Sur l’inégalité des races humaines, opera del 1853 d’un cattolico come de Gobineau, a uno sviluppo «scientifico», di cui s’appropriano i perpetratori della Shoah. In quel lungo lasso di tempo anche il magistero cattolico ha parlato di razze: dalle discussioni sull’ammissione ai sacramenti degli indios fino al formarsi di un magistero sull’unità della famiglia umana, che negli anni Trenta afferma l’«uguaglianza delle razze».

Con la dichiarazione dell’Unesco del 1950 - la Santa Sede era rappresentata dal nunzio Roncalli - il mondo ripudia l’idea di razza: e al Vaticano II, proprio nella dichiarazione Nostra ætate, la Chiesa rompe con l’antisemitismo «di qualunque tempo e di chiunque».

Chissà se l’inventore di un inesistente Vaticano II «razzista» è un cretino inoffensivo o la voce in talare di xenofobi, antisemiti, suprematisti che innocui non sono. Ma che un nemico del Papa e della Chiesa faccia rientrare dalla finestra del web l’ombra d’un pensiero cacciato conciliariter dalla porta, dice che il Vaticano II ha ancora la forza di smascherare cosa c’è davvero dietro il sogno, di liberarsene o di spuntarne con un preambolo tradizionalista lo sperone riformatore che pungola la carne della Chiesa.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/5/2012 12.35
Titolo:LETTERA APERTA AL SIGNOR PAPA di Paolo Farinella ....
LETTERA APERTA AL SIGNOR PAPA BENEDETTO XVI

AL SECOLO JOSEPH RATZINGER

di Paolo Farinella, prete - Genova 09-05-2012

Sig. Papa,

apprendiamo dalla stampa che lei, su istigazione del Segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, andrà al Meeting di Comunione e Liberazione di Rimini nel prossimo mese di agosto 2012 per ricordare i trent’anni della visita di Giovanni Paolo II al Meeting e il riconoscimento pontificio di Cl. Non le nascondiamo il nostro sconcerto per questa notizia, gravida di conseguenze non buone per lei, per la Chiesa e per la stessa CL che ormai di cattolico non ha nemmeno il nome, compromessa com’è con le logiche demoniache del potere.

L’annuncio è dato contemporaneamente allo scoppio in Italia degli scandali che coinvolgono il governatore della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, uno dei «memores Domini» con voti di castità, obbedienza e povertà, ma ancora più famoso per i suoi traffici immorali con uomini corrotti che lui stesso ha contribuito a corrompere per averne utili e benefici personali a danno della sanità pubblica e dell’erario regionale. Come è testimoniato da report di stampa, egli conduce stili di vita non consoni con la castità e la povertà, ostentando lusso e nudità che ben poco si confanno ad un uomo che ogni giorno si vanta di essere cattolico di CL, il «Celeste».

Negli stessi giorni, il presidente di CL, don Julián Carrón, ha pubblicato sulla stampa italiana (la Repubblica, 1-5-2012) una lettera con cui rinnega i comportamenti del «Celeste» Formigoni e ammette che forse CL si è persa per strada, allettata dall’esercizio del potere fine a se stesso e perdendo l’ispirazione cristiana se nell’opinione pubblica si è diffusa la convinzione che la corruttela di CL sia arrivata a livelli inauditi, come gli affari condivisi anche con la criminalità organizzata pur di avere appalti e denaro a fiumi a spese dello Stato.

Noi non avevamo bisogno di don Carrón per renderci conto della deriva del movimento che lei ha consacrato da cardinale e implementato da papa. Da anni assistiamo inorriditi all’evidenza che CL sia fuori da ogni prospettiva religiosa ed evangelica, sprofondando sempre più in basso. Non si può restare immuni dopo che per quasi vent’anni si è appoggiato politicamente, sostenuto e difeso un uomo corrotto e immorale come l’ex presidente del consiglio italiano, Silvio Berlusconi, difendendolo anche quando incitava alla distruzione dello Stato di diritto e induceva le minorenni a prostituirsi a lui. Mai una voce di critica o un distinguo è venuta da CL anche quando i fatti erano palesi e non manipolabili. Uomini e donne di CL sono stati succubi, anzi beneficiari di un sistema di corruzione e di corruttela spietati, senza mai un rincrescimento e una presa di distanza. Al contrario si sono sempre affaticati a dimostrare che l’uomo più corrotto e più delinquente del mondo avrebbe dovuto essere valutato per le politiche (per altro ignobili, antiumane e irreligiose) che faceva e non per la sua condotta etica. Machiavelli a fronte era un novizio di primo pelo.

Ora noi constatiamo che il corrotto, malavitoso, ignobile, immorale e amorale Silvio Berlusconi ha sventrato la coerenza e la dirittura morale dell’intera CL che oggi deve fare i conti con i propri adepti scandalizzati e disorientati. Molti abbandonano CL perché è diventata un centro affaristico di lupi rapaci, dediti agli appalti, alla compravendita di favori, espressione di una politica che favorisce gli evasori fiscali, i trafficanti di favori e di denaro sporco, la malavita organizzata, i mafiosi che tutelano in parlamento, e complici «in solido» di un sistema senza morale che ha portato l’Italia sull’orlo dell’abisso non solo economico, ma anche etico e sociale.

In queste condizioni, la sua presenza al Meeting sarebbe una sciagura per la Chiesa e lei stesso perderebbe credibilità, disorientando ancora di più i credenti e i laici di buona volontà, come quando in pieno scandalo politrico-sessuale, lei ha voluto ricevere appositamente Silvio Berlusconi all’aeroporto togliendolo dal disprezzo generale in cui era scaduto. Le persone semplici leggerebbero la sua presenza come una «benedizione» del papa ai corrotti, ai disonesti, agli immorali, a Formigoni e sodali compagni di avventura criminosa. Si direbbe che lei benedica CL perché «paga» in termini economici (cioè dà tanti soldi) per cui «possono comprare anche il papa»; paga in potere perché in parlamento e al governo difende istanze clericali che poi si dimostrano vittorie di Pirro.

Sig. Papa,

Lei ha già sbagliato con i malati mentali lefebvriani, venendo unilateralmente loro incontro togliendo imprudentemente la scomunica senza chiedere prima l’adesione formale al magistero del concilio Vaticano II. Essi hanno capito la sua debolezza per cui ora la ricattano punto dopo punto e lei per non perdere la faccia è costretto a cedere sempre di più fino alla resa definitiva. Non faccia un altro errore irreparabile, andando al Meeting perché sarebbe accomunato alla congrega degli utilizzatori della religione in funzione di un potere spietato, politico, economico e religioso, come dimostra la lettera di don Carrón che arriva a sponsorizzare la candidatura per Milano del patriarca Angelo Scola, gettando fango sulle nobili figure degli arcivescovi Martini e Tettamanzi, che la storia ricorderà come autentici «Padri della Chiesa».

Vivendo in uno Stato estero, lontano dall’Italia, forse lei non è sufficientemente informato su quanto accade nello Stato d’Italia per cui potrebbe fare scelte avventate. Ho creduto pertanto mio dovere informarla succintamente per contribuire ad aiutarla a fare scelte oculate e ponderate perché un papa non può esporsi come capita, andando ad un consesso dove si fanno più affari che preghiere. In nome della decenza, della morale e dell’ufficio che lei rappresenta, noi la preghiamo di annullare la sua visita al Meeting di Rimini per motivi di opportunità e di etica. In nome della Verità
- (seguono firme).
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/5/2012 11.51
Titolo:Un governo tecnico in cerca di «supplementi d’anima»...
Il Papa: l’Italia reagisca
Un governo tecnico in cerca di «supplementi d’anima»


di Massimo Adinolfi (l’Unità, 14.05.2012)

C’È UN PASSAGGIO, NELLE PAROLE PRONUNCIATE IERI DA MONTI, CHE CONVIENE OSSERVARE DA VICINO: non per impugnare la matita rossa e blu, ma solo per capire bene. «La crisi economica – ha detto il premier – se non è affrontata con convinzione e coraggio può diventare culturale e di valore». Il contesto in cui cadevano queste assennate parole – l’incontro con Benedetto XVI – giustifica l’attenzione rivolta alle condizioni morali e spirituali del Paese.

Il Papa ha invitato l’Italia a non scoraggiarsi di fronte alle difficoltà, e ha indicato nella grande tradizione umanistica del nostro paese i fondamenti culturali a cui attingere per invertire la rotta. Un grande «rinnovamento spirituale ed etico» deve collegarsi alla tradizione storica dell’Italia, per riprenderla, rielaborarla, riproporla su basi nuove.

Ed è vero: la nostra eredità culturale e civile è dote preziosa per tenere unito il Paese, e rimetterlo sul sentiero della crescita. Si può naturalmente discutere su cosa diventino i valori, anche i più “etici” e “spirituali”, quando siano separati dalle condizioni effettive in cui furono pensati e posti in essere, e se una sorta di philosophia perennis possa mai accompagnare un Paese attraverso le sue tante e diverse stagioni storiche e politiche. Ma queste son domande di filosofi.

Nel momento in cui i timori di uno sfilacciamento del tessuto sociale si fanno sempre più grandi, è comprensibile e anzi auspicabile che forti si intendano le parole che infondono fiducia, che donano speranza, che richiamano tutti al comune senso di appartenenza e alla più coraggiosa assunzione di responsabilità. E fa bene il presidente del Consiglio ad accoglierle e rilanciarle, specialmente di fronte a segnali di malessere sociale che vanno acuendosi sempre più.

Ancor più è apprezzabile che Monti abbia sentito ieri l’esigenza di riprendere la parola che fin dal giorno del suo insediamento aveva accompagnato la proposta programmatica del suo governo: la parola equità. Ci vuole equità, aveva detto, e ancora ieri ha ripetuto. E dentro la tradizione umanistica si trovano davvero le risorse per ripensare il valore non solo morale ma anche politico dell’equità: quella dimensione in cui il rigore della giustizia non può andar disgiunto da un ricco senso di umanità, e le proposizioni di principio non vengono mai fatte valere in astratto, nell’ignoranza delle circostanze concrete in cui gli uomini vivono.

Ma resta il passaggio che citavamo in apertura. Perché non può sfuggire che, a rigor di logica, se il premier teme che l’acuirsi della crisi economica possa comportare conseguenze più ampie, sul piano culturale ed etico, allora per lui l’elemento «culturale» ed «etico» si trova in posizione di effetto, mentre la crisi economica, recessione e disoccupazione si trovano in posizione di causa. Ma questo significa che ben difficilmente il rapporto può rovesciarsi, e d’improvviso la fiducia e la speranza, il coraggio e i forti auspici morali possono essere la causa, e la ripresa economica l’effetto. Sempre a rigor di logica si dovrebbe piuttosto pensare il contrario, e che un clima di aspettative favorevoli si stabilirà solo grazie a nuovi investimenti: non solo di fiducia.

Certo, abbiamo bisogno di supplementi d’anima. Forse ne ha ancora più bisogno il governo in carica, che non ha l’etichetta di governo tecnico perché analisti cocciuti si ostinano a ricordare le competenze del premier, ma perché Monti stesso parla alla politica come a un mondo ben distinto e a volte anche distante dal governo. La politica viene individuata come una sfera diversa, con la quale si discute, ma della quale tuttavia non si fa parte e non si intende far parte.

Forse c’è la convinzione che la popolarità dell’esecutivo ne trarrà guadagno, o forse si ritiene che sia così più facile trovare nel governo il punto di mediazione fra interessi contrapposti. Può darsi. Ma sta il fatto che è proprio questo distacco a volte ostentato che rende comprensibile che il premier cerchi supplementi morali a sostegno della sua azione, pur con qualche bisticcio fra la causa e l’effetto. Perché a pensarci il vero supplemento dell’azione di governo c’è, e non può avere altro nome che, per l’appunto, politica. E in tutta Europa, sembra proprio che ne stia di nuovo venendo il tempo.

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Commenti Articolo 820

Titolo articolo : VERSO IL QUINTO INCONTROIl regno di Dio è vicino (Mc 1,15),a cura di licinia magrini

Ultimo aggiornamento: May/11/2012 - 19:07:38.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/5/2012 19.07
Titolo:IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO .... MA DA CHI?! Dalla tradizione "ratzingeriana...
IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO .... MA DA CHI?! Alcune note a margine dell’incontro dei cattolici del 16 maggio di Firenze*

di Federico La Sala *

Ma da chi, avete ricevuto questo “vangelo” che predicate?!

Certamente non da Gesù: egli è “venuto al mondo per rendere testimonianza alla verità”. E certamente non avete ascoltato la sua voce: “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (Gv., 18.37).

Ma da chi, avete ricevuto questo “vangelo” che predicate?! A quale tavolo vi siete seduti, e con chi?!

Certamente non da Gesù e certamente non con Gesù: “Prendete, mangiate, questo è il mio corpo" (Mt. 26:26); “se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete vita in voi" (Gv. 6:53).

DALLA PRIMA LETTERA DI GIOVANNI:

- CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE ... DEUS CHARITAS EST (1Gv., 4. 1-16).

- CARISSIMI, NON PRESTATE FEDE A OGNI SPIRITO ... DIO E’ AMORE (1Gv., 4. 1-16).

In verità, se siete capaci di intendere e di volere, il vostro “vangelo” è il “van-gelo” del “latinorum”, dei don Abbondio e dei don Rodrigo ... dei “Papi” di oggi, e di Ratzinger!!!

E il vostro Padre è “Mammona” (“Caritas”)!!! E’ ora di svegliarsi - al di là del disagio e del dissenso!!! Avete ricevuto e predicate un “van-gelo”, gelido e mortifero che non ha nulla a che fare con la buona-novella (eu-angelo), il messaggio evangelico!!!

Il teologo Ratzinger scrive da papa - senza grazia (“charis”) e senza “h” (acca) - una enciclica sul “Padre nostro” (“Deus charitas est”: 1 Gv. 4.16) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo - nonostante l’Anno della Parola e il Sinodo dei Vescovi (2008).

Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!! Benedetto XVI: Deus caritas est, 2006 d. C.!!!

Su questa base, in un tempo (con che segni!) in cui i Papi si confondono con i “Papi” e il Papa in persona parla del Padre Nostro (Deus charitas) come “Mammona” (Benedetto XVI, Deus caritas est, 2006) e con tutta la gerarchia vaticana appoggia il cavaliere “Papi della Patria” (come già ieri il cavaliere “Uomo della Provvidenza”), il discorso “per una chiesa della fraternità” e della sororità (G. Ruggieri, Relazione: Il Vangelo che abbiamo ricevuto), se non è da conniventi, è quantomeno ... da sonnambuli!!!

Se è vero, come è vero, che “i suoni emessi con la voce sono simboli (sùmbola) delle passioni (pathémata) dell’anima, ed i segni scritti sono simboli dei suoni emessi dalla voce”( Aristotele, De Interpretatione, 16a), ciò significa che le passioni che si agitano nelle vostre anime non dicono affatto del messaggio evangelico .... E che la vostra tradizione - falsa e menzognera - semplicemente non ha più (se mai l’ha avuto) nessun rapporto con la tradizione evangelica, e “simbolica”!!!**

E la proposta di ogni “prassi sinodale” sotto il vostro controllo ... è solo un’operazione per vendere a caro-prezzo (“caritas”) la grazia del vostro Dio Mammona (Benedetto XVI, Deus caritas est, 2006 d. C.)!!!

Io sono la Via, la Verità, la Vita... Il vostro “vangelo” è una parola ingannevole e un cibo avvelenato, che non ha nulla a che fare con la Lettera e lo Spirito del messaggio di Gesù Cristo, il figlio del Dio Vivente.

* Per gli interventi al convegno del 16 maggio, si cfr.: www.ildialogo.org/parola

* IL DIALOGO, Martedì 26 Maggio,2009 Ore: 11:59


P.S.

L’EU-CHARISTIA. "La parola «Eucaristia» deriva dal verbo greco «eu-charistèō/rendo grazie» che a sua volta proviene dall’avverbio augurale «eu-...-bene» e «chàirō-rallegrarsi/essere contento»" (Paolo Farinella, prete).

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Commenti Articolo 821

Titolo articolo : "CAPPELLA SISTINA" IN PERICOLO!!! CONOSCETE LE VIE: INTERVENITE SOLLECITAMENTE. Una lettera aperta al cardinale Angelo Amato e all'arcivescovo di Salerno Luigi Moretti (e un invito al Papa),di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: May/11/2012 - 14:05:33.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/3/2012 15.00
Titolo:PROMULGAZIONE DI DECRETI DELLA CONGREGAZIONE DELLE CAUSE DEI SANTI
PROMULGAZIONE DI DECRETI DELLA CONGREGAZIONE DELLE CAUSE DEI SANTI

Oggi, 27 giugno 2011, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza privata Sua Eminenza Reverendissima il Card. Angelo Amato, S.D.B., Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.

Nel corso dell’Udienza il Sommo Pontefice ha autorizzato la Congregazione a promulgare i Decreti riguardanti:

- un miracolo, attribuito all'intercessione del Venerabile Servo di Dio Mariano Arciero, Sacerdote Diocesano; nato a Contursi (Italia) il 26 febbraio 1707 e morto a Napoli (Italia) il 16 febbraio 1788;
[...]

Cfr. http://press.catholica.va/news_services/bulletin/news/27754.php?index=27754&lang=ge
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/3/2012 16.25
Titolo:DONNE E UOMINI. PROFETI E SIBILLE - OGGI ....
ILLUSTRISSIMI SIGG.,

CARDINALE AMATO

ARCIVESCOVO MORETTI

MONSIGNOR SPINGI ...

è tempo! Per le donne e per gli uomini, è tempo: non solo per le pari opportunità, ma anche per la pari dignità - dinanzi alla Legge e dinanzi a Dio.

Questa la grande e importante lezione non solo della nostra “Cappella Sistina” carmelitana, ma anche delle nostre stesse madri e dei nostri stessi padri del nostro amato Paese.

Mi auguro che non vada in rovina non solo la nostra piccola Chiesa ma neanche il nostro piccolo paese, la stessa Contursi – e il nostro grande Paese, la stessa Italia!!!

Molti cari saluti e buon lavoro,

per la beatificazione di don Mariano Arciero
e per la salvaguardia della Chiesa di Maria SS. del Carmine

Federico La Sala



P. S.

MEMORIA EVANGELICA, BIBLICA, E UMANA:

Nell’enciclica ‘conciliare’ Pacem in terris di Giovanni XXIII (1963)
al n.22 l’ingresso crescente delle donne nella vita pubblica
veniva annoverato tra i segni dei tempi, insieme alla crescita delle classi lavoratrici (n.21) e alla fine del colonialismo (n.23). NON DIMENTICHIAMOLO!!!
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/3/2012 20.03
Titolo:DONNE E MINISTERI: UN'ESCLUSIONE CHE INTERPELLA TUTTI, A TUTTI I LIVELLI ....
Donne e ministeri da segno dei tempi a indice di autenticità

di Lilia Sebastiani

in “Viandanti” (www.viandanti.org) del 10 marzo 2012

Nell’enciclica ‘conciliare’ Pacem in terris di Giovanni XXIII (1963) al n.22 l’ingresso crescente delle donne nella vita pubblica veniva annoverato tra i segni dei tempi, insieme alla crescita delle classi lavoratrici (n.21) e alla fine del colonialismo (n.23).

Ricordare l’enciclica è doveroso, per il valore storico di questo semplice e cauto riconoscimento: infatti è la prima volta che un documento magisteriale rileva la cosiddetta promozione della donna senza deplorarla - anzi come un fatto positivo. I segni dei tempi sono ancora al centro della nostra attenzione, ma per quanto riguarda le donne la questione cruciale e non ignorabile è ormai quella del loro accesso al ministero nella Chiesa, a tutti i ministeri.

Venerande esclusioni

Certo il problema dei ministeri non è l’unico connesso con lo status della donna nella Chiesa, ma senza dubbio è fondamentale; guardando al futuro, è decisivo. Non solo e non tanto in se stesso, ma per la sua natura di segno.

In questo momento nella Chiesa la donna è ancora esclusa dai ministeri ecclesialmente riconosciuti: non solo da quelli ordinati (l’Ordine sacro, cioè, nei suoi tre gradi: episcopato, presbiterato, diaconato) ma anche da quelli istituiti, il lettorato e l’accolitato. Questi ultimi, chiamati un tempo “ordini minori” e considerati solo tappe di passaggio obbligatorie per accedere all’ordinazione, furono reintrodotti nel 1972 da Paolo VI (Ministeria quaedam) come “ministeri istituiti” - per distinguerli da quelli ordinati, mantenendo però l’elemento della stabilità e del riconoscimento ecclesiale - e furono aperti anche a laici non incamminati verso l’Ordine; tuttavia si specificava chiaramente che tali ministeri erano riservati agli uomini, “secondo la veneranda tradizione della chiesa latina”.

Un po’ più recente l’istituzione dei “ministri straordinari dell’Eucaristia”: con prerogative non molto diverse da quelle degli accoliti, questi possono essere anche donne. E di fatto sono più spesso donne che uomini. Un passo avanti, forse? Certo però la dichiarata ‘straordinarietà’ sembra messa lì a ricordare che si tratta di un’eccezione, di una supplenza..., di qualcosa che normalmente non dovrebbe esserci.

A parte i servizi non liturgici ma fondamentali, come la catechesi dei fanciulli, quasi interamente femminile, e le varie attività organizzative e caritative della parrocchia, le letture nella Messa vengono proclamate più spesso da donne che da uomini; ma si tratta sempre e comunque di un ministero di fatto, che in teoria sarebbe da autorizzare caso per caso, anche se poi, di solito, l’autorizzazione viene presunta.

Il Concilio e l’incompiuta apertura

Il problema dell’accesso femminile ai ministeri è diventato di attualità nella Chiesa nell’immediato post-concilio, nel fervore di dibattito che caratterizzò quell’epoca feconda e rimpianta della storia della Chiesa. Il Vaticano II aveva mostrato una notevole apertura sulle questioni che maggiormente sembravano concernere il problema della donna in generale e della donna nella Chiesa in particolare. Sulle questioni più specifiche e sul problema dei ministeri i documenti conciliari erano generici fino alla reticenza, ma senza chiusure di principio. Ciò autorizzava a sperare nel superamento, non proprio immediato ma neppure troppo lontano, di certe innegabili contraddizioni che persistevano sul piano disciplinare. Inoltre altre chiese cristiane avevano cominciato da qualche anno, certo non senza resistenze anche aspre, a riconsiderare e a superare gradualmente il problema dell’esclusione (a nostra conoscenza, la chiesa luterana svedese fu la prima ad ammettere donne al pastorato, nel 1958)

Una chiusura fragile

Nel decennio che seguì il Concilio, il dibattito in proposito fu intenso. La Chiesa ufficiale mantenne però una posizione di cautela e di sostanziale chiusura sempre più netta, che culminò - volendo chiudere la questione una volta per sempre - nella dichiarazione vaticana Inter insigniores, che è della fine del 1976, ma resa pubblica nel 1977.

In questo documento l’esclusione delle donne dal ministero ordinato veniva ribadita con caratteri di definitività vagamente ‘infallibilista’, ma anche con un significativo mutamento di argomentazione, che ci sembra importante poiché dimostra che l’esclusione è un fatto storico-sociologico in divenire e non un fatto teologico-sacramentale. Non si dice più, come affermava Tommaso d’Aquino, che la donna è per natura inferiore all’uomo e quindi esclusa per volere divino da ogni funzione implicante autorità; si richiama invece l’ininterrotta tradizione della Chiesa (che è evidente, ma è anche evidentissimo portato della storia e delle culture) e soprattutto la maschilità dell’uomo Gesù di Nazaret, da cui deriverebbe la congruenza simbolica della maschilità del prete che, presiedendo l’assemblea, agisce in persona Christi.

Quest’ultimo argomento fragile e sconveniente è stato lasciato cadere, infatti, nei pronunciamenti successivi: questi si rifanno solo alla tradizione della Chiesa e a quella che viene indicata come l’esplicita volontà di Gesù manifestata dalla sua prassi.

Anche questo argomento non funziona. Gesù, che non mostra alcun interesse di tipo ‘istituzionale’, alle donne accorda, con naturalezza, una piena parità nel gruppo dei suoi seguaci. Sembra insieme scorretto e pleonastico dire che “non ha ordinato nessuna donna”, dal momento che, semplicemente, non ha ordinato nessuno. Non vi è sacerdozio nella sua comunità, ma servizio e testimonianza, diakonìa non formalizzata - eppure rispondente a una chiamata precisa - che, prima di essere attività, è opzione fondamentale, stile di vita, sull’esempio di Gesù stesso “venuto per servire”.

Nel Nuovo Testamento di sacerdozio si può parlare solo in riferimento al sacerdozio universale dei fedeli (cfr 1 Pt 2,9; Ap 1,6), negli ultimi decenni tanto rispettato a parole quanto sfuggente e ininfluente nel concreto del vissuto ecclesiale; oppure in riferimento all’unico sacerdote della Nuova Alleanza - sacerdote nel senso di mediatore fra Dio e gli esseri umani -, Gesù di Nazaret (cfr Ebr 9), il quale nella società religiosa era un laico, oltretutto in rapporti abbastanza conflittuali con il sacerdozio del suo tempo.

Un’esclusione che interpella tutti

Vi sono due fatti, molto modesti ma significativi, che aiutano a tenere viva la speranza. Il primo, che i pronunciamenti dell’autorità ecclesiastica volti a chiudere ‘definitivamente’ la questione sono diventati abbastanza ricorrenti, il che dimostra che non è poi tanto facile chiuderla. Il dibattito è aperto e procede. Il secondo, che l’argomentazione teologica sembra cambiata ancora: felicemente sepolto l’infelicissimo argomento della coerenza simbolica, già pilastro dell’Inter insigniores, si richiama solo la prassi ininterrotta della chiesa romana e sempre più spesso si sente riconoscere, anche dalle voci più autorevoli, che contro l’ordinazione delle donne non ci si può appellare a ragioni biblico-teologiche.

No, non si tratta di banali rivendicazioni. L’esclusione interpella tutti: nessuna/nessun credente adulto può disinteressarsi di questo problema chiave finché le donne nella chiesa non avranno di fatto le stesse possibilità degli uomini, la stessa dignità di rappresentanza.

E’ necessario ricordare che vi sono donne cattoliche di alto valore e seriamente impegnate - tra loro anche alcune teologhe - che a una domanda precisa sul problema dei ministeri istituiti rispondono o risponderebbero più o meno così: no grazie, il sacerdozio così com’è proprio non ci interessa. E’ un atteggiamento che merita rispetto: almeno in quanto manifesta il timore che insistere troppo sul tema dell’ordinazione induca ad accentuare l’importanza dei ministri ordinati nella Chiesa (mentre sarebbe urgente semmai ridurre quell’importanza, insomma ‘declericalizzare’).

Ma dobbiamo ricordare che il “sacerdozio così com’è”, nella storia e nella mentalità corrente, si fonda proprio sulla ‘separazione’, sullo spirito di casta, sul sospetto previo e sul rifiuto nei confronti della donna, che nella chiesa di Roma si esprime in una doppia modalità: l’esclusione delle donne dalle funzioni di culto, di governo e di magistero, è parallela all’obbligo istituzionale di essere “senza donna” per coloro che le esercitano. Il divieto per le donne di essere ministri ordinati el’obbligo per i ministri ordinati di restare celibi sembrano due problemi ben distinti, mentre sono congiunti alla radice. E ormai sappiamo che potranno giungere a soluzione solo insieme.

Segno dei tempi, certo. Segno di trasformazione, segno contraddittorio, segno incompleto, proprio come il tempo in cui viviamo. Per quanto riguarda la chiesa cattolica, però, non solo segno, ma indice di autenticità. Non temiamo di dire che sulla questione dei ministeri, che solo a uno sguardo superficiale o ideologico può apparire circoscritta, si gioca il futuro della chiesa.

Lilia Sebastiani

Teologa
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/3/2012 11.05
Titolo:UN ACCORATO APPELLO. Salvare la Chiesa di Maria SS. del Carmine a Contursi ...
Salvare la Chiesa di Maria SS. del Carmine a Contursi

di Valentina del Pizzo *

Dalle pagine della rivista online “La voce di Fiore”, si è levato un accorato appello rivolto sotto forma di missiva, a cura di Federico la Sala, indirizzata al Soprintendente per i Beni architettonici della Provincia di Salerno, Gennaro Miccio, perché intervenga al fine di salvaguardare la Chiesa di Contursi dedicata a Maria Santissima del Carmine.

Intitolata probabilmente al patrono di Contursi, San Donato Vescovo, la fondazione della Chiesa, in principio una cappella, risale ad un periodo antecedente il XV sec.: composta da un’unica navata culminante in un’abside a pianta quadrata, la chiesa è stata di recente restaurata dalla locale Soprintendenza. Questi lavori hanno consentito di mettere in luce le decorazioni a tempera che adornano le pareti interne delle dieci cappelle in muratura, decorate con stucchi e cornici, che si aprono lungo le pareti laterali: si sono potute così distinguere delle Sibille i cui diretti confronti sono nella Cappella Sistina di Michelangelo o con gli affreschi di Raffaello nella Chiesa romana di Santa Maria della Pace, secondo un motivo iconografico caro al Rinascimento italiano e che data i nostri al pieno XVI sec.

I lavori di restauro architettonico hanno interessato il consolidamento generale della struttura e delle murature che versavano in cattive condizioni. Il tetto è stato sostituito da una nuova copertura in pianellato di cotto ed orditura di legno, sovrapposta a capriate lignee, con l’inserimento di elementi strutturali di ferro.

L’intervento, resosi necessario a seguito del terremoto del novembre 1980, si sono conclusi nel 1989, tuttavia oggi la chiesa versa in uno stato di abbandono, con erbacce che intasano il corretto deflusso delle acque e che vanno ad infiltrarsi nelle pareti provocando danni già disastrosi ed evidenti all’interno, nonché favorendo l’avvio del cedimento dell’orditura che tiene l’intero manto delle tegole.

Problemi non del tutto risolti di umidità non rassicurano sulla conservazione delle decorazioni parietali, rischiando di sottrasse alla fruizione da parte della comunità e dei potenziali visitatori delle dodici Sibille rinascimentali e del loro messaggio di Rivelazione. Queste infatti dalla Sibilla Cumana alla Sibilla Aegyptia, di modesta fattura e di complessa lettura, si susseguono fino all’altare, dietro il quale sorge una pala del 1608 di Jacopo de Antora, raffigurante il Profeta Elia, il profeta Giovanni Battista ed in alto, su una nuvola, Maria con il Bambino, mentre alle loro spalle svettano le colline del Carmelo, con chiese e grotte, ed un’iscrizione che menziona il committente Paolo Pepe, nipote di Paolo Antonio Pepe, alla cui memoria l’opera è dedicata: un patrimonio fondamentale per il quale urgono interventi urgenti di recupero e consolidamento affinché non si perda del tutto l’effettodel restauro dello scorcio degli anni ottanta, determinando così un doppio spreco, delle opere e di risorse impiegate in passato.

Una curiosità: i Pepe sono gli antenati dei Rosapepe, noti oggi per gli stabilimenti termali e chissà se non fossero disponibili ad assumere anche il ruolo di Mecenati, finanziando, in tempi di magra, per la gestione e la manutenzione del nostro patrimonio culturale, un restauro degno di un paesino che ha fatto dell’industria turisticalegata agli stabilimenti termali, il proprio vanto.

Valentina Del Pizzo

* Fonte: “UNICO Settimanale”, n. 11, 24.03.2012, pag. 18
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/4/2012 20.13
Titolo:IL TEMPO DELLE RECITE E' FINITO .....
Recitare o essere? Pensieri tra Quaresima e Pasqua

di don Angelo Casati

Viandanti (www.viandanti.org, 30 marzo 2012

Mi succede - qualcuno la ritiene una mia ossessione - di avere in sospetto ogni parola che, poco o tanto, sembra recitata, ogni atteggiamento che, poco o tanto, sembra studiato. Si recita una parte. A volte mi sorprendo a guardarmi. E mi chiedo: "Stai recitando? Stai celebrando o recitando? Stai pregando o recitando? Stai predicando o recitando? Stai parlando o recitando?". Nella recita non ci sei. C’è una parte che indossi. Che non è la tua.

Gesù incantava

Gesù non recitava. Forse per questo o anche per questo, incantava. Era autentico, aderente la vita, non a una parte da recitare. E la gente lo sentiva vero. A differenza di altri. A differenza, per esempio, di una certa frangia - non tutti! - di farisei che "recitavano": "Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini. Allargano i loro filatteri, allungano le frange; amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare rabbì dalla gente"(Mt.23,5-7).

Qualcuno, anche nel mondo ecclesiastico, sconcertato dalla calda umanità di Gesù, tende a presentarla come se il Signore stesse recitando, quasi non gli fosse consentito, in quanto Dio, di crescere, di essere stanco, di non sapere, di amare i banchetti, di desiderare la tenerezza di un bacio o il profumo dell’unguento, di provare paura e solitudine. Quasi recitasse, in tutto ciò una parte non sua. Gesù non ha mai recitato. Era.

Dominante è il ruolo

C’è il pericolo - lo avverto sempre più acutamente e il racconto delle tentazioni di Gesù, all’inizio della Quaresima, lo segnalava - che anche la religione diventi spettacolo, luogo in cui si recita. Strano verbo, questo "recitare", che abbiamo nel nostro linguaggio religioso legato al pregare! Si "recita" una Ave Maria o un Padre Nostro, si "recita" il rosario. È in agguato la recita. La avverti. A volte è nell’aria. A tradirla è un tono affettato, artefatto, poco naturale, studiato.

Aria strana. L’aria di certi raduni ecclesiastici. Volti impassibili, non tradiscono la benché minima emozione. Ci si parla di errori, di cedimenti o di smarrimenti, sono sempre quelli degli altri. L’inquietudine non esiste. Esiste la sicurezza. Si recita la parte di Dio. Mai uno che dica: "Ho peccato". Lo si dice nella Messa, ma per modo di dire. Nessuno che abbia mai fatto un errore. E che lo riconosca. Domina il ruolo. L’impassibilità del ruolo. Impenetrabili, drappeggiati, diplomatici. E senti la distanza. E come se mancasse gente vera. Non sono i volti che cerchi, quelli che ti incantano fuori le mura, volti che non mascherano le stanchezze e le emozioni, volti che confessano l’inquietudine e la lontananza.

Scrive Carlo Maria Martini: "Non di rado mi spavento sentendo o leggendo tante frasi che hanno come soggetto "Dio" e danno l’impressione che noi sappiamo perfettamente ciò che Dio è e ciò che egli opera nella storia, come e perché agisce o in un modo e non in un altro. La Scrittura è assai più reticente e piena di mistero di tanti nostri discorsi pastorali".

Come figli di Dio

Comunità alternativa si diventa vivendo il Vangelo, non recitando la parte del "perfetto". Alternativi diventiamo non mascherandoci dietro il ruolo o dietro il titolo, ma dando trasparenza ai rapporti. Incontrandoci come persone. Come figli di Dio. Questa la più grande dignità che ci è toccata. Non esiste, per un vero credente, altra tanto grande.

Essere Papa, essere Vescovo, essere prete, non vale l’essere figli di Dio. E, se figli, liberi, e quindi non soffocati, non mascherati, non misurati da titoli e da ruoli.Quando Papa Giovanni, poco dopo la sua elezione, si accorse che l’ Osservatore Romano introduceva le sue parole con questa formula di rito: "Come abbiamo potuto raccoglierle dalle auguste labbra di Sua Santità", chiamò il capo redattore e gli disse: "Lasciate perdere queste sciocchezze e scrivete semplicemente: Il Papa ha detto".

La grande sfida

Quale perdita per la società, se la Chiesa, che nel mondo dovrebbe apparire come lo spazio dove risplende la libertà e l’umanità dei rapporti, diventasse luogo di relazioni puramente formali, deboli e fiacche, non sincere e intense.

Rischierebbe l’insignificanza. Verrebbe meno alla grande sfida, all’opportunità che oggi le si offre di tessere in una società ampiamente burocratizzata rapporti autentici e profondi.

E non sarà che alla Chiesa di oggi, e quindi a ciascuno di noi, Dio chieda meno protagonismo, meno organizzazione, meno recite e più vicinanza, più sincerità?

Alla mente ritorna una pagina folgorante dello scrittore Ennio Flaiano, là dove abbozzava un ipotetico ritorno di Gesù sulla terra, un Gesù, infastidito da giornalisti e fotoreporter, come sempre invece vicino ai drammi e alle fatiche dell’esistenza quotidiana: "Un uomo" - scrive - "condusse a Gesù la figlia ammalata e gli disse: "Io non voglio che tu la guarisca, ma che tu la ami". Gesù baciò quella ragazza e disse: "In verità questo uomo ha chiesto ciò che io posso dare". Così detto, sparì in una gloria di luce, lasciando le folle a commentare quei miracoli e i giornalisti a descriverli".
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/5/2012 14.05
Titolo:LETTERA APERTA A DON SALVATORE SPINGI E AL COMITATO PER LA CELEBRAZIONE
CONTURSI TERME, 24 GIUGNO 2012: MEMORIA E RICONCILIAZIONE, IN RICORDO DI CARMELA CERNERA

LETTERA APERTA A DON SALVATORE SPINGI E AL COMITATO PER LA CELEBRAZIONE DELLA BEATIFICAZIONE DI DON MARIANO ARCIERO (1707-1788)

CARO DON SALVATORE ....

IN AVVICINAMENTO AL BELLO E GRANDE GIORNO DI TUTTA LA COMUNITA’ DI CONTURSI,

UN PENSIERO E UNA PREGHIERA IN MEMORIA DI CARMELA CERNERA

Avendo il Comitato individuato la zona del Tufaro, quale luogo in cui celebrare la beatificazione,

io credo che sia opportuno, bello, e doveroso, risanare prima e cristianamente il luogo dalla

memoria del delitto lì avvenuto nel 1959.

Nel percorso di avvicinamento alla grande giornata dedicata alla beatificazione di don Mariano Arciero, sarebbe bello realizzare un pre-evento: decidere di celebrare una messa, proprio lì al Tufaro, in memoria di Carmela Cernera.

Un atto di memoria e di riconciliazione, credo sia un grande gesto per te e per tutta la cittadinanza di Contursi, per prepararsi ad onorare nel modo più bello la memoria stessa del nostro Beato, don Mariano Arciero.

Mi auguro che la cosa sia possibile e realizzabile, anche con la presenza dell’Arcivescovo Moretti.

Con grande stima e in spirito di affettuosa amicizia,

Accogli i miei più fervidi auguri di

Buona Pasqua e di Buon Lavoro!

Federico La Sala (04.04.2012)
Nota:

NON AVENDO AVUTO ALCUNA RISPOSTA, SE NON UN GENERICO "CI STO PENSANDO" (IL 20 APRILE 2012), DAL PARROCO DON SALVATORE SPINGI, IO - PERSONALMENTE - DICHIARO CHE IL 24 GIUGNO 2012 NON SARO’ AFFATTO NELLA "ZONA DEL TUFARO", MA SARO’ DAVANTI ALLA CHIESA DELLA MADONNA DEL CARMINE (CON LA "MAMMA BELLA" DI DON MARIANO ARCIERO) A RICORDARE LA GIOVANE CITTADINA DI CONTURSI TERME UCCISA NEL 1959.

Federico La Sala (11 maggio 2012)

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Commenti Articolo 822

Titolo articolo : GUAI A VOI, O RICCHI,a cura di Raffaello Saffioti

Ultimo aggiornamento: May/10/2012 - 12:09:40.

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Autore Città Giorno Ora
Giuseppe Gangemi Reggio Calabria 10/5/2012 12.09
Titolo:Commento a "Guai a voi, o ricchi...."
Certamente la ricchezza, quando è fine a se stessa e non si unisce alla solidarietà, è una colpa. Questo articolo è un monito verso coloro che detengono grandi ricchezze e non si preoccupano degli altri. La media e piccola borghesia stanno scomparendo. Si accentua il divario tra i pochi ricchi e coloro che stentano ad arrivare a fine mese. Per non parlare delle persone che muoiono di fame mentre le speculazioni e le spese per le armi aumentano. Il mondo è sempre più ingiusto e la gente sempre più impotente e impreparata.

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Commenti Articolo 823

Titolo articolo : PAESTUM, PATRIMONIO DELL'UMANITA' DA DIFENDERE E VALORIZZARE. Una iniziativa di Legambiente,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: May/08/2012 - 19:39:24.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/5/2012 19.39
Titolo:UNA"MEMORIA" DALL'ANTICA GRECIA E DA PAESTUM: RISPETTO E GIUSTIZIA, PER TUTTI....
IL MITO DI PROMETEO, NARRATO DA PROTAGORA (PLATONE)*

Nel "Protagora", il noto sofista di Abdera illustra la propria tesi col mito di Epimeteo e Prometeo: Zeus, per render loro possibile vivere in società, ha distribuito aidos e dike a tutti gli uomini. Gli uomini hanno bisogno della cultura e dell’organizzazione politica perché sono creature prive di doti naturali, come artigli, denti e corna, immediatamente funzionali ai loro bisogni. Tutti partecipano di queste due virtù "politiche". Ma esse non vanno viste come connaturate all’uomo, bensì come qualcosa di sopravvenuto, qualcosa che è stato trasmesso in maniera consapevole, e non semplicemente attribuito in un processo cieco, "epimeteico", del quale si può render conto soltanto ex post: per questo è possibile insegnare aidos e dike agli uomini, mentre non si può "insegnare" a un toro ad avere corna e zoccoli.

Ci fu un tempo in cui esistevano gli dei, ma non le stirpi mortali. Quando giunse anche per queste il momento fatale della nascita, gli dei le plasmarono nel cuore della terra, mescolando terra, fuoco e tutto ciò che si amalgama con terra e fuoco. Quando le stirpi mortali stavano per venire alla luce, gli dei ordinarono a Prometeo e a Epimeteo di dare con misura e distribuire in modo opportuno a ciascuno le facoltà naturali. Epimeteo chiese a Prometeo di poter fare da solo la distribuzione: "Dopo che avrò distribuito - disse - tu controllerai". Così, persuaso Prometeo, iniziò a distribuire. Nella distribuzione, ad alcuni dava forza senza velocità, mentre donava velocità ai più deboli; alcuni forniva di armi, mentre per altri, privi di difese naturali, escogitava diversi espedienti per la sopravvivenza. [321] Ad esempio, agli esseri di piccole dimensioni forniva una possibilità di fuga attraverso il volo o una dimora sotterranea; a quelli di grandi dimensioni, invece, assegnava proprio la grandezza come mezzo di salvezza. Secondo questo stesso criterio distribuiva tutto il resto, con equilibrio. Escogitava mezzi di salvezza in modo tale che nessuna specie potesse estinguersi. Procurò agli esseri viventi possibilità di fuga dalle reciproche minacce e poi escogitò per loro facili espedienti contro le intemperie stagionali che provengono da Zeus. Li avvolse, infatti, di folti peli e di dure pelli, per difenderli dal freddo e dal caldo eccessivo. Peli e pelli costituivano inoltre una naturale coperta per ciascuno, al momento di andare a dormire. Sotto i piedi di alcuni mise poi zoccoli, sotto altri unghie e pelli dure e prive di sangue. In seguito procurò agli animali vari tipi di nutrimento, per alcuni erba, per altri frutti degli alberi, per altri radici. Alcuni fece in modo che si nutrissero di altri animali: concesse loro, però, scarsa prolificità, che diede invece in abbondanza alle loro prede, offrendo così un mezzo di sopravvivenza alla specie.

Ma Epimeteo non si rivelò bravo fino in fondo: senza accorgersene aveva consumato tutte le facoltà per gli esseri privi di ragione. Il genere umano era rimasto dunque senza mezzi, e lui non sapeva cosa fare. In quel momento giunse Prometeo per controllare la distribuzione, e vide gli altri esseri viventi forniti di tutto il necessario, mentre l’uomo era nudo, scalzo, privo di giaciglio e di armi. Intanto era giunto il giorno fatale, in cui anche l’uomo doveva venire alla luce.

Allora Prometeo, non sapendo quale mezzo di salvezza procurare all’uomo, rubò a Efesto e ad Atena la perizia tecnica, insieme al fuoco - infatti era impossibile per chiunque ottenerla o usarla senza fuoco - e li donò all’uomo. All’uomo fu concessa in tal modo la perizia tecnica necessaria per la vita, ma non la virtù politica. [322] Questa si trovava presso Zeus, e a Prometeo non era più possibile accedere all’Acropoli, la dimora di Zeus, protetta da temibili guardie. Entrò allora di nascosto nella casa comune di Atena ed Efesto, dove i due lavoravano insieme. Rubò quindi la scienza del fuoco di Efesto e la perizia tecnica di Atena e le donò all’uomo. Da questo dono derivò all’uomo abbondanza di risorse per la vita, ma, come si narra, in seguito la pena del furto colpì Prometeo, per colpa di Epimeteo.

Allorché l’uomo divenne partecipe della sorte divina, in primo luogo, per la parentela con gli dei, unico fra gli esseri viventi, cominciò a credere in loro, e innalzò altari e statue di dei. Poi subito, attraverso la tecnica, articolò la voce con parole, e inventò case, vestiti, calzari, giacigli e l’agricoltura. Con questi mezzi in origine gli uomini vivevano sparsi qua e là, non c’erano città; perciò erano preda di animali selvatici, essendo in tutto più deboli di loro. La perizia pratica era di aiuto sufficiente per procurarsi il cibo, ma era inadeguata alla lotta contro le belve (infatti gli uomini non possedevano ancora l’arte politica, che comprende anche quella bellica). Cercarono allora di unirsi e di salvarsi costruendo città; ogni volta che stavano insieme, però, commettevano ingiustizie gli uni contro gli altri, non conoscendo ancora la politica; perciò, disperdendosi di nuovo, morivano.

Zeus dunque, temendo che la nostra specie si estinguesse del tutto, inviò Ermes per portare agli uomini rispetto e giustizia, affinché fossero fondamenti dell’ordine delle città e vincoli d’amicizia. Ermes chiese a Zeus in quale modo dovesse distribuire rispetto e giustizia agli uomini: «Devo distribuirli come sono state distribuite le arti? Per queste, infatti, ci si è regolati così: se uno solo conosce la medicina, basta per molti che non la conoscono, e questo vale anche per gli altri artigiani. Mi devo regolare allo stesso modo per rispetto e giustizia, o posso distribuirli a tutti gli uomini?« «A tutti - rispose Zeus - e tutti ne siano partecipi; infatti non esisterebbero città, se pochi fossero partecipi di rispetto e giustizia, come succede per le arti. Istituisci inoltre a nome mio una legge in base alla quale si uccida, come peste della città, chi non sia partecipe di rispetto e giustizia» [323]

Per questo motivo, Socrate, gli Ateniesi e tutti gli altri, quando si discute di architettura o di qualche altra attività artigianale, ritengono che spetti a pochi la facoltà di dare pareri e non tollerano, come tu dici - naturalmente, dico io - se qualche profano vuole intromettersi. Quando invece deliberano sulla virtù politica - che deve basarsi tutta su giustizia e saggezza - ascoltano il parere di chiunque, convinti che tutti siano partecipi di questa virtù, altrimenti non ci sarebbero città. Questa è la spiegazione, Socrate. Ti dimostro che non ti sto ingannando: eccoti un’ulteriore prova di come in realtà gli uomini ritengano che la giustizia e gli altri aspetti della virtù politica spettino a tutti. Si tratta di questo. Riguardo alle altre arti, come tu dici, se qualcuno afferma di essere un buon auleta o esperto in qualcos’altro e poi dimostri di non esserlo, viene deriso e disprezzato; i familiari, accostandosi a lui, lo rimproverano come se fosse pazzo. Riguardo alla giustizia, invece, e agli altri aspetti della virtù politica, quand’anche si sappia che qualcuno è ingiusto, se costui spontaneamente, a suo danno, lo ammette pubblicamente, ciò che nell’altra situazione ritenevano fosse saggezza - dire la verità - in questo caso la considerano una follia: dicono che è necessario che tutti diano l’impressione di essere giusti, che lo siano o no, e che è pazzo chi non finge di essere giusto. Secondo loro è inevitabile che ognuno in qualche modo sia partecipe della giustizia, oppure non appartiene al genere umano. Dunque gli uomini accettano che chiunque deliberi riguardo alla virtù politica, poiché ritengono che ognuno ne sia partecipe. Ora tenterò di dimostrarti che essi pensano che questa virtù non derivi né dalla natura né dal caso, ma che sia frutto di insegnamento e di impegno in colui nel quale sia presente. Nessuno disprezza né rimprovera né ammaestra né punisce, affinché cambino, coloro che hanno difetti che, secondo gli uomini, derivano dalla natura o dal caso. Tutti provano compassione verso queste persone: chi è così folle da voler punire persone brutte, piccole, deboli? Infatti, io credo, si sa che le caratteristiche degli uomini derivano dalla natura o dal caso, sia le buone qualità, sia i vizi contrari a queste. Se invece qualcuno non possiede quelle qualità che si sviluppano negli uomini con lo studio, l’esercizio, l’insegnamento, mentre ha i vizi opposti, viene biasimato, punito, rimproverato.

(Platone, Protagora, 320 C - 324 A)

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Commenti Articolo 824

Titolo articolo : Una catechesi per il Papa,di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: May/07/2012 - 15:51:16.

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Autore Città Giorno Ora
ROSA SPERANZA NAPOLI 07/5/2012 15.51
Titolo:A PROPOSITO DI CATECHESI
Caro Mario, condivido sempre pienamente i tuoi articoli anche se non sempre ho il tempo di commentarli. A proposito della catechesi al Papa, vorrei solo commentare che sì, il Papa più di tutti dovrebbe "convertirsi" ma non solo lui. Anche noi poveracci siamo talmente ingolfati in questo sistema economico che ci risulta molto difficile condividere il poco o il molto che abbiamo e c'è poi una forte burocrazia che ce lo impedirebbe forse anche se lo volessimo.
E' importante, penso, comunicare tra di noi e portare agli altri questa tensione verso la realizzazione della giustizia che è poi il cristianesimo vero e cominciare a muovere i primi passi.btFCVp

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Commenti Articolo 825

Titolo articolo : Manifesto del Giornalismo di Pace,di Gloria Capuano

Ultimo aggiornamento: May/07/2012 - 14:55:23.

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Autore Città Giorno Ora
Donato Magi Roma 25/3/2012 16.48
Titolo:concordo

Ho letto attentamente il tuo particolareggiato ~ sotto ogni profilo: storico, etnico, etico, filosofico, tecnico (e non solo) ~ Manifesto per un vero, costruttivo e professionalmente ineccepibile "Giornalismo di Pace". Ne ho molto apprezzato, oltre alla profondità e all'ampiezza del contenuto, lo stile e la chiarezza espositiva. Non aggiungo stimoli perché so bene che continuerai a coltivare con la stessa ferma determinazione la nobile utopia "giornalismo di pace" di cui con il Manifesto ne hai definito magistralmente i fondamenti. Fondamenti ai quali chiunque - e non solo giornalisticamente - per trattare adeguatamente il complesso e arduo Tema non potrà non attenersi.
Donato Magi

Autore Città Giorno Ora
Graziano Cosner Trento 31/3/2012 15.26
Titolo:questo manifesto va stampato

Gloria
Ho letto più e più volte il tuo Manifesto, e mi permetto di farti le osservazioni che seguono.
Il manifesto va pubblicato su carta, senz'altro, presso un editore. E'un documento importante, nella sua brevità (se ci aggiungiamo la "parte tecnica", può senz'altro diventare un manualetto indispensabile anche per i giornalisti normali, per così dire). Anzi, mi lancio oltre il dovuto, "preveggendo" che lo diventerà non subito, fra qualche anno.
Pur nell'estrema sintesi, gli elementi chiave sono presenti. Il piglio non è pedante, nè presuntuoso. Appare con forza, piuttosto, l'immagine di un lascito saggio che tu fai, dopo aver tanto pensato, scritto, ragionato e affinato, alle generazioni presenti. Mi piace veramente molto.
Dico anche che ho trovato alcune parti, per esempio il primo capitolo, affascinanti fino al misticismo laico, carico di una forza morale che si condensa in definizioni perfette.
Mi piace molto il fatto che la proposta di giornalismo di pace non sia mai considerata un manuale definitivo, ma come una base da sviluppare, che si affida alla sensibilità del lettore, che tu invogli a diventare, nella sua vita quotidiana, un pensatore di pace.
Dal punto di vista linguistico ci sono invece alcune difficoltà rilevanti. Innanzitutto la tua scrittura è compressa. Poichè un po' ti conosco, so per certo che dietro ogni parola ci sono anni di pensiero e una pluralità di livelli di approfondimento, ma questa è una cosa che, nella giusta distinzione fra scrittura e lettura, va tenuta nel cuore di chi scrive e non detta. Pertanto il consiglio è di rendere la narrazione più semplice, trasformando discorsi lunghi e complessi in frasi brevi e compiute. 
La suddivisione in capitoli o paragrafi è un'ottima idea, va solo raffinata con ulteriori semplificazioni (e quindi suddivisioni). Mi sono un po' ostici i titoli, non perchè non li capisca, ma perchè, così messi, sono quasi certo che procureranno al lettore semplice delle serie difficoltà di comprensione, o, ancora prima, il senso di inadeguatezza culturale.
infine trovo che alcuni argomenti siano poco ritmici nell'economia complessiva del testo. Per esempio, corri spigliata in alcune argomentazioni, mentre ti fermi per molte righe sul tema (pur esemplificativo), della schiavitù. E' certo vero che il tema non si riferisce solo al fenomeno storico che conosciamo e si estende invece alle varie forme di schiavitù mentali, psicologiche, linguistiche. Proprio per questo l'uso degli esempi, di cui il Vangelo cristiano rappresenta un ottimo e riuscito manuale, è straordinariamente efficace dal punto di vista comunicativo. Insomma, voglio dire, che se semplificassi il tuo linguaggio, l'efficacia, e di conseguenza il valore di questo manifesto, sarebbe immensamente più incisiva. Forse tu non sai quanti geniali pensatori giacciono negli scaffali per sempre non letti. In conclusione se scegli di scrivere per i più semplici (de rudibus erudiendis) il tuo Progetto può avere una diffusione molto interessante e, dal punto di vista della Pace, può essere un passo efficace.
Con la consueta grande stima
Graziano Cosner

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Commenti Articolo 826

Titolo articolo : SE IL CHICCO DI GRANO CADUTO IN TERRA MUORE, PRODUCE MOLTO FRUTTO,di p. Alberto Maggi OSM

Ultimo aggiornamento: May/07/2012 - 14:12:19.

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Autore Città Giorno Ora
ISA SABA GUSPINI 25/3/2012 19.49
Titolo:
Grazie! mi è servito molto.
Autore Città Giorno Ora
Maria Chiara Di Taranto Teramo 07/5/2012 14.12
Titolo:"se muore porta molto frutto..."
Caro Padre Maggi,

leggo spesso i suoi contributi, li trovo molto belli e la ringrazio per le occasioni di riflessione che mi offre.
Ma secondo Lei qui Gesú non si rivolegerebbe a quella che definirei una "morte del proprio io, del proprio ego ed egoismo". Perché solo se uno "cancella" i propri interessi per aprirsi ai piú grandi progetti di Dio puó manifestare la propria personalitá ed i propri talenti in tutta la loro pienezza?
Non so, mi lascia un po' perplessa pensare che Gesú parli della morte fisica, Lui che é il Dio dei "vivi e non dei morti". E le scrivo questo nonostante io stessa creda che attraverso la porta della morte fisica si entri in una vita molto piú ricca, eterna...

Un caro saluto

Chiara

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Commenti Articolo 829

Titolo articolo : Dio o Mammona,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: May/06/2012 - 10:48:48.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/5/2012 10.48
Titolo:OFFESA AL VATICANO II E ALLA COSTITUZIONE. Uno sfregio alla "nostra Aetate" ......
E nel Vaticano II torna la «razza» ebraica

di Alberto Melloni (Corriere della Sera, 06.05.2012)

Lavora o ha lavorato per il sito della Santa Sede. Ignoriamo il suo nome, i suoi studi, cosa abbia pensato mentre mutavano i rapporti fra la Chiesa ed Israele. Ma questo sconosciuto - impunito come chi commercia carte e gossip d’oltre Tevere - è riuscito a depositare nel sito web vatican.va, per sfregio, una riga sulla «razza» ebraica. L’ha infilata nella traduzione italiana del Vaticano II: Nostra ætate affermò che la Chiesa ha sempre innanzi agli occhi le parole di Paolo «de cognatis eius» (cioè «sui suoi congiunti») che dicono che l’adozione, la gloria, il patto, la legge, il culto e le promesse appartengono a Israele e ai padri «dai quali è nato Cristo secondo la carne». Nel sito vatican.va quel «de cognatis» viene oggi tradotto «della sua razza»: ebraica, naturalmente.

Non è un errore antico: è un atto recente, volontario. Il testo latino (lo mostra la mia critica del Vaticano II nei Conciliorum œcumenicorum generaliumque decreta) non dava appigli. L’Osservatore Romano del 17 novembre 1965 traduceva «della sua stirpe». Le altre traduzioni d’allora, raccolte senza ritocchi dal sito, non hanno esitazioni. Il tedesco recita «Stammverwandten», cioè parenti. La versione portoghese parla di «compatriotas». L’inglese «kinsmen», come «soukmenovcích» in ceco. In swahili «juu ya watu wa ukoo wake» indica le persone «del suo clan». Più inquietante l’«hermanos de sangre» dello spagnolo, identica al bielorusso. Solo in francese si era già osato tradurre «race» nel 1965 (idiozia rimasta intonsa anche nel sito odierno).

La traduzione italiana usuale, dunque, è stata volontariamente manipolata per sfregiare il Vaticano II con un termine dalla storia inquietante: la razza. Entrato nella Spagna del secolo XV, passato al linguaggio giuridico e politico, venne consegnato dal trattato Sur l’inégalité des races humaines, opera del 1853 d’un cattolico come de Gobineau, a uno sviluppo «scientifico», di cui s’appropriano i perpetratori della Shoah. In quel lungo lasso di tempo anche il magistero cattolico ha parlato di razze: dalle discussioni sull’ammissione ai sacramenti degli indios fino al formarsi di un magistero sull’unità della famiglia umana, che negli anni Trenta afferma l’«uguaglianza delle razze».

Con la dichiarazione dell’Unesco del 1950 - la Santa Sede era rappresentata dal nunzio Roncalli - il mondo ripudia l’idea di razza: e al Vaticano II, proprio nella dichiarazione Nostra ætate, la Chiesa rompe con l’antisemitismo «di qualunque tempo e di chiunque».

Chissà se l’inventore di un inesistente Vaticano II «razzista» è un cretino inoffensivo o la voce in talare di xenofobi, antisemiti, suprematisti che innocui non sono. Ma che un nemico del Papa e della Chiesa faccia rientrare dalla finestra del web l’ombra d’un pensiero cacciato conciliariter dalla porta, dice che il Vaticano II ha ancora la forza di smascherare cosa c’è davvero dietro il sogno, di liberarsene o di spuntarne con un preambolo tradizionalista lo sperone riformatore che pungola la carne della Chiesa.

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Commenti Articolo 830

Titolo articolo : IL "TESORO" DI SAN PIETRO E LA CARESTIA! Benedetto XVI "cambia la formula dell’Eu-carestia"! «Il calice fu versato per molti», non «per tutti»! Note di Gian Guido Vecchi e di Armando Torno,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: May/04/2012 - 19:56:42.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/4/2012 19.11
Titolo:PER TUTTI, NON PER MOLTI: 25 APRILE, FESTA DELLA LIBERAZIONE ...
25 aprile 2012 Festa della Liberazione

Privilegio di tutti

di Umberto Folena (Avvenire, 25.04.2012)

Quanto vale per noi la li­bertà? La nostra, e quella altrui? A volte sorge il dub­bio che soltanto chi è vis­suto in schiavitù sappia, e possa, desiderare e apprezzare e gustare pienamente il sapore della libertà, fino a inebriarsene. E non è il caso degli italiani che abbiano meno di 70 anni. Può dunque accadere che quanto hai sempre avuto a porta­ta di mano, facile, senza sforzo, ap­paia privo di valore. Quanto vale per noi la libertà?

Oggi, 25 aprile, Festa della Libera­zione, vale la pena ricorrere alla sa­na cultura popolare e alla sua sag­gezza. Giorgio Gaber, "popolare" nel senso nobile – non accademi­co né erudito, capace di far sorri­dere e pensare, un alchimista del­l’intrattenimento alto, che mai fi­niremo di ringraziare e rimpiange­re – ci aiuta con una sua canzone di cui tutti ricordano il titolo e il re­frain,

La libertà , ma forse non gli sviluppi interni, i segreti nascosti e svelati nelle strofe, parole sempli­ci che sembrano scritte con 40 an­ni di anticipo. «Libertà è parteci­pazione »: e tutti pensavano, nel re­moto 1972, allo Statuto dei lavora­tori e ai Decreti delegati, alle fab­briche e alle scuole. Forse. Anche. Ma Gaber viaggiava in anticipo, le sue canzoni erano (e sono) mac­chine del tempo.

Partecipare, prendere parte, avere parte, essere parte. La libertà in u­na relazione di coppia, una fami­glia, una comunità, una nazione, l’Europa, il globo… Siamo una par­te non passiva ma attiva, e quella coppia, quella famiglia, quella co­munità, quella nazione siamo noi, e noi apparteniamo a loro ed esse appartengono a noi. La libertà è questo legame, emotivo prima che razionale. Se questo legame si sfi­laccia, o cessa, addio libertà. Se al­­l’I care («mi sta a cuore», don Mila­ni…) si sostituisce il «me ne frego», cessa la libertà.

La libertà, canta Gaber, non è «il volo di un moscone». Non consiste nel seguire l’impulso del desiderio anarchico, del capriccio egoista. Il volo del moscone appare casuale, senza progetto alcuno. Non c’è par­tecipazione. La libertà non è nep­pure «uno spazio libero». Che co­sa possiamo farcene – ad esempio – della libertà d’espressione, se si riduce a una sequenza di soliloqui? La libertà è espressione partecipa­ta, ossia dialogo: gli altri dicono la loro, ma io sono curioso, interes­sato, convinto di poter apprende­re, ansioso di mettere le mie idee a confronto con quelle altrui per mi­surarne la forza, la consistenza, l’ef­ficacia, la bontà, la verità.

Questa libertà c’è oggi in Italia, e quanto è diffusa? Abbiamo scam­biato per partecipazione la sem­plice esibizione. Mi mostro, mi e­sprimo, mi esibisco e credo di aver partecipato, e quindi di aver com­piuto «un gesto libero», di essere u­na persona libera… «che passa la sua vita a delegare», ironizza Gior­gio Gaber. No, non è così.

La festa della Liberazione è bella e importante e preziosa perché ci ri­corda che la libertà non è mai da­ta per sempre, acquisita, come un bene che si possiede. Ma è libera­zione, un work in progress che non ha mai fine, una conquista conti­nua, una costruzione senza sosta, un amore che desidera essere se­dotto e cantato e accarezzato sen­za che mai possiamo assopirci. La libertà è partecipazione, eccome. È un privilegio per chi ama condi­videre la propria 'conquista'. Per chi sa che mai sarà libero, lui, fin­ché non saranno liberi tutti, ma proprio tutti. Liberazione globale.

Umberto Folena
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/4/2012 17.52
Titolo:CHARITAS O CARITAS?! TUTTO FA BRODO .....
Il primato del lavoro e la centralità dell’uomo

di Angelo Scola, cardinale arcivescovo di Milano (Corriere della Sera, 26 aprile 2012)

Oggi, alle 21, presso la Basilica di Sant’Ambrogio, l’Arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, presiederà la Veglia di preghiera per il mondo del lavoro in occasione della Festa del Lavoro del 1° maggio prossimo. Nel corso della veglia verrà annunciata la partenza della fase due del Fondo Famiglia Lavoro della Diocesi di Milano, che metterà a disposizione un milione di euro per borse lavoro, formazione, microcredito e aiuto a chi ha perso l’occupazione. Lanciato nel Natale 2008 il Fondo ha raccolto finora 14 milioni di euro e ha aiutato economicamente oltre 7 mila famiglie nel territorio della Diocesi di Milano.

Alla fine del secolo scorso molti economisti si posero la domanda: «Nell’attuale mutato quadro di riferimento ha ancora senso parlare di priorità del lavoro sul capitale?". La sostenne con forza nel 1981 la Laborem exercens (LE nn. 13-14) e la ribadì, dieci anni dopo, all’interno di una più articolata visione del sistema economico, la Centesimus annus.

Oggi, nel pieno della crisi economico-finanziaria, e ben consapevoli delle conseguenze sociali che tale tesi comporta, possiamo ancora proporla? Non è mio compito, né ho la competenza per esprimere giudizi sugli odierni cambiamenti strutturali e sui gravi contraccolpi negativi per l’occupazione. Men che meno sono in grado di entrare nel merito della riforma del lavoro in atto e delle varie misure proposte e contestate da diverse parti sociali e politiche.

Resto tuttavia convinto che ci sono buone ragioni per sostenere, anche oggi, il principio del primato del lavoro.

Credo di poter dire che è l’economia stessa, nei suoi elementi costitutivi e nelle sue complesse articolazioni, ad esigere, dal suo interno, un solido nesso con l’aspetto antropologico ed etico del lavoro umano. Con felice intuizione Benedetto XVI nella Caritas in veritate ha parlato della necessità di allargare la "ragione economica" (CV nn. 32 e 36), evidenziando il carattere eminentemente umano di ogni attività economica. Solo su queste basi essa coopera alla vita buona. Altrimenti non riesce ad evitare pesanti contraddizioni e malesseri. Lo abbiamo visto con la grave crisi della finanza cui per altro, a giudizio di molti esperti, non si stanno apportando i necessari correttivi. Ha scelto la strada dell’«anonimato» invece del «personalizzato», dell’effimero invece del durevole, dell’«individualistico» invece del «comunitario», dell’immediato presente a scapito del futuro.

Non si esce da questa Scilla - Cariddi se non si riafferma con forza che il lavoro, in quanto attività propria dell’uomo - e, quindi, a prescindere da ogni sua ulteriore qualificazione (manuale, intellettuale...) - non è solo il motore di ogni attività economica, ma ne è il movente. Il lavoro apre ad essenziali relazioni interpersonali e ai rapporti di scambio che costituiscono la trama dell’economia. Questa implica sempre un insieme di scelte e di decisioni, ultimamente basate sulla fiducia, che si ripercuotono sugli altri.

Che cosa comportano queste considerazioni, solo apparentemente di carattere generale, per l’attuale congiuntura economica? E che cosa hanno da dire in merito alla riforma del lavoro?

Coraggiosamente Caritas in veritate parla di «gratuità», senza la quale «il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica» (CV, 35). La parola gratuità però va capita bene: non significa "gratis", ma indica un’altra unità di misura del valore del lavoro e della dignità di chi lavora, come acutamente afferma Péguy nell’opera «Il Denaro»: «Un tempo gli operai non erano servi... La gamba di una sedia doveva essere ben fatta, non per il salario... per il padrone, né per i clienti. ... Era il lavoro in sé che doveva essere ben fatto».

In che modo dare spazio al fattore gratuità nel complesso mondo del lavoro di oggi? Perché espressioni come «qualità del lavoro», «lavoro dignitoso» non restino parole vuote, occorre il coraggio di ripartire dalla persona, dalla priorità data allo sviluppo del "capitale umano e sociale". Le misure e i modelli di adeguate politiche per il lavoro dovrebbero, pertanto, essere incentrati principalmente sulla ricerca di nuove forme di responsabilità personale e comunitaria, sia dei lavoratori sia degli imprenditori. Su questa base saranno poi necessari nuovi servizi che favoriscano, soprattutto per i giovani, la crescita professionale abbinando a percorsi di formazione e riqualificazione un sostegno economico. Inoltre, perché escludere una partecipazione diretta del lavoratore, come già scrisse Maritain, alla gestione economica di ogni intrapresa lavorativa? Riaffermare, con nuove modalità, il primato del lavoro e, soprattutto, del soggetto che lavora, è sicura garanzia di crescita, oltre che importante giustificazione dei massicci sacrifici oggi richiesti.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/4/2012 17.44
Titolo:"PER GIOVE"! ZEUS PIU’ SAGGIO DEL DIO DI RATZINGER ....
"PER MOLTI" O "PER TUTTI"? ZEUS PIU’ SAGGIO DEL DIO DI RATZINGER


UNA "LEZIONE" DAL MITO DI PROMETEO, NARRATO DA PROTAGORA*

"Allorché l’uomo divenne partecipe della sorte divina, in primo luogo, per la parentela con gli dei, unico fra gli esseri viventi, cominciò a credere in loro, e innalzò altari e statue di dei. Poi subito, attraverso la tecnica, articolò la voce con parole, e inventò case, vestiti, calzari, giacigli e l’agricoltura. Con questi mezzi in origine gli uomini vivevano sparsi qua e là, non c’erano città; perciò erano preda di animali selvatici, essendo in tutto più deboli di loro. La perizia pratica era di aiuto sufficiente per procurarsi il cibo, ma era inadeguata alla lotta contro le belve (infatti gli uomini non possedevano ancora l’arte politica, che comprende anche quella bellica). Cercarono allora di unirsi e di salvarsi costruendo città; ogni volta che stavano insieme, però, commettevano ingiustizie gli uni contro gli altri, non conoscendo ancora la politica; perciò, disperdendosi di nuovo, morivano.

Zeus dunque, temendo che la nostra specie si estinguesse del tutto, inviò Ermes per portare agli uomini rispetto e giustizia, affinché fossero fondamenti dell’ordine delle città e vincoli d’amicizia.

Ermes chiese a Zeus in quale modo dovesse distribuire rispetto e giustizia agli uomini: «Devo distribuirli come sono state distribuite le arti? Per queste, infatti, ci si è regolati così: se uno solo conosce la medicina, basta per molti che non la conoscono, e questo vale anche per gli altri artigiani. Mi devo regolare allo stesso modo per rispetto e giustizia, o posso distribuirli a tutti gli uomini?«

«A tutti - rispose Zeus - e tutti ne siano partecipi; infatti non esisterebbero città, se pochi fossero partecipi di rispetto e giustizia, come succede per le arti. Istituisci inoltre a nome mio una legge in base alla quale si uccida, come peste della città, chi non sia partecipe di rispetto e giustizia»"

* Platone, Protagora, 323.


27 aprile 2012,


Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/4/2012 11.58
Titolo:L’ultima decisione papale .... di Klaus Nientiedt
L’ultima decisione papale non faciliterà i rapporti tra Roma e le chiese locali

di Klaus Nientiedt

- “www.konradsblatt-online.de” del 25 aprile 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

“Andremo tutti tutti tutti in paradiso, perché siamo tanto tanto bravi...” Questa ritornello carnevalesco lo si poteva sentir cantare già negli anni ’70 dai critici del Concilio Vaticano II e della riforma liturgica postconciliare. L’annuncio di salvezza del racconto dell’ultima cena “Questo è il mio sangue, il sangue dell’Alleanza, sparso per tutti”, lo vedevano sprecato in una redenzione generale, di tutti senza eccezione. Già allora volevano ritornare all’espressione “per molti”: “sparso per molti”, tutto il resto è, secondo loro, “grazia a buon mercato”, incompatibile con il testo biblico originale.

Papa Benedetto ha ora accondisceso anche a questo desiderio e ha dichiarato che l’unica traduzione esatta è “per molti”. Precedentemente aveva già tolto la scomunica ai quattro vescovi tradizionalisti rimasti e aveva ridato normalità al rito tridentino preconciliare nella forma straordinaria del rito romano. Ma c’è una differenza: questa volta la decisione papale non riguarda solo i tradizionalisti, ma tutti i fedeli.

Al posto dell’espressione interpretativa - come la chiama il papa - “per tutti”, secondo il desiderio del papa ora può essere usata la “semplice trascrizione” “per molti”. . Il papa stesso si muove nella sua argomentazione con una certa tensione: la “restituzione” di “pro multis” con “per tutti”, la definisce un’interpretazione che “era e rimane ben fondata”. Gli interessa però anche, innanzitutto, una traduzione “contenutisticamente” fondata e non necessariamente una “traduzione letterale”. E tuttavia: secondo un decreto del Vaticano del 2001 deve essere non tanto interpretazione quanto piuttosto traduzione: solo traduzione. E quindi “per molti”, e non “per tutti”.

Che il papa annunzi proprio adesso questo cambiamento, è in relazione ad una certa fretta. I vescovi stanno preparando un nuovo innario ed un nuovo messale. L’alternativa sarebbe stata mantenere la traduzione che c’era finora. Molti vescovi tedeschi avrebbero volentieri evitato il cambiamento. Uno dei motivi: indipendentemente dalla problematica della traduzione, che ai loro occhi non appare teologicamente cogente, questo modo di procedere provoca agitazione tra il clero. I vescovi vorrebbero evitare di far sorgere l’impressione che l’universalità della salvezza iniziata in Cristo debba essere relativizzata secondo un’interpretazione ecclesiale.

Il presidente della conferenza episcopale tedesca, arcivescovo di Friburgo Robert Zollitsch, considererà il fatto di non aver potuto impedire questo come una personale sconfitta. Eppure nella sua penultima visita a Roma aveva anche un mandato in questo senso da parte delle conferenze episcopali svizzera ed austriaca.

Quest’ultimo passo della politica liturgica vaticana si inserisce nel modo di procedere “da chiesa universale” della Santa Sede. Solo pochi mesi fa è entrato in uso nei paesi di lingua inglese un nuovo rito della messa, che prescrive rispetto ad alcuni cambiamenti postconciliari il ritorno alle traduzioni precedenti - cosa che ha suscitato notevoli proteste tra il clero, il popolo dei fedeli e i teologi.

Non illudiamoci: questa decisione non renderà più facili i rapporti tra il papa e la curia da una parte, e le chiese locali dall’altra. In questo modo, né i ricordi di una solare visita papale in Germania, né quelli degli scampanii bavaresi al compleanno del papa o all’anniversario della sua elezione incideranno favorevolmente. In questo contesto, molti sono molto preoccupati di come potranno evolvere i rapporti tra la Fraternità Sacerdotale San Pio X di Lefebvre e la Congregazione per la Dottrina della Fede. Alcuni già temono il canto trionfante di coloro che già da tempo si permettevano toni di scherno, cantando “Andremo tutti tutti tutti in paradiso, perché siamo tanto bravi...”
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/4/2012 17.35
Titolo:COME DA MESSALE di SAN PIO V (non di Paolo VI e non Ambrosiano)!
Messale di San Pio V:

(...) Hic est enim calix sanguinis mei, novi et aeterni testamenti: mysterium fidei: qui pro vobis et pro multis effundetur in remissionem peccatorum. Haec quotiescúmque fecéritis, in mei memóriam faciétis.
- (Questo infatti è il calice del mio sangue, del nuovo ed eterno testamento: Mistero della fede: che per voi e per molti sarà sparso in remissione dei peccati. Tutte le volte che farete questo, lo farete in memoria di me)


Messale di Paolo VI

(...) Prendete e bevetene tutti: questo è il calice del mio sangue, per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me.


Messale ambrosiano

(....) Prendete e bevetene tutti: questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Diede loro anche questo comando: ogni volta che farete questo lo farete in memoria di me: predicherete la mia morte, annunzierete la mia risurrezione, attenderete con fiducia il mio ritorno finché di nuovo verrò a voi dal cielo.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/5/2012 09.48
Titolo:"IN PERSONA CHRISTI": MA QUALE CRISTO?! Una analisi della teologa Lilia Sebast...
Donne e ministeri da segno dei tempi a indice di autenticità

di Lilia Sebastiani

in “Viandanti” (www.viandanti.org) del 10 marzo 2012

Nell’enciclica ‘conciliare’ Pacem in terris di Giovanni XXIII (1963) al n.22 l’ingresso crescente delle donne nella vita pubblica veniva annoverato tra i segni dei tempi, insieme alla crescita delle classi lavoratrici (n.21) e alla fine del colonialismo (n.23).

Ricordare l’enciclica è doveroso, per il valore storico di questo semplice e cauto riconoscimento: infatti è la prima volta che un documento magisteriale rileva la cosiddetta promozione della donna senza deplorarla - anzi come un fatto positivo. I segni dei tempi sono ancora al centro della nostra attenzione, ma per quanto riguarda le donne la questione cruciale e non ignorabile è ormai quella del loro accesso al ministero nella Chiesa, a tutti i ministeri.

Venerande esclusioni

Certo il problema dei ministeri non è l’unico connesso con lo status della donna nella Chiesa, ma senza dubbio è fondamentale; guardando al futuro, è decisivo. Non solo e non tanto in se stesso, ma per la sua natura di segno.

In questo momento nella Chiesa la donna è ancora esclusa dai ministeri ecclesialmente riconosciuti: non solo da quelli ordinati (l’Ordine sacro, cioè, nei suoi tre gradi: episcopato, presbiterato, diaconato) ma anche da quelli istituiti, il lettorato e l’accolitato. Questi ultimi, chiamati un tempo “ordini minori” e considerati solo tappe di passaggio obbligatorie per accedere all’ordinazione, furono reintrodotti nel 1972 da Paolo VI (Ministeria quaedam) come “ministeri istituiti” - per distinguerli da quelli ordinati, mantenendo però l’elemento della stabilità e del riconoscimento ecclesiale - e furono aperti anche a laici non incamminati verso l’Ordine; tuttavia si specificava chiaramente che tali ministeri erano riservati agli uomini, “secondo la veneranda tradizione della chiesa latina”.

Un po’ più recente l’istituzione dei “ministri straordinari dell’Eucaristia”: con prerogative non molto diverse da quelle degli accoliti, questi possono essere anche donne. E di fatto sono più spesso donne che uomini. Un passo avanti, forse? Certo però la dichiarata ‘straordinarietà’ sembra messa lì a ricordare che si tratta di un’eccezione, di una supplenza..., di qualcosa che normalmente non dovrebbe esserci.

A parte i servizi non liturgici ma fondamentali, come la catechesi dei fanciulli, quasi interamente femminile, e le varie attività organizzative e caritative della parrocchia, le letture nella Messa vengono proclamate più spesso da donne che da uomini; ma si tratta sempre e comunque di un ministero di fatto, che in teoria sarebbe da autorizzare caso per caso, anche se poi, di solito, l’autorizzazione viene presunta.

Il Concilio e l’incompiuta apertura

Il problema dell’accesso femminile ai ministeri è diventato di attualità nella Chiesa nell’immediato post-concilio, nel fervore di dibattito che caratterizzò quell’epoca feconda e rimpianta della storia della Chiesa. Il Vaticano II aveva mostrato una notevole apertura sulle questioni che maggiormente sembravano concernere il problema della donna in generale e della donna nella Chiesa in particolare. Sulle questioni più specifiche e sul problema dei ministeri i documenti conciliari erano generici fino alla reticenza, ma senza chiusure di principio. Ciò autorizzava a sperare nel superamento, non proprio immediato ma neppure troppo lontano, di certe innegabili contraddizioni che persistevano sul piano disciplinare. Inoltre altre chiese cristiane avevano cominciato da qualche anno, certo non senza resistenze anche aspre, a riconsiderare e a superare gradualmente il problema dell’esclusione (a nostra conoscenza, la chiesa luterana svedese fu la prima ad ammettere donne al pastorato, nel 1958).

Una chiusura fragile

Nel decennio che seguì il Concilio, il dibattito in proposito fu intenso. La Chiesa ufficiale mantenne però una posizione di cautela e di sostanziale chiusura sempre più netta, che culminò - volendo chiudere la questione una volta per sempre - nella dichiarazione vaticana Inter insigniores, che è della fine del 1976, ma resa pubblica nel 1977.

In questo documento l’esclusione delle donne dal ministero ordinato veniva ribadita con caratteri di definitività vagamente ‘infallibilista’, ma anche con un significativo mutamento di argomentazione, che ci sembra importante poiché dimostra che l’esclusione è un fatto storico-sociologico in divenire e non un fatto teologico-sacramentale.

Non si dice più, come affermava Tommaso d’Aquino, che la donna è per natura inferiore all’uomo e quindi esclusa per volere divino da ogni funzione implicante autorità; si richiama invece l’ininterrotta tradizione della Chiesa (che è evidente, ma è anche evidentissimo portato della storia e delle culture) e soprattutto la maschilità dell’uomo Gesù di Nazaret, da cui deriverebbe la congruenza simbolica della maschilità del prete che, presiedendo l’assemblea, agisce in persona Christi. Quest’ultimo argomento fragile e sconveniente è stato lasciato cadere, infatti, nei pronunciamenti successivi: questi si rifanno solo alla tradizione della Chiesa e a quella che viene indicata come l’esplicita volontà di Gesù manifestata dalla sua prassi.

Anche questo argomento non funziona. Gesù, che non mostra alcun interesse di tipo ‘istituzionale’, alle donne accorda, con naturalezza, una piena parità nel gruppo dei suoi seguaci. Sembra insieme scorretto e pleonastico dire che “non ha ordinato nessuna donna”, dal momento che, semplicemente, non ha ordinato nessuno. Non vi è sacerdozio nella sua comunità, ma servizio e testimonianza, diakonìa non formalizzata - eppure rispondente a una chiamata precisa - che, prima di essere attività, è opzione fondamentale, stile di vita, sull’esempio di Gesù stesso “venuto per servire”.

Nel Nuovo Testamento di sacerdozio si può parlare solo in riferimento al sacerdozio universale dei fedeli (cfr 1 Pt 2,9; Ap 1,6), negli ultimi decenni tanto rispettato a parole quanto sfuggente e ininfluente nel concreto del vissuto ecclesiale; oppure in riferimento all’unico sacerdote della Nuova Alleanza - sacerdote nel senso di mediatore fra Dio e gli esseri umani -, Gesù di Nazaret (cfr Ebr 9), il quale nella società religiosa era un laico, oltretutto in rapporti abbastanza conflittuali con il sacerdozio del suo tempo.

Un’esclusione che interpella tutti

Vi sono due fatti, molto modesti ma significativi, che aiutano a tenere viva la speranza. Il primo, che i pronunciamenti dell’autorità ecclesiastica volti a chiudere ‘definitivamente’ la questione sono diventati abbastanza ricorrenti, il che dimostra che non è poi tanto facile chiuderla. Il dibattito è aperto e procede. Il secondo, che l’argomentazione teologica sembra cambiata ancora: felicemente sepolto l’infelicissimo argomento della coerenza simbolica, già pilastro dell’Inter insigniores, si richiama solo la prassi ininterrotta della chiesa romana e sempre più spesso si sente riconoscere, anche dalle voci più autorevoli, che contro l’ordinazione delle donne non ci si può appellare a ragioni biblico-teologiche.

No, non si tratta di banali rivendicazioni. L’esclusione interpella tutti: nessuna/nessun credente adulto può disinteressarsi di questo problema chiave finché le donne nella chiesa non avranno di fatto le stesse possibilità degli uomini, la stessa dignità di rappresentanza.

E’ necessario ricordare che vi sono donne cattoliche di alto valore e seriamente impegnate - tra loro anche alcune teologhe - che a una domanda precisa sul problema dei ministeri istituiti rispondono o risponderebbero più o meno così: no grazie, il sacerdozio così com’è proprio non ci interessa. E’ un atteggiamento che merita rispetto: almeno in quanto manifesta il timore che insistere troppo sul tema dell’ordinazione induca ad accentuare l’importanza dei ministri ordinati nella Chiesa (mentre sarebbe urgente semmai ridurre quell’importanza, insomma ‘declericalizzare’).

Ma dobbiamo ricordare che il “sacerdozio così com’è”, nella storia e nella mentalità corrente, si fonda proprio sulla ‘separazione’, sullo spirito di casta, sul sospetto previo e sul rifiuto nei confronti della donna, che nella chiesa di Roma si esprime in una doppia modalità: l’esclusione delle donne dalle funzioni di culto, di governo e di magistero, è parallela all’obbligo istituzionale di essere “senza donna” per coloro che le esercitano. Il divieto per le donne di essere ministri ordinati el’obbligo per i ministri ordinati di restare celibi sembrano due problemi ben distinti, mentre sono congiunti alla radice. E ormai sappiamo che potranno giungere a soluzione solo insieme.

Segno dei tempi, certo. Segno di trasformazione, segno contraddittorio, segno incompleto, proprio come il tempo in cui viviamo. Per quanto riguarda la chiesa cattolica, però, non solo segno, ma indice di autenticità. Non temiamo di dire che sulla questione dei ministeri, che solo a uno sguardo superficiale o ideologico può apparire circoscritta, si gioca il futuro della chiesa.

Lilia Sebastiani

Teologa
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/5/2012 19.56
Titolo:AD AREZZO, CONTESTAZIONI CONTRO IL CAROPAPA E IL CAROMONTI ....
Monti e Papa ad Arezzo : contestazioni in arrivo.

Il Pontefice Ratzinger e il Premier Monti si troveranno ad Arezzo per una visita formale.

di Franca Corradini *

Ad Arezzo il 13 Maggio 2012 ci sarà un SIT IN dalle 9 alle 21 in Piazza Zucchi. CONTRO..... il Caropapa e il Caromonti.

Per questa visita si stima (a parere di chi scrive in difetto.. ) un costo totale di :500.000 Euro dei cittadini italiani,di cui 120.000 dei cittadini della Regione Toscana e 90.000 dei cittadini di Arezzo. Un gruppo di cittadini si sta organizzando raccogliendo adesioni attraverso un appello di cui riportiamo una parte : "...siamo cittadini delle città di Arezzo e Firenze, studenti e lavoratori. Apprendiamo da poco tempo che il Pontefice Ratzinger e il Premier Monti si troveranno ad Arezzo per visite formali il 13 maggio p.v. Chiediamo la vostra partecipazione all’organizzazione di un presidio unitario di protesta contro le loro politiche e per una società più laica, giusta, civile e vivibile e per dimostrare che esiste un’Arezzo, una Toscana molto diversa da quanto vogliono farci credere che sia....".

In tempo di crisi economica questo spreco di denaro pubblico pare un’insulto ai giovani e non disoccupati, ai precari, ai tanti cassaintegrati che popolano la cittadina toscana.

* A SCUOLA DI BUGIE. Viaggio tra gli errori e gli orrori della scuola italiana, 3 maggio 2012

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Commenti Articolo 831

Titolo articolo : Le donne dei preti,di Roberto Roveda

Ultimo aggiornamento: May/02/2012 - 16:59:57.

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Autore Città Giorno Ora
Demetra Malacarni Lucca 01/4/2012 19.48
Titolo:Dissento
Dissento
Mi permetta di dissentire, questo articolo disegna le compagne dei preti come donne insicure e incapaci di scelte, da anni sono la compagna di un prete e mai mi sono sentita insicura o succube di chi che sia .
Ho avuto modo però di constatare come molti sacerdoti rimangono nella loro condizione solo per non perdere, la possibilità di vivere una vita dignitosa.
La laurea in telogia non è riconosciuta dallo stato, non è paragonata a nessuna laurea, se non ha un triennio universitario generico, a livello lavorativo i compiti che normalmente un sacerdote svolge come quello dell'amministratore, dell'educatore della comunità non sono riconosciuti perciò il prete non ha nessuna possibilità di inserimento rispetto alle proprie qualità ed esperienze, deve snaturare se stesso,per questo in molti casi è costretto a rimanere nel proprio status solo per poter vivere, perfino l'insegnamento gli è precluso segno evidente di un servilismo dello stato verso le gerarchie ecclesiali.
Certamente ci saranno anche situazione di donne da lei descritte ma in molte altre le compagne dei preti sono le uniche a dare conforto e sostegno a persone che non si sentono cittadini di nessuno stato che si sentono calpestate nei loro diritti in quanto persone e non solo ministri del culto.Ci si ricorda di loro solo nei casi in cui fanno notizia non c'è scoup gionalistico più ambito di un prete che dice alla propria cominità di aver deciso di lasciare la propria veste, tutti compresi gli alti dirigenti ecclesiali si prendono il diritto di giudicarlo ma nessuno cerca di capirlo e sono gli stessi che parlano di misericordia, comprensione, dialogo. Rimangono solo le compagne che insieme a loro cercano di costruire una vita dignitosa, è vergognoso parlare di doveri ma ci si dimentica dei diritti.
Il dissenso se mi permette è dovuto anche per amore di verità nei confronti di quelle donne che vivono in clandestinità un sentimento così bello.
Autore Città Giorno Ora
Stefania Salomone Roma 02/4/2012 17.08
Titolo:Rispondo
Gentile Demetra,
grazie innanzitutto per averci inviato il suo commento.
Mi fa davvero piacere che lei sia felice della sua scelta, infatti probabilmente lei non avrebbe mai contattato il blog né la sottoscritta perché ha ben chiari meccanismi, dinamiche, possibilità, dottrine e quant'altro. O magari perché ha incontrato un prete affettivamente maturo.
Ma si da il caso che tutte quelle che lo fanno è perché non sono affatto felici della situazione che vivono e sentono il bisogno di capire perché il prete si comporta così, perché dice questo o quello, perché il confratello ha fatto la tal cosa, perché il superiore fa finta di niente, ecc. Le mie affermazioni quindi non possono che basarsi su ciò che ho vissuto o ciò che mi viene riferito e che conosco.
Tra l'altro nell'articolo specifico chiaramente che si tratta della mia esperienza di ascolto e sostegno attraverso il blog ed è in qualità di coordinatrice del blog che sono stata contattata dal giornalista.

Ciò premesso aggiungo un paio di personalissime osservazioni su quanto afferma nel suo scritto.
il prete consegue un titolo di studio che non gli servirà all'esterno e questo è architettato proprio perché sia scoraggiato al massimo nel costruirsi una vita al di fuori dell'istituzione. E' precisamente questo il ricatto al quale il suo compagno ha accettato di sottostare. E lei con lui. Ritengo che un prete debba trovarsi un lavoro e non essere mai ricattabile. Per quella che è la mia conoscenza so però anche che un prete non accetterebbe mai un lavoro qualsiasi (infatti cerca di solito l'insegnamento, il coaching, la direzione di una comunità o scuola, ecc)
i superiori non hanno alcun interesse a considerare una revisione di questa norma. Quindi non intendono dialogare. La regola dice che il prete non può avere una donna perché ha fatto promessa di celibato. Punto e basta. E se è religioso ha fatto pure voto di castità. Questo è quanto. Rivedere questa norma non è una questione "morale", cioè stabilire che da oggi in poi il matrimonio sarà consentito perché non è più "peccato"; si tratta piuttosto di conservare intatto il patrimonio ecclesiastico e mantenere un potere assoluto su questioni fondamentali della persona umana come la nascita, la morte e la sessualità. In questo modo si possono schiacciare le coscienze. Mai nessun potere sarà più diabolico di questo.

Non mi resta che augurarle tutto il meglio e che la sua storia rappresenti sempre per entrambi una libera scelta d'amore.
Saluti

Stefania Salomone
Autore Città Giorno Ora
Andreas Morelli Caserta 29/4/2012 17.55
Titolo:E' una partita persa
Amare un prete è una partita persa in partenza. Anch 'io amo profondamente un ministro, un prescelto di Dio e ho capito che lui è il mio grande amore, ma ultimamente, seppur lo amo dal più profondo di me stessa e lo amerò anche oltre la morte, sto pensando di allontanarmi da lui. È una storia che non ha futuro, la sua vita va avanti con i suoi incontri settimanali, i suoi impegni come sacerdote, mentre la mia vita è ferma, aggrappata alla speranza che un giorno lascerà per stare con me. È solo un illusione! Il mio cuore è simile ad un sepolcro vuoto c 'è tanto amore ma nel contempo è vuoto. I nostri incontri si limitano a qualche volta al mese e solo quando vuole lui perché prima di me vengono gli altri, prima di me viene il suo amore divino, celestiale. A cosa serve un amore vissuto dietro le quinte? un amore che non può essere libero, un amore con il quale non puoi giocarci nelle limpide acque del mare, un amore che non può respirare l 'aria della montagna vivendo un pic nic, un amore che con il quale non puoi gustare, assaporare le stelle, l 'immensità del cielo e soprattutto l 'immensità dell 'amore. E non sto parlando di farci l 'amore, di avere dei figli, di costruire un futuro insieme per poi invecchiare l 'uno accanto l 'altro, parlo di vivere semplicemente le ore della giornata ma questo non è possibile. Mi sono chiesta un giorno che avrò bisogno di lui ci sarà? Potrà lasciare tutto e venire a soccorrermi? Potrà sostenermi nei momenti delle difficoltà, della malattia? No che non può perché il mio ruolo è dietro le quinte, il sipario viene chiuso quando gli attori principali sono ormai sul palco e i riflettori sono solo per loro e io rimarrò sempre indietro. Quali saranno i vantaggi di questi amori? Quali saranno i frutti? E soprattutto che ne sarà di noi donne dei preti? Anche se entrambi ci amiamo dal profondo del tempio che abbiamo dentro dobbiamo trovare il coraggio, per quanto possa essere difficile, di stare lontano l 'uno dall 'altro. La sua vita è di stare con Dio.
Autore Città Giorno Ora
Stefania Salomone Roma 02/5/2012 15.50
Titolo:
Gentile Sig.ra Andreas,
grazie innanzitutto per averci inviato questa sua appassionata testimonianza.
Amare un prete è una partita persa in partenza... Beh, dipende da quello che una donna si aspetta.
Se impara a stare al "suo posto"- cioè un posto che non c'è, perché non è previsto - che significa accettare di essere l'ultima ruota del carro, allora le cose potrebbero continuare anche per tutta la vita.
Se la donna immagina di poter avere un uomo al suo fianco, con cui condividere la quotidianità, al quale appoggiarsi di tanto in tanto, col quale riflettere sui macro e micro-sistemi dell'esistenza, allora non potrà che essere frustrata e delusa.
D'altronde sono le aspettative quelle che ingannano.
E se, come è accaduto a lei, ci si rende conto che la speranza è divenuta illusione, allora siamo un pezzo avanti.

Provo a rispondere alle domande che mi pone e a fare qualche personale osservazione.
Innanzitutto qualche volta al mese non mi sembra un tempo sufficiente per chiamarla "relazione". E il fatto che a lui basti qualche ora al mese è un sintomo di qualcosa che non va nel rapporto. E non possiamo giustificare sempre col fatto che lui è prete e ha da fare perché non renderemmo un buon servizio neanche al sentimento che proviamo.
Perché non può parlarmi di fare l'amore, di invecchiare insieme o altre cose normalissime? Non ci sarebbe nulla di più naturale. E torniamo a giustificare questa mancanza col fatto che è prete.
Potrà sostenerla nel bisogno o nella malattia? Sì, se non ci sono impegni parrocchiali urgenti o il vescovo non lo convocherà. Sembra cinico ma è esattamente così che funzionerà, purtroppo.
Quali sono i vantaggi di questi amori? Bah, non so cosa intende per "avere dei vantaggi". Forse, come ha aggiunto in seguito, possiamo parlare di frutti. Ma temo che in queste situazioni di frutti veri ce ne siano ben pochi. Più che altro perché non c'è relazione vera. E non c'è relazione vera perché non c'è parità. Uno decide, l'altro si adegua. Uno manovra, l'altro accetta se non vuole perderlo.

Ci sono dei preti che decidono di lasciare per onestà verso se stessi e l'amore che provano, e per rispetto della donna che hanno coinvolto magari per tanti anni. Ma anche lì non è una cosa facile. Anche dopo aver lasciato il ministero continuano spesso ad avere nostalgia del loro ruolo e a pretendere di restare su un piedistallo che l'istituzione ha concesso loro, ma che la vita per fortuna non riconosce loro.

Stare lontani?
Credo che come sempre l'unica che davvero possa prendere questa decisione è lei, signora cara.
Lui non ha alcun interesse a lasciarla andare, né a tenerla "con sé". Ci pensi. Lui non perde nulla, ha il suo ruolo, ha il rispetto dei confratelli e dei superiori, dei parrocchiani, della sua famiglia, la sua vita. E lei cosa perde?
La possibilità di un rapporto felice con una persona che la consideri e la tratti con il rispetto e l'amore che merita.
Sta a lei decidere. E' una donna adulta e può riprendersi in mano la sua vita. Lo amerà per sempre? Ma che amore è quello che si basa sul sacrificio di uno dei due?
Certo lui potrà dire che anche lui è dispiaciuto di non poter vivere con lei, ma è una balla colossale.
Mi creda.
Potrebbe ad esempio scegliere di cambiare confessione cristiana. Ce ne sono molte che hanno clero sposato. Ma vengono considerate di serie B, spesso anche dagli stessi preti ... Non le sembra curioso?

Nel suo caso lui sembra aver già scelto, ma anche lei signora ha scelto comunque di restare in questa situazione. Anzi aggiunge che "lo amerà oltre la morte".

Un'ultima cosa: che significa "stare con Dio"? Esiste per caso un luogo in cui si trova questo dio e il prete resta a fargli compagnia? Mi scusi se esagero o uso un tono scherzoso, ma è da tempo che non credo più a un dio-persona che si trova da qualche parte e tenta di manovrare le nostre esistenze. Il suo prete non sta con Dio, perché Dio è nel creato, nell'umanità, in nessun altro posto. Il suo prete, al contrario, sta con se stesso.

Io non posso che farle i miei migliori auguri dal profondo del cuore suggerendole, se vuole, di scrivere la sua storia sul blog (anche senza dettagli, nomi o particolari problematici) a vantaggio di tutte le altre donne.
Sappia comunque se avesse bisogno di me io sono qui.
Saluti

Stefania
Autore Città Giorno Ora
Stefania Salomone Roma 02/5/2012 16.00
Titolo:Le vittime e la carne

Riprendiamo uno scritto pubblicato sul numero a stampa di Ticinosette n° 16 20 aprile 2012 (e inviato dall’autore sia al “Corriere del Ticino” sia al “Giornale del Popolo”) a commento del presente articolo di Roberto Roveda.

«Su Ticinosette n. 21 (n 12, ndr ) è stata pubblicata una relazione su “le donne dei preti” della signora Stefania Salomone, coordinatrice del blog “Amore Negato” che tratta di celibato obbligatorio e delle “donne dei preti”. Si tratta, in sintesi, di una sorta di deplorazione dello stato lamentevole in cui verserebbero quelle donne che, loro malgrado, si lasciano coinvolgere in “legami sentimentali” con preti per venire incontro alle “esigenze” di questi ultimi. All’origine del disagio vi sarebbero i “pregiudizi” e le “ipocrisie” della cultura cattolica e “una certa mentalità clericale e maschilista che vige nella Chiesa Cattolica”. Le affermazioni della signora mi sembrano (...) piuttosto ardite e stupefacenti. Seppure da profano, mi permetto quindi di esprimere qualche appunto. Per quanta riguarda i doveri (e quindi gli obblighi) del prete (dello stato clericale), al presente (“de lege lata”, per dirla in termini giuridici), le cose sono affatto chiare. Se poi sia ancora opportuno mantenere l’obbligo del celibato (che costituirebbe, in fondo, l’origine di tutti i mali e che altro non sarebbe che “una norma dettata da uomini per altri uomini”) è un altro discorso. Per intanto e fin quando l’ordinamento in fatto di celibato non sarà stato cambiato, bisogna stare alle norme vigenti, giuste o sbagliate che siano. In base a queste norme il prete sa (...) come deve condursi con le singole categorie di persone per evitare di venir meno ai voti pronunciati. Se, nonostante la buona volontà e contrariamente alle apparenze, non vi si attiene (come talvolta accade e come è sempre accaduto) ciò dovrebbe essere imputabile non tanto a ipocrisia quanto, piuttosto, a inettitudine, più o meno responsabile, nell’adempiere impegni che esigono molti sacrifici e forza d’animo. A meno che non si tratti di un prete che, intimamente, ha abbandonato ogni scrupolo e deliberatamente si comporta in modo contrario al suo stato. Se si deve credere alla signora Salomone, nel caso di relazioni “affettive” la prima vittima sarebbe sempre rappresentata dalle donne: queste, “comprensive”, si lascerebbero facilmente irretire cedendo alla soggezione e al rispetto che un prete, per il fatto stesso di essere tale, induce ad avere. In questa affermazione è implicito, a me pare, un giudizio negativo, sfavorevole, sul conto delle donne in genere. È, in fondo, come dire che le donne sono, in certo senso, delle minorate, che a esse manca piena capacità di autodeterminazione (...) nel campo degli affetti. Come l’esperienza comune insegna, normalmente (eccettuati i casi di dolo o di inganno), in queste cose, trattandosi di persone maggiorenni e sane di mente, la responsabilità dovrebbe piùomeno essere equivalente (pari) o, per lo meno, non dovrebbe mai essere soltanto di una parte. Su chi, poi, maggiormente ricadano gli effetti negativi di siffatti legami clandestini (chi sia in realtà la vittima) si può evidentemente discutere. A me pare (...) che, almeno dal punto di vista morale e propriamente religioso, tutto sommato chi ne esce peggio è il sacerdote. Comunque sia, mi pare che, generalmente parlando, non si possa commiserare una parte più dell’altra. Certo è che, una volta cacciatisi nel vicolo cieco, per i protagonisti non sembra esistano soluzioni a buon mercato e indolori. L’esperta dice (...) che tante volte la donna resterebbe delusa perché “sente che lui ha tradito il suo ruolo”. Ma questo (...) dovrebbe sentirlo e intravederlo fin dall’inizio e quindi non prestarsi (...) a far si che lui tradisca il suo stato. Altrimenti, si rende complice. Perché, infine, in tutto ciò entrerebbe una mentalità “clericale e maschilista” mi riesce del tutto incomprensibile». F F (Airolo)

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Commenti Articolo 832

Titolo articolo : Per aderire alla lettera di dissociazione da Monti&Napolitano in ginocchio dal petromonarca bellicoso,di Marinella Correggia

Ultimo aggiornamento: May/01/2012 - 18:28:55.

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Autore Città Giorno Ora
giovanni sicco vicenza 25/4/2012 19.52
Titolo:lettera di dissociazione
gentilissima redazione, firmerei volentieri questa e altre lettere dopo una vostra revisione grammaticale. Penso anche che ci potremmo maggiormente impegnare per sollecitare il governo (tecnico o eletto che sia)su temi che riguardano il sostegno alle famiglie più che il vassallaggio ai vari nababbi arabi.
cordailità.
Autore Città Giorno Ora
tullio scaramella lido di camaiore 01/5/2012 18.28
Titolo:Monti e Lacrime di Coccodrillo
Forse ha fatto piu' danno Monti in pochi mesi, con le sue false promesse ed il suo sorriso ipocrita, assieme alla sua collaboratrice Lacrime di Coccodrillo, di quanto ne abbia fatto il cav. Banana in quasi 20 anni.
I primi due, li odio.
Per l' equita' che hanno millantato, per la riduzione delle spese della politica, delle auto blu, del numero dei parlamentari e dei cacciabombardieri, che hanno solo promesso e di cui se ne sono fregati.
Il terzo, mi fa solo venire il voltastomaco.

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Commenti Articolo 833

Titolo articolo : Femminicidio a Catania,di UDI-Catania

Ultimo aggiornamento: April/30/2012 - 20:09:08.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/4/2012 20.09
Titolo:Cresce la mobilitazione....
Cresce la mobilitazione contro il femminicidio

«Ora una nuova legge»

Continuano ad arrivare firme all’appello lanciato dal movimento “Se non ora quando”.

L’ex ministro Pollastrini: «Subito un piano del governo»

Di Pietro: «La politica fermi questa barbarie». Ieri l’ultimo caso a Roma

di Maria Zanchi (l’Unità 30.04.2012)

Per un puro caso, o forse per disperazione, ieri un’altra donna non ha allungato la lunga lista delle vittime per mano di un uomo, spesso quello che si sceglie come marito o compagno. Il caso è molto simile a tanti altri. Una lite familiare. La città è Roma ma potrebbe essere ovunque visto che il femminicidio è la prima causa di morte in Italia per le donne tra i 16 e i 44 anni. Un marito, ubriaco, che si sfoga sulla propria moglie la colpisce ripetutamente fino a farla crollare a terra. Come aveva fatto altre volte, sostengono chi li conosceva. Solo che questa volta il finale è diverso. Per caso, ma più per disperazione, si diceva, il padre della ragazza, malato, ha cercato di intervenire per calmare gli animi e far terminare la violenta lite. Poi ha afferrato il coltello e ha colpito l’uomo, un 49enne peruviano, al petto provocandogli un’emorragia fatale.

L’epilogo diverso ma storia molto troppo simile a tante altre. E proprio contro questa mattanza che il movimento di «Se non ora quando» hanno lanciato un appello, che potete firmare anche sul nostro sito, unita.it. Hanno già aderito in migliaia e le firme aumentano di ora in ora. Dalla leader Cgil Susanna Camusso, a Roberto Saviano, al segretario Pd Pier Luigi Bersani che su Twitter ha scritto: «Si uccidono le donne. Le uccidono i maschi. È ora di dirlo, di vergognarcene, di fare qualcosa per stroncare la barbarie».

«È giusto gridare insieme basta. È salutare che si uniscano gli uomini di buona volontà e dicano» ha detto ieri l’ex ministra per le Pari opportunità Barbara Pollastrini, che ha aderito all’appello di Snoq. «Ma poi? Sono anni che riempiamo strade, piazze e convegni contro la violenza», prosegue l’esponente del Pd. «Chiediamo quindi subito al governo e alle ministre di presentare il piano d’azione contro molestie e violenza. Alle donne, sulle pensioni, è stato chiesto molto: l’esecutivo restituisca qualcosa almeno in termini di sicurezza e diritti umani. Servono risorse da stanziare per la prevenzione, per centri e case di accoglienza, per la tutela delle vittime. È indispensabile la celerità dei processi e la certezza della pena. E, certo, cultura, civismo e educazione al rispetto sono antidoti fondamentali».

«Aderisco all’appello di Se non ora quando per una mobilitazione che metta sotto gli occhi anche di chi non vuol vedere, la silenziosa strage di donne uccise da quelli che consideravano i loro uomini» ha fatto sapere Rosa Villecco Calipari, vicepresidente dei deputati Pd. « Credo che ognuna e ognuno per la nostra parte, oltre alla mobilitazione, possiamo fare qualcosa in più. Dal rendere noti i dati di femminicidi e violenze con rilevazioni oggettive, dal finanziare i centri che sostengono le donne, dal raccontare ogni giorno su tutti i media quel che succede tra le mura domestiche, dal legiferare perchè questi crimini siano puniti senza attenuanti di sorta».

«Dall’inizio dell’anno ha spiegato il leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, in una nota 54 donne sono state uccise dai loro compagni, mariti o ex conviventi. Una vergogna nazionale, una mattanza inaccettabile. La violenza sulle donne è un atto criminale, indegno di qualsiasi Paese civile. Per questo, aderisco con convinzione all’appello Mai più complici: è tempo che la politica si impegni seriamente per fermare questa barbarie».

Serve una nuova legge e serve subito. Intanto le donne continuano a morire. Solo il 10% ha la forza di denunciare molestie e abusi.

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Commenti Articolo 834

Titolo articolo : CAVOUR E IL DIRITTO,di RENATA RUSCA ZARGAR

Ultimo aggiornamento: April/30/2012 - 17:26:25.

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Autore Città Giorno Ora
angela fabbri Ferrara 16/4/2012 19.58
Titolo:Sono d'accordo con Cavour, il Diritto e Renata Rusca Zargar
Praticamente ho detto tutto nel titolo di questo commento perchè il resto l'ha già espresso molto bene la Prof. Renata Rusca Zargar.
Aggiungerò solo questo, una nota umana per chi ha voglia di ascoltarla: chiunque puzza se non ha un posto dove lavarsi, siamo tranquilli che lo stesso odore lo avrebbero anche i nostri politici, senza una casa cui appoggiarsi e soprattutto senza un lavoro con cui sostentarsi (che, nel caso dei politici 'sostentarsi' è un eufemismo).
E presto puzzeremo anche noi Italiani, sommersi dalle tasse. Noi, vuoi che siamo precari o piccoli pensionati o esodati.
Così saremo tutti un po' più uguali, almeno noi, Italiani del Popolo Italiano e gli extracomunitari di ogni Popolo che ci frequenta.
Angela Fabbri
Autore Città Giorno Ora
Annamaria Pambianchi Chioggia 19/4/2012 22.10
Titolo:
Cara signora,

ho letto l'articolo e debbo dire che non mi meraviglia neanche un poco quello che sta accadendo per la moschea di Genova. Però non bisogna mai dimenticare che il presente è fatto di pregiudizi e ostacoli, ma anche di impegno attivo e magari invisibile che va nella direzione opposta. Il presente è un flusso in cui dentro ci sta tutto e il contrario di tutto. Chi vincerà? Io credo che vinceranno quelli che osano guardare lontano mentre lavorano ad una prospettiva più umana per tutti. Dico "per tutti, italiani e stranieri, cattolici e musulmani e buddisti e animisti e non credenti". Non ne aggiungo altri perchè l'elenco sarebbe troppo lungo.

I mei più cordiali saluti
Anna Pambianchi
Autore Città Giorno Ora
Mariagrazia Incani Cascina Priore 20/4/2012 14.33
Titolo:Moschea
Carissima, ecco ora ho tempo per risponderti con calma (posso darti del tu?).
Ho letto con attenzione il tuo scritto, poi l'ho riletto, con entusiasmo e condivisione completa.
Anch'io sono ligure ma dal 64 vivo qui in Piemonte e rimpiango il mare e altro. Ma non è di questo che voglio scrivere. Ti voglio dire che il messaggio di Gesù Cristo è il più bel messaggio che conosco e che mi ha aiutata ad andare avanti. Credo purtroppo che sia considerato spesso, troppo spesso, solo una bella teoria e che moltissimi "cristiani" pensino che un conto è andare a Messa e ai funerali o ai matrimoni (sempre più rari) e un conto è soffermarsi a pensarci su. Questo quando c'è la buonafede................e non sempre c'è.
Sono contenta di cercare di fare del mio meglio, secondo la legge scout che pratico da quando avevo 8 anni (ora ne ho quasi 72), ma sono molto perplessa su alcune cose. Per esempio la Chiesa (Vaticano) vive nello sfarzo e dice aiutare chi è povero, è intrigata in cose spiacevoli e discutibili, è un po' razzista e dice di amare tutti, ecc. Guarda un po' se ha mai eletto un Papa nero? O cinese?
Evidentemente...............non ha letto per bene il Vangelo!! E una Moschea potrebbe essere per lei motivo di paura di perdere potere e soldini.
Se riuscirete ad avere la vostra Moschea ti assicuro che verrò a Genova apposta per pregare il nostro unico Dio con tutti voi.
Un saluto e un augurio, Mariagrazia
Autore Città Giorno Ora
Ornella Rabino Genova 20/4/2012 14.37
Titolo:considerazioni sulla moschea di Genova
Cara Renata,
sono una donna cresciuta con principi cristiani ma NON praticante della \"CHIESA\".
Mi ha fatto piacere leggere il tuo articolo dove si parla di persone che hanno raccolto fondi per una moschea e recuperare un edificio dismesso. Mi rammarico del fatto che la cittadinanza, complici dei sacerdoti, abbiano messo i bastoni fra le ruote.
Ma, anche a me viene spontaneo domandarmi, come mai in alcune terre le chiese non sono bene accette???
Secondo me, l\'Italia non è razzista più di altri paesi, è giusto non dimenticare la deportazione e l\'eliminazione degli ebrei ma non mi risulta ci siano treni o ambienti separati per gli extracomunitari, anzi ci sono ambienti dove un\'italiana ha paura ad entrare perchè sei guardata male. Nell\'asilo di mia figlia sono presenti e ben accettati bimbi romeni, marocchini, ecc. e le famiglie vengono trattate meglio e con occhi di riguardo migliori rispetto alle famglie italiane che hanno problemi anche solo economici...
Forse il motivo di tanto livore razziale stà nel fatto che:
a) non perchè pregano ma, distorcendo le parole del Corano,compiono atti non legali (es.Torri gemelle,atti di terrorismo in nome della religione!!) come fanno anche tanti cristiani.
b) Non per il fatto che siano brutti, ci sono degli egiziani molto belli, o perchè puzzano ma forse perchè nel nostro paese ci sono leggi dove molti stranieri ne approfittano. (PS:Io abito al Nord, Piemonte, e faccio presente che se siamo brutti lo dobbiamo ai meridionali che sono emigrati qui dalla Calabria, dalla Puglia, dalla Sadegna perchè i piemontesi non esistono quasi più!!!)
Io ho molti amici romeni e da loro se devi fare 10 anni di carcere li fai TUTTI fino all\'ultimo non esiste nessun \"INDULTO\", non esistono carceri con TV, donne, cibo migliore che al ristorante. Se ammazzi qualcuno, perchè sei ubriaco, non ti mettono in un residence perchè le carceri sono sovraffollate..... Non ho privilegi sulla scelta del medico di famiglia o sull\'asilo perchè sono extracomunitaria.
Se io emigro, sono io e la mia famiglia che deve imparare la loro lingua mentre qui, in Italia, insegnano giustamente la lingua del loro paese ma NON l\'italiano tanto poi c\'è la maestra che lo fà a discapito dei bambini che l\'italiano lo sanno già e devono aspettare che anche loro siano allo stesso livello. Ti sembra giusto che mia figlia rimanga indietro con gli studi perchè loro non insegnano l\'italiano???
Con tutti i disagi del caso: mancanza d\'istruzione, maestre di sostegno pagate dallo Stato, con tagli alla scuola....
c) Per quanto riguardano le merci, a me personalmente piacerebbe consumare prodotti italiani, peccato che le leggi europee mi obbligano a consumare anche quelli stranieri. Mi spiaice che vendiamo armi a questi paesi ma se le vendiamo è perchè loro le richiedono (domanda/offerta legge di mercato). Io preferirei che insegnassero a queste popolazioni a pescare in modo che possano mangiare sempre e non dargli un pesce per tenerli sottomessi. Loro vengono in Italia pensando di trovare l\'America, di trovare ciò che vedono in TV ma non è più così nemmeno per noi italiani così ecco la prostituzione, la droga ecc..Bel futuro per i propri figli.....
A me spiace per le condizioni nel loro paese ma si devono battere là per poter cambiare le cose là (magari col nostro aiuto visto tutti i nostri ragazzi all\'estero per missioni di pace).
d) Per quanto riguarda le donne non è un fatto di essere stranieri ci sono anche molte donne sottomesse italiane. Secondo me il problema è che la legge non ci tutela fino a quando non siamo dentro una BARA nessuno si muove!!!!
La gente ha anche paura perchè la legge non tutela le persone oneste, l\'ART. 3 e l\'ART. 1 sono stupidaggini che i ricchi e chi se lo può permettere raggira come niente basta un avvocato in gamba ed il gioco è fatto!!
In generale i luoghi di culto sono frequentati da gente che ha visto il business dei soldi, della protezione, del vivere bene e fare ciò che vuole, che sà raggirare gli altri \"Dio\" è dentro di noi con la Bontà, la Sincerità, l\'Amicizia ecc. tutti valori che ora non esistono più e nessuno più insegna perchè sono scomodi è più facile fare il contrario.
Io non sono orgogliosa di comprare un fazzoletto da un extracomunitario ma sono contenta di poter aiutare un uomo ma lui dovrebbe essere orgoglioso di poter gudagnarsi il pane onestamente e se vogliono che i loro figli sianouguali a noi almeno inizino ad insegnare loro l\'italiano, la nostra lingua ufficiale.
Non serve Cavour ma il Buon Senso di TUTTI italiani e non.
Ciao
Autore Città Giorno Ora
Kamel Layachi PEDEROBBA ( TV ) 30/4/2012 17.26
Titolo:Grazie
Gentile Sig.ra , la ringrazio per questo bellissimo articolo che condivido in pieno augurando che possa essere letto e recepito dalle menti e dai cuori di coloro che hanno responsabilità pubblica ... Oggi quello che vivamo è davvero un'offesa non solo all'intelligenza e alla dignità delle persone ma anche a quei valori costituzionali scritti con il sangue di coloro che hanno liberato il paese dalla cieca follia del Nazzismo e del Fascismo .. Oggi , attraverso un paziente lavoro culturale di denuncia ma anche di sensibilizzazione e di impegno civile si spera di creare una cultura nuova dove i diritti diventano effettivi per tutti e non solo per una parte dei cittadini . Ovviamente , la politica ha una grande responsabilità e un enorme ruolo da svolgere .. Noi , con la nostra unità , la nostra coerenza , la nostra presenza pubbulica e la nostra partecipazione attiva possiamo cambiare le cose ... Poi , i Musulmani sono chiamati a seminare .. Se poi non riescono a raccogliere lo farà qualcun'altro dopo di loro ma Dio, comunque, riserva a loro la Ricompensa che meritano " .. Kamel Layachi

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Commenti Articolo 835

Titolo articolo : CONTRO IL FEMMINICIDIO: «È UNA STRAGE, ORA BASTA!». NECESSARIA UNA RIVOLUZIONE CULTURALE. Ma bisogna fare in fretta. Subito. Note di Daniela Amenta e di Natalia Aspesi - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: April/30/2012 - 14:48:58.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/4/2012 13.53
Titolo:Le religioni dovrebbero andare in analisi ....
8 marzo 2012, ancora streghe



di Giancarla Codrignani (Adista - Segni Nuovi, - n. 10, 10 marzo 2012)

A Bologna, un islamico osservante ha sentito «impuro» il proprio rapporto con una donna cristianoortodossa e ha tentato di decapitarla «come Abramo fece con Isacco» (la donna, un’u-craina di 45 anni, se la scampa, rischia di ritrovarsi paraplegica).

Non è solo un caso di fondamentalismo maniacale. In questi giorni, si apre a Palmi un processo di stupro che testimonia il persistere italico della maledizione di Eva: a San Martino di Taurianova una bambina di 12 anni (che oggi ne ha 24 e vive sotto protezione perché alcuni dei persecutori che ha denunciato erano mafiosi) per anni è stata considerata da tutto il paese la colpevole degli stupri di gruppo, delle violenze e dei ricatti subiti e anche il parroco a cui aveva tentato di confidarsi giudicava peccatrice una dodicenne violata che solo la penitenza poteva redimere.

Sembra incredibile, ma nella santità delle religioni albergano tabù ancestrali che gli studi antropologici e le secolarizzazioni non sono riusciti a eliminare. Sono i tabù peggiori perché responsabili dei pregiudizi sessuofobici e misogini che, sacralizzati, hanno prodotto, nel nome di dio, discriminazioni e violenze.

Nel terzo millennio le religioni dovrebbero andare in analisi e domandarsi quanto la sessuofobia e la misoginia insidino nel profondo la loro possibilità di futuro. Il concetto di “purezza” che ha represso, nell’ipocrisia mercantile e proprietaria dei valori familiari, milioni di ragazze non è nato certo dalla scelta delle donne. Alla Lucy delle origini, mestruata e responsabile della riproduzione, non sarebbe mai venuto in mente di sentirsi sporca o colpevole. Forse percepiva già come colpa, certo non sua, la violenza che connotava la bassa qualità di molte prestazioni maschili. Tanto meno, quando si fosse inventato il diritto, avrebbe distinto i “suoi” figli in legittimi o illegittimi.

Eppure si continua a credere che la mestruata faccia ingiallire le foglie e inacidire il latte; in Africa, in “quei giorni”, è confinata in capanne speciali per non contaminare le case; a Roma Paolo la voleva velata e zittita, mentre i papi, forse senza sapere perché, le hanno vietato di consacrare. Siamo ancora qui, a fare conti sul puro e l’impuro e a ripetere il capro espiatorio nel corpo di qualche altro Isacco per volere di qualche Abramo che credeva di interpretare Dio, di qualche altra Ifigenia proprietà di Agamennone padrone della sua morte.

Noi donne non siamo certo migliori degli uomini, ma nelle società maschili permangono residui di paure che neppure Darwin ha fatto sparire. I responsabili delle religioni che intendono salvare la fede per le generazioni future debbono purificarle dalle ombre del sacro antropologico: il papa cattolico deve non condannare, bensì accogliere come servizio di verità nelle scuole un’educazione sessuale che dia valore all’affettività non solo biologica delle relazioni fra i generi e al rispetto delle diverse tendenze sessuali; l’islam che fa imparare a memoria fin da piccoli le sure del Corano, si deve rendere conto che i tabù violenti producono strani effetti se un uomo si sente un dio punitore davanti a donne-Isacco; i rabbini dovrebbero fare i conti con Levi Strauss e smettere di chiedere autobus separati per genere e di insultare le bambine non velate; in Cina e in India non si deve perpetuare l’insignificanza femminile trasferendo gli infanticidi delle neonate alla “scelta” ecografica, mortale solo per le bimbe. Sono tutte scelte di morte. Per ragioni di genere.

Ma, se la responsabilità delle religioni monoteiste è particolarmente grave per l’immagine anche non raffigurata di una divinità di fatto maschile, più precisa è quella dei cristiani. Si è detto infinite volte: perché il nostro clero, ancora così pronto a chiedere cerimonie riparatrici per spettacoli che non ha visto, non pensa ad evangelizzare i maschi invece di sospettare costantemente peccati di cui non può essere giudice, condannato com’è al masochismo celibatario per paura della purezza originaria della sessualità umana?

C’è un salto logico - certamente non illogico per le donne che stanno leggendo i pezzi sull’8 marzo ma anche la società civile persevera troppo nel negare rispetto al corpo delle donne: i tre caporali del 33esimo reggimento Acqui indagati per lo stupro di Pizzoli (L’Aquila) sono rientrati in servizio nei servizi di pattugliamento del centro storico nell’ambito dell’operazione “Strade Sicure”...
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/4/2012 09.29
Titolo:Cresce la mobilitazione contro il femminicidio ...
Cresce la mobilitazione contro il femminicidio

«Ora una nuova legge»

Continuano ad arrivare firme all’appello lanciato dal movimento “Se non ora quando”.

L’ex ministro Pollastrini: «Subito un piano del governo»

Di Pietro: «La politica fermi questa barbarie». Ieri l’ultimo caso a Roma

di Maria Zanchi (l’Unità 30.04.2012)

Per un puro caso, o forse per disperazione, ieri un’altra donna non ha allungato la lunga lista delle vittime per mano di un uomo, spesso quello che si sceglie come marito o compagno. Il caso è molto simile a tanti altri. Una lite familiare. La città è Roma ma potrebbe essere ovunque visto che il femminicidio è la prima causa di morte in Italia per le donne tra i 16 e i 44 anni. Un marito, ubriaco, che si sfoga sulla propria moglie la colpisce ripetutamente fino a farla crollare a terra. Come aveva fatto altre volte, sostengono chi li conosceva. Solo che questa volta il finale è diverso. Per caso, ma più per disperazione, si diceva, il padre della ragazza, malato, ha cercato di intervenire per calmare gli animi e far terminare la violenta lite. Poi ha afferrato il coltello e ha colpito l’uomo, un 49enne peruviano, al petto provocandogli un’emorragia fatale.

L’epilogo diverso ma storia molto troppo simile a tante altre. E proprio contro questa mattanza che il movimento di «Se non ora quando» hanno lanciato un appello, che potete firmare anche sul nostro sito, unita.it. Hanno già aderito in migliaia e le firme aumentano di ora in ora. Dalla leader Cgil Susanna Camusso, a Roberto Saviano, al segretario Pd Pier Luigi Bersani che su Twitter ha scritto: «Si uccidono le donne. Le uccidono i maschi. È ora di dirlo, di vergognarcene, di fare qualcosa per stroncare la barbarie».

«È giusto gridare insieme basta. È salutare che si uniscano gli uomini di buona volontà e dicano» ha detto ieri l’ex ministra per le Pari opportunità Barbara Pollastrini, che ha aderito all’appello di Snoq. «Ma poi? Sono anni che riempiamo strade, piazze e convegni contro la violenza», prosegue l’esponente del Pd. «Chiediamo quindi subito al governo e alle ministre di presentare il piano d’azione contro molestie e violenza. Alle donne, sulle pensioni, è stato chiesto molto: l’esecutivo restituisca qualcosa almeno in termini di sicurezza e diritti umani. Servono risorse da stanziare per la prevenzione, per centri e case di accoglienza, per la tutela delle vittime. È indispensabile la celerità dei processi e la certezza della pena. E, certo, cultura, civismo e educazione al rispetto sono antidoti fondamentali».

«Aderisco all’appello di Se non ora quando per una mobilitazione che metta sotto gli occhi anche di chi non vuol vedere, la silenziosa strage di donne uccise da quelli che consideravano i loro uomini» ha fatto sapere Rosa Villecco Calipari, vicepresidente dei deputati Pd. « Credo che ognuna e ognuno per la nostra parte, oltre alla mobilitazione, possiamo fare qualcosa in più. Dal rendere noti i dati di femminicidi e violenze con rilevazioni oggettive, dal finanziare i centri che sostengono le donne, dal raccontare ogni giorno su tutti i media quel che succede tra le mura domestiche, dal legiferare perchè questi crimini siano puniti senza attenuanti di sorta».

«Dall’inizio dell’anno ha spiegato il leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, in una nota 54 donne sono state uccise dai loro compagni, mariti o ex conviventi. Una vergogna nazionale, una mattanza inaccettabile. La violenza sulle donne è un atto criminale, indegno di qualsiasi Paese civile. Per questo, aderisco con convinzione all’appello Mai più complici: è tempo che la politica si impegni seriamente per fermare questa barbarie».

Serve una nuova legge e serve subito. Intanto le donne continuano a morire. Solo il 10% ha la forza di denunciare molestie e abusi.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/4/2012 14.48
Titolo:"IN PERSONA CHRISTI": MA QUALE CRISTO?! Una analisi della teologa Lilia Sebasti...
"IN PERSONA CHRISTI": MA QUALE CRISTO?! Donne, uomini e ministeri.
Una analisi della teologa Lilia Sebastiani


(...) dobbiamo ricordare che il “sacerdozio così com’è”, nella storia e nella mentalità corrente, si fonda proprio sulla ‘separazione’, sullo spirito di casta, sul sospetto previo e sul rifiuto nei confronti della donna, che nella chiesa di Roma si esprime in una doppia modalità: l’esclusione delle donne dalle funzioni di culto, di governo e di magistero, è parallela all’obbligo istituzionale di essere “senza donna” per coloro che le esercitano. Il divieto per le donne di essere ministri ordinati el’obbligo per i ministri ordinati di restare celibi sembrano due problemi ben distinti, mentre sono congiunti alla radice. E ormai sappiamo che potranno giungere a soluzione solo insieme (...)
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Donne e ministeri da segno dei tempi a indice di autenticità

di Lilia Sebastiani

in “Viandanti” (www.viandanti.org) del 10 marzo 2012

Nell’enciclica ‘conciliare’ Pacem in terris di Giovanni XXIII (1963) al n.22 l’ingresso crescente delle donne nella vita pubblica veniva annoverato tra i segni dei tempi, insieme alla crescita delle classi lavoratrici (n.21) e alla fine del colonialismo (n.23).

Ricordare l’enciclica è doveroso, per il valore storico di questo semplice e cauto riconoscimento: infatti è la prima volta che un documento magisteriale rileva la cosiddetta promozione della donna senza deplorarla - anzi come un fatto positivo. I segni dei tempi sono ancora al centro della nostra attenzione, ma per quanto riguarda le donne la questione cruciale e non ignorabile è ormai quella del loro accesso al ministero nella Chiesa, a tutti i ministeri.

Venerande esclusioni

Certo il problema dei ministeri non è l’unico connesso con lo status della donna nella Chiesa, ma senza dubbio è fondamentale; guardando al futuro, è decisivo. Non solo e non tanto in se stesso, ma per la sua natura di segno.

In questo momento nella Chiesa la donna è ancora esclusa dai ministeri ecclesialmente riconosciuti: non solo da quelli ordinati (l’Ordine sacro, cioè, nei suoi tre gradi: episcopato, presbiterato, diaconato) ma anche da quelli istituiti, il lettorato e l’accolitato. Questi ultimi, chiamati un tempo “ordini minori” e considerati solo tappe di passaggio obbligatorie per accedere all’ordinazione, furono reintrodotti nel 1972 da Paolo VI (Ministeria quaedam) come “ministeri istituiti” - per distinguerli da quelli ordinati, mantenendo però l’elemento della stabilità e del riconoscimento ecclesiale - e furono aperti anche a laici non incamminati verso l’Ordine; tuttavia si specificava chiaramente che tali ministeri erano riservati agli uomini, “secondo la veneranda tradizione della chiesa latina”.

Un po’ più recente l’istituzione dei “ministri straordinari dell’Eucaristia”: con prerogative non molto diverse da quelle degli accoliti, questi possono essere anche donne. E di fatto sono più spesso donne che uomini. Un passo avanti, forse? Certo però la dichiarata ‘straordinarietà’ sembra messa lì a ricordare che si tratta di un’eccezione, di una supplenza..., di qualcosa che normalmente non dovrebbe esserci.

A parte i servizi non liturgici ma fondamentali, come la catechesi dei fanciulli, quasi interamente femminile, e le varie attività organizzative e caritative della parrocchia, le letture nella Messa vengono proclamate più spesso da donne che da uomini; ma si tratta sempre e comunque di un ministero di fatto, che in teoria sarebbe da autorizzare caso per caso, anche se poi, di solito, l’autorizzazione viene presunta.

Il Concilio e l’incompiuta apertura

Il problema dell’accesso femminile ai ministeri è diventato di attualità nella Chiesa nell’immediato post-concilio, nel fervore di dibattito che caratterizzò quell’epoca feconda e rimpianta della storia della Chiesa. Il Vaticano II aveva mostrato una notevole apertura sulle questioni che maggiormente sembravano concernere il problema della donna in generale e della donna nella Chiesa in particolare. Sulle questioni più specifiche e sul problema dei ministeri i documenti conciliari erano generici fino alla reticenza, ma senza chiusure di principio. Ciò autorizzava a sperare nel superamento, non proprio immediato ma neppure troppo lontano, di certe innegabili contraddizioni che persistevano sul piano disciplinare. Inoltre altre chiese cristiane avevano cominciato da qualche anno, certo non senza resistenze anche aspre, a riconsiderare e a superare gradualmente il problema dell’esclusione (a nostra conoscenza, la chiesa luterana svedese fu la prima ad ammettere donne al pastorato, nel 1958).

Una chiusura fragile

Nel decennio che seguì il Concilio, il dibattito in proposito fu intenso. La Chiesa ufficiale mantenne però una posizione di cautela e di sostanziale chiusura sempre più netta, che culminò - volendo chiudere la questione una volta per sempre - nella dichiarazione vaticana Inter insigniores, che è della fine del 1976, ma resa pubblica nel 1977.

In questo documento l’esclusione delle donne dal ministero ordinato veniva ribadita con caratteri di definitività vagamente ‘infallibilista’, ma anche con un significativo mutamento di argomentazione, che ci sembra importante poiché dimostra che l’esclusione è un fatto storico-sociologico in divenire e non un fatto teologico-sacramentale.

Non si dice più, come affermava Tommaso d’Aquino, che la donna è per natura inferiore all’uomo e quindi esclusa per volere divino da ogni funzione implicante autorità; si richiama invece l’ininterrotta tradizione della Chiesa (che è evidente, ma è anche evidentissimo portato della storia e delle culture) e soprattutto la maschilità dell’uomo Gesù di Nazaret, da cui deriverebbe la congruenza simbolica della maschilità del prete che, presiedendo l’assemblea, agisce in persona Christi. Quest’ultimo argomento fragile e sconveniente è stato lasciato cadere, infatti, nei pronunciamenti successivi: questi si rifanno solo alla tradizione della Chiesa e a quella che viene indicata come l’esplicita volontà di Gesù manifestata dalla sua prassi.

Anche questo argomento non funziona. Gesù, che non mostra alcun interesse di tipo ‘istituzionale’, alle donne accorda, con naturalezza, una piena parità nel gruppo dei suoi seguaci. Sembra insieme scorretto e pleonastico dire che “non ha ordinato nessuna donna”, dal momento che, semplicemente, non ha ordinato nessuno. Non vi è sacerdozio nella sua comunità, ma servizio e testimonianza, diakonìa non formalizzata - eppure rispondente a una chiamata precisa - che, prima di essere attività, è opzione fondamentale, stile di vita, sull’esempio di Gesù stesso “venuto per servire”.

Nel Nuovo Testamento di sacerdozio si può parlare solo in riferimento al sacerdozio universale dei fedeli (cfr 1 Pt 2,9; Ap 1,6), negli ultimi decenni tanto rispettato a parole quanto sfuggente e ininfluente nel concreto del vissuto ecclesiale; oppure in riferimento all’unico sacerdote della Nuova Alleanza - sacerdote nel senso di mediatore fra Dio e gli esseri umani -, Gesù di Nazaret (cfr Ebr 9), il quale nella società religiosa era un laico, oltretutto in rapporti abbastanza conflittuali con il sacerdozio del suo tempo.

Un’esclusione che interpella tutti

Vi sono due fatti, molto modesti ma significativi, che aiutano a tenere viva la speranza. Il primo, che i pronunciamenti dell’autorità ecclesiastica volti a chiudere ‘definitivamente’ la questione sono diventati abbastanza ricorrenti, il che dimostra che non è poi tanto facile chiuderla. Il dibattito è aperto e procede. Il secondo, che l’argomentazione teologica sembra cambiata ancora: felicemente sepolto l’infelicissimo argomento della coerenza simbolica, già pilastro dell’Inter insigniores, si richiama solo la prassi ininterrotta della chiesa romana e sempre più spesso si sente riconoscere, anche dalle voci più autorevoli, che contro l’ordinazione delle donne non ci si può appellare a ragioni biblico-teologiche.

No, non si tratta di banali rivendicazioni. L’esclusione interpella tutti: nessuna/nessun credente adulto può disinteressarsi di questo problema chiave finché le donne nella chiesa non avranno di fatto le stesse possibilità degli uomini, la stessa dignità di rappresentanza.

E’ necessario ricordare che vi sono donne cattoliche di alto valore e seriamente impegnate - tra loro anche alcune teologhe - che a una domanda precisa sul problema dei ministeri istituiti rispondono o risponderebbero più o meno così: no grazie, il sacerdozio così com’è proprio non ci interessa. E’ un atteggiamento che merita rispetto: almeno in quanto manifesta il timore che insistere troppo sul tema dell’ordinazione induca ad accentuare l’importanza dei ministri ordinati nella Chiesa (mentre sarebbe urgente semmai ridurre quell’importanza, insomma ‘declericalizzare’).

Ma dobbiamo ricordare che il “sacerdozio così com’è”, nella storia e nella mentalità corrente, si fonda proprio sulla ‘separazione’, sullo spirito di casta, sul sospetto previo e sul rifiuto nei confronti della donna, che nella chiesa di Roma si esprime in una doppia modalità: l’esclusione delle donne dalle funzioni di culto, di governo e di magistero, è parallela all’obbligo istituzionale di essere “senza donna” per coloro che le esercitano. Il divieto per le donne di essere ministri ordinati el’obbligo per i ministri ordinati di restare celibi sembrano due problemi ben distinti, mentre sono congiunti alla radice. E ormai sappiamo che potranno giungere a soluzione solo insieme.

Segno dei tempi, certo. Segno di trasformazione, segno contraddittorio, segno incompleto, proprio come il tempo in cui viviamo. Per quanto riguarda la chiesa cattolica, però, non solo segno, ma indice di autenticità. Non temiamo di dire che sulla questione dei ministeri, che solo a uno sguardo superficiale o ideologico può apparire circoscritta, si gioca il futuro della chiesa.

Lilia Sebastiani

Teologa

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Commenti Articolo 836

Titolo articolo : "PER TUTTI" O "PER MOLTI"? DI RISPETTO E GIUSTIZIA NE SA PIU' ZEUS CHE IL DIO DI BENEDETTO XVI. Il mito di Prometeo narrato da Protagora,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: April/29/2012 - 20:29:50.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/4/2012 20.29
Titolo:RISPETTO. Il bene è più della fede, e l'altro (la relazione con l'altro) è più d...
Il bene vale più della fede?

di Roberto Escobar (Il Sole 24 Ore, 29 aprile 2012)

«I1 bene è più della fede», dice il vecchio prete raccontato da Ermanno Olmi in Il villaggio di cartone. Dopo che la sua chiesa è stata svuotata del sacro, a cominciare dal crocifisso, a lui resta
solo l'attesa della morte. In una solitudine colma di ricordi, pensa agli occhi di una donna, perduti nel rimpianto. E pensa al suo mestiere, intrapreso per fare il bene. Ma uno scoramento profondo lo
vince. Per fare il bene, confida a un medico "positivista", non serve la fede. Il bene, appunto, è più della fede.

Tutto questo si può leggere ora in un piccolo libro che riproduce la sceneggiatura del film (Ermanno Olmi, Il villaggio di cartone, edizioni Archinto).

In una bella introduzione, Vito Mancuso torna al cruccio del vecchio prete, e allo scandalo del suo scoramento. Lo fa per illuminare quella che chiama «conversione della religione». Tratta dal pensiero di Raimon Panikkar, l'espressione indica la necessità che il cristianesimo torni sale della terra, smettendo d'essere «accettazione intellettualistica di una dottrina (la “fede”)», e diventando, o ridiventando, convinzione radicata del primato del bene e della vita buona». Non più ortodossia, o retta opinione, esso si trasformerebbe in ortoprassi, o retto comportamento. E ancora: all'obbedienza ossequiosa del credente nei confronti della gerarchia si sostituirebbero le sue azioni concrete, non riconducibili all'utile (nemmeno a quello della salvezza promessa e gestita dalla gerarchia, si deve supporre).

È rischiosa, questa prospettiva, e scandalosa al pari del vecchio prete di Olmi. Se vien meno non tanto la dòxa, l'opinione, quanto il controllo della sua "rettitudine" da parte di un dispositivo di
controllo dottrinale e gerarchico, nasce appunto il rischio che le opinioni si moltiplichino, ognuna certa di valere quanto ogni altra. Insomma, ammette Mancuso, si può finire per cedere a quella che
Joseph Ratzinger ha bollato come «dittatura del relativismo […] che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie». D'altra parte, prosegue citando Dietrich Bonhoefer, il senso dell'essere cristiani sta nell'imitazione di Cristo, che è «esistere-per-gli altri». Il figlio di Dio è tale non perché sia diverso e distante da noi, ma «in virtù del compimento della legge suprema dell'essere che è la relazionalità. fino a collocare nella relazione assoluta dell'amore il senso ultimo dell'essere e della
vita». Si ritrova così un fondamento saldo per l'ortoprassi e un viatico contro il rischio del relativismo. Sta, questo fondamento, nell'espressione relazione assoluta, un ossimoro evidente: quel che è
relativo non può essere assoluto, e quel che è assoluto non può essere relativo. D'altra parte, negli ossimori più d'una volta può nascondersi il senso dell'umano.

Fin qui Mancuso, e la sua lettura religiosa di Olmi. Ma a noi ne sembra possibile un'altra, del tutto e solo umana. Si tratta della nostra, che non pretendiamo sia condivisa da Olmi (come certo non
pretende Mancuso). Così vale sempre per un'opera d'arte: uscita dalle mani del suo autore, non è più sua, ma d'ogni suo spettatore o lettore.

Ripartiamo dalle parole del vecchio prete, e prendiamole sul serio, cioè per quello che dicono del suo scoramento. La chiesa vuota s'è riempita di migranti, di prossimo, per usare una grande parola
evangelica, o di altri, per usare un'altra parola non meno grande. Se stesse cercando la "relazione assoluta", la relazionalità come compimento della legge suprema dell'essere, il vecchio prete ne
sarebbe consolato. E però nel film non c'è per lui acquietamento, ma solo cruccio e rimpianto. E questo suggerisce in lui qualcosa di radicale, che non può essere rimediato con una conversione
ipotetica della religione.

Quando dice che il bene è più della fede, intende proprio solo che la sua fede in Dio è in crisi, e che questa crisi gli si manifesta nella sua superfluità per fare il bene. Siamo qui sul punto di precipitare in piena dittatura del relativismo, se volessimo dirla di nuovo con
Ratzinger. D'altra parte, il termine dittatura del relativismo è un altro ossimoro evidente, ma non dei più felici. Per loro (trista) natura, le dittature sono assolutistiche, non relativistiche. E l'io che ha se stesso e le proprie voglie come unica misura può forse essere nichilistico, ma mai relativistico.

Il nichilista è sicuro che niente sia vero, e che tutto sia permesso. Ma così afferma già due verità, legate in una sorta di sillogismo: che niente sia vero, e che (perciò) tutto sia permesso. Ben
diversamente opina il relativista, nel senso che a noi piace dare al termine.

Mettiamoci ora nei panni del vecchio prete, e domandiamoci come potrebbe tornare a fare il bene, al di là della sua fede in crisi. Ebbene, potrebbe smettere di attendersi giustificazioni assolute per la sua prassi, accontentandosi di quelle che gli mostrano i suoi occhi. Potrebbe cioè guardare l'altro che gli sta davanti, senza mediazioni e senza aneliti verso leggi supreme dell'essere. Se poi volesse un conforto intellettuale e filosofico, potrebbe rivolgersi ad Adam Smith, e alla sua nozione di simpatia.

Quando si vede l'altro che patisce, scrive il filosofo scozzese, si è portati a immaginare di soffrire la sua stessa sofferenza, o almeno a immaginare che si soffrirebbe come lui se si fosse nella sua condizione. Ma si tratta di un'illusione vera e propria: la sofferenza dell'altro non può essere davvero la mia, né mia può essere davvero la sua condizione. E tuttavia questa very illusion è
fortunata e produttiva: mi apre all'altro, e mi mette in relazione con lui.

Che tutto questo abbia grandi conseguenze non solo morali ma anche politiche è dimostrato per esempio da Richard Sennett nel suo splendido Rispetto (il Mulino).

E poi si potrebbe raccomandare al prete di Olmi anche la rivolta camusiana, ossia la scelta con cui un essere umano pone termine alla sofferenza cui un altro essere umano costringe la propria vittima.
Non c'è bisogno di assoluti, per rivoltarsi. Basta guardare l'altro vedendolo, vedendo il suo dolore e soffrendolo come se fosse nostro. Può bastare questo perché l'io e l'altro insieme producano da sé i
motivi e i "fondamenti" di una prassi retta. Questo è il relativismo, questo essere in relazione, questo gusto per quello che è umano, molto umano, senza il bisogno di dispositivi dottrinari e gerarchici che certifichino la rettitudine della prassi, e poi magari dell'opinione. Rispetto a quello popolato di assoluti, questo intessuto di umanissimi, concretissimi "valori relativi" è un mondo più libero. Ed è un mondo attento ai singoli esseri umani, alla loro materialità sofferente.

Insomma, per parafrasare il vecchio prete, e per andare oltre il suo scoramento, il bene è più della fede, e l'altro (la
relazione con l'altro) è più del bene.

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Commenti Articolo 837

Titolo articolo : AL DI LA' DELLA GUERRA: LA GLORIOSA ARTE DELLA PACE. La condizione umana ultima e la più favorevole al progresso. Intervista a John Gittings di Ennio Carretto,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: April/29/2012 - 18:59:00.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/4/2012 18.59
Titolo:. Gli italiani e le italiane hanno ripudiato il dio della guerra
ITALIA, 1945-2012: IERI COME OGGI ....

25 APRILE: FESTA DELLA LIBERAZIONE.

PER LA PACE E LA GIUSTIZIA...

L’ITALIA SI E’ LIBERATA DAL NAZIFASCISMO (1945) E DALLA MONARCHIA (Referendum, 1946).

L’ASSEMBLEA COSTITUENTE (CON LA PRESENZA DI 21 DONNE) HA RIPORTATO LA VITA SOTTO IL NUOVO SOLE DELLA BUONA LEGGE, DELLA NUOVA COSTITUZIONE (1948).

Gli italiani e le italiane hanno ripudiato il dio della guerra (Marte): non sono più figli e figlie della Lupa! Hanno conquistato la libertà e sono diventati cittadini-sovrani e cittadine-sovrane!

RIPRENDIAMO IL CAMMINO DEI NOSTRI PADRI E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI,

NON ALLONTANIAMOCI DALLA DIRITTA VIA E NON RICADIAMO NELLA SELVA OSCURA!!!

NON DIVENTIAMO ANCORA E DI NUOVO ANIMALI AL GUINZAGLIO DEI SACERDOTI E DELLE SACERDOTESSE DEL DIO DELLA GUERRA!!!

COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA:

Art. 3.

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 11.

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

SVEGLIAMOCI, SANIAMO LE NOSTRE FERITE!!!

NELLA TEMPESTA CHE CI CIRCONDA SEMPRE PIU’ E RISCHIA DI TRAVOLGERCI DEFINITIVAMENTE

TENIAMO FERMI I PRINCIPI DELLA NOSTRA SANA E ROBUSTA COSTITUZIONE!!!

Federico La Sala (24.04.2012)

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Commenti Articolo 838

Titolo articolo : IL NOME DEL BENE E IL NOME DEL POTERE. Dio non ha bisogno del sangue per salvare gli uomini, non è dunque Paolo il vero fondatore della Chiesa di Cristo. Una riflessione di Roberta Monticelli, sul libro ("Obbedienza e libertà") di Vito Mancuso,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: April/24/2012 - 12:54:21.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/4/2012 09.41
Titolo:Dire a nostra volta: “Io sono.” ...
La grande obbedienza della fede

di Jacques Noyer, vescovo emerito di Amiens

in “www.temoignagechretien.fr” del 22 aprile 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Troppo spesso si parla dell’atto di fede come di un abbassarsi: accettare di non comprendere, di non giudicare, accettare la superiorità di Dio o l’autorità della Chiesa. L’obbedienza della fede sarebbe quindi una rinuncia. I nostri contemporanei rifiutano per lo più questo atteggiamento da pecoroni, anche se, in altri ambiti, il “gregarismo” pone loro meno problemi...

La Bibbia ci parla di un Dio che dice di chiamarsi “Io sono, io esisto”. Nel capitolo 8 di Giovanni, Gesù ci dice: “Credete che Io sono.” Seguirlo, non è chiudere gli occhi. Seguirlo, è svegliarsi alla sua parola, uscire dalla tomba, decidere, assumere le proprie responsabilità, dire a nostra volta: “Io sono.”

La tradizione spirituale ha spesso sviluppato questo “risveglio” con parole brevi: il Fiat di Maria, l’Amen dei sacramenti, l’adsum dell’ordinazione, il Sì di Cristo. Tutte queste risposte ci mettono in piedi. A volte si è visto in esse della rassegnazione. Al contrario, è una mobilitazione del nostro essere. “Ci sono! Assumo la missione! Si può contare su di me.” Come per l’adolescente rannicchiato al calduccio, ci vuole una voce, una luce, un richiamo, per farci uscire dalla nostra sonnolenza. Per esistere, per vivere, abbiamo bisogno di un’urgenza, di un compito che non possiamo lasciare ad altri.

Certo, questo grido di fede sempre personale può unirsi ad altri in un “noi esistiamo”. La Chiesa è questo “noi ci siamo” che riunisce i credenti. Ma la storia ha mostrato la possibile deriva di una Chiesa in cui alcuni decidono del credere degli altri. L’obbedienza diventa una virtù passiva, un rifiuto di essere, una preoccupazione di non farsi notare. Non possiamo credere che sia a questa obbedienza che Benedetto XVI ha invitato i preti “disobbedienti” dell’Austria e di altri paesi. Se la Chiesa non accoglie più le indignazioni, le urgenze, le invenzioni che i suoi membri fanno sentire come grida di fede, allora è solo un’istituzione morta.

Gli apostoli hanno inteso la Resurrezione come un appello a prolungare la presenza di Gesù, a mobilitarsi per il suo progetto ad inventare le azioni necessarie per annunciare il Vangelo. La Chiesa ha avuto per molto tempo delle audace per le quali non ha chiesto permessi a Gesù. Perché dovrebbe “immobilizzarsi” oggi?

Come ogni gruppo umano, la Chiesa ha bisogno di una disciplina per evitare la presa di potere da parte di alcuni, per organizzare la diversità di queste grida, per assicurare la comunione nello stesso Vangelo. Ma non è lì che si situa la Grande Obbedienza della Fede. Dire “Sì” a questo Padre che ci autorizza ad essere a sua immagine, seguire il Figlio assumendo con lui la responsabilità del Regno, condividere lo Spirito che dà a tutti il diritto di essere e la libertà di inventare il futuro degli uomini, ecco la Grande Obbedienza.

Possa il “Padre Nostro” risuonare come una generosa risposta a colui che ci ha fatti figli eredi: il suo Nome è il nostro Nome, il suo Regno è il nostro Regno, i suoi obiettivi sono i nostri obiettivi. Sì, Padre, siamo i tuoi uomini!
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/4/2012 12.44
Titolo:IL VENTENNIO BERLUSCONIANO E LE RIFLESSIONI DI UN PARROCO ....
Un parroco e il ventennio B.B.

di don Giorgio Morlin (“settimana”, n. 15, 15 aprile 2012)

Stendo in libertà alcune riflessioni personali sull’onda mediatica delle miserande vicende d’interesse privato che toccano un personaggio politico di primissimo piano come Umberto Bossi e il partito della Lega Nord. Innanzitutto lui, un personaggio carismatico che, nell’immaginario collettivo, rappresenta da circa 25 anni una specie di totem tribale intoccabile, a cui si deve obbedienza cieca e a cui è permessa ogni forma di turpiloquio e d’insulto, di pernacchie e di minacce, E poi il movimento leghista, una folla sempre plaudente verso il capo e perennemente arrabbiata con l’intero mondo, partecipe di grotteschi riti pagani come le ampolle d’acqua del Po dentro un ridicolo campionario d’innumerevoli scemenze celtiche.

Il crollo del leader padano arriva puntuale dopo alcuni mesi dal crollo di un altro suo compare nazionale, quel Silvio Berlusconi che è riuscito a catturare per quasi due decenni il consenso di masse d’italiani osannanti. Cos’è successo all’Italia di fine ’900 e inizio 2000? Sembra impossibile, eppure è successo che, nel giro di nemmeno un ventennio, si sono tra loro miscelati due filoni culturali dirompenti, il leghismo e il berlusconismo. Due fenomeni, autonomi ma tra loro interdipendenti, che, dopo aver inoculato un virus eticamente letale, hanno plasmato un’opinione pubblica addomesticata, ad immagine e somiglianza dei due capi che godevano effettivamente di un largo consenso di massa.

Mentre cala squallidamente il sipario sulla scena politica dei due succitati leaders, la terribile miscela culturale-etica da loro innescata sembra ormai stabilmente metabolizzata dentro un tessuto civile senza anticorpi, determinando l’assimilazione di nuovi modelli collettivi di vita e di pensiero. Abbiamo visto un’Italia umiliata e mortificata da una molteplicità di truci slogans, contro i magistrati, contro inesistenti comunisti, contro Roma ladrona, contro gli immigrati, che infiammavano istericamente le masse ma impoverivano l’anima e l’identità del popolo italiano.

Fino a poco più di un anno fa, non solo la maggioranza del mondo cattolico ma anche una parte dell’istituzione ecclesiastica apparivano ammaliate dalla seducente sirena berlusconiano-leghista.

L’incantamento di una parte della Chiesa italiana probabilmente nasceva da una tacita e reciproca intesa in cui, sempre e comunque, gli uni lucravano qualcosa dagli altri. Dalla parte politica, si lucrava il consenso elettorale dei cattolici e, dalla parte ecclesiastica, si lucrava la difesa dei valori cosiddetti non negoziabili (famiglia, bioetica, scuola) ed eventuali altre prebende, magari anche di tipo economico.

In un’intervista al Corriere della Sera, mons. Fisichella, esponente ecclesiastico di rilievo, il 30 marzo 2010, dichiarava che la Lega Nord, «per quanto riguarda i problemi etici, manifesta una piena condivisione con il pensiero della Chiesa».

Poco dopo, alla suddetta intervista rispondeva lo scrittore Claudio Magris con una lettera aperta in cui, riportando solo qualche stralcio, si poteva leggere: «Caro mons. Fisichella, mi permetto di scriverle per esprimerle lo sconcerto che ho provato leggendo la sua recente intervista in cui lei dichiarava che il partito politico Lega Nord si fonda su valori cristiani. Non intendo esprimere alcun giudizio politico sul suddetto partito. Ma, tutto l’atteggiamento del medesimo partito nei con fronti degli immigrati costituisce la negazione dello spirito cristiano. La Lega spesso fomenta un volgare rifiuto razziale, che è la perfetta antitesi dell’amore cristiano del prossimo e del principio paolino secondo il quale "non ha più importanza essere greci o ebrei, circoncisi o no, barbari o selvaggi, schiavi o liberi; ciò che importa è Cristo e la sua presenza in tutti noi!" (cf. Col 3,11).

Questa lettera non è indirizzata alla Chiesa, ma ad uno dei tanti - ancorché autorevoli - suoi rappresentanti, le cui opinioni non possono essere addebitate alla Chiesa, ma possono destare sconcerto e scandalizzare non pochi fedeli» (Corriere dello Sera, 11 aprile 2010).

Come avrei desiderato leggere quest’inequivocabile presa di posizione dell’illustre intellettuale italiano, forse credente o forse agnostico, magari in uno dei tanti documenti magisteriali della Cei negli ultimi due decenni! È vero - dirà qualcuno -, basta leggere il Vangelo e la dottrina sociale della Chiesa. Appunto! Però, queste due primarie fonti dell’annuncio cristiano vanno riscoperte, attualizzate e storicizzate dentro le emergenze culturali ed etiche che segnano il nostro tempo, proclamando a voce alta, senza se e senza ma, valori quali la dignità umana, il rispetto per lo straniero, la giustizia, la legalità, il bene comune, l’etica pubblica... Questi, oltre naturalmente a quelli tradizionali predicati dalla Chiesa, sono o no da riconoscere come valori non negoziabili sui quali non si può e non si deve transigere?

In quest’ultimo ventennio italiano si è collettivamente dissolto quel nucleo portante di valori civili che, ad esempio, aveva efficacemente retto durante la gravissima emergenza del terrorismo negli anni 70. E proprio la Chiesa postconciliare dell’epoca, assieme a tante altre istituzioni, si era direttamente messa in gioco e a servizio della società italiana con l’obiettivo di ricostruire il tessuto sociale che rischiava la degenerazione della convivenza (cf. il profetico documento Cei La Chiesa italiana e le prospettive del paese del 1981!).

Nella prolusione del card. Ruini al Consiglio permanente della Cei (19 settembre 1994) veniva ufficialmente proclamato che il Progetto culturale della Chiesa italiana rappresentava «un terreno d’incontro tra la missione della Chiesa e le esigenze più urgenti della nazione!». Sante parole!

Invece, proprio a partire dal 1994, con la micidiale miscela berlusconiano-leghista, paradossalmente iniziava per l’Italia una lenta ma progressiva deriva etica che ha portato al disastro attuale. Certamente i tradizionali valori cari alla Chiesa (vita, scuola, famiglia) sono salvi! Però, rimane il forte disagio per una deriva antropologica già raggiunta in tanti ambiti, evidente soprattutto negli immorali e amorali modelli di vita, indotti anche da una certa politica che mette l’interesse privato al centro. Lo ha detto, finalmente con chiarezza, il card. Bagnasco, proprio negli squallidi giorni del bunga bunga berlusconiano: «La collettività guarda sgomenta gli attori della scena pubblica e respira un evidente disagio morale» (Consiglio permanente, 24 gennaio 2011).

Come cittadini e come credenti, è proprio da questo disagio morale che bisogna ripartire per farsi carico delle sorti della società e delle generazioni che verranno, dopo un ventennio triste e nefasto che ha reso irrespirabile l’aria della convivenza civile.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/4/2012 12.54
Titolo:UOMINI E DONNE CHE STANNO IN PIEDI. Bonhoeffer, un anniversario ...
Dietrich Bonhoeffer, un anniversario

di Xavier Charpe

in “www.baptises.fr” del 23 aprile 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

«Widerstand und Ergebung», «Resistenza e resa», è questo il titolo della raccolta di lettere scritte dalla prigione militare di Tegel dal pastore Dietrich Bonhoeffer. Questo giovane teologo luterano, dallo spirito acuto, si è impegnato a servizio della sua Chiesa come pastore, poi nella lotta per difenderla dall’influenza dei cristiani filonazisti, infine nella resistenza politica contro Hitler. Dopo il fallimento del tentativo di assassinio del 22 luglio 1944, sarà trasferito dalla prigione militare di Berlino a quella della Gestapo. Sarà il silenzio. Nella disfatta tedesca, Hitler vigilerà personalmente affinché tutti i congiurati siano trovati e giustiziati. Dopo un processo sbrigativo, fatto solo per l’apparenza, Bonhoeffer e i suoi compagni saranno impiccati nella notte tra l’8 e il 9 aprile 1945.

Quindi, quest’anno, il 67° anniversario della sua morte cadeva proprio il giorno di Pasqua. Impiccati, o più esattamente suppliziati: sono appesi in modo che la punta dei piedi tocchi il suolo; quando, estenuati, stanno per soccombere, li si rianima e si ricomincia. Un’agonia che viene fatta durare a lungo: come il sadismo della morte di coloro e di colui che è stato sospeso al legno della croce. Poi i corpi vengono bruciati, di modo che non ci sia sepoltura. Il vuoto di una non-tomba. I torturatori avevano la consapevolezza che, procedendo in quel modo, accomunavano Bonhoeffer e i suoi compagni ad un altro suppliziato, che Bonhoeffer aveva seguito, nel servizio e nell’obbedienza? Il giorno di Pasqua, quest’anno, mi è stato difficile non pensare a Dietrich e all’anniversario della sua “Pasqua”.

Tradurre «Widerstand und Ergebung» con «Resistenza e resa»*, è assolutamente corretto, poiché è il senso corrente di queste due parole. Ma vorrei far sentire le risonanze che vibrano dietro le parole tedesche.

«Wider-stand». In «stand» sento la radice «stehen», che non significa solo stare, ma “stare in piedi”. «Donne e uomini in piedi», perché è Cristo che li fa stare in piedi. Cristo, colui che era morto, che la morte aveva disteso a terra, ma che Dio Padre aveva rialzato, rimesso in piedi. È la parola greca «anastasis», che noi traduciamo con resurrezione. Dopo la disfatta dell’arresto e della morte sulla croce, ecco che i suoi discepoli sono rimessi in piedi, e, di conseguenza, rimessi «in cammino» quando erano già «distesi, a terra»; sanno che è Cristo che li ha rimessi in piedi; nella fede, sanno che Cristo è vivo presso il Padre. La vera prova che Cristo è vivo e che possono riconoscerlo come loro «Signore», è che Cristo li ha rimessi in piedi e che li fa vivere della sua vita con il suo Spirito.

«wider»: di fronte, davanti a. Uomini e donne che stanno in piedi e che «fanno fronte». Affrontare, affrontare il reale, affrontare la propria responsabilità davanti alla chiamata di Dio, davanti alla vocazione che ha voluto per noi e davanti alla quale sarebbe bene non tirarsi indietro. Far fronte nell’impegno e nella solidarietà con i propri fratelli. «Ascolta la mia chiamata, impegnati alla mia sequela sulla via su cui ti condurrò e di cui tu non conosci lo sbocco». Credete che impegnandosi nell’obbedienza e tentando molto semplicemente di fare ciò che doveva fare, Dietrich Bonhoeffer conoscesse lo sbocco del cammino al termine del quale egli sarebbe stato, qualunque cosa accadesse, nelle mani di Dio? «Solo colui che crede obbedisce; solo colui che obbedisce, crede», scriveva in «Nachfolge» (seguire Cristo). Stare in piedi e far fronte, nella responsabilità e nella fede in Cristo.

Affrontare il reale, non sfuggirlo, non credere che separandosi dalla vita si potrà incontrare Dio in non si sa quale “sacro”, affrontare la propria responsabilità davanti all’Altro e davanti a ciascuno degli altri che sono posti sul nostro cammino, affrontare la prova quando arriva, e come non potrebbe arrivare, un giorno o l’altro, a meno di prenderci per (o di pretenderci) dei privilegiati. Siamo «chiamati», certo, ma non a considerarci o a comportarci da privilegiati. Cristo si è fatto solidale con quelli che incontrava. Come potremmo noi sottrarci alla solidarietà? Far fronte, nella responsabilità.

«Ergebung». In «gebung», c’è la radice su cui è costruito il verbo «geben»: «dare». Più che la resa, c’è «l’abbandono», a condizione di sentire il dono, che è nella parte finale della parola. È questione del dono, del dono di sé, del dono della propria vita. Quando si è tentato, con la grazia di Dio, di stare in piedi, da donne e da uomini responsabili, accettando di obbedire alla chiamata di Dio, alla propria «vocazione», insomma quando si è tentato di stare in piedi alla sequela di Cristo, quando ciò che doveva essere fatto è stato fatto, allora ci si può abbandonare a Dio, mettere la propria vita nelle mani di Dio: «Tra le tue mani, Signore, rimetto il mio spirito». «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza».

Far fronte, in piedi, poi, quando arriva il tempo della prova, abbandonarsi a Dio, nelle sue mani. Occupiamoci della nostra vita. Dio saprà come occuparsi della nostra morte; almeno, è ciò che noi crediamo, se pensiamo che la nostra vita è stata nelle mani di Dio e che è da lì che è venuta la fecondità. Oso pensare che Dietrich Bonhoeffer abbia vissuto questa Pasqua.

* Ndr.: la traduzione in francese è “Résistance et Soumission” (resistenza e sottomissione).

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Commenti Articolo 839

Titolo articolo : La pistola puntata,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: April/24/2012 - 06:53:55.

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Autore Città Giorno Ora
elio cassano bari 24/4/2012 06.53
Titolo:Mi viene un dubbio
Ma ... non sarà che nelle scuole non la si insegna da decenni, forse da sempre, proprio allo scopo di non essere mai in grado di reclamare in suo nome??

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Commenti Articolo 840

Titolo articolo : 2 GIUGNO, RIPUDIAMO LA GUERRA,

Ultimo aggiornamento: April/23/2012 - 20:48:30.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/4/2012 20.48
Titolo:Gli italiani e le italiane hanno ripudiato il dio della guerra ...
ITALIA, 1945-2012: IERI COME OGGI ….
25 APRILE: FESTA DELLA LIBERAZIONE.
PER LA PACE E LA GIUSTIZIA…


L’ITALIA SI E’ LIBERATA DAL NAZIFASCISMO (1945) E DALLA MONARCHIA (Referendum, 1946).

L’ASSEMBLEA COSTITUENTE (CON LA PRESENZA DI 21 DONNE) HA RIPORTATO LA VITA SOTTO IL NUOVO SOLE DELLA BUONA E NUOVA LEGGE, DELLA
NUOVA COSTITUZIONE (1948).

Gli italiani e le italiane hanno ripudiato il dio della guerra (Marte): non sono più figli e figlie della Lupa!
Hanno conquistato la libertà e sono diventati cittadini-sovrani e cittadine-sovrane!

RIPRENDIAMO IL CAMMINO DEI NOSTRI PADRI E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI,
NON ALLONTANIAMOCI DALLA DIRITTA VIA E NON RICADIAMO NELLA SELVA OSCURA!!!

NON DIVENTIAMO ANCORA E DI NUOVO ANIMALI AL GUINZAGLIO DEI SACERDOTI E DELLE SACERDOTESSE DEL DIO DELLA GUERRA!!!

COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA:

Art. 3.

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 11.

L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

SVEGLIAMOCI, SANIAMO LE NOSTRE FERITE!!! NELLA TEMPESTA CHE CI CIRCONDA SEMPRE PIU’ E RISCHIA DI TRAVOLGERCI DEFINITIVAMENTE

TENIAMO FERMI I PRINCIPI DELLA NOSTRA SANA E ROBUSTA COSTITUZIONE!!!

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Commenti Articolo 841

Titolo articolo : "Se la Chiesa conoscesse il Signore".,di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: April/23/2012 - 16:08:58.

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Autore Città Giorno Ora
Giovanni Castelli Ravenna 23/4/2012 16.08
Titolo:Sono d'accordo
Ma la gerarchia è fatta dagli uomini della generazione passata e formata dalla generazione precedente; la cultura e la visione del mondo e della Chiesa è ancora quella di una volta, e cambiare non è facile. E' il pensiero cristiano nel mondo che piano piano farà cambiare il modo di ragionare della gerarchia, se a esprimere queste considerazioni non sono solo pochi cristiani ma una bella maggioranza allora le cose cambieranno.

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Commenti Articolo 842

Titolo articolo : VESCOVO DI ANVERSA: «MI PIACEREBBE ORDINARE UOMINI SPOSATI»,da Adista Notizie n. 15 del 21/04/2012

Ultimo aggiornamento: April/23/2012 - 08:24:21.

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Autore Città Giorno Ora
Ernesto Miragoli Como 23/4/2012 08.24
Titolo:IL SEME SOTTO LA NEVE
Leggo l'intervento del vescovo di Anversa come una delle tante piacevoli aperture dei singoli Pastori verso un tema che noi preti sposati portiamo avanti da anni, senza pretese di voler insegnare nulla a nessuno e con il convincimento che la riforma della chiesa cattolica passa anche attraverso questa possibilità. Si potrebbe stare a sottilizzare sul fatto che il vescovo apra all'ordinazione di uomini sposati (e non parli di donne) o che affronti la tematica del sacerdozio ministeriale riducendola ancora al concetto di ordinazione, ma - a mio avviso - non è importante stare ad allargare il discorso. E' importante cogliere l'apertura. Il seme che sembrava sepolto sotto il ghiaccio, rimane sotto la neve, ma forse si sta un poco schiudendo. Da anni ci rendiamo disponibili ad un confronto con i Pastori di buona volontà per esaminare il problema dell'evangelizzazione e della sacramentalizzazione attraverso persone a ciò deputate. Molti di noi sono ben consapevoli che non si può in un batter d'occhio cancellare tradizioni e mentalità, ma occorre studiare i problemi e cercare le soluzioni. Il concetto di evangelizzazione è sostanziale nel messaggio cristiano:"Andate e fate mie discepole tutte le creature battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo", disse Gesù agli apostoli e, da allora, moltissimi credenti si sono impegnati ad annunciare la Buona Novella ed a siglare i credenti nel nuovo annuncio con il nome di Gesù Cristo. Dagli "ipsissima verba Jesu" non si deduce che Gesù abbia indicato per la missione persone di sesso maschile e rigorosamente celibi e quindi è bene che si parta insieme (Pastori della chiesa e credenti che intendono collaborare per risolvere anche questo problema pastorale) da qui per un percorso che potrà trovare modalità interpretative diverse, ma che deve avere un unioco obiettivo: l'annuncio del messaggio di liberazione da ogni schiavitù.
Il vescovo di Anversa ha espresso un auspicio che penso che non solo i preti sposati accolgano favorevolmente, ma che sono certo troverà piacevole accoglienza verso moltissimi fedeli che s'attendono dai Pastori segnali forti e decisi per una riforma ecclesiale della quale, da diverse parti, si sente sempre maggiore urgenza.

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Commenti Articolo 843

Titolo articolo : VERITA', VANITA', E "CHARITAS": LA CHIESA (E NON SOLO L'ITALIA) E' A UN BIVIO. Una nota del teologo e cardinale Bruno Forte, amico del Papa e della Confindustria (più che della Verità), su "Il Sole-24 Ore" di oggi - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: April/19/2012 - 22:32:35.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/3/2012 15.11
Titolo:MORALE E POLITICA. UNA RIFLESSIONE SULLA LEZIONE DI DOSSETTI ....
GIUSEPPE DOSSETTI (1913-1996)

C’è una morale nella politica

di Sergio Zavoli (Il Sole 24 Ore - Domenicale, 11 marzo 2012)

Avrebbe novantanove anni, nacque nel febbraio del 1913, è stato tra i personaggi centrali della democrazia repubblicana sorta sulle macerie del fascismo, il suo pensiero politico e la sua essenza civile e morale stanno ancora attraversando l’identità di un cattolicesimo che ha il suo esordio storico quando i cattolici, nella riconquistata libertà, consolidano laicamente la scelta democratica di Sturzo.

È appena il 1945 quando - mentre De Gasperi interpreta la necessità di dar vita a una economia di mercato - Dossetti propende per una libertà politica cui va affiancata un’economia anche statale in grado di garantire la tutela dei ceti subalterni, ovviamente deboli rispetto al potere condizionante delle grandi forze economiche. Dossetti scrive: «La Democrazia cristiana non vuole e non potrà essere un movimento conservatore», attirandosi qua e là addirittura il sospetto di voler far sua la distinzione di Maritain tra fascismo e comunismo. Mentre il primo, cioè, andava considerato una forza estranea agli ideali cristiani in quanto perseguiva un ideale di Stato-guida, che permea di sé tutto, dalla cultura agli ordinamenti, al cittadino sacrificato all’individuo; il secondo è visto come una sorta di "eresia cristiana", cioè un sistema che richiama lontanamente originarie ispirazioni comunitarie. D’altronde fu Berdjaef, il filosofo russo espulso dall’Urss nel 1922, a dire che il comunismo doveva intendersi come «la parte di dovere non compiuta dai cristiani».

Ma Dossetti tende alla qualità di una scelta ben più radicale e autentica, che ne farà un testimone scomodo, talvolta persino mal tollerato, di quanto si può dare alla politica senza farlo venir meno alla morale, al pragmatismo senza sottrarlo ai principi, al cittadino senza privarlo della persona.

Chi non ha in mente questa fedeltà laica e insieme religiosa al primato dell’uomo, quello della sua intrinseca e libera dignità personale, stenterà a farsi largo negli aspetti non di rado impervi - per esempio della dignità sacerdotale - di don Giuseppe Dossetti. Non a caso egli fa coincidere l’unicum cui si ispira affrontando la politica come il momento in cui si diventa responsabili personalmente di ciò che scegliamo per l’orientamento di noi stessi e nei confronti degli altri.

Ecco, allora, la base su cui poggiare il peso della scelta: la norma costituzionale dell’eguaglianza tra i cittadini, da perseguire attraverso la ricerca e la messa a punto di un modello di statualità sottratta, insieme, alla vischiosità della conservazione borghese e a una giustizia sociale i cui costi gravino sulle libertà personali; nell’assoluta preminenza dei diritti inalienabili di un uomo partecipe della speranza collettiva - laica, razionale, organizzata dalla politica dentro la storia - ma nella intangibile responsabilità della risposta individuale.

Si è detto di Dossetti che aveva i principali nemici, per paradosso, nelle sue idee. Certo, voler trarre da una vocazione originale e rigorosa un patrimonio di principi da comunicare a masse di cittadini comportava un’impresa virtuosa e pedagogica tale da scontrarsi con quel bisogno di duttilità e tolleranza che la gran parte di un popolo appena rinato alla democrazia coltivava nel limbo di una coscienza civile ancora confusa; in cui, per legittimarsi anche spiritualmente, bastava esibire l’alibi del «perché non possiamo non dirci cristiani», di crociana memoria, per indispettire chiunque intendesse la lotta politica come un esercizio fondato sulla pregiudiziale anti-comunista, e da tenere in sospetto una parte della stessa sinistra, la quale si sentiva insidiata nella sua dimensione più difficile, quella dell’autocritica filosofica e pragmatica.

Questi condizionamenti non giovarono all’immagine pubblica di Dossetti, ma al tempo stesso ne esaltarono la dimensione, per dir così, più sottesa e costosa. Tra gli uomini che hanno rifondato lo spirito democratico del nostro Paese è quello che ha reso più manifesto il significato morale del far politica, seppure alzandolo a un tale livello di esemplarità da essere, non di rado, irriconoscibile. Forse si fa torto al politico, ma quanto gli si toglie nella sfera pubblica alla sfera pubblica ritorna proprio attraverso quella privazione: è il paradosso-Dossetti, la sua storia e la sua coscienza. Pochi eletti, di quegli anni e dopo, hanno uniformato i propri gesti all’esigente esemplarità di quella lezione. Dossetti ne fu così consapevole che prese su di sé, assumendolo nel suo animo, il segno di contraddizione che egli stesso aveva finito per rappresentare. E quando cominciò a capire che la parola, passando per strade e piazze spesso votate alla facilità degli slogan, all’intelligenza pratica e quindi alla realtà del giorno per giorno non suscitava più le risposte che avrebbe voluto udire, la portò nel deserto e ne rimase paziente, incorruttibile custode.

Così aveva descritto il senso di quel viaggio fruttuoso: «Il mio sacerdozio è nato da uno sbocco credo coerente con la vita che già conducevo, una vita consacrata nell’intenzione e nella forma al dominio dell’orazione sull’azione tutta orientata a diffondere tra i laici cristiani una formazione che stesse a monte del pensiero socio-politico e che lo sanasse continuamente dai suoi pericoli: perché il pensiero politico è continuamente insidiato da grandi pericoli». E subito dopo, per ricomporre nella sua fondamentale unità il senso dell’altra scelta, aggiungerà: «Noi non siamo monaci, conduciamo una vita molto simile, o quasi integralmente eguale alla vita dei monaci, però negli istituti monastici tradizionali non mi riconosco».

Nasceva qui, non sentendosi espulso dalla politica, ma riconoscendone i legittimi limiti temporali, la necessità di radicare in un certo luogo - con una testimonianza tangibile anche per i significati di memoria e di lascito - la scelta definitiva di Monte Sole come riferimento e irradiazione verso la Palestina, l’Oriente, le cento terre, le cento patrie, le cento paci promesse. Monte Sole è una sorta di vulcano alla rovescia, dove si è compiuta una violenza senza tempo, in quanto consumata davanti al giudizio di Dio. È quindi il luogo della preghiera continua, per un perdono senza soste.

Qui Dossetti vuole un radicamento e si conforma a una regola. Egli è «uomo delle regole». Prima del presbiterio viene da una cultura giuridica, sa che la civiltà del diritto si fonda sul "contratto". Occorre regolare quel "contratto": nella Costituzione come nel Concilio, come nella stessa "piccola regola" che si darà il monastero di Monte Sole. Un "contratto" che rimetta insieme, anzitutto, storia ed etica, politica e morale, non per trasferire nella vita civile quello che ricavi dalla vita religiosa. Non è integralismo, né zelo, né mera virtù: si tratta di rivivere la dimensione pubblica secondo il principio della condivisione e della solidarietà.

C’è un fascino di Dossetti che sta anche in questo continuo contemplare e agire, nel mettere in crisi ciò a cui pensa per sottoporlo alla prova di ciò in cui crede. Egli vedeva, in lontananza, una grande crisi religiosa, anche di cristianità, forse per l’insorgere di culture pragmatiche, dispensatrici di straordinari sollievi terreni, spesso ingannevoli e persino alienanti. Anche di qui il suo sguardo all’Oriente, in cerca di una grande scaturigine di religiosità, da cui attingere per nutrire un grembo vasto, limpido, universale. C’è un enigma nell’aver visto queste distanze, e concepito quel viaggio, dal suo stare a Monteveglio, il piccolo centro della sua intoccabile, appartata totalità. «Non è possibile purificarsi da solo o da soli; purificarsi, sì, ma insieme; separarsi per non sporcarsi è la sporcizia più grande». Sono parole di Tolstoj e don Giuseppe le sa a memoria.

La parte finale della sua vita è stata giudicata una fuga dal mondo. Dossetti stesso annotava: «E qualcuno (anche tra cattolici e persino teologi) parla della vita monastica non solo come di "fuga dal mondo", ma persino dalla Chiesa». E qui è possibile cogliere una conclusione: «Al termine di ogni via c’è l’unico e definitivo mistero di Gesù di Nazareth, figlio di Dio e figlio di Maria, che con la sua croce e la sua morte volontaria, gloriosa e vivificante, è divenuto il primogenito dei morti aprendo per noi la via della Risurrezione».

Dossetti chiuderà il suo libro, lacerato e di nuovo riunito dalla sua totalità, il 15 dicembre del 1996. Credenti e non credenti parteciperanno alle esequie in gran numero. Intorno alla bara, per un tratto della cerimonia funebre, si alterneranno vecchi partigiani con i loro nipoti e pronipoti, i nuovi bambini della comunità; laicamente destinati a capire i valori anche civili che lo spirito, secondo Dossetti, sa mettere nella storia. La quale forse non si ripete, ma quanto disse e visse Dossetti somiglia ancora a non poche questioni che si presentano davanti alla Chiesa e ai cattolici nella dimensione globalizzata dei problemi. La centralità dell’uomo, l’etica associata allo sviluppo, la relazione tra uomo e ambiente, le connessioni tra diritti umani e civili, la lotta agli egoismi vecchi e nuovi, la salvaguardia delle diverse identità, il dialogo tra le culture religiose, la laicità dello Stato e della politica, sono temi che investono anche la teologia cattolica e la pratica dei credenti, la loro visione della società e delle relazioni umane. Tutto ciò nel segno della prima delle regole: la ricongiunzione del cittadino con la persona, della politica con la moralità, dello Stato con l’interesse del popolo.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/3/2012 18.03
Titolo:ESSERE CRISTIANI. L’occasione sprecata dalla Chiesa
Hans Küng, l’occasione sprecata dalla Chiesa

di Enzo Bianchi (La Stampa, 11 marzo 2012)

C’ è da rallegrarsi a ritrovare nelle librerie un’opera come Essere cristiani di Hans Küng (Rizzoli, pp. 936, € 25), a quasi quarant’anni dalla prima pubblicazione: «un’introduzione all’essere cristiani [...], una piccola “summa” della fede cristiana», secondo le parole stesse dell’autore, volta a presentare «non un Vangelo diverso, ma lo stesso Vangelo di sempre, riscoperto per il nostro tempo». Un’analisi densa e articolata del cristianesimo a partire dal Gesù storico e dal suo annuncio della «buona notizia», una ricerca condotta con competenza e grande sensibilità ecumenica da un allora giovane teologo cattolico che aveva partecipato al Concilio Vaticano II come esperto.

Küng era e rimane un appassionato di Cristo, un credente convinto che il Vangelo possa parlare al cuore e alla mente di uomini e donne di ogni tempo e di ogni cultura, un pensatore che non teme di affrontare le sfide del dialogo con la ragione e con le altre religioni. E l’impatto profondo che questa sua opera ha avuto presso tanti cristiani e anche presso chi era estraneo alla Chiesa o si era ritirato ai margini di essa ne sono una prova inequivocabile. Parlo di «impatto» e non di «successo» perché se sui numeri delle copie vendute di un libro possono incidere tanti fattori contingenti o meno, anche estranei al contenuto, sugli effetti duraturi che un’opera può avere e sull’arricchimento personale che riesce a offrire anche a distanza di anni solo il messaggio del testo può influire.

In questo senso Küng non solo espone «una» possibile introduzione al cristianesimo - per quanto ricca e documentata - ma, attraverso di essa, lascia trasparire la passione di una ricerca assidua del radicalismo evangelico, comunica a un largo pubblico il clima spirituale e la volontà di dialogo che hanno segnato la feconda stagione della Chiesa nel postconcilio, getta squarci di luce su orizzonti di speranza.

Certo, Essere cristiani è stata e rimane anche un’opera altamente controversa: assieme ad altri suoi testi di quella stagione gli valse il ritiro della missio canonica per l’insegnamento della teologia nelle facoltà cattoliche, senza tuttavia che si giungesse a una condanna nei confronti dell’autore e della sua teologia.

La complessità dei problemi sollevati, la durezza di certi accenti polemici, l’incomprensione reciproca ha portato a scavare un fosso sempre più ampio tra Küng e il magistero cattolico. E proprio qui il rammarico si unisce al compiacimento per la riedizione di Essere cristiani. Sì, perché questo testo fa toccare con mano la grande opportunità che non si è saputo o potuto cogliere. Il teologo svizzero, infatti, proponeva «una introduzione [all’essere cristiani]: un’introduzione diversa o diversamente orientata non incorre nella scomunica, ma chiede invece un po’ di tolleranza».

La scomunica non è giunta, ma anche la tolleranza è rimasta latitante: poteva innescarsi un dialogo estremamente fecondo all’interno della Chiesa stessa, un dialogo magari anche aspro, che avrebbe però arricchito dal di dentro la comunità dei credenti alla quale Küng non ha mai smesso di appartenere. Invece si è acconsentito a un progressivo estraniamento della ricerca teologica di Küng dal cuore del messaggio cristiano e, soprattutto, dal contesto cattolico. Normale e positivo progresso di una ricerca teologica libera e indipendente? Forse è stato così dal punto di vista dell’autore.

Dal punto di vista della comunità cristiana, non solo cattolica, del suo cammino ecumenico, della sua ricerca di sempre maggiore fedeltà al Vangelo, si è trattato piuttosto dell’incrinarsi di una voce dovuta alla perdita di autorevolezza oggettiva (quella soggettiva è rimasta intatta, anzi, si è forse rafforzata): le posizioni di Hans Küng, così stimolanti per i cristiani di oggi e per l’uomo contemporaneo, non hanno più avuto come luogo di confronto e di risonanza la comunità cattolica in quanto tale.

Eppure i problemi sollevati nell’opera - il ruolo della parola di Dio, il significato del Gesù storico, la funzione dell’autorità, le modalità dell’esercizio del ministero presbiterale, ildialogo ecumenico e con le altre religioni, l’apertura al mondo... restano ineludibili ancora oggi e la riflessione teologica ha tuttora da guadagnare a tener conto dell’analisi acuta e tagliente di Küng.

Non a caso, la breve prefazione alla nuova edizione di Essere cristiani si chiude con la medesima frase posta a sigillo dell’edizione originale del 1974, affermazione definita dall’autore stesso «il mio credo»: «Seguendo Gesù Cristo l’uomo nel mondo d’oggi può vivere, agire, soffrire e morire in modo veramente umano: nella felicità e nella sventura, nella vita e nella morte, sorretto da Dio e fecondo di aiuto per gli altri». Sì, la sequela cristiana, il camminare sulle tracce di Gesù di Nazaret che ha narrato Dio può avere senso per l’uomo di ogni tempo e cultura, per la riscoperta dell’umanità che lo abita: colui che la fede confessa come «vero Dio e vero uomo» restituisce all’uomo la sua qualità e dignità più profonda.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/4/2012 22.32
Titolo:Bruno Forte, un cammino drammatico e luminoso..
Benedetto XVI, un cammino drammatico e luminoso

di Bruno Forte
in “Il sole 24 Ore” del 19 aprile 2012


Sedici e 19 aprile sono due date importanti nella vita di Joseph Ratzinger, Benedetto XVI. La prima
è quella della nascita, a Marktl am Inn in Baviera, ottantacinque anni fa. La seconda è la data
dell\\\\\\\'elezione al pontificato, nel 2005. Entrambe le ricorrenze hanno suscitato un\\\\\\\'ondata di
attenzione, di auguri da parte dei grandi della Terra, di innumerevoli messaggi di affetto, di segnali
di tenerezza e di fiducia dai piccoli e dagli umili di ogni parte del mondo.

Le due date sono anche
un\\\\\\\'occasione di riflessione e di bilancio per l\\\\\\\'impatto di questo pontificato, che già segna di sè la
storia. È il filone che vorrei seguire, chiedendomi quali caratteri fondamentali presenti l\\\\\\\'opera di
questo Papa e che cosa essa vada soprattutto dicendo alla Chiesa e al mondo. Non esiterei a definire
la vita e il pontificato di Benedetto XVI con due aggettivi, che li caratterizzano come un cammino
inseparabilmente drammatico e luminoso.


L\\\\\\\'aspetto drammatico dell\\\\\\\'esistenza di Joseph Ratzinger e della Sua azione quale Successore di
Pietro risulta evidente se solo si pensa al contesto storico dei Suoi giorni: nato ai tempi della
Repubblica di Weimar, l\\\\\\\'attuale Papa ha vissuto molto presto gli anni sconvolgenti della dittatura
nazionalsocialista e della guerra. Educato da genitori saldamente credenti, ha appreso con
naturalezza la diffidenza verso le menzogne del potere, che lo ha portato da giovanissimo studente a
dichiarare apertamente a chi con la forza del potere avrebbe voluto arruolarlo nelle file del regime
che i suoi progetti erano totalmente diversi, perché nel suo cuore sentiva di essere chiamato al
ministero di perdono e di carità del sacerdozio.

La reazione violenta che seguì a quella dichiarazione non smosse minimamente la fermezza del
giovane Ratzinger, tanto che egli venne destinato a ruoli secondari e \\\\\\\"insignificanti\\\\\\\" nella difesa
contraerea. Al dramma del totalitarismo seguì l\\\\\\\'esperienza non meno difficile del dopoguerra, della
Germania divisa fra i due blocchi, di un Occidente attraversato dalle contrapposizioni ideologiche e
dal vento della contestazione del \\\\\\\'68.

Il giovane sacerdote, professore di teologia, non cedette alle mode, e - come aveva lucidamente
rifiutato da ragazzo la barbarie ideologica - così continuò a opporsi alle semplificazioni di letture
ispirate ai \\\\\\\"grandi racconti\\\\\\\" delle ideologie, matrici di violenza e di strumentalizzazioni della
dignità umana.

Accanto a Giovanni Paolo II il Card. Ratzinger fu l\\\\\\\'amico, il consigliere lucido e
discreto, il compagno di viaggio messo al fianco del Mosé che Dio aveva scelto per attraversare il
guado fra i due millenni. Gli scenari dello \\\\\\\"scontro di civiltà\\\\\\\" dell\\\\\\\'inizio del nuovo Millennio hanno
ulteriormente accentuato il senso drammatico dei processi in atto, di cui Papa Benedetto ha
mostrato di avere precisa consapevolezza pronunciando sin dall\\\\\\\'inizio il suo \\\\\\\"no\\\\\\\" deciso a ogni uso
della violenza in nome di Dio, sia in forza della ragione rettamente adoperata, sia in forza della fede
nell\\\\\\\'unico Padre e Signore di tutti.

Ma il dramma ha attraversato anche dal di dentro la Chiesa: è la crisi della fede su cui questo Papa
si è espresso con singolare chiarezza e determinazione. «Quando annunciai di voler istituire un
Dicastero per la promozione della nuova evangelizzazione - affermava Benedetto XVI il 30 maggio
del 2011 -, davo uno sbocco operativo alla riflessione che avevo condotto da lungo tempo sulla
necessità di offrire una risposta particolare al momento di crisi della vita cristiana, che si sta
verificando in tanti Paesi, soprattutto di antica tradizione cristiana».

La crisi non è quella di
superficie che possa toccare l\\\\\\\'una o l\\\\\\\'altra struttura della Chiesa, ma quella che va alla radice
dell\\\\\\\'intera esistenza credente. Si tratta di quella «perdita del senso del sacro, che giunge a porre in
questione i fondamenti che apparivano indiscutibili, come la fede in un Dio creatore e provvidente,
la rivelazione di Gesù Cristo unico salvatore, e la comune comprensione delle esperienze
fondamentali dell\\\\\\\'uomo quali il nascere, il morire, il vivere in una famiglia, il riferimento a una
legge morale naturale».


Davanti agli scenari del dramma in atto, Benedetto XVI non cede alla rinuncia o al pessimismo: egli
non esita ad annunciare il grande \\\\\\\"sì\\\\\\\" di Dio risuonato in Gesù Cristo, e a proporre ragioni di vita e
di speranza che rendano sensata la vita e bello l\\\\\\\'impegno per il bene di tutti. Si tratta di un
messaggio luminoso, che mira a promuovere e sostenere uno straordinario sforzo di rinnovamento
della vita cristiana ed ecclesiale: come aveva affermato da giovane professore di teologia, la riforma
«non consiste in una quantità di esercizi e istituzioni esteriori, ma nell\\\\\\\'appartenere unicamente e
interamente alla fraternità di Gesù Cristo...Rinnovamento è semplificazione, non nel senso di un
decurtare o di uno sminuire, ma nel senso del divenire semplici, del rivolgersi a quella vera
semplicità...che in fondo è un\\\\\\\'eco della semplicità del Dio uno. Diventare semplici in questo senso -
questo è il vero rinnovamento per noi cristiani, per ciascuno di noi e per la Chiesa intera» (Il nuovo
popolo di Dio, Brescia 1971, 301. 303).

L\\\\\\\'autentica riforma voluta da questo Papa è, insomma, quella della conversione evangelica, la sola
capace di riportare la Chiesa alla bellezza originaria e di farla risplendere come segno levato fra i
popoli. Sarà da questo ritrovato riconoscimento del primato di Dio confessato e amato - cui
precisamente punta l\\\\\\\'anno della fede indetto per il 2012-2013 - che verrà la nuova primavera della
Chiesa e del mondo, di cui gli uomini hanno immensa necessità e urgenza: «Ciò di cui abbiamo
soprattutto bisogno in questo momento della storia - aveva detto qualche settimana prima di
diventare Papa - sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta rendano Dio credibile in
questo mondo. La testimonianza negativa di cristiani che parlavano di Dio e vivevano contro di Lui,
ha oscurato l\\\\\\\'immagine di Dio e ha aperto la porta dell\\\\\\\'incredulità. Abbiamo bisogno di uomini che
tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il
cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto
possa parlare all\\\\\\\'intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto
attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini» (Subiaco, 1 Aprile
2005).

Tale è in prima persona questo Papa: e il riconoscimento sempre più ampio che gli viene tributato
sta a dire che la forza della verità, da lui amata e servita, si irradia di per sé, attraverso la mitezza del
gesto e la semplicità della vita, la forza dei ragionamenti e l\\\\\\\'ascolto dell\\\\\\\'altro, la testimonianza
coraggiosa e la speranza vissuta. Che tutto questo raggiunga e illumini tante menti e tanti cuori è
l\\\\\\\'augurio più vero, certo il più gradito, che possiamo fare all\\\\\\\'ottantacinquenne Papa, giovane di
appena sette anni di pontificato...

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Commenti Articolo 844

Titolo articolo : ELEANOR MARX E ELSA FORNERO,di Mario Pancera

Ultimo aggiornamento: April/17/2012 - 22:09:29.

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Autore Città Giorno Ora
Nicola Vazzola Mira (Oriago) provincia di Venezia 17/4/2012 22.09
Titolo:Grande Eleanor!
Ho pochi commenti da fare, conoscevo la sua storia ed il suo coraggio che dovrebbe essere d' esempio a tante/tanti, perché sono un ex operaio e da quasi trent'anni socio sostenitore di " Lotta Comunista". Suo marito sono quasi centocinquant'anni che cercano di seppellirlo, ma anche pestando forte la terra della tomba, il suo spettro riemerge sempre, evocato dal capitalismo più becero ogni giorno che passa.
Con simpatia. Vazzola Nicola.

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Commenti Articolo 845

Titolo articolo : IL SEGNO PROGRAMMATICO DEL PONTIFICATO DI BENEDETTO XVI. IL CARDINALE RAVASI (COME TTUTTI GLI ALTRI CARDINALI) SONO D'ACCORDO CON IL SEGRETARIO DEL PAPA. Un'intervista a Monsignor Georg Gaenswein di Marco Ansaldo - con alcune note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: April/17/2012 - 16:27:04.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/4/2012 16.27
Titolo:DIMISSIONI POSSIBILI .....
Ratzinger e quelle dimissioni possibili

Monsignor Bettazzi torna a parlarne come di “un’ipotesi concreta”

di Luca de Carolis (il Fatto, 17.04.2012)

Quell’ultimo tratto di strada “potrebbe essere quello fino alle dimissioni”. E comunque, Benedetto XVI potrebbe lasciare “solo dopo aver finito il libro su Gesù”. Monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, descrive come un’ipotesi concreta le dimissioni di Joseph Ratzinger. E lo dice ai microfoni di “Un Giorno da pecora”, programma su Radio2 dove già due mesi fa aveva parlato di un “Papa pronto a dimettersi, perché molto stanco”.

Non solo per l’età: “Di fronte ai problemi che ci sono, forse anche di fronte alle tensioni che ci sono all’interno della Curia, potrebbe pensare che di queste cose se ne occuperà il nuovo pontefice”. Una replica, neanche troppo indiretta, a smentite, versioni ufficiali e silenzi imbarazzati sulle lotte di potere in Vaticano, puntualmente raccontate dal Fatto. Scontri a colpi di documenti e veti incrociati, che hanno amareggiato e logorato Benedetto XVI. Un’amarezza lucida, su cui peserebbero anche ricordi dolorosi.

Pochi giorni fa, a Tg2 dossier, ancora Bettazzi aveva raccontato possibili e fragorose verità: “Il Papa potrebbe dare le dimissioni, prima che arrivi quel momento in cui non è più il pontefice a guidare la Chiesa. Ha visto gli ultimi anni di Giovanni Paolo II, e sapeva che lui voleva dare le dimissioni ma non gliel’hanno lasciate dare. Io gli auguro lunga vita e lucidità, ma se Benedetto XVI si accorgesse che le cose stanno cambiando, avrebbe il coraggio di dimettersi”. Ratzinger insomma non accetterebbe di continuare da simbolo vivente, svuotato però di effettivi poteri. E potrebbe lasciare, prima che a governare di fatto la Chiesa sia qualcuno non eletto al soglio pontificio .

Ieri il vescovo di Ivrea ha ribadito: “Il Papa è molto stanco, e può darsi che dica: ‘Piuttosto che un pontefice stanco, lasciamo che ne venga uno nuovo, che continui con vigore la purificazione della Chiesa che Ratzinger ha iniziato e che gli sta tanto a cuore’”.

Ma quando? Bettazzi precisa: “Il pontefice vuole prima finire il libro su Gesù, gli preme tanto. I giornali dicono che lo finirà a dicembre , ma può essere anche che approfitti dell’estate per finirlo prima”. Poi da scrivere ci sarebbero il futuro di un Papa e della Chiesa. Guidata da un intellettuale che potrebbe anche scegliere di dedicarsi solo ai suoi libri. Bettazzi cita come possibili papabili “Scola, Ravasi, Bertello”. Ma conclude: “Lasciamo fare ai cardinali”. Chiaro e semplice. Come certe verità difficili da dire.

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Commenti Articolo 846

Titolo articolo : RINASCERE SI PUO', ANCHE AD 85 ANNI! AUGURI A PAPA RATZINGER DI BUON COMPLEANNO. Una nota dell'Osservatore Romano - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: April/17/2012 - 10:17:13.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/4/2012 12.16
Titolo:Nati da Dio, siamo Cristo risorto. Pace a voi ...
Noi siamo Cristo risorto!

di Raymond Gravel

in “www.lesreflexionsderaymondgravel.org” del 13 aprile 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Per 50 giorni, o meglio 49 giorni (7x7), la Chiesa dispiega la festa di Pasqua. Questo tempo termina il 50° giorno, che si chiama Pentecoste. Sant’Attanasio diceva infatti che c’è solo un’unica domenica di Pasqua che si prolunga fino a Pentecoste. Così, se è vero che senza Pasqua non ci sarebbe mai stato Natale, sappiamo che prima di essere annuale, la celebrazione pasquale fu, per i primi cristiani, settimanale: ogni domenica era un memoriale della Resurrezione del Signore. Solo nel II secolo la Chiesa ha scelto di celebrare ogni anno la festa di Pasqua. Ma in realtà, ogni domenica è Pasqua, poiché celebriamo il memoriale della morte-resurrezione di Cristo.

Purtroppo, nella Chiesa cattolica, a partire dal XVI secolo, nel conflitto con i Protestanti, si è talmente insistito sul sacrificio della messa che ci ricorda il sacrificio della croce, che si è messo in secondo piano il memoriale della Resurrezione. Eppure non si possono separare le due cose: la messa, cioè l’Eucaristia è il memoriale della morte-resurrezione di Cristo, ed è quindi la festa di Pasqua.

Oggi i testi biblici che ci sono proposti sono ricchi di senso e di significati. Eccone alcuni:

1. L’ideale della Chiesa primitiva. Nella prima lettura di oggi, nel libro degli Atti degli Apostoli, abbiamo il secondo sommario di tre, sull’ideale proposto dai primi cristiani. Questo sommario riprende ciò che era stato il tema del primo: la predicazione apostolica ed il suo successo presso le folle (Atti 4,33). Luca inserisce questo versetto tra due descrizioni della vita interna della comunità cristiana:

“La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune” (Atti 4,32).

“Nessuno tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli. Poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno” (Atti 4,34-35).

Queste due descrizioni del vissuto dei primi cristiani possono sembrare irrealistiche ed utopistiche, ma si tratta invece di un ideale proposto dalla Chiesa primitiva, a partire dal concetto dell’amicizia greca vantata da Aristotele: “Gli amici hanno una sola anima tra loro e i beni sono proprietà comune”, e a partire da una rilettura del libro del Deuteronomio sulla ripartizione della ricchezza:

“Non vi sarà alcun bisognoso in mezzo a voi” (Dt 15,4).

È evidente che tanto tra i primi cristiani che tra i cristiani di oggi c’è una grande distanza dall’applicazione di questo ideale. L’episodio di Saffira e di Anania riferito dagli Atti (Atti 5,1-11), ce lo mostra chiaramente. Del resto, anche oggi, dobbiamo lasciarci interpellare da questo ideale; siamo ancora lontani dalla sua realizzazione. Tuttavia, la fede cristiana lo esige.

2. Nati da Dio, siamo Cristo risorto. Che bella la lettera di Giovanni che ci dice la dignità di coloro che credono nel Cristo risorto: “Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato” (1Gv 5,1). Pasqua è presentata come una nuova creazione, già sulla croce del Venerdì santo, la Chiesa è nata, e la sua missione comincia la mattina di Pasqua. San Giovanni Crisostomo, nel IV secolo, diceva: “Uscì dal suo costato sangue ed acqua (Gv 19,34)... Ho detto che quell’acqua e quel sangue erano il simbolo del battesimo e dei misteri (l’eucaristia). Ora, la Chiesa è nata da questi due sacramenti: da questo bagno della rinascita e del rinnovamento nello Spirito, dal battesimo quindi, e dai misteri. Ora, i segni del battesimo e dei misteri provengono dal costato. Quindi è dal suo costato che Cristo ha formato la Chiesa, come dal costato di Adamo fu formata Eva”.

Allo stesso tempo, tutto è Amore: “In questo riconosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio” (1Gv 5,2a), e, per amare Dio, bisogna prima di tutto amare i suoi figli: “Se uno dicesse: ’Io amo Dio’, e odiasse suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20). E l’amore si manifesta nel nostro modo di essere e nel nostro modo di vivere come cristiani: “In questo infatti consiste l’amore di Dio: nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi” (1Gv 5,3). Il che ha fatto dire a Sant’Agostino, nel IV secolo: “In ciò che si ama, o non c’è fatica, oppure questa stessa fatica è amata”.

3. La missione cristiana: pace, gioia, liberazione, speranza e presenza. La pagina di vangelo che leggiamo ogni anno nella seconda domenica di Pasqua costituiva, agli inizi della Chiesa, la fine del vangelo di Giovanni. Il capitolo 21 è un’aggiunta posteriore, con la quale l’autore o gli autori hanno voluto riconciliare i cristiani che credevano nel ruolo particolare di Pietro e quelli che accordavano un posto preponderante al discepolo che Gesù amava. La pagina del vangelo di oggi comporta dei messaggi importanti:

1) L’apparizione ai discepoli la sera di Pasqua e la domenica successiva significa innanzitutto l’importanza della riunione domenicale, come luogo di incontro del Risorto. Di modo che, nella prima riunione, Tommaso è assente; non ha quindi potuto fare l’esperienza del Risorto. Solo la domenica successiva ha potuto anche lui incontrare il Signore. Il che significa che ancora oggi è possibile anche a noi vivere l’esperienza del Risorto nelle nostre riunioni domenicali.

2) Durante queste riunioni, Cristo si fa presente, nonostante le nostre porte chiuse a chiave. Ed è presente per darci la sua pace. Ma in quale modo lo si riconosce? Giovanni ci dice che il Risorto di Pasqua è proprio il Crocifisso del Venerdì santo. Si tratta quindi di una continuità tra il Gesù del Calvario e il Cristo della mattina di Pasqua. In fondo, la Resurrezione non abolisce la passione, la sofferenza e la morte; le trasforma, ne rivela il senso. Soprattutto non dimentichiamo che siamo alla fine del I secolo, in piena persecuzione cristiana, Per questo, è vedendo gli altri, e specialmente coloro che portano i segni e le ferite del crocifisso, che i partecipanti alla riunione riconoscono il Signore e provano una grande gioia: “I discepoli gioirono al vedere il Signore” (Gv 20, 20b). La pace li invade: “Pace a voi!” (Gv 20, 19b.21a).

3) Riuniti in nome della nostra fede e della nostra appartenenza a Cristo, siamo ricreati, investiti del suo Spirito: “Detto questo soffiò e disse loro: ’Ricevete lo Spirito Santo’” (Gv 20,22). È la Pentecoste, è la missione che comincia. Questa nuova creazione fa dei discepoli dei Cristi risorti. Bisogna quindi aprire le porte e partire ad annunciare questa Buona Notizia che Cristo è vivo, che ci assicura la sua presenza, che ci lascia la sua pace e che ci offre la liberazione, la libertà: “A coloro a cui perdonerete i peccati saranno perdonati; a coloro a cui non li perdonerete non saranno perdonati” (Gv 20,23). È una responsabilità: si ha il potere di liberare la gente o di rifiutare di farlo. Una cosa è certa, se vogliamo assomigliare a Cristo, la liberazione è obbligatoria.

4) Assente dalla prima riunione, Tommaso, che è, insieme, il nostro gemello e il nostro modello nella fede, non ha fatto l’esperienza del Risorto. Sentiva la testimonianza degli altri, ma gli ci voleva qualcosa di più: “Se non vedo nelle sue mani il segno e se non metto il mio dito nel suo fianco, io non credo” (Gv 20,25b). Alla riunione della domenica successiva, Tommaso è presente. Il testo di Giovanni non dice che Tommaso ha toccato le piaghe di Cristo... Dice semplicemente che le ha viste, e il verbo vedere, nel vangelo di Giovanni ha lo stesso senso del verbo credere: vedere porta necessariamente alla fede. Per questo, l’evangelista Giovanni ci presenta Tommaso non come un incredulo, ma proprio come un modello di fede. L’espressione: “Mio Signore e mio Dio” (Gv 20,28) è la più bella professione di fede del discepolo che incontra il Risorto.

5) La Beatitudine che segue al versetto 29: “Beati coloro che credono senza aver visto”, si rivolge a tutti i cristiani di tutti i tempi che sono invitati a credere sulla testimonianza dei primi testimoni, cioè di coloro che hanno conosciuto Gesù di Nazareth e che, dopo la sua morte, lo hanno riconosciuto vivente nella comunità dei suoi discepoli. La loro esperienza del Risorto è unica, nel senso che possono verificare la sua autenticità rispetto a quel Gesù che hanno conosciuto, seguito, amato, accompagnato fino alla morte. Sono in qualche modo dei testimoni privilegiati, ed è sulla loro testimonianza che si fonda la fede nostra, di noi, discepoli di oggi.

Terminando vorrei condividere con voi questo bellissimo commento dell’esegeta francese Jean Debruynne su questa pagina di vangelo:

“Questo testo del vangelo è una meravigliosa canzone di speranza. È quando noi abbiamo chiuso la porta a Gesù, quando abbiamo messo il chiavistello, che Gesù entra e sta lì. È nel momento in cui si dubita di più che Gesù arriva. È nella notte che nasce il giorno. È nell’inverno che comincia la primavera. È quando non c’è più speranza terrena, che sorge la Speranza vera. È quando non c’è più ragione di credere che la fede apre gli occhi. Il chiavistello è messo, la porta è ermeticamente chiusa eppure Gesù è lì. Non è fuori di noi, è dentro. Si presenta: ’Pace a voi!’ Gesù non è né rimprovero né accusa, è Pace. La Pace sia con voi!”
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/4/2012 15.20
Titolo:IL SEGRETARIO DEL PAPA: LA "DEUS CARITAS", IL SEGNO PROGRAMMATICO ....
- Il regalo di padre Georg al Papa
- "Un libro per dire chi è davvero"

- I cardini del pensiero. Nel giorno dell’85esimo compleanno, esce in Germania il volume che raccoglie venti pareri sul Pontefice
- A curarlo è stato il segretario di Benedetto XVI. Che racconta a Repubblica com’è nata l’idea

- di Marco Ansaldo (la Repubblica, 16.04.2012)

UN PONTEFICE che ha «coraggio». Che non ha paura di affrontare «questioni delicate». E la cui immagine invece, già da cardinale, come quella di un «poliziotto», ma anche dopo, è stata presentata spesso «in modo deformato e distorto». Perché Joseph Ratzinger è, piuttosto, un «Papa delle parole». Più un «teologo che un uomo di grandi gesti». Forse non c’è persona, oggi, che conosce meglio il Pontefice tedesco del suo segretario personale.

Non solo per motivi di ufficio, quanto di vicinanza spirituale e conoscenza della figura e del magistero di Benedetto XVI. E monsignor Georg Gaenswein, tedesco del sud, amante dei Pink Floyd e dello sci, ma dottore in teologia e docente di diritto canonico, rimarca la propria devozione al vescovo di Roma con un regalo speciale.

Oggi Joseph Ratzinger compie 85 anni. E don Georg ha voluto festeggiare il tondo anniversario con una sorpresa: un libro pubblicato in Germania che raccoglie gli scritti di 20 vip di lingua tedesca, 20 personaggi prominenti (da qui il titolo "Benedikt XVI. Prominente ueber den Papst"), sul Papa. Ha lavorato in silenzio per mesi, tirando le fila di questo lavoro di 191 pagine, riunendo contributi diversi: dall’ex calciatore Franz Beckenbauer, ai politici Schaueble e Stoiber, al cardinale svizzero Koch, scrivendo infine un suo ritratto personale del Pontefice e l’introduzione all’intero testo.

Visto da vicino Gaenswein, 56 anni portati gagliardamente, un ciuffo brizzolato che fatica a uscire in maniera composta dall’elegante abito talare, non smentisce l’allure che lo circonda. Eppure l’aspetto sportivo non è disgiunto da un afflato spirituale solido e da un’intelligenza pragmatica.

Non sempre l’assistente del Papa - lo si vede costantemente al suo fianco, un inchino e un passo indietro - ha goduto della considerazione degli osservatori vaticani che all’inizio lo giudicavano con cautela. Ma ora, alla vigilia il 19 aprile prossimo dei sette anni del pontificato di Benedetto, l’immagine di don Georg si è rafforzata. La sua perseveranza, l’operare discreto dentro l’Appartamento, l’intesa consolidata con il Papa, hanno fatto sì che l’assistente tedesco oggi non solo sia il custode fidatissimo di tanti segreti della Casa. Ma un sostegno concreto, con un apporto apprezzato da Ratzinger che vede nel proprio segretario particolare ben più che un’ombra attenta: un consigliere influente e ascoltato.

Monsignor Gaenswein, com’è nata l’idea di questo omaggio? «E’ molto semplice: sono stato invitato dalla casa editrice, la Media Maria Verlag, a scrivere un contributo per un libro che sarebbe diventato un regalo per l’85° compleanno del Santo Padre. Ci ho pensato su».

E che cosa ne è venuto fuori? «Dato che si sarebbe trattato di un regalo per il compleanno del Papa ho detto di sì, lo scriverò! E comunicata la risposta positiva, mi hanno immediatamente invitato a occuparmi anche dell’aspetto editoriale dell’opera. Ho riflettuto pure su questo e alla fine ho accettato».

Venti grandi personaggi di lingua tedesca: come sono stati scelti? «Lo scopo era di dare voce a personalità provenienti da ambiti diversi della società tedesca - chiesa, politica, cultura, economia, sport - che conoscono personalmente il Santo Padre. Abbiamo presentato loro l’idea, e poi invitati a collaborare. Ecco il risultato! ».

E qual è l’idea che emerge dai loro scritti? «E’ importante sottolineare che non sono state poste condizioni di scrivere "pro Papa". Cioè il libro non è per niente, per così dire, "un lavoro ricevuto dall’alto da svolgere per pura cortesia". Non c’era un diktat sul politically correct. Ciascuno di loro, uomo o donna, poteva, anzi doveva scrivere come avrebbe "dettato" il cuore e il cervello. L’idea di fondo era di offrire una visione personale e sincera sulla persona e sull’operare di Papa Benedetto, scritta da persone note in Germania». Dall’immagine di "poliziotto del Papa", come lei scrive nel testo, quando sotto il precedente pontificato Ratzinger era a capo della Congregazione della Dottrina della Fede (l’ex Sant’Uffizio), a "Papa delle parole". Più un "teologo che un uomo di grandi gesti".

Lei oggi è forse la persona che lo conosce più da vicino. Ma chi è davvero quest’uomo? «Ho cercato di dare una rispostaa questa domanda proprio nel mio contributo. L’immagine del Santo Padre, già l’immagine del Cardinale Ratzinger, spesso è stata presentata in modo deformato e distorto. Mi dovrei dilungare troppo se dovessi esporne ora i motivi. Propongo di prendere in mano il libro e di leggerlo. Qui si troveranno le risposte».

Sono comunque passati sette anni dall’ascesa di Ratzinger al Soglio petrino. Non un tempo troppo lungo per un pontificato, però sufficiente per trarne un bilancio. Quale, dal suo punto di vista? «Un fatto che segna chiaramente il pontificato di Benedetto XVI è il coraggio. Il Papa tedesco non teme questioni delicate e neanche confronti ad bonum fidei et Ecclesiae! ».

Dunque che cosa davvero gli sta a cuore? «La questione del rapporto tra fede e ragione, tra religione e rinuncia alla violenza. Dalla sua prospettiva, la ri-cristianizzazione innanzitutto dell’Europa sarà possibile quando gli uomini comprenderanno che fede e ragione non sono in contrasto ma in relazione tra loro».

Ma c’è un segno programmatico? «Il Papa, in fondo, vuole riaffermare, con forza e chiarezza, il nocciolo della fede cattolica: l’amore di Dio per l’uomo, che trova nella morte in croce di Gesù e nella sua resurrezione l’espressione insuperabile. Questo amore è l’immutabile centro sul quale si fonda la fiducia cristiana nel mondo, ma anche l’impegno alla carità, alla misericordia, alla rinuncia alla violenza. Non per caso la prima Enciclica del Papa è intitolata "Deus caritas est - Dio è amore". È un segno programmatico del suo pontificato. Benedetto XVI vuol far risplendere la gioia e la bellezza del messaggio evangelico».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/4/2012 17.59
Titolo:UN EX COLLEGA DI RATZINGER. «Caro Joe, ricordi quando eri progressista?»
«Caro Joe, ricordi quando eri progressista?». Un ex collega scrive a Ratzinger

di Ludovica Eugenio (Adista - Notizie, n. 15, 21 aprile 2012)

«Caro Joe»: così inizia una lettera aperta a Benedetto XVI scritta dal teologo statunitense Leonard Swidler, suo collega negli anni ’70 all’Università di Tübingen, alla quale tornò poi in diverse occasioni come docente anche negli anni ’80. Ma, a dispetto del tono amichevole, il documento, pubblicato sul sito australiano catholica.com (5/4) è tutt’altro che tenero nei confronti dell’attuale “politica” pontificia.

«Alcuni anni fa, quando eri ancora a capo del Sant’Uffizio, ti scrissi una lettera riguardo al ruolo delle donne nella Chiesa cattolica», esordisce Swidler che, oltre ad essere direttore e cofondatore del trimestrale Journal of Ecumenical Studies, nonché fondatore e presidente del Dialogue Institute, organismo attivo nel dialogo interreligioso e interculturale, fondato nel 1978 presso la Temple University di Philadelphia, insegna anche Pensiero cattolico e dialogo interreligioso presso la stessa istituzione .

«A quel tempo - scrive Swidler - mi rivolgevo a te con un familiare “caro Joe”, che si fondava sulla nostra amicizia, risalente alla fine degli anni ‘60/primi ’70». Lo feci, racconta, «pensando che quella forma ti avrebbe comunicato con quanta serietà io nutrivo la speranza che tu potessi aprire la tua mente e il tuo cuore per ascoltare ciò che avevo da dirti. Non avevo modo di sapere se avrei avuto successo in questo. Tuttavia, facendo ricorso alla nostra antica “collegialità”, ora mi rivolgo a te ancora una volta in questo modo fraterno».

«Sono sconcertato dal fatto che, specialmente negli ultimi tempi, tu abbia lanciato segnali che contraddicono le parole e lo spirito del Concilio Vaticano II, nel corso del quale tu, come giovane teologo, hai dato un contributo a far sì che la nostra amata Chiesa uscisse dal Medio Evo per entrare nella modernità», afferma il teologo, ricordando anche le posizioni prese da Ratzinger, da professore a Tübingen, a favore di un’elezione episcopale democratica e di un limite all’incarico dei vescovi.

«Ora stai rimproverando pubblicamente preti cattolici impegnati perché fanno proprio ciò che tu in precedenza avevi così coraggiosamente difeso. Questi e molti, molti altri nella Chiesa cattolica stanno seguendo il tuo esempio di allora, cercando disperatamente di spingere la Chiesa nella modernità. Uso volutamente il termine “disperatamente” perché nel tuo Paese d’origine, la Germania, e altrove in Europa, le chiese sono vuote, e lo sono anche i cuori di tanti cattolici quando sentono le parole raggelanti che vengono da Roma e dai vescovi “radicalmente obbedienti” (leggi: yes-men).

Nel mio Paese, gli Stati Uniti, luogo di nascita della libertà moderna, dei diritti umani e della democrazia abbiamo perso - solo in questa generazione! - un terzo della popolazione cattolica, 30 milioni di persone, perché le promesse del Vaticano II, con la sua rivoluzione copernicana in cinque dimensioni (svolta verso libertà, mondo, senso della storia, riforma interna e soprattutto dialogo) sono state così deliberatamente vanificate dal tuo predecessore e ora, ancora di più, da te».

Swidler fa poi riferimento al contributo apportato da Ratzinger al Vaticano II, quando spiccò tra i teologi che «sostennero l’invito di Giovanni XXIII all’aggiornamento grazie allo spirito riformatore derivante dal ritorno alle ritempranti fonti originarie del cristianesimo (ad fontes)». Quelle fonti democratiche e orientate alla libertà della Chiesa primitiva erano esattamente le «“fonti” del rinnovamento di cui tu e i tuoi colleghi di Tübingen» parlavate diffusamente.

Di qui il vibrante appello di Swidler al papa affinché torni proprio a quello spirito di riforma espresso in gioventù, già negli articoli pubblicati sul primo numero del trimestrale di teologia ecumenica da lui fondato nel 1964, «che cercavano di gettare un ponte sull’abisso della Controriforma che divideva la Chiesa cattolica dal resto del cristianesimo, e dal resto del mondo moderno». «In quello spirito, Joe, ti sollecito a tornare ad fontes!», è la conclusione del teologo.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/4/2012 10.17
Titolo:Festa di compleanno per Papa Ratzinger
- Festa di compleanno per Papa Ratzinger
- Niente dimissioni «finché Dio vorrà»

di Roberto Monteforte (l’Unità, 17 aprile 2012)

«Mi trovo di fronte all’ultimo tratto del percorso della mia vita e non so cosa mi aspetta. So, però, che la luce di Dio c’è, che Egli è risorto, che la sua luce è più forte di ogni oscurità, che la bontà di Dio è più forte di ogni male di questo mondo. E questo mi aiuta a procedere con sicurezza. Questo aiuta noi ad andare avanti, e in questa ora ringrazio di cuore tutti coloro che continuamente mi fanno percepire il Sì di Dio attraverso la loro fede». Con queste parole Benedetto XVI ha concluso ieri mattina la sua omelia alla messa privata celebrata nella Cappella Paolina per il suo 85mo compleanno.

Agli amici, ai vescovi tedeschi e alla delegazione giunta dalla sua Baviera, Papa Ratzinger ha parlato dei «segni» offerti alla sua vita dai santi che si festeggiano il 16 aprile, giorno del suo compleanno: la semplicità che ha contrassegnato l’esistenza di santa Bernadette, la veggente di Lourdes. Perché con il nostro «sapere e il fare» - ha spiegato - non dobbiamo perdere «lo sguardo semplice del cuore, capace di vedere l’essenziale».

Dall’altro santo, il francese Benedetto Giuseppe Labre, «viandante europeo», ha tratto il senso di una fraternità da vivere «perché in Dio cadono le frontiere, solo Dio fa cadere le frontiere e lo smantellamento delle frontiere ci unisce e guarisce». Sono i «segni» che ha caratterizzato anche il suo pontificato. Nelle parole dell’anziano pontefice, pronunciate alla vigilia del suo settimo anno di pontificato che verrà celebrato il prossimo 19 aprile, vi è la conferma della determinazione di Papa Ratzinger a continuare a guidare la Chiesa universale davanti al «male» del mondo che non la risparmia.

Nessun abbandono è all’orizzonte. La sua agenda è già fitta: dall’Incontro mondiali per le famiglie di fine maggio a Milano, alla visita ad Arezzo, quindi il viaggio previsto per metà settembre in Libano. L’anno prossimo sarà in Brasile per le Giornate mondiali della gioventù. Poi il Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione e l’Anno della Fede. Questa estate è prevista l’uscita del suo terzo libro su Gesù dedicato all’infanzia del Nazareno.

Attivo e lucido, malgrado l’età e i malanni, il più anziano pontefice dalla fine del XIX secolo, ieri, si è visto festeggiare alla «bavarese» nella Sala Clementina dai giovani in costume e da una delegazione guidata dal ministro e presidente della Baviera Horst Seehofer.

Auguri al vescovo di Roma sono giunti anche dai parroci della Capitale. «Te volemo tutti bene» ha detto in romanesco a nome di tutti a Radio Vaticana, padre Lucio Maria Zappatore, parroco a Torrespaccata. Di buon mattino è giunto quello inviato dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano a nome anche del popolo italiano e quello del cancelliere tedesco, Angela Merkel.

È stato aperto anche un «sito» in Vaticano per raccogliere i messaggi di augurio rivolti al pontefice. Particolare l’augurio inviato a nome delle Acli dal presidente Andrea Olivero. «Inquieti e mai rassegnati all’esistente» è il titolo del video messaggio realizzato per Famiglia Cristiana. «Le auguriamo ancora anni di gioventù come quelli che ci ha donato - afferma Olivero - anni nei quali Lei possa spronarci a essere inquieti, di quella Santa inquietudine di Cristo che ha manifestato sin dall’inizio del Suo pontificato». «Noi cercheremo - ha aggiunto - di non rassegnarci all’esistente, ma di andare, forti degli insegnamenti della Chiesa e forti del Vangelo, a testimoniare la nostra fede nella società».

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Titolo articolo : LA MUSA DELLA STORIA, CLIO, E LA STRAGE DI BRESCIA. Dall’amarissima ironia di Antonio Tabucchi del 2004, ai commenti (di Oreste Pivetta, Gianni Barbacetto, Elisabetta Reguitti, Carlo Lucarelli) di oggi, aprile 2012,a c. di Federico LA Sala

Ultimo aggiornamento: April/16/2012 - 22:12:09.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/4/2012 15.39
Titolo:L’Italia, il Paese delle verità rubate ...
Dossier, tritolo e piani di golpe: il Paese delle verità rubate

di Enrico Fierro (il Fatto, 15.04.2012)

L’Italia è il Paese delle verità rubate. Un Paese che non può, non deve, forse non vuole sapere quali forze, quali interessi, quali oscuri giochi internazionali, hanno avvelenato un ventennio della sua storia. Strategia della tensione, anni di piombo, la minaccia del golpe ogni volta che si affacciava la possibilità di una svolta politica. Anche ieri hanno rubato un pezzo di verità sulla strage di Brescia di 38 anni fa. Otto morti, oltre 100 feriti, l’indimenticabile foto in bianco e nero di un uomo in ginocchio piegato su una bandiera che copre i brandelli di un cadavere. Pochi quelli che si sono indignati finanche per lo sfregio finale ai familiari delle vittime. Avete perso, la legge è legge, avete voluto il processo, vi siete costituiti parte civile nella speranza di ottenere un briciolo di verità. Ora pagate.

Decine di migliaia di euro per una giustizia che dopo quattro decenni sventola la bandiera bianca della resa. Poveri italiani di quest’epoca smemorata, inariditi dall’assenza di un moderno Pasolini. Poeta dei suoi tempi ma con gli occhi e la testa nel futuro. “Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.

Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neofascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti... Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi”. Perché le prove, gli indizi, i processi, non sono materia nella disponibilità di poeti e intellettuali, utili con i loro scritti a suscitare emozioni e aprire menti, ma di polizie e corti di giustizia. Sono loro che devono accertare verità e certificarle con sentenze definitive e inoppugnabili.

L’Italia è l’unico Paese al mondo che per anni, dal 1988 al 2001, ha avuto una Commissione parlamentare di inchiesta sulle stragi. Migliaia di files e volumi con il racconto tragico degli anni neri sono accatastati nei depositi di Palazzo San Macuto, milioni di ore di testimonianze dei protagonisti, ma anche una carrellata di ignobili non so, non ricordo, di omissioni che hanno coperto verità inconfessabili ancora quarant’anni dopo.

Un rosario lunghissimo di sangue, misteri e depistaggi: Peteano, 31 maggio 1972, eccidio dei carabinieri; Treno Italicus, 4 agosto 1974, 12 morti, 105 feriti; Ustica, 27 giugno 1980, 81 morti; Bologna 2 agosto 1980, 85 morti, 200 feriti; bomba al Rapido 904 alla vigilia di Natale del 1984, 15 morti e 267 feriti. Undici stragi ci consegna la cronaca di quegli anni, 150 morti, 652 feriti. Una guerra. Lo storico Aldo Giannuli ha dedicato anni della sua vita di studioso a scavare nei misteri italiani, e ogni volta si è trovato davanti ad archivi, soprattutto quelli dei servizi italiani, sbianchettati, depurati, devitalizzati.

Cosa stava accadendo a ridosso della strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, e soprattutto cosa doveva accadere dopo? Dopo la bomba, il terrore, l’indignazione, Milano e l’Italia spaccati in due, con i cortei di operai e studenti uniti nella lotta e le maggioranze silenziose pronte a chiedere legge e ordine. Il “golpe”, la sedizione di ambienti militari ed economici, come nella Grecia dei colonnelli. Oppure il pronunciamento militare solo minacciato, alitato sul collo di una classe politica imbelle. Dall’inchiesta del giudice Guido Salvini sono emersi significativi indizi su un colpo di Stato progettato tra il 14 e 15 dicembre 1969, a ridosso della Strage. Giannuli ha riannodato i fili che avvicinano la Strage milanese all’omicidio di Aldo Moro (avvenuto “solo” nove anni dopo), consegnandoci le riflessioni che il leader Dc affida ad uno dei suoi memoriali.

Quando la bomba scoppia a Piazza Fontana, Moro è a Parigi a un vertice europeo. Riceve numerose telefonate da Roma, in una di queste un suo amico gli consiglia, per incarico di dirigenti del Pci, di essere molto prudente nell’organizzare il suo rientro nella Capitale. Qualcosa poteva succedere.

In quegli anni chi cercava di ricostruire la verità finiva male. Sette mesi dopo la strage di Milano viene fatto deragliare il treno “Freccia del Sud” a Gioia Tauro, 6 morti e 54 feriti. Cinque giovani anarchici calabresi in un loro dossier destinato ad arricchire le pagine del libro “Strage di Stato”, collegano la bomba di Milano con quell’attentato. È il 26 settembre 1970, quando la loro auto diretta a Roma viene investita da un camion. Muoiono tutti. Il dossier sparisce. La loro storia è stata quasi dimenticata nel Paese delle verità rubate.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/4/2012 22.12
Titolo:le parole di Moro sulla strage di Brescia ....
- "Strategia della tensione"
- le parole di Moro sulla strage di Brescia

di Miguel Gotor (la Repubblica, 16.04.2012)

Nella primavera 1978 le Brigate rosse sottoposero Aldo Moro a un interrogatorio che riguardò anche la strage di piazza Fontana del 1969 e quella di piazza della Loggia del maggio 1974. Come è noto, il memoriale del prigioniero è giunto a noi incompleto, ma su quegli anni egli formulò un giudizio chiaro utilizzando la categoria di "strategia della tensione". Quel tempo fu «un periodo di autentica ed alta pericolosità con il rischio di una deviazione costituzionale che la vigilanza delle masse popolari fortunatamente non permise». Moro espose i meccanismi e le finalità della strategia della tensione, impostata da servizi stranieri occidentali con propaggini operative in due paesi allora fascisti come la Grecia e la Spagna. Essa aveva potuto godere del contributo dei servizi italiani militari con «il ruolo (preminente) del Sid e quello (pure esistente) delle forze di Polizia», ossia dell’Ufficio Affari riservati diretto da Federico Umberto D’Amato.

Secondo il prigioniero lo scopo era stato quello di realizzare una serie di attentati attribuendoli alla sinistra per destabilizzare l’Italia e poi coprire i veri responsabili con appositi depistaggi: «La c. d. strategia della tensione ebbe la finalità, anche se fortunatamente non conseguì il suo obiettivo, di rimettere l’Italia nei binari della "normalità" dopo le vicende del ’68 ed il cosiddetto autunno caldo», anche se Moro trascurava il varo nel giugno 1972 del governo centrista Andreotti-Malagodi, dopo l’attentato di Peteano per cui è reo confesso il neofascista Vincenzo Vinciguerra. Secondo l’ostaggio i servizi segreti italiani non diedero vita a deviazioni occasionali, ma a un’opera sistematica di inquinamento per «bloccare certi sviluppi politici che si erano fatti evidenti a partire dall’autunno caldo e di ricondurre le cose, attraverso il morso della paura, ad una gestione moderata del potere».

Egli fece riferimento all’azione di "strateghi della tensione", senza però offrirne un ritratto esplicito, e si espresse duramente nei riguardi della Democrazia cristiana: «Bisogna dire che, anche se con chiaroscuri non ben definiti, mancò alla D. C. di allora ed ai suoi uomini più responsabili sia sul piano politico sia sul piano amministrativo un atteggiamento talmente lontano da connivenze e tolleranze da mettere il Partito al di sopra di ogni sospetto». E ancora: «se vi furono settori del Partito immuni da ogni accusa (es. On. Salvi) vi furono però settori, ambienti, organi che non si collocarono di fronte a questo fenomeno con la necessaria limpidezza e fermezza».

L’attenzione di Moro si focalizzava su Giulio Andreotti, il quale aveva «mantenuto non pochi legami, militari e diplomatici, con gli Americani dal tempo in cui aveva lungamente gestito il Ministero della Difesa entro il 68». In particolare con la Cia, «tanto che poté essere informato di rapporti confidenziali fatti dagli organi italiani a quelli americani». Moro ripeteva, per ben undici volte, il nome del giornalista neofascista Guido Giannettini, incriminato nel 1973 per la strage di piazza Fontana da cui sarà assolto, sottolineando l’importanza di un’intervista che Andreotti aveva concesso a Il Mondo nel giugno 1974, all’indomani della strage di Brescia, in cui aveva rivelato che Giannettini era in realtà un agente del Sid infiltrato in Ordine nuovo.

È come se Moro avesse voluto alludere a una pregressa consapevolezza di Andreotti ("uomo abile e spregiudicato") riguardo alle azioni messe in campo da quegli ambienti, da cui aveva deciso improvvisamente di prendere le distanze («un primo atto liberatorio fatto dall’On. Andreotti di ogni inquinamento del Sid, di una probabile risposta a qualche cosa di precedente, di un elemento di un intreccio certo più complicato»).

Tale ricostruzione sarà confermata nell’agosto 2000 da Gianadelio Maletti, il responsabile dell’ufficio D del Sid dal 1971 al 1975, condannato per avere agevolato la fuga di Giannettini all’estero, il quale, in un’intervista a Daniele Mastrogiacomo per questo giornale, dichiarò «La Cia voleva creare attraverso la rinascita di un nazionalismo esasperato e con il contributo dell’estrema destra, Ordine nuovo in particolare, l’arresto del generale scivolamento verso sinistra. Questo è il presupposto di base della strategia della tensione». In che modo? «Lasciando fare», e Andreotti «era molto interessato. Soprattutto del terrorismo di destra e dei tentativi di golpe in Italia».

È significativo notare che Pier Paolo Pasolini nel novembre 1974, ossia pochi mesi dopo la strage di Brescia e l’intervista dell’allora ministro della Difesa Andreotti che scaricava l’agente dei servizi militari Giannettini, scrisse sul Corriere della Sera l’articolo Cos’è questo golpe? Io so, in cui individuava l’esistenza di due diverse fasi della strategia della tensione: la prima, con la strage di piazza Fontana, anticomunista, funzionale a chiudere con l’esperienza dei governi di centro-sinistra e ad arginare l’ascesa del Pci; la seconda, con le bombe di Brescia, antifascista, ossia utilizzata per bruciare quanti ancora erano impegnati a creare le condizioni di un golpe nero e di una soluzione militare in Italia, esattamente come fatto da Andreotti con Giannettini: «Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l’organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neonazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista) ». Forse per sempre senza nome. Così scriveva un anno prima di essere ucciso il poeta che ebbe l’ardire di farsi storico del suo presente: l’ultima profezia, come ribadisce la sentenza dell’altro ieri sulla strage di Brescia.

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Titolo articolo : Disintossicarsi,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: April/16/2012 - 07:45:32.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/4/2012 15.44
Titolo:Imprenditori in crisi. La catena di suicidi ...
Imprenditori in crisi. La catena di suicidi

Gruppi d'ascolto e psicologi in rete

I pionieri solidali

di Dario Di Vico (Corriere della Sera, 15.04.2012)


All'Istat sono molto cauti e invitano a non fare di tutt'erba un fascio. Di sicuro le evidenze della cronaca portano a dire che in Italia già durante il 2011, ma ancor più nei primi mesi del 2012, si è registrato un preoccupante incremento dei «suicidi economici». Le storie, anche sommarie, che vengono dai luoghi delle disgrazie sono monocordi nella loro drammaticità. Parlano di aziende indebitate, di pagamenti che non arrivano, di posti di lavoro persi e più in generale di un senso di esclusione e fragilità che conduce a scelte dissennate. Separare poi le cause «pubbliche» da quelle private, scindere la condizione socio-economica da quella riconducibile a traumi avvenuti nell'ambito della vita familiare è un'operazione estremamente difficile.

L'Istat usa nelle statistiche sul movente la categoria di «suicidio economico» e gli ultimi dati disponibili riferiti all'anno 2010 ne contano 187 su un totale di 3.048, appena il 6%. La causa principale dei decessi auto procurati restano le malattie fisiche o psichiche, ma è anche vero che un 30% abbondante delle morti resta classificata con «movente ignoto o non indicato» a conferma delle difficoltà che la statistica ufficiale trova in un campo così delicato.

Complessivamente il numero dei suicidi in Italia è stabile (già nel 2006 erano 3.061) e non è stato influenzato dai primi anni della crisi. Nel 2009 addirittura era leggermente sceso (2.986). Quella che evidentemente è cambiata nel frattempo è la notiziabilità dei suicidi economici che visto lo spirito del tempo si impongono all'attenzione dell'opinione pubblica e dei media in maniera molto più forte che in passato.

Se gli statistici invitano alla prudenza nel sottolineare l'esplosione del fenomeno, gli psicologi mettono in guardia dai meccanismi di emulazione che sono inevitabilmente connessi ai suicidi.

La gravità della crisi e in qualche maniera la condivisione sociale del drammatico gesto possono funzionare da volano, convincere gli indecisi a indossare il vestito di una morte, a suo modo, eroica. Meglio, dunque, circoscrivere il campo, maneggiare con cura i numeri ed evitare di strumentalizzare le vittime per polemizzare con l'avversario politico o con il sistema bancario.

Per motivare la gravità della recessione, la profondità delle sue ricadute sociali e gli errori delle classi dirigenti non c'è bisogno di forzare il conta-suicidi, basta leggere con attenzione i bollettini (di guerra) delle associazioni imprenditoriali e dei sindacati. È evidente, comunque, come la percezione del disastro economico nel giro di pochi mesi sia profondamente cambiata.

I sondaggisti non si stancano di raccontare come solo fino al luglio 2011 gli italiani si dichiarassero pessimisti sul futuro dell'Azienda Paese, ma tutto sommato convinti che personalmente se la sarebbero cavata. Adesso non è più così, il velo delle illusioni si è diradato ed è subentrato un cupo realismo.

Accanto alla contabilità dei drammi è però scattata lodevolmente un'attività di prevenzione che si sta allargando un po' in tutto il Paese, in special modo al Nord. La prima iniziativa è stata quella di Terraferma che su spinta dell'imprenditore Massimo Mazzucchelli ha coinvolto un gruppo di psicologi in funzione di pronto soccorso degli artigiani e commercianti in difficoltà.

A Padova si era già sperimentata lo scorso anno la strada del telefono amico e si è tornati a costruire iniziative di prevenzione e solidarietà. Qualcosa del genere hanno fatto anche la Confartigianato di Asolo-Montebelluna e la Cna di Modena ed è significativo che dopo il Veneto si siano mosse anche le associazioni emiliane a sottolineare come la crisi stia uniformando le reazioni anche in contesti socio-politici molto differenti tra loro.

Per dirla in poche parole il rischio-suicidio non sussiste solo nel Veneto degli «sghei», ma anche nell'Emilia rossa e coesa. È ancora presto per verificare l'efficacia sul territorio di queste iniziative pioneristiche, ma è importantissimo che si propaghi l'eco della solidarietà, che all'imprenditore depresso arrivi il messaggio di un'antropologia positiva in movimento.

È chiaro che un'azione di supporto e di accompagnamento si deve saldare con l'attenuazione di alcune delle cause principali della depressione dei Piccoli. Il rapporto con il sistema bancario è ancora squilibrato, i grandi clienti non devono fare anticamera e escono soddisfatti, ad artigiani e commercianti il credito viene quantomeno lesinato. Il governo sembra avere preso l'iniziativa e il 19 ci sarà un incontro tra il ministro Corrado Passera e i vertici dell'Abi. Lo seguiremo.

Quanto all'altro grande tema, quello dei mancati pagamenti della pubblica amministrazione, è stato annunciato un passo in avanti nella formulazione di una soluzione-ponte. L'attesa è stata già lunga, sarebbe meglio non protrarla. Il Paese è in sofferenza e questa verità non può essere negata da nessuna statistica.
Autore Città Giorno Ora
Ernesto Miragoli Como 16/4/2012 07.45
Titolo:SOCIETA' ATTOSSICATA
L'articolo del Direttore Sarubbi è ben espresso dal titolo: disintossicarsi. Articolo da condividere in pieno e da far girare. Il vero problema è, per usare un aggettivo di Jaocopone da Todi ne "Il pianto della Madonna", che la nostra società è attossicata e non sarà facile disintossicarla e disintossicarci. I grandi soloni dell'informazione parlata e scritta usano spesso un'immagine, quella del dito e della Luna, per dare elegantemente dello stolto a chi guarda il dito, anzichè la Luna. Hanno una pretesa:quella di essere loro a decidere quale sia il dito e quale sia la Luna.
E ci attossicano.
Non è da ieri che è così, ma da lunga pezza.
Passa l'informazione declamata e conclamata di quel che essi decidono che sia vera informazione.
Siamo stati flagellati - da un bel po' di tempo a questa parte - da notizie interessantissime: i bunga bunga, le serate di Arcore o di Hardcore che è lo stesso, le olgettine, le nipoti di Mubarak e le igieniste dentali, i vulcani di villa Certosa, i viaggi di don Verzè, la lista spese del Trota e gli importi per il rifacimento della terrazza della casa di Gemonio del vecchio Bossi. Senza queste ed altre notizie simili non ce l'avremmo fatta ad andare avanti. A noi di cosa succede a L'Aquila un paio d'anni dopo il terremoto, importa poco e non c'importa nulla della cementificazione delle coste, della gente senza lavoro, dei giovani in crescente tasso di disoccupazione, degli anziani che non arrivano alla fine del mese e devono anche pagare il ticket per le prestazioni sanitarie. A noi deve importare poco degli asili nido che chiudono per mancanza di fondi e per noi non deve essere motizia che Pompei stia crollando e con essa tutto il patrimonio artistico italiano.
Le vere notizie sono altre.

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Commenti Articolo 849

Titolo articolo : LA LEZIONE DI "ETTY HILLESUM. LA FORTEZZA INESPUGNABILE". Credo che questa terra potrebbe ridiventare più abitabile solo grazie all’amore ("charitas"). Una nota di Marco Rizzi, sul lavoro di Isabella Adinolfi,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: April/13/2012 - 18:32:39.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/4/2012 14.29
Titolo:IN SPIRITO DI CARITA' ("CHARITAS". LA LEZIONE DI DANTE ....
MEMORIA DELLA LIBERAZIONE: COME TROVARE SE STESSI E SE STESSE E NON MORIRE NELLE BRACCIA DI MAMMONA E DI MAMMASANTISSIMA

«Aristotele fu un uomo, vedde con gli occhi, ascoltò con gli orecchi, discorse col cervello. Io sono un uomo veggo con gli occhi, e assai più che non vedde lui: quanto al discorrere, credo che discorresse intorno a più cose di me; ma se più o meglio di me, intorno a quelle che abbiamo discorso ambedue, lo mostreranno le nostre ragioni, e non le nostre autorità» (Galileo Galilei, Il Saggiatore.)



In spirito di carità ("charitas") ... Non vuol affatto dire quello che generalmente e per lo più si pensa, leggendo e parlando come da sonnambuli e sonnambule facciamo - prevenuti/e e accecati/e dall’alto delle nostre "sacre" interpretazioni dominanti!

IN SPIRITO DI CARITA’("CHARITAS"). .... non significa parlare con se stesso o con se stessa nel sonno e nel sogno e pensare di parlare con un altro o con un’altra e recitare il proprio "cogito, ergo sum"!!!

Significa soprattutto che una persona (un sole) cerca di parlare con un’altra persona (un sole), alla luce del Sole - da essere umano a essere umano, in condizione di veglia!

Per ben agire e ben comunicare (anche solo con se stessi o con stesse!), come insegna Dante, ci vogliono TRE SOLI (la cosiddetta - impropriamente - teoria dei "due soli")!!!

CHARITAS è la parola chiave del messaggio evangelico ed è il Nome stesso del Dio-Padre di Gesù: "Deus charitas est"!

Se traduciamo correttamente questa parola con "amore", meglio con "amore pieno di grazia", cominciamo a capire un pochino di più!!! Poi se comprediamo che Maria e Giuseppe sono colmi di "charitas", andiamo ancora di più in profondo, non perdiamo il filo del "Logos" e cominciamo a capire di Chi è Figlio Gesù, e di Chi siamo Figli, noi esseri umani.....Di Chi (nel duplice senso dell’Amore pieno di Grazia ("Charis") di "Maria e Giuseppe" e simbolicamente del "Chi" (X - lettera greca)! Non certo di un Geova con la barba bianca e di Belzebù con le corna e la coda!!!

USCIRE DALL’EGITTO. In exitu Israel de Aegypto....

Che cosa vuol dire che «A ogni generazione ogni individuo è tenuto a considerarsi come se fosse colui che andò via dall’Egitto»? Significa uscire dallo stato di minorità, e diventare maggiorenne, prendere la propria "croce" (“se stesso”), e decidersi se portarlo sulla via del Padre Nostro e di Gesù ( Dio-Charitas) o sulla via del proprio egoismo e dei propri affari (Mammona-Caritas).

LA LEZIONE DEL "CANTICO DEI CANTICI": "AMORE E’ PIU’ FORTE DI MORTE" (trad., Giovanni Garbini).

Capire e ricordarsi, innanzittutto che è scritto nel Cantico dei cantici (8.6) - e, paradigmaticamente, il Cantico narra dell’Amore pieno di grazia di due esseri umani, un uomo e una donna!!!

A ben riflettersi, "Amore è più forte di Morte" è LA CHIAVE STESSA DEL MESSAGGIO DI MOSE’, DELL’ARCA DELL’ALLEANZA, DI ELIA... E DI GESU’ - "LA STELLA DELLA REDENZIONE"(Franz Rosenzweig)! E ci dice chiaramente che essa NON HA A CHE FARE NULLA CON NESSUN SUPER-ESSERE, NESSUN UOMO-DIO o DIO-UOMO, O - CHE E’ LO STESSO - NESSUNA DONNA-DIO o DIO-DONNA, MA HA A CHE FARE SOLO CON L’AMORE ("Charitas") CHE RENDE POSSIBILE IL FIGLIO, GESU’... COME ELIA E LO STESSO MOSE’ (il "Logos", in carne e ossa) E RI-COMPRENDERE E PERFEZIONARE LA STESSA LEGGE MOSAICA E L’INTERO MESSAGGIO BIBLICO.

DA VEDERE: Trasfigurazione (Raffaello)

http://www.ildialogo.org/cEv.phpf=http://www.ildialogo.org/filosofia/interventi_1334050563.htm

Che cosa vuol dire che «A ogni generazione ogni individuo è tenuto a considerarsi come se fosse colui che andò via dall’Egitto»?

Vuol dire che, se ogni essere umano vuole vivere e non morire, deve uscire dallo stato di minorità (nel duplice senso - personale e politico), diventare maggiorenne, prendere la propria "croce" (“se stesso”), e - ripetiamo - decidersi se mettersi sulla via del Regno-Terra del Padre Nostro e di Gesù ( Dio-Charitas) o sulla via del Regno-Terra della egolatria e degli affari propri (Mammona-Caritas).

Vuol dire, se vogliamo vivere e non morire, cominciare ad agire e a parlare in prima persona e portare se-stessi e se-stesse re-sponsa-bilmente sulla strada della carità ("charitas").... vale a dire, sulla strada stessa della ri-nascita, della resurrezione e della risurrezione di noi stessi e di noi stesse - quella dell’Amore che muove il Sole e le altre stelle.

Dante l’aveva capito e l’ha detto e scritto non solo nella "Commedia", ma soprattutto nella "Monarchia" ove chiarisce che cosa significa camminare sulla strada della giustizia e del retto amore ("charitas") e propone la metafora dei TRE SOLI: i DUE SOLI sulla Terra, e il TERZO - IL PRIMO E L’UNICO - Sole ("Deus charitas est": 1 Gv. 4.8) in Cielo. E chiarisce anche come e perché essa sia l’unica possibilità per uscire dall’Inferno e ritrovare la strada per il “Paradiso terrestre” e il“Paradiso celeste”.

Federico La Sala (10.04.2012)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/4/2012 15.41
Titolo:L’AMORE è PIU’ FORTE DI MORTE ...
LA DOMANDA DI UN ITALIANO:

E’ PREFERIBILE "RISURREZIONE" O "RESURREZIONE"?

RISPOSTA:

Vanno bene entrambi. Ma! Ma...

Ma siccome qui (in modo latente e sottile) è in gioco anche la Costituzione della Repubblica Italiana e lo stesso Messaggio Evangelico, e la nostra - di tutti e tutte sovranità (e sacerdotalità - con don Milani, ricordiamo anche Lutero e la Riforma: rimettiamo insieme i pezzi), per memoria sonora (di significante e di significato) - è da preferire (con il conforto di Michele Arcangelo e di Melchi-tzedech, come di Mosè, di Elia, e Gesu’... è preferibile

RE-surrezione!!!

Una ri-surrezione che è - più propriamente - una re-surrezione, la Resurrezione di Gesù, e la re-stituzione della Libertà a ogni essere umano, a ogni cristiano e a ogni cristiana - della libertà dalla schiavitù e dalla morte!!!

PASQUA: CHE COSA RICORDIAMO?

RICORDIAMO (e rin-grazia-mo) che L’AMORE è PIU’ FORTE DI MORTE (Cantico dei cantici: 8.6)!!!

Se no, che ricordiamo?! La nostra totale generale stupidità?!

(Federico La Sala)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/4/2012 18.32
Titolo:A CLEMENS AUGUST VON GALEN, IN MEMORIA ...
IN MEMORIA DEL CARDINALE

CLEMENS AUGUST VON GALEN (1878-1946):

«Sotto il nazismo dissi pubblicamente, e lo dissi anche riguardo a Hitler nel ’39, quando nessuna potenza intervenne allora per ostacolare le sue mire espansionistiche: la giustizia è il fondamento dello stato. Se la giustizia non viene ristabilita, allora il nostro popolo morirà per putrefazione interna. Oggi devo dire: se tra i popoli non viene rispettato il diritto, allora non verrà mai la pace e la concordia »(Clemens August von Galen)

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Commenti Articolo 850

Titolo articolo : IL PARROCO DI COMACCHIO, L'EUCARESTIA(?!), E IL MAGISTERO VATICANO. Don Piergiorgio Zaghi rifiuta la comunione a un bimbo disabile. Una nota di Giacomo Galeazzi,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: April/13/2012 - 13:55:09.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/4/2012 09.05
Titolo:LA "CARITAS" - IL "TESORO" OFFERTO DA DIO, QUELLO DI BENEDETTO XVI (" Deus car...
FERRARA

Comunione negata? Non è vero,
accolto quel bimbo disabile


Una carezza del sacerdote nel giorno della Prima Comunione doveva essere il gesto dell’accoglienza e dell’attenzione speciale di un’intera comunità a un bambino di dieci anni con gravi disabilità psichiche. Invece su molti canali mediatici è diventato l’emblema dell’esclusione della «vita debole» dal banchetto eucaristico. Una barriera che sarebbe stata alzata dal parroco di Porto Garibaldi, nell’arcidiocesi di Ferrara-Comacchio, durante la Messa del Giovedì Santo quando venti ragazzi si sono accostati per la prima volta al sacramento. «Siamo amareggiati, non ce lo aspettavamo», racconta la mamma alle agenzie di stampa.

La Curia, invece, non parla di sorprese: il percorso era stato concordato con la famiglia che aveva avuto anche un lungo incontro con un sacerdote nel palazzo vescovile. E l’arcidiocesi tiene a sottolineare che non c’è stato alcun rifiuto dell’Eucaristia, che nessuna discriminazione è stata compiuta dal parroco e che il cammino di preparazione continuerà in modo che il ragazzo possa accedere al Sacramento nei tempi opportuni.

E i tempi contano per capire ciò che è accaduto. Spiega la Curia che a fine febbraio i genitori del disabile – una coppia di conviventi – si presentano dal parroco di Porto Garibaldi (che non è quello del paese dove vivono) per chiedere che il figlio possa ricevere la Comunione. Come faranno i compagni di classe, riferiscono. Il sacerdote prende a cuore fin da subito la situazione. Coinvolge i catechisti, sente le insegnanti di sostegno del bambino, acquista dvd e sussidi per una preparazione a misura di portatore di handicap.La Curia segue con attenzione il caso, mentre si constata che il ragazzo interagisce quando viene sollecitato dalle carezze. La «teologia dell’affetto» viene adottata dalla parrocchia che mette a punto una proposta con un approccio molto graduale e senza scadenze prefissate. Ai genitori viene chiesto di portare il figlio negli ambienti parrocchiali: cosa che avviene, seppur con l’intermezzo di un ricovero ospedaliero. L’intento è farlo sentire parte della comunità.

All’inizio di aprile avviene l’incontro in Curia. Durante il colloquio il sacerdote offre al ragazzo un’ostia non consacrata che lui respinge bruscamente. Ecco allora il suggerimento ai genitori: alla Messa della Prima Comunione il bambino sarà nelle panche insieme con i coetanei; però non riceverà il Santissimo Sacramento ma una carezza del parroco e la benedizione. Secondo l’arcidiocesi, è la via per mostrare che la disabilità interpella la Chiesa, che ciascun portatore di handicap è «persona prediletta» e partecipa come tutti i credenti alla celebrazione, che la parrocchia lo sostiene nella promozione integrale. In attesa che il percorso possa proseguire e compiersi.

Il Giovedì Santo il bambino è in mezzo ai compagni. Vicino ha la madre. E la carezza con la benedizione c’è.
A distanza di qualche giorno, quanto accaduto in quella chiesa sui lidi ferraresi si trasforma in un caso mediatico con tanto di presunto esposto alla Corte europea dei diritti dell’uomo «per violazione della libertà religiosa» (poi rivelatosi una patacca) mentre la madre nega di aver dato mandato a un legale. L’arcidiocesi intanto continua a tendere la mano: nel rispetto della natura del Sacramento, il bambino sarà accompagnato per condividere il «tesoro offerto da Dio» sulla mensa eucaristica.

Giacomo Gambassi


* Avvenir, 12 aprile 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/4/2012 11.52
Titolo:I VESCOVI APPROVANO LA PAROLA DI BENEDETTO XVI ....
EV-ANGELO, BUONA-NOTIZIA


"CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST". «Et nos credidimus Charitati...»(1 Gv., 4. 1-16) !!!!


SINODO DEI VESCOVI, 2008. L’ANNO DELLA PAROLA DI DIO: AMORE ("CHARITAS") O MAMMONA ("CARITAS")?!


I VESCOVI APPROVANO LA PAROLA DI BENEDETTO XVI: "Deus caritas est" (2006(!!!!


Fatto sta che la prima enciclica di Papa Benedetto XVI (Deus caritas est, 2006) è per Mammona!


Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/4/2012 13.55
Titolo:BRUNO FORTE. IL VATICANO GESTISCE LA GRAZIA DI DIO ...
LA GRAZIA DEL DIO DI GESU’ E’ "BENE COMUNE" DELL’INTERA UMANITA’, MA IL VATICANO LA GESTISCE COME SE FOSSE UNA SUA PROPRIETA’. Bruno Forte fa una ’predica’ ai politici, ma non ancora a se stesso e ai suoi colleghi della gerarchia. Una sua nota, con appunti:

http://www.ildialogo.org/Ratzinger/Interventi_1290959038.htm

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Commenti Articolo 851

Titolo articolo : BENEDETTO XVI E I SOSIA DI RICK SANTORUM: UN "URLO" DALL'IRLANDA. È ora di liberare la Chiesa dal viscido dominio del clericalismo. Una nota di Fr. Kevin Hegarty - un prete della parrocchia di Kilmore-Erris a Co Mayo,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: April/12/2012 - 13:21:43.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/4/2012 12.03
Titolo:BENEDETTO XVI AI VESCOVI STATUNITENSI. Il papa vota repubblicano ....
Il papa vota repubblicano?

di Massimo Faggioli (Europa, 20 gennaio 2012)

Nella fase cruciale delle primarie, con il front-runner mormone Romney tallonato dai social conservatives spaccati tra i due candidati cattolici Gingrich e Santorum, papa Benedetto XVI ha rivolto un discorso di rara durezza ai vescovi statunitensi in visita ad limina.

Il papa ha ricordato la specificità del ruolo della religione e della libertà religiosa in America, fondato su un «consenso morale» attorno al riconoscimento del valore della «legge naturale». Questa legge naturale ha sempre garantito in America non solo la libertà religiosa, ma anche la libertà di coscienza, in un ambiente storico-culturale che si muoveva nel quadro di quelli che il papa definisce «i valori ebraico-cristiani».

Tutto questo è sotto attacco, afferma il papa, a causa di forze culturali che mirano a seppellire non solo quel consenso morale e i valori ebraico-cristiani, ma anche la stessa libertà religiosa e la libertà di coscienza. «Il secolarismo radicale» e «l’individualismo estremo» tendono a stravolgere quel consenso sulla legge naturale tentando di avvocare nuovi diritti, come quelli all’aborto e al matrimonio omosessuale, che il papa contrappone agli «autentici diritti umani».

Il discorso del papa è stato scritto da chi conosce molto bene la situazione del cattolicesimo statunitense, tanto da usare parole-chiave che risalgono al vocabolario del “costituzionalismo cattolico americano” del gesuita John Courtney Murray (quello che contribuì a sdoganare politicamente il cattolicesimo americano, a far eleggere John F. Kennedy, e che per questo si guadagnò la celebre foto sulla copertina di Time del 12 dicembre 1960).

Le questioni di fondo che agitano il rapporto tra chiesa americana e cultura politica all’inizio del secolo XXI sono più ampie e complesse dell’eterna questione del diritto all’aborto. La chiesa americana si sente sotto attacco - tanto da aver creato recentemente una task force episcopale per la difesa della libertà religiosa - per nuovi problemi come quello del matrimonio omosessuale, che è ormai accettato dalla gran parte degli americani, anche dai cattolici delle giovani generazioni. Ma altre questioni sono più intricate, come la recente decisione dell’amministrazione federale americana e di alcuni stati di negare alle carità cattoliche fondi statali fino a quando le carità cattoliche non accettino di mettere in pratica integralmente le linee-guida del governo, che comprendono anche le pratiche contraccettive e abortive.

Su questo si inserisce la messa in pratica della riforma del sistema sanitario, che metterebbe fine ad alcune esenzioni di cui finora i datori di lavoro cattolici potevano godere: ad esempio, escludere dalle polizze di assicurazione sanitaria per i lavoratori delle università cattoliche i rimborsi per pratiche mediche «contrarie alla morale cattolica» ufficiale.

Nei recenti dibattiti i candidati repubblicani religiosi e social-conservatori (Gingrich, Santorum, e Perry) hanno accusato l’amministrazione Obama di aver «dichiarato guerra alla religione» in America e alla chiesa cattolica in particolare. Propaganda a parte, i cattolici liberal che votarono Obama e appoggiarono la sua riforma sanitaria ora chiedono alla Casa Bianca di ripristinare quelle tutele per la libertà di coscienza. Ma i cattolici americani sanno che l’idea del carattere “ebraicocristiano” dell’America nacque nella guerra fredda e che oggi è diventata, nel paese culturalmente e religiosamente più pluralista del mondo, una reliquia.

Gli americani non esiteranno a vedere nel discorso del papa un attacco all’amministrazione Obama, all’inizio di un anno elettorale in cui i cattolici saranno ancora una volta il voto in bilico tra repubblicani e democratici.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/4/2012 13.03
Titolo:Günter Grass, Israele e il giovane Ratzinger
Il Nobel tedesco sotto accusa

Günter Grass, Israele e il giovane Ratzinger

di Marco Dolcetta (il Fatto, 11.04.2012)

In queste ore si è scatenata una campagna internazionale contro lo scrittore Nobel Günter Grass che ha di recente, in una poesia, criticato Israele e difeso l’Iran per le sue scelte nucleari. Israele lo ha definito persona non grata e il “suo” partito l’Spd lo ha severamente criticato. In tale circostanza vengono riproposte le accuse alla sua partecipazione giovanile alle SS.

Vogliamo ricordare alcune sue righe tratte dal romanzo autobiografico “Sbucciando le cipolle” pubblicato nel-l’anno in cui lui stesso rivelò di aver militato durante la guerra nelle SS. Bisogna ricordare a proposito della sua partecipazione alle SS che a partire dal 1° dicembre 1936, sotto lo Jugenddienstpflicht tutti gli altri gruppi giovanili vennero banditi e i loro membri vennero assorbiti nella Gioventù hitleriana. L’appartenenza all’HJ venne resa obbligatoria per i giovani di età superiore a 14 anni nel 1939. La coscrizione diventerà poi obbligatoria per tutti quelli di età superiore ai 10 anni nel 1941.

Con il procedere della guerra, il gruppo assunse funzioni militari, gestendo le difese antiaeree e fornendo all’esercito molti soldati, specialmente per le Waffen-SS. Vennero arruolati nell’esercito membri della Gioventù hitleriana sempre più giovani che, durante la battaglia di Berlino nel 1945, costituivano grossa parte delle difese tedesche. Tra i giovanissimi iscritti per legge alla Hitlerjugend figurarono l’artista Joseph Beuys, l’attivista antinazista Sophie Scholl e Joseph Alois Ratzinger, allora 14enne, divenuto in seguito papa col nome di Benedetto XVI.

COSÌ RACCONTA GRASS e scrive:

“Una volta - ancora nel campo di Bad Aibling - 3 sigarette Camel mi fruttarono un cartoccetto di cumino, che masticai in ricordo del maiale con cavoli al cumino: una ricetta del maestro perso di vista. E un po’ di cumino barattato lo passai al mio compagno, insieme al quale stavo accovacciato al riparo di un telone sotto la pioggia insistente e lanciavo 3 dadi forse giocandoci il nostro futuro. Eccolo li, si chiama Joseph, mi sommerge di parole - a voce bassa, anzi sommessa - e non riesce a uscirmi di mente.
Io volevo diventare questo, lui quello. Io dicevo che esistono più verità. Lui diceva che ne esiste una sola. Io dicevo di non credere più a niente. Lui insellava un dogma dopo l’altro. Io esclamavo: ma Joseph, non avrai in mente di fare il grande inquisitore o magari qualcosa di più? Lui faceva sempre qualche punto in più e giocando citava Sant’Agostino, comeseavesse davanti le sue confessioni nella versione latina.
Così passavamo il tempo parlando, e giocando a dadi, finché un giorno lui venne rilasciato, visto che nella regione bavarese era di casa, mentre io, privo di indirizzo e quindi apolide, finii prima alla disinfestazione e poi in un campo di lavoro”. Grass cosi racconta del suo incontro con Joseph Ratzinger, che diventerà Papa. “Sostanzialmente, mia sorella non crede ai miei racconti. Inclinò la testa con aria diffidente quando dissi che quel compagno si chiamava Joseph, aveva parlato con accento piuttosto bavarese ed era un cattolico di ferro. Nessuno come il mio compagno Joseph era riuscito a parlare a favore dell’unica verità rivelata con tanta fanatica profondità e tanta amabile delicatezza al tempo stesso.
Se non ricordo male, veniva dalla zona di Altotting. La diffidenza di mia sorella aumentò: ‘Puzza di esagerazione, proprio come una delle tue storie! ’... Per rendermi più credibile ammisi una certa insicurezza: con lui avevo masticato cumino da un cartoccio, e la sua fede era così saldamente fortificata come un tempo il vallo atlantico; potrebbe essersi trattato davvero di tal Ratzinger che oggi in vesti papali vuol essere infallibile, anche se in quella maniera timida a me già nota che, in quanto fatta di affermazioni pacate, era particolarmente efficace. Qui mia sorella rise come sanno ridere solo le levatrici a riposo: ‘Ecco un’altra delle tue storie di fantasia con cui da bambino incantavi nostra madre’. E va bene, - ammisi, - che il tipo magrolino con il quale ai primi di giugno del ‘45 stavo seduto sotto un telone nel campo di Bad Aibling si chiamasse davvero Ratzinger non posso giurarlo, ma che pensasse di diventare prete, di ragazze non volesse saperne e subito dopo la liberazione della prigionia intendesse studiare il dannato ciarpame dogmatico, è sicuro. Così come che questo Ratzinger, che prima era prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e adesso dice la sua da pontefice, fosse realmente uno dei 10mila nel campo”.

Scrive Grass: “Per provocare, avevo apertamente affermato che, come dimostrava la storia della chiesa, persino un miscredente poteva senz’altro diventare papa”.

Sarebbe bello che i due vecchi amici, già SS, già denazificati, e poi chi Papa chi premio Nobel, si incontrassero a prescindere da rimozioni o smemoratezze.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/4/2012 14.49
Titolo:IRLANDA. Padre Tony Flannery è una persona molto conosciuta
Un prete irlandese ribelle viene richiamato all'ordine

di Natalia Trouiller

in “www.lavie.fr” dell'11 aprile 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Padre Flannery, un prete redentorista irlandese fondatore dell'Associazione dei preti cattolici (ACP), un movimento di preti nato a seguito degli scandali di pedofilia in Irlanda e che vuole riformare il funzionamento dell'istituzione, è stato richiamato all'ordine dalla Congregazione per la dottrina della fede.

D'ora in avanti, gli è proibito esprimersi sui media o sul sito dell'associazione, e la sua partecipazione come editorialista di Reality, rivista redentorista irlandese, è stata interrotta.

Padre Tony Flannery è una persona molto conosciuta in Irlanda, Due anni fa, la fondazione dell'ACP è stata vista come una valvola di sfogo da parte di molti preti: quasi un quarto di loro ha aderito
all'associazione per far sentire la propria voce nel processo di rinnovamento della Chiesa irlandese, asfissiata dagli scandali di pedofilia e dagli atteggiamenti compiacenti della gerarchia su tali scandali.

Non esitando ad assumere posizioni contrarie alla linea vaticana – in materia di controllo delle nascite, di ordinazione delle donne o di celibato dei preti, Flannery andava a volte anche oltre rispetto
all'associazione.

In un momento clou della crisi tra Dublino e il Vaticano, mentre il Primo Ministro irlandese se la prendeva con il Vaticano in piena seduta parlamentare, ha applaudito pubblicamente questo intervento.

Nella Chiesa irlandese, questo episodio non è stato ben accolto, tanto più che il fratello di Tony Flannery, Franck, è... il consigliere strategico del primo ministro. Un'impressione di confusione dei generi che ha irritato la gerarchia.

Padre Flannery è stato difeso dai circa 800 preti del suo movimento con un comunicato: “Affermiamo nella maniera più decisa possibile la nostra solidarietà con padre Flannery e vogliamo esprimere il nostro punto di vista, che è che questo intervento è ingiusto, ingiustificato e non ragionevole”, scrivono.

“Crediamo che un simile approccio, focalizzato unicamente su padre Flannery e, inevitabilmente, di conseguenza, sui membri dell'Associazione, sia un intervento estremamente
avventato nel contesto pastorale attuale in Irlanda”. E insorgono contro coloro che li considerano un gruppo in rotta con la Chiesa: “Mentre certi gruppi reazionari sono arrivati a descrivere la nostra
associazione come una piccola cricca di preti radicali con un programma radicale, noi protestiamo con veemenza contro questa rappresentazione. Siamo e vogliamo restare nel cuore stesso della
Chiesa, impegnati a mettere in atto le riforme del Concilio Vaticano II”.

Lo choc creato dalla sanzione che ha colpito Flannery è reale. In molti preti c'è emozione e costernazione.

Lo testimonia quanto scrive il padre redentorista Sean Duggan in un commento (n° 19) sul sito dell'ACP, commento che fa la parodia del testo del pastore Niemöller, la cui esagerazione mostra bene il livello di sensibilità raggiunto in questa situazione.
“Prima sono venuti per Tony e non ho detto niente perché non ero Flannery. Poi sono venuti per Reality Magazine e non ho detto niente
perché non lo leggo. [...] Poi sono venuti per me e non c'era più nessuno per parlare in mio favore”.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/4/2012 13.21
Titolo:PADRE FLANNERY. Il Vaticano ordina al prete irlandese ribelle di ritirarsi ...
Il Vaticano ordina al prete irlandese ribelle di ritirarsi in monastero a “pregare e riflettere”

di Patrick Counihan
in www.irishcentral.com” dell'11 aprile 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

A padre Tony Flannery, lo schietto prete irlandese, è stato ordinato dal Vaticano di andare in un monastero a “pregare e riflettere” sulla sua situazione. The Irish Times riferisce che al prete redentorista, già invitato al silenzio dai capi religiosi di Roma, è stato detto di tornare a pensare in linea con il pensiero della chiesa.

A Padre Flannery è stato ordinato di interrompere la sua collaborazione controversa con una rivista in quanto la chiesa cerca di mettere il silenziatore alle sue opinioni sulla contraccezione, sul celibato e sull'ordinazione delle donne. L'Associazione di Preti Cattolici dell'Irlanda si è espressa a sostegno di padre Flannery, che è uno dei suoi membri fondatori.

E c'è una rabbia crescente in alcuni settori del clero irlandese per quest'ultimo attacco che vuole obbligare padre Flannery al silenzio e riportarlo in linea con il Vaticano.

L'autorevole vaticanista Gerry O'connel, attraverso il sito Vatican Insider ha riferito che padre Flannery era stato convocato a Roma in marzo, quando ha incontrato padre Michael Brehl, il superiore generale canadese dei redentoristi.


Secondo quanto riferito, padre Brehl era stato precedentemente convocato presso la Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) dal prefetto, il cardinale statunitense William Levada, che aveva
espresso preoccupazione sull'ortodossia delle opinioni espresse da padre Flannery negli articoli sulla rivista redentorista Reality.

The Irish Times riferisce che la CDF era anche preoccupata per il ruolo di padre Flannery nell'Associazione di Preti cattolici (ACP). Si dice anche che la CDF ha proibito a padre Flannery e all'editore di Reality, padre Gerard Moloney, di scrivere articoli sugli argomenti sopra citati, e ha invitato padre Flannery a ritirarsi dall'ACP.

Ora è anche emerso che a padre Flannery è stato consigliato di “dedicare del tempo alla riflessione spirituale e teologica su tutti questi argomenti”.

Gli è stato ordinato di riflettere sulla sua posizione per un periodo di sei settimane, e ci si aspetta che il problema sia “risolto” per la fine di luglio. Il clero irlandese è molto irritato per il modo in cui è trattato padre Flannery, l'ultimo ad esprimere il suo sostegno è il noto prete gesuita Peter McVerry.


“Sono rattristato ma non sorpreso per l'azione di Roma per impedire a padre Flannery lapubblicazione del suo editoriale mensile”, ha scritto padre McVerry sul sito dell'ACP.


“I tentativi di Roma di sopprimere ogni discussione sono sicuramente un segno di paura. Gesù contestava l'istituzione religiosa in cui era cresciuto, i suoi atteggiamenti, le sue leggi e le sue pratiche, e il modo di intendere Dio, in quanto quegli atteggiamenti e quelle pratiche rivelavano un Dio la cui passione era l'osservanza della Legge. Invece Gesù rivelava un Dio di compassione che è incompatibile con il Dio della legge. Anche Gesù incorse nell'ira delle autorità religiose del suotempo.”

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Titolo articolo : “La corsa a farsi prete”....,di p. Nadir Giuseppe Perin

Ultimo aggiornamento: April/11/2012 - 21:04:01.

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Autore Città Giorno Ora
Giuseppe Zanon Cottolengo-Brescia 11/4/2012 21.04
Titolo:Complimenti...
Carissimo Nadir Giuseppe,
complimenti per il tuo articolo ‘La corsa a farsi preti..’!
Complimenti per questo tuo nuovo contributo alla causa dei preti sposati, come al solito fatto con parole profonde, convincenti e costruttive.
Questa volta parti dall’invito dei vescovi spagnoli a farsi prete con la promessa di un favo-re economico, quindi un invito che sa di simonia (baratto del sacro col profano), scadente
nel contenuto ed un regresso storico se pensiamo a quanti don Abbondio ha prodotto.
Quando ci si ostina a non vedere la realtà, si cade in queste contraddizioni; e poi ci si appella allo Spirito santo, sempre guardando per aria, mai attorno a noi dove ci sono preti sposati che sarebbero ottimi preti, oltre ad essere ottimi cristiani. E quanti ne conosco nel mio modesto tentativo di aiutare quelli che all’inizio sono incerti, abbattuti da una gerar-chia ecclesiastica matrigna, alla ricerca della fiducia in Dio Padre e in Cristo fratello.

Nella mia parrocchia (Gottolengo-Brescia), faccio parte del Gruppo culturale e tutti i componenti di esso sono stati chiamati a rispondere al questionario diocesano ‘Comunità in cammino’ sul tema delle Unità Pastorali. Ho detto la mia apertamente e serenamente:le
Unità Pastorali sono necessarie perché i preti sono pochi, sono utili per valorizzare meglio quelli che ci sono, non risolvono il problema perché se i preti mancano, mancano e basta!
E ho prospettato la soluzione contenuta nel libro di F. Lobinder ‘Preti per domani:nuovi modelli per nuovi tempi’: la Chiesa abbia due tipi di preti, come ai tempi di san Paolo, e cioè i preti ‘paolini’, celibi, a tempo pieno, disponibili per ogni comunità e i preti ‘corinzi’, locali, sposati, a part-time, legati profondamente alla loro comunità. Quello che chiedono, in pratica, i 300 preti-parroci austriaci, insistendo su Roma anche con la minaccia della disobbedienza. Roma è sempre chiusa nel suo divieto, niente preti sposati ( a meno che siano protestanti!), con la conseguenza che le parrocchie si chiudono, la loro suppellettile sacra è in vendita e …noi di Gottolengo beneficeremo di un organo favoloso,comperato colà alla misera somma di euro 30 mila!

Giuseppe, come mi tornano in mente le parole del tuo libro ‘Uomini senza collare’ !
Parlando dei preti sposati, ti domandi: “Che cosa si potrebbe fare nella Chiesa perché la loro presenza, da scomoda ed ingombrante per molti, possa diventare per tutti un dono prezioso di Dio, da valorizzare per tutti?”. Ed io ti rispondo: ci vorrebbe disponibilità ai valori del vangelo, vero ascolto del popolo di Dio, meno presunzione nel pregare per…..
Ciao Giuseppe, mio conterraneo, mio coetaneo, mio omonimo…….. ciao
Giuseppe Zanon

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Titolo articolo : LA VIA DEI "TRE SOLI": DANTE E IL NUOVO REALISMO. CONOSCERE SE STESSI E CHIARIRSI LE IDEE, PER CARITA’! Una nota,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: April/11/2012 - 11:01:30.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/4/2012 17.40
Titolo:vattimo: il «nuovo realismo» di Ferraris un’ideologia reazionaria ...
Vattimo contro il «nuovo realismo» di Ferraris

Tornare al mondo dei fatti? Botta e risposta (con controrisposta) tra i due filosofi sul «Manifesto del nuovo realismo». Per Vattimo si tratta di un’ideologia reazionaria: «Il ritorno della realtà è un ritorno all’ordine. È un supporto ideologico a Monti». Le replica di Ferraris: «No, è il vostro postmoderno che è sfociato in populismo. La decostruzione è naufragata nel realytismo e nelle guerre». E la disputa promette di proseguire (Alias/il manifesto, 8 APRILE 2012)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/4/2012 20.15
Titolo:LA TRE-SFERA: DANTE CON EINSTEIN - E KANT ....
COSMOLOGIA (""MONDO"), TEOLOGIA ("DIO"), ANTROPOLOGIA ("UOMO"): USCIRE DALLA CAVERNA PLATONICA, E NON RICADERE NELL’ILLUSIONE DI “DIO” CONCEPITO COME “UOMO SUPREMO”...


-LA TRE-SFERA: DANTE CON EINSTEIN - E KANT. Una bella e formidabile ipotesi di Carlo Rovelli, da coniugare con il lavoro di Kant - dalla "Storia universale della natura e teoria del cielo" alla "Critica della facoltà del giudizio". Vedi al link seguente:

http://www.ildialogo.org/filosofia/documenti_1287659404.htm
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/4/2012 23.17
Titolo:E' BENE RICORDARSI CHE ....
E' BENE RICORDARSI CHE SIAMO TUTTI FIGLI E TUTTI FIGLIE DI CAINO ....

E CERCARE DI NON CONTINUARE AD UCCIDERE NOI STESSI E NOI STESSE E IL PADRE DI GESU’ E IL PADRE NOSTRO:

L’AMORE ("CHARITAS") CHE MUOVE IL SOLE E LE ALTRE STELLE - CHE RENDE SOLARI I DUE CHERUBINI SULL’ARCA DELL’ALLEANZA DOVE E’ CUSTODITA LA LEGGE - IL PADRE NOSTRO, LO STESSO GESU’ NELLA VISONE DI FRANCESCO DI ASSISI E DI PAOLA E NELA VISIONE DEL CARRO DI EZECHIELE DI GIOACCHINO DA FIORE!!!

NON CHIUDERE UN OCCHIO, NE' CHIUDERE GLI OCCHI, MA APRIRE GLI OCCHI! AL MANGIARE IL MINESTRONE DEL FARAONE-DIO E AL BUTTARSI DAL FINESTRONE, C’E’ ANCORA E SEMPRE UNA TERZA (LA PRIMA E L'UNICA) VIA DI SALVEZZA - QUELLA DEI "TRE SOLI"!!! (Federico La Sala)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/4/2012 11.01
Titolo:DALL’IRLANDA UN "URLO", PER TEOLOGI ATEI E FILOSOFI DEVOTI.
DALL’IRLANDA UN "URLO", PER TEOLOGI ATEI E FILOSOFI DEVOTI.


È ora di liberare la Chiesa dal viscido dominio del clericalismo

di Kevin Hegarty*

in “www.irishtimes.com” del 10 aprile 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

I cattolici liberal sono giunti alle loro opinioni circa l’insegnamento della chiesa sulla contraccezione, sui preti sposati, sulle donne prete, e sull’omosessualità come risultato di una onesta e seria riflessione.

Il pittore Tony O’Malley era solito creare un’opera d’arte ogni Venerdì santo. Quando è giunta la notizia, durante la Settimana santa, della censura del Vaticano nei confronti di Fr. Tony Flannery e della rivista dei Redentoristi “Reality”, ho desiderato poter dipingere un quadro che esprimesse la mia tristezza.

Il discorso di papa Benedetto nella messa del Giovedì santo a Roma hanno portato al massimo la mia depressione. In risposta ad un appello alla disobbedienza di preti e laici austriaci sul celibato e sulle donne prete, ha asserito che essi sfidavano “precise decisioni del magistero della chiesa”.

I capi della Chiesa spesso parlano del diritto di libertà di espressione, molto recentemente lo ha fatto lo stesso papa nella sua visita a Cuba. Le recenti mosse vaticane hanno l’intento di creare un clima di paura tra il clero più aperto. Per riprendere un commento espresso alcuni anni fa dallo scrittore inglese AN Wilson, la Congregazione per la dottrina della fede ha “i mezzi per obbligarti a non parlare”.

Conosco molto bene Tony Flannery. Ha donato 40 anni di sincero servizio come prete, soprattutto come predicatore di missioni in tutta l’Irlanda. È un oratore che trascina e suscita empatia e un liturgista innovatore. I suoi articoli su “Reality”, basati sul suo impegno per gli ideali del Concilio Vaticano II e la sua vasta conoscenza della Chiesa irlandese erano spesso scritti per far pensare. È uno dei fondatori della “Association of Catholic Priests”, istituita nel settembre 2010, e fa parte del gruppo dirigente. L’associazione si è dotata di un forum per il dibattito ed una voce indipendente per i preti irlandesi.

Tra le sue conquiste c’è il suo intervento nel caso di Fr. Kevin Reynolds, che fu gravemente diffamato nel maggio scorso nel programma Prime Time Investigates.

Mi aspetto che Fr. Reynolds ammetta che senza questo aiuto starebbe ancora languendo in un limbo dal quale non avrebbe mai potuto emergere.

Forse non sorprende che il Vaticano abbia fatto la mossa di censurare Fr. Flannery. Il Concilio Vaticano II prometteva una Chiesa aperta e dialogica, desiderosa di impegnarsi con il mondo secolare. Dal 1980 a Roma c’è stato un ritiro dalle sue riforme.

Papa Benedetto ha un’opinione negativa dello spirito del Concilio. L’anno scorso ha mandato un gruppo di visitatori apostolici per esaminare la Chiesa irlandese sulla scia dello scandalo degli abusi sessuali. Nel riassunto del loro rapporto pubblicato recentemente, i visitatori danno una sferzata ai cattolici aperti. Hanno scritto che un numero significativo di cattolici irlandesi aveva opinioni in contrasto con “l’insegnamento del magistero”.

Dovrebbero essere loro assegnati pieni voti per il loro potere di osservazione. I molti cattolici liberal in Irlanda sperano in una Chiesa che sia aperta a preti sposati e donne, ad un ripensamento sul problema della contraccezione rispetto a quanto si esorta nella Humanae Vitae, e ad un capovolgimento dell’assoluta mancanza di sensibilità dell’insegnamento sull’omosessualità.

Siamo giunti a queste posizioni come risultato di una onesta e seria riflessione. Non cerchiamo il cambiamento per il gusto del cambiamento. Crediamo che queste riforme aiuterebbero a far emergere una Chiesa più umana, attenta e stimolante, una Chiesa liberata dal viscido dominio del clericalismo.

E queste opinioni sostenute sinceramente non sono affatto in contrasto con la dottrina fondamentale della Chiesa, come hanno sostenuto i visitatori nel loro rapporto. Questa dottrina parla, ad esempio, dell’umanità e della divinità di Cristo, della resurrezione e dei sacramenti.

Non conosco alcun prete in Irlanda che pubblicamente dissenta da questi elementi di fede.C’è la tendenza di commentatori conservatori ad affermare che i preti più aperti siano una minoranza di vecchi scontenti che hanno trasformato le loro interpretazioni errate del Concilio Vaticano II in una specie di santo decreto.

Per loro noi siamo dei naufraghi che tengono sfrontatamente in alto le sbrindellate bandiere degli anni 60. Non ne saranno contenti, ma devo disilluderli.

L’evidenza aneddotica, unita ai risultati di un gran numero di indagini fatte da professionisti, indicano che la maggioranza dei cattolici irlandesi sostiene cambiamenti radicali nel ministero e nell’insegnamento morale della Chiesa.

Per parafrasare Gerry Adams in un contesto differente, non stiamo andando via. Il Vaticano è stato una “casa fredda” per i cattolici aperti negli anni recenti. Il minimo che ci aspettiamo è il rispetto per la nostra libertà di parola e di coscienza.

Una riforma della Chiesa che escluda questi diritti è una forma di repressione. Sembra che Papa Benedetto pensi che “una minoranza creativa” di cattolici conservatori trasformi la Chiesa in Europa. A me questo sembra un garbato eufemismo per un’assemblea di sosia di Rick Santorum.

*Fr. Kevin Hegarty è un prete della parrocchia di Kilmore-Erris a Co Mayo, e giornalista di Mayo News.

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Titolo articolo : SUICIDI PER CREDITI,di Ernesto Miragoli

Ultimo aggiornamento: April/11/2012 - 10:53:40.

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Autore Città Giorno Ora
Carlo Castellini Brescia 11/4/2012 10.53
Titolo:

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Titolo articolo : Il "ventennio" è proprio finito,di Domenico Stimolo

Ultimo aggiornamento: April/09/2012 - 16:53:07.

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Autore Città Giorno Ora
Augusta De Piero Udine 09/4/2012 16.53
Titolo:
Condivido il sollievo purché non ci tranquillizzi.
Trascrivo un pezzo che si trova oggi nel mio blog

Quello che va detto o meglio quello che io voglio dire.

La stampa e i vari media parlano dei furti continui che partito e famiglia avrebbero perpetrato all’ombra dell’on. Bossi. Spero che si arrivi al più presto a imputazioni precise e precisamente note, a un processo trasparente e a una sentenza inequivocabile mentre ciò che mi sgomenta in questi giorni è trovarmi a fronte di pagine e pagine di quotidiani che riportano (spettegolano?) turpi particolari sulla vita dei signori protagonisti del nuovo scandalo.
Mi irrita e mi fa male constatare che del pessimo comportamento dei politici si parla solo quando rubano o fanno sfacciatamente sesso, come se i portafogli malamente riempiti e gli indumenti intimi precipitosamente tolti fossero bandiere da sventolare a proprio onore.
Ma questa gente, quale che sia il risultato del processo che poco sopra ho auspicato, ci deruba da anni di dignità e senso della decenza, sia per aver mal governato (e non sono i soli: altri lo hanno fatto, alleati o no con la Lega Nord e non solo ‘a destra’) sia per aver attuato un’operazione culturale devastante.
Si sono scoperti fin dal loro apparire sulla scena politica, hanno fatto del razzismo il loro verbo e gli italiani non trovarono nulla da dire; le pazze bestialità del loro linguaggio sono state (e ancora sono) tollerate quando non sono diventate senso comune e su questo scempio è mancata una significativa protesta.
Ed è l’aver gettato ogni coscienza di appartenenza a una realtà che ci onora in un liquame confuso fatto di ignoranza e identificazione con il peggio della nostra storia che mi fa paura.
Se per assurdo Lega Nord e famiglia Bossi fossero ritrovati innocenti andrebbe tutto a posto?
Torniamo all’appartenenza cui ho fatto cenno sopra: da parte mia intendo il riconoscerci nella Costituzione e in principi che non sono valori cui partecipare con sensibilità (parola che – da quando è stata sovrapposta al ragionamento – mi è diventata odiosa) ma principi in cui riconoscersi sperabilmente assieme ad altri che ne siano consapevoli per cercare di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

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Commenti Articolo 856

Titolo articolo : DIVORZIATI RISPOSATI: IL CARD. SCOLA BLOCCA IL DIBATTITO. MA IL CONSIGLIO PRESBITERALE NON LO SEGUE,da Adista Notizie n. 13 del 07/04/2012

Ultimo aggiornamento: April/08/2012 - 14:07:53.

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Autore Città Giorno Ora
alberto biscotto FORLI\' 08/4/2012 14.07
Titolo:testimoni della verità
Della posizione del Cardinale Scola ci si può rammaricare, ma non stupire, ci si può stupire invece della mancanza di coraggio dei 27 astenuti (oltre il 57%) che immagino non sarebbero stati crocefissi se avessero espresso un'opinione, anche se diversa da quella del Cardinale. Sarebbe interessante un'intervista agli ignavi.

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Commenti Articolo 857

Titolo articolo : Pasqua di resurrezione,di Michele Zarrella

Ultimo aggiornamento: April/08/2012 - 11:07:12.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/4/2012 09.12
Titolo:PER UN RISVEGLIO ... CON UNA NUOVA TESTA E UN NUOVO CUORE. AUGURI !!!
PER UNA PASQUA DI RESURREZIONE ALL'ALTEZZA DEL PIANETA TERRA E DELL'INTERA UMANITA', OCCORRE UN RISVEGLIO ... CON UNA NUOVA TESTA E UN NUOVO CUORE ...

Caro Michele

PASQUA DI RESURREZIONE.... Se noi non ci siamo (nel senso che viviamo dormendo), come possiamo agire per il meglio di noi stessi e di noi stesse e per la vita stessa del Pianeta?

E il titolo dato da te alle "Otto domande, otto risposte l’otto del mese" di aprile (come tra le righe fai ben capire), sollecita a ripensare il problema di tutti i problemi: noi stessi, esseri umani, che abitiamo la Terra.

PASQUA DI RESURREZIONE ... siccome qui (in modo latente e sottile) è in gioco anche la Costituzione della Repubblica Italiana e lo stesso Messaggio Evangelico, e la nostra - di tutti e tutte sovranità (e sacerdotalità - ricordiamo anche Lutero e la Riforma), per memoria sonora (di significante e di significato) - è da preferire (con il conforto di Michele Arcangelo e di Melchi-tzedech, come di Mosè, di Elia, e Gesu’... è preferibile

RE-surrezione!!!

Una ri-surrezione che è - più propriamente - una re-surrezione, la Resurrezione di Gesù, e la re-stituzione della Libertà a ogni essere umano, a ogni cristiano e a ogni cristiana - della libertà dalla schiavitù e dalla morte!!!

PASQUA: CHE COSA RICORDIAMO?

RICORDIAMO (e rin-grazia-mo) che L’AMORE è PIU’ FORTE DI MORTE (Cantico dei cantici: 8.6)!!!

Se no, che ricordiamo?! La nostra totale generale stupidità?!

Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Michele Zarrella Gesualdo 08/4/2012 11.07
Titolo:Risposta a Federico
Caro Federico,
ti ringrazio per aver ricordato a me e a tutti i lettori che il problema di tutti i problemi è che stiamo mettendo in discussione noi stessi, esseri umani, che abitiamo la Terra.

Mi chiedo quale è la logica guida l’Homo sapiens, se fa prevalere il dio Denaro su quello dell’Amore e del rispetto per tutte le creature? Fai bene a ricordare che L’AMORE è PIU’ FORTE DI MORTE (Cantico dei cantici: 8.6)!!!

Ah quanto trovo assurdo sentire che è stato massacrato, ammazzato, sterminato uno più esseri umani “IN NOME DI DIO” “IN NOME DELL’AMORE”!!!. L’assurdità di tale frase dimostra la nostra totale generale stupidità e credulità?!
Buona Paqua a te e tutti i nostri lettori.
Michele Zarrella

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Commenti Articolo 858

Titolo articolo : Pillole di Costituzione (6),di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: April/08/2012 - 00:06:54.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/4/2012 00.06
Titolo:COSTITUZIONE, RESURREZIONE E RISURREZIONE ....
LA DOMANDA DI UN ITALIANO:

E’ PREFERIBILE "RISURREZIONE" O "RESURREZIONE"?

RISPOSTA:

Vanno bene entrambi. Ma! Ma...

Ma siccome qui (in modo latente e sottile) è in gioco anche la Costituzione della Repubblica Italiana e lo stesso Messaggio Evangelico, e la nostra - di tutti e tutte sovranità (e sacerdotalità - ricordiamo anche Lutero e la Riforma), per memoria sonora (di significante e di significato) - è da preferire (con il conforto di Michele Arcangelo e di Melchi-tzedech, come di Mosè, di Elia, e Gesu’... è preferibile

RE-surrezione!!!

Una ri-surrezione che è - più propriamente - una re-surrezione, la Resurrezione di Gesù, e la re-stituzione della Libertà a ogni essere umano, a ogni cristiano e a ogni cristiana - della libertà dalla schiavitù e dalla morte!!!

PASQUA: CHE COSA RICORDIAMO?

RICORDIAMO (e rin-grazia-mo) che L’AMORE è PIU’ FORTE DI MORTE (Cantico dei cantici: 8.6)!!!

Se no, che ricordiamo?! La nostra totale generale stupidità?!

(Federico La Sala)

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Commenti Articolo 859

Titolo articolo : MEMORIA DI MOSE' E LA PASQUA EBRAICA: L'HAGGADAH. CIO' CHE IL PAPA E TUTTA LA GERARCHIA VATICANA HA DIMENTICATO!!! Una nota di Safran Foer,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: April/07/2012 - 16:54:05.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/4/2012 16.54
Titolo:PASQUA DI RISURREZIONE O DI RESURREZIONE?
DOMANDA:

E' PREFERIBILE "RISURREZIONE" O "RESURREZIONE"?

RISPOSTA:


Vanno bene entrambi. Ma!

Ma siccome qui (in modo latente e sottile) è in gioco anche la Costituzione e lo stesso messaggio evangelico, e la nostra - di tutti e tutte sovranità (e sacerdotalità), per memoria sonora (di significante e di significato) – è da preferire (a mio parere – con il conforto di Michael e di Melchisedech, come di Mosè, di Elia, e Gesu’…
RE - surrezione!!!

Una ri-surrezione che è - più propriamente la Resurrezione di Gesu', e la Libertà di ogni essere umano, di ogni cristiano e di ogni cristiana, dalla schiavitù e dalla morte!!!

RICORDIAMO e ringraziamo che L'AMORE è PIU' FORTE DI MORTE.

Se no, che ricordiamo?! La nostra totale generale stupidità?!

Federico La Sala

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Commenti Articolo 860

Titolo articolo : Una considerazione sul processo Marlane-Marzotto,di Giorgio Langella *

Ultimo aggiornamento: April/02/2012 - 18:09:18.

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Autore Città Giorno Ora
vincenza podo terni 02/4/2012 18.09
Titolo:gli amministratori di Terni indagati per disastro ambientale
Anche a Terni c'e un processo in corso per disastro ambientale in seguito alle supposte morti per inquinamento dell'aria dei dipendenti del vecchio inceneritore asm.Sono indagati l'ex sindaco Raffaelli e il presidente dell'arpa,ma la prima udienza e' stata rinviata alla prossima estate.Strategie per la Prescrizione?Intanto la provincia ha dato l'autorizzazione ad un inceneritore privato,terni.ena-acea,quando terni da anni paga lo scotto delle acciaierie e di una discarica altamente inquinanti,e in un'indagine dell'Istituto Superiore della Sanita' fa parte delle 44 citta' a rischio.Purtroppo chi ha il potere politico o economico non si preoccupa della salute dei cittadini.Questa e' l'Italia!

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Commenti Articolo 861

Titolo articolo : LA DITTATURA DELLA FINANZA : ABBIAMO TRADITO IL VANGELO?,di Alex Zanotelli

Ultimo aggiornamento: April/02/2012 - 16:12:00.

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Autore Città Giorno Ora
Franca Maria Bagnoli Pescara 25/3/2012 14.13
Titolo:Saluti
Ciao, Alex. I miei risparmi sono alla posta. Va bene?
Un abbraccio affettuoso. Franca Maria.
Autore Città Giorno Ora
Maria Paola Arnaboldi Muggiò 02/4/2012 16.12
Titolo:Grazie Alex
Grazie Alex,
buona pasqua anche a te.
Nella mia famiglia abbiamo fatto la scelta di Banca Etica,di cui siamo anche soci fondatori,
Da allora ci sentiamomolto più tranquilli dall'avere risparmiato soldi che possiamo investire direttamente in progetti etici scelti dalla banca etica e da noi.
Ci auguriamo che siano ancora molti a farlo.
Ciao paola

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Commenti Articolo 862

Titolo articolo : Tanto non lo capiscono,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: April/01/2012 - 11:59:44.

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Autore Città Giorno Ora
franco garavini forli 01/4/2012 11.59
Titolo:“il sazio non crede a chi è digiuno”
Oggi si ricorda l'entrata trionfante di Gesù a gerusalemme..
Anche noi abbiamo creduto in un Messia-Napolitano-monti e i professori.
Ma alla resa dei conti...non sono andati loro in croce a morire, ma noi,
il popolo che li esaltava.E' vero, il sazio...., ma il guaio è che il sazio (politici, manager, giornalisti, banchieri...ecc...)non sono capaci, come il ricco -epulone, di vedere il povero Lazzaro.
Saranno credibili quando 'opereranno' una vera giustizia,...
Perchè non fanno una legge che, non si può guadagnare in un mese più del salario di un anno dell'operaio/dipendente?...o non si tagliano le pensioni attuali non contributive.oltre i 1500€ .., il non accumulo di più pensioni o retribuzioni...
La pensione è un DIRITTO alla vita per limiti di età o malattia...indipendentemente dai contributi...'a chi ha avuto tanto..sarà dato tanto..., ma ha chi poc ha dato..sarà tolto anche quello cha ha..? Nn è cristianesimo... anche i 'pagani' l fanno.

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Commenti Articolo 863

Titolo articolo : E' GIA' PASQUA: LA RECITA E' FINITA. E la "Propaganda della fede" vaticana può chiudere! Pensieri di don Angelo Casati,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/31/2012 - 23:26:01.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/3/2012 20.29
Titolo:RECITARE O ESSERE? L'opera del tradimento ......
PAOLO DI TARSO, L’ASTUTO APOSTOLO DELLA GRAZIA ("CHARIS") E DELL’ AMORE ("CHARITAS"), E LA NASCITA DEL CATTOLICESIMO-ROMANO! UNA NOTA

di Federico La Sala *

(...) non equivochiamo! Qui non siamo sulla via di Damasco, nel senso e nella direzione di Paolo di Tarso, del Papa, e della Gerarchia Cattolico-Romana: “[... ] noi non siamo più sotto un pedagogo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Galati: 3, 25-28).

Nella presa di distanza, nel porsi sopra tutti e tutte, e nell’arrogarsi il potere di tutoraggio da parte di Paolo, in questo passaggio dal noi siamo al voi siete, l’inizio di una storia di sterminate conseguenze, che ha toccato tutti e tutte. Il persecutore accanito dei cristiani, “conquistato da Gesù Cristo”, si pente - a modo suo - e si mette a “correre per conquistarlo” (Filippesi: 3, 12): come Platone (con tutto il carico di positivo e di negativo storico dell’operazione, come ho detto), afferra l’anima della vita evangelica degli apostoli, delle cristiane e dei cristiani, approfittando delle incertezze e dei tentennamenti di Pietro, si fa apostolo (la ‘donazione’ di Pietro) dei pagani e, da cittadino romano, la porta e consegna nelle mani di Roma.

Nasce la Chiesa ... dell’Impero Romano d’Occidente (la ‘donazione’ di Costantino). La persecuzione dei cristiani, prima e degli stessi ebrei dopo deve essere portata fino ai confini della terra e fino alla fine del mondo: tutti e tutte, nella polvere, nel deserto, sotto l’occhio del Paolo di Tarso che ha conquistato l’anima di Gesù Cristo, e la sventola contro il vento come segno della sua vittoria... Tutti e tutte sulla romana croce della morte.

Egli, il vicario di Gesù Cristo, ha vinto: è Cristo stesso, è Dio, è il Dio del deserto... Un cristo-foro dell’imbroglio e della vergogna - con la ‘croce’ in pugno (e non piantata nella roccia del proprio cuore, come indicava Gesù) - comincia a portare la pace cattolico-romana nel mondo. Iniziano le Crociate e la Conquista. Il Dio lo vuole: tutti i popoli della Terra vanno portati nel gelo eterno - questo è il comando dei Papi e dei Concili, cioè delle massime espressioni dell’intelligenza astuta (quella del Dio di Ulisse e della vergine Atena, non del Dio di Giuseppe e di Maria) del Magistero della Chiesa, alle proprie forze armate... fino a Giovanni Paolo II, al suo cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e alla Commissione teologica internazionale, che ha preparato il documento “Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato”.

Uno spirito e un proposito lontano mille miglia, e mille anni prima di Cristo, da quello della “Commissione per la verità e la riconciliazione”, istituita in Sudafrica nel 1995 da Nelson Mandela, per curare e guarire le ferite del suo popolo. Il motto della Commissione bello, coraggioso, e significativo è stato ed è: “Guariamo la nostra terra”!

*

Si cfr.: Federico La Sala, L’enigma della Sfinge e il segreto della Piramide, Ripostes, Roma-Salerno 2001, pp.23-25.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/3/2012 23.26
Titolo:LA MISURA E LE PAROLE. PARLARE PER SE', PARLARE "IN GENERALE". PARLARE "IN PE...
Note di premessa sul tema:


-***{{[SENZA "GIUSEPPE", LUISA MURARO CONTINUA A GIOCARE A "MARIA", MADRE DI DIO E DIO LEI STESSA. Una sua riflessione "natalizia"

->http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/filosofia/documenti_1324976196.htm ]}}


-***{{[
DONNE, UOMINI, E INGIUSTIZIA EPISTEMICA:«CHANGING THE IDEOLOGY AND CULTURE OF PHILOSOPHY»!

->http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/filosofia/documenti_1332685822.htm]...

-***{{["IN PERSONA CHRISTI": MA QUALE CRISTO?! Donne, uomini e ministeri. Una analisi della teologa Lilia Sebastiani

->http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/Ratzinger/Interventi_1332259858.htm...
_____________________________________________________________________________________________
{{Esiste il sesso delle parole}}

di {{Luisa Muraro}} (Metro, 28 marzo 2012) *

Non m’interessa che si faccia una politica in favore delle donne. Quello che invece m’interessa, è che le donne che entrano in politica, sappiano farsi valere con tutta la loro esperienza e competenza. Perché lo dico? Perché troppe di loro, man mano che fanno carriera, rinunciano invece al nome di donna e si presentano come dei neutri. Mi riferisco a quelle che, parlando ai giornalisti, dicono: chiamatemi ministro, sindaco, segretario, professore… La trovo una cosa scandalosa e incomprensibile, tanto più che negli altri paesi europei non lo fanno. Angela Merkel era deputata ed è diventata cancelliera della Germania. Ma guardiamo anche da noi: la donna che lavora in fabbrica si chiama operaia; quella che lavora in campagna, contadina; quella che vende, commessa. È giusto, lo vuole la lingua che parliamo, lo insegnano i vocabolari. Nei vecchi vocabolari non troviamo il femminile di sindaco, di ministro, di deputato, ma solo perché erano vocabolari di una civiltà patriarcale che escludeva le donne dalla vita pubblica. Questo non succede più. Da qui viene per me lo scandalo: se quelle che entrano nei posti di comando vogliono chiamarsi al maschile, che messaggio danno? Che il femminile è buono per sgobbare ma non per dirigere? Buono per la scuola elementare ma non per l’università?

Che una donna ammiri un uomo, ammesso che abbia qualche merito, non ci sono obiezioni, l’ammirazione è un sentimento libero. Ma che lo prenda come una misura per sé, in generale, questa o è soggezione o trasformismo. E ha degli effetti deteriori, perché in un posto di responsabilità, grande o piccola, bisogna portare non solo le conoscenze ma anche le esperienze, non solo un titolo di studio ma anche il proprio essere.

*{{ [LIBRERIA DELLE DONNE - MILANO->http://www.libreriadelledonne.it/news/articoli/Metro280312.htm]}}

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Commenti Articolo 864

Titolo articolo : CASO PER CASO. NOME PER NOME. LA PEDOFILIA ECCLESIASTICA IN ITALIA /2,da Adista Notizie n. 11 del 24/03/2012

Ultimo aggiornamento: March/31/2012 - 23:20:01.

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Autore Città Giorno Ora
gianni felisio TORINO 31/3/2012 23.20
Titolo:il tradimento del messaggio.
Purtroppo se tra i 12 uno ha tradito, su 50.000 preti in Italia è facile che qualche migliaio possa tradire il Vangelo e il mandato che è stato dato.

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Commenti Articolo 865

Titolo articolo : SENZA "GIUSEPPE", LUISA MURARO CONTINUA A GIOCARE A "MARIA", MADRE DI DIO E DIO LEI STESSA. Una sua riflessione "natalizia" - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/31/2012 - 23:04:17.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/12/2011 10.32
Titolo:Il Messia è già venuto - ed è il figlio del Dio di Giuseppe e di Maria ....
ITALIA.

NATALE 2008 DOPO LA NASCITA DEL MESSIA... *

Per il generale e comune mondo accademico (laico e religioso), la parola "Cristo" (in greco) traduce la parola "Messia" (in ebraico), che viene fatta derivare dalla parola mashìach (משיח, "unto") ...

SEMBRA TUTTO CHIARO - COME L’ACQUA. Ma qui si parla di "unto" e, quindi, di "olio". E la cosa non è affatto chiara. E la "Vox populi", fosse anche la "voce" del popolo dotto e dei dottori, non è coincisa mai con la voce di Dio (Vox Dei). E’ stata sempre e solo uno strumento e uno slogan di manipolazione del popolo-massa da parte dei vari Signori della Terra e della Guerra.

IL MESSIA NON E’ AFFATTO UN "UNTO", UN MESSO DI DIO. A rigor di logica e di testi evangelici, la differenza è abissale, come tra il messaggio dell’Imperatore (ricordiamo la lezione di Kafka) portato da un com-messo - un funzionario, e il figlio dell’Imperatore, inviato dall’Imperatore stesso, che è uno con il Padre ed è il messaggio in persona - in carne ossa e spirito.

Per risalire la corrente e, come un pesce salomonico ("Ichthus"), ritrovare la sorgente d’acqua viva, dobbiamo quanto meno ripensare al "perch’io te sovra te corono e mitria" di Virgilio a Dante (Purg.; XXVII, 142) a Lutero (sacerdozio universale) e a don Milani (sovranità universale) e ricordarci di Melchisedech.

Il MESSIA è CHI sa CHI è, CHI sa CHI lo manda, e che sa CHE COSA vuole e CHE COSA viene a fare. Non è un servo - e non è "unto" (come un pesce morto, pronto da friggere)! Porta la "spada" come Salomone, e porta la "luce", il "fuoco" che non brucia, e illumina le tenebre! Egli sa da dove viene e dove va: al di qua e al di là di Mosè e di Elia, egli è il Principio e la Fine, l’Alfa e l’Omega.

IL MESSIA E’ IL FIGLIO DI DIO, E DEL DIO AMORE ("DEUS CHARITAS EST", 1 Gv., 4, 1-16). Con il Padre e insieme al Padre, lo Spirito Santo ("Deus charitas est"), Egli è il Messaggio e il Messaggero! La Verità, tutta intera, di fronte a Pilato: Gesù, "Dio salva". E’ la Persona che è la via la verità e la vita, per tutti gli esseri umani per procedere verso la Salvezza, la Terra Promessa - il Regno di Dio (Charitas - Amore).

QUESTO E’ IL MESSIA. E questo Messia è già venuto - ed è il figlio del Dio di Giuseppe e di Maria!!!. La luce splende nelle tenebre: è nato il Messia, è nato Gesù ("Dio salva") , oggi - e per l’eternità.

La tragedia è finita. Il buon-messaggio è arrivato sulla Terra: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli esseri umani di buona volontà...

ORA TUTTO CAMBIA ED E’ TUTTO CAMBIATO. "ORA", NOI, tutti gli esseri umani, SIAMO DIVENTATI PER NOI STESSI UN GRANDE PROBLEMA!!!

DA AGOSTINO, A ROUSSEAU, A NIETZSCHE, A WITTGENSTEIN, SEMPRE LO STESSO INTERROGATIVO. La questione antropologica antica ("che cosa è l’uomo?") diventa un’altra. Ora - dopo la venuta del Messia, dopo la venuta di "Cristo", siamo sollecitati e costretti a interrogarci diversamente, con più profondità e con più altezza: "CHI SIAMO NOI, IN REALTA’?"(Nietzsche). "L’Io, l’IO, è il mistero profondo - e non in senso psicologico"(Wittgenstein).

"QUI E ORA", TOCCA A NOI DECIDERE. Siamo noi, tutti gli esseri umani, il Messia che deve venire sulla Terra.... ed è "qui e ora" che siamo chiamati a svegliarci e a decidere. Continuare ad essere servi, olive da schiacciare e farne olio dei vari Signori di Mammona di turno (come il teologo della "Dominus Jesus" e della "Deus caritas est" dell’af-faraonismo vaticano) per ungere il loro inviato di turno o, diversamente, diventare fratelli e compagni di viaggio di Gesù e quindi figli e figlie dello Spirito del Dio (Charitas)dei nostri Padri e delle nostre Madri Costituenti.... decisi, finalmente, a vivere e a operare in Spirito di Giustizia e Pace?!

SAPERE AUDE! IL MOTTO DELL’ILLUMINISMO KANT LO RIPRENDE VIENE DAL LATINO DI ORAZIO E NON SIGNIFICA SOLO AVER IL CORAGGIO INTELLETTUALE DI SAPERE. Richiama l’esperienza e la sensibilità: significa anche avere il coraggio di as-saggiare.

Nella Lingua d’Amore (Charitas) della Buona Novella (Eu-angelo) e della Buona-Grazia (Eu-Charistia), significa accogliere l’invito alla tavola della Sapienza del Messia (e non di qualche Cannibale unto dal Signore del posto) ed essere accolti a nostra volta come Messia: Prendete, questo è il mio corpo... questo è il mio sangue....

E’ una rinascita e una risurrezione, non la morte e la devastazione senza fine. Amore è più forte di Morte (Ct., 8.6). E’ l’inizio di un’amicizia infinita - non di una guerra, e di un dialogo nuovo - nella Lingua d’Amore.

La tragedia è finita. Inizia la Commedia. E Dante è sempre qui a ricordarcelo...

Il Messia è nato.

Che il Messia che deve venire, venga finalmente...

AUGURI.

Moltissimi, moltissimi Auguri...

BUON NATALE

Federico La Sala (18.12.2008)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/12/2011 15.02
Titolo:La prima attribuzione del titolo di Madre di Dio a Maria di Nàzaret ...
[...] La prima attribuzione del titolo di Madre di Dio a Maria di Nàzaret è di natura popolare ed è databile immediatamente tra il sec. I e il sec. II d.C., quando si consolida la figura di Maria nell’organizzazione della liturgia della chiesa delle origini. *

Il concilio di Efeso fu convocato dall’imperatore Teodosio II (401-450) l’11 ottobre 430 e si svolse nella chiesa di San Giovanni dal 22 giugno – 22 luglio 431. Papa a Roma era Celestino I (422-432) e patriarca di Costantinopoli Nestorio (ca. 381- ca. 451). Costui negava la divinità di Gesù e quindi anche la maternità divina di Maria: «Dio ha dunque una madre? Allora non condanniamo la mitologia greca, che attribuisce una madre agli dèi».

Gli rispose e gli si oppose Cirillo di Alessandria il più grande teologo del tempo che rifletteva la teologia del papa di Roma: «La Vergine è madre della divinità? Noi rispondiamo: il Verbo vivente, sussistente, è stato generato dalla sostanza medesima di Dio Padre, esiste da tutta l'eternità... Ma nel tempo egli si è fatto carne, perciò si può dire che è nato da donna». Gesù è il Figlio di Dio ed è nato da Maria. Il concilio di Efeso rifiutò l’eresia di Nestorio e approvò il testo di Cirillo ribadendo la dottrina del concilio di Nicea (325) che aveva affermato l’esistenza nella persona di Gesù delle due nature, divina e umana e dichiarando di conseguenza Maria di Nàzaret «Theotòkos-Madre di Dio»2. La fede già professata dal popolo fu sancita dal magistero della Chiesa.

In memoria della dichiarazione di Efeso del 431, Papa Sisto III (432-440) l’anno successivo, nel 432, fece edificare una basilica sull’Esquilino dedicata a Maria, Madre di Dio e conosciuta come S. Maria Maggiore. Essa fu la prima delle chiese erette in Occidente e dedicate alla Vergine. In questa chiesa si cominciò a celebrare il 1 gennaio una festa del Natale di Maria che fu la prima festa di Maria nella liturgia romana.

Papa Pio XI per celebrare il 1500 anniversario dell’indizione del concilio di Efeso con l’enciclica Lux Veritatis del 25 dicembre 1931 istituì la festa della Divina Maternità della Beata Vergine assegnandola in memoria all’11 ottobre. Paolo VI la riportò alla data primitiva del 1° gennaio di ogni anno3.

L’ottava di Natale coincide anche con l’inizio dell’anno civile che così è messo sotto la protezione della Donna di Nàzaret la quale per grazia di Dio fu scelta come Madre del Creatore e Redentore, Madre e Sorella nostra. L’anno inizia col genere femminile. Sul nuovo anno invochiamo lo Spirito di Dio.

*
da: Maria Madre di Dio – A – B - C / 1° Gennaio
di Paolo Farinella, prete

http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/esegesi/esegesitxt_1325166821.htm
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/12/2011 15.17
Titolo:GIUSEPPE E\' ANCORA UN GOJ, UNO STRANERO. Quando sarà riconosciuto padre di Dio?...
PER LA CHIESA CATTOLICA, SAN GIUSEPPE E’ ANCORA UN "GOJ", UNO STRANIERO.

LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA E’ ZOPPA E CIECA: IL FIGLIO HA PRESO IL POSTO DEL PADRE DI GESU’ E DEL "PADRE NOSTRO" E FA IL SANTO "PADRINO".... CON "MAMMONA" E "MAMMASANTISSIMA"!

GESU’, GIUSEPPE, SACRA FAMIGLIA?! RESTITUIRE L’ANELLO DEL PESCATORE A GIUSEPPE... E ANNUNCIARE LA BUONA-NOVELLA!!!

_____________________________________________


La ’buona’ novella cattolica e la grande \\\"risata\\\" di Luigi Pirandello:

Un “goj”

di Luigi Pirandello *

Il signor Daniele Catellani, mio amico, bella testa ricciuta e nasuta - capelli e naso di razza - ha un brutto vizio: ride nella gola in un certo modo così irritante, che a molti, tante volte, viene la tentazione di tirargli uno schiaffo.

Tanto più che, subito dopo, approva ciò che state a dirgli. Approva col capo; approva con precipitosi:
Già, già! già, già! Come se poc’anzi non fossero state le vostre parole a provocargli quella dispettosissima risata.

Naturalmente voi restate irritati e sconcertati. Ma badate che è poi certo che il signor Daniele Catellani farà come voi dite. Non c’è caso che s’opponga a un giudizio, a una proposta, a una considerazione degli altri.

Ma prima ride.

Forse perché, preso alla sprovvista, là, in un suo mondo astratto, così diverso da quello a cui voi d’improvviso lo richiamate, prova quella certa impressione per cui alle volte un cavallo arriccia le froge e nitrisce. Della remissione del signor Daniele Catellani e della sua buona volontà d’accostarsi senz’urti al mondo altrui, ci sono del resto non poche prove, della cui sincerità sarebbe, io credo, indizio di soverchia diffidenza dubitare.

Cominciamo che per non offendere col suo distintivo semitico, troppo apertamente palesato dal suo primo cognome (Levi), l’ha buttato via e ha invece assunto quello di Catellani.

Ma ha fatto anche di più. S’è imparentato con una famiglia cattolica, nera tra le più nere, contraendo un matrimonio cosiddetto misto, vale a dire a condizione che i figliuoli (e ne ha già cinque) fossero come la madre battezzati, e perciò perduti irremissibilmente per la sua fede. Dicono però che quella risata così irritante del mio amico signor Catellani ha la data appunto di questo suo matrimonio misto.

A quanto pare, non per colpa della moglie, però, bravissima signora, molto buona con lui, ma per colpa del suocero, che è il signor Pietro Ambrini, nipote del defunto cardinale Ambrini, e uomo d’intransigentissimi principii clericali.

Come mai, voi dite, il signor Daniele Catellani andò a cacciarsi in una famiglia munita d’un futuro suocero di quella forza? Mah!

Si vede che, concepita l’idea di contrarre un matrimonio misto, volle attuarla senza mezzi termini; e chi sa poi, fors’anche con l’illusione che la scelta stessa della sposa d’una famiglia così notoriamente divota alla santa Chiesa cattolica, dimostrasse a tutti che egli reputava come un accidente involontario, da non doversi tenere in alcun conto, l’esser nato semita.

Lotte acerrime ebbe a sostenere per questo matrimonio. Ma è un fatto che i maggiori stenti che ci avvenga di soffrire nella vita sono sempre quelli che affrontiamo per fabbricarci con le nostre stesse mani la forca. Forse però - almeno a quanto si dice non sarebbe riuscito a impiccarsi il mio amico Catellani, senza l’aiuto non del tutto disinteressato del giovine Millino Ambrini, fratello della signora, fuggito due anni dopo in America per ragioni delicatissime, di cui è meglio non far parola.

Il fatto è che il suocero, cedendo obtorto collo alle nozze, impose alla figlia come condizione imprescindibile di non derogare d’un punto alla sua santa fede e di rispettare col massimo zelo tutti i precetti di essa, senza mai venir meno a nessuna delle pratiche religiose. Pretese inoltre che gli fosse riconosciuto come sacrosanto il diritto di sorvegliare perché precetti e pratiche fossero tutti a uno a uno osservati scrupolosamente, non solo dalla nuova signora Catellani, ma anche e più dai figliuoli che sarebbero nati da lei.

Ancora, dopo nove anni, non ostante la remissione di cui il genero gli ha dato e seguita a dargli le più lampanti prove, il signor Pietro Ambrini non disarma. Freddo, incadaverito e imbellettato, con gli abiti che da anni e anni gli restano sempre nuovi addosso e quel certo odore ambiguo della cipria, che le donne si dànno dopo il bagno, sotto le ascelle e altrove, ha il coraggio d’arricciare il naso, vedendolo passare, come se per le sue nari ultracattoliche il genero non si sia per anche mondato del suo pestilenzialissimo foetor judaicus. Lo so perché spesso ne abbiamo parlato insieme.

Il signor Daniele Catellani ride in quel suo modo nella gola, non tanto perché gli sembri buffa questa vana ostinazione del fiero suocero a vedere in lui per forza un nemico della sua fede, quanto per ciò che avverte in sé da un pezzo a questa parte.

Possibile, via, che in un tempo come il nostro, in un paese come il nostro, debba sul serio esser fatto segno a una persecuzione religiosa uno come lui, sciolto fin dall’infanzia da ogni fede positiva e disposto a rispettar quella degli altri, cinese, indiana, luterana, maomettana?

Eppure, è proprio così. C’è poco da dire: il suocero lo perseguita. Sarà ridicola, ridicolissima, ma una vera e propria persecuzione religiosa, in casa sua, esiste. Sarà da una parte sola e contro un povero inerme, anzi venuto apposta senz’armi per arrendersi; ma una vera e propria guerra religiosa quel benedett’uomo del suocero gliela viene a rinnovare in casa ogni giorno, a tutti i costi, e con animo inflessibilmente e acerrimamente nemico.

Ora, lasciamo andare che - batti oggi e batti domani - a causa della bile che già comincia a muoverglisi dentro, l’homo judaeus prende a poco a poco a rinascere e a ricostituirsi in lui, senza ch’egli per altro voglia riconoscerlo. Lasciamo andare. Ma lo scadere ch’egli fa di giorno in giorno nella considerazione e nel rispetto della gente per tutto quell’eccesso di pratiche religiose della sua famiglia, così deliberatamente ostentato dal suocero, non per sentimento sincero, ma per un dispetto a lui e con l’intenzione manifesta di recare a lui una gratuita offesa, non può non essere avvertito dal mio amico signor Daniele Catellani.

E c’è di più. I figliuoli, quei poveri bambini così vessati dal nonno, cominciano anch’essi ad avvertir confusamente che la cagione di quella vessazione continua che il nonno infligge loro, dov’essere in lui, nel loro papà. Non sanno quale, ma in lui dov’essere di certo. Il buon Dio, il buon Gesù - (ecco, il buon Gesù specialmente!) - ma anche i Santi, oggi questo e domani quel Santo, ch’essi vanno a pregare in chiesa col nonno ogni giorno, è chiaro ormai che hanno bisogno di tutte quelle loro preghiere, perché lui, il papà, deve aver fatto loro, di certo, chi sa che grosso male! Al buon Gesù, specialmente!

E prima d’andare in chiesa, tirati per mano, si voltano, poveri piccini, ad allungargli certi sguardi così densi di perplessa angoscia e di dogliosa rimprovero, che il mio amico signor Daniele Catellani si metterebbe a urlare chi sa quali imprecazioni, se invece... se invece non preferisse buttare indietro la testa ricciuta e nasuta e prorompere in quella sua solita risata nella gola.

Ma sì, via! Dovrebbe ammettere altrimenti sul serio d’aver commesso un’inutile vigliaccheria a voltar le spalle alla fede dei suoi padri, a rinnegare nei suoi figliuoli il suo popolo eletto: ’am olam, come dice il signor Rabbino. E dovrebbe sul serio sentirsi in mezzo alla sua famiglia un goj, uno straniero; e sul serio infine prendere per il petto questo suo signor suocero cristianissimo e imbecille, e costringerlo ad aprir bene gli occhi e a considerare che, via, non è lecito persistere a vedere nel suo genero un deicida, quando in nome di questo Dio ucciso duemil’anni fa dagli ebrei, i cristiani che dovrebbero sentirsi in Cristo tutti quanti fratelli, per cinque anni si sono scannati tra loro allegramente in una guerra che, senza pregiudizio di quelle che verranno, non aveva avuto finora l’eguale nella storia.

No, no, via! Ridere, ridere. Son cose da pensare e da dir sul serio al giorno d’oggi?

Il mio amico signor Daniele Catellani sa bene come va il mondo. Gesù, sissignori. Tutti fratelli. Per poi scannarsi tra loro. E naturale. E tutto a fil di logica, con la ragione che sta da ogni parte: per modo che a mettersi di qua non si può fare a meno d’approvare ciò che s’è negato stando di là.

Approvare, approvare, approvar sempre. Magari, sì, farci sì prima, colti alla sprovvista, una bella risata. Ma poi approvare, approvar sempre, approvar tutto. Anche la guerra, sissignori.

Però (Dio, che risata interminabile, quella volta!) però, ecco, il signor Daniele Catellani volle fare, l’ultimo anno della grande guerra europea, uno scherzo al suo signor suocero Pietro Ambrini, uno scherzo di quelli che non si dimenticano più.

Perché bisogna sapere che, nonostante gran carneficina, con una magnifica faccia tosta il signor Pietro Ambrini, quell’anno, aveva pensato di festeggiare, per i cari nipotini, la ricorrenza del Santo Natale più pomposamente che mai. E s’era fatti fabbricare tanti e tanti pastorelli di terracotta: i pastorelli che portano le loro umili offerte alla grotta di Bethlehem, al Bambinello Gesù appena nato: fiscelle di candida ricotta panieri d’uova e cacio raviggiolo, e anche tanti Franchetti di Soffici pecorelle e somarelli carichi anch’essi d’altre più ricche offerte, seguiti da vecchi massari e da campieri. E sui cammelli, ammantati, incoronati e solenni, i tre re Magi, che vengono col loro seguito da lontano lontano dietro alla stella cometa che s’è fermata su la grotta di sughero, dove su un po’ di paglia vera è il roseo Bambinello di cera tra Maria e San Giuseppe; e San Giuseppe ha in mano il bàcolo fiorito, e dietro sono il bue e l’asinello.

Aveva voluto che fosse ben grande il presepe quell’anno, il caro nonno, e tutto bello in rilievo, con poggi e dirupi, agavi e palme, e sentieri di campagna per cui si dovevano veder venire tutti quei pastorelli ch’eran perciò di varie dimensioni, coi loro branchetti di pecorelle e gli asinelli e i re Magi.

Ci aveva lavorato di nascosto per più d’un mese, con l’aiuto di due manovali che avevan levato il palco in una stanza per sostener la plastica. E aveva voluto che fosse illuminato da lampadine azzurre in ghirlanda; e che venissero dalla Sabina, la notte di Natale, due zampognari a sonar l’acciarino e le ciaramelle. I nipotini non ne dovevano saper nulla.

A Natale, rientrando tutti imbacuccati e infreddoliti dalla messa notturna, avrebbero trovato in casa quella gran sorpresa: il suono delle ciaramelle, l’odore dell’incenso e della mirra, e il presepe là, come un sogno, illuminato da tutte quelle lampadine azzurre in ghirlanda. E tutti i casigliani sarebbero venuti a vedere, insieme coi parenti e gli amici invitati al cenone, questa gran maraviglia ch’era costata a nonno Pietro tante cure e tanti quattrini.

Il signor Daniele lo aveva veduto per casa tutto assorto in queste misteriose faccende, e aveva riso; aveva sentito le martellate dei due manovali che piantavano il palco di là, e aveva riso.

Il demonio, che gli s’è domiciliato da tanti anni nella gola, quell’anno, per Natale, non gli aveva voluto dar più requie: giù risate e risate senza fine. Invano, alzando le mani, gli aveva fatto cenno di calmarsi; invano lo avena ammonito di non esagerare, di non eccedere. - Non esagereremo, no! - gli aveva risposto dentro il demonio. - Sta’ pur sicuro che non eccederemo. Codesti pastorelli con le fiscelline di ricotta e i panierini d’uova e il cacio raviggiolo sono un caro scherzo, chi lo può negare? così in cammino tutti verso la grotta di Bethlehem! Ebbene, resteremo nello scherzo anche noi, non dubitare! Sarà uno scherzo anche il nostro, e non meno carino. Vedrai.

Così il signor Daniele s’era lasciato tentare dal suo demonio; vinto sopra tutto da questa capziosa considerazione: che cioè sarebbe restato nello scherzo anche lui.

Venuta la notte di Natale, appena il signor Pietro Ambrini con la figlia e i nipotini e tutta la servitù si recarono in chiesa per la messa di mezzanotte, il signor Daniele Catellani entrò tutto fremente d’una gioia quasi pazzesca nella stanza del presepe: tolse via in fretta e furia i re Magi e i cammelli, le pecorelle e i somarelli, i pastorelli del cacio raviggiolo e dei panieri d’uova e delle fiscelle di ricotta - personaggi e offerte al buon Gesù, che il suo demonio non aveva stimato convenienti al Natale d’un anno di guerra come quello - e al loro posto mise più propriamente, che cosa? niente, altri giocattoli: soldatini di stagno, ma tanti, ma tanti, eserciti di soldatini di stagno, d’ogni nazione, francesi e tedeschi, italiani e austriaci, russi e inglesi, serbi e rumeni, bulgari e turchi, belgi e americani e ungheresi e montenegrini, tutti coi fucili spianati contro la grotta di Bethlehem, e poi, e poi tanti cannoncini di piombo, intere batterie, d’ogni foggia, d’ogni dimensione, puntati anch’essi di sé, di giù, da ogni parte, tutti contro la grotta di Bethlehem, i quali avrebbero fatto veramente un nuovo e graziosissimo spettacolo.

Poi si nascose dietro il presepe.

Lascio immaginare a voi come rise là dietro, quando, alla fine della messa notturna, vennero incontro alla meravigliosa sorpresa il nonno Pietro coi nipotini e la figlia e tutta la folla degli invitati, mentre già l’incenso fumava e i zampognari davano fiato alle loro ciaramelle.

* LUIGI PIRANDELLO, UN «GOJ», Novelle per un anno, Mondadori.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/1/2012 16.09
Titolo:ED EMMA FATTORINI A FARE MURO INTORNO A RATZINGER ...
La spinta di Ratzinger

di Emma Fattorini (l\'Unità, 10 gennaio 2012)

Il senso dell’importante discorso tenuto ieri da Benedetto XVI è ben racchiuso nelle parole
conclusive quando il Pontefice afferma che occorre riandare al duplice insegnamento della
Gaudium et Spes. Secondo questo testo fondamentale del Concilio Vaticano II, di cui ricorre il 50˚
anniversario, nulla è più importante «della vocazione dell’uomo».
L’umano è valore assoluto al punto che racchiude la scintilla del divino. L’insegnamento che ne
deriva è quello di «offrire all’umanità una cooperazione sincera, che instauri quella fraternità
universale che corrisponde a tale vocazione».

Perché è contenuto qui lo spirito del messaggio di inizio anno di Papa Ratzinger? Perché c’è un
senso molto unitario, nel suo appello affinché l’umanità trovi le strade di una nuova cooperazione.
Unitario in quanto tutti gli aspetti dell’umano si integrano senza scissioni o preferenze tra chi pensa
sia più importante l’aspetto economico e chi quello morale. Unitario in quanto una comune umanità
implica la difesa materiale dei più poveri e non di meno condanna la selezione prenatale del sesso.

Il suo ragionare parte dai più deboli, che la crisi rende ancora più esposti e svantaggiati: dopo avere
sottolineato che la Santa Sede è finalmente membro a pieno titolo dell’Organizzazione
internazionale per le migrazioni, il Papa riflette sugli effetti devastanti che la crisi può avere sui
Paesi in via di sviluppo.


La crisi nella quale il mondo occidentale è ormai precipitato è etica prima che economica e può
essere «uno sprone» - sono le sue parole - per ridisegnare le priorità dell’esistenza umana nel nuovo
millennio, il cui destino non «finisce nel nulla e non è la corruzione». Per un cambiamento dei
meccanismi economici e delle risorse in quel quadro di «rispetto del creato» al quale tante volte ha
fatto riferimento in questi anni. È, il suo, un approccio che sembrava controcorrente fino a poco
tempo fa ma che ora molti sono costretti a condividere e che però contiene un significato specifico
preciso: sarebbe irrealistico prima che immorale, parlare di una nuova cooperazione se essa si
limitasse al solo piano economico-materiale. È irrealistico - dice Benedetto XVI - pensare ai bisogni
dei giovani, i più penalizzati dalla crisi, come pure opportunità di occupazione e di futuro se non si
investe sulle «istituzioni educative».

Non è uno stanco ripetere, è davvero così: non si potrà
ricostruire nulla se non si capisce che la formazione delle persone giovani, la loro cultura è
inscindibile dalla loro maturità interiore, dalle loro possibilità materiali mai scisse dalla forza
interiore di sperare e progettare, di essere onesti e generosi. E in questo grande disegno e progetto
formativo la famiglia è centrale.

Famiglia non come convenzione sociale, ma come nucleo di
affettività solidale al proprio interno e mai escludente l’esterno.

Quello della famiglia è il nodo da
cui occorrerà ripartire tutti. Per ridisegnarne il senso, per non appiattirla al familismo egoistico che
è la versione più ingannevole di quella degenerazione individualistica così lontana da una vera,
matura soggettività libera.

Quella sì ricca di capacità relazionali come l’esperienza delle donne non smette di insegnarci. Le
donne, il vero, grande “ponte” tra esperienza materiale e sapienza del cuore. E però proprio per
questo più sfruttate che aiutate. Eppure non si può parlare di famiglia senza ripartire da loro. E
dovrebbe capirlo molto bene la Chiesa quando nei Paesi più oppressi, quelli nei quali le religioni
sono causa principale della soppressione dei diritti, sono proprio le donne a convertirsi in maggior
numero al cristianesimo perché trovano lì, nel suo senso di eguaglianza e di giustizia, una superiore
occasione di affrancamento e di liberazione.

Insomma, quello del Papa è stato un discorso rivolto a tutti i Paesi del mondo con l’occhio fisso alla
singola persona nella sua unitarietà e interezza. Per ridisegnare un’idea di genere umano nella quale
davvero si possano ormai riconoscere credenti e non credenti, tutti gli uomini di buona volontà,
indispensabili, per i difficili tempi che ci aspettano.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/3/2012 10.06
Titolo:Muraro: "quando possiamo dire sì all´uso della forza"
La femminista e la violenza

Muraro: "quando possiamo dire sì all´uso della forza"

La provocazione della filosofa su "Via Dogana" rivista storica delle donne A cui replicano in tante, criticando una tesi mai condivisa: "Non esiste un modo di scontrarsi intelligente"

di Simonetta Fiori (la Repubblica, 07.03.2012)

"Violenza giusta": ma non è dissennato riproporla oggi? Nella redazione di Via Dogana devono averci pensato un po´ prima di dare alle stampe il centesimo numero, che non passerà inosservato. La storica rivista della Libreria delle donne di Milano s´apre infatti con una sorprendente riflessione di Luisa Muraro Al limite, la violenza, che non è certo un inno alla violenza ma non la «esclude a priori».

Un´apertura a «un uso della forza» adeguato alla violenza che è nelle cose e nei rapporti tra le persone. Esisterebbe in sostanza una «violenza giusta», distinta da quella «stupida» e «controproducente». E sarebbe sbagliato «separare la violenza dalla forza» perché «lo sconfinamento tra una e l´altra è inevitabile».

Accanto alla citazione de L´Iliade poema della forza di Simone Weil, ecco l´improvvido elogio della sassaiola contro i cattivi politici. Bisognava «mandarlo indietro a fischi e sassate, come si meritava, come si usava una volta, come chiedevano i loro morti, quelli uccisi dal crollo di edifici pubblici taroccati», scrive Muraro rievocando la passerella di Berlusconi all´Aquila dopo il terremoto. "A fischi e sassate", proprio così dice l´autrice.

Ma che succede nello storico laboratorio del pensiero della differenza, di cui Muraro è indiscussa e mite sacerdotessa? Non erano state proprio loro, le femministe della Libreria delle donne, a liquidare negli anni Settanta la violenza come rispecchiamento di bellicose logiche maschili? E dopo gli esiti luttuosi di quella stagione, non è sbagliato e pericoloso rilanciare ora una riflessione sulla «violenza giusta»?

Al momento Muraro non parla. Il suo articolo di Via Dogana è l´anticipazione di un saggio che sarà pubblicato a giugno da nottetempo - Dio è violent... - e l´autrice preferisce aspettare l´uscita del libro. Per capirne di più, bisogna risalire all´estate scorsa, all´epoca dei disordini nella Val Susa, quando sul sito della Libreria compare una voce femminile che invita "a rompere un tabù", il silenzio sulla «violenza nella realtà e nel discorso della politica».

Muraro condivide: «È un tema urgente, bisognoso di una nuova e spregiudicata riflessione», dove spregiudicata significa «pensarci senza dire automaticamente no alla violenza». E ancora: «Bisogna cominciare a fare la differenza tra la violenza stupida e quella che tale non è, di cui abbiamo smesso di pensare e di parlare, dimenticando che l´agire umano non si dà senza questa componente».

Violenza stupida? Violenza intelligente?

A sette mesi da quella riflessione, ecco il nuovo articolo su Via Dogana, in un numero dedicato alla "forza necessaria". «C´è una violenza nelle cose e tra i viventi che prelude a un ritorno alla legge del più forte: dobbiamo pensarci», invoca Muraro. Alla propria forza non si deve rinunciare, «si tratterà dunque di dosarla senza perderla».

Ma come? La studiosa rifiuta il confine indicato dalla «predicazione antiviolenza», ossia quello che distingue forza e violenza. «No, lo sconfinamento è inevitabile». E allora? E allora «la misura da cercare» è in «una violenza giusta» misurata non sul diritto ma sulle circostanze storiche. Due gli esempi indicati nel breve scritto.

Il primo risale agli eccidi di Srebrenica, che potevano essere evitati dai militari dell´Onu, «incapaci di percepire il mostro dell´odio davanti ai loro occhi».

Il secondo è invece preso dalle storie di casa nostra, quando «era nelle possibilità degli abitanti dell´Aquila impedire al capo del governo di fare della loro sventurata città la cornice massmediatica per la sua autopromozione».

Della contundente soluzione suggerita da Muraro abbiamo già detto: sarebbe questa la violenza "intelligente"?
«Muraro ha ragione, c´è una violenza stupida. Quello che però non riesco a concepire è la sassata intelligente, o la carica di polizia intelligente». Anna Bravo, storica dell´età contemporanea sensibile ai temi delle donne e della nonviolenza, appare piuttosto sorpresa. «Se Zizek sostiene che il pacifismo è facilmente assimilabile non mi turba molto. Muraro invece mi inquieta, perché è lei, e perché donna. Per noi donne, che abbiamo alle spalle una storia millenaria di disobbedienza e di manipolazione delle norme, è più semplice capire non solo che legge e giustizia sono due cose diverse, ma che si può agire di conseguenza senza inabissarsi nella distruttività. Per di più, il crescere della violenza e la militarizzazione dei movimenti - sia nella Resistenza che negli anni Settanta - ha sempre tolto respiro alle iniziative delle donne».

Nel suo bel saggio sul Sessantotto A colpi di cuore - titolo di per sé espressivo - Bravo rievoca il disagio delle donne di Lotta Continua quando portavano le molotov nel tascapane. La legittimità della violenza, annota la studiosa, è un tema estraneo alla tradizione femminista. E neppure nella letteratura di guerra e della resistenza l´argomento è centrale. «L´Italia è stata definita la patria del femminismo più forte e violento ma non è vero», dice ora Bravo. «Certo, i gruppi potevano risentire del clima di allora. C´era una pressione politica molto forte ed era acquisito il principio che si potessero fare cose illegali. Ma molte ragazze di Lotta Continua contestavano il servizio d´ordine e avevano paura di trovarsi in mezzo ai cortei più caldi. E quando Lc si sciolse, soprattutto per opera delle femministe, fu anche per una diversità di vedute sulla violenza».

Violenza legittima, uso della forza. Il pensiero corre a Carla Lonzi, la femminista che tra le prime liquidò la violenza dell´inconscio maschile, «ricettacolo di sangue e paura». La discussione sembra ora aperta all´interno della stessa Via Dogana, che ospita voci contrastanti.

«Alla sollecitazione della Muraro», scrive Annarosa Buttarelli, «fa obiezione la scelta storica di gran parte delle donne di lottare in modo non violento. La scelta di segno femminile è di custodire l´integrità dei corpi e dei luoghi». E Lia Cigarini chiude: «Schivare lo scontro guerresco è segno di forza, non di debolezza».

Al gioco del più forte, insiste ora Bravo, noi perdiamo sempre. «L´invito di Muraro a ripensare il nostro rapporto con la violenza si lega al giudizio sul presente, che prefigurerebbe un ritorno alla legge del più forte. Ammettiamo che sia così: ma spostarsi su questo livello di scontro, questo sì mi sembra un passo in sintonia con uno spirito militare. Voi usate la vostra forza? Noi siamo in grado di tenervi testa con la nostra. Mentre la potenza dell´oppositore nonviolento sta proprio nel sottrarsi a questo meccanismo». Un meccanismo, conclude la studiosa, che ha portato tanti movimenti alla sconfitta. Sconcertante, davvero, riconsiderarlo oggi.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/3/2012 23.04
Titolo:LA MISURA PER SE' E LA MISURA IN GENERALE ....
Esiste il sesso delle parole

di Luisa Muraro (Metro, 28 marzo 2012*

Non m’interessa che si faccia una politica in favore delle donne. Quello che invece m’interessa, è che le donne che entrano in politica, sappiano farsi valere con tutta la loro esperienza e competenza. Perché lo dico? Perché troppe di loro, man mano che fanno carriera, rinunciano invece al nome di donna e si presentano come dei neutri. Mi riferisco a quelle che, parlando ai giornalisti, dicono: chiamatemi ministro, sindaco, segretario, professore… La trovo una cosa scandalosa e incomprensibile, tanto più che negli altri paesi europei non lo fanno. Angela Merkel era deputata ed è diventata cancelliera della Germania. Ma guardiamo anche da noi: la donna che lavora in fabbrica si chiama operaia; quella che lavora in campagna, contadina; quella che vende, commessa. È giusto, lo vuole la lingua che parliamo, lo insegnano i vocabolari. Nei vecchi vocabolari non troviamo il femminile di sindaco, di ministro, di deputato, ma solo perché erano vocabolari di una civiltà patriarcale che escludeva le donne dalla vita pubblica. Questo non succede più. Da qui viene per me lo scandalo: se quelle che entrano nei posti di comando vogliono chiamarsi al maschile, che messaggio danno? Che il femminile è buono per sgobbare ma non per dirigere? Buono per la scuola elementare ma non per l’università?

Che una donna ammiri un uomo, ammesso che abbia qualche merito, non ci sono obiezioni, l’ammirazione è un sentimento libero. Ma che lo prenda come una misura per sé, in generale, questa o è soggezione o trasformismo. E ha degli effetti deteriori, perché in un posto di responsabilità, grande o piccola, bisogna portare non solo le conoscenze ma anche le esperienze, non solo un titolo di studio ma anche il proprio essere.

* http://www.libreriadelledonne.it/news/articoli/Metro280312.htm

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Commenti Articolo 866

Titolo articolo : FACOLTA’ DI LINGUAGGIO, LINGUA, E GRAMMATICA. "La grammatica è maschilista". Le donne francesi vogliono cambiarla, l’Académie Française però si oppone a ogni riforma. Una nota di Ainis Ginori - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/31/2012 - 22:59:41.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/1/2012 17.53
Titolo:La lingua dimostra che di dibattiti sul suo maschilismo ne servono ancora molti
Ma la lingua non modifica la visione del mondo

di Stefano Bartezzaghi (la Repubblica, 24.01.2012)

Una volta ho partecipato a un dibattito sul maschilismo della lingua assieme a una linguista, a una scrittrice e a una giornalista. Per fare il conto totale la lingua mi obbliga a dire che «i relatori erano quattro: un uomo e tre donne». I relatori: è bastato un uomo (io) per far mettere tutta la frase a quel maschile che in italiano si finge neutro. Così la lingua dimostra che di dibattiti sul suo maschilismo ne servono ancora molti.

Per evitare l´inghippo avrei dovuto articolare di più e dire che a quel dibattito c´era un relatore e tre relatrici. Sarebbe allora più fine sforzarsi di restare davvero nel neutro: «il dibattito ha avuto quattro partecipanti». Quando si scrive si può, ma quando si parla non è facile ed è invece comune che scappino anche dei «gli» per i «le». Per quanto si speri che non se ne accorga nessuno c´è sempre una signora, normalmente cortese e inflessibile, che chiede il microfono per notificare lo svarione, e mortificarne l´autore.

Quella volta si parlò poi dei nomi di battesimo usati per le donne al posto dei cognomi o dei cognomi con l´articolo (Alberto Moravia era «Moravia»; Elsa Morante era «la Morante», o «Elsa»); di parole a doppio taglio come «mondano /mondana» o «uomo allegro / donna allegra»; e di altre cose simili. Guardate ora il governo Monti: salvo errore è il governo italiano con la più forte componente femminile (in percentuale e per rilevanza dei dicasteri occupati) registrata sinora, ma Monti parla sempre «del ministro Fornero» (o Severino, o Cancellieri), come se la lingua italiana non avesse la parola «ministra». Del resto, la poetessa Giulia Niccolai, intervenendo a un convegno su Gertrude Stein, si è scusata perché avrebbe detto «la Stein», non riuscendo a correggere un´abitudine magari sbagliata ma molto radicata. E suonano molto strani quegli inviti in cui le desinenze maschiliste sono sostituite da asterischi «Gentili signor*, siete tutt* invitat*...» (un´amica aveva notato che le vocali che discriminano fra maschile e femminile sono quattro su cinque: voleva proporre la U come desinenza neutra: «siete tuttu invitatu...»).

Anche se tutti i (e, certo, le) parlanti fossero d´accordo su queste discriminazioni operate dall´italiano, come rimediare? A differenza di quanto si pensi normalmente, la grammatica viene dopo la lingua: non prima. Chiama regole le regolarità, e agli usi censurabili (per storia, per convenzione, per etica o politica) deve limitare a darsi titolo di errore, ma non può certo imporre alcunché.

E poi, se è vero che la lingua è in relazione con un modo di vedere il mondo, è altrettanto vero che si può cambiare la visione del mondo agendo sulla lingua? Pensare di procedere per decreti, e solo così, sostituisce una mentalità autoritaria (ma soprattutto velleitaria) a quella dinamica di riflessione, casualità, tensione, intenzione, inconsapevolezza collettiva, che è poi l´unico modo in cui cambiano davvero le lingue e le culture.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/1/2012 19.25
Titolo:DELLO STATO E DELLA MALAFEDE COLLETTIVA. La fabbrica dei dibattiti pubblici
La fabbrica dei dibattiti pubblici

Un testo inedito di Pierre Bourdieu, sociologo (1930-2002).

(traduzione dal francese di José F. Padova)

Di Pierre Bourdieu, sociologo e filosofo francese (1930-2002), Le Monde Diplomatique pubblica in gennaio 2012 un testo inedito, tratto da Sur l’État, corso tenuto al Collège de France negli anni 1989-1992.
Pierre Rimbert scrive su Bourdieu:
«Ho avuto la gioia di essere attaccato, spesso assai violentemente, da tutti i grandi giornalisti francesi», spiegava Pierre Bourdieu nel 1998 alla regista Barbro Schultz Lundestam. «Perché queste persone che si credono soggetti non hanno sopportato la scoperta di essere marionette (1)». Dieci anni dopo la scomparsa del sociologo francese più citato al mondo, il tempo e il riposizionamento ideologico degli editorialisti hanno cancellato il ricordo delle battaglie e l’identità dei protagonisti. La «mondializzazione felice» non si canta più se non a mezza voce, la deplorazione delle disuguaglianze arriva a mobilitare certi banchieri e si rileggono con curiosità gli assalti sferrati contro l’autore di La miseria del mondo.
I suoi torti furono di impegnare gli elementi acquisiti della sua disciplina nelle lotte che segnarono il rinnovamento della critica sociale nella seconda metà degli anni ’90; di opporre una «sinistra di sinistra» ai governi social-liberali in maggioranza in Europa alla fine del secolo scorso; di lanciare con successo – e prima degli altri – una collezione di piccole opere a buon prezzo che proponevano al grande pubblico strumenti intellettuali di «resistenza all’invasione neoliberista» (le edizioni Raisons d’agir). Infine commise la suprema eresia di «richiamare alla prudenza i saggisti chiacchieroni e incompetenti che occupano a tempo indefinito i giornali, le radio e le televisioni (2)». Quindi questi ultimi misero in piedi un rogo. [Segue elenco dei contestatori: Alain Finkielkraut, François Giroud, Alain Minc, Laurent Joffrin , Nicolas Weill, Jacques Juillard, corredato dalle relative invettive].
JFPadova


Le Monde Diplomatique, gennaio 2012 pagg. 1, 16, 17

La fabbrica dei dibattiti pubblici

Da una parte, una situazione economica e sociale eccezionale. Dall’altra, un dibattito pubblico mutilato, ridotto a un’alternativa fra austerità di destra e rigore di sinistra. Come si delimita lo spazio dei discorsi ufficiali, per quale prodigio l’opinione di una minoranza si trasforma in «opinione pubblica»? questo spiega il sociologo Pierre Bourdieu in questo suo corso sullo Stato tenuto al Collège de France e pubblicato in questo mese.

Un testo inedito di Pierre Bourdieu, sociologo (1930-2002).

(traduzione dal francese di José F. Padova)


Un uomo ufficiale [ndt.: autorità] è un ventriloquo che parla a nome dello Stato: egli prende una postura ufficiale – bisognerebbe descrivere la messa in scena dell’autorità –, parla in favore e al posto del gruppo al quale si rivolge, parla per e al posto di tutti, parla come rappresentante dell’universale.

Si perviene qui alla nozione moderna di opinione pubblica. Che cos’è questa opinione pubblica che invocano i creatori del diritto delle società moderne, delle società nelle quali il diritto esiste? È tacitamente l’opinione di tutti, della maggioranza o di coloro che contano, di coloro che sono degni di avere un’opinione. Penso che la definizione patente in una società che pretende di essere democratica, ovvero che l’opinione ufficiale è l’opinione di tutti, nasconda una definizione latente, cioè che l’opinione pubblica è l’opinione di quelli che sono degni di avere un’opinione. Vi è una specie di definizione per censo dell’opinione pubblica illuminata, come opinione degna di questo nome.

La logica delle commissioni ufficiali è quella di creare un gruppo, costituito in modo da dare tutti i segnali esteriori, socialmente riconosciuti e riconoscibili, della sua capacità di esprimere l’opinione degna di essere espressa, e nelle sue forme adeguate. Uno dei criteri taciti più importanti nella selezione dei membri della commissione, in particolare del suo presidente, è l’intuizione, da parte delle persone incaricate di comporre la commissione, che la persona considerata conosca le regole tacite dell’universo burocratico e le riconosca: in altre parole, qualcuno che sappia giocare il gioco della commissione in modo legittimo, nella maniera che va al di là delle regole del gioco, che legittima il gioco stesso. Non si è mai tanto addentro nel gioco quanto lo si è stando al di là del gioco stesso. In ogni gioco ci sono regole e fair play. A proposito del mondo intellettuale, avevo usato questa formula: l’eccellenza, nella maggior parte delle società, è l’arte di giocare con le regole del gioco, facendo di questo gioco giocato con le regole del gioco un omaggio supremo al gioco stesso. Il trasgressore controllato si oppone del tutto all’eretico.

Il gruppo dominante coopta i membri su indici minimi di comportamento che sono l’arte di rispettare la regola del gioco, finanche nelle trasgressioni, regolate, della regola stessa del gioco: la buona creanza, il conservatorismo. È la celebre frase di Chamfort: «Il vicario di Curia può sorridere di un commento contro la religione, il vescovo riderne del tutto, il cardinale aggiungervi il suo motto [irridente] (1)». Più si sale nella gerarchia delle eccellenze, più si può giocare con la regola del gioco, ma ex officio, partendo da una posizione tale che non vi siano dubbi. L’umorismo anticlericale del cardinale è supremamente clericale.

L’opinione pubblica è sempre una sorta di realtà doppia. È ciò che non si può non invocare quando si vuole legiferare su terreni non riconosciuti. Quando si dice «C’è un vuoto giuridico» (straordinaria espressione) a proposito dell’eutanasia o dei bambini-provetta, si convocano persone che lavoreranno con piena autorità. Dominique Memmi (2) descrive un comitato di etica [sulla procreazione artificiale], la sua composizione con persone disparate – psicologi, sociologi, donne, femministe, arcivescovi, rabbini, eruditi, ecc. – che hanno come scopo quello di trasformare una somma di idioletti [ndt.: Zingarelli: l’insieme degli usi di una lingua caratteristico di un dato individuo, in un determinato momento] (3) etici in un discorso universale che riempie un vuoto giuridico, vale a dire che dà una soluzione ufficiale a un problema difficile che scombussola la società – la legalizzazione delle madri in affitto, per esempio. Se si lavora in questi tipi di situazione si deve invocare un’opinione pubblica. In questo contesto la funzione attribuita ai sondaggi si comprende molto bene. Dire «i sondaggi sono dalla nostra parte» equivale a dire «Dio è con noi» in un altro contesto [ndt.: allude al “Gott mit uns”?].

Ma i sondaggi sono fastidiosi, perché talora l’opinione illuminata è contro la pena di morte, mentre i sondaggi sono piuttosto per. Che fare? Si crea una commissione. La commissione costituisce un’opinione pubblica illuminata che istituirà l’opinione illuminata come opinione legittima nel nome dell’opinione pubblica – che d’altra parte dice il contrario o non ha opinioni (e questo è il caso in molti argomenti). Una delle proprietà dei sondaggi consiste nel porre alle persone problemi che esse non si pongono, nel fare infilare risposte a problemi che essi non hanno posto, quindi a imporre risposte. Non è una questione di sotterfugi nella costituzione dei campionari delle domane [dei sondaggi], è il fatto di imporre a tutti domande che si pongono all’opinione illuminata e, per questo, di produrre risposte di tutti su problemi che si pongono a qualcuno, quindi di dare risposte illuminate prodotte dalla domanda: si sono fatte esistere per le persone domande che per loro non esistevano, mentre ciò che costituiva per le persone una domanda è la domanda stessa.

Traduco man mano un testo di Alexander Mackinnon del 1828, tratto da un libro di Peel su Herbert Spencer (4). Mackinnon definisce l’opinione pubblica dando la definizione che sarebbe ufficiale se non fosse inconfessabile in una società democratica. Quando si parla d’opinione pubblica si fa sempre un doppio gioco fra la definizione confessabile (l’opinione di tutti) e l’opinione autorizzata ed efficiente, che è ottenuta come sottoinsieme ristretto dell’opinione pubblica definita democraticamente.

«Essa è quel parere su un soggetto qualsiasi che è mantenuto e prodotto dalle persone meglio informate, più intelligenti e più moralmente qualificate della comunità. Questa opinione è gradualmente diffusa e adottata da tutte le persone con un po’ di educazione e di sentimenti convenienti a uno Stato civilizzato». La verità dei dominanti diviene quella di tutti.

Mettere in scena l’autorità che autorizza a parlare


Negli anni 1880 si diceva apertamente all’Assemblea nazionale [ndt.: v. storia della Rivoluzione francese, fra le altre quella di Furet-Richet] ciò che la sociologia ha dovuto riscoprire, vale a dire che il sistema scolastico doveva eliminare i figli degli strati sociali più sfavoriti. All’inizio si poneva il problema che in seguito è stato completamente rimosso, poiché il sistema scolastico si è messo a fare, senza che glielo si chiedesse, quello che ci si aspettava da esso. Quindi, nessuna necessità di parlarne. L’interesse del ritornare sulla genesi è molto importante, perché vi sono, all’inizio, dibattiti dove si dicono a chiare lettere cose che, in seguito, appaiono come rivelazioni provocatorie dei sociologi.

Il riproduttore della versione ufficiale sa produrre – nel senso etimologico del termine: producere significa «portare alla luce» -, facendola divenire protagonista, qualcosa che non esiste (nel senso di sensibile, di visibile) e in nome della quale egli parla. Deve produrre ciò in nome di quello che egli ha diritto di produrre. Non può non renderla protagonista, non darle una forma, non fare miracoli. Il miracolo più ordinario, per un creatore verbale, è il miracolo verbale, la riuscita retorica; deve produrre la messa in scena di ciò che autorizza il suo dire, ovvero dell’autorità in nome della quale egli è autorizzato a parlare.

Ritrovo qui la definizione della prosopopea che cercavo poco fa: «Figura retorica mediante la quale si fa parlare e agire una persona che si vuole evocare, un assente, un morto, un animale, una cosa personificata». E nel dizionario, sempre un formidabile strumento, si trova questa frase di Baudelaire che parla della poesia: «Saper usare sapientemente una lingua equivale a praticare una specie di stregoneria evocatoria». Gli esperti in materia, coloro che manipolano una lingua erudita, come i giuristi e i poeti, devono mettere in scena l’immaginario referente nel nome del quale parlano e che essi realizzano nella sua forma parlandone; devono fare esistere ciò che essi esprimono e questo nel nome di che essi esprimono. Devono nello stesso tempo produrre un discorso e produrre la credenza nell’universalità del loro discorso, con la produzione sensibile (nel senso di evocazione degli spiriti, dei fantasmi – lo Stato è un fantasma…) di quella cosa che garantirà ciò che essi fanno: «la nazione», «i lavoratori», «il popolo», «il segreto di Stato», «la sicurezza nazionale», «la domanda sociale», ecc.

Percy Schramm ha dimostrato come le cerimonie di incoronazione erano il transfert, nell’ordine della politica, delle cerimonie religiose
(5). Se il cerimoniale religioso può trasferirsi tanto facilmente nelle cerimonie politiche, attraverso le cerimonie dell’incoronazione, è perché si tratta, nei due casi, di fare credere che vi è un fondamento del discorso, che non appare come auto-fondatore, legittimo, universale, se non perché vi è teatralizzazione – nel senso di evocazione magica, di stregoneria – del gruppo unito e consenziente al discorso che l’unisce. Da qui il cerimoniale giuridico. Lo storico inglese E. P. Thompson ha insistito sul ruolo della teatralizzazione giuridica nel XVIII secolo inglese – che non si può comprendere completamente se non si vede ch’essa non è semplice apparato che si aggiunge: essa è costitutiva dell’atto giuridico (6). Dire di diritto vestiti modestamente è azzardato: si rischia di perdere la pompa del discorso. Si parla sempre di riformare il linguaggio giuridico senza mai farlo, perché è l’ultimo vestito: i re nudi non sono più carismatici.

L’autorità, o la malafede collettiva

Una delle dimensioni molto importanti della teatralizzazione è la teatralizzazione dell’interesse per l’interesse generale; è la teatralizzazione del convincimento dell’interesse per l’universale, del disinteresse dell’uomo politico – teatralizzazione della credenza del prete, della convinzione dell’uomo politico, della sua fede in ciò che fa. Se la teatralizzazione del convincimento fa parte delle condizioni tacite per l’esercizio della professione di esperto – se un professore di filosofia deve avere l’aria di credere alla filosofia –, si tratta dell’essenziale omaggio dell’autorità-uomo all’autorità; è ciò che occorre accordare all’autorità per essere un’autorità: occorre accordare il disinteresse, la fede nell’autorità, per essere una vera autorità. Il disinteresse non è una virtù secondaria: è la virtù politica di tutti i mandatari. Le scappatelle da curati, gli scandali politici sono il crollo di questa specie di credenza politica nella quale tutti sono in malafede, essendo questa credenza una sorta di malafede collettiva, nel senso sartriano: un gioco nel quale tutti mentono a sé stessi e mentono ad altri, sapendo che si mentono. È questo, l’autorità…



(1) Nicolas de Chamfort, Maximes et pensées, Paris, 1795.
(2) Dominique Memmi, « Savants et maîtres à penser. La fabrication d'une morale de la procréation artificielle », Actes de la recherche en sciences sociales, n°76-77, Paris, 1989, p. 82-103.
(3) Du grec idios, «particulier» : discours particulier.
(4) John David Yeadon Peel, Herbert Spencer. The Evolution of a Sociologist, Heinemann, Londres, 1971. William Alexander Mackinnon (1789-1870) eut une longue carrière de membre du Parlement britannique.
(5) Percy Ernst Schramm, Der König von Frankreich. Das Wesen der Monarchie von 9. zum 16. Jahrhundert. Ein Kapital aus der Geschichte des abendländischen Staates (deux volumes), H. Böhlaus Nachfolger, Weimar, 1939.
(6) Edward Palmer Thompson, «Patrician society, plebeian culture», Journal of Social History, vol. 7, n°4, Berkeley (Californie), 1974, p. 382-405.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/3/2012 15.22
Titolo:INGIUSTIZIA EPISTEMICA. «Changing the Ideology and Culture of Philosophy»
Sebben che siamo donne non ci fa paura la filosofia

Il «pensiero femminile» è socialmente discriminato: un condizionamento negativo

La “rabbia” di una filosofa americana del Mit: in questo campo siamo discriminate, molte di noi costrette a lasciare

di Franca D’Agostini (La Stampa, 25.03.2012)

Sally Haslanger è una delle più brillanti filosofe americane: in un articolo su Hypathia confessa che da quanto è arrivata al Mit, nel ’98, si è più volte domandata se non fosse il caso di lasciare la filosofia “C’ è in me una rabbia profonda. Rabbia per come io sono stata trattata in filosofia. Rabbia per le condizioni ingiuste in cui molte altre donne e altre minoranze si sono trovate, e hanno spinto molti a lasciare. Da quando sono arrivata al Mit, nel 1998, sono stata in costante dialogo con me stessa sull’eventualità di lasciare la filosofia. E io sono stata molto fortunata. Sono una che ha avuto successo, in base agli standard professionali dominanti». S’inizia così «Changing the Ideology and Culture of Philosophy», un articolo di Sally Haslanger, una delle più brillanti filosofe americane, apparso su Hypathia .

C’è un problema, che riguarda le donne e la filosofia: inutile negarlo. «Nella mia esperienza è veramente difficile trovare un luogo in filosofia che non sia ostile verso le donne e altre minoranze», scrive Haslanger. E se capita così al Mit, potete immaginare quel che succede in Italia. È facile vedere che, mentre in tutte le facoltà le donne iniziano a essere presenti (anche se rimane il cosiddetto «tetto di cristallo», vale a dire: ai gradi accademici più alti ci sono quasi esclusivamente uomini), in filosofia la presenza femminile scarseggia.

Non sarà forse che le donne sono refrattarie alla filosofia, non la capiscono, non la apprezzano? Stephen Stich e Wesley Buchwalter, in «Gender and Philosophical Intuition» (in Experimental Philosophy, vol. 2), hanno riproposto il problema, esaminandolo nella prospettiva della filosofia sperimentale: una tendenza filosofica emergente, che mette in collegamento le tesi e i concetti filosofici con ricerche di tipo empirico (statistico, neurologico, sociologico, ecc). La prima conclusione di Stich e Buchwalter è che effettivamente sembra esserci una «resistenza» del «pensiero femminile» di fronte ad almeno alcuni importanti problemi filosofici. Stich e Buchwalter si chiedono perché, e avanzano alcune ipotesi, ma non giungono a una conclusione definitiva.

Le femministe italiane di Diotima avrebbero pronta la risposta: la filosofia praticata nel modo previsto da Stich e compagni è espressione estrema del «logocentrismo» maschile, dunque è chiaro che le donne non la praticano: sono interessate a qualcosa di meglio, coltivano un «altro pensiero». Ma qui si presenta un classico problema: in che cosa consisterebbe «l’altro pensiero» di cui le donne sarebbero portatrici? Se si tratta per esempio di «pensiero vivente», attento alle emozioni e alla vita, come a volte è stato detto, resta sempre da chiedersi: perché mai questo pensiero sarebbe proprio delle donne? Kierkegaard, che praticava e difendeva una filosofia di questo tipo, era forse una donna?

Forse si può adottare un’altra ipotesi. Come spiega Miranda Fricker in Epistemic Injustice (Oxford University Press, 2007) le donne subiscono spesso ciò che Ficker chiama ingiustizia testimoniale, vale a dire: ciò che pensano e dicono viene sistematicamente sottovalutato e frainteso. Un’osservazione fatta da una donna che gli uomini non capiscono, per ignoranza o per altri limiti, viene all’istante rubricata come errore, o come vaga intuizione. Fricker cita Il talento di Mr. Ripley: «Un conto sono i fatti, Marge, e un conto le intuizioni femminili», dice il signor Greenleaf. Ma Marge aveva ottime ragioni nel sostenere che Ripley aveva ucciso il figlio di Greeenleaf.

In questa prospettiva il quadro muta. Consideriamo la rilevazione dell’attività cerebrale di un ragazzo e una ragazza che svolgono una prestazione intellettuale «di livello superiore», ossia risolvono per esempio un’equazione difficile. A quanto pare, mentre il cervello del ragazzo si illumina in una sezione molto circoscritta dell’emisfero frontale, il cervello della ragazza si illumina in modo diffuso, diverse zone dell’encefalo sono coinvolte. Ecco dunque la differenza emergere dai fatti cerebrali: le donne - così si dice - avrebbero un’intelligenza aperta e «diffusa». Naturalmente, questa diffusività è un limite: è appunto la ragione per cui le prestazioni intellettuali femminili sarebbero meno rapide ed efficaci. L’ipotesi differenzialista a questo punto ribatte: attenzione, l’intelligenza diffusa è un pregio, ed è il mondo che privilegia rapidità ed efficacia a essere sbagliato.

Ma l’altra ipotesi - che tanto Haslanger quanto Fricker indirettamente sostengono - sembra più ragionevole: se c’è un «pensiero femminile», la sua prima caratteristica consiste nell’essere un pensiero socialmente discriminato, che subisce sistematicamente ingiustizie testimoniali. Il cervello discriminato è coinvolto sul piano emotivo, a causa del grande quantitativo di ingiustizia che ha dovuto subire. E a questo punto il mistero è risolto: provate voi a risolvere un difficile problema filosofico in un ambiente in cui tutto vi dice che non sapete risolverlo. Provate, in più, avendo dentro di voi la rabbia descritta da Haslanger: quella che vi viene dal conoscere questa ingiustizia, che riguarda voi ma anche altre persone, e altre minoranze discriminate (anche tra i neri non ci sono molti filosofi). Poi vedete un po’ se non vi si illumina tutto il cervello.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/3/2012 22.59
Titolo:Che le donne che entrano in politica, sappiano farsi valere ...
Esiste il sesso delle parole

di Luisa Muraro (Metro, 28 marzo 2012*

Non m’interessa che si faccia una politica in favore delle donne. Quello che invece m’interessa, è che le donne che entrano in politica, sappiano farsi valere con tutta la loro esperienza e competenza. Perché lo dico? Perché troppe di loro, man mano che fanno carriera, rinunciano invece al nome di donna e si presentano come dei neutri. Mi riferisco a quelle che, parlando ai giornalisti, dicono: chiamatemi ministro, sindaco, segretario, professore… La trovo una cosa scandalosa e incomprensibile, tanto più che negli altri paesi europei non lo fanno. Angela Merkel era deputata ed è diventata cancelliera della Germania. Ma guardiamo anche da noi: la donna che lavora in fabbrica si chiama operaia; quella che lavora in campagna, contadina; quella che vende, commessa. È giusto, lo vuole la lingua che parliamo, lo insegnano i vocabolari. Nei vecchi vocabolari non troviamo il femminile di sindaco, di ministro, di deputato, ma solo perché erano vocabolari di una civiltà patriarcale che escludeva le donne dalla vita pubblica. Questo non succede più. Da qui viene per me lo scandalo: se quelle che entrano nei posti di comando vogliono chiamarsi al maschile, che messaggio danno? Che il femminile è buono per sgobbare ma non per dirigere? Buono per la scuola elementare ma non per l’università?

Che una donna ammiri un uomo, ammesso che abbia qualche merito, non ci sono obiezioni, l’ammirazione è un sentimento libero. Ma che lo prenda come una misura per sé, in generale, questa o è soggezione o trasformismo. E ha degli effetti deteriori, perché in un posto di responsabilità, grande o piccola, bisogna portare non solo le conoscenze ma anche le esperienze, non solo un titolo di studio ma anche il proprio essere.

* http://www.libreriadelledonne.it/news/articoli/Metro280312.htm

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Commenti Articolo 867

Titolo articolo : LA LEZIONE DI EINSTEIN. Il mondo a cavallo di un raggio di luce (non di un manico di scopa!). Alcune note,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/31/2012 - 12:50:21.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/2/2012 13.12
Titolo:I neutrini non vanno più veloci della luce. «C’è stato un errore».
- L’esperimento sul «viaggio» delle particelle tra Ginevra e Gran Sasso
- I risultati falsati da una cattiva connessione tra il Gps e un computer

- «C’è stato un errore». I neutrini non vanno più veloci della luce

- La «misura che ha fatto scalpore», perché sanciva che i neutrini viaggiavano a una velocità superiore a quella della luce smentendo Einstein, nasceva dal cattivo funzionamento di una scheda informatica.

di Pietro Greco (l’Unità, 23.02.2012)

Si tratterebbe di un errore. Una cattiva connessione tra l’unità Gps (il sistema satellitare che consente di misurare con estrema precisione la distanza tra due unti) e un computer potrebbe essere la causa della «misura che ha fatto scalpore». I neutrini non vanno più veloci della luce. E non falsificano la teoria della relatività di Albert Einstein.

Oggi sarà la “collaborazione Opera”, diretta dall’italiano Antonio Ereditato, a riconoscerlo in un comunicato ufficiale. Ma le voci ieri sera sono corse con insistenza e hanno trovato riscontro anche sul sito della rivista americana Science. La collaborazione Opera studia il comportamento di fasci di neutrini che, generati al Cern di Ginevra, raggiungono i Laboratori Nazionali che l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare ha sotto il Gran Sasso. I neutrini sono le particelle più elusive che si conoscano. Ma Opera ha a disposizione strumenti di rilevamento eccezionali.

Nell’effettuare queste misure la collaborazione Opera ha raggiunto risultati di valore assoluto: ha, tra l’altro, verificato che i neutrini oscillano (sono di tre tipi e si trasformano l’uno nell’altro) e dunque hanno una massa. Per due anni il gruppo internazionale di scienziati ha ottenuto alcune misure che sembravano incredibili. Facendo i conti si otteneva che le minuscole particelle viaggiavano a una velocità superiore a quelle della luce. Coprivano la distanza tra Ginevra e il Gran Sasso, circa 730 chilometri, in 60 nanosecondi (miliardesimi di secondo) meno di quanto avrebbe fatto la luce. Queste misura metteva in seria difficoltà la teoria della relatività ristretta uno dei cardini della fisica moderna secondo la quale la velocità della luce non può essere mai superata. Se fosse stata vera, sarebbe passata ai posteri come una delle più importanti scoperte in fisica degli ultimi due o tre secoli.

CONTROLLI SU CONTROLLI

I conti a Opera sono stati fatti e rifatti. Ma nessuno, per mesi, ha trovato un errore. Quindi la decisione, lo scorso autunno, di rendere nota la notizia, con un articolo scientifico e con un seminario tenuto a Ginevra ma seguito in tutto il mondo. Ereditato e il suo gruppo sono stati molto onesti. Non hanno voluto interpretare i dati. Non hanno detto che i neutrini viaggiano certamente a una velocità superiore a quella della luce. Hanno detto: questi sono i dati. Noi non troviamo errori. Se qualcuno è in grado bene. Noi continuiamo a effettuare misure e attendiamo con serenità altre verifiche indipendenti. Alcuni ancora più prudenti, anche all’interno di Opera, sostenevano che quei dati non andavano resi pubblici.

Col senno di poi gli scettici a oltranza sembrano aver avuto ragione. L’errore c’era ed era banale: il malfunzionamento di una scheda informatica. Solo che era ben nascosto. E, infine, è stato individuato. Dal medesimo gruppo che, ove la scoperta fosse stata confermata, sarebbe passata alla storia.

L’errore lascia l’amaro in bocca. Ma a ben vedere è un ottimo esempio di come funziona la scienza. Non sempre ci fornisce verità. Ma ha al suo interno la capacità e l’onestà intellettuale di correggere se stessa. E, in fondo, è questo il segreto del suo successo.

La vendetta di Einstein

di Piergiorgio Odifreddi (la Repubblica, 23.02.2012)

Il buon vecchio Einstein si è salvato. La sua teoria della relatività, messa in forse dagli esperimenti del Cern sui neutrini veloci, si è salvata anch’essa. È stato infatti annunciato che le macchine usate per l’esperimento erano difettose. L’episodio ci permette di fare alcune considerazioni. La prima, anticipata di molti decenni dallo stesso Einstein, è che «la scienza non è una repubblica delle banane, in cui succedono rivoluzioni ogni sei mesi».

Il pubblico si appassiona sempre ai cambiamenti epocali, ma forse nella scienza è più utile concentrarsi sugli aspetti ormai assodati, sui risultati acquisiti, che non sulle nuove idee che ancora attendono conferme e verifiche.

La seconda considerazione è, però, che all’annuncio dell’esperimento il mondo intero si è coalizzato nel tentativo di comprendere quali sarebbero state le conseguenze teoriche e pratiche di una velocità superluminale dei neutrini. Articoli di giornale, discussioni sui blog, seminari di ricerca hanno rivisto i fondamenti della relatività di Einstein, mettendo a volte in luce aspetti nascosti o impostazioni innovative che un secolo di abitudine alla teoria avevano lasciato in ombra. In un’intervista al nostro giornale, pochi giorni dopo l’annuncio dei risultati dell’esperimento, il premio Nobel Shelly Glashow ha sottolineato quali sarebbero state le conseguenze d’una conferma dell’esperimento: conseguenze così in contrasto con il resto della fisica conosciuta, che costituivano quasi una confutazione per assurdo dell’esperimento stesso. Ma questi suoi contributi, insieme a quelli di molti altri, ci hanno comunque chiarificato che possiamo considerare la velocità della luce come un limite insuperabile, e possiamo continuare a usare la relatività come una teoria insostituibile.

Gli occhi del mondo intero si concentrano ora, dopo l’ubriacatura dei neutrini, su altri esperimenti del Cern e di altri laboratori. In particolare, l’annunciata e probabile scoperta della cosiddetta «particella di Dio», così come dell’attesa, ma per ora ancora non verificata, esistenza di «particelle simmetriche». L’episodio dimostra comunque come la scienza contenga dentro di sé gli anticorpi per i propri possibili errori, e come in un breve volgere di tempo la comunità scientifica possa mettere proposte anche rivoluzionarie sotto il microscopio per verificarle o confutarle. E’ in questo processo dialettico di dimostrazioni e refutazioni che si cela il segreto del successo della scienza.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/3/2012 18.02
Titolo:Le meraviglie del neutrino cinese. Una scoperta di grande portata ...
Le meraviglie del neutrino cinese

Un esperimento di Jun Cao e altri 240 fisici ha misurato il terzo angolo di mescolamento delle particelle. Una scoperta di grande portata

di Pietro Greco (l’Unità, 19.03.2012)

Ha fatto molto rumore l’annuncio effettuato sul sito arXiv da parte di Carlo Rubbia, ideatore e direttore di quell’esperimento Icarus che presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso studia le oscillazioni dei neutrini, compresi quelli del progetto Cngs (Cern Neutrinos to Gran Sasso) a Ginevra.

Abbiamo misurato la velocità con cui viaggiano tra la Svizzera e l’Abruzzo le elusive particelle - hanno detto i fisici di Icarus - e abbiamo verificato che sono un po’ più lenti della luce. La misura del gruppo diretto da Carlo Rubbia corrobora la convinzione, ormai diffusa, che la velocità superluminale dei neutrini misurata dal gruppo Opera diretto da Antonio Ereditato sia frutto di un errore. Errore che lo stesso gruppo Opera ha individuato qualche settimana fa. Ora non resta che attendere le misure del tutto indipendenti che saranno realizzate negli Stati Uniti e in Giappone per chiudere la vicenda del «neutrino più veloce della luce».

Ha fatto, tuttavia, meno rumore un altro articolo pubblicato sul medesimo sito arXiv da Jun Cao e dagli altri 240 fisici impegnati nel «Daya Bay Reactor Neutrino Experiment». Un articolo almeno altrettanto importante. Sia per i contenuti fisici che propone. Sia per il luogo, la Cina, dove l’esperimento è condotto.

Il gruppo ha infatti misurato con grande precisione uno dei tre «angoli di mescolamento» dei neutrini, quello detto «Teta 13». Ai più questo parametro dirà poco. Ma non è complicato da spiegare. I neutrini sono particelle che interagiscono poco con la materia. Ma grazie a Bruno Pontecorvo, allievo di Enrico Fermi, sappiamo che ne esistono di tre tipi (elettronici, muonici e tau) che «oscillano», ovvero si trasformano l’uno nell’altro mentre corrono nello spazio (a velocità prossima, ma a quanto pare non superiore a quella della luce). Se i neutrini oscillano, diceva Pontecorvo, allora hanno una massa, sia pure piccolissima.

L’IPOTESI DI PONTECORVO

Il gruppo Opera negli scorsi anni ha dimostrato che Pontecorvo aveva ragione: i neutrini oscillano e, dunque, hanno una piccola massa. Già ma «quanto oscillano»? In che percentuale i neutrini elettronici si trasformano in muonici viaggiando, per esempio, tra il Sole (uno dei luoghi dove vengono prodotti) e la Terra? L’«angolo di mescolamento» ci dice a quanto ammonta questa percentuale. Finora ne erano stati misurati due, di angoli di mescolamento. Il «Daya Bay Reactor Neutrino Experiment» ha misurato il terzo e ha chiuso il quadro. Il bello è che la sua misura «spalanca una porta», come sostiene sulla rivista Science l’americano Robert Plunkett, un fisico del Fermi National Accelerator Laboratory di Batavia, in Illinois. La porta spalancata è quella della verifica di una asimmetria tra il comportamento dei neutrini e quello degli antineutrini. Asimmetria che potrebbe spiegare perché il nostro universo è costituito in larga parte di materia e non di antimateria. Insomma, il «Daya Bay Reactor Neutrino Experiment» apre una nuova pista di ricerca e dimostra che lo studio di queste elusive particelle dominerà la fisica delle alte energie nei prossimi anni.

Ma oltre il contenuto scientifico, c’è la dimensione geografica della notizia. Il «Daya Bay Reactor Neutrino Experiment» ha battuto sul tempo una serie di altri esperimenti analoghi: il Minos negli Stati Uniti, quello condotto col reattore Double Chooz nella città di Chooz in Francia, il Reno in Corea del Sud. Questo, come sostiene Robert McKeown, un americano in forze al Thomas Jefferson National Accelerator Facility di Newport, in Virginia, è probabilmente il più grande risultato di fisica finora raggiunto in Cina. E dimostra che la fisica cinese delle particelle è ormai in grado di competere alla pari con chiunque.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/3/2012 12.50
Titolo:La scienza deve essere libera. Il «mercato» dietro l’affanno a pubblicare i risu...
La scienza deve essere libera

di Umberto Guidoni (l’Unità, 31.o3.2012)

Voglio prendere spunto dal caso dei «neutrini più veloci della luce» per riflettere sul ruolo della scienza nella società moderna. La notizia delle dimissioni di Antonio Ereditato responsabile dell’esperimento «Opera» che ha dato notizia di un risultato dimostratosi falso riporta alla ribalta il tema dei condizionamenti della ricerca. Negli ultimi decenni, la scienza è apparsa sempre più condizionata dalla dimensione economica: una tendenza che porta a favorire la ricerca applicata rispetto a quella di base, lo sviluppo di nuove tecnologie piuttosto che la scoperta di nuove teorie scientifiche. Secondo uno studio dell’Onu: «la ricerca scientifica e tecnologica è sempre più mirata alla ricerca del profitto, piuttosto che alla soluzione dei problemi fondamentali per l’umanità... Soltanto il 10% della spesa per la ricerca è dedicata ad affrontare il 90% dei problemi più urgenti nel mondo». La comunità scientifica ha tentato di resistere ai tentativi di ingabbiarla.

Gli scienziati hanno creato una comunità globalizzata, che ha reso possibile quella grande circolazione di idee che ha portato allo straordinario sviluppo di conoscenze del secolo scorso. Ma proprio grazie a questi successi, la tecnologia è entrata sempre più nei processi produttivi e la ricerca ha finito per essere percepita come un elemento di natura economica, a cui applicare le leggi del mercato.

Dietro l’affanno a pubblicare i risultati ancor prima di una verifica tra la comunità scientifica c’è, forse, la pressione del «mercato», la necessità di ottenere risultati «visibile» per giustificare i costi della ricerca o per ottenere nuovi finanziamenti dagli sponsor. In questo modo si cercano i sentieri più facili, quelli che portano direttamente sulle pagine dei quotidiani e sui set televisivi, tralasciando cammini più impervi che richiedono anni di «oscuro» lavoro di elaborazione e di studio. Così si rischia di stravolgere la vera missione della ricerca scientifica: la creazione di nuovo sapere.

Il rapporto fra ricerca, innovazione e sviluppo economico è certamente reale, ma va articolata su livelli di maggiore complessità. La scienza, infatti, è un lavoro collettivo di individui e gruppi, in un delicato equilibrio fra competizione e collaborazione.

Alterare questa complessa alchimia, favorendo la competizione a danno della diffusione della conoscenza, fa inaridire la creatività e rischia di rallentare il progresso scientifico. Viceversa, quando il frutto della ricerca produce nuove idee diventa un palestra per preparare le persone a risolvere «problemi complessi» e contribuisce all’evoluzione complessiva della società. Ma per farlo, deve mantenere la sua libertà di azione, senza vincoli politici od economici, condizione che può essere garantita solo dall’intervento pubblico.

E qui veniamo al caso specifico del nostro Paese: il taglio drastico ai fondi pubblici per la ricerca sta costringendo le Università e gli Epr a cercare risorse private con il rischio di mettere in discussione l’autonomia stessa della scienza.

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Commenti Articolo 868

Titolo articolo : Per un nuovo sole e un sereno destino.,di I lavoratori della Irisbus - Resistenza Operaia

Ultimo aggiornamento: March/31/2012 - 12:42:18.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/3/2012 23.57
Titolo:PER UN NUOVO SOLE. Che l'avvenire sia bello, degno di esseri umani liberi, giust...
CARI LAVORATORI DELLA IRIS

IN SPIRITO DI TOTALE SOLIDARIETA' CON LA VOSTRA RESISTENZA E CON IL VOSTRO "URLO" DI SPERANZA E DI GIUSTIZIA "per un nuovo sole e un sereno destino", VI ALLEGO UN MIO BREVE TESTO DI CIRCA 6 ANNI FA. Mi auguro che possa essere utile per fornire ulteriori idee ed energie alla vostra determinazione di "resistere, resistere, resitere" - ancora e sempre!!!

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Salviamo la Costituzione e la Repubblica che è in noi

di Federico La Sala (Libertà - quotidiano di Piacenza, 08.06.2006, p. 35)

Il 60° anniversario della nascita della Repubblica italiana e dell’Assemblea Costituente, l’Avvenire (il giornale dei vescovi della Chiesa cattolico-romana) lo ha commentato con un “editoriale” di Giuseppe Anzani, titolato (molto pertinentemente) “Primato della persona. La repubblica in noi” (02 giugno 2006), in cui si ragiona in particolar modo degli articoli 2 e 3 del Patto dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti.

Salvo qualche ’battuta’ ambigua, come quando si scrive e si sostiene che “il baricentro dell’equilibrio resta il primato della persona umana di cui è matrice la cultura cattolica” - dove non si comprende se si parla della cultura universale, di tutto il genere umano o della cultura che si richiama alla particolare istituzione che si chiama Chiesa ’cattolica’ (un po’ come se si parlasse in nome dell’Italia e qualcuno chiedesse: scusa, ma parli come italiano o come esponente di un partito che si chiama “forza...Italia”!?), - il discorso è tuttavia, per lo più, accettabile...

Premesso questo, si può certamente condividere quanto viene sostenuto, alla fine dell’editoriale, relativamente al “diritto alla vita” (“esso sta in cima al catalogo ’aperto’ dell’articolo 2, sta in cima alla promessa irretrattabile dell’art. 3”) e alla necessità di una responsabile attenzione verso di essa (“Non declini mai la difesa della vita; senza di essa è la Repubblica che declina”).

Ma, detto questo, l’ambiguità immediatamente ritorna e sollecita a riporsi forti interrogativi su che cosa stia sostenendo chi ha scritto quanto ha scritto, e da dove e in nome di Chi parla?!

Parla un uomo che parla, con se stesso e con un altro cittadino o con un’altra cittadina, come un italiano comune (- universale, cattolico) o come un esponente del partito ’comune’ (’universale’, ’cattolico’)?

O, ancora, come un cittadino di un partito che dialoga col cittadino o con la cittadina di un altro partito per discutere e decidere su quali decisioni prendere per meglio seguire l’indicazione della Costituzione, della Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ che ci ha fatti - e invita a volerci! - uomini liberi e donne libere, cittadini-sovrani e cittadine-sovrane?!

Nonostante tante sollecitazioni a sciogliere i nodi e chiarirsi le idee da ogni parte - dentro e fuori le istituzioni cattoliche, c’è ancora molta confusione nel cielo del partito ’cattolico’ italiano: non hanno affatto ben capito né la unità-distinzione tra la “Bibbia civile” e la “Bibbia religiosa”, né tantomeno la radicale differenza che corre tra “Dio” [Amore - Charitas] e “Mammona” [Caro-Prezzo - Caritas] o, che è lo stesso, tra la Legge del Faraone o del Vitello d’oro e la Legge di Mosè!!! E non hanno ancora ben-capito che Repubblica dentro di noi ... non significa affatto Monarchia o Repubblica ’cattolica’ né dentro né fuori di noi, e nemmeno Repubblica delle banane in noi o fuori di noi!!!

Il messaggio del patto costituzionale, come quello del patto eu-angelico ...e della montagna è ben-altro!!! La Costituzione è - ripetiamo: come ha detto e testimoniato con il lavoro di tutto il suo settennato il nostro Presidente, Carlo A. Ciampi - la nostra “Bibbia civile”, la Legge e il Patto di Alleanza dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti (21 cittadine-sovrane presero parte ai lavori dell’Assemblea), e non la ’Legge’ di “mammasantissima” e del “grande fratello” ... che si spaccia per eterno Padre nostro e Sposo della Madre nostra: quale cecità e quanta zoppìa nella testa e nel cuore, e quale offesa nei confronti della nostra Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’- di tutti e tutte noi, e anche dei nostri cari italiani cattolici e delle nostre care italiane cattoliche!!!

Nel 60° Anniversario della nascita della Repubblica italiana, e della Assemblea dei nostri ’Padri e delle nostre ’Madri’ Costituenti, tutti i cittadini e tutte le cittadine di Italia non possono che essere memori, riconoscenti, e orgogliosi e orgogliose di essere cittadine italiane e cittadini italiani, e festeggiare con milioni di voci e con milioni di colori la Repubblica e la Costituzione di Italia, e cercare con tutto il loro cuore, con tutto il loro corpo, e con tutto il loro spirito, di agire in modo che sia per loro stessi e stesse sia per i loro figli e le loro figlie ... l’ “avvenire” sia più bello, degno di esseri umani liberi, giusti, e pacifici! Che l’Amore [Charitas] dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ illumini sempre il cammino di tutti gli italiani e di tutte le italiane...

Viva la Costituzione, Viva l’Italia!!!

Federico La Sala

___________________________________________________________________

DA RICORDARE:

Alla Costituente, su 556 eletti, 21 erano donne:

9 NEL GRUPPO DC, SU 207 MEMBRI - LAURA BIANCHINI, ELISABETTA CONCI, FILOMENA DELLI CASTELLI, MARIA IERVOLINO, MARIA FEDERICI, ANGELA GOTELLI, ANGELA GUIDI CINGOLANI, MARIA NICOTRA, VITTORIA TITOMANLIO;
9 NEL GRUPPO PCI, SU 104 MEMBRI - ADELE BEI, NADIA GALLICO SPANO, NILDE IOTTI, TERESA MATTEI, ANGIOLA MINELLA, RITA MONTAGNANA TOGLIATTI, TERESA NOCE LONGO, ELETTRA POLLASTRINI, MARIA MADDALENA ROSSI;
2 NEL GRUPPO PSI, SU 115 MEMBRI - BIANCA BIANCHI, ANGELINA MERLIN;
1 NEL GRUPPO DELL’UOMO QUALUNQUE: OTTAVIA PENNA BUSCEMI.

Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/3/2012 00.27
Titolo:INTERVISTA AL PRESIDENTE DELL'ANPI, CARLO SMURAGLIA ....
Carlo Smuraglia: «Il reintegro è come l’uguaglianza nella Costituzione»

di Andrea Fabozzi (il manifesto, 22 marzo 2012)

Senatore, componente del Csm oggi presidente dell’Anpi, Smuraglia è autore di numerose opere sul diritto del lavoro. Memoria storica fondamentale per il paese, avverte: "Stiamo tornando indietro"

Partigiano combattente, professore all’Università di Milano, presidente della regione Lombardia, senatore, componente del Csm e oggi presidente nazionale dell’Anpi, Carlo Smuraglia, classe 1923, è soprattutto un maestro del diritto del lavoro. Fondamentale il suo commento allo Statuto dei lavoratori del 1970.

Professore, gli entusiasti di questa annunciata riforma del mercato del lavoro parlano di «fine di un’epoca», l’epoca cioè del «consociativismo». Siamo davvero a un passaggio storico?

Si può parlare di fine di un’epoca ma solo nel senso che si torna indietro. Cancellando a cuor leggero un principio per il quale si è combattuto per anni, e con ragione. L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è il frutto di una stagione di lotte, ma anche del fallimento della legge sul licenziamenti del luglio 1966. In quella legge si prevedeva, appunto, che anche nel caso di licenziamento ingiustificato riconosciuto come tale dal giudice, il lavoratore aveva diritto esclusivamente al risarcimento economico. La grande novità dell’articolo 18 fu il diritto al reintegro. Oggi torniamo al ’66.

Quanto fu difficile l’introduzione del principio dell’articolo 18 nello Statuto dei lavoratori?

Ci fu una discussione accesa in parlamento e ci furono forti pressioni contrarie degli industriali, ma fu soprattutto alla luce dell’esperienza precedente che alla fine il ministro Brodolini accettò il principio.

Ma lo Statuto fu votato da socialisti e democristiani, il Pci e il Psiup si astennero.

Le loro obiezioni erano sulla seconda parte dello Statuto, quella che riguardava la rappresentanza sindacale. Non sul reintegro per il quale si può dire che non ci fossero più dubbi addirittura dagli anni Cinquanta, dal dibattito seguito al famoso licenziamento per motivi politici del dirigente Fiat Battista Santhià. Ci fu un importante convegno nel 1955 in cui molti giuslavoristi introdussero il tema del reintegro e poi la legge del ’66 e infine lo Statuto. Ci vollero degli anni e molti scioperi, tornare indietro rispetto a tutto questo significa non capire cosa vuol dire riconsegnare al datore di lavoro la possibilità di licenziare a propria discrezione.

Ma la riforma Fornero prevede ancora il reintegro per il licenziamento discriminatorio.

Mancherebbe, su quello non ci può essere alcun dubbio. Il licenziamento discriminatorio è un atto nullo per un principio giuridico che non dipende neanche dallo Statuto dei lavoratori, ed è evidente che di fronte a un atto nullo resta in vigore la situazione precedente. Naturalmente la riforma di cui parliamo non dice che il datore di lavoro potrà licenziare a suo piacimento, ma temo che gli effetti saranno questi.

Anche nel caso di licenziamento per motivi economici?

Siamo franchi, quando ci sono delle ragioni economiche reali, una crisi aziendale, si tratta sempre di circostanze oggettive. Ma se il datore di lavoro non riesce a provarle e il giudice stabilisce che il licenziamento è infondato, perché mai non si dovrebbe ripristinare il rapporto di lavoro? Torniamo appunto a prima del ’66: sarà possibile liberarsi di un lavoratore pagando. L’imprenditore deciderà solo sulla base dei suoi costi e dei suoi benefici. E dovremmo aggiungere un altro problema.

Quale?

In molti casi persino il diritto al reintegro nel posto di lavoro si è dimostrato insufficiente, per cui più che smantellarlo si sarebbe dovuto renderlo effettivo. Pensi alla vicenda dei lavoratori Fiat a Melfi che l’azienda si è rifiutata di far tornare al loro posto e capirà come ancora oggi il principio trovi difficoltà di applicazione.

Chi parla della fine di un’epoca lo fa anche con riferimento alla mancata concertazione, anche questo è un passaggio epocale?

Mi sorprende che tutti quelli che in questi anni hanno riconosciuto la convenienza della concertazione adesso si rallegrino che sia stata stracciata. Secondo me si tratta di un errore di valutazione, soprattutto da parte del governo che non ricaverà nulla di positivo da questa scelta di rottura. Per venire incontro alle indicazioni di una parte molto liberista dell’Europa, rinuncia alla pace sociale.

La Cgil pagherà l’isolamento?

Dieci anni fa hanno riempito la piazza sull’articolo 18, è impossibile che i lavoratori abbiano cambiato idea. È vero che siamo in crisi ma i principi valgono anche in tempo di crisi. Cominciare a smantellarli è pericoloso perché non si sa mai dove si finisce. È un discorso analogo a quello che si fa sulla Costituzione. Si può cambiare, ma non si può nemmeno immaginare di toccare i principi fondamentali. E l’articolo 18 nel sistema del diritto del lavoro equivale al principio di uguaglianza nella Costituzione.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/3/2012 03.13
Titolo:Critiche di mons. Bregantini, con un passato in fabbrica, al governo Monti ...
I vescovi: l’uomo non è una merce
Soluzioni condivise
di Roberto Monteforte (l’Unità, 23 marzo 2012)
Non è lo scontro che serve al Paese. Soprattutto in questa fase. Chi può essere così sicuro che con la riforma dell’articolo 18 si risolva il problema della precarietà? Non ci si rende conto di quanto sia grave lo strappo con la Cgil, il maggiore sindacato italiano? E poi il lavoratore «non è una merce da eliminare per questioni di bilancio», ma una persona e come tale da rispettare.

Sono critiche di fondo quelle che monsignor Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso- Bojano, presidente della commissione lavoro alla Cei e con un passato in fabbrica, muove al governo Monti. In un’intervista a Famiglia Cristiana esprime con chiarezza tutte le sue preoccupazioni per gli effetti concreti della riforma Monti-Fornero e soprattutto per la scarsa attenzione data alla dignità dell’uomo. «Con questa riforma la precarietà sarà vinta? O addirittura aumenterà?», si domanda. Parla a titolo personale il responsabile Cei per il lavoro e le questioni sociali, a pochi giorni dall’apertura del Consiglio Permanente dei vescovi.

Ma dopo che le agenzie hanno lanciato la sua intervista, anche la Cei prende ufficialmente posizione con il suo portavoce, monsignor Domenico Pompili. «La situazione del mondo del lavoro afferma Pompili - costituisce un assillo costante dei vescovi. La dignità della persona passa per il lavoro riconosciuto nella sua valenza sociale». «La Conferenza episcopale italiana - conclude - segue con attenzione le trattative in corso, confidando nel contributo responsabile di tutte le parti in campo, al fine di raggiungere una soluzione, la più ampiamente condivisa». Così la posizione di Bregantini trova copertura.

Le sue sono le preoccupazioni della Chiesa che è in prima linea nel fronteggiare la crisi economica e sociale. «I licenziamenti economici - afferma il vescovo - rischiano di generare un clima di paura in tutto il Paese». Teme che nelle aziende e nelle famiglie monti «un’ondata di terrore» per paura di vedersi licenziati per motivazioni economiche o organizzative. E aggiunge: «Una siepe protettiva sui licenziamenti economici bisognava metterla». Da qui il suo appello rivolto soprattutto ai politici perché «si possa creare una rete di diritti e di protezioni più solida».

Invoca coesione. Lasciare fuori la Cgil per questo lo giudica «un grave errore», come pure considerare questo una cosa «data quasi per scontata», come se non fosse «una cosa preziosa» per la riforma del lavoro avere il consenso del primo sindacato italiano. Va tenuto conto, infatti, che «dietro questa fetta di sindacato vi è tutto un mondo importante, cruciale da coinvolgere per camminare verso il futuro». L’altra critica è ai tempi stretti imposti per una riforma di questa portata e quel perentorio «la partita è chiusa» del premier Monti, mentre sarebbe stato necessario aprire il dialogo in Parlamento, nei luoghi di lavoro e nel Paese.

Ma è un tema etico di fondo quello che Bregantini pone di fronte ai licenziamenti «chiamati elegantemente, “flessibilità in uscita”». «Il lavoratore è persona o merce?». «Non lo si può trattare - scandisce - come un prodotto da dismettere, da eliminare per motivi di bilancio, perché resta invenduto». Poi osserva come in politica l’aspetto tecnico stia diventando prevalente su quello etico. Come sia eccessiva la «sintonia» tra profitto e aspetto tecnico.

Un promemoria della Chiesa per il premier Monti e il ministro Fornero e per tutti i cattolici impegnati in politica. Lo rilanciano in molti, da Rosy Bindi a Leonluca Orlando, che chiedono al governo di ascoltare la Cei.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/3/2012 12.20
Titolo:"L’Irisbus è nostra e non si tocca!"
"L’Irisbus è nostra e non si tocca!"

MARXVENTUNO ORGANIZZA UNA TAVOLA ROTONDA CON LE AVANGUARDIE DI LOTTA DELL’IRISBUS-IVECO, L’UNICA FABBRICA DI AUTOBUS IN ITALIA, DA OLTRE CENTO GIORNI IN LOTTA CONTRO LA CHIUSURA IMPOSTA DALLA FIAT

MarxVentuno avvia un’inchiesta sulla condizione della classe operaia dell’industria, sulle forme organizzative, sul ruolo del sindacato sulle resistenze e le lotte in corso contro chiusure e licenziamenti, sui loro sbocchi possibili e le prospettive strategiche. Lo fa dando la parola ai lavoratori e alle avanguardie delle lotte, ai protagonisti degli scioperi, dei presidi davanti ai cancelli delle fabbriche, delle assemblee permanenti, delle occupazioni degli stabilimenti. Il quadro che emerge dalla tavola rotonda organizzata con i lavoratori dell’Irisbus è di un’indomita combattività e volontà di resistenza dei lavoratori, ma pure di contraddizioni con le organizzazioni sindacali, anche con quelle, come la Fiom, che si è contrapposta a Marchionne e costituisce un presidio importantissimo, fondamentale, per la resistenza anticapitalistica, ma che non è stata esente in passato da errori di valutazione, cedimenti, pratiche consociative con le direzioni aziendali in un Mezzogiorno in cui la disoccupazione di massa è un fattore potente di corruzione e clientelismi. Solo riconoscendo i propri errori e apprendendo dall’esperienza, il movimento operaio e le organizzazioni sindacali di classe possono ricostruirsi su basi più avanzate, tanto più necessarie oggi, in un presente attraversato e sconvolto dalla grande crisi capitalistica.

L’otto luglio 2011 la Fiat comunica agli operai dello stabilimento Irisbus-Iveco in Valle Ufita, provincia di Avellino, la procedura di cessione dello stabilimento. L’unico candidato all’acquisto sarebbe il gruppo molisano Di Risio, il quale dovrebbe contrattare con gli operai un “rilancio” a partire da una drastica riduzione delle maestranze. Sull’affidabilità di Di Risio, acquirente in pectore anche della Fiat di Termini Imerese, basti dire che risulta già mul tato di 60.000 euro per falsa pubblicità: spacciava per auto italiana la produzione del Suv Dr5 completamente costruito in Cina. Gli operai non ci stanno, comincia una grande stagione di lotta. Non sono solo in gioco poco meno di 700 posti di lavoro, la vita di 700 famiglie - e molti altri con l’indotto - in un Mezzogiorno già pesantemente provato dalla crisi, ma si tratta della prospettiva industriale del nostro Paese. L’Irisbus è l’unica fabbrica di autobus in Italia.

Per istallarla e mantenerla la Fiat ha ricevuto miliardi di contributi statali, anche se non ha mai onorato l’impegno, annunciato nel settembre 1974, di occupare 3000 lavoratori a pieno regime, e ha impiegato 17 anni per adeguarsi, nel 2007, alla prescrizione degli ispettori del lavoro - mandati dalla Procura di Ariano su esposto degli operai - di sostituire il lavoro operaio con i robot nel cancerogeno e altamente nocivo reparto verniciatura. I lavoratori dell’Irisbus hanno subito coinvolto la popolazione della valle dell’Ufita e cercato il collegamento con l’intera regione Campania, dove sono a rischio 36.000 posti di lavoro. Alla manifestazione del 15 luglio a Grottaminarda partecipano quasi 10.000 persone provenienti da tutta la Regione. I lavoratori informano i cittadini, ogni occasione è buona, dalla sagra del paese più piccolo e remoto dell’Irpinia, fino al concerto di Roberto Vecchioni a Lioni.

Grande è stata la partecipazione allo sciopero generale indetto dalla CGIL il 6 settembre. Alle iniziative di lotta e alla determinazione dimostrata dagli operai, la Fiat risponde cercando di spaccare il fronte dei lavoratori: a trenta di essi offre pochi mesi di lavoro nello stabilimento di Suzzara in provincia di Mantova, dove gli operai sono in cassa integrazione! Ma il gioco non riesce, i “trasferisti di Suzzara” ritornano in Irpinia, è una cocente sconfitta per la direzione Fiat. La questione Irisbus non è una mera vertenza locale, rivela ben presto, in tutta la sua drammaticità, il suo carattere di questione nazionale e generale, perché interroga il modello di sviluppo, l’intervento pubblico in economia, la pianificazione di un settore fondamentale quale quello del trasporto pubblico.

La rivista MarxVentuno ha organizzato sabato 10 settembre nell’assolatissimo piazzale antistante la fabbrica, che gli operai presidiano giorno e notte, una tavola rotonda. A introdurre e moderare è Luca Servodio (PdCI Valle Caudina), insieme col direttore della rivista Andrea Catone e Giovanni Sarubbi, segretario provinciale del PCdI di Avellino. Sono intervenuti i lavoratori dell’Irisbus Dario Meninno (RSU-Fiom), Silvia Curcio, Nicola Ferragamo, Antonio Di Donato (Failms), nonché Rossella Iacobucci, portavoce della FdS Irpinia e Arcangelo Valentino, venuto da Bari per portare la solidarietà dei lavoratori della Bosch. [...]

* RIPRESA PARZIALE DA "MARXVENTUNO". L’articolo è tratto in anteprima dal numero in uscita di MarxVentuno (20 Ottobre 2011)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/3/2012 12.42
Titolo:Camusso: il Parlamento ha il dovere morale di ascoltare i lavoratori
Camusso: il Parlamento ha il dovere morale di ascoltare i lavoratori

di Giuseppe Vespo (l’Unità, 30.03.2012)

La controriforma del mercato del lavoro non passerà. Susanna Camusso lancia la sfida al governo Monti dal palco della Camera del Lavoro di Milano, per l’occasione talmente affollata da costringere la segreteria milanese della Cgil a montare degli amplificatori fuori dall’edificio.

La sindacalista è alle prese con un tour per l’Italia per spiegare le ragioni della mobilitazione: pensioni, esodati che sono i temi al centro della manifestazione unitaria del 13 aprile ma soprattutto difesa dell’articolo 18 e dei diritti dei lavoratori. «La gente ha capito di cosa stiamo parlando dice Camusso dal palco milanese e se il Paese lo vorrà, la controriforma del lavoro non passerà». Ma per riuscire nell’impresa c’è bisogno di tutti, anche di «Confindustria e delle associazioni», che hanno chiesto delle modifiche alla norma.

Il sindacato ha organizzato la sua campagna suddividendo le 16 ore di sciopero indetto in due blocchi: le prime otto ore sono destinate agli scioperi, alle assemblee e alle diverse iniziative nei vari luoghi di lavoro; le altre otto ore saranno spese in blocco nello sciopero generale che arriverà quando il disegno di legge sul Lavoro approderà alle fasi finali della discussione parlamentare. «Continueremo il 25 aprile e il Primo maggio e in tutti gli appuntamenti che abbiamo davanti e continueremo quando il dibattito sarà in Parlamento». La data dello sciopero generale sarà decisa «quando capiremo che è il momento in cui bisogna dare la risposta generale».

Perché la guerra sul lavoro si vince sul terreno del consenso: sull’articolo 18 «il governo ha deciso uno strappo, ha immaginato che il consenso fosse tale da consentire questa operazione, ma non ha funzionato». Un concetto che la sindacalista ribadisce anche su twitter, sicura com’è che «sui licenziamenti facili» Monti «non ha convinto nessuno», perché «la riforma cambia brutalmente diritti in essere». La strategia di Corso d’Italia è chiara: conquistare lavoratori e società civile per puntare alle Camere, che hanno «il dovere morale, non il dovere tecnico, di guardare a cosa pensa il Paese e a cosa pensano i lavoratori». Concetti che mettono in allarme il Pdl, che vuole portare a casa il pacchetto del governo così com’è, escludendo qualsiasi passo indietro.

È presto per dire come andrà a finire ma la Cgil sente di avere «il passo di chi resiste e continua a farlo e non quello di chi ha preoccupazioni o qualche paura. Non siamo sicuri di vincere, ma siamo sicuri della nostra battaglia. Noi non basiamo le nostre ragioni sui sondaggi che sono mutevoli ma sulla conoscenza della realtà e dei suoi problemi».

Parole che la segretaria di Corso Italia ripeterà nei prossimi giorni alle riunioni con i delegati di Bologna, Parma, Cremona e Pavia. Intanto da Milano rilancia la lotta su pensionati e esodati, entrambi pesantemente colpiti dal pacchetto governativo «Salva Italia». In particolare i secondi, oggi si trovano senza pensione e senza stipendio: per Camusso è «scandaloso» che neanche l’Inps «sia in grado di quantificare il problema», ovvero il numero di queste persone.

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Commenti Articolo 869

Titolo articolo : IL LAVORO, L'ART. 18, E LE ASTUZIE DEI FARAONI DI OGGI. MONS. BREGANTINI RILANCIA CORAGGIOSAMENTE LA LEZIONE DI KAROL WOJTYLA E SOLLECITA I VESCOVI A PARLAR CHIARO ED EVANGELICAMENTE. Un'omelia di Giovanni Paolo II del 1995 e una nota di Roberto Monteforte,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/30/2012 - 09:49:51.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/3/2012 07.04
Titolo:l’art. 18 nel sistema del diritto del lavoro equivale al principio di uguaglianz...
Carlo Smuraglia: «Il reintegro è come l’uguaglianza nella Costituzione»

di Andrea Fabozzi (il manifesto, 22 marzo 2012)

Senatore, componente del Csm oggi presidente dell’Anpi, Smuraglia è autore di numerose opere sul diritto del lavoro. Memoria storica fondamentale per il paese, avverte: "Stiamo tornando indietro"

Partigiano combattente, professore all’Università di Milano, presidente della regione Lombardia, senatore, componente del Csm e oggi presidente nazionale dell’Anpi, Carlo Smuraglia, classe 1923, è soprattutto un maestro del diritto del lavoro. Fondamentale il suo commento allo Statuto dei lavoratori del 1970.

Professore, gli entusiasti di questa annunciata riforma del mercato del lavoro parlano di «fine di un’epoca», l’epoca cioè del «consociativismo». Siamo davvero a un passaggio storico?

Si può parlare di fine di un’epoca ma solo nel senso che si torna indietro. Cancellando a cuor leggero un principio per il quale si è combattuto per anni, e con ragione. L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è il frutto di una stagione di lotte, ma anche del fallimento della legge sul licenziamenti del luglio 1966. In quella legge si prevedeva, appunto, che anche nel caso di licenziamento ingiustificato riconosciuto come tale dal giudice, il lavoratore aveva diritto esclusivamente al risarcimento economico. La grande novità dell’articolo 18 fu il diritto al reintegro. Oggi torniamo al ’66.

Quanto fu difficile l’introduzione del principio dell’articolo 18 nello Statuto dei lavoratori?

Ci fu una discussione accesa in parlamento e ci furono forti pressioni contrarie degli industriali, ma fu soprattutto alla luce dell’esperienza precedente che alla fine il ministro Brodolini accettò il principio.

Ma lo Statuto fu votato da socialisti e democristiani, il Pci e il Psiup si astennero.

Le loro obiezioni erano sulla seconda parte dello Statuto, quella che riguardava la rappresentanza sindacale. Non sul reintegro per il quale si può dire che non ci fossero più dubbi addirittura dagli anni Cinquanta, dal dibattito seguito al famoso licenziamento per motivi politici del dirigente Fiat Battista Santhià. Ci fu un importante convegno nel 1955 in cui molti giuslavoristi introdussero il tema del reintegro e poi la legge del ’66 e infine lo Statuto. Ci vollero degli anni e molti scioperi, tornare indietro rispetto a tutto questo significa non capire cosa vuol dire riconsegnare al datore di lavoro la possibilità di licenziare a propria discrezione.

Ma la riforma Fornero prevede ancora il reintegro per il licenziamento discriminatorio.

Mancherebbe, su quello non ci può essere alcun dubbio. Il licenziamento discriminatorio è un atto nullo per un principio giuridico che non dipende neanche dallo Statuto dei lavoratori, ed è evidente che di fronte a un atto nullo resta in vigore la situazione precedente. Naturalmente la riforma di cui parliamo non dice che il datore di lavoro potrà licenziare a suo piacimento, ma temo che gli effetti saranno questi.

Anche nel caso di licenziamento per motivi economici?

Siamo franchi, quando ci sono delle ragioni economiche reali, una crisi aziendale, si tratta sempre di circostanze oggettive. Ma se il datore di lavoro non riesce a provarle e il giudice stabilisce che il licenziamento è infondato, perché mai non si dovrebbe ripristinare il rapporto di lavoro? Torniamo appunto a prima del ’66: sarà possibile liberarsi di un lavoratore pagando. L’imprenditore deciderà solo sulla base dei suoi costi e dei suoi benefici. E dovremmo aggiungere un altro problema.

Quale?

In molti casi persino il diritto al reintegro nel posto di lavoro si è dimostrato insufficiente, per cui più che smantellarlo si sarebbe dovuto renderlo effettivo. Pensi alla vicenda dei lavoratori Fiat a Melfi che l’azienda si è rifiutata di far tornare al loro posto e capirà come ancora oggi il principio trovi difficoltà di applicazione.

Chi parla della fine di un’epoca lo fa anche con riferimento alla mancata concertazione, anche questo è un passaggio epocale?

Mi sorprende che tutti quelli che in questi anni hanno riconosciuto la convenienza della concertazione adesso si rallegrino che sia stata stracciata. Secondo me si tratta di un errore di valutazione, soprattutto da parte del governo che non ricaverà nulla di positivo da questa scelta di rottura. Per venire incontro alle indicazioni di una parte molto liberista dell’Europa, rinuncia alla pace sociale.

La Cgil pagherà l’isolamento?

Dieci anni fa hanno riempito la piazza sull’articolo 18, è impossibile che i lavoratori abbiano cambiato idea. È vero che siamo in crisi ma i principi valgono anche in tempo di crisi. Cominciare a smantellarli è pericoloso perché non si sa mai dove si finisce. È un discorso analogo a quello che si fa sulla Costituzione. Si può cambiare, ma non si può nemmeno immaginare di toccare i principi fondamentali. E l’articolo 18 nel sistema del diritto del lavoro equivale al principio di uguaglianza nella Costituzione.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/3/2012 07.10
Titolo:L'ERRORE DI MONTI. Il lavoro va al di là dei suoi indicatori economici ...
Ma il consenso è un valore anche in Europa

di Gian Enrico Rusconi (La Stampa, 23.03.2012)

Il governo Monti sta commettendo il suo primo serio errore? Certamente ha toccato il punto nevralgico della sua doppia natura «tecnica» e «politica», su cui si è equivocato sino ad oggi.

Dopo l’efficace colpo di mano sulle pensioni giocato tutto sul panico-spread, dopo la deludente debole azione sulle liberalizzazioni, la coppia Monti-Fornero (con il silenzio un po’ strano degli altri presunti membri «forti» del governo) ha tentato la mossa energica della riforma del mercato del lavoro, senza rendersi conto che la posta in gioco è mutata rispetto alle altre iniziative. Non perché i sindacati siano soggetti sociali privilegiati o diversi rispetto agli altri, ma perché l’oggetto della mediazione è di natura diversa. Nella nostra società il concetto stesso di lavoro ha - giustamente - acquistato un significato che va al di là dei suoi indicatori economici.

Da qui l’ambiguità dell’espressione «liberalizzazione del mercato del lavoro», così come viene disinvoltamente recitata nei talk-show. C’è chi la ripete meccanicamente, considerandola la soluzione di tutti i mali sociali, economici e fiscali del paese, confondendola di fatto volentieri con la libertà di licenziamento - come se questa fosse la chiave della crescita. Naturalmente giura che non è vero. Ma è un fatto che da giorni il discorso gira e si incaglia sulle motivazioni e sulle tipologie del licenziamento. Chi diffida di questa impostazione del problema o comunque ne vede i gravi limiti e pericoli si espone al sospetto di essere un veterocomunista.

Nel frattempo tutta la polemica si è sedimentata attorno all’art. 18 e alla sua modifica. E’ giusto ricordare che le iniziative del governo Monti sono molto più ampie e innovative rispetto alle proposte di riforma dell’articolo incriminato. Ma se questo articolo ha acquistato di fatto - piaccia o no - un valore simbolico tanto forte, ci deve essere un motivo. Se si cerca di andare al fondo dei termini della polemica, si ha l’impressione di trovarci talvolta di fronte ad un processo alle intenzioni. Questa non è un’osservazione banale: è messa in gioco la fiducia reciproca tra governo e parti sociali. Si tocca la sostanza del consenso democratico. E’ un fatto politico.

Siamo così al punto nevralgico di questo «strano» governo, tra competenza tecnica e legittimità politica. Mario Monti - per quanto sappiamo sino a questo momento - ha dichiarato che presenterà le sue proposte al Parlamento corredate con un verbale ufficiale in cui sono illustrati i risultati dei contatti avuti nelle settimane scorse con le parti sociali. Non è ancora chiaro invece quale procedura di approvazione sarà adottata. E’ una singolare novità. Soprattutto perché è accompagnata da alcune forti dichiarazioni sulla «fine concertazione». Confesso che non mi è chiaro il senso di questa insistenza. Il comportamento del governo è del tutto legittimo, data la sua natura particolare, senza bisogno che ricorra ad una enfatica presa di distanza dalla concertazione come se fosse sinonimo di cattivo consociativismo o di inciucio politico-sociale.

Non insisto su questo equivoco, salvo far osservare ai tanti tedescofili improvvisati che spuntano ora nel nostro Paese (anche a proposito dell’art. 18) che la concertazione è stato uno dei fondamenti del sistema tedesco che continua a vivere di una cultura e istituzionalizzazione del consenso sociale inconcepibile per la nostra cultura politica. Non si può scegliere dal «modello tedesco» quello che più fa comodo ignorando tutto il resto.

Ma torniamo nel nostro Parlamento che dovrà affrontare anch’esso la sua prima prova seria da quando ha dato il suo sostegno al governo Monti. Il presidente del Consiglio guarda all’Europa - continua a ripeterlo, giustamente soddisfatto dello straordinario guadagno di immagine e di fiducia raggiunto in breve tempo dal nostro Paese. Ma qual è esattamente «l’Europa» a cui si riferisce Monti? La Banca centrale europea, alcuni membri della Commissione europea, la cancelliera Merkel, soddisfatta dei «compiti a casa» fatti sinora dagli italiani? E’ tempo che Monti argomenti meglio la dimensione europea della sua azione di governo, senza riferirsi esclusivamente agli indicatori di mercato, alle Borse o ad altri dati del cui valore relativo lui stesso è ben consapevole.

Mi auguro che Monti, consegnando al Parlamento il suo piano di riforma del lavoro, non affermi che soltanto esso - così come è scritto - ci metterebbe in sintonia con «l’Europa», con il sottinteso che la sua bocciatura ci allontanerebbe dall’Europa stessa. Non è così. Ricordo molto bene che in una dichiarazione delle prime settimane, Monti stesso ha detto che i sacrifici che gli italiani si stavano preparando a sostenere non erano un «diktat» dell’Europa (o della sua banca), ma una necessità oggettiva che rispondeva agli interessi di tutti gli italiani. E questi il loro consenso, sofferto, lo hanno dato. Oggi la problematica del mercato del lavoro è più complicata, ma il criterio dovrebbe essere lo stesso. Non si tratta di mirare ad un accordo «consociativo» che i severi «tecnici» disapprovano. Ma di ricercare una intesa ragionevole accogliendo obiezioni ragionevoli. Suppongo che anche «i tecnici» sappiano quale risorsa straordinaria e insostituibile per l’efficienza del sistema lavorativo sia il consenso sociale.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/3/2012 18.51
Titolo:Woityla santo subito? No! I retroscena ....
Woityla santo subito: i retroscena *

“Santo subito!” chiedevano i fedeli all’indomani della morte di Giovanni Paolo II, avvenuta il 2 Aprile del 2005. Il successore Benedetto XVI sembrò subito convinto nella volontà di rendere santo Karol Woityla, uno dei pontefici storicamente più importanti e per certi versi rivoluzionari del mondo cattolico, e in effetti il 1° Maggio del 2011, dinanzi ad una Piazza S. Pietro gremita fu sancita la beatificazione di Giovanni Paolo II in tempi record. Infatti, non era mai accaduto prima che, ad appena sei anni dalla scomparsa, un pontefice fosse beatificato.

Negli ultimi tempi però, la situazione sembra cambiata. In effetti, “rumors“ interni allo Stato della Chiesa parlano di una brusca frenata da parte di Ratzinger nel processo di canonizzazione in tempi brevi di "Karol il Grande“. Quali sarebbero le motivazioni di questo mutamento di rotta? Non ci sono voci ufficiali, ma nell’ambiente si parla di motivazioni politiche. Il problema sarebbe nella persona di Stanislaw Dziwisz. Questi è stato il segretario particolare di Woityla per quarant’anni, ma soprattutto uno degli uomini più fidati del pontefice, soprattutto nel periodo della malattia quando fu denominato “il Papa ombra“. Subito dopo l’avvento al soglio pontificio di Ratzinger, Dziwisz fu creato cardinale ed inviato a Cracovia come arcivescovo: sicuramente un atto meritorio verso un uomo che aveva dato tanto alla Santa Sede, ma forse anche un’azione strategica per allontanarlo dalle stanze del potere, vista l’importanza che aveva assunto all’interno dell’ambiente del Vaticano. In Polonia Dziwisz viene considerato l’erede diretto di Giovanni Paolo II e la sua figura carismatica è molto popolare e amata dai fedeli e, di conseguenza, una canonizzazione veloce di Woityla, fortemente caldeggiata dall’Arcivescovo, non farebbe altro che accrescerne la popolarità in Polonia, ma anche altrove. Qui sarebbe il nocciolo della questione: a Roma non sarebbe visto di buon occhio un rafforzamento ulteriore dell’Arcivescovo di Cracovia, che finirebbe anche per ridare slancio al gruppo della “polacchità“, costituito da sacerdoti, suore e religiosi provenienti dalla Polonia, cresciuto durante il pontificato di Woityla, e che ora si trova un po’ in minoranza rispetto alle scelte del pontefice tedesco.

Infine, un’altra prova della “freddezza” che al momento esiste tra il Vaticano e l’ambiente polacco, sta nell’attività di Radio Maryja. Questa è un’emittente fondata negli anni ’80 da padre Tadeusz Rydzyk, che si è sempre mossa ai limiti dei princìpi cattolici, sfociando spesso nell’antisemitismo e in posizioni antigovernative. L’Arcivescovo Dziwisz ha fermamente condannato l’attività di quest’emittente, mentre il Vaticano ha appoggiato la missione di Radio Maryja con una lettera scritta dal segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Come finirà questo braccio di ferro? Ma soprattutto: quando avverrà e in quali termini avverrà la canonizzazione di Karol Woityla?

Francesco Matino

* SETTIMOPOTERE, 23.03.2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/3/2012 23.38
Titolo:"EL MUNDO". LAVORO ABUSIVO E SENZA CONTRATTO CON L'OPUS DEI ....
LAVORO ABUSIVO E SENZA CONTRATTO CON L'OPUS DEI

di Emanuela Provera - 25 Marzo 2012 *

"El Mundo" racconta le storia di sei donne che hanno denunciato l'Opera per violazione delle norme in materia di regolarizzazione dei rapporti di lavoro




Nei mesi scorsi ho ripercorso la storia di aderenti all'Opus dei che dopo esserne usciti hanno raccontato casi di abuso o sfruttamento del lavoro; da cui si sono generate denuncie e procedimenti giudiziari a carico dell'istituzione.

Qualche settimana fa Antonio Rubio, vicedirettore del quotidiano El Mundo, ha raccolto le storie di sei donne che nei mesi scorsi hanno denunciato l'Opus Dei per violazione delle norme in materia di regolarizzazione dei rapporti di lavoro.

Gli esposti si riferiscono a lavoro abusivo, senza contratto e sono stati presentati da donne che entrarono nell'Opera da giovani e furono destinate a lavori interni di direzione dei Centri, amministrativi o domestici.

Le denunce forniscono dettagli su presunte violazioni commesse dalla prelatura tra gli anni '70 (settanta) fino ad oggi e sono state presentate agli Ispettorati del Lavoro di Madrid, Vitoria, Santander, Pontevedre e Siviglia, fra giugno e dicembre del 2011. Come normalmente succede in questi casi le donne preferiscono mantenere l'anonimato per timore di rappresaglie professionali o ritorsioni.


M.G.M entrò nell'Opus Dei a 14 anni e vi rimase per 20 anni con mansioni di cuoca e addetta ai lavori domestici "In nessuno dei luoghi dove ho lavorato ho ricevuto una retribuzione, poiché la dovevo dare interamente alla Prelatura".

A.P. che ha presentato denuncia in novembre, racconta di aver lavorato "in nero" per 14 anni in cambio solo di vitto e alloggio. "Ho contratto una malattia psichica e denuncio inoltre che le persone inferme psichicamente lavorano o non lavorano a seconda delle decisioni dei direttori dell'Opus Dei e non di quelle dei medici...".

C.R.P. riferisce di avere lavorato come impiegata amministrativa per 18 anni nelle residenze dell'"Opera" senza mai avere avuto un contratto di lavoro. Nell'esposto inviato all'Autorità Centrale degli Ispettorati del Lavoro punta il dito su presunte irregolarità che riguarderebbero anche le persone assunte: "E' normale che un'impiegata sia dichiarata per un numero di ore molto inferiori a quelle di lavoro effettivo e con mansioni più basse di quelle per le quali è stata assunta".

La quarta donna abbandonò l'istituzione nel 2010, dopo 40 anni nel corso dei quali ha prestato lavoro senza contratto in lavori amministrativi e domestici. Oltre ad aver contratto un'infermità psichica, attualmente si trova in stato di "incapacità al lavoro".

Un'altra, M.I.M., che aveva diretto centri e associazioni, ha presentato denuncia in giugno. Come risposta, l'Ispettorato del Lavoro l'ha invitata a rivolgersi ai Tribunali ordinari.

Infine l'ultima denuncia è quella di una donna che ha lavorato per l'istituzione 30 anni, nella cui vita lavorativa risultano soltanto 14 anni di contribuzione. Intervistato dal quotidiano spagnolo, un portavoce della prelatura dell'Opus Dei ha asserito di trovarsi senza possibilità di difesa perché le autorità competenti (ispettorati del lavoro) non avrebbero comunicato alcuna denuncia contro di loro. E conclude dichiarando che "l'Opus Dei ha sempre agito, agisce e agirà nel rispetto delle normative vigenti".


* Fonte:

http://www.cadoinpiedi.it/2012/03/25/lavoro_abusivo_e_senza_contratto_con_lopus_dei.html#anchor
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/3/2012 09.49
Titolo:CONTAGIO DI SUICIDI. La Spoon River della crisi ...
La Spoon River della crisi

di Adriano Sofri (la Repubblica, 30 marzo 2012)

Il lavoro rende davvero liberi, perdere il lavoro vuol dire perdere la libertà. Vi sarete accorti che il rogo fotografato a Bologna l’altro ieri somiglia a quello del giovane tibetano a Nuova Delhi del giorno prima. E i titoli, a poche pagine di distanza:Il trentesimo tibetano che si è dato fuoco nell’ultimo anno”, “Nel Veneto, già trenta suicidi di imprenditori”. Ieri un operaio edile di origine marocchina si è dato fuoco davanti al municipio di Verona, è stato soccorso in tempo, era "senza stipendio da quattro mesi".

L’altro ieri il piccolo imprenditore edile a Bologna, accanto alla sede delle Commissioni tributarie. Si può andare indietro e trovarne uno al giorno, operai disoccupati, artigiani, imprenditori. Sta diventando l’altra faccia dei bollettini delle morti cosiddette bianche. Caduti sul lavoro, caduti per il lavoro. Una Spoon River della crisi. Giuseppe C., il bolognese di 58 anni di cui hanno raccontato qui asciuttamente Michele Smargiassi e Luigi Spezia, la sua pagina se l ’è scritta da solo. "Caro amore, sono qui che piango. Stamattina sono uscito un po’ presto, ho avuto paura di svegliarti. Chiedo a tutti perdono". Parole pronte per una bella canzone di Lucio Battisti. L ’ha scritto anche al fisco: "Chiedo perdono anche a voi". Una frase terribile, ora che qualche disgraziato ha messo le sue bombe alle porte di Equitalia, e non si può più dire che "bisognerebbe metterci una bomba".

Imprenditori si impiccano, e curano di farlo nei loro capannoni, nel giorno festivo o fuori dall’orario di lavoro. La classe dirigente, le persone di cui ieri si pubblicano i "maxistipendi", le maxipersone di cui si pubblicano gli stipendi - saranno magari altrettanto commosse dell’umanità minuta per questo stillicidio di immolazioni disperate. Il fatto è che ai nostri giorni i poveri e gli impoveriti e soli che si danno fuoco hanno fatto tremare i potenti del mondo più di un esercito di forconi.

Questo contagio di suicidi è infatti un segno di resa e di solitudine, ma non solo. È una rivendicazione estrema di dignità. Fa ricordare, dopo una lunghissima parentesi, quella onorabilità borghese per la quale ci si vergognava di una rovina, anche la più onesta, e si scriveva una lettera di amore e di perdono alla famiglia. Affare di gente all’antica: con tangentopoli, i suicidi furono pochi e soprattutto "di rango", che li dettasse la protesta o la disperazione, mentre un’intera classe dirigente mostrava una pusillanimità incresciosa, ed è stata quella tempra a farla durare, passata la piena, e continuare come e più di prima, salvo non vergognarsene più e non correre più in presidenza a denunciare il cognato. Quella dignità all’antica sembra ritornata negli operai restati senza lavoro, negli imprenditori che si danno del tu coi propri dipendenti e se ne sentono responsabili, negli stranieri che avevano fatto il loro pezzo di salita e si vedono di colpo riprecipitati in fondo.

È questo, la crisi, per tanti: non sapere più come fare, e non rassegnarsi alla destituzione della propria personalità. Perdere il lavoro vuol dire perdere il proprio posto, fisso o no, nel mondo. E non è vero che lo si ceda al prossimo della fila, quel posto sgombrato. Si sono inventati, non so se prima la parola o il fatto, non so se più offensivo il fatto o la parola, gli esodati. Se non ci fossero sindacati e parti politiche e sollecitatori d’opinione a sostenerli, di quale loro gesto si potrebbe stupirsi? È ora, e non durerà a lungo, il tempo di non lasciarli soli: è già un tempo supplementare. Lo sciopero del 13 aprile è un intervento di protezione civile, una scelta fra la dignità solidale e la commiserazione. Le persone che si arrendono, fino al gesto estremo, sentono d’essere abbandonate, "da tutti".

Creditori che la pubblica amministrazione non paga. Imprenditori cui non mancano le commesse ma la fiducia delle banche. Gli uni e gli altri che finiscono in mano agli strozzini. I più grossi se la cavano meglio: hanno i più piccoli cui negare il dovuto. La vicinanza fra morti sul lavoro e morti per il lavoro non è solo simbolica. La crisi spinge a fare in fretta, a risparmiare sulla sicurezza. Costa 100 euro la macchinetta per misurare l’ossigeno nei siti confinati da ripulire, e però gli operai ci si calano lo stesso, i primi a lavorare, gli altri a soccorrerli, e gli uni e gli altri a soffocarci, dipendenti e padroncini. Si muore sotto vecchi trattori rovesciati senza protezione, nonostante leggi e circolari.

Ieri si dava la cifra di un migliaio di suicidi nell’ultimo anno per ragioni economiche legate alla crisi. E in questa situazione volete ancora parlare di articolo 18? Proprio così. Per dire questo, che non è un argomento tecnico, nemmeno di quella tecnica sindacale che ha un importante valore sociale. È un affare di libertà e di dignità delle persone. Delle persone minuscole, della loro libertà con la minuscola. Benvenuti gli appelli a liberarsi dagli ideologismi (una volta o l’altra bisognerà richiedersi che cosa intendiamo per ideologia). Benvenute le cifre che spiegano come siano rari i casi in cui si è applicato il reintegro previsto dall’articolo 18 (e allora perché ci tenete tanto?). Ci saranno pure di qua cuori con un debole per l’ideologia e menti renitenti alle nude cifre, ma le persone che lavorano sentono dire "libertà di licenziare" e pensano che voglia dire libertà di licenziare. Pensano che se i casi sono stati così rari, dev’essere stato anche grazie a quell’articolo 18. E che una volta che lo si sia tolto di mezzo, i casi diventeranno molto meno rari. Che trasferire sulle spalle dell’operaio l’onere di provare che il suo licenziamento "economico" sia pretestuoso, è l ’inversione della prova.

E soprattutto sentono che perdere il lavoro è come vedersi crollare il mondo addosso, a sé e alla propria casa. La rovina: e le 15 mensilità al posto del lavoro non ripagano la rovina, ma le aggiungono l’umiliazione. Sbagliano governi e parlamenti a fare come se questi fossero affari di preti, di pompieri e di assistenti sociali. Il movimento operaio è passato attraverso l’ideologia del lavoro e anche l’ideologia del non-lavoro. Non ci si dà fuoco da soli, chiedendo di lasciare in pace la propria donna, per un’ideologia. Lo si fa per una fede offesa, come i giovani tibetani, o per una destituzione di sé, come un padre di famiglia italiano di 58 anni.

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Commenti Articolo 870

Titolo articolo : "CAPPELLA SISTINA" IN PERICOLO,

Ultimo aggiornamento: March/28/2012 - 16:43:58.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/3/2012 16.35
Titolo:CONTURSI, LE 12 SIBILLE, E L'INDICAZIONE DIMENTICATA DI GIOVANNI PAOLO ii ....
PER UNA SVOLTA ANTROPOLOGICO-TEOLOGICA...

ALLE RADICI DELLA BELLICOSA POLITICA DEL VATICANO.

LA GUERRA NELLA TESTA DELLA GERARCHIA DELLA CHIESA CATTOLICO-ROMANA E L'INDICAZIONE 'DIMENTICATA' DI GIOVANNI PAOLO II.

Una nota di Federico La Sala

Omosessualità, pedofilia e altre “perpetue” questioni (con tutte le loro devastanti implicazioni) assillano da secoli la vita istituzionale della Chiesa Cattolica. Ma da sempre si preferisce negare, razionalizzare (...)

a cura di Federico La Sala


In principio (o meglio, all’Inizio) [1991] *

Omosessualità, pedofilia e altre “perpetue” questioni (con tutte le loro devastanti implicazioni) assillano da secoli la vita istituzionale della Chiesa Cattolica. Ma da sempre si preferisce negare, razionalizzare, “occultare e mascherare – generalmente senza successo – l’umanità di scandali e mezzi scandali fin troppo umani all’interno della cristianità”(1).

Fare i conti e bene con la donna è stato sempre vietato. Riconoscere fondamentalmente che senza il libero e decisivo sì della donna (Maria) non sarebbe nato non solo Cristo ma nemmeno la Chiesa, per l’uomo della stessa Chiesa è paradossalmente “scandalo e follia”.

Alla vigilia del terzo millennio dopo Cristo, si gioca ancora ad opporre “autorità” e “tradizione” allo spirito di libertà del messaggio eu-angelico.

E’ vero che certe “squallide” omelie contro la metà e più del genere umano non fanno più un baffo a nessuno, e non si collocano oggi, per la loro impotenza e rabbia, né sul piano della cultura cristiana né sul piano della cultura umana semplicemente (almeno in linea di principio e in generale), ma è altrettanto vero che le varie e innumerevoli persuasioni “diaboliche” sulla donna dovrebbero essere messe al bando, come le armi atomiche e simili. Dalla misoginia al ginocidio, come al genocidio, il passo non è lungo: la caccia alle streghe e l’Inquisizione, come Auschwitz e Hiroshima, non sono incidenti di percorso.

“Il deserto cresce” (Nietzsche) – in tutti i sensi, e non si può continuare come si è sempre fatto. Non abbiamo tempo, non più né molto. Tutta una mentalità di secoli deve essere messa sottosopra e l’intera società deve essere riorganizzata. Non ci sono altre strade. Bisogna pensare ancora, di nuovo e in altro modo – Dio, uomo e mondo. E a partire proprio da noi, da noi tutti.

Ad esempio, oggi non è possibile – è un’offesa all’intelligenza (Lorenzo Valla cosa ci ha insegnato?) e il segno di una tracotante perseveranza – continuare a “tradurre il racconto della creazione della donna con: Non è bene che l’uomo sia solo: gli farò un aiuto che gli sia simile. Il testo originale ebraico dice: Gli farò un aiuto che sia l’altro di lui”. La differenza non è affatto innocente.

Come fa notare la teologa Wilma Gozzini che ha denunciato tale “vergognosa” situazione e che più volte ha “chiesto la correzione” di questo e altri passaggi del testo biblico (2), essa veicola tutt’altra visione della donna e del rapporto uomo-donna. “La donna è l’altro dell’uomo, uguale per diritti e doveri, ma anche diversa […] L’altro che sta faccia a faccia è inquietante e scomodo e apre una sola alternativa. O lo si accoglie come unica possibilità data per vivere umanamente la propria storia, o lo si nega, assimilandolo – facendo simile ciò che altro – neutralizzando così l’alterità, non riconoscendogli autorità ma sottomissione, negandogli uguaglianza”.

Questo è il nodo da sciogliere e la sfida da accogliere.
Si tratta, invero, di andare avanti coraggiosamente sulla strada indicata dallo stesso Giovanni Paolo II e trarre tutte le conseguenze dalla sua magisteriale convinzione, che il peccato originale “non può essere compreso adeguatamente senza riferirsi al mistero della creazione dell’essere umano – uomo e donna – a immagine e somiglianza di Dio”, e che nella “non-somiglianza con Dio […] consiste il peccato (3).

Infatti, se è così, non si può continuare (o lasciare che la situazione resti) come prima. Non è più concepibile che “l’apertura all’altro e il dono di sé, che dovrebbero essere la libera e vitale disposizione dell’essere umano in quanto tale, diventano una norma vincolante per una parte sola dell’umanità: il sesso femminile” (4); o, diversamente, che si neghi alla donna auto- possesso e auto-determinazione come autorità e uguaglianza. Questo è semplicemente satanico, cioè un ostacolo sulla strada dell’amore, della pace e della comprensione.

A tutti i livelli, e ad ogni modo, intestardirsi a “voler intendere la pura relazione [quella tra l’Io e il Tu, fls] come dipendenza significa voler svuotare della sua realtà uno dei portatori della relazione, e con ciò la relazione stessa”. Non altro.


Note:

1. Cfr. H. Kung, Essere cristiani, Milano, Mondadori, 1976, p. 19.
2. Cfr. W. Gozzini, Dio un po’ più materno? Suvvia…, “L’Unità” del 4.10.1990, p. 1. A riguardo, si cfr. anche M.C: Jacobelli, Il “Risus paschalis” e il fondamento teologico del piacere sessuale, Brescia, Queriniana, 1990, p. 98.
3. Cfr. Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, pf. 9.
4. Cfr. C. Mancina, La Chiesa e la donna peccatrice, “L’Unità” del 10.12.1989, p.1.
5. Cfr. Buber, Il principio dialogico, Milano, Comunità, 1959, p. 74. Su questo tema, inoltre, cfr. I. Magli, Gesù di Nazaret. Tabù e trasgressione, Milano, Rizzoli, 1987, particolarmente il cap. IV e la conclusione.


*

Federico La Sala, La mente accogliente. Tracce per una svolta antropologica, Antonio Pellicani editore, Roma 1991, "Introduzione"
pp. 9-11.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/3/2012 16.43
Titolo:SIBILLE E PROFETI: DONNE, UOMINI, E TEOLOGIA ....
Donne e ministeri da segno dei tempi a indice di autenticità

di Lilia Sebastiani

in “Viandanti” (www.viandanti.org) del 10 marzo 2012

Nell’enciclica ‘conciliare’ Pacem in terris di Giovanni XXIII (1963) al n.22 l’ingresso crescente delle donne nella vita pubblica veniva annoverato tra i segni dei tempi, insieme alla crescita delle classi lavoratrici (n.21) e alla fine del colonialismo (n.23).

Ricordare l’enciclica è doveroso, per il valore storico di questo semplice e cauto riconoscimento: infatti è la prima volta che un documento magisteriale rileva la cosiddetta promozione della donna senza deplorarla - anzi come un fatto positivo. I segni dei tempi sono ancora al centro della nostra attenzione, ma per quanto riguarda le donne la questione cruciale e non ignorabile è ormai quella del loro accesso al ministero nella Chiesa, a tutti i ministeri.

Venerande esclusioni

Certo il problema dei ministeri non è l’unico connesso con lo status della donna nella Chiesa, ma senza dubbio è fondamentale; guardando al futuro, è decisivo. Non solo e non tanto in se stesso, ma per la sua natura di segno.

In questo momento nella Chiesa la donna è ancora esclusa dai ministeri ecclesialmente riconosciuti: non solo da quelli ordinati (l’Ordine sacro, cioè, nei suoi tre gradi: episcopato, presbiterato, diaconato) ma anche da quelli istituiti, il lettorato e l’accolitato. Questi ultimi, chiamati un tempo “ordini minori” e considerati solo tappe di passaggio obbligatorie per accedere all’ordinazione, furono reintrodotti nel 1972 da Paolo VI (Ministeria quaedam) come “ministeri istituiti” - per distinguerli da quelli ordinati, mantenendo però l’elemento della stabilità e del riconoscimento ecclesiale - e furono aperti anche a laici non incamminati verso l’Ordine; tuttavia si specificava chiaramente che tali ministeri erano riservati agli uomini, “secondo la veneranda tradizione della chiesa latina”.

Un po’ più recente l’istituzione dei “ministri straordinari dell’Eucaristia”: con prerogative non molto diverse da quelle degli accoliti, questi possono essere anche donne. E di fatto sono più spesso donne che uomini. Un passo avanti, forse? Certo però la dichiarata ‘straordinarietà’ sembra messa lì a ricordare che si tratta di un’eccezione, di una supplenza..., di qualcosa che normalmente non dovrebbe esserci.

A parte i servizi non liturgici ma fondamentali, come la catechesi dei fanciulli, quasi interamente femminile, e le varie attività organizzative e caritative della parrocchia, le letture nella Messa vengono proclamate più spesso da donne che da uomini; ma si tratta sempre e comunque di un ministero di fatto, che in teoria sarebbe da autorizzare caso per caso, anche se poi, di solito, l’autorizzazione viene presunta.

Il Concilio e l’incompiuta apertura

Il problema dell’accesso femminile ai ministeri è diventato di attualità nella Chiesa nell’immediato post-concilio, nel fervore di dibattito che caratterizzò quell’epoca feconda e rimpianta della storia della Chiesa. Il Vaticano II aveva mostrato una notevole apertura sulle questioni che maggiormente sembravano concernere il problema della donna in generale e della donna nella Chiesa in particolare. Sulle questioni più specifiche e sul problema dei ministeri i documenti conciliari erano generici fino alla reticenza, ma senza chiusure di principio. Ciò autorizzava a sperare nel superamento, non proprio immediato ma neppure troppo lontano, di certe innegabili contraddizioni che persistevano sul piano disciplinare. Inoltre altre chiese cristiane avevano cominciato da qualche anno, certo non senza resistenze anche aspre, a riconsiderare e a superare gradualmente il problema dell’esclusione (a nostra conoscenza, la chiesa luterana svedese fu la prima ad ammettere donne al pastorato, nel 1958)

.Una chiusura fragile

Nel decennio che seguì il Concilio, il dibattito in proposito fu intenso. La Chiesa ufficiale mantenne però una posizione di cautela e di sostanziale chiusura sempre più netta, che culminò - volendo chiudere la questione una volta per sempre - nella dichiarazione vaticana Inter insigniores, che è della fine del 1976, ma resa pubblica nel 1977.

In questo documento l’esclusione delle donne dal ministero ordinato veniva ribadita con caratteri di definitività vagamente ‘infallibilista’, ma anche con un significativo mutamento di argomentazione, che ci sembra importante poiché dimostra che l’esclusione è un fatto storico-sociologico in divenire e non un fatto teologico-sacramentale. Non si dice più, come affermava Tommaso d’Aquino, che la donna è per natura inferiore all’uomo e quindi esclusa per volere divino da ogni funzione implicante autorità; si richiama invece l’ininterrotta tradizione della Chiesa (che è evidente, ma è anche evidentissimo portato della storia e delle culture) e soprattutto la maschilità dell’uomo Gesù di Nazaret, da cui deriverebbe la congruenza simbolica della maschilità del prete che, presiedendo l’assemblea, agisce in persona Christi.

Quest’ultimo argomento fragile e sconveniente è stato lasciato cadere, infatti, nei pronunciamenti successivi: questi si rifanno solo alla tradizione della Chiesa e a quella che viene indicata come l’esplicita volontà di Gesù manifestata dalla sua prassi.

Anche questo argomento non funziona. Gesù, che non mostra alcun interesse di tipo ‘istituzionale’, alle donne accorda, con naturalezza, una piena parità nel gruppo dei suoi seguaci. Sembra insieme scorretto e pleonastico dire che “non ha ordinato nessuna donna”, dal momento che, semplicemente, non ha ordinato nessuno. Non vi è sacerdozio nella sua comunità, ma servizio e testimonianza, diakonìa non formalizzata - eppure rispondente a una chiamata precisa - che, prima di essere attività, è opzione fondamentale, stile di vita, sull’esempio di Gesù stesso “venuto per servire”.

Nel Nuovo Testamento di sacerdozio si può parlare solo in riferimento al sacerdozio universale dei fedeli (cfr 1 Pt 2,9; Ap 1,6), negli ultimi decenni tanto rispettato a parole quanto sfuggente e ininfluente nel concreto del vissuto ecclesiale; oppure in riferimento all’unico sacerdote della Nuova Alleanza - sacerdote nel senso di mediatore fra Dio e gli esseri umani -, Gesù di Nazaret (cfr Ebr 9), il quale nella società religiosa era un laico, oltretutto in rapporti abbastanza conflittuali con il sacerdozio del suo tempo.

Un’esclusione che interpella tutti

Vi sono due fatti, molto modesti ma significativi, che aiutano a tenere viva la speranza. Il primo, che i pronunciamenti dell’autorità ecclesiastica volti a chiudere ‘definitivamente’ la questione sono diventati abbastanza ricorrenti, il che dimostra che non è poi tanto facile chiuderla. Il dibattito è aperto e procede. Il secondo, che l’argomentazione teologica sembra cambiata ancora: felicemente sepolto l’infelicissimo argomento della coerenza simbolica, già pilastro dell’Inter insigniores, si richiama solo la prassi ininterrotta della chiesa romana e sempre più spesso si sente riconoscere, anche dalle voci più autorevoli, che contro l’ordinazione delle donne non ci si può appellare a ragioni biblico-teologiche.

No, non si tratta di banali rivendicazioni. L’esclusione interpella tutti: nessuna/nessun credente adulto può disinteressarsi di questo problema chiave finché le donne nella chiesa non avranno di fatto le stesse possibilità degli uomini, la stessa dignità di rappresentanza.

E’ necessario ricordare che vi sono donne cattoliche di alto valore e seriamente impegnate - tra loro anche alcune teologhe - che a una domanda precisa sul problema dei ministeri istituiti rispondono o risponderebbero più o meno così: no grazie, il sacerdozio così com’è proprio non ci interessa. E’ un atteggiamento che merita rispetto: almeno in quanto manifesta il timore che insistere troppo sul tema dell’ordinazione induca ad accentuare l’importanza dei ministri ordinati nella Chiesa (mentre sarebbe urgente semmai ridurre quell’importanza, insomma ‘declericalizzare’).

Ma dobbiamo ricordare che il “sacerdozio così com’è”, nella storia e nella mentalità corrente, si fonda proprio sulla ‘separazione’, sullo spirito di casta, sul sospetto previo e sul rifiuto nei confronti della donna, che nella chiesa di Roma si esprime in una doppia modalità: l’esclusione delle donne dalle funzioni di culto, di governo e di magistero, è parallela all’obbligo istituzionale di essere “senza donna” per coloro che le esercitano. Il divieto per le donne di essere ministri ordinati el’obbligo per i ministri ordinati di restare celibi sembrano due problemi ben distinti, mentre sono congiunti alla radice. E ormai sappiamo che potranno giungere a soluzione solo insieme.

Segno dei tempi, certo. Segno di trasformazione, segno contraddittorio, segno incompleto, proprio come il tempo in cui viviamo. Per quanto riguarda la chiesa cattolica, però, non solo segno, ma indice di autenticità. Non temiamo di dire che sulla questione dei ministeri, che solo a uno sguardo superficiale o ideologico può apparire circoscritta, si gioca il futuro della chiesa.

Lilia Sebastiani

Teologa

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Commenti Articolo 871

Titolo articolo : DONNE, UOMINI, E INGIUSTIZIA EPISTEMICA:«CHANGING THE IDEOLOGY AND CULTURE OF PHILOSOPHY»! La “rabbia” di Sally Haslanger, filosofa del Mit. Una nota di Franca D'Agostini - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/25/2012 - 20:32:55.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/3/2012 17.36
Titolo:DONNE, UOMINI E TEOLOGIA ....
Donne e ministeri da segno dei tempi a indice di autenticità

di Lilia Sebastiani

in “Viandanti” (www.viandanti.org) del 10 marzo 2012

Nell’enciclica ‘conciliare’ Pacem in terris di Giovanni XXIII (1963) al n.22 l’ingresso crescente delle donne nella vita pubblica veniva annoverato tra i segni dei tempi, insieme alla crescita delle classi lavoratrici (n.21) e alla fine del colonialismo (n.23).

Ricordare l’enciclica è doveroso, per il valore storico di questo semplice e cauto riconoscimento: infatti è la prima volta che un documento magisteriale rileva la cosiddetta promozione della donna senza deplorarla - anzi come un fatto positivo. I segni dei tempi sono ancora al centro della nostra attenzione, ma per quanto riguarda le donne la questione cruciale e non ignorabile è ormai quella del loro accesso al ministero nella Chiesa, a tutti i ministeri.

Venerande esclusioni

Certo il problema dei ministeri non è l’unico connesso con lo status della donna nella Chiesa, ma senza dubbio è fondamentale; guardando al futuro, è decisivo. Non solo e non tanto in se stesso, ma per la sua natura di segno.

In questo momento nella Chiesa la donna è ancora esclusa dai ministeri ecclesialmente riconosciuti: non solo da quelli ordinati (l’Ordine sacro, cioè, nei suoi tre gradi: episcopato, presbiterato, diaconato) ma anche da quelli istituiti, il lettorato e l’accolitato. Questi ultimi, chiamati un tempo “ordini minori” e considerati solo tappe di passaggio obbligatorie per accedere all’ordinazione, furono reintrodotti nel 1972 da Paolo VI (Ministeria quaedam) come “ministeri istituiti” - per distinguerli da quelli ordinati, mantenendo però l’elemento della stabilità e del riconoscimento ecclesiale - e furono aperti anche a laici non incamminati verso l’Ordine; tuttavia si specificava chiaramente che tali ministeri erano riservati agli uomini, “secondo la veneranda tradizione della chiesa latina”.

Un po’ più recente l’istituzione dei “ministri straordinari dell’Eucaristia”: con prerogative non molto diverse da quelle degli accoliti, questi possono essere anche donne. E di fatto sono più spesso donne che uomini. Un passo avanti, forse? Certo però la dichiarata ‘straordinarietà’ sembra messa lì a ricordare che si tratta di un’eccezione, di una supplenza..., di qualcosa che normalmente non dovrebbe esserci.

A parte i servizi non liturgici ma fondamentali, come la catechesi dei fanciulli, quasi interamente femminile, e le varie attività organizzative e caritative della parrocchia, le letture nella Messa vengono proclamate più spesso da donne che da uomini; ma si tratta sempre e comunque di un ministero di fatto, che in teoria sarebbe da autorizzare caso per caso, anche se poi, di solito, l’autorizzazione viene presunta.

Il Concilio e l’incompiuta apertura

Il problema dell’accesso femminile ai ministeri è diventato di attualità nella Chiesa nell’immediato post-concilio, nel fervore di dibattito che caratterizzò quell’epoca feconda e rimpianta della storia della Chiesa. Il Vaticano II aveva mostrato una notevole apertura sulle questioni che maggiormente sembravano concernere il problema della donna in generale e della donna nella Chiesa in particolare. Sulle questioni più specifiche e sul problema dei ministeri i documenti conciliari erano generici fino alla reticenza, ma senza chiusure di principio. Ciò autorizzava a sperare nel superamento, non proprio immediato ma neppure troppo lontano, di certe innegabili contraddizioni che persistevano sul piano disciplinare. Inoltre altre chiese cristiane avevano cominciato da qualche anno, certo non senza resistenze anche aspre, a riconsiderare e a superare gradualmente il problema dell’esclusione (a nostra conoscenza, la chiesa luterana svedese fu la prima ad ammettere donne al pastorato, nel 1958)

.Una chiusura fragile

Nel decennio che seguì il Concilio, il dibattito in proposito fu intenso. La Chiesa ufficiale mantenne però una posizione di cautela e di sostanziale chiusura sempre più netta, che culminò - volendo chiudere la questione una volta per sempre - nella dichiarazione vaticana Inter insigniores, che è della fine del 1976, ma resa pubblica nel 1977.

In questo documento l’esclusione delle donne dal ministero ordinato veniva ribadita con caratteri di definitività vagamente ‘infallibilista’, ma anche con un significativo mutamento di argomentazione, che ci sembra importante poiché dimostra che l’esclusione è un fatto storico-sociologico in divenire e non un fatto teologico-sacramentale. Non si dice più, come affermava Tommaso d’Aquino, che la donna è per natura inferiore all’uomo e quindi esclusa per volere divino da ogni funzione implicante autorità; si richiama invece l’ininterrotta tradizione della Chiesa (che è evidente, ma è anche evidentissimo portato della storia e delle culture) e soprattutto la maschilità dell’uomo Gesù di Nazaret, da cui deriverebbe la congruenza simbolica della maschilità del prete che, presiedendo l’assemblea, agisce in persona Christi.

Quest’ultimo argomento fragile e sconveniente è stato lasciato cadere, infatti, nei pronunciamenti successivi: questi si rifanno solo alla tradizione della Chiesa e a quella che viene indicata come l’esplicita volontà di Gesù manifestata dalla sua prassi.

Anche questo argomento non funziona. Gesù, che non mostra alcun interesse di tipo ‘istituzionale’, alle donne accorda, con naturalezza, una piena parità nel gruppo dei suoi seguaci. Sembra insieme scorretto e pleonastico dire che “non ha ordinato nessuna donna”, dal momento che, semplicemente, non ha ordinato nessuno. Non vi è sacerdozio nella sua comunità, ma servizio e testimonianza, diakonìa non formalizzata - eppure rispondente a una chiamata precisa - che, prima di essere attività, è opzione fondamentale, stile di vita, sull’esempio di Gesù stesso “venuto per servire”.

Nel Nuovo Testamento di sacerdozio si può parlare solo in riferimento al sacerdozio universale dei fedeli (cfr 1 Pt 2,9; Ap 1,6), negli ultimi decenni tanto rispettato a parole quanto sfuggente e ininfluente nel concreto del vissuto ecclesiale; oppure in riferimento all’unico sacerdote della Nuova Alleanza - sacerdote nel senso di mediatore fra Dio e gli esseri umani -, Gesù di Nazaret (cfr Ebr 9), il quale nella società religiosa era un laico, oltretutto in rapporti abbastanza conflittuali con il sacerdozio del suo tempo.

Un’esclusione che interpella tutti

Vi sono due fatti, molto modesti ma significativi, che aiutano a tenere viva la speranza. Il primo, che i pronunciamenti dell’autorità ecclesiastica volti a chiudere ‘definitivamente’ la questione sono diventati abbastanza ricorrenti, il che dimostra che non è poi tanto facile chiuderla. Il dibattito è aperto e procede. Il secondo, che l’argomentazione teologica sembra cambiata ancora: felicemente sepolto l’infelicissimo argomento della coerenza simbolica, già pilastro dell’Inter insigniores, si richiama solo la prassi ininterrotta della chiesa romana e sempre più spesso si sente riconoscere, anche dalle voci più autorevoli, che contro l’ordinazione delle donne non ci si può appellare a ragioni biblico-teologiche.

No, non si tratta di banali rivendicazioni. L’esclusione interpella tutti: nessuna/nessun credente adulto può disinteressarsi di questo problema chiave finché le donne nella chiesa non avranno di fatto le stesse possibilità degli uomini, la stessa dignità di rappresentanza.

E’ necessario ricordare che vi sono donne cattoliche di alto valore e seriamente impegnate - tra loro anche alcune teologhe - che a una domanda precisa sul problema dei ministeri istituiti rispondono o risponderebbero più o meno così: no grazie, il sacerdozio così com’è proprio non ci interessa. E’ un atteggiamento che merita rispetto: almeno in quanto manifesta il timore che insistere troppo sul tema dell’ordinazione induca ad accentuare l’importanza dei ministri ordinati nella Chiesa (mentre sarebbe urgente semmai ridurre quell’importanza, insomma ‘declericalizzare’).

Ma dobbiamo ricordare che il “sacerdozio così com’è”, nella storia e nella mentalità corrente, si fonda proprio sulla ‘separazione’, sullo spirito di casta, sul sospetto previo e sul rifiuto nei confronti della donna, che nella chiesa di Roma si esprime in una doppia modalità: l’esclusione delle donne dalle funzioni di culto, di governo e di magistero, è parallela all’obbligo istituzionale di essere “senza donna” per coloro che le esercitano. Il divieto per le donne di essere ministri ordinati el’obbligo per i ministri ordinati di restare celibi sembrano due problemi ben distinti, mentre sono congiunti alla radice. E ormai sappiamo che potranno giungere a soluzione solo insieme.

Segno dei tempi, certo. Segno di trasformazione, segno contraddittorio, segno incompleto, proprio come il tempo in cui viviamo. Per quanto riguarda la chiesa cattolica, però, non solo segno, ma indice di autenticità. Non temiamo di dire che sulla questione dei ministeri, che solo a uno sguardo superficiale o ideologico può apparire circoscritta, si gioca il futuro della chiesa.

Lilia Sebastiani

Teologa
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/3/2012 19.36
Titolo:FILOSOFARE AL FEMMINILE. Altro che la sola Ipazia ...
FILOSOFARE AL FEMMINILE di Umberto Eco (La bustina di Minerva – Espresso - 2006, circa)

La vecchia affermazione filosofica per cui l'uomo e' capace di pensare
l'infinito mentre la donna da' senso al finito, puo' essere letta in tanti
modi: per esempio che siccome l'uomo non sa fare i bambini, si consola coi paradossi di Zenone. Ma sulla base di affermazioni del genere si e' diffusa l'idea che la storia (almeno sino al XX secolo) ci abbia fatto conoscere grandi poetesse e narratrici grandissime, e scienziate in varie discipline, ma non donne filosofe e donne matematiche.

Su distorsioni del genere si e' fondata a lungo la persuasione che le donne non fossero portate alla pittura, tranne le solite Rosalba Carriera o Artemisia Gentileschi.

E' naturale che, sino a che la pittura era affresco di chiese, montare su un'impalcatura con la gonna non era cosa decente, ne' era mestiere da donna dirigere una bottega con trenta apprendisti, ma appena si e' potuta fare pittura da cavalletto le donne pittrici sono spuntate
fuori. Un poco come dire che gli ebrei sono stati grandi in tante arti ma non nella pittura, sino a che non si e' fatto vivo Chagall. E' vero che la loro cultura era eminentemente auditiva e non visiva, e che la divinita' non doveva essere rappresentata per immagini, ma c'e' una produzione visiva di indubbio interesse in molti manoscritti ebraici.

Il problema e' che era difficile, nei secoli in cui le arti figurative erano nelle mani della Chiesa, che un ebreo fosse incoraggiato a dipingere madonne e crocifissioni, e sarebbe come stupirsi che nessun ebreo sia diventato papa.

Le cronache dell'Universita' di Bologna citano professoresse come Bettisia Gozzadini e Novella d'Andrea, cosi' bella che doveva tenere lezione dietro un velo per non turbare gli studenti, ma non insegnavano filosofia. Nei manuali di filosofia non incontriamo donne che insegnassero dialettica o teologia. Eloisa, brillantissima e infelice studente di Abelardo, aveva dovuto accontentarsi di divenire badessa.

Ma il problema delle badesse non e' da prendere sottogamba, e vi ha dedicato molte pagine una donna-filosofo dei nostri tempi come Maria Teresa Fumagalli. Una badessa era un'autorita' spirituale, organizzativa e politica e svolgeva funzioni intellettuali importanti nella societa' medievale.

Un buon manuale di filosofia deve annoverare tra i protagonisti della storia del pensiero grandi mistiche come Caterina da Siena, per non dire di Ildegarda di Bingen che, quanto a visioni metafisiche e a prospettive sull'infinito, ci da' del filo da torcere ancora oggi.

L'obiezione che la mistica non sia filosofia non tiene, perche' le storie della filosofia riservano spazio a grandi mistici come Suso, Tauler o Eckhart. E dire che in gran parte la mistica femminile dava maggior risalto al corpo che non alle idee astratte sarebbe come dire che dai manuali di filosofia deve scomparire, che so, Merleau-Ponty.

Le femministe hanno da tempo eletto a loro eroina Ipazia che, ad
Alessandria, nel quinto secolo, era maestra di filosofia platonica e di alta matematica. Ipazia e' diventata un simbolo, ma purtroppo delle sue opere e' rimasta solo la leggenda, perche' sono andate perdute, e perduta e' andata lei, fatta letteralmente a pezzi da una turba di cristiani inferociti, secondo alcuni storici sobillati dal quel Cirillo di Alessandria che, anche se non per questo, e' stato poi fatto santo.

Ma c'era solo Ipazia? Meno di un mese fa e' stato pubblicato in Francia (da Arlea) un librettino, Histoire des femmes philosophes. Se ci si chiede chi sia l'autore, Gilles Menage, si scopre che viveva nel diciassettesimo secolo, era un latinista precettore di Madame de Sevigne' e di Madame de Lafayette e il suo libro, apparso nel 1690, s'intitolava "Mulierum philosopharum historia".


Altro che la sola Ipazia: anche se dedicato principalmente all'eta'
classica, il libro di Menage ci presenta una serie di figure appassionanti, Diotima la socratica, Arete la cirenaica, Nicarete la megarica, Iparchia la cinica, Teodora la peripatetica (nel senso filosofico del termine), Leonzia l'epicurea, Temistoclea la pitagorica, e Menage, sfogliando i testi antichi e le opere dei padri della chiesa, ne aveva trovate citate ben sessantacinque, anche se aveva inteso l'idea di filosofia in senso abbastanza lato. Se si calcola che nella societa' greca la donna era confinata tra le mura domestiche, che i filosofi piuttosto che con fanciulle preferivano intrattenersi coi giovinetti, e che per godere di pubblica notorieta' la donna doveva essere una cortigiana, si capisce lo sforzo che
debbono avere fatto queste pensatrici per potersi affermare.

D'altra parte, come cortigiana, per quanto di qualita', viene ancora ricordata Aspasia, dimenticando che era versata in retorica e filosofia, e che (teste Plutarco) Socrate la frequentava con interesse.

Sono andato a sfogliare almeno tre enciclopedie filosofiche odierne e di questi nomi (tranne Ipazia) non ho trovato traccia. Non e' che non siano esistite donne che filosofassero. E' che i filosofi hanno preferito dimenticarle, magari dopo essersi appropriati delle loro idee.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/3/2012 20.32
Titolo:UOMINI E DONNE, PROFETI E SIBILLE.....
Federico La Sala,

DELLA TERRA, IL BRILLANTE COLORE. Note sul "Poema" rinascimentale di un ignoto Parmenide carmelitano (ritrovato a Contursi Terme nel 1989),

Prefazione di Fulvio Papi,

Edizioni Ripostes, Salerno-Roma 1996:



PREFAZIONE

di Fulvio Papi

Con una immagine non inappropriata, si potrebbe dire che questo libro è una breve composizione sinfonica dove l’autore preleva temi dalla tradizione musicale che orchestra come preludi indispensabili all’apparizione del proprio tema. Nella dimensione letteraria si può dire che è un libro di citazioni dove anche la scrittura dell’autore vi compare come citazione che, più che dire, annuncia. L’insieme, ovviamente, non ha 1e tracce dell’esposizione legale e paterna, ma cerca la risonanza e la suggestione che il lettore deve accogliere come parola che tenta quasi una religiosa seduzione. Tutto questo è conseguenza coerente di una delle possibili strade che si possono prendere dopo il sospetto intorno alle architetture filosofiche che rappresentano con la spada tagliente del concetto una qualsiasi forma dell’essere.

Nel caso di La Sala il pensiero (e questo è il tema saliente del suo lavoro precedente, La mente accogliente. Tracce per una svolta antropologica [Antonio Pellicani Editore, Roma 1991]), non deve istituire il giudizio come conseguenza della trasfigurazione simbolica del mondo, ma accogliere nel profondo 1a dimensione terrestre e sensibile della vita. Una voce, avevo pensato leggendo quel libro, che viene da un Nietzsche senza la volontà di potenza, declinato su quel "femminile" che è stato uno degli elementi di riflessione su un "vuoto" strutturale della nostfa tradizione.

E ora, in breve, qualche cenno sul nuovo viaggio testuale. Il luogo di inizio è nella chiesetta di S. Maria del Carmine, a Contursi, dove, a causa di recenti restauri, viene scoperto un poema pittorico (tempera su muro) di un ignoto carmelitano dell’inizio del ‘600. Il testo raffigura le Sibille che annunciano al mondo pagano la prossima nascita del cristianesimo.

Le Sibille di Contursi hanno parentele più celebri nella Cattedrale di Siena, nell’appartamento Borgia in Vaticano, nel Tempio Malatestiano di Rimini, nella Cappella Sistina di Michelangelo. La pittura disegna l’ eclettismo ermetico-cabalistico-neoplatonico rinascimentale che colloca la filosofia e la teologia pagana in sequenza con il Cristianesimo. Ne deriva un’immagine del mondo come presenza divina nella quale abita l’uomo come unità di corpo e anima.

Tuttavia questa grande sinfonia della sacralità del mondo conduce con sé l’esclusione della donna dal sacro: essa può essere solo portatrice di sacralità. Questa esclusione limita la tradizione e riapre la domanda filosofica con l’estremo Kant della Logica: che cosa è l’uomo? Rispondere a questa domanda, interpretando quello che vuole dire l’autore, significa sottrarci alla nóstra carenza di futuro. Concetto, merce, e definizione della vita sono tre linee che consumano un’unica perdita fatale.

La Sala, con una mossa certamente ad effetto e piena di provocazione, dice: "guardiamo il nostro ombelico", rîconosciamoci come figli di una maternità e di una paternità che siano la terra del nostro fiorire non i luoghi delle nostre scissioni. La Sala pensa in termini di speranza e di salvezza e di uomo e donna: non sono sentieri miei. E questo dovrebbe testimoniare proprio alla attenta considerazione del lavoro che deriva dall’essere trasportato senza riserve da un testo, per così dire, in piena.

Fulvio Papi

Professore ordinario di Filosofia Teoretica all’Università degli Studi di Pavia.

______________________________________________________________

Sul tema, si cfr.

UNA CAPPELLA SISTINA, CON IL PRIMO E L’ULTIMO PROFETA E 12 SIBILLE
A CONTURSI TERME (SA) NELLA CHIESA DI MARIA SS. DEL CARMINE L'ULTIMO MESSAGGIO RINASCIMENTALE :


http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/filosofia/interventi_1327154598.htm

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Commenti Articolo 872

Titolo articolo : KANT, LA CRITICA DELLA FACOLTA' DEL GIUDIZIO, E LA CREATIVITA'. Una indicazione di Emilio Garroni, da rileggere e da riprendere. Una nota di Federico La Sala,

Ultimo aggiornamento: March/25/2012 - 15:20:38.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/3/2012 15.20
Titolo:Epistemic Injustice. «Changing the Ideology and Culture of Philosophy»
Sebben che siamo donne non ci fa paura la filosofia

Il «pensiero femminile» è socialmente discriminato: un condizionamento negativo

La “rabbia” di una filosofa americana del Mit: in questo campo siamo discriminate, molte di noi costrette a lasciare

di Franca D’Agostini (La Stampa, 25.03.2012)

Sally Haslanger è una delle più brillanti filosofe americane: in un articolo su Hypathia confessa che da quanto è arrivata al Mit, nel ’98, si è più volte domandata se non fosse il caso di lasciare la filosofia “C’ è in me una rabbia profonda. Rabbia per come io sono stata trattata in filosofia. Rabbia per le condizioni ingiuste in cui molte altre donne e altre minoranze si sono trovate, e hanno spinto molti a lasciare. Da quando sono arrivata al Mit, nel 1998, sono stata in costante dialogo con me stessa sull’eventualità di lasciare la filosofia. E io sono stata molto fortunata. Sono una che ha avuto successo, in base agli standard professionali dominanti». S’inizia così «Changing the Ideology and Culture of Philosophy», un articolo di Sally Haslanger, una delle più brillanti filosofe americane, apparso su Hypathia .

C’è un problema, che riguarda le donne e la filosofia: inutile negarlo. «Nella mia esperienza è veramente difficile trovare un luogo in filosofia che non sia ostile verso le donne e altre minoranze», scrive Haslanger. E se capita così al Mit, potete immaginare quel che succede in Italia. È facile vedere che, mentre in tutte le facoltà le donne iniziano a essere presenti (anche se rimane il cosiddetto «tetto di cristallo», vale a dire: ai gradi accademici più alti ci sono quasi esclusivamente uomini), in filosofia la presenza femminile scarseggia.

Non sarà forse che le donne sono refrattarie alla filosofia, non la capiscono, non la apprezzano? Stephen Stich e Wesley Buchwalter, in «Gender and Philosophical Intuition» (in Experimental Philosophy, vol. 2), hanno riproposto il problema, esaminandolo nella prospettiva della filosofia sperimentale: una tendenza filosofica emergente, che mette in collegamento le tesi e i concetti filosofici con ricerche di tipo empirico (statistico, neurologico, sociologico, ecc). La prima conclusione di Stich e Buchwalter è che effettivamente sembra esserci una «resistenza» del «pensiero femminile» di fronte ad almeno alcuni importanti problemi filosofici. Stich e Buchwalter si chiedono perché, e avanzano alcune ipotesi, ma non giungono a una conclusione definitiva.

Le femministe italiane di Diotima avrebbero pronta la risposta: la filosofia praticata nel modo previsto da Stich e compagni è espressione estrema del «logocentrismo» maschile, dunque è chiaro che le donne non la praticano: sono interessate a qualcosa di meglio, coltivano un «altro pensiero». Ma qui si presenta un classico problema: in che cosa consisterebbe «l’altro pensiero» di cui le donne sarebbero portatrici? Se si tratta per esempio di «pensiero vivente», attento alle emozioni e alla vita, come a volte è stato detto, resta sempre da chiedersi: perché mai questo pensiero sarebbe proprio delle donne? Kierkegaard, che praticava e difendeva una filosofia di questo tipo, era forse una donna?

Forse si può adottare un’altra ipotesi. Come spiega Miranda Fricker in Epistemic Injustice (Oxford University Press, 2007) le donne subiscono spesso ciò che Ficker chiama ingiustizia testimoniale, vale a dire: ciò che pensano e dicono viene sistematicamente sottovalutato e frainteso. Un’osservazione fatta da una donna che gli uomini non capiscono, per ignoranza o per altri limiti, viene all’istante rubricata come errore, o come vaga intuizione. Fricker cita Il talento di Mr. Ripley: «Un conto sono i fatti, Marge, e un conto le intuizioni femminili», dice il signor Greenleaf. Ma Marge aveva ottime ragioni nel sostenere che Ripley aveva ucciso il figlio di Greeenleaf.

In questa prospettiva il quadro muta. Consideriamo la rilevazione dell’attività cerebrale di un ragazzo e una ragazza che svolgono una prestazione intellettuale «di livello superiore», ossia risolvono per esempio un’equazione difficile. A quanto pare, mentre il cervello del ragazzo si illumina in una sezione molto circoscritta dell’emisfero frontale, il cervello della ragazza si illumina in modo diffuso, diverse zone dell’encefalo sono coinvolte. Ecco dunque la differenza emergere dai fatti cerebrali: le donne - così si dice - avrebbero un’intelligenza aperta e «diffusa». Naturalmente, questa diffusività è un limite: è appunto la ragione per cui le prestazioni intellettuali femminili sarebbero meno rapide ed efficaci. L’ipotesi differenzialista a questo punto ribatte: attenzione, l’intelligenza diffusa è un pregio, ed è il mondo che privilegia rapidità ed efficacia a essere sbagliato.

Ma l’altra ipotesi - che tanto Haslanger quanto Fricker indirettamente sostengono - sembra più ragionevole: se c’è un «pensiero femminile», la sua prima caratteristica consiste nell’essere un pensiero socialmente discriminato, che subisce sistematicamente ingiustizie testimoniali. Il cervello discriminato è coinvolto sul piano emotivo, a causa del grande quantitativo di ingiustizia che ha dovuto subire. E a questo punto il mistero è risolto: provate voi a risolvere un difficile problema filosofico in un ambiente in cui tutto vi dice che non sapete risolverlo. Provate, in più, avendo dentro di voi la rabbia descritta da Haslanger: quella che vi viene dal conoscere questa ingiustizia, che riguarda voi ma anche altre persone, e altre minoranze discriminate (anche tra i neri non ci sono molti filosofi). Poi vedete un po’ se non vi si illumina tutto il cervello.

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Commenti Articolo 873

Titolo articolo : LA SCUOLA: "FATICA SPRECATA"? NO! Possiamo ancora farcela, se vogliamo. Ma non dobbiamo perdere altro tempo. Un'intervista al sociologo Frank Furedi di Alessandro Zaccuri,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/24/2012 - 22:55:24.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/3/2012 10.22
Titolo:cosa farò da grande? il futuro come lo vedono i nostri figli ...
Un saggio dello psichiatra Pietropolli Charmet sul rapporto tra il domani e i giovani

“Il futuro restituito ai nostri ragazzi”

"Gli adulti dovrebbero ribaltare le prospettive e far capire ai figli che tocca proprio a loro prendere in mano le cose e che l´avvenire non è un tempo perduto"

di Luciana Sica (la Repubblica, 24.03.2012)

«Per gli adolescenti di oggi non si può più parlare di lutto dell´infanzia, ma di lutto del futuro. Da sempre amano e odiano il tempo che hanno davanti, perché non sanno cosa gli riserva, né cosa potranno fare o essere. Ma ora la perdita di contatto con la rappresentazione dell´avvenire è disperante. Alla faticosa ricerca di una loro verità rispetto alle identificazioni infantili, i ragazzi sentono di avere davanti un ostacolo insormontabile che sbarra la strada della crescita. Si dedicano allora al culto dell´eterno presente dichiarando in coro che l´adolescenza è la stagione più bella della vita e la cosa migliore da fare è rimanervi il più possibile».

Chi parla è Gustavo Pietropolli Charmet, 74 anni il prossimo giugno, psichiatra di formazione freudiana, grande terapeuta di giovanissimi pazienti, autore di un nuovo libro dal titolo cosa farò da grande? il futuro come lo vedono i nostri figli (Laterza, pagg. 148, euro 15). A leggere le sue pagine a tratti indignate, aumenta il sospetto che i futuri bamboccioni o anche sfigati, secondo l´espressione «tecnica» coniata più di recente, siano scoraggiati in partenza e sospinti al fallimento. Nell´età degli entusiasmi anche facili, in cui si teme e si morde il futuro, è proprio questa la parola che viene cancellata dal vocabolario: con effetti particolarmente nefasti sugli adolescenti. Perché, scrive Charmet, «colpisce al cuore il sistema motivazionale».

Cosa possono fare gli adulti «competenti» genitori e insegnanti, innanzitutto per restituire la speranza a questi ragazzi più rassegnati che nichilisti?

«Intanto dovrebbero smetterla di vestire i panni delle moderne Cassandre e lanciarsi nelle profezie più nere. Tutti gli scenari catastrofici trasmettono un messaggio intollerabile per la mente degli adolescenti, e cioè che ormai non c´è più «posto» per loro, che la pacchia è finita, proprio come il petrolio e l´acqua... Non è così che si reclutano i loro ideali, la loro capacità di sperare, il loro intrinseco bisogno di cambiamento, a favore di una svolta culturale, etica, relazionale, politica».


Che intende dire?

«Voglio dire questo: genitori e docenti dovrebbero costituirsi come garanti convincenti che tocca proprio a loro, ai più giovani, assumersi il compito eroico di salvare non solo l´economia disastrata ma addirittura l´intero pianeta, e scoprire quale sia il livello di sviluppo compatibile. Per i ragazzi non ci potrebbe essere un futuro più interessante e avventuroso. Perché in realtà non solo il futuro esiste, ma è proprio il loro tempo».

Nobile e incoraggiante... Ma la nostra scuola, pensa davvero che possa assolvere a un compito così alto?

«Penso che l´assenza d´interesse del nostro sistema formativo su cosa succederà, come andrà a finire, quali saranno le esigenze, i bisogni, i grandi progetti e le speranze da coltivare, ha un effetto micidiale sulla percezione da parte dei ragazzi di quale sia l´investimento che le generazioni dei padri e dei nonni fanno su di loro».

Com´è la scuola vista dagli adolescenti, secondo lei?

«Vecchia, vecchissima. Nei metodi, nei programmi, nello stile relazionale, nella definizione degli obiettivi. Nella stessa età dei docenti. In più, terribilmente conservatrice per la devozione smisurata del passato, lo sguardo distratto e disfattista sul futuro, e quell´idea del presente come anticamera di un inevitabile e inglorioso declino: in alcun modo riscattabile da chi sarebbe direttamente condannato a subirlo».

Sarà la sensazione di impotenza a produrre adolescenti un po´ depressi e un po´ maniacali?

«Gli appuntamenti con la depressione da scacco evolutivo sono disseminati lungo la strada della crescita. L´adolescente può attenuare il suo dolore mentale con droghe, alcol, ritiro sociale, comportamenti rischiosi, ossessione della realtà virtuale: tutto il preoccupante repertorio di scelte antidepressive praticate con risultati sintomatici anche soddisfacenti, ma con rischi troppo elevati per la gravità delle conseguenze sul lungo periodo».

L´esperienza con i ragazzi quanto ha modificato il suo modo di «curare»?

«L´arrivo recente degli adolescenti nel setting analitico ha contribuito ad accelerare il processo di cambiamento delle regole della cura. Per quanto mi riguarda, ho accolto con favore la loro istanza che suona pressappoco così: aiutami a capire quali siano i miei veri pensieri, cerchiamo le parole per raccontare la mia storia, ma soprattutto fai in modo che io possa capire cosa farò da grande... Oggi mi sembra molto più di dover restituire un futuro pensabile che ricostruire un passato rimosso».

La clinica con i giovanissimi suggerisce qualcosa alla psicoanalisi che può riguardare anche gli adulti?

«Anche per gli adulti si sta affermando il concetto di fasi della vita, e sempre più si condivide il valore del processo di soggettivazione. Nella stanza dell´analisi non basta tornare bambini e riparare i danni dell´infanzia. Spesso, per riorganizzare il presente, è necessario ricordare e magari ritrovare il sogno dell´adolescenza. O anche disfarsene».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/3/2012 22.55
Titolo:Linee per un Piano di Offerta Formativa di una Repubblica democratica ....
CHI INSEGNA A CHI, CHE COSA?

Una dichiarazione di indipendenza e un appello

PER IL DIALOGO E LA PACE TRA LE GENERAZIONI E I POPOLI: Apriarno gli occhi, saniarno le ferite dei bambíni (deí ragazzi) e delle bambine (delle ragazze), dentro di noí e fuori di noí...Riannodiamo i fili della nostra rnemoria e della nostra dignità di esseri umani. Fermiamo la strage...

Linee per un Piano di Offerta Formativa della SCUOLA dell’AUTONOMIA, DEMOCRATICA E REPUBBLICANA. *

***

CHI siamo noi in realtà? Qual è íl fondamento della nostra vita? Quali saperi? Quale formazione?

SCUOLA, STATO, E CHIESA: CHI INSEGNA A CHI, CHE COSA?!

IL "DIO" DEI NOSTRI PADRI E DELLE NOSTRE MADRI...
E IL "DIO" ZOPPO E CIECO DELLA GERARCHIA DELLA CHIESA CATTOLICA, EDIPICO-ROMANA.

Alla LUCE, e a difesa, DELLA NOSTRA DIGNITA DI CITTADINI SOVRANI E DI CITTADINE SOVRANE E
DI LAVORATORI E LAVORATRICI DELLA SCUOLA PUBBLICA (campo di RELAZIONE educativa, che basa il suo PROGETTO e la sua AZIONE sulla RELAZIONE FONDANTE - il patto costituzionale
sia la vita personale di tutti e di tutte sia la vita politica di tutta la nostra società),

Per PROMUOVERE LA CONSAPEVOLEZZA (PERSONALE, STORlCO-CULTURALE) E
L’ESERCIZIO DELLA SOVRANITA’ DEMOCRATICA
RISPETTO A SE STESSI E A SE STESSE, RISPETTO AGLI ALTRI E ALLE ALTRE, E RISPETTO ALLE ISTITUZIONI
("Avere il coraggo di dire ai nostri giovani che sono tutti sovrani": don Lorenzo Milani; "Per rispondere ai requisiti sottesi alla libertà repubblicana una persona deve essere un uomo o una donna indipendente e questo presuppone che essi non abbiano un padrone o dominus, che li tenga sotto il suo potere, in relazione ad alcun aspetto della loro vita. [...] La libertà richiede una sorta di immunità da interferenze che diano la possibilità di [...] tenere la propria testa alta, poter guardare gli altri dritto negli occhi e rapportarsi con chiunque senza timore o deferenza": Philippe Pettit)

e un LAVORO DI RETTIFICAZIONE E DI ORIENTAMENTO CULTURALE, CIVILE, POLITICO e religioso (art.7 della Costituzione e Concordato),
per evitare di ricadere nella tentazione dell’accecante e pestifera IDEOLOGIA deII’INFALLIBILITA e deII’ANTISEMITISMO (cfr. la beatificazione di PIO IX) e di un ECUMENISMO furbo e prepotente, intollerante e fondamentalista (cfr. il documento Dominus Jesus di J. Ratzinger, le dichiarazioni anti- islamiche di Biffi, e il rinvio sine die dell’incontro fissato per il 3.10.2000 tra ebrei e cattolici) e di perdere la nostra lucidità e sovranita politica,

e per INSTAURARE un vero RAPPORTO DIALOGICO e DEMOCRATICO, tra ESSERI UMANI, POPOLI e CULTURE, non solo d’Italia, ma dell’Europa e del Pianeta TERRA (e di tutto I’universo, cfr. Giordano Bruno),

IO, cittadino italiano,figlío di Due IO, dell’UNiOne di due esseri umani sovrani, un uomoj ’Giuseppe’, e una donna:’Maria’ (e, in quanto tale, ’cristiano’ - ricordiamoci di Benedetto Croce; non cattolico edipico-romano! - ricordiamoci, anche e soprattutto, di Sigmund Freud), .
ESPRIMO tutta la mia SOLIDARIETA a tutti i cittadini e a tutte le cittadine della Comunità EBRAICA e a tutti i cittadini e a tutte lecittadine della comunità ISLAMICA della REPUBBLICA DEMOCRATICA ITALIANA,

e

PROPONGO di riprendere e rilanciare (in molteplici forme e iniziative) la riflessione e la discussione sul PATTO di ALLEANZA con il qúale tutti i nostri padri (nonni...) e tutte le nostre madri (nonne...) hanno dato vita a quell’UNO, che è il Testo della COSTITUZIONE, e il ’vecchio’ invito dell’Assemblea costituente (come don Lorenzo Milani ci sollecitava nella sUa Lettera ai giudici, cfr. L’obbedienza non è più una virtù) a "rendere consapevoli le nuove generazioni delle raggiunte conquiste morali e sociali" e a riattivare la memoria dell’origine dell’uno, che noi stessi e noi stesse siamo e che ci costituisce

in quanto esseri umani e cittadini - sovraní, sla rispetto a noi stessi e a noi stesse sia rispetto agli altri e alle altre, e sui piano personale e sul piano politico,

e di RAFFORZARE E VALoRIZZARE, in TUTTA la sua fondamentale e specifica portata, IL RUOLo e LA FUNZIONE deila SCUOLA DELLA nostra REPUBBLICA DEMOCRATICA.

P.S.

NESSUNO E’ STRANIERO SULLA TERRA

"A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che ogni straniero è nemico. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione laiente, si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo*,
allora, al termine della catena, sta il lager.
Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano"

*

"Tutti gli stranieri sono nemici.
I nemici devono essere soppressi.
Tutti gli stranieri devono essere soppressi".

Primo Levi, Se questo è un uomo, Prefazione, Torino, Einaudi, 1973, pp. I 3-14.

***

Andiamo alla radice dei problemi. Perfezioniamo la conoscenza di noi stessi e di noi stesse. Riattiviamo la memoria dell’Unita, apriamo e riequilibriamo il campo della nosha, personale e collettiva, coscienza umana e politica.

Sigmund Freud aveva colto chiaramente la tragica confusione in cui la Chiesa cattolico-romana si era cacciata (cfr. L’uomo Mosè e la religione monoteistica): "scaturito da una religione del padre, il cristianesimo divenne una religione del figlio. Non sfuggì alla fatalità di doversi sbarazzare del padre" ... Giuseppe (gettato per la seconda volta nel pozzo) e di dover teorizzare, per il figlio, il ’matrimonio’ con la madre e, nello stesso tempo,la sua trasformazione in ’donna’ e ’sposa’ del Padre e Spirito Santo, che ’generano’ il figlio!

Karol Wojtyla, nonostante tutto il suo coraggio e tutta la sua sapienza, fa finta di niente e, nonostante il ’muro’ sia crollato e lo ’spettacolo’ sia finito, continua a fare l’attore e a interpretare il ruolo di Edipo, Re e Papa.

QUIS UT DEUS? Nessuno può occupare il posto dell’UNO. Non è meglio deporre le ’armi’ della cecità e della follia e, insieme e in pace, cercare di guarire le ferite nostre e della nostra Terra?

"GUARIAMO LA NOSTRA TERRA": è il motto della "Commissione per la verità e la riconciliazione" voluta da Nelson Mandela (nel 1995 e presieduta da Desmond Tutu). In segno di attiva solidarietà, raccogliamo il Suo invito...

"La realtà è una passione. La cosa più cara" (Fulvio Papi). Cerchiamo di liberare ii nostro cielo dalle vecchie idee. Benché diversi, i suoi problemi sono anche i nostri, e i nostri sono anche i suoi...
E le ombre, se si allungano su tutta la Terra, nascondono la luce e portano il buio, da lui come da noi... "nell’attuale momento focale della storia - come scriveva e sottolineava con forza Enzo Paci già nel 1954 (cfr. E. Paci, Tempo e relazione, Milano, Il Saggiatore, 1965 - Il ed., p. 184) - la massima permanenza possibile della libertà democratica coincide con la massina metamorfosí verso un più giusto equilibrio sociale, non solo per un popolo ma per tutti i popoli del mondo".

* Cfr. Federico La Sala, L’enigma della Sfinge e il segreto della Piramide. Considerazioni attuali sulla fine della preistoria ..., Edizioni Ripostes, Roma-Salerno, Febbraio 2001, pp. 49-53.

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Commenti Articolo 874

Titolo articolo : La fabbrica dei dibattiti pubblici,

Ultimo aggiornamento: March/24/2012 - 12:29:01.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/1/2012 21.52
Titolo:LA LINGUA DEGLI ESSERI UMANI E LA GRAMMATICA DELLO STATO ....
LA GRAMAMTICA DELLO STATO E LA LINGUA DEGLI UOMINI E DELLE DONNE *




"La grammatica è maschilista"
Le donne francesi vogliono cambiarla

"La cosa grave è che arrivi nelle scuole l’idea di un genere superiore all’altro" Quattromila persone hanno sottoscritto una petizione ripresa da "Le Monde" chiedendo nuove regole
Nei plurali il femminile risulta penalizzato, l’Académie Française però si oppone a ogni riforma

di Anais Ginori (la Repubblica, 24.01.2012) *



«Que les hommes et les femmes soient belles!», che gli uomini e donne siano belle. Nessuno può pronunciare questa frase senza venire immediatamente bacchettato dai puristi della lingua. Eppure è questo il titolo di un appello per riformare la grammatica che sta circolando in Rete, ripreso anche da Le Monde. Da secoli infatti la concordanza dell’aggettivo prevede che il genere maschile prevalga su quello femminile. Si dice "gli uomini e le donne sono belli", non il contrario.

Sembra una di quelle tipiche sfumature che appassionano studiosi e accademici. Invece, secondo i gruppi che hanno promosso la petizione già firmata da oltre 4mila persone, questa regola nasconderebbe un immaginario maschilista duro a morire e avrebbe addirittura conseguenze nella vita di tutti i giorni. «Se neanche nella lingua esiste la parità di genere - spiega Clara Domingues, docente di letteratura e presidente di un’associazione femminista - come sperare che la condizione delle donne faccia progressi in famiglia o negli uffici?».

La forza delle parole. Nonostante pari diritti e dignità per entrambi i sessi siano iscritti nella Costituzione, argomentano le promotrici dell’appello, esiste ancora una grammatica "sessista". «La cosa più grave - si legge nella petizione - è il fatto che questa idea di un genere superiore all’altro venga trasmessa anche a scuola nell’insegnamento del francese ai bambini». Le associazioni militano per un cambio dei manuali nel quale sia prevista la possibilità di accordare aggettivi e participi secondo il genere del nome più vicino. Ad esempio: «Un cappello e una giacca nere». Oppure: «Laura, Giacomo e Paola sono simpatiche».

Femminismo a parte, una grammatica meno schiacciata sul maschile, offrirebbe più libertà nella costruzione delle frasi e sarebbe esteticamente più elegante, aggiungono le promotrici. Contrariamente a quel che si pensa, già nel greco antico e nel latino funzionava così. La petizione è stata inviata all’Académie Française, guardiano della purezza della lingua, con scarse speranze di essere accolta.
L’istituzione fondata nel 1635 dal cardinale Richelieu ha sempre fatto argine ad ogni cambiamento in questo senso. Già dieci anni fa, l’organismo si era rivolto con allarmismo al capo dello Stato. Le socialiste Martine Aubry e Elisabeth Guigou, appena nominate nell’allora governo, avevano osato farsi chiamare "Madame la Ministre". Da allora, ci sono state molte altre ministre e prima o poi l’Académie dovrà registrare la novità.

Per tradizione, si tratta di un’istituzione esclusivamente maschile, sette donne tra i quaranta membri, la prima fu la scrittrice Marguerite Yourcenar nominata solo nel 1980. «Non abbiamo mai seguito le mode. La superiorità del maschile esiste almeno da tre secoli e non ho l’impressione che sia rimessa in discussione nell’uso comune del francese» spiega Patrick Vannier, che si occupa del dizionario dell’Académie. La parità di genere può aspettare, almeno in senso linguistico


* PER APPROFONDIMENTI, VEDI ANCHE IL LINK:


http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/filosofia/documenti_1327419475.htm
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/3/2012 12.29
Titolo:INEDITO. Perché le idee non passeggiano nel cielo ...
Cosa succede alla società quando resta solo il potere

Le lezioni di Pierre Bourdieu, scomparso 10 anni fa, ci aiutano a capire l´oggi. Visto che le forme di dominio sono sempre più immateriali e simboliche

Il comando non ha bisogno di esprimersi come tale, ma agisce interiormente e produce sottomissione

Il concetto pascaliano di "imbarco", che ci fa sentire parte di un´impresa anche se non l´abbiamo scelta

di Giancarlo Bosetti (la Repubblica, 24.03.2012)

Il pensiero di Pierre Bourdieu, a dieci anni dalla scomparsa, è ancora "in movimento", eccome, lo ammette con magnanimità, anche Le Monde, che non fu per niente risparmiato dalle critiche terribili del sociologo francese, aggressivo come nessun altro nei confronti del giornalismo dei "cani da guardia" del potere, categoria dalla quale lui escludeva ben pochi.

Infatti la vastissima produzione di questo grande sociologo ha molto da dire, anche in Italia, non solo per la sua straordinaria forza teorica, ma per una ragione più precisa: la ritirata della politica, che concede all´economia, alla ricchezza, alle ineguaglianze molto più terreno che nel secolo scorso, mette a nudo le differenze sociali, le mostra in una luce cruda, ne fa lo spettacolo centrale e urticante della vita pubblica.

È in crisi quel vitale scorrere di idee, di impegno pubblico, di progetti politici e ideologici, quella vasta coreografia di récits, che avvolgeva le differenze, le poneva in una luce congiunturale, ne attenuava il peso, anche perché ne prometteva la riduzione. La desertificazione della politica fa sentire di più il male delle distanze sociali, che sono anche obiettivamente cresciute, e cancella le pur vaghe promesse di qualche rimedio prossimo venturo.

L´obiettivo di Bourdieu è stato quello della decifrazione, misurazione e proclamazione delle relazioni di potere (di dominio) tra gli esseri umani in società: l´oppressione simbolica che rinforza quella materiale, il comando che non ha bisogno di esprimersi come tale dall´esterno perché agisce interiormente e produce sottomissione e adattamento.

La mappa sociale di Bourdieu è un sistema di coordinate che serve a decodificare le differenze, a esplicitare distanze nei redditi, nella cultura, nei consumi, nel linguaggio, nel gusto, nella postura, nel modo di mangiare e bere, nel capitale economico e in quello intellettuale, nel patrimonio di relazioni sociali e nel saper fare incorporato nell´habitus.

L´autore della Misère du monde e della Distinction coglie le differenze nel momento in cui l´ideologia le traveste da scelte o le attenua per non ferire, svela il rimosso della sofferenza simbolica, calcola gli imbarazzi mortali del mercato immobiliare, della casa impresentabile, dell´abito inadeguato, delle parole sbagliate, o della vertigine che separa il gruppetto sofisticato di intellettuali lacaniani dal grossista di provincia che racconta con entusiasmo le sue imprese sessuali.

Oggi una rappresentazione sociologica così pungente delle distanze simboliche, troverà un terreno più fertile di dieci e venti anni fa perché il processo di impoverimento della politica ha messo allo scoperto, senza il colorato make-up dell´ideologia dei grandi movimenti storici, politici o confessionali, le asimmetrie che fanno insopportabili tante differenze di stipendi, di status e di bonus, di opportunità. E non si trattava solo di efficace cosmesi: l´oppressione simbolica e materiale era più sopportabile quando qualcuno sulla scena pubblica ne faceva intravedere la fine, era un po´ più morbida quando la mobilità e le speranze di ascesa individuale o di gruppo erano più realistiche.

Bourdieu partecipò in prima persona alle battaglie politiche per costruire una società più solidale, al riparo dalla violenza simbolica, dalle «esperienze di destituzione» che umiliano e consumano umanità e invitò sempre ad accendere Controfuochi per tenere viva la resistenza contro un potere finanziario, percepito come il «naturale svolgimento delle cose». Ma non fu certo solo un testimone di impegno.

Le sue idee e il suo lavoro, sociologico e filosofico hanno scavato in profondità in diversi ambiti, illustrando con fulminanti illuminazioni e con lavori meticolosi sul campo (la scuola, il potere e le sue istituzioni, la formazione, o meglio «consacrazione», delle élites) come il senso della vita e della morte si produca per ciascuno di noi all´interno della società, come la società stessa sia il più forte competitore di Dio nell´erogare le sfide, gli obiettivi, le poste in gioco, i riconoscimenti che ci tengono al riparo dall´indifferenza e dal vuoto, che alimentano la nostra azione in una corsa permanente, che ci fa sentire dotati di qualche compito e di qualche senso.

Anche la lezione inedita al Collège de France del dicembre del 91 è ispirata dalla filosofia pascaliana dell´"imbarco", di quella "Illusio" che ci tiene in gioco, che ci fa sentire parte di una impresa che ci è data, senza che ci sia stato il momento di deciderla.

L´area dell´impresa è inscritta dentro un "campo" che ci assegna fin dall´inizio concorrenti, alleati, mete e premi, e che ci costringe a strategie di lotta per vincere o semplicemente per sopravvivere. È vero per la carriera di un agricoltore come per quella di un filologo romanzo. Il contesto da cui nascono le idee non è per Bourdieu, come invece era per Marx, quello delle relazioni economiche e delle lotte tra le classi.

Qui l´economia mantiene la sua importanza nel modellare i contesti, ma sono le lotte interne ai singoli "campi" a decidere chi vincerà, nell´arte come nella filosofia. La storia delle idee è la storia di questi campi. E anche le classi non hanno più un profilo oggettivo e deterministico, ma hanno piuttosto il carattere di indicatori di un destino "probabile", sono "classi probabili", che condizionano vischiosamente gli individui, ma non ne definiscono compiutamente l´esistenza.

A risolvere l´enigma sociale del rapporto tra individuo e società, tra oggettività di una posizione sociale, dove è dato in sorte di nascere, e la soggettività di ogni singolo attore è l´invenzione trascendentale dell´"habitus", chiave di volta della costruzione bourdieusana, vale a dire quell´«insieme durevole di disposizioni» attraverso le quali gli individui percepiscono e incorporano i ruoli sociali.

È l´"habitus" a spiegare come e perché le gerarchie sociali godano di una certa stabilità e perché le relazioni di dominio simbolico non siano sempre sul punto di essere spazzate via da una ribellione, individuale o collettiva. Inerzie e strategie che spingono gli esseri umani a interiorizzare le condizioni oggettive, a lavorare di lima e di mediazione tra le aspettative che fioriscono entro di loro e le possibilità effettive alla loro portata. È un´area di adattamenti possibili ma anche di sofferenze estreme e distruttive, quando la frustrazione e la pressione del dominio simbolico superano i limiti di guardia.

La sociologia di Bourdieu continuerà ad alimentare ricerche. Ci sarà utile anche per far luce sulla paralisi della politica. Una migliore visione della sofferenza sociale può aiutarne il risveglio.

_______________________________________________
L´inedito uscito da Seuil

Perché le idee non passeggiano nel cielo

Le teorie nascono da un processo di competizione fra loro condizionato dal momento storico

di Pierre Bordieu (la Repubblica, 24.03.2012)

Per comprendere il processo d´invenzione di cui lo Stato è il risultato, processo cui partecipa l´invenzione della teoria dello Stato, occorrerebbe descrivere e analizzare attentamente le diverse proprietà dei produttori mettendolo in relazione con le proprietà dei prodotti.

Inoltre, tali teorie dello Stato – spesso insegnate nella logica della storia delle idee, tanto che alcuni storici iniziano a studiarle in sé e per sé, senza ricondurle alle condizioni sociali di produzione – sono doppiamente legate alla realtà sociale: non ha alcun senso studiare le idee come se queste passeggiassero in una sorta di cielo intelligibile, senza alcun riferimento agli agenti che le producono né soprattutto alle condizioni nelle quali tali agenti le producono, e in particolare alle relazioni di concorrenza in cui essi si trovano gli uni contro gli altri.

Le idee sono dunque legate al sociale, e d´altra parte esse sono del tutto determinanti dato che contribuiscono a costruire le realtà sociali così come noi le conosciamo. Oggi assistiamo a un ritorno delle forme più "primitive" della storia delle idee, vale a dire una sorta di storia idealista delle idee, come ad esempio la storia religiosa della religione. Questa regressione metodologica tiene conto sì della relazione tra le idee e le istituzioni, ma dimentica che queste stesse idee sono nate da lotte interne alle istituzioni. Dimentica dunque che, per comprenderle del tutto, non bisogna perdere di vista il fatto che esse sono al contempo prodotto di condizioni sociali e produttrici della realtà sociale.

Ciò che sto dicendo è programmatico, ma è un programma relativamente importante, perché si tratta di fare storia della filosofia, storia del diritto, storia delle scienze, studiando le idee come delle costruzioni sociali, che possono essere autonome rispetto alle condizioni sociali di cui sono il prodotto – non lo nego – ma che nondimeno vanno sempre messe in relazione con le condizioni storiche. Ma non semplicemente – come dicono gli storici – in termini d´influenza: esse infatti intervengono in maniera molto più marcata.

Perciò le concessioni che ho fatto alla storia delle idee erano in realtà false concessioni, perché le idee intervengono sempre come strumenti della costruzione della realtà. Esse hanno una funzione materiale: tutto quello che ho detto poggia sull´idea che le idee fanno le cose, che le idee fanno il reale e che la visione del mondo, il punto di vista, il nomos, tutte queste cose che ho evocato cento volte sono costruttrici della realtà, al punto che perfino le lotte più teoriche e astratte, che si svolgono all´interno di campi relativamente autonomi, come quello religioso, giuridico, ecc., in ultima istanza hanno sempre un rapporto con la realtà, sia per la loro origine che per i loro effetti, che sono estremamente potenti.

(Traduzione di Fabio Gambaro(, Sur l‘État, © Editions Raison d´AgirEditions du Seuil, 2012

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Commenti Articolo 875

Titolo articolo : MA DOVE STAI?! ALLE TEOLOGHE E AI TEOLOGI, UNA LETTERA DI ALCUNI PRETI E ALCUNI TEOLOGI (Alessandro Santoro, Antonietta Potente, Andrea Bigalli, Pasquale Gentili, Benito Fusco, Pier Luigi Di Piazza, Paolo Tofani) - con alcune note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/21/2012 - 13:01:44.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/12/2011 14.53
Titolo:Riprendete la parola, senza paura e senza reticenze....
Teologi italiani, riprendete la parola, senza paura e senza reticenze.
Appello di preti e religiosi

di Luca Kocci

in “Adista” n. 1 del 7 gennaio 2012



Il “dio denaro” governa il mondo, la guerra è tornata ad essere «continuazione della politica», i cambiamenti climatici sconvolgono il pianeta, i poveri aumentano, eppure i teologi tacciono, forse perché sono convinti che la teologia viva fuori dal mondo e non debba avere rapporti con la storia.

Ma non è così, anzi è compito della teologia e dei teologi «fare sogni» incarnati nella realtà e «diventare profeti» nel nostro tempo. Lo dicono, con forza e passione, in una “lettera aperta” a tutti
i teologi e le teologhe italiane, alcuni parroci, preti e religiosi:

Alessandro Santoro (prete della Comunità delle Piagge di Firenze), la teologa domenicana Antonietta Potente, Andrea Bigalli (prete di S. Andrea in Percussina, Firenze), Pasquale Gentili (parroco di Sorrivoli, Cesena), Benito Fusco (frate dei Servi di Maria), Pier Luigi Di Piazza del Centro Balducci di Zugliano (Udine) e Paolo Tofani (parroco di Agliana, Pistoia).

Chiedono loro di riprendere la parola e li invitano il prossimo 20 gennaio (dalle 17.30) alla Comunità delle Piagge di Firenze, per un «incontro aperto» su tali questioni. Occasione forse unica – e comunque la prima da diversi anni a questa parte – per rompere il silenzio, per riscoprire la «Bibbia e il giornale», come affermava il teologo evangelico Karl Barth («È necessario che tra la Bibbia e il giornale, come tra due poli di un arco elettrico, comincino ad accendersi lampi di luce per rischiarare la terra») o la lezione della Teologia della liberazione capace di coniugare Parola di Dio e realtà sociale di oppressione. Di seguito Il testo integrale della lettera.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/1/2012 00.56
Titolo:FINE DEL "ROMANZO FAMILIARE" EDIPICO DELLA CULTURA CATTOLICO-ROMANA.
DAL DISAGIO ALLA CRISI DELLA CIVILTA’: FINE DEL "ROMANZO FAMILIARE" EDIPICO DELLA CULTURA CATTOLICO-ROMANA.

TU SEI IL FIGLIO MIO, L’AMATO: IN TE HO POSTO IL MIO COMPIACIMENTO (Mc 1,7-11).

Chi parla? Quale Dio? Certamente non un Super-uomo, ma lo Spirito Santo ("Charitas"), il "Padre nostro"...

CONTRO LA LEZIONE EVANGELICA E GIOVANNEA CHE DIO E’ SPIRITO ("CHARITAS"): "CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1Gv., 4. 1-16),

LA CHIESA CATTOLICO-ROMANA CONTINUA A PENSARE e a concepire MARIA come MADRE DI DIO, "SECONDO NATURA":
"Duemila anni fa, un ovulo fu miracolosamente fecondato dall’azione soprannaturale di Dio, da questa meravigliosa unione risultò uno zigote con un patrimonio cromosomico proprio. Però in quello zigote stava il Verbo di Dio"(dichiarazione del Cardinale Dario Castrillon Hoyos alla XV conferenza internazionale del Pontificio consiglio, la Repubblica del 17 novembre 2000, p. 35).

E a mettere da parte o, meglio, a sfruttare, come uno straniero (Un "goj") Giuseppe e, così, fare del papa e di ogni sacerdote il funzionario di un "Padrone Gesù" ("Dominus Iesus", alla Ratzinger maniera!) e di un Dio Padrone, Imperatore del Cielo e della Terra!!!

DOPO DUEMILA ANNI E PIU’ DALLA NASCITA DI CRISTO, NON E’ FORSE ORA DI CAMBIARE REGISTRO E RESTITUIRE ALLO SPIRITO CIO’ CHE E’ DELLO SPIRITO ("CHARITAS") E A MARIA E GIUSEPPE CIO’ CHE E’ DI MARIA E GIUSEPPE, IL LORO "sì" ALL’ACCOGLIERE IL FIGLIO DELL’AMORE ("CHARITAS"), GESU’!?

BASTA CON LA "MALA-EDUCAZIONE"!!! RESTITUIRE L’ANELLO DEL "PESCATORE" A GIUSEPPE!!! E RICORDIAMO CHE "ICHTHUS" ("Pesce" = "Gesù figlio di Dio Salvatore") SI SCRIVE CON LE "H", se no è solo e sempre un "pesce" (morto, colpito da "ictus")!!! Cosi come, che "charitas" (l’Amore pieno di Grazia dello Spirito Santo) si scrive con la "H", se no diventa "caritas" (nel senso del "caro" della ricchezza e del tesoro) COME è AVVENUTO ed è "Spirito di Mammona"!!!

In principio era il Logos ... "Deus charitas est"!!! e L’Amore ("charitas") non è lo zimbello del tempo!

Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/1/2012 22.43
Titolo:L’appello pressante di un teologo
Joseph Moingt, l’appello pressante di un teologo

di Claire Lesegretain

in “La Croix” del 14 gennaio 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Con le debite proporzioni, il successo incontrato dall’ultimo libro di Joseph Moingt assomiglia a quello del famoso Indignatevi! di Stéphane Hessel. In entrambi i casi, si tratta di un vecchio signore che non ha più nulla da temere né da dimostrare e che può permettersi, con la legittimità che gli conferiscono i decenni di lavoro e di impegno coraggioso, di dire a voce alta ciò che molti pensano soltanto o dicono a bassa voce. Tuttavia, questo gesuita di 96 anni intende dire non tanto Indignatevi! quanto Restate! ai suoi lettori, talvolta tentati di lasciare la Chiesa.

Di Croire quand même, pubblicato alla fine del 2010 (1) sono state vendute più di 8000 copie ed è in corso la seconda edizione. “Ho ricevuto molte lettere di ringraziamento da laici e da preti, ma curiosamente nessuna eco dall’episcopato”, dice divertito padre Moingt socchiudendo i maliziosi occhi azzurri. I lettori “sentono confusamente che l’opzione scelta da Roma di un ritorno al passato non è il modo migliore di preparare il futuro del cristianesimo. Dopo avermi letto, si dicono fortificati nella loro fede e incoraggiati a restare nella Chiesa.” Da un anno, Croire quand même suscita anche molti gruppi di lettura in tutta la Francia ed è motivo di molti inviti per conferenze.

Un sabato, eccolo con la sua figura minuta all’abbazia di Saint-Jacut-de-la-Mer (Côtes-d’Armor) per una giornata aperta al grande pubblico. Davanti a 150 persone, la maggior parte coi capelli grigi, comincia a ripercorrere il suo lavoro di teologo, segnato dai “due grandi choc”, quello del Vaticano II e quello del Maggio ’68. “Da allora i teologi non si rivolgono più solo a futuri preti, ma sono convocati tra i fedeli per far luce sui loro problemi”, sottolinea, prima di esporre la sua analisi della crisi della Chiesa. Una crisi che, secondo lui, è “la più grave” che il cristianesimo abbia conosciuto da due millenni, perché si tratta di una crisi di civiltà.

“Il nostro mondo è sul punto di rifiutare Dio”, riassume, citando Dietrich Bonhoeffer che, prima di morire nella prigione nazista, percepiva che il mondo “si stava liberando dell’idea di Dio”. Ed è attraverso questa griglia di lettura che Moingt parla della “primavera araba”, segno non della “distruzione dell’islam, ma della disgregazione di uno spazio sociale che era stato cementato dalla legge religiosa”. Perché, ricorda, “la volontà di Dio è che l’uomo si liberi dai suoi legacci, compresi quelli posti in nome di Dio”, Padre Moingt non sfugge alle domande che vengono poste, perché sono anche le sue domande. Con pedagogia, permette ai suoi interlocutori di beneficiare della sua visione storica sul lungo periodo per relativizzare le tensioni attuali all’interno della Chiesa.

Alcune settimane più tardi, nella sua camera-ufficio di rue Monsieur, nel 7° arrondissement di Parigi, prosegue le sue riflessioni sul futuro della Chiesa. “Temo fortemente che un numero crescente di fedeli voglia solo delle risposte con un sì o con un no e non riescano ad entrare nelle sottigliezze teologiche”, riassume. Come esprimere l’umanità di Cristo se è nato da una donna vergine? Come spiegare la Trinità? Come parlare della Rivelazione, dell’Incarnazione, della Redenzione se si considera che i testi dell’Antico Testamento sono solo racconti inventati? Come pronunciare ad ogni Eucaristia: “Questo è il mio corpo”, se si tratta di una metafora? Su che cosa fondare il sacerdozio, mentre nessuno degli Apostoli è stato fatto prete o vescovo da Gesù?... Sono tutte domande complesse che richiedono effettivamente delle risposte approfondite e che occupano la mente del teologo da più di sessant’anni.

Aveva 23 anni, alla fine del 1938, quando è entrato nella Compagnia di Gesù. Non avendo avuto il tempo, prima della mobilitazione, di terminare i dodici mesi di noviziato, dovrà rifare un anno completo a Laval (Mayenne) nel grande noviziato dell’epoca.

Durante la guerra, l’apprendista gesuita è prigioniero in diversi “stalags” per sottufficiali che si rifiutano di lavorare per il III Reich. Riesce ad evadere da un campo in Svevia, viene poi inviato a Kobierczyn, vicino a Cracovia, poi in un altro campo da cui sarà liberato nel 1945 dall’esercito del generale Patton... Ma improvvisamente Padre Moingt interrompe il racconto dei ricordi: “Non ho l’abitudine di dilungarmi sulla mia biografia, non interessa a nessuno”, sorride con quellagentilezza divertita che lo caratterizza. Prima di aggiungere che, “dal ritorno dalla prigionia, per principio non ritorno sul passato.”

Riusciremo solo a sapere che dopo due anni di filosofia a Villefranche-sur-Saône. poi quattro di teologia a Fourvière, sulla collina lionese dove la Compagna di Gesù aveva la facoltà fino al 1974, è stato nominato professore di teologia. Viene allora mandato alla Cattolica di Parigi a preparare una tesi su “La teologia trinitaria in Tertulliano”, che sostiene, tre anni dopo, sotto la direzione del gesuita e futuro cardinale Jean Daniélou. “Tra i gesuiti di quell’epoca, sono stato segnato soprattutto da Henri de Lubac che insegnava alla Cattolica di Lione e con cui ho lavorato su Clemente d’Alessandria”, precisa, prima di aggiungere a questa lista di grandi figure i nomi di Gaston Fessard, Henri Bouillard, Xavier Léon-Dufour e Donatien Mollat...

Dopo dodici anni di insegnamento a Fourvière, padre Moingt chiede un anno sabbatico nella Parigi sessantottina, per “mettersi al corrente nelle novità in teologia, filosofia e scienze umane”. Ma la Cattolica di Parigi, che inizia nel 1969 il suo Ciclo C, un corso serale di formazione per laici, gli dà l’incarico di insegnare cristologia. Insegna anche al Centro Sèvres a partire dal 1974, e a Chantilly (Oise), tradizionale luogo di formazione della Compagnia di Gesù. Questo gli permette di affermare che “tutti i gesuiti entrati nella Compagna dopo il 1960 e anche molti vescovi attuali” sono passati tra le sue mani. Negli stessi anni, padre Moingt prende la direzione della prestigiosa rivista Recherche de science religieuse (RSR), che ha festeggiato i suoi cento anni nel 2010. A partire dal 1980, lasciata la Cattolica per la pensione a 65 anni, il gesuita continua ad insegnare al Centro Sèvres e prosegue le sue ricerche teologiche e la pubblicazione di importanti opere.

“Ne ho un’altra in cantiere, ma non sarà un libro per il grande pubblico”, precisa, sapendo che non avrà il tempo per volgarizzare il suo lavoro: “Se ne incaricheranno altri dopo la mia morte!”.

Oggi resta in rapporto con le “comunità di base” che ha frequentato, sia nell’ambito del catecumenato sia durante le sue esperienze parrocchiali a Châtenay-Malabry (Hauts-de-Seine) per dodici anni, poi a Poissy (Yvelines) e a Sarcelles (Val-d’Oise) rispettivamente per tre anni. Si tratta di “laici che frequentano l’Eucaristia ma che hanno bisogno di ritrovarsi al di fuori della loro parrocchia per condividere il Vangelo o delle riletture di vita”; laici sempre più preparati che “sentono che essere cristiani non è altro che essere uomini, e che prendono la responsabilità del loro essere-cristiani assumendo la responsabilità del destino dell’umanità”.

Perché, per Joseph Moingt, non è focalizzandosi sull’istituzione ecclesiale che si potrà realizzare una riforma radicale del cattolicesimo, ma tornando al Vangelo. “C’è urgenza di ripensare tutta la fede cristiana per dire ’Gesù Cristo vero Dio e vero uomo’ nel linguaggio di oggi e in continuità con la Tradizione”, ripete basandosi sulla sua immensa cultura teologica e biblica per confermare che la Chiesa non potrà più cavarsela con risposte dogmatiche e che occorre che al suo interno dei teologi “facciano cose nuove senza essere minacciati di scomunica”. Per quanto lo riguarda, la sua prudenza non è mai stata motivata dalla paura di una sanzione ecclesiale, ma piuttosto dal desiderio di scrivere conformemente alla sua fede. E poi, “alla mia età, non si rischia granché!”.

(1) Joseph Moingt, Croire quand même, Libres entretiens sur le présent et le futur du catholicisme, con Karim Mahmoud-Vintam e Lucienne Gouguenheim, Éd. Temps Présent, coll. « Semeurs d’avenir »
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/3/2012 13.01
Titolo:La Chiesa ripensi se stessa ...
La Chiesa ripensi se stessa

di Mauro Pizzighini

in “Settimana” (Attualità pastorale) n. 11 del 18 marzo 2012

«Abbiamo sempre pensato che questo fosse vero; abbiamo sempre pensato che la nostra condizione di donne e di uomini credenti ci rendesse concittadini nella storia di tutti e familiari con il mistero. Abbiamo sempre pensato che la nostra fede ci facesse responsabili nei confronti della vita di ogni creatura e dei difficili parti storici, sociali, economici, culturali e spirituali che la comunità umana vive da sempre. Abbiamo sempre pensato anche che, proprio perché siamo familiari di Dio, non siamo esenti dal vivere sulla nostra pelle le fatiche che ogni popolo fa per poter essere popolo degno e libero. Ma oramai da molto tempo ci sembra che questo non sia tanto vero, e soprattutto, con tristezza diciamo che forse nessuno ci chiede ed esige questa familiarità con il mistero e questa solidarietà con la storia. La struttura ecclesiale infatti sembra più preoccupata a guidarci che a farci partecipare e soprattutto a farci crescere».

Questa affermazione provocatoria è contenuta nella lettera "aperta", pubblicata su Adista e rivolta alla Chiesa italiana, scaturita dopo l’incontro tra alcuni teologi e teologhe che si è tenuto svolto nella comunità delle Piagge di Firenze, lo scorso 20 gennaio.

ripensare le strutture ecclesiali

Il testo della missiva parte e si fonda sul versetto della Lettera agli Efesini (2,19): «Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio» La lettera è sottoscritta da sette persone: la teologa domenicana Antonietta Potente, Benito Fusco, frate dei Servi di Maria, e i sacerdoti Alessandro Santoro, Pasquale Gentili, Pier Luigi Piazza, Paolo Tofani, Andrea Bigalli. Essi espongono alla Chiesa italiana, con la passione forte che li caratterizza, il loro stato d’inquietudine, i desideri e le aspettative. Con una nota di amarezza: «Ci sentiamo trattati come persone immature, come se non fossimo responsabili delle nostre comunità, ma solo destinatari chiamati ad obbedire a ciò che pochi decidono ed esprimono per noi».

Il gruppo dei sette accusa la Chiesa nel contesto culturale e sociale di oggi di essere «lontana da questa fatica quotidiana dell’umanità. E che, quando si fa presente, lo fa solo attraverso analisi, sentenze e a volte giudizi, che non ascoltano e non rispettano le ricerche e i tentativi che comunque la società fa per essere più autentica e giusta». Rincarano ancora di più la dose, quando fanno notare che «l’esempio che abbiamo dalla Chiesa ufficiale è, la maggior parte delle volte, quello di pretendere riconoscimenti e di difendere propri interessi, immischiandosi in politica solo per salvaguardare i propri privilegi».

I firmatari vorrebbero che «la Chiesa ripensasse le sue strutture di comunità, e soprattutto la propria struttura gerarchica e i suoi rapporti con la società» e che «si rifiutasse ogni privilegio economico», in modo tale che «l’economia delle strutture ecclesiali non fosse complice della finanza e delle banche che speculano con il denaro a scapito del sudore e del sangue di individui e intere comunità, praticando un indebito sfruttamento, non solo delle risorse umane, ma anche di quelle naturali». Domanda finale: «Perché ci viene chiesto di essere credenti che devono obbedire e difendere la verità e non ci dicono invece che la Verità è più grande di noi e per questo va ricercata costantemente, ovunque e con tutti?».

un nuovo “credo” ecclesiale?

Questa lettera richiama quella che, sempre alla Chiesa italiana, avevano inviato alcuni preti del Triveneto, in occasione del Natale 2011 in forma di "Credo", nella quale si invocavano "cambiamenti radicali" all’interno della stessa Chiesa: dal celibato facoltativo al ministero ordinato per le donne, dalla povertà della Chiesa alla prassi democratica del confronto, dalla revisione dell’insegnamento della religione a scuola a un’opzione etica di fondo piuttosto che ai "valori non negoziabili". Al di là delle forme estreme contenute in queste richieste, non si possono ignorarealcune "sfide" che dal basso questi presbiteri lanciano alla gerarchia per una "riforma radicale" nella Chiesa.

Il punto di partenza dei preti firmatari rimane il Vangelo: quando la Chiesa «da esso si allontana al punto di smentirlo o tradirlo in maniera sistematica, diventa un’istituzione di potere fra le altre, con l’aggravante e la copertura di pretendere il suggello divino di custode della verità». In particolare, «quando la Chiesa riceve dal potere - economico, politico e militare - finanziamenti, vantaggi, privilegi e onori perde la forza profetica di denunciare con libertà la corruzione, l’illegalità, l’ingiustizia, l’immoralità, le guerre, il razzismo», con la drammatica conseguenza che «il potere si sente in questo modo legittimato, difeso, compiaciuto, incoraggiato e sostenuto».

Anche il rapporto tra magistero e teologia, secondo i firmatari, va "rivisitato". Se il magistero «svolge il servizio di custodire e annunciare la fede», la teologia deve favorire «l’approfondimento delle grandi questioni», approfondimento che diventa "significativo" solo «quando è libero nell’elaborazione e nella proposta». L’esempio "eloquente" è quello della teologia della liberazione: in questo contesto essi avvertono «con particolare urgenza la necessità di privilegiare la testimonianza e la coerenza rispetto all’ortodossia e alla disciplina: sempre e prima di tutto obbedienti al Vangelo». C’è la necessità di una maggiore "democrazia" nella Chiesa, la cui rinuncia «riduce e spesso vanifica la comunione». Il testo propone il "metodo del dialogo" soprattutto in riferimento ai «valori non negoziabili», ovvero «famiglia, matrimonio, concepimento, conclusione della vita». Se tali questioni non devono «mai diventare oggetto di trattativa ideologico-politica», occorre però riaffermare «l’opzione etica di fondo, che accoglie le sofferenze e le speranze di tutti, che si lascia provocare dalla complessità della vita, con il fine costante di contribuire all’accoglienza, al sostegno, all’incoraggiamento, alla serenità e al bene delle persone».

Oltre alla proposta "forte" che il ministero presbiterale «possa essere svolto con pari dignità da uomini celibi e sposati e da donne prete», i preti del Nord-Est auspicano la convocazione di un sinodo mondiale su tali questioni e incontri nelle comunità parrocchiali e nelle diocesi «per ricostruire una vera e propria teologia dell’affettività e della sessualità, esaminando serenamente alla luce del Vangelo, e con il contributo delle donne e degli uomini di scienza e di esperienza, le diverse situazioni e implicanze».

Infine, i firmatari auspicano che la Chiesa sia «povera, umile, sobria, essenziale, libera da ogni avidità riguardo al possesso dei beni», utilizzando «sempre con trasparenza il denaro, i beni, le strutture, rendendo conto pubblicamente di tutto». Essi si dicono convinti che la Chiesa si debba «aprire all’incontro, al dialogo, alla conoscenza, alla preghiera» e condividere «con uomini e donne di altre fedi religiose e con tutti gli uomini di buona volontà, la responsabilità per la giustizia, la pace, la salvaguardia del creato». Infine, chiedono una Chiesa «che può ispirare l’impegno politico, ma mai compromessa con il potere», tutelando la "laicità dello stato".

Due lettere "dal basso" che vengono da uomini e donne di Chiesa; "sogni" lanciati dentro un confronto ecclesiale da parte di persone che non sentono solo l’esigenza dell’annuncio del Vangelo. Modalità che in Italia è sostanzialmente marginale, ma che altrove (Germania, Austria, Belgio ecc...) ha assunto misure e consensi assai maggiori. Suggerimenti e riflessioni certo discutibili e radicali, finalizzati tuttavia a rendere la Chiesa più credibile.

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Commenti Articolo 876

Titolo articolo : "IN PERSONA CHRISTI": MA QUALE CRISTO?! Donne, uomini e ministeri. Una analisi della teologa Lilia Sebastiani,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/21/2012 - 12:59:43.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/3/2012 17.21
Titolo:"CONFIGURATI IN CRISTO"?! MA QUALE CRISTO?!
Per un 8 marzo nella Chiesa

di Comité de la Jupe

in “www.comitedelajupe.fr” del 7 marzo 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Buona festa a voi, donne della Chiesa, in questo 8 marzo 2012, giornata internazionale delle donne! Attraverso una serie di contributi diversi, il Comité de la Jupe denuncia fermamente la dominazione maschile in una istituzione che costantemente umilia la metà dell’umanità.
“Il Comité de la Jupe ha già ampiamente denunciato, da un lato la discriminazione fobica di cui sono vittime le ragazze e le donne nella liturgia - anche per la predicazione e per l’accesso al ministero ordinato - dall’altro il tentativo di dominio sul corpo delle donne che l’istituzione perpetua giudicando l’esercizio della sessualità e demonizzando la teoria del genere.

È urgente proseguire, denunciando, ad esempio:
un linguaggio che, in buona coscienza, impone il maschile come definizione di tutto l’umano;
l’uso ricorrente del singolare “la donna” come se esistesse un modello unico;
l’esaltazione di una figura mariana eterea, vergine e condiscendente a tutto ciò che viene dal modello paterno clericale;
il quasi generale dominio degli ordini religiosi monastici maschili sulle branche femminili.
Sì, la Chiesa non fa meglio degli altri: ha le sue proletarie, quelle “manine laboriose”, quelle domestiche per tutti i servizi, quel corpo che non vuole vedere. Il suo corpo che offende ogni giorno.
Allora, donne e uomini, apriamo gli occhi, curiamo la nostra Chiesa denunciando quello che le fa male. La nostra parola - la sua - non le fa che bene.” (Anne Soupa)

“Un giorno un vescovo mi confidava quanto le donne nella vita politica avessero difficoltà nel conquistarsi uno spazio. Lo deplorava sinceramente. Maliziosamente, gli ho fatto notare che, almeno, anche se è difficile, nella società civile le donne potevano essere ministri! La mia riflessione lo ha lasciato senza parole! La Chiesa cattolica romana si priva così di tesori di fede, di energia, di competenza, escludendo le donne dai ministeri ordinati. Essa giustifica così una visione del femminile che non può che essere in posizione di ricezione e non di iniziativa, una visione del femminile che non può rappresentare l’iniziativa di Dio. Così facendo, e benché il discorso ufficiale lo neghi, essa giustifica, nei fatti, un posto di second’ordine per le donne. Quando usciremo da questo immobilismo?” (Sr. Michèle Jeunet, rc)

“Padre Moingt, in un articolo su Etudes, esprimeva la preoccupazione per la disaffezione delle donne rispetto alla Chiesa, allontanate dagli altari e umiliate. È ancora peggio. Tristezza fondamentale nel constatare che il dominio maschile è onnipresente e che è peggiore nella religione, perché viene fondato su giustificazioni teologiche che fanno passare le discriminazioni per volontà divina. La tendenza recente di affidare ai soli uomini o ragazzi maschi le letture liturgiche mi sembra un provvedimento inverosimile: ingiustizia enorme nei confronti delle donne e cieca di fronte al modo di funzionare delle società moderne. Oggi, la pratica religiosa si accompagna troppo spesso per me ad un sentimento di alienazione. Esperienza quanto mai dolorosa!” (Sylvie)

“Trent’anni fa, infastidita dai singolari su “La” Donna e la sua vocazione, avevo scritto un articolo“Donne e Chiesa: un amore difficile!”. A distanza di trent’anni, dopo che molte mie contemporanee hanno lasciato la Chiesa in punta di piedi, dovrei scrivere: “Donne e Chiesa: un disamore consumato.” Emorragia annunciata, proposta fatta di istituzionalizzare i servizi delle donne nella Chiesa: donne cappellane, diaconesse, e perché no, preti. Un sistema obsoleto, unito ad un discorso unisex sulla sessualità, è tuttavia continuato. Delle teologhe come France Quéré hanno allora spalancato la porta di una parola sul ruolo decisivo delle donne bibliche nella Rivelazione, non guardiane di un Tempio intoccabile, ma vettori irrinunciabili della Speranza cristiana in un mondo in trasformazione. Al fiat di Maria “celestificata” ad vitam, successe la valorizzazione di Maria radicata, contestatrice dell’ordine stabilito maschile, che ha visto la miseria di un popolo maltrattato dai superbi. Le nuove tecnologie dell’informazione svolgeranno un ruolo per il riconoscimento della dignità delle donne nella Chiesa cattolica, importante quanto quello svolto nelle recenti primavere di popoli asserviti.” (Blandine)

“Parlare dell’ordinazione delle donne resta un tabù nella Chiesa cattolica, e il prendere ufficialmente posizione a suo favore viene minacciato di scomunica. Per la Chiesa cattolica, il prete è un “altro Cristo”. Riflettiamo un po’ su questo...
Non siamo tutti chiamati ad essere “configurati a Cristo” secondo l’espressione di Paolo?
Noi confessiamo, seguendo gli apostoli, che Dio si è fatto “uomo”. Ma la parola usata è “umano” e non “maschio”... Incarnandosi, Dio ha optato per il maschile, piegandosi alle convenienze del suo tempo per poter essere ascoltato.
Non è lo Spirito Santo che consacra il pane e il vino delle nostre tavole eucaristiche?
La donna resterà sempre quell’essere incompleto, inferiore, tentatore ed impuro?” (Claude)

“Nella mia vita professionale, familiare, cittadina, posso far sentire la mia voce e pesare sulle decisioni. Nella Chiesa, sono doppiamente muta ed impotente poiché laica e donna. Eppure si può essere cattolica e femminista. Ma perché restare in questa Chiesa il cui discorso ufficiale mi glorifica per meglio togliermi la parola?
Perché, come la Samaritana, voglio avvicinarmi il più possibile e bere alla sorgente che disseta per sempre. Perché essere vicini a Cristo è possibile, senza la mediazione delle pompe, dell’organo, dell’incenso e del latino, dei riti e dei divieti, ma attraverso la preghiera e l’incontro dei miei fratelli e delle mie sorelle nella Chiesa.
Ecco quello che fa paura al clero: perdere il potere che conferisce loro lo statuto che si sono concessi (malgrado l’insegnamento di Cristo) di mediatori, soli atti a veicolare il “sacro” nei due sensi...
L’intrusione delle donne - del femminile - nell’edificio lo farà andare in frantumi. Da Maria Maddalena a santa Teresa di Lisieux, in tutta la storia della Chiesa, delle donne - e degli uomini come san Francesco d’Assisi! - hanno fatto sentire la loro musica delicata: un incontro è possibile e questo incontro passa dal cuore.” (Françoise)

“Il magistero cattolico maschile, quasi muto sugli uomini (maschi), affronta la “differenza dei sessi” solo attraverso le donne. Questo non è estraneo al fatto che sono degli uomini a definire la natura delle donne. Loro sono i soggetti della dottrina, e le donne gli oggetti. Della loro natura maschile non parlano. Senza dubbio la identificano alla natura umana. Gli uomini (vir) si identificano agli uomini (homo), all’universale, al neutro, al prototipo, mentre assegnano le donne alla particolarità, alla specificità, alla differenza.
Che cos’è il genere? I documenti romani lo manifestano: uomini investiti dell’autorità dicono alle donne chi esse sono e quali rapporti devono intrattenere con gli uomini. Il genere quindi è un rapporto di potere che si costruisce nello stesso tempo in cui costruisce i suoi due termini.” (Gonzague JD)

“La frase infelice del cardinal Vingt-Trois che ha provocato la nascita del Comité de la Jupe non era un increscioso incidente. Era, nel senso psicanalitico del termine, una parola involontaria. Svela non la misoginia dell’uomo, ma quella di un’istituzione che è in una fase di ripiegamento. Nel fenomeno di “restaurazione” al quale assistiamo oggi nella Chiesa cattolica, le donne sono le prime vittime: le si rimette “al loro posto”, quello “di ausiliaria di vita” della solo metà dell’umanità che conta, la metà maschile che si prende per il tutto.
In questo 8 marzo, noi donne cattoliche possiamo dare l’allarme. Quando delle società o delle istituzioni sono in crisi, le donne ci rimettono per prime. L’emancipazione delle donne nelle nostre società occidentali è un bene prezioso ma ancora fragile; il rischio di “restaurazione patriarcale” è reale per l’insieme della società. Queste circostanze invitano alla vigilanza e alla solidarietà di tutte le donne e anche degli uomini che considerano come un ottimo bene che le donne siano loro contemporanee sulla base di parità.” (Christine Pedotti)

“Buona festa a voi, sì, a voi, donne della Chiesa. Quelle che hanno seguito gli stessi incontri di catechismo di tutti gli altri bambini. Quelle che hanno detto sì, a un uomo o a una vita consacrata a Dio. Quelle che hanno portato un figlio o una figlia al fonte battesimale, come madre o come madrina. Buona festa a voi che tornate ogni giorno, ogni settimana, ogni domenica, per accompagnare, studiare, condividere, organizzare, informare, pulire, benedire, ornare di fiori, insegnare, cantare, preparare, lodare, predicare, pregare, meditare, tenere per mano, sollevare la testa... Buona festa a voi tutte, che siete Chiesa, che fate la Chiesa...” (Estelle Roure)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/3/2012 12.59
Titolo:La Chiesa ripensi se stessa
La Chiesa ripensi se stessa

di Mauro Pizzighini

in “Settimana” (Attualità pastorale) n. 11 del 18 marzo 2012

«Abbiamo sempre pensato che questo fosse vero; abbiamo sempre pensato che la nostra condizione di donne e di uomini credenti ci rendesse concittadini nella storia di tutti e familiari con il mistero. Abbiamo sempre pensato che la nostra fede ci facesse responsabili nei confronti della vita di ogni creatura e dei difficili parti storici, sociali, economici, culturali e spirituali che la comunità umana vive da sempre. Abbiamo sempre pensato anche che, proprio perché siamo familiari di Dio, non siamo esenti dal vivere sulla nostra pelle le fatiche che ogni popolo fa per poter essere popolo degno e libero. Ma oramai da molto tempo ci sembra che questo non sia tanto vero, e soprattutto, con tristezza diciamo che forse nessuno ci chiede ed esige questa familiarità con il mistero e questa solidarietà con la storia. La struttura ecclesiale infatti sembra più preoccupata a guidarci che a farci partecipare e soprattutto a farci crescere».

Questa affermazione provocatoria è contenuta nella lettera "aperta", pubblicata su Adista e rivolta alla Chiesa italiana, scaturita dopo l’incontro tra alcuni teologi e teologhe che si è tenuto svolto nella comunità delle Piagge di Firenze, lo scorso 20 gennaio.

ripensare le strutture ecclesiali

Il testo della missiva parte e si fonda sul versetto della Lettera agli Efesini (2,19): «Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio» La lettera è sottoscritta da sette persone: la teologa domenicana Antonietta Potente, Benito Fusco, frate dei Servi di Maria, e i sacerdoti Alessandro Santoro, Pasquale Gentili, Pier Luigi Piazza, Paolo Tofani, Andrea Bigalli. Essi espongono alla Chiesa italiana, con la passione forte che li caratterizza, il loro stato d’inquietudine, i desideri e le aspettative. Con una nota di amarezza: «Ci sentiamo trattati come persone immature, come se non fossimo responsabili delle nostre comunità, ma solo destinatari chiamati ad obbedire a ciò che pochi decidono ed esprimono per noi».

Il gruppo dei sette accusa la Chiesa nel contesto culturale e sociale di oggi di essere «lontana da questa fatica quotidiana dell’umanità. E che, quando si fa presente, lo fa solo attraverso analisi, sentenze e a volte giudizi, che non ascoltano e non rispettano le ricerche e i tentativi che comunque la società fa per essere più autentica e giusta». Rincarano ancora di più la dose, quando fanno notare che «l’esempio che abbiamo dalla Chiesa ufficiale è, la maggior parte delle volte, quello di pretendere riconoscimenti e di difendere propri interessi, immischiandosi in politica solo per salvaguardare i propri privilegi».

I firmatari vorrebbero che «la Chiesa ripensasse le sue strutture di comunità, e soprattutto la propria struttura gerarchica e i suoi rapporti con la società» e che «si rifiutasse ogni privilegio economico», in modo tale che «l’economia delle strutture ecclesiali non fosse complice della finanza e delle banche che speculano con il denaro a scapito del sudore e del sangue di individui e intere comunità, praticando un indebito sfruttamento, non solo delle risorse umane, ma anche di quelle naturali». Domanda finale: «Perché ci viene chiesto di essere credenti che devono obbedire e difendere la verità e non ci dicono invece che la Verità è più grande di noi e per questo va ricercata costantemente, ovunque e con tutti?».

un nuovo “credo” ecclesiale?

Questa lettera richiama quella che, sempre alla Chiesa italiana, avevano inviato alcuni preti del Triveneto, in occasione del Natale 2011 in forma di "Credo", nella quale si invocavano "cambiamenti radicali" all’interno della stessa Chiesa: dal celibato facoltativo al ministero ordinato per le donne, dalla povertà della Chiesa alla prassi democratica del confronto, dalla revisione dell’insegnamento della religione a scuola a un’opzione etica di fondo piuttosto che ai "valori non negoziabili". Al di là delle forme estreme contenute in queste richieste, non si possono ignorarealcune "sfide" che dal basso questi presbiteri lanciano alla gerarchia per una "riforma radicale" nella Chiesa.

Il punto di partenza dei preti firmatari rimane il Vangelo: quando la Chiesa «da esso si allontana al punto di smentirlo o tradirlo in maniera sistematica, diventa un’istituzione di potere fra le altre, con l’aggravante e la copertura di pretendere il suggello divino di custode della verità». In particolare, «quando la Chiesa riceve dal potere - economico, politico e militare - finanziamenti, vantaggi, privilegi e onori perde la forza profetica di denunciare con libertà la corruzione, l’illegalità, l’ingiustizia, l’immoralità, le guerre, il razzismo», con la drammatica conseguenza che «il potere si sente in questo modo legittimato, difeso, compiaciuto, incoraggiato e sostenuto».

Anche il rapporto tra magistero e teologia, secondo i firmatari, va "rivisitato". Se il magistero «svolge il servizio di custodire e annunciare la fede», la teologia deve favorire «l’approfondimento delle grandi questioni», approfondimento che diventa "significativo" solo «quando è libero nell’elaborazione e nella proposta». L’esempio "eloquente" è quello della teologia della liberazione: in questo contesto essi avvertono «con particolare urgenza la necessità di privilegiare la testimonianza e la coerenza rispetto all’ortodossia e alla disciplina: sempre e prima di tutto obbedienti al Vangelo». C’è la necessità di una maggiore "democrazia" nella Chiesa, la cui rinuncia «riduce e spesso vanifica la comunione». Il testo propone il "metodo del dialogo" soprattutto in riferimento ai «valori non negoziabili», ovvero «famiglia, matrimonio, concepimento, conclusione della vita». Se tali questioni non devono «mai diventare oggetto di trattativa ideologico-politica», occorre però riaffermare «l’opzione etica di fondo, che accoglie le sofferenze e le speranze di tutti, che si lascia provocare dalla complessità della vita, con il fine costante di contribuire all’accoglienza, al sostegno, all’incoraggiamento, alla serenità e al bene delle persone».

Oltre alla proposta "forte" che il ministero presbiterale «possa essere svolto con pari dignità da uomini celibi e sposati e da donne prete», i preti del Nord-Est auspicano la convocazione di un sinodo mondiale su tali questioni e incontri nelle comunità parrocchiali e nelle diocesi «per ricostruire una vera e propria teologia dell’affettività e della sessualità, esaminando serenamente alla luce del Vangelo, e con il contributo delle donne e degli uomini di scienza e di esperienza, le diverse situazioni e implicanze».

Infine, i firmatari auspicano che la Chiesa sia «povera, umile, sobria, essenziale, libera da ogni avidità riguardo al possesso dei beni», utilizzando «sempre con trasparenza il denaro, i beni, le strutture, rendendo conto pubblicamente di tutto». Essi si dicono convinti che la Chiesa si debba «aprire all’incontro, al dialogo, alla conoscenza, alla preghiera» e condividere «con uomini e donne di altre fedi religiose e con tutti gli uomini di buona volontà, la responsabilità per la giustizia, la pace, la salvaguardia del creato». Infine, chiedono una Chiesa «che può ispirare l’impegno politico, ma mai compromessa con il potere», tutelando la "laicità dello stato".

Due lettere "dal basso" che vengono da uomini e donne di Chiesa; "sogni" lanciati dentro un confronto ecclesiale da parte di persone che non sentono solo l’esigenza dell’annuncio del Vangelo. Modalità che in Italia è sostanzialmente marginale, ma che altrove (Germania, Austria, Belgio ecc...) ha assunto misure e consensi assai maggiori. Suggerimenti e riflessioni certo discutibili e radicali, finalizzati tuttavia a rendere la Chiesa più credibile.

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Commenti Articolo 877

Titolo articolo : Pasolini e il movimento No TAV,di Lucio Garofalo

Ultimo aggiornamento: March/20/2012 - 17:44:04.

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Autore Città Giorno Ora
sabina corvi gropparello 20/3/2012 17.44
Titolo:grazie!
Grazie della sua riflessione.
E' uno stimolo per noi tutti che, in qualche modo, cerchiamo di RESISTERE.... e magari di aiutare i nostri giovani studenti (sono un'insegnante) a mettere in discussione quanto sembra dominante: l'idealizzazione dell'economia, rispetto a cui ogni altra cosa (compresi noi esseri umani!) sembra essere di un altro ordine di importanza....

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Commenti Articolo 878

Titolo articolo : "CONFIGURATI IN CRISTO"?! MA QUALE CRISTO?! Per un 8 marzo nella Chiesa!!! Una sollecitazione del "Comité de la Jupe" - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/20/2012 - 16:09:50.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/3/2012 09.43
Titolo:RELIGIONI IN ANALISI.
8 marzo 2012, ancora streghe

di Giancarla Codrignani (“Adista” - Segni Nuovi, - n. 10, 10 marzo 2012)

A Bologna, un islamico osservante ha sentito «impuro» il proprio rapporto con una donna cristianoortodossa e ha tentato di decapitarla «come Abramo fece con Isacco» (la donna, un’u-craina di 45 anni, se la scampa, rischia di ritrovarsi paraplegica).

Non è solo un caso di fondamentalismo maniacale. In questi giorni, si apre a Palmi un processo di stupro che testimonia il persistere italico della maledizione di Eva: a San Martino di Taurianova una bambina di 12 anni (che oggi ne ha 24 e vive sotto protezione perché alcuni dei persecutori che ha denunciato erano mafiosi) per anni è stata considerata da tutto il paese la colpevole degli stupri di gruppo, delle violenze e dei ricatti subiti e anche il parroco a cui aveva tentato di confidarsi giudicava peccatrice una dodicenne violata che solo la penitenza poteva redimere. Sembra incredibile, ma nella santità delle religioni albergano tabù ancestrali che gli studi antropologici e le secolarizzazioni non sono riusciti a eliminare. Sono i tabù peggiori perché responsabili dei pregiudizi sessuofobici e misogini che, sacralizzati, hanno prodotto, nel nome di dio, discriminazioni e violenze.

Nel terzo millennio le religioni dovrebbero andare in analisi e domandarsi quanto la sessuofobia e la misoginia insidino nel profondo la loro possibilità di futuro. Il concetto di “purezza” che ha represso, nell’ipocrisia mercantile e proprietaria dei valori familiari, milioni di ragazze non è nato certo dalla scelta delle donne. Alla Lucy delle origini, mestruata e responsabile della riproduzione, non sarebbe mai venuto in mente di sentirsi sporca o colpevole. Forse percepiva già come colpa, certo non sua, la violenza che connotava la bassa qualità di molte prestazioni maschili. Tanto meno, quando si fosse inventato il diritto, avrebbe distinto i “suoi” figli in legittimi o illegittimi. Eppure si continua a credere che la mestruata faccia ingiallire le foglie e inacidire il latte; in Africa, in “quei giorni”, è confinata in capanne speciali per non contaminare le case; a Roma Paolo la voleva velata e zittita, mentre i papi, forse senza sapere perché, le hanno vietato di consacrare. Siamo ancora qui, a fare conti sul puro e l’impuro e a ripetere il capro espiatorio nel corpo di qualche altro Isacco per volere di qualche Abramo che credeva di interpretare Dio, di qualche altra Ifigenia proprietà di Agamennone padrone della sua morte.

Noi donne non siamo certo migliori degli uomini, ma nelle società maschili permangono residui di paure che neppure Darwin ha fatto sparire. I responsabili delle religioni che intendono salvare la fede per le generazioni future debbono purificarle dalle ombre del sacro antropologico: il papa cattolico deve non condannare, bensì accogliere come servizio di verità nelle scuole un’educazione sessuale che dia valore all’affettività non solo biologica delle relazioni fra i generi e al rispetto delle diverse tendenze sessuali; l’islam che fa imparare a memoria fin da piccoli le sure del Corano, si deve rendere conto che i tabù violenti producono strani effetti se un uomo si sente un dio punitore davanti a donne-Isacco; i rabbini dovrebbero fare i conti con Levy Strauss e smettere di chiedere autobus separati per genere e di insultare le bambine non velate; in Cina e in India non si deve perpetuare l’insignificanza femminile trasferendo gli infanticidi delle neonate alla “scelta” ecografica, mortale solo per le bimbe. Sono tutte scelte di morte. Per ragioni di genere.

Ma, se la responsabilità delle religioni monoteiste è particolarmente grave per l’immagine anche non raffigurata di una divinità di fatto maschile, più precisa è quella dei cristiani. Si è detto infinite volte: perché il nostro clero, ancora così pronto a chiedere cerimonie riparatrici per spettacoli che non ha visto, non pensa ad evangelizzare i maschi invece di sospettare costantemente peccati di cui non può essere giudice, condannato com’è al masochismo celibatario per paura della purezza originaria della sessualità umana?

C’è un salto logico - certamente non illogico per le donne che stanno leggendo i pezzi sull’8 marzo ma anche la società civile persevera troppo nel negare rispetto al corpo delle donne: i tre caporali del 33esimo reggimento Acqui indagati per lo stupro di Pizzoli (L’Aquila) sono rientrati in servizio nei servizi di pattugliamento del centro storico nell’ambito dell’operazione “Strade Sicure”...
Autore Città Giorno Ora
maurizio sgarro torrevecchia pia 12/3/2012 06.24
Titolo:il sacerdozio per le donne
Condivido molte cose espresse nell'articolo. In particolare penso che non solo nella chiesa il ruolo della donna è ancora marginale e questo è un guaio. Per quanto riguarda la possibilità del sacerdozio alle donne penso che sia debole la giustificazione che gli apostoli erano uomini e quindi.... Ma vi immaginate all'epoca Gesù con anche donne fra i discepoli? In quel tempo non sarebbe stato credibile. Oggi è l'esatto contrario. L'evoluzione della fede ci porta a pensare che sia giunto il tempo di abolire una così stridente discriminazione che peraltro impedisce alla chiesa di utilizzare il grandissimo patrimonio che è la donna. Sono convinto che il tempo porterà giustizia. Nel frattempo è giusto denunciare la discriminazione. Cordiali saluti Maurizio Sgarro
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/3/2012 16.09
Titolo:IL CONCILIO E L'APERTURA INCOMPLETA. VENERANDE ESCLUSIONI ...
Donne e ministeri da segno dei tempi a indice di autenticità

di Lilia Sebastiani

in “Viandanti” (www.viandanti.org) del 10 marzo 2012

Nell’enciclica ‘conciliare’ Pacem in terris di Giovanni XXIII (1963) al n.22 l’ingresso crescente delle donne nella vita pubblica veniva annoverato tra i segni dei tempi, insieme alla crescita delle classi lavoratrici (n.21) e alla fine del colonialismo (n.23).

Ricordare l’enciclica è doveroso, per il valore storico di questo semplice e cauto riconoscimento: infatti è la prima volta che un documento magisteriale rileva la cosiddetta promozione della donna senza deplorarla - anzi come un fatto positivo. I segni dei tempi sono ancora al centro della nostra attenzione, ma per quanto riguarda le donne la questione cruciale e non ignorabile è ormai quella del loro accesso al ministero nella Chiesa, a tutti i ministeri.

Venerande esclusioni

Certo il problema dei ministeri non è l’unico connesso con lo status della donna nella Chiesa, ma senza dubbio è fondamentale; guardando al futuro, è decisivo. Non solo e non tanto in se stesso, ma per la sua natura di segno.

In questo momento nella Chiesa la donna è ancora esclusa dai ministeri ecclesialmente riconosciuti: non solo da quelli ordinati (l’Ordine sacro, cioè, nei suoi tre gradi: episcopato, presbiterato, diaconato) ma anche da quelli istituiti, il lettorato e l’accolitato. Questi ultimi, chiamati un tempo “ordini minori” e considerati solo tappe di passaggio obbligatorie per accedere all’ordinazione, furono reintrodotti nel 1972 da Paolo VI (Ministeria quaedam) come “ministeri istituiti” - per distinguerli da quelli ordinati, mantenendo però l’elemento della stabilità e del riconoscimento ecclesiale - e furono aperti anche a laici non incamminati verso l’Ordine; tuttavia si specificava chiaramente che tali ministeri erano riservati agli uomini, “secondo la veneranda tradizione della chiesa latina”.

Un po’ più recente l’istituzione dei “ministri straordinari dell’Eucaristia”: con prerogative non molto diverse da quelle degli accoliti, questi possono essere anche donne. E di fatto sono più spesso donne che uomini. Un passo avanti, forse? Certo però la dichiarata ‘straordinarietà’ sembra messa lì a ricordare che si tratta di un’eccezione, di una supplenza..., di qualcosa che normalmente non dovrebbe esserci.

A parte i servizi non liturgici ma fondamentali, come la catechesi dei fanciulli, quasi interamente femminile, e le varie attività organizzative e caritative della parrocchia, le letture nella Messa vengono proclamate più spesso da donne che da uomini; ma si tratta sempre e comunque di un ministero di fatto, che in teoria sarebbe da autorizzare caso per caso, anche se poi, di solito, l’autorizzazione viene presunta.

Il Concilio e l’incompiuta apertura

Il problema dell’accesso femminile ai ministeri è diventato di attualità nella Chiesa nell’immediato post-concilio, nel fervore di dibattito che caratterizzò quell’epoca feconda e rimpianta della storia della Chiesa. Il Vaticano II aveva mostrato una notevole apertura sulle questioni che maggiormente sembravano concernere il problema della donna in generale e della donna nella Chiesa in particolare. Sulle questioni più specifiche e sul problema dei ministeri i documenti conciliari erano generici fino alla reticenza, ma senza chiusure di principio. Ciò autorizzava a sperare nel superamento, non proprio immediato ma neppure troppo lontano, di certe innegabili contraddizioni che persistevano sul piano disciplinare. Inoltre altre chiese cristiane avevano cominciato da qualche anno, certo non senza resistenze anche aspre, a riconsiderare e a superare gradualmente il problema dell’esclusione (a nostra conoscenza, la chiesa luterana svedese fu la prima ad ammettere donne al pastorato, nel 1958)

.Una chiusura fragile

Nel decennio che seguì il Concilio, il dibattito in proposito fu intenso. La Chiesa ufficiale mantenne però una posizione di cautela e di sostanziale chiusura sempre più netta, che culminò - volendo chiudere la questione una volta per sempre - nella dichiarazione vaticana Inter insigniores, che è della fine del 1976, ma resa pubblica nel 1977.

In questo documento l’esclusione delle donne dal ministero ordinato veniva ribadita con caratteri di definitività vagamente ‘infallibilista’, ma anche con un significativo mutamento di argomentazione, che ci sembra importante poiché dimostra che l’esclusione è un fatto storico-sociologico in divenire e non un fatto teologico-sacramentale. Non si dice più, come affermava Tommaso d’Aquino, che la donna è per natura inferiore all’uomo e quindi esclusa per volere divino da ogni funzione implicante autorità; si richiama invece l’ininterrotta tradizione della Chiesa (che è evidente, ma è anche evidentissimo portato della storia e delle culture) e soprattutto la maschilità dell’uomo Gesù di Nazaret, da cui deriverebbe la congruenza simbolica della maschilità del prete che, presiedendo l’assemblea, agisce in persona Christi.

Quest’ultimo argomento fragile e sconveniente è stato lasciato cadere, infatti, nei pronunciamenti successivi: questi si rifanno solo alla tradizione della Chiesa e a quella che viene indicata come l’esplicita volontà di Gesù manifestata dalla sua prassi.

Anche questo argomento non funziona. Gesù, che non mostra alcun interesse di tipo ‘istituzionale’, alle donne accorda, con naturalezza, una piena parità nel gruppo dei suoi seguaci. Sembra insieme scorretto e pleonastico dire che “non ha ordinato nessuna donna”, dal momento che, semplicemente, non ha ordinato nessuno. Non vi è sacerdozio nella sua comunità, ma servizio e testimonianza, diakonìa non formalizzata - eppure rispondente a una chiamata precisa - che, prima di essere attività, è opzione fondamentale, stile di vita, sull’esempio di Gesù stesso “venuto per servire”.

Nel Nuovo Testamento di sacerdozio si può parlare solo in riferimento al sacerdozio universale dei fedeli (cfr 1 Pt 2,9; Ap 1,6), negli ultimi decenni tanto rispettato a parole quanto sfuggente e ininfluente nel concreto del vissuto ecclesiale; oppure in riferimento all’unico sacerdote della Nuova Alleanza - sacerdote nel senso di mediatore fra Dio e gli esseri umani -, Gesù di Nazaret (cfr Ebr 9), il quale nella società religiosa era un laico, oltretutto in rapporti abbastanza conflittuali con il sacerdozio del suo tempo.

Un’esclusione che interpella tutti

Vi sono due fatti, molto modesti ma significativi, che aiutano a tenere viva la speranza. Il primo, che i pronunciamenti dell’autorità ecclesiastica volti a chiudere ‘definitivamente’ la questione sono diventati abbastanza ricorrenti, il che dimostra che non è poi tanto facile chiuderla. Il dibattito è aperto e procede. Il secondo, che l’argomentazione teologica sembra cambiata ancora: felicemente sepolto l’infelicissimo argomento della coerenza simbolica, già pilastro dell’Inter insigniores, si richiama solo la prassi ininterrotta della chiesa romana e sempre più spesso si sente riconoscere, anche dalle voci più autorevoli, che contro l’ordinazione delle donne non ci si può appellare a ragioni biblico-teologiche.

No, non si tratta di banali rivendicazioni. L’esclusione interpella tutti: nessuna/nessun credente adulto può disinteressarsi di questo problema chiave finché le donne nella chiesa non avranno di fatto le stesse possibilità degli uomini, la stessa dignità di rappresentanza.

E’ necessario ricordare che vi sono donne cattoliche di alto valore e seriamente impegnate - tra loro anche alcune teologhe - che a una domanda precisa sul problema dei ministeri istituiti rispondono o risponderebbero più o meno così: no grazie, il sacerdozio così com’è proprio non ci interessa. E’ un atteggiamento che merita rispetto: almeno in quanto manifesta il timore che insistere troppo sul tema dell’ordinazione induca ad accentuare l’importanza dei ministri ordinati nella Chiesa (mentre sarebbe urgente semmai ridurre quell’importanza, insomma ‘declericalizzare’).

Ma dobbiamo ricordare che il “sacerdozio così com’è”, nella storia e nella mentalità corrente, si fonda proprio sulla ‘separazione’, sullo spirito di casta, sul sospetto previo e sul rifiuto nei confronti della donna, che nella chiesa di Roma si esprime in una doppia modalità: l’esclusione delle donne dalle funzioni di culto, di governo e di magistero, è parallela all’obbligo istituzionale di essere “senza donna” per coloro che le esercitano. Il divieto per le donne di essere ministri ordinati el’obbligo per i ministri ordinati di restare celibi sembrano due problemi ben distinti, mentre sono congiunti alla radice. E ormai sappiamo che potranno giungere a soluzione solo insieme.

Segno dei tempi, certo. Segno di trasformazione, segno contraddittorio, segno incompleto, proprio come il tempo in cui viviamo. Per quanto riguarda la chiesa cattolica, però, non solo segno, ma indice di autenticità. Non temiamo di dire che sulla questione dei ministeri, che solo a uno sguardo superficiale o ideologico può apparire circoscritta, si gioca il futuro della chiesa.

Lilia Sebastiani

Teologa

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Commenti Articolo 879

Titolo articolo : IPOTESI DI RILETTURA DELLA DIVINA COMMEDIA. La Fenomenologia dello Spirito… dei “Due Soli” - Prefazione di Riccardo Pozzo,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/20/2012 - 16:03:12.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/3/2012 15.36
Titolo:LA COMMEDIA E' LA COMMEDIA DI "ADAMO", DI OGNUNO E DI OGNUNA ...
LA COMMEDIA E' LA COMMEDIA DI "ADAMO", DELL'UMANITA' INTERA, (DI OGNUNO E DI OGNUNA ...

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La Commedia di ognuno di noi

di Carlo Ossola (Il Sole-24 Ore, 18 marzo 2012)

Siamo stati formati dalla critica a pensare alla Divina Commedia come «viaggio a Beatrice» (così suona il titolo del celebre saggio di Charles S. Singleton, Journey to Beatrice, 1958). Il fedele d’Amore mantiene la promessa che chiudeva la Vita nova: «Appresso questo sonetto apparve a me una mirabile visione, ne la quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei». Beatrice appare nel Paradiso Terrestre, al sommo della montagna del Purgatorio, ivi trionfa e ivi nomina, per la prima volta nella Commedia, Dante: «Quando mi volsi al suon del nome mio, / che di necessità qui si registra» (Purg., XXX, 62-63). La teoria romantica che da Rossetti a Gourmont ha ispirato la lettura del poema trova qui il suo sigillo.

Ma molti ostacoli presenta tuttavia una lettura siffatta: il primo ed evidente è che Dante si fa lì nominare per essere aspramente rimproverato da Beatrice: «Dante, perché Virgilio se ne vada, / non pianger anco, non piangere ancora; / ché pianger ti conven per altra spada» (Purg., XXX, 55-57). Anche a voler ammettere che Dante si pieghi a un gesto di umiltà, e poi ascenda gloriosamente con Beatrice al Paradiso, sul più bello - come si dice in maniera colorita ma calzante - Dante si fa poi abbandonare da Beatrice: «Uno intendëa, e altro mi rispuose: / credea veder Beatrice e vidi un sene / vestito con le genti glorïose» (Par., XXXI, 58-60).

La guida al mistero e alla visione finale sarà san Bernardo: su questo "transito" Jorge Luis Borges ha scritto pagine finissime e non resta che rinviare ai suoi Nove saggi danteschi. L’ipotesi romantica rimane monca e toglie anzi grandezza al «poema sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra» (Par., XXV, 1-2), toglie spessore alla lettura allegorica del testo che Dante difende spiegando, nell’Epistola a Cangrande, e citando nel poema il salmo In exitu Isräel de Aegypto (Purg., II, 46).

Occorre prendere sul serio il testo e ritornare a una ipotesi già avanzata dal Boccaccio e dai primi commentatori e ripresa nel Novecento da Ezra Pound: «In un senso ulteriore è il viaggio dell’intelletto di Dante attraverso quegli stati d’animo in cui gli uomini, di ogni sorta e condizione, permangono prima della loro morte; inoltre Dante, o intelletto di Dante, può significare "Ognuno", cioè "Umanità", per cui il suo viaggio diviene il simbolo della lotta dell’umanità nell’ascesa fuor dall’ignoranza verso la chiara luce della filosofia» (E. Pound, Dante, in Lo spirito romanzo, 1910). Se il protagonista del viaggio è «Everyman», non è più necessario attribuire a Dante viator l’esperienza eccezionale di una visione mistica, ma di riconoscere in lui il volto di Ognuno: per questo «la Commedia di Dante è, di fatto, una grande sacra rappresentazione, o meglio, un intero ciclo di sacre rappresentazioni» (ivi).

La lettura di Pound incontra, dicevamo, la chiosa che il Boccaccio propone sin dall’apertura delle sue Esposizioni sopra la Comedia di Dante, estrema opera della sua vita, suggerendo che non solo da Beatrice Dante si faccia nominare, ma soprattutto da Adamo al sommo del Paradiso: «L’altra persona, alla quale nominar si fa, è Adamo, nostro primo padre, al quale fu conceduto da Dio di nominare tutte le cose create; e perché si crede lui averle degnamente nominate, volle Dante, essendo da lui nominato, mostrare che degnamente quel nome imposto gli fosse, con la testimonianza di Adamo; la qual cosa fa nel canto XXVI del Paradiso, là dove Adamo gli dice: "Dante, la voglia tua discerno meglio", eccetera».

Ora precisamente Boccaccio adotta una lezione, per Par., XXVI, 104, trádita dai più antichi codici (il Landiano, 1336, il Trivulziano, 1337, e molti altri) e confermata dagli antichi commentatori, da Pietro Alighieri, alle Chiose ambrosiane, a Francesco da Buti; lezione che cambia profondamente il senso del poema, poiché ora - nominato da Adamo - Dante non è più solo il fedele d’Amore, ma è il «novello Adamo» di un’umanità redenta, come riassume, nel suo commento, Pietro Alighieri e, con raffinata pertinenza, ribadiscono le «Chiose ambrosiane» (da situare intorno al 1355; traduco dal bel latino): «Dante - Qui il poeta si fa nominare dal primo uomo che impose il nome a tutte le cose e senza quella excusatio alla quale ebbe a ricorrere nel Purgatorio ove disse: "Che de necessità qui se registra". Nota quindi che il poeta mai volle essere nominato nell’Inferno, e neppure nel Purgatorio nei luoghi ove si purgano i vizi, ma concesse di farsi nominare fuori dalle cornici dei vizi, sebbene dovendosi scusare (tamen cum excusatione). Ma in Paradiso senza doversi scusare, come appunto qui - essendo l’opera ormai quasi compiuta - e dopo che, esaminato, aveva fatto professione delle virtù teologali».

Quando parallelamente si osservi il comportamento di Boccaccio copista, in particolare nell’esemplare «Chigiano L VI 213 (= Chig), di mano del Boccaccio, che lo trascrisse non molto avanti la nomina a lettore di Dante, nell’agosto del 1373» (G. Petrocchi, I testi del Boccaccio, in La Commedia secondo l’antica vulgata), si dovrà concludere che anche lì un codice Chig «il quale si impone sugli altri con la qualifica di edizione ultima e definitiva del testo dantesco» (Petrocchi) mantiene la lezione «Dante, la tua voglia discerno meglio» (nel ms. a p. 330; ringrazio di cuore Rudy Abardo per il prezioso riscontro filologico e Marisa Boschi Rotiroti per la sollecitudine) con perfetta coerenza alle ragioni enunciate nelle contigue Esposizioni.

Si tratta dunque di ritornare alle origini, non solo agli autorevolissimi manoscritti che inscrivono: «Dante» o «da- te» e non «da te» (lezione minoritaria), come ha adottato il Petrocchi e con lui - snervando il vigore del testo - le edizioni moderne della Commedia («Indi spirò: "Sanz’essermi proferta / da te, la voglia tua discerno meglio"»); e di riconoscere che - nell’eliminare Dante nominato da Adamo - non si è fatta solo una "rimozione" a favore di una lettura meramente amorosa del poema, ma si è privato il testo stesso di quella grandiosa e universale coralità che Dante voleva conferire al proprio viaggio. Poiché, qui, Dante non è più il poeta della Vita nova, ma l’autore del «poema sacro»; egli è ormai, e per sempre, Everyman, il "novello Adamo" dell’umanità redenta, sì che dal «padre antico» (Par., XXVI, 92) possa ricevere la più alta consacrazione.

Occorre insomma pensare alla Commedia, come a «l’albero che vive de la cima» (Par., XVIII, 29); che si compie nella "nuova Genesi" del Paradiso di Gloria, come ben vide Giovanni Getto, sin dal 1947, sottolineando «cotesto epos della vita interiore come esultanza delle spirito elevato verso le cime vertiginose della partecipazione al Dio della gloria e dell’eterno» (Poesia e teologia nel «Paradiso» di Dante, in Aspetti della poesia di Dante); ma anche come partecipazione dell’umanità tutta alla speranza della Resurrezione della carne della storia e dei corpi, che ansiosamente i beati in Paradiso attendono («Come la carne glorïosa e santa / fia rivestita, la nostra persona / più grata fia per esser tutta quanta», Par., XIV, 43-45).

Così dunque, in questa quotidiana coralità di Everyman, è da proporre al XXI secolo la Divina Commedia, bene comune non dell’Italia soltanto, ma dell’umanità intera; e sempre così è stata intesa, dai primi commentatori al Boccaccio, come il poema al quale bussare e attingere per avere accoglienza, ospitalità, conforto. Lo testimonia ancora, al portale di un palazzo di Cannaregio il battente dantesco, e i tanti uomini che in nome di Dante, e leggendo il suo poema, hanno sfidato la barbarie, da Osip Mandel’štam a Primo Levi. Ogni giorno, Dante è davvero tutti noi.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/3/2012 16.03
Titolo:LA COMMEDIA DELL'UMANITA': UOMINI, DONNE, E MINISTERI ...
Donne e ministeri da segno dei tempi a indice di autenticità

di Lilia Sebastiani

in “Viandanti” (www.viandanti.org) del 10 marzo 2012

Nell’enciclica ‘conciliare’ Pacem in terris di Giovanni XXIII (1963) al n.22 l’ingresso crescente delle donne nella vita pubblica veniva annoverato tra i segni dei tempi, insieme alla crescita delle classi lavoratrici (n.21) e alla fine del colonialismo (n.23).

Ricordare l’enciclica è doveroso, per il valore storico di questo semplice e cauto riconoscimento: infatti è la prima volta che un documento magisteriale rileva la cosiddetta promozione della donna senza deplorarla - anzi come un fatto positivo. I segni dei tempi sono ancora al centro della nostra attenzione, ma per quanto riguarda le donne la questione cruciale e non ignorabile è ormai quella del loro accesso al ministero nella Chiesa, a tutti i ministeri.

Venerande esclusioni

Certo il problema dei ministeri non è l’unico connesso con lo status della donna nella Chiesa, ma senza dubbio è fondamentale; guardando al futuro, è decisivo. Non solo e non tanto in se stesso, ma per la sua natura di segno.

In questo momento nella Chiesa la donna è ancora esclusa dai ministeri ecclesialmente riconosciuti: non solo da quelli ordinati (l’Ordine sacro, cioè, nei suoi tre gradi: episcopato, presbiterato, diaconato) ma anche da quelli istituiti, il lettorato e l’accolitato. Questi ultimi, chiamati un tempo “ordini minori” e considerati solo tappe di passaggio obbligatorie per accedere all’ordinazione, furono reintrodotti nel 1972 da Paolo VI (Ministeria quaedam) come “ministeri istituiti” - per distinguerli da quelli ordinati, mantenendo però l’elemento della stabilità e del riconoscimento ecclesiale - e furono aperti anche a laici non incamminati verso l’Ordine; tuttavia si specificava chiaramente che tali ministeri erano riservati agli uomini, “secondo la veneranda tradizione della chiesa latina”.

Un po’ più recente l’istituzione dei “ministri straordinari dell’Eucaristia”: con prerogative non molto diverse da quelle degli accoliti, questi possono essere anche donne. E di fatto sono più spesso donne che uomini. Un passo avanti, forse? Certo però la dichiarata ‘straordinarietà’ sembra messa lì a ricordare che si tratta di un’eccezione, di una supplenza..., di qualcosa che normalmente non dovrebbe esserci.

A parte i servizi non liturgici ma fondamentali, come la catechesi dei fanciulli, quasi interamente femminile, e le varie attività organizzative e caritative della parrocchia, le letture nella Messa vengono proclamate più spesso da donne che da uomini; ma si tratta sempre e comunque di un ministero di fatto, che in teoria sarebbe da autorizzare caso per caso, anche se poi, di solito, l’autorizzazione viene presunta.

Il Concilio e l’incompiuta apertura

Il problema dell’accesso femminile ai ministeri è diventato di attualità nella Chiesa nell’immediato post-concilio, nel fervore di dibattito che caratterizzò quell’epoca feconda e rimpianta della storia della Chiesa. Il Vaticano II aveva mostrato una notevole apertura sulle questioni che maggiormente sembravano concernere il problema della donna in generale e della donna nella Chiesa in particolare. Sulle questioni più specifiche e sul problema dei ministeri i documenti conciliari erano generici fino alla reticenza, ma senza chiusure di principio. Ciò autorizzava a sperare nel superamento, non proprio immediato ma neppure troppo lontano, di certe innegabili contraddizioni che persistevano sul piano disciplinare. Inoltre altre chiese cristiane avevano cominciato da qualche anno, certo non senza resistenze anche aspre, a riconsiderare e a superare gradualmente il problema dell’esclusione (a nostra conoscenza, la chiesa luterana svedese fu la prima ad ammettere donne al pastorato, nel 1958)

.Una chiusura fragile

Nel decennio che seguì il Concilio, il dibattito in proposito fu intenso. La Chiesa ufficiale mantenne però una posizione di cautela e di sostanziale chiusura sempre più netta, che culminò - volendo chiudere la questione una volta per sempre - nella dichiarazione vaticana Inter insigniores, che è della fine del 1976, ma resa pubblica nel 1977.

In questo documento l’esclusione delle donne dal ministero ordinato veniva ribadita con caratteri di definitività vagamente ‘infallibilista’, ma anche con un significativo mutamento di argomentazione, che ci sembra importante poiché dimostra che l’esclusione è un fatto storico-sociologico in divenire e non un fatto teologico-sacramentale. Non si dice più, come affermava Tommaso d’Aquino, che la donna è per natura inferiore all’uomo e quindi esclusa per volere divino da ogni funzione implicante autorità; si richiama invece l’ininterrotta tradizione della Chiesa (che è evidente, ma è anche evidentissimo portato della storia e delle culture) e soprattutto la maschilità dell’uomo Gesù di Nazaret, da cui deriverebbe la congruenza simbolica della maschilità del prete che, presiedendo l’assemblea, agisce in persona Christi.

Quest’ultimo argomento fragile e sconveniente è stato lasciato cadere, infatti, nei pronunciamenti successivi: questi si rifanno solo alla tradizione della Chiesa e a quella che viene indicata come l’esplicita volontà di Gesù manifestata dalla sua prassi.

Anche questo argomento non funziona. Gesù, che non mostra alcun interesse di tipo ‘istituzionale’, alle donne accorda, con naturalezza, una piena parità nel gruppo dei suoi seguaci. Sembra insieme scorretto e pleonastico dire che “non ha ordinato nessuna donna”, dal momento che, semplicemente, non ha ordinato nessuno. Non vi è sacerdozio nella sua comunità, ma servizio e testimonianza, diakonìa non formalizzata - eppure rispondente a una chiamata precisa - che, prima di essere attività, è opzione fondamentale, stile di vita, sull’esempio di Gesù stesso “venuto per servire”.

Nel Nuovo Testamento di sacerdozio si può parlare solo in riferimento al sacerdozio universale dei fedeli (cfr 1 Pt 2,9; Ap 1,6), negli ultimi decenni tanto rispettato a parole quanto sfuggente e ininfluente nel concreto del vissuto ecclesiale; oppure in riferimento all’unico sacerdote della Nuova Alleanza - sacerdote nel senso di mediatore fra Dio e gli esseri umani -, Gesù di Nazaret (cfr Ebr 9), il quale nella società religiosa era un laico, oltretutto in rapporti abbastanza conflittuali con il sacerdozio del suo tempo.

Un’esclusione che interpella tutti

Vi sono due fatti, molto modesti ma significativi, che aiutano a tenere viva la speranza. Il primo, che i pronunciamenti dell’autorità ecclesiastica volti a chiudere ‘definitivamente’ la questione sono diventati abbastanza ricorrenti, il che dimostra che non è poi tanto facile chiuderla. Il dibattito è aperto e procede. Il secondo, che l’argomentazione teologica sembra cambiata ancora: felicemente sepolto l’infelicissimo argomento della coerenza simbolica, già pilastro dell’Inter insigniores, si richiama solo la prassi ininterrotta della chiesa romana e sempre più spesso si sente riconoscere, anche dalle voci più autorevoli, che contro l’ordinazione delle donne non ci si può appellare a ragioni biblico-teologiche.

No, non si tratta di banali rivendicazioni. L’esclusione interpella tutti: nessuna/nessun credente adulto può disinteressarsi di questo problema chiave finché le donne nella chiesa non avranno di fatto le stesse possibilità degli uomini, la stessa dignità di rappresentanza.

E’ necessario ricordare che vi sono donne cattoliche di alto valore e seriamente impegnate - tra loro anche alcune teologhe - che a una domanda precisa sul problema dei ministeri istituiti rispondono o risponderebbero più o meno così: no grazie, il sacerdozio così com’è proprio non ci interessa. E’ un atteggiamento che merita rispetto: almeno in quanto manifesta il timore che insistere troppo sul tema dell’ordinazione induca ad accentuare l’importanza dei ministri ordinati nella Chiesa (mentre sarebbe urgente semmai ridurre quell’importanza, insomma ‘declericalizzare’).

Ma dobbiamo ricordare che il “sacerdozio così com’è”, nella storia e nella mentalità corrente, si fonda proprio sulla ‘separazione’, sullo spirito di casta, sul sospetto previo e sul rifiuto nei confronti della donna, che nella chiesa di Roma si esprime in una doppia modalità: l’esclusione delle donne dalle funzioni di culto, di governo e di magistero, è parallela all’obbligo istituzionale di essere “senza donna” per coloro che le esercitano. Il divieto per le donne di essere ministri ordinati el’obbligo per i ministri ordinati di restare celibi sembrano due problemi ben distinti, mentre sono congiunti alla radice. E ormai sappiamo che potranno giungere a soluzione solo insieme.

Segno dei tempi, certo. Segno di trasformazione, segno contraddittorio, segno incompleto, proprio come il tempo in cui viviamo. Per quanto riguarda la chiesa cattolica, però, non solo segno, ma indice di autenticità. Non temiamo di dire che sulla questione dei ministeri, che solo a uno sguardo superficiale o ideologico può apparire circoscritta, si gioca il futuro della chiesa.

Lilia Sebastiani

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Commenti Articolo 880

Titolo articolo : Se Dante è razzista lo sono anch'io,di Renata Rusca Zargar

Ultimo aggiornamento: March/20/2012 - 15:33:13.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/3/2012 15.33
Titolo:LA COMMEDIA E' LA COMMEDIA DI "ADAMO", DELL'UMANITA' INTERA
LA COMMEDIA E' LA COMMEDIA DI "ADAMO", DELL'UMANITA' INTERA, (DI OGNUNO E DI OGNUNA DI NOI ...

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La Commedia di ognuno di noi

di Carlo Ossola (Il Sole -24 Ore, 18 marzo 2012)

Siamo stati formati dalla critica a pensare alla Divina Commedia come «viaggio a Beatrice» (così suona il titolo del celebre saggio di Charles S. Singleton, Journey to Beatrice, 1958). Il fedele d’Amore mantiene la promessa che chiudeva la Vita nova: «Appresso questo sonetto apparve a me una mirabile visione, ne la quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei». Beatrice appare nel Paradiso Terrestre, al sommo della montagna del Purgatorio, ivi trionfa e ivi nomina, per la prima volta nella Commedia, Dante: «Quando mi volsi al suon del nome mio, / che di necessità qui si registra» (Purg., XXX, 62-63). La teoria romantica che da Rossetti a Gourmont ha ispirato la lettura del poema trova qui il suo sigillo.

Ma molti ostacoli presenta tuttavia una lettura siffatta: il primo ed evidente è che Dante si fa lì nominare per essere aspramente rimproverato da Beatrice: «Dante, perché Virgilio se ne vada, / non pianger anco, non piangere ancora; / ché pianger ti conven per altra spada» (Purg., XXX, 55-57). Anche a voler ammettere che Dante si pieghi a un gesto di umiltà, e poi ascenda gloriosamente con Beatrice al Paradiso, sul più bello - come si dice in maniera colorita ma calzante - Dante si fa poi abbandonare da Beatrice: «Uno intendëa, e altro mi rispuose: / credea veder Beatrice e vidi un sene / vestito con le genti glorïose» (Par., XXXI, 58-60).

La guida al mistero e alla visione finale sarà san Bernardo: su questo "transito" Jorge Luis Borges ha scritto pagine finissime e non resta che rinviare ai suoi Nove saggi danteschi. L’ipotesi romantica rimane monca e toglie anzi grandezza al «poema sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra» (Par., XXV, 1-2), toglie spessore alla lettura allegorica del testo che Dante difende spiegando, nell’Epistola a Cangrande, e citando nel poema il salmo In exitu Isräel de Aegypto (Purg., II, 46).

Occorre prendere sul serio il testo e ritornare a una ipotesi già avanzata dal Boccaccio e dai primi commentatori e ripresa nel Novecento da Ezra Pound: «In un senso ulteriore è il viaggio dell’intelletto di Dante attraverso quegli stati d’animo in cui gli uomini, di ogni sorta e condizione, permangono prima della loro morte; inoltre Dante, o intelletto di Dante, può significare "Ognuno", cioè "Umanità", per cui il suo viaggio diviene il simbolo della lotta dell’umanità nell’ascesa fuor dall’ignoranza verso la chiara luce della filosofia» (E. Pound, Dante, in Lo spirito romanzo, 1910). Se il protagonista del viaggio è «Everyman», non è più necessario attribuire a Dante viator l’esperienza eccezionale di una visione mistica, ma di riconoscere in lui il volto di Ognuno: per questo «la Commedia di Dante è, di fatto, una grande sacra rappresentazione, o meglio, un intero ciclo di sacre rappresentazioni» (ivi).

La lettura di Pound incontra, dicevamo, la chiosa che il Boccaccio propone sin dall’apertura delle sue Esposizioni sopra la Comedia di Dante, estrema opera della sua vita, suggerendo che non solo da Beatrice Dante si faccia nominare, ma soprattutto da Adamo al sommo del Paradiso: «L’altra persona, alla quale nominar si fa, è Adamo, nostro primo padre, al quale fu conceduto da Dio di nominare tutte le cose create; e perché si crede lui averle degnamente nominate, volle Dante, essendo da lui nominato, mostrare che degnamente quel nome imposto gli fosse, con la testimonianza di Adamo; la qual cosa fa nel canto XXVI del Paradiso, là dove Adamo gli dice: "Dante, la voglia tua discerno meglio", eccetera».

Ora precisamente Boccaccio adotta una lezione, per Par., XXVI, 104, trádita dai più antichi codici (il Landiano, 1336, il Trivulziano, 1337, e molti altri) e confermata dagli antichi commentatori, da Pietro Alighieri, alle Chiose ambrosiane, a Francesco da Buti; lezione che cambia profondamente il senso del poema, poiché ora - nominato da Adamo - Dante non è più solo il fedele d’Amore, ma è il «novello Adamo» di un’umanità redenta, come riassume, nel suo commento, Pietro Alighieri e, con raffinata pertinenza, ribadiscono le «Chiose ambrosiane» (da situare intorno al 1355; traduco dal bel latino): «Dante - Qui il poeta si fa nominare dal primo uomo che impose il nome a tutte le cose e senza quella excusatio alla quale ebbe a ricorrere nel Purgatorio ove disse: "Che de necessità qui se registra". Nota quindi che il poeta mai volle essere nominato nell’Inferno, e neppure nel Purgatorio nei luoghi ove si purgano i vizi, ma concesse di farsi nominare fuori dalle cornici dei vizi, sebbene dovendosi scusare (tamen cum excusatione). Ma in Paradiso senza doversi scusare, come appunto qui - essendo l’opera ormai quasi compiuta - e dopo che, esaminato, aveva fatto professione delle virtù teologali».

Quando parallelamente si osservi il comportamento di Boccaccio copista, in particolare nell’esemplare «Chigiano L VI 213 (= Chig), di mano del Boccaccio, che lo trascrisse non molto avanti la nomina a lettore di Dante, nell’agosto del 1373» (G. Petrocchi, I testi del Boccaccio, in La Commedia secondo l’antica vulgata), si dovrà concludere che anche lì un codice Chig «il quale si impone sugli altri con la qualifica di edizione ultima e definitiva del testo dantesco» (Petrocchi) mantiene la lezione «Dante, la tua voglia discerno meglio» (nel ms. a p. 330; ringrazio di cuore Rudy Abardo per il prezioso riscontro filologico e Marisa Boschi Rotiroti per la sollecitudine) con perfetta coerenza alle ragioni enunciate nelle contigue Esposizioni.

Si tratta dunque di ritornare alle origini, non solo agli autorevolissimi manoscritti che inscrivono: «Dante» o «da- te» e non «da te» (lezione minoritaria), come ha adottato il Petrocchi e con lui - snervando il vigore del testo - le edizioni moderne della Commedia («Indi spirò: "Sanz’essermi proferta / da te, la voglia tua discerno meglio"»); e di riconoscere che - nell’eliminare Dante nominato da Adamo - non si è fatta solo una "rimozione" a favore di una lettura meramente amorosa del poema, ma si è privato il testo stesso di quella grandiosa e universale coralità che Dante voleva conferire al proprio viaggio. Poiché, qui, Dante non è più il poeta della Vita nova, ma l’autore del «poema sacro»; egli è ormai, e per sempre, Everyman, il "novello Adamo" dell’umanità redenta, sì che dal «padre antico» (Par., XXVI, 92) possa ricevere la più alta consacrazione.

Occorre insomma pensare alla Commedia, come a «l’albero che vive de la cima» (Par., XVIII, 29); che si compie nella "nuova Genesi" del Paradiso di Gloria, come ben vide Giovanni Getto, sin dal 1947, sottolineando «cotesto epos della vita interiore come esultanza delle spirito elevato verso le cime vertiginose della partecipazione al Dio della gloria e dell’eterno» (Poesia e teologia nel «Paradiso» di Dante, in Aspetti della poesia di Dante); ma anche come partecipazione dell’umanità tutta alla speranza della Resurrezione della carne della storia e dei corpi, che ansiosamente i beati in Paradiso attendono («Come la carne glorïosa e santa / fia rivestita, la nostra persona / più grata fia per esser tutta quanta», Par., XIV, 43-45).

Così dunque, in questa quotidiana coralità di Everyman, è da proporre al XXI secolo la Divina Commedia, bene comune non dell’Italia soltanto, ma dell’umanità intera; e sempre così è stata intesa, dai primi commentatori al Boccaccio, come il poema al quale bussare e attingere per avere accoglienza, ospitalità, conforto. Lo testimonia ancora, al portale di un palazzo di Cannaregio il battente dantesco, e i tanti uomini che in nome di Dante, e leggendo il suo poema, hanno sfidato la barbarie, da Osip Mandel’štam a Primo Levi. Ogni giorno, Dante è davvero tutti noi.

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Titolo articolo : UNA CAPPELLA SISTINA, CON IL PRIMO E L’ULTIMO PROFETA E 12 SIBILLE A CONTURSI TERME (SA) NELLA CHIESA DI MARIA SS. DEL CARMINE L'ULTIMO MESSAGGIO RINASCIMENTALE.,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/19/2012 - 22:55:08.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/3/2012 21.21
Titolo:RELIGIONI IN ANALISI. Le donne ancora streghe ...
Per un 8 marzo nella Chiesa

di Comité de la Jupe

in "www.comitedelajupe.fr" del 7 marzo 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Buona festa a voi, donne della Chiesa, in questo 8 marzo 2012, giornata internazionale delle donne! Attraverso una serie di contributi diversi, il Comité de la Jupe denuncia fermamente la dominazione maschile in una istituzione che costantemente umilia la metà dell'umanità. "Il Comité de la Jupe ha già ampiamente denunciato, da un lato la discriminazione fobica di cui sono vittime le ragazze e le donne nella liturgia - anche per la predicazione e per l'accesso al ministero ordinato - dall'altro il tentativo di dominio sul corpo delle donne che l'istituzione perpetua giudicando l'esercizio della sessualità e demonizzando la teoria del genere.

È urgente proseguire, denunciando, ad esempio:
un linguaggio che, in buona coscienza, impone il maschile come definizione di tutto l'umano;
l'uso ricorrente del singolare "la donna" come se esistesse un modello unico;
l'esaltazione di una figura mariana eterea, vergine e condiscendente a tutto ciò che viene dal modello paterno clericale;
il quasi generale dominio degli ordini religiosi monastici maschili sulle branche femminili.
Sì, la Chiesa non fa meglio degli altri: ha le sue proletarie, quelle "manine laboriose", quelle domestiche per tutti i servizi, quel corpo che non vuole vedere. Il suo corpo che offende ogni giorno.
Allora, donne e uomini, apriamo gli occhi, curiamo la nostra Chiesa denunciando quello che le fa male. La nostra parola - la sua - non le fa che bene." (Anne Soupa)

"Un giorno un vescovo mi confidava quanto le donne nella vita politica avessero difficoltà nel conquistarsi uno spazio. Lo deplorava sinceramente. Maliziosamente, gli ho fatto notare che, almeno, anche se è difficile, nella società civile le donne potevano essere ministri! La mia riflessione lo ha lasciato senza parole! La Chiesa cattolica romana si priva così di tesori di fede, di energia, di competenza, escludendo le donne dai ministeri ordinati. Essa giustifica così una visione del femminile che non può che essere in posizione di ricezione e non di iniziativa, una visione del femminile che non può rappresentare l'iniziativa di Dio. Così facendo, e benché il discorso ufficiale lo neghi, essa giustifica, nei fatti, un posto di second'ordine per le donne. Quando usciremo da questo immobilismo?" (Sr. Michèle Jeunet, rc)

"Padre Moingt, in un articolo su Etudes, esprimeva la preoccupazione per la disaffezione delle donne rispetto alla Chiesa, allontanate dagli altari e umiliate. È ancora peggio. Tristezza fondamentale nel constatare che il dominio maschile è onnipresente e che è peggiore nella religione, perché viene fondato su giustificazioni teologiche che fanno passare le discriminazioni per volontà divina. La tendenza recente di affidare ai soli uomini o ragazzi maschi le letture liturgiche mi sembra un provvedimento inverosimile: ingiustizia enorme nei confronti delle donne e cieca di fronte al modo di funzionare delle società moderne. Oggi, la pratica religiosa si accompagna troppo spesso per me ad un sentimento di alienazione. Esperienza quanto mai dolorosa!" (Sylvie)

"Trent'anni fa, infastidita dai singolari su "La" Donna e la sua vocazione, avevo scritto un articolo"Donne e Chiesa: un amore difficile!". A distanza di trent'anni, dopo che molte mie contemporanee hanno lasciato la Chiesa in punta di piedi, dovrei scrivere: "Donne e Chiesa: un disamore consumato." Emorragia annunciata, proposta fatta di istituzionalizzare i servizi delle donne nella Chiesa: donne cappellane, diaconesse, e perché no, preti. Un sistema obsoleto, unito ad un discorso unisex sulla sessualità, è tuttavia continuato. Delle teologhe come France Quéré hanno allora spalancato la porta di una parola sul ruolo decisivo delle donne bibliche nella Rivelazione, non guardiane di un Tempio intoccabile, ma vettori irrinunciabili della Speranza cristiana in un mondo in trasformazione. Al fiat di Maria "celestificata" ad vitam, successe la valorizzazione di Maria radicata, contestatrice dell'ordine stabilito maschile, che ha visto la miseria di un popolo maltrattato dai superbi. Le nuove tecnologie dell'informazione svolgeranno un ruolo per il riconoscimento della dignità delle donne nella Chiesa cattolica, importante quanto quello svolto nelle recenti primavere di popoli asserviti." (Blandine)

"Parlare dell'ordinazione delle donne resta un tabù nella Chiesa cattolica, e il prendere ufficialmente posizione a suo favore viene minacciato di scomunica. Per la Chiesa cattolica, il prete è un "altro Cristo". Riflettiamo un po' su questo...
Non siamo tutti chiamati ad essere "configurati a Cristo" secondo l'espressione di Paolo?
Noi confessiamo, seguendo gli apostoli, che Dio si è fatto "uomo". Ma la parola usata è "umano" e non "maschio"... Incarnandosi, Dio ha optato per il maschile, piegandosi alle convenienze del suo tempo per poter essere ascoltato.
Non è lo Spirito Santo che consacra il pane e il vino delle nostre tavole eucaristiche?
La donna resterà sempre quell'essere incompleto, inferiore, tentatore ed impuro?" (Claude)

"Nella mia vita professionale, familiare, cittadina, posso far sentire la mia voce e pesare sulle decisioni. Nella Chiesa, sono doppiamente muta ed impotente poiché laica e donna. Eppure si può essere cattolica e femminista. Ma perché restare in questa Chiesa il cui discorso ufficiale mi glorifica per meglio togliermi la parola?

Perché, come la Samaritana, voglio avvicinarmi il più possibile e bere alla sorgente che disseta per sempre. Perché essere vicini a Cristo è possibile, senza la mediazione delle pompe, dell'organo, dell'incenso e del latino, dei riti e dei divieti, ma attraverso la preghiera e l'incontro dei miei fratelli e delle mie sorelle nella Chiesa.
Ecco quello che fa paura al clero: perdere il potere che conferisce loro lo statuto che si sono concessi (malgrado l'insegnamento di Cristo) di mediatori, soli atti a veicolare il "sacro" nei due sensi...
L'intrusione delle donne - del femminile - nell'edificio lo farà andare in frantumi. Da Maria Maddalena a santa Teresa di Lisieux, in tutta la storia della Chiesa, delle donne - e degli uomini come san Francesco d'Assisi! - hanno fatto sentire la loro musica delicata: un incontro è possibile e questo incontro passa dal cuore." (Françoise)

"Il magistero cattolico maschile, quasi muto sugli uomini (maschi), affronta la "differenza dei sessi" solo attraverso le donne. Questo non è estraneo al fatto che sono degli uomini a definire la natura delle donne. Loro sono i soggetti della dottrina, e le donne gli oggetti. Della loro natura maschile non parlano. Senza dubbio la identificano alla natura umana. Gli uomini (vir) si identificano agli uomini (homo), all'universale, al neutro, al prototipo, mentre assegnano le donne alla particolarità, alla specificità, alla differenza.

Che cos'è il genere? I documenti romani lo manifestano: uomini investiti dell'autorità dicono alle donne chi esse sono e quali rapporti devono intrattenere con gli uomini. Il genere quindi è un rapporto di potere che si costruisce nello stesso tempo in cui costruisce i suoi due termini." (Gonzague JD)

"La frase infelice del cardinal Vingt-Trois che ha provocato la nascita del Comité de la Jupe non era un increscioso incidente. Era, nel senso psicanalitico del termine, una parola involontaria. Svela non la misoginia dell'uomo, ma quella di un'istituzione che è in una fase di ripiegamento. Nel fenomeno di "restaurazione" al quale assistiamo oggi nella Chiesa cattolica, le donne sono le prime vittime: le si rimette "al loro posto", quello "di ausiliaria di vita" della solo metà dell'umanità che conta, la metà maschile che si prende per il tutto.

In questo 8 marzo, noi donne cattoliche possiamo dare l'allarme. Quando delle società o delle istituzioni sono in crisi, le donne ci rimettono per prime. L'emancipazione delle donne nelle nostre società occidentali è un bene prezioso ma ancora fragile; il rischio di "restaurazione patriarcale" è reale per l'insieme della società. Queste circostanze invitano alla vigilanza e alla solidarietà di tutte le donne e anche degli uomini che considerano come un ottimo bene che le donne siano loro contemporanee sulla base di parità." (Christine Pedotti)

"Buona festa a voi, sì, a voi, donne della Chiesa. Quelle che hanno seguito gli stessi incontri di catechismo di tutti gli altri bambini. Quelle che hanno detto sì, a un uomo o a una vita consacrata a Dio. Quelle che hanno portato un figlio o una figlia al fonte battesimale, come madre o come madrina. Buona festa a voi che tornate ogni giorno, ogni settimana, ogni domenica, per accompagnare, studiare, condividere, organizzare, informare, pulire, benedire, ornare di fiori, insegnare, cantare, preparare, lodare, predicare, pregare, meditare, tenere per mano, sollevare la testa... Buona festa a voi tutte, che siete Chiesa, che fate la Chiesa..." (Estelle Roure)

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8 marzo 2012, ancora streghe

di Giancarla Codrignani (Adista - Segni Nuovi, - n. 10, 10 marzo 2012)

A Bologna, un islamico osservante ha sentito «impuro» il proprio rapporto con una donna cristianoortodossa e ha tentato di decapitarla «come Abramo fece con Isacco» (la donna, un'u-craina di 45 anni, se la scampa, rischia di ritrovarsi paraplegica). Non è solo un caso di fondamentalismo maniacale. In questi giorni, si apre a Palmi un processo di stupro che testimonia il persistere italico della maledizione di Eva: a San Martino di Taurianova una bambina di 12 anni (che oggi ne ha 24 e vive sotto protezione perché alcuni dei persecutori che ha denunciato erano mafiosi) per anni è stata considerata da tutto il paese la colpevole degli stupri di gruppo, delle violenze e dei ricatti subiti e anche il parroco a cui aveva tentato di confidarsi giudicava peccatrice una dodicenne violata che solo la penitenza poteva redimere.

Sembra incredibile, ma nella santità delle religioni albergano tabù ancestrali che gli studi antropologici e le secolarizzazioni non sono riusciti a eliminare. Sono i tabù peggiori perché responsabili dei pregiudizi sessuofobici e misogini che, sacralizzati, hanno prodotto, nel nome di dio, discriminazioni e violenze.

Nel terzo millennio le religioni dovrebbero andare in analisi e domandarsi quanto la sessuofobia e la misoginia insidino nel profondo la loro possibilità di futuro. Il concetto di "purezza" che ha represso, nell'ipocrisia mercantile e proprietaria dei valori familiari, milioni di ragazze non è nato certo dalla scelta delle donne. Alla Lucy delle origini, mestruata e responsabile della riproduzione, non sarebbe mai venuto in mente di sentirsi sporca o colpevole. Forse percepiva già come colpa, certo non sua, la violenza che connotava la bassa qualità di molte prestazioni maschili. Tanto meno, quando si fosse inventato il diritto, avrebbe distinto i "suoi" figli in legittimi o illegittimi.

Eppure si continua a credere che la mestruata faccia ingiallire le foglie e inacidire il latte; in Africa, in "quei giorni", è confinata in capanne speciali per non contaminare le case; a Roma Paolo la voleva velata e zittita, mentre i papi, forse senza sapere perché, le hanno vietato di consacrare. Siamo ancora qui, a fare conti sul puro e l'impuro e a ripetere il capro espiatorio nel corpo di qualche altro Isacco per volere di qualche Abramo che credeva di interpretare Dio, di qualche altra Ifigenia proprietà di Agamennone padrone della sua morte.

Noi donne non siamo certo migliori degli uomini, ma nelle società maschili permangono residui di paure che neppure Darwin ha fatto sparire. I responsabili delle religioni che intendono salvare la fede per le generazioni future debbono purificarle dalle ombre del sacro antropologico: il papa cattolico deve non condannare, bensì accogliere come servizio di verità nelle scuole un'educazione sessuale che dia valore all'affettività non solo biologica delle relazioni fra i generi e al rispetto delle diverse tendenze sessuali; l'islam che fa imparare a memoria fin da piccoli le sure del Corano, si deve rendere conto che i tabù violenti producono strani effetti se un uomo si sente un dio punitore davanti a donne-Isacco; i rabbini dovrebbero fare i conti con Levi Strauss e smettere di chiedere autobus separati per genere e di insultare le bambine non velate; in Cina e in India non si deve perpetuare l'insignificanza femminile trasferendo gli infanticidi delle neonate alla "scelta" ecografica, mortale solo per le bimbe. Sono tutte scelte di morte. Per ragioni di genere.

Ma, se la responsabilità delle religioni monoteiste è particolarmente grave per l'immagine anche non raffigurata di una divinità di fatto maschile, più precisa è quella dei cristiani. Si è detto infinite volte: perché il nostro clero, ancora così pronto a chiedere cerimonie riparatrici per spettacoli che non ha visto, non pensa ad evangelizzare i maschi invece di sospettare costantemente peccati di cui non può essere giudice, condannato com'è al masochismo celibatario per paura della purezza originaria della sessualità umana?

C'è un salto logico - certamente non illogico per le donne che stanno leggendo i pezzi sull'8 marzo ma anche la società civile persevera troppo nel negare rispetto al corpo delle donne: i tre caporali del 33esimo reggimento Acqui indagati per lo stupro di Pizzoli (L'Aquila) sono rientrati in servizio nei servizi di pattugliamento del centro storico nell'ambito dell'operazione "Strade Sicure"...
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/3/2012 19.43
Titolo:Gesù, il Figlio della "Sacra Unione di fatto" ...
La Sacra Unione di fatto

di Enzo Mazzi *

«Sacra Unione di Fatto», questa è la giusta definizione del modello cristianamente perfetto di ogni famiglia, incarnato da quella che tradizionalmente viene chiamata "Sacra Famiglia". Potrebbe sembrare una battuta spiritosa e dissacrante. È invece una reale contraddizione teologica irrisolta che il cristianesimo si porta dietro da quando è divenuto religione dell'Impero. Costantino si convertì al cristianesimo ma al tempo stesso il cristianesimo si convertì a Costantino. La nuova religione dovette cioè farsi carico della stabilità dell'Impero accettando di sacralizzarne alcuni capisaldi e fra questi proprio la famiglia. Fu un compromesso fatale.

Il cristianesimo non era nato per difendere la famiglia. Anzi all'inizio fu un movimento di superamento del concetto patriarcale di famiglia. La cultura e la teologia predominanti nella esperienza da cui sono nati i Vangeli è di un "radicalismo etico", quasi una rivoluzione, che si propone di oltrepassare la cultura e la teologia tradizionali: «Vi è stato detto..., io invece vi dico... » afferma Gesù in contraddittorio con sacerdoti, scribi, farisei. «Si trattò all'inizio di un movimento di contestazione culturale e di abbandono delle strutture della società» (G. Theissen, La religione dei primi cristiani, Claudiana, 2004).

Basta pensare alla reazione di Gesù, in un episodio del Vangelo di Matteo: «Ecco là fuori tua madre e i tuoi fratelli che vogliono parlarti. Ed egli, rispondendo a chi lo informava, disse: "E chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?". Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: "Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre"».

Un orizzonte nuovo di valori universali si apre in realtà nel Vangelo col superamento del concetto patriarcale di famiglia: da tale oltrepassamento nasce la comunità cristiana, la nuova famiglia, "senza padre" o meglio con un solo padre «quello che è nei cieli». «Nessuno sia tra voi né padre né maestro... » dice infatti Gesù. Se è vero che «la realizzazione pratica dell'ethos del diritto naturale non è possibile senza la vita della grazia», come ha sostenuto di recente il teologo della Casa pontificia, Wojciech Giertych al Congresso internazionale sul diritto naturale promosso dall'Università del papa, la Lateranense, se cioè bisogna rivolgersi alle scelte della grazia di Dio per sapere che cos'è la natura, allora bisogna concludere che Dio privilegia "l'unione di fatto" e non la famiglia.

Insomma per dirla con parole semplici prima viene l'amore, l'unione, la solidarietà e poi viene il patto, la legge, il codice. Questa sembra l'essenza più profonda della natura umana. Lo dice plasticamente il Vangelo: «Il sabato (cioè la norma) è fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato». Il compromesso con l'Impero portò alla attenuazione se non al fatale capovolgimento di un tale etos evangelico.

È questa una intrigante contraddizione per le gerarchie ecclesiastiche del "Non possumus" e della rigida Nota anti-Dico, per i preti, i cattolici e i laici del Family-day.

Una traccia vistosa e significativa di tale contraddizione si trova ancora oggi nel celibato dei preti, religiosi e religiose. Il dogma cattolico mentre considera biblicamente il matrimonio come «segno sacro dell'Alleanza nuova compiuta dal Figlio di Dio, Gesù Cristo, con la sua sposa, la Chiesa», d'altro lato ha bisogno di un segno opposto e cioè la verginità e il celibato per significare «l'assoluto primato dell'amore di Cristo» (cf. Compendio del Catechismo 340-342).

Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 338 pone la domanda: «Per quali fini Dio ha istituito il Matrimonio?». La risposta è questa: «L'unione matrimoniale dell'uomo e della donna, fondata e strutturata con leggi proprie dal Creatore, per sua natura è ordinata alla comunione e al bene dei coniugi e alla generazione ed educazione dei figli». Il fine della "generazione/procreazione" fa parte strutturale della natura del matrimonio. Se esclude il fine della procreazione il patto matrimoniale è nullo.

Al n. 344 e 345 lo stesso Catechismo dice: «Che cosa è il consenso matrimoniale? Il consenso matrimoniale è la volontà, espressa da un uomo e da una donna, di donarsi mutuamente e definitivamente, allo scopo di vivere un'alleanza di amore fedele e fecondo... In ogni caso, è essenziale che i coniugi non escludano l'accettazione dei fini e delle proprietà essenziali del Matrimonio».

Addirittura al n. 347, il rifiuto della fecondità viene additato come peccato gravemente contrario al Sacramento del matrimonio: «Quali sono i peccati gravemente contrari al Sacramento del Matrimonio? Essi sono: l'adulterio; la poligamia, in quanto contraddice la pari dignità tra l'uomo e la donna, l'unicità e l'esclusività dell'amore coniugale; il rifiuto della fecondità, che priva la vita coniugale del dono dei figli; e il divorzio, che contravviene all'indissolubilità».

La contraddizione si avviluppa su se stessa e si incattivisce: Maria e Giuseppe escludendo dal loro matrimonio la fecondità naturale, per amore della verginità di Maria, secondo il Catechismo cattolico compiono un grave peccato.

Il Diritto Canonico conferma il dogma in modo apodottico in vari canoni. Specialmente il canone 1101 sancisce che è nullo il matrimonio di chi nel contrarlo «esclude con un positivo atto di volontà» la procreazione.

È in base a queste enunciazioni dogmatiche e normative che il Tribunale della Sacra Rota emette quasi ogni giorno dichiarazioni di nullità del matrimonio, perché anche uno solo degli sposi può provare di aver escluso per sempre la procreazione al momento del consenso matrimoniale.

I cattolici che si battono per la difesa e la valorizzazione della "famiglia naturale" e si preparano addirittura a scendere in piazza per scongiurare il riconoscimento delle unioni di fatto e l'approvazione dei Dico molto probabilmente non hanno mai riflettuto su queste contraddizioni, non le conoscono o le allontanano dalla loro coscienza e dall'orizzonte della loro fede. Esse invece sono invece parte integrante della stessa fede. Vediamo meglio perché.

Il Vangelo di Matteo racconta che «Giuseppe, come gli aveva ordinato l'angelo del Signore, prese in sposa Maria che era incinta ed ella, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù». Il dogma cattolico aggiunge che Maria aveva consacrato in perpetuo la sua verginità al Signore e quindi nello sposare Giuseppe aveva escluso in maniera assoluta la procreazione, essendo Giuseppe pienamente consenziente con tale esclusione. "Maria sempre vergine", nell'intenzione e nei fatti.

Così dice il dogma. Chi lo nega è eretico. Ma con questa esclusione positiva ed assoluta della prole, per lo stesso dogma cattolico e per il Diritto Canonico il matrimonio di Maria con Giuseppe è invalido.

Maria e Giuseppe erano una coppia di fatto che oggi il Diritto Canonico non può riconoscere come vero matrimonio. Dio nel momento in cui decide di farsi uomo sceglie di crescere e di essere educato da una coppia, Maria e Giuseppe, che per il dogma e per il Diritto cattolico era unita di fatto in un matrimonio non valido e quindi non era vera famiglia: era appunto una Sacra Unione di fatto.

Dietro una spinta così forte proveniente del Vangelo, da anni ci siamo impegnati, come tanti altri, e con forti conflitti, a immedesimarsi nelle discariche umane prodotte nella "città delle famiglie normali". E lì abbiamo trovato bambini abbandonati per l'onore del sangue, ragazze madri demonizzate e lasciate nella solitudine più nera, handicappati rifiutati, carcerati privati della parentela, gay senza speranza, coppie prive di dignità perché fuori della norma, minori violentati dai genitori, mogli stuprate dietro il paravento del "debito coniugale".

La "misericordia" del Vangelo ci ha imposto di non demonizzare anzi di accogliere la ricerca di forme di convivenza meno distruttive. Per purificare lo stesso matrimonio, non certo per distruggerlo. Quei bambini abbandonati, quelle ragazze madri, quegli handicappati, quei carcerati, quei gay, quelle vittime di violenze intrafamiliari, hanno avuto bisogno di "unioni di fatto", magari cosiddette "case famiglia", che se ne facessero carico. Poi anche le famiglie si sono aperte alle adozioni e agli affidamenti. Ma la breccia è stata aperta da "unioni di fatto".

Fine della famiglia tribale e delle sue discariche? Macché. Nuove emergenze incombono. La competizione globale, questa guerra di tutti contro tutti, riporta a galla il bisogno di mura. Il mondo del privilegio non accetta la condivisione e non ne conosce le strade se non nella forma antica della elemosina che oggi è confusa impropriamente con la solidarietà; conosce molto bene però l'arte dell'arroccamento. E di questo bisogno di blindatura approfittano i crociati della famiglia.

Guardando bene al fondo, in nome di che si ricacciano in mare gli extra-comunitari? Sono estranei alla nostra famiglia e alla nostra famiglia di famiglie. La difesa a oltranza della famiglia canonica oggi è fonte di esclusione verso i dannati della terra. L'opposizione al riconoscimento delle nuove forme di solidarietà è nel profondo radice di violenza verso gli esclusi. La crociata contro le famiglie di fatto oggettivamente è egoista, oltre i bei gesti e le belle parole e oltre le stesse intenzioni, al di là delle apparenze. Non basta difendere la famiglia naturale. Bisogna ancora una volta guarirla.

È necessario riscoprire il primato dell'amore e della solidarietà oltre i confini di razza, etnia, famiglia, quell'amore responsabile e quella solidarietà piena che sono sacre in radice e rendono sacro ogni rapporto in cui si incarnano. Bisogna ritrovare le strade dell'apertura planetaria della famiglia, di una famiglia purificata e guarita, già annunciate dal Vangelo, nelle attuali esperienze delle giovani generazione e dei nuovi soggetti, con prudenza creativa, senza nascondersi limiti e pericoli, ma anche senza distruttive demonizzazioni.

* l'Unità, Pubblicato il: 12.04.07, Modificato il: 13.04.07 alle ore 14.11
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/3/2012 19.51
Titolo:IL VIAGGIO DI OGNUNO E DI OGNUNA - IL VIAGGIO DI "ADAMO" ....
IL VIAGGIO DI OGNUNO E DI OGNUNA - IL VIAGGIO DI "ADAMO": DANTE.



La Commedia di ognuno di noi

di Carlo Ossola (Il Sole -24 Ore, 18 marzo 2012)

Siamo stati formati dalla critica a pensare alla Divina Commedia come «viaggio a Beatrice» (così suona il titolo del celebre saggio di Charles S. Singleton, Journey to Beatrice, 1958). Il fedele d'Amore mantiene la promessa che chiudeva la Vita nova: «Appresso questo sonetto apparve a me una mirabile visione, ne la quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei». Beatrice appare nel Paradiso Terrestre, al sommo della montagna del Purgatorio, ivi trionfa e ivi nomina, per la prima volta nella Commedia, Dante: «Quando mi volsi al suon del nome mio, / che di necessità qui si registra» (Purg., XXX, 62-63). La teoria romantica che da Rossetti a Gourmont ha ispirato la lettura del poema trova qui il suo sigillo.

Ma molti ostacoli presenta tuttavia una lettura siffatta: il primo ed evidente è che Dante si fa lì nominare per essere aspramente rimproverato da Beatrice: «Dante, perché Virgilio se ne vada, / non pianger anco, non piangere ancora; / ché pianger ti conven per altra spada» (Purg., XXX, 55-57). Anche a voler ammettere che Dante si pieghi a un gesto di umiltà, e poi ascenda gloriosamente con Beatrice al Paradiso, sul più bello - come si dice in maniera colorita ma calzante - Dante si fa poi abbandonare da Beatrice: «Uno intendëa, e altro mi rispuose: / credea veder Beatrice e vidi un sene / vestito con le genti glorïose» (Par., XXXI, 58-60).

La guida al mistero e alla visione finale sarà san Bernardo: su questo "transito" Jorge Luis Borges ha scritto pagine finissime e non resta che rinviare ai suoi Nove saggi danteschi. L'ipotesi romantica rimane monca e toglie anzi grandezza al «poema sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra» (Par., XXV, 1-2), toglie spessore alla lettura allegorica del testo che Dante difende spiegando, nell'Epistola a Cangrande, e citando nel poema il salmo In exitu Isräel de Aegypto (Purg., II, 46).

Occorre prendere sul serio il testo e ritornare a una ipotesi già avanzata dal Boccaccio e dai primi commentatori e ripresa nel Novecento da Ezra Pound: «In un senso ulteriore è il viaggio dell'intelletto di Dante attraverso quegli stati d'animo in cui gli uomini, di ogni sorta e condizione, permangono prima della loro morte; inoltre Dante, o intelletto di Dante, può significare "Ognuno", cioè "Umanità", per cui il suo viaggio diviene il simbolo della lotta dell'umanità nell'ascesa fuor dall'ignoranza verso la chiara luce della filosofia» (E. Pound, Dante, in Lo spirito romanzo, 1910). Se il protagonista del viaggio è «Everyman», non è più necessario attribuire a Dante viator l'esperienza eccezionale di una visione mistica, ma di riconoscere in lui il volto di Ognuno: per questo «la Commedia di Dante è, di fatto, una grande sacra rappresentazione, o meglio, un intero ciclo di sacre rappresentazioni» (ivi).

La lettura di Pound incontra, dicevamo, la chiosa che il Boccaccio propone sin dall'apertura delle sue Esposizioni sopra la Comedia di Dante, estrema opera della sua vita, suggerendo che non solo da Beatrice Dante si faccia nominare, ma soprattutto da Adamo al sommo del Paradiso: «L'altra persona, alla quale nominar si fa, è Adamo, nostro primo padre, al quale fu conceduto da Dio di nominare tutte le cose create; e perché si crede lui averle degnamente nominate, volle Dante, essendo da lui nominato, mostrare che degnamente quel nome imposto gli fosse, con la testimonianza di Adamo; la qual cosa fa nel canto XXVI del Paradiso, là dove Adamo gli dice: "Dante, la voglia tua discerno meglio", eccetera».

Ora precisamente Boccaccio adotta una lezione, per Par., XXVI, 104, trádita dai più antichi codici (il Landiano, 1336, il Trivulziano, 1337, e molti altri) e confermata dagli antichi commentatori, da Pietro Alighieri, alle Chiose ambrosiane, a Francesco da Buti; lezione che cambia profondamente il senso del poema, poiché ora - nominato da Adamo - Dante non è più solo il fedele d'Amore, ma è il «novello Adamo» di un'umanità redenta, come riassume, nel suo commento, Pietro Alighieri e, con raffinata pertinenza, ribadiscono le «Chiose ambrosiane» (da situare intorno al 1355; traduco dal bel latino): «Dante - Qui il poeta si fa nominare dal primo uomo che impose il nome a tutte le cose e senza quella excusatio alla quale ebbe a ricorrere nel Purgatorio ove disse: "Che de necessità qui se registra". Nota quindi che il poeta mai volle essere nominato nell'Inferno, e neppure nel Purgatorio nei luoghi ove si purgano i vizi, ma concesse di farsi nominare fuori dalle cornici dei vizi, sebbene dovendosi scusare (tamen cum excusatione). Ma in Paradiso senza doversi scusare, come appunto qui - essendo l'opera ormai quasi compiuta - e dopo che, esaminato, aveva fatto professione delle virtù teologali».

Quando parallelamente si osservi il comportamento di Boccaccio copista, in particolare nell'esemplare «Chigiano L VI 213 (= Chig), di mano del Boccaccio, che lo trascrisse non molto avanti la nomina a lettore di Dante, nell'agosto del 1373» (G. Petrocchi, I testi del Boccaccio, in La Commedia secondo l'antica vulgata), si dovrà concludere che anche lì un codice Chig «il quale si impone sugli altri con la qualifica di edizione ultima e definitiva del testo dantesco» (Petrocchi) mantiene la lezione «Dante, la tua voglia discerno meglio» (nel ms. a p. 330; ringrazio di cuore Rudy Abardo per il prezioso riscontro filologico e Marisa Boschi Rotiroti per la sollecitudine) con perfetta coerenza alle ragioni enunciate nelle contigue Esposizioni.

Si tratta dunque di ritornare alle origini, non solo agli autorevolissimi manoscritti che inscrivono: «Dante» o «da- te» e non «da te» (lezione minoritaria), come ha adottato il Petrocchi e con lui - snervando il vigore del testo - le edizioni moderne della Commedia («Indi spirò: "Sanz'essermi proferta / da te, la voglia tua discerno meglio"»); e di riconoscere che - nell'eliminare Dante nominato da Adamo - non si è fatta solo una "rimozione" a favore di una lettura meramente amorosa del poema, ma si è privato il testo stesso di quella grandiosa e universale coralità che Dante voleva conferire al proprio viaggio. Poiché, qui, Dante non è più il poeta della Vita nova, ma l'autore del «poema sacro»; egli è ormai, e per sempre, Everyman, il "novello Adamo" dell'umanità redenta, sì che dal «padre antico» (Par., XXVI, 92) possa ricevere la più alta consacrazione.

Occorre insomma pensare alla Commedia, come a «l'albero che vive de la cima» (Par., XVIII, 29); che si compie nella "nuova Genesi" del Paradiso di Gloria, come ben vide Giovanni Getto, sin dal 1947, sottolineando «cotesto epos della vita interiore come esultanza delle spirito elevato verso le cime vertiginose della partecipazione al Dio della gloria e dell'eterno» (Poesia e teologia nel «Paradiso» di Dante, in Aspetti della poesia di Dante); ma anche come partecipazione dell'umanità tutta alla speranza della Resurrezione della carne della storia e dei corpi, che ansiosamente i beati in Paradiso attendono («Come la carne glorïosa e santa / fia rivestita, la nostra persona / più grata fia per esser tutta quanta», Par., XIV, 43-45).

Così dunque, in questa quotidiana coralità di Everyman, è da proporre al XXI secolo la Divina Commedia, bene comune non dell'Italia soltanto, ma dell'umanità intera; e sempre così è stata intesa, dai primi commentatori al Boccaccio, come il poema al quale bussare e attingere per avere accoglienza, ospitalità, conforto. Lo testimonia ancora, al portale di un palazzo di Cannaregio il battente dantesco, e i tanti uomini che in nome di Dante, e leggendo il suo poema, hanno sfidato la barbarie, da Osip Mandel'štam a Primo Levi. Ogni giorno, Dante è davvero tutti noi.

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Titolo articolo : DON GIUSEPPE DE LUCA E PALMIRO TOGLIATTI: UN PASSO SU UNA STRADA COMUNE. Il testo di Palmiro Togliatti (1963) scritto in occasione del primo anniversario della morte di don Giuseppe De Luca.,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/19/2012 - 15:06:21.

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Federico La Sala Milano 15/3/2012 18.05
Titolo:AL DI LA' DELL'OPPIO DEI POPOLI ....
Quel prete che non amava la DC degasperiana

di Agostino Giovagnoli (l’Unità, 15 marzo 2012)

Don Giuseppe De Luca, di cui si ricorda il 19 marzo il cinquantesimo anniversario della morte, non ha occupato posizioni importanti, non ha compiuto una brillante carriera ecclesiastica e non ha fondato un partito politico. Eppure la sua memoria è ancora viva e il suo insegnamento continua ad interrogarci. Senza mai assumere ruoli di primo piano, nell’Italia cattolica del secondo dopoguerra ha rappresentato un riferimento importante per quanti cercavano un’alternativa al progetto democristiano. Molto vicino a Tardini ed Ottaviani, è stato, perciò, contrapposto ad un altro importante ecclesiastico del suo tempo, Giovanni Battista Montini - Sostituto della Segreteria di Stato, poi arcivescovo di Milano e, infine, Papa con il nome di Paolo VI -, il più convinto sostenitore dell’iniziativa degasperiana per portare i cattolici alla guida del Paese.

Era inevitabile che De Luca diventasse l’interlocutore di tanti che si opponevano a quel progetto, soprattutto a destra, come i sostenitori del «partito romano», ma in qualche caso anche a sinistra, come i cattolici che continuarono a guardare al Pci negli anni della guerra fredda. E questa singolare figura di «prete romano », come egli amava definirsi, ha favorito l’incontro o, quantomeno, tentativi di reciproca comprensione non solo tra il Vaticano e i comunisti italiani, negli anni 40 e 50, ma anche tra la S. Sede e Mosca durante il pontificato di Giovanni XXIII, amico e ammiratore di De Luca.

Tale contesto aiuta a capire l’interesse di Togliatti per la sua figura, ma un’interpretazione banalmente politica sarebbe riduttiva e fuorviante. De Luca, infatti, credeva nell’importanza di una cultura, in primis quella più elevata e raffinata, svincolata dalla politica e, soprattutto, dall’ansia dell’azione. Più ancora di Montini - che tra l’altro aveva una grande ammirazione per la cultura religiosa deluchiana - il suo vero antagonista fu Agostino Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica.

Malgrado la sua eccezionale erudizione, tuttavia, egli è sempre rimasto anzitutto un uomo del Sud. Proveniva da un Mezzogiorno continentale molto lontano da Napoli, per secoli una delle più grandi città europee, e dal Mediterraneo, da sempre animato da intense correnti di scambi commerciali e di incontri culturali. Nato in un piccolo paese vicino a Potenza nel 1898, egli aveva ascoltato i racconti di quanti ricordavano i tempi in cui l’unico contatto con il mondo esterno degli abitanti dei piccoli paesi della Basilicata era costituito dalle visite pastorali del vescovo, di gran lunga il più importante evento nonsolo religioso ma anche sociale e civile.

Don De Luca è stato uno dei pochissimi capace di dar voce a questo mondo, chiuso e arretrato, apparentemente senza storia e invece denso di una storia amara e terribile, di miseria e di sofferenze, cui per secoli - fino oltre la metà del Novecento - milioni di uomini e di donne sono stati legati da un destino apparentemente invincibile e in cui la preghiera ha rappresentato una delle poche forme in cui riusciva ad esprimersi la loro umanità.

Proprio seguendo l’insegnamento deluchiano, Gabriele De Rosa ha scritto che non si prega mai nel vuoto e che un legame profondo unisce preghiera e storia. De Luca, non a caso, ha concepito un progetto di grande originalità e di forte impatto storico-culturale avviando L’Archivio per la storia della pietà, un’iniziativa che si trova agli inizi delle Edizioni di Storia e Letteratura da lui fondate intorno al 1940-’41.

La sua convinzione che un profondo legame unisce sempre umanità, storia e preghiera era, ovviamente, molto lontano dall’idea di preghiera quale oppio dei popoli, così come la sua conoscenza del ruolo della Chiesa nel Mezzogiorno era distante dalle teorizzazioni gramsciane sul legame tra clero e classi dominanti. Egli conosceva bene, infatti, quei preti «cafoni » delle campagne meridionali, sin troppo simili ai loro fedeli, di cui condividevano interamente le difficili condizioni di vita, compresi il vino e il gioco quali uniche forme di evasione.

L’interesse di Togliatti per una personalità indubbiamente straordinaria ma anche culturalmente molto lontana da lui, è indicativa di un ampiezza di vedute non comune e rimanda ai caratteri specifici del comunismo italiano, per molti versi originale forse grazie anche all’influenza del mondo religioso di cui De Luca è stata una delle più alte espressioni.
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Federico La Sala Milano 15/3/2012 22.12
Titolo:GIUSEPPE DOSSETTI. C'è una morale nella politica ...
GIUSEPPE DOSSETTI (1913-1996)

C’è una morale nella politica

di Sergio Zavoli (Il Sole 24 Ore - Domenicale, 11 marzo 2012)

Avrebbe novantanove anni, nacque nel febbraio del 1913, è stato tra i personaggi centrali della democrazia repubblicana sorta sulle macerie del fascismo, il suo pensiero politico e la sua essenza civile e morale stanno ancora attraversando l’identità di un cattolicesimo che ha il suo esordio storico quando i cattolici, nella riconquistata libertà, consolidano laicamente la scelta democratica di Sturzo.

È appena il 1945 quando - mentre De Gasperi interpreta la necessità di dar vita a una economia di mercato - Dossetti propende per una libertà politica cui va affiancata un’economia anche statale in grado di garantire la tutela dei ceti subalterni, ovviamente deboli rispetto al potere condizionante delle grandi forze economiche. Dossetti scrive: «La Democrazia cristiana non vuole e non potrà essere un movimento conservatore», attirandosi qua e là addirittura il sospetto di voler far sua la distinzione di Maritain tra fascismo e comunismo. Mentre il primo, cioè, andava considerato una forza estranea agli ideali cristiani in quanto perseguiva un ideale di Stato-guida, che permea di sé tutto, dalla cultura agli ordinamenti, al cittadino sacrificato all’individuo; il secondo è visto come una sorta di "eresia cristiana", cioè un sistema che richiama lontanamente originarie ispirazioni comunitarie. D’altronde fu Berdjaef, il filosofo russo espulso dall’Urss nel 1922, a dire che il comunismo doveva intendersi come «la parte di dovere non compiuta dai cristiani».

Ma Dossetti tende alla qualità di una scelta ben più radicale e autentica, che ne farà un testimone scomodo, talvolta persino mal tollerato, di quanto si può dare alla politica senza farlo venir meno alla morale, al pragmatismo senza sottrarlo ai principi, al cittadino senza privarlo della persona.

Chi non ha in mente questa fedeltà laica e insieme religiosa al primato dell’uomo, quello della sua intrinseca e libera dignità personale, stenterà a farsi largo negli aspetti non di rado impervi - per esempio della dignità sacerdotale - di don Giuseppe Dossetti. Non a caso egli fa coincidere l’unicum cui si ispira affrontando la politica come il momento in cui si diventa responsabili personalmente di ciò che scegliamo per l’orientamento di noi stessi e nei confronti degli altri.

Ecco, allora, la base su cui poggiare il peso della scelta: la norma costituzionale dell’eguaglianza tra i cittadini, da perseguire attraverso la ricerca e la messa a punto di un modello di statualità sottratta, insieme, alla vischiosità della conservazione borghese e a una giustizia sociale i cui costi gravino sulle libertà personali; nell’assoluta preminenza dei diritti inalienabili di un uomo partecipe della speranza collettiva - laica, razionale, organizzata dalla politica dentro la storia - ma nella intangibile responsabilità della risposta individuale.

Si è detto di Dossetti che aveva i principali nemici, per paradosso, nelle sue idee. Certo, voler trarre da una vocazione originale e rigorosa un patrimonio di principi da comunicare a masse di cittadini comportava un’impresa virtuosa e pedagogica tale da scontrarsi con quel bisogno di duttilità e tolleranza che la gran parte di un popolo appena rinato alla democrazia coltivava nel limbo di una coscienza civile ancora confusa; in cui, per legittimarsi anche spiritualmente, bastava esibire l’alibi del «perché non possiamo non dirci cristiani», di crociana memoria, per indispettire chiunque intendesse la lotta politica come un esercizio fondato sulla pregiudiziale anti-comunista, e da tenere in sospetto una parte della stessa sinistra, la quale si sentiva insidiata nella sua dimensione più difficile, quella dell’autocritica filosofica e pragmatica.

Questi condizionamenti non giovarono all’immagine pubblica di Dossetti, ma al tempo stesso ne esaltarono la dimensione, per dir così, più sottesa e costosa. Tra gli uomini che hanno rifondato lo spirito democratico del nostro Paese è quello che ha reso più manifesto il significato morale del far politica, seppure alzandolo a un tale livello di esemplarità da essere, non di rado, irriconoscibile. Forse si fa torto al politico, ma quanto gli si toglie nella sfera pubblica alla sfera pubblica ritorna proprio attraverso quella privazione: è il paradosso-Dossetti, la sua storia e la sua coscienza. Pochi eletti, di quegli anni e dopo, hanno uniformato i propri gesti all’esigente esemplarità di quella lezione. Dossetti ne fu così consapevole che prese su di sé, assumendolo nel suo animo, il segno di contraddizione che egli stesso aveva finito per rappresentare. E quando cominciò a capire che la parola, passando per strade e piazze spesso votate alla facilità degli slogan, all’intelligenza pratica e quindi alla realtà del giorno per giorno non suscitava più le risposte che avrebbe voluto udire, la portò nel deserto e ne rimase paziente, incorruttibile custode.

Così aveva descritto il senso di quel viaggio fruttuoso: «Il mio sacerdozio è nato da uno sbocco credo coerente con la vita che già conducevo, una vita consacrata nell’intenzione e nella forma al dominio dell’orazione sull’azione tutta orientata a diffondere tra i laici cristiani una formazione che stesse a monte del pensiero socio-politico e che lo sanasse continuamente dai suoi pericoli: perché il pensiero politico è continuamente insidiato da grandi pericoli». E subito dopo, per ricomporre nella sua fondamentale unità il senso dell’altra scelta, aggiungerà: «Noi non siamo monaci, conduciamo una vita molto simile, o quasi integralmente eguale alla vita dei monaci, però negli istituti monastici tradizionali non mi riconosco».

Nasceva qui, non sentendosi espulso dalla politica, ma riconoscendone i legittimi limiti temporali, la necessità di radicare in un certo luogo - con una testimonianza tangibile anche per i significati di memoria e di lascito - la scelta definitiva di Monte Sole come riferimento e irradiazione verso la Palestina, l’Oriente, le cento terre, le cento patrie, le cento paci promesse. Monte Sole è una sorta di vulcano alla rovescia, dove si è compiuta una violenza senza tempo, in quanto consumata davanti al giudizio di Dio. È quindi il luogo della preghiera continua, per un perdono senza soste.

Qui Dossetti vuole un radicamento e si conforma a una regola. Egli è «uomo delle regole». Prima del presbiterio viene da una cultura giuridica, sa che la civiltà del diritto si fonda sul "contratto". Occorre regolare quel "contratto": nella Costituzione come nel Concilio, come nella stessa "piccola regola" che si darà il monastero di Monte Sole. Un "contratto" che rimetta insieme, anzitutto, storia ed etica, politica e morale, non per trasferire nella vita civile quello che ricavi dalla vita religiosa. Non è integralismo, né zelo, né mera virtù: si tratta di rivivere la dimensione pubblica secondo il principio della condivisione e della solidarietà.

C’è un fascino di Dossetti che sta anche in questo continuo contemplare e agire, nel mettere in crisi ciò a cui pensa per sottoporlo alla prova di ciò in cui crede. Egli vedeva, in lontananza, una grande crisi religiosa, anche di cristianità, forse per l’insorgere di culture pragmatiche, dispensatrici di straordinari sollievi terreni, spesso ingannevoli e persino alienanti. Anche di qui il suo sguardo all’Oriente, in cerca di una grande scaturigine di religiosità, da cui attingere per nutrire un grembo vasto, limpido, universale. C’è un enigma nell’aver visto queste distanze, e concepito quel viaggio, dal suo stare a Monteveglio, il piccolo centro della sua intoccabile, appartata totalità. «Non è possibile purificarsi da solo o da soli; purificarsi, sì, ma insieme; separarsi per non sporcarsi è la sporcizia più grande». Sono parole di Tolstoj e don Giuseppe le sa a memoria.

La parte finale della sua vita è stata giudicata una fuga dal mondo. Dossetti stesso annotava: «E qualcuno (anche tra cattolici e persino teologi) parla della vita monastica non solo come di "fuga dal mondo", ma persino dalla Chiesa». E qui è possibile cogliere una conclusione: «Al termine di ogni via c’è l’unico e definitivo mistero di Gesù di Nazareth, figlio di Dio e figlio di Maria, che con la sua croce e la sua morte volontaria, gloriosa e vivificante, è divenuto il primogenito dei morti aprendo per noi la via della Risurrezione».

Dossetti chiuderà il suo libro, lacerato e di nuovo riunito dalla sua totalità, il 15 dicembre del 1996. Credenti e non credenti parteciperanno alle esequie in gran numero. Intorno alla bara, per un tratto della cerimonia funebre, si alterneranno vecchi partigiani con i loro nipoti e pronipoti, i nuovi bambini della comunità; laicamente destinati a capire i valori anche civili che lo spirito, secondo Dossetti, sa mettere nella storia. La quale forse non si ripete, ma quanto disse e visse Dossetti somiglia ancora a non poche questioni che si presentano davanti alla Chiesa e ai cattolici nella dimensione globalizzata dei problemi. La centralità dell’uomo, l’etica associata allo sviluppo, la relazione tra uomo e ambiente, le connessioni tra diritti umani e civili, la lotta agli egoismi vecchi e nuovi, la salvaguardia delle diverse identità, il dialogo tra le culture religiose, la laicità dello Stato e della politica, sono temi che investono anche la teologia cattolica e la pratica dei credenti, la loro visione della società e delle relazioni umane. Tutto ciò nel segno della prima delle regole: la ricongiunzione del cittadino con la persona, della politica con la moralità, dello Stato con l’interesse del popolo.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/3/2012 15.06
Titolo:L’incontro segreto che avviò il disgelo ...
Vaticano - Urss

L’incontro segreto che avviò il disgelo

Furono protagonisti Togliatti e don De Luca, il prelato di cui proprio oggi ricorre il cinquantesimo della morte. Il segretario del Pci convinse Krusciov a inviare un telegramma di auguri per gli 80 anni di Papa Giovanni XXIII
di Giuseppe Vacca (l’Unità, 19.03.2012)

Don De Luca e l’amicizia con Togliatti. Don Giuseppe De Luca (Sasso di Castalda, 15 settembre 1898 Roma, 19 marzo 1962) è stato un prete, editore e intellettuale italiano. Iniziò nel 1909 i suoi studi seminariali dai gesuiti, che proseguì a Roma. Da filologo e da storico frequentò la Facoltà di Lettere di Roma e strinse sodalizi intellettuali con i più illustri docenti. Fu anche amico di Togliatti. Tanto che il leader del Pci scrisse di lui: «La sua mente e la sua ricerca mi pare fossero volte, nel confronto con me, a scoprire qualcosa che fosse più profondo delle ideologie, più valido dei sistemi di dottrina, e in cui potessimo essere, anzi, già fossimo uniti. La sostanza della comune umanità». L ’11 ottobre 1961 Togliatti, in partenza per Mosca, riceve da don De Luca un consiglio: un messaggio di auguri di Krusciov a Papa Giovanni XXIII.
Don Giuseppe De Luca e Palmiro Togliatti si conobbero a cena da Marisa Cinciari e Franco Rodano la vigilia di Natale del 1944. Non si frequentarono molto, ma come risulta dalle testimonianze e dai pochi documenti che abbiamo, fra loro nacque un’amicizia. Le testimonianze riguardano il ruolo di don De Luca e di Togliatti nell’avvio del disgelo tra il Vaticano e l’Unione Sovietica. I documenti sono assai significativi dei contenuti intellettuali e morali che sostanziarono non solo il loro rapporto, ma anche la stagione del dialogo fra comunisti e cattolici a lungo cercata da Togliatti e giunta con il pontificato di Giovanni XXIII.

IL VIAGGIO

L’11 ottobre del 1961, alla vigilia della partenza di Togliatti per Mosca, dove era in programma il XXII congresso del Pcus, si incontrarono a cena in casa Rodano e don De Luca propose a Togliatti di suggerire a Krusciov di dare un segnale distensivo anche al Vaticano. Il disgelo fra Usa-Urss aveva già segnato un momento di grande valore simbolico nell’incontro fra Kennedy e Krusciov a Vienna nel giugno 1961, e la costruzione del muro di Berlino (13 agosto) aveva avviato un periodo di stabilizzazione dell’assetto europeo che sarebbe durato fino alla sua rimozione (9 novembre 1989).

Nel nuovo clima internazionale caretterizzato dalla presenza di tre grandi figure carismatiche Kennedy, Krusciov e Papa Giovanni che facevano sperare nel superamento della contrapposizione fra Est e Ovest, De Luca ebbe l’approvazione del Papa e Togliatti portò a Krusciov la sua proposta.

Fra le carte di Togliatti c’è un appunto di mano di De Luca che dice: «Nell’80° del Papa, farsi vivi. Cioè non ereditare i rancori della Chiesa russa, superando anche in questo il nazionalismo. Non fosse altro come un possibile tramite di propaganda, il cattolicesimo romano è più diffuso del protestantesimo inglese e tedesco e del cristianesimo russo. Roma è l’unico ponte possibile». L’annotazione autografa di Togliatti, «da don D. L. prima del 22», rivela quale fosse il suggerimento di don De Luca: far inviare da Krusciov un telegramma di auguri al Papa per il suo 80° compleanno. Il telegramma giunse a Roma il 25 ottobre e fu reso noto dall’Osservatore Romano.

Ma, fatto ancora più rilevante, si avviarono anche trattative per un evento di grande impatto simbolico, che si sarebbe verificato il 7 marzo 1963 con l’udienza in Vaticano di Alexiej Adjubei, direttore delle Izvestia, accompagnato dalla moglie Rada, figlia di Krusciov. Poche settimane dopo, con la pubblicazione dell’enciclica Pacem in terris l’11 aprile, Papa Giovanni abrogava di fatto la scomunica del 1949 poiché, nel ribadire la condanna del marxismo, introduceva la distinzione fra «l’errore» e «l’errante» restituendo alla valutazione dei comportamenti politici e morali dei singoli, il giudizio della Chiesa sui comunisti.

Tornando a De Luca, il 30 novembre del 1961 egli commentò il telegramma di Krusciov nei suoi diari: «É un immenso fatto (dal 1917, silenzio, odio), e sarà il seme della storia futura». Si riprometteva quindi di dar seguito alla sua azione e il 17 gennaio 1962, rispondendo agli auguri di Togliatti per l’anno nuovo, rievocava la cena che aveva originato il telegramma e scriveva: «Torno a ringraziarla di quella sera, di quello che si disse, di quello che ne seguì, torno a dirle che volentieri sempre parlo con lei e lei è per me tra quei pochi che, vivendo, della mia vita sono stati un po’ la compagnia e un po’ la fierezza». Come ha ricordato Marisa Rodano nelle sue memorie, stavano cercando di organizzare un’altra cena, che però non ebbe luogo per il precipitare della malattia e della morte di don De Luca.

La lettera citata echeggia il carattere della loro amicizia con toni analoghi a quelli usati da Togliatti nel ricordo scritto poco dopo la sua morte («Lui sacerdote, io non credente», ripubblicato da l’Unità il 15 marzo scorso). Ma, per cogliere il senso più intimo del desiderio di riconoscimento reciproco che animò la loro relazione, vorrei ricordare il passo di un’altra lettera, la prima delle tre conservate fra le carte di Togliatti, che illumina il motivo centrale del suo successivo ricordo.

Dopo anni d’interruzione dei contatti personali, il 20 febbraio 1960 Togliatti aveva inviato a De Luca una sentita lettera di condoglianze per la morte del fratello Luigi, che si occupava delle Edizioni di Storia e Letteratura. Rispondendo, il 4 marzo, don Giuseppe scriveva: «Dirle che ne ebbi conforto grande è un dirle cosa che a lei non farà meraviglia perché sa come le sono legato e come la sento legata a me in un sentimento umano e dell’umano che non domanda nulla per esistere e per valere, ma ha in sé la sua ragion d’essere ed è, se non beato, contento e rende contento (o mi sbaglio?)». Quel «sentimento umano e dell’umano» troverà una corrispondenza profonda nel ricordo di Togliatti: «La sua mente e la sua ricerca mi pare fossero volte, nel confronto con me, a scoprire qualcosa che fosse più profondo delle ideologie, più valido dei sistemi di dottrina, e in cui potessimo essere, anzi, già fossimo uniti (...). La sostanza della comune umanità».

IL DISCORSO DI BERGAMO

Si può fondatamente ritenere che l’amicizia e lo scambio spirituale con don De Luca abbiano contribuito a far maturare definitivamente in Togliatti la persuasione della irriducibilità e dell’autonomia del fatto religioso che furono al centro del suo discorso di Bergamo, «Il destino dell’uomo», tenuto non a caso nella città di Papa Giovanni il 20 marzo del 1963, tre settimane prima della Pacem in terris. Va sottolineato che quel discorso segnò il punto più alto della revisione togliattiana del comunismo in tema di dottrina della guerra e teoria delle relazioni internazionali. Forse la chiave di lettura più feconda per capire l’incidenza della relazione con don Giuseppe De Luca sul pensiero di Togliatti è quella suggerita dalla bellissima biografia del «prete romano» che dobbiamo a Luisa Mangoni, «In partibus infidelium».

La cifra della straordinaria figura intellettuale del sacerdote lucano era nella visione culturale dei problemi politici, religiosi e umani del suo tempo. E questa sensibilità l’aveva portato a scrivere il 21 aprile del 1947, agli albori della guerra fredda: «Il comunismo è più che un partito, è una religione. Una religione non la si combatte né con l’irreligione né con la violenza, così anzi la si fa riardere più potentemente. Ma il comunismo è anche un partito e una politica (...). Bisogna scindere tra i due elementi: la forza religiosa dell’idea, la forza politica di chi quest’idea ha monopolizzato. Questa bisognerebbe isolare e battere, nell’interesse stesso delle idee eccellenti, anzi ammirabili, che bisogna riconoscere nella predicazione comunista». Forse questa percezione non fu estranea alla mente dello stesso Togliatti almeno negli ultimi anni della sua vita, segnati da un profondo travaglio per la crisi del comunismo sovietico.

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Commenti Articolo 883

Titolo articolo : La “piccola differenza”,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: March/19/2012 - 07:26:36.

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Autore Città Giorno Ora
Lorenzini Agnese Valleris Torino 19/3/2012 07.26
Titolo:Siria
Che possiamo fare noi "piccoli" oltre che pregare per evitare altre sofferenze agli innocenti?

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Commenti Articolo 884

Titolo articolo : Cannibalismo,di Cettina Centonze

Ultimo aggiornamento: March/18/2012 - 19:25:10.

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Autore Città Giorno Ora
Daniele Bettenzoli Varese 18/3/2012 19.25
Titolo:
Le giuste rivendicazioni ed altolà non devono necessariamente significare "lotta", ma - credo nella non violenza -dimostrare che gli interessi degli uni (capitalisti) non possoono prescindere da un rispetto ed armonizzazione con gli interessi degli altri (nativi o proletari). L'attuale crisi economica anche se coinvolge soprattutto i lavoratori spaventa giustamente i detentori del potere economico, i banchieri ecc.. Se le banche hanno bisogno di capitali per sostenere le industrie ed i propri interessi, ma i "poveracci" hanno salari e stipendi sempre più ridotti e gli altri continuano a imboscare i loro ricavi, le stesse banche rischiano necessariamente la bancarotta.

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Commenti Articolo 885

Titolo articolo : DIO HA MANDATO IL FIGLIO PERCHE’ IL MONDO SI SALVI PER MEZZO DI LUI,di p. Alberto Maggi OSM

Ultimo aggiornamento: March/14/2012 - 15:55:06.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/3/2012 15.55
Titolo:IL BENE E' PIU' DELLA FEDE. Allora la fede è fare del bene o è dire "ho fede"?
“Ciascuno è la vera chiesa”

intervista ad Ermanno Olmi

a cura di Arianna Prevedello (“settimana” - attualità pastorale, 4 marzo 2012)

“Cinema, specchio della vita” è il titolo di una serie di iniziative della diocesi di Padova che, attraverso la "settima arte", mette a confronto registi, presbiteri e operatori pastorali su tematiche di forte attualità per la comunità ecclesiale. Ecco un estratto del primo incontro avvenuto il 13 febbraio. Successivamente alla proiezione de Il villaggio di cartone i presbiteri diocesani hanno intensamente dialogato con il regista Ermanno Olmi.

Maestro Olmi, lei è uno sposo da tanti anni, eppure con questo film ha saputo raccogliere il sentimento interiore di moltissimi sacerdoti. Dove ha trovato ispirazione?

Non si sa mai da che parte arrivi l’ispirazione. È come quel vento dello Spirito che non si sa da dove viene e dove vada. Pensate quando, alla fine di alcuni appuntamenti di tipo culturale, ci accorgiamo di aver ascoltato cose interessanti fuori dalla nostra aspettativa.

Quando Picasso disse «vorrei dipingere come i bambini», intendeva dire che i bambini non hanno la consapevolezza necessaria ad amministrare la loro potenzialità comunicativa. Sentono l’esigenza di comunicare senza preoccuparsi della forma. Dovremmo arrivare all’età della libertà, come per esempio la mia, attrezzati in questo senso e pretendendo di essere ascoltati con l’innocenza dei bambini. Quindi, l’ispirazione non sai da dove arriva. Arriva, e senti che lì ci sono domande che ti poni e tenti di dare alcune risposte, ma non è mai "la" risposta. Il modo di pronunciare una frase cambia il senso di ciò che vuoi comunicare. Pur essendo rigidamente confezionata in un testo, la frase cambia di significato a seconda di come tu cambi. Lo stesso Vangelo cambia a seconda di come noi cambiamo. Nel momento in cui non lo leggiamo più perché pensiamo di conoscerlo o di poterlo ripetere a memoria, quello è il momento del fallimento. È come se, amando una persona, dicessimo «adesso non ho più parole d’amore». Quando senti che non hai più parole, vuol dire che hai perduto quell’amore.

La religione si basa come intima convinzione su alcuni principi che abbiamo ascoltato, condiviso e che ora manteniamo vivi. È davvero così se ogni giorno, leggendo una frase di quella religione, sentiamo che quella frase cambia significato. Altrimenti è un fatto puramente amministrativo e, se fossi il Padre eterno, mi incavolerei, perché ha dato la possibilità di vivere la realtà come la più bella opportunità di scoperta delle grandi manifestazioni che abbiamo sotto gli occhi. Altrimenti le religioni rischiano di essere delle gabbie mortificanti.

Perché un film come il suo è scomparso subito dalle sale?

Il problema non è che questo film è scomparso dalle sale, ma che capita a questo film e a molti altri film più belli del mio, come il Faust, Leone d’Oro a Venezia, o Una separazione, Orso d’Oro a Berlino. In realtà, nell’ultima stagione ci sono state produzioni italiane che hanno incassato bene e che rispetto ma sono tutti film di genere "spensierato".

Le persone cercano rifugio in occasioni - e lo capisco - che non danno il tempo di soffermarsi sulla gravità di problemi che dovremo arrivare ad affrontare. Prima di tutto la chiesa! Nel vedere ogni giorno la realtà che abbiamo intorno, per alcune cose pensiamo di poter rispondere, per altre veniamo interrogati e non abbiamo risposte. Un’infinità di interrogativi irrisolti, e allora io chiamo il Maestro. Se tu, Cristo, fossi al mio posto, cosa faresti? Secondo voi, Cristo si preoccuperebbe del cattolicesimo o di quella religione del perdono per relazionarci agli altri, per renderci disponibili agli altri. Se io guardo il suo percorso, ogni giorno c’è sempre un insegnamento che mi riguarda.

Il cattolicesimo - come apparato - oggi è diventato forse troppo ingombrante. So che qualcuno non è d’accordo con me... e va bene. Non pretendo questo, ma mi domando qual è il cristianesimo di oggi. Tante volte dico ai cattolici: «ricordatevi che siete anche cristiani».

Qual è oggi il modello di Cristo? Cristo ha chiamato Pietro e gli ha detto «chi dici che io sia?». Chi diciamo che sia questo Cristo? Un orpello appeso ai punti apicali delle volte delle chiese? O è quell’altro chenon osa entrare in chiesa perché non ha i panni adatti?

La chiesa di questo film è chiesa quando si è svuotata dagli orpelli, quando qualcuno che non è cristiano ha bisogno di aiuto. Gli devo chiedere «sei cristiano? cattolico? Allora entra, se no stai fuori...». Cristo dice «Tu che sei Pietro, tu sei pietra». Tu! Ciascuno di noi è la vera chiesa. C’è qualcosa che mi fa dire in questo momento: «Cristiani svegliamoci! È il nostro momento». È il momento di presentarci agli altri dicendo all’altro «Ecco il volto di Cristo!».

Quando rincasiamo, possiamo dire alla sera: oggi ho visto Cristo? Oppure, ho visto il ragioniere, l’architetto, il neretto all’angolo della strada? Quale volto di Cristo abbiamo visto in ogni giorno della nostra vita?

Ecco perché non rispondo a chi si preoccupa se sono o meno cristiano, io non mi preoccupo se loro lo sono. Mi basta guardarti, sei una creatura di Dio. E poi, quando ci innamoriamo, è il massimo. E l’estasi dell’umanità. Anche quel prete nel film che guarda gli occhi di una fanciulla. E perché no? Quanti preti innamorati infelici! Io credo che l’innamoramento sia una chiamata, certo che poi dobbiamo comportarci di conseguenza. Rispetto all’innamoramento, c’è un passaggio difficile da accettare: quando il prete dice al Cristo della piccola Pietà «sei troppo lontano nel tempo perché io possa amarti come dovrei». Ma che cosa, allora, si riconosce di quel piccolo Cristo? Anche Cristo ha conosciuto la solitudine dell’ultimo istante. Dio, che è venuto e ha parlato a profeti e ad angeli, non ha parlato a Cristo nel silenzio dell’ultimo respiro. Come mai? Avrebbe - credo - intaccata la santa, la sacra eroicità della donazione. Dobbiamo accettare la solitudine dell’ultimo respiro.

Nel film il prete sintetizza tante epoche, stagioni e passaggi della vita. Alla fine cos’è diventato quel prete?

All’inizio il prete rimpiange il fatto che non sarà più quel prete lì, perché gli manca lo strumento della sua pratica sacerdotale. Quando non c’è più un fedele, lui fa quella predica alle panche vuote, si confida con esse. Dice «quante volte qui alla domenica, quando la chiesa era piena di fedeli... eppure ogni tanto avevo il dubbio!». Guai ad avere le certezze assolute. Ti siedi comodamente su queste certezze e rinunci alla tua vita come continua curiosità della riscoperta. Se qualcuno mi dice che crede in Dio, prega Dio, ama Dio in maniera così graniticamente definitiva, ho l’impressione che non conosca il termine amore. L’amore è una lotta continua, un travaglio che non ci dà tregua.

All’inizio il prete si accontentava di avere la chiesa piena di fedeli. Nel momento in cui essa diventa vuota, scopre che cosa significa essere prete. Anche grazie alle circostanze che è costretto a vivere con un gruppo di pellegrini erranti che sostano nella sua chiesa mettendo in piedi quel villaggio di cartone di chi è continuamente in cammino e che non è affatto di cartone. Di cartone sono i muri di cemento armato. Anche Cristo ci dice «non ho nemmeno una pietra su cui poggiare il capo».

Tutte cose di cui il prete non si poneva più una domanda, ma era fermamente convinto della giustezza delle risposte. Finalmente avverte l’idea del porsi la domanda. Quale volto di Cristo ho incontrato?

Tutti i giorni la medesima domanda, perché infinite sono le risposte. La risposta che il prete dà al sacrestano: «mi sono fatto prete per fare del bene. Ho capito che il bene è più della fede».

Perché il bene è più della fede? Lo dico in maniera grezza: quando recitiamo le nostre preghiere, abbiamo la sensazione di compiere un atto di fede; poco dopo usciamo ed abbassiamo lo sguardo senza guardare in faccia l’umanità. Allora la fede è fare del bene o è dire "ho fede"? Si riesce perfino a pregare pensando ad altro. Il prete a quel nero che lo ringrazia per averli accolti dice «anch’io sto tornando alla casa del Padre». Questo è l’atto di fede. Sapere che il Padre è lì che mi aspetta. Siamo tutti dei "figliol prodigo". L’importante è capirlo e tornare a lui.

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Commenti Articolo 886

Titolo articolo : “Il Dio dei leghisti”,di Francesco Azzarello

Ultimo aggiornamento: March/12/2012 - 09:41:07.

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Autore Città Giorno Ora
Francesco Azzarello Freiburg 12/3/2012 09.41
Titolo:Risposta
Caro Augusto,

Mi rendo conto di esser stato troppo prudente e troppo poco chiaro.Per carità: sia in 1) che in 2) ho semplicemente cercato di leggere il tuo testo con gli occhiali di un cattolico praticante che ha in mano un vacabolario di cristianesimo e vi legge la definizione di ‘cristiano’. E propio perché mi sta a cuore che la tua ‘eresia’ non venga ridotta socialmente a un’eresia. Come te penso anch’io che certe etichette facciano più male che bene non alla Chiesa, alla Politica o a chi provi nei loro confronti interessi (anche meramente intellettuali) ma a chi in questo momento è in giro e a chi lo sarà in futuro. Perché? Perché fanno perdere quel po’ di bene che nasce da una riflessione laica e da una discussione franca, che sarà anche poco ma che continuo a pensare sia maggiore di quello prodotto dall’imposizione, dai magisteri e dalle routines.

Concretamente sulle due cristologie: non penso che le due interpretazioni siano inconciliabili. Non avanzo nessun dubbio sulla loro corrispondenza. Come per gli ebrei moderni la ‘ storicità‘ dell’Esodo (anche più labile di quella relativa a Gesù) è segno dell’amore di Dio, ed è su quel segno che si può e si deve portare la Torah a tutti come bene concreto (p.e. solidarietà e non-violenza praticate) e, per chi lo desidera, anche come percorso (fatto di strumenti umani: intellettuali ed esistenziali culturalmente marcati) per comprenderlo meglio, così per i cristiani la vita di Gesù.

Per concludere: penso che si possa continuare a praticare il cristianesimo senza essere feticisti. Sposare la tua proposta, pensarci un po’ su, sarebbe in questo senso anche un modo per la chiesa (degli apparati) di uscire dal provincialismo e svecchiare una retorica che ha perso il suo sale.

Un abbraccio affettuoso
F

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Commenti Articolo 887

Titolo articolo : La morale e la politica in Giuseppe Dossetti,

Ultimo aggiornamento: March/11/2012 - 22:15:30.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/3/2012 22.15
Titolo:Spiegare Dossetti a Tunisi
Spiegare Dossetti a Tunisi

di Alberto Melloni (Corriere della Sera/La Lettura, 11 marzo 2012)


Non c\'è da meravigliarsi, mi dicevo rispondendo mesi fa a una email della Fondazione Adenauer. Una politica culturale l\'Italia non ce l\'ha. Abbiamo il sapere — le traduzioni di Beccaria e Pico in arabo curate da Pier Cesare Bori non sono cosa che s\'improvvisa — ma non riusciamo a giocarlo là dove dovremmo. Per cui se il braccio culturale della Cdu tedesca mi invitava a Tunisi, per parlare dei costituenti democristiani e della preoccupazione di Dossetti per una «democrazia sostanziale», era giusto andare — mi dicevo — a far quaresima di quel luddismo che vediamo all\'opera nelle perpetrate o minacciate liquidazioni di istituti e agenzie di cultura.


D\'altronde la Konrad Adenauer Stiftung era un partner della ricerca storico religiosa in Medio Oriente ben prima di quelle rivolte arabe che abbiamo chiamato «primavere»: forse cogliendo un inconscio chiasmo fra la primavera di Praga, che finì col martirio volontario di Jan Palach, incendiatosi invano nella piazza San Venceslao, e quella del Maghreb, illuminata anch\'essa, i1 17 dicembre 2010, a Sidi Bouzid, dal fuoco che avvolse Mohammed Bouazizi, il laureato ridotto ad ambulante. Per cui sorvolato in un\'oretta il breve tratto di mare dove i tonni hanno pasteggiato per mesi a carne umana, siamo atterrati in tre — un ex deputato del Partito popolare europeo, un professore di Louvain-la-Neuve ed io — in una Tunisi tiepida e divisa. Divisa come il grande viale Bourghiba, al cui centro riposa una cortina di filo spinato, gentilmente disteso ad abbronzarsi, in attesa che l\'improvvisa insorgenza di una manifestazione renda necessario tagliare in due la celebre strada e l\'intera città.

L\'informazione sulle elezioni per la Costituente del 23 ottobre 2011, infatti, recita dati che non comunicano lo stordimento che si tocca parlando con i professori delle università, con gli studenti (e
le studentesse) diventati attivisti di una reislamizzazione della società, con le suore che riassettano la chiesa di San Vincenzo. Nelle urne Ennanda («Rinascita»), il partito religioso che il suo anziano
fondatore Rashid Ghannouchi assimila frettolosamente ai partiti democristiani europei, ha preso il 40 per cento dei 217 seggi. Gli altri — il Congresso per la Repubblica di Morcef Marzouk con 29
seggi, Al Aridha con 26, Ettakatol di Mustafa Ben Jaafar con 20, lo sconfitto Partito democratico progressista di Maya Jribi e Ahmed Chebbi con 16, fino ai piccolissimi partitini — si son divisi voti
e promesse, accuse sui finanziamenti dai sauditi, e imputazioni di connivenze con un Occidente che sembra proprio aver scommesso d\'azzardo sulla utilità dei salafiti, dal Sahara alla Siria.

Questi i numeri, la cronaca, la dietrologia: ma la questione del senso dell\'articolo 1 della Costituzione del 1956, che faceva dell\'Islam la religione di Stato, e la menzione della Sharia in Costituzione tagliano l\'aria, inaspriscono i battibecchi, corrucciano la calma religiosa di chi si sente a cavallo di un destino e viene al seminario della Fondazione Adenauer in un venerdì di festa e di preghiera.

A Konrad Schweiger, a Vincent Dujardin e a me era stato chiesto di
rispondere a una domanda —«Le democrazie cristiane sono state movimenti religiosi?» — evidentemente collegata alla citata aspirazione di Ennanda. I1 politico tedesco ha parlato della
decisione della Cdu di essere un partito non confessionale (oggi il ministro della Cultura della Bassa Sassonia è una musulmana «democristiana»); Dujardin del processo costituente belga del 1830, che raccoglie sotto il motto «l\'unione fa la forza» il partito liberale e il partito cattolico; mentre a me è toccato spiegare che dalla Chiesa che aveva condannato, ai tempi di don Romolo Murri, l\'idea e il nome di «democrazia cristiana», era uscita una generazione che non si accontentava della democrazia come strumento, ma la vedeva come sostanza di un pluralismo da comprendere in termini teologici.

Ad ascoltarci esponenti di vari partiti, che desideravano solo che finissero le nostre relazioni per chiedere al moderatore di prendere la parola. E suscitare in noi che avremmo dovuto rispondere domande gravi. Perché nella Tunisi di oggi c\'è gente convinta che in Italia le
piazzate islamofobe siano tollerate come forma di spregio verso i musulmani. C\'è chi crede che 1\'8 per mille sia una tassa che il Papa si fa pagare dallo Stato e che l\'Europa punisca gli spettacoli che deridono Gesù, mentre protegge chi insulta il Profeta. C\'è chi spera che l\'Europa fermi l\'incubo di una atomica sciita, vista come una minaccia ai sunniti, prima e più che a Israele. E chi si augura
che, per l\'accettazione leale della democrazia, passi nell\'Islam un tempo più breve di quello che separa Pio IX dal Vaticano II.

Nei discorsi d\'un tipo o d\'un altro, però, si sente la stessa allusione: la minaccia o il timore che alla rivoluzione debba seguire una nuova rivoluzione. Come se il fatto più decisivo di quella che ha
rovesciato Ben Ali — la decisione dell\'esercito di non sparare sui manifestanti disarmati del viale Bourghiba, il 14 gennaio 2011 - fosse destinato a cedere il passo a uno scontro che gli integralisti
d\'ogni sponda desiderano con la stessa follia che cent\'anni fa preparava in Europa la Prima guerra mondiale.

Eppure basta poco per rendersi conto che questa deriva non è l\'ineluttabile premessa, ma la fatale conseguenza di una cultura della guerra lunga trent\'anni. Quella perversa idea che ci sia una guerra
«ultima» — in Libano o nel Golfo, in Somalia o in Libia — che non si può non fare: e dopo la quale ne arriva sempre un\'altra, e un\'altra ancora. Senza capire che è proprio della guerra che il fondamentalismo aveva e ha ancora bisogno per radicarsi ideologicamente.

Una contaminazione che non si ferma con le armi, ma con una fiducia radicale nel valore dell\'ascolto e della parola sapiente: le cose che hanno portato i cattolici, così «inadatti» alla democrazia, a diventarne protagonisti; e che potrebbero evitare al piccolo mare che ci connette all\'Africa di diventare un oceano di estraneità.

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Commenti Articolo 888

Titolo articolo : Foiba di Basovizza.,di Michele Zarrella

Ultimo aggiornamento: March/11/2012 - 12:07:37.

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Autore Città Giorno Ora
Giovanni Sarubbi Monteforte Irpino 20/2/2012 17.27
Titolo:Piccolo problema
Caro Michele,
giusta la tua commozione. Anche io faccio parte di quella generazione che quando passa un funerale, anche senza conoscere chi sia il morto, mi fermo e lo saluto portando la mano alla fronte. Per la foiba di Basovizza c'è però un "piccolo problema". E' accertato storicamente che nella foiba di Basovizza non è mai stato infoibato nessuno. Quella lapide è semplicemente falsa.
Ciao
Autore Città Giorno Ora
Michele Zarrella Gesualdo 11/3/2012 12.07
Titolo:Risposta al piccolo problema che è davvero piccolo
Caro Giovanni,
quello di Basovizza è un monumento nazionale che ricorda un periodo storico altamente disumano. Non penso che sotto il monumento del milite ignoto ci debba essere il milite ignoto per fermarmi a riflettere. Di fronte ad un monumento come quello di Basovizza penso alla crudeltà umana che ha compiuto certi gesti e me ne rammarico profondamente. Spero che essi e la storia siano di monito e maestri affinché l’uomo non commetta più quelle efferate azioni.
Se nella foiba di Basovizza ci siano degli infoibati, o che essi siano da altra parte, non sposta di un millimetro il discorso e il suo obiettivo.
Saluti

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Commenti Articolo 889

Titolo articolo : IL VATICANO CONTINUA A SEMINARE VENTO. Due interventi: discorso di Benedetto XVI ai vescovi statunitensi (nella fase cruciale delle primarie) e lettera sullo spettacolo di Romeo Castellucci. Una nota di Massimo Faggioli e una di Andrea Tornielli - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/10/2012 - 11:32:19.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/1/2012 12.48
Titolo:Romeo Castellucci: «Nel mio Cristo niente di provocatorio»
Romeo Castellucci «Nel mio Cristo niente di provocatorio»

di Francesca De Sanctis (l’Unità, 17 gennaio 2012)

Lettera aperta di Romeo Castellucci alle redazioni: «Sul Concetto di volto nel figlio di Dio e una riflessione sul decadimento della bellezza, sul mistero della fine - scrive il regista e fondatore della Societas Raffaello Sanzio - . Gli escrementi di cui si sporca il vecchio padre incontinente non sono altro che la metafora del martirio umano come condizione ultima e reale. Non c’è niente di provocatorio».

È una lunga lettera quella di Castellucci, costretto a scrivere, anche se l’arte, libera per definizione, non dovrebbe spiegare proprio nulla. Ma gli attacchi e le polemiche, dopo il dissenso dimostrato apertamente dai cattolici francesi a Parigi, cominciano a farsi sentire anche in Italia, a Milano, soprattutto, dove lo spettacolo - che lo scorso anno andò in scena a Roma senza provocare offese o risentimenti - debutterà il prossimo 24 gennaio al Franco Parenti. l’esposto

Una decina di cittadini hanno depositato un esposto alla Procura di Milano affinché intervenga «per vigilare che non siano commessi reati» previsti dal primo e dal secondo comma dell’articolo 404 del Codice penale, che prevede una multa fino a 5mila euro «per l’offesa arrecata in un luogo di culto, in un luogo pubblico o aperto al pubblico a una confessione religiosa».

Ma che cos’è che dà tanto fastidio nello spettacolo di Castellucci? «L’azione teatrale vuole essere una riflessione sulla difficoltà del 4˚ comandamento se preso alla lettera. Onora il padre e la madre. Un figlio, nonostante tutto, si prende cura del proprio padre, del suo crollo fisico e morale. Crede in questo comandamento e fino in fondo il figlio sopporta quella che sembra essere l’unica eredità del proprio padre. Le sue feci. E così come il padre anche il figlio sembra svuotarsi del proprio essere e della propria dignità».

E ancora: «Per questo spettacolo ho scelto il dipinto di Antonello a causa dello sguardo di Gesù che è in grado di fissare direttamente negli occhi ciascuno spettatore con una dolcezza indicibile. Lo spettatore guarda lo svolgersi della scena ma è a sua volta continuamente guardato dal volto. Il Figlio dell’uomo, messo a nudo dagli uomini, mette a nudo noi, ora. Quando le condizioni tecniche lo rendono possibile, è previsto l’ingresso di un gruppo di bambini che svuotano i loro zainetti del loro contenuto: si tratta di granate giocattolo. Uno ad uno lanciano queste bombe sul ritratto. È un gesto innocente portato da innocenti. L’intenzione è quella del bambino che vuole tutta l’attenzione per sé del genitore distratto. A Milano non è stato possibile includere questa scena non certo per un’autocensura!».

La pièce mostra, nel suo finale, dell’inchiostro nero di china che sgorga dal ritratto del Cristo: «È tutto l’inchiostro delle sacre scritture che qui pare sciogliersi di colpo. Devo denunciare qui le intollerabili menzogne circa il fatto che si getterebbero feci sul ritratto di Gesù. Che idea! Niente di più falso, di cattivo, di tendenzioso».

A placare gli animi interviene perfino la Curia milanese: «Raccogliendo le parole della regista e direttrice del teatro Parenti di Milano Andrée Ruth Shammah a nostra volta domandiamo che sia riconosciuta e rispettata la sensibilità di quanti, cittadini milanesi, e non sono certo pochi, vedono nel Volto di Cristo l’Incarnazione di Dio, la pienezza dell’umano e la ragione della propria esistenza». E Andrée Ruth Sahammah ringrazia a sua volta: «Siamo i primi a credere che la libertà di espressione non debba prevalere sul rispetto delle idee e delle identità - spiega -. Proprio per questo, abbiamo continuato a rispondere ai tanti che ci hanno scritto in queste settimane, ribadendo che lo spettacolo non ha alcun contenuto offensivo».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/1/2012 16.30
Titolo:In Italia non si può vedere, non si può giudicare con la propria testa ,,,
Il Vaticano: fermate la pièce su Gesù


di Adriano Prosperi (la Repubblica, 20 gennaio 2012)


Lo spettacolo del regista Romeo Castellucci, "Sul concetto di volto nel figlio di Dio", è un dialogo tra un figlio e un padre anziano colpito da dissenteria: il dialogo si svolge sotto una grande
riproduzione di un celebre volto di Cristo. È il volto dipinto da Antonello da Messina: un Cristo vero e bellissimo uomo. Un Gesù dall´espressione dolce e intensa, un´immagine lontana da quella
tradizione di origine francescana che ha insistito sugli strazi della Passione, il sangue, le spine, l'allucinata magrezza.

Questa versione ha vinto nella storia della religiosità cattolica e segnatamente italiana perché ha dato espressione al bisogno di accostarsi a Cristo come uomo, di trovare in lui una figura fraterna, un mediatore dolce e rassicurante col Padre Eterno.

Ma in questo spettacolo è proprio quella perfezione fisica che viene presentata come una provocazione intollerabile per chi sta
sperimentando il degrado e l´umiliazione estrema del corpo di un padre nell´estrema decadenza della vecchiaia. La reazione a questo conflitto è l´iconoclastia, l´offesa all´immagine: un gruppo di giovani sporca quell´immagine, le scaglia contro sassi e granate. È una drammatica sfida, una maniera di chiedere una spiegazione a Dio, dunque qualcosa cheappartiene in profondità all´esperienza religiosa.

Si può chiamare a testimone un sacerdote che fu anche un intellettuale cattolico e un grande organizzatore di cultura, don Giuseppe De Luca. Nella sua definizione della pietà era inclusa anche l´offesa a Dio, la bestemmia, l´esecrazione, l´empietà: tanti segni, secondo lui, di un rapporto vivo tra l´uomo e Dio, di un atteggiamento diverso dall
´indifferenza e dal distacco di chi non si sente minimamente interrogato dal messaggio religioso.

Questa scena aveva suscitato reazioni polemiche di gruppi cattolici tradizionalisti francesi durante le rappresentazioni parigine nell´ottobre scorso. Ora il dramma è in cartellone a Milano al Teatro
Franco Parenti a partire dal 24 gennaio. Il regista ha annunciato che la scena delle offese all´immagine non ci sarà. Fa parte della sua libertà di decidere in materia. E fa parte della libertà degli
spettatori il diritto di andare a teatro e di giudicare il dramma in base alla loro sensibilità e alla loro cultura. Anche di protestare, se si sentono offesi nei loro sentimenti.

Invece in questo caso non si vuole che il dramma sia rappresentato. Rispolverando toni intransigenti e scandalizzati che riportano ai tempi delle condanne del teatro da parte di San Carlo Borromeo. un
comitato che non a caso si intitola proprio al nome del santo milanese ha chiesto al teatro milanese di «voler cancellare questo spettacolo» perché è una «offesa a Cristo e, con lui, a tutti i cattolici».

Ed è giunta, insieme ad altre reazioni dello stesso tipo, una lettera di monsignor Peter Wells della Segreteria di Stato vaticana che accusa il dramma di Castellucci di essere un´opera «offensiva nei confronti di Nostro Signore».

Milano non è Parigi, evidentemente. Né i cattolici italiani possono godere dei diritti dei cattolici francesi. In Italia non si può vedere, non si può giudicare con la propria testa. Questo è il punto.

Alla Chiesa cattolica non si può muovere a cuor leggero l´accusa di essere un´agenzia dell´intolleranza religiosa: in tempi come i nostri ben altre sono le manifestazioni dell´intolleranza che destano preoccupazione. Lo scatenarsi della violenza da parte di chi si ritiene obbligato a vendicare l´onore del suo Dio o del suo profeta ha riportato all´ordine del giorno fenomeni che speravamo di avere lasciato in un remoto passato.

La Chiesa cattolica ha dimostrato di saper aprire un confronto
col mondo moderno all´interno di una accettazione del principio della libertà delle coscienze e della tolleranza: una tolleranza che si somma spesso alla saggezza politica. Talvolta eccessivamente
politica a giudizio di molti, che preferirebbero una proposta religiosa capace di distinguere i veri credenti dal cattolicesimo sociologico della maggioranza.


Se ne è avuto un esempio nella non dimenticata controversia giuridica sull´affissione del Crocifisso nei luoghi pubblici quando le autorità ecclesiastiche ne hanno sottolineato il carattere di "arredo" mettendo in ombra quello di sconvolgente simbolo religioso. Resta il fatto che l´Italia per questa Chiesa è una provincia speciale dove si deve ancora sfoderare all´occasione il volto severo: come sifa coi bambini, come non si fa con gli adulti.

Ritroviamo in questo episodio la conferma di una
tradizione antica e la riprova di quello speciale stile della Chiesa di Roma che un esperto studioso di queste cose, il professor Jeffrey Haynes della London University, ha definito come l´esercizio di un "transnational soft power": un potere dolce, capace di adattarsi alle differenze locali e di modulare diversamente la voce a seconda dei destinatari. Con gli italiani, la voce è severa, per loro vige ancora la censura preventiva.
Autore Città Giorno Ora
gianni felisio TORINO 22/1/2012 16.45
Titolo:ma quanta rabbia
quanto livore; ma un bel "non giudicate e non sarete giudicati" ?
vi leggo spesso ma qua ci avete messo rancore e quasi odio .........
all'anima dei ....cristiani
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/1/2012 17.08
Titolo:Non sprechiamo un’occasione per riflettere "Sul concetto di volto nel Figlio di ...
"Sul concetto di volto nel Figlio di Dio" andrà in scena, non sprechiamo un’occasione per riflettere

di Antonio Audino (Il Sole-23 Ore, 20 gennaio 2012)

Lo spettacolo si farà. E anzi sarà l’occasione per capire esattamente cosa accade in scena, sperando che anche i cattolici che si ritengono offesi da questa produzione si ricredano. Già, perché ha ragione Romeo Castellucci, regista del tanto discusso "Sul concetto del volto di Dio" quando afferma che chi accusa di blasfemia quest’opera certamente non l’ha vista. Lo spettacolo ha girato in Italia e in Europa suscitando accese discussioni di carattere filosofico e culturale, trattandosi del lavoro di un creatore dal pensiero complesso e spesso impervio . Ma le repliche a Parigi hanno dovuto fronteggiare gli attacchi di alcuni gruppi di integralisti religiosi, convinti che lo scopo della messa in scena fosse l’idea di insozzare e vituperare un’immagine del Cristo. Ed è proprio l’eco di quelle proteste a riemergere in questi giorni in occasione del debutto milanese fissato per il 23 al Teatro Franco Parenti di Milano. Qui il livello di fuoco si alza, non solo interviene la curia meneghina, ma le fa eco addirittura la segreteria di Stato vaticana, che invita a una reazione «ferma e composta» rispetto a questo atto ritenuto offensivo per chi crede.

Davvero strano, eppure chi lo aveva visto a Roma o ad Avignone aveva percepito tutt’altro, si era trovato immerso in un’ acutissima riflessione sul sacro, sui nostri momenti di fragilità e di miseria umana, sul nostro bisogno di dialogo con un entità superiore, simboleggiata in scena dalla gigantografia di un Cristo umanissimo e dolente di Antonello da Messina.

Ora le iperboli visive e immaginative messe in gioco da Castellucci sono senza dubbio complesse e lasciano allo spettatore ogni possibilità di lettura. Ma certo quel padre continuamente sporco di feci, quel figlio amorevole che lo soccorre, davanti allo sguardo di quell’ecce homo, suggeriscono riflessioni umanissime, rovesciano il rapporto tra padre e figlio, facendolo rimbalzare su una triangolazione divina. Ora, qualunque cosa avesse fatto Castellucci o un altro artista ci sarebbe da chiedersi quanto oggi sia legittimo un intervento censorio da parte di chiunque. Ma il paradosso è che le cose non stanno affatto così.

Le feci sul volto di Cristo? Niente affatto: una colata di liquido nero copre alla fine l’immagine, preludendo allo spettacolo successivo del regista in cui un pastore protestante si cala un crespo nero sugli occhi fino alla morte, magari rimandando a un pensiero tutto cristiano sul Dio nascosto. E poi chi conosce il lavoro di Castellucci sa che il regista è un vero e proprio filosofo della scena, e forse l’unico regista internazionale davvero interessato a un livello di riflessione profonda. Resta da chiedersi il perché di tanto rumore per nulla. Ma evidentemente le gerarchie vaticane amano ancora far sentire la propria voce in termini censori e lanciare anatemi per ribadire il loro sguardo vigile sulla nostra società, così come gruppuscoli minoritari alzano la voce solo per far capire che ci sono. Intanto un appello in difesa dello spettacolo viene stilato da alcuni importanti critici di teatro (www.teatroecritica.net) E la lista delle adesioni si allunga di minuto in minuto.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/1/2012 09.29
Titolo:USA. La libertà religiosa oggi è un po ’più forte. E’ una questione di salute de...
Nessun costo per la copertura contraccettiva: la libertà religiosa oggi è un po’ più forte

La libertà religiosa oggi è un po ’più forte. E’ una questione di salute delle donne e delle loro famiglie.

di Sally Steenland

in “The Huffington Post” del 21 gennaio 2012 (traduzione di Maria Teresa Pontara Pederiva)

L’amministrazione Obama ha preso una decisione che prevede che da oggi la maggior parte dei datori di lavoro siano tenuti a fornire a costo zero la copertura contraccettiva, nell’ambito della legge sanitaria Affordable Care Act. La decisione prevede l’obiezione di coscienza per i luoghi di culto e per alcune organizzazioni no profit che danno lavoro e sono al servizio di persone della stessa fede religiosa. Ma non esime però le numerose istituzioni a vario livello legate a una qualche religione, ma che danno lavoro a persone di fedi diverse - così come quelle che non dichiarano alcun credo religioso - per le quali la pianificazione familiare è un aspetto fondamentale della loro responsabilità morale.

Questa decisione se da una parte riceve un’accoglienza positiva, dall’altra è avversata. Alcuni leader religiosi nelle scorse settimane si sono opposti con veemenza alla decisione odierna, affermando che essa violerebbe la libertà religiosa. Alcuni si sono spinti fino a sostenere che l’amministrazione Obama stia conducendo una vera e propria guerra contro la libertà religiosa.

Il che non è vero. Tuttavia è vero che la questione della libertà religiosa sia fortemente contestata: e non solo in questo paese. Mentre la nostra nazione diventa sempre più pluralista e accoglie persone con fedi diverse, abbiamo da affinare la nostra comprensione nei confronti dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, e assistiamo al fatto che i problemi di coscienza entrino in gioco su entrambi i lati del dibattito del diritto di decisione in materia riproduttiva, lottiamo per discernere dove la libertà religiosa è sotto attacco e dove invece sta crescendo in quanto a forza e comprensione.

Permettere alle donne di prendere decisioni basate sul rispetto della loro coscienza quando si tratta di questioni fondamentali riguardo alla propria famiglia e alla propria salute è un esempio di libertà religiosa al suo massimo livello. Fornire una deroga ragionevole per l’obiezione di coscienza nei confronti di alcune istituzioni religiose ne rappresenta un altro fulgido esempio.

Questa decisione non pone in contrasto la fede religiosa e la società laica, e neppure cattolici contro le altre religioni. I fatti dimostrano che la stragrande maggioranza delle donne con un credo religioso facciano normale uso di contraccettivi, e fra le donne che di dichiarano cattoliche la percentuale è al 98%. Considerando questi numeri, si potrebbe affermare che la Chiesa cattolica - stando ai propri fedeli - sostenga la decisione di oggi.

In questa decisione si riscontrano anche due punti ancora più essenziali: un modo sicuro per ridurre la necessità di ricorrere all’aborto è quello di ridurre il numero di gravidanze indesiderate, rendendo la contraccezione accessibile e conveniente. Inoltre, un buon modo per promuovere gravidanze sane, la nascita di bambini sani e robusti, è quello di utilizzare la contraccezione per una pianificazione familiare del numero dei figli così da garantire intervalli tra le nascite dei bambini. Oggi l’amministrazione Obama ha scelto una cosa giusta. Quanti hanno a cuore la salute delle donne, la salute delle loro famiglie e anche la libertà religiosa non possono che essere grati.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/1/2012 10.29
Titolo:MILANO. Messe e teatro blindato per il Gesù di Castellucci
Messe e teatro blindato per il Gesù di Castellucci


di Paola D'Amico (Corriere della Sera, 24.01.2012)

MILANO — Tutto esaurito per la Prima milanese del lavoro di Romeo Castellucci, Sul concetto di volto nel Figlio di Dio. Il sipario si apre in un clima di tensione. Il teatro Franco Parenti di Andrée Ruth Shammah, già oggetto di minacce nei giorni scorsi, stasera sarà blindato: Digos e servizi d'ordine.

Confermata anche la protesta dei movimenti cattolici. Qualcuno si sfila all'ultimo momento come il Comitato San Carlo Borromeo, informato della presenza di militanti di Forza Nuova. E chiede alla questura l'autorizzazione a una seconda manifestazione (sabato 28, alle 18.45).

Altri gruppi, parrocchie intere, si mobilitano per un rosario collettivo. Alle 19 a due isolati dal teatro, in piazzale Libia accanto ai manifestanti di Militia Christi con striscioni e megafoni, il Circolo Cattolico Christus Rex organizzerà una «messa riparatrice» celebrata don Floriano Abrahamowicz in contemporanea con un'altra analoga che avrà luogo a Roma.

Alla chiamata dei blog cattolici (Riscossa Cristiana, Italia Cristiana e Messa in latino per dirne alcuni, ma i gruppi impegnatisi nella crociata hanno i nomi più disparati: da Vita Umana internazionale a Fondazione Lepanto, al Comitato No194, il tutto mentre il sito di Agerecontra rilancia un'asserita «dimensione gnostica e satanica dell'opera di Castellucci») il mondo del teatro reagisce sottoscrivendo un appello promosso dal Parenti in difesa della libertà di espressione di ciascun artista e di ciascuna compagnia. Ed ecco scendere in campo gli attori Ermanna Montanari e Fabrizio Gifuni, i registi Giuseppe Bertolucci e Gabriele Lavia, Elio De Capitani e Daniele Abbado, il filosofo Carlo Sini, il critico teatrale Oliviero Pontedipino, lo scrittore Luca Doninelli.

Per nulla preoccupato il regista. «Se qualcuno vorrà interrompere lo spettacolo — dice Castellucci — sarà libero di farlo. Chiuderemo il sipario e poi lo riapriremo, ricominciando da dove ci saremo fermati». Uno spettacolo nello spettacolo, insomma, dentro ma anche fuori dal teatro.

Fabrizio Lastei, portavoce di Militia Christi che per prima ha organizzato la protesta contro il teatro «eretico» del regista emiliano, precisa: «Abbiamo raggiunto un accordo con la Digos. Il ritrovo è in piazzale Libia. Arriveremo da tutta Italia in bus e in treno. Resteremo fino alle 22.30. Ma una delegazione potrà arrivare fino all'ingresso del teatro. La nostra parola d'ordine è fermezza e unità. Sono vietate le bandiere di partito o ideologiche».

Intanto ieri in Università Cattolica sono comparsi manifesti, firmati da tre movimenti studenteschi di destra, con un esposto contro un docente a contratto di Organizzazione del teatro e dello spettacolo alla facoltà di Lettere, Andrea Bisicchia, che è anche membro del CdA della Fondazione Teatro Parenti.

Per la Prima sono attesi tra gli altri il filosofo Giulio Giorello, l'assessore alla Cultura Boeri, il regista De Capitani e Vito Mancuso.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/1/2012 14.14
Titolo:Che vergogna per Milano (la città di Strehler, del Paolo Grassi, di Franco Paren...
Quelle proteste senza ragione e la città diventa irriconoscibile


di Michele Serra (la Repubblica, 25 gennaio 2012)


Che vergogna per Milano (la città di Strehler, del Paolo Grassi, di Franco Parenti, di Giovanni Testori) essere costretti a entrare in un teatro tra due cordoni di polizia.

Per vedere uno spettacolo che una diceria paranoica, attecchita su Internet, accusa di blasfemia, inventandosi un "lancio di escrementi contro il volto di Cristo" che, semplicemente, non c'è, non esiste, non è mai stato scritto né messo in scena.

Che pena dover guardare di sottecchi, tra centinaia di poliziotti e di giornalisti, gli altri passanti, gli sparuti drappelli che si raccolgono nel buio attorno al teatro, per capire se sono "dei nostri" o "dei loro", come in uno stadio, guardinghi come se fossimo tutti tifosi in trasferta. Che rabbia dover portare conforto al direttore del teatro, Andrée Ruth Shammah, sommersa di insulti e minacce sui
siti cattofascisti e antisemiti, accusata di fare parte della "sinagoga di Satana", sfregiata da svastiche, accusata di "arte giudea". Costretta a sentirsi "coraggiosa" (come troppo spesso accade in Italia) solo per avere fatto il suo mestiere, avere scelto uno spettacolo, averlo messo in cartellone, essersi rifiutata di cedere agli insulti e perfino (ed è la cosa che le ha fatto più male) ai consigli di prudenza di chi le diceva "in fondo chi te lo fa fare, non è mica obbligatorio andare in scena proprio con quello spettacolo...".

Una Milano irriconoscibile per lei, che al fianco di Franco Parenti condivise, su questo stesso palcoscenico, la lunga, feroce epopea teatrale di Testori, il grande drammaturgo cattolico che costruì il suo teatro testimoniale anche con la carne, il sangue, lo sperma, e nessuno, nemmeno il più stupido dei bigotti dell'epoca, si permise mai di dubitare del diritto, suo e del pubblico, di andare in scena.

Ovviamente niente sanno - né di Testori né, oggi, dell'atto unico di Romeo Castellucci - i piccoli drappelli di "legionari di Cristo" che in una piazza qui accanto, sotto la paziente custodia della polizia, inneggiano a "Cristo Re". O le povere vecchine venete portate qui in pullman a biascicare un "rosario di riparazione" al freddo e al buio, e rimpatriate in fretta ancora prima che lo spettacolo di Castellucci andasse in scena. O i militanti (dieci?) della Lega Lombarda e di Forza Nuova con i berrettini da ultras, presenze incongrue di una serata incongrua, accorsi a difendere "le radici cristiane" non si capisce da chi né da cosa, visto che lo spettacolo di Castellucci, nella sua tremenda durezza, ripropone i gesti pietosi delle suore, delle infermiere con la croce rossa sul petto, di chi bada ai vecchi e al loro disfacimento fisico e si domanda ragione di tanto dolore, chiedendone conto a Dio.

Gli applausi finali, molto caldi, tributati da un pubblico largamente rappresentativo della Milano colta, facevano pensare con una certa tristezza all'autodiscriminazione dei furenti contestatori, impegnati nelle loro giaculatorie e paurosamente lontani dal cosiddetto dibattito culturale.

Fanatismo e ignoranza, si sa, sono alleati di ferro, si alimentano l'uno dell'altra. Pericoloso illudersi, comunque, che il flusso di velenosa intolleranza che ha circondato questa prima teatrale sia cosa che riguarda solo i deboli e spersi manipoli visti attorno al Teatro Parenti. Numerosi parlamentari del Centrodestra (e Volonté, che è dell'Udc e dunque rappresenta, in teoria, il cattolicesimo moderato)
hanno rivolto interpellanze per chiedere ragione non già della campagna antisemita e censoria contro lo spettacolo, ma della "provocazione" costituita dallo spettacolo stesso. Per assicurare il lato comico della vicenda, si è pronunciato, con vibrate parole di protesta contro lo spettacolo, anche Scilipoti.

Quanto alla Curia di Milano, alla quale Shammah si è direttamente rivolta per chiedere una parola di chiarezza e di intelligenza, ha emesso un comunicato piuttosto fumoso il cui succo è richiamare
chi fa cultura a una "programmazione più responsabile". Quasi nessuna voce, sul fronte laico, si è levata per far notare al cardinale Angelo Scola che il richiamo non è stato felice.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/1/2012 09.55
Titolo:MILANO. Cardinale , davvero non c’è più religione
Cardinale, non c’è più religione

di Roberta de Monticelli (il Fatto Quotidiano, 26 gennaio 2012)


È proprio vero che non c’è più religione. In Vaticano, dico, e neppure ai vertici della Chiesa ambrosiana. Ma come: il Teatro Franco Parenti ospita uno spettacolo che gira da più di un anno, intessuto di citazioni bibliche, capace a suo modo di scuotere insieme le viscere e la mente. C’è un Padre, e un Figlio. C’è un’agonia terribile e umiliante. C’è un pianto sconsolato e un amore impotente.

C’è tutta intera la cognizione del dolore, e della mortalità. C’è tutta la tenerezza e la debolezza della carne, la sua fragilità, la sua corruzione. C’è una Passione, c’è un Giobbe che si sparge il corpo e le piaghe di melma.

C’è addirittura un velo che si squarcia e un fulmine che pare scuota la terra, e la terra del resto tremava già sotto il palco e le assi della platea, prima che lo spettacolo cominciasse, e così il brontolio cupo del cielo e delle viscere della terra avvolgeva lo spettatore, a prepararne l’anima.

E sopra tutto, fra terra e cielo – solo sfondo – il Volto. Quello del
Salvator Mundi di Antonello da Messina. Nella sua infinita, indicibile, muta dolcezza. Che perfino quando si squarcia resta, si vede, partorisce ancora forme umane, si confonde con la Parola, si
ricompone in filigrana. E lascia intravedere salmi di fede e di dubbio. Le citazioni preferite dal Cardinal Martini.

Sembra una lezione di teologia, o forse un’omelia, una parabola, un midrash. Con annesso talmud e glossario e commento, un dibattito che si trova disteso in rete da Parigi a qui, che dura e si riaccende. Ma cosa vogliono di più?

Non ci si può credere, che il cardinale Scola, certo un fine teologo, abbia davvero parlato di “opera contraria ai simboli religiosi”! Meno male che Scilipoti ha mostrato da quali profondità teologiche e spirituali possa salire questa scomunica, con un’interrogazione parlamentare in cui citando Scola chiede al ministro di proibire lo spettacolo: ma è possibile che qualcuno possa scrivere, dopo tutto questo, che il cardinale ha mostrato molta saggezza perché pur rammaricandosi non ha chiesto la sospensione della pièce al Parenti?

Ma scusi, caro Umberto Veronesi, a che titolo mai avrebbe potuto – anche soltanto osare? Siamo tutti impazziti? Vabbè, in fondo, grazie a queste bizzarrie torna a teatro perfino un po’ di emozione civile: dunque la gente ancora pensa, si emoziona, discute? Con il cielo e l’inferno forse tornano le idee, si risvegliano dalla formalina, anzi dal decerebrato bailamme dei talk-show? Magari!

Certo, girano in rete propositi di idiozia criminoide, mentre per strada, intruppate, girano vecchiette col rosario, che poverette col freddo che fa le camionette della polizia le tengono lontane dal caldo
foyer del tetro, ma perché? Sì, certo, perché non si sa mai: pare che in questi giorni sia arrivato di tutto al Teatro Parenti e ad Andrée Ruth Shammah: minacce, insulti, perfino schifezza antisemita...

Ma ecco in tutto questo la frase più straniante, a suo modo davvero blasfema nella sua comicità surreale. Come surreale può essere una contraddizione logica e un’infamia etica che per nascondersi
si cosparge di melliflua, socializzante gommosità. Eccola, viene diretta dal portavoce del Papa, Padre Lombardi, o almeno gli è attribuita: avrebbe potuto, la direttrice del teatro “farsi carico della dimensione sociale della libertà di espressione”!

Oh Dio, e sarebbe questa la Parola, cui “si addice
la temperatura del fuoco”? Questo il tocco della grazia che rinnova e ricrea, che fa rinascere a vita eterna, che chi la ode non avrà più sete ? Davvero non c’è più religione, in Vaticano.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/1/2012 21.05
Titolo:Io l’ho visto. Lo spettacolo di Castellucci ...
“Ma Castellucci mette in scena la predica di un prete”

"COME SAN TOMMASO «Il tono è di quei credenti che conquistano la fede mettendo il naso in questioni spinose»"

di Gabriele Vacis (La Stampa, 27.01.2012)

Autore, regista teatrale, cinematografico e televisivo Gabriele Vacis, torinese, è tra i fondatori della Cooperativa Laboratorio Teatro Settimo. Ha curato la regia di spettacoli quali «Libera nos» ispirato alle opere di Meneghello; «Novecento», «Olivetti», con Laura Curino. Premio UBU 1995 per il teatro civile, ha promosso festival teatrali e diretto le regie di opere liriche. Ha assistito allo spettacolo di Castellucci accusato di blasfemia.



Io l’ho visto. Lo spettacolo di Castellucci «Sul concetto di volto nel figlio di Dio», io l’ho visto. Comincio dicendolo perché credo che molti di coloro che ne parlano non l’abbiano visto. Soprattutto credo che non l’abbiano visto molti di quelli che lo contestano, che vorrebbero censurarlo o che recitano litanie per espiarne l’esistenza. Io ne parlo perché l’ho visto. E perché mi hanno insegnato che San Tommaso è una figura positiva. Mi hanno insegnato che quel ragazzo che non ci credeva fin che non aveva visto, a Gesù, stava a cuore più di altri.

Quando ho visto lo spettacolo di Castellucci ho pensato a un prete. Un prete che organizzava il Grest quand’ero piccolo. Uno che ci faceva giocare a pallone, e alla fine della giornata, tutti sudati, ci radunava in chiesa e ci leggeva «I ragazzi della via Paal». Quando ho visto lo spettacolo di Castellucci ho pensato ad una predica di quel prete. Una domenica, alla messa delle nove, la messa del fanciullo che lui aveva ribattezzato «messa dei ragazzi». Quella domenica era andato al microfono, aveva guardato tutti, uno per uno, poi aveva staccato una domanda, così, senza preamboli: - perché Dio permette che esista il male? Don Ferrero non era uno che andava per il sottile. Era uno che «prendeva per il collo i problemi», l’ho sentito dire una volta.

Quando ho visto lo spettacolo di Castellucci ho pensato che la domanda era la stessa. Forse declinata un po’ più brutalmente: com’è possibile che esista Dio se permette tutto questo male? Ma la sostanza è quella. E anche il tono: il tono di uno che prende per il collo i problemi.

Come Bernanos, come Testori, come Don Ciotti o Padre Bianchi. Il tono di quei credenti che non fondano la loro fede sulla superstizione, sull’adesione supina a riti consolatori, ma che, la fede, se la conquistano andando a mettere il naso nelle questioni più spinose.

Come San Tommaso. Se è il caso anche scandalizzando. Non è scandaloso che un prete, una domenica mattina, sbatta in faccia a dei ragazzini quel problema enorme e, probabilmente insolubile? Lo è. Com’è scandaloso un padre che continua a farsela addosso mentre il figlio deve andare a lavorare.

Perché questo racconta lo spettacolo di Castellucci: una delle nostre tante miserie quotidiane. Solo che sul fondo della scena realistica, talmente realistica da farci sentire la puzza, sul fondo c’è un enorme ritratto di Cristo dipinto da Antonello da Messina.

La miseria più cruda e la bellezza assoluta. Insieme. C’è bellezza nello spettacolo di Castellucci. E c’era molta bellezza in quei ragazzini assonnati alla messa dei ragazzi messi di fronte alla realtà più cruda. Era bella la voce di don Ferrero, era bello il nostro stupore, era bello sentirsi sbattere sulla faccia la verità. Perché la bellezza e la verità forse sono la stessa cosa.

Così nello spettacolo di Castellucci c’è la verità di una tragedia molto comune. Raccontata con grande cura. Mentre l’altra sera, al telegiornale, il servizio sulla contestazione allo spettacolo, ha mostrato persone che alla domanda: ma lei lo spettacolo l’ha visto? Si arrampicavano sui vetri per non ammettere che, no, non l’avevano visto... Però erano lì a urlare e a celebrare messe di riparazione.

Due chiese, quella di don Ferrero e quella dei contestatori dello spettacolo di Castellucci. Due realtà molto diverse. Una chiesa che guarda in faccia la realtà quindi intima domande scomode, e in questo modo produce bellezza, utile anche a chi non crede. Una chiesa che si rifiuta di andare a vedere, si consola di liturgie senza memoria e, non riuscendo ad intimare alcuna domanda, alcuna verità, cerca di intimidire quelli che ci provano.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/1/2012 09.55
Titolo:USA. Obama e il dna americano ...
Obama e il dna americano

di Massimo Faggioli (Europa, 28 gennaio 2012)

L’identità culturale, politica e civile di un presidente degli Stati Uniti incarna, in un modo unico tra le democrazie occidentali, un determinato momento nella storia del paese. Da questo punto di vista fa impressione confrontare il dna politico e civile di Barack Obama con quello degli attuali candidati alla nomination repubblicana.

Nel 2008 Obama venne eletto per molti motivi. Uno di questi fu il rigetto dell’innesto neoconservatore della scuola Bush-Rove da parte del corpo politico americano.

Ma a guardare alla storia sociale americana nel corso dell’ultimo secolo, tre elementi spiccano chiaramente come punti di contrasto tra la biografia di Obama e la proposta dei candidati repubblicani.

Il primo elemento è l’eredità del social gospel di inizio Novecento: la riscoperta della “questione sociale” da parte delle chiese in America costituiva un anello di quella catena spirituale-intellettuale che connette i padri fondatori con l’esigenza, tipica di un paesechiesa come gli Stati Uniti, di fare dell’America un posto moralmente migliore.

Il social gospel usciva dall’ottica individualista per muovere il discorso sulle condizioni sociali fuori dalle secche della esclusiva responsabilità dei singoli, e inquadrava sia i problemi sia le soluzioni in un quadro di responsabilità comuni. L’esperienza di Obama come community organizer a Chicago era figlia di quella sensibilità social gospel.

Il secondo elemento è il Cold War protestantism degli anni Cinquanta che faceva i conti con la cattiva coscienza d’America e tentava di non raccontarsi più la favola del “destino manifesto” di una nazione al di sopra delle leggi della morale. La famosa intervista di Obama con David Brooks del New York Times nel 2007, in cui il giovane senatore indicava nel teologo protestante Reinhold Niebuhr il suo pensatore di riferimento, era il manifesto intellettuale della politica estera di Obama. Reinterpretata magistralmente nel discorso di accettazione del premio Nobel del dicembre 2009, quell’anima realista, conscia dei paradossi che intristiscono ogni lotta armata per il bene (compresa la lotta dell’America per la libertà e la democrazia), rappresentava il compromesso necessario tra brusco risveglio dalle guerre di Bush e fedeltà al destino geopolitico degli Stati Uniti.

Il terzo elemento è l’eredità del civil rights movement degli anni Sessanta, quando il paese aveva superato l’eredità della guerra civile sulla segregazione razziale per tentare di liberarsi di uno dei peccati originali degli Stati Uniti. Per ragioni autobiografiche ma non solo, Obama si è definito come colui che sta «dall’altra parte del ponte» di Selma, in Alabama, dove l’America prese coscienza, grazie alle immagini televisive, della brutalità della segregazione razziale. I candidati repubblicani rappresentano l’eredità culturale di un’altra America, esattamente opposta. Se i due candidati cattolici Santorum e Gingrich fanno propri codici di linguaggio a sfondo razzista, Romney e Paul predicano un’idea di società ridotta a società per azioni, nella quale i cittadini vengono dopo i consumatori, e i consumatori vengono dopo gli azionisti.

La predicazione da parte di tutti i candidati repubblicani del ritorno ad una società pre-rooseveltiana implica una liquidazione di quegli elementi che hanno fatto dell’America un paese occidentale, non meno del libero mercato: social gospel, realismo morale della guerra fredda, e movimento per i diritti civili. A questo pensano i candidati repubblicani che vogliono “riprendersi l’America”.

Bisognerebbe avvisare quei pulpiti che da tempo predicano la “guerra culturale” contro gli anni Sessanta, sospinti dal vento di un pontificato e di uno Zeitgeist teologico a loro favorevole: forse non lo hanno ancora capito, ma l’entusiasmo dei culture warriors mira a travolgere anche le fondamenta delle loro chiese.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/2/2012 14.52
Titolo:I cattolici spaventano Obama. Dietrofront sui contraccettivi
I cattolici spaventano Obama. Dietrofront sui contraccettivi

Sanità, la Casa Bianca teme per le elezioni e cambia la legge

La svolta: Obama annuncia alla stampa la decisione di rivedere la norma che obbliga i datori di lavoro a fornire gratis contraccettivi ai dipendenti

di Paolo Mastolilli (La Stampa, 11.02.2012)

Marcia indietro del presidente Obama sul tema della contraccezione, che rischiava di alienargli il voto cattolico in vista delle elezioni di novembre. La Casa Bianca preferisce definire l’annuncio fatto ieri come un «accomodamento», più che un compromesso.

Nella sostanza, però, l’amministrazione ha deciso di aggiustare la propria linea, dopo le dure reazioni dei vescovi cattolici, che si erano mobilitati contro la decisione del ministero della Santità di obbligare tutti i datori di lavoro a fornire gratis i contraccettivi alle proprie dipendenti.

La nuova policy era stata annunciata il 20 gennaio scorso dal segretario per gli Health and Human Services, Kathleen Sebelius.

L’obiettivo era garantire che tutte le donne avessero accesso gratuito alle pratiche anticoncezionali, attraverso le assicurazioni sanitarie pagate dai loro datori di lavoro. Poi ogni persona avrebbe avuto l’opzione di decidere se usufruire di questa possibilità o no.
Subito dopo l’annuncio, però, è scoppiata la polemica.

Il problema era che la decisione della Sebelius escludeva le chiese dall’obbligo di fornire i contraccettivi, per motivi di coscienza, ma non esentava le organizzazioni con affiliazioni religiose. Quindi ospedali, università, istituzioni cattoliche della carità avrebbero dovuto obbedire, violando i propri principi sulla protezione della vita.

La dottrina cattolica, infatti, concepisce l’atto sessuale all’interno del matrimonio finalizzato alla riproduzione, e considera i contraccettivi come un ostacolo dell’uomo ai piani di Dio.

La Casa Bianca sapeva che andava incontro a questo problema, e nei mesi scorsi c’erano state intense discussioni nell’amministrazione su come procedere. Joe Biden, primo vicepresidente cattolico degli Usa, e Bill Daley, capo dello staff della Casa Bianca anche lui cattolico, avevano cercato di convincere Obama ad ammorbidire la posizione, organizzando un incontro tra lui e l’arcivescovo di New York Dolan. La loro preoccupazione era alienare il voto cattolico, che rappresenta un gruppo fondamentale. Questi fedeli sono circa 70 milioni in America, e vengono considerati «swing voters» chiave, ossia elettori moderati di centro che cambiano posizione di volta in volta in base a quale candidato li convince di più.

Nel 2008 avevano votato in maggioranza per Obama, perché erano stati influenzati più dall’idea del cambiamento, che non dai richiami della gerarchia a favorire i politici obbedienti alla dottrina della Chiesa sui temi della vita.

La componente femminile dell’amministrazione ha avuto la meglio, e il presidente ha sottoscritto la decisione della Sebelius. La loro teoria era che fosse più importante soddisfare le attese della base femminista del Partito democratico, piuttosto che andare incontro ai cattolici più conservatori, che comunque non avrebbero votato per Obama. La tempesta scoppiata dopo la decisione, però, ha dimostrato che questa scommessa era sbagliata.

I vescovi hanno attaccato l’amministrazione e i candidati repubblicani alla Casa Bianca hanno accusato il presidente di violare la libertà di religione.

Obama ha capito che rischiava una battaglia in cui avrebbe perso il sostegno potenzialmente decisivo dei cattolici moderati, e ieri ha fatto marcia indietro. Ora le organizzazioni religiose non avranno più l’obbligo di pagare i contraccettivi, ma le loro dipendenti che li vorranno potranno ottenerli direttamente dalle compagnie assicurative.

Il presidente ha giustificato «l’accomodamento» con la necessità di conciliare i diritti delle donne con la libertà religiosa. Il suo compromesso probabilmente non basterà a soddisfare i vescovi, ma dovrebbe depotenziare lo scontro in vista delle elezioni.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/3/2012 11.32
Titolo:Ratzinger insiste e chiede di dare battaglia ..
Il Papa attacca convivenze e coppie gay

di Roberto Monteforte (l'Unità, 10 marzo 2012)


«La convivenza è un peccato grave di cui, però, non si ha adeguata consapevolezza». «La differenza sessuale è essenziale per il matrimonio»- . Questo scandisce Papa Benedetto XVI ad un gruppo di
vescovi statunitensi ricevuti ieri in visita «ad limina». Così il pontefice torna a difendere la famiglia tradizionale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna e invita i vescovi a fare altrettanto. Le altre forme di unione, aggiunge, «danneggiano la stabilità sociale».

Sotto accusa sono i matrimoni gay, sui quali si è divisa la Chiesa anglicana, e le altre forme di unioni. Il Papa invita a contrastare le
«potenti correnti politiche e culturali» che negli Usa intendono alterare la «definizione legale» della famiglia fondata sul matrimonio.

Chiede di dare battaglia contro le lobby che sono in procinto di
strappare il placet della Casa Bianca ai matrimoni gay. Sotto accusa sono anche la messa in discussione dell’«indissolubilità del matrimonio» e il rifiuto ad una «sessualità responsabile».

Ratzinger insiste. Ribadisce i punti fermi sul matrimonio: «una istituzione naturale che consiste in una specifica comunione di persone, essenzialmente radicate nella complementarietà dei sessi e
orientata alla procreazione». Quindi «le differenze sessuali non possono essere considerate irrilevanti nella definizione del matrimonio». Per il Papa, difendere l'istituzione del matrimonio
come realtà sociale rappresenta «una questione di giustizia, poiché comprende la salvaguardia del bene dell'intera comunità umana, i diritti dei genitori e quelli dei figli».

Ai vescovi chiede un impegno concreto nella loro azione «pastorale e liturgica» che dia «testimonianza inequivocabile degli obblighi oggettivi della moralità cristiana». Insiste nel chiedere di richiamare la società a non «considerare come irrilevante la differenza sessuale per la definizione del matrimonio», come pure invita ad opporsi «all'indebolirsi dell'indissolubilità del patto
matrimoniale e di una comprensione matura del fondamento etico della castità, che ha portato a seri problemi sociali e a immensi costi umani ed economici».

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Commenti Articolo 890

Titolo articolo : LE DONNE: 8 MARZO 2012, ANCORA STREGHE. Nel terzo millennio dopo Cristo, le religioni dovrebbero andare in analisi! Una nota di Giancarla Codrignani,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/08/2012 - 14:04:43.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/3/2012 17.15
Titolo:DA MILLENNI - Non solo il mondo dell’economia, ma anche il mondo dell’etica, ha ...
Donne e violenza problema politico

di Sergio Givone (Il Messaggero, 6 marzo 2012)

Come ci ricordano i più recenti fatti di cronaca, non solo il mondo dell’economia, ma anche il mondo dell’etica, il mondo dove leggi non scritte regolano i rapporti tra gli uomini, ha il suo sommerso. La violenza sulle donne serpeggia tra di noi, nelle famiglie, nella società civile, ma viene tenuta nascosta, taciuta, come cosa di cui non si vorrebbe né parlare né sentire. Eppure è sempre lì, non meno presente che in epoche in cui il diritto ben poco diceva in proposito. Nel frattempo la famiglia si è profondamente trasformata. La sua legislazione si è uniformata a costumi più civili e più consoni alla dignità di questa fondamentale istituzione. Vedi ad esempio la legge sullo stalking: che è una buona legge, a protezione di chi prima neppure si immaginava dovesse essere difeso dall’ira o dalla furia del proprio coniuge o dei propri familiari.

Ma è rimasta come una zona d’ombra, un lato oscuro, dove si susseguono gli episodi di una saga dell’orrore. L’altro ieri a Brescia, ieri a Verona. I comportamenti di tanta brava gente «normale» sembrano governati da una sorda e cupa irrazionalità, da un folle impulso distruttivo, da una sete di vendetta e di sangue. Di fronte alla separazione, c’è chi letteralmente impazzisce. E anziché trovare un compromesso e costruire un nuovo ponte verso la vita che continua (quando un legame si spezza, resta sempre qualcosa, a volte qualcosa di molto importante e prezioso), preferisce annientare la vita altrui e la propria.

Che dire? Evidentemente quel rapporto non era un rapporto tra due persone, ma una forma di possesso e di dominio dell’una sull’altra. Da una parte il padrone, dall’altra una sua proprietà inalienabile, un oggetto, una cosa, che non appena rivendica la sua autonomia, viene ridotta a nulla, poiché agli occhi del padrone non è più nulla. Lui stesso a quel punto non sa più chi è. E si ammazza o tenta di farlo. Accecato dalla gelosia, si dice. Spinto a un gesto insano dal proprio demone e cioè dal bisogno di affermazione, dalla prepotenza, dall’egotismo. Tutto ciò - si aggiunge - sarebbe in fondo una caratteristica di un popolo come il nostro, popolo passionale, votato al melodramma, e comunque poco propenso all’autocontrollo e all’esercizio delle virtù civili.

Spiegazione, questa, che in realtà non spiega niente. Perché qui non si tratta di melodramma o non melodramma. Si tratta di sapere o non saper gestire una situazione autenticamente drammatica come per l’appunto una separazione (che è sempre tale, anche quando si vorrebbe bastasse il buon senso e una stretta di mano), dal momento che niente è così difficile come essere all’altezza del dramma che la vita prima o poi ci costringe a recitare.

E chissà se anche oggi gli uomini politici si fanno domande di questo genere. In agenda le questioni economiche e finanziarie prevalgono sulle altre, ma sempre lì si va a parare. Prendiamo l’evasione fiscale. Sarà pure una tendenza incoercibile degli italiani. Ciò non toglie che il sommerso possa essere portato alla luce e sanzionato di conseguenza. Magari nella prospettiva di una educazione al bene comune.

Lo stesso vale per la violenza sulle donne. È anch’esso un mondo del sommerso, mondo dove ciò che non si vede e non si sa prevale di gran lunga su ciò che è noto. Ma perché non esplorare questo mondo sciagurato e maledetto con tutti i mezzi di cui si dispone? Perché non approntare una legislazione che faccia giustizia, per quanto è possibile, di un crimine tanto odioso?
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/3/2012 16.14
Titolo:DONNE UCCISE. La famiglia italiana fa più vittime della mafia ...
La famiglia italiana fa più vittime della mafia

di Luisa Betti (il manifesto, 7 marzo 2012)

Tante, troppe, le donne uccise «in quanto donne» in Italia. Una strage che si consuma per lo più dopo mesi di liti e violenze dentro le mura domestiche e che spesso vede protagonisti uomini che non accettano di essere lasciati. Le donne uccise da uomini sono sempre di più: 127 del 2010, 137 nel 2011 e sono già oltre 37 i femmicidi nei primi due mesi di quest’anno.

La Casa delle donne di Bologna, che ha coordinato la ricerca sul femmicidio nel «Rapporto ombra» sulla condizione delle donne italiane elaborato dalla piattaforma italiana «Lavori in Corsa: 30 anni CEDAW» presentato lo scorso luglio alle Nazioni Unite di New York, dimostra che il femmicidio è aumentato. Nello studio si mette in rilievo come «in Italia a partire dall’inizio degli anni ’90 il numero di omicidi in generale è fortemente diminuito mentre il numero di omicidi delle donne è raddoppiato».

I dati della ricerca sono stati presi dai casi riportati solo sulla stampa, perché in Italia, a differenza di Francia e Spagna, non è stato ancora istituito un osservatorio speciale per il femmicidio e non esistono dati pubblici ufficiali «differenziati» forniti dal ministero degli Interni. I numeri comunque parlano chiaro: nel nostro paese, nel 1992, gli omicidi di donne rappresentavano il 15,3% degli omicidi totali, mentre nel 2006 rappresentavano il 26,6 %. Negli ultimi tre anni, dal 2006 al 2009, le vittime di femmicidio in Italia sono state 439.

Contrariamente al senso comune, solo una minima parte di casi (15%) è avvenuta per mano di sconosciuti. Più della metà delle vittime (il 54%) è stato ucciso nell’ambito di una relazione sentimentale: il 36% dal marito e il 18% dall’amante, dal partner o dal convivente, nel 20% dei casi da un parente e solo nel 4% da un semplice conoscente.

Quasi sempre la violenza si protrae nel tempo: su dieci uccisioni di donne, tre quarti sono precedute da maltrattamenti e abusi fisici o psicologici, il che dimostra un legame, nella violenza familiare, che può sfociare in un omicidio, tra il sentimento di «orgoglio ferito, di gelosia, di rabbia, di volontà di vendetta e punizione nei confronti della donna», e la trasgressione di un modello comportamentale, un concetto che coinvolge stereotipi culturali legati a una cultura patriarcale.

Quando Rashida Manjoo, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza di genere (che a gennaio di quest’anno ha visitato l’Italia), ha spiegato la nostra situazione, ha parlato esplicitamente della violenza domestica come della «forma di violenza più pervasiva che continua a colpire le donne italiane», cioè la più diffusa e la più capillare, presente tra il 70 e l’87% dei casi.

Barbara Spinelli, avvocata del gruppo delle Giuriste democratiche esperta di femmicidio, fa notare come «la famiglia italiana uccide più della mafia, più della criminalità organizzata straniera e di quella comune», che «il posto più insicuro per la donna è la propria casa».

Ma il femmicidio, che cos’è, chi lo compie? Quasi sempre si tratta di uomini insospettabili, uomini «per bene» che a un certo punto decidono di uccidere chi amano. Maria Monteleone, procuratrice aggiunta nel pool antiviolenza di Roma, dice chiaramente che nel «90-95% dei casi è sempre l’uomo a commettere maltrattamenti, abusi e violenze»: «Io non credo che si uccida per gelosia - spiega Monteleone - per me la gelosia è un pretesto, un alibi di cui non si deve tenere conto. Una persona, che di natura non è violenta, difficilmente arriva a eliminare fisicamente l’ex coniuge o il partner».

Una parte importante la fanno anche i mass media. Citando ancora il «Rapporto ombra»: «I media spesso presentano gli autori di femmicidio come vittime di raptus e follia omicida, ingenerando nell’opinione pubblica la falsa idea che i femmicidi vengano perlopiù commessi da persone portatrici di disagi psicologici o preda di attacchi di aggressività improvvisa. Al contrario, negli ultimi 5 anni meno del 10% di femmicidi è stato commesso a causa di patologie psichiatriche o altre forme di malattie riconosciute e meno del 10% dei femmicidi è stato commesso per liti legate a problemi economici o lavorativi». Anna Cappilli, 81 anni, è stata trovata morta ieri - 6 marzo 2012 - nella sua abitazione a Torino, soffocata con un fazzoletto in bocca. Un uomo di 45 anni, vicino di casa della signora, è stato fermato dai carabinieri per l’omicidio. È l’ultima, in ordine cronologico, delle 37 donne uccise da uomini in Italia dall’inizio dell’anno, così come riportati dalla cronaca nera. In molti casi le indagini sono ancora aperte e non ci sono ancora state condanne definitive.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/3/2012 14.04
Titolo:Questione femminile e Chiesa cattolica
Questione femminile e Chiesa cattolica

Un dialogo necessario

di Marinella Perrone (l’Unità, 8 marzo 2012)

Sono stata invitata a una tavola rotonda che si terrà oggi, l’8 marzo. Il luogo è insolito, una parrocchia romana (San Saturnino), e la prospettiva tutt’altro che retorica. Si cercherà infatti di mettere a fuoco il complesso rapporto tra donne e chiesa cattolica, in particolare negli ultimi 50 anni, a partire cioè dall’apertura del Concilio Vaticano II. L’insieme è per me a dir poco incoraggiante perché da troppi anni, anche nella mia chiesa, se si parla di 8 marzo è per dire che sarebbe meglio non parlarne.

Non so come e perché l’8 marzo è stato fatto slittare da giornata delle donne a festa della donna. Archiviato come residuato ideologico d’altri tempi, resiste stancamente come paccottiglia kitsch asservita ai dettami della commercializzazione. Per quanto mi riguarda, ho cercato di non arrendermi e ho sempre difeso l’8 marzo come segno del diritto a coltivare una memoria, prima ancora che a celebrare una festa, e del dovere, anche da parte delle istituzioni, di pronunciare parole di acquisita consapevolezza storica e sociale, politica e esistenziale.

C’è stato un momento in cui anche le donne cattoliche mettevano l’8 marzo in agenda. Ricordo una grande manifestazione nell’auditorium dell’università pontificia dell’Antonianum, in cui parecchie centinaia di donne cattoliche, religiose e laiche, hanno provato a mandare in scena il “loro” 8 marzo, alternativo a quello festoso e ruggente, delle piazze. Ma la tediosa discussione, del tutto di scuola, in cui si sono prodigate anche molte opinioniste donne per diversi anni ha minato ragioni e scopi di una giornata che aveva il merito di ricordare la nascita delle donne, di tutte le donne, alla soggettualità storico-politica.

Ancora una volta hanno vinto coloro per i quali parlare di donne è inutile se non pernicioso, coloro che esaltano la persona umana, purché non sia “generata”, non sia cioè cosciente di essere nata e cresciuta dentro un sex-gender-system che contribuisce a stabilire la verità e la qualità della sua esistenza pubblica e privata. E poveri extracomunitari che tentano di vendere spenti ramoscelli di mimosa ai semafori sono un’ulteriore forma di oltraggio alle donne.

Nel frattempo, mentre sprofondava vistosamente nella classifica dei Paesi che rispettano e promuovono i diritti delle donne e guadagnava altrettanto vistosamente posizioni per l’inarrestabile crescita del numero degli omicidi di genere, il nostro Paese, insieme alla chiesa cattolica italiana, si proponeva con vigore come baluardo di difesa dei diritti non negoziabili.

Il fatto che da qualche parte si voglia di nuovo provare ad ascoltare le donne non è cosa da poco. Probabilmente ha continuato a succedere in questi anni, magari proprio in alcune parrocchie, e non ha fatto notizia. Oggi il clima, finalmente, sta cambiando, anche nell’informazione. La chiesa cattolica, come anche le altre chiese, non possono sottrarsi a guardare con lucidità al ruolo decisivo che esse hanno giocato per decidere la qualità della vita delle donne, dato che sono state sia formidabili potenziali di emancipazione sia terrificanti luoghi di asservimento. Vale anche per le chiese, in fondo, la domanda: se non ora, quando?

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Commenti Articolo 891

Titolo articolo : Il DIAVOLO E’ TRA NOI,di Beppe Manni

Ultimo aggiornamento: March/08/2012 - 12:46:22.

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elio cassano bari 05/3/2012 07.43
Titolo:Come mai ...
Come mai la Chiesa non faccia passi indietro su questa cosa, evidentemente lecita qualche decina di anni fa, e che oggi va rivista alla luce di quanto possiamo chiamare semplice buonsenso, fa stupore. Al livello di cultura media di oggi, senza scomodare specialisti e scienziati, appare piuttosto chiaro che a quanto si dava il npome di possessione, in realtà si tratta di semplici, magari gravissimi, disturbi della psiche. il tutto mi ricorda uno di quelle storielle di Antony De Mello: per far tornare sempre il figlio a casa prima che facesse buio, la mamma insegna gli spiega che nel buio ci sono mostri e demoni, e la cosa funziona. Quando il figlio comincia ad essere troppo spaventato da ciò, la mamma gli mette al collo una medaglietta, dicendogli che quando la terrà ben stretta in mano nessun demonio potrà fargli del male. Eppure è così che si preferisce che si vada avanti. Ma è prorpio nomale? Speriamo bene
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Luca Del Beato L'Aquila 08/3/2012 12.45
Titolo:la prudenza
La prudenza vuole che non si metta con troppa facilità una pietra tombale su un argomento dove ciò che viene qui detto è sacrosanto ma potrebbe non essere tutto, ossia non necessariamente riesce a esaurire l'argomento, quello che viene riferito nel vangelo su demoni scacciati a volte sembra molto esplicito più che molto ingenuo e a volte il contrario, certo è argomento sfuggente e spesso reso anche ridicolo proprio dalle situazioni e da personaggi da voi riferiti .... ma non so se sia sufficiente per poter dire "abbiamo capito tutto su questo argomento" .... concordo pienamente sulla presa di coscienza che l'articolo invoca e che si può riassumere; forse, nella considerazione che fa Agostino "... gli uomini si lamentano dicendo facciano il bene e i tempi saranno buoni"
Autore Città Giorno Ora
Luca Del Beato L'Aquila 08/3/2012 12.46
Titolo:la prudenza
La prudenza vuole che non si metta con troppa facilità una pietra tombale su un argomento dove ciò che viene qui detto è sacrosanto ma potrebbe non essere tutto, ossia non necessariamente riesce a esaurire l'argomento, quello che viene riferito nel vangelo su demoni scacciati a volte sembra molto esplicito più che molto ingenuo e a volte il contrario, certo è argomento sfuggente e spesso reso anche ridicolo proprio dalle situazioni e da personaggi da voi riferiti .... ma non so se sia sufficiente per poter dire "abbiamo capito tutto su questo argomento" .... concordo pienamente sulla presa di coscienza che l'articolo invoca e che si può riassumere; forse, nella considerazione che fa Agostino "... gli uomini si lamentano dicendo facciano il bene e i tempi saranno buoni"

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Commenti Articolo 892

Titolo articolo : CIASCUNO DI NOI E' LA VERA CHIESA. ERMANNO OLMI LO RICORDA AL PAPA, AI CARDINALI, E A TUTTI I CATTOLICI. Intervista di Arianna Prevedello,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/07/2012 - 07:57:24.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/3/2012 09.47
Titolo:Olmi: «Così leggo la carità»
Olmi: «Così leggo la carità»

di Ermanno Olmi (Avvenire, 19 ottobre 2011)

Caro direttore, ricevo “Avvenire” fin da quando, molti anni fa, con cari amici ormai lontani, vedemmo uscire dalle rotative il primo numero del giornale.

L’affezione e l’ammirazione sono sempre stati per me saldi riferimenti quotidiani per il rigore e la libertà d’opinione dei suoi collaboratori e quindi per il rispetto del lettore. Tanto che ho molto apprezzato gli interventi apparsi in “Agorà” dopo l’uscita del mio ultimo film Il villaggio di cartone. E di questa attenzione nei miei riguardi, caro direttore, la ringrazio e, se lo riterrà utile per i suoi lettori, mi farà piacere se pubblicherà queste mie note sul dibattito che ne è seguito.

Giovanni Bazoli, prima sul “Corriere della Sera” e poi su “Avvenire”, pone l’attenzione su due contrapposti valori invocati dal vecchio prete, protagonista dell’apologo cinematografico. Che dice: «Ho fatto il prete per fare del bene. Ma per fare del bene, non serve la fede. Il bene è più della fede».

Subito, un intervento di Marina Corradi su “Avvenire”, mi rimprovera: «di coltivare così tanti dubbi di fede che la storia (del film) rischia di perdere la radice e il fondamento della carità dei cristiani». Ma come sarebbe «la carità dei cristiani»? Dunque ci sarebbero più carità? E quella dei cristiani è forse tanto speciale e diversa da quella di altre fedi religiose? Mi piacerebbe conoscere l’elenco delle diverse carità. Bazoli chiarisce: «Il film è da intendere come un richiamo forte e drammatico all’esercizio e della carità e dell’accoglienza nei confronti di uomini che sono tra i più indifesi e disperati del nostro tempo; vale come monito a intensificare l’impegno religioso e umano».

Ugualmente, Marina Corradi insiste: «In realtà il bilancio del vecchio sacerdote sembra viziato da un equivoco. Non ci si fa prete “per fare del bene” ma per portare Cristo agli uomini, che è assai di più». La fede è in sé un valore, ma non è determinante per fare del bene. Né il fare del bene ha mai ostacolato la fede di alcuno. La fede è innanzitutto un sentimento che ciascuno coltiva nel profondo di sé, in solitudine. E con tale stato d’animo parteciperà la sua fede con quella dell’altro, in comunione con Dio.

Un’altra voce che ha partecipato a questi interrogativi sul primato tra fede e carità è quella di Piero Coda, teologo e presidente dell’Istituto universitario Sophia: «Conosciamo tutti l’inno alla carità che l’apostolo Paolo tesse nel capitolo 113 della Lettera ai Corinzi. L’ agape è la via che tutte le altre sopravanza. Non avere l’agape significa essere nulla». E prosegue: «L’agape è la cifra compendiosa di tutto il mistero cristiano».

Come vede, caro direttore, mi appello a autorevoli testimoni della cristianità. Ed ecco che ancora Piero Coda mi suggerisce sant’Agostino: «La carità spinse Cristo a incarnarsi». È di pochi giorni fa, in Egitto, il divampare di conflitti fra appartenenze religiose mettendo l’una contro l’altra. E soltanto ieri, a Roma, la dissennata violenza di giovani praticata con la rabbia della distruzione. E mi domando se è del tutto azzardato pensare che anche questi giovani allo sbando non provino un loro delirante atto di fede in una “religiosità” criminale.

Ancora una volta la Storia ci avverte che il vincolo tra fede e “Chiese delle diversità” può avere esiti di immani tragedie. E sappiamo anche che, nel corso dei secoli, le religioni hanno avuto necessità di cambiamenti imposti dai radicali mutamenti delle realtà che inarrestabilmente sopravvenivano. E quindi, concili, riforme e controriforme, sempre per adeguarsi con significati nuovi alle esigenze del cammino della Storia. Dunque: anche le religioni cambiano e cambiano i nostri comportamenti. Solo il bene non cambia. Ma il bene non è esclusività di istituzioni. La Chiesa di Cristo non è nell’istituzione, ma nella Sua e nella nostra incarnazione.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/3/2012 10.53
Titolo:DALLA, BOLOGNA, E IL BENE CHE E' PIU' DELLA FEDE. L'AMORE VINCE L'IPOCRISIA E L...
Il mio coetaneo poeta che voleva capire l’amore

di Enzo Bianchi (la Repubblica, 5 marzo 2012)

Di una cosa era certissimo: che c’è l’al di là, l’oltre la morte, "il secondo tempo", la vita per sempre. Ancora recentemente mi aveva ripetuto: "Questa vita è solo l’anticamera, il bello deve venire!". Ho conosciuto Lucio una sera a Bologna nel 1971, giovani della medesima età (uno nato appena ventiquattr’ore prima dell’altro), e siamo subito diventati amici. Da allora incontri, conversazioni, telefonate, discorsi a tavola, mie visite a casa sua e ultimamente anche sue venute a Bose... Lucio era amabile perché umanissimo: nei rapporti con le persone, certo, ma anche nel suo pensare, nel suo poetare, nel suo abitare il tempo della vita per trovare in esso ciò che davvero conta, ciò che rimane, ciò che è eterno: perché "è eterno anche un minuto, ogni bacio ricevuto dalla gente che ho amato".

Tante volte assieme abbiamo parlato dell’Amore e Lucio ha voluto che fossi io a presentare a Torino nel dicembre scorso il suo ultimo album: "Questo è amore". "Cos’è l’amore?", mi chiedeva in un modo che pareva ossessivo. Non che non lo sapesse, ma voleva sempre mettersi alla prova, interrogarsi per verificare se i suoi rapporti, i suoi amori erano Amore. "Vorrei capire che cos’è l’amore, dov’è che si prende, dov’è che si dà": non sono versi frivoli, non sono parole leggere, sono invece l’espressione della sua appassionata ricerca dell’amore.

Ci sono persone che per tutta la vita cercano solo l’amore, fino a essere vittime dell’amore che inseguono in modi a volte incomprensibili per gli altri. Lucio era una di queste persone: cercava l’amore, ma soprattutto credeva all’amore. Quando avevo qualche conferenza a Bologna lui, se era in città, non mancava mai, leggeva i miei libri, mi mandava messaggi per commentarli e sempre il cuore del discorso tornava a questa sua fede nell’amore. Gli piaceva sentirsi ripetere che "l’amore vince la morte", che nel cristianesimo proprio questo è il fondamento della fede: la morte, infatti, resta per tutti un enigma ed esige di essere vinta. Ma da chi? Dall’amore.

E nel ricordare Lucio vorrei aggiungere anche una parola sulla sua fede: mi raccontava che da ragazzo aveva avuto come confessore padre Pio e che più tardi, grazie ai domenicani di Bologna aveva potuto accompagnare la sua vita con la fede. Non rinnegava neppure alcune "devozioni", perché la sua era una fede semplice e umile, come quella di un bambino, ma una fede salda, carica di speranza.

Nella mia amicizia con lui, ultimamente c’era anche la presenza cara di Marco Alemanno, l’amico sempre accanto che con la sua "arte" permetteva a Lucio di sperare contro ogni solitudine: "Buonanotte anima mia, adesso spengo la luce e così sia!". Buonanotte, Lucio, dormi, riposa nell’Amore, perché è certo che, come cantavi tu, "se Dio esiste voi, voi vi ritroverete là, là. Amore". Sì, Lucio, ci ritroveremo là, nell’Amore.

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Dalla, il compagno in chiesa rompe il velo dell’ipocrisia

di Michele Serra (la Repubblica, 5 marzo 2012)

Con la compostezza, il dolore e la legittimità di un vedovo, il giovane Marco Alemanno ha reso pubblico omaggio al suo uomo e maestro Lucio Dalla in San Petronio, dopo l’eucaristia, se non rompendo almeno scheggiando il monolito di ipocrisia che grava, nell’ufficialità cattolica, sul "disordine etico" nelle sue varie forme, l’omosessualità sopra ogni altra.

È importante prenderne atto. Anche se è altrettanto importante sapere che fuori dalla basilica, nel denso, sconfinato abbraccio che i bolognesi hanno dedicato a Dalla, i suoi costumi privati non costituivano motivo di dibattito. Se non per lodare e rimpiangere la dimestichezza di strada e di osteria che Dalla aveva con "chiunque", il suo promiscuo prendere e dare parole, tempo e compagnia, la sua disponibilità umana. Ma dentro San Petronio la vita privata di Lucio, la sua omosessualità pure così poco ostentata, e mai rivendicata, creava un grumo che Bologna ha provveduto a sciogliere nella sua maniera, che è compromissoria, strutturalmente consociativa. Città rossa e vicecapitale del Papato, massonica e curiale, borghese e comunista. Un consociativismo interpretato al meglio (cioè senza malizia, per pura apertura di spirito) proprio da Dalla, che era amico quasi di tutti, interessato quasi a tutti. Non avere nemici è molto raramente un merito. Nel suo caso lo era.

In ogni modo si capisce che quel grumo, specie per una Curia che da Biffi in poi si è guadagnata una fama piuttosto retriva, non era semplice da gestire. Il vescovo non era presente, il numero due neppure, "altri impegni" incombevano e sarebbe infierire domandarsi quale impegno, ieri, fosse più impellente, per ogni singolo abitante della città di Bologna, di andare a salutare Lucio. L’omelia è stata affidata al padre domenicano Bernardo Boschi, amico personale del cantante, che non avendo zavorre istituzionali sulle spalle ha potuto e saputo essere affettuoso, rispettoso e libero, dunque prossimo alla città e ai suoi sentimenti.

L’ingrato compito di mettere qualche puntino sulle "i", per controbilanciare la quasi sorprendente "normalità" di una cerimonia così solenne, e insieme così semplice, nella quale il solo laico a prendere la parola, a parte il teologo Vito Mancuso, è stato il compagno di Dalla; quel compito ingrato, dicevo, se l’è caricato in spalla il numero tre della Curia, monsignor Cavina, che nel suo breve discorso introduttivo ha voluto ricordare che «chi desidera accostarsi al sacramento dell’Eucarestia non deve trovarsi in uno stato di vita che contraddice il sacramento».

Concetto che, rivolto alla cerchia di amici di Lucio presenti in chiesa, e ai tanti "freaks" che affollavano chiesa e sagrato anche in memoria della dimestichezza che avevano con Dalla, e Dalla con loro, faceva sorridere: più che severo appariva pateticamente inutile, perché dello "stato di vita" delle persone, dell’essere canoniche o non canoniche le loro scelte amorose e affettive, a Lucio non importava un fico secco, né si sarebbe mai sognato, nelle sue recenti e purtroppo finali incursioni nella teologia, di stabilire se a Dio le scelte sessuali interessino quanto interessano a molti preti.

Comunque - e tutto sommato è il classico lieto fine - il breve monito di monsignor Cavina a tutela dell’eucaristia e contro gli "stati di vita che contraddicono quel sacramento" (?!) è passato quasi inosservato e inascoltato. Come un dettaglio burocratico.

Marco Alemanno ha incarnato in una chiesa, e in una cerimonia che più pubblica non si sarebbe potuto, tutta la dignità di un amore tra uomini. Semmai, c’è da domandarsi quanti omosessuali cattolici meno famosi, e meno protetti dal carisma dell’arte, abbiano potuto sentirsi allo stesso modo membri della loro comunità.

L’augurio è che la breve orazione di Marco per Lucio costituisca un precedente. Per gli omosessuali non cattolici, il dettato clericale in materia non costituisce il benché minimo problema: francamente se ne infischiano. Ma per gli omosessuali cattolici lo costituisce, eccome. Ed è a loro, vedendo Marco Alemanno pregare per il suo uomo accanto all’altare, che corre il pensiero di tutte le persone di buona volontà.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/3/2012 14.02
Titolo:Le religioni dovrebbero andare in analisi e domandarsi quanto la sessuofobia e l...
8 marzo 2012, ancora streghe

di Giancarla Codrignani (“Adista” - Segni Nuovi, - n. 10, 10 marzo 2012)

A Bologna, un islamico osservante ha sentito «impuro» il proprio rapporto con una donna cristiano-ortodossa e ha tentato di decapitarla «come Abramo fece con Isacco» (la donna, un’ucraina di 45 anni, se la scampa, rischia di ritrovarsi paraplegica).

Non è solo un caso di fondamentalismo maniacale. In questi giorni, si apre a Palmi un processo di stupro che testimonia il persistere italico della maledizione di Eva: a San Martino di Taurianova una bambina di 12 anni (che oggi ne ha 24 e vive sotto protezione perché alcuni dei persecutori che ha denunciato erano mafiosi) per anni è stata considerata da tutto il paese la colpevole degli stupri di gruppo, delle violenze e dei ricatti subiti e anche il parroco a cui aveva tentato di confidarsi giudicava peccatrice una dodicenne violata che solo la penitenza poteva redimere. Sembra incredibile, ma nella santità delle religioni albergano tabù ancestrali che gli studi antropologici e le secolarizzazioni non sono riusciti a eliminare. Sono i tabù peggiori perché responsabili dei pregiudizi sessuofobici e misogini che, sacralizzati, hanno prodotto, nel nome di dio, discriminazioni e violenze.

Nel terzo millennio le religioni dovrebbero andare in analisi e domandarsi quanto la sessuofobia e la misoginia insidino nel profondo la loro possibilità di futuro. Il concetto di “purezza” che ha represso, nell’ipocrisia mercantile e proprietaria dei valori familiari, milioni di ragazze non è nato certo dalla scelta delle donne. Alla Lucy delle origini, mestruata e responsabile della riproduzione, non sarebbe mai venuto in mente di sentirsi sporca o colpevole. Forse percepiva già come colpa, certo non sua, la violenza che connotava la bassa qualità di molte prestazioni maschili. Tanto meno, quando si fosse inventato il diritto, avrebbe distinto i “suoi” figli in legittimi o illegittimi. Eppure si continua a credere che la mestruata faccia ingiallire le foglie e inacidire il latte; in Africa, in “quei giorni”, è confinata in capanne speciali per non contaminare le case; a Roma Paolo la voleva velata e zittita, mentre i papi, forse senza sapere perché, le hanno vietato di consacrare. Siamo ancora qui, a fare conti sul puro e l’impuro e a ripetere il capro espiatorio nel corpo di qualche altro Isacco per volere di qualche Abramo che credeva di interpretare Dio, di qualche altra Ifigenia proprietà di Agamennone padrone della sua morte.

Noi donne non siamo certo migliori degli uomini, ma nelle società maschili permangono residui di paure che neppure Darwin ha fatto sparire. I responsabili delle religioni che intendono salvare la fede per le generazioni future debbono purificarle dalle ombre del sacro antropologico: il papa cattolico deve non condannare, bensì accogliere come servizio di verità nelle scuole un’educazione sessuale che dia valore all’affettività non solo biologica delle relazioni fra i generi e al rispetto delle diverse tendenze sessuali; l’islam che fa imparare a memoria fin da piccoli le sure del Corano, si deve rendere conto che i tabù violenti producono strani effetti se un uomo si sente un dio punitore davanti a donne-Isacco; i rabbini dovrebbero fare i conti con Levy Strauss e smettere di chiedere autobus separati per genere e di insultare le bambine non velate; in Cina e in India non si deve perpetuare l’insignificanza femminile trasferendo gli infanticidi delle neonate alla “scelta” ecografica, mortale solo per le bimbe. Sono tutte scelte di morte. Per ragioni di genere.

Ma, se la responsabilità delle religioni monoteiste è particolarmente grave per l’immagine anche non raffigurata di una divinità di fatto maschile, più precisa è quella dei cristiani. Si è detto infinite volte: perché il nostro clero, ancora così pronto a chiedere cerimonie riparatrici per spettacoli che non ha visto, non pensa ad evangelizzare i maschi invece di sospettare costantemente peccati di cui non può essere giudice, condannato com’è al masochismo celibatario per paura della purezza originaria della sessualità umana?

C’è un salto logico - certamente non illogico per le donne che stanno leggendo i pezzi sull’8 marzo ma anche la società civile persevera troppo nel negare rispetto al corpo delle donne: i tre caporali del 33esimo reggimento Acqui indagati per lo stupro di Pizzoli (L’Aquila) sono rientrati in servizio nei servizi di pattugliamento del centro storico nell’ambito dell’operazione “Strade Sicure”...
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/3/2012 22.13
Titolo:Una fede a cui poco importano le insegne, e a cui molto importa l’esistenza....
Le insegne e l'esistenza

di Mirella Camera (“a latere...”, 5 marzo 2012)


Mi hanno molto colpito, in questi giorni di sorprendente lutto collettivo, le parole di alcune persone che sono state vicine a Lucio Dalla, soprattutto quelle di Enzo Bianchi su la Repubblica di oggi e di Vito Mancuso a Che tempo che fa di sabato scorso.

Pagata la tara di quel po’ di inevitabile celebrazione che tocca a ogni persona pubblica e al fatto normalissimo che quando ci si raduna a salutare per sempre una persona cara, la si ricorda per le cose belle che ci ha lasciato e non certo per palesarne ombre o difetti, quello che sempre e comunque è saltato fuori è il ritratto di un uomo mite, profondo, buono, in ricerca, amante dell’amore.

Ma soprattutto testimone “a sua insaputa” di questi valori che - a detta di tutti quelli che l’hanno conosciuto da vicino - pur hanno dato forma e colore alla sua esistenza.

A sua insaputa non vuol dire che non ne fosse consapevole, anzi: li inseguiva con testardaggine e delicatezza, sapendo che l’unico modo per avvicinarli e “dirli” era sfiorarli un attimo, con la musica e la poesia. Questo lo sappiamo bene tutti noi, coinvolti a nostra volta in questo gioco (serissimo), ogni volta che siamo stati toccati per caso dal potere illuminante di qualche sua canzone.

Ma a lui non sembrava importasse proprio nulla di esserne un dichiarato testimone: lui era così, viveva così. E basta.

Ecco, che bello sarebbe se ogni testimonianza, soprattutto quella della fede, fosse così. Tanto testarda e appassionata quanto rispettosa e delicata, incarnata nelle mille cose di tutti i giorni senza proclami e segni di riconoscimento, presa molto più dalla ricerca e dalla sete delle sue profondità che dall’affermazione identitaria e dalle sue formule sbandierate e inoppugnabili.

Una fede a cui poco importano le insegne, e a cui molto importa l’esistenza.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/3/2012 07.57
Titolo:IL MURO ABBATTUTO ....
La Chiesa e Dalla il muro abbattuto

di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 7 marzo 2012)

Alla fine resta il simbolo potente dei funerali di Dalla, che segnano il crollo del muro tenacemente difeso dalla Chiesa per anni e anni nei confronti dell’omosessualità. La Chiesa cattolica vive di simboli. E ora un solo segno rimane scolpito nella memoria collettiva: la curia arcivescovile di Bologna non ha avuto il coraggio di impedire solenni esequie cristiane ad un gay praticante. Non ha avuto la forza di negare il discorso funebre - praticamente a pochi metri dall’altare - al suo compagno innamorato. Non ha nemmeno potuto usare l’omelia per censurare il “peccatore” affidato alla “misericordia” dell’Aldilà. Il Muro di Berlino si è sbriciolato quando i dirigenti della Ddr hanno ammesso che non c’erano più armi per tenerlo in piedi.

Così è successo a Bologna. Dinanzi al corpo di un credente discreto si sono frantumate le tortuose distinzioni, solitamente invocate, tra il rispetto per l’essere umano e la condanna inappellabile del “grave disordine morale” rappresentato (per il catechismo ratzingeriano) dalla condotta omosessuale. Da oggi in ogni diocesi i familiari e i compagni o le compagne di un cristiano gay rivendicheranno il diritto ad avere esequie eguali.

Per capire l’impatto dell’evento va ricordato che se Milano nei decenni trascorsi è stata con i suoi cardinali Martini e Tettamanzi la capitale di un cattolicesimo che voleva respirare oltre i dogmi dottrinali, Bologna all’opposto è stata la casamatta di una interpretazione regressiva della dottrina. Ancora poche settimane fa il cardinale Caffarra chiedeva il ritiro delle associazioni cattoliche dalla consulta familiare cittadina, perché il Comune si era permesso di invitarvi una rappresentanza gay.

Domenica le barricate anti-gay ecclesiastiche si sono liquefatte nella constatazione che, rispetto al percorso spirituale di Dalla, le sue relazioni e il suo orientamento sessuale erano totalmente nonrilevanti. Anzi, nel susseguirsi di testimonianze commosse sul mondo interiore di Lucio - da parte di francescani, domenicani e di un monaco pensatore come Enzo Bianchi - è apparsa ancora più siderale la distanza tra il sentire reale dei cattolici italiani e l’irrigidirsi inutile (e muto) della gerarchia ecclesiastica.

Su Avvenire la lettrice Nerella Buggio scrive che le scelte di Dalla non riguardano nessuno “perché siamo liberi e ognuno è libero di fare le scelte più opportune; se si tratta di un cattolico sarà eventualmente un problema suo, se la vedrà con il suo confessore e con Dio, non spetta certo a noi giudicarlo...”. Il terreno su cui si incrociano in Italia laicità e cattolicesimo profondo è questo.

Lo stesso cardinale Bagnasco, rovesciando la linea tenuta da Ruini sul caso Welby, lo rende evidente quando dichiara che “di fronte ai morti preghiamo gli uni per gli altri, sempre”. Ora il punto non è passare il tempo a discutere dell’ipocrisia della Chiesa istituzionale o del perché gli italiani siano abituati a gestire senza outing i propri affari personali.

La questione da affrontare è un’altra. Se persino i vertici ecclesiastici avvertono l’insostenibilità della pubblica riprovazione di una vita gay, non si comprende perché lo Stato italiano tardi ancora a varare una legge che riconosca a due partner omosessuali di stringere pubblicamente un patto di vita in comune.

L’accordo trasversale per un contratto tipo Pacs era già pronto in Parlamento nel 2004 (convergenti Franco Grillini per il centrosinistra e Dario Rivolta di Forza Italia). La maggioranza del Paese era d’accordo. Poi il cardinale Ruini bloccò tutto. Si allinearono supini Berlusconi e co. e quegli eterni segmenti di centro-sinistra, che confondono fede e subalternità al Vaticano. Il Parlamento resterà inerte oggi in un’Italia ancora più evoluta? Sarebbe notevole se un centinaio di parlamentari bipartisan, dando un senso al 4 marzo, rilanciassero una legge per le coppie di fatto. Pier Ferdinando Casini, che ha assistito ai funerali non certo con l’imbarazzo di pregare per una persona “contro-natura”, potrebbe firmare anche lui in nome del futuro Partito della Nazione.

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Titolo articolo : PENSARE UN ALTRO ABRAMO: GUARIRE LA NOSTRA TERRA. Una lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla),di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/05/2012 - 21:32:27.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/9/2011 16.16
Titolo:WANGARI MAATHAI: GUARIRE LA TERRA, GUARIRE NOI STESSI
GUARIRE LA TERRA, GUARIRE NOI STESSI

di WANGARI MAATHAI *

Durante i trent’anni e piu’ che ho passato come ambientalista e attivista per i diritti democratici, la gente mi ha spesso chiesto se la spiritualita’, differenti tradizioni religiose e la Bibbia in particolare mi avessero ispirato, ed avessero influenzato il mio impegno o il lavoro con il Green Belt Movement (Gbm). Consideravo la conservazione dell’ambiente ed il dare potere alla gente comune come un tipo di vocazione religiosa? C’erano lezioni spirituali da apprendere ed applicare agli sforzi ambientalisti o alla vita in generale?

Quando iniziai questo lavoro nel 1977 non ero motivata dalla mia fede o dalla religione in generale. Stavo invece letteralmente e praticamente pensando a come risolvere problemi concreti. Volevo aiutare le popolazioni rurali, in special modo le donne, a soddisfare le necessita’ di base che mi descrivevano durante i miei seminari e laboratori. Mi dicevano che avevano bisogno di acqua pulita, potabile; di cibo nutriente in quantita’ adeguata; di reddito; di energia per cucinare e riscaldare.

Percio’ quando mi facevano le domande sulla spiritualita’, all’inizio, io rispondevo che non pensavo allo scavare buche ed al mobilitare le comunita’ affinche’ difendessero o curassero gli alberi, le foreste, le fonti d’acqua e il suolo, l’habitat delle specie selvatiche, come a un lavoro spirituale. Inoltre, non ho mai differenziato le attivita’ "spirituali" e quelle "laiche". Dopo qualche anno, sono arrivata a riconoscere che i nostri sforzi non erano limitati al piantare alberi, ma che stavamo anche piantando semi di un tipo diverso, quelli necessari per dare alle comunita’ la fiducia in se stesse e la conoscenza necessarie a riscoprire la loro vera voce ed a rivendicare i loro diritti (umani, ambientali, civili e politici). Il nostro scopo divenne espandere quello che chiamiamo "spazio democratico", uno spazio in cui cittadini comuni possono prendere decisioni per se stessi a beneficio proprio, della propria comunita’, del proprio paese e dell’ambiente che li sostiene.

In tale contesto, cominciai ad apprezzare il fatto che ci fosse qualcosa che ispirava e sosteneva il Green Belt Movement e coloro che partecipavano alle sue attivita’. Molte persone provenienti da gruppi e regioni differenti ci contattarono perche’ volevano condividere il nostro approccio con altri. Capii che il lavoro del Green Belt Movement era guidato da alcuni valori intangibili. Essi erano: amore per l’ambiente, gratitudine e rispetto per le risorse della Terra, capacita’ di darsi potere e di migliorare se stessi, spirito di servizio e volontariato. Insieme, questi valori incapsulavano l’aspetto intangibile, sottile, non materialistico del Green Belt Movement come organizzazione. Ci permettevano di continuare a lavorare anche quando i tempi si facevano difficili.

Naturalmente, so bene che tali valori non sono appannaggio del Green Belt Movement. Essi sono universali. Non possono essere toccati o visti. Non possiamo dar loro un valore monetario: in effetti, sono impagabili. Questi valori non sono contenuti in specifiche tradizioni religiose, ne’ uno deve far professione di fede per essere guidato da essi. Sembrano piuttosto essere parte della nostra natura umana, ed io sono convinta che siamo persone migliori perche’ li abbiamo, e che l’umanita’ e’ migliore avendoli piuttosto che non avendoli. Dove questi valori sono ignorati, li rimpiazzano dei vizi come l’egoismo, la corruzione, l’avidita’ e lo sfruttamento.

Nel processo in cui aiutiamo la Terra a guarire, aiutiamo noi stessi.

Per quel che posso dire attraverso le mie esperienze e le mie osservazioni, credo che la distruzione fisica della Terra si estenda anche a noi. Se viviamo in un ambiente ferito, dove l’acqua e’ inquinata, il cibo e’ contaminato da metalli pesanti e residui plastici, e il suolo e’ praticamente immondizia, cio’ ci affligge, influisce sulla nostra salute e crea ferite a livello fisico, psicologico ed esistenziale. Degradando l’ambiente degradiamo sempre noi stessi.

[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente testo di Wangari Maathai, ripreso da "Yes! Magazine" del 26 settembre 2011, estratto dal libro "Replenishing the Earth: Spiritual Values for Healing Ourselves and the World"]

DANIELE BARBIERI RICORDA WANGARI MAATHAI *

"Arokoma kuuraga" - che tu possa domire la’ dove piove - e’ l’augurio tradizionale del popolo keniota a una persona morta. Nel suo libro "Solo il vento mi pieghera’" Wangari Maathai aggiunse: "per me quel luogo e’ intriso di rugiada, percio’ e’ verde. Forse il paradiso e’ verde".

Wangari Maathai e’ morta, per un tumore, a 71 anni. Nobel per la pace nel 2004 con questa motivazione: "La pace nel mondo dipende dalla difesa dell’ambiente" e l’aggiunta che la sua azione per i diritti delle donne ha ispirato moltissime persone e ha saputo conciliare la scienza e l’ideale democratico.

Di fronte a quel Nobel inatteso, la Maathai non si scompose: scavo’ la terra e vi mise una pianticella. "Perche’ quel che faccio", continuava a ripetere, "e’ molto semplice: pianto gli alberi".

Prima donna nel Centrafrica a laurearsi (in biologia) e a ricevere un Nobel. Fondo’ nel 1977 il Green Belt Movement che ha piantato 40 milioni di alberi in Kenia e altri Paesi africani per combattere l’erosione. Ma - spiegava - bisogna anche difendere gli alberi che ci sono, e Wangari Maathai nel suo Paese e’ stata insultata, bastonata, sfrattata, denunciata perche’ fermava chi buttava giu’ foreste per costruire alberghi di lusso. Nella sua biografia racconta di quando, barricata in casa, disse ai poliziotti venuti a prenderla: "So che dovete arrestarmi. Ma anch’io sto facendo il mio lavoro e non vi apriro’ la porta. So che avete freddo. Vi preparero’ una tazza di the ma non ho piu’ latte. Se vi do’ i soldi andate a comprarlo?". Per la cronaca i poliziotti, dopo una breve consultazione, andarono a prendere il latte.

Nel suo "La religione della terra" (in italiano presso Sperling & Kupfer, come il precedente) uscito quest’anno, Maathai spiego’ che scavare buche o difendere gli alberi non e’ un lavoro particolarmente spirituale ma che questi sforzi spargono "semi di altro tipo: quelli necessari a curare le ferite inflitte alle comunita’, depredate della loro autostima". E i quattro principi del Green Belt Movement partono da qui: "1. Amore per l’ambiente. 2. Gratitudine e rispetto per le risorse della terra. 3. Autopotenziamento e automiglioramento. 4. Spirito di servizio e volontariato".

In un famoso articolo del 2007 (per "The Globalist") ha raccontato la lotta del Kenia per l’indipendenza e la sua... per lo stesso motivo. Come donna era discriminata in ogni modo. Protesto’. "Da allora le docenti continuarono ad essere pagate meno degli uomini che facevano il loro stesso lavoro, ma a me e a un’altra ribelle fu conferito il titolo di ’professore maschio onorario’". E ancora: "Spesso incontro donne che hanno aspettato che quella sicurezza chiamata uomo svanisse dalle loro vite per ricordarsi che avrebbero dovuto proteggere i loro diritti. Donne che dicono: ’L’avrei fatto anche prima, ma lo sai come sono fatti gli uomini’".

Dopo gli anni bui della repressione, anche in Kenia si e’ aperta una speranza e Maathai se ne e’ rallegrata. "Solo il vento mi pieghera’" si chiudeva cosi’: "Sono una delle poche fortunate che ha potuto vedere un nuovo inizio. Ma ho sempre creduto che, non importa quanto sia scuro il cielo, c’e’ sempre un po’ di rosa all’orizzonte ed e’ quello che dobbiamo cercare".

Il 2011 e’ l’anno internazionale delle foreste. Come sempre queste campagne hanno risvolti pratici importanti e molto fumo di bei discorsi. Forse l’esempio di Wangari Maathai, piantare alberi e impedire che vengano abbattuti, e’ la strada giusta. In ogni caso "arokoma kuuraga" per lei.

[Ringraziamo Daniele Barbieri (per contatti: pkdick@fastmail.it) per averci messo a disposizione questo suo articolo originariamente pubblicato sul quotidiano "L’unione Sarda" il 27 settembre 2011 ]

* FONTE:

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 694 del 30 settembre 2011
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza

Direttore responsabile: Peppe Sini.
Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo,
tel. 0761353532,
e-mail: nbawac@tin.it,
sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/9/2011 19.33
Titolo:Derrida, "Abramo, l’altro" - Una recensione ....
- Derrida, Jacques, Abramo, l’altro, a cura di Giovanni Leghissa e Tatiana Silla.
- Napoli, Cronopio, 2005, pp. 92, € 10,00, ISBN 88-89446-05-6.

- Recensione di Francesco Tampoia - 07/02/2006 *

Nella Prefazione, abbastanza ampia e articolata se rapportata al testo derridiano, Giovanni Leghissa e Tatiana Silla precisano che il volumetto presenta il testo della conferenza di apertura, affidata allo stesso Derrida, a un convegno dal titolo Judeites. Questions pour Jacques Derrida, svoltosi a Parigi dal 3 al 5 Dicembre 2000.

Dalle prime pagine leggiamo che “Derrida ha sempre negato che una sorta di ebraicità sia all’opera in quel peculiare modo di fare filosofia che è la decostruzione” (p. 10), che il filosofo ha sostenuto con forza che non esiste un decostruzionismo al singolare: “La decostruzione, in quanto interrogazione permanente dell’eredità del proprio luogo, delle proprietà e dell’appropriazione, ha di mira ciò che precede tutte le filiazioni e le derivazioni”(p. 11-12). Lungi dall’assegnare legittimità a questa o a quella politica dell’identità, la decostruzione intende smontare la certezza pacificante e consolatoria che solitamente accompagna le ricostruzioni del passato, perché la decostruzione si pratica nella consapevolezza di muoversi all’interno di un magma (chora) confuso e sfuggente che precede e accomuna idee e oggetti mondani. Rispondendo alla domanda principale posta al convegno, Derrida afferma che se è lecito parlare di ebraismo, a suo riguardo, si tratta dell’ ebraismo di un marrano. “Il marrano, in senso proprio, è colui che ha dovuto tradire la propria origine ebraica costretto a farlo non solo per salvarsi la pelle, ma anche per salvare qualcosa del proprio ebraismo” (p. 13) e pertanto “l’identità che il marrano custodisce, dovendo rimanere nascosta, dovendo esporsi al rischio di cancellazione, si fa alterità, si trasforma in qualcosa che non può essere esibito in forma pura” (p. 14).

I prefatori fanno riferimento a un testo, in parte gemello alla conferenza Abramo, l’altro, una vera e propria autobiografia di Derrida, Circumfessiones, pubblicato nel 1991, in cui si ha l’impressione che Derrida voglia smontare il genere autobiografia-filosofica confrontandosi con le Confessioni di sant’Agostino. Adottando sapientemente la decostruzione, il confessare di non confessare o per non confessare, Derrida scrive: ”Sono uno di quei marrani che non si dicono ebrei nemmeno nel segreto del loro cuore, non per essere dei marrani che vengono riconosciuti come tali da una parte o dall’altra della frontiera pubblica, ma perché dubitano di tutto, non si confessano mai, né mai rinunciano ai Lumi, costi quel che costi, pronti a farsi bruciare, o quasi. (p. 15). In Circumfessiones, non ancora tradotto in italiano, il filosofo riscopre frammenti, echi, evoca ricordi che mescola abilmente con l’autobiografia di sant’Agostino, mentre si accorge che sta imitando, mimando, decostruendo il capolavoro agostiniano. Gioca con alcune analogie e, riportando frasi dal testo latino delle Confessioni, dichiara il suo amore e l’immensa ammirazione per sant’Agostino, si apparenta, per alcuni tratti e movenze al Petrarca del Secretum, pone delle domande al santo non solo sulle sue confessioni, ma anche sulla sua politica, esercita, insomma, una decostruzione a due insieme con lui. Del resto la somiglianza con le vicende personali di Agostino non è peregrina. La terra di origine, il Magreb, Georgette, la madre di Derrida, una specie di Monica giudea, che morì in Europa, a Nizza, la ribellione giovanile, i compromessi e le difficoltà di un provinciale che cerca il successo nella metropoli, etc. Ma fra Derrida e Agostino vi è ben altro. La tradizione teologica di Agostino è la quintessenza del logocentrismo occidentale, e la deconstructione derridiana vuole essere la decostruzione del logocentrismo dell’intera tradizione occidentale religiosa e laica.

Parallela all’aporia ebreo/non ebreo è l’altra autentico/inautentico, in parte mutuata dalle famose pagine del capolavoro heideggeriano Essere e Tempo. Altro tema aporetico, infine, quello dell’ospitalità (cfr. Sull’ospitalità), ripreso in diverse occasioni e nelle sue varie sfaccettature, come lo hanno inteso i Greci, come lo ha affrontato Kant nello scritto Della pace perpetua. Spostandosi oltre Kant, Derrida tende a far debordare la dialettica ospitalità incondizionata/os.condizionata in una sfera etica che oltrepassa il diritto, allo stesso modo della morale stoica o della teologia paolina (vedi Efesini, 2, 19-20), nella convinzione che il principio della legge è la divisione, la separazione.

Dopo aver iniziato il lettore alla conferenza derridiana, mi affretto alla lettura diretta del testo per coglierne i principali passaggi e il nucleo argomentativo. Abramo, l’altro, è impostato dall’inizio alla fine sui due registri, da una parte la presenza di un’identità inammissibile dall’altra la necessità di confrontarsi con il proprio ebraismo, la propria biografia, la propria storia.

Derrida prende lo spunto da una frase tratta da un raccontino di Kafka, “Potrei, per me, pensare un altro Abramo” (p. 31). Cosa significa? Che posso immaginare o concepire, nella sconfinata libertà del mio pensiero un altro Abramo, e forse un altro ancora? E poi, riferendomi al testo biblico, chiedermi ma quale Abramo è stato chiamato? Quale dei diversi Abramo è stato chiamato?

Indubbiamente colui che risponde alla chiamata si prende una certa responsabilità, ha ascoltato, ha sentito la chiamata. Derrida propone alcuni percorsi alternativi, di cui ho già detto nel commento alla Prefazione. Primo: la dicotomia ebreo/non ebreo può essere configurata come una dissociazione tra le persone della declinazione dei verbi, tra i pronomi personali. Secondo: l’alternativa ebreo autentico/ebreo inautentico, di cui si occupò Sartre, in seguito alla lettura di Essere e Tempo di Heidegger mezzo secolo fa, può essere approfondita con l’ausilio dei due filosofi. Terzo. va accettata ed esplorata la dissociazione tra l’ebraicità e l’ebraismo.

Nel trattare in prima persona il suo essere/non essere Ebreo, Derida prosegue: “L’ingiunzione contraddittoria che avrebbe così ordinato la mia vita, mi avrebbe detto in francese: guardati dall’ebraismo - o anche dalla stessa ebraicità. Guardatene per custodirlo, guardatene sempre un po’, guardati dall’essere ebreo per conservarti ebreo o per conservare l’Ebreo in te. Custodisci l’ebreo che è in te, prenditene cura. Pensaci bene, sii vigilante, usa riguardo verso il tuo ebraismo, e non essere ebreo a qualunque prezzo. Anche se tu fossi il solo e l’ultimo a essere ebreo a un simile prezzo, pensaci su due volte prima di dichiarare una solidarietà di tipo comunitario o nazionale, men che meno se legata allo stato-nazione” (p. 41). E qui il filosofo si chiede se la prescrizione della legge che separa ebreo da non ebreo, circonciso da non circonciso, così intensamente vissuta e discussa da S. Paolo, possa essere perennemente valida.

L’ordine, l’ingiunzione sarebbe quella di mantenere il silenzio. Un silenzio scelto, ma anche non scelto di fronte a una condizione esistenziale di colpevolezza apriori, di un debito originario, di un torto congenito “che si trova ovunque e particolarmente presso pensatori sedicenti cristiani, anticristiani o atei come Kierkegaard o Heidegger, perché l’argomentare universale di questa singolare requisitoria viene da me, da sempre, quasi sempre, oscuramente, si salda alla questione della mia appartenenza all’ebraicità o al giudaismo” (p. 43-44).

Parlare o non parlare? Dire o non dire?

L’oscillazione derridiana è un gioco, ma non un doppio gioco, né una qualsivoglia o ingenua opposizione, come erroneamente hanno pensato alcuni lettori e/o critici. Né la pratica decostruttiva derridiana mira a formare delle coppie di opposti binari, uno dei quali acquista gradatamente la preminenza mentre l’altro viene marginalizzato, ancor meno realizza un libero gioco di due opposti, senza alcuna connotazione gerarchica, magari in attesa della sintesi. Il suo dualismo, opposizione dei termini, non è, e non può sussistere come giustapposizione meccanica, a posteriori, esterna, è, invece, simile a una traccia originaria, con valore attivo e passivo, che è dentro e fuori. La traccia per Derrida è prima dell’ente, come un significato in posizione di significante, né il Nostro avverte la nostalgia dell’origine.

In queste pagine ricorda il suo cammino esistenziale e come la parola ebreo gli sia stata appioppata per la prima volta nella lingua francese d’Algeria dei primi anni di vita. Ricorda che “la parola “ebreo” credo di non averla mai sentita all’interno della mia famiglia, né come una designazione neutra e destinata a classificare, né destinata a identificare l’appartenenza a una comunità sociale, etnica o religiosa. “Credo di averla sentita nella scuola di El Biar ed era già carica di quel che si potrebbe chiamare un’ingiuria, in latino iniuria, in inglese iujury, allo stesso tempo un insulto, una ferita e un’ingiustizia, una negazione del diritto piuttosto che il diritto ad appartenere a un gruppo legittimo” (p. 47) Gli è stata affibbiata questa parola, anzi l’espressione sporco ebreo, con l’esplicita attribuzione di una colpa, prima che avesse commesso alcun errore.

Ricorda che ha giocato, senza effettivamente giocare, a soprannominarsi l’ultimo degli ebrei, colui che non meriterebbe il titolo di Ebreo autentico, il marrano che però è ebreo, perché crede che meno ti mostrerai ebreo più e meglio lo sarai. Ricorda ancora che da ragazzo l’osservazione diretta di quello che avveniva agli ebrei ha avuto in lui effetti non simili agli altri ragazzi ”Ma la stessa sofferenza e la stessa compulsione a decifrare i sintomi mi hanno, anche, in modo paradossale e simultaneo, allertato contro la comunità e il comunitarismo in generale, a cominciare dalla solidarietà reattiva, così fusionale e talvolta non meno gregaria, di quel che costituiva il mio entourage ebraico”(p. 56) Gli è rimasta la diffidenza verso il comunitarismo e la diffidenza nei confronti delle frontiere, delle opposizioni, che pure ha sempre visto con rispetto, secondo le procedure della decostruzione, valorizzando i margini, i luoghi di frontiera, le zone franche situate come intercapedine nel mezzo degli opposti, gli è rimasta la diffidenza portatrice di aporeticità che “mi ha dunque spinto a elaborare una decostruzione, ma anche un’etica della decisione o della responsabilità esposta alla resistenza dell’indecidibile, alla legge della mia decisione come decisione dell’altro in me” (pp. 59-60).

Più avanti il riferimento al volume di J. P. Sartre, L’antisemitismo. Riflessioni sulla questione ebraica del 1954, letto all’età di vent’anni. Sartre indugia sulla distinzione Ebreo autentico ed Ebreo inautentico con alcune pagine sulla figura del piccolo ebreo che si sente separato dagli altri bambini, escluso, fa una difficile precoce esperienza: “Ecco dunque una sorta di scena primitiva nel corso della quale la rivelazione di una verità rompe ed esclude, lasciando soltanto tracce di turbamento nell’identità, nella distinzione tra il dentro e il fuori, in “in sé” e il “fuori di sé” (p. 68).

Riprendendo l’ambiguità insita nel dualismo autentico/inautentico, aggiunge “quel che semplicemente volevo confidarvi a nome mio, se posso ancora dire così, è che ci tengo a dire “io sono ebreo” o “io sono un Ebreo” senza sentirmi mai autorizzato a precisare un Ebreo “inautentico” o, soprattutto un Ebreo “autentico”, né nel senso limitato e molto francese di Sartre, né tanto meno in un senso che da me potrebbero attendersi degli ebrei più sicuri della loro appartenenza, della loro memoria, della loro essenza o della loro elezione”(p. 83). E tornando, infine, allo spunto iniziale, quello della chiamata: cosa faccio quando, chiamato, rispondo all’appello e tengo a presentarmi come Ebreo? Quale nesso si determina tra il fare e il sapere, tra fede e sapere? “Chiunque sia sicuro (come invece giustamente non lo era l’altro, il secondo Abramo di Kafka), chiunque creda di detenere la certezza di essere stato lui il solo, lui per primo, chiamato come il primo della classe, trasforma e corrompe la terribile e indecisa esperienza della responsabilità e dell’elezione in caricatura dogmatica, con le più temibili conseguenze che si possano immaginare in questo secolo, soprattutto quelle politiche” (pp. 84-85).

La conclusione, si fa per dire, è che non è assicurata la distinzione tra inautentico e autentico, tra ebraismo ed ebraicità. Ne aveva discusso acutamente Freud su Mosé per concludere pressappoco in questo modo: se si domandasse a questo Ebreo (cioè a lui stesso): “Dal momento che avete abbandonato tutti questi caratteri comuni ai vostri compatrioti, che cosa vi resta di ebraico?”, costui risponderebbe: “Molto e probabilmente la stessa sua essenza”. Non potrebbe esprimere subito questa essenza con l’aiuto delle parole”(p. 86). Resta, tuttavia, una certa eredità. Di modo che nel groviglio delle direzioni, religiose, storiche, filosofiche, linguistiche, giuridiche, politiche, nel crogiolo preistorico e proteiforme, archiscrittura, spesso chiamato chora emergono due postulati contradittori: da una parte è là che si trova la condizione per affrancarsi, dall’altra l’affrancamento può essere interpretato come il contenuto stesso della rivelazione o dell’elezione, rifiuto del nihilismo e consapevolezza dello scacco cui deve far fronte l’uomo.

“Che ci sia ancora un altro Abramo, ecco dunque il pensiero ebraico più minacciato ma anche il più vertiginosamente, il più estremamente ebraico che io conosca fino ad oggi” (p. 92). Lungi dall’avallare il nichilismo della distruzione, Derrida ha scelto la decostruzione della metafisica occidentale e, nelle opere degli ultimi anni come Abramo, l’altro, l’autointerpretazione del soggetto.

È il lascito più fecondo della sua filosofia, in particolare della sua ultima stagione che siamo chiamati ad approfondire.

Indice

- Prefazione, Le gallette di Purim.
- Abramo, l’altro.

Gli autori

Jacques Derrida (1930-2004) filosofo e critico letterario, di origine ebraica, è noto come il fondatore del decostruzionismo. Numerosa e molto varia la sua produzione saggistica. Tra le sue opere più note: L’écriture et la différence, De la grammatologie, La voix et le phénomène, La dissémination, Marges de la philosophie, La Carte postale: de Socrate à Freud et au-delà, De l’espirit: Heidegger et la question, Politiques de l’amitié: suivi de l’oreille de Heidegger, Adieu à Emmanuel Lévinas.

* RECENSIONI FILOSOFICHE - ReF, 07/02/2006
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/3/2012 21.32
Titolo:L’evento dell’altro. Etica e politica in Jacques Derrida....
Caterina Resta, L’evento dell’altro. Etica e politica in Jacques Derrida. Torino, Bollati Boringhieri, 2003, pp. 138, Euro 14,00

Recensione di Rita Fulco - 19/12/2003 (da: www.swif.uniba.it)

Ascoltare e cor-rispondere nella scrittura. Questo originario mettersi a disposizione della parola e del pensiero ha da sempre consentito a Caterina Resta di confrontarsi con le maggiori questioni filosofiche del nostro tempo e di tradurle in parola con un certo anticipo rispetto alla loro ribalta nel dibattito filosofico.

Questa "preveggenza" aveva caratterizzato anche il suo primo testo su Jacques Derrida (Pensare al limite. Tracciati di Derrida, Milano 1990), una delle pionieristiche monografie italiane - che tutt’oggi resta un punto di riferimento ineludibile per chi intenda occuparsi seriamente di Derrida - sul grande pensatore francese: indubbiamente ha il merito di avere aperto, per prima, alcune piste divenute fondamentali nel dibattito intorno al filosofo. In particolare, gli ultimi due capitoli di quel volume mostravano come il pensiero di Derrida, lungi dal potersi ridurre a un "pensiero della scrittura" come puro esercizio ludico di stile (questo è semmai il limite di tanti suoi mimetici esegeti), fosse aperto a molte altre questioni, altrettanto decisive, la cui portata filosofica è possibile cogliere solo sullo sfondo di alcuni dei suoi più diretti interlocutori. Heidegger, in primo luogo, per quanto riguarda un pensiero dell’evento, inteso anche come cor-rispondere all’ascolto di una parola data, accettazione e accoglimento di una promessa, di un patto che, fin dall’inizio, determina la nostra appartenenza al linguaggio. E Lévinas, per quanto concerne la sempre maggiore attenzione dedicata dall’ultimo Derrida ai risvolti etico-politici e al tema dell’altro in quanto autrui, alla ricerca di un diverso modo di pensare l’entre nous.

Questo nuovo lavoro coglie il frutto più recente e maturo del pensiero del filosofo francese, il cui seme Caterina Resta aveva intravisto nel volume del 1990: in un confronto divenuto ormai esplicito e serrato con il pensiero di Lévinas e con la comune radice ebraica - a cui l’autrice dedica un illuminante e importante capitolo, che offre una ricostruzione esaustiva e affascinante del dialogo tra i due grandi filosofi francesi - Derrida intravede nella figura dello straniero e dell’ospite la possibilità di quell’evento dell’altro che, inatteso e inaspettato come il Messia, scardina e interrompe il continuum del tempo cronologico, introducendovi le possibilità inaudite di un tempo kairologico, mettendo radicalmente in discussione lo stesso statuto del soggetto. Un radicale rovesciamento, dunque, dell’ermeneutica della decostruzione derridiana, considerata da molti come esempio di assoluta irresponsabilità del pensiero, occupato unicamente in un estetizzante quanto cinico gioco basato su una pratica nichilistica e distruttiva, volta a smantellare il "logofonocentrismo", nome dato da Derrida alla tradizione del pensiero occidentale. L’originale e acuta interpretazione di Resta mostra come la responsabilità e la giustizia siano, in realtà, gli snodi fondamentali su cui la decostruzione, negli ultimi lavori del filosofo francese, si de-cide - o fosse sin dall’inizio decisa - radicalmente per altri, richiamando in ogni istante a rispondere dell’altro e per l’altro, proseguendo su quei tracciati che già da sempre conducevano a quello che oggi ci sorprende come un rinnovato e dirompente pensiero dell’ospitalità e dell’accoglienza dell’altro, di altri.

Già l’incipit - un breve quanto denso commento, posto quasi ai bordi dell’immagine scelta per la copertina (un particolare della Cena in Emmaus di Caravaggio) - lascia affiorare il tema chiave dell’intero volume: l’evento dell’altro non è rivestito di gloria e onore ma, come il Messia dell’episodio evangelico, "ebraicamente, è lo Straniero che incontriamo per strada, lo Sconosciuto dal quale si ricevono insospettabili ammaestramenti; è il Clandestino senza nome, forse addirittura il Perseguitato, la cui identità di altro uomo è celata per la cecità dei nostri occhi che non ne sanno riconoscere il Volto; è l’Ospite cui dobbiamo accoglienza alla nostra tavola e con il quale siamo chiamati a condividere i pasti alla mensa comune" (p.10).

A quest’ospite non ci si può che rivolgere dandogli del tu, e la scrittura di Derrida si piega al soffio, o al vento impetuoso, dell’altro assumendo la forma dell’apostrofe, quel tono diretto, quasi timbro di voce, che sul foglio bianco si traduce nella signature, la firma, singolare impronta d’esistenza individuale, incrocio di nome e tempo nello spazio dell’incontro che ogni carte postale, ogni lettera, ogni invio dischiude. L’unicità dell’adresse e della signature non delimita uno spazio identitario, ma i bordi di un appello, di uno spazio gravido d’evento, in cui si possano dare cor-rispondenze: "Poco importa, infatti, la presunta identità - miraggio di ogni comunicazione trasparente - del destinatore e del destinatario: quel che davvero interessa, ciò di cui "ne va", è che la destinazione sia ogni volta unica nel suo indirizzo, che ogni volta si indirizzi a te e a nessun altro e che tu [...] semplicemente l’accolga dicendole di sì [...]. Per questo essa, nonostante ogni ’buona volontà’ e intenzione, può non raggiungerti mai, cadere in altre mani, anche quando fossero proprio le tue" (p. 22). L’importanza di questo Ent-sprechen (cor-rispondere) sarebbe impossibile da comprendere senza tenere in giusta considerazione il corpo a corpo che Derrida sostiene con tutto il pensiero di Heidegger, a partire da Sein und Zeit fino a Zeit und Sein, concentrandosi sui temi dell’ascolto e dell’evento, come impegno alla e nella parola.

L’evento non s’inserisce affatto in un orizzonte di prevedibilità e calcolabilità, anzi scardina ogni programma, porta il tempo out of joint, poiché se davvero si sapesse cosa si attende e il momento preciso in cui tale attesa verrà soddisfatta, non ci sarebbe, non si darebbe, alcun evento, ma tutt’al più l’esecuzione di un programma. L’evento arresta il tempo cronologico, interrompe la scansione ripetitiva delle lancette d’orologio e, in una sorta di escatologia messianica, irrompe sulle ali del giovane Kairos dal lungo ciuffo che dobbiamo saper ’acciuffare’: "Non tutto ciò che accade ha dunque il carattere di evento, ma solo quel che e-viene nella sua assoluta e irriducibile singolarità, quell’unico che, nell’attesa, non mi potevo aspettare e che perciò mi sorprende, fino a mozzarmi il fiato" (p. 31).

Ciò non significa che occorra predisporsi al futuro, dimentichi di ogni passato. Anzi, Derrida stesso avverte che non c’è a-venire senza eredità e possibilità di ripetere. Si tratta di intrattenere un rapporto differente con il passato, che non viene conservato sotto forma di archivio onnifagocitante, ma riattivato mediante una decisione, una responsabilità, a cui l’eredità stessa chiama: quella di esserne testimoni, prestando fede all’impegno preso e alla parola data, liberamente. Testimoniare di un’eredità ricevuta in dono non vuol dire trasmetterne esattamente i contenuti: questo è un gesto impossibile alla radice, visto che si eredita sempre a partire da un segreto che l’eredità stessa serba nell’offrirsi a noi, un inattingibile che non si può confidare e che rivela una condizione di radicale finitezza.

Questo pensiero, allora, deve misurarsi costantemente con il limite, ripensare soglie e frontiere, nello spazio, nel tempo, nel linguaggio, nell’infinita differenza di ogni soggetto con sé stesso e nel suo essere assoggettato all’infinita differenza dell’altro, che arriva e, sorprendendomi, mi reinventa: ospite io stesso di me stesso e di colui che arriva, a sua volta ospitante e ospitato. Questo è il cuore dell’ospitalità all’evento, in cui un arrivante assoluto espropria, disidentifica, mette in questione ogni chez soi, in un imprevedibile rovesciarsi di estraneo e familiare, fino a trasformare - come ha ben visto Lévinas - colui che ospita in ostaggio di colui che è ospitato, spingendo la legge dell’ospitalità verso l’impossibile di una giustizia che impone di accogliere l’arrivante senza chiedergli nulla, neanche il nome: "Muta accoglienza, a braccia aperte, nel più perfetto silenzio in cui si apre una porta, quasi che solo esso sia in grado di custodire quel segreto che l’arrivante ci offre in dono e che consente un’ospitalità incondizionata nei confronti dell’altro: lasciarlo straniero nel gesto che lo accoglie, inappropriabile" (p. 49).

Qui si incrocia uno dei temi più scottanti che attraversa, come una ferita originaria, le politiche dell’ospitalità: come tenere insieme l’esigenza urgente e imprescindibile della legge dell’ospitalità, che impone un’apertura incondizionata, con le leggi dell’ospitalità, chepretendono di regolamentare giuridicamente un’istanza ontologica, prima che etica, e cioè il fatto che l’altro viene prima di me? In realtà La legge dell’ospitalità ha bisogno delle leggi dell’ospitalità, se non altro come frontiera da superare, limite da trasgredire, per avvicinarsi sempre più a quell’imperativo di assoluta apertura di cui essa è portatrice.

Mentre la giustizia appartiene al registro del dono, con l’incommensurabile responsabilità nei confronti dell’altro, al diritto spetta "comparare l’incomparabile", calcolare, equiparare. Derrida si appella dunque a una dimensione escatologica e messianica della giustizia, senza che ciò rinvii a un particolare orizzonte religioso: si tratta di un "messianico senza Messia", di un "riconoscimento della Torah prima del Sinai", come ha sostenuto Lévinas, da inscrivere nell’ordine di una promessa incondizionata che non può essere garantita a priori da nessun programma politico, speranza di una democrazia a-venire: "Il dio che ama lo straniero avrebbe annunciato non a tutti, ma singolarmente a ciascuno, la legge dell’ospitalità come un umanesimo dell’altro uomo, speranza di ogni umanità a venire" (p. 89).

Come riuscire a essere giusti nello iato tra diritto e giustizia? Che cosa garantisce che una decisione non sia semplicemente legale ma giusta? La decisione di Abramo rispetto al sacrificio del figlio Isacco è da Derrida considerata emblematica, poiché rende impossibile la decisione stessa, assoggettata a due imperativi ugualmente esigenti e, proprio per questo, l’unica davvero responsabile. In questo suo proporsi come esperienza dell’impossibile, la giustizia rivela il suo legame con l’evento, sorprendendo la stessa soggettività del soggetto e rivelandolo esposto ontologicamente all’altro, responsabile prima che libero.

Si annuncia così l’urgenza di una politica che decostruisca ogni orizzonte genealogico, che attribuisce diritti a partire dalla nascita e dalla discendenza, come anche ogni schema basato sulla fratellanza, volto a garantire valore solo alla comunità di sangue, spettri sempre pronti a seminare terrore e morte, anche nella nostra epoca in cui la globalizzazione teletecnica e la conseguente deterritorializzazione, lungi dall’offrire un mondo armoniosamente pacificato, hanno visto la risorgenza di localismi e nazionalismi esasperati, contraccolpo allo sradicamento totale e omologante, che ha privato di ogni possibilità di avere una propria dimora e di poter offrire, quindi, un’ospitalità: "Una politica dell’ospitalità non può non riconoscere lo struggente desiderio della singolarità, dell’idioma, di ciò che è proprio: che altro si avrebbe da offrire all’ospite che ci visita se non il dono della nostra differenza? Perfettamente uguali non saremmo anche necessariamente indifferenti?" (p. 72).

Ogni politica dell’ospitalità, ogni politica a-venire, deve rispondere di un difficile compito: quello di essere fedele alla doppia ingiunzione che impone da un lato il rispetto della singolarità e dall’altro la totale ospitalità offerta a ogni altro in quanto altro, nella costante vigilanza che l’esigenza del sangue e del suolo non rinasca dall’interno del desiderio della dimora e dell’idioma. Rischio sempre presente che apre alla possibilità ineludibile che ogni hospes si trasformi in un hostes, anzi nel più acerrimo inimicus.

La scommessa e la promessa di questa politica a-venire, o meglio di un possibile avvenire della politica, è quella di un "legame che sleghi", di una "comunità di coloro che non hanno comunità", come l’ha chiamata Bataille, amicizia del dis-astro, per usare un’espressione di Blanchot, o amicizia stellare degli astri, secondo le parole di Nietzsche, che sappia rinunciare a ogni comune, a ogni come-uno, in vista di un essere-insieme-altrimenti, fondato sulla con-divisione del segreto. Amicizia nella condivisione del silenzio e della solitudine.

L’intraducibilità e l’intrasparenza, proprie di ogni singolarità, alludono a un resto inappropriabile che rende la separazione insormontabile: "Ma come testimoniare di questo ’tacere tra amici’, del tacere l’uno all’altro, l’uno davanti all’altro, ’come si può stare assieme per testimoniare il segreto, la separazione, la singolarità?’ E, domanda ancora più incalzante, può esservi una politica di o per questa comunità di coloro che non hanno comunità, è possibile ’fondare una politica della separazione?’ Una politica, una democrazia che dovrebbero farsi carico, che dovrebbero cor-rispondere all’intrattabilità di questo tratto, di questo ’tra’ che è la condizione di tutt’altra comunità" (p. 86).

Dunque, la questione urgente è se davvero si possa amare lo straniero in quanto tale, se possa esistere un’aimance indirizzata all’unico, all’amico nella sua totale differenza e inappropriabilità, che non scada in un bene come-unitario distribuito indistintamente ai tutti senza volto: "Al di là del comune e della comunità, non sarà forse ’ospitalità’ il nome di questa aimance, l’altro nome di una politica a-venire?" (p. 88). L’ospitalità, al di là del bene e del male di ogni comunità, dice infatti un altro tempo, dona un altro tempo, nell’attesa di quel Messia che è già da sempre qui e che pure deve ogni volta arrivare, clandestino e straniero: lui che, al di là di ogni nome proprio, nomina proprio il dono del tempo. L’evento dell’altro.

Indice---Introduzione: L’a-venire della decostruzione 1. L’evento dell’altro (I. Gli effetti della scrittura; II. L’apostrofe; III. L’invenzione dell’altro; IV. La responsabilità della risposta) 2. L’evento e (è) l’impossibile (I. L’inatteso; II. Ereditare; III. L’a-venire) 3. Politiche dell’ospitalità (I. Ospitalità; II. Diritto e giustizia; III. Decisione e responsabilità. IV. Una politica a-venire V. Con-dividere il segreto; VI. Messianico senza Messia) 4. Un contatto nel cuore di un chiasmo: Derrida e Lévinas (I. Incroci; II. Il passo al di là; III. Alterità e scrittura; IV. Un’etica prima dell’ontologia. V. Addio; VI. L’accoglienza)

Caterina Resta è ordinario di Filosofia teoretica presso l’Università di Messina, dove insegna anche Filosofie del Novecento. Si è occupata di Martin Heidegger, Friedrich Nietzsche, Ernst Jünger e Carl Schmitt. È interessata, inoltre, al tema della differenza e dell’alterità, avendo approfondito, nell’ambito della filosofia francese, il pensiero di Jacques Derrida, Jean-Luc Nancy e Emmanuel Lévinas. È anche fra i maggiori studiosi di Geofilosofia. Tra i suoi volumi più recenti: La Terra del mattino. Ethos, Logos e Physis nel pensiero di Martin Heidegger (Milano 1998), Stato mondiale o Nomos della terra. Carl Schmitt tra universo e pluriverso (Roma 1999), Passaggi al bosco. Ernst Jünger nell’era dei Titani (Milano 2000, con Luisa Bonesio).

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Titolo articolo : Ad Homs sono i gruppi armati che stanno massacrando la popolazione,

Ultimo aggiornamento: March/05/2012 - 14:26:39.

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Autore Città Giorno Ora
alessandra raggi genova 05/3/2012 14.26
Titolo:COLPEVOLE IGNORANZA
rendetevi conto che state facendo veramente del male pensando di essere nel giusto. come potete dire che c'è manipolazione !!! Chi sta sparando è chi ci tortura da 50 anni !! Come potete negarlo dalle vostre calde casucce. Noi vediamo le facce, conosciamo persino i nomi e i cognomi. Noi moriamo. Nessuno vuole la guerra civile.Ma come potete negare che quello di Assad non sia un regime crudele, che tortura e elimina gli oppositori, che terrorizza tutti ?? infatti non ha torturato voi, ma noi. Volete una descrizione precisa ???? Ma non sapete che i gruppi armati ci sono sempre stati e sono i cani del regime, che sempre hanno fatto sparire la gente e l'hanno torturata ??? Allora sono filo americani ?? Fanno l'interesse della guerra ?? Lasciateci morire almeno standovene zitti che è meglio. Io in Siria c'ero fino a ieri, voi ci siete mai stati ?????????????????

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Commenti Articolo 895

Titolo articolo : La moderatora Maria Bonafede incontra il ministro Riccardi,di Agenzia NEV del 29/02/2012

Ultimo aggiornamento: March/05/2012 - 05:56:47.

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Autore Città Giorno Ora
Florestana Piccoli Sfredda Rovereto TN 04/3/2012 17.36
Titolo:Docente a riposo
Di confessione Cristiana Evangelica Valdese, Responsabile della Sala Valdese di Rovereto, ho seguito con vivo interesse il servizio sull'incontro della Moderatora, past. Maria Bonafede,con il,Ministro on. Riccardi.
Attiva da molti anni nel movimento ecumenico, oggi dilatato nel dialogo interreligioso, mi rallegro ogniqualvolta si creano fraterne occasioni di incontro e di dialogo, al di fuori di ogni forma di razzismo e di intolleranza.
Autore Città Giorno Ora
Franco Mella Milano 05/3/2012 05.56
Titolo:Ecumenismo in atto a sostegno di tutti gli immigrati
Dialoghi come questo vanno moltiplicati, perche' influiscono sull'integrazione degli immigrati non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Ad Hong Kong, per esempio, stiamo lottando perche' vengano accettate le mamme che vengono a partorire qui dal continente cinese e perche' venga dato il diritto di cittadinanza alle lavoratrici domestiche immigrate filippine ed indonesiane.

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Commenti Articolo 896

Titolo articolo : ENZO BIANCHI AMMETTE: SI', ANCHE NELLA CHIESA C'E' CHI LAVORA CONTRO IL VANGELO. Una sua riflessione - con alcune note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/03/2012 - 15:27:58.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/1/2012 19.34
Titolo:GIOVANNI PAOLO ii: DIO DISGUSTATO ....
E si continua a dormire: una lettera del 2002

DEPONIAMO LE ARMI, APRIAMO UN DIBATTITO

di Federico La Sala*

Bisogna cominciare a vaccinarsi: il conto alla rovescia è partito. L’allineamento dei “pianeti” si fa sempre più stretto e minaccioso (Usa, Uk, Spagna, Italia, Grecia, Turchia, Israele..) e il papa - accerchiato e costretto alla rassegnazione - lo ha detto con decisione e rassegnazione: “Dio sembra quasi disgustato dalle azioni dell’umanità”.

Io credo che non si riferisse solo e tanto all’umanità degli altri, ma anche e soprattutto delle sue stesse “truppe” che lavorano dietro le quinte e alacremente a tale progetto.

Come è già apparso chiaro in varie occasioni (ultima, plateale, nel Kazakistan nel 2001) la gerarchia della Chiesa Cattolico-Romana ha il cuore duro come quello dei consiglieri del faraone. Si è mantenuta a connivente distanza da Hitler, ha appoggiato Mussolini, sta appoggiando il governo Berlusconi, e non finirà per appoggiare Bush? Figuriamoci.

Lo sforzo di memoria e riconciliazione non è stato fatto per riprendere la strada della verità, ma per proseguire imperterrita sulla via della volontà di potenza... Non ha sentito e non vuole sentire ragioni - nemmeno quelle del cuore: la “risata” di Giuseppe (cfr. Luigi Pirandello, Un goj, 1918, “Novelle per un anno”) contro il suo modello-presepe di famiglia (e di società) continua e cresce sempre di più, ma fanno sempre e più orecchi da mercanti! Cosa vogliono che tutti e tutte puntino le armi non solo contro Betlemme (come già si è fatto) ma anche contro il Vaticano?

Credo con Zanotelli che "stiamo attraversando la più grave crisi che l’homo sapiens abbia mai vissuto: il genio della violenza è fuggito dalla bottiglia e non esiste più alcun potere che potrà rimettervelo dentro"; e credo - antropologicamente - che sia l’ora di smetterla con l’interpretazione greco-romana del messaggio evangelico! Bisogna invertire la rotta e lavorare a guarire le ferite, e proporre il modello-presepe correttamente.

Lo abbiamo sempre saputo, ma ora nessuno lo ignora più! Chi lo sa lo sa, chi non lo sa non lo sa, ma lo sanno tutti e tutte sulla terra, nessuno e nessuna è senza padre e senza madre! Dio “è amore” (1Gv.: 4,8) e Gesù (non Edipo, né tanto meno Romolo!) è figlio dell’amore di un uomo (Giuseppe, non Laio né tanto meno Marte, ma un nuovo Adamo) e una Donna (Maria) e non Giocasta né tanto meno Rea Silvia, ma una nuova Eva. Cerchiamo di sentire la “risata”. Deponiamo le armi: tutti e tutte siamo “terroni” - nativi del pianeta Terra, cittadini e cittadine d’Italia, d’Europa, degli Stati Uniti d’America, di Asia, di Africa ecc., come di Betlemme, come di Assisi e di Greccio... E non si può continuare con le menzogne e la violenza!

Non siamo più nella “fattoria degli animali”: fermiamo il gioco, facciamo tutti e tutte un passo indietro se vogliamo saltare innanzi e liberarci dalla volontà di potenza che ha segnato la storia dell’Occidente da duemila anni e più! Si tratta di avere il coraggio - quello di don Milani - di dire ai nostri e alle nostre giovani che sono tutti e tutte sovrani e sovrane o, che è lo stesso, figli e figlie dell’amore di D(ue)IO... dell’amore di "due Soli" esseri umani, come anche Dante aveva già intuito, sul piano politico ma anche sul piano antropologico.

Cerchiamo finalmente di guardarci in faccia e intorno: apriamo il dibattito - o, perché no, un Concilio Vaticano III (come voleva già il cardinale Martini) tra credenti e non credenti - e teniamo presente che Amore non è forte come la morte, ma è più forte di Morte (Cantico dei cantici: 8,6, trad. di G. Garbini, non degli interpreti greco-romani della Chiesa Cattolica).

* Pubblicata su l’Unità del 29 dicembre 2002, p. 30.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 03/3/2012 15.27
Titolo:Geremia: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo” (Ger 17,5)
Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, anche nella Chiesa

di Enzo Bianchi (“Jesus”, marzo 2012)

Come reagire a quanto sta succedendo nella chiesa, in questi ultimi tempi in modo più manifesto di prima? Lamentarci? Già fatto. Denunciare? Pure, sempre cercando di non offendere la carità né di nominare il “peccatore”! Forse, si tratta di fare anche di questi momenti un’occasione per vivere il vangelo e per continuare ad amare la chiesa anche qualora si dovesse concludere che essa è irreformabile perché impermeabile al Vangelo...

Sappiamo che la chiesa non è una realtà atemporale generata dal testamento di un fondatore: è una realtà storica, è storia e fa storia. Sappiamo anche che nel luogo stabilito per il diritto può esserci l’iniquità (cf. Qo 3,16) e che già nel gruppo dei dodici chiamati attorno a sé da Gesù e coinvolti nella sua vita, la pietra di fondamento ha la tentazione di reagire come Satana e i dodici sono lenti a credere ma pronti a rinnegare e qualcuno persino a tradire Gesù! Dalle parole di Gesù sappiamo anche che nel campo, nello spazio ecclesiale, grano e zizzania crescono insieme, che la zizzania non va sradicata ma che occorre attendere, pazientare e volgere lo sguardo verso quello che sarà il frutto della mietitura.

Allora, perché soffrire? Perché lamentarci di quel lamento che è stato profetico sulla bocca e nel cuore dei profeti dell’Antico Testamento, di Gesù stesso che pianse su Gerusalemme, di uomini di chiesa come Basilio il grande o altri padri d’oriente e d’occidente? In questi anni abbiamo osservato il deterioramento che avveniva sotto i nostri occhi: dalla calunnia e la critica feroce attizzate in un sottobosco infido alimentato da blog e giornalisti compiacenti alle diverse fazioni, fino alla denigrazione di uomini e donne che avevano il solo torto di essere leali, non adulatori, non ricercatori di potere e di appoggi nelle diverse curie ecclesiali. Abbiamo notato anche che al grido di alcuni - tra cui lo stesso cardinal Ratzinger a partire almeno dalla Via Crucis celebrata alla vigilia della morte di Giovanni Paolo II - che denunciavano il malessere ecclesiale, il carrierismo, l’avidità del denaro e del potere seguiva subito dopo una serie di eventi che fornivano motivazioni a quei lamenti e a quelle denunce.

E tuttavia: che fare, che dire, di fronte a una chiesa che sembra aver smarrito, in molti suoi responsabili che portano l’onere del servizio a tutti, la tensione verso l’unità e la carità? Se un tempo creavamo atei con immagini distorte di Dio da noi fabbricate e predicate, oggi non siamo più significativi e ci ritroviamo paralizzati dallo spettacolo che offriamo. Gli uomini e le donne non appartenenti alla chiesa si sentono confermati nella loro estraneità rispetto a quanti si dicono impegnati nella nuova evangelizzazione, mentre molti cristiani se ne vanno in modo silenzioso, senza contestazione o tentano di vivere la fede “nonostante la chiesa”, etsi ecclesia non daretur. Benedetto XVI, nel Messaggio per la Quaresima 2012 esorta a riscoprire la dimensione della correzione fraterna come costitutiva della vita cristiana. Di correzione è bisognoso il singolo come la comunità cristiana nel suo insieme, l’ekklesía. E la correzione avviene con parole e opere, così come l’evangelizzazione, la liturgia, la storia di salvezza.

Il degrado della vita ecclesiale è anzitutto abbandono dell’ascolto della Parola di Dio, uscita dalla postura salvifica dell’ascolto, nella quale si raccoglie tutta l’esistenza della chiesa e da cui solo può procede ogni suo atto di parola. Ma il primato della Parola di Dio è tale non solo quando è alla base della predicazione e della parola magisteriale della chiesa, ma anche quando regola e corregge il parlare intraecclesiale, quando diviene ascesi della parola nella chiesa per costruire una comunicazione “evangelica” che sfugga alle doppiezze, alle menzogne, alle manipolazioni, alle adulazioni. La schiettezza, la parresía, la trasparenza e anche la condivisione della parola, la dimensione comunitaria e collegiale della parola, sono la risposta ecclesiale alla Parola di Dio che cerca comunione e la crea convertendo il parlare umano sull’esempio di Gesù, di cui la gente diceva: “Mai un uomo ha parlato così” (Gv 7,46).

Di Gesù, si diceva anche: “Ha fatto bene ogni cosa” (Mc 7,37). All’ascolto della Parola di Dio si affianca il guardare l’agire buono, veramente magisteriale, di molti, moltissimi cristiani anonimi e senza ribalta mediatica, che sono chiesa santa di Dio anche se nascosta come ceppo in terra arida. Ci sono i martiri, i cristiani perseguitati, ci sono uomini e donne che si alzano al mattino per lavorare, che faticano a mettere al mondo figli e a mantenerli, ci sono persone che quotidianamente spendono se stesse piegandosi sui loro fratelli sofferenti con amore, ci sono tanti cristiani che soffrono intimamente per la propria inadeguatezza a essere conformi al Vangelo, ma tutti costoro non fanno notizia, nessuno li discerne e li osserva, nessuno li ascolta...

Del resto, non è accaduto già così a quell’ “ebreo marginale” che fu Gesù di Nazaret? Chi si è accorto di lui durante la sua vita? Chi si è interessato della sua vicenda intessuta solo di amore e di servizio fedele ai fratelli? Solo poche decine di discepoli in mezzo a una folla che accorreva a lui solo per avere del pane e assistere a qualche miracolo...

Che fare dunque in questa amara situazione? Ascoltare di nuovo la Parola Dio, ascoltare il magistero silenzioso dei cristiani quotidiani, e ancora e ancora resistere al diavolo, il divisore, combattendo la buona battaglia della fede ogni giorno, confidando solo in Gesù il Signore e ricordando le parole del profeta Geremia: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo” (Ger 17,5). Ci resta da ricominciare la nostra vita cristiana dicendo a noi stessi: oggi è il primo giorno di vita cristiana che mi resta da vivere!

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Commenti Articolo 897

Titolo articolo : MA IL PAPA STA BENE? E I CARDINALI? Perché sono vestiti così? Perché son tutti vecchi? Perché son (quasi) tutti grassi? Perché sono tutti maschi? Perché non risparmiamo sulla luce? Arriverà Francesco I ? - Una nota di Giovanni Colombo,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/03/2012 - 12:07:35.

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Autore Città Giorno Ora
franco garavini forli 02/3/2012 22.41
Titolo:
Francesco I non abiterà ad assisi.... perchè non ha casa, la sua casa è 'il mondo', le chiese sparse nel mondo...
Il celibato non è...mancanza di piacere, ma spesso mancanza di relazioni vere...
Non sarà eletto dai vescovi, ma come Mattia, sarà estratto a sorte,
dopo aver invocato lo spirito...
Grazie delle....provocazioni che condivido...
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 03/3/2012 12.07
Titolo:Leadership carente e «incertezza di conduzione strategica». Crisi (non) di un pa...
Crisi di un papato

Secondo Politi, leadership carente e «incertezza di conduzione strategica»

Ratzinger, le riforme che non vuole (o non può) fare

di Andrea Tornielli (La Stampa/TuttoLibri, 03.03.2012)

Marco Politi JOSEPH RATZINGER. CRISI DI UN PAPATO Laterza, pp. 328, 18
Politi, commentatore de Il Fatto Quotidiano, è stato per diciassette anni corrispondente vaticano di Repubblica e, prima ancora, del Messaggero. Ha scritto con il premio Pulitzer Carl Bernstein la biografia best-seller di Giovanni Paolo II «Sua Santità» (Rizzoli)

La tesi dell’autore è chiarissima fin dal titolo: Joseph Ratzinger. Crisi di un papato. Secondo il vaticanista Marco Politi, autore del saggio, quello di Benedetto XVI, a sei anni e mezzo dall’elezione, sarebbe dunque un pontificato «in crisi». Politi mette in fila e analizza tutti gli episodi «critici» che hanno caratterizzato il papato ratzingeriano, dalle reazioni al discorso di Ratisbona al caso Williamson, dalla risposta sul preservativo durante il viaggio in Africa del marzo 2009 allo scandalo dei preti pedofili.

L’autore riconosce le indubbie doti intellettuali e di predicatore del Pontefice tedesco, ne apprezza l’essenzialità del messaggio, giudica positivamente anche l’attività di scrittore e di teologo che Ratzinger ha continuato anche da Papa, attraverso i libri su Gesù di Nazaret: «Al di là della battaglia teologica», scrive Politi riferendosi al primo volume sul Nazareno, «il libro appare una splendida catechesi letteraria, un ritratto avvincente, un inno alla sequela di Gesù. Pagina dopo pagina il pontefice propone con essenzialità una spiritualità intensa, rigorosa, gioiosa». E riconosce anche una caratteristica peculiare di Benedetto XVI, l’umiltà: «Raramente un Papa ha espresso in maniera così toccante la propria fragilità», osserva Politi, riferendosi al libro-intervista nel quale il Pontefice racconta la sua reazione all’elezione e il suo rivolgersi a Dio per dirgli: «Tu mi devi condurre! Io non ce la faccio».

Ma Politi rivolge anche, pagina dopo pagina, una critica serrata al «governo» di Ratzinger e conclude che l’attuale papato appare caratterizzato da uno stallo delle riforme necessarie per la Chiesa e per la Curia romana. Come pure osserva la carenza di una visione geopolitica da parte della Santa Sede e un venir meno dell’incidenza che la voce vaticana aveva sulla scena internazionale fino a qualche anno fa, nonostante molti viaggi di Benedetto XVI - anche quelli considerati più difficili - riconosce l’autore, siano stati «coronati da grande successo».

Il Papa «si dedica scrupolosamente allo studio dei dossier che gli vengono sottoposti», ma «crisi dopo crisi, resta insoluta la questione della solitudine decisionale... Il cosiddetto deficit di comunicazione rimanda piuttosto ad una carenza di leadership» e a un’«incertezza di conduzione strategica».

È indubbio che le crisi del pontificato abbiano messo in luce reali problemi di governo (meglio, di assenza di governo) che non sono soltanto comunicativi, nonostante molti in Vaticano continuino purtroppo a pensare in modo auto-assolutorio che tutte le responsabilità siano dei giornali e dei giornalisti. È al contempo vero, però, che la figura e il magistero del Papa teologo sia ben più articolato e complesso di quanto vorrebbero farlo apparire certe semplificazioni tendenti a schiacciarlo sui cliché conservatori. Ed è probabile che alcuni aspetti indicati come negativi da Politi - ad esempio la minore incidenza geopolitica della Santa Sede - appartengano volutamente allo stile pontificale di un Papa più concentrato sulla comunicazione dell’essenziale della fede cristiana.

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Commenti Articolo 898

Titolo articolo : LA LAPIDARIA RISPOSTA DI BENEDETTO XVI E LA LOTTA PER LA GRANDE PULIZIA. Il Vaticano e la resa dei conti. Una nota di Marco Politi,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/01/2012 - 10:14:13.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/2/2012 09.02
Titolo:Bertone si vantò con Tettamanzi: il papa vuole cacciarti
Bertone si vantò con Tettamanzi: il papa vuole cacciarti

di Marco Lillo (il Fatto Quotidiano, 28 febbraio 2012)

Le lettere che il Fatto pubblica oggi in esclusiva, descrivono una situazione inedita al vertice della Chiesa. Il braccio destro del Papa, il segretario di Stato Tarcisio Bertone, si arroga il diritto di parlare a nome di Benedetto XVI e, forte di questo mandato, nel marzo del 2011 arriva a licenziare su due piedi il presidente dell’Istituto Giuseppe Toniolo, un cardinale autorevole come Dionigi Tettamanzi, allora arcivescovo di Milano e accreditato dalla stampa nel 2005 come un possibile successore di Giovanni Paolo II.

Per tutta risposta Tettamanzi scrive a Benedetto XVI per chiedergli di sconfessare Bertone annullando la sua decisione. E, colpo di scena, la sconfessione di fatto si realizza. Nonostante il rinnovo dei vertici del Toniolo fosse stato già comunicato ufficialmente al successore in pectore, Giovanni Maria Flick, un anno fa. La vicenda era stata già narrata a grandi linee nella primavera scorsa, ma nessuno aveva mai letto le lettere dei due cardinali. L’oggetto della lettera di “licenziamento” per Tettamanzi non era il posto di arcivescovo di Milano, che nel giugno 2011 sarà poi assegnato ad Angelo Scola, ma la presidenza dell’Istituto Toniolo, uno dei maggiori centri di potere in Vaticano, che controlla il Policlinico Agostino Gemelli di Roma e l’Università Cattolica con gli atenei di Brescia, Cremona, Piacenza, Roma e Campobasso, oltre alla casa editrice Vita e pensiero e numerosi beni immobili in tutta Italia più altre proprietà intestate a società commerciali.

Il Toniolo è sempre stato uno snodo dei rapporti tra politica e Chiesa, dai tempi in cui il suo consiglio includeva Oscar Luigi Scalfaro ed era presieduto dall’ex presidente del Consiglio Emilio Colombo. Nel 2003 Dionigi Tettamanzi, da poco nominato arcivescovo di Milano, fu spedito da Giovanni Paolo II a presiedere l’istituto proprio per togliere dall’imbarazzo il Vaticano dopo il coinvolgimento di Colombo, come consumatore, in un’inchiesta sullo spaccio di cocaina a Roma.

Quando nel marzo 2011 Bertone intima brutalmente a Tettamanzi di levare le tende entro due settimane, nemmeno fosse la sua colf, il cardinale ha già i nervi tesi perché si sente nel mirino di una campagna diffamatoria partita con una serie di lettere velenose sui giornali che gli imputano la presunta mala-gestio familistica del direttore amministrativo della Cattolica, Antonio Cicchetti. E proprio nella lotta per il controllo del Toniolo molti iscrivono anche la pubblicazione, sempre nel 2010, della velina falsa e calunniosa contro l’ex direttore dell’Avvenire Dino Boffo, consigliere del Toniolo vicino al presidente della Cei Angelo Bagnasco e al suo predecessore Camillo Ruini.

Quando Tettamanzi, il 26 marzo del 2011, legge il fax con la lettera di licenziamento nella quale Bertone gli intima di lasciare il posto al professor Flick e di non fare nomine prima dell’arrivo del successore, l’arcivescovo reagisce come una belva ferita. Tettamanzi scrive al Papa una lettera nella quale sostanzialmente insinua che Bertone non avesse l’investitura papale, da lui millantata, per cacciarlo e chiede a “Sua Santità” di essere confermato. Detto fatto. Il Papa, dopo avere ricevuto Bertone il 31 marzo e Tettamanzi il 30 aprile, lascia quest’ultimo al suo posto (e lì si trova tuttora a distanza di quasi un anno). L’aperta sconfessione di Bertone non viene accolta bene dal segretario di Stato che da allora medita la rivincita.

Il primo scricchiolio dell’equilibrio precario raggiunto dopo il braccio di ferro si è avvertito qualche settimana fa quando nel consiglio del Toniolo è entrato il cardinale Angelo Scola. Probabilmente Bertone ha pensato di dare scacco matto a Tettamanzi mettendo in campo un uomo stimato dal Papa ma che non è considerato un suo fedelissimo. Il cardinale ciellino Angelo Scola però non è certo paragonabile al laico ed ex ministro prodiano Flick. La sostituzione del progressista Tettamanzi con un arcivescovo vicino alle posizioni del Pdl (anche se recentemente ha preso le distanze dai seguaci lombardi di don Giussani) sarebbe una piccola rivoluzione negli equilibri del potere Vaticano esarebbe vista come una presa da parte dei conservatori di un feudo dei moderati non berlusconiani. Per questo, nonostante risalgano a quasi un anno fa, le lettere (che pubblichiamo in parte sotto e integralmente sul sito www.ilfattoquotidiano.it  ) conservano una grande attualità.

IL FAX del segretario di Stato del 26 marzo 2011 e la missiva di Tettamanzi al Papa del 28 marzo sono la prova migliore della situazione anomala in cui versa oggi il vertice della Chiesa. Il segretario di Stato si arroga sempre più spesso i poteri del Santo Padre e agisce con lo stile di un capo azienda. Dall’altro lato i cardinali più autorevoli, come Tettamanzi, e i monsignori più orgogliosi, come Carlo Maria Viganò, si ribellano ai diktat di Bertone. E il risultato è un governo schizofrenico che oscilla tra autarchia e anarchia. Mentre Benedetto XVI si isola negli studi e nella scrittura dei libri, alle sue spalle si svolge una lotta di potere senza esclusione di colpi che danneggia l’autorità morale della Chiesa dentro e fuori le mura leonine.

____________________________________________________________

Ratzinger mi dice che devi lasciare (lettera di Bertone a Tettamanzi)

di Tarcisio Bertone

del 24 marzo 2011

Signor Cardinale, circa otto anni or sono Ella, accogliendo con encomiabile zelo e generosa
disponibilità la richiesta che Le veniva fatta, accettò per un biennio la nomina a Presidente
dell'Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori.(...). Di fatto, l'impegno di Vostra Eminenza a
servizio dell'Istituto Toniolo si è protratto ben oltre il tempo originariamente previsto, e questo
ovviamente a prezzo di ben immaginabili sacrifici (...) Ora, essendo scaduti alcuni Membri dei
Comitato Permanente, il Santo Padre intende procedere a un rinnovamento, in connessione col
quale Vostra Eminenza è sollevata da questo oneroso incarico. Adempiendo pertanto a tale
Superiore intenzione, sono a chiederLe di fissare l'adunanza del Comitato Permanente entro il
giorno 10 del prossimo mese di aprile. In tale circostanza. (...) Contestualmente indicherà il Prof.
Giovanni Maria Flick, previa cooptazione nel Comitato Permanente, quale Suo successore alla
Presidenza. Il Santo Padre dispone inoltre, che fino all'insediamento del nuovo Presidente, non si
proceda all'adozione dì alcun provvedimento o decisione riguardanti nomine o incarichi o attività
gestionali dell'Istituto Toniolo. Sarà poi compito del Prof. Flick proporre la cooptazione dei membri
mancanti nell'Istituto Toniolo, indicando in particolare il prossimo Arcivescovo pro tempore di
Milano e un Prelato suggerito dalla Santa Sede. In previsione dell'avvicendamento indicato, questa
Segreteria di Stato ha già informato il Prof. Flick, ottenendone il consenso. Non c'è bisogno che mi
soffermi ad illustrare le caratteristiche etiche e professionali che raccomandano questa illustre
Personalità, ex allievo dell'Università Cattolica del Sacro. Cuore, oggi nelle migliori condizioni per
assumere la nuova responsabilità in quanto libero da altri incarichi. (...)

________________________________________________________________

Ma il cardinale parla a nome tuo? (Lettera di Tettamanzi a Ratzinger)

di Dionigi Tettamanzi


Beatissimo Padre, sabato 26 marzo mattina per fax è arrivata alla mia attenzione, in qualità di
Presidente dell'Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori, una lettera “riservata - personale” del
Segretario di Stato, che mi induce (...) a sottoporre direttamente alla Sua persona alcune spiacevoli
considerazioni. La lettera in oggetto prende le mosse dalla mia nomina a Presidente dell'Istituto nel
2003, pochi mesi dopo il mio ingresso a Milano, sostituendo il Sen. Emilio Colombo, dimissionario
non tanto a causa di modifiche statutarie, come affermato nello scritto, ma per più consistenti
ragioni legate alla sua condotta personale e pubblica (...) L'accenno a un originario ''biennio" di
carica, anch'esso senza alcun riscontro, e a un tempo di governo prolungato è l'unico motivo che
viene addotto per procedere immediatamente nella coazione al mio dimissionamento (...) Annoto a
margine che il candidato (Giovanni Maria Flick Ndr), sul cui profilo gravano non poche perplessità,
sorprendentemente è già stato avvisato della cosa da parte della Segreteria di Stato. Tutte queste
sanzioni (...) sono direttamente ricondotte all'esplicito volere di Vostra Santità, cui lo scritto fa
continuamente riferimento. Ben conoscendo la mitezza di carattere e delicatezza di tratto di Vostra
Santità e avendo serena coscienza di avere sempre agito per il bene dell'Istituto e della Santa
Chiesa, con trasparenza e responsabilità e senza avere nulla da rimproverarmi, sorgono in me motivi
di profonda perplessità rispetto all'ultima missiva ricevuta e a quanto viene attribuito direttamente
alla Sua persona (...) Nell'ultimo anno l'Istituto Toniolo è stato oggetto di attacchi calunniosi, anche
mediatici, a causa di presunte e non dimostrate inefficienze amministrative e gestionali, apostrofate
con l'espressione di mala gestio. Nulla di tutto questo! (...) (...) Ma lascio a Lei di confermarmi con
una Sua parola
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/2/2012 13.44
Titolo:Università cattolica e Policlinico Gemelli: i giganti della guerra in Vaticano
Bertone contro Tettamanzi

Università cattolica e Policlinico Gemelli: i giganti della guerra in Vaticano

di Marco Lillo (il Fatto, 29.02.2012)

La partita del Toniolo non è affatto chiusa. L’ente conteso tra il cardinale Dionigi Tettamanzi, che lo presiede, e il segretario di Stato Tarcisio Bertone che vorrebbe metterlo sotto la sua ala, ieri è stato scosso dalla pubblicazione delle lettere nelle quali i due porporati se le davano di santa ragione al cospetto del Papa. A stupire non è stato tanto il contenuto delle missive, in parte rivelato dai migliori vaticanisti nella primavera scorsa, ma i toni.

NESSUNO si aspettava che il braccio destro del Papa, il cardinale Bertone, si permettesse di recapitare un simile “foglio di via” a un personaggio della caratura di Dionigi Tettamanzi, dato come probabile Papa nel 2005. Né era immaginabile che il Segretario di Stato si arrogasse il diritto di parlare a nome del pontefice o che arrivasse a licenziare il presidente dell’Istituto Toniolo addirittura con un fax. Allo stesso modo nessuno si aspettava di leggere la parte della lettera del cardinale Tettamanzi nella quale di fatto si dice che il senatore Emilio Colombo aveva perso la presidenza dell’Istituto per la sua spiacevole abitudine di consumare cocaina. Né che Tettamanzi giungesse a mettere in discussione la figura di Giovanni Maria Flick, ex ministro del Governo Prodi, vicino ai settori progressisti ai quali il cardinale si era appoggiato negli anni in cui aveva ricoperto il ruolo di arcivescovo prima a Genova e poi a Milano.

PROBABILMENTE dopo il braccio di ferro è arrivata l’epoca della tregua. Formalmente il Toniolo sarà guidato da Tettamanzi per tutto il 2012 di fatto però a uscire vincitrice è stata l’alleanza tra la Cei e la Curia milanese. Tra i due litiganti sono i due Angeli a godere. Dalla contesa epistolare tra Bertone e Tettamanzi sono usciti vincitori il cardinale Angelo Bagnasco e l’arcivescovo Angelo Scola. Non si comprende l’importanza della partita in corso se non si tengono a mente alcuni numeri. Dall’Istituto di Studi Superiori Giuseppe Toniolo, dipende l’università Cattolica del Sacro Cuore, il più grande ateneo privato d’Europa con 42 mila studenti, 1400 docenti, 14 facoltà, 54 istituti e 22 dipartimenti sparsi in quattro atenei con sedi a Milano, Brescia, Piacenza, Cremona, Roma e Campobasso. Il rettore, che proviene dal Toniolo è il ministro della cultura del Governo Monti, il professor Lorenzo Ornaghi, in aspettativa e sostituito solo “per il periodo dell’espletamento dell’incarico” dal professor Franco Anelli.

Fondato nel 1920 da padre Agostino Gemelli, il Toniolo controlla la casa editrice, fondata due anni prima, “Vita e pensiero”, che pubblica l’omonima rivista e un catalogo di 800 libri. Ma soprattutto il policlinico Agostino Gemelli, sorto nel 1964 a Roma su un’estensione di 37 ettari, per una superficie coperta che negli anni è aumentata fino a 30 mila metri quadrati, una cittadina di 20 mila abitanti (tra pazienti, medici e familiari) nella città. All’Istituto Toniolo fanno poi capo anche le (piccole) quote della SCAI Spa, Società di Chirurgia addominale italiana, e della Altipiani Val di Non Spa più la proprietà della Passo della Mendola Srl e della Monte Mario 2000 Srl, oltre che della Vita e Pensiero Srl.

IN PARTICOLARE la Monte Mario 2000 possiede un fabbricato in via degli Scolopi, sulla Trionfale e molti terreni nella zona Pineta Sacchetti, sui quali era stata tentata anche un’operazione immobiliare bloccata dagli enti locali e poi dalla giustizia amministrativa. Direttamente al Toniolo fanno capo interi palazzi a Milano, in viale Stelvio e in via San Vittore, oltre ovviamente ai fabbricati che ospitano le sedi degli atenei e del Policlinico Gemelli.

Ovviamente l’ospedale Gemelli e l’università Cattolica sono due grandi centri di spesa, imponenti stazioni appaltanti dai quali dipendono più di 1600 lavoratori e tante società fornitrici di beni e servizi.

Non a caso i primi annunci della lotta di potere che si sta disputando attorno al consiglio del Toniolo si riferivano proprio agli appalti. Nel settembre del 2010 furono pubblicati alcuni articoli sui grandi quotidiani nazionali nei quali si dava conto di alcune accuse, tutte da dimostrare, al direttore amministrativo della Cattolica, Antonio Cicchetti. In particolare uscirono sul Corriere della sera ampi stralci delle tre lettere scritte dal giurista Alberto Crespi. Il penalista che aveva insegnato per decenni diritto alla Cattolica prima di divenire anche preside della facoltà di giurisprudenza, dopo essere andato in pensione, prendeva carta e penna per segnalare “forti anomalie” nelle scelte dell’Istituto Toniolo.

Negli articoli, basati sulle lettere, fu così squadernato il reticolo di interessi, talvolta in società vicine alla Cattolica e al Gemelli, dei familiari di Cicchetti. Si ponevano dubbi sui conflitti di interesse.

MA QUALCUNO fa risalire il primo campanello di allarme di una sorda lotta di potere all’ombra dell’Istituto, mediante la pubblicazione di lettere e veline, alla campagna contro di Dino Boffo. L’allora direttore di Avvenire fu fatto fuori nell’estate 2009 per la pubblicazione sul Giornale di un documento falso e calunnioso che - secondo i bene informati - mirava a metterlo fuori gioco proprio dalla partita del Toniolo. Una partita che, dopo il mantenimento di Dionigi Tettamanzi alla presidenza e la nomina di Angelo Scola nel consiglio, però trova proprio in Dino Boffo e nella Cei il vero ago della bilancia.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/3/2012 09.00
Titolo:GUERRE IN VATICANO. Tutta la rabbia di Bertone ...
Guerre vaticane

Tutta la rabbia di Bertone

di Luca De Carolis (il Fatto Quotidiano, 1 marzo 2012)

Sul volto e nei gesti, i segni della tensione. Nelle parole, la curiale eppure chiara risposta a settimane di rivelazioni e scricchiolii: “Questi sono i documenti da vedere e presentare, che mostrano la verità storica”. I documenti sono quelli dell’Archivio segreto vaticano, e a parlare è il segretario di Stato del Vaticano, Tarcisio Bertone.

Ieri mattina il cardinale ha incontrato la stampa, per la prima volta dopo l’esplodere del caso Vatileaks: i documenti riservati della Santa Sede, pubblicati dal Fatto, che raccontano di lotte di potere e veleni infiniti nella Curia che governa la Chiesa. Bertone ha concesso poche battute, a margine della sua visita privata (e blindatissima) alla mostra nei Musei Capitolini sui documenti dell’Archivio segreto vaticano.

Un appuntamento dal grande interesse storico, che però suona come una beffa della sorte sulla Santa Sede: nella bufera per i tanti, troppi segreti che non ha saputo trattenere Oltretevere. Al centro della tempesta c’è proprio Bertone, segretario di Stato e principale collaboratore di Papa Benedetto XVI.

Rumorose voci, dentro e fuori il Vaticano, lo danno in bilico. E ieri il segretario di Stato ha indirettamente risposto. Bertone arriva in Campidoglio assieme a una folta delegazione, di cui fa parte anche il cardinale Gian-franco Ravasi. Ad attenderlo, il sindaco Alemanno, il ministro per i Beni culturali Lorenzo Ornaghi e Gianni Letta. Accesso vietato ai tanti giornalisti. Bertone è protetto da parecchi agenti e gendarmi vaticani. Ha l’espressione tirata, qualcuno nota i suoi movimenti poco fluidi, forse nervosi.

Il cardinale entra nei musei, e può guardare da vicino le carte del processo a Galileo e i documenti che provano il sostegno di Papa Pio XII ai prigionieri di guerra, durante la Seconda guerra mondiale. All’uscita, il cordone di sicurezza prova a tenere lontani taccuini e telecamere. Ma è proprio Bertone ad avvicinarsi ai giornalisti, per dire: “Questi sono i documenti da vedere e presentare, quelli mostrano la verità storica”. Bertone spiega poi di essere rimasto particolarmente colpito dalla documentazione su Pio XII.

Ma tutti i cronisti pensano a Vatileaks. E arriva la domanda: i documenti della mostra, veri, vanno contrapposti ad altri che si presumono falsi? Bertone sorride, fa un gesto con la mano. Ma non si sbilancia: “Voi lo sapete, voi siete bene informati”. Di più non può e non vuole dire.

Il cardinale torna in Vaticano, lasciandosi dietro interrogativi e previsioni. C’è chi parla di una prossima rimozione del segretario di Stato, e chi rinvia la sua sostituzione al prossimo dicembre, quando Bertone compirà 78 anni. La stessa età in cui lasciò il suo predecessore, il cardinale Angelo Sodano. Ipotesi, a fronte della certezza di un Vaticano in costante ebollizione.

Troppo rumorosi, quei documenti che parlano di scontri al calor bianco ai vertici della Chiesa. Troppo forte, l’impatto del carteggio tra Bertone e il cardinale Dionigi Tettamanzi, pubblicato due giorni fa dal Fatto.

Nel marzo 2011, il segretario di Stato scrive all’allora arcivescovo di Milano Tettamanzi, e lo invita a lasciare la presidenza dell’Istituto Toniolo. Per giunta, precisando di parlare a nome del Papa: “Il Santo Padre intende procedere a un rinnovamento, in connessione col quale Vostra Eminenza è sollevata da questo oneroso incarico. Adempiendo pertanto a tale Superiore intenzione, sono a chiederle di fissare l’adunanza del Comitato Permanente entro il giorno 10 del prossimo mese di aprile”. Bertone indica anche il sostituto, l’ex ministro alla Giustizia Giovanni Maria Flick. Ma Tettamanzi non cede, e scrive al Pontefice, chiedendogli di annullare la decisione. Annullamento che, nei fatti, arriva, sconfessando un documento del segretario di Stato. Basterebbe questo, per capire che aria tira in Vaticano. Eppure c’è tanto altro. Pesa il complotto per uccidere il Papa, paventato in un documento che dalle pagine del Fatto è rimbalzato in mezzo mondo. E pesano le lettere dell’ex segretario del Governatorato, il nunzio apostolico negli Usa Carlo Maria Viganò.

Missive che denunciavano al Papa e a Bertone episodi di corruzione. Lo stesso Viganò, in un’altralettera al Papa del marzo 2011, chiedeva di non essere nominato nunzio apostolico, “perché un mio trasferimento provocherebbe smarrimento e scoramento in quanti hanno creduto fosse possibile risanare tante situazioni di corruzione”. Storie complicate, dolorose.

Ieri il Corriere della Sera raccontava che a qualcuno, Oltretevere, era venuta la tentazione di rispondere al flusso di notizie riservate con una protesta ufficiale nei confronti dello Stato italiano. Idea che sarebbe stata respinta, per motivi di opportunità politica.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/3/2012 10.14
Titolo:IL DISAGIO TRA GLI EPISCOPATI EUROPEI ....
Bertone e il disagio tra gli episcopati dei Paesi europei

di Gian Guido Vecchi (Corriere della Sera, 1 marzo 2012)

Il cardinale Tarcisio Bertone abbozza un sorriso ma ha l’aria un po’ tirata, «questi sono i documenti veri da vedere e da presentare!». Il Segretario di Stato è appena uscito dalla mostra Lux in arcana che presenta un centinaio di gioielli dell’Archivio segreto - dai processi a Galileo e Giordano Bruno agli interrogatori dei Templari - e non ha voglia di parlare dei «corvi» e delle fughe di documenti riservati, «di questi documenti in mostra, piuttosto, colpisce la verità storica». Nel senso, gli chiedono, che i testi usciti in questi giorni non sono veri? «Voi lo sapete. Voi siete bene informati», risponde secco ai giornalisti.

È un momento difficile, in Vaticano. E’ evidente che la diffusione col contagocce dei documenti riservati ha avuto ed ha l’obiettivo di colpire il cardinale Bertone. Ed è una strategia di logoramento che sta lasciando il segno, la pressione intorno al Segretario di Stato cresce. Tanto che circola la voce di un disagio crescente tra gli episcopati europei, dalla Germania alla Francia alla Spagna, i quali si preparerebbero a porre a Roma il problema della Segreteria di Stato.

Bertone il 2 dicembre compirà 78 anni, la stessa età del predecessore quando lasciò l’incarico, cosa alla quale puntano i suoi avversari. In ogni caso, non è questione di date: l’ufficio di Segretario di Stato si esercita ad nutum Summi Pontificis, il che significa che al Papa basta un cenno («nutum») per cambiare in qualsiasi momento, se vuole, il Segretario di Stato. Le previsioni di un cambio della guardia «imminente» si ripetono come i malumori da almeno tre anni ma nel frattempo Benedetto XVI ha sempre dimostrato la massima fiducia nell’uomo che è il suo più stretto collaboratore dai tempi della Congregazione per la dottrina della Fede.

Certo che la situazione non era mai stata così tesa. Oltretevere si arriva a dire che all’indagine della Gendarmeria alla caccia dei corvi si sia associata un’inchiesta «privata». Raccontano che la gente usi con timore computer e telefoni, mentre cresce il sospetto reciproco e con esso le voci velenose. Voci, veleni. Cui si aggiungono problemi più oggettivi. Ad esempio, il «compromesso» voluto da Bertone e raggiunto nella modifica alla legge di trasparenza finanziaria, approvata il 25 gennaio, non ha dissolto le perplessità.

Prima dell’approvazione finale, il cardinale Attilio Nicora, presidente dell’Autorità di informazione finanziaria, si era mostrato preoccupato perché «la nuova versione della legge riforma in toto l’assetto istituzionale del sistema antiriciclaggio vaticano, ridefinendo compiti e ruoli dell’Autorità e modificando l’impostazione». Con relativo timore che l’intervento «potrebbe essere visto dall’esterno, anche se erroneamente, come un "passo indietro"». Anche dopo il «compromesso» è un timore che resta, Oltretevere: in vista dell’attesissima risposta alla richiesta di ingresso della Santa Sede nella «white list» dell’Ocse. Tanto da alimentare altre voci - riprese ieri dal giornalista Gianluigi Nuzzi su Twitter - che vorrebbero Bertone incline a sostituire entro l’estate Ettore Gotti Tedeschi - tra gli artefici principali della prima versione della legge - alla presidenza dello Ior.

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Commenti Articolo 899

Titolo articolo : BENEDETTO XVI E L'IMPULSO CHE HA CERCATO DI AVVIARE CON L'ENCICLICA "DEUS CARITAS EST". Un suo testo dal "Corriere della Sera" - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/29/2012 - 10:12:30.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/2/2012 15.19
Titolo:L'obiettivo di Ratzinger è quello di sottrarre la parola a tutti i riduzionismi?...
Il primato dell'amore alla luce della ragione

di Maria Antonietta Calabrò (Corriere della Sera, 11 febbraio 2012)


«All you need is love», cantavano i Beatles in una delle più famose canzoni di tutti i tempi. Ben due encicliche (su tre) dell'attuale Papa, a cominciare dalla prima, Deus caritas est (Natale 2005)
seguita nel 2009 dalla Caritas in veritate, hanno a proprio oggetto l'Amore, la Carità, a partire dalla definizione della prima Lettera di Giovanni apostolo: «ò Theos agape estìn», «Dio è Amore», «God
is Love».

Come se la prima e fondamentale urgenza di Benedetto XVI, il Papa teologo, il Papa della ragione, sia stata quella di richiamare la Chiesa cattolica e l'umanità a questa fondamentale novità del cristianesimo, che ne è stato il motore dalle origini: l'Amore, l'Agape, un amore di intelligenza, di ragione, di comprensione, benevolenza.

Ratzinger ha fatto insomma sulla parola «Amore» un'opera costante (direbbe Wikipedia) di disambiguazione, che continua nella prefazione — che qui a fianco anticipiamo — di un libro del cardinale tedesco Paul Josef Cordes, L'aiuto non cade dal Cielo (Cantagalli), oggi in libreria.

L'obiettivo di Ratzinger è quello di sottrarre la parola a tutti i
riduzionismi (il sentimentalismo, il buonismo e il sociologismo) in cui facilmente il suo uso decade se lo si separa dalla radice.

Il «mondo classico conosce il principio di identità: io sono io», scrive, nel saggio che conclude il volume, il filosofo della politica, Rocco Buttiglione. L'amore, per Diotima nel Simposio di Platone, ma anche per la poetica di Friedrich Hölderlin più di duemila anni dopo, rimane pur sempre una follia, divina, ma follia. Un'illusione: perché è un fuori-uscire da sé. Non importa se nell'erotismo o nella filantropia. La Caritas, l'Agape, è, invece, elemento intrinseco della communio, di una vita come eu-charis-to, «rendimento di grazie».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/2/2012 12.29
Titolo:Il potere del Vaticano sui media italiani.
Al di là del Tevere “un nido di vipere”

di Roberto Faenza (il Fatto Quotidiano, 12 febbraio 2012)


Bisognerebbe interrogarsi da cosa derivi il potere del Vaticano sui media italiani. Ne sa qualcosa questo giornale, che sfidando l’ira dei colleghi quotidiani, ha appena pubblicato un documento sconcertante. Documento minimizzato dagli altri giornali. Per non concedere al Fatto l’onore delle armi di fronte a uno scoop giustamente definito una bomba da Santoro in trasmissione? Non credo sia questa la ragione.
Il motivo risiede nel timore reverenziale di urtare la “sensibilità” d’oltre Tevere. Ringraziamo Internet e la stampa internazionale, se lo scoop del Fatto ha ricevuto la giusta attenzione.

A mio avviso la parte più drammatica del documento inviato al Papa non è nella rivelazione di un possibile attentato (ora grazie alla pubblicazione di sicuro allontanato; almeno di questo si renderà merito).

L’elemento più inquietante è nelle righe che sottintendono una faida interna in seno alle segrete stanze. Il New York Times, che se c’è da dare una notizia dell’ira del Vaticano se ne frega, ha cominciato a frugare in quei segreti, a partire dalla trasmissione di Gianluigi Nuzzi su La7 a proposito della lettera dell’attuale Nunzio apostolico a Washington (pare ancora per poco) sulla presunta corruzione all’interno del Governatorato di Città del Vaticano.

Questo silenzio omertoso che costringe gran parte dei media italiani a tenere la schiena poco dritta ha radici antiche. Quando negli anni Settanta insegnavo a Washington, ebbi l’avventura di “liberare” per la prima volta una serie di documenti segreti della amministrazione americana che riguardavano l’Italia e il Vaticano.

Si trattava di rivelazioni scottanti, antesignane del lavoro che fa oggi Julian Assange, incluse le fotocopie degli assegni pagati ai politici nostrani e ad alcuni prelati. Questi documenti li ho pubblicati in un primo libro circolato indenne grazie alla Feltrinelli, Gli americani in Italia, e poi in un secondo, Il Malaffare, subito tolto dal mercato dalla Mondadori.

Alla vigilia della Liberazione, un documento Top secret dell’ambasciata americana a Roma informa Washington che sono stati
“agganciati” due alti prelati, Monsignor Perrone e Monsignor Dadaglio, i quali spifferano agli yankee quanto sta avvenendo in Vaticano, ovvero i timori di Pio XII per un possibile governo con dentro i comunisti. I due prelati rivelano che in Vaticano non tutti sono d’accordo con il Papa, tra questi Monsignor Tardini, che è a capo di una corrente “non ostile” al Pci.

La documentazione relativa a questi “intrighi del Vaticano”, così li definisce la stessa amministrazione americana, viene inviata ad alcuni giornalisti italiani perché ne scrivano, favorendo così il deflagrare di alcune posizioni troppo progressiste. Come si vede, quando si vuole scrivere si scrive.

Ancora più scottante la documentazione che concerne Monsignor Giovambattista Montini. Prima di diventare Segretario di stato e poi Papa Paolo VI, Montini viene “agganciato” da James Angleton, capo del controspionaggio di stanza a Roma. È convinto delle capacità del prelato, ma preoccupato del suo orientamento “poco conservatore”. Lo farà intercettare e monitorare tramite cimici piazzate nei suoi uffici da alcuni prelati compiacenti.

Le “trame in Vaticano”, così le qualificano i documenti, si fanno particolarmente accese, quando negli anni Sessanta si prepara il Concilio Vaticano II e la DC sta per aprire al partito socialista. Giovanni XXIII appare favorevole, ma non sono pochi i cardinali che la pensano diversamente e vorrebbero metterlo “sotto tutela”.

SI AGITANO come in un balletto il Sottosegretario di stato Monsignor Dell’Acqua e i monsignori Berloco e Iginio Cardinale, capo protocollo della Segreteria. Monsignor Vagnozzi, il delegato apostolico nella capitale americana, fa addirittura la spia di nascosto al Papa. Si presenta in gran segreto ai dirigenti del Dipartimento di stato per comunicare che “Giovanni XXIII ha un cancro inoperabile. Gli restano da vivere dai 6 ai 12 mesi. Monsignor Vagnozzi ha pregato di non fare il suo nome”. Lo stesso monsignore diventerà Presidente della Prefettura per gli Affari economici.

Ai tempi del breve e misterioso pontificato di Papa Luciani il cardinale Palazzini gli contesterà la sua reticenza sugli “immorali affari dello IOR” di Monsignor Marcinkus, “in combutta con Calvi eSindona”. Tutto questo cicaleccio preoccupa la stampa americana, che comincia a filtrare notizie. Silenzio invece sui nostri quotidiani.

Spiegano bene all’Italian desk del Dipartimento di stato: il
Vaticano e la Chiesa sono due entità diverse: il primo è un vero e proprio stato con un suo governo. E come tutti i governi è attraversato da correnti e conflitti interni. La Chiesa invece, scrivono a Washington, si occupa delle anime dei fedeli, in quanto vera erede di Cristo. Il Vaticano, aggiungono, talvolta appare in dissidio con la Chiesa. È sicuramente il “partito” italiano più
influente, temuto dalla stampa, riverito e omaggiato persino dal partito comunista. Poi in una nota definiscono la città del Vaticano “un nido di vipere”. Ora come allora?
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/2/2012 09.17
Titolo:IL VATICANO DELLE LAVANDAIE
Il Vaticano delle lavandaie

di Aldo Maria Valli *

Che il Vaticano sia (anche) un villaggio di lavandaie si sapeva da tempo. Il pettegolezzo, nei sacri palazzi, è pane quotidiano, un grande gioco al quale giocano in tanti, con molteplici obiettivi. Mondo piccolo e chiuso, lo staterello del papa è anche un concentrato di poteri e di interessi: miscela esplosiva.

Inoltre è una monarchia assoluta, il che impedisce al dibattito interno di trovare sfogo attraverso vie istituzionali. Man mano che il sovrano, per età, per condizioni di salute o per entrambe le circostanze, si inoltra nella fase finale del regno, o in quella che i più ritengono tale, il villaggio entra in fibrillazione, le lavandaie danno il peggio di sé e il grande gioco si fa più duro. Alcuni esponenti del piccolo mondo, per ragioni diverse, si mettono a difendere posizioni, a tentare scalate, a cercare di guadagnare terreno.

Ad alcuni fa gola il potere, ad altri il denaro, a molti l’uno e l’altro. Poi ci sono le cordate, i gruppi di pressione, le amicizie e le inimicizie. A volte la linea che separa un vincente da un perdente è sottilissima. La curia vaticana è una corte, e nelle corti basta poco perché gli equilibri siano messi in discussione. Basta una parola avventata, un commento fuori posto, un inchino poco convinto o esagerato, ed ecco che ci si ritrova al centro di voci, di insinuazioni, di malignità o di vere e proprie calunnie. Una palla di neve, così, può diventare rapidamente una valanga. La lingua batte dove il dente duole. Per questo il terreno di gioco molto spesso è quello economico o quello sessuale. E anche sotto questo aspetto niente di nuovo da segnalare.

Gli elementi veramente nuovi, che emergono dalle ultime vicende, sono due: la spiccata propensione delle lavandaie a gettare i panni sporchi in pasto ai mass media e il basso, bassissimo livello denunciato dai giocatori. Un tempo le lavandaie arrivavano a scannarsi, esattamente come ora, per i più diversi motivi, ma il tutto restava all’interno delle sacre mura. Ora invece, nell’epoca dell’informazione, alcuni dei giocatori anno preso gusto a rovesciare i loro veleni nel grande imbuto dei mass media. In questo modo, pensano alcune lavandaie, la potenza dei proiettili è moltiplicata. Un’insinuazione o una calunnia, finché restano dentro le mura, hanno una certa forza: se ne fuoriescono, acquistano molta più incisività. E così i giornalisti vengono sempre più coinvolti nel grande gioco, con la funzione di megafoni.

Le lavandaie tuttavia sembrano non rendersi conto dell’effetto assuefazione e della distrazione del pubblico. Se una lettera anonima fa notizia, una seconda lettera anonima passa quasi inosservata e una terza provoca soltanto noia. Idem per complotti e cospirazioni varie, sia pure targate Vaticano. Circa il basso livello dei giocatori, basta passare in rassegna le ultime vicende (almeno dal caso Boffo in poi) per verificare che il materiale umano è davvero deludente. C’è modo e modo di ordire trame e architettare complotti.

Per dirla con Sciascia, anche nel campo delle macchinazioni ci sono uomini, mezzi uomini, ominicchi e quaquaraqua. Puoi essere un Borgia o un Castrillon Hoyos. E se una vecchia volpe come il cardinale Re ha soprannominato quest’ultimo “Pasticcion Hoyos”, un motivo ci dev’essere.

Da secoli il Vaticano si porta appresso la fama (più o meno meritata) di luogo incline alla congiura. Ma se una volta, dicendo “congiura”, si pensava a qualcosa di grande e raffinato, adesso si pensa più che altro a liti da comari bisbetiche. Sic transit gloria mundi, verrebbe da dire, ammesso che nello scandalo ci possa essere qualcosa di glorioso. Resta da capire come stia vivendo tutto questo un uomo intelligente, e ottimo conoscitore della curia, come Joseph Ratzinger.

Fu lui, quando era cardinale, a parlare di riforma paragonandola a un‘opera di ablatio (lo disse in latino, perché una volta gli uomini di Chiesa ancora lo parlavano), ovvero di eliminazione di tutte le cose e le persone inutili. Fu sempre lui a usare una parola inequivocabile, “sporcizia”, per dipingere certe degenerazioni all’interno della Chiesa, ed è stato ancora lui a mettere in guardia a più riprese dal carrierismo degli ecclesiastici. Dunque, i problemi li conosce bene, e non potrebbe essere altrimenti visti i decenni trascorsi nella stanza dei bottoni.

Eppure, proprio il pontificato del fine teologo Ratzinger rischia di chiudersi in mezzo agli schiamazzi di lavandaie sempre più sguaiate e alle liti da cortile di eminenze e illustrissimi che non meriterebbero di gestire nemmeno il più infimo degli ordini religiosi. Triste destino per lui e triste situazione per la gerarchia cattolica. Anche perché le voci coraggiose e limpide, dotate di profezia (guardare lontano) e di parresia (libertà di dire tutto) sembrano scomparse.

Aldo Maria Valli

* Europa, 14 febbraio 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/2/2012 10.12
Titolo:L'UOMO RESTA DOVE STA, E BASTA! Bertone si vantò con Tettamanzi: il papa vuole c...
Il Vaticano e la resa dei conti

di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 29 febbraio 2012)

Ha il sapore di un fine-regime la lotta di potere scatenatasi all’interno del Vaticano. Perché scontri e bracci di ferro sotterranei sono sempre avvenuti nel Palazzo apostolico. Ma l’asprezza degli attacchi rivolti al segretario di Stato, in un crescendo che pare inarrestabile, rivela che all’interno della Curia ci sono gruppi e persone che - con il pontefice ormai in età avanzata e l’evidente mancanza di direzione della barca di Pietro - ritengono necessario arrivare a un nuovo assetto ai vertici della Santa Sede. La novità assoluta è che non si procede, come in altre stagioni, per insinuazioni o messaggi tenuti rigorosamente segreti. Di fronte alla stagnazione, in cui si sta arenando il pontificato ratzingeriano, ci sono forze che hanno deciso di portare tutto alla luce del sole, di svolgere questa battaglia sul palcoscenico dei mass media, di rendere chiara anche la posta in gioco: una svolta nell’amministrazione delle finanze, nei rapporti tra Vaticano e Chiesa italiana, nelle relazioni tra il segretario di Stato e i cardinali. Non ci sono (più) “corvi” in questa storia. Ci sono combattenti clandestini.

Il carteggio Bertone-Tettamanzi pone sotto la luce dei riflettori i punti più vulnerabili del governo bertoniano.

Primo, un assolutismo che i suoi avversari denunciano come centralismo senza autentica managerialità: poiché procede per scatti di improvvisazione e crea opposizione laddove dovrebbe lavorare per la massima coesione dell’apparato su linee strategiche condivise.

Secondo, la tendenza a scavalcare sistematicamente i confini del proprio ambito. Il segretario di Stato ha in cura la strategia della Chiesa universale. Invece, sottolineano i suoi oppositori, lo si è visto occuparsi di un fantomatico polo ospedaliero ecclesiastico italiano (caso San Raffaele). E ancora, l’Istituto Toniolo riguarda la Chiesa italiana, idem l’Università Cattolica. Non erano certo in ballo questioni dottrinali di massimo rilievo, tali da provocare un intervento del Papa.

Assistere a un segretario di Stato, che pone e dispone a suo arbitrio, per puri disegni di potere è diventato allarmante in certi ambienti ecclesiastici e - per alcuni - talmente intollerabile da avere voluto informare l’opinione pubblica della sconfitta subita da Bertone dopo l’appello diretto del cardinale Tettamanzi al pontefice, come risulta dalle lettere pubblicate ieri dal Fatto.

D’altronde al momento del cambio della guardia alla presidenza della Cei tra Ruini e Bagnasco il cardinale Bertone si è arrogato per lettera l’alto comando delle relazioni con la politica italiana, scavalcando la dirigenza della conferenza episcopale. Ma viene il momento in cui qualcuno e più d’uno presenta il conto.

Già nel 2009, all’indomani del disastroso caso Williamson (il vescovo lefebvriano negazionista cui venne tolta la scomunica) e dell’altrettanto penoso caso Wagner (un prete reazionario austriaco nominato vescovo e poi costretto a rinunciare in seguito alla protesta dei cattolici e dell’episcopato d’Austria) alcuni porporati di rilievo avevano posto a Benedetto XVI la questione di un avvicendamento di Bertone.

Quando in aprile, nella residenza di Castelgandolfo, i cardinali Scola, Schoenborn di Vienna, Bagnasco e Ruini interpellarono il pontefice, la risposta lapidaria risposta fu, in tedesco: “Der Mann bleibt wo er ist, und basta”. L’uomo resta dove sta, e basta! Pochi mesi dopo Benedetto XVI fece pubblicare sull’Osservatore Romano uno sperticato elogio per il “grande impegno e la perizia” dimostrati dal segretario di Stato.

Ora il vento è cambiato. Il suo braccio destro, ricordano quotidianamente i suoi silenziosi, ma attivi antagonisti, ha commesso in pochi mesi due errori capitali su un terreno, che papa Ratzinger considera sensibilissimo per il prestigio internazionale della Santa Sede. Bertone ha cacciato Viganò dopo che questi aveva denunciato storie di corruzione riguardanti appalti in Vaticano. Bertone ha frenato la strategia di trasparenza finanziaria della banca vaticana perseguita dal cardinale Nicora e dal direttore dello Ior Gotti Tedeschi. Due autogol micidiali per la Santa Sede.

Sono errori che avvelenano l’atmosfera. La cosa più pericolosa per il segretario di Stato è che i favorevoli a un suo avvicendamento si trovano sia nel campo conservatore sia in quello riformista.Anche tra i ratzingeriani di ferro. Si avverte il senso di un silenzioso accerchiamento. Mentre qualche monsignore già si avvicina al “candidato-segretario” cardinale Piacenza. Anche perché la guerra dei documenti non è destinata a finire.

In un cassetto c’è un messaggio di Bertone al premier Monti - nelle ore frenetiche della formazione del governo a dicembre - per raccomandare a un posto di sottosegretario il suo pupillo Marco Simeon, già paracadutato come direttore di Rai Vaticano e responsabile delle relazioni istituzionali e internazionali. Un Segretario di Stato vaticano, che chiede un posto di sottosegretario per un suo protetto al presidente del Consiglio italiano? Che c’azzecca, direbbe Di Pietro.

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Bertone si vantò con Tettamanzi: il papa vuole cacciarti

di Marco Lillo (il Fatto Quotidiano, 28 febbraio 2012)

Le lettere che il Fatto pubblica oggi in esclusiva, descrivono una situazione inedita al vertice della Chiesa. Il braccio destro del Papa, il segretario di Stato Tarcisio Bertone, si arroga il diritto di parlare a nome di Benedetto XVI e, forte di questo mandato, nel marzo del 2011 arriva a licenziare su due piedi il presidente dell’Istituto Giuseppe Toniolo, un cardinale autorevole come Dionigi Tettamanzi, allora arcivescovo di Milano e accreditato dalla stampa nel 2005 come un possibile successore di Giovanni Paolo II.

Per tutta risposta Tettamanzi scrive a Benedetto XVI per chiedergli di sconfessare Bertone annullando la sua decisione. E, colpo di scena, la sconfessione di fatto si realizza. Nonostante il rinnovo dei vertici del Toniolo fosse stato già comunicato ufficialmente al successore in pectore, Giovanni Maria Flick, un anno fa. La vicenda era stata già narrata a grandi linee nella primavera scorsa, ma nessuno aveva mai letto le lettere dei due cardinali. L’oggetto della lettera di “licenziamento” per Tettamanzi non era il posto di arcivescovo di Milano, che nel giugno 2011 sarà poi assegnato ad Angelo Scola, ma la presidenza dell’Istituto Toniolo, uno dei maggiori centri di potere in Vaticano, che controlla il Policlinico Agostino Gemelli di Roma e l’Università Cattolica con gli atenei di Brescia, Cremona, Piacenza, Roma e Campobasso, oltre alla casa editrice Vita e pensiero e numerosi beni immobili in tutta Italia più altre proprietà intestate a società commerciali.

Il Toniolo è sempre stato uno snodo dei rapporti tra politica e Chiesa, dai tempi in cui il suo consiglio includeva Oscar Luigi Scalfaro ed era presieduto dall’ex presidente del Consiglio Emilio Colombo. Nel 2003 Dionigi Tettamanzi, da poco nominato arcivescovo di Milano, fu spedito da Giovanni Paolo II a presiedere l’istituto proprio per togliere dall’imbarazzo il Vaticano dopo il coinvolgimento di Colombo, come consumatore, in un’inchiesta sullo spaccio di cocaina a Roma.

Quando nel marzo 2011 Bertone intima brutalmente a Tettamanzi di levare le tende entro due settimane, nemmeno fosse la sua colf, il cardinale ha già i nervi tesi perché si sente nel mirino di una campagna diffamatoria partita con una serie di lettere velenose sui giornali che gli imputano la presunta mala-gestio familistica del direttore amministrativo della Cattolica, Antonio Cicchetti. E proprio nella lotta per il controllo del Toniolo molti iscrivono anche la pubblicazione, sempre nel 2010, della velina falsa e calunniosa contro l’ex direttore dell’Avvenire Dino Boffo, consigliere del Toniolo vicino al presidente della Cei Angelo Bagnasco e al suo predecessore Camillo Ruini.

Quando Tettamanzi, il 26 marzo del 2011, legge il fax con la lettera di licenziamento nella quale Bertone gli intima di lasciare il posto al professor Flick e di non fare nomine prima dell’arrivo del successore, l’arcivescovo reagisce come una belva ferita. Tettamanzi scrive al Papa una lettera nella quale sostanzialmente insinua che Bertone non avesse l’investitura papale, da lui millantata, per cacciarlo e chiede a “Sua Santità” di essere confermato. Detto fatto. Il Papa, dopo avere ricevuto Bertone il 31 marzo e Tettamanzi il 30 aprile, lascia quest’ultimo al suo posto (e lì si trova tuttora a distanza di quasi un anno). L’aperta sconfessione di Bertone non viene accolta bene dal segretario di Stato che da allora medita la rivincita.

Il primo scricchiolio dell’equilibrio precario raggiunto dopo il braccio di ferro si è avvertito qualche settimana fa quando nel consiglio del Toniolo è entrato il cardinale Angelo Scola. Probabilmente Bertone ha pensato di dare scacco matto a Tettamanzi mettendo in campo un uomo stimato dal Papa ma che non è considerato un suo fedelissimo. Il cardinale ciellino Angelo Scola però non è certo paragonabile al laico ed ex ministro prodiano Flick. La sostituzione del progressista Tettamanzi con un arcivescovo vicino alle posizioni del Pdl (anche se recentemente ha preso le distanze dai seguaci lombardi di don Giussani) sarebbe una piccola rivoluzione negli equilibri del potere Vaticano esarebbe vista come una presa da parte dei conservatori di un feudo dei moderati non berlusconiani. Per questo, nonostante risalgano a quasi un anno fa, le lettere (che pubblichiamo in parte sotto e integralmente sul sito www.ilfattoquotidiano.it  ) conservano una grande attualità.

IL FAX del segretario di Stato del 26 marzo 2011 e la missiva di Tettamanzi al Papa del 28 marzo sono la prova migliore della situazione anomala in cui versa oggi il vertice della Chiesa. Il segretario di Stato si arroga sempre più spesso i poteri del Santo Padre e agisce con lo stile di un capo azienda. Dall’altro lato i cardinali più autorevoli, come Tettamanzi, e i monsignori più orgogliosi, come Carlo Maria Viganò, si ribellano ai diktat di Bertone. E il risultato è un governo schizofrenico che oscilla tra autarchia e anarchia. Mentre Benedetto XVI si isola negli studi e nella scrittura dei libri, alle sue spalle si svolge una lotta di potere senza esclusione di colpi che danneggia l’autorità morale della Chiesa dentro e fuori le mura leonine.

Ratzinger mi dice che devi lasciare (lettera di Bertone a Tettamanzi)

di Tarcisio Bertone

del 24 marzo 2011

Signor Cardinale, circa otto anni or sono Ella, accogliendo con encomiabile zelo e generosa disponibilità la richiesta che Le veniva fatta, accettò per un biennio la nomina a Presidente dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori.(...). Di fatto, l’impegno di Vostra Eminenza a servizio dell’Istituto Toniolo si è protratto ben oltre il tempo originariamente previsto, e questo ovviamente a prezzo di ben immaginabili sacrifici (...) Ora, essendo scaduti alcuni Membri dei Comitato Permanente, il Santo Padre intende procedere a un rinnovamento, in connessione col quale Vostra Eminenza è sollevata da questo oneroso incarico. Adempiendo pertanto a tale Superiore intenzione, sono a chiederLe di fissare l’adunanza del Comitato Permanente entro il giorno 10 del prossimo mese di aprile. In tale circostanza. (...) Contestualmente indicherà il Prof. Giovanni Maria Flick, previa cooptazione nel Comitato Permanente, quale Suo successore alla Presidenza. Il Santo Padre dispone inoltre, che fino all’insediamento del nuovo Presidente, non si proceda all’adozione dì alcun provvedimento o decisione riguardanti nomine o incarichi o attività gestionali dell’Istituto Toniolo. Sarà poi compito del Prof. Flick proporre la cooptazione dei membri mancanti nell’Istituto Toniolo, indicando in particolare il prossimo Arcivescovo pro tempore di Milano e un Prelato suggerito dalla Santa Sede. In previsione dell’avvicendamento indicato, questa Segreteria di Stato ha già informato il Prof. Flick, ottenendone il consenso. Non c’è bisogno che mi soffermi ad illustrare le caratteristiche etiche e professionali che raccomandano questa illustre Personalità, ex allievo dell’Università Cattolica del Sacro. Cuore, oggi nelle migliori condizioni per assumere la nuova responsabilità in quanto libero da altri incarichi. (...)

Ma il cardinale parla a nome tuo? (Lettera di Tettamanzi a Ratzinger)

di Dionigi Tettamanzi

Beatissimo Padre, sabato 26 marzo mattina per fax è arrivata alla mia attenzione, in qualità di Presidente dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori, una lettera “riservata - personale” del Segretario di Stato, che mi induce (...) a sottoporre direttamente alla Sua persona alcune spiacevoli considerazioni. La lettera in oggetto prende le mosse dalla mia nomina a Presidente dell’Istituto nel 2003, pochi mesi dopo il mio ingresso a Milano, sostituendo il Sen. Emilio Colombo, dimissionario non tanto a causa di modifiche statutarie, come affermato nello scritto, ma per più consistenti ragioni legate alla sua condotta personale e pubblica (...) L’accenno a un originario ’’biennio" di carica, anch’esso senza alcun riscontro, e a un tempo di governo prolungato è l’unico motivo che viene addotto per procedere immediatamente nella coazione al mio dimissionamento (...) Annoto a margine che il candidato (Giovanni Maria Flick Ndr), sul cui profilo gravano non poche perplessità, sorprendentemente è già stato avvisato della cosa da parte della Segreteria di Stato. Tutte queste sanzioni (...) sono direttamente ricondotte all’esplicito volere di Vostra Santità, cui lo scritto fa continuamente riferimento. Ben conoscendo la mitezza di carattere e delicatezza di tratto di Vostra Santità e avendo serena coscienza di avere sempre agito per il bene dell’Istituto e della Santa Chiesa, con trasparenza e responsabilità e senza avere nulla da rimproverarmi, sorgono in me motivi di profonda perplessità rispetto all’ultima missiva ricevuta e a quanto viene attribuito direttamente alla Sua persona (...) Nell’ultimo anno l’Istituto Toniolo è stato oggetto di attacchi calunniosi, anche mediatici, a causa di presunte e non dimostrate inefficienze amministrative e gestionali, apostrofate con l’espressione di mala gestio. Nulla di tutto questo! (...) (...) Ma lascio a Lei di confermarmi con una Sua parola

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Titolo articolo : Chi c'è dietro Avaaz,

Ultimo aggiornamento: February/27/2012 - 12:39:14.

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Autore Città Giorno Ora
Gemma Jeva Legnano (MI) 27/2/2012 12.39
Titolo:Chi c'è dietro Avaaz
Safari non riconosce come valido il link indicato nell'articolo, come fare?
Grazie,
Gemma Jeva

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Commenti Articolo 901

Titolo articolo : "In attesa del nostro "si",di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: February/27/2012 - 10:17:03.

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Autore Città Giorno Ora
ROSA SPERANZA NAPOLI 27/2/2012 10.17
Titolo:In attesa del nostro "sì"
Sono d’accordo con quanto scritto nell’articolo. Dissento dal vedere una contraddizione nel Vangelo. Pietro fu l’unico dei discepoli a dire: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” ed ebbe “le chiavi del Regno”. A mio parere, tutti quelli che riconoscono in Gesù “il Cristo, Figlio del Dio vivente” ricevono la stessa investitura di libertà (sciogliere e legare). Il “pascere le pecorelle” poi, raccomandato a Pietro, instaura un’autorità di servizio, non di potere. Proclamare il “primato” del Papa, sempre secondo me, ha unito altare e trono con le conseguenze descritte nell’articolo. Ma giorno verrà in cui ci sarà l’avvento dello Spirito se davvero vogliamo essere Chiesa. Rosa Speranza

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Commenti Articolo 902

Titolo articolo : Può un bambino rischiare l'ergastolo?,Un servizio del giornale Sentire

Ultimo aggiornamento: February/27/2012 - 09:13:02.

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Autore Città Giorno Ora
Paolo Farinati ROVERETO - TN 27/2/2012 09.13
Titolo:Cristian, sii forte, siamo vicini a Te.
Caro Cristian, buon giorno,
sappiamo che oggi, 27 febbraio 2012, è e sarà un giorno che, comunque vada, non dimenticherai mai nella Tua vita. Sii forte, anche se hai commesso un "errore", sono certo che gli uomini e le donne che Ti giudicheranno sapranno essere giusti e leali, verso di Te e, soprattutto, verso i Tuoi straordinari 9 anni. Guarda avanti con fiducia, la vita è tutta innanzi a Te, sii sereno, non sprecarla, amala con tutte le Tue forze,siamo in tanti vicino e con Te. Un abbraccio, anche dal mio piccolo Riccardo di 7 anni. Paolo da Rovereto

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Commenti Articolo 903

Titolo articolo : EINSTEIN E 60 NANOSECONDI. "Alla velocità del neutrino". Una nota di Piergiorgio Odifreddi, sui clamorosi risultati di uno studio del Cern e dell’Infn guidato dal fisico italiano Antonio Ereditato,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/23/2012 - 13:09:25.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/9/2011 13.09
Titolo:Relatività in crisi? Così potrebbe cambiare la concezione del cosmo
“I neutrini superveloci smentiscono Einstein”

“Sembrano più rapidi della luce”. Oggi l’annuncio del test italiano al Gran Sasso

di Valentina Arcovio (La Stampa, 23.09.2011)

I neutrini sono più veloci della luce, almeno secondo i dati dell’esperimento italiano «Opera», nel quale un fascio di neutrini viene lanciato dal Cern di Ginevra e raggiunge, dopo 730 km, i Laboratori Nazionali del Gran Sasso. Questa è la notizia che da giorni circolava nella comunità scientifica. Poi, ieri, Antonino Zichichi, rompendo a sorpresa il rigoroso embargo imposto alla comunità scientifica internazionale, ne ha dato conferma, anticipando lo scienziato che è il portavoce del team internazionale che ha effettuato l’osservazione. Si tratta di Antonio Ereditato, un cervello italiano che lavora all’Università di Berna. Il fisico ha ammesso che i neutrini, nel corso di 3 diverse misurazioni, sono arrivati sull’obiettivo con un anticipo di 60 nanosecondi rispetto a quanto avrebbero fatto, se avessero viaggiato alla velocità della luce.

L’Infn e il Cern, però, rispondono con un secco «no comment». Senza un «paper» ufficiale i due enti di ricerca optano per un prudente silenzio. I dati dovrebbero essere diffusi dal sito www.arxiv. org, ma, più importante, oggi è previsto un seminario al Cern di Ginevra, in cui gli scienziati autori della scoperta presenteranno i loro dati, confrontandosi con la comunità scientifica internazionale. La posta in gioco, infatti, è troppo alta per permettersi falsi passi: questa scoperta farebbe crollare uno dei pezzi più importanti della fisica attuale. Lo stesso Albert Einstein verrebbe messo in discussione. Se i neutrini sono per davvero più veloci della luce, la teoria della Relatività speciale subirebbe un duro colpo. Nella concezione relativistica lo spazio ed il tempo formano un’unica entità, il «continuo spazio-tempo», con quattro dimensioni: tre dimensioni spaziali ed una temporale.Se gli scienziati dovessero confermare l’osservazione, questo «continuo» non esisterebbe, così come il «principio di casualità», e si aprirebbero scenari inediti.

Fino ad oggi si riteneva impossibile che i neutrini, particelle con una massa infinitesimale, potessero viaggiare più veloci dei fotoni, particelle senza massa che raggiungono una velocità di circa un miliardo di chilometri l’ora. Adesso - ci si chiede - tutta la fisica moderna è destinata a cambiare? E con questa anche il lavoro, presente e futuro, dei laboratori di ricerca di tutto il mondo?

Ora, comunque, la palla passa alla comunità scientifica che, con i dati alla mano, dovrà capire se confermare o smentire l’osservazione. E’ inevitabile che a questo esperimento, destinato a far discutere, dovrannoseguirne molti altri prima di arrivare a una risposta che si possa definire certa. «Siamo piuttosto sicuri dei nostri risultati - ha detto, laconico, Ereditato -. Ma abbiamo bisogno che altri colleghi li confermino».

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Esperimento italiano fra Ginevra e il Gran Sasso: in dubbio la teoria della relatività

Il neutrino che batte la luce e sfida Einstein

di Giovanni Bignami (La Stampa, 23.09.2011)

Chissà cosa è successo davvero tra Ginevra e il Gran Sasso. Certo i neutrini non si sono fermati a bere un caffè, anzi, sembra che, come nei fumetti, siano andati più veloce della luce. Ci vorrà un po’ di tempo per capire cosa è successo davvero. Perché, anche se piccola, i neutrini una massa ce l’hanno. Anzi, proprio questa è stata una scoperta recente, premiata con un Nobel nel 2002.

Ma Einstein ci ha insegnato che un corpo con massa non può andare al di là della velocità della luce, anzi neanche uguagliarla. E allora? Ai posteri l’ardua sentenza. Il risultato, se di risultato si tratta, si gioca sulla precisione della misurazione dei tempi di transito. E qui la fisica non perdona: la luce avanza a 300 mila km al secondo e, per decidere chi arriva prima tra fotoni e neutrini, bisogna avere un fotofinish di straordinaria precisione.

Per il momento, si tratta di un passa-parola tra fisici a metà tra lo scettico e l’entusiasta. Noi, però, non possiamo non notare l’importanza sempre maggiore dei neutrini per il futuro della comprensione dell’universo. Se i neutrini italo-svizzeri fossero davvero superluminali, cambierebbero non solo fondamentali paradigmi della fisica, ma forse anche alcune nostre idee sulla formazione e composizione dell’universo. Penso soprattutto alla materia oscura, il grandissimo problema della cosmologia moderna. Ma penso anche ai neutrini viaggiatori, portatori di messaggi ancora non letti dal cielo.

Finora abbiamo visto solo due sorgenti celesti di neutrini: il nostro Sole ed una Supernova nella Grande Nube di Magellano. Proprio dalle osservazioni del Sole abbiamo capito che i neutrini devono avere una massa e che perciò, fino a ieri, non potevano andare alla velocità della luce. Vien da pensare al risultato annunciato due giorni fa a Bradford, Inghilterra, da Carlos Frenk, grande cosmologo anglomessicano, che mette in dubbio le poche idee che ci eravamo fatti sulla natura delle particelle responsabili della materia oscura. Potrebbero non essere quello che pensavamo e potrebbero anche non essere alla portata del Cern. E allora? Non ho la minima idea se i due risultati siano connessi e comunque entrambi hanno bisogno di conferma. Certo, parlando dei neutrini e delle loro strane proprietà, viene voglia di spalancare il cielo ad una nuova astronomia, fatta appunto con i neutrini, dopo che da migliaia di anni ci accontentiamo dei messaggi portati dal fotone viaggiatore.

E’ la fine del monopolio dell’astronomia elettromagnetica, cioè quella fatta con i fotoni che anche i nostri occhi possono vedere? Sarebbe affascinante fare astronomia con i neutrini, perché intorno a noi c’è un universo dove vanno e vengono neutrini senza che riusciamo a cogliere il messaggio che portano. Se poi fossero più veloci della luce, sarebbe anche più divertente. Ma attenzione: tutte le volte che abbiamo messo seriamente alla prova la relatività generale di Einstein, il vecchio Albert è uscito vincitore.
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Relatività in crisi? Così potrebbe cambiare la concezione del cosmo

Nuove dimensioni e strane curvature dello spazio-tempo

di Barbara Gallavotti (La Stampa, 23.09.2011)

Non sono giorni normali per i fisici. Da qualche tempo si sussurrava di risultati importanti ottenuti dall’esperimento «Opera». L’attesa per la presentazione ufficiale dei dati era palpabile, ma il sentimento predominante era una sorta di entusiastico scetticismo. Nessuno si lasciava andare ad analisi tecniche, perché la collaborazione «Opera» non aveva ancora terminato di analizzare i dati e la prima comunicazione ufficiale è prevista per oggi. Ciò nonostante, poteva capitare che qualcuno accettasse di immaginare cosa avverrebbe della nostra visione dell’Universo, se i risultati fossero confermati e, dunque, si scoprisse che i neutrini possono viaggiare più veloci della luce.

Ad essere in gioco è uno degli assunti fondamentali della Relatività, quello secondo il quale nulla può viaggiare più veloce della luce, perché, se così fosse, cambiando il sistema di riferimento dell’osservatore, potrebbe avvenire di vedere un fenomeno prima del verificarsi delle sue cause (il che è assurdo). I neutrini sono particelle speciali, le uniche nel mondo dell’infinitamente piccolo ad essere dotate di massa, seppur minuscola, ma prive di carica elettrica. Questa peculiarità non basta però a giustificare il risultato di «Opera» e dunque, se fosse confermato, bisognerebbeimmaginare delle drastiche correzioni alla Relatività (cancellarla sembra impossibile, perché sono troppe le prove a favore della sua validità). Si dovrebbe quindi pensare all’esistenza di nuove dimensioni o a strane curvature dello spaziotempo che permettano ai neutrini di prendere inedite scorciatoie. Un po’ come se, dovendo unire su un atlante L’Aquila e Ginevra, anziché tracciare una linea sulla carta si piegasse il foglio, portando le due città a coincidere, e poi le si congiungesse, forando il foglio con una matita.

Dopo la fuga di notizie, l’atmosfera fra i fisici è cambiata e ieri era praticamente impossibile trovare qualcuno che accettasse di toccare ufficialmente l’argomento della velocità dei neutrini prima del seminario di oggi. L’entusiasmo per una possibile scoperta che cambierebbe il volto della fisica è stato soverchiato dall’urgenza di non farsi travolgere dagli eventi e di procedere nel valutare con cura i dati. Del resto, anche se i fisici del Gran Sasso saranno convincenti, bisognerà attendere che altri analoghi esperimenti confermino l’esistenza del fenomeno. Negli Usa e in Giappone si stanno probabilmente attrezzando a ripetere la misura, ma occorrerà aspettare almeno un anno prima di sapere se l’Universo è tanto diverso da come pensavamo. La scienza ha tempi lunghi e anche a Stoccolma sono abituati ad attendere.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/9/2011 16.57
Titolo:C’è la conferma ufficiale: la velocità della luce è stata superata.
FISICA

Neutrini più veloci della luce
c’è la conferma ufficiale

Nel percorrere i 730 km che separano il Cern dal Gran Sasso ci hanno messo 60 nanosecondi meno del previsto, rivela l’analisi dei dati sull’esperimento. Oggi i dettagli

ROMA - C’è la conferma ufficiale: la velocità della luce è stata superata. I neutrini sono più veloci della luce di circa 60 nanosecondi. Il risultato è ottenuto dall’esperimento Cng 1s (Cern Neutrino to Gran Sasso), nel quale un fascio di neutrini viene lanciato dal Cern verso i Laboratori del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). Il risultato si deve alla collaborazione internazionale Opera, che con i rivelatori che si trovano nei Laboratori del Gran Sasso ha analizzato oltre 15.000 neutrini tra quelli che, una volta prodotti dall’acceleratore del Cern Super Proton Synchrotron, percorrono i 730 chilometri che separano il Cern dal Gran Sasso. I dati dimostrano che i neutrini impiegano 2,4 millisecondi per coprire la distanza, con un anticipo di 60 miliardesimi di secondo rispetto alla velocità attesa. L’analisi dei dati, raccolti negli ultimi tre anni, dimostra che i neutrini battono di circa 20 parti per milione i 300.000 chilometri al secondo ai quali viaggia la luce. Un comunicato del centro ginevrino annuncia che i risultati saranno presentati oggi a Ginevra in un seminario alle 16, ritrasmesso via web all’indirizzo http://webcast.cern.ch 2.

"Il neutrino ci sorprende ancora". "Questo risultato è una completa sorpresa", ha osservato il responsabile del rivelatore Opera, il fisico italiano Antonio Ereditato dell’università di Berna, commentando i dati che dimostrano che è stata superata la velocità della luce. "Dopo molti mesi di studi e di controlli incrociati - ha detto - non abbiamo trovato nessun effetto dovuto alla strumentazione in grado di spiegare il risultato della misura. Continueremo i nostri studi e attendiamo misure indipendenti per valutare pienamente la natura di queste osservazioni". Secondo Ereditato "il potenziale impatto sulla scienza è troppo grande per trarre conclusioni immediate o tentare interpretazioni. La mia prima reazione - ha aggiunto - è che il neutrino ci sorprende ancora una volta con i suoi misteri". Per questo motivo i dati saranno presentati ufficialmente oggi pomeriggio al Cern di Ginevra, in un seminario. L’obiettivo, ha spiegato il ricercatore, "è sottoporre a esame i risultati da parte della più ampia comunità della fisica delle particelle".

"Lavoro di gruppo". Con Ereditato lui lavorano circa 160 ricercatori di 30 istituzioni e 11 Paesi. "Sono molto contento e ho la fortuna di condividere questo risultato con tanti colleghi validissimi e non mi sento di dire che si tratta di un mio risultato: è un risultato del mio gruppo. E’ il frutto di un lavoro complesso e gratificante". Come avete accolto i dati? "Siamo molto meno eccitati dei media. Certamente ci rendiamo conto che questa scoperta colpisce l’immaginario collettivo, ma per noi è stata una misura di precisione lungo un percorso alla fine del quale eravamo convinti di trovare un risultato negativo. Scoprire che non era così è stata una grossa sorpresa". Napoletano, 56 anni, Ereditato ha studiato a Napoli e poi ha lavorato in molti centri di ricerca all’estero. Da cinque anni dirige l’Istituto di Fisica delle particelle dell’università svizzera di Berna. E’ coordinatore della collaborazione internazionale Opera, nell’ambito dell’esperimento Cngs (Cern Neutrino to Gran Sasso), nato dalla collaborazione fra il Cern di Ginevra e i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). "Grazie a questa opportunità sono in contatto costante con l’Italia", ha detto il ricercatore, che lunedì parteciperà al seminario sui risultati dell’ esperimento organizzato nei Laboratori del Gran Sasso.

"Una nuova costante dell’universo". "La percezione, ha detto il presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) Roberto Petronzio, è che "si possa cominciare a ragionare su una nuova scala e che si entri in un territorio sconosciuto della fisica, nel quale si potrebbero incontrare, per esempio nuove dimensioni o addirittura una nuova costante fondamentale dell’universo". Con la possibilità di superare la velocità della luce entrerebbe in crisi uno dei punti di riferimento della fisica contemporanea. Le costanti dell’universo hanno infatti un valore universale e indipendente, veri e propri capisaldi che modellano la visione dell’universo. "E’ possibile - ha rilevato Petronzio - che i nuovi dati sulla velocità della luce possano essere la spia dell’esistenza di una nuova costante. E’ stata infatti osservata una deviazione rispetto a una scala. Per esempio, la famosa particella di Dio, ossia il bosone di Higgs per il quale esiste la massa, dovrebbe essere rilevabile all’interno di una scala di energia e, se i dati raccolti dal Large Hadron Collider (Lhc) del Cern di Ginevra dovessero dimostrare che non si trovi lì si aprirebbe una nuova pagina per la fisica. "Nel caso della velocità della luce, l’anomalia osservata e presentata oggi sarebbe ancora più importante rispetto alla scoperta o meno del bosone di Higgs in quanto - ha concluso - riguarderebbe le proprietà generali dello spazio-tempo".

* la Repubblica, 23 settembre 2011
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/9/2011 18.33
Titolo:Il Cern ufficializza i risultati delle rilevazioni sui neutrini
«Superata la velocità della luce»

Il Cern ufficializza i risultati delle rilevazioni sui neutrini


Maximiliano Sioli, membro dell'esperimento «Opera»: «Così abbiamo misurato la velocità dei neutrini»
di Alessia Rastelli


MILANO - C'è la conferma ufficiale: la velocità della luce è stata superata. I neutrini sono più veloci della luce di circa 60 nanosecondi su una distanza di 730 km (6 km/secondo in più). Il risultato è stato ottenuto dall'esperimento Cngs (Cern Neutrino to Gran Sasso), nel quale un fascio di neutrini viene lanciato dal Cern verso i Laboratori del Gran Sasso dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn).

L'ESPERIMENTO - Il risultato si deve alla collaborazione internazionale «Opera», che con i rivelatori che si trovano nei Laboratori del Gran Sasso ha analizzato oltre 15.000 neutrini tra quelli che, una volta prodotti dall'acceleratore del Cern Super Proton Synchrotron, percorrono i 730 chilometri che separano il Cern dal Gran Sasso. I dati, che saranno presentati nella giornata di venerdì a Ginevra, dimostrano che i neutrini impiegano 2,4 millisecondi per coprire la distanza, con un anticipo di 60 miliardesimi di secondo rispetto alla velocità attesa. L'analisi dei dati, raccolti negli ultimi tre anni, dimostra che i neutrini battono di circa 20 parti per milione i 300.000 chilometri al secondo ai quali viaggia la luce.


Una scoperta che potrebbe riscrivere la fisica
L'analisi di Giovanni Caprara

CAUTELE - «Abbiamo sincronizzato la misura dei tempi tra il Cern e il Gran Sasso con un'accuratezza al nanosecondo e abbiamo misurato la distanza tra i due siti con una precisione di 20 centimetri», ha detto Dario Autiero il ricercatore che presenterà i dati al Cern. «Nonostante le nostre misure abbiano una bassa incertezza sistematica e un'elevata accuratezza statistica - ha aggiunto - e la fiducia riposta nei nostri risultati sia alta, siamo in attesa di confrontarli con quelli provenienti da altri esperimenti». Il Cern stesso rileva in una nota che «considerando le straordinarie conseguenze di questi dati, si rendono necessarie misure indipendenti prima di poter respingere o accettare con certezza questo risultato. Per questo motivo la collaborazione Opera ha deciso di sottoporre i risultati a un esame più ampio nella comunità». I dati saranno quindi presentati venerdì pomeriggio in un seminario nel Cern di Ginevra e lunedì in un seminario nei Laboratori del Gran Sasso. «Quando un esperimento si imbatte in un risultato apparentemente incredibile e non riesce a individuare un errore sistematico che abbia prodotto quella misura, la procedura standard è sottoporlo ad una più ampia indagine», ha osservato il direttore scientifico del Cern, Sergio Bertolucci. «Se questa misura fosse confermata - ha aggiunto - potrebbe cambiare la nostra visione della fisica, ma dobbiamo essere sicuri che non esistano altre, più banali, spiegazioni. Ciò richiederà misure indipendenti».

Vacilla la teoria di Einstein?

L'ESPERIMENTO - Inaugurata nel 2006 per studiare il fenomeno dell'oscillazione (che porta i neutrini a trasformarsi da un tipo a un altro fra quelli che appartengono alle tre famiglie note), la collaborazione Opera è condotta da un gruppo di ricerca che comprende circa 160 ricercatori di 11 Paesi (Belgio, Croazia, Francia, Germania, Israele, Italia, Giappone, Corea, Russia, Svizzera e Turchia).

Redazione Online

* Corriere della Sera, 23 settembre 2011 17:37
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/9/2011 12.45
Titolo:Siamo entrati in una nuova era? Troppo presto per archiviare Einstein ...
Un balzo enorme del sapere umano si potrà scardinare il concetto di tempo
Siamo entrati in una nuova era. Eppure tanti colleghi dicevano l’esperimento non sarebbe servito a nulla

Talvolta, il progresso della scienza avviene a scossoni, balzi in avanti che si sprigionano da un’idea o da un risultato inattesi. -Non saprei come meglio definire il risultato annunciato dai Laboratori dell’Infn del Gran Sasso e dal Cern.

di Luciano Maiani (la Repubblica, 24.09.2011)

L’annuncio di un piccolo eccesso di velocità dei neutrini rispetto alla luce, circa 2 parti su 100mila, proviene da una collaborazione di provata capacità, da laboratori internazionali di tutto rispetto, con l’impiego delle tecnologie più avanzate per la misura di distanze e tempi. La portata del risultato è tale, tuttavia, da consigliare prudenza. Non possiamo ancora dire se si tratta di un falso allarme o di uno scossone capace di modificare la visione di spazio e tempo sviluppata da Einstein e consolidata in più di cento anni di esperimenti. Esperimenti effettuati su particelle elettricamente cariche che siamo capaci di accelerare e misurare nei laboratori (quindi non sui neutrini, privi di carica elettrica).

Con il fascio di neutrini dal Cern al Gran Sasso per la prima volta riusciamo a controllare la partenza e l’arrivo di particelle elettricamente neutre su distanze tali da permettere la misura con una precisione mai raggiunta prima. Neutrini raggiungono la Terra anche dal Sole e dalle grandi stelle che esplodono, le supernove. Nel primo caso, vediamo l’arrivo ma non sappiamo quando è avvenuta la partenza. Delle supernove, conosciamo solo un esempio (del 1987) in cui l’arrivo dei neutrini è avvenuto senza anomalie. Ma anche in questo caso la sorgente era fuori del nostro controllo e i neutrini così pochi da non permettere un test stringente.

La possibilità di inviare al Gran Sasso un fascio di neutrini di alta energia è stata considerata negli anni ’80, quando Antonino Zichichi promosse la costruzione dei laboratori sotto il Gran Sasso, e infatti le sale dei laboratori vennero orientate in direzione del Cern. Solo alla fine del secolo, tuttavia, il progetto venne concretizzato e sostenuto da una collaborazione internazionale che vedeva come protagonisti il Cern, allora sotto la mia direzione, e l’Infn, diretto da Enzo Iarocci. Cosa cambierebbe se Opera avesse ragione? Secondo Einstein, il tempo che passa tra la partenza e l’arrivo di un segnale dipende dal sistema di riferimento da cui guardiamo i due eventi. Se il segnale viaggia a velocità superiore alla luce, cambiando riferimento, ad esempio guardando da un’astronave a grandissima velocità, potremmo vedere un tempo zero - partenza e arrivo simultanei - o addirittura un tempo negativo - il segnale arriva prima di partire! In entrambi i casi, si perderebbe la relazione causa-effetto tra invio e ricezione del segnale. Per questo, nella teoria della relatività i segnali "superluminali" sono proibiti. È troppo presto per dire come queste idee dovranno essere modificate e quali concetti dovremo abbandonare per rispondere a un eventuale comportamento anomalo dei neutrini (aspettiamo la conferma dai fasci di Stati Uniti e in Giappone). Certo, non sarà cosa dappoco.

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Troppo presto per archiviare Einstein nella fisica le rivoluzioni sono rarissime
Ma se il dato fosse vero bisognerebbe ripensare tutto e capire dove abbiamo sbagliato fino a oggi

di Carlo Rovelli (la Repubblica, 24.09.2011)

La cautela è d’obbligo. Una misura deve essere ripetuta prima di diventare credibile, e sviscerata a fondo prima di trarne conclusioni, a maggior ragione se sembra contraddire tutto quello che misuriamo da un secolo. Altri annunci di clamorose scoperte non hanno poi resistito a una analisi serrata. Ne sono consapevoli gli autori della bellissima misura della velocità dei neutrini, che concludono il loro articolo sobriamente ("riteniamo opportuno continuare questa ricerca per studiare possibili effetti sistematici non conosciuti che potrebbero spiegare l’anomalia osservata") e ne è consapevole il cautissimo comunicato del Cern ("interpretare i risultati di questa nuova misura come indicazioni di una modifica della teoria di Einstein è poco plausibile"). È un po’ come se qualcuno dicesse di aver visto di notte un pinguino in piazza di Spagna: prendiamolo sul serio e cerchiamo il pinguino, magari c’è davvero. Ma non saltiamo subito alla conclusione che di certo ci sono pinguini in giro per Roma. Se dovesse essere confermato, il risultato sarebbe eccezionale. Non tanto perché contraddica il senso comune: non stupisce nessuno che qualcosa si possa muovere molto veloce; è la teoria di Einstein, dove la velocità della luce è un limite invalicabile, ad essere controintuitiva. Il motivo dell’eccezionalità, piuttosto, è che se il risultato fosse confermato sarebbe necessario rivedere praticamente tutta la fisica moderna. La fisica delle particelle, la fisica gravitazionale, l’astrofisica, la cosmologia, e perfino l’elettromagnetismo, implicano tutte l’esistenza di questa velocità massima. Ci sono innumerevoli previsioni, confermate, che seguono da teorie che includono questa assunzione. Se questa assunzione fosse violata, bisognerebbe ripensare tutto, e capire come abbiamo fatto a fare predizioni corrette basate su un’assunzione sbagliata.

Sarebbe splendido. Saremmo sbalzati dalla situazione comoda ma un po’ noiosa in cui siamo oggi, in cui le teorie esistenti sono estremamente potenti e non abbiamo quasi esperimenti che le contraddicano, in una situazione in cui c’è tutto da rifare. Sarebbe il sogno dei fisici teorici, che smetterebbero di sentirsi un po’ inutili a pensare a mondi paralleli. La tentazione di prendere subito sul serio queste misure è forte, e certo usciranno presto decine di ipotesi di spiegazione.

Speriamo che sia vero, anche perché il team internazionale che ha fatto la misura è di altissimo livello, e il loro lavoro è di grande qualità. Hanno misurato la distanza fra il Cern e i laboratori all’Aquila con una precisione di qualche centimetro, e il tempo volo dei neutrini con una precisione di dieci miliardesimi di secondo. Meriterebbe che la Natura dicesse sì. Ma teniamo presente che scoperte così clamorose, che contraddicono tutto quanto ci si aspetta, sono rarissime, se non inesistenti, nella storia della fisica. In generale, i segnali del nuovo iniziano lenti e confusi. Perfino le sorprendenti osservazioni di Galileo si inquadravano in fondo bene nel modello di Copernico, scritto un secolo prima. Stiamo a vedere.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/9/2011 21.26
Titolo:CON IL MINISTRO DELL\'ISTRUZIONE GELMINI, L\'ITALIA IN UN LUNGO TUNNEL
LA GAFFE

- Gelmini, che gioia per i neutrini
- \"Quel tunnel tra Svizzera e Abruzzo\"

Il ministro dell’Istruzione Università e ricerca si lancia in un comunicato entusiastico per la scoperta sui neutrini. E scivola paurosamente in un tunnel lungo dalla Svizzera all’Italia. \"Per realizzarlo l’Italia ha partecipato con ben 45 milioni di euro\". Le reazioni di Pd e ricercatori. La replica: \"Polemica ridicola\" *

ROMA - Il troppo entusiasmo e la fretta sono un mix a volte terribile. Ne ha fatto le spese il ministero dell’Istruzione che ha dato alle stampe un comunicato dai toni enfatici dopo la sensazionale scoperta scientifica fatta nei giorni scorsi fatta al Cern di Ginevra 1. Ma in tanta enfasi si è infilata in paradossi ed errori clamorosi. Così scopriamo che tra il Cern di Ginevra e il Gran Sasso è stato addirittura scavato un tunnel alla cui realizzazione il governo italiano ha partecipato con ben 45 milioni di euro (circa, non sono ben sicuri). Ma d’altra parte il ministero sembra ben lontano dalla misurata soddisfazione di tutti coloro che considerano la scienza come di una faticosa conquista quotidiana: noi invece abbiamo partecipato a una \"vittoria epocale\". E la ministra finisce sulla graticola, in Rete, a tempo di record.

IL COMUNICATO

\"Un tunnel che parte dal Gran Sasso e arriva a Ginevra? Costo 45 milioni di euro, grande sponsor o forse finanziatore Maria Stella Gelmini, ministro dell’Istruzione che evidentemente digiuna di fisica, si fida di collaboratori che le mettono in bocca dichiarazioni che scatenano l’ilarità del globo. Siccome non c’è naturalmente nessun tunnel fra l’Infn ad Assergi, sotto quattro chilometri di dura roccia del Gran Sasso e l’Lhc di Ginevra che fine avrebbero fatto quei soldi? O forse questa è una delle grandi opere che questo governo di pressappochisti e venditori di illusioni vuole lanciare?” ironizza Manuela Ghizzoni, capogruppo PD commissione Cultura Camera dei deputati.

Polemica anche la Rete 29 Aprile (\"Ricercatori per una università pubblica, libera e aperta\"): \"Nessun tunnel ma un fascio di neutrini che è stato ’sparato’ dal Cern di Ginevra per un viaggio sotterraneo che dura 2,4 millisecondi, raggiunge la profondità massima di tre chilometri per effetto della curvatura terrestre e termina al Gran Sasso, dove il fascio è ’fotografato’ da un rilevatore e ne viene misurata la velocità. Quindi tranquilli, soprattutto i cittadini di Firenze che si trovano sulla traiettoria: il viaggio delle particelle, perfettamente rettilineo, non impegna nessuna struttura costruita dall’uomo; e nessuno potrà usare tale esperimento per giustificare una nuova TAV sotto il Trasimeno\". Per il segretario della Flc Cgil Mimmo Pantaleo \"un ministro convinto che esista un vero tunnel tra il gran sasso e il Cern deve andare a casa al più presto assieme ai suoi degni colleghi del governo\".

Replica il ministero: \"Polemica destituita di fondamento è assolutamente ridicola. E’ ovvio che il tunnel è quello nel quale circolano i protoni dalle cui collisioni ha origine il fascio di neutrini che attraversando la terra raggiunge il Gran Sasso\".

* la Repubblica, 24 settembre 2011
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/9/2011 11.16
Titolo:Zichicche più veloci della luce... Ora misure con metodi diversi.
Filosofia minima

Zichicche più veloci della luce

di Armando Massarenti (il Sole 24 Ore, 25.09.2011)

Dunque se i conti si riveleranno corretti, e il margine di errore ragionevole, i neutrini sono più veloci della luce. Con l’esperimento Opera del Cern, partendo da Ginevra, i neutrini arrivano al laboratorio sotterraneo del Gran Sasso con un piccolissimo anticipo (sessanta miliardesimi di secondo) rispetto al previsto. La notizia era sui giornali di giovedì. Ma Antonino Zichichi ha cercato di essere più veloce dei neutrini. Prima ancora del comunicato ufficiale del Cern, ha telefonato a «Il Giornale» per anticipare la notizia: «Qui gira voce di una scoperta straordinaria».

Con il senso della misura che lo contraddistingue, ci ha regalato una delle sue deliziose Zichicche (così le aveva battezzate Piergiorgio Odifreddi in un libro esilarante di alcuni anni fa). Zichichi ha pensato bene di seminare il panico epistemologico, sostenendo che la scoperta «farebbe saltare uno dei pilastri fondamentali della nostra fisica, il principio di causalità». In altri termini, gli effetti potrebbero in qualche circostanza precedere le cause - un’eventualità piuttosto sgradevole, e non solo per la fisica -.

Per esempio, mentre mi accingo a scrivere queste righe, l’effetto (cioè questo stesso scritto) potrebbe aver preceduto la causa (l’atto di battere i tasti della tastiera), e io arriverei dopo, magari ritrovandomi stampate frasi che non condivido o errori madornali. Qualcosa del genere potrebbe essere successo al ministro Gelmini che ha diramato un comunicato, divenuto subito di culto nel popolo del web, in cui si legge che «alla costruzione del tunnel tra il Cern e i laboratori del Gran Sasso, attraverso il quale si è svolto l’esperimento, l’Italia ha contribuito con uno stanziamento oggi stimabile intorno ai 45 milioni di euro». Che siano inesistenti, oltre che il tunnel, anche i finanziamenti? Per fortuna, le cose non stanno così.

Come spiega ogni buon libro di relatività, il principio di causalità richiede unicamente l’esistenza di una velocità limite universale, cioè di una velocità che nessun corpo e nessun segnale possono superare. Basta questo a garantire che la successione temporale tra due eventi connessi causalmente non si inverta se cambia il sistema di riferimento. L’esperimento del Cern non mostra che una velocità limite non esiste, ma solo che potrebbe non essere uguale a quella della luce, come previsto dalla relatività einsteiniana. Se i risultati di Opera saranno confermati, alcune idee sullo spazio-tempo dovranno essere riviste, ma, con buona pace di Zichichi, continuerete sempre a leggere queste righe (oltre che gli strafalcioni del ministro) solo dopo che le avrò scritte.

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Un neutrino tira l’altro. Ora misure con metodi diversi

L’esperimento del Cern ha prodotto un risultato memorabile, un brivido da Superenalotto

Ma gli scienziati non possono sedersi a festeggiare. Perché se scoprire è bene, verificare è meglio

di Carlo Bernardini (l’Unità, 27.09.2011)

L’’esperimento Opera di cui tanto si parla in questi giorni nei media italiani, è senza dubbio il risultato di uno sforzo eccezionale di ricerca di base di un gruppo numeroso anche di nostri fisici al Cern di Ginevra; meriterebbe perciò un risultato memorabile come quello di cui si parla. Ma proprio per questo motivo la prudenza è d’obbligo. Un sorgente di neutrini del tipo «mu», cioè prodotti dai mesoni detti mu nel loro decadimento in volo, è generata a seguito delle collisioni dei protoni energici del Super Proton Sincrotrone contro un bersaglio materiale all’imbocco del canale detto Cngs (Cern Neutrino verso il Gran Sasso) che punta verso il Laboratorio dell’Infn sotto la montagna abruzzese (Lngs).

I neutrini di decadimento, dopo avere attraversato circa 730 km di sottosuolo terrestre, possono arrivare sull’apparato che sta nel Lngs e hanno una piccola probabilità di essere identificati. Ma, dai e dai, in 3 anni di raccolta gli «arrivi» registrati sono circa 15.000. Quanto basta per fare una buona «distribuzione» dei tempi di arrivo. Questa distribuzione è confrontata con quella dei mesoni mu possibili genitori di quei neutrini, senza però che si possa sapere chi è il padre di chi: si può solo dire che la distribuzione dei padri si allarga rispetto a un istante centrale che, confrontato con la distribuzione in tempo degli eventi generati dai figli, corrisponde a una velocità di circa 6 km/s superiore a quella della luce.

Apriti cielo! E come la mettiamo con la relatività speciale di Einstein che, come verificato in un numero incredibile di esperimenti con particelle subnucleari di ogni tipo eccetto i neutrini, sembrava fondarsi sul fatto che la velocità della luce fosse un limite invalicabile dai corpi con una massa, cioè dello spostamento di materia nello spazio? Quei neutrini già sono stravaganti per i fatti loro: perché ne esistono di tre tipi, il tipo «e» associato ai decadimenti con elettroni (per esempio dei neutroni nella radioattività beta), il tipo «mu» come abbiamo già detto e il tipo «tau» associato a certi «superelettroni» detti tau, di recente scoperta; ma il bello è che un neutrino che viaggia ha la straordinaria proprietà di oscillare tra le tre possibilità e, nato mu, può morire tau, come nel caso del Gran Sasso. Questo permette la teoria quantistica e questo succede.

Già visto, anche da altri (giapponesi, americani). Ma che, oscillando, superino la velocità della luce, è nuova. Vi ho detto come: lo si vede confrontando le distribuzioni di partenza e di arrivo, 730 km dopo. Sarà vero? Sperarlo è bene, verificarlo è meglio. L’errore statistico (dalle distribuzioni) è confrontabile con l’errore sistematico (la distanza dal Cern è proprio 730 km con 10 cm di errore? La misura dei tempi quanto è precisa? Ecc.).

Finora, sembra che l’errore statistico e quello sistematico siano confrontabili e che la velocità della luce non sia in contraddizione con le distribuzioni ma solo piuttosto improbabile. Un brivido da Superenalotto. Che fa un vero fisico, in questa situazione? Aspetta una nuova misura, possibilmente con un metodo diverso. La pazienza non manca, intanto possiamo ridere degli sfondoni ministeriali e non, per far passare il tempo con mesta allegria.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/9/2011 11.42
Titolo:ZICHICHI, ROVELLI ....
Tutti in fibrillazione dopo il clamoroso e discusso esperimento al Gran Sasso sulle particelle più veloci della luce
“Un indizio per 43 dimensioni”
“Se ci sono i super-neutrini, l’idea di Universo potrebbe cambiare”

di Barbara Gallavottii (La Stampa/TuttoScienze, 28.09.2011)

La notizia che i neutrini potrebbero essere più veloci della luce è arrivata come un filo d'acqua che si insinua nella crepa di una diga: un sussurro, seguito da un fragore assordante. Il sussurro ha causato non poche polemiche ed è venuto dalla voce di Antonino Zichichi, il padre dei Laboratori del Gran Sasso dove si è svolto l'esperimento Opera.

Professore, come mai ha deciso di parlare con i giornali prima che gli autori rendessero noto il loro risultato?

«Vorrei chiarire che non ho affatto rotto la riservatezza che circondava lo studio, perché non ho accennato né agli aspetti tecnici né ai famosi 60 nanosecondi. Ho detto che al Cern girava voce di una scoperta straordinaria, e questo lo sapevano tutti: quella mattina di mercoledì 21 ho ricevuto telefonate di 3 giornalisti italiani e 2 stranieri che mi ponevano domande sui risultati. Domande alle quali non ho risposto. Dopo 5 telefonate ho chiamato un giornalista che stimo, dicendogli che il venerdì 23 ci sarebbe stato al Cern un seminario sulle proprietà dei neutrini».

Alcuni colleghi però non l'hanno presa benissimo.

«La polemica è pretestuosa: il risultato di una ricerca deve essere tenuto riservato fino all' annuncio ufficiale degli autori. Cosa che ho fatto. L'annuncio di un seminario e il tema che sarà discusso nel seminario sono "rivelazioni"?».

Il primo intervento al termine del seminario in cui si annunciava la misura della velocità dei neutrini è stato del Nobel Samuel Ting, il quale l’ha ringraziata per aver concepito i Laboratori del Gran Sasso e aver avuto l'idea di studiare neutrini prodotti al Cern e osservati al Gran Sasso: pensa che oggi sarebbe possibile costruire qualcosa come il Gran Sasso?

«Per costruire un’infrastruttura ai vertici della ricerca ci vuole una grande idea. Nel caso del Gran Sasso era quella di studiare i fenomeni rari e i neutrini generati al Cern. Per questo le sale sperimentali sono state orientate in modo opportuno. Le caratteristiche dei laboratori sono state studiate con estrema attenzione. Una montagna "a piramide" come il Cervino non avrebbe offerto la giusta protezione dai raggi cosmici. E se le rocce non fossero state fra le meno radioattive al mondo, addio "silenzio cosmico". Infine, se non fossero stati in corso i lavori del traforo, il progetto avrebbe avuto costi proibitivi».

Si parla della SuperB, un’infrastruttura proposta dall' Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e divenuta un progetto bandiera del Miur. Che ne pensa?

«L'Italia ha i numeri per impegnarsi in grandi progetti, ma la SuperB è una cosa che non farei mai. Credo che occorra impegnare energie e risorse per ottenere risultati che portino a scoprire qualcosa di davvero nuovo. La SuperB, al contrario, è pensata per fare misure di alta precisione che poco aggiungerebbero a ciò che sappiamo. Ritengo che ci siano strade più innovative da percorrere».

I costi sono un problema?

«I costi della ricerca sono poca cosa nel bilancio di uno Stato, irrisori ad esempio rispetto a quelli della missione in Libia. E divengono ancora più piccoli se si pensa che le infrastrutture di ricerca sono finanziate da collaborazioni internazionali».

Ma, insomma, lei ai neutrini superveloci ci crede o no?

«È essenziale che la misura venga ripetuta e verificata. Il mio gruppo è impegnato a ottenere una precisione di misura del tempo di volo delle particelle subnucleari di 15 millesimi di miliardesimo di secondo. Ma come fisico mi piacerebbe che si trattasse del primo indizio di un Universo a 43 dimensioni, come vuole l'idea del supermondo. Se la struttura dello spazio-tempo fosse con 43 dimensioni, i neutrini potrebbero andare più veloci di quanto faccia la luce nell'Universo con 4 dimensioni senza violare il principio di causalità, secondo cui le cause devono precedere le conseguenze, e a cui non vorrei assolutamente rinunciare».
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-Ma ora c’è chi cerca un “baco” nel test
-La misurazione dei 60 miliardesimi di secondo potrebbe essere non corretta

-di B. Gal. (La Stampa/TuttoScienze, 28.09.2011(

Più veloce della luce, anzi dei neutrini, tra i fisici è iniziata la caccia all'errore che potrebbe far franare il risultato del test Opera. Dopo il seminario al Cern e quello che si è svolto lunedì al Gran Sasso, un punto su cui accostare la lente di ingrandimento si è trovato, e riguarda il momento della partenza dei neutrini.

Come ha spiegato a «La Stampa» Antonio Ereditato, ciò che i ricercatori misurano non è direttamente la partenza dei neutrini, ma il momento della produzione di protoni che poi, urtando contro un bersaglio, daranno origine ai neutrini. Da questa informazione si dovrebbe poter ricavare esattamente l'istante di inizio del viaggio dei neutrini. Tuttavia i protoni urtano il bersaglio in lasso di tempo pari a 10 milionesimi di secondo, mentre il presunto vantaggio dei neutrini è inferiore, circa 60 miliardesimi di secondo: proprio qui potrebbe nascondersi il «baco». Immaginiamo i protoni come una fila di auto, i neutrini come passeggeri e il bersaglio come un traguardo: man mano che le auto arrivano al traguardo, i passeggeri scendono e iniziano a correre verso il Gran Sasso. Ovviamente i corridori arriveranno a destinazione prima o dopo a seconda della vettura da cui provengono. Se tutte le auto hanno lo stesso numero di passeggeri, questo non è un problema, perché ciò che conta è la media. Ma supponiamo che, all'insaputa di tutti, i passeggeri siano concentrati nelle auto di testa, allora la misura risulterà falsata: gli ultimi arrivati giungeranno con anticipo semplicemente perché saranno partiti prima del previsto. Ora, dunque, si dovrà verificare se la produzione di neutrini è omogenea come ipotizzato. Non c'è in realtà un motivo noto per cui non dovrebbe esserlo, ma è più facile pensare a un convoglio un po' anarchico che a un universo sottosopra.


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-Dobbiamo riscrivere la fisica?
-La Relatività sa aspettare
-Solo i futuri test sveleranno se i neutrini “veloci” esistono


-Il dubbio.
-L’ipotesi di Einstein è alla base della fisica moderna, che ha dato innumerevoli predizioni verificate
-Se i neutrini fossero più veloci della luce dovremmo capire come tutto possa aver funzionato così bene partendo da un'ipotesi errata e riscrivere i libri di fisica

di Carlo Rovelli, Università di Marsiglia (La Stampa/TuttoScienze, 28.09.2011)


Ha fatto clamore la notizia di una misura che indicherebbe che i neutrini vanno più veloci della luce. Cosa c'è di vero?
I fatti sono questi. Nei laboratori del CERN di Ginevra viene prodotto un fascio di neutrini, particelle subatomiche come elettroni e protoni, ma più leggere e senza carica elettrica (da cui il nome). Il fascio è indirizzato verso l'Italia e osservato da grandi rilevatori nei laboratori del Gran Sasso, vicino all'Aquila. Un neutrino interagisce pochissimo con la materia e attraversa in linea retta il sottosuolo, «tagliando» la curvatura della Terra. Oggi è possibile misurare la distanza Ginevra-L'Aquila con precisione di pochi centimetri, e il tempo di volo del fascio con precisione di qualche miliardesimo di secondo. Dividendo distanza per tempo, si ha la velocità dei neutrini. A conti fatti, l'équipe che conduce l'esperimento si è trovata tra le mani un risultato sconcertante: i neutrini sarebbero poco più veloci della luce: 60 miliardesimi di secondo in meno della luce per compiere il tragitto.

Perché sconcertante? Non perché la misura contraddice quello che ha detto Einstein, come hanno riportato molti giornali. Einstein è all'origine dell'ipotesi ben nota che niente vada più veloce della luce. Ma Einstein è stato contraddetto molte volte, e diverse sue idee si sono rivelate sbagliate.

Il risultato è sconcertante perché è un secolo che misuriamo velocità alte, per esempio negli acceleratori di particelle, nei raggi cosmici o in fenomeni astrofisici, ma sempre, anche per i neutrini, inferiori (magari di pochissimo) a quella della luce. La nuova misura contraddice quanto osservato finora. Ma c'è di più: l'ipotesi di Einstein è alla base di tutta la teoria fisica moderna, che ha dato innumerevoli predizioni verificate. Se i neutrini fossero più veloci della luce, dovremmo capire come tutto possa aver funzionato così bene partendo da un'ipotesi errata, e riscrivere i libri di fisica.

La reazione comune degli scienziati è sospettare che ci sia un errore annidato nei delicati dettagli tecnici dell'esperimento. Questa è stata anche la reazione dell'équipe che ha compiuto la misura, che è di altissima qualità scientifica. Per mesi, l'équipe ha cercato l'errore. Non trovandolo, non ha potuto che rendere pubblica l'anomalia, e chiedere che la misura sia ripetuta da altri. Lo stesso comunicato ufficiale del CERN chiarisce che una violazione dell'ipotesi di Einstein appare per ora «poco plausibile».

Nella maggior parte delle attività umane un risultato in contraddizione flagrante con tutto quanto si sa viene generalmente ignorato. Non così nella scienza migliore. La consapevolezza che, nonostante il successo, ci possano essere errori anche nel cuore del nostro sapere è proprio ciò che distingue la scienza da altre ambizioni di sapere. Per questo il mondo scientifico ha prestato immediata attenzione. Potrebbe anche essere vero. Questa apertura, io credo, è ciò che fa bella la scienza. Se il risultato fosse confermato, si aprirebbe una di quelle fasi di «rivoluzione» a cui tutti gli scienziati sognano di poter partecipare. Quindi grande cautela, ma anche emozionata speranza. L'esito considerato più probabile è che si scovi un dettaglio trascurato: falsi allarmi sono comuni. Ma l'esito che tutti sperano è che il risultato sia confermato. Laboratori capaci di ripetere la misura, come il Fermilab di Chicago, si stanno già muovendo e potrebbero esserci risultati già fra alcuni mesi. Restiamo in attesa.

In Italia la reazione alla notizia è stata un po’ scomposta. Diversi titoli hanno annunciato la rivoluzione come cosa già certa. Il prof. Zichichi ha trasmesso la notizia al «Giornale» prima dell'annuncio ufficiale, contro le buone regole della comunità. Il ministro Gelmini ha emesso un comunicato in tono trionfale, poco opportuno per un ministro della ricerca, che dovrebbe comprendere come funziona la scienza. Per peggiorare le cose, il comunicato parla di un «tunnel da Ginevra al Gran Sasso», svista forse scusabile per la fretta; ma quando l'assurdità di un tale tunnel è stata fatta notare, invece di un semplice «ci spiace, è un errore», che avrebbe meritato rispetto, il ministro ha emesso una nota infastidita, rifiutandosi di ammettere il refuso.

Al vertice dell'équipe che ha compiuto la misura ci sono scienziati italiani. La loro competenza e serietà è stata sottolineata da tutta la comunità internazionale. E' stato Dario Autiero, livornese che lavora in Francia, a presentare sabato la misura davanti a una sala del CERN piena, dove scetticismo e fascinazione erano entrambi palpabili. Il misurato, ma lungo applauso finale conferma il grande rispetto nel mondo per gli scienziati del nostro Paese. Come tutti i colleghi, spero in una conferma, che li indirizzi verso il Nobel. Ma se non arrivasse, saranno i primi, loro, a dire semplicemente «ci spiace, c'era un errore». Non per questo li ammireremmo meno.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/10/2011 13.07
Titolo:Il Nobel Glashow: "Ecco perché dubito dei calcoli del Cern"
Lo scettico del super neutrino
"Ecco perché dubito dei calcoli del Cern"

Il Nobel Glashow ha appena pubblicato un lavoro che critica l’esperimento e i suoi risultati
Credo che siano stati fatti errori nella statistica, nella sincronizzazione degli orologi o forse nella misura della distanza"
"Se le particelle fossero più veloci della luce si entrerebbe in conflitto con principi molto generali della fisica"

di Piergiorgio Odifreddi (la Repubblica, 08.10.2011)

L’annuncio che l’esperimento opera effettuato tra il Cern di Ginevra e il laboratorio del Gran Sasso aveva misurato una velocità dei neutrini superiore a quella della luce, ha messo in subbuglio il mondo intero, scientifico e non. Si è parlato in particolare di violazione della teoria della relatività di Einstein, e di anomalia che mette in crisi il paradigma corrente della fisica. Per cercare di capirne qualcosa di più abbiamo intervistato Sheldon Glashow, premio Nobel per la fisica nel 1979 ed eminenza grigia della fisica delle particelle. Il quale, benché quasi ottantenne, in meno di una settimana dall’annuncio aveva già pubblicato un lavoro che gettava forti dubbi sulla sua correttezza, e ne inquadrava teoricamente le paradossali conseguenze.

Anzitutto, vogliamo brevemente ricordare cosa affermano gli sperimentatori dell’opera?

«Che il viaggio dei neutrini tra il Cern e il laboratorio del Gran Sasso, distante circa 730 chilometri, dura 60 nanosecondi, meno di quanto ci metterebbe la luce a percorrere la stessa distanza. Dunque, i neutrini sembrano essere particelle superluminari, e viaggiare a una velocità superiore a quella della luce nel vuoto di circa 7 chilometri e mezzo al secondo».

Interessanti, dunque, questi neutrini!

«Lo erano anche prima di questo esperimento, come dimostra la loro storia. Agli inizi furono "inventati" da Wolfgang Pauli, per salvare il principio di conservazione dell’energia. Vennero osservati per la prima volta negli anni ’50, e negli anni ’60 si scoprì che ce n’erano due tipi, che salirono a tre in seguito. Negli anni ’70 si presentò un problema legato ai neutrini solari, che fu risolto definitivamente solo nel 2001, con osservazioni effettuate in Giappone e in Canada. Nel frattempo, sia negli Stati Uniti che in Giappone erano stati rilevati neutrini emessi dalla supernova del 1987. E nel 1998 i giapponesi avevano osservato le oscillazioni dei neutrini atmosferici, dimostrando che almeno alcuni tipi hanno una massa».

Ci sono ragioni per dubitare dei risultati annunciati?

«Io credo che ci debbano essere stati errori sperimentali. Forse nella sincronizzazione degli orologi. Forse nella misura della distanza, che non può essere stata effettuata solo con il gps, perché non si possono trasmettere segnali ai satelliti in orbita dal laboratorio del Gran Sasso, che si trova a circa un chilometro e mezzo di profondità sotto la montagna. Forse nella statistica, o ancora in qualcos’altro, chissà».

Assumendo che non ci siano invece errori, è stato suggerito che i neutrini superveloci potrebbero essere dei tachioni.

«I tachioni sono particelle ipotetiche, che in teoria non violano la teoria della relatività speciale, ma in pratica portano a contraddizioni: ad esempio, la loro massa dovrebbe essere immaginaria, cioè avere un quadrato negativo (mentre tutti i numeri reali, anche quelli negativi, elevati al quadrato diventano positivi)! Nessuna persona di buon senso può pensare che i neutrini siano dei tachioni».

Cosa si può pensare, allora?

«Qualcuno sospetta che ci possano essere delle violazioni delle previsioni della relatività speciale: in particolare, che la massima velocità raggiungibile dai neutrini possa essere superiore alla velocità della luce».

Ma la relatività non afferma solo che ci debba essere una velocità insuperabile, senza stabilire a priori che debba essere proprio quella della luce?

«E’ possibile formularla così. Ma si può fare anche di più, come abbiamo mostrato Sidney Coleman ed io nel 1999: si può supporre che le velocità massime raggiungibili differiscano per le varie particelle, e calcolare limiti alle possibili differenze di queste velocità».

E cosa succede?

«Strane cose. Ad esempio, se gli elettroni possono viaggiare più velocemente della luce, allora quando lo fanno perdono rapidamente energia (a causa della cosiddetta radiazione di Cherenkov nel vuoto). Viceversa, se la velocità della luce è superiore a quella massima raggiungibile dagli elettroni, allora i raggi gamma ad alta energia devono decadere in coppie di elettroni e positroni. Così, il fatto che si osservino sia elettroni che fotoni ad alta energia ci permette di dedurre delle restrizioni molto forti sulla possibile differenza tra le loro velocità massime raggiungibili, e le cose vanno come previsto».

Se effettivamente la velocità massima raggiungibile dai neutrini fosse superiore a quella della luce, questo vorrebbe dire che i fotoni dovrebbero avere una massa maggiore di quella dei neutrini?

«No, non necessariamente. Il che non significa che i fotoni non abbiano una massa! Potrebbero averla, ma le restrizioni più forti che abbiamo assicurano che in tal caso la cosiddetta lunghezza d’onda di Compton del fotone (che misura il rapporto fra la costante di Planck e il prodotto fra la velocità del fotone e la sua supposta massa) sia superiore a qualcosa come una settimana luce: cioè, alla distanza percorsa dalla luce in una settimana, che è di circa 180 miliardi di chilometri!».

E i neutrini dell’esperimento opera, dai quali siamo partiti, possono avere velocità superiore a quella della luce?

«Solo se non valgono i princìpi di conservazione dell’energia e del momento (cioè, del prodotto fra massa e velocità)! L’ho dimostrato l’altro giorno, subito dopo l’esperimento, insieme a Andrew Cohen, in un articolo sulle Nuove costrizioni sulle velocità dei neutrini. Se valgono quei due princìpi, allora i neutrini superluminali dovrebbero emettere coppie di elettroni e protoni e perdere energia. In particolare, i calcoli mostrano che solo pochissimi di quelli emessi al Cern potrebbero raggiungere il Gran Sasso con energie superiori a 12,5 gigaelectronvolt (l’elettronvolt misura il momento delle particelle, e "giga" sta per "miliardo"), mentre l’esperimento ne ha osservati molti a energie comprese fra 20 e 50. E anche altri autori, ad esempio un gruppo di teorici cinesi guidati da Xiao-Jun Bi, hanno ottenuto risultati, che giungono alla stessa conclusione: supporre che i neutrini vadano più veloci della luce è in conflitto con princìpi molto generali della fisica, senza dover scomodare la relatività».

Dunque, cosa dimostrerebbe l’esperimento?

«Sono state proposte due "soluzioni". La prima, assurda, è che nella prima ventina di metri del loro viaggio i neutrini viaggino a velocità dieci volte superiori a quella della luce, e poi scendano sotto di essa. La seconda, spiacevole ma non così assurda, è che non comprendiamo perfettamente la legge della conservazione del momento: modificandola, si potrebbe trovare che i neutrini possono viaggiare a velocità superiore a quella della luce, senza perdere energia».

Sembra comunque che ci sia un conflitto con la velocità dei neutrini calcolata sulla base delle osservazioni della supernova apparsa nel 1987.

«Solo apparentemente, perché i neutrini emessi dalla supernova avevano energie migliaia di volte inferiori a quelli emessi dal Cern. Dunque, gli effetti superluminali potrebbero dipendere fortemente dall’energia, e questo non sembra presentare un problema».

In conclusione, prima di divulgare la notizia al mondo intero, non sarebbe stato meglio aspettare di capirci qualcosa di più?

«No! I ricercatori ci hanno provato in tutti i modi, a trovare spiegazioni sensate di quella che essi stessi hanno definito un’"anomalia", ma non ci sono riusciti. E non essendo impiegati di un’azienda farmaceutica, non potevano mettere tutto a tacere: sarebbe anche stato scorretto nei confronti delle molte nazioni che hanno finanziato l’esperimento. Hanno annunciato i risultati, e sperano che altri possano in qualche modo spiegarli».

Lei come pensa che finirà?

«Personalmente, alla luce dei calcoli di cui ho parlato, io credo che ci siano stati errori: in tal caso, li troveremo. Comunque, inizierà presto l’analogo esperimento minos negli Stati Uniti, e vedremo se confermerà o refuterà quello di opera».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/2/2012 13.09
Titolo:«C’è stato un errore». I neutrini non vanno più veloci della luce
- L’esperimento sul «viaggio» delle particelle tra Ginevra e Gran Sasso
- I risultati falsati da una cattiva connessione tra il Gps e un computer

- «C’è stato un errore». I neutrini non vanno più veloci della luce

- La «misura che ha fatto scalpore», perché sanciva che i neutrini viaggiavano a una velocità superiore a quella della luce smentendo Einstein, nasceva dal cattivo funzionamento di una scheda informatica.

di Pietro Greco (l’Unità, 23.02.2012)

Si tratterebbe di un errore. Una cattiva connessione tra l’unità Gps (il sistema satellitare che consente di misurare con estrema precisione la distanza tra due unti) e un computer potrebbe essere la causa della «misura che ha fatto scalpore». I neutrini non vanno più veloci della luce. E non falsificano la teoria della relatività di Albert Einstein.

Oggi sarà la “collaborazione Opera”, diretta dall’italiano Antonio Ereditato, a riconoscerlo in un comunicato ufficiale. Ma le voci ieri sera sono corse con insistenza e hanno trovato riscontro anche sul sito della rivista americana Science. La collaborazione Opera studia il comportamento di fasci di neutrini che, generati al Cern di Ginevra, raggiungono i Laboratori Nazionali che l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare ha sotto il Gran Sasso. I neutrini sono le particelle più elusive che si conoscano. Ma Opera ha a disposizione strumenti di rilevamento eccezionali.

Nell’effettuare queste misure la collaborazione Opera ha raggiunto risultati di valore assoluto: ha, tra l’altro, verificato che i neutrini oscillano (sono di tre tipi e si trasformano l’uno nell’altro) e dunque hanno una massa. Per due anni il gruppo internazionale di scienziati ha ottenuto alcune misure che sembravano incredibili. Facendo i conti si otteneva che le minuscole particelle viaggiavano a una velocità superiore a quelle della luce. Coprivano la distanza tra Ginevra e il Gran Sasso, circa 730 chilometri, in 60 nanosecondi (miliardesimi di secondo) meno di quanto avrebbe fatto la luce. Queste misura metteva in seria difficoltà la teoria della relatività ristretta uno dei cardini della fisica moderna secondo la quale la velocità della luce non può essere mai superata. Se fosse stata vera, sarebbe passata ai posteri come una delle più importanti scoperte in fisica degli ultimi due o tre secoli.

CONTROLLI SU CONTROLLI

I conti a Opera sono stati fatti e rifatti. Ma nessuno, per mesi, ha trovato un errore. Quindi la decisione, lo scorso autunno, di rendere nota la notizia, con un articolo scientifico e con un seminario tenuto a Ginevra ma seguito in tutto il mondo. Ereditato e il suo gruppo sono stati molto onesti. Non hanno voluto interpretare i dati. Non hanno detto che i neutrini viaggiano certamente a una velocità superiore a quella della luce. Hanno detto: questi sono i dati. Noi non troviamo errori. Se qualcuno è in grado bene. Noi continuiamo a effettuare misure e attendiamo con serenità altre verifiche indipendenti. Alcuni ancora più prudenti, anche all’interno di Opera, sostenevano che quei dati non andavano resi pubblici.

Col senno di poi gli scettici a oltranza sembrano aver avuto ragione. L’errore c’era ed era banale: il malfunzionamento di una scheda informatica. Solo che era ben nascosto. E, infine, è stato individuato. Dal medesimo gruppo che, ove la scoperta fosse stata confermata, sarebbe passata alla storia.

L’errore lascia l’amaro in bocca. Ma a ben vedere è un ottimo esempio di come funziona la scienza. Non sempre ci fornisce verità. Ma ha al suo interno la capacità e l’onestà intellettuale di correggere se stessa. E, in fondo, è questo il segreto del suo successo.

La vendetta di Einstein

di Piergiorgio Odifreddi (la Repubblica, 23.02.2012)

Il buon vecchio Einstein si è salvato. La sua teoria della relatività, messa in forse dagli esperimenti del Cern sui neutrini veloci, si è salvata anch’essa. È stato infatti annunciato che le macchine usate per l’esperimento erano difettose. L’episodio ci permette di fare alcune considerazioni. La prima, anticipata di molti decenni dallo stesso Einstein, è che «la scienza non è una repubblica delle banane, in cui succedono rivoluzioni ogni sei mesi».

Il pubblico si appassiona sempre ai cambiamenti epocali, ma forse nella scienza è più utile concentrarsi sugli aspetti ormai assodati, sui risultati acquisiti, che non sulle nuove idee che ancora attendono conferme e verifiche.

La seconda considerazione è, però, che all’annuncio dell’esperimento il mondo intero si è coalizzato nel tentativo di comprendere quali sarebbero state le conseguenze teoriche e pratiche di una velocità superluminale dei neutrini. Articoli di giornale, discussioni sui blog, seminari di ricerca hanno rivisto i fondamenti della relatività di Einstein, mettendo a volte in luce aspetti nascosti o impostazioni innovative che un secolo di abitudine alla teoria avevano lasciato in ombra. In un’intervista al nostro giornale, pochi giorni dopo l’annuncio dei risultati dell’esperimento, il premio Nobel Shelly Glashow ha sottolineato quali sarebbero state le conseguenze d’una conferma dell’esperimento: conseguenze così in contrasto con il resto della fisica conosciuta, che costituivano quasi una confutazione per assurdo dell’esperimento stesso. Ma questi suoi contributi, insieme a quelli di molti altri, ci hanno comunque chiarificato che possiamo considerare la velocità della luce come un limite insuperabile, e possiamo continuare a usare la relatività come una teoria insostituibile.

Gli occhi del mondo intero si concentrano ora, dopo l’ubriacatura dei neutrini, su altri esperimenti del Cern e di altri laboratori. In particolare, l’annunciata e probabile scoperta della cosiddetta «particella di Dio», così come dell’attesa, ma per ora ancora non verificata, esistenza di «particelle simmetriche». L’episodio dimostra comunque come la scienza contenga dentro di sé gli anticorpi per i propri possibili errori, e come in un breve volgere di tempo la comunità scientifica possa mettere proposte anche rivoluzionarie sotto il microscopio per verificarle o confutarle. E’ in questo processo dialettico di dimostrazioni e refutazioni che si cela il segreto del successo della scienza.

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Commenti Articolo 904

Titolo articolo : IL FIGLIO DELL’UOMO HA IL POTERE DI PERDONARE I PECCATI SULLA TERRA,di p. Alberto Maggi OSM

Ultimo aggiornamento: February/22/2012 - 10:38:13.

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Autore Città Giorno Ora
Franca Maria Bagnoli Pescara 20/2/2012 14.02
Titolo:Versetti pericolosi
Grandissimo Alberto Maggi. ho letto il suo "Versetti pericolosi" Si apre il cuore a leggere la sua visione così serena della fede.
Autore Città Giorno Ora
Franco Canavero Monticello d'Alba 22/2/2012 10.38
Titolo:Gesù di fronte al male
Volevo verificare un'impressione che ho di fronte al comportamento di Gesù. Mi sembra che Gesù tratti il male fisico allo stesso modo del male morale. Ora questo significa che sono la stessa cosa. Se è così,Gesù risana sia il male fisico, sia quello morale: sia quello che dipende dal diavolo che quello che dipende dal mio cattivo comportamento. Perdonare sembra essere una guarigione, un risanamento di qualcosa che è decaduto da come l'ha voluto Dio all'inizio. Penso all'immenso campo di riflessione che si apre riguardo all'ecologia...

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Commenti Articolo 905

Titolo articolo : ASSOLUTAMENTE NO. I LEFEBVRIANI CONFERMANO IL RIFIUTO DEL VATICANO II,di Adista Notizie n. 12 del 18/02/2012

Ultimo aggiornamento: February/21/2012 - 11:36:14.

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Autore Città Giorno Ora
giuliano volonteri laigueglia 21/2/2012 11.36
Titolo:Non è posibile!!!
Basta nell'inseguire chi non vorrà mai adeguarsi alle volontà dei Padri Conciliari. Mi sembra che continuando così, si rischi di stravolgere il volto della chiesa ovvero dei fedeli, proliferando nuovi sacerdoti che si definiscono "tradizionalisti" e la tendenza al ritorno delle celebrazioni in latino, con grande confusione nelle menti e nei cuori.I sacri riti della liturgia implicano una comunicazione fra cielo e terra ed il linguaggio per fare ciò deve essere comprensibile, occorre meditare su quanto si dice e quindi in lingua volgare.

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Commenti Articolo 906

Titolo articolo : VIAGGIO IN ITALIA: ALLA RICERCA DELL'IDENTITA' PERDUTA. «Il tribalismo e i difficili conti con il passato». Un estratto del saggio dell’antropologo Marco Aime, dall'ebook curato da Giulia Cogoli e Vittorio Meloni - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/20/2012 - 17:57:30.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/2/2012 17.57
Titolo:Non sapevamo chi siamo, e adesso?
Non sapevamo chi siamo, e adesso?

La scomparsa del «capo» e l’«italianità» perduta. In un libro ebook sette studiosi si confrontano sul tema urgente dell’identità nazionale e sui cambiamenti profondi del nostro Paese, la crisi e la forza dell’Italia

Orfani di un «patriarca» che ha dato mille facce al Sistema Paese
La sfida. Uscire dall’eternità magica e entrare nella storia, collettivamente

-***Viaggio in Italia. Alla ricerca dell’identità perduta, Aa.Vv. , A cura di Giulia Cogoli e Vittorio Meloni pagine 144


Il volume da oggi scaricabile gratuitamente


Oggi si presenta «Viaggio in Italia. Alla ricerca dell’identità perduta» (perFiducia, Intesa Sanpaolo), un libro che raccoglie le riflessioni di Aime, Dalla Zuanna, De Biase, Diamanti, Natoli, Pozzi e Zoja: sette studiosi si confrontano sull’identità degli italiani, i cambiamenti profondi del nostro paese, la crisi e la forza dell’Italia dei nostri giorni. Scarcabile gratis su www.perfiducia.com

di Enrico Pozzi, psicologo (l’Unità, 20.02.2012)

Esistono due problemi diversi collegati all’identità. Il primo è il paradosso costitutivo dell’identità quando essa si applica ad attori dinamici, e soprattutto a soggetti viventi. Il secondo è: cosa sta avvenendo alla identità italiana in questo momento e quale rapporto intercorre tra le difficoltà identitarie percepite dai soggetti collettivi e individuali nel nostro paese e la crisi della leadership carismatica che stiamo vivendo? (...)

Dalla fine degli anni Ottanta, per una serie di motivi, la società italiana è entrata in una crisi anomica accentuata, in una perdita crescente di elementi vitali della sua coesione sociale che hanno prodotto un’angoscia talvolta evidente in alcuni segnali statistici, talvolta più incerta e sfuggente. Il nostro sistema sociale è entrato in un panico anomico, prima strisciante poi esplosivo, che si è tradotto in una domanda altrettanto panica di coesione magica del Sistema Paese.

Qui il richiamo è a Max Weber: l’anelito al ripristino della coesione si è espresso in una domanda diffusa di leadership carismatica. Le pagine straordinarie di Weber sul carisma e sul potere carismatico stanno in parti diverse del postumo Economia e società. Occorre leggerle tutte per capire la ricchezza multidimensionale del tipo ideale che propone. Un aspetto le accomuna: la indifferenza di Weber per la dimensione psicologica. Salvo che in un punto: caratteristica del capo carismatico è il possedere qualità straordinarie, ma come mai la gente pensa che un determinato individuo abbia effettivamente delle qualità straordinarie?

Questa frasetta pone il problema cruciale del consenso al carisma. La principale risposta è da ricercare, secondo me, nel panico anomico, e nella sofferenza psichica che l’anomia grave genera nell’io e nella identità dei membri di un gruppo sociale (nazione, organizzazione, famiglia ecc.).

Ma cosa c’entra il carisma con la coesione sociale? In che senso può agire come una «cura» per l’anomia? Osserviamo il frontespizio della prima edizione del Leviatano di Hobbes. Si tratta di una straordinaria visualizzazione della funzione coesiva della leadership carismatica o del corpo del sovrano.

Riportando questa immagine al momento in cui è stato scritto il testo una guerra civie, il massimo dell’anomia e dell’homo homini lupus -, abbiamo il Re a mezzobusto nella pienezza dei suoi regalia (spada, globo ecc.) collocato sullo sfondo di un paesaggio che condensa il suo regno fisico. Ma il corpo de Re è fatto dalle teste dei suoi sudditi. Corpo metonimico, al tempo stesso individuale e collettivo, che contiene nel suo Body Natural il suo Body Politic, secondo il modello classico di Ernst Kantorowicz.

Nel corpo fisico/ politico del Re, necessariamente tutt’uno come ogni corpo vivente, si ricompone magicamente il corpo lacerato del sociale. Nella persona mixta del sovrano si ripristina la coesione sociale perduta o minacciata, si placa l’angoscia anomica e trova risposta la domanda sociale di coesione del Noi, che è anche domanda di coesione dell’io e della identità individuale. In Hobbes sta la risposta alla domandina di Weber, cioè il modello di base del consenso al potere carismatico.

L’analisi freudiana del rapporto capo-folla traduce tutto questo in una dinamica direttamente psicologica. Nella sua ipotesi, il capo diventa il modello interiorizzato comune a ciascuno dei membri del gruppo: nella folla, ognuno si mette dentro, come parte della propria identità, il pezzetto di immagine di capo che è conforme ai suoi bisogni, aspettative o terrori. Lo stesso individuo il Capo è uno, nessuno e centomila, e raccoglie in sé quei seguaci che, ciascuno a proprio modo, si rispecchiano in lui. Il Capo come collante coesivo psichico del Noi, denominatore comune condiviso dagli individui del gruppo che lo riconosce come capo.

Il Berlusconi trionfante l’imprenditore, il presidente operaio, lo sportivo, il cabarettista, il ricco, Priapo, il presunto vincitore del Certamen capitolinum, il guaritore ecc. tra il ’94 e il ’96 si è presentato come le mille facce del Sistema Paese in cui ognuno poteva riconoscersi, identificarsi e sentirsi compreso, ma nel senso fisico: compreso nel corpo del sovrano, nel corpo metaforico di Berlusconi. Quel Berlusconi ha rappresentato la risposta transitoriamente adeguata, da un lato a un panico sociale duraturo, alla domanda angosciata di una coesione sociale antianomica; dall’altro, a una domanda di semplificazione cognitiva di una realtà percepita come eccessivamente complessa.

Il capo carismatico come un riduttore di complessità: invece del caos locale e globale, il riordinamento del mondo nella semplicità cognitivamente accessibile di un individuo. Una persona come mediatore e traduttore delle troppe cose che accadono intorno a me, la complessità riassunta e sussunta in lui, in una dimensione personale che io pover’uomo sento di poter ancora capire. Ma da anni ormai il Body Natural del leader carismatico sta chiedendo il conto al suo Body Politic. Le virtù straordinarie del carisma non trovano più nelle cose e nella sua persona quella continua prova di verità e verifica alla quale il capo carismatico è tenuto.

La funzione coesiva si è progressivamente indebolita, la terapia antinomica di tipo magico che il capo carismatico incarnava perde efficacia, il panico anomico collettivo e individuale riprende lentamente, poi sempre più in fretta, il sopravvento.

Non senza contraccolpi, il consenso si sfalda, e l’angoscia sociale cerca nuove risposte: talvolta, poveramente, nuovi capi; talaltra, in modo più maturo ma pur sempre incerto, nuove procedure e modalità di esercizio della sovranità.

Gabriel García Márquez ha scritto, con L’autunno del patriarca, una delle più potenti rappresentazioni narrative delle logiche, delle grandezze e delle molte miserie del potere carismatico in salsa sudamericana. Poi un giorno il dittatore muore, e c’è la chiusa bellissima del libro: ... perché noi sapevamo chi eravamo mentre lui restò senza saperlo per sempre col dolce sibilo della sua ernia di morto vecchio, troncato di netto dalla stangata della morte, (...) estraneo ai clamori delle folle frenetiche che scendevano nelle strade cantando gli inni di gaudio della notizia gaudiosa della sua morte ed estraneo per sempre alle musiche di liberazione e ai razzi di gioia e alle campane di giubilo che annunciarono al mondo la buona novella che il tempo incalcolabile dell’eternità era finalmente terminato.

La società italiana, in tutte le sue articolazioni, trova adesso davanti a sé l’opportunità di uscire dalla eternità magica del sole carismatico e di entrare di nuovo nella storia, nella collaborazione, nel compromesso, nel difficile negoziato tra le diversità: in altri termini, nella realtà e nel progetto di una identità collettiva tornata a essere dinamica, forse. La stessa opportunità si offre parallelamente alle identità individuali, sottratte allo «io sono come sono» della paura di vivere. Nessuno può dirsi certo che questa doppia opportunità venga colta, e che non si preferisca invece tornare nei porti tranquilli e mortiferi della regressione, del pensiero paranoico e delle aspettative magiche.

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Titolo articolo : Sosteniamo la campagna "Taglia le ali alle armi!",di La Redazione del sito

Ultimo aggiornamento: February/20/2012 - 11:29:44.

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Autore Città Giorno Ora
MARISTELLA PALMIERI GALATINA 20/2/2012 11.29
Titolo:costruiamo insieme la pace con la non-violenza
Condivido e sottoscrivo in pieno la campagna contro le spese militari.Grazie per il lavoro che fate per noi! Vi sosteniamo.
Autore Città Giorno Ora
MARISTELLA PALMIERI GALATINA 20/2/2012 11.29
Titolo:costruiamo insieme la pace con la non-violenza
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Commenti Articolo 908

Titolo articolo : UNA CHIESA GLOBALE E UN PAPATO DI VEDUTA LOCALE, MOLTO LOCALE. Il punto di vista di Michael Amaladoss SJ (Gesuita, tra i più noti teologi indiani, è direttore dell’Institute for Dialogue with Cultures and Religions a Chennai) -,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/19/2012 - 13:36:18.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/2/2012 13.10
Titolo:ALLARGARE I SOGNI DEL CORTILE ....
LA GRAZIA DEL DIO DI GESU’ E’ "BENE COMUNE" DELL’INTERA UMANITA’, MA IL VATICANO LA GESTISCE COME SE FOSSE UNA SUA PROPRIETA’.
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Ravasi: «Il Cortile allarga i confini»

intervista a Gianfranco Ravasi

a cura di Lorenzo Fazzini (Avvenire, 17 febbraio 2012)

Dall’illuminista Parigi alla Tirana ex comunista; da Assisi, patria del Poverello, a Bucarest, porta d’Oriente. E, a venire: Barcellona, vetrina della Sagrada Familia, Stoccolma, terra dei Nobel, la Milano sede della Borsa, Marsiglia, patria di Albert Camus. In futuro: Gerusalemme, Washington, Vienna. Il Cortile dei gentili si allarga e abbraccia culture, località, centri accademici diversissimi ma uniti - chiarisce il cardinale Gianfranco Ravasi, regista dell’operazione voluta da Benedetto XVI - dal desiderio di indagare il senso del mistero dell’uomo.

Dall’iniziale intuizione del pontefice (eravamo nel dicembre 2009) affinché la Chiesa aprisse un «nuovo Cortile dei gentili» per dialogare con quanti «sentono la religione come una cosa estranea» ma vogliono avvicinare Dio «almeno come uno Sconosciuto», molto è già stato fatto e altrettanto è in cantiere. Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, confida: «Il problema è tener testa alle tantissime richieste: tutto questo significa che c’è un desiderio comune contrassegnato dalla ricerca di senso». Insomma, da quando il laico "Le Figaro" titolò l’anno scorso «Il Vaticano si invita alla Sorbona» (inaudito negli anni passati, se si pensa alla Francia laicissima), ormai sembra soffiare un’aria nuova tra Chiesa e cultura umanista: Julia Kristeva, Jean Clair, Remo Bodei, Axel Kahn, Giuliano Amato, Jean Luc Marion, Rémi Brague, Jean-Claude Casanova, Enzo Bianchi, Massimo Cacciari, Fabrice Hadjadj. Questi solo alcuni dei nomi che hanno punteggiato il primo anno di vita del Cortile. E altri se ne stagliano all’orizzonte.

Eminenza, tempo fa aveva annunciato il confronto con l’ateismo "popolare", quello alla Michel Onfray per intendersi: a che punto siamo?

«Per ora abbiamo escluso - ma non necessariamente - le due ali "estreme" dell’ateismo lasciando da parte l’ateismo "nazional-popolare", di superficie, caustico e sarcastico, quasi aggressivo. Si tratta di una forma antropologica: i suoi sostenitori sembrano alfieri di un’anti-religione. Su questo dobbiamo operare una riflessione perché è un fenomeno molto diffuso, complesso e con una sua letteratura. Tale movimento si inserisce nel più grande ambito dell’indifferenza: questi autori, se lanciano una battuta forte ("l’illusione di Dio", "l’assurdità della religione") suscitano interesse. Prima o poi affronteremo questa atmosfera nebbiosa che rappresenta il frutto estremo della secolarizzazione».

E gli atei devoti? Alcuni, dal mondo cattolico tradizionale, le rimproverano di escluderli...

«Anche questo è un ambito molto variegato. Degli "atei devoti" non ce ne siamo interessati perché in molti casi i suoi esponenti hanno un’implicanza politica. Da queste persone il tema religioso viene affrontato in maniera apologetica, per cui la religione cristiana costituisce solo un grande valore per l’Occidente. Si tratta di una sottolineatura giusta ma che non rappresenta uno scavo profondo. Questi autori non tengono in conto grandi prospettive di indagine. Si accontentano di ripetere la dottrina, e basta. Comunque è vero che queste "ali estreme" chiedono il dialogo: tra gli atei "nazional-popolari" cito Paolo Flores D’Arcais e Piergiorgio Odifreddi; fra gli "atei devoti" Giuliano Ferrara... Ma fino ad ora l’impostazione del Cortile rientra nell’alveo centrale del confronto tra le grandi visioni di interpretazione della realtà mediante un linguaggio comune: il concetto di cultura. Nelle tappe del Cortile di Bologna, Parigi, Firenze, Tirana si sono affrontate tematiche come la cosmologia, il male, il diritto, la laicità, l’arte».

Quale la ragione d’essere del Cortile?

«Ritornare al modello di evangelizzazione di Paolo: l’Apostolo è stato capace di assumere le categorie del pensiero classico a lui contemporaneo per annunciare il cristianesimo. Come evidenzia Jacques Dupont, l’idea della Chiesa come corpo mistico è mutuata dalla concezione stoica dell’anima mundi. Paolo andava in campo "laico" ad attingere concetti e categorie. Mi emoziono sempre a pensare quanto Agostino ha studiato Platone e Plotino per poterli poi "battezzare"».

Gli atei accettano di esser definiti tali?

«Il termine "ateismo" è obsoleto. Il filosofo non credente messicano Guillermo Hurtado, presente all’incontro di Assisi, sull’“Osservatore romano” ha rilevato come l’ateismo non si autodefinisce nemmeno terminologicamente. Le racconto un dettaglio eloquente. Quando il Papa decise di invitare i non credenti ad Assisi, sorse il problema di come definirli: atei è parola desueta e una categoria illuministica, richiama il marchese de Sade. Agnostici? Ma essi ci dicevano: “Allora voi siete gnostici?”. Infatti il cristianesimo ha rifiutato ogni gnosi. Non credenti? Determina solo in senso negativo. Alla fine è prevalsa, dopo un giro di consultazioni, l’idea di Julia Kristeva: umanisti, un termine accettato sia in ambiente francese che in quello anglofono».

Lei tiene un blog, twitta, usa i social network. Che legame esiste tra il web e il Cortile?

«Stiamo pensando a una plenaria del Pontificio Consiglio dedicata alle culture giovanili, alla secolarizzazione e alle indifferenze su vari campi: la musica (un linguaggio fondamentale), l’amicizia (non più quella della nostra generazione), i raduni corali (i concerti), le spiritualità vaghe dell’Oriente. Su questo mi piacerebbe coinvolgere il filosofo Charles Taylor e lo scrittore Claudio Magris».

Quali i risultati già delineati dopo il primo anno di Cortile?

«L’umanesimo "laico" e la fede sono accomunati da un elemento: il ruolo fondamentale della ricerca. È un tema che troviamo in due classici come l’Apologia di Socrate ("una vita senza ricerca non vale la pena di essere vissuta") e l’incipit delle Confessioni di Sant’Agostino (il "cuore inquieto"). Su questo vorrei spendere una parola, perché spesso i giornalisti obiettano che comunque la Chiesa, con il Cortile, intende convertire chi non crede. Il problema è intendersi: quando un non credente interviene al Cortile non fa solo opera di informazione. Il suo è un intervento anche performativo, che cerca di convincere l’altro della sua posizione. Basti pensare con quanta passione sono intervenuti il genetista Axel Kahn o la scrittrice Julia Kristeva alla Sorbona. Non lo avrebbero fatto così se non pensassero di convincere i presenti delle loro ragioni. Questo non è negativo. E poi un risultato importante del Cortile c’è già...».

Quale?

«Abbiamo contribuito a elevare il tono del dibattito culturale che spesso risulta abbassato fino alla polvere. Diamo così un contributo alla società deponendo alcuni semi che possono crescere e fruttificare. A Firenze, ad esempio, si è parlato di temi alti (arte e fede, ndr) e la gente è rimasta ad ascoltare per ore. Non è vero che la gente si interessa solo di cibo e festini, o che ascolta unicamente il menù del giorno, per citare Kierkegaard».

Cosa le dice il Papa del Cortile? Le ha dato suggerimenti?

«Anzitutto, va evidenziata una cosa: che l’invito ai "non credenti" ad Assisi è un’idea precisa di Benedetto XVI in persona. Fu lui, in una riunione ristretta con quattro cardinali di Curia, a chiedere questa presenza. E mi sorprese la motivazione di tale invito: rinverdire il modello della teologia patristica, cioè riprendere la capacità dei Padri di entrare in dialogo con le categorie della filosofia del proprio tempo. Se si scorre l’indice di Introduzione al cristianesimo del teologo Joseph Ratzinger, si vedono moltissime citazioni di autori "laici" della cultura tedesca».

In che modo il pontefice si interessa al Cortile?

«Ogni volta che incontro Benedetto XVI, ciò di cui si informa subito (e che considera più importante nel mio lavoro) è il Cortile dei gentili. Una volta mi ha detto: "Le sono particolarmente grato perché con il Cortile lei va dove noi, come Chiesa, non potremmo andare". E infatti nelle varie istituzioni in cui mi invitano io vado sempre come cardinale e rappresentante della Santa Sede».

Ci sarà un giorno un evento del Cortile con Benedetto XVI presente?

«Stiamo pensando a un evento del genere. Lui sa fare molto bene il dialogo "a braccio", specialmente con i giovani. Ma anche con un interlocutore. Vediamo. Potrebbe essere all’interno della plenaria dedicata alle culture giovanili, come dialogo con dei ragazzi e ragazze».

Il Cortile e la cattedra dei non credenti di Milano, inventata dal cardinal Martini: più volte le due iniziative sono state accomunate. Paragone corretto?

«C’è una differenza. Nella Cattedra, per la prima volta, un non credente veniva a parlare a dei credenti dalla cattedra, presentando la sua visione su un certo tema; a Martini spettavano le conclusioni. Nel Cortile invece c’è una dimensione di parità, come se ci fossero due cattedre. Ma posso dire che Martini è molto contento di questa iniziativa perché prosegue, seppur in maniera diversa, quella sua intuizione».

Lei ha un sogno personale sul Cortile? Un dialogo che le piacerebbe vivere?

«Non ci ho mai pensato. Però ... beh, sicuramente la partecipazione diretta di Benedetto XVI sarebbe molto bella. Un sogno sul passato sarebbe stato un dibattito con Albert Camus. Oggi invece mi interessano molto le questioni delle nuove comunicazioni: è venuto a incontrarmi il presidente di Google, Eric Schmidt. E penserei a Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook. Ci sono contatti in corso con lo scrittore Mario Vargas Llosa per un dialogo a due: lo farei molto volentieri».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/2/2012 13.36
Titolo:Curiale, italiana, bianca. L’immagine di Chiesa riflessa dai ventidue nuovi card...
Ecco chi sceglie il prossimo Papa

di Marco Politi (il Fatto, 19.02.2012)

Curiale, italiana, bianca. L’immagine di Chiesa riflessa dai ventidue nuovi cardinali, cui Benedetto XVI ha imposto ieri la berretta rossa nel corso di una cerimonia solenne in San Pietro, è talmente occidentale da risultare imbarazzante. Non è questione delle singole persone. Tolti i quattro cardinali ultraottantenni honoris causa fra cui l’insigne studioso di antropologia religiosa, il belga Julien Ries, la mappa degli altri diciotto porporati destinati ad entrare nel futuro conclave è totalmente squilibrata a favore della Chiesa di un tempo: eurocentrica con le sue propaggini nelle Americhe.

Dei diciotto nuovi cardinali 8 sono membri della Curia, 7 italiani e 16 euro-americani. Solo uno è cinese, il vescovo di Hong Kong John Tong Hon, e l’altro è indiano: l’arcivescovo maggiore dei cattolici siro-malabaresi George Alencherry. Difficile dire se l’impostazione sia frutto di una scelta di Benedetto XVI o di pressioni del Segretario di Stato Bertone. Alla fine ha poca importanza. Il risultato è un collegio di elettori del futuro pontefice nel quale gli italiani hanno trenta esponenti, un quarto del totale - quasi rappresentassero trecento milioni di cattolici - e l’Europa ha di nuovo saldamente la maggioranza: sessantasette su centoventi. Quando invece il fulcro del cattolicesimo è ormai nell’America del Sud e in Africa.

Sette anni dopo il suo avvento al trono papale Benedetto XVI costruisce dunque un collegio cardinalizio decisamente in controtendenza rispetto all’universalismo della Chiesa cattolica. Quando si tratterà di scegliere il successore, gli uomini di Curia e gli italiani costituiranno la forza determinante. Curiali ed ex curiali saranno nel futuro conclave ben quarantaquattro.

È il segno di una involuzione generale, che sembra caratterizzare l’attuale pontificato. Il fatto non ha provocato solo stupore e sgomento tra chi teme una fossilizzazione dell’istituzione ecclesiale, ma persino in quel cattolicesimo popolare moderato che ammira la spiritualità di Ratzinger.

Esiste in Italia un blog influente di ammiratori e difensori ad oltranza di Benedetto XVI, che denuncia quotidianamente le cosiddette aggressioni alla Chiesa e al Papa. Si chiama “Il blog degli amici di Papa Ratzinger”. Ecco come la sua animatrice “Raffaella” ha commentato l’elenco dei neoporporati: “Troppi italiani e soprattutto troppi curiali! Sono molto delusa di non vedere porpore assegnate all’America Latina e soprattutto all’Africa, il continente in cui la fede è viva. Perchè non concedere il cardinalato ad arcivescovi meritevoli e far saltare qualche turno alla Curia? ... Non vorrei che passasse il messaggio che per diventare cardinali bisogna passare dalla curia perché sarebbe un ritorno indietro”. C’è un filo che lega i monsignori, che per protestare contro la cattiva gestione mandano all’esterno documenti riservati, e il fortissimo disagio che anima i cattolici delle parrocchie. C’è un filo che lega i gridi di allarme, racchiusi in libri dove si parla di “mal di Chiesa” o del fatto che “manca il respiro”. È il malessere per una direzione di marcia, che non funziona.

I cardinali giunti a Roma da tutto il mondo per una riunione straordinaria sulla “nuova evangelizzazione”, che si è svolta venerdì, sanno che la presenza internazionale della Santa Sede ha drammaticamente perso di peso. Al punto che alcune ambasciate di paesi non cattolici (senza alcuna intenzione polemica) riflettono sull’utilità di conservare una residenza presso il Vaticano.

I cardinali sanno che il dialogo ecumenico e interreligioso ristagna e che l’attenzione dei media internazionali per il Papa e il Vaticano è crollata. Si parla di “nuova evangelizzazione”, ma non si affrontano problemi strutturali come la crescita sistematica delle parrocchie prive di preti. Sotto-traccia si sta verificando anche un salasso dell’impegno delle donne cattoliche negli ordini religiosi. Tra il 2004 e il 2009 vi è stato un calo di ben quarantamila unità nelle congregazioni religiose femminili. Tutto questo non viene affrontato. Prima della sua elezione Joseph Ratzinger aveva delineato una Chiesa non governata “in modo monarchico”. La promessa è stata tradita.

IL COLLEGIO cardinalizio non viene riunito per partecipare realmente alle decisioni strategiche del pontificato. L’effetto è una grande stagnazione. Velata da dibattiti molto generali. Alla riunione cardinalizia di venerdì il neo-cardinale Timothy Dolan di New York ha suscitato applausi esortando a mostrarsi “sicuri sì, trionfalisti mai” e proponendo di “evangelizzare con il sorriso”. Sono intervenuti ventisette cardinali. Si è parlato un po’ di tutto: dalla Cina alla povertà dell’India, dall’America latina alla secolarizzazione in Europa.

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Commenti Articolo 909

Titolo articolo : COMUNICATO STAMPA IN MERITO ALLA MANIFESTAZIONE DEL 19 FEBBRAIO 2012,di Dott. Dachan Mohamed Nour

Ultimo aggiornamento: February/18/2012 - 19:34:15.

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Autore Città Giorno Ora
Maria Pia Di Caro Torino 18/2/2012 19.34
Titolo:
Gli risponde la giornalista ed ecoattivista Marinella Correggia che gli contesta posizioni in Italia diverse da quelle “internazionali del Cns, che varie volte ai partner occidentali e arabi ha chiesto l’intervento armato o almeno la no-fly zone”. Dachan inoltre “non può ignorare che il ‘suo’ Cns ha sempre rifiutato ogni negoziato e ha un patto di collaborazione con i gruppi armati che ricevono armi, soldi e persone dall’estero. Che fanno decapitazioni, attacchi a civili e sabotaggi”.

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Commenti Articolo 910

Titolo articolo : LA LEZIONE DI ENZO PACI E LA SUA RIVISTA "AUT AUT": IL CORAGGIO DELLA FILOSOFIA. Un'intervista a Pier Aldo Rovatti di Antonio Gnoli - con alcuni materiali,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/18/2012 - 12:41:46.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/1/2012 11.14
Titolo:INATTUALITA' DEL PENSIERO DEBOLE.
Un saggio di Rovatti ci mostra perché non possiamo liquidare quelle teorie

Metodo e forza del pensiero debole

Una delle tesi di Freud è che ciascuno viva la realtà attraverso gli occhiali speciali del suo fantasma inconscio che la colora "surrealisticamente"

di Massimo Recalcati (la Repubblica, 05.01.2012)

Quando gli psicoanalisti discutono animosamente tra loro tendono a farlo a colpi di diagnosi. L’avversario non viene solo contestato teoricamente ma viene innanzitutto psichiatrizzato come se fosse un paziente. Nei dibattiti filosofici si discute a colpi di "tesi". L’ultimo caso è quello della critica del "nuovo realismo" nei confronti del "pensiero debole". La colpa del pensiero debole come sottoprodotto dell’ermeneutica sarebbe quella di cancellare il peso oggettivo della realtà esterna, di introdurre al posto di questo peso il carattere aleatorio delle interpretazioni che finisce per fare evaporare la nozione stessa di realtà. Sino ad individuare in questa perdita del riferimento stabile alla Realtà la giustificazione ontologica dei sofismi interpretativi di ogni genere.

In un brillante libretto titolato Inattualità del pensiero debole (Forum, Udine) Pier Aldo Rovatti, che condivide con Gianni Vattimo la paternità del pensiero debole oltre alla cura del volume che nel 1983 ne ha sancito la nascita, prende posizione decisa in difesa della sua creatura.

Due le sue argomentazioni principali. La prima: nessuno ha mai sognato di contestare che se piove piove - era uno degli argomenti "forti" contro i debolisti -, ma nessuno può negare che a) non esiste un fatto in sé che non sia preso in una rete stratificata di significazioni (la pioggia può essere benvenuta o maledetta, può dare luogo a valutazioni meteorologiche o a poesie, ecc.) e, soprattutto, che b) il fatto in sé della pioggia apre inevitabilmente sul "vissuto" singolare di chi lo vive e questo vissuto, che pure è un fatto, non è mai semplice come un fatto! Nondimeno il riferimento di Rovatti a questa dimensione non anima chissà quale irrazionalismo, ma agisce come contrappeso critico nei confronti di quei saperi forti che vorrebbero prescindere dalla dimensione affettiva e interpretativa del soggetto e che invocano la Verità, la Vita, la Realtà, la Storia e il Soggetto stesso come assoluti dogmatici.

Mi chiedo, en passant, quanto la psicoanalisi potrebbe apportare a questo dibattito sull’esistenza nuda e cruda della realtà opposta alla natura artefatta delle interpretazioni. Una scarpa è una scarpa, è un fatto, ma per qualcuno - per esempio per un feticista - non è mai solo una scarpa ma diviene un idolo, un talismano, la condizione stessa che rende possibile il desiderio erotico.

E non si tratta affatto, come sarebbe stolto credere, di situazioni patologiche. Anzi, la psicoanalisi non ci obbliga forse a coniugare il tema dell’esistenza della realtà esterna con quello, ricchissimo di implicazioni etiche, della cosiddetta Normalità? Una delle tesi maggiori di Freud è che ciascuno viva la cosiddetta realtà attraverso gli occhiali speciali del suo fantasma inconscio che la colora "surrealisticamente", ovvero senza alcuna preoccupazione realistica. Ma quando Rovatti evoca la complessità stratificata del vissuto non ha in mente innanzitutto la psicoanalisi, ma una nozione di "esperienza" che eredita da Husserl attraverso la mediazione del suo maestro Enzo Paci.

La seconda argomentazione in difesa del pensiero debole avanzata da Rovatti riguarda invece l’importanza che sin dalla sua origine i debolisti hanno assegnato all’intreccio tra realtà e dispositivi di potere. «L’appello alla Verità e alla Realtà» - scrive Rovatti - «è un appello astratto» se non tiene conto dell’incidenza dei dispositivi del potere. La sfida filosofica del pensiero debole è nei confronti del dogmatismo concettuale che accompagna ogni pensiero dell’assoluto. Per questo Enzo Paci identificava la lotta contro la barbarie nella lotta della ragione filosofica contro ogni pensiero che escludeva la singolarità critica.

Anche nel nome della realtà - una certa psicoanalisi non ha fatto altro che celebrare il culto del "principio di realtà" e ha generato spesso mostri - si possono invocare gli spettri del conformismo e quelli del sacrificio e del terrore. Il riferimento a Foucault è su questo punto cruciale perché riconduce la questione ontologica della verità a quella del potere pensando la storia stessa - come ci ricorda Rovatti - come un "gioco della verità" attraverso i dispositivi organizzati dal potere. Anche tutto l’interesse che nell’ultimo decennio Rovatti ha manifestato verso l’opera di Franco Basaglia e la dimensione della follia si muove proprio in questa direzione: la follia non è un fatto nudo e crudo, non è mai un’evidenza oggettiva - non è una malattia del cervello -, ma è il risultato di pratiche violente di esclusione, di una stigmatizzazione che è innanzitutto storica e sociale.

Questo libretto testimonia come il pensiero debole lungi dall’essere un capitolo minore della storia più recente dell’ermeneutica o del post-modernismo, sia innanzitutto una lezione di metodo: la lotta contro la barbarie è innanzitutto lotta contro la violenza intrinseca nelle fissazioni oggettivistiche della Verità (e della Normalità).
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/1/2012 16.12
Titolo:FOCAULT E LA "STORIA DELLA FOLLIA" .....
Cinquant´anni fa usciva uno dei libri più importanti e più pubblicati del pensatore francese Eppure ancora oggi, nonostante gli studi, le sue lezioni non sono state capite fino in fondo

Nostalgia di Foucault

Follia e potere, così tutti lo citano senza conoscerlo

Il rapporto con lui spesso si è limitato ai convegni e agli omaggi evitando di affrontare i nodi del suo pensiero

di Pier Aldo Rovatti (la Repubblica, 07.01.2012)

Il 1961, poco più di cinquant´anni fa, fu un´annata eccezionale. Esce Folie et déraison di Michel Foucault (ovvero la Storia della follia nell´età classica), il primo dei suoi grandi libri, il capolavoro. Ma escono anche altri libri epocali come I dannati della terra di Frantz Fanon e Asylums di Erving Goffman. Tutto sembra girare attorno alla condizione del malato mentale e alla critica delle istituzioni psichiatriche, e bisognerebbe ricordare anche che nello stesso 1961 Franco Basaglia inizia a Gorizia quella straordinaria avventura che porterà alla chiusura del manicomio di Trieste e alla "legge 180". Ma c´è molto di più, qualcosa come un cambiamento di passo nella consapevolezza culturale, proprio grazie a una riflessione radicale sugli internati e sugli esclusi.

La Storia della follia di Foucault venne subito tradotta in italiano, non scomparve mai dalle librerie, e adesso disponiamo anche (e finalmente) di un´edizione completa, senza tagli né omissioni (sempre per i tipi Bur Rizzoli, a cura di Mario Galzigna). Tuttavia, quest´opera così importante è rimasta marginale, spesso svalutata, perfino dimenticata: non è mai entrata davvero nel dibattito teorico, come se su di essa fosse subito calato una specie di interdetto, che poi si è perpetuato negli anni, al punto che c´è da chiedersi se ancora oggi - quando ormai Foucault è diventato per tutti un "classico" - non ne resti un´ombra consistente.

Gli storici hanno storto il naso. I filosofi hanno il più delle volte fatto spallucce, domandandosi quale fosse il succo teoretico di quelle 500 pur affascinanti pagine. Storia di un "silenzio" (il silenzio sulla follia)? Racconto di come dal "grande internamento" del xvii secolo nasce la moderna psichiatria? Elogio postromantico di alcuni grandi folli (da Hölderlin a Van Gogh ad Artaud), intesi come voci che gridano nel deserto? Non erano cose per palati filosofici né per quegli intellettuali impegnati che avevano da fare con il marxismo umanistico. Neppure nel ´68 la Storia della follia venne presa davvero sul serio. La leggevano soltanto alcuni operatori intelligenti immersi nelle loro pratiche specifiche, e non erano neanche tanti.

Foucault, con il quale Sartre polemizzava, rimase a lungo lo "strutturalista" Foucault, quel provocatore che aveva sentenziato, nelle ultime righe di Le parole e le cose (1966), la "morte dell´uomo". Lentamente, in seguito, cominciarono a circolare le sue parole chiave: archeologia, genealogia, pratiche discorsive. Intanto lui era entrato nel prestigioso Collège de France, e di lì a poco avrebbe fatto capire anche ai sordi che il suo programma teorico aveva di mira essenzialmente il "potere" e l´obiettivo di costruire una inedita "microfisica del potere". L´etichetta di strutturalista sbiadiva così, ridicolmente, dinnanzi a libri come Sorvegliare e punire e La volontà di sapere, per non parlare degli ultimi corsi dedicati alla biopolitica e al "governo di sé e degli altri" (fino all´ultimissimo del 1984 sul Coraggio della verità, appena tradotto).

Foucault è oggi noto e apprezzato in tutto il mondo, ha fornito strumenti di lavoro a una moltitudine di ricercatori. Eppure l´interdetto non sembra del tutto caduto. Ogni volta, all´inizio dei suoi corsi, Foucault ha ricordato, con incredibile chiarezza espositiva, le tappe del proprio itinerario, una linea di ricerca senza salti che va dalla follia alle prigioni, alla sessualità, attraverso un´indagine paziente dei dispositivi sociali, delle pratiche che le fanno funzionare piuttosto che sulle filosofie generali con cui pretendiamo di afferrarne dall´alto le ragioni.
Ecco dove, a mio parere, si è annidato il sospetto. Perché Foucault non ci dice cos´è la follia (cos´è il potere, cos´è la sessualità)? Che bisogno c´è di occuparsi del fatto che il folle sia stato trasformato in un malato mentale? Il malato mentale non è forse una realtà per noi acquisita? E perché mai - qui sta l´essenza del sospetto - la malattia mentale dovrebbe agire come un indicatore così importante da trasformarsi in una posta teorica e politica valida per l´intera società?

Mi dispiace affermarlo con tanta nettezza, ma porsi domande come queste, rivolgerle a Foucault, vuol dire rifiutarsi di entrare nel suo discorso e nel suo stile di pensiero. Significa non mettersi in sintonia neppure con una riga delle migliaia e migliaia che ha scritto, nonostante tutti ormai gli rendano omaggio, nonostante gli innumerevoli commenti e i prestigiosi convegni a lui consacrati. Se ragioniamo con attenzione sulla mancata ricezione della Storia della follia (come in parte ha tentato di fare l´ultimo fascicolo della rivista aut aut, dedicato specificamente a questo nodo), vediamo bene che non ha tutti i torti chi dice che non abbiamo ancora cominciato a "leggere" Foucault.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/2/2012 12.41
Titolo:Aut aut, il respiro della filosofia ...
Storia

La rivista fondata sessant’anni fa da Paci: una vasta impronta interdisciplinare

Aut aut, il respiro della filosofia

"Come interlocutore costante il marxismo, si aprì all’esistenzialismo, alle scuole anglosassoni, alla fenomenologia
Primo segretario fu Gillo Dorfles, costante sarà l’attenzione per la psicoanalisi"

Pier Aldo Rovatti (a cura di) IL CORAGGIO DELLA FILOSOFIA. AUT AUT 1951-2011 Il Saggiatore, pp.533, 25

di Gianni Vattimo (La Stampa-TuttoLibri 18.2.12)

Non conosciamo quasi nessun volume dello stesso genere paragonabile, per valore intrinseco e utilità culturale (non solo specialistica) simile a quello che da qualche settimana è stato pubblicato, a cura di Pier Aldo Rovatti, con il titolo Il coraggio della filosofia. Aut aut 1951-2011. Come si sarà capito, è la storia della rivista filosofica nata sessant’anni fa per iniziativa di Enzo Paci, allora professore di filosofia a Milano, che ha continuato a vivere anche dopo la scomparsa del suo fondatore ad opera di un gruppo tra i più interessanti dei giovani filosofi italiani sotto la direzione appunto di Pier Aldo Rovatti.

Il carattere relativamente straordinario di questo volume è anzitutto di essere bensì nato da un intento commemorativo-celebrativo, trasformandosi però in una specie di enciclopedia del pensiero filosofico italiano ed europeo degli ultimi sei decenni. Lo sottolineiamo perché può capitare che un libro simile venga accolto con benevola ma poco impegnata attenzione: una sorta di omaggio dovuto sia alla memoria del fondatore sia all’impegno con cui, nel corso di più di mezzo secolo, li autori vi hanno collaborato.

In fondo, i lettori di Aut aut - che sono rimasti numerosi e costantemente aumentati in questi anni - ritrovano qui una antologia di cose che avevano già letto. Eppure rileggere tanti testi - da quello inaugurale e molto denso con cui Paci iniziava il lavoro della rivista, ai tanti che gli sono succeduti niente affatto caratterizzati da una appartenenza di scuola, è come un ripercorrimento - critico e ancora «inventivo» - della storia del pensiero di una buona metà del secolo passato. Non solo della filosofia, e non solo italiana.

Quando Aut aut comincia le sue pubblicazioni, la cultura italiana è appena uscita dalla lunga parentesi del fascismo e vive anche sul piano politico il clima della ricostruzione, con l’entrata in scena di molte correnti di pensiero che erano rimaste silenti o relativamente ignorate negli anni precedenti: non solo l’esistenzialismo, ma le scuole anglosassoni (filosofia del linguaggio, neopositivismo) e poi, a partire soprattutto dagli anni Sessanta, la fenomenologia.

Un orientamento che ha costitutivamente il «vantaggio», rispetto ad altre linee di pensiero, di aprire la filosofia a una vasta gamma di rapporti interdisciplinari: il primo segretario di redazione di Aut aut, leggiamo nella nota iniziale di Rovatti, fu Gillo Dorfles, un filosofo che era, ed è tutt’oggi, anche un grande critico d’arte. Con Paci lavorò pure il musicologo Luigi Rognoni, e costante fu l’attenzione per la critica letteraria (nella raccolta attuale figura un importante saggio di Fortini) e per la psicoanalisi.

Il libro è scandito in decenni, e l’articolazione stessa mostra la connessione del lavoro filosofico con gli eventi della società italiana. I due blocchi più caratteristici della storia della rivista paiono essere quelli degli anni Sessanta e degli anni Settanta: il primo, centrato intorno alla «scoperta» del rapporto tra marxismo e fenomenologia (marcato dall’incontro con La crisi delle scienze europee di Husserl, che nell’antologia si conclude con un importante saggio di Paci sui movimenti studenteschi del Sessantotto) e il secondo messo sotto la categoria dei «bisogni», dove compaiono Agnes Heller, Toni Negri, Cacciari.

Il marxismo rimane un interlocutore costante della rivista (che va considerata anche, al di là dei singoli contributi personali in articoli e libri, il vero grande lavoro filosofico del suo direttore, Rovatti) ; ma via via entrano in gioco altre voci, non solo l’ermeneutica ovviamente, anch’essa legata alla tradizione fenomenologica, ma più tardi Foucault, Deleuze, Derrida.

Un curioso piccolo articolo di Hans Blumenberg (ripreso da un giornale tedesco del 1987: L’Essere, un MacGuffin) sembra voler prendere le distanze dal primo grande allievo di Husserl, Martin Heidegger. Verso il quale, tuttavia, non ci fu mai alcun ostracismo, in Aut aut, piuttosto una sorta di cauta osmosi che dura anche oggi e che contribuisce a fare della rivista un punto di riferimento indispensabile, non solo italiano, di ogni pensiero militante.

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Commenti Articolo 911

Titolo articolo : CONCISTORO, 2012: BENEDETTO XVI METTE IL SUO MARCHIO SUL PROSSIMO CONCLAVE, CON LA NOMINA DI 22 CARDINALI. Una nota di Stefanie Le Bars e una di Giacomo Galeazzi -,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/16/2012 - 21:21:15.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/1/2012 13.46
Titolo:IN PRINCIPIO ERA LA PAROLA: GRATUITA' (CHARITAS). La lezione di Don Luisito Bia...
RIPRENDERE LA PAROLA. --- IN PRINCIPIO ERA LA GRATUITA’ ("CHARITAS").

La lezione di Don Luisito Bianchi: «Come posso restare coerente nell’annunciare la gratuità del Vangelo, se in cambio, proprio per la mia funzione di prete, ricevo del denaro?»



Don Luisito Bianchi, prete e scrittore operaio

di Roberto Carnero (Il Sole 24 Ore, 8 gennaio 2012)

Con la scomparsa di don Luisito Bianchi, avvenuta il 5 gennaio, abbiamo perso non solo uno scrittore, uno dei più originali degli ultimi decenni, ma anche il testimone scomodo di un radicalismo evangelico profetico e mai accomodante. Nella sua vita Luisito Bianchi ha fatto l’insegnante, il traduttore, l’operaio, il benzinaio, l’inserviente in ospedale. Nato a Vescovato, in provincia di Cremona, nel 1927, sacerdote cattolico dal 1950, il grande pubblico l’ha conosciuto a partire dal 2003, quando Sironi editore ripubblicò La messa dell’uomo disarmato, un ampio, suggestivo romanzo sulla Resistenza, uscito per la prima volta nel 1989 in un’edizione autoprodotta. Di quel periodo, l’autore non offriva soltanto una lettura storiografica. C’era una dimensione filosofica e religiosa (una religione civile, oltre che trascendente) che faceva della Resistenza una categoria quasi esistenziale.

Nel 2005 sempre Sironi manda in libreria una nuova edizione di un suo libro del 1972, dal titolo Come un atomo sulla bilancia, il racconto, alternato alla riflessione, dell’esperienza vissuta da don Luisito, a cavallo tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta, come prete operaio. In occasione dell’uscita di quel libro, lo incontrai presso l’abbazia trecentesca di Viboldone (una manciata di chilometri da Milano), dove da alcuni anni prestava la funzione di cappellano presso la comunità delle suore benedettine. Parlammo della sua vita, del suo amore per la scrittura, della sua idea di Chiesa. Parlava lentamente, a voce bassa, di tanto in tanto socchiudendo gli occhi. Ma le sue parole erano molto precise.

Don Luisito non risparmiava le critiche ai modi con cui l’istituzione ecclesiastica ha organizzato la propria vita. Tuttavia ci teneva a ribadire il suo amore per la Chiesa: «Amo questa Chiesa perché è lei che mi ha trasmesso Cristo. Ed è nella Chiesa che ho sentito parlare di un Dio che sceglie di perdere ogni potere, preferendo la povertà. Di fronte a certi atteggiamenti della Chiesa mi viene da chiedermi: è possibile che si cerchi il potere per affermare la parola di colui che ha rifiutato il potere?».

Uno dei concetti su cui insisteva maggiormente era quello della "gratuità". Nel 1968 si chiedeva: «Come posso restare coerente nell’annunciare la gratuità del Vangelo, se in cambio, proprio per la mia funzione di prete, ricevo del denaro?». È da questa riflessione che scaturì in lui la decisione di diventare operaio. Così entrò in fabbrica (alla Montecatini di Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria), per condividere tutto con i colleghi: salario, turni di lavoro, amicizie. Per tre anni registrale sue giornate in alcuni taccuini. Nel 2008 pubblica da Sironi I miei amici. Diari (1968- 1970), in cui rievoca quell’esperienza. Il suo ultimo libro, uscito due anni fa sempre presso Sironi, si intitola Le quattro stagioni di un vecchio lunario. Quasi un testamento spirituale, incentrato su una sorta di ritorno alle origini: una ricostruzione dell’infanzia e della giovinezza, alle radici della propria vocazione di uomo e di scrittore.

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Don Luisito, che lavorava per gli ultimi

di Remo Bassini (il Fatto Quotidiano, 7 gennaio 2012)

Quando Gesù si è fatto uccidere in croce non l’ha fatto in cambio di uno stipendio” diceva spesso, con voce flebile ma ferma, don Luisito Bianchi , cappellano di Viboldone, prete scomodo, scrittore, morto giovedì scorso a Melegnano (Milano). Aveva 84 anni. Era un prete che predicava bene - la gratuità come essenza del vivere cristiano - e razzolava bene, tant’è che ha sempre rifiutato lo stipendio “da prete”. La Chiesa istituzione lo ha sopportato: con una smorfia di disprezzo, ignorandolo.

Non c’erano mai preti, o se c’erano, erano preti isolati come lui, quando presentava i suoi libri. Quando diceva “se fossi Papa brucerei il Vaticano , affinché rifulga la luce di Cristo. E donerei ai poveri, a chi soffre, agli zingari, ai perseguitati”, la Chiesa istituzione faceva finta di niente. Anche perché, si sapeva, don Luisito, mite e timido, rifuggiva telecamere e notorietà. La sua vita da prete l’ha vissuta ascoltando gli insegnamenti del Vangelo. Dietro le quinte, insomma, tra gli ultimi.

ORDINATO sacerdote nel 1950, negli anni Sessanta, dopo un’esperienza romana alla Pastorale del lavoro, si domanda: “Cosa ho imparato? Io, veramente, che so del lavoro?”. A trent’anni decide così di andare a lavorare in fabbrica, alla Montecatini di Spinetta Marengo (Alessandria), esperienza che racconterà in alcuni suoi libri e che lo segnerà per sempre: rifiuterà infatti l’etichetta di prete operaio. In fabbrica, spiegherà don Luisito, un prete non serve, perché le virtù teologali, Fede, Speranza e Carità, sono già parte del lavoro duro, da operaio. Se un intellettuale si sente a corto di argomenti, dirà anche, vada in fabbrica: lì, il terreno è fertile.

NEL 2003, don Luisito diventa noto nell’ambiente editoriale. La piccola casa editrice Sironi pubblica La messa dell’uomo disarmato ed è subito un successo: di vendite e critiche. Tanti gridano al capolavoro. Un libro sulla resistenza, ma anche sulla gratuità: dei partigiani che morirono per un’idea, per la libertà, solo per quella.

I proventi del libro, comunque, don Luisito li dona ai missionari: a lui, che vive tra Vescovato, suo paese natale, e Viboldone, dove è cappellano, bastano 600 euro di pensione, frutto dei contributi versati come operaio, inserviente, benzinaio, insegnante. Era un mite, ma insieme all’amore per il prossimo insegnava la ribellione.

“Uno schiavo ai tempi di Gesù - ha scritto don Luisito - veniva colpito al volto dal suo padrone con il dorso della mano, perché quest’ultimo non avesse a sporcarsi le mani. La guancia colpita era dunque la guancia destra. Porgere l’altra guancia, cioè la sinistra, a quel tempo significava costringere il padrone a colpire col palmo della mano e, quindi, a sporcarsi le mani, cosa che un padrone non avrebbe mai fatto. Quindi il voltare il viso dall’altra parte per porgere la guancia opposta era un modo per impedire al padrone di colpire ancora, era un modo per interrompere il sistema, per costringere il potente a fermarsi”. Sussurrava, ma aveva una grande voce, don Luisito Bianchi...
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/1/2012 10.21
Titolo:Il potere di Bertone e la fronda dei vescovi
Il potere di Bertone e la fronda dei vescovi

La crescita numerica dei cardinali italiani decisa all’ultimo Concistoro non è destinata a pesare più di tanto sul prossimo Conclave. E la vittoria del segretario di Stato Tarcisio Bertone insieme con la Curia sta provocando una scia di polemiche velenose. Il cardinale è accusato di avere monopolizzato il potere finanziario del Vaticano.
Sullo sfondo, l’uscita di scena della cordata bertoniana dal San Raffaele e i contrasti con la Conferenza episcopale italiana.

di Massimo Franco (Corriere della Sera, 12 gennaio 2012)

L’idea di un «partito italiano» destinato a contare di più nel prossimo Conclave è suggestiva ma forse un po’ azzardata. L’aumento numerico dei cardinali tricolori (30 su 120) prodotto dal Concistoro dell’Epifania ha lasciato dietro di sé una scia di frustrazioni e di veleni che contraddicono l’impressione iniziale. Fra Vaticano e Cei, uno dei pochi giudizi unanimi riguarda la realtà di un episcopato dell’Italia diviso, senza un leader; e incapace di imporre un proprio candidato se il problema della successione a Benedetto XVI dovesse aprirsi in tempi brevi. Dopo i sette «cappelli» cardinalizi su diciotto distribuiti ad italiani il 6 gennaio, l’unica novità vistosa è l’ennesima vittoria della Curia romana.

Soprattutto, si indovina la rivincita del segretario di Stato, Tarcisio Bertone, sul vertice dei vescovi e sui propri avversari. Intanto, la troika che controlla l’economia e le finanze vaticane è sua. Domenico Calcagno, presidente dell’Apsa, amministra il patrimonio della Santa Sede; Giuseppe Versaldi è presidente della Prefettura degli affari economici; e Giuseppe Bertello presiede il Governatorato: tre neo-cardinali suoi fedelissimi. Ma proprio da qui, le valutazioni comuni diventano analisi in qualche caso demolitorie di quanto è successo. È come se esistessero due poteri, in urto e quasi impermeabili l’uno all’altro: quello del Segretario di stato e quello di chi lo detesta. Con Benedetto XVI in alto, molto in alto rispetto a queste beghe.

Eppure, il risultato del conflitto ormai pluriennale nelle gerarchie cattoliche italiane è una difficoltà che si scarica sul governo della Chiesa; e che nemmeno il pontefice è riuscito a placare del tutto, nonostante i richiami e gli ammonimenti, pubblici e privati. L’ultimo Concistoro è diventato una sorta di controprova dell’impossibilità di una tregua duratura. Gli avversari di Bertone dicono che i nomi dei nuovi cardinali italiani sono frutto di una forzatura: un gesto di potere per monopolizzare una roccaforte strategica della Curia come i «ministeri economici», eliminando qualunque contrappeso; un passo indietro rispetto alla globalizzazione dell’episcopato; e un’arbitraria promozione dei «suoi».

Si parla di cardinali «imbufaliti» per l’operazione bertoniana. È circolata perfino la voce secondo la quale alcune eminenze di peso vorrebbero mandare una mozione riservata al papa per chiedere che Bertone sia sostituito. L’intenzione sarebbe quella di proteggere Benedetto XVI dalla «prepotenza» del suo collaboratore. In realtà, un tentativo del genere fu già fatto in passato, inutilmente. Il rapporto fra il pontefice e il «primo ministro» vaticano è consolidato e indiscusso. E gli uomini più vicini al segretario di Stato presentano il Concistoro come una sorta di atto conclusivo del rinnovamento della Curia: «In piena sintonia con Benedetto XVI», precisano. Sostengono che il prossimo Conclave è un convitato di pietra usato strumentalmente. E confutano la tesi di un Bertone che promuove chi può assecondare le sue ambizioni future.

L’idea che i cardinali ubbidiscano a chi li ha aiutati è effettivamente tutta da dimostrare. E finora, fra i «papabili» Bertone non appare mai. Una delle critiche più frequenti che gli vengono rivolte, tuttavia, è di avere provocato una mutazione del ruolo di segretario di Stato, facendolo diventare una sorta di «vice-papa». Il fenomeno si era già notato col predecessore, Angelo Sodano, negli anni della malattia di Giovanni Paolo II. Si ripete ora, al settimo anno di pontificato dell’ottantaquattrenne Joseph Ratzinger. Ma, per quanto contestata, è un’evoluzione o involuzione del ruolo considerata quasi inevitabile. Fotografa rapporti di forza che nessuno è riuscito a scalfire.E i «bertoniani» non escludono a priori che il segretario di Stato possa succedere a Benedetto XVI: sebbene lo giudichino improbabile.

In quanto Camerlengo, ricordano, amministrerebbe la sede vacante in caso di morte del papa. Aggiungono che è ben visto in Spagna e Sud America ed ha un curriculum sia curiale che «pastorale», come ex arcivescovo di Genova. Ma la sola ipotesi fa inorridire gli avversari. Per il modo in cui si muove, Bertone non riscuote grandi applausi. I sostenitori attribuiscono l’ostilità che si tira addosso al fatto che sarebbe il parafulmine degli attacchi al papa; che non ha «immagine»; e che sta riformando in profondità la Curia. Gli avversari più severi lo bollano invece come uno dei peggiori segretari di Stato che il Vaticano abbia avuto. Lo accusano di provincialismo, e di avere abbassato il profilo e l’agenda internazionale della Chiesa cattolica.

Il fatto che all’ultimo concistoro non sia emerso nessun cardinale africano o sudamericano (tranne il brasiliano di Curia, Joio Braz de Aviz), è portato a conferma di questa analisi. La stessa Oceania, forse, si aspettava un riconoscimento, dopo il successo della Giornata mondiale della gioventù nel 2008 a Sidney, in Australia. E la mancata promozione dell’arcivescovo di Bruxelles, André-Joseph Leonard, è vista dai critici come un errore di sottovalutazione della capitale belga: sia perché ospita la Commissione Ue, sia per gli scandali sulla pedofilia che hanno colpito quell’episcopato. È difficile dire quanto pesino su giudizi così duri la delusione degli esclusi, o i contrasti per il primato in Italia fra Cei e Bertone.

È stato notato maliziosamente che Versaldi era il candidato del segretario di Stato per la sede di Torino. La Cei gli ha preferito un altro. Ma Bertone lo ha portato in Curia e l’ha fatto diventare cardinale: prima dell’attuale arcivescovo di Torino. Non solo. A prima vista, l’esito del Concistoro bilancia la sconfitta del segretario di Stato per la nomina di Angelo Scola a Milano: l’ex Patriarca di Venezia era infatti osteggiato da Bertone. Ma il versante più scivoloso, per lui, rischia di diventare quello del potere economico all’interno della Chiesa: da tempo un motivo di sarcasmi e di poco pie stilettate. L’ultimo episodio è stato la scelta di affidare allo Ior, la banca vaticana, il salvataggio dell’ospedale San Raffaele di don Luigi Verzé: una vicenda vissuta fin dall’inizio con perplessità.

Quando nei giorni scorsi la cordata vaticana si è sfilata da un intrico costosissimo e dai contorni inquietanti, a molti è parso di essere riemersi da un potenziale incubo; e allo stesso Bertone, sebbene avesse appoggiato l’operazione. L’opzione di abbandonare l’impresa è stata suggerita al papa dal cardinale Attilio Nicora, che da alcuni mesi presiede l’authority sull’attività finanziaria degli enti del Vaticano. Ma promette di avere una coda di polemiche, con il segretario di Stato nell’occhio del ciclone. «Meno male che ne siamo usciti», avrebbe detto qualche giorno fa un cardinale tedesco. «Altrimenti, se mi avessero chiesto soldi per l’obolo di San Pietro, avrei risposto: "Perché non vendete il San Raffaele?"...»
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/2/2012 21.21
Titolo:La Chiesa è multiculturale?
La Chiesa è multiculturale? Un punto di vista indiano

di Michael Amaladoss SJ

in “popoli” del 14 febbraio 2012


Tra i 22 nuovi cardinali che riceveranno da Benedetto XVI la berretta il 18 febbraio, dieci hanno incarichi nella Curia romana. Il gruppo più numeroso sono gli italiani (7). Solo tre non sono europei o nordamericani. Il prossimo concistoro, perciò, non pare riflettere il peso demografico sempre più importante che ha il Sud del mondo nella Chiesa cattolica. La recente riflessione del gesuita Michael Amaladoss, noto teologo indiano, apparsa sulla rivista dei gesuiti Jivan, è dedicata al rapporto tra Chiesa e multiculturalismo.

Una delle questioni poste dalla globalizzazione è il rischio della proiezione e imposizione a tutti, attraverso i media e il mercato, di un’unica cultura consumistica, quella nordamericana. Essa coinvolge i media, la tecnologia, le comunicazioni, il modo di vestire e nutrirsi. Influisce meno su elementi culturali più profondi come la lingua, gli atteggiamenti, la letteratura e il modo di vivere, pensare e relazionarsi. A questi livelli le culture tendono a difendersi, a volte anche con violenza. Tuttavia, se la Mecca della globalizzazione, gli Usa, non sono diventati monoculturali, è difficile che possano riuscire a imporsi del tutto sulle culture di altri Paesi.

Il nostro è ancora un mondo multiculturale. Mi ha sorpreso sentire affermare questo, di recente, dalla Conferenza episcopale francese. I francesi sono normalmente considerati nazionalisti riguardo alla propria cultura. Tuttavia, in una dichiarazione dei vescovi dello scorso 3 ottobre, si parla di «fine di una certa omogeneità culturale delle società [occidentali]», dovuta alle ondate migratorie.

L’omogeneizzazione culturale resta una tentazione, non solo a livello globale, ma anche locale. In India esiste una cultura dominante che cerca di rendere subalterne tutte le altre, dai dalit ai popoli indigeni, ma anche altrove alcuni cercano di affermare che l’unità di una nazione dipende dall’unità della sua cultura o addirittura vorrebbero l’omogeneità religiosa.

Quindi, difendere il multiculturalismo e il pluralismo religioso è un dovere costante e necessario e siamo lieti che la Costituzione indiana difenda entrambi, anche con misure speciali per la tutela delle minoranze.

Ma c’è un ambito di questa omogeneizzazione globale che solitamente ignoriamo: la Chiesa, un’istituzione che spesso nella storia ha sostenuto di imporre la propria cultura nel nome di Dio. Secondo teologi come Karl Rahner, il Concilio Vaticano II ha reso la Chiesa consapevole di essere una Chiesa globale. Ha promosso l’inculturazione in vari ambiti. In quello della liturgia, ad esempio, l’unico criterio proposto è stato quello della «piena, consapevole e attiva partecipazione» dei fedeli. Si è affermato che si può cambiare tutto tranne ciò che è stato istituito divinamente ed è stato promosso l’emergere di nuovi riti.

Ciò nonostante, e nonostante l’esistenza di tante piccole Chiese orientali, la Chiesa latina ha dominato nella storia recente e anche recentemente la Chiesa ha difeso con forza l’unità del rito latino. La controversia sul Messale in inglese ne è un esempio: è stata imposta una traduzione del testo latino più letterale della versione precedente, nonostante le obiezioni di vescovi ed esperti. Le persone non possono pregare creativamente nella propria lingua, se non in privato. Ciò accade per tutte le lingue del mondo, che devono tradurre il testo latino in modo letterale e ottenere l’approvazione del Vaticano. Il multiculturalismo, raccomandato per il mondo, non sembra essere rispettato nella Chiesa.

Non mi ha quindi sorpreso leggere un recente articolo di Sandro Magister sul sito dell’Espresso. Alla domanda se con Benedetto XVI la curia romana non stia diventando «troppo» italiana, risponde: «Lo storico della Chiesa Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, anch’essa con fama progressista, ha difeso una simile evoluzione. Ha più volte spiegato che la Santa Sede non può uniformarsi a una qualsiasi grande organizzazione internazionale [...], non può divenire una specie di Onu, perché fa parte della Chiesa romana e deve intrattenere con quest’ultima un legame ecclesiale, umano e culturale particolare». Non è certo un problema, naturalmente, che la Chiesa romana voglia restare romana. Ma allora non dovrebbe cercare di imporre la sua identità sulla Chiesa universale e multiculturale. Quanti dei documenti della Chiesa mostrano più preoccupazione per i problemi culturali di Europa e America che del resto del mondo?

È ormai evidente che da un punto di vista demografico il centro di gravità della Chiesa si sta spostando verso Sud, ma non è così a livello culturale. Lo notiamo anche nelle congregazioni religiose «internazionali», in cui cresce di molto la componente indiana. Un indiano può anche essere eletto Superiore generale della propria congregazione, ma nei capitoli generali i pochi europei e americani rimasti svolgono un ruolo preponderante, forse anche perché facilitati dall’uso della lingua, solitamente inglese, francese o italiano. I documenti che producono sono incentrati su questioni europee e americane.

E i gesuiti? Da diversi anni ci si chiede: che cosa accadrà ai gesuiti con l’ingresso di sempre più persone provenienti dal Sud del mondo? Non saprei dire se questa domanda contenga un elemento di paura. Le nostre Congregazioni generali sono state ampiamente multiculturali, ma alcuni sviluppi e atteggiamenti destano qualche preoccupazione. A Roma abbiamo alcune istituzioni internazionali. Ma sono davvero multiculturali?

Alcuni anni fa, quando si cercavano nuove persone da dedicare a questi istituti, non si scelse fra i teologi che avevano esperienze di insegnamento e riflessione teologica in India, e che potessero quindi portare il contributo indiano in un’istituzione con sede a Roma. Si scelsero invece giovani scolastici che furono portati a Roma per essere formati nella teologia romana, preferibilmente in italiano, per poi continuare a insegnare lì. Questo è multiculturalismo o globalizzazione omogeneizzante?

Ancora: ai nostri teologi, che magari già conoscono due lingue dell’India oltre all’inglese, si chiede che imparino altre due o tre lingue europee. Ma ai teologi occidentali che insegnano in un’istituzione multiculturale si richiede di imparare lingue asiatiche o africane? E se anche non conoscono queste lingue, possiamo almeno aspettarci che abbiano familiarità con le teologie e le culture del Sud del mondo, considerato anche l’alto numero di studenti che provengono da quei continenti?

Nel 2010 in Messico, il Padre generale dei gesuiti, Adolfo Nicolás, ha fatto un’osservazione stimolante durante un incontro internazionale sull’istruzione superiore: «Mi colpisce il fatto che nella Compagnia abbiamo problemi con la formazione. Da circa vent’anni registriamo vocazioni da nuovi gruppi: aborigeni, dalit in India e altre comunità marginali. Le abbiamo accolte con gioia perché ci siamo mossi verso i poveri e i poveri si sono uniti a noi. Questa è una meravigliosa forma di dialogo. Ma ci siamo anche sentiti un po’ incapaci: come formiamo queste persone? Pensiamo che non abbiano sufficiente istruzione alle spalle e quindi offriamo loro uno o due anni di studi in più. Non credo che sia la risposta giusta. Credo che la risposta giusta sia quella di chiederci: da dove vengono? Qual è la loro formazione culturale? Quale visione della realtà ci portano? Noi dobbiamo accompagnarli in un modo diverso. Ma per farlo ci serve un enorme sforzo di immaginazione e creatività, un’apertura verso altri modi di essere, sentire, relazionarci».

In altre parole, quando diventeremo davvero multiculturali nel mondo, nella Chiesa e nella Compagnia di Gesù?

Michael Amaladoss SJ
Gesuita, tra i più noti teologi indiani,
è direttore dell’Institute for Dialogue with
Cultures and Religions a Chennai.

© FCSF - Popoli

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Commenti Articolo 912

Titolo articolo : PAPA RATZINGER GUIDA CON GRANDE DETERMINAZIONE IL "PARTITO DELL'AMORE" ALLA SUA AUTODISTRUZIONE. UN OTTIMO LAVORO: "IL VATICANO DELLE LAVANDAIE". Una nota di Aldo Maria Valli - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/16/2012 - 09:01:31.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/2/2012 15.22
Titolo:Bettazzi: il Papa può dimettersi. Dietro la teoria del complotto contro Benedett...
Bettazzi: il Papa può dimettersi. Il Vaticano: siamo sotto attacco.


di Roberto Monteforte (l'Unità, 14 febbraio 2012)


Il Papa si vuole dimettere. Dietro la teoria del complotto contro Benedetto XVI ci sarebbe l’intenzione di preparare l’opinione pubblica alle sue dimissioni a cui lo stesso papa Ratzinger starebbe pensando. La pensa così monsignor Luigi Bettazzi, padre conciliare e vescovo emerito di Ivrea che dai microfoni del programma di Radio2 Un Giorno da Pecora (interviste provocatorie) ha avanzato la sua teoria.

Ai due conduttori, Sabelli Fioretti e Lauro, che gli chiedono un giudizio sulla teoria del complotto per uccidere papa Ratzinger svelato dal Fatto Quotidiano, risponde: «No, non credo. Fosse stato il Papa precedente lo capirei, ma questo Papa - aggiunge - qui mi sembra così mite, religioso. Non troverei i motivi per attentarlo».

Alla domanda su cosa abbia pensato quando è venuta fuori la notizia del complotto, arriva l’originale risposta di monsignor Bettazzi: «Penso ad un cosa per preparare l’eventualità delle dimissioni. Per preparare questo choc, perché - spiega - le dimissioni di un Papa sarebbero un choc, cominciano a buttare lì la cosa del complotto».

Ma - gli chiedono - papa Ratzinger vorrebbe dimettersi? «Io credo di sì - risponde - anche se l’hanno smentito. Un vecchio cardinale, però, mi diceva sempre: se il Vaticano smentisce vuol dire che è vero...».


L’anziano vescovo emerito di Ivrea, quindi, spiega quali sarebbero a suo avviso le ragioni di questa determinazione di papa Benedetto XVI: «Penso che si senta molto stanco, basta vederlo, è un uno abituato agli studi». «E di fronte ai problemi che ci sono, forse anche di fronte alle tensioni che ci sono all’interno della Curia - conclude - potrebbe pensare che di queste cose se ne occuperà il nuovo Papa».

Oltretevere non si commentano le parole di monsignor Bettazzi. Ci si limita a definire piuttosto ardita, addirittura «bizzarra», la sua teoria delle dimissioni del Papa di cui non si capirebbe il nesso
con i fatti di questi giorni e con l’ipotesi del «complotto», ritenuta una «farneticazione».

La possibilità di dimissioni l’ ha riconosciuta lo stesso Benedetto XVI nel suo libro autobiografico Luce del mondo. Ma in astratto. Qualora lo stesso pontefice si rendesse conto di non essere più nelle
condizioni di governare bene la Chiesa. Non vi sarebbe nessun rapporto con la situazione che vive oggi in Vaticano. Anche se quelli attuali non sono certo momenti facili.

La fuga dei documenti è segno evidente dello scontro interno. Lo riconosce anche padre Federico Lombardi che dai microfoni di Radio Vaticana invita a «tenere tutti i nervi saldi perché nessuno si può stupire di nulla». Denuncia un «duro attacco contro la Chiesa».
«L’amministrazione americana ha avuto Wikileaks, il Vaticano ha ora i suoi leaks, le sue fughe di documenti che tendono a creare confusione e sconcerto e a facilitare una messa in cattiva luce del Vaticano e della Chiesa».

I LEAKS OLTRETEVERE

Il direttore di Radio Vaticana invita i media a fare «uso della ragione» e a saper distinguere. «Mettere tutto insieme - osserva - giova a creare confusione». Una cosa sono i documenti sulla
gestione economica vaticana, cosa diversa e «farneticante» è la storia del complotto contro il Papa.

«C’è qualcosa di triste - ammette - nel fatto che vengano passati slealmente documenti dall’interno all’esterno in modo da creare confusione. La responsabilità c’è dall’una e dall’altra parte. Anzitutto da parte di chi fornisce questo tipo di documenti, ma anche di chi si dà da fare per usarli per scopi che non sono certo l’amore puro della verità».

Lombardi insiste sull’impegno serio della Santa Sede «nel garantire una vera trasparenza del funzionamento delle istituzioni vaticane anche dal punto di vista economico». Come contro la pedofilia. Vede nella recente campagna di stampa un tentativo di «screditare questo impegno» e «ciò - assicura- costituisce una ragione di più per perseguirlo con decisione senza lasciarsi impressionare».

Ma le carte riservate fatte uscire dal Vaticano non sono segno di una lotta di potere? PadreLombardi respinge questa lettura. L’attribuisce alla «rozzezza morale di chi la provoca e di chi la fa, che spesso non è capace di vedere altro». Le vere preoccupazioni di chi porta responsabilità nella Chiesa-assicura - sono i problemi gravi dell’umanità».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/2/2012 09.01
Titolo:Il card. Piacenza e la cordata anti-Bertone
Il card. Piacenza e la cordata anti-Bertone

di Marco Politi

in “il Fatto Quotidiano” del 16 febbraio 2012


L’uomo pronto a prender il posto del cardinale Tarcisio Bertone come Segretario di Stato ha la sua scrivania in piazza Pio XII nr. 3, praticamente di fronte al sagrato di San Pietro. Non muove un dito,
non complotta. Sta lì e si presenta come un fedelissimo di papa Ratzinger, dottrinalmente sicuro a prova di bomba e in più... efficiente. Si chiama Mauro Piacenza, prefetto della Congregazione per il Clero. Un grande organismo come Santa Romana Chiesa, che raggruppa oltre un miliardo di fedeli, è una struttura che come tutte segue un suo istinto di sopravvivenza. Nelle crisi si manifesta sempre uno zoccolo duro di “servitori dell’istituzione”, che si pongono il problema dell’alternativa. Di chi mettere al timone se sulla plancia di comando si verificano disfunzioni.

Dinanzi all’evidente crisi della gestione Bertone molti guardano al cardinale Piacenza.

Se anche Benedetto XVI – con qualche pensiero ai veleni nella Curia – afferma all’udienza generale, che “Gesù chiede al Padre di perdonare coloro che lo stanno crocifiggendo (e) ci invita al
difficile gesto di pregare anche per coloro che ci fanno torto, ci hanno danneggiato, sapendo perdonare sempre”, in Vaticano molti si domandano per quanto tempo si possa ancora andare avanti così.


Bertone compirà quest’anno 78 anni, l’età in cui il suo predecessore Angelo Sodano lasciò la guida della Segreteria di Stato. Se a un pontefice è concesso invecchiare e avanzare nell’ottantina
(Ratzinger ne compie 85 tra poche settimane), un Segretario di Stato ha il dovere di non essere troppo anziano e di mantenere una sua giovanile energia.

Piacenza ha l’età giusta per i gusti curiali: 67 anni. Nato a Genova, fa parte di quella squadra ligure che negli ultimi anni si è fatta sempre più spazio ai vertici della Santa Sede e della Chiesa italiana: dal viceministro degli Esteri vaticano, mons. Ettore
Balestrero, al neo nominato patriarca di Venezia mons. Francesco Moraglia.

Piacenza, sotto Giovanni Paolo II, è stato presidente della pontificia commissione per i Beni culturali e della
commissione di Archeologia sacra. Ma il percorso di carriera che lo avvicina a Benedetto XVI è quello compiuto nell’influente Congregazione per il Clero. Nominato sottosegretario del “ministero
dei preti” nel marzo 2000, fa un balzo in avanti nel maggio del 2007.

Come mai? È accaduto che neanche sette mesi prima Benedetto XVI ha nominato prefetto della Congregazione per il Clero il cardinale brasiliano Claudio Hummes. Il porporato viene dall’arcidiocesi di São Paulo, forte di una grande esperienza pastorale. Il mondo cattolico si aspetta da lui un approccio nuovo nell’affrontare
la profonda crisi del clero.

E Hummes parte pieno di entusiasmo. Prima di imbarcarsi all’aeroporto
di São Paulo dichiara alla stampa che il celibato non è un dogma. Non fa neanche in tempo ad atterrare a Roma che già deve smentire ufficialmente (con un comunicato umiliante) qualsiasi intenzione di innovazione. Piacenza, nominato suo braccio destro, svolgerà praticamente il ruolo di commissario.

Hummes si ammutolisce. Dopo appena quattro anni il cardinale brasiliano abbandona la Congregazione per il Clero, con Benedetto XVI oltre modo sollecito nell’accogliere le sue dimissioni dovute per aver raggiunto i 75 anni di età.

Il 7 ottobre 2010 papa Ratzinger nomina Piacenza alla guida della Congregazione e il 20 ottobre gli impone la berretta cardinalizia. Una carriera lampo. Piace a Benedetto XVI l’estrema ortodossia
dottrinale di Piacenza unita a capacità organizzativa, inoltre piace al Papa la sua posizione di accusa nei confronti del mondo moderno, la sua difesa del modello sacerdotale così com’è, senza ombra di
tentazioni riformiste.

In una recente pubblicazione il cardinale Piacenza ha riproposto il prete come “testimone dell’Assoluto” e ha parlato di attacchi al celibato ecclesiastico come provenienti da “contesti e mentalità completamente estranei alla fede... spesso coordinati nei tempi e nei modi da regie nemmeno troppo occulte, che mirano al progressivo indebolimento” di uno degli elementi più efficaci della testimonianza della Chiesa. È la tesi più di moda nella Curia ratzingeriana, l’idea di una cospirazione ai danni della Chiesa.


Quando tra il 2009 e il 2010 Benedetto XVI indice l’Anno sacerdotale, Piacenza fa sì che non venga organizzato un solo momento di riflessione vaticano sugli effetti pratici della crisi delle vocazioni e su come affrontare strutturalmente il problema delle parrocchie senza guida.

In queste ore, l’astro di Piacenza sta crescendo, perché Benedetto XVI per la prima volta è in un serio conflitto con il cardinale Bertone. Papa Ratzinger non gli perdona di frenare la politica di assoluta trasparenza internazionale dello Ior perseguita da Gotti Tedeschi e dal cardinale Nicora. E non gli perdona di avere esposto la Santa Sede – con la cacciata di Viganò – al sospetto di tollerare affari di corruzione negli appalti delle opere vaticane. Troppo per un pontefice tedesco, anche se lento nel decidere.

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Titolo articolo : VACLAV HAVEL: IL RIVOLUZIONARIO "DI VELLUTO", UN PADRE EUROPEO. Note di Sandro Viola e di Timothy Garton Ash e il testamento politico del presidente ex-dissidente,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/14/2012 - 20:11:27.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/12/2011 12.36
Titolo:Vaclav Havel l’eroe di Praga che sognava l’Europa ...
La Storia si leva il cappello

Addio Vaclav Havel l’eroe di Praga che sognava l’Europa

Da scrittore detenuto a capo di Stato. Guidò la rivoluzione di velluto

di Paolo Soldini (l’Unità, 19.12.2011)

Chi ha conosciuto e amato Praga fra il 21 agosto del 1968 e il 17 novembre del 1989 conosce e ama Vaclav Havel in un modo tutto speciale. Anche se magari non lo ha incontrato, non lo ha sentito parlare, forse non ha neppure letto le sue poesie o i suoi drammi.


Il fatto è che in quei ventuno anni, l’età di un ragazzo che arriva all’età adulta, Praga e Havel hanno vissuto la stessa storia con gli stessi dolori, le stesse inadeguatezze, le stesse irrequietudini e speranze.

La città sembrava addormentata nelle cupezze del tardo comunismo di Gustav Husak e della nomenklatura che si vendicava della Primavera del ’68. Ma se appena appena si grattava la superficie, se si percorrevano, certe sere d’estate, i vicoli della città vecchia o le salite di Mala Strana, ci si accorgeva che sotto la morta bellezza dell’antica capitale brulicava la vita.

Nei teatrini improvvisati e un po’ clandestini, nelle vinarne alla moda e nelle birrerie da vecchi ubriaconi, nelle sale da concerto, in tante case private dove si invitavano anche gli sconosciuti e gli stranieri, e se magari si intrufolava qualche spia, pazienza. Si incontravano poeti, ingegneri e rockettari. Scrittori pubblicati solo in Germania e in Austria, economisti che lavoravano in fabbrica, filosofi che coltivavano di nascosto i rapporti con la scuola di Francoforte, attori cui era proibito recitare roba “seria” e ragazzi che sapevano dei Rolling Stones e di Frank Zappa.

Il primo clamoroso episodio di dissidenza avvenne nel ’76, quando molti intellettuali Havel era fra loro protestarono in difesa di un gruppo rock, i Plastic People emuli dei Velvet Underground di Lou Reed. Praga non era morta: era una grande città europea tagliata fuori dall’Europa.

Questa separatezza, costretta a scivolare nella genialità per non diventare pazzia e disperazione, fu il ventre nel quale visse, in quegli anni, Havel. «Nemico del popolo» per il solo fatto di essere nato in una famiglia borghese e, forse, un poco tedeschizzante. Escluso dalle scuole superiori e dall’università che lui avrebbe voluto. Scrittore non pubblicabile, drammaturgo senza scena, costretto a fare il macchinista per frequentare un teatro, il Na Zabradlì (Alla Ringhiera) in perenne sospetto di eresia.

Dopo la breve illusione con Dubcek, quando avrebbe voluto fondare un partito da affiancare ai comunisti sul versante democratico, bollato come dissidente per così dire “ufficiale”, e in quanto tale arrestato più volte, costretto in una detenzione tanto dura da provocargli l’infezione respiratoria che si sarebbe portato fino alla morte. Insomma: un uomo represso e prigioniero, come la sua Cecoslovacchia “normalizzata” dalle truppe del Patto di Varsavia e dalle durezze brezneviane.

E però liberissimo. Neppure nei momenti peggiori, il regime riuscì a soffocarne la voce e la presenza. A metà degli anni 70, Havel, poco più che quarantenne, era conosciuto nella sua patria più di qualsiasi esponente della nomenklatura. Ed era famoso anche all’estero, dove il movimento di Charta ‘77, creatura di cui era stato il padre più famoso, diventò presto il referente di ogni speranza di riforma democratica nell’allora impero sovietico. Per la sua liberazione, dopo l’ennesimo arresto e una pericolosa condanna, si mobilitò, in Europa occidentale, un fronte di intellettuali e di politici ampio come non si era mai visto.

Era tanto popolare, Havel, e tanto rispettata e ammirata era Charta ‘77 perché si intuiva che l’obiettivo dell’uomo e del movimento era rompere la separatezza di Praga, della Cecoslovacchia, di tutti i Paesi centro-orientali da quell’insieme di storia, culture, tradizioni, lingue, abitudini, gusti, senso comune che fanno quello che chiamiamo Europa.

La vera “normalizzazione” non era l’oscena pretesa con cui era stata schiacciata in Cecoslovacchia la speranza del ’68, ma, per così dire, una normalizzazione senza virgolette: il ritorno alla normalità, il superamento della rottura provocata dagli orrori della guerra, la ricomposizione del continente in una verità nella quale non si dovesse più, come i popoli dell’est erano stati costretti a fare, «vivere nella menzogna».

L’idea dell’unità europea, nell’ambito di una più ampia unità occidentale in cui un ruolo importante è riconosciuto agli Usa, è stato il vero fil rouge della sua politica, ha fatto tutt’uno con la resistenza all’arbitrio della dittatura, con la battaglia per la democrazia e il rispetto dei diritti civili e umani, in un ripudio non solo del comunismo, ma anche del nazionalismo e delle insidie delle pretese “radici” affondate in egoismi colorati di etnìa.

Il momento più triste, nella vita di Havel dopo la conquista della libertà, fu il 1993, l’anno della separazione tra la Repubblica cèca e la Slovacchia, separazione che lui, da presidente della Cecoslovacchia, non voleva e che giudicò un vile cedimento a ragioni della Storia che lui non condivideva: il sovvertimento di una unità voluta soprattutto, dopo la prima guerra mondiale, per tenere a bada le minoranze, tedesca in Boemia e ungherese in Slovacchia. Come se la storia dell’Europa non avesse insegnato, specie proprio da quelle parti, la ricchezza delle diversità.

Ebbe questo segno la ricomposizione, il «ritorno in Europa» oltre che la conquista delle libertà democratiche, il momento della liberazione dal regime, nell’autunno dell’89, pochi giorni dopo la caduta del Muro di Berlino.

Va detto che, come lui stesso ammise, Havel fu còlto di sorpresa dagli eventi. La grande manifestazione che il 17 novembre a Praga dette il via alla Rivoluzione di velluto rompeva un po’ lo schema, più “politico”, con cui gli uomini di Charta ‘77 avevano immaginato il percorso dalla dittatura alla democrazia. E però la saldatura fu immediata.

Gli slogan degli studenti che il 17 novembre partirono dall’Università Carlo e conquistarono la città coniugavano il ripudio del regime con la speranza che ci fosse già un’alternativa. «I dittatori sono al Castello» gridavano all’inizio, indicando la collina di Hradcany dove avevano sede le autorità dello stato e del partito e lo slogan presto diventò: «Havel al Castello».

Da quel momento la vicenda dell’uomo che nelle sue opere per il teatro aveva portato le ragioni della dignità individuale, è diventata la storia. Poco più di un mese dopo la rivoluzione Havel viene insediato alla presidenza, con l’assenso del partito comunista, dal governo provvisorio. L’anno successivo viene confermato dalle prime elezioni libere e resterà quasi ininterrottamente presidente della Cecoslovacchia e poi della Repubblica cèca fino al 2003.

Con il suo vezzo di non prendere troppo sul serio la sua propria vita così tremendamente seria, dalle durezze del carcere ai tormenti della malattia che lo ha tenuto per anni sul filo della morte, Havel negli ultimi anni si raccontava come una specie di dilettante della politica e della vita pubblica: «Metto il naso dappertutto diceva ma in realtà non so fare quasi nulla: talvolta mi occupo di filosofia ma non sono un filosofo; scrivo di letteratura ma non sono un critico e non parliamo del mio senso musicale, che fa ridere. In fondo non sono un vero esperto neppure in quello che considero il mio mestiere: scrivere per il teatro». Simpatica manifestazione di modestia tipica dell’uomo che però una cosa sicuramente l’ha fatta molto bene: la politica, nel senso più alto e profondo.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/12/2011 18.12
Titolo:Addio a Havel ...
Addio a Havel

Un poeta sul palcoscenico dell’anticomunismo

di Piero Benetazzo (il Fatto, 20.12.2011)

Era entrato al mitico Castello con il passo felpato del mimo, trascinandosi dietro rockettari, Franz Zappa, una banda di amici sgualciti con cui aveva condiviso galera, birrerie, speranze e paure. La “rivoluzione di velluto” di Vaclav Havel fu certamente la più straordinaria di quelle rivolte popolari che in pochi mesi abbatterono, nel 1989, i regimi comunisti in tutto l'Est: la più breve, del tutto indolore guidata da uno scrittore che sedeva sul palcoscenico di un teatro, “Lanterna magica”, in una nuvola di fumo, di strepiti, di sudore. Lui, Havel, da poco uscito di prigione, lanciava da quel palcoscenico i suoi slogan, dettava le sue condizioni a un regime ormai allo stremo ed era affascinante vedere come la società si armonizzasse velocemente con le sue parole d'ordine, che descrivevano il comunismo come un “grande inganno”, ansiosa quindi di recuperare se stessa, la sua identità e la sua cultura.

Poche settimane dopo era già al Castello. Spesso ne percorreva i corridoi e le solenni stanze in monopattino per smitizzare - diceva - la paura delle istituzioni, riavvicinarle alle gente, convincerla a uscire dall'apatia. Vaclav Havel era nato in una famiglia molto ricca in quella borghesia che il regime comunista considerava il suo più acerrimo nemico.

Era dunque un cittadino di “secondo ordine” senza diritti all'istruzione, seguito spesso dalla polizia, isolato. Lo stato si ricordò di lui solo per costringerlo al servizio militare e, proprio in casema, egli scoprì e coltivò la sua passione per la scrittura e soprattutto per il teatro, il luogo più tradizionale delle opposizioni ceche ai soprusi della storia (nei teatri si difese l'identita nazionale sia sotto gli Asburgo che durante la “normalizzazione” stalinista).

In uno dei suoi lavori più conosciuti descriveva come la tortuosa lingua della burocrazia comunista avesse tolto ogni vero significato alle parole, istupidendo l'individuo, privandolo della sua identità.

Coniugare morale e politica: era questo il suo messaggio continuo e battente, risollevando quella bandiera (“pravda vitezi”, la verità vince) già di Giovanni Hus (bruciato sul rogo come eretico) e di Thomas Masaryk, il primo Presidente della Repubblica cecoslovacca. Ma quando i suoi lavori cominciavano a entrare nei teatri, l'invasione delle truppe sovietiche schiacciò la “primavera di Praga”. Era la fine del tentativo, guidato da Alexander Dubcek, di coniugare socialismo e democrazia e della speranza che il comunismo fosse in grado di rinnovare se stesso.

Quella che veniva considerata una battaglia per la libertà e l'identità nazionale si trasferì dal partito alla società civile e Vaclav Havel ne fu l'interprete intransigente e coraggioso: fu tra i fondatori di Charta 77 il manifesto delle libertà civili, punto di riferimento di tutti i dissidenti dell'Est e che Havel, nonostante le pressioni poliziesche, continuò sempre a difendere e a diffondere.

Per anni, entrava ed usciva di galera, ma continuava imperterrito a dare interviste a ricevere i giornalisti occidentali nella sua casa in riva alla Vltava, del tutto indifferente alla minacciosa sorveglianza delle macchine della polizia. Si parlava e si dibatteva spesso in cucina, come con tutti gli altri dissidenti, un ambiente che forse suggeriva intimità e protezione, stemperava le tensioni.

E così - come amava ironizzare - dalla cucina salì al Castello. Vi è rimasto quasi 14 anni, un tempo forse troppo lungo che ha reso più fragile e discutibile il bilancio della sua Presidenza. Egli stesso scriveva della sua delusione per la grande apatia della società che usciva dal comunismo, una società “minata da una cieca esplosione di ogni immaginabile vizio umano”. Ed era impaziente, innervosito, dalla resistenza che incontrava il suo messaggio di riscatto morale per uscire dall'"immoralità del comunismo”.

I suoi critici lo hanno sempre accusato di “dilettantismo”. Vaclav Havel è rimasto a lungo alla Presidenza, ha ancorato il suo paese all'Europa e al mondo occidentale, ma si è anch'egli impigliato nei piccoli e grandi cinismi del potere. In particolare molti gli rimproverano di aver accettato - dopo aver minacciato le dimissioni - la divisione del paese dalla Slovacchia, ma soprattutto di aver voluto una legge criticata anche dalle organizzazioni umanitarie: la ha chiamata lustarace e impedisce l'ingresso in politica di chiunque abbia avuto un ruolo dirigente nel partito comunista.

La legge ha duramente punito, in particolare, quel mezzo milione di persone che non si erano piegate, avevano rifiutato di accettare l'invasione sovietica, erano state espulse e ora riemergevano, dopo un ventennio, dai cantieri della metropolitana, dalle miniere, dai portierati di notte. Nemmeno Alexander Dubcek avrebbe potuto rientrare in politica. Forse per ragioni ideologiche ha privato un paese confuso di questo forte e raro messaggio di coraggio e resistenza. Poi sono venute le liti famigliari sulle proprietà recuperate, il matrimonio con una giovane attricetta, le piccole miserie quotidiane. La sua popolarità era un po’ svanita, ma il suo messaggio sul primato della morale sulla politica resta sempre forte e urgente.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/12/2011 17.21
Titolo:Praga dice addio a Vaclav Havel, città in silenzio per il presidente
Praga dice addio a Vaclav Havel

città in silenzio per il presidente

Ventun colpi di cannone sono stati sparati dalla collina di Petrin di fronte al castello, per salutare l'uomo che traghettò la Cecoslovacchia fuori dal comunismo. Il corpo sarà cremato e le ceneri deposte nella tomba di famiglia dopo natale. Papa Benedetto XVI: "Leader visionario, padre di democrazia" *


PRAGA - Con le bandiere a mezz'asta in segno di lutto nazionale, un minuto di silenzio e le campane del paese che l'arcivescovo Dominik Duka ha ordinato suonino a lutto, Praga oggi dice addio a Vaclav Havel, primo presidente della Cecoslovacchia post-comunista e protagonista della "rivoluzione di velluto" del 1989. L'ex dissidente diventato capo di Stato è morto nel sonno domenica scorsa a 75 anni 1, nella sua casa di campagna a Hradecek, 150 chilometri a nord-est dalle capitale.



In questi giorni migliaia di persone si sono messe in fila per rendergli omaggio nella camera ardente allestita nella sala Vladislas del castello di Praga. Il feretro oggi è stato trasferito per i funerali solenni nella cattedrale di San Vito al castello, per secoli teatro dell'incoronazione dei re di Boemia. Ventun colpi di cannone sono stati sparati dalla collina di Petrin, di fronte al castello, per salutare il drammaturgo dissidente, l'uomo che ha traghettato la Cecoslovacchia fuori dal comunismo.

Anche Papa Benedetto XVI ha mandato un telegramma di cordoglio per rendere omaggio all'ex presidente: "Ricordando quanto coraggiosamente Havel difese i diritti umani in un tempo in cui erano sistematicamente
negati al popolo della vostra nazione, e rendendo tributo alla sua visionaria leadership nel forgiare una nuova politica democratica dopo la caduta del precedente regime, ringrazio Dio per la libertà di cui ora gode il popolo della Repubblica Ceca", ha scritto il pontefice al presidente della Repubblica Ceca, Vaclav Klaus, "mi unisco a coloro che si sono raccolti nella cattedrale di San Vito per il solenne rito funebre, affidando l'anima del deceduto all'infinita misericordia del nostro Padre celeste".

All'ultimo saluto sono arrivati molti leader internazionali 3. Dalla Francia il presidente Nicolas Sarkozy, con ll celebre attore Alain Delon che negli anni si era incontrato con Havel più volte ed era lui a definire Dagmar Havlova, attrice e moglie di Havel, "la più bella primadonna nel mondo". Dagli Usa sono arrivati il segretario di Stato Usa Hillary Clinton con il marito Bill e l'ex segretario di Stato americano Madeleine Albright. Dalla Gran Bretagna il premier David Cameron, e per l'Italia il presidente della Camera Gianfranco Fini. Ai funerali anche il presidente della Commissione europea Josè Barroso, e i presidenti di Germania, Austria, Slovenia, Georgia, Slovacchia, Lituania ed Estonia.

La messa di requiem è stata celebrata da monsignor Duka e dal vescovo ausiliario di Praga Vaclav Maly, entrambi prigionieri politici sotto il regime comunista, crollato con la rivoluzione di velluto guidata proprio da Havel, a fine 1989. Solo dopo natale, invece, le ceneri del presidente-dissidente saranno deposte nella tomba di famiglia nel cimitero di Vinohrady.

* la Repubblica, 23 dicembre 2011
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/2/2012 20.11
Titolo:Verità e libertà interiore. Vaclav Havel lascia un vuoto ...
Verità e libertà interiore

di Gaston Piétri, prete della diocesi di Ajaccio

in “La Croix” dell’11 febbraio 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Vaclav Havel lascia un vuoto che va al di là dell’eco suscitato nell’opinione pubblica dalla sua scomparsa. Lui stesso diceva, al tempo della sua dissidenza, che era con i suoi compagni in una “zona grigia”, cioè in una zona in cui le azioni da fare non erano affatto evidenti. Non era da parte sua mancanza di coraggio, ma preoccupazione fondamentale di preservare con il suo modo di resistenza non violento i valori stessi che davano senso alla sua lotta. Charta 77 si basava infatti su un’opzione etica, la cui radicalità può ancora oggi sconcertare coloro che pensano che la politica non abbia altra molla che il realismo.

Dov’è infatti la realtà più sicura? Nella linea di Martin Luther King e Nelson Mandela, è il “potere dei senza-potere” che Vaclav Havel e i suoi amici hanno voluto risvegliare. Sorprendente potere quello, che, escludendo la violenza, scommette sulla sola forza della verità per far vacillare il regno della menzogna eretto a istituzione. Una realtà che sfugge a coloro che il denaro e la forza delle armi hanno conquistato al loro potere.

Vaclav Havel voleva aprire una breccia e, attraverso quella, rifondare la politica. Mentre quella ha come scopo di forgiare la storia, il totalitarismo stava al contrario congelando la storia. Havel racconta che, diventato presidente, è entrato in un palazzo in cui non ha trovato neanche un orologio.

Strana assenza e terribile lezione questo simbolo: “Per lunghi anni, non c’è stato bisogno di guardare l’ora perché, per molto tempo, il tempo si era fermato. La storia si era interrotta.” Le certezze non erano mancate, al contrario. È la prova che, da sole, non bastano e che, perfino, possono trasformarsi in peggio. Delle certezze di cemento armato, suscettibili di essere imposte agli altri se le circostanze ce ne dessero il potere, non potrebbero essere, ancora oggi, il rimedio infallibile alla miseria spirituale delle nostre società. Tanto più che, secondo l’espressione del Vaticano II, “la verità non si impone che per la forza della verità stessa, la quale si diffonde nelle menti soavemente e insieme con vigore (1)”.

Certezze che pretendono di “fermare il tempo”, come scrive Havel, non hanno, per i credenti, alcuna chance di testimoniare il Dio che è entrato nel corso del tempo. È in questo tempo, con i suoi limiti e le sue opportunità, che Di si fa conoscere a coloro che accettano di essere i suoi compagni come artigiani della storia. La storia si scrive a partire dalle contingenze che, a volte, hanno a che fare con l’imprevedibile. Sono loro che chiedono la capacità di inventare e di innovare, mentre l’obbedienza al potere può limitarsi alla docilità statica.

Oggi, preoccupati nel vedere tanti spiriti senza bussola e senza punti di riferimento, potremmo dubitare della pertinenza delle parole di Vaclav Havel quando se la prende col “corto circuito del pensiero” rappresentato “dalla verità già completa e confezionata sotto forma di ideologia o di dottrina”. Se la prende con coloro che vorrebbero “togliere dalle spalle degli uomini il loro fardello di problemi incessanti (2)”. Le “risposte confezionate” contribuiscono ad anestetizzare nello spirito e nel cuore dell’uomo quella libertà interiore che la Buona Notizia di Cristo vuole promuovere.

Il messaggio di Vaclav Havel, indipendentemente dalla sua posizione personale nei confronti della fede cristiana, rimane ancora oggi uno stimolo per coloro che, a causa del Vangelo, cercano di servire la verità scommettendo sulla libertà interiore di ogni uomo. Non c’è evangelizzazione là dove non si accresce la libertà interiore.

L’esperienza del periodo successivo alla liberazione ha mostrato a questo resistente diventato responsabile politico che la libertà ritrovata non è così facile da vivere come si potrebbe sperare.

Infatti, ci dice Havel, l’uomo uscito da quella specie di prigione, dove non aveva più nulla da intraprendere e ancor meno da inventare, viene “preso da indecisione”. Sperimenta la “mancanza di sicurezza”, in fondo “desidererebbe ritornare là dove c’erano muri e limiti”. Lo salverà solo la libertà interiore, da scoprire o da riscoprire. La falsa tranquillità delle “verità ufficiali” lo preservava da questa ricerca.

Ma alla libertà interiore nuocciono anche le false libertà che permettono di errare senza scopo in una vita dove una cosa vale l’altra, dove le mode più effimere dettano legge. Perché, a sua volta, questo tranquillo asservimento, pur diverso, è il contrario della libertà interiore dell’uomo in ricerca di una verità che fa vivere.

(1) Dichiarazione sulla libertà religiosa, n° 1
(2) Essais politiques, Calmann-Lévy, 1994.

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Commenti Articolo 914

Titolo articolo : Toc, toc. Aprite! I senza tetto muoiono al freddo…..….. e a Catania?,di Domenico Stimolo

Ultimo aggiornamento: February/12/2012 - 20:41:10.

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Autore Città Giorno Ora
Maria Doriana Casadidio roma 12/2/2012 20.41
Titolo:Senza tetto
Prima o poi farò una mappa dei tanti luoghi di Roma che potrebbero ospitare le persone senza casa.

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Commenti Articolo 915

Titolo articolo : Domenica 6a per annum – B – 12 febbraio 2012,di Paolo Farinella prete

Ultimo aggiornamento: February/12/2012 - 18:16:10.

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Autore Città Giorno Ora
milvia fracassi campli 12/2/2012 18.16
Titolo:auguri
In quel giorno pregherò per Lei. Milvia

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Commenti Articolo 916

Titolo articolo : Pillole di Costituzione(2),di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: February/12/2012 - 16:36:23.

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Autore Città Giorno Ora
Giuseppe Morelli ROMA 12/2/2012 16.36
Titolo:Viva l'Italia, Viva la nostra Costituzione!
Grazie per il richiamo alla fedeltà alla nostra Costituzione.
La Democrazia bisogna sempre meritarla. Oggi tocca a noi promuovere, difendere e far conoscere la nostra bellissima Costituzione della Repubblica Italiana.
Comunione e Libertà per una Italia rinnovata nello Spirito dei nostri Padri Costituenti!
Giuseppe Morelli

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Commenti Articolo 917

Titolo articolo : Monti?,di Domenico Stimolo

Ultimo aggiornamento: February/12/2012 - 15:01:23.

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Autore Città Giorno Ora
carlos gustavo berta trento 12/2/2012 15.01
Titolo:dignità
purtroppo se uno in prima persona, non sa cosa vuol dire necessita di lavorare per dare didnita' alla propia famiglia, risulta difficile per uno che non ha certi problemi. quando una persona come quello che lei cita ha gia' di partenza la sua vita risolta economicamente non riesce a capire i bisogni delle altre persone. l'unica cosa che puo' sconfigere qualsiasi cosa è la dignita, alcuni non c'è l'hanno dalla nascita'.saluta lei un semplice cittadino. carlos

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Commenti Articolo 918

Titolo articolo : QUANTA CORRUZIONE IN VATICANO! Le rivelazioni di monsignor Carlo Maria Viganò: «Non avrei mai pensato di trovarmi davanti a una situazione così disastrosa», «inimmaginabile», e per giunta «a tutti nota in Curia». Sui misteri della finanza in Vaticano, una nota di Sergio Rizzo,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/12/2012 - 12:49:33.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/1/2012 21.08
Titolo:L'ira del Vaticano si scaglia contro La7, e contro «Gli intoccabili» di Gianluig...
«PRONTI ALLE VIE LEGALI»

La7, l'ira del Vaticano contro Nuzzi

Il Governatorato del Vaticano descritto «in modo parziale e banale». La replica: «Fatto il nostro dovere di cronisti»

MILANO- L'ira del Vaticano si scaglia contro La7. E in particolare contro «Gli intoccabili» di Gianluigi Nuzzi, ondata in onda mercoledì sera, sugli affari della Chiesa. La Santa Sede non ha gradito. Affatto. Tanto che il portavoce Federico Lombardi, in una nota ufficiale, parla di intraprende vie legali «per garantire l'onorabilità di persone moralmente integre e di riconosciuta professionalità, che servono lealmente la Chiesa, il Papa e il bene comune».

LA NOTA- Le «accuse» sono «molto gravi». La trasmissione presenta il Governatorato del Vaticano «in modo parziale e banale, esaltando evidentemente gli aspetti negativi», con il «facile risultato» di presentarlo «come caratterizzate in profondità da liti, divisioni e lotte di interessi». Lombardi definisce queste come «disinformazione» e «informazione faziosa nei confronti del Vaticano e della Chiesa». Lombardi difende monsignor Viganò «i criteri positivi e chiari di corretta e sana amministrazione e di trasparenza a cui si è ispirato continuano certamente ad essere quelli che guidano anche gli attuali responsabili del Governatorato, nella loro provata competenza e rettitudine». Il programma ha parlato di «mazzette, lavori gonfiati e pilotati nella Santa Sede». In particolare si è parlato di una lettera del nunzio apostolico Viganò al Papa in aprile in cui chiariva la situazione delle finanze.

LA REPLICA - «Noi abbiamo fatto il nostro dovere di cronisti e ci siamo trovati di fronte, per la prima volta forse nella storia della Chiesa, a un vescovo che denuncia fatti di corruzione che, stando proprio alle sue parole, sono stati portati all' attenzione direttamente del Santo Padre. Una denuncia che viene documentata con carte, lettere, eccetera». Cosi' Gianluigi Nuzzi, conduttore del programma di La7 Gli Intoccabili, commenta la nota del direttore della Sala stampa della Santa Sede padre Federico Lombardi. «Noi naturalmente -aggiunge Nuzzi- teniamo in massimo conto quanto scritto da padre Lombardi in questa nota della Santa Sede, alla quale daremo spazio nella prossima puntata. Ed inviteremo anche padre Lombardi in studio se lui ritenesse di dovere aggiungere qualcosa rispetto alla nota di oggi. Per il resto non posso che ribadire che noi facciamo i giornalisti: cerchiamo le notizie, le verifichiamo e le mettiamo in onda».

Redazione Online

* Corriere della Sera, 26 gennaio 2012
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/2/2012 12.49
Titolo:Al di là del Tevere “un nido di vipere”
Al di là del Tevere “un nido di vipere”

di Roberto Faenza (il Fatto Quotidiano, 12 febbraio 2012)

Bisognerebbe interrogarsi da cosa derivi il potere del Vaticano sui media italiani. Ne sa qualcosa questo giornale, che sfidando l’ira dei colleghi quotidiani, ha appena pubblicato un documento sconcertante. Documento minimizzato dagli altri giornali. Per non concedere al Fatto l’onore delle armi di fronte a uno scoop giustamente definito una bomba da Santoro in trasmissione? Non credo sia questa la ragione. Il motivo risiede nel timore reverenziale di urtare la “sensibilità” d’oltre Tevere. Ringraziamo Internet e la stampa internazionale, se lo scoop del Fatto ha ricevuto la giusta attenzione.

A mio avviso la parte più drammatica del documento inviato al Papa non è nella rivelazione di un possibile attentato (ora grazie alla pubblicazione di sicuro allontanato; almeno di questo si renderà merito).

L’elemento più inquietante è nelle righe che sottintendono una faida interna in seno alle segrete stanze. Il New York Times, che se c’è da dare una notizia dell’ira del Vaticano se ne frega, ha cominciato a frugare in quei segreti, a partire dalla trasmissione di Gianluigi Nuzzi su La7 a proposito della lettera dell’attuale Nunzio apostolico a Washington (pare ancora per poco) sulla presunta corruzione all’interno del Governatorato di Città del Vaticano.

Questo silenzio omertoso che costringe gran parte dei media italiani a tenere la schiena poco dritta ha radici antiche. Quando negli anni Settanta insegnavo a Washington, ebbi l’avventura di “liberare” per la prima volta una serie di documenti segreti della amministrazione americana che riguardavano l’Italia e il Vaticano.

Si trattava di rivelazioni scottanti, antesignane del lavoro che fa oggi Julian Assange, incluse le fotocopie degli assegni pagati ai politici nostrani e ad alcuni prelati. Questi documenti li ho pubblicati in un primo libro circolato indenne grazie alla Feltrinelli, Gli americani in Italia, e poi in un secondo, Il Malaffare, subito tolto dal mercato dalla Mondadori.

Alla vigilia della Liberazione, un documento Top secret dell’ambasciata americana a Roma informa Washington che sono stati “agganciati” due alti prelati, Monsignor Perrone e Monsignor Dadaglio, i quali spifferano agli yankee quanto sta avvenendo in Vaticano, ovvero i timori di Pio XII per un possibile governo con dentro i comunisti. I due prelati rivelano che in Vaticano non tutti sono d’accordo con il Papa, tra questi Monsignor Tardini, che è a capo di una corrente “non ostile” al Pci.

La documentazione relativa a questi “intrighi del Vaticano”, così li definisce la stessa amministrazione americana, viene inviata ad alcuni giornalisti italiani perché ne scrivano, favorendo così il deflagrare di alcune posizioni troppo progressiste. Come si vede, quando si vuole scrivere si scrive.

Ancora più scottante la documentazione che concerne Monsignor Giovambattista Montini. Prima di diventare Segretario di stato e poi Papa Paolo VI, Montini viene “agganciato” da James Angleton, capo del controspionaggio di stanza a Roma. È convinto delle capacità del prelato, ma preoccupato del suo orientamento “poco conservatore”. Lo farà intercettare e monitorare tramite cimici piazzate nei suoi uffici da alcuni prelati compiacenti.

Le “trame in Vaticano”, così le qualificano i documenti, si fanno particolarmente accese, quando negli anni Sessanta si prepara il Concilio Vaticano II e la DC sta per aprire al partito socialista. Giovanni XXIII appare favorevole, ma non sono pochi i cardinali che la pensano diversamente e vorrebbero metterlo “sotto tutela”.

SI AGITANO come in un balletto il Sottosegretario di stato Monsignor Dell’Acqua e i monsignori Berloco e Iginio Cardinale, capo protocollo della Segreteria. Monsignor Vagnozzi, il delegato apostolico nella capitale americana, fa addirittura la spia di nascosto al Papa. Si presenta in gran segreto ai dirigenti del Dipartimento di stato per comunicare che “Giovanni XXIII ha un cancro inoperabile. Gli restano da vivere dai 6 ai 12 mesi. Monsignor Vagnozzi ha pregato di non fare il suo nome”. Lo stesso monsignore diventerà Presidente della Prefettura per gli Affari economici.

Ai tempi del breve e misterioso pontificato di Papa Luciani il cardinale Palazzini gli contesterà la sua reticenza sugli “immorali affari dello IOR” di Monsignor Marcinkus, “in combutta con Calvi eSindona”. Tutto questo cicaleccio preoccupa la stampa americana, che comincia a filtrare notizie. Silenzio invece sui nostri quotidiani.

Spiegano bene all’Italian desk del Dipartimento di stato: il Vaticano e la Chiesa sono due entità diverse: il primo è un vero e proprio stato con un suo governo. E come tutti i governi è attraversato da correnti e conflitti interni. La Chiesa invece, scrivono a Washington, si occupa delle anime dei fedeli, in quanto vera erede di Cristo. Il Vaticano, aggiungono, talvolta appare in dissidio con la Chiesa. È sicuramente il “partito” italiano più influente, temuto dalla stampa, riverito e omaggiato persino dal partito comunista. Poi in una nota definiscono la città del Vaticano “un nido di vipere”. Ora come allora?

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Titolo articolo : ALL'OMBRA DEL DIO MAMMONA, UNA BENEDETTA CORRUZIONE. Una nota di Marco Lillo e la lettera di denuncia di Mons. Carlo Maria Viganò - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/12/2012 - 12:36:47.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/1/2012 12.27
Titolo:Veleni sulla finanza vaticana e la Santa Sede attacca La7
Veleni sulla finanza vaticana e la Santa Sede attacca La7

di Marco Ansaldo (la Repubblica, 27 gennaio 2012)


C'è chi parla di legittima difesa, e chi invece di autogol mediatico. Quel che è certo, ora, è che la minaccia di azioni legali partita dal Vaticano contro il programma "Gli intoccabili", de La7, trasmesso mercoledì sera sui misteri della finanza nella Santa Sede, finirà per portarsi dietro una serie di contraccolpi a tutti i livelli.

Ieri il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, ha diffuso
una nota ufficiale e dichiarato che su «alcune accuse anche molto gravi» fatte in diretta «nei confronti dei membri del Comitato finanza e gestione del Governatorato e della Segreteria di Stato», la stessa Segreteria di Stato e il Governatorato sono impegnati «a perseguire tutte le vie legali per garantire l'onorabilità di persone moralmente integre».

Che cosa è successo? "Gli intoccabili" ha mostrato una lettera inviata il 27 marzo 2011 al Papa da monsignor Carlo Maria Viganò, allora segretario generale del Governatorato, cioè l'ente che si
occupa della gestione economica della Città del Vaticano. Nella missiva l'alto prelato, un anno e mezzo prima chiamato dallo stesso Benedetto XVI a rimettere in sesto le finanze dello Stato, avvertiva il Pontefice di una manovra di corridoio per rimuoverlo. «Un mio trasferimento - scriveva Viganò a Joseph Ratzinger - provocherebbe smarrimento in quanti hanno creduto fosse possibile risanare tante situazioni di corruzione e prevaricazione». Il monsignore, sfrondando le spese, era riuscito a dimezzare le perdite, giunte nel 2009 a 8 milioni di euro, arrivando a 34,4 di avanzo.

Sotto accusa un «comitato finanza e gestione composto da alcuni grandi banchieri, i quali sono risultati fare più il loro interesse che i nostri». Nel mirino 4 pezzi da novanta: Pellegrino Capaldo, Carlo Fratta Pasini, Ettore Gotti Tedeschi e Massimo Ponzellini.

L'epilogo è noto: lo scorso 18 ottobre Viganò fu nominato dal segretario di Stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, quale nuovo nunzio apostolico a Washington, una destinazione in ogni caso di grande prestigio. Ma l'incarico - apparso ad alcuni in realtà come una
rimozione ("promoveatur ut amoveatur") - venne accompagnato nelle Segrete stanze da malumori, sfociati in una lettera di minacce anonime indirizzata a Bertone.

Missiva finita sui giornali e attribuita a un misterioso "Corvo".
Nella trasmissione alcuni intervistati, comparsi senza nome, hanno parlato di attacchi a Viganò provenuti da fornitori che avevano visto dimezzati o cancellati i propri contratti in Vaticano. Contratti e appalti in cui, secondo il monsignore, lavoravano sempre le stesse ditte, a costi raddoppiati.

A difendere la Santa Sede, in diretta, era il direttore dell'Osservatore Romano, lo storico della Chiesa Giovanni Maria Vian, in quello che è risultato un botta-e-risposta non privo di asprezze,
durante il quale il responsabile dell'organo ufficiale del Papa ha minacciato di alzarsi e lasciare il programma.

Ieri è stata la volta del portavoce della Santa Sede a reagire. Padre Lombardi ha spiegato che «l'avvicendamento alla guida del Governatorato non intende certamente essere un passo indietro rispetto alla trasparenza e al rigore, ma un ulteriore passo avanti». «Noi abbiamo fatto il nostro dovere di cronisti di individuare documenti - è la replica del conduttore del programma, Gianluigi Nuzzi, autore qualche anno fa del bestseller "Vaticano Spa" (Chiarelettere) -
verificarne l'autenticità e renderli pubblici». E ha proposto di ospitare alla prossima puntata padre Lombardi. Che non ha contestato la lettera incriminata («amarezza per la diffusione di documenti
riservati»), quanto piuttosto lo «stile di informazione faziosa nei confronti del Vaticano e della Chiesa cattolica».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/1/2012 10.10
Titolo:Il Vaticano sta prendendo per il naso da mesi la giustizia e la Banca d’Italia ....
Lo Ior si fa beffe dell’Italia

di Marco Lillo (il Fatto Quotidiano, 31 gennaio 2012)

Il Vaticano sta prendendo per il naso da mesi la giustizia e la Banca d’Italia. Il Governo Monti dovrebbe fare la voce grossa e ottenere il rispetto degli impegni assunti in materia di antiriciclaggio ma c'è un piccolo particolare: il ministro della giustizia che dovrebbe essere in prima linea in questa battaglia, è stato l'avvocato del presidente della banca vaticana, lo IOR, Ettore Gotti Tedeschi.

La
linea del Vaticano in questa materia non corrisponde affatto alle promesse di trasparenza contrabbandate in pubblico. Lo dimostra un documento che Il Fatto pubblica in esclusiva.

Si intitola “Memo sui rapporti IOR-AIF” ed è un documento “confidenziale” e “riservato” circolato negli uffici del Papa e della Segreteria di Stato e annotato a penna da una mano che - secondo gli
esperti di cose Vaticane - potrebbe essere quella di monsignor Georg Ganswein, il segretario di Benedetto XVI. E’ stato scritto da un personaggio molto in alto che si può permettere di sottoporre
la sua analisi ai vertici del Vaticano.

Al di là di chi sia l’autore, il “memo” dimostra che il Papa, il
segretario di Stato Tarcisio Bertone, il presidente dello AIF, l'autorità di controllo antiriciclaggio Attilio Nicora e i vertici dello IOR sono tutti a conoscenza della linea sul fronte antiriciclaggio che si può sintetizzare così:
non si deve collaborare con la giustizia italiana per tutto quello che è successo allo IOR fino all’aprile 2011.

Il “Memo”, come dimostrano le note appuntate a penna dalla
segreteria del Santo Padre, è stato “Discusso con SER (Sua Eminenza Reverendissima) il Cardinale Bertone il 3 novembre” 2011. L’autore della nota, favorevole a una maggiore apertura verso Bankitalia e le Procure, aggiunge:
Bertone “Si è trovato d'accordo sulle mie considerazioni!
Incontrerà SER il cardinale Attilio Nicora (Presidente dell’AIF) e il direttore AIF (Francesco Ndr) De Pasquale”. Il memo, così annotato, è stato poi girato, al presidente dello IOR e al direttore dell’AIF.


Basta scorrere il testo per capire la rilevanza della partita in gioco: “Dall'entrata in vigore della legge vaticana anti-riciclaggio, avvenuta il primo aprile 2011, si sono tenuti numerosi incontri tra lo
IOR e l'AIF (Autorità creata dalla nuova legge del Vaticano Ndr), rivolti da una parte a dimostrare alla nuova Autorità le iniziative intraprese per l'adeguamento delle procedure interne alle misure
introdotte dalla legge....”


IN QUESTA prima parte il memo ripercorre la vicenda del mutamento della normativa antiriciclaggio, intervenuto sotto la spinta dell’indagine della Procura di Roma. Il pm Stefano Rocco
Fava e il procuratore aggiunto Nello Rossi - a settembre del 2010 - avevano sequestrato 23 milioni di euro che stavano per essere trasferiti dal conto dello IOR presso il Credito Artigiano alla Jp
Morgan di Francoforte (20 milioni di euro) e alla Banca del Fucino (3 milioni) e aveva indagato il presidente IOR, Ettore Gotti Tedeschi e il direttore Cipriani. Secondo i pm, lo IOR si era rifiutato di
dire “le generalità dei soggetti per conto dei quali eventualmente davano esecuzioni alle operazioni”. Cioé chi era il reale proprietario dei soldi. Dalle indagini della Guardia di Finanza emergeva un quadro inquietante: lo IOR mescolava sul suo conto al Credito Artigiano i 15 milioni di euro provenienti dalla CEI, e frutto dell’8 per mille dei contribuenti italiani, con fondi di soggetti diversi.

Non solo: da altre operazioni emergeva che lo IOR funzionava come una fiduciaria e i suoi conti erano stati usati per schermare persino i proventi di una presunta truffa allo Stato italiano realizzata dal padre e dallo zio (condannato per fatti di mafia) di don Orazio Bonaccorsi.

DI FRONTE a un simile scenario i pm romani si erano opposti al dissequestro dei 23 milioni di euro nonostante le dotte motivazioni dell’avvocato del presidente dello IOR, il professor Paola
Severino. Il ministro ora ha lasciato lo studio e si è cancellato dall’Albo anche se non ha comunicato alla Procura chi la sostituirà nella difesa di Gotti Tedeschi.

A sbloccare la situazione comunque non fu l’avvocato Severino ma il Papa in persona. Con una Lettera Apostolica per la prevenzione e il contrasto delle attività illegali in campo finanziario il 30 dicembre 2010, Benedetto XVI ha istituito l’Autorità di informazione finanziaria (AIF), per il contrasto del riciclaggio.

I pm romani motivarono così il loro parere favorevole al dissequestro nel maggio 2011: “l’AIF ha già iniziato una collaborazione con l’UIF fornendo informazioni adeguate su di un’operazione intercorsa tra IOR e istituti italiani e oggetto di attenzione”.

Peccato che, un minuto dopo essere rientrato in possesso dei suoi 23 milioni, lo IOR ha cambiato completamente atteggiamento. Tanto che in Procura non si nasconde il disappunto per quel dissequestro “sulla fiducia”. Ora si scopre che la giravolta vaticana è una scelta consapevole delle gerarchie, come spiega lo stesso “memo”
discusso dai cardinali Nicora e Bertone e dallo stesso Gotti Tedeschi. “L'AIF (.... ) ha inoltrato allo IOR alcune richieste di informazioni relative a fondi aperti presso l'Istituto, cui quest'ultimo ha
corrisposto, consentendo tra l'altro lo sblocco dei fondi sequestrati dalla Procura di Roma (....)

Ultimamente, tuttavia la Direzione dell'Istituto ha ritenuto di riscontrare le richieste dell' AIF - relative ad operazioni sospette o per le quali sono in corso procedimenti giudiziari - fornendo informazioni soltanto su operazioni effettuate dal primo aprile 2011 in avanti.

Nel corso dell'ultimo incontro tra IOR e AlF del 19 ottobre u.s. tale posizione è stata sostenuta dall'Avv. Michele Briamonte (dello studio Grande Stevens Ndr), sulla base di un generale principio di irretroattività della legge, per il quale le misure introdotte dalla legge antiriciclaggio, (....) non possono valere che per l'avvenire”.

Questa linea interpretativa, ovviamente, ostacola enormemente il lavoro degli investigatori italiani e l’Aif ne è consapevole tanto che, come si evince dal memo ha ribadito “il proprio diritto/dovere ad accedere a tutti i dati e le informazioni in possesso dello IOR (...)
motivando tale posizione con argomentazioni attinenti alla lettera e alla ratio della legge, al rispetto degli standard internazionali cui la Santa Sede ha aderito, allo svuotamento dell'effettività della
disciplina appena introdotta, al rischio di una valutazione negativa dell'organismo internazionale chiamato a esaminare il sistema Vaticano di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del
terrorismo”.

PURTROPPO l'operazione trasparenza era solo uno specchietto per le allodole. Nel frattempo il Vaticano ha spostato la sua operatività dalle banche italiane alla JP Morgan, soprattutto a Francoforte. La banca americana ha però un solo sportello (non accessibile alla clientela comune) a Milano, che è già finito, da quello che risulta al Fatto, nel mirino dell’attività ispettiva della Banca d’Italia. E così il 25 gennaio è stato pubblicato un decreto pontificio che ha ratificato tre convenzioni contro il riciclaggio.
Sembra ci sia anche un articolo sull’obbligo di “adeguata verifica”
prima del fatidico primo aprile. In Procura però stavolta non si fidano.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/2/2012 11.14
Titolo:“Complotto di morte”. Guerre poco sante ...
“Complotto di morte”

di Marco Lillo (il Fatto Quotidiano, 10 febbraio 2012)

Mordkomplotts. “Complotto di morte”. Fa impressione leggere nero su bianco su un documento strettamente confidenziale e riservato, pubblicato in esclusiva dal Fatto che un Cardinale autorevole, l’arcivescovo di Palermo Paolo Romeo, prevede con preoccupante certezza la morte del Papa entro novembre del 2012. Una morte che, per la sicurezza con la quale è stata pronosticata, lascia intendere agli interlocutori del cardinale l’esistenza di un complotto per uccidere Benedetto XVI.

L’appunto è anonimo e reca la data del 30 dicembre del 2011. È stato consegnato dal Cardinale colombiano Darío Castrillón Hoyos alla segreteria di Stato e al segretario del Papa nei primi giorni di gennaio con il suggerimento di effettuare indagini per comprendere esattamente cosa abbia fatto e con chi abbia parlato l’arcivescovo Romeo in Cina.

Il Pontefice è stato informato del contenuto dell’appunto a metà gennaio scorso direttamente dal cardinale Castrillon durante un’udienza riservata e il Papa deve avere fatto un salto sulla sedia. Il documento si apre con una premessa in lettere maiuscole: “Strettamente confidenziale”.

Probabilmente gli uomini che curano la sicurezza del Pontefice - a partire dalla Gendarmeria Vaticana guidata dall’ex agente dei servizi segreti italiani, Domenico Giani - stanno cercando di verificare le circostanze in cui sono state pronunciate quelle terribili previsioni e la loro credibilità. Da sempre si favoleggia sulle congiure vaticane e sono stati scritti molti libri sulla morte sospetta di Giovanni Paolo primo.

Qui però siamo di fronte a un inedito assoluto. Mai nessuno aveva messo nero su bianco l’ipotesi di un complotto per far fuori il Papa. Un complotto che potrebbe realizzarsi da qui al novembre prossimo e che è inserito nel documento all’interno di un’analisi inquietante delle divisioni interne alla Chiesa che vedono contrapposti il Papa e il Segretario di Stato Tarcisio Bertone alla vigilia di una presunta successione, che ci auguriamo sia invece lontana nel tempo. Secondo la ricostruzione attribuita dal documento all’arcivescovo Romeo sarebbe Angelo Scola, arcivescovo di Milano, il successore designato da Papa Ratzinger.

Il documento in possesso del Fatto è scritto in lingua tedesca, probabilmente perché sia compreso appieno solo dal Papa e dai suoi stretti collaboratori e connazionali, come monsignor George Ganswin. Inizia con un lungo ‘oggetto’ in neretto: “Viaggio del Cardinale Paolo Romeo, Arcivescovo di Palermo, a Pechino a novembre 2011. Durante i suoi colloqui in Cina, il Cardinale Romeo ha profetizzato la morte di Papa Benedetto XVI entro i prossimi 12 mesi. Le dichiarazioni del Cardinale sono state esposte, da persona probabilmente informata di un serio complotto delittuoso, con tale sicurezza e fermezza, che i suoi interlocutori in Cina hanno pensato con spavento, che sia in programma un attentato contro il Santo Padre”.

Dopo questa premessa esplosiva, il testo si articola in tre paragrafi, ciascuno con un titolo in neretto. Il primo è “Viaggio a Pechino”; il secondo “Segretario di Stato Cardinale Tarcisio Bertone” e il terzo è “Successione di Papa Benedetto XVI”.

Nel primo paragrafo si ricostruisce lo strano viaggio in Cina effettuato dall’arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo, un personaggio influente nella Chiesa: 73 anni, nominato Cardinale nel Concistoro del 20 novembre 2010 dal Papa, parteciperà al prossimo Conclave. Nato ad Acireale da una famiglia ricca e numerosa Romeo è un estroverso, amante della buona cucina e delle tecnologie tanto che sul sito della sua Arcidiocesi si legge “Seguici su twitter” che secondo lui “Il signore avrebbe potuto usare per i dieci comandamenti”.

Dopo una lunga carriera che lo ha portato in Filippine, Venezuela, Ruanda, Colombia e Canada fu nominato Nunzio in Italia e nel 2006 quando doveva essere nominato il presidente della Conferenza episcopale italiana, promosse una consultazione tra tutti i vescovi italiani, mai autorizzata e sconfessata da Benedetto XVI. Anche il cardinale Castrillon de Hoyos fu sconfessato dal Papa per una sua lettera del 2001 nella quale si complimentava con un vescovo francese condannato per non avere voluto denunciare alle autorità civili un suo sacerdote, colpevole per abusi sessuali su minori.

Castrillon, più vecchio di Romeo appartiene alla corrente più tradizionalista della Chiesa e nel 2009 da presidente della Commissione “Ecclesia Dei”, quando si occupava dei Lefevbriani, non segnalò al Papa il pericolo rappresentato dalle posizioni antisemite del vescovo Williamson. A 80 anni nel 2010 è un pensionato e non parteciperà al prossimo conclave.

Castrillon forse avverte come un’invasione di campo la visita di Romeo in Cina. Un paese nel quale è in corso una durissima repressione sulla comunità cristiana che si rifiuta di assoggettarsi al regime. Secondo quanto è scritto nel documento però Romeo non si sarebbe occupato di questo :

“A novembre 2011 il Cardinale Romeo si è recato con un visto turistico a Pechino, dove, di fatto, non ha incontrato nessun esponente della Chiesa Cattolica in Cina, bensì uomini d’affari italiani, che vivono o meglio lavorano a Pechino, e alcuni interlocutori cinesi. A Pechino il Cardinale Romeo ha dichiarato di essere stato inviato personalmente da Papa Benedetto XVI per proseguire, o meglio verificare i colloqui avviati dal Cardinale Dario Castrillón Hoyos a marzo 2010 in Cina. Inoltre ha affermato di essere l’interlocutore designato del Papa per occuparsi in futuro delle questioni fra la Cina e il Vaticano ”.

Nel primo paragrafo l’anonimo estensore del documento consegnato agli uomini del Segretario di Stato Bertone e del Papa da Castrillon sostanzialmente tratteggia un Romeo un po’ sbruffone. L’arcivescovo di Palermo si accredita come un antico amico del cardinale Castrillon, esperto di rapporti con le chiese clandestine dai tempi della sua esperienza nelle Filippine, e persino come il componente di una sorta di direttorio segreto che governerebbe la Chiesa di Ratzinger.

“Il Cardinale Romeo ha sorpreso i suoi interlocutori a Pechino informandoli che lui - Romeo - formerebbe assieme al Santo Padre - Papa Benedetto XVI - e al Cardinale Scola una troica. Per le questioni più importanti, dunque, il Santo padre si consulterebbe con lui - Romeo - e con Scola”. Poi arriva il paragrafo sulle critiche che Romeo avrebbe rivolto al capo del Governo della Chiesa, il Segretario di Stato Tarcisio Bertone.

“Il Cardinal Romeo ha aspramente criticato Papa Benedetto XVI, perché si occuperebbe prevalentemente della liturgia, trascurando gli “affari quotidiani”, affidati da Papa Benedetto XVI al Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato della Chiesa Cattolica Romana”.

Non solo: Bertone e Ratzinger sono descritti come una coppia di litiganti costretti a convivere nelle mura leonine:

“Il rapporto fra Papa Benedetto XVI e il suo Segretario di Stato Cardinale Tarcisio Bertone sarebbe molto conflittuale. In un’atmosfera di confidenzialità il Cardinale Romeo ha riferito che Papa Benedetto XVI odierebbe letteralmente Tarcisio Bertone e lo sostituirebbe molto volentieri con un altro Cardinale. Romeo ha aggiunto però, che non esisterebbe un altro candidato adatto a ricoprire questa posizione e che per questo il Segretario di Stato Cardinale Tarcisio Bertone continuerebbe a svolgere il suo incarico”.

A questo punto, dopo aver premesso che “Anche il rapporto fra il Segretario di Stato e il Cardinale Scola sarebbe altrettanto avverso e tormentato”, arriva il paragrafo nel quale ci si occupa della successione del Papa, che vedrebbe in posizione privilegiata proprio il cardinale Scola, da sempre vicino a Comunione e Liberazione.

“In segreto il Santo Padre si starebbe occupando della sua successione e avrebbe già scelto il Cardinale Scola come idoneo candidato, perché più vicino alla sua personalità. Lentamente ma inesorabilmente lo starebbe così preparando e formando a ricoprire l’incarico di Papa. Per iniziativa del Santo Padre - così Romeo - il Cardinale Scola è stato trasferito da Venezia a Milano, per potersi preparare da lì con calma al suo Papato. Il Cardinale Romeo ha continuato a sorprendere i suoi interlocutori in Cina - prosegue il documento consegnato dal cardinale colombiano al Papa - in Cinacontinuando a trasmettere indiscrezioni”.

Ed ecco che, dopo avere esaminato il quadro dei rapporti conflittuali all’interno del Vaticano in vista della successione a Ratzinger, Romeo, secondo l’appunto, avrebbe gettato di fronte ai suoi interlocutori la bomba:

“Sicuro di sé, come se lo sapesse con precisione, il Cardinale Romeo ha annunciato, che il Santo Padre avrebbe solo altri 12 mesi da vivere. Durante i suoi colloqui in Cina ha profetizzato la morte di Papa Benedetto XVI entro i prossimi 12 mesi. Le dichiarazioni del Cardinale sono state esposte, da persona probabilmente informata di un serio complotto delittuoso, con tale sicurezza e fermezza, che i suoi interlocutori in Cina hanno pensato con spavento, che sia in programma un attentato contro il Santo Padre”.

Per accreditare la veridicità dei fatti riportati il documento maliziosamente chiosa: “Il Cardinale Romeo si sentiva al sicuro e non poteva immaginare, che le dichiarazioni fatte in questo giro di colloqui segreti potessero essere trasmesse da terzi al Vaticano”. La chiusura è dedicata al tema centrale che angoscia evidentemente l’estensore: la successione a Ratzinger: “Altrettanto sicuro di sé Romeo ha profetizzato che, già adesso sarebbe certo benché ancora segreto, che il successore di Benedetto XVI sarà in ogni caso un candidato di origine italiana.

Come descritto prima, il Cardinale Romeo ha sottolineato, che dopo il decesso di Papa Benedetto XVI il Cardinale Scola verrà eletto Papa. Anche Scola avrebbe importanti nemici in Vaticano”. Il Fatto nella serata di ieri ha contattato telefonicamente il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Padre Federico Lombardi, per chiedere la posizione ufficiale del Vaticano su questo documento ma la sua risposta è stata: “Pubblicate quello che credete ma vi prendete una responsabilità. Mi sembra una cosa talmente fuori dalla realtà e poco seria che non voglio nemmeno prenderla in considerazione. Mi sembra incredibile e non voglio nemmeno commentare”. Un atteggiamento di totale negazione dei fatti che appare discutibile perché il documento pone quesiti importanti non solo sulla salute e la sicurezza del Papa ma anche sulla situazione a dir poco sconcertante in cui versa la Chiesa.

Benedetto XVI è il capo della religione più diffusa sulla terra. Per 2 miliardi di cattolici è il custode della dottrina e - al di là della veridicità delle affermazioni contenute nell’appunto che va tutta verificata - questo testo deve essere portato all’attenzione dell’opinione pubblica. Una lettera simile non è una questione che può restare confinata nel circuito epistolare tra gendarmi, Segreteria di Stato e cardinali ma deve essere spiegata ai cristiani sempre più attoniti per quello che leggono sui giornali. Il Fatto ha già pubblicato il 4 febbraio scorso la lettera del Nunzio negli Stati Uniti, Carlo Maria Viganò, già segretario del Governatorato della Città del Vaticano, nella quale l’arcivescovo formulava accuse gravissime sulla corruzione, i furti e le false fatturazioni dentro le mura leonine e accusava di presunti reati monsignor Paolo Nicolini, direttore dei Musei Vaticani. Poi abbiamo pubblicato un documento esclusivo sui rapporti Aif-Uif che documentava la scelta del Vaticano di non fornire informazioni bancarie precedenti all’aprile del 2011 alle autorità antiriciclaggio. Ora si scopre un documento nel quale si parla senza remore di morte certa del Papa e si favoleggia persino di un possibile complotto per uccidere il Pontefice.

Per questo l’appunto sulla morte del Papa deve essere pubblicato: perché se ne verifichi coram populo l’origine e la veridicità e soprattutto perché finalmente Santa Romana Chiesa esca dal silenzio e spieghi ai suoi fedeli (e non solo a loro) come è possibile che tra i cardinali e il Papa circolino previsioni certe di morte e ipotesi omicidiarie che solo a leggerle fanno venire i brividi.

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Guerre poco sante

di Antonio Padellaro (il Fatto Quotidiano, 10 febbraio 2012)

Non sorprende che il portavoce vaticano definisca incredibile il documento che pubblichiamo (cos’altro dovrebbe dire?), così come non ci aspettiamo che il cardinale Castrillón e il cardinale Romeo, ciascuno per la parte che lo riguarda, svelino cosa si nasconde realmente dietro il contenuto sconvolgente di quelle pagine scritte in tedesco. Nella lunga storia della Chiesa, gli attentati alla vita dei pontefici non sono stati pochi (senza contare le morti sospette: Papa Luciani), ma è difficile ricordare una premonizione così datata: “Entro 12 mesi”. Tuttavia quelle pagine esistono e nessuna smentita potrà cancellarle. Si possono fare molte ipotesi. Una polpetta avvelenata all’interno della Santa Sede? Difficile credere che una ricostruzione così precisa sia il prodotto di una fabbrica dei falsi finalizzata a screditare due eminenti porporati.

Scoprire che nei Palazzi apostolici (da lì giunge l’appunto) si annidano corvi e serpenti non darebbe del Vaticano un’immagine ancora più desolante?

Più realistico considerare autentico il documento Castrillón e verosimile il resoconto del viaggio cinese di Romeo. Per l’importanza delle fonti. Per le verifiche compiute dal Fatto. E anche perché la guerra (poco santa) tra fazioni e correnti intorno a Ratzinger non può certo sorprendere dopo gli imbrogli e le ruberie denunciate da monsignor Viganò con la lettera pubblicata dal Fatto. Una cosa è certa: da oggi in poi ci sarà molto da raccontare sui segreti che il trono di San Pietro non riesce più a celare.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/2/2012 18.21
Titolo:Omicidi, sequestri e silenzi da papa Luciani a Viganò ....
Omicidi, sequestri e silenzi da papa Luciani a Viganò

di Ferruccio Sansa (il Fatto Quotidiano, 10 febbraio 2012)

Tanti scandali. Nessuna certezza. Le Mura Vaticane custodiscono intatti i loro misteri. Vicende che secondo alcuni sfiorano i vertici della Chiesa e che si intrecciano con la storia del nostro Paese. Ma l’accertamento della verità, come l’autorità giudiziaria italiana, pare talvolta essersi fermato all’ingresso dello Stato Pontificio.

L’infarto di Papa Luciani

“Ieri mattina sono andato alla Sistina a votare tranquillamente. Mai avrei immaginato quello che stava per succedere!”, è il 26 agosto 1978 quando Albino Luciani pronuncia queste parole. Il 28 settembre muore. Il referto parla di “infarto miocardico acuto”. E all’inizio nessuno dubita. Quel Papa dai modi miti, si dice, stroncato da una tensione insostenibile. Il tempo, però, rivela altro: Luciani si preparava a essere un Pontefice innovatore, con il desiderio di riportare la Chiesa alla semplicità originaria. Un impegno, però, che doveva scontrarsi le influenti gerarchie vaticane abituate a gestire potere e centinaia di miliardi. Saranno le inchieste giornalistiche a pronunciare per la prima volta la parola “omicidio”. Ne parlerà a Paolo Borsellino anche un pentito di mafia,

Vincenzo Calcara. Emersero così alcune circostanze mai chiarite: alla morte di Luciani fu deciso di non effettuare l’autopsia. Non fu mai chiarito del tutto chi ritrovò il corpo. Si raccontò poi di un incontro che il Papa aveva appena avuto per verificare le finanze della Chiesa. Infine, si è parlato della lista di nomine (e rimozioni) che avrebbe dovuto essere comunicata proprio il giorno della morte.

L’attentato a Wojtyla

Piazza San Pietro, 13 maggio 1981, attentato al Papa. L’unica cosa certa è che a sparare fu Mehmet Ali Agca (condannato all’ergastolo e graziato nel 2000). Le sue dichiarazioni contraddittorie hanno lasciato intravvedere perfino complici in Vaticano. L’ipotesi più seguita parla di un attentato progettato dal Kgb insieme con la Stasi della Germania Est. I servizi comunisti si sarebbero serviti di terroristi bulgari e dei Lupi Grigi turchi. Ma il pentito Caldara sosteneva che la mafia aveva avuto un ruolo nella vicenda.

Lo scandalo Ior

A gettare una luce - o un’ombra - diversa sui gialli del Vaticano sono gli scandali che vedono collegati Ior (l’Istituto Opere Religiose), Paul Marcinkus, Michele Sindona e P2. Dalle inchieste sul crack emerse che lo Ior avrebbe fornito una copertura per drenare 1.500 miliardi dalle casse dell’Ambrosiano. Non solo: Calcara sostenne che Marcinkus era a contatto anche con ambienti di Cosa Nostra. Uno scandalo, quello del Banco Ambrosiano, finito nel sangue con le morti di Guido Calvi, della sua segretaria e di Michele Sindona. Oltre a Giorgio Ambrosoli che stava cercando di fare chiarezza sull’Ambrosiano. E Marcinkus? Annullata sulla base dei Patti Lateranensi la richiesta di estradizione, morì con i suoi segreti a Sun City, in Arizona, a 84 anni.

Il rapimento Orlandi

Emanuela ha 15 anni quando scompare il 22 giugno 1983. Da quel giorno comincia una storia infinita di depistaggi, di piste che non si sa mai se siano vere o false. È Giovanni Paolo II nell’Angelus del 3 luglio 1983 a dire per primo pubblicamente che si tratta di un sequestro. Intanto è un supplizio continuo di telefonate anonime. Prima tocca a Pierluigi e Mario (telefonisti legati, pare, alla Banda della Magliana) che vorrebbero far credere alla fuga. Poi tocca a un uomo dall’accento americano che qualcuno sostiene fosse Marcinkus. Quindi spunta il possibile collegamento con la Magliana che si dice volesse chiedere la restituzione dei miliardi investiti nello Ior. I testimoni raccontano di aver visto Emanuela per l’ultima volta a due passi dalla Basilica di Sant’Apollinare. C’è chi sostiene che fosse con un uomo che somigliava a Renatino De Pedis, uno dei capi della Banda. Proprio lui che incredibilmente è sepolto all’interno della Basilica. Sabrina Minardi, ex moglie del giocatore Bruno Giordano in quegli anni legata a De Pedis, sostiene di aver assistito alla sepoltura di Emanuela. Agca invece assicura: “Emanuela è viva”. Un sedicente ex agente del Sismi sostiene si trovi in un manicomio inglese. Mille piste, nessuna verità.

Spari alle guardie svizzere

Alois Estermann viene nominato capo delle Guardie Svizzere la mattina del 4 maggio 1998. La sera viene ucciso con la moglie Gladys Meza Romero e con la guardia Cedric Tornay. La soluzione ufficiale del giallo arriva dopo poche ore di indagine condotta tutta dentro le Mura Vaticane: Tornay era un ragazzo instabile, fumava canne. Aveva una cisti nel cervello che lo avrebbe reso più aggressivo. Cedric avrebbe ucciso Estermann per vendicarsi di una promozione negata. La moglie dell’ufficiale si sarebbe trovata nel posto sbagliato. Un mare di prove (troppe hanno pensato in molti). Testimoni che spariscono e riemergono anni dopo accanto al Papa.

Il caso Viganò

Il 27 marzo 2011 monsignor Carlo Maria Viganò, all’epoca segretario generale del Governatorato (che gestisce le casse vaticane) scrive a Benedetto XVI. Viganò, chiamato un anno prima dal Papa a rimettere in sesto le finanze vaticane, lancia un allarme: vogliono di rimuovermi, ma “un mio trasferimento provocherebbe smarrimento in quanti hanno creduto fosse possibile risanare tante situazioni di corruzione e prevaricazione”. Viganò ha portato i conti da 8 milioni di perdite a 34,4 di avanzo. Il monsignore accusa “grandi banchieri che sono risultati fare più il loro interesse che i nostri”. Il 18 ottobre Viganò viene nominato nunzio apostolico a Washington dal segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Una destinazione di prestigio. E lontana dai conti del Vaticano.Ma il programma "Gli intoccabili" scopre la storia
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/2/2012 12.36
Titolo:Al di là del Tevere “un nido di vipere”
Al di là del Tevere “un nido di vipere”

di Roberto Faenza (il Fatto Quotidiano, 12 febbraio 2012)


Bisognerebbe interrogarsi da cosa derivi il potere del Vaticano sui media italiani. Ne sa qualcosa questo giornale, che sfidando l’ira dei colleghi quotidiani, ha appena pubblicato un documento sconcertante. Documento minimizzato dagli altri giornali. Per non concedere al Fatto l’onore delle armi di fronte a uno scoop giustamente definito una bomba da Santoro in trasmissione? Non credo sia questa la ragione.
Il motivo risiede nel timore reverenziale di urtare la “sensibilità” d’oltre Tevere. Ringraziamo Internet e la stampa internazionale, se lo scoop del Fatto ha ricevuto la giusta attenzione.

A mio avviso la parte più drammatica del documento inviato al Papa non è nella rivelazione di un possibile attentato (ora grazie alla pubblicazione di sicuro allontanato; almeno di questo si renderà merito).

L’elemento più inquietante è nelle righe che sottintendono una faida interna in seno alle segrete stanze. Il New York Times, che se c’è da dare una notizia dell’ira del Vaticano se ne frega, ha cominciato a frugare in quei segreti, a partire dalla trasmissione di Gianluigi Nuzzi su La7 a proposito della lettera dell’attuale Nunzio apostolico a Washington (pare ancora per poco) sulla presunta corruzione all’interno del Governatorato di Città del Vaticano.

Questo silenzio omertoso che costringe gran parte dei media italiani a tenere la schiena poco dritta ha radici antiche. Quando negli anni Settanta insegnavo a Washington, ebbi l’avventura di “liberare” per la prima volta una serie di documenti segreti della amministrazione americana che riguardavano l’Italia e il Vaticano.

Si trattava di rivelazioni scottanti, antesignane del lavoro che fa oggi Julian Assange, incluse le fotocopie degli assegni pagati ai politici nostrani e ad alcuni prelati. Questi documenti li ho pubblicati in un primo libro circolato indenne grazie alla Feltrinelli, Gli americani in Italia, e poi in un secondo, Il Malaffare, subito tolto dal mercato dalla Mondadori.

Alla vigilia della Liberazione, un documento Top secret dell’ambasciata americana a Roma informa Washington che sono stati
“agganciati” due alti prelati, Monsignor Perrone e Monsignor Dadaglio, i quali spifferano agli yankee quanto sta avvenendo in Vaticano, ovvero i timori di Pio XII per un possibile governo con dentro i comunisti. I due prelati rivelano che in Vaticano non tutti sono d’accordo con il Papa, tra questi Monsignor Tardini, che è a capo di una corrente “non ostile” al Pci.

La documentazione relativa a questi “intrighi del Vaticano”, così li definisce la stessa amministrazione americana, viene inviata ad alcuni giornalisti italiani perché ne scrivano, favorendo così il deflagrare di alcune posizioni troppo progressiste. Come si vede, quando si vuole scrivere si scrive.

Ancora più scottante la documentazione che concerne Monsignor Giovambattista Montini. Prima di diventare Segretario di stato e poi Papa Paolo VI, Montini viene “agganciato” da James Angleton, capo del controspionaggio di stanza a Roma. È convinto delle capacità del prelato, ma preoccupato del suo orientamento “poco conservatore”. Lo farà intercettare e monitorare tramite cimici piazzate nei suoi uffici da alcuni prelati compiacenti.

Le “trame in Vaticano”, così le qualificano i documenti, si fanno particolarmente accese, quando negli anni Sessanta si prepara il Concilio Vaticano II e la DC sta per aprire al partito socialista. Giovanni XXIII appare favorevole, ma non sono pochi i cardinali che la pensano diversamente e vorrebbero metterlo “sotto tutela”.

SI AGITANO come in un balletto il Sottosegretario di stato Monsignor Dell’Acqua e i monsignori Berloco e Iginio Cardinale, capo protocollo della Segreteria. Monsignor Vagnozzi, il delegato apostolico nella capitale americana, fa addirittura la spia di nascosto al Papa. Si presenta in gran segreto ai dirigenti del Dipartimento di stato per comunicare che “Giovanni XXIII ha un cancro inoperabile. Gli restano da vivere dai 6 ai 12 mesi. Monsignor Vagnozzi ha pregato di non fare il suo nome”. Lo stesso monsignore diventerà Presidente della Prefettura per gli Affari economici.

Ai tempi del breve e misterioso pontificato di Papa Luciani il cardinale Palazzini gli contesterà la sua reticenza sugli “immorali affari dello IOR” di Monsignor Marcinkus, “in combutta con Calvi eSindona”. Tutto questo cicaleccio preoccupa la stampa americana, che comincia a filtrare notizie. Silenzio invece sui nostri quotidiani.

Spiegano bene all’Italian desk del Dipartimento di stato: il
Vaticano e la Chiesa sono due entità diverse: il primo è un vero e proprio stato con un suo governo. E come tutti i governi è attraversato da correnti e conflitti interni. La Chiesa invece, scrivono a Washington, si occupa delle anime dei fedeli, in quanto vera erede di Cristo. Il Vaticano, aggiungono, talvolta appare in dissidio con la Chiesa. È sicuramente il “partito” italiano più
influente, temuto dalla stampa, riverito e omaggiato persino dal partito comunista. Poi in una nota definiscono la città del Vaticano “un nido di vipere”. Ora come allora?

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Commenti Articolo 920

Titolo articolo : DIREZIONE SPIRITUALE E MAGISTERO MAMMONICO. In Vaticano discutono ancora se rendere obbligatorio o no che il vescovo denunci i preti criminali. La testimonianza di una vittima, in un resoconto di Marco Politi - con alcune note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/12/2012 - 12:34:34.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/2/2012 10.30
Titolo:Si cambia passo, ma sulle denunce restano tanti «se» ---
Si cambia passo, ma sulle denunce restano tanti «se»


di Luca Kocci (il manifesto, 10 febbraio 2012)


Negli ultimi dieci anni oltre quattromila casi di abusi sessuali commessi da preti e religiosi su bambini, ragazze e ragazzi minorenni sono stati segnalati alla Congregazione vaticana per la dottrina della fede. Lo rivela il cardinale statunitense William Levada, prefetto dell'ex Sant'uffizio, a cui, secondo una disposizione del 2001 di papa Wojtyla, i vescovi dovrebbero comunicare tutti i casi di abuso e di violenza da parte di sacerdoti contro minori di cui sono a conoscenza.

Benché alto - quattromila in dieci anni significa più di un caso al giorno - il numero sembra assai inferiore alla realtà: Michael Bemi e Patricia Neal (del National catholic risk retention group e del National catholic services) parlano di «almeno centomila vittime solo negli Usa» dal 1950 ad oggi. Cifre degne di una guerra in cui lo stupro viene utilizzato come arma.

In questo caso, però, si parla di pedofilia ecclesiastica, al centro dei lavori del simposio internazionale sull'abuso sessuale Verso la
guarigione e il rinnovamento che si è chiuso ieri sera alla Pontificia università gregoriana di Roma, con vescovi e preti in rappresentanza di 110 conferenze episcopali.

Un incontro senza precedenti, che segna un evidente cambio di passo rispetto al passato in cui la parola d'ordine era negare il fenomeno. Ma non ancora una svolta: su un punto, quello dell'obbligo da parte dei vescovi di denunciare alle autorità civili l'autore delle violenza, le parole dei rappresentanti del Vaticano non sono chiare.

Come non è chiara la Lettera circolare della Congregazione per la dottrina della fede del maggio 2011 inviata alle Conferenze episcopali di tutto il mondo per aiutarle a preparare le «linee guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici»: si invita ad «ascoltare le vittime» e a «proteggere i minori», a garantire «un'adeguata formazione a sacerdoti e religiosi» e a «vigilare» sui loro comportamenti, fino a «limitare l'esercizio del ministero da parte di un chierico » o a dimetterlo se
riconosciuto colpevole. Si chiede anche di «collaborare» con le autorità statali, perché l'abuso sessuale dei minori «rappresenta anche un crimine perseguibile dal diritto civile», sebbene «i
rapporti con le autorità possano variare da Paese a Paese», precisa mons. Charles Scicluna, promotore di giustizia - una sorta di pm - della Congregazione per la dottrina della fede. E comunque mai se la notizia dell'abuso fosse stata appresa in confessione.


Una collaborazione con tanti "se" e "ma". Eppure, spiega Marier Collins - una donna irlandese di 66 anni violentata da un prete quando ne aveva 13 ed era ricoverata in ospedale - «avevo 47 anni quando parlai del mio abuso per la prima volta» ma «l'inizio della guarigione per me è stato il giorno in cui il mio aggressore in tribunale ha ammesso la sua colpa».

In Italia, per ammissione dello stesso Bagnasco, la Cei riconosce oltre cento casi di abusi compiuti negli ultimi dieci anni. A maggio verranno presentate le «linee guida» per «affrontare la questione
in spirito di giustizia, avendo premura - spiega - in primo luogo per le vittime degli abusi e curando in particolare la formazione dei futuri sacerdoti». E chissà se si farà cenno anche alla giustizia
terrena.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/2/2012 12.32
Titolo:la città del Vaticano “un nido di vipere”. Ora come ....
Al di là del Tevere “un nido di vipere”

di Roberto Faenza (il Fatto Quotidiano, 12 febbraio 2012)


Bisognerebbe interrogarsi da cosa derivi il potere del Vaticano sui media italiani. Ne sa qualcosa questo giornale, che sfidando l’ira dei colleghi quotidiani, ha appena pubblicato un documento sconcertante. Documento minimizzato dagli altri giornali. Per non concedere al Fatto l’onore delle armi di fronte a uno scoop giustamente definito una bomba da Santoro in trasmissione? Non credo sia questa la ragione.
Il motivo risiede nel timore reverenziale di urtare la “sensibilità” d’oltre Tevere. Ringraziamo Internet e la stampa internazionale, se lo scoop del Fatto ha ricevuto la giusta attenzione.

A mio avviso la parte più drammatica del documento inviato al Papa non è nella rivelazione di un possibile attentato (ora grazie alla pubblicazione di sicuro allontanato; almeno di questo si renderà merito).

L’elemento più inquietante è nelle righe che sottintendono una faida interna in seno alle segrete stanze. Il New York Times, che se c’è da dare una notizia dell’ira del Vaticano se ne frega, ha cominciato a frugare in quei segreti, a partire dalla trasmissione di Gianluigi Nuzzi su La7 a proposito della lettera dell’attuale Nunzio apostolico a Washington (pare ancora per poco) sulla presunta corruzione all’interno del Governatorato di Città del Vaticano.

Questo silenzio omertoso che costringe gran parte dei media italiani a tenere la schiena poco dritta ha radici antiche. Quando negli anni Settanta insegnavo a Washington, ebbi l’avventura di “liberare” per la prima volta una serie di documenti segreti della amministrazione americana che riguardavano l’Italia e il Vaticano.

Si trattava di rivelazioni scottanti, antesignane del lavoro che fa oggi Julian Assange, incluse le fotocopie degli assegni pagati ai politici nostrani e ad alcuni prelati. Questi documenti li ho pubblicati in un primo libro circolato indenne grazie alla Feltrinelli, Gli americani in Italia, e poi in un secondo, Il Malaffare, subito tolto dal mercato dalla Mondadori.

Alla vigilia della Liberazione, un documento Top secret dell’ambasciata americana a Roma informa Washington che sono stati
“agganciati” due alti prelati, Monsignor Perrone e Monsignor Dadaglio, i quali spifferano agli yankee quanto sta avvenendo in Vaticano, ovvero i timori di Pio XII per un possibile governo con dentro i comunisti. I due prelati rivelano che in Vaticano non tutti sono d’accordo con il Papa, tra questi Monsignor Tardini, che è a capo di una corrente “non ostile” al Pci.

La documentazione relativa a questi “intrighi del Vaticano”, così li definisce la stessa amministrazione americana, viene inviata ad alcuni giornalisti italiani perché ne scrivano, favorendo così il deflagrare di alcune posizioni troppo progressiste. Come si vede, quando si vuole scrivere si scrive.

Ancora più scottante la documentazione che concerne Monsignor Giovambattista Montini. Prima di diventare Segretario di stato e poi Papa Paolo VI, Montini viene “agganciato” da James Angleton, capo del controspionaggio di stanza a Roma. È convinto delle capacità del prelato, ma preoccupato del suo orientamento “poco conservatore”. Lo farà intercettare e monitorare tramite cimici piazzate nei suoi uffici da alcuni prelati compiacenti.

Le “trame in Vaticano”, così le qualificano i documenti, si fanno particolarmente accese, quando negli anni Sessanta si prepara il Concilio Vaticano II e la DC sta per aprire al partito socialista. Giovanni XXIII appare favorevole, ma non sono pochi i cardinali che la pensano diversamente e vorrebbero metterlo “sotto tutela”.

SI AGITANO come in un balletto il Sottosegretario di stato Monsignor Dell’Acqua e i monsignori Berloco e Iginio Cardinale, capo protocollo della Segreteria. Monsignor Vagnozzi, il delegato apostolico nella capitale americana, fa addirittura la spia di nascosto al Papa. Si presenta in gran segreto ai dirigenti del Dipartimento di stato per comunicare che “Giovanni XXIII ha un cancro inoperabile. Gli restano da vivere dai 6 ai 12 mesi. Monsignor Vagnozzi ha pregato di non fare il suo nome”. Lo stesso monsignore diventerà Presidente della Prefettura per gli Affari economici.

Ai tempi del breve e misterioso pontificato di Papa Luciani il cardinale Palazzini gli contesterà la sua reticenza sugli “immorali affari dello IOR” di Monsignor Marcinkus, “in combutta con Calvi eSindona”. Tutto questo cicaleccio preoccupa la stampa americana, che comincia a filtrare notizie. Silenzio invece sui nostri quotidiani.

Spiegano bene all’Italian desk del Dipartimento di stato: il
Vaticano e la Chiesa sono due entità diverse: il primo è un vero e proprio stato con un suo governo. E come tutti i governi è attraversato da correnti e conflitti interni. La Chiesa invece, scrivono a Washington, si occupa delle anime dei fedeli, in quanto vera erede di Cristo. Il Vaticano, aggiungono, talvolta appare in dissidio con la Chiesa. È sicuramente il “partito” italiano più
influente, temuto dalla stampa, riverito e omaggiato persino dal partito comunista. Poi in una nota definiscono la città del Vaticano “un nido di vipere”. Ora come allora?
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/2/2012 12.34
Titolo:Al di là del Tevere “un nido di vipere” ...
Al di là del Tevere “un nido di vipere”

di Roberto Faenza (il Fatto Quotidiano, 12 febbraio 2012)


Bisognerebbe interrogarsi da cosa derivi il potere del Vaticano sui media italiani. Ne sa qualcosa questo giornale, che sfidando l’ira dei colleghi quotidiani, ha appena pubblicato un documento sconcertante. Documento minimizzato dagli altri giornali. Per non concedere al Fatto l’onore delle armi di fronte a uno scoop giustamente definito una bomba da Santoro in trasmissione? Non credo sia questa la ragione.
Il motivo risiede nel timore reverenziale di urtare la “sensibilità” d’oltre Tevere. Ringraziamo Internet e la stampa internazionale, se lo scoop del Fatto ha ricevuto la giusta attenzione.

A mio avviso la parte più drammatica del documento inviato al Papa non è nella rivelazione di un possibile attentato (ora grazie alla pubblicazione di sicuro allontanato; almeno di questo si renderà merito).

L’elemento più inquietante è nelle righe che sottintendono una faida interna in seno alle segrete stanze. Il New York Times, che se c’è da dare una notizia dell’ira del Vaticano se ne frega, ha cominciato a frugare in quei segreti, a partire dalla trasmissione di Gianluigi Nuzzi su La7 a proposito della lettera dell’attuale Nunzio apostolico a Washington (pare ancora per poco) sulla presunta corruzione all’interno del Governatorato di Città del Vaticano.

Questo silenzio omertoso che costringe gran parte dei media italiani a tenere la schiena poco dritta ha radici antiche. Quando negli anni Settanta insegnavo a Washington, ebbi l’avventura di “liberare” per la prima volta una serie di documenti segreti della amministrazione americana che riguardavano l’Italia e il Vaticano.

Si trattava di rivelazioni scottanti, antesignane del lavoro che fa oggi Julian Assange, incluse le fotocopie degli assegni pagati ai politici nostrani e ad alcuni prelati. Questi documenti li ho pubblicati in un primo libro circolato indenne grazie alla Feltrinelli, Gli americani in Italia, e poi in un secondo, Il Malaffare, subito tolto dal mercato dalla Mondadori.

Alla vigilia della Liberazione, un documento Top secret dell’ambasciata americana a Roma informa Washington che sono stati
“agganciati” due alti prelati, Monsignor Perrone e Monsignor Dadaglio, i quali spifferano agli yankee quanto sta avvenendo in Vaticano, ovvero i timori di Pio XII per un possibile governo con dentro i comunisti. I due prelati rivelano che in Vaticano non tutti sono d’accordo con il Papa, tra questi Monsignor Tardini, che è a capo di una corrente “non ostile” al Pci.

La documentazione relativa a questi “intrighi del Vaticano”, così li definisce la stessa amministrazione americana, viene inviata ad alcuni giornalisti italiani perché ne scrivano, favorendo così il deflagrare di alcune posizioni troppo progressiste. Come si vede, quando si vuole scrivere si scrive.

Ancora più scottante la documentazione che concerne Monsignor Giovambattista Montini. Prima di diventare Segretario di stato e poi Papa Paolo VI, Montini viene “agganciato” da James Angleton, capo del controspionaggio di stanza a Roma. È convinto delle capacità del prelato, ma preoccupato del suo orientamento “poco conservatore”. Lo farà intercettare e monitorare tramite cimici piazzate nei suoi uffici da alcuni prelati compiacenti.

Le “trame in Vaticano”, così le qualificano i documenti, si fanno particolarmente accese, quando negli anni Sessanta si prepara il Concilio Vaticano II e la DC sta per aprire al partito socialista. Giovanni XXIII appare favorevole, ma non sono pochi i cardinali che la pensano diversamente e vorrebbero metterlo “sotto tutela”.

SI AGITANO come in un balletto il Sottosegretario di stato Monsignor Dell’Acqua e i monsignori Berloco e Iginio Cardinale, capo protocollo della Segreteria. Monsignor Vagnozzi, il delegato apostolico nella capitale americana, fa addirittura la spia di nascosto al Papa. Si presenta in gran segreto ai dirigenti del Dipartimento di stato per comunicare che “Giovanni XXIII ha un cancro inoperabile. Gli restano da vivere dai 6 ai 12 mesi. Monsignor Vagnozzi ha pregato di non fare il suo nome”. Lo stesso monsignore diventerà Presidente della Prefettura per gli Affari economici.

Ai tempi del breve e misterioso pontificato di Papa Luciani il cardinale Palazzini gli contesterà la sua reticenza sugli “immorali affari dello IOR” di Monsignor Marcinkus, “in combutta con Calvi eSindona”. Tutto questo cicaleccio preoccupa la stampa americana, che comincia a filtrare notizie. Silenzio invece sui nostri quotidiani.

Spiegano bene all’Italian desk del Dipartimento di stato: il
Vaticano e la Chiesa sono due entità diverse: il primo è un vero e proprio stato con un suo governo. E come tutti i governi è attraversato da correnti e conflitti interni. La Chiesa invece, scrivono a Washington, si occupa delle anime dei fedeli, in quanto vera erede di Cristo. Il Vaticano, aggiungono, talvolta appare in dissidio con la Chiesa. È sicuramente il “partito” italiano più
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Titolo articolo : Anche le stelle si sono stufate di stare a guardare,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: February/12/2012 - 08:09:39.

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Autore Città Giorno Ora
elio cassano bari 22/1/2012 18.25
Titolo:Quanto hai ragione!
Con molto dolore ho letto il tuo articolo, caro direttore! da alcuni mesi mi vado dicendo - e mi si ghiaccia il sangue quando leggo, come nel tuo articolo, il riferimento a dittature - che ormai siamo pronti alla dittatura. Qualora dovesse arrivare, la accoglieremo volentieri, come il male minore. Almeno la barca sarà in pochissime mani e da qualche parte si andrà, ora il rischio è che la famosa barca venga trascinata un po' di qua ed un po' di là, senza andare da nessuna parte. troppo individualismo, troppe settorializzazioni, troppi interessi personali, altro che famigerato "bene comune". E' agghiacciante un PD da cui non si sente formulare una sola proposta, un solo progetto. E come d'altronde potrebbe formularne, se di qualsiasi gruppo si toccano gli interessi, si scatenano proteste e ripicche. I partiti sono autoreferenti, devono salvaguardare se stessi e gli interessi chi ne è al comando, altro che bene del popolo, della "gente comune", di chi non conta nulla. non c'è da essere ottimisti, purtroppo. Sto partecipando al gruppo che si interessa del nodo ferroviario di BAri, ed a quello dell' Acqua Bene COmune" ma ho l'impressione di essere formiche tra elefanti. in ogni caso speriamo bene e andiamo avanti. Purtroppo la nostra Chiesa, o meglio la gerarchia - orami da tempo sostengo che esistono due Chiese indipendenti tra loro o quasi: La Gerarchia e le Parrocche - si occupa quasi soltanto di quasi aria fritta: valori non negoziabili ed apparire smagliante nelle liturgie splendidamente decorate. e intanto la casa va al fuoco. Un cordiale saluto
Autore Città Giorno Ora
Ernesto Miragoli Como 12/2/2012 08.09
Titolo:Anche la stellina guarda
Caro Giovanni.
Ho letto e riletto con molta attenzione il tuo editoriale e mi complimento per la lucidità, la chiarezza ed il coraggio.
Vorrei solo aggiungere una cosa: abbiamo un presidente della repubblica (non m'importa se si chiami Napolitano, Ciampi, Scalfaro, Cossiga...) che è una stellina che sta a guardare. Cominciò Cossiga a guardare nascere quel poco di buono di Bossi e da allora in poi non ci fu nessuno che mandò i magistrati ed i carabinieri a mettere fuori legge del tutto i lombardi della seconda crociata. Il massimo, però, è la stellina che attualmente occupa le stanze del Quirinale e che in molti continuano ad osannare. Napolitano ha saputo pubblicare un libro "Una ed indivisibile" (libro che non è neanche un granchè) sulla nostra repubblica, ma non ha il coraggio di dichiarare che le spinte autonomiste che voglion chiamarsi fuori e spingono per fare regioni autonome sono fuorilegge e come tali vanno perseguiti.
Siamo messi male...in molti sensi.

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Commenti Articolo 922

Titolo articolo : IL "PARTITO DELL'AMORE" DI PAPA RATZINGER E IL SOGNO D'AMORE DI EMMA FATTORINI. Una sua nota - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/11/2012 - 15:43:04.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/2/2012 15.43
Titolo:L’alleanza si è rotta. La Chiesa non abbia paura delle donne ...
L’alleanza si è rotta. La Chiesa non abbia paura delle donne

di Emma Fattorini (l’Unità, 11 febbraio 2012)

La donna è più predisposta a quell’unità di vita tra piccolo e grande, tra dentro e fuori, tra interiorità ed esteriorità che è il modo contemporaneo in cui Cristo ci appare oggi. In un tempo come il nostro nel quale è forte la scissione tra le affermazioni di principio e i comportamenti pratici, anche tra i cristiani che tanta fatica fanno a raggiungere una unità di vita.

Però, come non credo all’inferiorità femminile, non credo neanche ad una superiorità della donna neppure nel rapporto con Gesù. Credo invece, profondamente, in un’assoluta parità della donna con l’uomo, ma una parità così radicale da consentire una sua altrettanto radicale differenza con lui. Una differenza anche nel loro rapportarsi a Dio. Una differenza che purtroppo gli uomini, tutti, anche quelli di Chiesa hanno tradotto, banalmente, con inferiorità. Un errore, ma direi di più: un vero e proprio peccato che non solo Gesù non commise mai, ma dal quale proprio e solo lui, in tutta la storia umana, ha aiutato davvero ad affrancarci, cambiandone il segno.

Questo non è ciò che avviene nella Chiesa. Le suore oggi sono consapevoli dell’assurdità di questa posizione, dell’errore enorme, della perdita secca che, non loro, ma il mondo maschile della Chiesa subisce nel non valorizzare il femminile. Qualcosa che non può dominare, controllare e che pure sarebbe una ricchezza e una benedizione per lui e per la Chiesa.

Credo che la Chiesa rischi di perdere l’occasione storica di una grande, potente, alleanza con il genere femminile. La Chiesa, lungo la sua storia, si è alleata tante volte con le donne: nei momenti in cui si è sentita sconfitta, ad esempio dopo la rivoluzione francese, o in i tutti i passaggi cruciali del processo di secolarizzazione, si è sempre alleata con quel senso di pietà religiosa che la donna riusciva a fare vivere in casa comunicandola ai propri uomini, ai figli, al proprio marito sempre più lontani dalle pratiche religiose. Si trattava di una devozione mai disgiunta da un profondo e rigoroso cambiamento interiore, fatto di onestà, formazione del carattere e coerenza. Ecco allora, ancora una volta, la capacità femminile di tenere uniti il dentro e il fuori.

Poi, con il processo di emancipazione femminile, dalla fine dell’Ottocento in poi, questa alleanza si è spezzata: la donna è diventata sempre di più veicolo e metafora della modernità vista solo nei suoi pericoli, in primo luogo la libertà dell’individuo.

Oggi questo processo è giunto agli esiti più estremi. Quello che papa Wojtyla ha chiamato svolta antropologica, che non è quella bandiera ideologica rinfacciata su tutti i fronti. Lui l’assume, fin dal tempo in cui, lavorando al Concilio contribuì al n. 22 della Gaudium et Spes in questi termini:

Cristo svela pienamente l’uomo all’uomo, perché solo nel mistero del Verbo anche il mistero dell’uomo incarnato trova vera luce. Dio ha posto nell’uomo un seme di eterno. Cioè Cristo aiuta l’uomo ad essere pienamente uomo e qui Wojtyla aggiunge che, in questo passaggio, la cooperazione femminile è fondamentale, essenziale. È fondativa, non accessoria o secondaria.

Oggi la libertà soggettiva e i diritti individuali sono la cultura dominante, come a fine Ottocento fu la questione sociale. E come allora la Chiesa riuscì a farsene carico con una dottrina sociale capace di rispondere in avanti alle domande del collettivismo socialista e dell’individualismo liberale, così deve fare ora con il tema delle libertà individuali.

E la donna da minaccia suprema potrebbe essere la più preziosa alleata.

Vorrei dire molto serenamente ai nostri sacerdoti e alle nostre gerarchie: non dovete avere paura del rapporto vero con le donne. E questo significa in primo luogo che, quando si parla giustamente e inevitabilmente di valori irrinunciabili, l’etica, che ne è il fondamento, si può fondare solo sull’amore e non sullo scambio politico: quello, lo sappiamo bene, ci vuole, sarebbe dannosamente ingenuo ignorarlo. Ma non è mai, assolutamente mai il patteggiamento politico a dovere avere l’ultima parola. E questo non per purismo imbelle ma perché, semplicemente, non funziona. Le donne possono essere il centro propulsore di una sorta di nuova costituente antropologica, in cui in nome di un comune umanesimo, che non può esistere se non è anche un umanesimo femminile, si possono trovare più ragioni comuni con i non credenti che argomenti di divisione. Due sono i vizi da evitare perché questo sia possibile: la colpevolizzazione o il moralismo, ne abbiamo avuti tanti esempi in questi dieci anni e abbiamo visto come siamo finiti.

Nel nuovo protagonismo dei cattolici nella politica italiana le donne possono essere centrali, quale ponte e dialogo con i non credenti, possono essere pilastri di una nuova cooperazione. E, invece, come sono apparse le donne sulla scena pubblica nell’ultimo ventennio? O come corpi mercificati, o come fattori divisivi dei valori non negoziabili.

Eppure è altro lo spazio per le donne.

È chiaro ormai per tutti che la crisi del mondo occidentale è etica prima che economica. Ma se nuove regole, una stessa nuova etica non cresce e matura dall’interiorità, dalla maturità complessiva delle persone non potremo mai risollevarci. È irrealistico, prima che sbagliato, pensare ai bisogni dei giovani, i più penalizzati dalla crisi, come pure opportunità di occupazione. Lo so, sembra da pazzi, eppure è proprio adesso, quando la situazione materiale si fa più difficile, che la forza interiore dell’amore e della generosità diventa potente per sperare e progettare, per essere onesti e generosi. Un sentire che dobbiamo comunicare alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi di un Occidente ormai neppure più sazio ma solo disperato.

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Titolo articolo : LA TRE-SFERA: DANTE CON EINSTEIN - E KANT. Una bella e formidabile ipotesi di Carlo Rovelli, da coniugare con il lavoro di Kant - dalla "Storia universale della natura e teoria del cielo" alla "Critica della facoltà del giudizio".,a cura di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/11/2012 - 13:16:52.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/10/2010 16.34
Titolo:ANTIGRAVITAZIONE E ANTROPOTECNICA ......
- Le idee di Peter Sloterdijk hanno conquistato Habermas e gli studiosi francesi

- La filosofia è un personal trainer

- Ora esce in Italia uno dei suoi saggi più importanti. Per "allenarci" a un’altra vita
- "Non si può sperare di cambiare il mondo ma solo di migliorare se stessi"
- "Si deve ritrovare il senso della disciplina come pratica e come metodo"

- di Marco Filoni (la Repubblica, 22.10.2010)

Quando Peter Sloterdijk scrive un libro, in Germania e in Francia, diventa un evento. Da noi non è ancora così noto. Eppure il filosofo di Karlsruhe, classe 1947, domina la scena tedesca come non succedeva da decenni. Già nel 1983, il suo esordio con la Critica della ragion cinica viene definito dal decano Jürgen Habermas come l’avvenimento più importante dopo il 1945. Perché mina i principi dell’Illuminismo e propone un maquillage del cinismo greco per uscire dallo stallo del moderno.

Da quel momento diventa un riferimento: con le sue eccentriche, ma solidissime, ricerche colma il vuoto di tante asfittiche variazioni filosofiche. Affrontando, anche in modo provocatorio, la concretezza dei problemi attuali. Lo dimostra il suo ultimo libro, Devi cambiare la tua vita, in libreria per Raffaello Cortina. In Germania ha venduto 50.000 copie in soli due mesi. Un record per un libro di filosofia di quasi 600 pagine. Un libro nel quale, analizzando la condizione umana, Sloterdijk ci dice che siamo alla deriva. Ma possiamo salvarci con l’allenamento, praticare esercizi che ci migliorino. Dobbiamo cambiare vita.

Professore, cosa significa questo imperativo?

«È quello che io chiamo imperativo assoluto. Una sorta di provocazione insormontabile. Che si muove su una sconvolgente scoperta, fatta agli inizi delle così dette civiltà avanzate: l’uomo è un essere stratificato. Del resto l’idea è presente, ai giorni nostri, nell’opera di Freud. Quando descrive l’anima la raffigura come una regione su tre piani: nel solaio, al primo piano, abita il super-io; nel pianoterra c’è l’io; nello scantinato c’è l’es. Da questa stratificazione si sviluppa quella che chiamo tensione verticale».

Lei raffigura questa tensione come una scalata, un’ascensione verso il miglioramento di noi stessi. Ma quali sono i mezzi per compiere questa scalata?

«La vita dell’essere umano non è soltanto una vita omogenea, pacificata e felice. Sente una tensione verso l’alto, una competizione a essere migliore rispetto ai suoi simili e a sé stesso. Un’idea espressa nei sistemi di esercizio antichi. I primi a incarnare questo modello, nella tradizione occidentale, sono stati gli atleti. Ma poco a poco si è generalizzato, è diventato un’ambizione di vita che ha formato il nucleo della nostra concezione filosofica della paideia, l’educazione. La paideia classica dei greci è una sorta di democratizzazione delle pretese atletiche. Non a caso Platone ha forgiato il termine philo-sofia sul modello della parola più antica philo-timia, che designava la virtù degli atleti a lottare per l’amore della gloria».

È una tradizione riscontrabile solo nei greci?

«No, affatto. La storia continua con il cristianesimo. I primi monaci orientali si erano denominati atleti di Cristo. E vivevano nell’asketeria, cioè luogo di allenamento: questo il primo nome di quello che più tardi avremmo chiamato monastero. Perciò i primi cristiani si allenavano a imitare il Cristo, l’essere umano che ha raggiunto la cima dell’autoperfezione divenendo il figlio di Dio, sviluppando la facoltà di vincere la morte e realizzare così l’ascensione verso il cielo. In questo senso la verticalità è l’idea più radicale della nostra storia. Imitare il Cristo è partecipare a un gigantesco esercizio di antigravitazione umana. I primi cristiani erano tutti discepoli dell’arte dell’antigravitazione».

Eppure nelle sue pagine lei ipoteca la religione. Addirittura sembra voler spogliare la teologia del suo carattere divino.

«Il mio proposito è far cadere il concetto di religione. È una conseguenza che traggo dalla teoria generale dell’esercizio. È più giudizioso descriverla con una terminologia legata all’allenamento. Quindi propongo una naturalizzazione del concetto di religione per esprimere la sua verità in termini immunitari. La religione è il primo sistema immunitario dei gruppi umani, un sistema d’immaginazione che promette loro la salvezza. Ma la salvezza non è gratuita: è il risultato di un’attività permanente, uno sforzo di solidarizzazione collettiva che dovrà essere regolarmente ripetuto. Solo così gli uomini possono immunizzarsi contro la paura della morte e della dannazione eterna. E questa immunità è acquisita attraverso l’allenamento».

Il sottotitolo del suo libro è Sull’antropotecnica. Cos’è?

«La definisco come la somma degli esercizi e delle pratiche attraverso le quali gli esseri umani elaborano il loro potenziale. Allo stesso tempo è la somma delle tecniche che gli individui utilizzano per mettersi in forma. Quindi un ambito della conditio humana che bisogna finalmente integrare nell’antropologia generale».

E quali sono le conseguenze politiche?

«L’antropotecnica nasce nella sfera politica durante la rivoluzione russa. I rivoluzionari sono stati i primi a fare apertamente la propaganda del miglioramento dell’uomo. In origine il termine compare nell’enciclopedia sovietica del 1926. Nasce dall’ideologia di Trotsky, che voleva creare una nuova umanità con un livello medio più elevato. Ovvero un mondo di geni, in cui al confronto Goethe o Michelangelo apparissero addirittura mediocri. Si può dire che è la ricezione dell’idea nietzscheana del superuomo asservita all’ideologia rivoluzionaria. In rapporto a ciò, oggi l’ideologia cattolica predica la modestia: l’uomo è così com’è. Anzi, meglio che vi rimanga più a lungo possibile. È un atletismo piatto, uno sport di massa senza vere ambizioni. Si è perduta la grande tensione dell’età classica. La generazione contemporanea ha dimenticato il concetto di antigravitazione e di tensione verticale. E se vi è un elemento pedagogico nel mio libro, consiste nella volontà di ricordare questa dimensione».

Quindi il filosofo oggi è una specie di allenatore che deve contribuire a indicare gli esercizi per esser migliori. C’è una certa assonanza con l’idea di Alexandre Kojève, che diceva di non esser più interessato ai filosofi ma soltanto ai saggi...

«In un certo senso ha ragione. La filosofia in quanto tale ha già giocato la sua ultima carta. E non ci si può più attendere molto da lei. Ma bisogna dire che il saggio kojèviano è legato al compimento del sapere, alla chiusura del grande ciclo della riflessione umana. Dopo il desiderio, dopo la storia, dopo la lotta, il saggio partecipa al Sapere Assoluto o lo realizza lui stesso. Un’idea molto stimolante e seducente, ma riservata a chi oggi può permettersi di vivere di rendite, senza la costrizione del lavoro. Ma tutti noi che invece continuiamo a lavorare siamo fuori portata dalla tentazione kojèviana. Per noi la storia continua, il lavoro continua...».

Quindi oggi a che serve la filosofia?

«Ci sono due risposte contrastanti. Fino alla fine della Seconda guerra mondiale, e negli anni che seguirono, la risposta era: la filosofia serve a interpretare e preparare il miglioramento del mondo. Così però la filosofia è una sorta di serva della sociologia, come nel Medioevo si diceva lo fosse della teologia. C’è poi una seconda risposta, accennata nel secolo scorso e che va ripresa: prima di migliorare il mondo esterno, l’individuo deve migliorare sé stesso».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/12/2011 12.53
Titolo:Il Battistero, il «bel San Giovanni», come lo chiamò Dante ....
Quella bellezza multistrato nel palinsesto del Battistero

Un capolavoro dove si intrecciano varie epoche

di Francesca Bonazzoli (Corriere della Sera, 19.12.2011)

È vero che la cupola di santa Maria del Fiore, superbo orgoglio del Brunelleschi, è il segno di Firenze che tutti riconoscono ma il luogo più simbolico, persino mitico, fulcro religioso e culturale della città, è il Battistero, il «bel San Giovanni», come lo chiamò Dante.

Fu consacrato nel 1059 ma le sue origini sono misteriose, la sua fondazione avvolta nel fumo delle leggende: nel Medio Evo lo si pensava un tempio di Marte consacrato a san Giovanni Battista solo dopo l'editto di Milano, nel 313.

Nel Settecento la datazione fu alzata all'epoca gota o longobarda; oggi viene ritenuto un edificio romanico costruito in un intervallo di tempo incerto fra il IV-V secolo e il VII, sulle rovine di una grande domus romana. I resti di quell'antico passato sono ancora visibili, per esempio, girando attorno all'edificio a sinistra, dove alla base si scopre una battaglia navale che altro non è se non il frammento inglobato di un sarcofago.

Se poi fate qualche altro passo e alzate gli occhi sugli spigoli dell'abside, vedrete due grandi teste di leone con le fauci aperte pronte ad azzannare i peccatori. Legata alle stranezze del Battistero è anche, davanti alla porta Nord, la colonna di San Zanobi. Sormontata da una croce, fu eretta per ricordare il miracolo avvenuto durante il passaggio delle reliquie del santo, quando un olmo secco, colpito accidentalmente dal sarcofago, rinverdì miracolosamente in pieno inverno.

Altri due segni curiosi si vedono nelle colonne della porta Sud: due rettangoli che corrispondono alle misure di lunghezze usate nell'Alto Medio Evo, il piede longobardo e quello fiorentino.

Il rivestimento esterno, in marmo bianco e verde, è datato tra l'XI e il XIII secolo ma è strutturato in due ordini, secondo il paradigma classico, così come classica è la pianta ottagonale, il cui modello è la perfezione del Pantheon.

All'interno, nella cupola, suddivisa in gironi e spicchi, la decorazione a mosaico del XIII secolo ambisce agli esempi illustri delle grandi basiliche di Roma e Costantinopoli. Precedenti fiorentini non ce n'erano e così le maestranze furono chiamate da Venezia ma lavorarono su disegni di artisti locali come Coppo di Marcovaldo cui viene attribuito il Giudizio Universale con l'inferno dominato da un enorme mostro che divora i peccatori (timore collettivo del Medio Evo) e che verrà ripreso da Giotto a Padova.

Le forzature espressive dei dannati, rispetto alla più composta tradizione bizantina, hanno dunque origini toscane, mentre il grande Cristo Pantocrator, assiso con serena maestà in una mandorla circolare sul trono del mondo, rimane più fedele al modello bizantino.

Ma non è ancora tutto. Dopo aver dunque gettato le basi della fondazione del romanico fiorentino e iniziato il passaggio «dal greco al latino», il Battistero è stato anche l'arena dove si è giocata la partita del trapasso dal Gotico al Rinascimento.

Questa volta la data è precisa: 1401, l'anno in cui va in scena il celebre duello fra Lorenzo Ghiberti e Filippo Brunelleschi. In palio c'è la commissione per una porta del Battistero ma di fatto si battezza qui la svolta più epocale della storia dell'arte: la nascita, a Firenze, del Rinascimento come il nuovo stile della finanza borghese in antitesi al gusto aristocratico delle corti.

Al concorso bandito per l'assegnazione dell'incarico parteciparono anche due scultori poco più che ventenni: Lorenzo Ghiberti e Filippo Brunelleschi. Questi presentò la proposta più rivoluzionaria, ma Ghiberti vinse e conservò la «signoria» sul Battistero fino al 1425 ricevendo anche la commissione della terza porta (chiamata da Michelangelo «del Paradiso»). Intanto, però, in città aveva preso piede una fronda di artisti che aveva trovato spazio d'espressione in un'altra porta, quella della Mandorla, sul fianco nord del Duomo, dove viene adottato un linguaggio più energico e meno raffinato di quello del Ghiberti: fra loro c'era anche Donatello.

Ne nacque una guerra culturale fra due fazioni tanto che, ancora verso il 1450, Ghiberti volle rendere pubbliche le sue memorie per giustificare la propria arte affermando con orgoglio di essere stato l'artefice di tutte le più importanti opere fiorentine. Il clan umanista, all'opposto, sosteneva il nome di Brunelleschi anche attraverso novelle (quella per esempio del Grasso legnaiolo) e con una biografia (attribuita ad Antonio Manetti) che incoronava l'architetto come l'iniziatore di una nuova età.

Tutto era partito dal Battistero: come un palinsesto, diventando via via sempre più bello, raccoglieva le stratificazioni della storia artistica e religiosa dando spazio anche alla tomba dell'antipapa Giovanni XXIII.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/2/2012 13.16
Titolo:Il paradiso di Dante in realtà è ispirato al battistero di Firenze
LA SCOPERTA

Il paradiso di Dante in realtà è ispirato
al battistero di Firenze

Negli ultimi canti del Purgatorio, sul monte del paradiso terrestre, Dante Alighieri nella sua «Divina Commedia» descrive una complessa scena allegorica. Ci sono più personaggi (tra i quali lo stesso Dante, Virgilio e Beatrice) che si muovono quando a est, quando a ovest, al di qua e al di là delle sponde del fiume Lete, il grande purificatore.

È il cammino intrapreso per arrivare al paradiso, non casuale e frutto della fantasia del sommo poeta, ma scandito da un rituale preciso che Dante aveva visto più di una volta nel battistero e nella cattedrale di Firenze.

Lo ha scoperto Marco Santagata, ordinario di Storia della letteratura italiana all'Università di Pisa e tra i massimi studiosi dell'Alighieri, oltre che vincitore nel 2003 del Premio Campiello (allora era stato premiato per «Il maestro dei santi pallidi»).

Ora, nel suo ultimo libro («L'Io e il mondo, un'interpretazione di Dante», pubblicato dal Mulino) Santagata espone la sua tesi anche grazie a schemi grafici. «Nel paradiso terrestre Dante procede come facevano i catecumeni nel battistero di San Giovanni - spiega il professore - seguendo i movimenti liturgici di chi, battezzato, cerca la grazia».

Marco Gasperetti

* CORRIERE DELLA SERA, 6 febbraio 2012

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Commenti Articolo 924

Titolo articolo : Pillole di Costituzione (1),di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: February/06/2012 - 20:07:39.

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Autore Città Giorno Ora
elio cassano bari 06/2/2012 09.18
Titolo:Costituzione e conseguenze
La Costituzione, che potrebbe essere definita il vangelo laico della nazione, da chi è conosciuta, spiegata nei suoi retroscena come in questo caso dall'articolo di Sarubbi? Io non ho avuto la fortuna di conoscerla a scuola, nonostante avessi sempre acquistato il testo di Educazione Civica (parlo di quasi 50 anni fa, ora ne ho 63). Sui giornali, in TV nei vari programmi didattici, culturaliquando mai se ne parla, quanto meno incidentalmente? Spesso è solo uno sbandierarla, citarla, così come si citano - dopo morti - Aldo Moro, don Tonino Bello, don Milani, padtre Turoldo, De Gasperi e tantissimi altri. Ma chi e dove ci si prodiga perchè diventi conosciuta, sia l'arma, o meglio la leva, con cui far valere i prorpi diritti. A me pare che si potrebbe cominciare da qui. Si è risuscitato il senso della Patria con i suoi 150 anni, ho l'impressione che la stiamo mettendo a dormire di nuovo e la risveglieremo fra altri 50 per tante altre, folcloristiche, manifestazioni. Qualli sono i punti comuni per gli italiani, quelli su cui ci ritroviamo tutti, su cui fondiamo il nostro essere nazione? A pelle mi viene da dire: consumismo e cercare di arrivare in qualsiasi modo. Ed ecco che la cattiva politica è il fecondissimo lievito dell'antipolitica. Chi non può fruire della cattiva politica, non può che essere antipolico, purtroppo!!!
Autore Città Giorno Ora
Michele Maria Rubino Forlì 06/2/2012 20.07
Titolo:Rimuovere, snaturare, violare
Il sig. Cassano di Bari ha centrato il problema della ignoranza della nostra Carta fondamentale dei diritti e dei doveri. D'altronde anche la Costituzione della Repubblica Romana aveva subito analoga sorte: il potere ha relegato quel che doveva essere, come in USA, pane quotidiano dei comportamenti dei cittadini nelle relazioni interpersonali e con lo Stato, in un museo delle cere da ricordare nelle celebrazioni per la resistenza tanto per tappare la bocca ai partigiani ancora viventi. Ed è vero, la scuola ha mancato, anche per ignoranza grassa degli insegnanti. A questi andava fatto un esame sulla loro specifica preparazione al riguardo e soprattutto sul loro metodo di insegnamento ai ragazzi. Se penso che il Governo Berlusconi voleva che il voto per la Religione facesse media con le altre materie, mentre nulla di ciò si pretendeva per la Costituzione!
Eppure POchi anni orsono un referendum ha evidenziato che in Italia questa nostra Carta è ancora difesa e con essa i grandi BENI COMUNI della LIBERTA'.della UGUAGLIANZA, della SOLIDARIETA? Questo nuovo governo invece pare, come il precedente,determinato nell'eliminazione dell'altro grande bene comune su cui è fondata la nostra REpubblica democratica: il LAVORO. Gli italiano sono destinati alla RESISTENZA.

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Commenti Articolo 925

Titolo articolo : IN MEMORIA DI DON LUISITO BIANCHI. "GRATUITA' NEL MINISTERO": UNA SUA 'LEZIONE' PER BENEDETTO XVI, PER TUTTI I CARDINALI, E PER TUTTI I VESCOVI.,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/06/2012 - 13:15:46.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 03/2/2012 11.53
Titolo:In ricordo di don Luisito Bianchi
In ricordo di don Luisito Bianchi

di Mario Arnoldi

in "Tempi di fraternità" n. 2 del febbraio 2012


Luisito Bianchi è mancato il 5 gennaio scorso, la vigilia dell'Epifania. Era nato a Vescovato,
Cremona, nel 1927 e ordinato sacerdote nel 1950. Laureato in scienze politiche a Milano,
dapprima era stato insegnante al Seminario vescovile, poi missionario in Belgio, quindi Assistente
delle Acli (Associazioni cristiane lavoratori italiani) a Roma, incarico che gli ha permesso di
prendere i primi contatti con gli operai e di costatare che l'istituzione Chiesa non realizza una
presenza adeguata nel mondo. Finalmente, dopo tante riflessioni e contatti, sceglie la vita di prete
operaio ed è assunto nella fabbrica Montecatini di Spinetta Marengo presso Alessandria, dove
rimane per tre anni dal '68 al '71.

Ogni giorno, quando i turni di lavoro lo permettono, Luisito frequenta la messa vespertina presso la
parrocchia del quartiere più povero della città, insieme all'altro prete operaio, Giovanni Carpené,
che pure proveniva dal Belgio e col quale condivide l'abitazione. Là ho conosciuto Luisito e
Giovanni e con loro si è stabilita un'amicizia feconda. Io ero più giovane e ascoltavo le loro parole e
la loro esperienza come un insegnamento particolarmente ricco. La mia amicizia con i due preti
operai ha poi preso vie parallele e autonome.

Luisito, dopo i tre anni in fabbrica, si riavvicina alla sua Vescovato, continuando per qualche tempo
a lavorare come aiuto benzinaio e come infermiere; poi si ferma all'abbazia di Viboldone, a sud-est
di Milano, dove vive la seconda fase della sua vita come cappellano, nella riflessione, nella scrittura
narrativa poetica e nella frequentazione di amici delle varie tappe della sua esistenza. che tanto
hanno ricevuto da lui, e che, insieme con le Suore Benedettine, costituiscono la sua famiglia umana
e spirituale. All'abbazia Luisito compie quasi una revisione e interpretazione delle tante esperienze
compiute.

Sono stato a volte a trovarlo e sempre mi ha accolto con amicizia sincera. Mi ascoltava e
le sue parole erano di comprensione, di conforto e illuminanti.
Luisito Bianchi vive la sua vita non come un susseguirsi di avvenimenti giustapposti, sia pure
significativi, ma come la manifestazione quotidiana di un flusso continuo che chiama "gratuità",
una variazione significativa della grazia, della misericordia e del dono di Dio verso l'uomo e la
donna, l'umanità, la Chiesa. E in questo flusso di gratuità di Dio siamo tutti chiamati a inserirci,
donandoci a nostra volta verso tutto quanto ci circonda. "Avete ricevuto gratuitamente,
gratuitamente date" (Matteo 10,8). "La gratuità (nella vita) e nel ministero - dice in un suo scritto
- è un tema da infinite variazioni, almeno una per ogni giorno, perché ogni giorno si presenta con
un nuovo cesto di doni sconosciuti da svuotare, un canone all'infinito".

Testimoniano questa ricerca,
o meglio questa sua impostazione di vita, i suoi libri sul lavoro Sfilacciature di fabbrica, 1970,
riedizione 2002 e Come un atomo sulla bilancia, Morcelliana, Brescia, 1972, riediz. Sironi, Milano
2005, storia di tre anni di fabbrica. Luisito pensa che il lavoro di fabbrica per un prete sia un mezzo
di sostentamento per non cadere nel commercio dei sacramenti e degli strumenti di fede. Il romanzo
che lo ha reso celebre raggiungendo il grande pubblico è La Messa dell 'uomo disarmato, 1989,
riediz. Sironi, Milano 2003, in cui narra e intende la resistenza partigiana come la Parola e la
gratuità che si sono fatte storia. E ancora i testi in cui affronta direttamente il nucleo del tema come
Dialogo sulla gratuità, Morcelliana, Brescia, 1975, riediz. Gribaudi, Milano, 2004. Tanti altri scritti,
ed anche piccole perle di musica, che egli a volte componeva per diletto, narrano il diffondersi delle
infinite variazioni della gratuità.


All'abbazia di Viboldone sabato scorso, giorno successivo all'Epifania, ho partecipato alla liturgia di
addio a Luisito. Sono stato coinvolto dalla grande partecipazione, composta e commossa, di amici
ed estimatori, di tanti preti concelebranti e del vescovo di Cremona che presiedeva. Due momenti
mi hanno colpito particolarmente. All'inizio della liturgia il prete operaio Giovanni Carpené ha
depositato sulla bara la tuta blu di lavoro di Luisito, come lui stesso aveva chiesto fosse fatto. Il
gesto ha suscitato grande emozione. E poi l'omelia del celebrante ha ricordato la gratuità motivoconduttore della sua vita. Non è vero, ha affermato, riprendendo un detto di Luisito, che l'Epifania,
cioè la manifestazione della gratuità divina, tutte le feste porta via, la vita infatti è costellata di
epifanie, sino all'ultima, quando si incontra Dio, la fonte di ogni gratuità.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/2/2012 13.15
Titolo:Solo nella gratuità infatti si può amare davvero....
La Pasqua di don Luisito, scrittore e prete disarmato

di Angelo Bertani (Jesus, n. 2, febbraio 2012)

Sfilacciature di fabbrica, Come un atomo sulla bilancia, Dialogo sulla gratuità, La Messa dell’uomo disarmato, Simon mago, C’era una volta la Pasqua al mio paese, Le quattro stagioni di un vecchio lunario: a leggere i titoli dei suoi libri si resta sorpresi.

Nulla di scontato, piuttosto un cenno paradossale, quasi una fantasia, una provocazione. Talvolta non si comprende bene neppure quale sarà il tema trattato nelle pagine interne. Ma leggendole - tutte bellissime sebbene non sempre facili
si resta incantati dalla forza e dalla verità che esprimono. Raccontano ed evocano, ma non forzano le conclusioni. Obbligano piuttosto a chiedersi: «Che cosa significano queste cose per me, oggi?». Si intuisce soprattutto una grande creatività, una ricerca di novità, un invito a capire di più, andare nel profondo. Una capacità di comunicare sentimenti e speranza anche al di là delle parole. E soprattutto invitano a cercare un filo rosso, davvero evangelico.

Così è stata la vita di don Luisito Bianchi. Nato a Vescovato, in provincia di Cremona, aveva incontrato la Resistenza nel 1943, a 16 anni. Lì aveva conosciuto gli ideali. Ricordava: «I partigiani avevano un sogno: quello di un mondo senza violenza e senza ingiustizia. La democrazia italiana nasce da questi ideali». E aggiungeva con sdegno: «Poi si è affermato lo slogan “meno Stato e più mercato”. E anche tanti cattolici hanno applaudito...».

Così Luisito aveva scoperto la gratuità e la profonda radice religiosa. «Avevo davanti a me un’idea: che un mondo nuovo è possibile se nasce dal sacrificio degli uomini, dal loro sangue sparso per dono, per amore non per odio, sangue che si unisce a quello del Signore»: così mi diceva per un’intervista a Jesus nel 2005; e ricordavamo Teresio Olivelli che, nella Preghiera del Ribelle, invoca: «Se cadremo, fa che il nostro sangue si unisca al Tuo innocente e a quello dei nostri morti a crescere al mondo giustizia e carità».

Questa esperienza giovanile di Resistenza cristiana farà da sfondo al bellissimo romanzo La Messa dell’uomo disarmato, ma soprattutto orienterà tutta la vita di Luisito, che diventa sacerdote, insegnante, intellettuale, prete operaio, inserviente di ospedale e infine cappellano presso il monastero femminile benedettino di Viboldone, dove ha potuto continuare il suo ministero e la testimonianza anche attraverso i libri.

Proprio attraverso i libri l’avevo conosciuto fin dal 1972, quand’era apparso Come un atomo sulla bilancia presso la Morcelliana. Di Luisito Bianchi allora avevo solo sentito parlare un poco perché era stato anche viceassistente nazionale delle Acli. Mi aveva incuriosito il titolo (a chi viene in mente di pesare gli atomi sulla bilancia? Certo nascondeva un paradosso) e poi mi appassionavano le esperienze dei preti operai, allora numerose e discusse. Il libro, che è un “diario” della sua vita quotidiana come prete che vive e lavora in fabbrica, fu una rivelazione per la forma letteraria, la sincerità e l’equilibrio che manifestava, la libertà di spirito e l’amore alla Chiesa e ai fratelli, vicini e lontani.

Recentemente aveva pubblicato anche la storia straordinaria di quella stagione (I miei amici, Diari 1968/70, edito da Sironi nel 2008). Mille pagine, certo. Ma così piene di intelligenza e di cuore, così capaci di “convertire” chiunque le legga, che vorrei consigliarle a ogni cristiano un po’ stanco, confuso, scoraggiato. Un libro che vale un Nobel; e che converte il cuore al vero amore gratuito verso Dio e i fratelli più di qualsiasi documento e omelia.

A chi lo ha conosciuto e gli ha voluto bene, a chi ha letto e compreso i suoi libri e a tutti quanti sono stati raggiunti dal suo messaggio e toccati dalla sua testimonianza, Luisito Bianchi - che è entrato nel Regno della perfetta gratuità il 5 gennaio scorso - lascia una certezza, una speranza e un impegno. La certezza è che il Signore parla e opera sempre nel cuore degli uomini e fa nascere, in ogni momento e in ogni luogo, degli uomini e delle energie che possono essere riferimenti e guide per il cammino della Chiesa e di tutta l’umanità.

La speranza è che tutti, credenti e persone di buona volontà, siamo capaci di ascoltare: facendo silenzio dentro di noi, facendo tacere tanto inutile chiasso. Lo aveva spiegato nel 2007 in un dialogo con Annachiara Valle (Jesus, aprile 2007): «Certo si può pensare che qui nel silenzio sia più facile poter pregare e ascoltare, ma il silenzio non è un fatto esteriore... La mia esperienza mi dice che il silenzio non è un luogo, ma è l’incontro con Cristo. Ascoltare le sue parole, non le nostre. La nostra ricerca di identità, il nostro chiacchiericcio finisce per mettere a tacere il Vangelo. Il monastero di Viboldone è come una luce, ma il mio ascolto è stato preparato durante gli anni di fabbrica, con il vociferare dei motori. È in mezzo al rumore che ho ricevuto il dono del silenzio».

L’impegno è a far crescere la coscienza che la Chiesa è fondata non sul ragionare degli uomini ma sulla gratuità della Rivelazione. Solo la gratuità consente di sperare e agire anche contro l’evidenza, la convenienza, le tentazioni del danaro e del potere. Solo la gratuità è generosa e capace di sognare e di costruire una realtà nuova, nella Chiesa e nella società, contro ogni timore e pigrizia, in spe contra spem. Solo nella gratuità infatti si può amare davvero, ogni giorno, i fratelli e la Chiesa. Grazie, don Luisito!

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Commenti Articolo 926

Titolo articolo : GUARI’ MOLTI CHE ERANO AFFETTI DA VARIE MALATTIE,di p. Alberto Maggi OSM

Ultimo aggiornamento: February/05/2012 - 22:01:50.

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Autore Città Giorno Ora
Franca Maria Bagnoli Pescara 05/2/2012 22.01
Titolo:Che Dio ti benedica
Che Dio ti benedica, Padre Maggi. Ci sveli una fede non oppressiva ma liberatrice.

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Commenti Articolo 927

Titolo articolo : IL ROMANZO DI PAOLO POMPEIFilosofia ed ironia,di Sebastiano Saglimbeni

Ultimo aggiornamento: February/05/2012 - 15:13:15.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/2/2012 15.13
Titolo:Verità ed evento. Pensieri su guerra e sviluppo ...
Il coraggio di sapere, nel momento del pericolo.


Una nota su Verità ed evento. Pensieri su guerra e sviluppo di Paolo Pompei

di Federico La Sala

-11 novembre 2004:
-http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/filosofia/ilcoraggio11112004.htm

"Verità ed evento. Pensieri su guerra e sviluppo"di Paolo Pompei (Edizioni Pendragon, Bologna 2004, pp. 187, e. 14.00) ...... è un’opera aperta e in-finita: raccoglie frammenti incandescenti di una esperienza di ricerca radicale e di una lotta senza quartiere (cap. I: Contro la guerra, cap. II - Attraversare il deserto, cap. III - Per una pedagogia della non violenza, Conclusioni - Contributo a una filosofia del futuro) - in prima persona. Paolo Pompei (1937-2003) con tutta la lucidità e la forza possibile lo rivendica espressamente e con orgoglio: "Ciò che vado scrivendo non è frutto di interpretazione antropologica, ma di opzioni del mio pensiero: decisioni". E, immediatamente proseguendo, mostra di aver ben chiaro da dove questa determinazione origini e quale sia la posta in gioco, sì che cambia tonalità e soggetto: "Dobbiamo perseguire l’esercizio per liberarci della paura della morte; è il nostro recinto per gli elefanti. Nefasto è perseguire a tutti i costi una tecnologia della vita"(p. 184). La sfida è accolta e lanciata - e al massimo livello: si tratta di vincere la paura della paura, quella della morte - a partire dalla propria. In quei pressi, si annida il segreto stesso della vita e della libertà. Pompei se ne rende conto e osa - osa sapere (Kant), nel momento del pericolo (W. Benjamin).

Per avvicinarsi a questo lavoro di Paolo Pompei credo sia necessario e opportuno proprio collocarsi nello stesso orizzonte di W. Benjamin, del Benjamin delle "Tesi di filosofia della storia", e ri-coniugare materialismo storico e teologia (di Benjamin egli richiama esplicitamente il "Frammento teologico-politico", pp. 90-91).

Solo così è possibile capire perché è necessario sottoporre "a critica due categorie" [quelle dello scrivere]: la distinzione tra pubblico e privato e l’imposizione dell’autore" e, in tutta la sua portata, l’importanza di ciò che egli ricattura dal passato e chiama "l’originalità": "Come accadeva ai pittori di icone nel Medioevo, così è accaduto a me: senza le sollecitazioni di mia moglie non avrei iniziato a scrivere, senza le sue domande di chiarimento, non avrei continuato. La cooperazione nel Medioevo avveniva non solo per la singola icona nel suo insieme, ma anche per ogni suo strato; cooperazione, ma senza naturalmente le dipendenze personali proprie della corporazione medievale! Scrivere è diventato così per me una forma di dialogo e un piacere"(p. 65).


A partire da qui, dalla co-operazione ’medievale’ ri-conquistata, l’orizzonte si allarga e si libera da pregiudizi e fraintendimenti. Egli riattinge l’origine e il principio - quello del logos e dell’amore - e, vinta la paura della morte, ri-nasce! E, come fanciulli, i suoi pensieri aprono e riaprono vecchi-nuovi sentieri e riprendono la corsa: "Anche Gesù fu un Bodhisattva. Volle rimanere tra gli uomini per ammaestrarli, consolarli e insegnare loro a non avere paura della morte. Dall’India derivano i Vangeli. Non confondiamo i quattro Vangeli con i documenti ufficiali della Chiesa. Dalla compassione di Buddha discende l’agàpe di Gesù"(p. 185).

L’incredibile è avvenuto: egli ha combattuto e ha vinto "la disperazione di una morte senza futuro" e trovato l’accesso a "un altro mondo di immortalità possibile"(p. 185). E, ritrovata la sua "originalità" e i suoi compagni, con fiducia e slancio, invita a riprendere il cammino: "Scuotete comunque la polvere dai vostri calzari e camminate. E’ tempo di continuare la quète, si aprono tempi che vale la pena di vivere!"(p.187). Il coraggio di servirsi della propria intelligenza non è caduto vittima della paura della morte e, cosa decisiva, ha riallacciato il legame con la fonte stessa della sua origine - l’amore. La co-operazione e il dialogo possono riprendere il loro lavoro. La storia non è finita, e la fonte non si è esaurita. Tra illuminismo e illuminazione, c’è molto più filo di quanto i loro nemici hanno mai osato pensare. Pompei, coraggiosamente, lo ha riscoperto e ce lo ricorda. Non perdiamo questo filo: è prezioso se vogliamo rinascere, e non cadere vittime della paura della morte (che da più e più parti ormai circonda l’orizzonte del nostro presente) e della disperazione.... e restare, in un continuo eterno, sotto il dominio del "signore delle mosche"!

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Titolo articolo : Impedire l'ennesima guerra,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: February/04/2012 - 19:01:58.

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Autore Città Giorno Ora
Augusta De Piero Udine 12/1/2012 16.35
Titolo:condivido
Condivido in particolare il disgusto per quel 'mi piace', intollerabile segno -ad esempio - della presenza su facebook, che si voglia condividere l'evento cottura del minestrone o dimostrare il proprio macabro interesse (se tale è) per un film dell'orrore.
Sono convinta -e finalmente mi rendo conto di non essere sola- che anche una pulizia linguistica avrebbe un significato per trattenerci - forse- di qua del baratro.
Alla Galleria Nazionale di Napoli c'é un bellissio quadro di Bruegel il vecchio dove tre ciechi, condotti in catena umana da un altro cieco, vanno appunto verso il baratro.
Chi è il primo cieco non di una ma delle tante catene rese solide dalla volontà di non capire? E perché la volontà di non capire rassicura?
Augusta De Piero - Udine
Autore Città Giorno Ora
Giovanni Sarubbi Monteforte Irpino 12/1/2012 22.13
Titolo:Parla la madre della bambina del video
Ho ricevuto da Marinella Coreggia il seguente messaggio sul video di cui parlo in questo articolo. Lo riporto senza alcun commento.

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Sulla bambina Afef che secondo un fantomatico "Centro per le documentazioni in Siria" e sempre "senza poter confermare" sarebbe morta per le torture in carcere trovo queste affermazioni della sua mamma. Le ha mandate oggi con altre (come fanno ogni giorno) l'ufficio stampa del'ambasciata siriana. Ogni giorno è un elenco con nomi cognomi e luoghi di persone (civili e militari, impiegati governativi, donne) uccise, spiegano loro, da gruppi terroristi. Se qualcuno è interessato posso mandare dei "saggi" di queste notizie. Naturalmente qualcuno dirà "no perché sono info di parte". Ma l'Osservatorio siriano per i diritti umani (da Londra) e i Comitati di coordinamento locale citati come la Bibbia dai media di tutto il mondo, sono anch'essi di parte (e spesso non fanno i nomi e spesso li fanno falsi), e MAI condannano le esecuzioni, i rapimenti e le violenze del cd "Esercito Libero siriano". Marinella


ECCO LA NOTA SU AFEF E COME VEDETE SI ACCENNA ANCHE AD ALTRI BAMBINI
La signora Shadya Abdul Jabbar Al Assaad, madre della bambina Afaf Mahmoud Sarakbi, ha smentito quanto diffuso da alcuni canali d'informazione complici nello spargimento di sangue in Siria, in particolare Al Jazeera, che hanno sostenuto che la piccola è stata uccisa in una prigione, mentre il padre è ancora detenuto.
La donna ha aggiunto che la figlia, dopo essere stata trasferita alla città di Tartous qualche tempo fa, ha cominciato a soffrire di una malattia per cui è stato necessario portarla dai medici e, in seguito, all'ospedale, dove è rimasta per tre giorni. La sua situazione clinica è però peggiorata causando la morte della bambina.
Il canale del terrorismo "Al Jazeera" è ormai abituato a creare questo genere di storie immaginarie, che hanno spesso come protagonisti dei bambini, violando la loro innocenza per mobilitare ed incitare l'opinione pubblica. Spesso però sono stati smascherati, grazie anche alle versioni fornite dai genitori, che hanno portato alla luce le loro menzogne, come è successo per Alla Jiblawi, Sari Saouud e Hala Al Munajed

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Commenti Articolo 929

Titolo articolo : "Una perla preziosa".,di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: February/01/2012 - 21:10:11.

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Autore Città Giorno Ora
Nicola Vazzola Mira (Oriago) provincia di Venezia 01/2/2012 21.10
Titolo:Articolo "perla" di Mario Mariotti.
Oh, finalmente una persona che ragiona come si deve. Sono le prime parole sagge che sento da cinquant'anni a questa parte. Fino ad ora ho sempre subito le politiche ed i dettami di una chiesa ufficiale irriconoscibile rispetto al messaggio evangelico. Nonostante sia dichiaratamente ateo e sbattezzato ufficiale presso la diocesi di Treviso, non toglie che sappia apprezzare e distinguere tra la gente che discute e quella che impone diktat controproducenti. I miei più sentiti complimenti all' autore della "perla"! Da oggi guarderò con occhio meno malevolo chi parla di religione in questi termini.
Cordiali saluti. Vazzola Nicola.

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Commenti Articolo 930

Titolo articolo : "IO NON CI STO!": OSCAR LUIGI SCALFARO. L’ex Presidente della Repubblica (dal 1992 al 1999), senatore a vita aderente al Pd, si è spento nella notte a Roma.,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: February/01/2012 - 13:26:57.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/1/2012 12.59
Titolo:Vedeva lontano, il Presidente.
Il «chirurgo di Caporetto» e il vuoto della politica


di Ida Dominijanni (il manifesto, 31 gennaio 2012)


Non sarebbe piaciuto, a Oscar Luigi Scalfaro, essere definito come il Presidente a cavallo fra due Repubbliche, prima e seconda, come accade in molti dei commenti che gli sono stati dedicati. Non per il passaggio, s'intende, di cui egli fu effettivamente protagonista e guida, ma per la numerazione delle Repubbliche. La Repubblica, per lui, era una sola, quella della Costituzione; e non pronunciava mai il lemma "seconda Repubblica" senza premettere un "cosiddetta" o simili
("maldefinita", disse una volta in un'intervista al manifesto).

La pignoleria linguistica, va da sé, aveva una ragione politica: non solo per il fatto che soltanto una nuova Costituzione può dare luogo
a una seconda Repubblica, ma perché Scalfaro non si piegò mai all'idea - e all'ideologia - dell'"eccezionalismo" di Berlusconi, ovvero al racconto della sua "discesa in campo" come inizio di un'era nuova e come riscrittura fattuale, anche se non formale, delle regole del gioco politico.


Questo spiega perfettamente la sua decisione che resta tutt'ora oggetto di controversia (e astio, da parte di Berlusconi e del Pdl), quella che lo portò nel '94 a cercare una soluzione parlamentare della
crisi del primo governo del Cavaliere (provocata dall'uscita della Lega dalla maggioranza), senza ricorrere alle elezioni come invece Berlusconi - convinto allora come adesso che l'unica legittimazione che conta sia quella popolare, e che i vincoli costituzionali non esistano - riteneva ovvio.

Del resto, non siamo ancora e sempre allo stesso punto, sospesi fra le norme del parlamentarismo scritto in Costituzione e la prassi di una quasi-investitura diretta del premier? Se
due mesi fa Berlusconi ha ingoiato la soluzione Monti con minor riottosità di quanto fece allora con Dini non è solo perché allora Dini fu sostenuto da una maggioranza diversa da quella uscita dalle
urne (il famoso "ribaltone") e Monti oggi è sostenuto da tutti; è anche e banalmente perché stavolta un ritorno alle urne non l'avrebbe premiato, e la sua baldanza del 94 non c'è più.

La correttezza della procedura seguita allora dal Presidente nulla toglie, ovviamente, alla sua acclarata allergia politica al Cavaliere, quanto di più lontano e marziano potesse piombare sulla scena per uno che avesse la biografia di Scalfaro, e quanto di più insidioso per uno che, da costituente, la Carta del '48 la sentiva come una creatura da difendere.

Non smise di farlo, del resto, dopo il settennato, come dimostra il suo impegno militante al referendum del 2006 contro la riforma
costituzionale voluta dal centrodestra.


«Io ho dovuto fare il chirurgo a Caporetto, non in una Asl modello», disse una volta in risposta a chi lo accusava di aver favorito una deriva presidenzialista interpretando in modo troppo "interventista"
la figura del Capo dello Stato. Quell'interventismo, in verità, non avrebbe fatto difetto ai suoi successori, ma non va dimenticato soprattutto che era stato ben più marcato nel suo predecessore
Francesco Cossiga. Quanto alla Caporetto, come non ricordare, e come restituire a chi non può ricordare, che cosa fu la stagione che va dal '92, anno dell'insediamento di Scalfaro, al '94?

Non c'erano solo Tangentopoli e Mani pulite a far crollare uno dopo l'altro come birilli i pezzi del sistema politico; c'era stata Capaci, ci fu via D'Amelio, ci furono suicidi eccellenti e meno eccellenti
per le inchieste anticorruzione, scoppiarono le ultime bombe non firmate. C'era, alle spalle, il sisma mondiale dell'89 con i suoi riflessi interni.

C'era, emergente, una "nuova destra" a cui nel frattempo abbiamo fatto l'abitudine, ma che allora pareva un alieno spuntato non si sa come da non si sa dove, e che nella rottura del patto fondamentale trovava il suo cemento e la sua ragion d'essere. E c'era un centrosinistra in perenne trasformazione interna, che fra il 96 e il '99 riuscì a consumare tre presidenti del Consiglio, Prodi D'Alema Amato, uno dopo l'altro.

Scalfaro tenne la barra. Lo si accusa di essere stato troppo tenero con i magistrati e in particolare con il protagonismo della Procura milanese, quando si rifiutò di firmare i decreti Conso e Biondi
schierandosi di fatto a fianco della protesta della magistratura; ma sono agli atti alcune sue dichiarazioni contro «l'esaltazione soggettiva della propria funzione da parte di alcuni magistrati
che si sono sentiti gli attori principali in scena, e in un certo senso lo erano».

Ma lo erano, aggiungeva, non tanto per un loro eccesso di zelo, quanto per il difetto di moralità e di capacitàdella classe politica. Il vuoto della politica, e l'illusione ingegneristica di risolvere i problemi politici con riforme istituzionali, costituzionali ed elettorali estemporanee lo tormentavano.

"C'è un vuoto enorme di politica- disse al manifesto subito dopo la scadenza del suo mandato - e la politica non sopporta vuoti: qualcuno li occupa, varie forze e molteplici, quelli che siamo soliti chiamare 'i poteri forti'...C'è anche una rinuncia a far politica, che più che alla pace assomiglia a un mortorio». Vedeva lontano, il Presidente.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/2/2012 13.26
Titolo:Scalfaro, tre volte padre della patria
Scalfaro, tre volte padre della patria

di Domenico Gallo (il manifesto, 1 febbraio 2012)

Adesso che è stata consegnata all’eternità, risplende la bellezza dell’avventura umana di Oscar Luigi Scalfaro, un uomo a cui spetta di diritto il riconoscimento di padre della patria.

Molti grandi uomini hanno dato il loro contributo nell’Assemblea costituente per definire i caratteri universali di quel progetto di democrazia che si è incarnato nella Costituzione ed ha definito il volto ed i caratteri della Patria repubblicana. Scalfaro, giovanissimo magistrato, proiettato nel ruolo di costituente ha respirato, assieme a Calamandrei, Dossetti, Basso, La Pira, Togliatti, Bozzi, Terracini, quell’aria di libertà, di pulizia morale, di risorgimento civile che spirava dalle montagne dove la resistenza aveva testimoniato la fede nell’avvento di un mondo nuovo, liberato per sempre dalle tirannie e dal ricatto della violenza e del terrore.

A differenza di altri, Scalfaro non ha mai perduto la fede nei valori repubblicani che i padri costituenti hanno donato al popolo italiano ed il destino gli ha dato la possibilità e l’opportunità di difenderli come un leone. Scalfaro è stato padre della patria in quanto ha contribuito ad edificare quella Costituzione che ha dato sostanza e contenuto di patria alla comunità politica degli italiani.

Dopo aver contribuito al parto della Costituzione, Scalfaro ha svolto un ruolo fondamentale, in due occasioni, per impedire che il patrimonio della democrazia, così faticosamente conquistato, venisse disperso dalle tempeste di vento nero che hanno attraversato l’Italia. La prima è stata quando, da presidente della Repubblica, nel 1994/1995, affrontò la crisi conseguente alla caduta del primo governo Berlusconi, che, sebbene dimissionario, in quanto sfiduciato dalle camere, non aveva alcuna intenzione di abbandonare il potere e pretendeva di punire, mediante lo scioglimento anticipato, il Parlamento che gli aveva tolto la fiducia, impedendo che potesse succedergli ogni altro governo.

Scalfaro difese in modo fermissimo ed intransigente le prerogative del Parlamento ed avvertì la necessità di un riequilibrio della competizione politica, chiedendo che si ristabilisse la «par condicio» prima di affidarsi nuovamente alle urne. Per questo fu accusato di golpismo da Berlusconi e fu oggetto di una campagna durissima di ingiurie, minacce e pressioni di ogni tipo, con esclusione soltanto dell’aggressione fisica e della defenestrazione. Però il cancro del berlusconismo fu estirpato dalla testa delle istituzioni e le elezioni del 1996 diedero la possibilità alle forze democratiche di mantenere aperti gli spazi della democrazia, soffocata dai tentacoli del partitoazienda.

Ma di fronte alla ignavia dei leader del centro-sinistra e di Rifondazione neanche Scalfaro poteva farci nulla. Così nel 2001 Berlusconi riuscì ad impadronirsi del governo e a portare avanti il suo progetto di fare la pelle alla Costituzione. Fino al punto che il 16 novembre del 2005 una maggioranza parlamentare, dominata da Forza italia e dalla Lega, decretò la morte della Costituzione, introducendo un nuovo ordinamento che trasformava la Repubblica democratica in un sultanato.

Nel silenzio della politica e degli sventurati partiti del centro sinistra, Scalfaro si ribellò. Non poteva accettare che il frutto dei sogni e delle passioni che avevano guidato la mano dei costituenti, che avevano deposto i sovrani ed avevano consegnato al popolo italiano una promessa perenne di libertà e di giustizia, venisse spazzato via dal vento nero di Arcore.

Fu a capo del comitato «salviamo la Costituzione» che chiamò a raccolta migliaia di persone. Persone che professavano diverse fedi, che appartenevano a diversi ceti sociali ed esprimevano diversi orientamenti politici, ma tutti si mobilitarono ed accorsero per esercitare l’estrema possibilità di salvare la Repubblica costituzionale costruita in Italia come alternativa al fascismo. Il referendum di giugno del 2006 cancellò l’ignobile riforma e salvò la Costituzione.

Dopo averla fatta nascere, la sorte ha assegnato a Scalfaro il compito di salvare, quaranta anni dopo, quella creatura preziosa - la democrazia costituzionale - per la quale la migliore gioventù europea aveva dato la vita, testimoniando nella resistenza il valore della dignità umana.

Scalfaro ha portato a termine la sua missione con onore e coraggio indomabile. A noi è rimasto ilcompito di fare tesoro della sua testimonianza e di trasmetterla alle generazioni future.

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Commenti Articolo 931

Titolo articolo : IL GIORNO DELLA MEMORIA E' ADESSO. Shoah, la storia e la memoria. Una nota di Furio Colombo, a partire dal film di Gilles Paquet-Brenner (“La chiave di Sara”),a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January/31/2012 - 14:14:14.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/1/2012 10.43
Titolo:Chi sacralizza la Shoah (di Valentina Pisanty)
Chi sacralizza la Shoah

di Valentina Pisanty (il Fatto, 20.01.2012)

Pubblichiamo un estratto dal volume “Abusi di memoria. Negare, banalizzare, sacralizzare la Shoah”, apparso in questi giorni in libreria.


L’8 febbraio 2011 Alberto Cavaglion pubblica una breve riflessione sulla newsletter dell’UCEI (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane) in cui depreca l’appropriazione delle parole “Se non ora, quando? ” da parte del comitato promotore della giornata di mobilitazione nazionale delle donne programmata per il 13 febbraio. Ciò che lo infastidisce è il presunto oltraggio al titolo del romanzo di Primo Levi, ridotto a slogan femminista e messo al servizio di un progetto politico contingente - rovesciare Berlusconi e il berlusconismo - che secondo Cavaglion non può essere paragonato (pena la banalizzazione) alla resistenza ebraica sul fronte orientale raccontata da Levi.

[...] Da un punto di vista strettamente filologico, l’accusa non è infondata. Nel romanzo di Levi, “Se non ora, quando” è il verso della letteratura rabbinica. In rapporto alle vicende della guerra, la canzone inquadra la lotta partigiana in una storia al contempo più vasta e più particolare, e cioè la trama millenaria della diaspora, sino allo sterminio in corso e al soprassalto di rivalsa con cui si fa largo una nuova idea di autodeterminazione del popolo ebraico.

[... ] La canzone attinge a un archivio di storie - Davide e Golia, l’assedio di Masada, la ghettizzazione, la resistenza, la nascita del sionismo - che concorrono a definire un’identità ebraica stratificata e conflittuale, fondata su valori apparentemente inconciliabili quali l’orgoglio e l’umiltà, la forza e la dolcezza, l’intransigenza e la tolleranza; valori nei confronti dei quali il testo di Gedale sollecita una drastica presa di posizione: se non ora quando?, appunto. Pur non essendo di indole particolarmente vendicativa, i gedalisti scelgono la lotta armata perché sanno che l’alternativa è il camino. [... ]

INTERVISTATA da Repubblica (14 febbraio 2011) sulla scelta dello slogan, Francesca Izzo - una delle promotrici della manifestazione del 13 febbraio - ha risposto: “Mi è venuto così, stava nelle mie orecchie e corrispondeva esattamente a quel che volevamo dire. Ci è piaciuto e lo abbiamo usato”. In questa dichiarazione c’è tutto ciò che serve per inquadrare il tipo di operazione semiotica compiuta sul frammento dalle promotrici della manifestazione. Nulla a che vedere con una rilettura critica del romanzo di Levi, il quale resta sullo sfondo come dato enciclopedico condiviso. Il gioco linguistico è tutt’altro: si tratta - come sempre con gli slogan - di ideare un “grido di guerra” icastico e memorabile, dotato cioè delle caratteristiche necessarie per bucare lo schermo sovraffollato della comunicazione politica. [...] Generalmente, la citazione drammatizza le circostanze problematiche descritte dai discorsi in cui è di volta in volta trapiantata, iniettandovi un supplemento di pathos e adombrando un possibile (benché raramente esplicitato) parallelo con la guerra all’ultimo sangue combattuta dai partigiani ebrei contro i nazisti.

[... ] Per un conoscitore dei romanzi di Levi quale Alberto Cavaglion è, si capisce che la disinvoltura con cui i linguaggi del giornalismo e della politica si sono impossessati di “Se non ora, quando? ” possa risultare irritante. [...] A rileggere la nota dell’8 febbraio, è evidente che l’indignazione di Cavaglion non è tanto rivolta alla pratica banalizzante in sé, quanto all’infrazione di un tabù più specifico. La parola-chiave è “sacrilegio”: “Oggi vedo che nessuno protesta per quello che a me sembra un sacrilegio”.

MA “SACRILEGIO” significa “profanazione di oggetto, persona o luogo sacro”. In che senso il frammento di Levi può dirsi sacro e in che cosa consisterebbe la violazione della sua sacralità? La controversia sulla citazione di Levi è un sintomo apparentemente trascurabile di una tendenza culturale ben più macroscopica. Ne hanno già parlato diversi autori [...], tutti concordi nel riconoscere che negli ultimi decenni la Shoah (o meglio, l’insieme dei discorsi che confluiscono nella memoria pubblica di questo evento) è soggetta a un meccanismo di sacralizzazione per effetto del quale il genocidio ebraico viene estrapolato dalla serie dei fatti storici e ricollocato in una dimensione “altra” - la dimensione del sacro, per l’appunto - che lo sottrae all’uso comune, ossia ai procedimenti del discorso ordinario, banalizzazione inclusa. [... ] Resta da capire da dove Cavaglion - e altri come lui - tragga l’idea che la memoria dello sterminio ebraico, con tutta la costellazione di testi che a essa fa capo, appartenga per diritto alla sfera del sacro.

* Abusi di memoria di Valentina Pisanty, Bruno Mondadori PAGG. 151 16 EURO
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/1/2012 23.19
Titolo:COME SI USA LA MEMORIA
Come si usa la memoria

di David Bidussa (Il Sole 24 Ore, 22 gennaio 2012)

«La memoria non è il ricordo. La memoria è quel filo che lega il passato al presente e condiziona il futuro». Lo ha detto di recente Piero Terracina uno degli ultimi testimoni di Auschwitz ancora in vita. Sono parole dense che faccio mie e alludono a questioni che in Italia ci riguardano direttamente.

Vorrei proporne tre: 1) abbiamo aperto una riflessione storica e critica sul passato oltre la commemorazione? 2) Abbiamo un calendario civile che esprima quell’idea di memoria? 3) Quella memoria ha un rapporto con la nostra quotidianità?

Storia della Shoah in Italia (Utet, 2010) è una grande opera che due anni fa un gruppo di storici (Simon Levis, Marcello Flores, Enzo Traverso, Anne Marie Matard Bonucci) ha proposto per ripensare quell’evento in relazione alle metamorfosi, della società italiana, nel tempo lungo tra Risorgimento e attualità indagando le lunghe premesse nell’Italia liberale, le vicende della persecuzione; mettendo l’accento sui perseguitati, i persecutori, la grande e diffusa indifferenza, ma anche sulla delazione, sulle sottrazioni di beni e cose; poi sul lento rientro e sulle molte forme di rappresentazioni di quella vicenda che "fanno memoria" di quell’evento (cinema, letteratura, arte, monumenti, web).

Perché quell’operazione culturale di alta qualità e innovativa, ha cozzato sostanzialmente nel silenzio? Che cosa significa fare politiche e pedagogie della memoria oltre la commemorazione? Questa è la questione che quella discussione mancata ci lascia in eredità.

Credo che in Italia oggi questa questione abbia un valore particolare, maggiore che in altri contesti nazionali europei, perché noi oggi siamo un Paese che non ha più un calendario di feste pubbliche, collegate alla propria storia, che abbiano una funzione pedagogica, riflessiva e soprattutto formativa di un ethos pubblico. Paradossalmente, perché siamo il Paese con più date memoriali nel proprio calendario.

Ha ricordato lo storico Giovanni De Luna (La repubblica del dolore, Feltrinelli) come negli ultimi dieci anni sull’Italia si è abbattuta una valanga di date. Oltre al 27 gennaio, abbiamo il 10 febbraio il «giorno del ricordo» in memoria delle vittime delle foibe; il 9 maggio come «giorno della memoria» dedicato alle vittime del terrorismo; il 12 novembre «giornata del ricordo dei Caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace». Poi abbiamo il 4 ottobre, «già solennità civile in onore dei Patroni speciali d’Italia San Francesco d’Assisi e Santa Caterina da Siena», dichiarata anche «giornata della pace, della fraternità e del dialogo tra appartenenti a culture e religioni diverse»; il 2 ottobre giorno della Festa dei nonni.

Siamo pieni di tante date di feste e di giorni della memoria, ma abbiamo uno scarso rapporto critico con la storia. Quella ridondanza rischia di incrementare la sacralizzazione del passato e l’irrilevanza degli eventi terribili che accadono nel nostro presente. Si dirà: rispetto a tutte le altre date che ho elencato il «giorno della memoria» ha stabilito una sua "tradizione". Ci è riuscito in forza di una dimensione internazionale (il 27 gennaio non è una data che si riferisce a un fatto accaduto in quel giorno in Italia), ma anche in forza di una certa ambiguità.

Nel suo intervento al Parlamento italiano, il 27 gennaio 2010 il Premio Nobel Elie Wiesel ha sottolineato come porre il problema della memoria significhi come ricordare e non se ricordare. «A qualsiasi livello della politica e al più alto livello della spiritualità - ha detto Wiesel - il silenzio non aiuta mai la vittima: il silenzio aiuta sempre l’aggressore». È un ottimo spunto. Il cuore di questa considerazione, tuttavia, non sta nel l’uso della parola, bensì nella funzione. Ovvero deve rispondere alla domanda: che ce ne facciamo della memoria?

Il senso comune fa coincidere il «giorno della memoria» con impegno contro l’oblio. È lodevole, ma a me pare che la premessa sia errata. Nessuno, né tra i carnefici, né tra gli spettatori, si è mai dimenticato niente. Semplicemente pensava o che fosse un merito (perciò l’ha tenuto bene a mente) o che non valesse la pena preoccuparsi (e l’ha collocato tra le cose viste, ma di secondariaimportanza). Nel caso dei carnefici, sconfitto il nazismo, essendo iniziata dopo una stagione in cui bisognava nascondere le proprie emozioni e ciò che si era fatto, occorreva sviluppare una doppia memoria (chi si reinventa un passato da dire in pubblico deve sempre tenere a mente tutto ciò che dice, non può mai distrarsi). Nel caso di chi ha visto e non ha fatto niente perché quel problema rimane sullo sfondo rispetto ad altre cose che lo riguardavano e che ritiene ancora lo riguardino in misura rilevante.

Ma se «la memoria è quel filo che lega il passato al presente e condiziona il futuro», l’operazione che connette e condiziona il futuro nasce non già dal ricordare ma dal disagio che la memoria procura. La memoria è lo strumento che consente di valutare "gap" tra sapere che cosa sia la verità e la giustizia e la consapevolezza che il proprio "io" ha mancato in qualche punto.

Una questione che mentre si preoccupa di riappacificarci col passato, apre questioni laceranti con i fatti del nostro presente e interroga in forma drammatica il nostro agire. L’episodio più eclatante in senso tragico riguarda Srebrenica e, soprattutto, il disagio che l’Europa ha provato, facendo di tutto per non confrontarsi con ciò che quelle scene significavano se non dopo, a evento consumato, quando ormai negare non era più possibile. Quando nel maggio del 2011 è stato catturato Ratko Mladic, molti, ricordando lo sterminio di Srebrenica del luglio 1995, hanno detto che Srebrenica ci aveva "rivelato" Auschwitz. Ne dubito. Noi di fronte a Srebrenica abbiamo scoperto un’altra cosa, ma non siamo in grado di dirlo perché dovremmo fare i conti con il disagio della memoria.

Srebrenica 11 luglio 1995, è la dimostrazione che sapere che sta accadendo qualcosa, vederlo persino, non impedisce che quella cosa non solo sia possibile, ma che avvenga. E soprattutto abbiamo scoperto che dopo, noi, non i carnefici, siamo ancora in grado di vivere senza sentire la vergogna. A Srebrenica, in breve noi abbiamo scoperto, ma non siamo disposti ancora a riconoscere, che non è vero che lo sterminio avviene perché nessuno lo sa e che se avessimo saputo, non sarebbe potuto avvenire. Ma che lo sterminio avviene, lo vediamo in diretta e complessivamente continuiamo a pensare che sono "fatti loro". Comunque che non ci riguarda. Srebrenica luglio 1995, uno sterminio che è avvenuto non mentre tutti eravamo in vacanza, ma in un giorno infrasettimanale (per la cronaca era martedì), a poca distanza di qui, costituisce un evento ineludibile per riflettere sul senso della memoria e sulla sua funzione. Non era la prima volta. Quindici mesi prima era già avvenuto in Rwanda. Anche allora era prevalso il silenzio.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/1/2012 11.47
Titolo:GLI EQUIVOCI DELLA MEMORIA
Gli equivoci della Memoria

di Valentina Pisanty e di Furio Colombo (il Fatto Quotidiano, 24 gennaio 2012)

Pubblichiamo un botta e risposta tra Valentina Pisanty, autrice del volume “Abusi di memoria. Negare, banalizzare, sacralizzare la Shoah” (di cui, venerdì 20 gennaio Il Fatto aveva pubblicato un estratto), e Furio Colombo, che nell’edizione di domenica scorsa aveva citato il libro, contestandone alcune tesi.
Caro Furio,

grazie della menzione e dell’occasione che mi dai per spiegare meglio una materia complicata di cui vorrei chiarire alcuni aspetti. Innanzitutto sgombero il campo da un possibile equivoco: quando ho suggerito che forse “il difetto sta nel manico, e cioè nella scelta di rubricare la rievocazione della Shoah sotto la categoria della Memoria anziché della Storia”, non intendevo affatto contestare l’importanza e la legittimità del Giorno della Memoria in quanto tale.

Ho seguito con partecipazione l’appassionata battaglia parlamentare con cui sei riuscito a far approvare la legge 211, rompendo decenni di silenzio sul razzismo fascista, e penso che il Giorno della Memoria abbia tuttora una rilevante funzione pedagogica da svolgere. Ciò che invece mi lascia perplessa è un diffuso equivoco di fondo sul senso di questa ricorrenza, che molti tendono a considerare come un’occasione celebrativa, nel triplice significato di commemorazione solenne, di cerimonia rituale e di glorificazione di una qualche identità collettiva (ma quale?). È questo, del resto, il senso delle altre ricorrenze prescritte dal calendario istituzionale, dove l’evento ricordato è edificante, se non addirittura gioioso: attributi evidentemente incompatibili con la storia delle persecuzioni razziali e della Shoah.

Forse l’equivoco si insinua già nella scelta della data del 27 gennaio, che da una parte fa pensare alla fine dell’incubo (qualcosa da “festeggiare”, dunque), e dall’altra stempera la specificità italiana dell’evento commemorato. Ricordo che in origine avevi proposto il 16 ottobre, e sarebbe interessante capire perché il Parlamento abbia bocciato questa data, ben più pertinente. La citazione di Halbwachs sugli usi politici della memoria evidentemente non getta alcuna ombra sulle intenzioni di una legge pensata come stimolo a studiare senza indulgenza i trascorsi razzisti di un paese che per lungo tempo si è consolato con il mito degli italiani brava gente. Ma le applicazioni della legge non sempre ne colgono o ne rispettano l’intenzione. Mi è sembrato perciò opportuno definire meglio i termini di una Memoria che - nel momento in cui diventa memoria critica, e non celebrazione stucchevole di non si capisce bene quale identità collettiva - confluisce sì nella Storia, come giustamente sottolinei.

Valentina Pisanty

Cara Valentina,

sono grato della tua attenta risposta che mi permette di aggiungere qualche precisazione e qualche notizia. Una notizia, è, per esempio, che la Memoria evocata dalla legge che ne prende il nome (“Giorno della Memoria”) per ragioni che potremo studiare e discutere, non ha mai dato luogo a “occasioni celebrative nel triplice significato di commemorazione solenne, di cerimonia rituale e di glorificazione”. C’è stata e c’è una risposta dei media, questo sì. Ma nessun movimento di autorità e istituzioni,come avviene invece, per esempio, per eventi militari o date di storia politica. Molti insegnanti sensibili e preparati ne parlano nelle scuole. Ma non mi risulta che vi sia mai stata una circolare ministeriale in proposito.

Quanto ai “viaggi della memoria” di molte scuole (se non sbaglio iniziati a Roma quando era sindaco Veltroni) sono ormai una tradizione bella, radicata e sporadica, iniziata prima della legge. Come vedi, glorificazione e celebrazione appaiono uno scampato pericolo. Resta il problema di parlare, e di invitare a parlare, di ciò che, certo in Italia, è stato a lungo taciuto. E c’era la necessità storica e politica di dichiarare per legge (questo è l’unicofrutto giuridico di quelle poche righe) che la Shoah è un delitto italiano.

Si tratta di una certificazione che chiude per sempre ogni dibattito sul fascismo. È vero, la data da me indicata nella prima stesura era il 16 ottobre, la notte del 1943 in cui 1017 cittadini italiani ebrei sono stati strappati dalle loro case a Roma da soldati tedeschi su indicazioni dettagliate della polizia italiana. Tutto ciò è avvenuto nel silenzio di Roma, a 500 metri dal Vaticano. E il treno italiano per Auschwitz ha viaggiato in orario per giorni e per notti con un carico umano che non è mai più ritornato.

La data non è stata cambiata dal Parlamento. Il 27 gennaio era già stato indicato come possibile "giorno della memoria " di tutta l’Unione europea e suggerito vivamente da Tullia Zevi, allora presidente delle Comunità Ebraiche italiane, per indicare, nella caduta dei cancelli di Auschwitz non la fine di un incubo (che finirà solo nel maggio successivo) ma la vastità del delitto che Auschwitz-Birkenau,piùdialtricampi, rappresentava: ebrei ma anche Rom, omosessuali e tanti fra coloro che avevano avuto il coraggio di opporsi. L’identità collettiva, Valentina, è quella di coloro che anche oggi dicono no, qualunque sia il rischio.

Furio Colombo
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/1/2012 14.14
Titolo:Shoah, don Barbareschi: A voi ragazzi dico: innamoratevi della libertà.
Shoah, don Barbareschi: innamoratevi della libertà

di Paola D’Amico


in “Corriere della Sera” - Milano - del 31 gennaio 2012

«Sono un prete di Milano, un prete vecchio, ma non ho ancora accettato di essere un vecchio prete. A voi ragazzi dico: innamoratevi della libertà. Il primo atto di fede che un uomo deve fare è nella sua capacità di essere una persona libera». Per la prima volta don Giovanni Barbareschi, 90 anni, prete partigiano e antifascista, «Giusto tra le nazioni» per aver contribuito a mettere in salvo oltre duemila ebrei perseguitati, prigionieri alleati e antifascisti italiani, ieri alle 18 ha messo piede nei sotterranei della stazione Centrale. E al Binario 21, dove si sta realizzando il Memoriale della Shoah, ha incontrato Liliana Segre, sopravvissuta alla deportazione, ai campi di concentramento, e dal ’96, insieme ai giovani della Comunità di Sant’Egidio, «testimone» di quegli orrori. C’è silenzio e commozione nelle navate di cemento armato, ancora per metà cantiere, mentre parla don Barbareschi. Negli anni della guerra, spiega, «ho fatto solo quello che un uomo libero avrebbe fatto. Si deve essere liberi dentro per vivere ogni giorno da uomo». Lo ascoltano in silenzio i 400 ragazzi, studenti, insegnanti, scout raccolti nell’immenso spazio in costruzione.

E l’emozione continua nel canto di un musicista rom, Jovica Jovic, che richiama la memoria del Porrjamos, lo sterminio dei Rom e dei Sinti, rinchiusi, gasati e bruciati insieme alle migliaia di ebrei e ai deportati politici. «È il testamento di mio padre - spiegherà l’uomo, quando gli applausi che hanno accolto la breve performance si saranno spenti -. Lui, che a 16 anni finì in un campo di sterminio, compose questa canzoncina e, poi, sopravvissuto alla immensa tragedia continuò a cantarla. Suonava e piangeva. E a noi bambini che ignoravamo il dramma dell’Olocausto diceva: meglio che voi non sappiate cos’è la sofferenza. Ma io non posso dimenticare».

La commemorazione organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio, come da sedici anni in questo luogo, ben prima che fosse istituita la Giornata della Memoria, si trasforma in un grande momento di raccoglimento. Ci sono il rabbino emerito Giuseppe Laras, il presidente della Comunità ebraica Roberto Jarach, e il rabbino Alfonso Arbib, che scuoterà anch’egli la platea di oltre quattrocento persone qui raccolte, in piedi, al freddo. Racconta di quando il faraone per inseguire gli ebrei fuggiti dall’Egitto preparò da sé il suo carro. «L’odio folle distrugge l’andamento normale delle cose - ha spiegato Arbib -. Così l’impegno folle dei nazisti che andò oltre la razionalità». Di questo bisogna fare memoria sempre: «Per combattere l’antisemitismo bisogna riuscire ad agire sull’emozione, sui sentimenti. Ricordare che esiste un elemento irrazionale».

Canti, testimonianze, musica, applausi: il Memoriale non deve essere un museo ma un luogo vivo, avevano chiesto i promotori dell’opera. E la comunità di Sant’Egidio l’ha, infatti, trasformato in palcoscenico.

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Commenti Articolo 932

Titolo articolo : La storia condanna sempre i peccati di omissione,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: January/30/2012 - 13:34:40.

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Autore Città Giorno Ora
Enrica Rossi Saronno 30/1/2012 13.34
Titolo:Non c'è altro da aggiungere se non...
"fare ciascuno il proprio dovere denunciando ogni volta le svariate prepotenze e agire di conseguenza".

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Commenti Articolo 933

Titolo articolo : IL MAGISTERO DI BENEDETTO XVI E LE PREOCCUPAZIONI DI MONS. GIACOMO CANOBBIO SUL RITORNO DEL PAGANESIMO. Una sua nota - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January/29/2012 - 22:29:50.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/1/2012 22.29
Titolo:Il vuoto davanti all' altare....
L' INCHIESTA LA PERDITA DI APPEAL DELLA CHIESA FOTOGRAFATA DAI DATI ISTAT

Il vuoto davanti all' altare
La messa in cerca di fedeli

Calo del 5,6% in 15 anni: «Troppi giovani in fuga» *

MILANO - «La messa è finita. Andate in pace». Il sacerdote congeda i fedeli. Ma quelli radunati sotto le volte della basilica medievale di San Paolo, sulla collina che domina Cantù, non riempiono che le prime panche. «Sono sempre meno. La fede non è più quella di un tempo», mormora don Lino Cerutti. E le sue parole immortalano un crollo: quello dell' affluenza alla messa non solo in Brianza, ormai ex sacrestia della Diocesi ambrosiana, ma in tutta la Lombardia.

«Nella società di oggi - incalza il prevosto emerito -, giovani, famiglie e pensionati assediano i nuovi santuari. Quei centri commerciali fioriti ovunque e che non chiudono mai, neanche nel dì di festa».

La perdita d' appeal della Chiesa denunciata dal vecchio curato è confermata dai numeri. Le cifre dell' Istat fotografano che, dal 1995 al 2010, alla messa domenicale c' è stata un' emorragia di circa mezzo milione di fedeli, pari al 5,6% (dal 29,5% al 23,9% degli abitanti).

A certificare, invece, la fuga dalle funzioni c' è l' aumento dei lombardi che ammette che in chiesa non ci va mai: dal 17,8 al 20,8, con un più 3%. Così come è cresciuta quella di coloro che ci vanno solo qualche volta all' anno: dal 27,7% al 29,1%.

Questi numeri, però, per quanto preoccupanti, non spaventano la Curia di Milano. Da piazza Fontana, don Davide Milani analizza le statistiche e mette in guardia: «Quei dati vanno interpretati. Perché un conto è l' aritmetica, un altro è la realtà». Spiega: «E' vero, le chiese sono più vuote rispetto a dieci, venti anni fa; è altrettanto vero però che l' affluenza alla messa non è uniforme nelle dieci diocesi lombarde».

Il portavoce dell' arcivescovo Angelo Scola snocciola alcuni esempi: «La religiosità di Como non è paragonabile a quella di Mantova, dove soffia il vento della "rossa" Emilia. Ma ci sono differenze nella stessa diocesi ambrosiana: se solo il 10-15% dei milanesi va a messa la domenica, a Lecco si sale al 20-25%, mentre in Valsassina si supera il 60%».

Nell'atlante lombardo della buona pratica religiosa, il territorio che si stende ai piedi del Resegone comanda la classifica della partecipazione alla liturgia. «Qui la fede poggia su una profonda e solida tradizione. In particolare fra gli anziani. Anche la pratica dei sacramenti è costante. E in confessionale si ascoltano nuovi peccati socio-economici: dall' evasione fiscale all' accumulo illecito di denaro - spiega monsignor Bruno Molinari, vicario episcopale di Lecco -. Invece, come altrove, gli oratori si stanno svuotando. I ragazzi scappano».

«Però quelli che frequentano non lo fanno tanto per abitudine, quanto per una scelta consapevole e motivata», gli fa eco padre Patrizio Garascia, superiore degli Oblati di Rho. «Giriamo per città e paesi predicando le missioni al popolo e tocchiamo con mano questa fuga dei giovani.

Una diminuzione che preoccupa sempre più la gerarchia ecclesiale». Meno affluenza alla messa, meno matrimoni all' altare, meno vocazioni. Il rovescio della medaglia sono più separazioni, più libertà nella morale sessuale, più spirito anticlericale.

L' allarme risuona soprattutto a Mantova. «In quella zona della diocesi che si incunea fra l' Emilia e il Veneto, ci sono piccole parrocchie in cui meno del 10% degli abitanti va a messa - constata il vescovo Roberto Busti -. E se i giovani oggi mostrano indifferenza, ci sono ancora anziani che non solo non vanno in chiesa, ma al prete non aprono nemmeno la porta di casa».



Paolo Marelli


*

Corriere della Sera, 28 gennaio 2012

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Commenti Articolo 934

Titolo articolo : Il libro degli schizzi di Auschwitz, The sketchbook from Auschwitz. In 32 fogli il dramma del lager. L´autore è ignoto, sappiamo solo che si firmava «MM». Note e commento di Andrea Tarquini e Miguel Gotor,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January/28/2012 - 19:06:38.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/1/2012 19.06
Titolo:L’infanzia nel lager di Thomas Geve in 79 tavole ...
Memoria

Nell’inferno di Auschwitz c’è un bambino che disegna

L’infanzia nel lager di Thomas Geve in 79 tavole. Realizzate nel 1945, solo ora sono diventate un libro *

Un tredicenne che si trova gettato nella bocca dell’inferno, solo e senza istruzioni. È un tema adatto a uno scrittore dell’orrore dalla fantasia perversa. Ma è esattamente la sorte toccata a Thomas Geve, un bambino ebreo di Stettino deportato ad Auschwitz nel 1943. Thomas era vissuto con la mamma e i nonni, esercitando gli unici mestieri possibili per un ebreo come lui, il giardiniere e il becchino. Il padre, espatriato a Londra, faceva vani tentativi per richiamare a sé i suoi cari. Ad Auschwitz, Thomas fu deportato con la madre, che resistette pochi mesi al lavoro forzato. In base alle norme vigenti nel Lager, tutti i bambini inferiori ai quattordici anni (e tutti i vecchi) venivano mandati direttamente alle camere a gas. Thomas, sottratto al forno crematorio perché giudicato robusto, costituì dunque un’eccezione. E a quest’eccezione allude il terribile titolo dell’opera di Thomas Geve (Qui non ci sono bambini. Un’infanzia ad Auschwitz, traduzione di Margherita Botto, Einaudi, pp. 186, 24).

Libro straordinario perché sulla sua esperienza di bambino c’informa, soprattutto, con i disegni. Infatti, dopo la liberazione da parte degli alleati (Thomas era finito a Buchenwald, in seguito all’evacuazione di Auschwitz), nei quindici giorni di convalescenza Thomas si procurò carta, matite colorate e acquerelli, e gettò giù in fretta settantanove disegni, con spiegazioni in tedesco che documentano con esattezza architettura e organizzazione del Lager, ma anche il funzionamento interno, i tipi di lavoro, i regolamenti disciplinari, i problemi igienici, l’alimentazione. Tutto questo per comunicare al padre, poi finalmente raggiunto, come aveva passato i due anni di prigionia. I disegni di Thomas trovarono scarso interesse, e solo quarant’anni dopo, depositati allo Yad Vashem di Gerusalemme, città nella quale Thomas abita dal 1950, hanno cominciato a circolare con una mostra itinerante e poi in pubblicazioni parziali. Questa è la prima completa.

Sarebbe frivolo affrontare questi disegni come opere d’arte. Ben più importante notarvi i segni di una dura esperienza, l’attenzione alle misure, agli spazi, alle prospettive di un mondo artificiale e perverso che il ragazzo viene a conoscere e cerca di memorizzare. Le baracche realizzano e contengono i mezzi per una tortura implacabile; il filo spinato è reclusione e insieme assassinio; le fognature propongono sogni di evasione; gli orari sono un cilicio per il tempo, e le annotazioni non attenuano nulla: «Nel reparto di chirurgia i detenuti venivano semplicemente legati e poi operati senza anestesia. Da quel luogo uscivano grida barbare». C’è persino lo schema delle camere a gas.

Ma Thomas ha un orizzonte morale maturo: sente pietà per i deportati zingari, capisce la vergogna delle prostitute al servizio del comando militare, non certo dei detenuti, fa amicizia con qualche altro ragazzo, ma spesso li vede morire; le canzoni dei deportati lo commuovono sempre più intensamente. Date le misure ristrette delle illustrazioni, i personaggi di Thomas sono tutti omini, ma non sfuggono all’occhio attento né i lavori inutili, né la caccia ai pidocchi, né gli espedienti per trovare un tozzo di pane in più, né le bastonature o le impiccagioni. Sullo sfondo i canti dei deportati, e le marce militari degli aguzzini. Gli omini di Geve ricordano a volte, certo per caso, Klee. E alla fine le sorprendenti qualità artistiche di Thomas non possono più essere taciute. Se ossessionano le file di vagoni e di baracche che Thomas rappresenta, altre volte sintetizza in pochi riquadri minacciosi i temi di questa sopravvivenza disperata, oppure costruisce figure a schema circolare che rispecchiano la coerenza criminale del disegno realizzato con il Lager. Memoria e giudizio vengono a coincidere.

Cesare Segre

* Corriere della Sera, 25 gennaio 2011

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Commenti Articolo 935

Titolo articolo : Antonio Gramsci a colloquio con i protagonisti della storia d’Italia. Un volume e un convegno, curato da Angelo d'Orsi. Una nota di Leonardo Pompeo D’Alessandro - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January/28/2012 - 13:03:03.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/1/2012 13.03
Titolo:I DUE CARCERI. Un saggio di Franco Lo Piparo ...
L’altro carcere di Gramsci

"Il giallo del quaderno sparito che svelava le critiche al Pci"

Un saggio di Franco Lo Piparo ricostruisce una biografia parallela dell’intellettuale censurato e messo a tacere dal suo partito
L’edizione revisionata della sua opera in 33 volumi avrebbe "cancellato" il trentaquattresimo
Nel libro vengono trascritte molte lettere che mostrano, tra le righe, i rapporti sempre più difficili


di Nello Ajello (Repubblica, 28.01.2012)

Un romanzo storico e un romanzo a tesi. Sono i "generi" che s’intrecciano nel volume di Franco Lo Piparo, I due carceri di Gramsci, appena uscito per Donzelli. Mai come questa volta spiegare un titolo non sarà superfluo. La trama storica percorre il destino toccato all’esponente sardo che nel 1928 il Tribunale speciale fascista condannò a vent’anni di reclusione (ne avrebbe scontati sei, ovvero otto se si calcola la fase d’arresto preventivo). Ecco, invece, la tesi. Secondo l’autore, alla pena inferta a Gramsci si sarebbe aggiunta, dopo la concessione della libertà condizionata, una condanna al silenzio. La decretò, a suo danno, il partito di cui egli era stato a capo. Fu un altro carcere, metaforico, di cui Gramsci avrebbe sofferto fino alla morte, nell’aprile del ’37 (con una postilla finale in cui si avanza la tesi di un quaderno, l’ultimo, scomparso).

È in questa seconda direzione che si sviluppa la ricerca di Lo Piparo, un filosofo del linguaggio che con Gramsci si è più volte misurato. Egli illustra ogni passo degli scritti gramsciani che sorreggono l’assunto. Il quale, agli occhi di chi abbia familiarità con la figura del leader sardo, risulterà meno provocatorio di quanto prometta. È infatti lontano il tempo in cui veniva data per scontata la concordia fra i testi gramsciani e le posizioni di quel Pci che lo avrebbe assunto a proprio nume tutelare.

Ben presto il carattere strumentale dell’operazione era emerso fra gli studiosi. Non a caso un certo sentore, se non di liberalismo, certo di socialdemocrazia emergeva dagli scritti gramsciani, anche se questi erano stati revisionati da Togliatti con l’aiuto di intellettuali di comprovata ortodossia comunista. Non a caso sia Benedetto Croce a proposito delle Lettere dal carcere, sia un suo seguace indocile come Luigi Russo, avevano espresso su Gramsci un giudizio quanto meno comprensivo.

Basterà, d’altronde, scorrere la bibliografia che Lo Piparo include nel suo saggio per notare la presenza di studiosi che di Gramsci hanno posto in risalto l’eterogeneità rispetto alla liturgia staliniana. Vi si trovano, per esempio, Aldo Natoli, Carlo Muscetta, Paolo Spriano e Giuseppe Fiori. Di quest’ultimo aggiungerei all’elenco di Lo Piparo la monografia Gramsci Togliatti Stalin (Laterza, 1991), in cui viene documentato quel contrasto fra l’obbedienza di partito e il dovere della verità, che nell’autore dei Quaderni fu centrale.

Nelle pagine di I due carceri (sostantivo maschilizzato nel plurale con l’autorevole consenso di Tullio De Mauro) ciò che più conta non è la tesi generale, quanto l’insieme dei personaggi. Soprattutto due: Tania, la cognata di Gramsci, e Piero Sraffa. Essi rappresentano la metà d’un quadrilatero che presiede al passaggio di impressioni, invocazioni ed ukase fra "dentro" e "fuori" il luogo di pena. I terminali del tragitto sono Gramsci e Togliatti. Tania, che può avvicinare il prigioniero e forse prova amore per lui, ne trasferisce i messaggi a Sraffa, che li trascrive per Togliatti a Mosca. La stessa trafila funziona in direzione inversa.

Le censure, sia fascista sia bolscevica, trasformano le lettere, rendendole, a tratti, esemplari nell’arte del dire e non dire. Sraffa, intellettuale raffinato, amico di Togliatti ma vigile nei rapporti con il vertice sovietico e apparentemente opaco quanto a ideologia (sarà «un comunista coperto»?), rappresenta la parte più ardua del rebus. Tania è un interrogativo in forma di donna. Della sua «vita privata», scrive Lo Piparo, «si sa pressoché niente», se non che è «la meno comunista delle sorelle Schucht» (meno di Giulia, la moglie di Antonio, donna dalla psiche delicata, legata come le sue sorelle ai servizi segreti sovietici. Meno ancora si sa di Eugenia, considerata una "bolscevica" integrale). Trascritte e commentate da Lo Piparo, molte delle lettere di Gramsci, pur sottoposte a quegli arrischiati tragitti, conservano un fascino inquieto.

Non sapremmo, costretti alla brevità, quali scegliere tra le missive. In quella datata 27 febbraio 1933, Lo Piparo mette in rilievo la dichiarazione, da parte del prigioniero, della «propria estraneità, filosofica anzitutto, al comunismo»: e infatti sarà espunta da Togliatti nell’edizione del ’47 delle Lettere dal carcere. Ce n’è una del 14 novembre 1932 in cui il prigioniero comunica la sua decisione di divorziare da Giulia, madre dei suoi figli. Segna il massimo dell’emotività epistolare, esprimendo il doppio ruolo interpretato da quella donna nell’animo del recluso: è sua moglie ma, nota Lo Piparo, «è la Russia sovietica».

L’eco di un’altra lettera aleggia nel libro. La scrisse nel 1928, durante il processo Gramsci, l’alto esponente comunista Ruggero Grieco. Indirizzata a Mosca, dove risiedeva Togliatti, e poi spedita a Gramsci nel carcere di San Vittore, s’intrattiene sui casi del comunismo nel mondo. All’intellettuale sardo non sfugge però di essere lui il protagonista di quei fogli. Vi si sottolinea il ruolo centrale che egli ha svolto nel Pci. Il giudice istruttore del processo non mancherà infatti di osservare: «Onorevole, lei ha degli amici i quali certamente desiderano che rimanga un pezzo in galera». Un «atto deplorevolissimo» Gramsci avrebbe sempre giudicato la lettera di Grieco.

Nel complesso, quella tracciata da Lo Piparo è la parabola di un comunista a sé stante, di cui il partito volle reprimere ansie e anticonformismi. Il trattamento a lui riservato dopo la morte, con l’edizione revisionata dei suoi trentatré Quaderni (in una lunga postilla finale del volume emerge la possibile esistenza di un quaderno poi scomparso, il trentaquattresimo: per mano di chi?) resta un promemoria della perfidia di Togliatti. Quegli scritti - così si sarebbe espresso il segretario del Pci il 25 aprile 1941 - «possono essere utilizzati solo dopo un’accurata elaborazione»: solo così il partito li darà alle stampe.

Dopo non essersi troppo adoperato per liberare il suo ex-segretario dalle carceri fasciste, il Pci decise in ritardo di ricordarsi di lui onorandone la memoria. Ma l’interpretazione di Lo Piparo è, a questo riguardo, molto netta: un Gramsci libero, in era fascista, non avrebbe avuto lunga vita: «Un plotone di esecuzione o un attentato erano a portata di mano». Su questa linea è la conclusione dell’autore dei Due carceri di Gramsci: proprio perché opportunista, Togliatti salvò Gramsci. Al che non si sa bene che cosa replicare. A volte, in tempi politicamente atroci, c’è più verità in un paradosso che in cento professioni di fede.

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Commenti Articolo 936

Titolo articolo : "SHOAH, MODERNITA' E MALE POLITICO": UN MALE SENZA BANALITA'. Una nota di Gianpasquale Santomassimo,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January/28/2012 - 10:07:26.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/1/2012 19.05
Titolo:Per una memoria viva ...
Per una memoria viva ma senza retorica

di Lia Tagliacozzo (Confronti, n. 1, gennaio 2012)


Questo 27 gennaio, il Giorno della Memoria sarà celebrato per la dodicesima volta: si tratta di un tempo sufficiente per entrare nel calendario civile del Paese ed essere quindi commemorato con
impegno e commozione da istituzioni, scuole di ogni ordine e grado, amministrazioni locali, associazioni, televisioni, giornali e gente di buona volontà.

Nato da un'iniziativa parlamentare di Athos De Luca e Furio Colombo, il Giorno della Memoria è diventato una data importante anche se
il 27 gennaio del 1945 —quando l'armata rossa sovietica liberò il campo di sterminio di Auschwitz — in Italia non se ne accorse nessuno: la Polonia era lontana e le notizie su quanto succedeva nel «campo della morte» e negli altri dell'arcipelago dell'orrore nazista erano scarsissime. Di altri luoghi si sapeva, erano luoghi italiani, tragedie italiane e, spesso, erano i fascisti italiani a compierle
e a permetterle.

Il Giorno della Memoria si è rivelato negli anni un'occasione importante che ha contribuito a interrompere il silenzio delle istituzioni su un pezzo di storia contemporanea europea
che si protraeva da decenni; chi si occupa dei nodi controversi di quella storia, quelli che continuano ad interrogare le nostre coscienze, adesso è, forse, un po' meno solo.

Il Giorno della Memoria, in quanto data del calendario civile del Paese, ha attivato una serie di iniziative fondamentali diffuse negli anni e nel territorio: proiezioni, mostre, rassegne, pubblicazioni di libri e di ricerche, dando loro un'energia nuova, mobilitando storici e istituzioni locali; ha coinvolto decine di migliaia di studenti delle scuole di tutto il territorio nazionale in letture, lavori di ricerca su supporti di tutti i generi, produzioni teatrali e cinematografiche; ha dato occasione per convegni e corsi di formazione per insegnanti. Ha dato cittadinanza sui media — giornali e televisioni — a temi che fino a poco tempo prima faticavano a conquistare poche righe in occasione delle ricorrenze
più significative. Ha consentito il racconto delle vicende dei salvatori. Ha dato parola e voce a storie dimenticate.

E poi. E poi il Giorno della Memoria ha contribuito a sedimentare un senso comune per cui la tragedia della Seconda guerra mondiale è stata solo la Shoah — come se senza la Shoah la guerra non avesse ucciso i milioni di persone che invece ha ucciso — che la Shoah abbia riguardato solo gli ebrei e che i responsabili del terrore siano stati solo i nazisti, lasciando monde e pulite le coscienze ignave, patrie e fasciste. La sua celebrazione si è sovrapposta e ha aiutato lo sdoganamento di una parte politica che fino ad allora poco aveva preso le distanze da quanto accaduto, su quegli stessi temi oggetto del ricordo, durante il fascismo e la guerra.

Il ricordo dei giusti che salvarono ha cancellato quello degli infami che denunciarono e dei vili che ignorarono. Ha suscitato malcelata
insofferenza per «questi ebrei che fanno sempre le vittime» e ha reso impossibile parlare di ebrei ed ebraismo senza parlare di Shoah. Ha costituito l'occasione e la celebrazione di una produzione di
fiction dolciastra e imprecisa.

Il Giorno della Memoria sta rischiando di essere espulso dalla storia: si parla di Shoah — che in ebraico significa distruzione — senza parlare di fascismo, di nazismo, di guerra, di Resistenza, di
sterminio degli zingari, degli handicappati e degli omosessuali, dell'antifascismo e della bomba atomica, degli scioperi nelle fabbriche e delle leggi razziali, dell'esultanza della Liberazione. Si
ricorda la Shoah senza parlare della catena delle esclusioni che consentì la strage finale. E senza discutere dei decenni e dei silenzi che sono stati necessari per iniziare a parlare pubblicamente di
quanto accaduto.

Il Giorno della Memoria rischia di rendere la Shoah appannaggio della categoria del male disumano invece che della realtà umana.

Undici anni sono un'occasione importante per iniziare a fare delle valutazioni, per porsi delledomande, per interrogarsi sulle strategie che consentono la trasmissione di una memoria ricca, non pacificata e per questo capace di interrogare ancora il presente. Facendo attenzione però alle parole di coloro che, nel criticare il nostro — limitato e contemporaneo — 27 gennaio, rischiano di buttare
l'impegno e lo sforzo del bambino insieme all'acqua sporca della retorica di maniera.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/1/2012 10.07
Titolo:Dodicesima ricorrenza del Giorno della Memoria. Una memoria senza storia ...
Una memoria senza storia

di Claudio Vercelli (il manifesto, 28 gennaio 2012)

Siamo giunti oramai alla dodicesima ricorrenza del Giorno della Memoria. È quindi possibile un primo bilancio, non tanto nel merito delle iniziative che si sono corposamente susseguite da allora
ad oggi quanto sulla sua funzione pubblica e, pertanto, sulle ricadute che si sono concretamente misurate nel corso del tempo.

Tale bilancio si impone tanto più dal momento che il transito
intergenerazionale fa sì che anche gli ultimi testimoni dell'epoca vadano scomparendo, consegnandoci ad un orizzonte dove le costruzioni di senso saranno attribuite solo alla rielaborazione e alla simbolizzazione di quei trascorsi attraverso la ricerca ma anche, e soprattutto, l'immaginazione collettiva.

Alcuni libri, freschi di stampa, ci aiutano in tal senso. Il primo è quello di Valentina Pisanty, Abusi di memoria. Negare, sacralizzare, banalizzare la Shoah (Bruno Mondadori, pp. 160), la quale affronta di petto una serie di nodi di contesto: il negazionismo, la banalizzazione (così come la trivializzazione) e la «sacralizzazione» dello sterminio. Tutti e tre, sia pure con intensità, segni ed effetti distinti, sono forme diverse di un medesimo costrutto, quello che
cristallizza ciò che è trascorso, consegnandolo ad un tempo senza storia, ovvero privo di un'attenzione agli accadimenti reali che non sia funzionale alla costruzione ideologica del discorso sul presente.

Si tratta di radicalizzazioni che rispondono a dinamiche identitarie, oggi molto pronunciate, in aperta contrapposizione allo schema pedagogico ripetutamente evocato, soprattutto dalle istituzioni pubbliche, che vorrebbe la «memoria della Shoah» come ingrediente della coesione sociale.

Il dovere di ricordare

Il problema di fondo è quindi lo stabilire quale sia l'effettivo campo della memoria nella costruzione di un ethos condiviso che non si riduca alla «commemorazione solenne», alla «cerimonia rituale» così come alla «glorificazione di una qualche identità collettiva». Ma anche cosa implichi il fare di un evento storico così drastico il fondamento di una narrazione del presente. Tanto più in società,
quelle europee come l'americana, in profondo mutamento culturale e sociale, dopo la fine del bipolarismo e l'avvio di un lungo periodo di crisi economica.

I rischi intrinseci alla istituzionalizzazione sono evidenti, tanto più dal momento che la memoria è confusa con la storia (e viceversa). Nei confronti della prima abbondano aspettative ai limiti dell'inverosimile, suffragate dalla precettistica del «dovere di ricordare», quasi in prima persona, qualcosa che oramai quasi più
nessuno può dire di avere vissuto. Il tutto si consuma in una sorta di capovolgimento dell'orizzonte, dove il racconto delle tragedie trascorse sembra sostituirsi al vuoto di aspettativa per il futuro.

In questi ultimi decenni abbiamo peraltro assistito ad un vero e proprio fenomeno di ipertrofia autobiografica, che ha messo in scena il testimone come garante, nella sua più assoluta soggettività,
della veridicità del racconto sul passato. Data al processo Eichmann e a quelli di Francoforte, nei primi anni Sessanta, la progressiva affermazione della centralità del sopravvissuto nella costruzione
di una «storia calda», empaticamente condivisibile (così come l'avrebbe poi riformulata Daniel Goldhagen) ed emotivamente coinvolgente, di contro al ricorso al pluralismo delle fonti ma anche
al distacco dello storico come garanzia di obiettività (Lucy Dawidowicz, Raul Hilberg, Saul Friedländer e molti altri).

L'esposizione del fatto storico alla comunicazione mediatica ha poi
accentuato gli ingredienti manipolatori. Il problema, nell'età dell'immagine, non è solo l'attendibilità del resoconto ma anche e soprattutto l'impatto che esso esercita sull'immaginazione sociale, orientando sensibilità e corroborando atteggiamenti che si riflettono poi sulle scelte collettive. Interessanti riflessioni volte in tal senso ci sono offerte sia da Andrea Minuz con La Shoah e la cultura visuale. Cinema, memoria, spazio pubblico (Bulzoni, pp. 222), che da Elena Pirazzoli, A partire da ciò che resta. Forme memoriali dal 1945 alla caduta del muro di Berlino (Diabasis, pp. 180), due tra i migliori testi relativi alla costruzione di un immaginario condiviso della «catastrofe» in età contemporanea.

A quest'ordine diriflessioni si è accompagna peraltro il riscontro della crescente incapacità di pensare all'evento Shoah in termini unitari, elemento che tanto più implicherebbe invece la cognizione del fatto che una tale tragedia storica non è mai la risultante della giustapposizione di una pluralità di fattori strettamente individuali bensì il prodotto di un campo di forze sociali e culturali che vanno identificate nel loro definirsi in quanto soggetti storici collettivi. Non è allora un caso se in Italia alla scoperta del continente Shoah si sia accompagnata una defascistizzazione del fascismo, emendato delle responsabilità peggiori, demandate al nazismo, «male assoluto» e altrui.

L'identificazione con il sofferente, come già rilevava Susan Sontag, non è peraltro necessariamente il segno di una comprensione delle dinamiche storiche e politiche della sofferenza, rinviando
semmai ad una pluralità di motivazioni che a volte trascendono nello sguardo voyeristico, nel compiacimento generato dal kitsch (elemento, quest'ultimo, che è alla base dello stesso gusto nazista), nella seduttività della perversione e della barbarie, quanto meno in effige. È come se il reale si riducesse al simulato, ovvero al simulacro della realtà sia sufficiente, a tale riguardo, rinviare al tracciato del suo Davanti al dolore degli altri (Mondadori).

Non di meno, lo statuto della vittima, ovvero la cogenza della memoria delle offese subite in quanto parte essenziale nella costruzione di un'identità di gruppo, attivata poi nella rivendicazione di uno spazio di autorappresentazione in ambito pubblico, ha accompagnato quel fenomeno variamente conosciuto come «americanizzazione della Shoah» (tra gli altri ne hanno parlato Annette Wieviorka e Peter Novick).

Anche qui la dinamica comunitarista tende a riemergere prepotentemente, incontrandosi con la contrazione della socialità e con la logica della privatizzazione dei diritti, intesi essenzialmente come ambito nel quale si dà corso ad un risarcimento e non alla condivisione di un'esperienza comunicabile.


Pluralità della narrazione


Sul negazionismo, che è ingrediente dei tempi correnti, ritorna Donatella Di Cesare con Se Auschwitz è nulla (il Melangolo, pp. 125). Della negazione è colta la natura di agire politico che fonda non l'oblio ma un pieno di memoria artefatta, basata non solo sul resettamento della realtà fattuale ma anche e soprattutto sulla negazione del diritto alla vita delle vittime di allora come della
storia del loro annientamento. Una prospettiva ulteriore, non alternativa a quelle già esistenti ma capace di consegnarci ad una visione ancora più articolata, è infine quella di genere, dove già Dalia Ofer, Lenore J. Witzman, Giovanna De Angelis, Anna Bravo ed altre ancora si erano impegnate nel recente passato.

È uscito in questi giorni il volume di Lucille Eichengreen, Le donne e l'Olocausto (Marsilio, pp. 154, euro 14) dove a partire dalla sua esperienza di Auschwitz l'autrice dà corpo ad un'osservazione intensa sull'universo femminile nella vicenda concentrazionaria. Più che di
memoria, quindi, parrebbe il caso di parlare di sguardi, da ricomporre nella pluralità della narrazione, non di un altrui passato ma del nostro presente.

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Commenti Articolo 937

Titolo articolo : PER GRAMSCI (COME PER KANT), TUTTO DA RIVEDERE. L’infinita scoperta di Gramsci. Un saggio di Angelo D’Orsi - con una premessa,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January/25/2012 - 17:20:37.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/1/2012 17.20
Titolo:L’identità italiana con gli occhi di Antonio Gramsci....
Profili di letterati e politici attraverso gli occhi di Gramsci

Un volume curato da una trentina di giovani studiosi
e un convegno a Torino per discutere dell’identità dell’Italia

di Leonardo Pompeo D’Alessandro (l’Unità, 25.01.2012)

L’identità italiana con gli occhi di Antonio Gramsci. È stato il tema di un incontro svoltosi a Torino, organizzato da Angelo d’Orsi e promosso dall’Istituto Gramsci piemontese. Occasione del convegno è stata la pubblicazione del volume Il nostro Gramsci. Antonio Gramsci a colloquio con i protagonisti della storia d’Italia, curato dallo stesso d’Orsi ed edito da Viella. Il volume contribuisce a una messa a punto sul pensiero di Gramsci e consente di rivisitare, attraverso il suo pensiero, i processi che hanno condotto alla formazione dello Stato nazionale.

LA NAZIONE ITALIANA

Il progetto che ha portato al volume e all’incontro di Torino muove dall’idea che il tema fondamentale di tutto il pensiero di Gramsci sia il problema storico della nazione italiana. I 31 giovani studiosi che hanno contribuito alla sua realizzazione si sono confrontati sia con gli scritti giornalistici e politici che con la riflessione dei Quaderni del carcere, ricostruendo 52 profili di protagonisti della storia d’Italia (letterati, filosofi, politici) con i quali Gramsci ha dialogato dal 1915 al 1935. Si tratta infatti di quasi tutti gli autori italiani presenti nei suoi scritti.

Questi stessi personaggi sono stati al centro della giornata torinese, evocati dalla voce degli autori secondo il profilo tracciatone da Gramsci nei suoi scritti. Così, Petrarca, «l’intellettuale cosmopolita», ha potuto rivivere accanto ad un Foscolo «icona della retorica nazionale». Il «grande statista» Cavour accanto a Verdi, che ha saputo mettere in musica il «nazionale-popolare», e al letterato e «uomo di Stato» De Sanctis. Crispi, il giacobino «deteriore», accanto a Giolitti, «Machiavelli in sessantaquattresimo», e al meridionalista Fortunato, «conservatore», ma «illuminato». Il casto socialista e «colonialista di programma» Pascoli, col «fenomeno sociale» D’Annunzio; la «faciloneria di un linguista» come Panzini, con l’«ardito del teatro» Pirandello. E ancora, la riflessione sull’egemonia attraverso la figura di Croce, sui limiti dell’antigiolittismo attraverso Salvemini, e sul fallimento della classe politica liberale, attraverso Nitti, hanno potuto rivivere accanto alla figura del «geniale pagliaccio» Marinetti e dell’«onesto massimalista» Serrati. E, infine, il «gladiatorismo gaglioffo» di Gentile con un «intellettuale che non prende parte» come Prezzolini, col «capopopolo» Mussolini e col «camaleonte snob» Malaparte.

L’iniziativa si inserisce a pieno titolo nel dibattito sull’identità italiana sviluppatosi attraverso le innumerevoli iniziative che hanno caratterizzato le celebrazioni per il 150o anniversario dell’unità. L’individualità della figura di Gramsci viene così illuminata dalla sua riflessione su questi protagonisti e simboli della storia lunga della politica e della cultura italiana.

L’orizzonte concettuale entro cui ha preso corpo l’incontro torinese si individua nell’interesse che il Gramsci dirigente politico mostrava per la storia. Ciò è più evidente nelle note sul Risorgimento, in cui egli avvertiva che le sue ricerche erano finalizzate a un programma politico ed erano concepite «col fine di distruggere concezioni antiquate, scolastiche, retoriche, assorbite passivamente per le idee diffuse in un dato ambiente di cultura popolaresca», e suscitare «un interesse scientifico per le questioni trattate».

È quanto emerso nel corso della stessa presentazione del volume, per la quale sono stati chiamati a discutere, col curatore, Vera Schiavazzi e Giuseppe Vacca. Quest’ultimo, pur rimarcando l’assenza nel volume della riflessione di Gramsci sul ruolo dei cattolici nella storia d’Italia (emblematica la mancanza di una voce dedicata a Sturzo, fondatore del Partito popolare, la cui nascita Gramsci considerava «il fatto più grande della storia italiana dopo il Risorgimento») ha sottolineato l’originalità del contributo offerto dai giovani studiosi, che colloca il loro lavoro tra le migliori iniziative su Gramsci realizzate in questi anni.

RINNOVATO INTERESSE

Anche questo volume e questa iniziativa documentano l’ampiezza e la vivacità di una nuova stagione di studi gramsciani favorita anche dalla preparazione della Edizione nazionale degli scritti. Una stagione che ha riportato in Italia il centro propulsore degli studi dedicati a un classico del Novecento, uno dei pochi autori italiani sempre più letti, tradotti e studiati in tutto il mondo.

Grazie ai profili dei numerosi protagonisti della storia risorgimentale presenti nel volume, è possibile rileggere nella sua vera luce anche il dibattito sull’interpretazione del Risorgimento sviluppatosi nel secondo dopoguerra.

Lo stereotipo che ha attribuito a Gramsci la visione del Risorgimento come «rivoluzione agraria mancata», tuttora presente in volumi di carattere sia scientifico che divulgativo, fa risalire a Gramsci un’idea del Risorgimento che non fu sua e che, se mai, ha avuto come principale interprete in campo marxista Emilio Sereni.

La manifestazione è stata intervallata da musiche medievali e rinascimentali suonate da Antonio Gramsci Jr. e conclusa da un suo intervento che raccontava la scoperta del nonno cominciata venti anni fa in Italia quando, insieme a suo padre Giuliano, venne da noi per alcuni mesi e cominciò ad impadronirsi della nostra lingua.

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Commenti Articolo 938

Titolo articolo : L’Osservatore romano e la censura riservata all’annuncio del Concilio Vaticano II da parte di Giovanni XXIII,di Hilari Raguer

Ultimo aggiornamento: January/24/2012 - 21:18:48.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/1/2012 21.18
Titolo:DISCORSO DI PAPA GIOVANNI XXIII PER L’APERTURA DEL CONCILIO VATICANO II
DISCORSO DI PAPA GIOVANNI XXIII PER L’APERTURA DEL CONCILIO VATICANO II *


"Spesso infatti avviene, come abbiamo sperimentato nell’adempiere il quotidiano ministero apostolico, che, non senza offesa per le Nostre orecchie, ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa. A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo.

Nello stato presente degli eventi umani, nel quale l’umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono piuttosto da vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza, che si realizzano in tempi successivi attraverso l’opera degli uomini, e spesso al di là delle loro aspettative, e con sapienza dispongono tutto, anche le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa."

Giovanni XXIII, Discorso di apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 ottobre 1962

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Commenti Articolo 939

Titolo articolo : TRADIMENTO MONTI,di Alex Zanotelli

Ultimo aggiornamento: January/23/2012 - 19:22:30.

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Autore Città Giorno Ora
Patrizia Taccani Milano 23/1/2012 08.30
Titolo:MOBILITIAMOCI
Sono totalmente d'accordo: mobilitiamoci perché l'acqua resti bene pubblico!
Patrizia Taccani
Autore Città Giorno Ora
Daniele Bettenzoli Varese 23/1/2012 19.22
Titolo:formulazioni ipocrite
Alex,nonostante nel decreto legge varato non mi sembra si parli dell'acqua stiamo all'erta. Dire che l'acqua resta pubblica ma viene privatizzata la distribuzione è come dire che la terra è di tutti, ma chi la vuole calpestare o lavorare deve rivolgersi a chi ne ha l'esclusiva di distribuzione. In SOSTANZA devi riconoscere che devi considerarla bene non pubblico.

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Commenti Articolo 940

Titolo articolo : LIBERI DAL FONDAMENTALISMO,di p. Ottavio Raimondo – suor Giuseppina Barbato

Ultimo aggiornamento: January/23/2012 - 17:11:33.

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Autore Città Giorno Ora
Daniele Bettenzoli Varese 23/1/2012 17.11
Titolo:lotta alla schiavitù
Caro P. Raimondo, naturalmente concordo con il tuo commento al Vangelo.
Quanto al fiero intervento del Comboni contro la schiavitù, ricollego quel suo impegno a quanto tante persone di buona volontà hanno cercato di fare in zone di schiavitù non formale, ma non per questo meno reale, nell'America Latina. Comboni poteva essere accusato di trascurare il messaggio evangelico? Il suo impegno non poteva essere una vera Teologia della Liberazione che prende in carico un uomo integrale? L'amore evangelico non può essere, mai, cavallo di troia di nessuna ideologia, né comunista né capitalista, come Mons. Romero ha mostrato. Ciao

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Commenti Articolo 941

Titolo articolo : IL GOVERNO MONTI LANCIA IL DECRETO "SALVA-ITALIA" (E, MIRACOLO, NON UNO, MA - ANCORA! - "DUE PRESIDENTI DELLA REPUBBLICA" ESORTANO: "FORZA ITALIA", VIVA IL "POPOLO DELLA LIBERTA'"). Una nota di Paolo Festuccia, con una scheda dettagliata dei provvedimenti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January/19/2012 - 17:11:16.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/1/2012 17.11
Titolo:Il Professore, la Chiesa e l’Ici dimenticata
Il Professore, la Chiesa e l’Ici dimenticata

di Miguel Gotor (la Repubblica, 19.01.2012)

MARIO Monti ha rilasciato ieri un’intervista a L’Osservatore Romano: un gesto di attenzione significativo da parte della Santa Sede poiché avviene di rado che l’organo ufficiale della Città del Vaticano intervisti il presidente del Consiglio in carica. Tanto più che il colloquio cade all’indomani dell’udienza ufficiale di Monti con papa Benedetto XVI, in una qualche misura a suggellare il felice esito di quell’incontro. L’intervista sottolinea il fondamentale contributo dei cattolici alla vita sociale italiana e tocca i principali problemi all’ordine del giorno: dalla crisi economica globale al futuro della moneta unica, dai destini del progetto di integrazione europea alla questione della cittadinanza italiana per i minori stranieri, dai programmi del governo in materia di liberalizzazioni alla politica fiscale.

Monti mette in risalto che proprio in quanto "tecnico" «può liberamente affermare che l’antipolitica e l’antiparlamentarismo causano danni che nel tempo possono dimostrarsi insidiosi». Da questa considerazione deriva la necessità che «ogni soggetto, individuale e collettivo, privato e pubblico, è chiamato a essere "migliore", in ogni ruolo - piccolo o grande - che assuma». Inoltre, evidenzia l’importanza dei "beni comuni" come orizzonte della politica nazionale e comunitaria e riconosce che sia la Santa Sede sia la Conferenza episcopale italiana possono svolgere un ruolo critico e propulsivo di rilievo perché «di fronte al bene comune non si può sfuggire». Per quanto riguarda gli interventi fiscali il presidente del Consiglio ribadisce il massimo rigore nella lotta all’evasione.

E tuttavia manca una questione: sia le domande relative alla politica fiscale, sia le risposte di Monti eludono il nodo del pagamento dell’Ici da parte della Chiesa cattolica per quei luoghi di carattere "parzialmente" commerciale che oggi sono esenti. Come è noto, tali immobili entrano in contraddizione sia con le previsioni della legge "concordataria" 222/1985, richiamate dalla Corte suprema di Cassazione nel luglio 2010 (in cui è stato condannato un ente ecclesiastico di Assisi) sia con la normativa europea che vieta gli aiuti di Stato e l’indebita concorrenza.

Tempo fa il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha dichiarato che «se ci sono punti della legge da rivedere o da discutere, non ci sono pregiudiziali da parte nostra». Si tratta di una disponibilità importante che il governo italiano, tanto più perché non strettamente legato da vincoli di carattere elettorale, dovrebbe verificare e raccogliere: sarebbe imperdonabile lasciarla cadere nel vuoto. In un periodo di crisi come questo è giusto che tutte le istituzioni, Chiesa cattolica compresa, si mostrino disposte all’impegno, al sacrificio, all’esempio e facciano seguire ai pronunciamenti i fatti: unicuique suum, ossia "a ciascuno il suo", come recita per l’appunto il motto de L’Osservatore Romano

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Commenti Articolo 942

Titolo articolo : SHOAH: RITROVATO IL PROTOCOLLO DELLA RIUNIONE DI WANNSEE. Così il Reich pianificò lo sterminio degli ebrei. Un resoconto di Andrea Tarquini,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January/19/2012 - 15:11:50.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/1/2012 17.32
Titolo:LA NON BANALITA' DEL MALE ....
La non banalità del male

Landau, il giudice che condannò Eichmann e contestò la Arendt

di Gabriele Nissim (Corriere della Sera, 27.06.2011)

Moshe Landau credeva profondamente nell’autonomia e nell’imparzialità della magistratura. Quando lo incontrai a casa sua una decina di anni fa si lamentò per il comportamento di certi magistrati in Israele che amavano rilasciare dichiarazioni pubbliche. «Un giudice esercita il suo lavoro soltanto in tribunale, altrimenti rischia di non essere credibile. Egli deve ricercare la verità nel corso dei processi e non cercare facili consensi nell’opinione pubblica» . Fu questo lo spirito che lo guidò nel corso del processo Eichmann. Si impegnò fin dal primo giorno affinché non assumesse una natura propagandistica, ma giudicasse esclusivamente le responsabilità dell’imputato. Per questo motivo chiese al procuratore Hausner di limitare gli interventi dei testimoni che si dilungavano sul racconto delle loro sofferenze: «Io sono consapevole che è difficile interrompere certe testimonianze, ma penso che sia suo dovere spiegare ai testimoni che devono concentrarsi soltanto sugli argomenti attinenti al processo» .

Nella sentenza che decretò la condanna a morte di Adolf Eichmann confutò le tesi difensive del criminale nazista che nel corso del dibattimento cercò di giustificarsi, sostenendo di avere soltanto obbedito a degli ordini. «Anche se fosse stato provato che l’imputato avesse agito per obbedienza cieca, come egli sosteneva, avremmo comunque detto che un uomo che ha preso parte a crimini di tale portata avrebbe dovuto scontare la pena massima e non avrebbe potuto ottenere una riduzione della pena. Ma abbiamo invece scoperto che l’imputato ha agito per un’identificazione interiore con gli ordini che gli erano stati dati e per una forte volontà di raggiungere l’obiettivo criminale. È per noi irrilevante se questa identificazione o volontà sia il risultato della formazione che ricevette in quel regime, come sostiene la difesa» .

Riflettendo su quel suo giudizio domandai a Landau cosa pensasse del libro di Hannah Arendt su Eichmann e della sua tesi sulla banalità del male. Non glielo avessi mai chiesto! Pronunciando soltanto il nome della filosofa di Hannover mi giocai la reputazione. Moshe Landau mi guardò storto emi disse di essersi scontrato duramente con Hannah Arendt a casa di Kurt Blumenfeld, presidente della federazione sionista tedesca fino all’avvento di Hitler. «Eichmann ha fatto uccidere gli ebrei con profonda convinzione. Altro che banale... amava con tutto il suo cuore il lavoro che faceva. Ha agito in questo modo perché pensava come un nazista, non perché non era in grado di pensare» .

Recentemente sono stati pubblicati dal settimanale «Der Spiegel» alcuni documenti che sembrano confermare le osservazioni di Moshe Landau. In una conversazione registrata con dei suoi amici nazisti in Argentina prima dell’arresto, Eichmann esprime dispiacere per non avere portato a termine il suo lavoro: «Noi non abbiamo lavorato bene. Si poteva fare molto meglio» . E poi aggiunge: «Io non ero un semplice esecutore di ordini. Non ero uno stupido, facevo parte dei pensatori del progetto. Io ero un idealista» .

Daniel Goldhagen nel suo ultimo libro Peggio della guerra (Mondadori), polemizzando con Hannah Arendt, ricorda che il vero Eichmann era profondamente antisemita e fiero di esserlo. Egli stesso confessò a degli amici nazisti che a motivarlo nelle sue azioni era una convinzione interiore: da qui nasceva il suo fanatismo. «Quando giunsi alla conclusione che fare agli ebrei quello che abbiamo fatto era necessario, lavorai con tutto il fanatismo che un uomo può aspettarsi da se stesso. Non c’è dubbio che mi considerassero l’uomo giusto al posto giusto... Ho agito sempre al cento per cento, e nell’impartire ordini non ero certo fiacco» .

Ancora più rilevante, ricorda Goldhagen, è il fatto che Eichmann si vantava dei milioni di ebrei che aveva ucciso. Pochi mesi prima della fine della guerra disse al suo vice: «Riderò quando salterò dentro la tomba al pensiero che ho ucciso cinque milioni di ebrei. Mi dà molta soddisfazione e molto piacere» . Sono queste le parole- si chiede l’autore- di un burocrate che fa il suo lavoro senza pensare, senza riflettere, senza avere una particolare opinione?

Ha avuto dunque torto Hannah Arendt quando ha dipinto il carnefice nazista come un uomo mediocre e superficiale e lo ha presentato nei suoi scritti come l’emblema degli uomini che commettono i più orribili delitti senza porsi nessun interrogativo morale?

In realtà la filosofa ha cercato nel suo libro di introdurre un nuovo punto di vista sui responsabili del male estremo. «Le sue azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco, né mostruoso» . Ha voluto così sottolineare come gli omicidi di massa nei totalitarismi non sono stati progettati ed eseguiti da uomini che agivano per il gusto del male ma da esseri comuni. Ecco l’intuizione della banalità del male, un’ipotesi per nulla rassicurante, come aveva sottolineato lo scrittore Vasilij Grossman analizzando i delatori che mandavano le persone a morire nei gulag. Grossman osservava che il male veniva compiuto da persone che apparentemente sembravano per bene. «Sapete cosa c’è di più ripugnante nei delatori? Quel che di cattivo c’è in loro, penserete. No! È più terribile ciò che vi è di buono; la cosa più triste è che sono pieni di dignità, che sono gente virtuosa. Loro sono figli, padri, mariti teneri e amorosi, gente capace di fare del bene, di avere grande successo nel lavoro» .

Eichmann, come aveva osservato la Arendt durante il processo, aveva cercato di mostrarsi come un burocrate irreprensibile che eseguiva con zelo gli ordini ricevuti e rispettava le leggi dell’epoca. Si è creato però nel corso degli anni un equivoco sul pensiero della filosofa tedesca. È parso a molti suoi critici, soprattutto in Israele, che il concetto di banalità del male possa venire applicato soltanto a una categoria di persone: coloro che di fronte a dei crimini voltano la testa dall’altra parte e che eseguono degli ordini terribili senza riflettere. Chi invece è convinto di un’ideologia eliminazionista (come lo era appunto Eichmann) non rientra nella tipologia descritta da Hannah Arendt.

Invece, per la filosofa, chi viene sedotto dalle sirene di un’ideologia che propone per la felicità del genere umano l’eliminazione di una parte «infetta» dell’umanità e crede che il mondo possa essere spiegato con un’idea di pura fantasia applicata alla realtà, rientra a pieno titolo nel novero delle persone che abdicano al pensiero. Eichmann aveva molte facce: si comportava come un burocrate ossequiente al potere e nello stesso tempo era convinto della missione a cui era stato chiamato da Hitler, l’eliminazione degli ebrei. Ma in ogni caso egli aveva chiuso la sua mente a ogni forma di compassione, di giudizio e d’inquietudine della propria coscienza: era banale, anche se era convinto di quello che faceva. È quanto probabilmente non ha capito delle osservazioni della Arendt lo straordinario giudice del processo Eichmann, scomparso poche settimane fa, proprio a cinquant’anni dal processo che lo vide protagonista.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/1/2012 22.07
Titolo:Dopo 50 anni, Berlino ricorda il processo al nazista Eichmann
Il burocrate dell’orrore che portava gli ebrei nei lager

Dopo 50 anni, Berlino ricorda il processo al nazista Eichmann

di Laura Lucchini (il Fatto, 07.04.2011)

I numeri dei deportati erano indicati su un grafico dietro alla sua scrivania. “Ne è certo?” chiede il pubblico ministero israeliano Gideon Hausner. “Sì”, risponde Adolf Eichmann. “Quindi intende dire che la sua sezione sapeva con assoluta esattezza quante persone stavate deportando e quale era la loro destinazione?”. “Sì, lo sapeva. Era mio compito informare al riguardo i miei superiori”.

La condanna a Gerusalemme

QUESTO STRALCIO dell’interrogatorio di Adolf Eichmann è un momento fondamentale del processo contro uno dei principali responsabili dell’Olocausto celebrato a Gerusalemme nell’aprile del 1961, cioè 50 anni fa. La registrazione completa dell’interrogatorio fa parte della mostra Il processo: Adolf Eichmann davanti al tribunale inaugurata l’altro ieri a Berlino per ricordare questo giudizio-chiave nella ricostruzione dell’orrore nazista e della persecuzione d icui furono oggetto gli ebrei da parte del Terzo Reich. Eichmann, che dopo essere stato condannato alla pena capitale dal tribunaledi Gerusalemme fu impiccato nel 1962,fu un ingranaggio decisivo della macchina che rese possibile l’eliminazione sistematica di sei milioni di ebrei.

Nato a Solingen nel 1906 era stato, in particolare, il responsabile del traffico ferroviario per il trasporto degli ebrei nei campi di sterminio. Prese parte a tutte le fasi della cosiddetta soluzione finale con la quale Hitler e i suoi accoliti pianificarono l’annientamento definitivo e totale degli ebrei in Germania e poi nei paesi occupati. Dalla Conferenza di Wannsee del gennaio 1942 fino alla organizzazione dei treni diretti ad Auschwitz, tutta la parte burocratica dello sterminio passò per le mani di questo uomo che finì per diventare l’esempio perfetto ed emblematico del funzionario nazista che si limitava ad eseguire gli ordini.

Il suo ruolo e la sua psicologia furono analizzati in un celebre libro della filosofa Hannah Arendt, La banalità del male. Qui la Arendt sostiene la tesi secondo cui il male può anche non avere radici, non avere memoria e proprio per questo - cioè per l’assenza di un dialogo “morale” - uomini apparentemente banali possono trasformarsi in autentici agenti del male.

Gabriel Bach, il pubblico ministero israeliano che nel 1961, insieme a Gideon Hausner, sostenne l’accusa contro il criminale nazista, l’altro ieri era presente all’inaugurazione della mostra presso il centro di documentazione berlinese Topografia del Terrore. Gabriel Bach, oggi ottantaquattrenne, seduto in prima fila durante la conferenza stampa, aveva con sè una cartella.

Alla fine della conferenza stampa ne ha svelato il contenuto: foto, stampe originali dell’aula del tribunale, immagini che lo ritraggono in prima fila con Adolf Eichmann a pochi metri di distanza, seduto dietro un vetro con due poliziotti a fianco. “Cosa ricordo di più di quel processo? Forse il mio primo incontro con Eichmann. Avevo appena terminato di leggere un libro nel quale si descriveva con quanta crudeltà assassinava i bambini nei campi di concentramento. Gliene parlai. Mi rispose che se ci si è posti l’obiettivo di eliminare una razza, allora bisogna eliminare tutte le generazioni, bambini compresi. Da un punto di vista logico il suo ragionamento non faceva una piega”. Il processo fu possibile grazie a un’azione oggetto di molte polemiche e controversie. Il burocrate nazista nel 1950 era riuscito a fuggire in Argentina: lavorava in una fabbrica della Mercedes Benz nelle provincia di Buenos Aires quando fu sequestrato dal Mossad, trasferito clandestinamente in Israele e processato.

Fu il primo processo contro un criminale nazista celebrato in Israele e si concluse con la condanna a morte di Adolf Eichmann. Al processo potè assistere tutto il mondo in quanto fu filmato e trasmesso per televisione (la relativa documentazione fa parte della mostra di Berlino). Molti, tra i quali la stessa Hannah Arendt, cittadina americana ma di origine tedesca e di religione ebraica, condannarono il tribunale per la sua mancanza di imparzialità.

Assassinare bambini senza provare nulla

“È UN’ACCUSA ridicola”, ha detto l’altro ieri Gabriel Bach. “La sentenza poggiava su prove incontestabili e in nessun momento del procedimento si ebbe la sensazione che la sentenza fosse già stata scritta e che già si sapeva come sarebbe andata a finire”. Quanto ad Hannah Arendt, Gabriel Bach ha ricordato che “prima del processo mi avevano avvertito che dagli Stati Uniti sarebbe arrivata una filosofa per scrivere un libro contro il processo. Come a dire che si sapeva già da prima quale era la sua posizione”.

La mostra di Berlino,che rimarrà aperta fino a settembre, raccoglie tutta una serie di testimonianze dei protagonisti del processo e i filmati degli interrogatori più significativi oltre al materiale messo a disposizione dai mass media di tutto il mondo che all’epoca seguirono il dibattimento. La mostra organizzerà fino a settembre diversi incontri con esperti e testimoni diretti dell’Olocausto.

Copyright El Paìs; traduzione Carlo Antonio Biscotto
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/1/2012 11.13
Titolo:Due bicchieri di cognac per brindare alla soluzione finale
Due bicchieri di cognac per brindare alla soluzione finale

Settanta anni fa a Wannsee la Conferenza dei capi nazisti che decise lo sterminio della popolazione ebraica

VOLONTEROSI CARNEFICI. S’erano resi conto che il lavoro non poteva essere condotto con mezzi convenzionali

I PRIMI TENTATIVI A bordo di camion, per verificare se si potevano ottimizzare le procedure con l’uso dei gas

di Walter Barberis (La Stampa, 18.01.2012)

I volti scarni e i corpi macilenti delle poche migliaia di superstiti che si presentarono allo sguardo sbalordito dei soldati dell’Armata rossa il 27 gennaio 1945, ai cancelli del campo di Auschwitz finalmente liberato, erano ciò che restava dei milioni di vittime passate dalle camere a gas e incenerite nei forni crematori. L’incredibile piano di sterminio di tutti gli ebrei d’Europa aveva avuto inizio esattamente tre anni prima, il 20 gennaio 1942, a Wannsee, un ameno sobborgo di Berlino. Lì, in una casa patrizia requisita a una ricca famiglia ebrea, il principale collaboratore di Himmler, Reinhard Heydrich, aveva convocato i responsabili di tutti i dicasteri e gli uffici ritenuti utili per deliberare la cosiddetta «soluzione finale».

Era risultato chiaro fin dall’autunno del 1941 che l’eliminazione fisica degli ebrei non avrebbe potuto essere portata a termine con mezzi convenzionali. Gli Einsatzgruppen, le unità speciali affiancate all’armata tedesca che avanzava sul fronte orientale, avevano operato con solerzia, ma i massacri di intere comunità ebraiche parevano dire che ben difficilmente i nazisti avrebbero potuto raggiungere il loro fanatico obiettivo di eliminare dalla faccia della terra l’intera popolazione ebraica nei tempi ragionevoli di una guerra.

Fucilati e gettati in fosse comuni, gli ebrei sterminati si contavano a decine di migliaia; ciò voleva dire che per quanto si adoperassero con zelo feroce, le mani di quegli uomini non riuscivano a realizzare risultati numericamente soddisfacenti. E non solo: per quanto risucchiate in una dimensione di pura follia e addestrate a uccidere senza ombra di pietà donne, vecchi e bambini, quelle SS imbrattate di sangue da capo a piedi, giorno dopo giorno, non avrebbero potuto reggere i ritmi che imponevano la ricerca, il rastrellamento e l’eliminazione fisica degli ebrei insediati nelle campagne e nei centri urbani di gran parte dell’Europa. E anche se storditi dall’alcol e non di rado dalle droghe, la loro tenuta nervosa aveva pur sempre dei limiti. Era già stato accertato che dopo un paio di mesi di quella vita gli uomini perdevano il controllo, davano segni di squilibrio mentale, diventavano inefficienti, inservibili. Dunque si imponeva un’altra soluzione.

Nell’autunno del 1941, in alcune zone del governatorato polacco e nelle terre di confine dell’Unione Sovietica attaccata dai nazisti, si fecero le prime prove. Erano tentativi rudimentali, con i camion, che tendevano a capire se si potevano accelerare i tempi e ottimizzare le procedure di eliminazione con i gas. Prima con i semplici gas di scarico ricondotti nei cassoni degli automezzi stipati di ebrei, poi con l’ausilio dell’acido cianidrico, da subito valutato efficace. Quegli esperimenti suggerirono l’idea di trasformare i campi di concentramento e di lavoro allestiti per gli ebrei negli anni precedenti in campi di sterminio. Usando il gas in ambienti chiusi, capaci di contenere svariate centinaia di persone, con turni adeguatamente veloci, si sarebbero potute eliminare migliaia di persone in un solo giorno in ciascuno dei campi.

I vertici del Reich presero segretamente la decisione. Alle SS il compito di coordinare il grande sterminio con procedure industriali. Occorreva la complicità e il concorso di molte organizzazioni e di centinaia di migliaia di persone: una immensa burocrazia doveva individuare gli ebrei, catturarli, trasportarli nei campi; le industrie chimiche dovevano produrre le quantità richieste di acido cianidrico, quelle metallurgiche costruire gli inceneritori, le banche provvedere a incamerare i beni degli ebrei, le ferrovie riorganizzare i loro orari. E molto altro ancora.

Scelti accuratamente, i rappresentanti dei vari dipartimenti dello Stato tedesco vennero convocati a Wannsee. La ferrea regia di Heydrich li avrebbe dovuti informare delle decisioni e convincere della loro necessità. Ignari e sorpresi dall’annuncio, anche i più incalliti antisemiti, uomini come il generale delle SS Hofmann, o il dottor Kritzinger, rappresentante della cancelleria del Reich, e ancora il dottor Stuckart, il giurista che aveva di fatto redatto le leggi razziali del 1935, rimasero perplessi di fronte all’enormità della decisione. Abbozzarono obiezioni e soluzioni alternative. Ma la decisione era già stata presa: loro erano lì solo per ratificarla.

Heydrich, coadiuvato dal capo della Gestapo Müller e dal segretario della riunione, Adolf Eichmann, nel volgere di un’ora o poco più ridusse tutti alla più cieca obbedienza. Ora era soltanto questione di dettagli organizzativi. Sciolta la riunione fra abbondanti libagioni, Heydrich e Müller invitarono il tenente colonnello Eichmann a unirsi a loro in un brindisi: quel paio di bicchieri di cognac con i più alti gradi del potere criminale nazista rappresentarono il culmine della sua carriera. Lo avrebbe candidamente dichiarato di fronte ai giudici di Gerusalemme quindici anni dopo, al processo che lo condannò all’impiccagione per crimini contro il popolo ebraico.

Quella riunione a Wannsee aveva trasformato Eichmann in uno specialista di trasporti verso l’inferno. Il suo unico commento, rimasto solo nella villa in cui aveva organizzato l’incontro, ascoltando il finale di un quintetto di Schubert con il quale si erano deliziati i suoi superiori, fu: «Non capirò mai come si possa apprezzare questa spazzatura sentimentale viennese». Ottuso e zelante, ingranaggio fondamentale della macchina di morte, Adolf Eichmann si apprestava a diventare l’icona di quella che Hannah Arendt avrebbe definito «la banalità del male».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/1/2012 15.11
Titolo:DA BERLINO A FIRENZE, MOSTRA su Eichmann che ribalta le tesi della Arendt
Il processo

Quella mostra su Eichmann che ribalta le tesi della Arendt

Alla vigilia del Giorno della Memoria, la storia del criminale nazista in un’esposizione a Firenze

di Susanna Nierenstein (la Repubblica, 19.01.2012)

Si intitola Il processo. Eichmann a giudizio, ma potrebbe quasi chiamarsi "Processo ad Hannah Arendt" la mostra che arriva da Berlino ed è pronta ad aprirsi negli spazi delle Murate, le ex-prigioni di Firenze, il 23 gennaio (fino al 18 febbraio), quattro giorni prima del Giorno della Memoria. La visione e la lettura dei numerosi video e documenti del procedimento che iniziò l’11 aprile 1961 a Gerusalemme dopo il clamoroso rapimento da parte del Mossad, l’11 maggio 1960, del direttore del Dipartimento Affari Ebraici IV B 4 delle SS rifugiato in Argentina - dell’organizzatore prima dell’espulsione degli ebrei dalla Germania, del loro trasferimento ad Est e poi dei trasporti verso i campi di sterminio da tutta l’Europa occupata -, la lettura proposta dai curatori tedeschi, dicevamo, si differenzia infatti dalla diffusa interpretazione della filosofa tedesca che seguì (ma solo in parte!) l’avvenimento epocale nella capitale israeliana per il New Yorker e vide in Eichmann "la banalità del male". Il Male che Eichmann incarna non ha niente di "banale", come mette in luce il percorso creato dalle fondazioni berlinesi Topografia del Terrore e Memoriale degli Ebrei Assassinati in Europa, la statura di Eichmann non è affatto quella di un grigio burocrate incastrato nel motore della tirannia come una qualsiasi rotella inconsapevole e necessaria al meccanismo.

La visione della filosofa tedesca era senz’altro legata alla sua tesi sulla cappa psicologica invincibile del totalitarismo, e serviva forse a salvare dalla colpa collettiva il popolo tedesco in mezzo a cui si era formata e forse persino Heidegger, il suo maestro, che al nazismo aveva aderito. La Arendt alla fin fine così si dimostrava aperta alla tesi della difesa di Eichmann: «ho solo obbedito agli ordini, sono stato solo un dente di un ingranaggio, non sono mai stato antisemita», senza attribuire la giusta importanza né allo svelamento inedito dei testimoni, né alla personale convinzione ideologica nazista che aveva spinto lui come milioni d’altri "volenterosi carnefici" al genocidio.

Ecco invece subito nell’esposizione portata in Italia dalla Regione Toscana e, attraverso la cura di Camilla Brunelli, dalla Fondazione Museo e Centro di documentazione della Deportazione e Resistenza di Prato, le tappe della sua biografia: legato fin da giovanissimo alla destra austriaca che chiedeva l’annessione alla Germania e si nutriva di antisemitismo, presente nell’estremismo militante, lettore attento fin dalla fine degli anni Venti di giornali nazional-socialisti, parte di quel misero 3% che nel ’30 in Austria votò per il partito nazista a cui aderisce definitivamente nel ’32. Nel Reich dal ’33, all’indomani della vittoria di Hitler, Eichmann riceve una formazione paramilitare nelle SS e nel ’34 entra nel Servizio di Sicurezza del Reichfuehrer Himmler, e ben presto con gradi sempre più alti nell’unità "Affari ebraici", dedita a forzare gli ebrei a lasciare la Germania.

Alla conferenza di Wansee del ’42 che mise a punto il piano della "soluzione finale" fu uno degli organizzatori (e lì, lo vediamo dire in tribunale, si sentì sollevato come Ponzio Pilato perché erano stati "i protagonisti, i papi del Reich" a decidere, anche se era lui stesso a prospettare le soluzioni possibili). Himmler lo definì "lo specialista" quando nel ’44 lo chiamò come sempre a deportare velocemente mezzo milione di ebrei ungheresi ad Auschwitz, un "maestro" della spoliazione, dell’emigrazione forzata, e ben presto del trasferimento nei lager. Persino nella sua deposizione nel ’61 in Israele Eichmann chiama gli ebrei "parassiti".

Cosa ci vide di "banale" Hannah Arendt? La sua intuizione, o la sua forzatura, che tanto ha condizionato la riflessione sulla Shoah come di un evento fatale perpetrato da uomini senza volto, non funziona (fu l’autorevole Raul Hilberg a dirlo per primo, seguito ben presto tanti altri storici): una mappa mostra gli infiniti spostamenti di Eichmann in tutti i luoghi caldi dello sterminio, la storiografia più recente riportata in catalogo in bel saggio di Gerhard Paul ne certifica le continue iniziative, la partecipazione attiva alla macchina della morte, la conoscenza esatta di quel che stava avvenendo, l’antisemitismo convinto (il comandante di Auschwitz Rudolf Hoess l’aveva definito "ossessionato dalla questione ebraica"). Un quadro confermato anche dall’intervista data nel 1957 da Eichmann a Willem Sassen, un giornalista ex SS (in Italia nel ’61 la pubblicò Epoca).

Ma la mostra, che dedica una parte curata da Valerie Galimi alla ricezione del processo in Italia e alla Shoah italiana anche con la registrazione inedita della deposizione in aula di Hulda Campagnano, unica testimone nata nella penisola, non si occupa solo della colpevolezza di Eichmann. Nell’esposizione si affrontano tutte le tappe e gli uomini del processo, le battaglie legali, i capi d’imputazione, la volontà del procuratore generale Hausner di farne un evento che documentasse ogni fase e aspetto della persecuzione dal ’33 al ’45 (come ricorda David Cesarani in catalogo), attraverso gli uomini e le donne che l’avevano vissuta, per dare ai fatti, a differenza di Norimberga che aveva usato soprattutto documenti scritti, una dimensione umana e un impatto drammatico.

Il processo fu trasmesso da tutte le radio e le televisioni del mondo. La Shoah uscì dalla sua aura fantasmica e divenne volti, lacrime, svenimenti, racconti puntuali. Per la costruzione della memoria nacque una nuova era, quella del testimone, delle voci che non si possono più cancellare, un rapporto vivente che parlava anche agli stessi giovani di Israele ponendo fine al silenzio che aveva circondato i sopravvissuti, ridandogli un’identità fondamentale, come spiega assai bene il saggio di Annette Wieviorka in catalogo. Sono parole e sguardi che potremmo ascoltare e vedere in parte nella mostra. Ed è importante ora che i testimoni se ne stanno andando. Deborah Lipstadt, vinta la causa contro lo storico negazionista Irving, ha scritto un libro proprio sul processo ad Eichmann. Perché? le è stato chiesto. Perché il negazionismo non è affatto scomparso e nel mondo arabo va per la maggiore, ha risposto, perché i testimoni sono fondamentali, perché bisogna ascoltare chi minaccia un popolo di sterminio: le parole deliranti del ’33 divennero fatti.

Eichmann fu condannato il 15 dicembre 1961, giustiziato a mezzanotte del 31 maggio 1962, cinquanta anni fa esatti. Il suo corpo fu cremato in un luogo segreto e le sue ceneri disperse nel Mediterraneo.

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Commenti Articolo 943

Titolo articolo : A 50 DAL CONCILIO, CHE NE È DELLA FEDE?,di Raniero La Valle

Ultimo aggiornamento: January/19/2012 - 10:16:48.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/1/2012 18.59
Titolo:A 50 ANNI DAL CONCILIO, SI CONTINUA A DORMIRE ....
E si continua a dormire: una lettera del 2002


DEPONIAMO LE ARMI, APRIAMO UN DIBATTITO

di Federico La Sala*

Bisogna cominciare a vaccinarsi: il conto alla rovescia è partito. L’allineamento dei “pianeti” si fa sempre più stretto e minaccioso (Usa, Uk, Spagna, Italia, Grecia, Turchia, Israele..) e il papa - accerchiato e costretto alla rassegnazione - lo ha detto con decisione e rassegnazione: “Dio sembra quasi disgustato dalle azioni dell’umanità”.

Io credo che non si riferisse solo e tanto all’umanità degli altri, ma anche e soprattutto delle sue stesse “truppe” che lavorano dietro le quinte e alacremente a tale progetto.

Come è già apparso chiaro in varie occasioni (ultima, plateale, nel Kazakistan nel 2001) la gerarchia della Chiesa Cattolico-Romana ha il cuore duro come quello dei consiglieri del faraone. Si è mantenuta a connivente distanza da Hitler, ha appoggiato Mussolini, sta appoggiando il governo Berlusconi, e non finirà per appoggiare Bush? Figuriamoci.

Lo sforzo di memoria e riconciliazione non è stato fatto per riprendere la strada della verità, ma per proseguire imperterrita sulla via della volontà di potenza... Non ha sentito e non vuole sentire ragioni - nemmeno quelle del cuore: la “risata” di Giuseppe (cfr. Luigi Pirandello, Un goj, 1918, “Novelle per un anno”) contro il suo modello-presepe di famiglia (e di società) continua e cresce sempre di più, ma fanno sempre e più orecchi da mercanti! Cosa vogliono che tutti e tutte puntino le armi non solo contro Betlemme (come già si è fatto) ma anche contro il Vaticano?

Credo con Zanotelli che "stiamo attraversando la più grave crisi che l’homo sapiens abbia mai vissuto: il genio della violenza è fuggito dalla bottiglia e non esiste più alcun potere che potrà rimettervelo dentro"; e credo - antropologicamente - che sia l’ora di smetterla con l’interpretazione greco-romana del messaggio evangelico! Bisogna invertire la rotta e lavorare a guarire le ferite, e proporre il modello-presepe correttamente.

Lo abbiamo sempre saputo, ma ora nessuno lo ignora più! Chi lo sa lo sa, chi non lo sa non lo sa, ma lo sanno tutti e tutte sulla terra, nessuno e nessuna è senza padre e senza madre! Dio “è amore” (1Gv.: 4,8) e Gesù (non Edipo, né tanto meno Romolo!) è figlio dell’amore di un uomo (Giuseppe, non Laio né tanto meno Marte, ma un nuovo Adamo) e una Donna (Maria) e non Giocasta né tanto meno Rea Silvia, ma una nuova Eva. Cerchiamo di sentire la “risata”. Deponiamo le armi: tutti e tutte siamo “terroni” - nativi del pianeta Terra, cittadini e cittadine d’Italia, d’Europa, degli Stati Uniti d’America, di Asia, di Africa ecc., come di Betlemme, come di Assisi e di Greccio... E non si può continuare con le menzogne e la violenza!

Non siamo più nella “fattoria degli animali”: fermiamo il gioco, facciamo tutti e tutte un passo indietro se vogliamo saltare innanzi e liberarci dalla volontà di potenza che ha segnato la storia dell’Occidente da duemila anni e più! Si tratta di avere il coraggio - quello di don Milani - di dire ai nostri e alle nostre giovani che sono tutti e tutte sovrani e sovrane o, che è lo stesso, figli e figlie dell’amore di D(ue)IO... dell’amore di "due Soli" esseri umani, come anche Dante aveva già intuito, sul piano politico ma anche sul piano antropologico.

Cerchiamo finalmente di guardarci in faccia e intorno: apriamo il dibattito - o, perché no, un Concilio Vaticano III (come voleva già il cardinale Martini) tra credenti e non credenti - e teniamo presente che Amore non è forte come la morte, ma è più forte di Morte (Cantico dei cantici: 8,6, trad. di G. Garbini, non degli interpreti greco-romani della Chiesa Cattolica).

* Pubblicata su l’Unità del 29 dicembre 2002, p. 30.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/1/2012 18.07
Titolo:LIBERARE LA PAROLA ::::
Liberare la parola

di Jean Rigal (“La Croix”, 14 gennaio 2012 - traduzione: www.finesettimana.org)

Il problema emerge da ogni lato. Attraversa tutte le istituzioni: professionali, politiche, sociali, religiose. Nel contesto attuale, che si vuole democratico, il dibattito fa parte della vita quotidiana. I media lo ricordano a modo loro. Non ci si meraviglierà pertanto che dei cristiani - cattolici in questo caso - facciano ascoltare pubblicamente le loro richieste, così come è avvenuto recentemente in Germania, in Austria, e attualmente in Francia. Questi cristiani alzano maggiormente la loro voce dato che hanno la percezione di non essere ascoltati. Ritengono che il centralismo romano soffochi la possibilità di espressione e la creatività delle Chiese locali.

Nel momento in cui commemoriamo il 50° anniversario dell’apertura del Vaticano II, è estremamente interessante prestare attenzione a quello che dice il Concilio a questo proposito. Certamente non vi si trova la parola “dibattito”, ma vi si riscontrano delle insistenze in relazione alle esigenze di dialogo e di ricerca nella Chiesa. Ci si trova all’opposto dell’antico dualismo “Chiesa docente e Chiesa discente”.

Applicata alla chiesa, la nozione di “Popolo di Dio” non mette più l’accento sull’idea di “società diseguale”, così pregnante durante il XIX secolo, ma sull’uguaglianza fondamentale dei battezzati “quanto alla dignità e all’attività comune” (Lumen Gentium, n. 32)

Il Concilio mette in rilievo il “senso della fede” dei battezzati (il “sensus fidei” in latino), una nozione un tempo utilizzata dai Padri della Chiesa ma per lungo tempo dimenticata. Questa espressione designa una sorta di intelligenza spirituale, di istinto cristiano, di senso della chiesa (secondo il concilio di Trento) che si basano sulla vocazione battesimale e appartengono alla identità cristiana. “Il senso della fede” è una idea profondamente tradizionale e non una richiesta democratica, vale a dire sospetta, sorta tardivamente dalla modernità. Il Concilio precisa che “il senso della fede” non si esercita mai isolatamente ma nella comunione della Chiesa, e grazie allo Spirito Santo.

Questa nozione - evocata a sei riprese dal Vaticano II - presenta necessariamente delle difficoltà di applicazione. Dal lato del popolo cristiano, esiste il rischio di rimanere ad uno sguardo troppo locale e troppo parziale delle questioni. Dal lato del magistero episcopale, soprattutto romano, di ricondurre il ruolo dei fedeli ad una pura sottomissione. Grande è la tentazione per l’autorità di vedere l’applicazione del “senso della fede” solo in un movimento discendente. Questo movimento a senso unico è oggi difficilmente sopportabile. Detto in altri termini, commemorare il Concilio Vaticano II non è solo conoscere il suo insegnamento - il che è lontano dall’essere acquisito - , è anche e prioritariamente metterlo in pratica. Una Chiesa in cui la parola è confiscata potrà ancora essere percepita come una chiesa di Pentecoste per il mondo dei nostri giorni?

Questi elementi dottrinali sono rafforzati da ciò che ci insegnano la storia e la sociologia. Per un verso, i rinnovamenti della Chiesa partono meno, salvo eccezioni, dalle istanze della gerarchia, spesso portata alla prudenza, rispetto alla creatività di una parte della comunità ecclesiale. Gli appelli del popolo cristiano, soprattutto se si prolungano nel tempo, sono portatori di una dimensione spirituale e profetica di cui generalmente solo successivamente si percepisce la fondatezza. Per altro verso, è risaputo che l’assenza di dibattito uccide la creatività. Infine, anche se al momento soffocate, alcune questioni non tarderanno a rinascere di nuovo. E si comprende facilmente che i nostri contemporanei, sottoposti al confronto con una estrema varietà di opinioni, e gelosi della loro libertà, accettano sempre meno prescrizioni alle quali non aderiscano interiormente.

A proposito del Vaticano II, il papa Giovanni Paolo II dichiarava “che è una bussola affidabile per orientarci sul cammino del secolo che inizia”. “Liberare la parola” è appunto una delle richieste del Concilio.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/1/2012 10.16
Titolo:La fede cristiana esige libertà e sincerità!
La fede cristiana esige libertà e sincerità!

di Raymond Gravel

in “www.lesreflexionsderaymondgravel.org” del 18 gennaio 2012

(traduzione:
www.finesettimana.org)


Dopo la chiamata dei primi discepoli secondo san Giovanni, ecco la chiamata dei primi quattro
discepoli raccontata in modo diverso da Marco, l'evangelista dell'anno B. Al posto del Gesù umile e
discreto di Giovanni troviamo, secondo Marco, un Gesù pieno d'autorità, che, ancora prima di
insegnare, di predicare e di agire, si sceglie dei discepoli. Ha tale autorità e tale carisma che nessuno
osa contestarlo. Eppure, non obbliga nessuno a credere in lui e a seguirlo. Lui si limita ad invitare:
“Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino” (Mc 1,15a). E, contrariamente a Giovanni Battista
che annunciava un giudizio severo sulla storia, Gesù invece proclama una Buona Notizia che invita
alla conversione e alla fede: “Convertitevi e credete alla Buona Notizia” (Mc 1,15b). Ma qual è la
Buona Notizia? Che cosa bisogna fare per viverla?

1. La Buona Notizia o Vangelo. Se si legge bene il vangelo di Marco, il primo evangelista, e poi
gli altri, la Buona Notizia è Gesù Cristo, Figlio di Dio (Ma 1,1). Ma perché è Buona Notizia? Gesù
è diventato Buona Notizia con l'evento morte-resurrezione, che ci ha mostrato che la morte non ha
l'ultima parola sulla vita e che la persona umana, segnata dai suoi limiti e dalle sue fragilità, può
compiere grandi cose: maggiore giustizia per tutti, rispetto dell'altro, di ogni altro, riconoscimento
della dignità di ogni persona, capacità illimitata di perdonare e di riconciliarsi, amore
incondizionato, condivisione delle ricchezze, uguaglianza tra le persone umane, speranza di un
mondo migliore. Se non è questa una Buona Notizia, mi chiedo che cos'è...

La Buona Notizia di Gesù Cristo è anche annunciare la salvezza per tutti senza eccezione. Non sono
le nostre opere che ci salvano; è la nostra fede nel Cristo di Pasqua, nel Cristo risorto. Le opere
vengono dopo: “Se con la bocca confessi che Gesù è Signore, se nel tuo cuore sai che Dio lo ha
risuscitato dai morti, sarai salvo” (Rm 10, 9). La fede è risposta alla Buona Notizia e ha per
oggetto Gesù che Dio ha resuscitato e fatto Cristo, Signore e Salvatore di tutta l'umanità. La vera
giustizia è quella che viene dalla fede (Rm 10,6), che è data attraverso la fede (Rm 3,25), e la
giustizia ricevuta dalla fede, è perdono (Ga, 5,24), riconciliazione con Dio (Ef 3,12), unione con
Gesù Cristo (Ef 3,17), e inaugura la vita dello Spirito (Ef 1, 13-14).


L'invito di Gesù Cristo alla conversione e alla fede nella Buona Notizia fa appello alla nostra libertà
umana. Non è obbligatoria, è un'opzione libera e senza obblighi. E la risposta all'invito fatto deve
anche fare appello alla nostra libertà e responsabilità. Non per niente san Paolo nella seconda lettura
di oggi, invita i Corinzi a non seguire certi illuminati della comunità che, a Corinto, pretendevano di
proibire il matrimonio a tutti, perché volevano imporre a tutti il celibato consacrato. Volendo
sottolineare il carattere provvisorio ma reale delle realtà di questo mondo, di cui fa parte anche il
matrimonio, san Paolo scrive: “Quindi vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve. D'ora innanzi,
quelli che hanno moglie, facciano come se non l'avessero, quelli che piangono come se non
piangessero, quelli che gioiscono come se non gioissero, quelli che comprano, come se non
possedessero, quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente. Passa infatti
la figura di questo mondo” (1Cor 7,29-31).

Purtroppo, in queste affermazioni di Paolo, c'è un pericolo di interpretazione che la Chiesa non ha
saputo evitare: il disprezzo del mondo, il disimpegno e l'evasione dai compiti terrestri, come se non
fosse necessario. Eppure, il pensiero di Paolo e la logica del Vangelo sono tutto il contrario. Il
mondo che vediamo ha bisogno delle nostre energie, della nostra vigilanza e della nostra
immaginazione a servizio della giustizia e della pace. Essenziali, queste realtà sono però provvisorie
rispetto alla nostra appartenenze al Cristo di Pasqua. L'esegeta Charles Wackenheim scrive: “Il
cristiano non disdegna né le sfide né le preoccupazioni di quaggiù; deve fare attenzione a nonrestarvi incollato al punto da chiudere il proprio cuore alla Parola di Dio che contesta tutte le
chiusure”.

E abbiamo un bell'esempio di chiusura nella prima lettura oggi, in cui il profeta Giona rinchiude
nella paura i niniviti affinché si convertano: “Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di
cammino e predicava: Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta!” (Gn 3,4). Abbiamo spesso
funzionato in questo modo, facendo paura alla gente: l'inferno, i demoni, la morte e la perdizione...
Per fortuna oggi ne siamo usciti. Non attacca più. Perché Dio, che è misericordia, perdono e amore,
come potrebbe minacciare le donne e gli uomini che sono l'opera della sua creazione? Non sono
forse creati ad immagine e somiglianza di Dio? Pierre Domergue scrive: “Effettivamente, Giona
pronuncia un oracolo di condanna: Ninive sarà distrutta. Effettivamente, i niniviti si sono convertiti,
e Dio torna sulla sua decisione. Il lettore di questo racconto profetico impara così che non c'è più
condanna incondizionata: Dio non è tenuto a dare ragione ai suoi inviati. È tenuto solo alla sua
parola, che è tenerezza e misericordia”.

2 Diventare discepoli. Alla domanda che cosa fare per vivere la Buona Notizia, io rispondo così:
per vivere la Buona Notizia, dobbiamo diventare discepoli di Cristo, cioè lasciarci vedere da Cristo:
“Passando lungo il mare di Galilea, Gesù vide Simone e suo fratello Andrea mentre gettavano le
reti: erano infatti pescatori” (Mc 1,16), sentire il suo invito: “Gesù disse loro: Venite dietro a me.
Vi farò diventare pescatori di uomini” (Mc 1,17), e rispondervi liberamente: “E subito, lasciarono
le reti e lo seguirono” (Mc 1,18).

Ecco due simboli importanti da definire:
1) La rete. Simbolo di seduzione. Cadere nella rete di qualcuno, significa lasciarsi sedurre da lui. Il
Cristo del vangelo di Marco è un seduttore; è talmente seducente, che non si può sfuggirvi, da qui
deriva le premura dei primi 4 discepoli chiamati a seguirlo. Lo fanno spontaneamente, in piena
libertà.

2) Pescatori di uomini. È vero che la pesca consiste nel prendere o catturare pesci. Ma il senso
della pesca umana usato da Marco è totalmente diverso. Bisogna ricordare che, nella Bibbia, il mare
è simbolo delle forze del male, e pescare uomini, significa liberare l'uomo dal potere del mare, dalle
forze del male. Quindi, la missione dei discepoli non consiste nel prendere o catturare degli uomini,
ma piuttosto nel liberarli. Questa è la missione della Chiesa ancora oggi.
Terminando, vorrei semplicemente citarvi l'esegeta francese Jean Debruynne, il suo commento del
vangelo di oggi: “È l'arresto di Giovanni Battista che serve da segnale. Giovanni Battista è gettato
in prigione e questo libera la parola del vangelo, come se l'arresto di Giovanni fosse l'appuntamento
fissato affinché Gesù esca dal silenzio. Come se ci fosse il passaggio del testimone da Giovanni a
Gesù. Come se la storia cambiasse e passasse dall'antico al nuovo testamento. Giovanni Battista è
arrestato ma nulla può mai fermare la Parola di Dio, e il primo atto di missione di Gesù è di
chiamare un Popolo chiamando i suoi discepoli. Li chiama a seguirlo come discepoli, ma anche già
come successori”. E aggiungerei, è in totale libertà che i quattro discepoli accettano di seguire
Cristo, ed è in totale libertà che noi accettiamo, ancora oggi, di diventare discepoli del Risorto, di
seguire il Cristo di Pasqua. Noi siamo quindi i successori dei primi discepoli, che erano i successori
di Gesù risorto.

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Commenti Articolo 944

Titolo articolo : SAN FRANCESCO DI PAOLA E LO STEMMA DEL SUO ORDINE: CHARITAS. Una nota di lettura del quadro di Ludovico Pozzoserrato (1654-1726),a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January/19/2012 - 09:46:18.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/11/2011 13.11
Titolo:“DEUS CARITAS EST”: IL “LOGO” DEL GRANDE MERCANTE ....
Caro BENEDETTO XVI ...

Corra, corra ai ripari (... invece di pensare ai soldi)!

Faccia come insegna CONFUCIO: provveda a RETTIFICARE I NOMI. L’Eu-angélo dell’AMORE (“charitas”) è diventato il Van-gélo del ’caro-prezzo’ e della preziosi-tà (“caritas”), e la Parola (“Logos”) è diventato il marchio capitalistico di una fabbrica (“Logo”) infernale ... di affari e di morte?!

Ci illumini: un pò di CHIAREZZA!!! FRANCESCO e CHIARA di Assisi si sbagliavano?! Claritas e Charitas, Charitas e Claritas... o no?!

Federico La Sala
_____________________________________________________________

“DEUS CARITAS EST”: IL “LOGO” DEL GRANDE MERCANTE E DEL CAPITALISMO

di Federico La Sala *

In principio era il Logos, non il “Logo”!!! “Arbeit Macht Frei”: “il lavoro rende liberi”, così sul campo recintato degli esseri umani!!! “Deus caritas est”: Dio è caro-prezzo, così sul campo recintato della Parola (del Verbo, del Logos)!!! “La prima enciclica di Ratzinger è a pagamento”, L’Unità, 26.01.2006)!!!

Il grande discendente dei mercanti del Tempio si sarà ripetuto in cor suo e riscritto davanti ai suoi occhi il vecchio slogan: con questo ‘logo’ vincerai ! Ha preso ‘carta e penna’ e, sul campo recintato della Parola, ha cancellato la vecchia ‘dicitura’ e ri-scritto la ‘nuova’: “Deus caritas est” [Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2006]!

Nell’anniversario del “Giorno della memoria”, il 27 gennaio, non poteva essere ‘lanciato’ nel ‘mondo’ un “Logo” ... più ‘bello’ e più ‘accattivante’, molto ‘ac-captivante’!!!

Il Faraone, travestito da Mosè, da Elia, e da Gesù, ha dato inizio alla ‘campagna’ del Terzo Millennio - avanti Cristo!!! (Federico La Sala)

*www.ildialogo.org/filosofia, Giovedì, 26 gennaio 2006.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/11/2011 16.25
Titolo:LA PRIMA ENCICLICA DI RATZINGER - A PAGAMENTO !!!
«DEUS CARITAS EST»,


LA PRIMA ENCICLICA DI RATZINGER E’ A PAGAMENTO


di red (www.unita.it, 25.01.2006)

«Dio è amore, chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui». «Solo il matrimonio riflette l’amore di Dio» e «uno Stato senza la giustizia è una banda di ladri». Della prima enciclica di papa Ratzinger (Deus caritas est) che parla dell’amore di Dio e del concetto di carità cristiana nel mondo d’oggi, forse è prudente non citare molto più. È infatti coperta da copyright e la Libreria Editrice Vaticana ne detiene tutti i diritti, come li detiene su tutte le parole scritte dal papa.

Secondo le norme emanate dal Segretario di Stato Angelo Sodano qualche mese fa (volute fortemente da Ratzinger) qualunque altro editore voglia pubblicare questa o un’altra enciclica (oppure un’esortazione apostolica, o un discorso) deve pagare. Anzi deve presentare prima un progetto di edizione alla Lev (il rapporto fra testo dell’enciclica e commento dovrebbe essere di 1 a 2: 1/3 del volume occupato dal documento e 2/3 dal commento teologico/filosofico) e poi deve pagare. E neppure poco: dal 3% al 5% del prezzo di copertina di ogni copia venduta con anticipo da concordare caso per caso in base alla tiratura. Fatti i calcoli, le parole del papa più costose sono proprio quelle scritte nelle encicliche, le meno costose quelle pronunciate nei discorsi, Angelus, catechesi del mercoledì, allocuzioni varie.

Ma non è tutto. Il copyright che fa delle parole di papa Benedetto XVI delle vere e proprie merci a pagamento ha anche un valore retroattivo. Secondo le norme della Santa Sede «sono sottoposti a copyright tutti gli scritti, i discorsi e le allocuzioni del Papa. Sia di quello felicemente regnante che dei predecessori, fino a 50 anni addietro».

E a questo punto la domanda che sorge spontanea è quella relativa ai diritti d’autore sulle parole del precedessore di Ratzinger, Giovanni Paolo II. Solo in lingua inglese sono 2.770 i titoli di libri che portano la sua firma, oltre mille in lingua spagnola, intorno ai 370 quelli in italiano. Per queste innumerevoli edizioni e traduzioni verranno reclamati nuovi diritti d’autore? In Vaticano, a quanto pare, nessuno lo sa o nessuno vuol dirlo.

«Ci verrebbe voglia di chiedere al Vaticano i danni economici per tutti i libri posti all’indice e dei quali è stata impedita la diffusione, a cominciare dal Dialogo dei Massimi Sistemi di Galileo - ha commentato con ironia l’antropologa Ida Magli - La retroattività vale soltanto per i Papi?’.

Comunque sia gli effetti del copyright voluto da Ratzinger hanno già dato i primi risultati economici per la Santa Sede. Alla casa editrice Baldini & Castoldi, che aveva usato in un’antologia un testo di Papa Ratzinger (tra l’altro di trenta righe e precedente alla sua elezione a Pontefice), è già arrivata l’ingiunzione a pagare 15 mila euro per i diritti di copyright a cui dovranno aggiungere la percentuale sul prezzo di copertina per ogni copia venduta dell’antologia.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 03/12/2011 10.11
Titolo:CHARITAS. La buona-parola (eu-charitas) - una buona notizia per oggi ....
Una buona notizia per oggi!

di Raymond Gravel

“www.lesreflexionsderaymondgravel.org” del 2 dicembre 2011 (traduzione: www.finesettimana.org)

2a domenica d’Avvento Anno B

La settimana scorsa abbiamo visto che l’Avvento è sempre attuale: questo tempo di attesa, questo tempo di vigilanza, non consiste nell’aspettare qualcuno che non è ancora arrivato o che tarda a venire, o attendere un evento che non si è ancora verificato... No! Questo tempo consiste nello scoprire qualcuno che è già qui e a riconoscerlo negli eventi che sono i nostri, attraverso le donne e gli uomini di oggi... Che cosa dobbiamo mettere a fuoco dei testi della Parola di oggi?

1. Inizio. “Inizio della Buona Notizia di Gesù Cristo, Figlio di Dio” (Mc 1,1). In una frase, l’evangelista Marco, che scrive a dei pagani convertiti, dà tutto il senso del suo vangelo, della sua Buona Notizia. Non lo dice come se si trattasse di una Buona Notizia annunciata un tempo e che gli tocca ripetere per il suo tempo. No! È “l’inizio”, “il principio”, quindi una Buona Notizia che è sempre nuova, che deve adattarsi ed attualizzarsi al tempo in cui è pronunciata e proclamata. È l’inizio, non di un testo, ma di un’azione di Dio, importante quanto l’inizio del mondo: “In principio, Dio creò il cielo e la terra” (Gen 1,1) o l’inizio del vangelo di Giovanni: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio” (Gv 1,1).

E per annunciare la sua Buona Notizia, Marco non esita a citare l’Antico Testamento, ma lo fa liberamente, senza preoccuparsi dell’esattezza delle citazioni: “Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada” (Mc 1,2b). Marco ci dice che è scritto nel libro del profeta Isaia (Mc 1,2a), anche se questa citazione viene da una mescolanza tratta dal libro dell’Esodo, versione greca (Es 23,20) e del profeta Malachia (Ml 3,1). E il resto: “Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri” (Mc 1,3) ci viene dal profeta Isaia nella versione greca, dei Settanta.

La Buona Notizia che Marco annuncia riguarda, non Gesù di Nazareth, che lui non conosce, ma Gesù Cristo, Figlio di Dio, quello che la Pasqua gli ha rivelato. Siccome Gesù Cristo è vivo, si incarna nei cristiani di tutti i tempi. Questo significa che si incarna anche oggi: tocca a noi riconoscerlo... Per questo motivo, nel 2011, è ancora l’inizio di una Buona Notizia di Gesù Cristo, Figlio di Dio, che vive oggi, in mezzo a noi.

2. Il deserto. “E si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati” (Mc 1,4). Ma attenzione! Nel vangelo la parola peccato non ha la connotazione che le diamo oggi. La parola peccato traduce la condizione umana in tutta la sua fragilità... condizione che fa sì che ci si allontani dal Dio dell’Alleanza e che si abbia bisogno di conversione per ritornarvi. E questo avviene nel deserto, perché il deserto è il luogo del vuoto, del silenzio, della pace, della serenità che permette gli inizi. È lì che tutto comincia: la presa di coscienza di ciò che siamo, il nostro bisogno di conversione, il nostro desiderio di cambiare la realtà e la necessità di parteciparvi. È lì, nel deserto, che possono rinascere tutte le speranze. È lì che Giovanni Battista dà il suo battesimo d’acqua per indicare la conversione del cuore, e questo battesimo si rivolge a tutti senza eccezione: ai ricchi come ai poveri, ai capi come al popolo, ai religiosi come agli esclusi.

Il deserto è anche l’esperienza del popolo di Dio in esilio a Babilonia, cui fa eco la prima lettura di oggi. Per tornare da Babilonia a Gerusalemme, il popolo deve inventare dei cammini di libertà:“Una voce grida: «Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio” (Is 40,3). Quindi non c’è una pista già tracciata. Dio non procede mai su itinerari già tracciati. Perché? Perché la vita non torna mai sui suoi passi: si inventa man mano, continuamente. Ad ogni modo, nonostante l’insicurezza della strada da fare: “Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata” (Is 40,4). Dio promette di accompagnare coloro che preparano la via e coloro che la percorrono (Is 40,11).

Nel suo vangelo, Marco recupera il battesimo di Giovanni Battista per annunciare un altro battesimo: il battesimo cristiano, il battesimo nello Spirito Santo, che ci fa diventare figli e figlie di Dio, fratelli e sorelle del Cristo di Pasqua: “Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo” (Mc 1,8). Nella sua avventura cristiana, neanche la Chiesa può procedere su itinerari già tracciati. Anche oggi, la strada è da inventare. Malgrado l’insicurezza che ci assilla, dobbiamo aprire nuovi sentieri, e non dobbiamo aver paura: Cristo ci accompagna.

3. La giustizia. Il primo valore di tutta la Bibbia, è la Giustizia. Viene addirittura prima dell’Amore, perché, come si può amare qualcuno se si è ingiusti verso di lui? Il Salmo 84 di questa domenica lo dice esplicitamente: “Amore e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno. Verità germoglierà dalla terra e giustizia si affaccerà dal cielo. Certo, il Signore donerà il suo bene e la nostra terra darà il suo frutto; giustizia camminerà davanti a lui: i suoi passi tracceranno il cammino”. Il che significa che sui cammini che inventiamo nella nostra avventura cristiana, Cristo ci accompagna; ci precede, ma, allo stesso tempo, la Giustizia cammina davanti a lui, ecco l’importanza di lavorare per restaurarla.

Oggi, a che cosa dobbiamo convertirci? La più grande conversione che è richiesta alla Chiesa, ai suoi capi e a tutti i suoi membri, è di accogliere, di accettare, di aprirsi alle realtà nuove delle donne e degli uomini del nostro tempo. È attraverso queste realtà che Cristo vive e che può portare un messaggio di speranza in questo mondo nuovo cominciato più di 2000 anni fa. Abbiamo tutte e tutti per missione di lavorare a questo. Il mondo attuale e le sue bellezze, i suoi progressi, ma anche le sue involuzioni, i suoi limiti e le sue fragilità. Che la Chiesa riconosca le bellezze del mondo e che dia prova di compassione, di indulgenza e di perdono, per i suoi limiti e le sue povertà. È il solo modo di far nascere la speranza oggi.

È talmente vero che agli interrogativi delle prime comunità cristiane sul ritorno di Cristo, l’autore della seconda lettera di Pietro, scritta verso l’anno 125, di cui leggiamo oggi un brano, tenta di rassicurarci. Quando ci si interroga sul nostro futuro e ci si domanda quando questo mondo di sofferenze, di intolleranze, di divisioni, di guerre e di morte finirà, l’autore di questa lettera di Pietro ci dice di non fare come i fondamentalisti biblici che cercano una risposta al quando, ma piuttosto una risposta al Che fare nell’attesa? Scrive: “Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi” (2Pt 3,9).

E aggiunge: “Davanti al Signore un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno (2Pt 3,8). Che vuol dire: smettete di cercare la data della fine del mondo o del ritorno di Cristo; rimboccatevi le maniche e lavorate nell’attesa, perché la fine dipende da noi. La salvezza non è solo personale o individuale: è anche collettiva e comunitaria. Da qui deriva l’importanza di impegnarci a fare del nostro mondo un mondo più giusto e più fraterno: “secondo la sua promessa, aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia” (2Pt 3,13). Tocca a noi farle realizzare.

Terminando, vorrei citarvi l’esegeta francese Edouard Cothenet che ci dice che non si possono fare promesse si non ci si impegna per realizzarle: “Per favore, non fate promesse! Non promettete niente a coloro che sono esiliati sotto lo sguardo vile delle nazioni rifugiate dietro il dovere di non ingerenza, né a coloro che rinsecchiscono per la fame sulle loro terre aride di morte, né a coloro che non vedono nessuna ragione di sperare ancora, né a coloro che tendono il cuore per mendicare briciole d’amore, né a coloro che si sentono definitivamente stretti nella morsa della miseria, né a coloro che sono stati esclusi dalla comunità... Non promettete niente o, allora, mettetevi al lavoro con Colui che è andato avanti per tutta la sua vita e pagando col suo sangue per mantenere la Promessa che aveva fatto: Vengo per salvarvi. Le promesse hanno senso solo se le si realizza!”.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/1/2012 15.02
Titolo:Paola, la scomparsa della statua di San Francesco ....
Paola, la scomparsa della statua di San Francesco non è un furto

La Capitaneria ha individuato una nave sospetta che aveva chiesto le coordinate. I sub dei carabinieri propendono per la rimozione accidentale *

L’ipotesi del furto della statua sottomarina di San Francesco di Paola, appare sempre più remota. I carabinieri subacquei di Messina hanno indagato sul luogo dove è stata impiantata il 25 novembre 2007 la statua di San Francesco di Paola degli Abissi, sparita a fine dicembre. I sommozzatori dell’Arma hanno rilevato, in base a tracce e indizi vari raccolti, che il monumento sottomarino è stato sradicato con violenza dal fondale insieme al suo piedistallo.

Uno stato di cose che lascia immaginare l’opera accidentale della rete a strascico di un peschereccio di grosse dimensioni, che ha rimosso bruscamente la statua. Una ricostruzione supportata dal fatto che eventuali ladri avrebbero tentato di svitare l’imponente scultura bronzea dal piedistallo, che invece non si trova, lasciando prevedere che sia rimasto attaccato ai piedi dell’opera. Il battello da pesca si sarebbe dunque portato a circa un chilometro dalla riva, dove si trovava il monumento, dopo aver chiesto le coordinate dello stesso alla Capitaneria, o forse a danno compiuto per capire il motivo del brusco rallentamento della corsa. Avrebbe quindi lasciato una traccia.

L’intenzione dell’equipaggio era di effettuare la pesca a strascico in zona vietata, a 29 metri di batimetria, che per legge deve essere invece minimo 50. Il gigantesco sacco legato a cavi d’acciaio passando sulla zona avrebbero letteralmente sradicato la scultura dal fondale e il suo piedistallo, che poi si sarebbero impigliati tra i fili metallici. A questo punto, secondo la ricostruzione più attendibile, per reazione la nave ha arrestato la sua corsa e con i suoi potenti verricelli tentava di tirare in barca la rete e il suo pesante carico. A filo d’acqua l’equipaggio ha potuto notare il San Francesco, decidendo di rimettere in moto la nave e di allontanarsi con il sacco ancora in acqua. Pertanto durante la traversata nel punto incognito dell’abbandono le reti non solcavano il fondale. Il monumento sarebbe stato poi abbandonato nei paraggi. Ma le ricerche non hanno finora sortito gli effetti sperati.

Dal canto suo la Capitaneria di porto ha individuato la nave sospetta, quella che aveva chiesto le coordinate del San Francesco attraversando lo specchio d’acqua del litorale paolano. Non resta che attendere gli sviluppi dell’indagine coordinata dalla Procura di Paola. Gli eventuali responsabili, se non si saranno appropriati della statua, dovranno rispondere di danneggiamento colposo, un illecito civile e non un reato perseguibile penalmente.

* IL QUOTIDIANO DELLA CALABRIA, 11/01/2012:

http://www.ilquotidianoweb.it/it/calabria/cosenza_paola_statua_sottomarina_san_francesco_non_furto_s...
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/1/2012 23.36
Titolo:Ritrovata in mare Statua San Francesco di Paola
Ritrovata in mare Statua San Francesco di Paola

La scultura in bronzo era scomparsa il 28 dicembre 2011

(ANSA) - CETRARO (COSENZA), 18 GEN - La capitaneria di porto di Cetraro ha ritrovato la statua di san Francesco di Paola, scomparsa il 28 dicembre scorso. Secondo quanto si e’ appreso la scultura bronzea si trovava sott’acqua a duecento metri circa dal luogo originario in cui era stata posta. Il ritrovamento e’ avvenuto grazie anche al lavoro svolto dal gruppo sub paolano, che in questi giorni ha piu’ volte setacciato i fondali del mare di Paola. (ANSA).

* ANSA, 18 gennaio 2012, 18:35:

http://www.ansa.it/web/notizie/regioni/calabria/2012/01/18/visualizza_new.html_46193739.html
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/1/2012 09.46
Titolo:Paola, ritrovata in mare la statua di San Francesco
Paola, ritrovata in mare la statua di San Francesco

E’ stato il sub Piero Greco a ritrovare la statua a circa 200 metri da dove era stata posta. Il sindaco di Paola lo ringrazia *

19/01/2012 E’ stato Piero Greco, a ritrovare la statua scomparsa; lui insieme ai suoi sub, dai primi giorni di gennaio ha lavorato per scandagliare lo specchio d’acqua del tratto di costa. Qualche settimana fa sempre Greco (nel riquadro) aveva vissuto la falsa emozione di aver ritrovato il monumento nel tratto di mare di Fuscaldo, prima di intravedere nell’acqua torbida il pezzo di un’antica imbarcazione. Ma ieri pomeriggio finalmente il ritrovamento ad una profondità batimetrica di 32 metri. La statua si presentava poggiata sul fondale con la base del piedistallo, lievemente inclinato, con il viso rivolto verso la città. Attorno qualche residuo di rete, ma tutto sommato in buone condizioni. Purtroppo gli manca il braccio con cui reggeva il bastone, di cui al momento non si ha traccia. L’ipotesi più accreditata della rimozione a fine dicembre, da parte di un peschereccio che effettuava in maniera fraudolenta la pesca a strascico sottocosta, ha trovato ieri la conferma.

La scultura era stata abbandonata dopo poco tempo a 200 metri circa in direzione nord ovest dal luogo dove rimossa, a un chilometro dalla foce del torrente Isca e ad una profondità di 29 metri. Determinante ieri l’individuazione della sua boa da parte della capitaneria di porto, che inizialmente era stata risucchiata sott’acqua e riaffiorata dopo che la sua catena si era sgrovigliata per effetto delle correnti sottomarine dalla imponente scultura bronzea e il suo piedistallo. La guardia costiera ha così prontamente allertato ieri pomeriggio Piero Greco, che giunto sul posto si è immerso e costatato che sotto c’era davvero il San Francesco.

IL SINDACO PERROTTA RINGRAZIA

«Con grande emozione ho accolto la notizia del ritrovamento di una statua che era diventata simbolo per tante persone che guardavano al mare anche attraverso la sua presenza. Pertanto esprimo un nuovo ringraziamento alla magistratura, alla capitaneria di porto, a tutti i pescatori e la gente di mare che si è prodigata in ogni momento e con uno sforzo anche economico per ritrovarla.

Un ringraziamento ancora più particolare al Gruppo subacqueo di Piero Greco -- ha sottolineato il sindaco Roberto Perrotta a nome dei devoti paolani - che forse più degli altri ha patito questo evento e che oggi si rallegra per il buon esito. A Piero che mi ha tenuto costantemente informato il plauso della nostra città, perché attraverso la sua opera meritoria ancora una volta ci ha fatto sentire partecipi di una bellissima avventura». Perrotta pensa ad organizzare qualcosa per ricordare questo lieto evento e farlo coincidere con una data significativa dal punto di vista religioso: «Speriamo adesso di poter accogliere al più presto la statua e di fare festa insieme a tutte le persone di buona volontà che guardano al nostro Santo con affetto e con trasporto. Sarebbe bello magari festeggiare in occasione del 7 febbraio, una delle date nelle quali Paola ricorda l’alto patronato di San Francesco».

Il sindaco spera nell’aiuto di tutti anche per trovare di nuovo le condizioni per poter allocare nel fondale del mare di Paola il San Francesco degli Abissi. Inoltre, la capitaneria di Porto dovrebbe avere individuato la nave che ha provocato il danno in maniera colposa, sradicando dal fondale la statua con le sue grosse reti e portandola alla distanza dove ritrovata e lasciata cadere giù. Si tratta di un illecito non perseguibile penalmente, che comporterà ovviamente un risarcimento. La Procura della Repubblica di Paola, pertanto, archivierà presto l’inchiesta penale.

L’idea di collocare la maestosa opera in bronzo nelle acque antistanti il litorale paolano partì da un ragazzino non vedente, durante uno dei numerosi raduni promossi dal centro Subacqueo paolano, per far vivere ai diversamente abili le bellezze del mare. Il bambino, toccando la statua sul lungomare di Paola, espresse il desiderio di toccarne una nel fondale. Da qui l’idea di realizzare l’opera in bronzo, alta due metri, condivisa dal centro Subacqueo di Piero Greco e sposata dall’amministrazione comunale, che venne posizionata sul fondale nel novembre del 2007.

* IL QUOTIDIANO DELLA CALABRIA, 19.01.2012

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Commenti Articolo 945

Titolo articolo : Il volontariato muto,di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: January/14/2012 - 09:47:09.

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Autore Città Giorno Ora
teresa Benedini Brescia 14/1/2012 09.47
Titolo:Grazie!
Veramente stimolante e..urticante questa riflessione. Grazie, amico Mariotti. La compromissione, purtroppo, è troppo presente in tutti gli organismi di volontariato. Sarà che il bisogno sta nel sentirsi impegnati e non a servizio di chi patisce ingiustizie?

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Commenti Articolo 946

Titolo articolo : Teologi italiani, riprendete la parola, senza paura e senza reticenze.,di Luca Kocci

Ultimo aggiornamento: January/10/2012 - 16:55:12.

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Autore Città Giorno Ora
carla casiroli lecco 10/1/2012 16.55
Titolo:Pace e giustizia nel mondo
Credo che il Dio di Gesù incarnato nella storia, nella concretezza del nostro vivere quotidiano ci dica che tutti i problemi di questo mondo debbano essere un nostro problema. E\' importante affrontarli, analizzarli, diffonderne la conoscenza, mettersi sulla via per la loro soluzione. Perchè pace e giustizia siano perseguiti secondo il messaggio biblico-evangelico.

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Commenti Articolo 947

Titolo articolo : ARTE FEDE E "CARITAS" (DI UN CATTOLICISMO SENZA SPERANZA): UN "MESSAGGIO PROMOZIONALE" PER IL CARDINALE RAVASI (ANZI, PER IL CYBERCARDINALE). Un "canto" di Marco Ansaldo - con alcune note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January/09/2012 - 12:18:48.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/12/2011 18.01
Titolo:Dalla cattedra al cortile. Un dialogo senza ascolto ...
Dalla cattedra al cortile

di Piero Stefani (Il pensiero della settimana, 26 febbraio 2011)

Una delle intuizioni più profonde del card. Martini fu di istituire la «cattedra dei non credenti». L’esempio di Milano fu imitato da molti, in modi non sempre felici. Invero, nel succedersi delle edizioni, anche nella diocesi ambrosiana l’iniziativa perse progressivamente di smalto. Assunse, infatti, più l’aspetto di «liturgia culturale» che di vero e proprio confronto. Ciò non toglie la geniale originalità dell’iniziativa.

Il suo fulcro era ben espresso dal titolo scelto. Un vescovo, a cui spetta, per definizione, la cattedra, dava voce a insegnamenti che provengono dall’esterno e giungono fino all’interno. Per comprenderlo occorre aver a mente che l’impostazione degli incontri non si concentrava sul confronto tra persone dotate o sprovviste di fede. Questo aspetto non era escluso, ma non era il più significativo.

La qualifica di «non credente» è spesso riduttiva o addirittura impropria, dominata com’è da una pura negazione. Nella «cattedra» era invece propria; e lo era perché il senso più autentico della proposta stava nell’affermare che le ragioni più serie della non credenza venivano considerate una forma di interlocuzione, esterna e interna, indispensabile perché ci fosse una fede matura. Analogamente la testimonianza di un credente pensoso non era avvertita priva di significato da parte di chi, in virtù della sua riflessione e della sua coscienza, era indotto a negare l’esistenza di una realtà trascendente o, quanto meno, nutriva dubbi al suo riguardo.

Si comprende, allora, sia perché Martini parlasse del dialogo con il non credente che è in noi, sia perché dichiarasse che la vera distinzione non era quella che sussiste tra credenti e non credenti, ma quella che divide le persone pensanti dai non pensanti. Si potrebbe tentare una sintesi: le persone pensanti sono coloro che danno spazio dentro di sé alle ragioni dell’«altro»; lo fanno non per consegnarsi all’incertezza, ma per render più mature le proprie convinzioni. Ciò avviene solo nel caso in cui il confronto sia sincero e alieno tanto da interessi di parte quanto da convenienze reciproche; condizioni queste ultime ormai estremamente rare.

In luogo della «cattedra dei non credenti», la Chiesa universale ora lancia un’iniziativa chiamata «cortile dei gentili». Affidata al Pontificio Consiglio della Cultura (prefetto card. Ravasi), il «cortile» è stato preinaugurato un paio di settimane fa a Bologna; mentre l’avvio ufficiale avverrà a Parigi verso fine marzo.

La scelta dell’espressione è stata spiegata da Benedetto XVI nel suo discorso tenuto alla Curia romana a fine 2009. Si prendono le mosse dal fatto che, sentendo parlare di «nuova evangelizzazione», persone agnostiche o atee (le quali «devono stare a cuore a noi come credenti») forse si spaventano. Tuttavia in loro rimane presente la questione Dio. Come primo passo dell’evangelizzazione bisogna perciò tener desta la loro ricerca di Dio. A tal proposito, aggiunge Ratzinger, vengono in mente le parole di Gesù che, sulla scorta di Isaia, presentano il tempio di Gerusalemme come casa di preghiera per tutti i popoli (Mc 11,17; Is 56,7).

Gesù pensava «al cosiddetto cortile dei gentili, che sgomberò da affari esteriori perché ci fosse lo spazio per i gentili che lì volevano pregare l’unico Dio, anche se non potevano prender parte al mistero, al cui servizio era riservato l’interno del tempio». Si pensava cioè a persone che conoscono Dio solo da lontano: «che desiderano il Puro e il Grande anche se Dio rimane per loro il “Dio ignoto” (cfr. At 17,23)». «Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorte di “cortile dei gentili” dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa. Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto».

È noto che l’esegesi biblica non ha alcun peso nei documenti ufficiali della «Chiesa docente», perciò non val la pena di impegnarsi a mostrare quanto sia inesatta l’interpretazione del passo evangelico qui proposta. Il punto serio è altrove; esso sta nel fatto che, in questa immagine, la Chiesa prende il posto del tempio (e di Israele). La sua cura e generosità sono però tali da aprire una dependance in cui è concessa ospitalità ad alcuni incerti ricercatori di Dio. Nel suo interno, la Chiesa celebra il mistero e nessuna crepa solca il suo levigato seno. In questa prospettiva sarebbe un vero e proprio ossimoro parlare della parte non credente che è in noi e sarebbe addirittura inconcepibile che le ragioni serie del dubbio e della negazione siano meritevoli di ascolto al fine di liberare la propria fede da sovrastrutture improprie.
In realtà, però, a dover essere purificato non è solo il cortile, è anche e soprattutto l’interno del tempio.

In definitiva, il «cortile» che si sta inaugurando presuppone un dialogo senza ascolto. A quanto si può immaginare (e l’impressione è confermata dalla prime avvisaglie), nessuno accederà a essa per mettersi in discussione; dichiaratamente non lo faranno mai i credenti (si può, dunque, già ipotizzare quale sarà la lista degli invitati). Se i fatti confuteranno queste previsioni, saremo ben lieti di ricrederci.

Del resto mettersi in discussione è difficile per tutti. Le drammatiche vicende libiche di queste ore dovrebbero indurre l’Italia a mobilitarsi (ma non ne vediamo tracce consistenti) e ad aprire un profondo ripensamento a proposito della sua storia (in Cirenaica Badoglio e Graziani non si comportarono meglio di quanto faccia Gheddafi nei suoi ultimi giorni di potere), del suo passato prossimo e dei suoi affari presenti. Sono considerazioni che non valgono per la Grecia, Cipro e Malta.

Questi ultimi giorni dimostrano, ancora una volta, che anche ottanta o settanta anni fa i governi e le società erano fatti di uomini esattamente come siamo noi che peraltro siamo, volenti o nolenti, molti più informati di allora. In Libia si compiono stragi e qui ci si preoccupa del prezzo del petrolio e della possibile invasione degli immigrati; mentre, quando si passa ad altro compartimento stagno, si riesce, per esempio, persino a scandalizzarci che alla fine degli anni trenta l’Inghilterra mandataria contingentasse l’immigrazione ebraica in Palestina.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/1/2012 12.18
Titolo:L'omelia via Twitter, 140 battute ...
L'omelia via Twitter, 140 battute per parlare a un pubblico immenso


di Armando Torno (Corriere della Sera, 9 gennaio 2012)


Tutti hanno avuto qualcosa da dire sulle prediche o meglio sulle omelie tenute durante le sacre funzioni. I fedeli si sono sovente lagnati per la lunghezza; non pochi esponenti della gerarchia
ecclesiastica, di contro, hanno recentemente espresso preoccupazioni per il tono dimesso, gli errori proferiti e, purtroppo, per l'inconsistenza degli argomenti evocati.

Le prediche lunghe stancano, certe altre possono favorire interpretazioni labili delle Scritture. Tanto più che sempre meno
sacerdoti conoscono le lingue originali della Bibbia.

Il cardinale Gianfranco Ravasi, ministro vaticano della Cultura, l'ha pensata bella rilanciando la sfida di un vescovo francese, Hervé Giraud: far circolare le omelie attraverso Twitter. Certo, sono
140 battute, ma il pubblico a cui giunge il messaggio è vastissimo e il contenuto è possibile certificarlo. Non c'è la voce che tuona dal pulpito, ma poche parole facili da leggere che ricordano a tutti momenti e messaggi della fede cattolica.

Un tempo la predica si trasformava sovente in cultura. Per fare un esempio tra i molti possibili, basterà citare Giordano da Pisa che, al tempo di Dante, richiamava in Santa Maria Novella mezza Firenze: oggi i suoi vocaboli sono preziosi riferimenti nei dizionari della lingua italiana. Di oratori sacri è piena la nostra letteratura e anche padre Cristoforo — personaggio chiave de I promessi sposi di Manzoni — era un predicatore (venne mandato a piedi a raggiungere i pulpiti di Rimini).

Oggi le parole delle omelie, o anche delle meditazioni per il giorno di festa, si perdono. In televisione il cardinale Ravasi ha un vasto seguito, così come altri predicatori (anche non cattolici)
lo hanno trovato, magari grazie alle radio, ma questa via di Twitter va incontro a un pubblico completamente diverso.

Non stupiamoci: sono giovani o anche ragazzi. Per diverse ragioni, molti di loro non hanno mai ascoltato una predica. Twitter li informerà per la prima volta. Con 140 battute. Ma per colpire una
sensibilità possono bastare.

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Titolo articolo : TU SEI IL FIGLIO MIO, L’AMATO: IN TE HO POSTO IL MIO COMPIACIMENTO,

Ultimo aggiornamento: January/07/2012 - 21:56:54.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/1/2012 21.56
Titolo:Chi parla? Quale Dio? Certamente non un Super-uomo, ma lo Spirito Santo ("Charit...
TU SEI IL FIGLIO MIO, L’AMATO: IN TE HO POSTO IL MIO COMPIACIMENTO.

Chi parla? Quale Dio? Certamente non un Super-uomo, ma lo Spirito Santo ("Charitas"), il "Padre nostro"...


CONTRO LA LEZIONE EVANGELICA E GIOVANNEA CHE DIO E' SPIRITO ("CHARITAS"): "CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1Gv., 4. 1-16),

LA CHIESA CATTOLICO-ROMANA CONTINUA A PENSARE e a concepire MARIA come MADRE DI DIO, "SECONDO NATURA":

"Duemila anni fa, un ovulo fu miracolosamente fecondato dall’azione soprannaturale di Dio, da questa meravigliosa unione risultò uno zigote con un patrimonio cromosomico proprio. Però in quello zigote stava il Verbo di Dio"(dichiarazione del Cardinale Dario Castrillon Hoyos alla XV conferenza internazionale del Pontificio consiglio, la Repubblica del 17 novembre 2000, p. 35).

E a mettere da parte o, meglio, a sfruttare, come uno straniero (Un "goj") Giuseppe e, così, fare del papa e di ogni sacerdote il funzionario di un "Padrone Gesù" ("Dominus Iesu", alla Ratzinger maniera!) e di un Dio Padrone, Imperatore del Cielo e della Terra!!!

DOPO DUEMILA ANNI E PIU' DALLA NASCITA DI CRISTO, NON E' FORSE ORA DI CAMBIARE REGISTRO E RESTITUIRE ALO SPIRITO CIO' CHE E' DELLO SPIRITO ("CHARITAS") E A MARIA E GIUSEPPE CIO' CHE E' DI MARIA E GIUSEPPE, IL LORO ALL'ACCOGLIERE IL FIGLIO DELL'AMORE ("CHARITAS")!?

BASTA CON LA "MALA-EDUCAZIONE"!!! RESTITUIRE L’ANELLO DEL "PESCATORE" A GIUSEPPE!!! E RICORDIAMO CHE "ICHTHUS" ("Pesce" = "Gesù figlio di Dio Salvatore") SI SCRIVE CON LE "H", se no è solo e sempre un "pesce" (morto, colpito da "ictus")!!! Cosi come, che "charitas" (l'Amore pieno di Grazia dello Spirito Santo) si scrive con la "H", se no diventa "caritas" (nel senso del "caro" della ricchezza e del tesoro) ed è "Spirito di Mammona"!!!

In principio era il Logos ... "Deus charitas est"!!!

Federico La Sala

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Commenti Articolo 949

Titolo articolo : IN NOME DEL SACROSANTO CONCILIO, RISCOPRIRE L'ESSENZA DELLA CHIESA!!! Un'intervista a mons. Iginio Rogger, a cura di Maria Teresa Pontara Pederiva - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January/07/2012 - 17:31:18.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/1/2012 17.31
Titolo:NEL SEGNO DELLA CURIA ...
Nel segno della Curia



Aumenta l'influenza della Curia e del segretario di Stato Tarcisio Bertone

di Giacomo Galeazzi (La Stampa, 07.01.2012)


Benedetto XVI ha scelto 22 nuovi cardinali. Il sacro collegio è un insieme di pesi diversi: è il Pontefice regnante che lo modifica con innesti, offrendo così indicazioni per la propria, futura, successione. E così nella geopolitica vaticana cresce il peso dell’Italia e della Curia.

Il concistoro (il quarto dell’era Ratzinger) si terrà il 18 e il 19 febbraio: riceveranno la berretta 7 italiani e 15 stranieri. Dieci neo-porporati guidano dicasteri vaticani: sale il «partito romano», dunque, l’influenza del segretario di Stato Tarcisio Bertone al quale sono legati i curiali Calcagno, Versaldi, Coccopalmerio, Bertello, Santos Abril y Castelló.

Più della metà degli elettori sono europei (67 su 125) e un quarto italiani (30). Si rafforzano anche la pattuglia nordamericana (15, incluso l’arcivescovo di New York, Dolan) e quella asiatica (9), mentre resta sostanzialmente ferma la componente sudamericana (da 21 a 22) e cala quella africana (scenderà a 10 non appena il nigeriano Arinze avrà raggiunto gli 80 anni perdendo il diritto di voto).

Benedetto XVI sfora di tre unità il tetto di 120 fissato da Paolo VI. Il vescovo di Hong Kong, Joh Tong, 72 anni, sarà l’unico cardinale cinese elettore, mentre la prassi che nega la porpora al capo di una diocesi il cui predecessore sia «under 80» è stata applicata per Nosiglia a Torino ma non per Betori a Firenze né per Collins a Toronto.

Non figurano nella lista il ministro della Sanità, Zimowski, il responsabile della nuova evangelizzazione Fisichella (malgrado sia impegnato nell’Anno della Fede proclamato da Benedetto XVI) e, a sorpresa, il patriarca maronita del Libano Bechara Rai (accusato in patria di essere troppo filo-siriano).I vescovi seguano l’esempio dei Magi, siano «vigilanti e non cerchino la gloria mondana», ha ammonito ieri Benedetto XVI: oggi si cerca di narcotizzare l’inquietudine del cuore, eppure «la vera supernova che ci guida è Cristo».

Entrano nel «senato del Papa» i residenziali Duka (Praga), Eijk (Utrecht), l’indiano di rito siro-malabarese Alencherry, Woekli (Berlino, 55 anni, il più giovane tra i porporati). Esclusi dal conclave i quattro ultraottantenni: il belga Ries, il romeno di rito greco cattolico Marusin e i due teologi Becker e Grech. Col Concistoro di febbraio gli elettori nominati da Benedetto XVI salgono a 63 e superano i porporati creati da Wojtyla (62).

Sebbene l’84enne Ratzinger sia in salute, adesso è più chiaro che nella scelta del suo successore avranno un ruolo fondamentale i cardinali italiani e la Curia romana. Il Pontefice disegna l’identikit del pastore. Il vescovo «deve essere un uomo dal cuore inquieto che non si accontenta delle cose abituali di questo mondo», ma «segue l’inquietudine del cuore che lo spinge ad avvicinarsi interiormente sempre di più a Dio, a cercare il suo volto,a conoscerlo sempre di più, per poterlo amare sempre di più».

Il modello per le gerarchie ecclesiastiche sono i Re Magi: «Anche il Vescovo deve essere un uomo dal cuore vigilante che percepisce il linguaggio sommesso di Dio e sa discernere il vero dall’apparente». E sopporta pure la derisione:«ricolmo del coraggio dell’umiltà, non si interroga su che cosa dica di lui l’opinione dominante, trae il criterio di misura dalla verità di Dio ed è capace di precedere e di indicare la strada». Un programma di governo.

* La Stampa, 7/1/2012

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Commenti Articolo 950

Titolo articolo : In Ungheria svolta ultranazionalista xenofoba e razzista,

Ultimo aggiornamento: January/06/2012 - 16:20:40.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/1/2012 11.17
Titolo:la Commissione europea attacca con durezza: «Verifichiamo se la nuova Costituzio...
Bruxelles. La Commissione: al via una procedura di verifica sulla nuova Costituzione ultra-nazionalista Reazioni. Il premier Orban sempre più isolato, ma ostenta sicurezza: il fiorino cade ai minimi storici

Ungheria, si sveglia l’Europa: «È democrazia o una dittatura?»

Dopo una forte pressione internazionale, la Commissione europea attacca con durezza: «Verifichiamo se la nuova Costituzione sia conforme con i valori democratici dell’Europa».

di Roberto Brunelli (l’Unità, 05.01.2012)

A Bruxelles il «dossier ungherese» passa di mano in mano, come una patata bollente. Scotta tanto da risvegliare antiche vibrazioni democratiche, tanto da decidere di andare allo scontro diretto con Budapest, dopo la dura svolta reazionaria impressa dal governo dell’ultraconservatore Viktor Orban con il varo della nuova Costituzione, considerata liberticida non solo tra le file della risorta opposizione ungherese, ma anche tra i più compassati funzionari di Eurolandia. La nota ufficiale consegnata ieri alle agenzie di stampa dal portavoce della Commissione europea non lascia spazio a dubbi: l’Ue afferma Olivier Billay si chiede se in Ungheria «ci sia una democrazia o una dittatura».

È questo il senso dell’«approfondita analisi» da parte di Bruxelles delle leggi costituzionali entrate in vigore il primo gennaio. Un procedimento che potrebbe portare anche alla Corte di giustizia europea: «La Commissione è stata la prima a sollevare dubbi sulla conformità delle nuove leggi ungheresi sui media, la giusitizia e la Banca centrale con i valori e i trattati europei». E se l’esame dei servizi giuridici confermasse quelli che con un eufemismo Billay chiama i «dubbi», a sua volta già espressi in numerose occasioni sia dal presidente José Manuel Barroso che da svariati commissari, Bruxelles è pronta ad aprire una procedura di infrazione contro Budapest.

L’attacco che avviene dopo la protesta di piazza di lunedì nella capitale ungherese e dopo una crescente pressione internazionale culminata con le dure critiche del segretario di Stato Usa Hillary Clinton e del ministro degli Esteri francese Alain Juppé è frontale, e fa il paio con la sospensione delle trattative con Ue e Fmi per la concessione degli aiuti finanziari richiesti proprio dal governo Orban. Che, tuttavia, pare più preoccupato di mettere «sotto tutela» governativa la Banca centrale e l’informazione, nonché mettere pesantissimi limiti ai diritti civili, eliminando sinanche la denominazione «Repubblica» dal nome di quest’Ungheria tutta Dio e totalitarismo, che non a mettere in sicurezza i propri conti disastrati.

L’esecutivo è sempre più isolato, con effetti pesanti anche sui mercati: il fiorino ha segnato ieri il suo record negativo. Per un euro ieri erano necessari circa 320 fiorini: un abisso. Negli ultimi mesi la moneta magiara ha perso circa il 20 per cento del proprio valore. Gli analisti concordano sul fatto che è proprio sul fronte economico che l’autocratico Orban definito «piccolo tiranno di provincia» dall’intellighentia magiara si sta giovando gran parte della credibilità interna. Dopo la doppia bocciatura da parte delle agenzie Standard & Poor’s e Moody’s, che hanno portato il rating sul debito sovrano sotto il livello d’investimento, il rendimento dei titoli di Stato è salito vertiginosamente, col risultato di ingrossare ulteriormente un debito pubblico arrivato nei giorni scorsi al suo massimo storico.

IMBARAZZI CONTINENTALI

Con la dura presa di posizione di ieri («democrazia o dittatura?»), Bruxelles cerca di uscire da un vero e proprio impasse nei confronti dell’Ungheria, che è membro dell’Ue da sette anni: ovvio che non può restare indifferente ai metodi di governo di Orban, agli attacchi al pluralismo dei media e alle minacce all’indipendenza dell’apparato giudiziario. Qualcuno (come Le Monde, ieri) ipotizza esplicitamente che l’Europa possa alla fine ricorrere all’articolo 7 del trattato di Lisbona, che prevede di togliere il diritto di voto agli stati membri che violano le regole democratiche.

Le voci che spingono ad una maggiore presa di coscienza nei confronti del «caso Ungheria» crescono di ora in ora. «È tempo che l’Europa si scuota, si svegli dallo shock dell’eurocrisi, ritorni ai valori fondamentali di coesione e di solidarietà. È tempo che rigetti gli incubi dei nazionalismi e dei populismi che scaricano su tutti noi i disagi di quest’epoca», dichiara il responsabile esteri del Pd, Lapo Pistelli. Il quale chiede anche un maggiore protagonismo dell’Italia per quel che riguarda «la vigilanza dei valori democratici».

In tutto questo, Orban, che ieri celebrava la totale indifferenza nei confronti dei centomila che lunedì sera affollavano le vie di Budapest («vedete, siamo un Paese libero?»), continua a fare orecchie da mercante. Il premier manda avanti i suoi spargendo segnali contrastanti alle controparti europee: al sottosegrtario per gli affari economici il premier fa dire che il fallimento dei negoziati per i prestiti «non sarebbe una tragedia». Orban «il viktator» ostenta sicurezza, e celebra con grandi celebrazioni ultra-kitsch la sua nuova Costituzione. Intanto, però, i sondaggi cominciano a turbare i suoi sonni: secondo un’indagine recente dell’istituto Szonda Ipsos, la Fidesz rimane sì il primo partito, ma perde il 18 per cento rispetto a quando conquistò sull’onda di un populismo trionfale i due terzi dei seggi parlamentari. Oggi, domani, dopodomani l’opposizione all’assolutismo magiaro del nuovo millennio rischia di crescere sempre di più. A Bruxelles lo sanno bene: meglio non sottovalutare chi s’indigna, di questi tempi.

Ungheria: intervenga la Ue

di Paolo Flores d’Arcais (il Fatto, 05.01.2012)

L’Ungheria democratica chiama, l’Europa istituzionale nicchia, fa orecchie da mercante, traccheggia nell’ipocrisia. Ma se i governi europei vogliono trastullarsi in paralizzanti e irresponsabili lungaggini procedurali, è necessario che i cittadini europei facciano della “questione Ungheria” un loro problema e una loro battaglia. Ormai improcrastinabile.

Il governo di Victor Orban ha imposto una nuova Costituzione che calpesta i diritti democratici minimi che l’Europa ha posto come vincolanti e irrinunciabili per ogni paese che voglia aderire alla Comunità. La legge elettorale è ritagliata su misura per facilitare al partito di Orban la vittoria anche in futuro, stampa e televisione vengono imbavagliate, i magistrati asserviti alla volontà dell’esecutivo, la Banca centrale perde ogni margine di autonomia, sciovinismo e razzismo diventano il collante “popolare” di questo vero e proprio fascismo postmoderno.

Se l’Ungheria di Orban chiedesse oggi di aderire all’Europa verrebbe respinta, in quanto indigente dei requisiti democratici minimi. Ma l’articolo 7 del trattato di Lisbona specifica che un governo di un paese già membro dell’Unione Europea deve perdere il suo diritto di voto qualora violi quei requisiti. È perciò necessario che il Parlamento di Strasburgo , la Commissione di Bruxelles e i singoli governi europei si attivino immediatamente per applicare con assoluta intransigenza l’articolo 7. Ogni attendismo, ogni diplomatismo, ogni “gradualismo” nelle sanzioni, non farebbe che incoraggiare il governo Orban a proseguire sulla strada protervamente imboccata, che minaccia di contagio antidemocratico l’intera comunità politica continentale.

Piegarsi alle prepotenze dei poteri antidemocratici, in nome del “male minore”, è l’eterna tentazione degli establishment del privilegio. Tragici protagonisti di questa sindrome di viltà (che scolora nell’omertà) furono a Monaco, nel 1938, i democratici tiepidi Chamberlain e Daladier, che si piegarono agli antidemocratici coerenti Hitler e Mussolini. Se l’Europa delle Merkel, dei Cameron e dei Sarkozy cedesse oggi a Orban, guardando dall’altra parte o riducendosi a sanzioni di facciata, replicherebbe su scala ridotta l’infamia del ’38. E per favore non si citi Marx, che a proposito di Napoleone III giudicava come la storia si ripetesse sempre due volte, la prima come tragedia e la seconda come farsa. Talvolta è così, talvolta la nuova tragedia, benché in formato mignon, è per chi la vive devastante quanto la precedente.

CON L’AGGRAVANTE che Hitler era ormai una potenza militare ed economica che da sola valeva il resto del-l’Europa, mentre il governo di Orban è costretto a chiedere aiuto al Fondo Monetario Internazionale col cappello in mano, e di fronte ad un efficace cordone sanitario europeo dovrebbe andarsene (proprio come l’amico Berlusconi). La viltà di Merkel, Cameron e Sarkozy sarebbe perciò una viltà al quadrato. Sarebbe complicità. Se Orban ha sempre indicato in Putin e Berlusconi i suoi modelli, ricambiato dal loro appoggio più sfegatato (dichiarò Berlusconi dieci anni fa a Budapest: “i nostri programmi e le nostre politiche sono identiche, tra noi c’è una straordinaria sintonia”), non è certo un caso. Dimostra come la peste del fascismo postmoderno, soft solo in apparenza, sia un forza diffusa e minacciosamente in crescita, di cui Marina Le Pen e la destra olandese nella maggioranza di governo sono solo altri inquietanti iceberg.

Se si vuole evitare il contagio, gli appestati vanno trattati come appestati. L’Europa ha fatto malissimo a non intervenire contro Berlusconi per quasi vent’anni, se non interviene contro Orban prepara il proprio suicidio. Perché sanzionare Orban, privarlo del voto nelle istituzioni europee, significa sostenere la Repubblica ungherese, la cittadinanza democratica ungherese, scesa in piazza cantando l’Inno alla Gioia di Schiller/Beethoven che l’Europa ha adottato come il proprio inno. Il nostro inno, se non vogliamo che l’Europa resti quella dei mercanti (e relative orecchie), dei banchieri (e relativi titoli tossici integrati di megabonus), dei governi democratici tiepidi (e relative viltà/omertà).

Ungheria, prova di diritto per l’Ue

di Vladimiro Zagrebelsky (La Stampa, 05.01.2012)

L’attenzione focalizzata sulle difficoltà economiche e finanziarie dell’Italia e dell’Europa e la discussione sulle misure prese o da prendere per uscire dalla crisi, rischia di mettere in ombra, sotto la pressione dell’urgenza, un tratto fondamentale dell’Unione europea. Da lungo tempo ormai l’iniziale esclusivo scopo di creare un mercato comune si è arricchito di componenti diverse, di natura culturale e politica. Di esse si dà conto in apertura del Trattato sull’Unione, dichiarando che essa «si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini». La coerenza con quei principi delle leggi e dei comportamenti di ciascuno dei ventisette Paesi membri è condizione per l’adesione all’Unione e per l’esercizio dei diritti che essa comporta. Tanto che la partecipazione di uno Stato membro può essere sospesa se gli organi dell’Unione constatano che esiste un rischio di violazione grave di quei valori. Le vicende in corso in Ungheria ci aiutano a ricordarcene.

L’Ungheria ha aderito (ha chiesto di aderire ed è stata accolta) all’Unione europea nel 2004, superando i test di democraticità e di compatibilità del sistema economico. Da allora il Paese ha vissuto gravi crisi economiche e politiche, ora giunte a un punto che allarma gli organi dell’Unione e l’opinione pubblica ungherese ed europea. Alle critiche provenienti dall’Unione e da altri Stati, il primo ministro ungherese Orban reagisce proclamando che nessuno può dettare al suo Paese ciò che deve fare. Con ciò solletica il suo elettorato e il nazionalismo ungherese, ma nega in radice la logica dell’appartenenza a una comunità come l’Unione. In Europa le vicende interne agli Stati membri, siano esse economiche o relative alla democrazia e alle libertà civili, riguardano tutti, istituzioni europee e cittadini. Non è irrilevante che ogni cittadino di ciascuno Stato membro sia anche cittadino dell’Unione.

Vinte le elezioni politiche e ottenuti, per il gioco della legge elettorale, più di due terzi dei seggi parlamentari, il governo ha introdotto modifiche alla Costituzione e alle leggi che confliggono con i valori propri dell’Unione. Sono stati fatti inquietanti richiami alla «ungheresità» etnica che urtano gli Stati confinanti in cui vivono minoranze magiare, è stata abolita la indipendenza della Banca centrale e sono state drasticamente ridotte l’indipendenza della magistratura e la libertà della stampa. Un’ampia epurazione è in corso. Il presidente della Corte suprema, già giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo, si è dimesso.

Il reclutamento dei nuovi magistrati è ormai nelle mani di un organismo che risponde al governo. La composizione della Corte costituzionale è modificata per legarla alla maggioranza di governo. La stampa, le radio e televisioni sono sottoposte a limitazioni e controlli che hanno iniziato a produrre dimissioni e licenziamenti di giornalisti non in linea. Il quadro che deriva dal contemporaneo attacco alla magistratura e alla stampa, il terzo e il quarto potere in democrazia, è per un verso classico in ogni regime autoritario e per l’altro è in esplicita rotta di collisione con i principi di democrazia su cui l’Unione europea si fonda e che sono comuni a tutti gli Stati membri.

Merita di essere particolarmente richiamato un aspetto delle riforme che il governo ungherese, forte della sua maggioranza, ha introdotto. Si tratta dell’attribuzione a un organo amministrativo legato al governo della possibilità di obbligare i giornalisti a svelare l’identità delle loro fonti di informazione. La Corte costituzionale, prima della modifica della sua composizione, ne ha constatato la incostituzionalità, rilevando che solo il giudice può obbligare in casi eccezionali il giornalista a rivelare le sue fonti.

Un orientamento della Corte costituzionale in linea con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani e la pratica esistente negli altri Paesi dell’Unione. L’eccezionalità della violazione del segreto delle fonti, ammessa solo quando sia assolutamente necessaria per tutelare fondamentali interessi pubblici, è una regola indispensabile per consentire alla stampa di svolgere il suo ruolo di informazione e controllo nella società democratica. Per rimarcare la distanza tra le pretese del governo ungherese e la pratica negli altri Paesi si può ricordare la recente sentenza della Cassazione francese, che ha annullato un’indagine promossa dal pubblico ministero (che in Francia dipende dal ministro della giustizia), per individuare le fonti dei giornalisti che avevano ottenuto e pubblicato notizie da una istruttoria penale riguardante anche personaggi politici della maggioranza governativa.

La Corte di Cassazione, richiamando la Convenzione europea dei diritti umani, ha osservato che le notizie pubblicate, da un lato avevano un notevole interesse per il pubblico e dall’altro non mettevano in pericolo essenziali esigenze di segretezza e ha annullato l’indagine. Proteggere le fonti delle notizie raccolte dai giornalisti, è necessario per evitare che esse si inaridiscano e per consentire alla società di far emergere notizie imbarazzanti per il potere, mantenendo vivo il dibattito democratico. Poiché la sola volontà della maggioranza non basta a dar linfa a una democrazia.

L’indipendenza della magistratura, la libertà della stampa e la completezza dell’informazione della opinione pubblica, sono condizioni essenziali per la vitalità delle istituzioni della democrazia a garanzia dei diritti e delle libertà dei cittadini. Centottant’anni orsono Tocqueville, segnalando i pericoli della dittatura della maggioranza, scriveva che «quando sento la mano del potere appesantirsi sulla mia fronte, poco m’importa di sapere chi mi opprime, e non sono maggiormente disposto a infilare la testa sotto il giogo solo perché un milione di braccia me lo porge».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/1/2012 16.20
Titolo:Chiesta l’applicazione dell’art. 7 del Trattato di Lisbona
Ungheria. Chiesta l’applicazione dell’art. 7 del Trattato di Lisbona, che congela il diritto di voto
I leader Swoboda e Verhofstadt: «Dobbiamo proteggere i diritti, no a pericolosi precedenti»

Socialisti e liberali europei: «Orban deve essere fermato»

Per Bruxelles è «l’extrema ratio»: ma i socialisti e i liberali chiedono che si applichi l’articolo 7.
Vi si ricorre in caso di violazioni dei principi fondanti della Ue.
Sarebbe la prima volta nella sua storia.

di Roberto Brunelli (l’Unità, 06.01.2012)

L’Ungheria danza in cima ad un vulcano pronto ad una doppia esplosione. Gli indicatori economici stanno precipitando di ora in ora, e il Vecchio continente continua ad aumentare la sua pressione. Ieri è stata la volta dei socialisti e liberali del Parlamento europeo, che hanno chiesto sanzioni politiche molto dure nei confronti del Paese dopo la svolta ultra-nazionalisti imposta dal governo guidato da Viktor Orban con la nuova Costituzione.

E non si tratta di bruscolini: il vicepresidente del gruppo, l’austriaco Hannes Swoboda, ed il leader dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, il belga Guy Verhofstadt, propongono l’applicazione dell’articolo 7 del Trattato di Lisbona, cui si ricorre in caso di violazioni di principi fondanti della Ue in tema di democrazia, libertà fondamentali e diritti dell’uomo. Politicamente, un macigno: l’articolo 7 prevede, tra le altre cose, la sospensione del diritto di voto in Consiglio. Per avere nozione della gravità della cosa, mai nella sua storia l’Unione europea ha fatto ricorso all’articolo 7, che lo considera un’extrema ratio. «Non siamo ancora a questo punto», si fa sapere dalla Commissione: ma il solo fatto che se ne parli viene considerato di per sé emblematico.

Swoboda è molto netto. «Siamo dalla parte del popolo ungherese, che viene sempre più messo sotto pressione dal governo Orban. L’applicazione dell’articolo 7 deve essere seriamente presa in considerazione se il premier ungherese continua a sfidare deliberatamente le leggi ed i valori europei». L’esponente socialdemocratico austriaco sfida anche il Ppe sul «dossier ungherese», proponendo che il premier magiaro venga sospeso dal ruolo di vicepresidente del partito. Anche Verhofstadt si esprime in modo da non lasciar adito a dubbi, forse anche per accrescere la pressione sulla presidenza della Commissione: «Non è più tempo per scambiare lettere: a questo punto è degenerata la situazione in Ungheria. È arrivato il momento di avviare sanzioni legali e politiche sulla base dell’articolo 7. Che va applicato per proteggere la democrazia ed i diritti fondamentali in Ungheria e nella Ue, ma anche per evitare di stabilire un pericoloso precedente e dare un cattivo esempio ai Paesi che aspirano ad entrare nell’Unione».

La partita è grossa, insomma, ed investe in pieno «l’anima» della grande casa europea. La quale, per i critici, è talmente alle prese con la crisi di Eurolandia da scordarsi i suoi principi fondanti. Crisi che, per intanto, attanaglia pesantemente la stessa Ungheria. L’esecutivo di «Orban il Viktator» è al centro di una bufera selvaggia, ma fa finta di non accorgersene: ieri l’altro gli interessi sui titoli sovrani sono saliti al 10,9 per cento, un punto e mezzo in più rispetto al giorno precedente. A detta degli analisti, un tasso così alto significa che l’Ungheria non potrà più permettersi di ripagare il suo indebitamento. In bilico tra stagnazione e recessione, le prospettive economiche del Paese vengono inabissate ad un debito pubblico all’82,6 per cento del prodotto interno lordo. Nelle grandi capitali finanziarie si evocano giù da tempo scenari di bancarotta imminente (entro un mese, per intendersi), con ricaschi facilmente immaginabili su tutta l’Eurozona.

LA BEFFA DELL’AMNISTIA

Ecco che l’ineffabile Orban comunque si decide di battere un colpo, nel tentativo di allentare la tenaglia sul suo governo. Che ha annunciato ieri la proposta al Parlamento di un’amnistia per 43 manifestanti arrestati lo scorso 23 dicembre. Fra questi, 15 deputati socialisti e verdi, nonché l’ex premier anche lui socialista Ferenc Gyurcsany, accusati di aver ostacolato il traffico per essersi incatenati davanti al parlamento di Budapest. Anche loro protestavano contro la nuova Costituzione, poi entrata in vigore il 1. gennaio. Peraltro, anche se gli arrestati sono stati tutti rilasciati ieri, la procedura penale nei loro confronti va avanti comunque. Non sorprendentemente, però, Gyuarcsany e gli altri rifiutano l’amnistia, chiedendo anzi la cancellazione della procedura con la formula «il reato non sussiste».

Tra coloro che il 23 dicembre si sono incatenati davanti alla sede del Parlamento, c’era anche la deputata del partito ecologico Lmp, Virag Kaufer. Ebbene, per protesta contro la nuova Costituzione liberticida (riassumiamo: forti limitazioni alla libertà d’informazione, all’autonomia della Banca centrale e ai diritti civili), e per lanciare l’allarme per un Parlamento de facto esautorato, la signora Kaufer si è dimessa. Per la precisione, l’esponente ecologista ha dichiarato ieri all’agenzia Mti che intende organizzare un movimento di resistenza nella società alla politica autoritaria del governo. «Il Parlamento ungherese ormai è ridotto a un teatro di marionette di Orban, dove l’opposizione non ha nessun ruolo, e dove manca un reale confronto politico», ha detto Kaufer. Lei, insieme agli altri centomila manifestanti che lunedì gridavano la propria rabbia davanti al Teatro dell’Opera, chiedeva aiuto all’Europa. I primi colpi sono stati battuti.

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Titolo articolo : CHE LO SAPPIA OBAMA, E ANCHE IL PAPA! IL CARDINALE FRANCIS GEORGE SPARA A ZERO SULLA POSSIBILE CELEBRAZIONE DEL GAY PRIDE A CHICAGO E MANDA SEGNALI AI POLITICI USA E AI CARDINALI DEL PROSSIMO CONCLAVE. Una nota di Alberto Melloni,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: January/05/2012 - 10:32:54.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/1/2012 17.14
Titolo:Messaggio per la Giornata Mondiale del Malato: il Papa raccomanda ....
Nel messaggio per la Giornata mondiale il Papa raccomanda ai sacerdoti i sacramenti di guarigione
Accanto a ogni vita debole e malata

L’invito ai sacerdoti "all’accoglienza generosa e amorevole di ogni vita umana, soprattutto di quella debole e malata" e l’accento posto sul valore dei "sacramenti di guarigione" quali la penitenza, la riconciliazione e l’unzione degli infermi: sono i contenuti principali del messaggio di Benedetto XVI in occasione della ventesima Giornata mondiale del malato, che si celebra l’11 febbraio prossimo.

"Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!" (Lc 17, 19)

Cari fratelli e sorelle!

In occasione della Giornata Mondiale del Malato, che celebreremo il prossimo 11 febbraio 2012, memoria della Beata Vergine di Lourdes, desidero rinnovare la mia spirituale vicinanza a tutti i malati che si trovano nei luoghi di cura o sono accuditi nelle famiglie, esprimendo a ciascuno la sollecitudine e l’affetto di tutta la Chiesa. Nell’accoglienza generosa e amorevole di ogni vita umana, soprattutto di quella debole e malata, il cristiano esprime un aspetto importante della propria testimonianza evangelica, sull’esempio di Cristo, che si è chinato sulle sofferenze materiali e spirituali dell’uomo per guarirle.

1. In quest’anno, che costituisce la preparazione più prossima alla Solenne Giornata Mondiale del Malato che si celebrerà in Germania l’11 febbraio 2013 e che si soffermerà sull’emblematica figura evangelica del samaritano (cfr. Lc 10, 29-37), vorrei porre l’accento sui "Sacramenti di guarigione", cioè sul Sacramento della Penitenza e della Riconciliazione, e su quello dell’Unzione degli Infermi, che hanno il loro naturale compimento nella Comunione Eucaristica.

L’incontro di Gesù con i dieci lebbrosi, narrato nel Vangelo di san Luca (cfr. Lc 17, 11-19), in particolare le parole che il Signore rivolge ad uno di questi: "Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!" (v. 19), aiutano a prendere coscienza dell’importanza della fede per coloro che, gravati dalla sofferenza e dalla malattia, si avvicinano al Signore. Nell’incontro con Lui possono sperimentare realmente che chi crede non è mai solo! Dio, infatti, nel suo Figlio, non ci abbandona alle nostre angosce e sofferenze, ma ci è vicino, ci aiuta a portarle e desidera guarire nel profondo il nostro cuore (cfr. Mc 2, 1-12).

La fede di quell’unico lebbroso che, vedendosi sanato, pieno di stupore e di gioia, a differenza degli altri, ritorna subito da Gesù per manifestare la propria riconoscenza, lascia intravedere che la salute riacquistata è segno di qualcosa di più prezioso della semplice guarigione fisica, è segno della salvezza che Dio ci dona attraverso Cristo; essa trova espressione nelle parole di Gesù: la tua fede ti ha salvato. Chi, nella propria sofferenza e malattia, invoca il Signore è certo che il Suo amore non lo abbandona mai, e che anche l’amore della Chiesa, prolungamento nel tempo della sua opera salvifica, non viene mai meno. La guarigione fisica, espressione della salvezza più profonda, rivela così l’importanza che l’uomo, nella sua interezza di anima e di corpo, riveste per il Signore. Ogni Sacramento, del resto, esprime e attua la prossimità di Dio stesso, il Quale, in modo assolutamente gratuito, "ci tocca per mezzo di realtà materiali ..., che Egli assume al suo servizio, facendone strumenti dell’incontro tra noi e Lui stesso" (Omelia, S. Messa del Crisma, 1 aprile 2010). "L’unità tra creazione e redenzione si rende visibile. I Sacramenti sono espressione della corporeità della nostra fede che abbraccia corpo e anima, l’uomo intero" (Omelia, S. Messa del Crisma, 21 aprile 2011).

Il compito principale della Chiesa è certamente l’annuncio del Regno di Dio, "ma proprio questo stesso annuncio deve essere un processo di guarigione: "... fasciare le piaghe dei cuori spezzati" (Is 61, 1)" (ibid.), secondo l’incarico affidato da Gesù ai suoi discepoli (cfr. Lc 9, 1-2; Mt 10, 1.5-14; Mc 6, 7-13). Il binomio tra salute fisica e rinnovamento dalle lacerazioni dell’anima ci aiuta quindi a comprendere meglio i "Sacramenti di guarigione".

2. Il Sacramento della Penitenza è stato spesso al centro della riflessione dei Pastori della Chiesa, proprio a motivo della grande importanza nel cammino della vita cristiana, dal momento che "tutto il valore della Penitenza consiste nel restituirci alla grazia di Dio stringendoci a lui in intima e grande amicizia" (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1468). La Chiesa, continuando l’annuncio di perdono e di riconciliazione fatto risuonare da Gesù, non cessa di invitare l’umanità intera a convertirsi e a credere al Vangelo. Essa fa proprio l’appello dell’apostolo Paolo: "In nome di Cristo ... siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio" (2 Cor 5, 20). Gesù, nella sua vita, annuncia e rende presente la misericordia del Padre. Egli è venuto non per condannare, ma per perdonare e salvare, per dare speranza anche nel buio più profondo della sofferenza e del peccato, per donare la vita eterna; così nel Sacramento della Penitenza, nella "medicina della confessione", l’esperienza del peccato non degenera in disperazione, ma incontra l’Amore che perdona e trasforma (cfr. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. postsin. Reconciliatio et Paenitentia, 31).

Dio, "ricco di misericordia" (Ef 2, 4), come il padre della parabola evangelica (cfr. Lc 15, 11-32), non chiude il cuore a nessuno dei suoi figli, ma li attende, li cerca, li raggiunge là dove il rifiuto della comunione imprigiona nell’isolamento e nella divisione, li chiama a raccogliersi intorno alla sua mensa, nella gioia della festa del perdono e della riconciliazione. Il momento della sofferenza, nel quale potrebbe sorgere la tentazione di abbandonarsi allo scoraggiamento e alla disperazione, può trasformarsi così in tempo di grazia per rientrare in se stessi e, come il figliol prodigo della parabola, ripensare alla propria vita, riconoscendone errori e fallimenti, sentire la nostalgia dell’abbraccio del Padre e ripercorrere il cammino verso la sua Casa. Egli, nel suo grande amore, sempre e comunque veglia sulla nostra esistenza e ci attende per offrire ad ogni figlio che torna da Lui, il dono della piena riconciliazione e della gioia.

3. Dalla lettura dei Vangeli, emerge chiaramente come Gesù abbia sempre mostrato una particolare attenzione verso gli infermi. Egli non solo ha inviato i suoi discepoli a curarne le ferite (cfr. Mt 10, 8; Lc 9, 2; 10, 9), ma ha anche istituito per loro un Sacramento specifico: l’Unzione degli Infermi.

La Lettera di Giacomo attesta la presenza di questo gesto sacramentale già nella prima comunità cristiana (cfr. 5, 14-16): con l’Unzione degli Infermi, accompagnata dalla preghiera dei presbiteri, tutta la Chiesa raccomanda gli ammalati al Signore sofferente e glorificato, perché allevi le loro pene e li salvi, anzi li esorta a unirsi spiritualmente alla passione e alla morte di Cristo, per contribuire così al bene del Popolo di Dio. Tale Sacramento ci porta a contemplare il duplice mistero del Monte degli Ulivi, dove Gesù si è trovato drammaticamente davanti alla via indicatagli dal Padre, quella della Passione, del supremo atto di amore, e l’ha accolta. In quell’ora di prova, Egli è il mediatore, "trasportando in sé, assumendo in sé la sofferenza e la passione del mondo, trasformandola in grido verso Dio, portandola davanti agli occhi e nelle mani di Dio, e così portandola realmente al momento della Redenzione" (Lectio divina, Incontro con il Clero di Roma, 18 febbraio 2010). Ma "l’Orto degli Ulivi è ... anche il luogo dal quale Egli è asceso al Padre, è quindi il luogo della Redenzione ... Questo duplice mistero del Monte degli Ulivi è anche sempre "attivo" nell’olio sacramentale della Chiesa ... segno della bontà di Dio che ci tocca" (Omelia, S. Messa del Crisma, 1 aprile 2010). Nell’Unzione degli Infermi, la materia sacramentale dell’olio ci viene offerta, per così dire, "quale medicina di Dio ... che ora ci rende certi della sua bontà, ci deve rafforzare e consolare, ma che, allo stesso tempo, al di là del momento della malattia, rimanda alla guarigione definitiva, alla risurrezione (cfr. Gc 5, 14)" (ibid.).

Questo Sacramento merita oggi una maggiore considerazione, sia nella riflessione teologica, sia nell’azione pastorale presso i malati. Valorizzando i contenuti della preghiera liturgica che si adattano alle diverse situazioni umane legate alla malattia e non solo quando si è alla fine della vita (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1514), l’Unzione degli Infermi non deve essere ritenuta quasi "un sacramento minore" rispetto agli altri. L’attenzione e la cura pastorale verso gli infermi, se da un lato è segno della tenerezza di Dio per chi è nella sofferenza, dall’altro arreca vantaggio spirituale anche ai sacerdoti e a tutta la comunità cristiana, nella consapevolezza che quanto è fatto al più piccolo, è fatto a Gesù stesso (cfr. Mt 25, 40).

4. A proposito dei "Sacramenti di guarigione" S. Agostino afferma: "Dio guarisce tutte le tue infermità. Non temere dunque: tutte le tue infermità saranno guarite... Tu devi solo permettere che egli ti curi e non devi respingere le sue mani" (Esposizione sul Salmo 102, 5: PL 36, 1319-1320). Si tratta di mezzi preziosi della Grazia di Dio, che aiutano il malato a conformarsi sempre più pienamente al Mistero della Morte e Risurrezione di Cristo. Assieme a questi due Sacramenti, vorrei sottolineare anche l’importanza dell’Eucaristia. Ricevuta nel momento della malattia contribuisce, in maniera singolare, ad operare tale trasformazione, associando colui che si nutre del Corpo e del Sangue di Gesù all’offerta che Egli ha fatto di Se stesso al Padre per la salvezza di tutti. L’intera comunità ecclesiale, e le comunità parrocchiali in particolare, prestino attenzione nell’assicurare la possibilità di accostarsi con frequenza alla Comunione sacramentale a coloro che, per motivi di salute o di età, non possono recarsi nei luoghi di culto. In tal modo, a questi fratelli e sorelle viene offerta la possibilità di rafforzare il rapporto con Cristo crocifisso e risorto, partecipando, con la loro vita offerta per amore di Cristo, alla missione stessa della Chiesa. In questa prospettiva, è importante che i sacerdoti che prestano la loro delicata opera negli ospedali, nelle case di cura e presso le abitazioni dei malati si sentano veri ""ministri degli infermi", segno e strumento della compassione di Cristo, che deve giungere ad ogni uomo segnato dalla sofferenza" (Messaggio per la XVIII Giornata Mondiale del Malato, 22 novembre 2009).

La conformazione al Mistero Pasquale di Cristo, realizzata anche mediante la pratica della Comunione spirituale, assume un significato del tutto particolare quando l’Eucaristia è amministrata e accolta come viatico. In quel momento dell’esistenza risuonano in modo ancora più incisivo le parole del Signore: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno" (Gv 6, 54). L’Eucaristia, infatti, soprattutto come viatico è - secondo la definizione di sant’Ignazio d’Antiochia - "farmaco di immortalità, antidoto contro la morte" (Lettera agli Efesini, 20: PG 5, 661), sacramento del passaggio dalla morte alla vita, da questo mondo al Padre, che tutti attende nella Gerusalemme celeste. 5. Il tema di questo Messaggio per la XX Giornata Mondiale del Malato, "Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!", guarda anche al prossimo "Anno della fede", che inizierà l’11 ottobre 2012, occasione propizia e preziosa per riscoprire la forza e la bellezza della fede, per approfondirne i contenuti e per testimoniarla nella vita di ogni giorno (cfr. Lett. ap. Porta fidei, 11 ottobre 2011).

Desidero incoraggiare i malati e i sofferenti a trovare sempre un’ancora sicura nella fede, alimentata dall’ascolto della Parola di Dio, dalla preghiera personale e dai Sacramenti, mentre invito i Pastori ad essere sempre più disponibili alla loro celebrazione per gli infermi. Sull’esempio del Buon Pastore e come guide del gregge loro affidato, i sacerdoti siano pieni di gioia, premurosi verso i più deboli, i semplici, i peccatori, manifestando l’infinita misericordia di Dio con le parole rassicuranti della speranza (cfr. S. AGOSTINO, Lettera 95, 1: PL 33, 351-352).

A quanti operano nel mondo della salute, come pure alle famiglie che nei propri congiunti vedono il Volto sofferente del Signore Gesù, rinnovo il ringraziamento mio e della Chiesa, perché, nella competenza professionale e nel silenzio, spesso anche senza nominare il nome di Cristo, Lo manifestano concretamente (cfr. Omelia, S. Messa del Crisma, 21 aprile 2011). A Maria, Madre di Misericordia e Salute degli Infermi, eleviamo il nostro sguardo fiducioso e la nostra orazione; la sua materna compassione, vissuta accanto al Figlio morente sulla Croce, accompagni e sostenga la fede e la speranza di ogni persona ammalata e sofferente nel cammino di guarigione dalle ferite del corpo e dello spirito.

A tutti assicuro il mio ricordo nella preghiera, mentre imparto a ciascuno una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 20 novembre 2011, Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo.

Benedetto XVI

(©L’Osservatore Romano 4 gennaio 2012)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/1/2012 10.32
Titolo:LA GUERRA NELLA TESTA DELLA GERARCHIA ....
In principio (o meglio, all’Inizio) [ 1991] *

Omosessualità, pedofilia e altre “perpetue” questioni (con tutte le loro devastanti implicazioni) assillano da secoli la vita istituzionale della Chiesa Cattolica. Ma da sempre si preferisce negare, razionalizzare, “occultare e mascherare – generalmente senza successo – l’umanità di scandali e mezzi scandali fin troppo umani all’interno della cristianità”(1).

Fare i conti e bene con la donna è stato sempre vietato. Riconoscere fondamentalmente che senza il libero e decisivo sì della donna (Maria) non sarebbe nato non solo Cristo ma nemmeno la Chiesa, per l’uomo della stessa Chiesa è paradossalmente “scandalo e follia”.

Alla vigilia del terzo millennio dopo Cristo, si gioca ancora ad opporre “autorità” e “tradizione” allo spirito di libertà del messaggio eu-angelico.

E’ vero che certe “squallide” omelie contro la metà e più del genere umano non fanno più un baffo a nessuno, e non si collocano oggi, per la loro impotenza e rabbia, né sul piano della cultura cristiana né sul piano della cultura umana semplicemente (almeno in linea di principio e in generale), ma è altrettanto vero che le varie e innumerevoli persuasioni “diaboliche” sulla donna dovrebbero essere messe al bando, come le armi atomiche e simili. Dalla misoginia al ginocidio, come al genocidio, il passo non è lungo: la caccia alle streghe e l’Inquisizione, come Auschwitz e Hiroshima, non sono incidenti di percorso.

“Il deserto cresce” (Nietzsche) – in tutti i sensi, e non si può continuare come si è sempre fatto. Non abbiamo tempo, non più né molto. Tutta una mentalità di secoli deve essere messa sottosopra e l’intera società deve essere riorganizzata. Non ci sono altre strade. Bisogna pensare ancora, di nuovo e in altro modo – Dio, uomo e mondo. E a partire proprio da noi, da noi tutti.

Ad esempio, oggi non è possibile – è un’offesa all’intelligenza (Lorenzo Valla cosa ci ha insegnato?) e il segno di una tracotante perseveranza – continuare a “tradurre il racconto della creazione della donna con: Non è bene che l’uomo sia solo: gli farò un aiuto che gli sia simile. Il testo originale ebraico dice: Gli farò un aiuto che sia l’altro di lui”. La differenza non è affatto innocente.

Come fa notare la teologa Wilma Gozzini che ha denunciato tale “vergognosa” situazione e che più volte ha “chiesto la correzione” di questo e altri passaggi del testo biblico (2), essa veicola tutt’altra visione della donna e del rapporto uomo-donna. “La donna è l’altro dell’uomo, uguale per diritti e doveri, ma anche diversa […] L’altro che sta faccia a faccia è inquietante e scomodo e apre una sola alternativa. O lo si accoglie come unica possibilità data per vivere umanamente la propria storia, o lo si nega, assimilandolo – facendo simile ciò che altro – neutralizzando così l’alterità, non riconoscendogli autorità ma sottomissione, negandogli uguaglianza”.

Questo è il nodo da sciogliere e la sfida da accogliere.
Si tratta, invero, di andare avanti coraggiosamente sulla strada indicata dallo stesso Giovanni Paolo II e trarre tutte le conseguenze dalla sua magisteriale convinzione, che il peccato originale “non può essere compreso adeguatamente senza riferirsi al mistero della creazione dell’essere umano – uomo e donna – a immagine e somiglianza di Dio”, e che nella “non-somiglianza con Dio […] consiste il peccato (3).

Infatti, se è così, non si può continuare (o lasciare che la situazione resti) come prima. Non è più concepibile che “l’apertura all’altro e il dono di sé, che dovrebbero essere la libera e vitale disposizione dell’essere umano in quanto tale, diventano una norma vincolante per una parte sola dell’umanità: il sesso femminile” (4); o, diversamente, che si neghi alla donna auto- possesso e auto-determinazione come autorità e uguaglianza. Questo è semplicemente satanico, cioè un ostacolo sulla strada dell’amore, della pace e della comprensione.

A tutti i livelli, e ad ogni modo, intestardirsi a “voler intendere la pura relazione [quella tra l’Io e il Tu, fls] come dipendenza significa voler svuotare della sua realtà uno dei portatori della relazione, e con ciò la relazione stessa”. Non altro.


Note:

1. Cfr. H. Kung, Essere cristiani, Milano, Mondadori, 1976, p. 19.
2. Cfr. W. Gozzini, Dio un po’ più materno? Suvvia…, “L’Unità” del 4.10.1990, p. 1. A riguardo, si cfr. anche M.C: Jacobelli, Il “Risus paschalis” e il fondamento teologico del piacere sessuale, Brescia, Queriniana, 1990, p. 98.
3. Cfr. Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, pf. 9.
4. Cfr. C. Mancina, La Chiesa e la donna peccatrice, “L’Unità” del 10.12.1989, p.1.
5. Cfr. Buber, Il principio dialogico, Milano, Comunità, 1959, p. 74. Su questo tema, inoltre, cfr. I. Magli, Gesù di Nazaret. Tabù e trasgressione, Milano, Rizzoli, 1987, particolarmente il cap. IV e la conclusione.


*

Federico La Sala, La mente accogliente. Tracce per una svolta antropologica, Antonio Pellicani editore, Roma 1991, "Introduzione"
pp. 9-11.

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Commenti Articolo 952

Titolo articolo : PETIZIONE INTERNAZIONALE URGENTE:FERMARE OGNI INGERENZA ESTERNA IN SIRIA E RISTABILIRE I DIRITTI UMANI E LA LEGALITA’,promosso da Associazione Peacelink, Italia; U.S. Citizens for Peace & Justice – Rome

Ultimo aggiornamento: January/01/2012 - 12:02:13.

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Autore Città Giorno Ora
tiziano cardosi firenze 26/11/2011 16.03
Titolo:finalmente qualcuno si muove prima che inizi una guerra
Finalmente un appello che denuncia i preparativi di guerra con l'alibi dei diritti umani.
L'uso strumentale e distorto della difesa degli oppressi rende la guerra ancora più odiosa. La guerra continua ad uccidere e mutilare, la guerra di oggi uccide anche le coscienze con l'arma dell'ipocrisia.
Autore Città Giorno Ora
alessandra bonavoglia Bergamo 27/11/2011 21.39
Titolo:diffondiamo la cultura della pace
Non ripetiamo gli errori fatti in Afganistan, dobbiamo intervenire ma non con l'esercito, ma con libri, computer,medicine....
Autore Città Giorno Ora
eleonora bellini borgomanero 04/12/2011 18.07
Titolo:basta alle spese di guerra
convertiamo le spese di guerra in spese di pace, per l'uguaglianza, la cutura, la bellezza
Autore Città Giorno Ora
domi calabrese bari 05/12/2011 11.24
Titolo:
nel mese di ottobre sono stata in Iran, per una decina di giorni ho avuto modo di visitare il paese, indimenticabile il rapporto con le persone: aperte, cordiali, il popolo non appare affatto antioccidentale. Posso affermare che si tratta di uno dei popoli piu accoglienti che ho mai incontrato. Popolo giovane, aperto, curioso.
Non puo consumarsi una atrocità sulle loro giovani teste.
Autore Città Giorno Ora
Emilio Arisi Baselga di Pine' 01/1/2012 12.02
Titolo:Basta guerre
Spendiamo i soldi per le armi per missioni di pace.

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Commenti Articolo 953

Titolo articolo : Auguri,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: January/01/2012 - 08:28:01.

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Autore Città Giorno Ora
Liliana Zampella Gattatico - Reggio Emilia 01/1/2012 08.28
Titolo:A proposito del messaggio del Direttore
Ho letto con attenzione il Suo articolo sui fatti del 2011.
A proposito dei finanziamenti delle testate, sono d'accordo con Lei: i soldi puzzano ed il fatto che le testate senza distinzione di parte abbiano richiesto di essere sostenute con soldi pubblici fa pensare: se sostenute da privati,infatti, sono vincolate alle idee degli stessi, ma anche i finanziamenti statali vincolano le testate alle idee del presidente del consiglio dei ministri del momento. Per questo motivo io ho pubblicato i miei libri (cinque sul mercato, tre in attesa di stampa) con editori indipendenti che senz'altro non hanno la forza editoriale di farli conoscere e divulgare ma almeno non hanno le mani insanguinate.
E per quanto riguarda il nuovo anno: fra un anno vedremo se sarà la fine di questo mondo troppo vecchio per cambiare o se sarà un nuovo inizio come io auguro a tutti noi.
Buon anno e buon lavoro.

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Commenti Articolo 954

Titolo articolo : CITTADINI, BROCCOLI, E BREVETTI: "FORZA BROCCOLI"! A Bruxelles, così i giganti biotech lanciano la sfida alla UE: "Brevettiamo il broccolo". Una nota di allarme di Carlo Petrini - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: December/30/2011 - 16:33:09.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/12/2011 16.33
Titolo:FAO: 925 milioni di persone affamate. José Graziano da Silva, dal 1° gennaio ini...
LA NOMINA

- FAO, arriva il nuovo direttore
- Un brasiliano dal sangue calabrese

José Graziano da Silva ha anche la nazionalità italiana, ha 63 anni ed è stato tra i responsabili dell’ideazione e della realizzazione del programma "Fame Zero" lanciato nel 2003 nel suo paese che ha conseguito enormi risultati. Tra il 2006 ed il 2011 è stato Vice Direttore Generale dell’Agenzia delle Nazioni Unite *

ROMA - José Graziano da Silva - brasiliano con anche un’altra nazionalità, quella italiana e sangue calabrese nelle vene - dal 1° gennaio inizia il suo mandato come nuovo Direttore Generale della FAO. L’intendo dichiarato del nuovo capo dell’agenzia ONU impegnata nella lotta alla fame è quello di promuovere un rinnovato impegno per la sicurezza alimentare, e propone di incrementare il sostegno della FAO a favore dei Paesi a basso reddito con deficit alimentare - specialmente quelli con crisi prolungate.

Tutte le altre sfide globali. "Creeremo gruppi di lavoro - ha detto - che mettano assieme tutte le competenze dell’Organizzazione, per dare consulenza sulle politiche di sviluppo, sulla programmazione degli investimenti, sulla mobilizzazione delle risorse, sulla risposta alle emergenze, per uno sviluppo sostenibile. La lotta per l’eliminazione della fame non deve essere separata dalle altre sfide globali - ha aggiunto - come quella di rilanciare le economie nazionali, proteggere le risorse naturali dal degrado e mitigare e adattarsi al cambiamento climatico".

Ancora 925 milioni di persone affamate. La FAO è stata tra le prime agenzie ONU ad essere create, dopo la Seconda Guerra Mondiale. L’idea era che la pace finalmente raggiunta avesse creato le condizioni per assicurare la liberazione dell’umanità dal giogo della fame. Eppure, dopo oltre mezzo secolo, al mondo ci sono ancora circa 925 milioni di persone che soffrono la fame cronica e molti paesi sono ben lontani dal raggiungimento del Primo Obiettivo di sviluppo del Millennio, quello cioè di dimezzare, tra il 1990 ed il 2015, la proporzione di persone che vivono in condizioni di fame e povertà estrema. Come Direttore Generale della FAO Graziano da Silva punta all’eliminazione della fame, ad una produzione e consumo alimentare sostenibili, ad una maggiore equità nella gestione mondiale degli alimenti, al completamento della riforma interna della FAO per migliorarne l’efficienza, la trasparenza e l’attendibilità, l’allargamento delle partnership e della cooperazione sud-sud. Graziano da Silva terrà la sua prima conferenza stampa come Direttore Generale martedì 3 gennaio 2012.

Ottavo Direttore Generale. Da Silva è l’ottavo Direttore Generale della FAO e subentra al senegalese Jacques Diouf, in carica dal 1994 al 2011. Il suo mandato durerà fino al luglio del 2015. E’ stato tra i responsabili dell’ideazione e della realizzazione del programma brasiliano "Fame Zero", lanciato nel 2003 e che ha conseguito enormi risultati. Tra il 2006 ed il 2011, precedentemente alla sua elezione, è stato Vice Direttore Generale della FAO e Rappresentate Regionale per l’America Latina ed i Caraibi. Nato il 17 novembre del 1949, di nazionalità brasiliana e italiana, ha conseguito un Bachelor in Agronomia ed un Master in Economia e Sociologia Rurale presso l’Università di San Paulo, oltre ad unun PH. D. in Scienze Economiche presso l’Università di Campinas. A tutto questo vanno aggiunte altre due lauree post-dottorato in Studi Latino Americani, conseguite all’University College di Londra e in Studi Ambientali presso l’Università della California, Santa Cruz.

* la Repubblica, 30 dicembre 2011

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Commenti Articolo 955

Titolo articolo : LA BUONA NOVELLA, FINALMENTE! GESU' HA CHIARITO E "SOTTOLINEATO CHI E' IL SUO PADRE". Una sintesi dell'intervento di Benedetto XVI all'udienza generale del mercoledì,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: December/29/2011 - 17:59:18.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/12/2011 15.11
Titolo:PER LA CHIESA, SAN GIUSEPPE E’ ANCORA UN GOJ ...
PER LA CHIESA CATTOLICA, SAN GIUSEPPE E’ ANCORA UN "GOJ", UNO STRANIERO.

LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA E’ ZOPPA E CIECA: IL FIGLIO HA PRESO IL POSTO DEL PADRE DI GESU’ E DEL "PADRE NOSTRO" E FA IL SANTO "PADRINO".... CON "MAMMONA" E "MAMMASANTISSIMA"!

GESU’, GIUSEPPE, SACRA FAMIGLIA?! RESTITUIRE L’ANELLO DEL PESCATORE A GIUSEPPE... E ANNUNCIARE LA BUONA-NOVELLA!!!

_____________________________________________


La ’buona’ novella cattolica e la grande \"risata\" di Luigi Pirandello:

Un “goj”

di Luigi Pirandello *

Il signor Daniele Catellani, mio amico, bella testa ricciuta e nasuta - capelli e naso di razza - ha un brutto vizio: ride nella gola in un certo modo così irritante, che a molti, tante volte, viene la tentazione di tirargli uno schiaffo.

Tanto più che, subito dopo, approva ciò che state a dirgli. Approva col capo; approva con precipitosi:
Già, già! già, già! Come se poc’anzi non fossero state le vostre parole a provocargli quella dispettosissima risata.

Naturalmente voi restate irritati e sconcertati. Ma badate che è poi certo che il signor Daniele Catellani farà come voi dite. Non c’è caso che s’opponga a un giudizio, a una proposta, a una considerazione degli altri.

Ma prima ride.

Forse perché, preso alla sprovvista, là, in un suo mondo astratto, così diverso da quello a cui voi d’improvviso lo richiamate, prova quella certa impressione per cui alle volte un cavallo arriccia le froge e nitrisce. Della remissione del signor Daniele Catellani e della sua buona volontà d’accostarsi senz’urti al mondo altrui, ci sono del resto non poche prove, della cui sincerità sarebbe, io credo, indizio di soverchia diffidenza dubitare.

Cominciamo che per non offendere col suo distintivo semitico, troppo apertamente palesato dal suo primo cognome (Levi), l’ha buttato via e ha invece assunto quello di Catellani.

Ma ha fatto anche di più. S’è imparentato con una famiglia cattolica, nera tra le più nere, contraendo un matrimonio cosiddetto misto, vale a dire a condizione che i figliuoli (e ne ha già cinque) fossero come la madre battezzati, e perciò perduti irremissibilmente per la sua fede. Dicono però che quella risata così irritante del mio amico signor Catellani ha la data appunto di questo suo matrimonio misto.

A quanto pare, non per colpa della moglie, però, bravissima signora, molto buona con lui, ma per colpa del suocero, che è il signor Pietro Ambrini, nipote del defunto cardinale Ambrini, e uomo d’intransigentissimi principii clericali.

Come mai, voi dite, il signor Daniele Catellani andò a cacciarsi in una famiglia munita d’un futuro suocero di quella forza? Mah!

Si vede che, concepita l’idea di contrarre un matrimonio misto, volle attuarla senza mezzi termini; e chi sa poi, fors’anche con l’illusione che la scelta stessa della sposa d’una famiglia così notoriamente divota alla santa Chiesa cattolica, dimostrasse a tutti che egli reputava come un accidente involontario, da non doversi tenere in alcun conto, l’esser nato semita.

Lotte acerrime ebbe a sostenere per questo matrimonio. Ma è un fatto che i maggiori stenti che ci avvenga di soffrire nella vita sono sempre quelli che affrontiamo per fabbricarci con le nostre stesse mani la forca. Forse però - almeno a quanto si dice non sarebbe riuscito a impiccarsi il mio amico Catellani, senza l’aiuto non del tutto disinteressato del giovine Millino Ambrini, fratello della signora, fuggito due anni dopo in America per ragioni delicatissime, di cui è meglio non far parola.

Il fatto è che il suocero, cedendo obtorto collo alle nozze, impose alla figlia come condizione imprescindibile di non derogare d’un punto alla sua santa fede e di rispettare col massimo zelo tutti i precetti di essa, senza mai venir meno a nessuna delle pratiche religiose. Pretese inoltre che gli fosse riconosciuto come sacrosanto il diritto di sorvegliare perché precetti e pratiche fossero tutti a uno a uno osservati scrupolosamente, non solo dalla nuova signora Catellani, ma anche e più dai figliuoli che sarebbero nati da lei.

Ancora, dopo nove anni, non ostante la remissione di cui il genero gli ha dato e seguita a dargli le più lampanti prove, il signor Pietro Ambrini non disarma. Freddo, incadaverito e imbellettato, con gli abiti che da anni e anni gli restano sempre nuovi addosso e quel certo odore ambiguo della cipria, che le donne si dànno dopo il bagno, sotto le ascelle e altrove, ha il coraggio d’arricciare il naso, vedendolo passare, come se per le sue nari ultracattoliche il genero non si sia per anche mondato del suo pestilenzialissimo foetor judaicus. Lo so perché spesso ne abbiamo parlato insieme.

Il signor Daniele Catellani ride in quel suo modo nella gola, non tanto perché gli sembri buffa questa vana ostinazione del fiero suocero a vedere in lui per forza un nemico della sua fede, quanto per ciò che avverte in sé da un pezzo a questa parte.

Possibile, via, che in un tempo come il nostro, in un paese come il nostro, debba sul serio esser fatto segno a una persecuzione religiosa uno come lui, sciolto fin dall’infanzia da ogni fede positiva e disposto a rispettar quella degli altri, cinese, indiana, luterana, maomettana?

Eppure, è proprio così. C’è poco da dire: il suocero lo perseguita. Sarà ridicola, ridicolissima, ma una vera e propria persecuzione religiosa, in casa sua, esiste. Sarà da una parte sola e contro un povero inerme, anzi venuto apposta senz’armi per arrendersi; ma una vera e propria guerra religiosa quel benedett’uomo del suocero gliela viene a rinnovare in casa ogni giorno, a tutti i costi, e con animo inflessibilmente e acerrimamente nemico.

Ora, lasciamo andare che - batti oggi e batti domani - a causa della bile che già comincia a muoverglisi dentro, l’homo judaeus prende a poco a poco a rinascere e a ricostituirsi in lui, senza ch’egli per altro voglia riconoscerlo. Lasciamo andare. Ma lo scadere ch’egli fa di giorno in giorno nella considerazione e nel rispetto della gente per tutto quell’eccesso di pratiche religiose della sua famiglia, così deliberatamente ostentato dal suocero, non per sentimento sincero, ma per un dispetto a lui e con l’intenzione manifesta di recare a lui una gratuita offesa, non può non essere avvertito dal mio amico signor Daniele Catellani.

E c’è di più. I figliuoli, quei poveri bambini così vessati dal nonno, cominciano anch’essi ad avvertir confusamente che la cagione di quella vessazione continua che il nonno infligge loro, dov’essere in lui, nel loro papà. Non sanno quale, ma in lui dov’essere di certo. Il buon Dio, il buon Gesù - (ecco, il buon Gesù specialmente!) - ma anche i Santi, oggi questo e domani quel Santo, ch’essi vanno a pregare in chiesa col nonno ogni giorno, è chiaro ormai che hanno bisogno di tutte quelle loro preghiere, perché lui, il papà, deve aver fatto loro, di certo, chi sa che grosso male! Al buon Gesù, specialmente!

E prima d’andare in chiesa, tirati per mano, si voltano, poveri piccini, ad allungargli certi sguardi così densi di perplessa angoscia e di dogliosa rimprovero, che il mio amico signor Daniele Catellani si metterebbe a urlare chi sa quali imprecazioni, se invece... se invece non preferisse buttare indietro la testa ricciuta e nasuta e prorompere in quella sua solita risata nella gola.

Ma sì, via! Dovrebbe ammettere altrimenti sul serio d’aver commesso un’inutile vigliaccheria a voltar le spalle alla fede dei suoi padri, a rinnegare nei suoi figliuoli il suo popolo eletto: ’am olam, come dice il signor Rabbino. E dovrebbe sul serio sentirsi in mezzo alla sua famiglia un goj, uno straniero; e sul serio infine prendere per il petto questo suo signor suocero cristianissimo e imbecille, e costringerlo ad aprir bene gli occhi e a considerare che, via, non è lecito persistere a vedere nel suo genero un deicida, quando in nome di questo Dio ucciso duemil’anni fa dagli ebrei, i cristiani che dovrebbero sentirsi in Cristo tutti quanti fratelli, per cinque anni si sono scannati tra loro allegramente in una guerra che, senza pregiudizio di quelle che verranno, non aveva avuto finora l’eguale nella storia.

No, no, via! Ridere, ridere. Son cose da pensare e da dir sul serio al giorno d’oggi?

Il mio amico signor Daniele Catellani sa bene come va il mondo. Gesù, sissignori. Tutti fratelli. Per poi scannarsi tra loro. E naturale. E tutto a fil di logica, con la ragione che sta da ogni parte: per modo che a mettersi di qua non si può fare a meno d’approvare ciò che s’è negato stando di là.

Approvare, approvare, approvar sempre. Magari, sì, farci sì prima, colti alla sprovvista, una bella risata. Ma poi approvare, approvar sempre, approvar tutto. Anche la guerra, sissignori.

Però (Dio, che risata interminabile, quella volta!) però, ecco, il signor Daniele Catellani volle fare, l’ultimo anno della grande guerra europea, uno scherzo al suo signor suocero Pietro Ambrini, uno scherzo di quelli che non si dimenticano più.

Perché bisogna sapere che, nonostante gran carneficina, con una magnifica faccia tosta il signor Pietro Ambrini, quell’anno, aveva pensato di festeggiare, per i cari nipotini, la ricorrenza del Santo Natale più pomposamente che mai. E s’era fatti fabbricare tanti e tanti pastorelli di terracotta: i pastorelli che portano le loro umili offerte alla grotta di Bethlehem, al Bambinello Gesù appena nato: fiscelle di candida ricotta panieri d’uova e cacio raviggiolo, e anche tanti Franchetti di Soffici pecorelle e somarelli carichi anch’essi d’altre più ricche offerte, seguiti da vecchi massari e da campieri. E sui cammelli, ammantati, incoronati e solenni, i tre re Magi, che vengono col loro seguito da lontano lontano dietro alla stella cometa che s’è fermata su la grotta di sughero, dove su un po’ di paglia vera è il roseo Bambinello di cera tra Maria e San Giuseppe; e San Giuseppe ha in mano il bàcolo fiorito, e dietro sono il bue e l’asinello.

Aveva voluto che fosse ben grande il presepe quell’anno, il caro nonno, e tutto bello in rilievo, con poggi e dirupi, agavi e palme, e sentieri di campagna per cui si dovevano veder venire tutti quei pastorelli ch’eran perciò di varie dimensioni, coi loro branchetti di pecorelle e gli asinelli e i re Magi.

Ci aveva lavorato di nascosto per più d’un mese, con l’aiuto di due manovali che avevan levato il palco in una stanza per sostener la plastica. E aveva voluto che fosse illuminato da lampadine azzurre in ghirlanda; e che venissero dalla Sabina, la notte di Natale, due zampognari a sonar l’acciarino e le ciaramelle. I nipotini non ne dovevano saper nulla.

A Natale, rientrando tutti imbacuccati e infreddoliti dalla messa notturna, avrebbero trovato in casa quella gran sorpresa: il suono delle ciaramelle, l’odore dell’incenso e della mirra, e il presepe là, come un sogno, illuminato da tutte quelle lampadine azzurre in ghirlanda. E tutti i casigliani sarebbero venuti a vedere, insieme coi parenti e gli amici invitati al cenone, questa gran maraviglia ch’era costata a nonno Pietro tante cure e tanti quattrini.

Il signor Daniele lo aveva veduto per casa tutto assorto in queste misteriose faccende, e aveva riso; aveva sentito le martellate dei due manovali che piantavano il palco di là, e aveva riso.

Il demonio, che gli s’è domiciliato da tanti anni nella gola, quell’anno, per Natale, non gli aveva voluto dar più requie: giù risate e risate senza fine. Invano, alzando le mani, gli aveva fatto cenno di calmarsi; invano lo avena ammonito di non esagerare, di non eccedere. - Non esagereremo, no! - gli aveva risposto dentro il demonio. - Sta’ pur sicuro che non eccederemo. Codesti pastorelli con le fiscelline di ricotta e i panierini d’uova e il cacio raviggiolo sono un caro scherzo, chi lo può negare? così in cammino tutti verso la grotta di Bethlehem! Ebbene, resteremo nello scherzo anche noi, non dubitare! Sarà uno scherzo anche il nostro, e non meno carino. Vedrai.

Così il signor Daniele s’era lasciato tentare dal suo demonio; vinto sopra tutto da questa capziosa considerazione: che cioè sarebbe restato nello scherzo anche lui.

Venuta la notte di Natale, appena il signor Pietro Ambrini con la figlia e i nipotini e tutta la servitù si recarono in chiesa per la messa di mezzanotte, il signor Daniele Catellani entrò tutto fremente d’una gioia quasi pazzesca nella stanza del presepe: tolse via in fretta e furia i re Magi e i cammelli, le pecorelle e i somarelli, i pastorelli del cacio raviggiolo e dei panieri d’uova e delle fiscelle di ricotta - personaggi e offerte al buon Gesù, che il suo demonio non aveva stimato convenienti al Natale d’un anno di guerra come quello - e al loro posto mise più propriamente, che cosa? niente, altri giocattoli: soldatini di stagno, ma tanti, ma tanti, eserciti di soldatini di stagno, d’ogni nazione, francesi e tedeschi, italiani e austriaci, russi e inglesi, serbi e rumeni, bulgari e turchi, belgi e americani e ungheresi e montenegrini, tutti coi fucili spianati contro la grotta di Bethlehem, e poi, e poi tanti cannoncini di piombo, intere batterie, d’ogni foggia, d’ogni dimensione, puntati anch’essi di sé, di giù, da ogni parte, tutti contro la grotta di Bethlehem, i quali avrebbero fatto veramente un nuovo e graziosissimo spettacolo.

Poi si nascose dietro il presepe.

Lascio immaginare a voi come rise là dietro, quando, alla fine della messa notturna, vennero incontro alla meravigliosa sorpresa il nonno Pietro coi nipotini e la figlia e tutta la folla degli invitati, mentre già l’incenso fumava e i zampognari davano fiato alle loro ciaramelle.

* LUIGI PIRANDELLO, UN «GOJ», Novelle per un anno, Mondadori.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/12/2011 16.05
Titolo:TRUCCARE LE CARTE!!! LA TRADIZIONE DEI FARAONI E DEL "LATINORUM" E' CON NOI ....
Wikipedia e il cardinale

di Gianni Barbacetto (il Fatto Quotidiano, 29 dicembre 2011)

Può il Vaticano far cambiare una voce di Wikipedia? Sì, può farlo. È successo per la voce su Angelo Scola, il nuovo cardinale arcivescovo di Milano, proveniente dal movimento di Cl. Tutto è nato da un articolo del Fatto Quotidiano, pubblicato il 19 giugno 2011: “Alla vigilia dell’ordinazione, il rettore Attilio Nicora decide di ‘fermare’ il giovane Scola. Il seminario milanese ha una tradizione antica e prestigiosa, che risale a San Carlo Borromeo: non può tollerare che alcuni seminaristi vivano tra i chiostri silenziosi di Venegono come fossero un corpo separato, senza riconoscere davvero l’autorità dei superiori, dei professori, dei teologi, del padre spirituale, perché hanno i loro maestri, i loro superiori, i loro teologi, i loro padri spirituali. Monsignor Nicora spiega ai ciellini che vogliono farsi ordinare preti che non possono usare il seminario ambrosiano come fosse un taxi”. Dunque l’attuale arcivescovo di Milano è stato, da giovane, di fatto espulso dal seminario milanese.

La vicenda finisce su Wikipedia, che cita la fonte: l’articolo del Fatto. A questo punto, però, si muove padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana. Contatta, con estrema cortesia, il sottoscritto, chiedendogli se è in grado d’indicargli la via per far cambiare la voce di Wikipedia, poiché questa mette in grave imbarazzo un altro cardinale, monsignor Attilio Nicora, il quale nega di aver “fermato” Scola: questi viene ordinato sacerdote nel luglio 1970, mentre Nicora diventa rettore del seminario milanese soltanto nell’ottobre successivo. Chi scrive non sa dare al gentilissimo padre Lombardi alcuna indicazione utile su come cambiare una voce di Wikipedia. Ma passano alcune settimane e accade il miracolo.

Dall’enciclopedia on line scompare la notizia di Scola “fermato” per “settarismo”, sostituita da una nota che dice così: “Gianni Barbacetto, nel suo articolo ‘Scola a Milano, la rivincita del vescovo di Cl’, sostenne che ‘alla vigilia dell’ordinazione il rettore Attilio Nicora decide di fermare il giovane Scola’, perché aderente al movimento di Cl. Questa vicenda non trova conferma nella realtà, in quanto Scola fu ordinato nel luglio 1970 e Attilio Nicora divenne rettore del seminario solo il 7 ottobre 1970. Lo spostamento di Scola a Teramo fu motivato dalla decisione dei suoi superiori a Venegono di attendere 18 mesi di ferma militare prima della sua ordinazione; Scola preferì invece essere ordinato subito”.

Ammettiamo allora che non sia vera la vox populi che attribuisce proprio a Nicora - non ancora rettore, ma già autorevole professore a Venegono - la decisione di “fermare” il ciellino candidato al sacerdozio. La decisione formale è quindi del rettore precedente, l’indimenticato monsignor Bernardo Citterio. Ma la sostanza resta immutata: la diocesi di Milano sceglie di non procedere neppure all’ordinazione diaconale di Scola, che gli avrebbe evitato il servizio militare. È di fatto un’espulsione.

Vecchie storie degli anni Settanta, in cui le passioni ideologiche erano forti, a destra, a sinistra e anche nella Chiesa. Nei decenni successivi, Scola non ha mancato di dimostrare libertà di pensiero e autonomia anche dal movimento in cui è cresciuto. Ma i fatti restano fatti: Wikipedia ora cambierà di nuovo la voce su Scola, cardinale arcivescovo di Milano e, chissà, possibile futuro papa?
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/12/2011 17.59
Titolo:Éric Jaffrain: «La fede non è un prodotto come gli altri». Intervista ....
Éric Jaffrain: «La fede non è un prodotto come gli altri»

intervista a Éric Jaffrain, a cura di Nadia Henni-Moulaï

in “www.temoignagechretien.fr” del 28 dicembre 2011 (traduzione: www.finesettimana.org)

-Lei parla della Chiesa come un “prodotto”. Che cosa significa?

Da diversi anni, la Chiesa (cattolica) presenta la religione come si presenta un prodotto di consumo,
usando l'approccio nato dal marketing commerciale. A mio avviso, si tratta di un errore strategico
fondamentale: la Chiesa non deve vendere se stessa, ma il suo prodotto centrale. Non si vende la
fede come uno spazzolino da denti.

-La Chiesa sarebbe quindi un'azienda...

Assolutamente! Ma che manca di chiarezza nella sua visione, nella sua missione e nei suoi prodotti.
La sua strategia d'impresa è troppo legata alla propria marca, in quanto cerca di venderla come
prodotto centrale. Oggi, la Chiesa difende più la propria azienda che Dio, nel senso che il
packaging (riti, forme di devozione, atmosfera, gerarchia) diventa il modo di consumo inaggirabile.
In questo, l'istituzione si è sostituita alla figura divina: prima di tutto, non siete credenti, ma
cattolici.

-Perché?

Perché il pensiero collettivo viene prima della devozione personale. Se un prete, ad esempio,
desidera esprimersi in maniera diversa dalle procedure stabilite, la sua iniziativa verrà limitata, se
non bloccata dalla gerarchizzazione. Ogni dignitario cattolico dipende dai suoi “superiori”, così
come l'individuo membro di questo movimento.

Ma possiamo dire che anch'essa ha avuto i suoi “indignati” fin dagli anni '80, con il movimento
carismatico (le Renouveau), che ha obbligato a maggiore libertà, come molti secoli prima hanno
fatto i gesuiti o i domenicani. Questi ultimi, recuperati dall'istituzione, hanno rafforzato il suo potere
dirigenziale.

-Questo marketing molto speciale non è alla base di una forma di proselitismo?

Ad un certo livello sì. I numeri recenti lo indicano. Nel mondo, il cattolicesimo mostra una tendenza
alla diminuzione, contrariamente al protestantesimo e all'islam. Tutta la strategia marketing consiste
nel riconquistare “le parti di mercato” perdute, con il sostegno di campagne di comunicazione, per
dare un'immagine giovanile e new look dell'istituzione. Da qui deriva una vera strategia di
marketing dispiegata nei confronti degli individui. Una religione che vuole conservare le sue parti
di mercato adotta una linea di conquista, come le aziende concorrenti.

-Quindi si parla di modo di consumo e di religione...

Questo è il rischio. La Chiesa, come ogni altra religione, che vende se stessa piuttosto che rendere la
spiritualità accessibile, prende il posto di Dio. Anche se non si parla direttamente di marketing
commerciale, i metodi sono estremamente simili: la religione, per mantenere la sua leadership
moltiplicherà i modi di consumo: quasi inevitabilmente arriverà a proporre dei prodotti di richiamo,
populisti, che attraggono o che obbligano, per valorizzare l'istituzione a scapito del consumo del
prodotto centrale, cioè della fede.

Ma forse le cose stanno mutando, e obbligheranno le religioni al cambiamento: il cittadino cerca di
allontanarsi dall'istituzione per essere più vicino a un Dio che rivendica essere il suo prima di essere
quello dell'istituzione. Il prodotto reclamato non è più la Chiesa, ma la fede, Dio, Gesù. La società
civile si appropria del religioso, che diventa “ecologico”.

Non dimentichiamo che il valore di un prodotto è dato da colui che lo consuma e non da colui che
lo vende. Un prodotto è “buono” solo se, consumato, migliora l'opinione o il benessere del
consumatore. Lo stesso vale per la religione: non è lei che cambia interiormente l'essere umano, ma
ciò che viene dall'alto. Se la religione non è un “buon prodotto dall'alto”, ha solo legittimità per se
stessa; di fatto, la si rifiuterà e con essa tutta la spiritualità.

-E l'islam in tutto questo?

Anche se l'islam non ha una gerarchia come la Chiesa cattolica, certi movimenti musulmani, o lacultura islamica di certi paesi, hanno la stessa tendenza a vendere la loro ideologia come elemento
centrale, inaggirabile, per il cittadino, il che dà la sensazione che anche l'islam difenda il proprio
ambito d'influenza. E come in Francia prima del 1905 (data della separazione della Chiesa e dello
Stato) sembra voler dettare le regole dei cittadini secondo le proprie regole.

Da qui derivano le polemiche che l'islam suscita in Francia e in Europa. La paura di veder sorgere
uno Stato religioso spiega gli irrigidimenti nei confronti di questa religione. Se una ideologia
politica, una religione, o perfino una certa economia, tenta di imporsi nella società civile, creerà o
conflitti o diffidenza. Il religioso, o più “ecologicamente”, lo spirituale, è necessario alla società,
come la laicità. E anche se verticale e orizzontale non hanno gli stessi fondamenti, possono
incrociarsi. L'islam ha forse questo approccio, ma l'Europa non l'ha inteso così. Allora questa
religione deve rassicurare e affermare che le libertà sono rispettate.

In questo, penso che l'islam potrebbe fare un vero marketing. In compenso, certi movimenti o eventi
islamici mi fanno pensare agli stessi comportamenti cattolici, che assumono un marketing di
conquista, piuttosto che un marketing del dono.


-Molte persone deplorano l'aspetto unicamente commerciale del Natale. Lei è d'accordo?

Sì, Natale è diventato un business prima di essere una festa religiosa; e questo per due ragioni.
Innanzitutto, la Chiesa è responsabile di questo stato di fatto. Come ho già spiegato
precedentemente, poiché la Chiesa non è più legittima, non lo sono più neanche i suoi prodotti, tra
cui il Natale. Inoltre, essendo il Natale un riferimento storico e culturale molto popolare, è stato
conservato dalla religione... commerciale, che cerca di aumentare il suo giro d'affari. Oggi la gente
vive questa festa senza veramente metterla in relazione a Cristo. Eppure, la ricerca di spiritualità
diventa una tendenza pesante: si cerca Dio, ma non in chiesa.

-Sì, ma i credenti hanno comunque il loro libero arbitrio...

Infatti, è per questa ragione che è ingiusto sentire la Chiesa dire al mondo secolare: “Voi avete
buttato fuori Gesù.” Perché la Chiesa ha protetto il suo ambito d'influenza, rendendo inaccessibile la
figura di Cristo e la fede. Poiché tutti i consumi devono passare dall'istituzione, questo sopprime la
libertà di credere. Accettando Natale come una festa commerciale, il cittadino non manifesta
necessariamente un rifiuto a credere, ma una reazione a un potere.

-Il marketing religioso è quindi a servizio di interessi non spirituali?

In effetti può esserlo. È una delle ragioni per cui il mio concetto di marketing è fondato sul dono, e
non sul profitto né sulla performance. Lo spirituale, come il secolare, può essere legittimato ad
andarsene dal momento che non contribuisce all'economia totalitaria che abbiamo attualmente. Gli
industriali hanno imposto al grande pubblico un modo di acquistare e di consumare. L'obsolescenza
programmata dei prodotti ne è un buon esempio. Tutto è fatto per spingerci al consumo: il cittadino,
prima di essere un umano, deve essere un consumatore e un oggetto di risorsa per l'impresa.

Pur usando parole diverse, la religione può comportarsi nello stesso modo: reclutare dei praticanti
della sua ideologia, e non rispondere alla ricerca di spiritualità, di libertà e di felicità. La società è in
grave crisi e si cerca. Ha bisogno di guarigione per i suoi cittadini in maniera olistica, cioè nelle sue
quattro componenti: quella fisiologica, quella sociale, quella emozionale e quella spirituale. E la
componente religiosa può essere di aiuto, in quanto lavora alla riconciliazione dell'uomo con se
stesso, con l'altro e con il divino.

(articolo pubblicato anche sul n° 33 di Salamnews, dicembre 2011)

* Consulente in marketing non commerciale, ha creato il concetto di “gift economy”, l'economia del
dono. Autore di La Guérison de l’économie (Éd. Jouvence), che sarà pubblicato nel 2012.

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Commenti Articolo 956

Titolo articolo : A SCUOLA DELLA "CHARITAS" O DELLA "CARITAS"? MILANO: ALLA LEZIONE DI AMBROGIO, IL CARDINALE SCOLA PREFERISCE CONTINUARE A SEGUIRE LA LEZIONE RATZINGERIANA DELLA "CARITAS IN VERITATE", DEL "LATINORUM"! Un'intervista di Aldo Cazzullo,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: December/29/2011 - 16:10:21.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/12/2011 16.02
Titolo:Il codice di Don Verzè
Il codice di Don Verzè, boss con la tonaca

di Francesco Merlo *

ORDINA: «Bruciate!» e il picciotto va e appicca il fuoco. Don Luigi Verzé è il primo prete capomafia della storia d’Italia e il silenzio del Vaticano o è rassegnato o è omertoso, decidete voi. Ma per noi siciliani è un sollievo che almeno sia padano questo ’don’ che è due volte ’don’, per il turibolo e per la coppola storta. Attenzione: non un prete mafioso, non un prete al servizio della mafia, che ce ne sono stati tanti, ma un boss che amministra i sacramenti, un don Calogero Vizzini con il crocifisso portato - fateci caso - all’occhiello, lì dove si mettono gli stemmi dei Lyons e del Rotary, e i massoni vi appuntano il ramo d’acacia e i gagà la mitica pansé. Anche don Calogero non pagava mai con le mazzette tipiche della corruzione diciamo così normale, ma con bigliettoni ’impilati’. «Le buste di don Verzé - raccontano i testimoni oculari - erano alte tre o quattro centimetri con biglietti da 500 euro». Don Calogero Vizzini le chiamava appunto ’pile’. E don Verzé non comunica con i pizzini come i più rozzi tra i corleonesi, ma si attiene ai classici che affidavano le sentenze ’allo sguardo e al silenzio ’.

E SE proprio deve farsi intendere don Verzé «manda l’autista - tutte le citazioni sono prese dai verbali - anche all’estero». Trasmette gli ordini «attraverso messaggeri umani». Il pizzino infatti è mafia stravagante, deviazione sbruffona, «niente di scritto e niente al telefono» raccomanda Marlon Brando Vito Corleone: «La polizia registra, poi taglia e cuce le parole per farvi dire quello che vuole».

Il codice di don Verzé non è quello classico del danaro cattolico, neppure nella variante diabolica della simonia. Don Verzé non è uno di quei generosi mostri italiani che hanno messo insieme mammona e il Padreterno, come direbbero gli evangelisti Matteo e Luca, l’ingordigia e la bontà. È invece un don Luciano Liggio per la gloria di Dio. Anche don Luciano bruciava una campagna e poi si presentava al proprietario: «Non rende, vendetemela». Sono gli stessi metodi criminali di don Verzé che aveva deciso di comprare i terreni confinanti con il suo ospedale, ma il proprietario non voleva vendere perché vi aveva costruito campi da tennis, da calcio e da calcetto, spogliatoi e bar... Ebbene nel 2005 e nel 2006 quegli impianti subirono due incendi dolosi. Poi don Verzé convocò Pollari, capo del Sismi e gli disse: «Mandaci la Finanza».

In quel periodo il prete fondatore dell’ospedale San Raffaele pubblicava con Bompiani "Io e Cristo" per spiegare come «la Fede si fa opera». E infatti la Finanza andò, controllòe multò. Ma il proprietario resisteva. E allora «sabotate» ordinò letteralmente don Verzé prendendosi una pausa dalla pia esegesi neotestamentaria (pag. 123 sgg) del famoso «verbum caro factum est», il verbo si è fatto carne. E specificò: «Sabotate, ma state attenti all’asilo e ai cavalli che sono nostri». Il picciotto, che stavoltaè un ingegnere, lo rassicura: «Sarà sabotato il quadro elettrico, quindi i campi non potranno essere illuminati e quando gli "amici" andranno a fargli la proposta di acquisto, lui sarà in ginocchio...». "Gli amici", "in ginocchio"...: il linguaggio cristologico qui diventa cosco- massonico.

Qualche giorno dopo "l’ingegnere", che sembra il personaggio misterioso dei romanzi di Le Carrè, titolo nobile e funzione ignobile, spiega a un don Verzé in partenza: «Quando lei sarà in Brasile ci sarà del fuoco». Come si vede, è un dialogo in argot, allusivo al crimine e alla mafia. E infatti don Verzé indossa i gessati dei mafiosi di una volta, ha la faccia anonima dei veri malacarne, con il cappello che richiama la coppola ma la nega, e forse perché un prete capomafia poteva nascere solo nel Lombardo Veneto, nella terra dei "buli" e dei "bravi", la terra sì del cardinale Borromeo e di Manzoni ma anche della Colonna Infame, delle opere benedette da don Giussani, dell’investimento economico come pietas, del capitalismo dell’Opus dei. E infatti il titolo del dialogo tra Carlo Maria Martini e don Verzé è ’Siamo tutti nella stessa barca’ (non banca): «Eminenza, posso chiamarla eminente padre?» . E il cardinale: «Chiamami padre Carlo Maria Martini». Don Verzé recita la parte del piccolo uomo davanti al santo: «Amore, verità, libertà di scelta». È un libro tutto compunzione e incenso. Il cardinale lo lodae lo legittima: «Nessuno meglio di lei...», «capisco la sua posizione, don Luigi», «comprendo i suoi sentimenti», «trovo bella questa sua espressione». A quel tempo don Verzé è già chiacchierato ma molto potente, nessuno immagina che organizza attentati e distribuisce mazzette e che i suoi ospedali sono fondati su una corruzione enorme, ma certo i suoi lussi sono già evidenti, le sue spese folli non passano inosservate, i suoi uomini gestiscono misteriose società in mezzo mondo, dal Sudamerica alla Svizzera, hanno conti correnti i dappertutto, e don Verzé ha comprato un aereo e ne prenota un altro e tratta una intera flotta perché non vuole perdere tempo negli aeroporti, e tutti sanno che l’aereo è l’arma principe dei malavitosi e dei guerrieri.

Inoltre don Verzé non parla come un Marcinkus alle prese con la volatilità della finanza ma come un capobastone, un campiere che controlla il territorio: «La Moratti, l’ho convinta io a fare il sindaco», «il cardinale Tettamanzi l’ho fatto venire io a Milano» e Formigoni, che il faccendiere di don Verzé ospita nel suo yacht, è sotto controllo perché «l’abbiamo salvato noi». E Berlusconi «dono di Dio» è «legatissimo alla famiglia», anche se, «ha fatto qualche giro di valzer». Ecco: Dio non s i cura del sesso quando si fanno affari. Perché appunto il verbo si è fatto carne.

Ma non bisogna credere che don Verzé sia un ateo mascherato e che tutto quei suoi libri di dottrina siano solo copertura. È al contrario un devoto in missione mafiosa per conto di Dio perché le vie della provvidenza sono infinite e se c’è la necessità di un attentato, beh, Dio non è certo un moralista.

Don Verzé è come quei preti medievali che, convinti di essere illuminati dalla grazia, commettevano in nome di Dio ogni nefandezza, vivevano a statuto speciale, in sospensione dei peccati, in deroga. Del resto don Verzé non ha sedotto solo il cardinale Martini e tutta la credula Milano cattolica.

Come ogni rispettabile padrino aveva bisogno della copertura laica e dunque l’ha ingaggiata. Massimo Cacciari ed Ernesto Galli della Loggia sono due intelligenze di prima grandezza nella cultura italiana, di quelli che braccano e scovano e mettono alla gogna i vizi del paese, uno come grande vedetta lombarda e l’altro come doge dei mari del sapere, callido Ulisse di Venezia: «mio carissimo amico dell’anima» dice don Verzé. Eppure anche loro sono stati impaniati, sono caduti nella panie dell’imprenditore in Cristo, del Christusunternehmer, avrebbe detto Cacciari se non fosse stato professore e rettore della sua università. Anche il facondo Vendola, quello che scioglie in bocca le parole come caramelle ideologiche, non ha mai avvertito nel comparaggio per l’ospedale a Taranto il sentore dell’imbroglione in Cristo, e gli ha invece fornito la legittimazione della sua pregiata griffe di sinistra.

Vaticano, cultura laica e sinistra comunista: nessun mafioso siciliano era riuscito a superare tutti questi livelli. Con don Verzé siamo ben oltre i colletti bianchi. E certo la Chiesa se fosse coerente dovrebbe scomunicarlo come scomunicò quei quattro frati di Mazzarino che, unico caso nella storia della mafia, taglieggiavano i contadini, facevano caporalato, decidevano vita e morte, controllavano il territorio: trasformarono il loro convento in un covo di prepotenza. E quando, era il 1960, furono processati, turbarono gli animi degli italiani al punto che gli stessi giudici ebbero soggezione e si misero a somministrare gli ergastoli come fossero sacramenti. Ma la Chiesa - pensate, la Chiesa complice di allora - non ebbe pietà per quei sai sporcati e per quella mania di fra bruciare i terreni, proprio come ha fatto don Verzé, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo.

* la Repubblica, 02 dicembre 2011
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/12/2011 16.10
Titolo:RISCRIVERE LA STORIA DI ANGELO SCOLA! Ordine del Vaticano .....
Wikipedia e il cardinale

di Gianni Barbacetto (il Fatto Quotidiano, 29 dicembre 2011)

Può il Vaticano far cambiare una voce di Wikipedia? Sì, può farlo. È successo per la voce su Angelo Scola, il nuovo cardinale arcivescovo di Milano, proveniente dal movimento di Cl. Tutto è nato da un articolo del Fatto Quotidiano, pubblicato il 19 giugno 2011: “Alla vigilia dell’ordinazione, il rettore Attilio Nicora decide di ‘fermare’ il giovane Scola. Il seminario milanese ha una tradizione antica e prestigiosa, che risale a San Carlo Borromeo: non può tollerare che alcuni seminaristi vivano tra i chiostri silenziosi di Venegono come fossero un corpo separato, senza riconoscere davvero l’autorità dei superiori, dei professori, dei teologi, del padre spirituale, perché hanno i loro maestri, i loro superiori, i loro teologi, i loro padri spirituali. Monsignor Nicora spiega ai ciellini che vogliono farsi ordinare preti che non possono usare il seminario ambrosiano come fosse un taxi”. Dunque l’attuale arcivescovo di Milano è stato, da giovane, di fatto espulso dal seminario milanese.

La vicenda finisce su Wikipedia, che cita la fonte: l’articolo del Fatto. A questo punto, però, si muove padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana. Contatta, con estrema cortesia, il sottoscritto, chiedendogli se è in grado d’indicargli la via per far cambiare la voce di Wikipedia, poiché questa mette in grave imbarazzo un altro cardinale, monsignor Attilio Nicora, il quale nega di aver “fermato” Scola: questi viene ordinato sacerdote nel luglio 1970, mentre Nicora diventa rettore del seminario milanese soltanto nell’ottobre successivo. Chi scrive non sa dare al gentilissimo padre Lombardi alcuna indicazione utile su come cambiare una voce di Wikipedia. Ma passano alcune settimane e accade il miracolo.

Dall’enciclopedia on line scompare la notizia di Scola “fermato” per “settarismo”, sostituita da una nota che dice così: “Gianni Barbacetto, nel suo articolo ‘Scola a Milano, la rivincita del vescovo di Cl’, sostenne che ‘alla vigilia dell’ordinazione il rettore Attilio Nicora decide di fermare il giovane Scola’, perché aderente al movimento di Cl. Questa vicenda non trova conferma nella realtà, in quanto Scola fu ordinato nel luglio 1970 e Attilio Nicora divenne rettore del seminario solo il 7 ottobre 1970. Lo spostamento di Scola a Teramo fu motivato dalla decisione dei suoi superiori a Venegono di attendere 18 mesi di ferma militare prima della sua ordinazione; Scola preferì invece essere ordinato subito”.

Ammettiamo allora che non sia vera la vox populi che attribuisce proprio a Nicora - non ancora rettore, ma già autorevole professore a Venegono - la decisione di “fermare” il ciellino candidato al sacerdozio. La decisione formale è quindi del rettore precedente, l’indimenticato monsignor Bernardo Citterio. Ma la sostanza resta immutata: la diocesi di Milano sceglie di non procedere neppure all’ordinazione diaconale di Scola, che gli avrebbe evitato il servizio militare. È di fatto un’espulsione.

Vecchie storie degli anni Settanta, in cui le passioni ideologiche erano forti, a destra, a sinistra e anche nella Chiesa. Nei decenni successivi, Scola non ha mancato di dimostrare libertà di pensiero e autonomia anche dal movimento in cui è cresciuto. Ma i fatti restano fatti: Wikipedia ora cambierà di nuovo la voce su Scola, cardinale arcivescovo di Milano e, chissà, possibile futuro papa?

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Commenti Articolo 957

Titolo articolo : Maria Madre di Dio – A – B - C / 1° Gennaio,di Paolo Farinella, prete

Ultimo aggiornamento: December/29/2011 - 15:22:27.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/12/2011 15.22
Titolo:QUANDO GIUSEPPE PADRE DI DIO?!?
PER LA CHIESA CATTOLICA, SAN GIUSEPPE E’ ANCORA UN "GOJ", UNO STRANIERO.

LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA E’ ZOPPA E CIECA: IL FIGLIO HA PRESO IL POSTO DEL PADRE DI GESU’ E DEL "PADRE NOSTRO" E FA IL SANTO "PADRINO".... CON "MAMMONA" E "MAMMASANTISSIMA"!

GESU’, GIUSEPPE, SACRA FAMIGLIA?! RESTITUIRE L’ANELLO DEL PESCATORE A GIUSEPPE... E ANNUNCIARE LA BUONA-NOVELLA!!!

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La ’buona’ novella cattolica e la grande \"risata\" di Luigi Pirandello:

Un “goj”

di Luigi Pirandello *

Il signor Daniele Catellani, mio amico, bella testa ricciuta e nasuta - capelli e naso di razza - ha un brutto vizio: ride nella gola in un certo modo così irritante, che a molti, tante volte, viene la tentazione di tirargli uno schiaffo.

Tanto più che, subito dopo, approva ciò che state a dirgli. Approva col capo; approva con precipitosi:
Già, già! già, già! Come se poc’anzi non fossero state le vostre parole a provocargli quella dispettosissima risata.

Naturalmente voi restate irritati e sconcertati. Ma badate che è poi certo che il signor Daniele Catellani farà come voi dite. Non c’è caso che s’opponga a un giudizio, a una proposta, a una considerazione degli altri.

Ma prima ride.

Forse perché, preso alla sprovvista, là, in un suo mondo astratto, così diverso da quello a cui voi d’improvviso lo richiamate, prova quella certa impressione per cui alle volte un cavallo arriccia le froge e nitrisce. Della remissione del signor Daniele Catellani e della sua buona volontà d’accostarsi senz’urti al mondo altrui, ci sono del resto non poche prove, della cui sincerità sarebbe, io credo, indizio di soverchia diffidenza dubitare.

Cominciamo che per non offendere col suo distintivo semitico, troppo apertamente palesato dal suo primo cognome (Levi), l’ha buttato via e ha invece assunto quello di Catellani.

Ma ha fatto anche di più. S’è imparentato con una famiglia cattolica, nera tra le più nere, contraendo un matrimonio cosiddetto misto, vale a dire a condizione che i figliuoli (e ne ha già cinque) fossero come la madre battezzati, e perciò perduti irremissibilmente per la sua fede. Dicono però che quella risata così irritante del mio amico signor Catellani ha la data appunto di questo suo matrimonio misto.

A quanto pare, non per colpa della moglie, però, bravissima signora, molto buona con lui, ma per colpa del suocero, che è il signor Pietro Ambrini, nipote del defunto cardinale Ambrini, e uomo d’intransigentissimi principii clericali.

Come mai, voi dite, il signor Daniele Catellani andò a cacciarsi in una famiglia munita d’un futuro suocero di quella forza? Mah!

Si vede che, concepita l’idea di contrarre un matrimonio misto, volle attuarla senza mezzi termini; e chi sa poi, fors’anche con l’illusione che la scelta stessa della sposa d’una famiglia così notoriamente divota alla santa Chiesa cattolica, dimostrasse a tutti che egli reputava come un accidente involontario, da non doversi tenere in alcun conto, l’esser nato semita.

Lotte acerrime ebbe a sostenere per questo matrimonio. Ma è un fatto che i maggiori stenti che ci avvenga di soffrire nella vita sono sempre quelli che affrontiamo per fabbricarci con le nostre stesse mani la forca. Forse però - almeno a quanto si dice non sarebbe riuscito a impiccarsi il mio amico Catellani, senza l’aiuto non del tutto disinteressato del giovine Millino Ambrini, fratello della signora, fuggito due anni dopo in America per ragioni delicatissime, di cui è meglio non far parola.

Il fatto è che il suocero, cedendo obtorto collo alle nozze, impose alla figlia come condizione imprescindibile di non derogare d’un punto alla sua santa fede e di rispettare col massimo zelo tutti i precetti di essa, senza mai venir meno a nessuna delle pratiche religiose. Pretese inoltre che gli fosse riconosciuto come sacrosanto il diritto di sorvegliare perché precetti e pratiche fossero tutti a uno a uno osservati scrupolosamente, non solo dalla nuova signora Catellani, ma anche e più dai figliuoli che sarebbero nati da lei.

Ancora, dopo nove anni, non ostante la remissione di cui il genero gli ha dato e seguita a dargli le più lampanti prove, il signor Pietro Ambrini non disarma. Freddo, incadaverito e imbellettato, con gli abiti che da anni e anni gli restano sempre nuovi addosso e quel certo odore ambiguo della cipria, che le donne si dànno dopo il bagno, sotto le ascelle e altrove, ha il coraggio d’arricciare il naso, vedendolo passare, come se per le sue nari ultracattoliche il genero non si sia per anche mondato del suo pestilenzialissimo foetor judaicus. Lo so perché spesso ne abbiamo parlato insieme.

Il signor Daniele Catellani ride in quel suo modo nella gola, non tanto perché gli sembri buffa questa vana ostinazione del fiero suocero a vedere in lui per forza un nemico della sua fede, quanto per ciò che avverte in sé da un pezzo a questa parte.

Possibile, via, che in un tempo come il nostro, in un paese come il nostro, debba sul serio esser fatto segno a una persecuzione religiosa uno come lui, sciolto fin dall’infanzia da ogni fede positiva e disposto a rispettar quella degli altri, cinese, indiana, luterana, maomettana?

Eppure, è proprio così. C’è poco da dire: il suocero lo perseguita. Sarà ridicola, ridicolissima, ma una vera e propria persecuzione religiosa, in casa sua, esiste. Sarà da una parte sola e contro un povero inerme, anzi venuto apposta senz’armi per arrendersi; ma una vera e propria guerra religiosa quel benedett’uomo del suocero gliela viene a rinnovare in casa ogni giorno, a tutti i costi, e con animo inflessibilmente e acerrimamente nemico.

Ora, lasciamo andare che - batti oggi e batti domani - a causa della bile che già comincia a muoverglisi dentro, l’homo judaeus prende a poco a poco a rinascere e a ricostituirsi in lui, senza ch’egli per altro voglia riconoscerlo. Lasciamo andare. Ma lo scadere ch’egli fa di giorno in giorno nella considerazione e nel rispetto della gente per tutto quell’eccesso di pratiche religiose della sua famiglia, così deliberatamente ostentato dal suocero, non per sentimento sincero, ma per un dispetto a lui e con l’intenzione manifesta di recare a lui una gratuita offesa, non può non essere avvertito dal mio amico signor Daniele Catellani.

E c’è di più. I figliuoli, quei poveri bambini così vessati dal nonno, cominciano anch’essi ad avvertir confusamente che la cagione di quella vessazione continua che il nonno infligge loro, dov’essere in lui, nel loro papà. Non sanno quale, ma in lui dov’essere di certo. Il buon Dio, il buon Gesù - (ecco, il buon Gesù specialmente!) - ma anche i Santi, oggi questo e domani quel Santo, ch’essi vanno a pregare in chiesa col nonno ogni giorno, è chiaro ormai che hanno bisogno di tutte quelle loro preghiere, perché lui, il papà, deve aver fatto loro, di certo, chi sa che grosso male! Al buon Gesù, specialmente!

E prima d’andare in chiesa, tirati per mano, si voltano, poveri piccini, ad allungargli certi sguardi così densi di perplessa angoscia e di dogliosa rimprovero, che il mio amico signor Daniele Catellani si metterebbe a urlare chi sa quali imprecazioni, se invece... se invece non preferisse buttare indietro la testa ricciuta e nasuta e prorompere in quella sua solita risata nella gola.

Ma sì, via! Dovrebbe ammettere altrimenti sul serio d’aver commesso un’inutile vigliaccheria a voltar le spalle alla fede dei suoi padri, a rinnegare nei suoi figliuoli il suo popolo eletto: ’am olam, come dice il signor Rabbino. E dovrebbe sul serio sentirsi in mezzo alla sua famiglia un goj, uno straniero; e sul serio infine prendere per il petto questo suo signor suocero cristianissimo e imbecille, e costringerlo ad aprir bene gli occhi e a considerare che, via, non è lecito persistere a vedere nel suo genero un deicida, quando in nome di questo Dio ucciso duemil’anni fa dagli ebrei, i cristiani che dovrebbero sentirsi in Cristo tutti quanti fratelli, per cinque anni si sono scannati tra loro allegramente in una guerra che, senza pregiudizio di quelle che verranno, non aveva avuto finora l’eguale nella storia.

No, no, via! Ridere, ridere. Son cose da pensare e da dir sul serio al giorno d’oggi?

Il mio amico signor Daniele Catellani sa bene come va il mondo. Gesù, sissignori. Tutti fratelli. Per poi scannarsi tra loro. E naturale. E tutto a fil di logica, con la ragione che sta da ogni parte: per modo che a mettersi di qua non si può fare a meno d’approvare ciò che s’è negato stando di là.

Approvare, approvare, approvar sempre. Magari, sì, farci sì prima, colti alla sprovvista, una bella risata. Ma poi approvare, approvar sempre, approvar tutto. Anche la guerra, sissignori.

Però (Dio, che risata interminabile, quella volta!) però, ecco, il signor Daniele Catellani volle fare, l’ultimo anno della grande guerra europea, uno scherzo al suo signor suocero Pietro Ambrini, uno scherzo di quelli che non si dimenticano più.

Perché bisogna sapere che, nonostante gran carneficina, con una magnifica faccia tosta il signor Pietro Ambrini, quell’anno, aveva pensato di festeggiare, per i cari nipotini, la ricorrenza del Santo Natale più pomposamente che mai. E s’era fatti fabbricare tanti e tanti pastorelli di terracotta: i pastorelli che portano le loro umili offerte alla grotta di Bethlehem, al Bambinello Gesù appena nato: fiscelle di candida ricotta panieri d’uova e cacio raviggiolo, e anche tanti Franchetti di Soffici pecorelle e somarelli carichi anch’essi d’altre più ricche offerte, seguiti da vecchi massari e da campieri. E sui cammelli, ammantati, incoronati e solenni, i tre re Magi, che vengono col loro seguito da lontano lontano dietro alla stella cometa che s’è fermata su la grotta di sughero, dove su un po’ di paglia vera è il roseo Bambinello di cera tra Maria e San Giuseppe; e San Giuseppe ha in mano il bàcolo fiorito, e dietro sono il bue e l’asinello.

Aveva voluto che fosse ben grande il presepe quell’anno, il caro nonno, e tutto bello in rilievo, con poggi e dirupi, agavi e palme, e sentieri di campagna per cui si dovevano veder venire tutti quei pastorelli ch’eran perciò di varie dimensioni, coi loro branchetti di pecorelle e gli asinelli e i re Magi.

Ci aveva lavorato di nascosto per più d’un mese, con l’aiuto di due manovali che avevan levato il palco in una stanza per sostener la plastica. E aveva voluto che fosse illuminato da lampadine azzurre in ghirlanda; e che venissero dalla Sabina, la notte di Natale, due zampognari a sonar l’acciarino e le ciaramelle. I nipotini non ne dovevano saper nulla.

A Natale, rientrando tutti imbacuccati e infreddoliti dalla messa notturna, avrebbero trovato in casa quella gran sorpresa: il suono delle ciaramelle, l’odore dell’incenso e della mirra, e il presepe là, come un sogno, illuminato da tutte quelle lampadine azzurre in ghirlanda. E tutti i casigliani sarebbero venuti a vedere, insieme coi parenti e gli amici invitati al cenone, questa gran maraviglia ch’era costata a nonno Pietro tante cure e tanti quattrini.

Il signor Daniele lo aveva veduto per casa tutto assorto in queste misteriose faccende, e aveva riso; aveva sentito le martellate dei due manovali che piantavano il palco di là, e aveva riso.

Il demonio, che gli s’è domiciliato da tanti anni nella gola, quell’anno, per Natale, non gli aveva voluto dar più requie: giù risate e risate senza fine. Invano, alzando le mani, gli aveva fatto cenno di calmarsi; invano lo avena ammonito di non esagerare, di non eccedere. - Non esagereremo, no! - gli aveva risposto dentro il demonio. - Sta’ pur sicuro che non eccederemo. Codesti pastorelli con le fiscelline di ricotta e i panierini d’uova e il cacio raviggiolo sono un caro scherzo, chi lo può negare? così in cammino tutti verso la grotta di Bethlehem! Ebbene, resteremo nello scherzo anche noi, non dubitare! Sarà uno scherzo anche il nostro, e non meno carino. Vedrai.

Così il signor Daniele s’era lasciato tentare dal suo demonio; vinto sopra tutto da questa capziosa considerazione: che cioè sarebbe restato nello scherzo anche lui.

Venuta la notte di Natale, appena il signor Pietro Ambrini con la figlia e i nipotini e tutta la servitù si recarono in chiesa per la messa di mezzanotte, il signor Daniele Catellani entrò tutto fremente d’una gioia quasi pazzesca nella stanza del presepe: tolse via in fretta e furia i re Magi e i cammelli, le pecorelle e i somarelli, i pastorelli del cacio raviggiolo e dei panieri d’uova e delle fiscelle di ricotta - personaggi e offerte al buon Gesù, che il suo demonio non aveva stimato convenienti al Natale d’un anno di guerra come quello - e al loro posto mise più propriamente, che cosa? niente, altri giocattoli: soldatini di stagno, ma tanti, ma tanti, eserciti di soldatini di stagno, d’ogni nazione, francesi e tedeschi, italiani e austriaci, russi e inglesi, serbi e rumeni, bulgari e turchi, belgi e americani e ungheresi e montenegrini, tutti coi fucili spianati contro la grotta di Bethlehem, e poi, e poi tanti cannoncini di piombo, intere batterie, d’ogni foggia, d’ogni dimensione, puntati anch’essi di sé, di giù, da ogni parte, tutti contro la grotta di Bethlehem, i quali avrebbero fatto veramente un nuovo e graziosissimo spettacolo.

Poi si nascose dietro il presepe.

Lascio immaginare a voi come rise là dietro, quando, alla fine della messa notturna, vennero incontro alla meravigliosa sorpresa il nonno Pietro coi nipotini e la figlia e tutta la folla degli invitati, mentre già l’incenso fumava e i zampognari davano fiato alle loro ciaramelle.

* LUIGI PIRANDELLO, UN «GOJ», Novelle per un anno, Mondadori.

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Commenti Articolo 958

Titolo articolo : Mario Monti e la Goldmansizzazione dell’ Europa: golpe alla democrazia?,di Giovanna Mulas

Ultimo aggiornamento: December/28/2011 - 19:08:46.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/12/2011 19.08
Titolo:SALVARE L'ITALIA: FORZA ITALIA!!!
IL GRANDE INCIUCIO: COME L’ITALIA, UN PAESE E UN POPOLO LIBERO, ROVINO’ CON IL "GIOCO" DEL PARTITO CON IL PROPRIO NOME E CON LA "OVVIA" PRESENZA DI "DUE PRESIDENTI DELLA REPUBBLICA"... E FU PRONTO PER LA "GOLDMANSIZZAZIONE" !!!

ITALIA (1994-2011): UNA DIARCHIA DI FATTO...

TRE PRESIDENTI: OSCAR LUIGI SCALFARO (1992-1999), CARLO AZEGLIO CIAMPI (1999-2006), GIORGIO NAPOLITANO (2006-2011), E IL PARTITO DEL FALSO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DEL "POPOLO DELLA LIBERTA’": "FORZA ITALIA"!!!

L’ITALIA (1994-2011), TRE PRESIDENTI DELLA REPUBBLICA SENZA "PAROLA", E I FURBASTRI CHE SANNO (COSA SIGNIFICA) GRIDARE "FORZA ITALIA".

CEDUTA LA "PAROLA" (1994) E CANCELLATA LA DIFFERENZA TRA LA VERITA’ ("ITALIA") E LA MENZOGNA ("FORZA ITALIA"), L’ ITALIA E’ GIUNTA AL CAPOLINEA ... CHE GRANDE "POPOLO DELLA LIBERTA’"!!!


Federico La Sala

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Commenti Articolo 959

Titolo articolo : IN NOME DI VIRGILIO,di Sebastiano Saglimbeni

Ultimo aggiornamento: December/28/2011 - 18:00:19.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/12/2011 18.00
Titolo:Tutti i volti del poeta che cambiò il mondo ....
Cercando Virgilio

Tutti i volti del poeta che cambiò il mondo

di Francesca Montorfano (Corriere della Sera, 16.10.2011)

Quando nell’autunno del 1896, dagli scavi di una villa romana presso Hadrumetum (l’odierna Sousse, in Tunisia) venne alla luce quel mosaico del III secolo dopo Cristo, apparve subito chiaro che si trattava di una scoperta dalla portata straordinaria. Tra Calliope, musa della poesia epica, e Melpomene, musa di quella tragica, era infatti seduto Virgilio, lo sguardo assorto, il rotolo con alcuni versi dell’Eneide in mano, il volto dai tratti ben caratterizzati.

Morto nel 19 avanti Cristo, a 51 anni, di ritorno da un viaggio in Grecia, il sommo poeta aveva conosciuto subito un’immensa fortuna e la sua immagine, la sua vicenda biografica e letteraria, ispirato un numero infinito di opere d’arte e affascinato nei secoli Leonardo, Giorgione e Michelangelo, così come Petrarca e Boccaccio, Ariosto e Leopardi, che volle addirittura essere sepolto accanto a lui o Thomas Eliot, che negli anni bui della Seconda Guerra Mondiale a Virgilio si riferirà come a un modello superiore di classicità e armonia. Tuttavia la scoperta avvenuta in terra d’Africa aveva qualcosa di diverso, di più.

Non rappresentava solo un’altissima testimonianza dell’influenza culturale romana anche in quei luoghi, ma un’iconografia nuova del poeta, forse l’unica, credibile immagine del volto di Virgilio, probabilmente derivata da un ritratto eseguito quando era ancora in vita.

Oggi il celeberrimo mosaico conservato nel Museo del Bardo di Tunisi è per la prima volta uscito dai confini nazionali ed esposto a Palazzo Te, nella bella mostra curata da Vincenzo Farinella e voluta nella città che al poeta ha dato i natali e che già nel 1190 un’iscrizione celebrava come urbs virgiliana.

Sarà proprio Virgilio, cantore del viaggio di Enea e guida d’eccezione nella Divina Commedia, a condurci lungo un percorso millenario che dall’epoca classica, dal Medioevo e dal Rinascimento arriva al Barocco al Romanticismo e al Novecento, a scoprire tutta la forza seduttiva che il suo volto e la sua opera hanno esercitato su letterati e artisti, autori sconosciuti come maestri celebrati.

Pochi altri autori classici si sono rivelati così attuali, aperti ad ogni stimolo come Virgilio, mantovano di nascita, milanese di formazione, romano d’adozione, pugliese per morte, partenopeo per sepoltura.

«La sua modernità consiste anche nella capacità di vivere il suo tempo, in quella consapevolezza del presente che lo porterà a coniugare arte e potere, a scrivere l’Eneide su commissione di Augusto per celebrare la romanità e la pace dopo anni di lotte politiche e sociali e nel contempo creare un altissimo capolavoro, così come dopo di lui farà Raffaello nelle Stanze Vaticane - commenta Vincenzo Farinella -. Pregio di questa mostra è la possibilità di apprezzare tutta la grandezza del poeta non solo attraverso i versi che ha scritto, ma anche attraverso le immagini che a lui si riferiscono, più di sessanta pezzi tra sculture, incisioni, monete, medaglie, antiche edizioni a stampa illustrate, dipinti e bozzetti attentamente selezionati, che ne documentano la fama goduta nei secoli.

Opere famose, ma anche poco note o pressoché inedite pur di altissima qualità, come la seicentesca "Morte di Didone" di Pietro Testa per lungo tempo ritenuta perduta e riemersa dai depositi degli Uffizi dopo un recente restauro, un capolavoro di forte tensione drammatica un tempo attribuito addirittura a Poussin, o le edizioni del corpus virgiliano dalle illustrazioni manieriste su disegni del Beccafumi e messe qui a confronto con la celeberrima edizione di Strasburgo del 1502, curata dal grande umanista Sebastiano Brant e resa ancora più preziosa da xilografie acquarellate».

Tanti i «volti» del poeta che è possibile ricostruire con i pezzi esposti nella suggestiva Ala Napoleonica dove è allestita la mostra.

Dal Virgilio in cattedra in marmo rosso di Verona, emblema civico e politico della Mantova duecentesca, a una stampa del Mocetto, a un frammento di affresco del poeta con la sirinx, il flauto a più canne, forse di Rinaldo Mantovano, al disegno autografo di Giulio Romano conservato a Monaco di Baviera, alla ricca numismatica di epoca gonzaghesca, dove Virgilio viene rappresentato quasi una sorta di nume protettivo fino ai giorni dell’ottavo duca, Carlo I Gonzaga Nevers (1627-1637).

A raccontare la fortuna figurativa di Virgilio sono quindi le grandi tele sei e settecentesche ispirate a motivi letterari, a episodi della Divina Commedia e dell’Eneide, come quelle di Filippo Napoletano e di Rutilio Manetti, dove è messo in scena l’ingresso dei due poeti nel regno degli Inferi o quella, rococò, di Sebastiano Conca, con l’episodio di Enea nei Campi Elisi.

In epoca neoclassica e preromantica sarà invece il sepolcro del poeta a Piedigrotta, diventato quasi una tappa obbligata del Grand Tour, a influenzare la sensibilità di artisti e viaggiatori, tra cui Joseph Wright of Derby che durante un soggiorno in Campania rimase talmente suggestionato dall’atmosfera del luogo da dipingerne ben sei vedute.

Ma la presenza, l’eredità di Virgilio, non si è mai affievolita, si è dimostrata viva e vitale anche nelle epoche successive, nel Novecento. Come dimostrano i tanti progetti e bozzetti per il monumento che nel 1927 Mantova ha dedicato al suo glorioso cittadino, «de li altri poeti onore e lume» e che chiudono cronologicamente il percorso.

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Così il «padre dell’Occidente» apparve sulla montagna sacra

Al centro dello scontro fra romanità e germanesimo

di Luciano Canfora (Corriere della Sera, 16.10.2011)

Lo scontro tra romanità e germanesimo è forse la costante principale nella storia intellettuale del nostro continente. E Virgilio costituisce la figura centrale di questa storia. Virgilio «padre dell’Occidente», secondo la visione di un grande interprete tedesco della cultura latina e italiana, Rudolf Borchardt (1877-1945).

Nel 1930, quando il bimillenario virgiliano divampava non solo in Italia, egli scrisse un mirabile saggio intitolato Virgilio. Scrive Borchardt: «La Germania rimasta libera, che nel Cinquecento alla Chiesa, erede sacra dell’autorità di Roma, contrappose la Scrittura e lo scisma, ha contrapposto conseguentemente, tre secoli più tardi, Omero e l’ellenismo a Virgilio, da cui si dichiarava emancipata. Ma l’Occidente, quella famiglia culturale rimasta umanistica, mai divenuta ellenica e omerica, porta quel nome inciso nelle pietre delle sue fondamenta; conserva issata, altissima e lontana, di tutti e di ognuno, questa figura di Virgilio. Egli è il capostipite dell’intera poesia illustre di Francia e di Olanda, di Spagna e Portogallo, e per gran parte, di qua e di là del confine antico, anche di quella inglese e germanica, così come è custode e insieme espressione della carta costitutiva della civiltà italiana, l’atto di nascita della sua poesia nazionale».

E proseguiva osservando che «più saldamente di ogni sua razza, stato e popolo», il concetto di Europa converge nel nome di Virgilio. Così, pochi anni prima dell’ondata pangermanistica e anti-romana innescata dal nazismo, l’ebreo di Königsberg Rudolf Borchardt, convertitosi al calvinismo durante la guerra, catturato dalla Gestapo nei pressi di Lucca nel 1944, deportato verso la Germania e morto a Innsbruck al principio del ’45, apriva la strada a quella valorizzazione del mondo latino come essenza europea che avrebbe costituito per altre vie e grazie ad altri studiosi e in virtù di complicati intrecci - ivi compresa la tensione tra le due potenze dell’«Asse» -, la risposta umanistica, dell’umanesimo filo-latino, alla rivendicazione politico-razziale della supremazia germanica sull’Europa. Non era stato lineare il cammino intellettuale di Borchardt nei critici primi anni di vita della neonata e poco amata prima repubblica tedesca.

Itinerario, il suo, per certi versi analogo a quello di Thomas Mann, approdato, dopo le inquietanti Considerazioni di un impolitico (1918), impregnate dell’idea di una specificità germanica minacciata dall’occidentalismo, alla straordinaria e accesa disputa tra Naphta e Settembrini intorno alla figura di Virgilio (La montagna magica, sesto capitolo).

La polemica Naphta-Settembrini è l’architrave ideologico, che mette a contrasto liberalismo e rivoluzione. Non a caso il personaggio Naphta scaturisce dalla diretta conoscenza che Mann fece di György Lukács a Vienna nel 1922. Lo scontro tra i due su Virgilio è forse il cuore di quella battaglia sfociata di lì a non molto in un vero e proprio duello. Naphta, che riconosce e ammira la grandezza di Dante, trova che l’adesione profonda di Dante alla figura di Virgilio non sarebbe dovuta che ad una «pregiudiziale benevolenza nei confronti della sua epoca». Dante, secondo Naphta, ha attribuito indebito rilievo «a quel mediocre versificatore», «laureato di corte e leccapiedi della stirpe Giulia, letterato metropolitano, retore pomposo senza una scintilla di creatività», per nulla poeta, «bensì un francese con parrucca a boccoli dell’epoca augustea» (cito dalla traduzione, ormai insostituibile, di Renata Colorni).

Donde tanta acrimonia, e perché per il rivoluzionario-gesuita Naphta Virgilio è un così aborrito bersaglio? Naphta si richiama esplicitamente ai «maestri della giovane chiesa» (cristiana), i quali «non si erano stancati di mettere in guardia dalle menzogne dei poeti e dei filosofi dell’antichità e in particolare dallo sporcarsi le mani con il fiorito eloquio di Virgilio»: un insegnamento che torna attuale, secondo Naphta, «oggi che un’epoca scende nella tomba e una nuova alba proletaria va spuntando». In sostanza, Naphta si fa assertore di un ritorno alla rivoluzione culturale cristiana volta alla distruzione dei classici, a fare table rase come rozzamente si diceva nel 1968. Se dietro Naphta c’è Lukács, il Lukács iperbolscevico dei primi anni Venti, allora questa equiparazione tra rivoluzione culturale cristiana e alba proletaria ben si comprende giacché l’accostamento tra l’antica rivoluzione cristiana e la moderna rivoluzione proletaria era già stato un topos della riflessione per esempio di Engels, ma anche di Kautzky e, decenni dopo, di Deutscher.

Il bivio dinanzi al quale il pensiero cristiano si era trovato dopo la generazione dei «maestri della giovane chiesa», era stato tra la tabula rasa e il recupero quanto possibile ampio della cultura passata, nel nome di una asserita, non sempre ben argomentabile, continuità. E Virgilio era, poté efficacemente essere, l’architrave, l’asse portante di tale continuità. Un ruolo che trova il suo culmine nella scelta dantesca di farne la guida nel viaggio ultraterreno descritto nelle prime due cantiche della Commedia.

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Titolo articolo : Gnocca.it,Bruno Gambardella

Ultimo aggiornamento: December/25/2011 - 19:12:32.

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Autore Città Giorno Ora
Giovanni Sarubbi Monteforte Irpino 25/12/2011 19.12
Titolo:Una precisazione
Caro Bruno,
niente da dire sul tuo articolo e soprattutto sulle tue conclusioni. Si tratta di una cosa "molto, molto triste…" e, per quel che mi riguarda, anche molto disgustosa.
Per chiarezza rispetto ai lettori del nostro sito, mi corre l'obbligo di precisare che come redazione non abbiamo mai discusso del tema della cosiddetta "legalizzazione della prostituzione", di cui tu parli, e che quindi ciò che tu scrivi è una tua posizione personale non necessariamente condivisa da tutta la redazione, a cominciare da me che considero la prostituzione una cosa aberrante e lesiva della dignità della donna. Nella redazione fra l'altro ci sono quasi la metà di donne ed è sicuramente interessante discutere della questione che tu poni.
Giovanni Sarubbi - direttore www.ildialogo.org

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Commenti Articolo 961

Titolo articolo : NATALE 2011: LA GRAZIA E LA VERITA' SECONDO IL MAGISTERO DI BENEDETTO XVI E SECONDO L'EVANGELISTA GIOVANNI. Una nota,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: December/21/2011 - 19:20:58.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/12/2011 18.46
Titolo:L'AMORE NON E' LO ZIMBELLO DEL TEMPO ....
SHAKESPEARE, SONETTO 116 *

Let me not to the marriage of true minds
Admit impediments. Love is not love
Which alters when it alteration finds,
Or bends with the remover to remove:
O, no! it is an ever-fixed mark,
That looks on tempests and is never shaken;
It is the star to every wandering bark,
Whose worth’s unknown, although his height be taken.
Love’s not Time’s fool, though rosy lips and cheeks
Within his bending sickle’s compass come;
Love alters not with his brief hours and weeks,
But bears it out even to the edge of doom.

If this be error, and upon me proved,
I never writ, nor no man ever loved.



Non sarà che all’unione di animi costanti
io ponga impedimenti: non è amore quell’amore
che muta quando scopre mutamenti
o tende a ritirarsi se l’altro si ritira.

Oh no, esso è un faro per sempre fisso
che guarda alle tempeste e mai ne è scosso;
è la stella polare per ogni nave errante,
e il suo volere resta ignoto, anche se l’altezza ne sia presa.

L’amore non è lo zimbello del Tempo, anche se rosee labbra e guance
cadono nel compasso della sua falce ricurva;
l’amore non muta con le sue brevi ore e settimane,
ma resiste fino all’orlo del Giudizio.

Se questo è errore e mi sia provato,
io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.

* William Shakesperare, Sonetti, a cura di Alessandro Serpieri, Rizzoli, Milano 1991.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/12/2011 19.20
Titolo:Cantico dei cantici (8.6)
AMORE E' PIU' FORTE DI MORTE:


Cfr.: Cantico dei cantici, traduzione e cura di Giovanni Garbini, Paideia, Brescia 1992.

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Commenti Articolo 962

Titolo articolo : IL VERBO SI FECE CARNE E VENNE AD ABITARE IN MEZZO A NOI,di p. Alberto Maggi OSM

Ultimo aggiornamento: December/20/2011 - 21:16:37.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/12/2011 21.16
Titolo:E "noi" subito ci affrettammo ad aprire tante "macellerie"
SULLA GRAZIA E LA VERITA' ....


IL VERBO SI FECE CARNE E VENNE AD ABITARE IN MEZZO A NOI .... E "noi" subito ci affrettammo ad aprire tante "macellerie" in cui poter vendere finalmente anche la "carne" di Dio a caro prezzo ("caritas")!!!


TUTTO IL PROLOGO DI GIOVANNI PARLA DI GRAZIA (CHARIS, CHARITOS, ... *CHARITAS*) MA ORMAI SI PREDICA (SI VENDE) LA "CARNE" DI DIO SECONDO LE "TARIFFE" DI BENEDETTO XVI ("Deus caritas est", 2006), A CARISSIMO PREZZO ("CARITAS") (IN TUTTI I LUOGHI (E CON LA PRETESA DI NON PAGARE NEMEMNO L'I.C.I)!!! Così l'eu-charistia è diventata una eu-carestia per tutti gli esseri umani... e un grandissimo affare per tutto l'ordine sacerdotale e per tutta la gerarchia cattolico-romana!!!


Federico La Sala

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Commenti Articolo 963

Titolo articolo : Le confessioni religiose si presentano,

Ultimo aggiornamento: December/20/2011 - 11:21:47.

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Autore Città Giorno Ora
filippo angileri trapani 20/12/2011 11.21
Titolo:Le confessioni religiose si presentano.
Sono felice nel constatare l'apertura mentale del giornale "Il Dialogo" nel dare spazio a tutte le Religioni e, in particolare, nell'intervista a Annalisa Soddu, intervista che trovo veramente valida ed ottima. Ringrazio immensamente la direzione, e faccio tanti auguri.
filippo Angileri

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Commenti Articolo 964

Titolo articolo : PERCHE’ NON PENSARE A UNA FABBRICA SENZA PADRONE?,di Agostino Spataro

Ultimo aggiornamento: December/19/2011 - 15:29:00.

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Autore Città Giorno Ora
Giuliana Vallarino Celle 27/11/2011 21.23
Titolo:I lavoratori sono persone libere, senza padroni
Mi piace l'idea
Dobbiamo diventare responsabli della ns via, del ns lavoro
E' il lavoro che comanda, o meglio il senso del lavoro, non una persona, che per natura è uguale ad un'altra
Una persona condivide con le altre lo stesso tempo e spazio, materia, a volte anche il nome, ma niente di più
Non può entrare nel mondo, non può condizionare la vita di altre persone
Autore Città Giorno Ora
Raul Ariel Lopez Nunes Riccò del Golfo di Spezia 19/12/2011 15.29
Titolo:Fabbrica senza padrone
Certo che sarebbe bello una fabbrica senza padrone, un'associazione di persone senza stato, la libera circolazione delle persone nel mondo, l'abolizione della guerra come strumento di controversie. Bellissimo, ma improponibile, finché la maggior parte delle persone guarda alla punta del proprio naso, invece d'alzare la testa e preferisce inveire contro l'autorità di turno, invece di prendere la responsabilità della propria vita. I padroni ci sono perché è la gente che li vuole. Se no non si spiegherebbe come un Berlusconi possa aver governato l'Italia per vent'anni.

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Commenti Articolo 965

Titolo articolo : PAROLA D'ORDINE : DISOBBEDIENZA!,di Antonio Repetto

Ultimo aggiornamento: December/18/2011 - 20:07:21.

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Autore Città Giorno Ora
Enrico Dal Checco TORINO 12/12/2011 16.31
Titolo:condivisione dell'iniziativa
Per ora sono disposto a firmare pubblicamente la mia adesione al"manifesto" di Antonio Repetto. Pace e Bene!
Autore Città Giorno Ora
anna lauria padova 12/12/2011 20.46
Titolo:Tre Lettere!
Tre Lettere:

P come Pace
A come Amore
G come giustizia!

Tre Lettere semplici per dire non ci sto!
Tre Lettere semplici per dire basta!
Tre Lettere semplici per aprire i cuori alla speranza e alla fede.
Tre Lettere semplici per fare e divenire la Volontà di Dio Padre!

In Giovanni 4:34 leggiamo infatti:
"Yahushua (conosciuto come Gesu') disse loro: il mio cibo è far la Volontà di colui che mi ha mandato, e compiere l'opera sua".
Autore Città Giorno Ora
MARIA REGINA BRUN CASTEL D'ARIO MN 13/12/2011 08.27
Titolo:sostegno alla campagna di Antonio Repetto
Condivido pienamente la campagna di nonviolenza attiva di Antonio perchè anch'io sono a favore delle politiche che promuovono e valorizzano la vita e non delle politiche che provocano morte, odio e divisione tra le popolazioni. Sembra che gli orrori della storia non aiutino i nostri governanti a fare scelte coraggiose in favore della vita. E la nostra chiesa a livello ufficiale è troppo tiepida...
Autore Città Giorno Ora
Giuseppe Ziviani Altavilla Vicentina 15/12/2011 13.10
Titolo:Adesione
Partecipo con passione alla proposta di Antonio
Autore Città Giorno Ora
maria gianotti verano brianza 18/12/2011 20.07
Titolo:disobbedienza antonio repetto
Grazie per il gesto di disobbedienza, di dignità e coraggio. Spero che possiamo pensare a gesti collettivi. grazie ancora

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Commenti Articolo 966

Titolo articolo : IL NATALE E LA CHIESA DI QUALE "CRISTO"? Dopo l'Irlanda e gli Stati Uniti, l'Olanda si aggiunge alla lista nera dei paesi nei quali per decenni la Chiesa ha tollerato la vergogna degli abusi sessuali nei confronti dei minori in scuole, seminari e orfanotrofi. Una nota di Alessandro Oppes - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: December/17/2011 - 13:24:44.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/12/2011 10.48
Titolo:Un test su cui si misura la comprensione cristiana del rapporto uomo-mondo-Dio.
Sacerdozio e sessualità

Visto in se stesso, il problema potrebbe anche apparire secondario: una questione di disciplina ecclesiastica. Ma nelle sue radici assume un'importanza significativa: un test su cui si misura la comprensione cristiana del rapporto uomo-mondo-Dio


di Giuseppe Barbaglio (Adista, 69-70, 14 ottobre 1995)


Il dibattito teologico in corso riguarda specialmente l'ingresso delle donne nel ministero sacerdotale, ma resta pur sempre in primo piano anche l'ammissione di uomini sposati. Del resto, le due questioni non mancano di punti di contatto, perché - lo anticipo qui come enunciazione di tesi salvo mostrarne in seguito la plausibilità o fondatezza coinvolgono parimenti la valutazione e il vissuto della sessualità.

Vorrei, anzitutto, ripercorrere alcune tappe del cammino del popolo di Dio presentato nella Bibbia: mi riferisco, in concreto, all'antico Israele e alle prime comunità cristiane.

Ci possono offrire elementi importanti di riflessione in merito al nostro problema, che saranno oggetto di un secondo momento di riflessione.

1. Desacralizzazione della sessualità


Un confronto drammatico, di cui testimoni preziosi e attivi protagonisti furono i profeti, oppose le tribù israelitiche sedentarizzate nella terra di Canaan alla religione delle popolazioni residenti.

Queste esprimevano la loro apertura al trascendente a diretto contatto con la natura, da essi vissuta come madre generosa, dispensatrice di fecondità e di fertilità. Avere molti figli, guardare compiaciuti la crescita del gregge e godere dei frutti del campo, tutto ciò dava pienezza alla loro esistenza e sostanza a un ideale di vita felice. E in questa esperienza totalizzante credevano di incontrare le divinità sotto forma di forze personificate della natura, appunto delle forte vitalistiche e gratificanti della fertilità e fecondità.

Per questo il principio divino era duplice, maschile e femminile. Si rendeva dunque culto al dio Baal e alla dea Ashera con riti naturalistici e a carattere sessuale. Così nella grande festa del Nuovo Anno, di tradizione mesopotamica, il re si univa sessualmente con la grande sacerdotessa in un rito di "nozze sacre" dal valore sacramentale, capace di produrre la fertilità del campo e la fecondità del gregge e della popolazione. Per la stessa ragione esisteva il fenomeno della prostituzione sacra: le giovani donne in età da marito offrivano la loro verginità al dio unendosi sessualmente nell'area del tempio ai prostituti sacri, per impetrare il dono della fecondità matrimoniale.

Così la sessualità, vista soprattutto come esperienza procreativa,
faceva parte integrante del culto, perché dimensione essenziale della divinità, che era necessariamente sessuata, maschio o femmina. Una divinità naturalistica, si noti, non distinta in realtà dalla natura. In breve, il sesso era sfera "sacra", sottratto alla profanità del vivere e campo d'incontro con il dio.

Le tribù israelitiche, venute a contatto con le popolazioni residenti, subirono uno shock e soprattutto una grande attrattiva. I cedimenti idolatrici ai Baal - divinità maschili legate ai diversi luoghi di culto - e alle Ashera sono documentati nei libri dei profeti, con particolare forza in Geremia che non disdegna descrizioni di un crudo realismo: "Perché osi dire: Non mi sono contaminata, non ho seguito i Baal?" Considera i tuoi passi là nella valle, riconosci quello che hai
fatto, giovane cammella leggera e vagabonda, asina selvatica abituata al deserto: nell'ardore del suo desiderio aspira l'aria, chi può frenare la sua brama? Quanti la cercano non devono stancarsi: la
troveranno sempre nel suo mese. Basta che il tuo piede non resti scalzo e che la tua gola non si inaridisca. Ma tu rispondi: No. E' inutile, perché io amo gli stranieri, voglio seguirli" (2,23-25).

I profeti cercarono di erigere un argine, denunciando l'idolatria e richiamando il popolo alla fedeltà al proprio Dio, che non è né maschio né femmina e che soprattutto deve essere compreso e vissuto
come guida della storia umana. Certo, egli ha a che fare con la natura, ma come creatore che ha fatto i cieli e la terra, non come forza vitalistica della fecondità e fertilità. Queste sono forze del
mondo creato, di cui il popolo è esortato a ringraziare il munifico donatore e a farne libero uso.
L'esperienza sessuale è esperienza "profana", mondana: la sua vitalità procreativa è a disposizione dell'uomo, senza alcun bisogno di riti sacramentali impetratori.

La predicazione profetica dunque ha operato un processo di desacralizzazione e sdivinizzazione della natura e delle sue straordinarie potenzialità ed energie, dunque della sessualità. Restituito alla sua naturalità e privato di ogni aura divina e sacra, il sesso viene a far parte delle realtà buone, anzi molto buone del mondo creato,come si esprime la Genesi nella prima pagina: "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto
buona" (1,31).

Non solo nessuna divinizzazione del sesso, ma anche nessuna demonizzazione. Anzi non mancano nella Bibbia pagine che esaltano in termini lirici l'incanto dell'unione sessuale dell'amato e dell'innamorata, come fa il Cantico dei Cantici, in origine una raccolta di canti erotici ambientati nelle feste rurali di sposalizio. E questo spiega che il matrimonio in Israele fosse un fatto del tutto profano e mondano: nessuna liturgia, nessuna benedizione degli sposi, nessuna salita al tempio.

Su questo sfondo si capisce che la tradizione biblica del sacerdozio israelitico non abbia posto alcuna preclusione di carattere sessuale: i sacerdoti erano sposati, pure il sommo sacerdote, avevano una normale esperienza sessuale. Certo, durante i giorni del loro servizio liturgico se ne astenevano per motivi igienici e soprattutto in forza di tabù arcaici che poggiavano su una concezione del culto e del rito come spazio separato, sfera a sé stante, in cui l'uomo entra lasciando
alle spalle la profanità della sua esistenza mondana.

Per lo stesso motivo tabuistico, per es., la donna in stato mestruale non poteva partecipare al culto e chi aveva un cadavere in casa, essendone in qualche modo contaminato, era inibito al culto. Tabù che erano stati codificati nella legge di purità del Levitico, ma di cui Gesù fece tabula rasa quando affermò, a proposito dei divieti alimentari: "Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo" (Mc 7,15). E Paolo lo riecheggia in Rom 14,20 "Tutto è puro" e in 1 Cor 10,26, testo parallelo, ne indica la ragione, facendo riferimento alla creazione: "perché del Signore è la terra e tutto ciò che essa contiene".

In una parola, la fede biblica in Dio creatore del mondo, se colta nella sua ispirazione di fondo e pura da ancestrali concezioni tabuistiche, non solo sdivinizza e desacralizza la sessualità, ma anche la libera da ogni spiritualistica e dualistica denigrazione. Ed è certo per questo che la storia delle comunità cristiane delle origini ci offre un quadro costante e illuminante in proposito: il culto cristiano è libero da ogni limitazione in merito. Tanto più che è superata la legge della separatezza che invece governava il culto israelitico, incentrato in un luogo a parte, in riti sacri, in officianti "consacrati" e di casta.

Il capo famiglia che ospitava le comunità cristiane nella sua casa era il naturale capo comunitario e la partecipazione attiva delle donne al lavoro missionario, cui dà ampio risalto l'epistolario paolino, diventa un fatto scontato. La dimensione familiare caratterizzava al
fondo le aggregazioni dei cristiani: oltre al fatto delle riunioni periodiche nelle case di questo o di quel credente benestante che poteva mettere a disposizione per le assemblee un'abitazione capace, si noti la frequenza qualificante della terminologia familiare: sono fratelli; Paolo si dice padre dei corinzi, da lui generati con l'annuncio evangelico e dunque suoi figli (1 Cor 4,15); chiama sorelle
Febe, diaconessa della Chiesa di Cencre (Rm 16,1), e Appia,
co-destinataria della lettera a Filemone (v. 1), ma anche, più in generale, la credente unita in matrimonio con un non-credente (1 Cor 7,15); la prima lettera di Pietro, scrivendo a gruppi cristiani del nord della penisola anatolica "stranieri" o paroikoi, cioè privi della pienezza dei diritti, senza "casa", sviluppa una ecclesiologia caratteristica affermando che la comunità cristiana locale è "famiglia di Dio" (oikos tou Theou): quelli che socialmente sono dei senza-casa, per grazia sono la casa di Dio. E finché questo quadro domestico
ha retto all'evoluzione dei tempi, non si è parlato neppure lontanamente di ministri celibi.


2. E oggi?


L'attuale disciplina della Chiesa cattolica latina che esclude gli sposati dal ministero sacerdotale, ma anche le donne - un'aggiunta, questa, doverosa perché l'esclusione soggiace alla stessa dinamica -,
fa appello a nobilissime ragioni e tutte di grande rilievo spirituale, la dedizione totale e completa al servizio, la testimonianza di marca escatologica dei cieli nuovi e della terra nuova dove "né si prende moglie né si prende marito", secondo il famoso detto di Cristo, la conformazione a Gesù di Nazaret celibe per la causa del regno dei cieli. E forse non sono completo nell'elencazione.

Nessuno potrà mai contestare la nobiltà di tali valori cristiani ed evangelici che possono essere testimoniati solo da chi ha ricevuto uno speciale carisma o dono di grazia, come dice chiaramente Paolo in 1 Cor 7,7.

La difficoltà nasce quando, per una regola disciplinare ed ecclesiastica, sono collegati al ministero sacerdotale, per cui ministro e celibe per carisma vengono identificati.

Come spiegare tale rigida connessione? La funzione sacerdotale richiede per se stessa ministri celibi? No, di certo. Di fatto le ragioni addotte ed indicate sopra rientrano, per la disciplina della Chiesa cattolica latina, nelgenere della "convenienza", della "maggior convenienza".

Non credo però che su questa linea si possa andare molto avanti nella discussione. Vorrei, da parte mia, sollevare l'interrogativo e se
invece fosse un'inconfessata e magari inconscia necessità psicologica di escludere dal culto rituale, in concreto dai suoi ministri, qualsiasi presenta del sesso, visto come contaminante, incompatibile
con la sfera del sacro? Certo, si sprecano le dichiarazioni che la disciplina celibataria del clero cattolico latino non significa per nulla una svalutazione o anche solo una minore stima dell'esperienza sessuale.

Ma la psicologia del profondo ci ha fatti avvertiti dell'esistenza del
fenomeno della razionalizzazione di paure inconsce che spingono a trovare motivazioni razionali di grande levatura capaci di tranquillizzarci nella nostra fuga da realtà avvertite con una grande carica fobica. E anche davanti a questa rilevazione di carattere sperimentale si alzeranno alte grida contro l'invasione indebita nella sfera religiosa della psicoanalisi.

Ma c'è un fatto incontrovertibile che mette a nudo un sottofondo non chiarito nella prassi celibataria della Chiesa cattolica latina imposta ai ministri del culto. Tra parentesi si vuole pure escludere che si tratti di un'imposizione, perché si dice: la Chiesa è libera di scegliere i suoi ministri tra quanti hanno il carisma celibatario. E ritorno subito al fatto che mi sembra costituire la prova del nove. Non sono mancati casi eccezionali in cui ad uomini sposati e tuttora uniti alla moglie è stato concesso dall'autorità romana di poter esercitare il ministero sacerdotale, ma con la precisa clausola di escludere qualsiasi esperienza sessuale matrimoniale: il sacerdote in questione resti pure unito a sua moglie, viva sotto lo stesso tetto,
conduca una normale vita matrimoniale, ma viva nella continenza sessuale.

E' fin troppo chiaro dunque che fa difficoltà proprio il sesso, non il matrimonio in quanto tale. Un ministro che presieda la celebrazione dell'eucaristia, sieda in confessionale, in breve sia ministro dei sacramenti, e nello stesso tempo abbia una vita sessuale normale suscita resistenze incontenibili, fobie oscure, paure tabuistiche di contaminazione.

I sacramenti, luoghi d'incontro con Cristo, a sua volta grande e
universale sacramento d'incontro con Dio, sono vissuti in modo sacrale, come sfera separata dalla profanità, in concreto dalla profanità dell'esperienza sessuale.

Eppure Paolo nella lettera ai Romani esorta così i suoi interlocutori: offrite a Dio come sacrificio vivo, santo e a lui gradito "i vostri
corpi / ta somata hymon", dunque integralmente voi stessi, la vostra vita mondana senza alcuna separazione di ambiti o di sfere (12,1).

Sì, perché una volta che il figlio di Dio si è fatto "carne",
dunque essere terrestre e mondano, ed essendo la salvezza legata strettamente alla "carne" (caro cardo salutis), non è più possibile separare sacro da profano, tra sfera dell'incontro cultuale con Dio
e sfera al di fuori del santuario (profano, che sta davanti al fanum, al recinto sacro).

In conclusione, non solo la fede creazionistica di tutta la tradizione biblica ma anche la fede incarnazionistica che in Cristo trova il suo incomparabile vertice stanno saldi come due punti di riferimento per una riflessione teologica avvertita e non priva di valenza critica circa la prassi celibataria generalizzata dei ministri sacerdotali della Chiesa cattolica latina, che non per nulla ha grande difficoltà di fronte alla prospettiva dell'ammissione delle donne al ministero sacerdotale.

Non sarà che queste sono collegate, nell'immaginario più o meno inconscio, con la sfera sessuale e quindi cadono sotto la
scure dell'ostracismo di marca tabuistica e fobica? Il mondo, e in esso la sfera sessuale, non è vissuto, come vorrebbe la fede creazionistica e incarnazionistica, come realtà "mondana" e
radicalmente positiva nei suoi aspetti naturali, bensì come insieme di grandezze "profane", separate, in qualche modo contaminanti la "purezza" del culto e del rito. (Mi si permetta di citare, per un
approfondimento, il mio "La laicità del credente interpretazione biblica". Cittadella ed., Assisi l987).

Visto in se stesso, il problema potrebbe anche apparire secondario: una questione di disciplina ecclesiastica. Ma nelle sue radici assume un'importanza significativa: un test su cui si misura la comprensione cristiana del rapporto uomo-mondo-Dio.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/12/2011 13.24
Titolo:DA "QUALE" PULPITO LA PREDICA!!! È compito di chi governa, che deve essere tes...
Ratzinger dedica il messaggio della pace agli «indignados»

di Roberto Monforte (l'Unità,17 dicembre 2011)


I giovani che hanno il coraggio di non rassegnarsi e di lottare per il loro futuro, per la democrazia, per la giustizia e la pace. È proprio dai protagonisti della «primavera» araba, dagli «indignados» di
Madrid, dai giovani che hanno protestato contro la crisi economica globale nelle piazze delle grandi capitali dell’occidente che occorre guardare come a soggetti di speranza e come costruttori di pace.

È l’appello lanciato da papa Benedetto XVI nel suo Messaggio per la XVL Giornata mondiale per la Pace che si celebrerà il prossimo 1˚ gennaio 2012. «Educare i giovani alla giustizia e alla pace» è il titolo del documento presentato ieri dal presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, cardinale Turkson e dal segretario del dicastero, monsignor Toso. Il Papa - hanno spiegato – chiede di ascoltare le richieste e le aspirazioni dei giovani, ponendo soprattutto il nodo dell’educazione alla «vera» giustizia e alla pace. È compito di chi governa, che deve essere testimone credibile,
«limpido».

«In gioco vi è il senso della politica come servizio, come ricerca del bene di tutti, nessuno escluso» afferma il pontefice. «La politica e i politici - chiosa Turkson – devono ritrovare dignità ed offrire un esempio di rettitudine, coerenza tra sfera pubblica e privata, preparazione e
competenza».

Ma l’educazione è soprattutto compito delle famiglie, che vanno tutelate tutte, anche quelle degli immigrati, da chi ha «responsabilità della vita pubblica». Il Papa chiama in causa anche
le istituzioni formative e il mondo dei media «che troppo di frequente dimenticano la loro funzione non soltanto informativa ».

«È alla verità, alla libertà, alla giustizia e all’amore, i quattro grandi pilastri della casa della pace che vanno educati i giovani», insiste monsignor Toso che spiega come il Papa insista sul concetto di «vera giustizia » e lo leghi al superamento del relativismo, delle concezioni neocontrattualiste e neoutilitariste che «hanno alienato il concetto di giustizia dalle sue radici trascendenti». Perché è in una dimensione aperta alla trascendenza che vanno affermate «la solidarietà e la fraternità».

Per essere veri operatori di pace, scrive Benedetto XVI, occorre operare per «adeguate redistribuzioni della ricchezza, promozione della crescita, cooperazione allo sviluppo e risoluzione dei conflitti». Quanto l’educazione alla democrazia sia un problema anche in Occidente lo sottolinea Toso che denuncia il diffondersi di «democrazie populiste e oligarchiche».


Occorre puntare sui giovani - insiste – per costruire un ricambio non solo nella politica e nelle istituzioni, ma anche nella cultura e nell’economia. Vanno inclusi e ascoltati nelle loro preoccupazioni, nelle loro giuste richieste» ha insistito Turkson. Rispondendo ai giornalisti Toso ha criticato la soluzione Ue alla crisi imposta dalla Germania. «Non si sta imboccando la strada giusta»

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Titolo articolo : Che sorgano tante "Piazza Samb Modou e Diop Mor",di La Redazione del sito

Ultimo aggiornamento: December/17/2011 - 12:58:20.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/12/2011 18.25
Titolo:Firenze, lutto dopo la furia razzista ...
Firenze, lutto dopo la furia razzista


Un militante di estrema destra
spara sui senegalesi nei mercati.
Due vittime, la città è sotto choc


FIRENZE
Firenze si ferma e piange Samb Modou e Diop Mor, i due senegalesi uccisi ieri dall’estremista di destra Gianluca Casseri nell’agguato di piazza Dalmazia. Bandiere a mezzasta, banchi del mercato di San Lorenzo chiusi e saracinesche abbassate nella città listata a lutto.

Il sindaco Matteo Renzi, che anche oggi ha parlato di «una tragedia incomprensibile» e di una città «non razzista, bensì scossa dal razzismo», ha annullato tutte le cerimonie istituzionali in attesa dell’arrivo, alle 17 a Palazzo Vecchio, del ministro della Cooperazione e dell’Integrazione Andrea Riccardi per l’incontro con la comunità senegalese.

Un minuto di silenzio è stato osservato a Palazzo Comunale come alla Camera, dove il presidente Gianfranco Fini ha parlato di «un barbaro omicidio di persone innocenti». Intanto da Roma il movimento di destra Casapound Italia prende le distanze dal «folle gesto» del suo iscritto: «Chi ha compiuto la strage ieri - ha detto il presidente di Casapound, Gianluca Iannone parlando di Casseri - è un individuo che ha frequentato sporadicamente le attività del nostro movimento. Una persona pacata che veniva da noi raramente e in solitudine. Quello che è successo è stata una doccia fredda per tutti noi».

Da Casapound parte anche una lettera per il sindaco Renzi con la richiesta di un incontro «privato o pubblico al fine di confrontarci con rispetto e, per quanto possibile, serenità». E una seconda missiva è indirizzata all’ambasciatore del Senegal a Roma per esprimere il cordoglio anche ai familiari delle vittime e a tutta la comunità senegalese in Italia.

Restano gravi intanto le condizioni dei tre senegalesi feriti: Moustapha Dieng, 34 anni, e Sougou Mor, 32, sono in terapia intensiva, mentre Mbenghe Cheike, 42 anni, colpito all’addome e operato nella notte all’ospedale di Santa Maria Nuova, ha superato l’intervento ed è in rianimazione. Per tutti la prognosi è riservata, anche se nessuno dei tre è in pericolo di morte.

Parole di solidarietà sono giunte dal cardinal Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, che da Twitter ha ammonito: «Quando uno straniero risiede nel nostro territorio, non deve essere nè molestato nè oppresso. Deve essere trattato come un nativo».

L’europarlamentare fiorentino del Pd, Leonardo Domenici, ha chiesto e ottenuto che l’Aula di Strasburgo in seduta plenaria esprimesse il proprio cordoglio e la dura condanna alla strage. L’assemblea ha ribadito l’impegno contro ogni forma di intolleranza e razzismo e per il rispetto della dignità di ogni essere umano. Nel frattempo da Dakar, il governo del Senegal si è detto «indignato» per il «brutale assassinio» e ha sottolineato di voler fare «piena luce» sulla vicenda al fine di assumere «le misure appropriate».

Secondo fonti sanitarie, i tre senegalesi feriti hanno passato una notte «tranquilla». Moustapha Dieng, 34 anni, e Sougou Mor, 32 anni, sono ricoverati in prognosi riservata all'ospedale di Careggi e si trovano in terapia intensiva. Le loro condizioni sono gravi ma, non sarebbero «in pericolo di vita».

Il primo però rischia la paralisi per un proiettile che ha raggiunto due vertebre dorsali. Mbenghe Cheike, 42 anni, colpito dal killer all'addome, è stato invece operato all'ospedale di Santa Maria Nuova: anche lui non è in pericolo di vita, anche se è ricoverato in rianimazione e la prognosi resta riservata.

Voci di solidarietà e di indignazione contro il razzismo arrivano anche dalla comunità di Twitter: «Mai più razzismo e violenza. L'ignoranza genera mostri. Un abbraccio alle famiglie di #sambmodou e #diopmor».

In un altro messaggio una citazione di Albert Einstein: «è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio».

In un altro commento «i senegalesi di miserabile avranno la vita che sono costretti a fare, i razzisti hanno di miserabile tutto il resto». Anche il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontifico consiglio per la Cultura, usa Twitter per rivolgere un pensiero ai due uomini uccisi, citando un brano della Bibbia: «Quando uno straniero risiede nel nostro territorio, non deve essere né molestato né oppresso. Deve essere trattato come il nativo».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/12/2011 18.30
Titolo:Firenze, lutto dopo la furia razzista ...
L'ARTICOLO RIPRESO NEL POST PRECEDENTE E' RIPRESO DA "LA STAMPA" DI OGGI, 14 DICEMBRE 2011:

LINK: http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/434397/
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/12/2011 18.41
Titolo:L'OSSESSIONE DEL DIVERSO. L'escalation da Rosarno a Torino a Firenze ...
L’escalation da Rosarno a Torino
Il Paese dell’accoglienza dimenticata

di Enrico Fierro (il Fatto, 14.12.2011)

E adesso tutti a interrogarci sul perché della strage “americana” di Firenze. Americana, sì, gli ingredienti ci sono tutti: lo scrittore appassionato di esoterismo e con frequentazioni fasciste che in un “pomeriggio di un giorno da cani” impugna la sua 357 magnum e decide di vendicare sconfitte, frustrazioni, crisi personali e globali colpendo quella parte di umanità che odia. I “negri” che “infettano” la sua Firenze, quelli alti, con la pelle scura come la pece e gli occhi bianchissimi che girano la città trascinandosi sacchi di false cinture Armani e di borse Vuitton a poco prezzo, quelli che al semaforo ti sporcano il vetro con le loro scope zuppe di acqua fetente. Due morti, il caricatore quasi svuotato, e poi l’inseguimento e la fine in un garage. La canna della pistola premuta sulla gola, un colpo solo, sangue dappertutto. E noi ci chiediamo in quale terra affondano le radici dell’odio, in quale humus si nutrono e trovano le forze per espandersi.

Noi, gli italiani che per anni hanno sorriso alle scellerate performance di gente come Borghezio che andava a disinfettare i vagoni dei treni dove viaggiavano le ragazze ghanesi, noi che abbiano pensato che gente come lo sceriffo Gentilini fossero solo la patetica espressione di un razzismo buono per raccattare qualche voto.

Noi che non abbiamo capito che quelle manifestazioni di razzismo, di xenofobia e di chiusura nei nostri piccoli confini, erano il frutto di una formidabile macchina della paura. Costruita in modo scientifico, notizia dopo notizia, tg dopo tg, editoriale dopo editoriale.

Sempre il ladro di ville era slavo, lo stupratore romeno, lo spacciatore senegalese, la puttana nera o albanese. Su tutto ciò sono state costruite leggi sull’immigrazione tra le peggiori d’Europa che hanno aggravato le condizioni di vita dei migranti e resa sempre più difficile la loro integrazione. Con Umberto Bossi “Fora dai ball” è diventata linea di governo.

Il razzismo ha alimentato le scelte della politica e ne è stato a sua volta nutrito. E non è questione di Nord e Sud. Perché se pochi giorni fa la folla che devastava un campo rom a Torino urlava slogan in accento sabaudo, tre anni fa gli stessi slogan erano ritmati in napoletano.

A Torino hanno voluto dare una lezione ai rom per lo stupro inventato da una ragazzina incosciente e malcresciuta, a Napoli, al grido di “appicciamme ‘e zingari” devastarono un intero campo per un’altra notizia sbagliata, il tentato rapimento di una bambina. A Torino si sono accorti dopo che la ragazzina aveva inventato tutto per paura di genitori ossessivi. A Napoli si capì dopo il raid che il terreno dove sorgeva la baraccopoli faceva gola alla speculazione e alla camorra.

Sempre dopo, solo dopo, senza che nessuno chieda scusa e poi si interroghi e infine strappi per sempre le “radici dell’odio”. Si va avanti fino al prossimo episodio.

Cosa succede in questi giorni a Rosarno? Ricordate la rivolta violenta dei raccoglitori di clementine, e la risposta, altrettanto violenta, dei rosarnesi due anni fa? C’erano lavoratori stranieri trattati come schiavi che vivevano in condizioni disumane. Costretti a convivere e a farsi sfruttare da altri, dalla pelle bianca, italiani del Sud, con i loro mandarini che non valgono un centesimo sui mercati, le loro crisi. Ci furono scontri, sangue, la cacciata del negro dal paese, e tutti giurarono mai più e promisero interventi per migliorare le condizioni di vita dei braccianti di colore. Si è fatto meno di zero.

A Torino pochi giorni fa e prima a Napoli è gente di periferia quella che si è scagliata contro gli zingari, gente che ha perso il lavoro, pensionati che non ce la fanno a tirare avanti, uomini e donne che sanno che la crisi peggiorerà la loro vita. E allora lo zingaro, il negro, la puttana albanese, diventano il nemico sul quale sfogare la rabbia.

Eppure c’è chi ancora crede nel grande cuore di questo Paese, sono 900 rifugiati africani ospitati negli alberghi della periferia napoletana. Sono fuggiti da guerre, carestie e fame, non hanno assistenza sanitaria e legale e vivono con un ticket di 2,50 euro al giorno. Hanno scritto una lettera aperta: “Siamo spiacenti di affollare i semafori chiedendovi l’elemosina di qualche centesimo, vendendovi fazzoletti o pulendo i vetri delle vostre auto. Vi chiediamo di aiutarci a ritrovare i nostri diritti”.

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L’ossessione del diverso

di Michele Ciliberto (l’Unità, 14.12.2011)

Sta succedendo qualcosa di assai grave nel nostro Paese: prima a Torino, poi a Firenze si è aperta una caccia al “diverso”; nel primo caso, i Rom, nel secondo i senegalesi. Sembra di assistere a un brutto film americano degli anni ’50 e ’60; ma non è un film. Né serve, di fronte a tanta violenza, esprimere generiche condanne; si tratta di capire, con freddezza, quello che è avvenuto.

Questi eventi drammatici sono il punto di arrivo di una campagna continua, sistematica, quotidiana, e senza quartiere, contro il “diverso” e tutto ciò è lontano da noi, dalla nostra cultura e dalla nostra religione. Né c’è dubbio che nel far precipitare la situazione abbia giocato un ruolo importante la Lega che ha alimentato sentimenti di tipo etnico, sfociati talvolta in posizioni razziste.


Dire che tutta la responsabilità di questa situazione sia della Lega sarebbe però un errore; né consentirebbe di comprendere da quale profondità arrivino fenomeni di questo genere. Essi hanno attecchito in un terreno predisposto, specie in un momento di crisi radicale che, con sempre maggior durezza, spinge gli individui a rinchiudersi nel cerchio ristretto della difesa, con ogni mezzo, del proprio spazio vitale, dei propri interessi. Quello che abbiamo di fronte è dunque un fenomeno “materiale” assai più largo della Lega; ne è una prova il fatto che a Firenze, e in Toscana, il partito di Bossi è tutt’oggi una forza minoritaria, priva di responsabilità di governo.

Ma, paradossalmente, è proprio questo a rendere ancora più grave quello che è accaduto a Firenze, città di salde tradizioni civili, con un tessuto associazionistico assai forte, con comunità ecclesiali cattoliche e non cattoliche impegnate nella costruzione di iniziative e momenti di apertura nei confronti ,dei “diversi”, di tutti i “diversi”.


Se fenomeni di questo tipo avvengono in Toscana vuol dire che il processo di degradazione del nostro “vivere civile” sta toccando un limite assai inquietante. Ma per capirli occorre saper guardare all’insieme della nostra società, ai “sensi comuni” diffusi, alla crisi e al depotenziamento dei valori di solidarietà, al prevalere del “bellum omnium contra omnes”, alla perdita di peso e di importanza, negli ultimi decenni, del valore sociale fondamentale che è, e resta, il lavoro. E, soprattutto, bisogna alzare gli occhi all’ “intero”, se si vuole capire il livello della crisi italiana: la morte dell’operaio a Trieste, pagato 5 euro all’ora e il gesto del folle a Firenze si situano a diversi livelli, ovviamente nello stesso contesto.


C’è però qualcosa di più profondo che si è spezzato in questi anni, in Italia e in Europa, e ora viene alla luce: è venuto meno il principio della “mediazione”, mentre si sono imposti progressivamente atteggiamenti e posizioni che tendono a risolvere direttamente i problemi, spezzando i vincoli giuridici e politici. A Londra come a Torino e a Firenze si sono rotte le logiche della mediazione e si è passati a incendiare, ferire, bruciare con le propri mani, senza alcuna delega. Quello che si manifesta in questi episodi è dunque la crisi della funzione “mediatrice” dello Stato, della rappresentanza politica, a cominciare dal Parlamento. Insomma quello che abbiamo di fronte è, al fondo, una crisi di vaste proporzioni della nostra democrazia politica e sociale. Se questo è il problema, esso può essere affrontato solo ristabilendo i principi di una democrazia politica efficiente e ricostituendo le basi “materiali” del nostro “vivere civile”, ridando, anzitutto, al lavoro il ruolo e la funzione che deve avere in una società democratica.


Ma c’è qualcosa di specifico che si impone alla nostra attenzione, di fronte a eventi così cruenti: il problema del “diverso” non si può affrontare oggi con il “principio” nobilissimo della tolleranza; in una società come la nostra, e nell’epoca della globalizzazione occorre sviluppare politiche inclusive che mettano al centro il problema, ineludibile,della comune “cittadinanza” dei “nativi” e degli immigrati. Certo, quando il Presidente della Repubblica ha sostenuto che i figli degli immigrati nati in Italia vanno considerati italiani a tutti gli effetti, è stato criticato e perfino insultato; ma questa è la strada che si deve, e si può, seguire.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/12/2011 12.39
Titolo:Mor e Modou. Per me Mor e Modou non sono «i due senegalesi uccisi a Firenze», «g...
Nel segno dell’integrazione. Più coraggio e più chiarezza: per la cittadinanza a chi nasce qui e per il voto a chi qui vive

Mor e Modou, la mia famiglia

di Renata Ingrao (l’Unità, 15.12.2011)

L’omicidio di Mor Diopr e Modou Samb mi ha toccato profondamente, in un modo tutto speciale che vorrei provare a spiegare e a condividere con altri. Per me Mor e Modou non sono «i due senegalesi uccisi a Firenze», «gli emigranti di una comunità straniera»: Mor e Modou potrebbero essere padri, zii, fratelli maggiori degli amici con cui mia figlia si incontra alla Stazione Termini, va a ballare in discoteca, a passeggiare nel centro di Roma, a mangiare da McDonald.
Tra gli amici di mia figlia ci sono infatti anche ragazzi senegalesi, giovani che lavorano, e qualcuno proprio come Mor e Modou vende la merce nei mercati.

Mia figlia ha origini africane, con lei ho adottato un pezzetto d’Africa; la sua famiglia che sta in Costa d’Avorio e quella che sta in Italia sono diventate la mia famiglia. E familiari sono diventati i ragazzi della comunità africana di Roma, con i loro nomi senegalesi, congolesi, marocchini, nigeriani, eritrei... Frequentano la mia casa, capita pure che si fidanzino con mia figlia, popolano i suoi racconti, ognuno con le sue caratteristiche.


Per questo la morte di Mor e Modou non è per me il gesto di un folle e della sua malata ideologia razzista che colpisce ferocemente la comunità dei neri e dei migranti: insomma qualcosa di veramente brutto, da rigettare ma che alla fine non mi riguarda direttamente. Quella colpita a Firenze è anche la mia comunità. Il pazzo che nel suo delirio razzista spara all’impazzata e uccide gli ambulanti senegalesi sta colpendo anche me, i miei cari, gli amici, i parenti che costituiscono il mondo e gli affetti della mia famiglia.

Ho paura e voglio reagire, perché la follia che abbiamo visto all’opera si è in questi anni alimentata di un odio politico tutt’altro che folle che ha usato il conflitto sociale provocato dalle migrazioni come arma di successi elettorali, lo ha fomentato con il peggiore armamentario ideologico, con le più orrende parole d’ordine, rimbalzate dagli scranni parlamentari e dalle platee televisive. Dunque legittimate ai massimi livelli.

Sono convinta che l’integrazione, la mescolanza, la convivenza tra genti di origini diverse anche in Italia sarà l’approdo naturale dei processi inarrestabili di globalizzazione. Lo vedo già nel mio piccolo mondo quotidiano; a fidanzarsi con il giovane straniero non è solo mia figlia, con la sua pelle nera, ma anche le sue compagne «italiane doc». Il mondo dei bambini e poi dei ragazzi e poi dei giovani è per fortuna più avanti.

Mi spaventano però e molto i prezzi che lungo questo percorso bisognerà ancora pagare, i segni e le cicatrici che questo clima e questi eventi potranno lasciare non sulla pelle ma nell’anima, nell’identità delle generazioni presenti e future. E sento tutta la responsabilità di noi adulti perché stiamo facendo troppo poco. La sento su di me ma la attribuisco anche alle forze politiche, prima di tutto del centro sinistra, ai troppi tentennamenti che ci sono stati nel recente passato, alle troppe tentazioni di «civettare» con gli umori, i malumori, le paure, i maldipancia degli «italiani veri», soprattutto al Nord.

È un tema, quello del razzismo e dell’integrazione, che non consente di fare gli apprendisti stregoni, pena finire tutti quanti bruciati dal fuoco dell’intolleranza. E allora ci vorrebbe più coraggio e più chiarezza: per la cittadinanza ai nativi in Italia, per il voto, almeno alle amministrative, perché la scuola non torni ad essere (come sta drammaticamente succedendo) per pochi privilegiati, per abrogare l’odioso reato di clandestinità... E la lista delle buone azioni potrebbe continuare. Di battaglie da condurre ce ne sono davvero tante, ma tante sono anche le persone di buona volontà, che ne sono convinta sarebbero disponibili a fare la propria parte. Cominciamo a vederci sabato a Firenze per la manifestazione nazionale convocata dai senegalesi a cui spero che partecipino anche tantissimi italiani.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/12/2011 11.18
Titolo:Chi ha visto in tivù o in rete Pape Diaw, portavoce dei senegalesi ...
L'amaca

di Michele Serra

in “la Repubblica” del 16 dicembre 2011


Chi ha visto in tivù o in rete Pape Diaw, portavoce dei senegalesi di Firenze, chi lo ha sentito
parlare nel suo italiano evoluto e preciso, non può permettersi equivoco o distrazione o distorsione.

Siamo di fronte a una comunità del tutto partecipe della vita sociale del nostro Paese, dei nostri
diritti e dei nostri doveri. Chiunque alzi la mano contro queste persone accampando come pretesto
la loro incompatibilità con la nostra comunità nazionale mente, e mente prima di tutto a se stesso.

E
chiunque, negli ultimi anni, ha diffuso la fola stupida e malvagia dell´"invasione" straniera come
subdolo piano (di chi, poi?) per snaturare le nostre radici e la nostra identità, come hanno fatto
anche politici di governo, e giornali a larga diffusione, è il cattivo maestro che alimenta la paranoia
dei fanatici e arma la mano dei violenti.

Mentre Pape Diaw parlava, la mia "identità" di italiano non
solo non si sentiva in pericolo, ma percepiva, con orgoglio, come la mia vecchia lingua madre,
nobile e marginale, grazie all´immigrazione può riacquistare nuova vita e nuova centralità. Mi
chiedo quanti italiani razzisti siano capaci di onorare la nostra lingua come Pape Diaw.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/12/2011 12.58
Titolo:Ricordiamo di non dimenticare
Ricordiamo di non dimenticare

di Moni Ovadia (l'Unità, 17 dicembre 2011)

La sanguinosa strage compiuta con una magnum 357 dal neonazista Gianluca Casseri, ha causato la
morte di due venditori ambulanti senegalesi Samb Modou di quarant’anni e Diop Mor di
cinquantaquattro anni. I colpi sparati con l’unico intento di uccidere hanno anche ferito in modo
gravissimo Sougou Mor di 32 anni e Mbenghe Cheike di 42.

Questo crimine razzista fa seguito al Pogrom con tanto di rogo contro un campo rom a Torino
originato dalle bugie di una adolescente terrorizzata da genitori di mentalità arcaica.

Solo per un caso quel gesto feroce e d’intento omicida di cosiddetta gente per bene non ha fatto
bruciare vivi degli esseri umani colpevoli solo di essere quello che sono. Non dimentichiamolo
quando sentiamo o leggiamo i neonazisti vomitare il loro odio in piazza e sulla rete, i leghisti
ragliare i loro pregiudizi per raschiare qualche voto. Questo è il frutto pestilenziale delle loro parole.

Non dimentichiamolo quando vediamo politici furfanti inalberare sul loro cranio ipocrita la kippà
ebraica nel giorno della memoria e subito dopo discriminare i rom, invocare la cacciata dei
clandestini e riabilitare il fascismo in talk show revisionisti, poco storici e molto squallidi.

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Commenti Articolo 968

Titolo articolo : ECCO CONCEPIRAI UN FIGLIO E LO DARAI ALLA LUCE,

Ultimo aggiornamento: December/16/2011 - 18:55:12.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/12/2011 13.38
Titolo:MA CHI DECIDE DI CHIAMARLO GESU'?
MA CHI DECIDE DI CHIAMARLO GESU'? PERCHE' GESU' SI CHIAMA "GESU'"? [Mt. 1, 21-25!!!].
_________________________________________________________________


I CHERUBINI DELL'ARCA DELL'ALLEANZA E I "DUE COLOMBI" DELLA LEGGE (MARIA E GIUSEPPE) PORTANO LO STESSO BUON-MESSAGGIO: "DIO E' AMORE (1 Gv. 4.8):

"CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1Gv., 4, 1-8).


Per la chiesa cattolica-costantiniana, Giuseppe è ancora "un goj" - uno straniero (da sopportare e sfruttare)!!!

COME MARIA: "FIGLIA DEL TUO FIGLIO", COSI’ GIUSEPPE: "FIGLIO DEL TUO FIGLIO"!

Dante non "cantò i mosaici" dei faraoni, ma la Legge del "Dio" di Mosè, del "Dio" dei nostri "Padri" e delle nostre "Madri".

RI-PENSIAMO BENE LA LEZIONE FRANCESCANA DEL "PRESEPE" COME DELL'ARCA DELL'ALLLEANZA, E RIEQUILIBRIAMO IL CAMPO DI TUTTE LE RELAZIONI TRA UOMINI E DONNE - TRA TUTTI GLI ESSERI UMANI!!!

GESU' NON ERA IL FIGLIO DI MARIA E DEL DIO-IMPERATORE DELL'UNIVERSO, MA DELL'AMORE (CHARITAS") DI MARIA E GIUSEPPE!!! Dell’Amore che muove il Sole e le altre stelle....

BUON NATALE


Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/12/2011 18.55
Titolo:SACERDOZIO E SESSUALITA' (di Giuseppe Barbaglio, 1995)
Sacerdozio e sessualità

Visto in se stesso, il problema potrebbe anche apparire secondario: una questione di disciplina ecclesiastica. Ma nelle sue radici assume un'importanza significativa: un test su cui si misura la comprensione cristiana del rapporto uomo-mondo-Dio


di Giuseppe Barbaglio (Adista, 69-70, 14 ottobre 1995)


Il dibattito teologico in corso riguarda specialmente l'ingresso delle donne nel ministero sacerdotale,
ma resta pur sempre in primo piano anche l'ammissione di uomini sposati. Del resto, le due
questioni non mancano di punti di contatto, perché - lo anticipo qui come enunciazione di tesi salvo
mostrarne in seguito la plausibilità o fondatezza coinvolgono parimenti la valutazione e il vissuto
della sessualità.

Vorrei, anzitutto, ripercorrere alcune tappe del cammino del popolo di Dio
presentato nella Bibbia: mi riferisco, in concreto, all'antico Israele e alle prime comunità cristiane.

Ci possono offrire elementi importanti di riflessione in merito al nostro problema, che saranno
oggetto di un secondo momento di riflessione.

1. Desacralizzazione della sessualità


Un confronto drammatico, di cui testimoni preziosi e attivi protagonisti furono i profeti, oppose le
tribù israelitiche sedentarizzate nella terra di Canaan alla religione delle popolazioni residenti.

Queste esprimevano la loro apertura al trascendente a diretto contatto con la natura, da essi vissuta
come madre generosa, dispensatrice di fecondità e di fertilità. Avere molti figli, guardare
compiaciuti la crescita del gregge e godere dei frutti del campo, tutto ciò dava pienezza alla loro
esistenza e sostanza a un ideale di vita felice. E in questa esperienza totalizzante credevano di
incontrare le divinità sotto forma di forze personificate della natura, appunto delle forte vitalistiche
e gratificanti della fertilità e fecondità.

Per questo il principio divino era duplice, maschile e
femminile. Si rendeva dunque culto al dio Baal e alla dea Ashera con riti naturalistici e a carattere
sessuale. Così nella grande festa del Nuovo Anno, di tradizione mesopotamica, il re si univa
sessualmente con la grande sacerdotessa in un rito di "nozze sacre" dal valore sacramentale, capace
di produrre la fertilità del campo e la fecondità del gregge e della popolazione. Per la stessa ragione
esisteva il fenomeno della prostituzione sacra: le giovani donne in età da marito offrivano la loro
verginità al dio unendosi sessualmente nell'area del tempio ai prostituti sacri, per impetrare il dono
della fecondità matrimoniale.

Così la sessualità, vista soprattutto come esperienza procreativa,
faceva parte integrante del culto, perché dimensione essenziale della divinità, che era
necessariamente sessuata, maschio o femmina. Una divinità naturalistica, si noti, non distinta in
realtà dalla natura. In breve, il sesso era sfera "sacra", sottratto alla profanità del vivere e campo
d'incontro con il dio.

Le tribù israelitiche, venute a contatto con le popolazioni residenti, subirono
uno shock e soprattutto una grande attrattiva. I cedimenti idolatrici ai Baal - divinità maschili legate
ai diversi luoghi di culto - e alle Ashera sono documentati nei libri dei profeti, con particolare forza
in Geremia che non disdegna descrizioni di un crudo realismo: "Perché osi dire: Non mi sono
contaminata, non ho seguito i Baal?" Considera i tuoi passi là nella valle, riconosci quello che hai
fatto, giovane cammella leggera e vagabonda, asina selvatica abituata al deserto: nell'ardore del suo
desiderio aspira l'aria, chi può frenare la sua brama? Quanti la cercano non devono stancarsi: la
troveranno sempre nel suo mese. Basta che il tuo piede non resti scalzo e che la tua gola non si
inaridisca. Ma tu rispondi: No. E' inutile, perché io amo gli stranieri, voglio seguirli" (2,23-25).

I
profeti cercarono di erigere un argine, denunciando l'idolatria e richiamando il popolo alla fedeltà al
proprio Dio, che non è né maschio né femmina e che soprattutto deve essere compreso e vissuto
come guida della storia umana. Certo, egli ha a che fare con la natura, ma come creatore che ha
fatto i cieli e la terra, non come forza vitalistica della fecondità e fertilità. Queste sono forze del
mondo creato, di cui il popolo è esortato a ringraziare il munifico donatore e a farne libero uso.
L'esperienza sessuale è esperienza "profana", mondana: la sua vitalità procreativa è a disposizione
dell'uomo, senza alcun bisogno di riti sacramentali impetratori.

La predicazione profetica dunque ha
operato un processo di desacralizzazione e sdivinizzazione della natura e delle sue straordinarie
potenzialità ed energie, dunque della sessualità. Restituito alla sua naturalità e privato di ogni aura
divina e sacra, il sesso viene a far parte delle realtà buone, anzi molto buone del mondo creato,come si esprime la Genesi nella prima pagina: "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto
buona" (1,31).

Non solo nessuna divinizzazione del sesso, ma anche nessuna demonizzazione. Anzi
non mancano nella Bibbia pagine che esaltano in termini lirici l'incanto dell'unione sessuale
dell'amato e dell'innamorata, come fa il Cantico dei Cantici, in origine una raccolta di canti erotici
ambientati nelle feste rurali di sposalizio. E questo spiega che il matrimonio in Israele fosse un fatto
del tutto profano e mondano: nessuna liturgia, nessuna benedizione degli sposi, nessuna salita al
tempio.

Su questo sfondo si capisce che la tradizione biblica del sacerdozio israelitico non abbia
posto alcuna preclusione di carattere sessuale: i sacerdoti erano sposati, pure il sommo sacerdote,
avevano una normale esperienza sessuale. Certo, durante i giorni del loro servizio liturgico se ne
astenevano per motivi igienici e soprattutto in forza di tabù arcaici che poggiavano su una
concezione del culto e del rito come spazio separato, sfera a sé stante, in cui l'uomo entra lasciando
alle spalle la profanità della sua esistenza mondana.

Per lo stesso motivo tabuistico, per es., la donna
in stato mestruale non poteva partecipare al culto e chi aveva un cadavere in casa, essendone in
qualche modo contaminato, era inibito al culto. Tabù che erano stati codificati nella legge di purità
del Levitico, ma di cui Gesù fece tabula rasa quando affermò, a proposito dei divieti alimentari:
"Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo" (Mc 7,15). E Paolo lo
riecheggia in Rom 14,20 "Tutto è puro" e in 1 Cor 10,26, testo parallelo, ne indica la ragione,
facendo riferimento alla creazione: "perché del Signore è la terra e tutto ciò che essa contiene".

In
una parola, la fede biblica in Dio creatore del mondo, se colta nella sua ispirazione di fondo e pura
da ancestrali concezioni tabuistiche, non solo sdivinizza e desacralizza la sessualità, ma anche la
libera da ogni spiritualistica e dualistica denigrazione. Ed è certo per questo che la storia delle
comunità cristiane delle origini ci offre un quadro costante e illuminante in proposito: il culto
cristiano è libero da ogni limitazione in merito. Tanto più che è superata la legge della separatezza
che invece governava il culto israelitico, incentrato in un luogo a parte, in riti sacri, in officianti
"consacrati" e di casta.

Il capo famiglia che ospitava le comunità cristiane nella sua casa era il
naturale capo comunitario e la partecipazione attiva delle donne al lavoro missionario, cui dà ampio
risalto l'epistolario paolino, diventa un fatto scontato. La dimensione familiare caratterizzava al
fondo le aggregazioni dei cristiani: oltre al fatto delle riunioni periodiche nelle case di questo o di
quel credente benestante che poteva mettere a disposizione per le assemblee un'abitazione capace, si
noti la frequenza qualificante della terminologia familiare: sono fratelli; Paolo si dice padre dei
corinzi, da lui generati con l'annuncio evangelico e dunque suoi figli (1 Cor 4,15); chiama sorelle
Febe, diaconessa della Chiesa di Cencre (Rm 16,1), e Appia, co-destinataria della lettera a Filemone
(v. 1), ma anche, più in generale, la credente unita in matrimonio con un non-credente (1 Cor 7,15);
la prima lettera di Pietro, scrivendo a gruppi cristiani del nord della penisola anatolica "stranieri" o
paroikoi, cioè privi della pienezza dei diritti, senza "casa", sviluppa una ecclesiologia caratteristica
affermando che la comunità cristiana locale è "famiglia di Dio" (oikos tou Theou): quelli che
socialmente sono dei senza-casa, per grazia sono la casa di Dio. E finché questo quadro domestico
ha retto all'evoluzione dei tempi, non si è parlato neppure lontanamente di ministri celibi.


2. E oggi?


L'attuale disciplina della Chiesa cattolica latina che esclude gli sposati dal ministero sacerdotale, ma
anche le donne - un'aggiunta, questa, doverosa perché l'esclusione soggiace alla stessa dinamica -,
fa appello a nobilissime ragioni e tutte di grande rilievo spirituale, la dedizione totale e completa al
servizio, la testimonianza di marca escatologica dei cieli nuovi e della terra nuova dove "né si
prende moglie né si prende marito", secondo il famoso detto di Cristo, la conformazione a Gesù di
Nazaret celibe per la causa del regno dei cieli. E forse non sono completo nell'elencazione.

Nessuno
potrà mai contestare la nobiltà di tali valori cristiani ed evangelici che possono essere testimoniati
solo da chi ha ricevuto uno speciale carisma o dono di grazia, come dice chiaramente Paolo in 1 Cor
7,7.

La difficoltà nasce quando, per una regola disciplinare ed ecclesiastica, sono collegati al
ministero sacerdotale, per cui ministro e celibe per carisma vengono identificati.

Come spiegare tale
rigida connessione? La funzione sacerdotale richiede per se stessa ministri celibi? No, di certo. Di
fatto le ragioni addotte ed indicate sopra rientrano, per la disciplina della Chiesa cattolica latina, nelgenere della "convenienza", della "maggior convenienza".

Non credo però che su questa linea si
possa andare molto avanti nella discussione. Vorrei, da parte mia, sollevare l'interrogativo e se
invece fosse un'inconfessata e magari inconscia necessità psicologica di escludere dal culto rituale,
in concreto dai suoi ministri, qualsiasi presenta del sesso, visto come contaminante, incompatibile
con la sfera del sacro? Certo, si sprecano le dichiarazioni che la disciplina celibataria del clero
cattolico latino non significa per nulla una svalutazione o anche solo una minore stima
dell'esperienza sessuale.

Ma la psicologia del profondo ci ha fatti avvertiti dell'esistenza del
fenomeno della razionalizzazione di paure inconsce che spingono a trovare motivazioni razionali di
grande levatura capaci di tranquillizzarci nella nostra fuga da realtà avvertite con una grande carica
fobica. E anche davanti a questa rilevazione di carattere sperimentale si alzeranno alte grida contro
l'invasione indebita nella sfera religiosa della psicoanalisi.

Ma c'è un fatto incontrovertibile che
mette a nudo un sottofondo non chiarito nella prassi celibataria della Chiesa cattolica latina imposta
ai ministri del culto. Tra parentesi si vuole pure escludere che si tratti di un'imposizione, perché si
dice: la Chiesa è libera di scegliere i suoi ministri tra quanti hanno il carisma celibatario. E ritorno
subito al fatto che mi sembra costituire la prova del nove. Non sono mancati casi eccezionali in cui
ad uomini sposati e tuttora uniti alla moglie è stato concesso dall'autorità romana di poter esercitare
il ministero sacerdotale, ma con la precisa clausola di escludere qualsiasi esperienza sessuale
matrimoniale: il sacerdote in questione resti pure unito a sua moglie, viva sotto lo stesso tetto,
conduca una normale vita matrimoniale, ma viva nella continenza sessuale.

E' fin troppo chiaro
dunque che fa difficoltà proprio il sesso, non il matrimonio in quanto tale. Un ministro che presieda
la celebrazione dell'eucaristia, sieda in confessionale, in breve sia ministro dei sacramenti, e nello
stesso tempo abbia una vita sessuale normale suscita resistenze incontenibili, fobie oscure, paure
tabuistiche di contaminazione.

I sacramenti, luoghi d'incontro con Cristo, a sua volta grande e
universale sacramento d'incontro con Dio, sono vissuti in modo sacrale, come sfera separata dalla
profanità, in concreto dalla profanità dell'esperienza sessuale.

Eppure Paolo nella lettera ai Romani
esorta così i suoi interlocutori: offrite a Dio come sacrificio vivo, santo e a lui gradito "i vostri
corpi / ta somata hymon", dunque integralmente voi stessi, la vostra vita mondana senza alcuna
separazione di ambiti o di sfere (12,1).

Sì, perché una volta che il figlio di Dio si è fatto "carne",
dunque essere terrestre e mondano, ed essendo la salvezza legata strettamente alla "carne" (caro
cardo salutis), non è più possibile separare sacro da profano, tra sfera dell'incontro cultuale con Dio
e sfera al di fuori del santuario (profano, che sta davanti al fanum, al recinto sacro).

In conclusione,
non solo la fede creazionistica di tutta la tradizione biblica ma anche la fede incarnazionistica che in
Cristo trova il suo incomparabile vertice stanno saldi come due punti di riferimento per una
riflessione teologica avvertita e non priva di valenza critica circa la prassi celibataria generalizzata
dei ministri sacerdotali della Chiesa cattolica latina, che non per nulla ha grande difficoltà di fronte
alla prospettiva dell'ammissione delle donne al ministero sacerdotale.

Non sarà che queste sono
collegate, nell'immaginario più o meno inconscio, con la sfera sessuale e quindi cadono sotto la
scure dell'ostracismo di marca tabuistica e fobica? Il mondo, e in esso la sfera sessuale, non è
vissuto, come vorrebbe la fede creazionistica e incarnazionistica, come realtà "mondana" e
radicalmente positiva nei suoi aspetti naturali, bensì come insieme di grandezze "profane", separate,
in qualche modo contaminanti la "purezza" del culto e del rito. (Mi si permetta di citare, per un
approfondimento, il mio "La laicità del credente interpretazione biblica". Cittadella ed., Assisi
l987).

Visto in se stesso, il problema potrebbe anche apparire secondario: una questione di
disciplina ecclesiastica. Ma nelle sue radici assume un'importanza significativa: un test su cui si
misura la comprensione cristiana del rapporto uomo-mondo-Dio.

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Commenti Articolo 969

Titolo articolo : A GERUSALEMME NEL 1961, DOPO AUSCHWITZ, KANT "ALLA BERLINA". Hannah Arendt, Emil Fackenheim, e l’ "Imperativo Categorico del Terzo Reich". Alcuni appunti sul tema,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: December/16/2011 - 11:11:21.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 02/6/2010 21.12
Titolo:Dover dire che oggi «La morte è un maestro da Israele».
Fuga di morte

di Giorgio Agamben (il manifesto, 2 giugno 2010)

Molti ricordano i versi della poesia «Fuga di morte» in cui Paul Celan evocava nel 1952 lo
sterminio degli ebrei:
«La morte è un maestro dalla Germania / ti colpisce con palle di piombo e ti colpisce preciso». È
triste per chi, come me, è legato alla cultura ebraica, dover dire che oggi «La morte è un maestro da
Israele». Ed è tanto più triste, perché i soldati che hanno attaccato le navi dei pacifisti non soltanto
hanno agito come pirati in acque internazionali, ma soprattutto hanno agito come guardiani del
Lager in cui Israele ha trasformato la Palestina.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/12/2011 11.11
Titolo:Hannah Arendt e il carnefice ....
Hannah e il carnefice

di Marco Filoni(il Fatto Saturno 16.12.2011)

CHISSÀ COSA avesse in mente Hannah Arendt quando, in una delle sue ultime lettere, scriveva al suo maestro e amante di gioventù Martin Heidegger un accenno sul “carattere d’attacco della filosofia”. Lei di attacchi ne subì parecchi. Non solo in vita: tutt’oggi è considerata da molti un personaggio controverso. E c’è da giurare che le polemiche sul suo conto sono destinate a rinvigorirsi nei prossimi mesi.

L’occasione è del tutto “virtuale”, ovvero il ritorno di Hannah Arendt a Gerusalemme cinquant’anni dopo il processo Eichmann. La regista tedesca Margarethe von Trotta ha iniziato le riprese di un film, intitolato Hannah Arendt, su quel processo.

Era il 1961: decine di cronisti di tutto il mondo si trovavano nella sala stampa del Beit Ha’am di Gerusalemme, per seguire il processo al nazista Adolf Eichmann. Fra questi anche la Arendt, inviata per il New Yorker. I reportages, poi raccolti nel suo libro più famoso apparso con il titolo La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, furono molto criticati.

La filosofa, grossolanamente, sosteneva che l’antisemitismo non era sufficiente a spiegare la Shoah, che piuttosto poteva esser inscritta in un fenomeno di comportamenti complessi fatti di azioni banali, perpetrate in maniera non consapevole e trascinate dalla massa.

Non solo: criticò anche il tribunale, perché influenzato dall’idea sionista allo scopo di rafforzare il militarismo israeliano e a scapito di un giusto processo. Considerazioni che la portarono a esser invisa in Israele – basti dire che la traduzione ebraica del libro ha visto la luce soltanto nel 2000, quasi quarant’anni dopo dall’originale.

Non solo: anche negli ultimi anni una violenta controversia l’ha vista protagonista nel mondo anglosassone. La miccia, due anni fa, un lungo articolo dello storico Bernard Wasserstein, docente in quella Chicago che è stata la palestra americana delle menti filosofiche dove la stessa Arendt insegnò. Esperto di storia ebraica e israeliana, Wasserstein ha affidato al Times Literary Suplement un atto d’accusa senza pari, sin dal titolo: Incolpare le vittime. Hannah Arendt fra i nazisti: la storica e le sue fonti.

Qui lo storico dice: la Arendt non merita l’adulazione postuma di cui è oggetto; la sua opera non resiste alla prova del tempo; il suo complesso rapporto con il popolo ebraico trasparirebbe da un dubbio uso delle fonti antisemite e naziste. In breve, fustiga quella che chiama la “perversità” della sua visione del mondo, cioè l’insistenza con la quale parlava della “corresponsabilità” degli ebrei nell’antisemitismo, e la interpreta come una sovraesposizione alla letteratura nazionalsocialista. Ben altro rispetto a quanto gli rimproverava Gershom Scholem, che lamentava – l’espressione è diventata celebre – la mancanza di ahavat Yisrael, “amore del popolo ebraico”.

Certo, la Arendt non era stata tenera nei giudizi: scrisse che i “consigli ebraici” (Judenräte) creati dai nazisti nel’Europa occupata erano popolati da “pusillanimi della politica genocidaria”. La sua invettiva non era da meno sulle persone: il filosofo Adorno, “l’essere umano più ripugnante che conosca”, Moses Mendelssohn un “filosofo opportunista senza alcuna importanza nel giudaismo”, Alfred Dreyfus “un parvenu parecchio idiota” e Gideon Hausner, il procuratore generale del processo Eichmann, “un tipico ebreo galiziano, molto antipatico”.

Insomma, il film assicura la polemica. Ma resta una questione storica. Hannah Arendt riconosceva di non scrivere sine ira ac studio, poiché l’oggettività non poteva esser usata trattando un tema quale la morte. Ma la sua combinazione personale di ira e studio ha dato risultati migliori?

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Commenti Articolo 970

Titolo articolo : FERMARE LA STORIA: NEGARE LA RIVELAZIONE. Dietro lo scudo dei Lefebvriani, Papa Ratzinger porta avanti il suo cupo programma "apocalittico". La Chiesa dell’anticoncilio. Una nota di Piero Stefani,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: December/15/2011 - 22:55:32.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/12/2011 22.55
Titolo:NON CREDERE A OGNI SPIRITO (E A OGNI PAPA)!!!
I CHERUBINI DELL'ARCA DELL'ALLEANZA E I "DUE COLOMBI" DELLA LEGGE (MARIA E GIUSEPPE) PORTANO LO STESSO BUON-MESSAGGIO: "DIO E' AMORE (1 Gv. 4.8):

"CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1Gv., 4, 1-8).


Per la chiesa cattolica-costantiniana, Giuseppe è ancora "un goj" - uno straniero (da sopportare e sfruttare)!!!

COME MARIA: "FIGLIA DEL TUO FIGLIO", COSI’ GIUSEPPE: "FIGLIO DEL TUO FIGLIO"!

Dante non "cantò i mosaici" dei faraoni, ma la Legge del "Dio" di Mosè, del "Dio" dei nostri "Padri" e delle nostre "Madri".

RI-PENSIAMO BENE LA LEZIONE FRANCESCANA DEL "PRESEPE" COME DELL'ARCA DELL'ALLLEANZA, E RIEQUILIBRIAMO IL CAMPO DI TUTTE LE RELAZIONI TRA UOMINI E DONNE - TRA TUTTI GLI ESSERI UMANI!!!

GESU' NON ERA IL FIGLIO DI MARIA E DEL DIO-IMPERATORE DELL'UNIVERSO, MA DELL'AMORE (CHARITAS") DI MARIA E GIUSEPPE!!! Dell’Amore che muove il Sole e le altre stelle....

BUON NATALE


Federico La Sala

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Commenti Articolo 971

Titolo articolo : Il ricatto della finanza,di Michelangelo Puliga

Ultimo aggiornamento: December/12/2011 - 21:41:35.

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Autore Città Giorno Ora
Dario Maggi Milano 10/12/2011 01.01
Titolo:obiezioni a Michelangelo Puliga
Se non capisco male, Michelangelo Puliga è professionalmente un fisico teorico che si occupa anche di economia. Forse varrebbe la pena di confrontare le sue opinioni con quelle del sito "La voce" al link http://www.lavoce.info/dossier/pagina2974.html, che sono radicalmente diverse da quelle di Puliga. Il sito è condotto da un gruppo di economisti che non hanno lesinato critiche al governo Berlusconi.
Il testo di Puliga presenta parecchi punti sui quali, riflettendoci un po', non si può assolutamente essere d'accordo. Qualche esempio:
- quando Puliga scrive che "la speculazione è ovviamente interessata all'oggi e non al domani, e usa la paura e la fretta per distorcere il mercato a proprio vantaggio ed incassare rapidamente", gli si potrebbe obiettare che una speculazione che incassa interessi alti ma poi si ritrova in mano un capitale dimezzato (la restituzione del 50% del capitale è una delle ipotesi discusse riguardo alla Grecia) non fa precisamente un buon affare, e quindi qual è la logica? E' legittimo pensare che il ragionamento di Puliga sia semplicemente infondato. "La voce" segnala ad esempio che i fondi monetari americani che hanno cominciato a vendere titoli italiani del tesoro non sono affatto fondi speculativi. Ma del resto se chiunque di noi avesse - da anni! - un debito pari al 120% del suo reddito, troverebbe facilmente chi gli presta denaro?
- quando Puliga sostiene l'insostenibilità di interessi del 2% perché "Nessun grande paese europeo cresce a ritmi superiori al 2%, quindi il debito non potrà far altro che crescere" dimentica l'inflazione, e dimentica che la Banca d'Italia (che temo sia più affidabile di Puliga) ha dichiarato tempo fa la sostenibilità per il debito italiano di interessi anche parecchio maggiori del 2%.
- la proposta, che Puliga avanza sia pur in forma dubitativa, di "smettere di pagare il debito" è contemporaneamente disonesta verso gli altri e autolesionista nei nostri confronti. E' disonesta perché è troppo comodo sostenere senza pezze d'appoggio che il nostro debito è verso una "speculazione" non meglio identificata (quando in realtà chi detiene il nostro debito sono ad esempio in gran parte fondi pensione di lavoratori americani, e privati risparmiatori di tutti i paesi), semplicemente per precostituirsi un alibi di fronte a quello che è solo un furto. Da quando in qua la restituzione di un debito dipende dalla (supposta) statura morale del creditore? (e, dato che l'intervento compare su Il dialogo, quale passo del vangelo giustifica un simile atteggiamento?). La proposta è anche autolesionista perché dovrebbero essere evidenti le conseguenze disastrose per l'Italia e gli italiani di un simile rifiuto: nessuno vorrebbe più aver a che fare con noi e con le nostre industrie esportatrici: e allora dove troveremmo le risorse? Quanto alla osservazione "a ben guardare lo stato italiano con le sole tasse dei cittadini, se non dovesse pagare il debito pubblico e i suoi interessi, avrebbe molti soldi da spendere", si potrebbe chiedere a Puliga: ma allora perché il debito si è formato, dato che lo stato disponeva delle tasse anche prima che il debito cominciasse a crescere?
La verità è che c'è stato un comportamento dissennato e irresponsabile dei cittadini italiani che hanno votato per governanti incapaci. Che nella finanza internazionale ci siano molte porcherie è acquisito. Ma andare in cerca di alibi fondati su ipotesi stravaganti è solo un sistema per nascondersi questa amara realtà: un paese che ha tollerato per anni un debito del 120% senza far nulla ha già rinunciato alla propria sovranità.
Auspico che in futuro Il Dialogo si scelga contributi più affidabili o per lo meno che ascolti diverse campane.
Dario Maggi
Autore Città Giorno Ora
Giovanni Sarubbi Monteforte Irpino 10/12/2011 07.24
Titolo:L'economia deve avere una funzione sociale
Scrive Dario Maggi nel suo commento: "Da quando in qua la restituzione di un debito dipende dalla (supposta) statura morale del creditore? (e, dato che l'intervento compare su Il dialogo, quale passo del vangelo giustifica un simile atteggiamento?)", concludendo poi con l' auspicio "che in futuro Il Dialogo si scelga contributi più affidabili o per lo meno che ascolti diverse campane".

Per quanto riguarda la prima questione ci sembra che le argomentazioni di Michelangelo Puliga siano del tutto congruenti con l'evangelo e con la stessa Bibbia Ebraica che proibisce l'usura (Levitico 25,36-37), cosa peraltro condivisa anche dall'Islam. Per l'evangelo ci viene in mente fra l'altro il passo di Luca 6,24-25 che è una inequivocabile condanna di chi è ricco e gaudente e lo fa sulle spalle dei poveri cioè della maggioranza della popolazione ("Ma guai a voi, ricchi,perché avete già ricevuto la vostra consolazione.Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame.Guai a voi, che ora ridete,perché sarete nel dolore e piangerete."). Secondo la concezione comune alle tre religioni abramitiche è usura, quindi vietato e moralmente inaccettabile, qualsiasi tasso di interesse, anche minimo, venga richiesto su un prestito. Costruire addirittura un sistema economico basato sulla speculazione finanziaria che non ha alcun riferimento ad attività economiche reali, quali la produzione di beni e servizi, è sicuramente contrario per lo meno allo spirito originario delle tre religioni abramitiche.
A noi sembra che Puliga ponga invece la domanda sulla liceità o meno della speculazione finanziaria di fronte a cui gli stati sono inermi. E' del tutto evidente che se gli stati a livello mondiale continuano a tollerare che nelle borse si possa scommettere su tutto, dal prezzo del grano ai debiti degli stati, le situazioni come quelle che stiamo vivendo, che hanno conseguenze devastanti per interi continenti, non avranno mai fine. E' noto, per esempio, che il quasi raddoppio dei prezzi dei principali alimenti a livello mondiale sia stato provocato dalla speculazione finanziaria che ha letteralmente fatto morire di fame milioni di persone in Africa. E chiunque ha avuto a che fare con la borsa sa che la parola chiave di quella istituzione, massimo emblema del neoliberismo, è "scommessa". Basta leggere sul sito della borsa italiana i documenti che spiegano il funzionamento della borsa dove la parola scommessa è scritta a chiare lettere. Da quando scommettere è diventato sinonimo di economia? Quale umanità è quella che ha trasformato l'economia mondiale in un grande casinò? Chi baserebbe la propria vita quotidiana, il crescere i propri figli, una vita sociale armoniosa sulla possibilità di vincere una scommessa in una sala corse o sui numeri al lotto?
La presenza dell'articolo di Puliga è quindi assolutamente congruente con la nostra linea editoriale.
Per quanto riguarda la seconda questione il fatto che Dario Maggi abbia potuto esprimere il suo commento è il segno inequivocabile della nostra propensione strutturale ad ascoltare "diverse campane".
Per quanto riguarda altri siti come quello citato da Maggi, ognuno sceglie la linea che meglio preferisce. Essere stati degli oppositori di Berlusconi non significa necessariamente essere ispirati dall'evangelo o da una qualsiasi altra religione. Per noi una economia che non abbia una funzione sociale, che non serva cioè al benessere collettivo dell'umanità è priva di qualsiasi valore.
Giovanni Sarubbi - direttore www.ildialogo.org
Autore Città Giorno Ora
michelangelo puliga zurigo 10/12/2011 12.41
Titolo:risposta ai commenti del sig. Maggi
In risposta ai commenti del sig. Maggi di cui ringrazio la franchezza.

Il primo commento che le faccio a caldo è che la maggior parte degli argomenti che ho elaborato non sono una mia invenzione ed il tono dell\'articolo è volutamente provocatorio. Le preoccupazioni sulla tenuta del sistema di indebitamento degli stati hanno alimentato una vasta letteratura. Tra gli altri cito in Italia, L.Gallino o la Napoleoni, o Rubini in America o Francois Morin in Francia. Io non sono un economista di formazione ma lavoro su modelli finanziari e di rischio sistemico usando raffinate tecniche matematiche, Ma questi autori sono tutti economisti e tutti si scagliano contro il modello del debito a lungo termine degli stati. Può scegliere se ascoltarli oppure seguire l\'economia liberista \"mainstrem\" che ci ha portato con la sua \"deregulation\" esattamente nella condizione in cui siamo adesso.

Le faccio notare una cosa se consideriamo \"sostenibile\" sul lungo periodo gli interessi al 2% lo facciamo immaginando una crescita \"infinita\". Ma i PIL di tutti i paesi occidentali sono destinati a contrarsi nel prossimo futuro. Qualsiasi cosa si faccia abbiamo raggiunto i limiti della crescita ed è solo questione di tempo vedere le risorse ambientali esaurirsi definitivamente. Con un PIL stagnante o solo lievemente positivo il debito/pil non potrà che crescere in barba alle rassicurazioni delle autorità centrali.

Altra cosa non da trascurare, è solo dagli anni 80 che gli interessi sui titoli a lunga scadenza del debito possono fluttuare. Prima erano fissati (legga il testo di Morin: un mondo senza Wall Street, in proposito) e gli stati sostenevano la spesa pubblica attraverso un più o meno elevato ricorso alla stampa di moneta. Che sicuramente produceva inflazione ma per un caso strano questa inflazione non azzoppava la crescita. Negli anni 80 l\'inflazione era ben sopra il 10% eppure per comune sentire erano \"anni d\'oro\" anche in Italia (forse anche troppo). Non le sembra una contraddizione con le politiche attuali ? oggi non abbiamo inflazione il denaro costa nulla (e questo è un male perché produce debito) eppure la crescita è assolutamente inchiodata ?

Infine le pongo una domanda. Gli istituti di econometria (tra cui Eurostat) non azzeccano una previsione, dico una, sul PIL trimestrale. Le teorie migliori degli economisti non azzeccano l\'indice azionario a 10 minuti e men che mai fanno previsioni sulle crisi in arrivo. Ciononostante dicono a noi fisici, quando vogliamo fare il loro mestiere, di non impicciarci, di \"credere nel libero mercato\". Di grazia, le nostre teorie su cose complesse come il clima fanno previsioni corrette almeno ad una settimana ed anche oltre in senso probabilistico.
Sarà mica che la scienza economica deve avere più modestia ?

E sarà mica che la finanza tutta deve essere drasticamente limitata ? Siamo al paradosso che certe istituzioni finanziarie sono più grandi dei paesi che le ospitano, sono come si dice in gergo \"too big to fail\". Impossibili da salvare. Ma stiamo scherzando ? dobbiamo invece riportare la finanza a ruolo di aiuto all\'economia e non la finanza a ruolo di attore economico, con la logica della speculazione mordi e fuggi, la stessa che oggi si sta scommettendo sulla crisi del debito sovrano. Non penserà mica che non c\'è chi ci guadagna e tanto dal fallimento dell\'euro ?

Prima i cittadini, prima la società civile e dopo, molto dopo, il \"libero mercato\".
Autore Città Giorno Ora
Dario Maggi Milano 12/12/2011 18.47
Titolo:allargando la discussione
Gentile Sarubbi,
la sua risposta al mio intervento sull'articolo di Puliga allarga la problematica, e questo non lo ritengo un male perché si va al nocciolo delle questioni. Quanto alla libertà di parola sul vostro sito, ve ne rendo atto e me ne rallegro. Secondo me in un confronto aperto tutti hanno da imparare.
La prima questione cruciale che la sua risposta pone riguarda l'interpretazione della Scrittura. "Secondo la concezione comune alle tre religioni abramitiche è usura, quindi vietato e moralmente inaccettabile, qualsiasi tasso di interesse, anche minimo, venga richiesto su un prestito". Credo che questa posizione sottovaluti, e di molto, il peso della storia. Da quando il testo del Levitico è stato redatto sono successe un po' di cose, e pretendere che una norma redatta nel contesto di una civiltà rurale di 2500 anni fa sia da applicare alla lettera nel contesto economico odierno mi sembra impraticabile in concreto, anche da lei (e credo anche sminuisca il ruolo della Scrittura, da parola rivolta alla fede a raccolta di articoli di normativa giuridica). Facciamo un esempio: 400 anni fa Galileo ha messo in dubbio che il passaggio su Giosuè che ferma il sole fosse da intendere alla lettera. Galileo è finito sotto processo, ma oggi nessuno pensa più che la verità della Scrittura sia in gioco su quella questione, perché le scoperte dell'astronomia hanno tolto qualunque dubbio. Bene, lo stesso vale per l'economia: sappiamo cose che loro non sapevano (ad esempio, che esiste una cosa chiamata inflazione, cosa di cui tengono conto le banche dei paesi arabi per aggirare il divieto coranico), e soprattutto il contesto è completamente differente: ad esempio, il capitale che ci vuole oggi per mandare a regime una produzione industriale è immensamente superiore a quello che serviva a un contadino del medio oriente allora per coltivare il proprio campo (e, tra parentesi, le borse e le banche dovrebbero servire proprio a questo, a finanziare gli investimenti delle aziende).
Quanto al vangelo, quando Luca scrive "beati i poveri" o "guai ai ricchi", dobbiamo pensare che condanna tutto il progresso, anche economico nonostante tutte le distorsioni, che c'è stato da allora a oggi, come se la miseria fosse un ideale di vita? Noi siamo tutti oggi, almeno in Occidente, molto più ricchi di coloro cui Luca si rivolgeva, e per fortuna! E allora, siamo tutti condannati? Io credo di no, credo che il vangelo vada letto in altro modo (si potrebbe coinvolgere nella discussione un esegeta qualificato).
Quanto alle cose che lei scrive sul raddoppio dei prezzi agricoli, sul disagio riguardo alla Borsa come luogo di scommesse, sulla necessità che "Gli stati devono tornare al di sopra dei mercati finanziari" (Puliga) siamo perfettamente d'accordo, ci mancherebbe. Solo che il rimedio proposto da Puliga ("smettere di pagare il debito") è peggiore del male, è un rimedio da apprendista stregone. Una cosa del genere, detta ad esempio da un ministro del governo Monti, farebbe schizzare in su lo spread di molti punti (e manderebbe in miseria proprio le classi più umili, cosa che dovrebbe starci a cuore, mi pare). Che il signor Puliga abbia voglia di scrivere cose "volutamente provocatorie" è affar suo, che questa sia un'idea assennata in un momento grave come questo, lo lascio giudicare al vostro buon senso.
C'è un ultimo punto: è proprio vero che l'incremento del costo del nostro debito sia dovuto esclusivamente a una manovra speculativa, come sembra pensare Puliga? L'economista Marco Onado (certo, non è uno dei quattro economisti citati da Puliga), sul sito La Voce del 2.12, non sembra crederci molto. Scrive "Molti operatori, a cominciare dai fondi monetari americani (che non hanno affatto natura speculativa  e che hanno un patrimonio di 13 trilioni di dollari) hanno ristrutturato a partire dalla primavera di quest’anno il loro portafoglio fatto di titoli pubblici internazionali. C’è da stupirsi se hanno deciso di alleggerire la loro esposizione verso l’Italia e non partecipano ilari e festanti alle nuove aste?" La speculazione esiste, e i governi fanno male a non aver ancora introdotto una tassa sulle transazioni finanziarie, ma non è affatto vero che tutto dipenda solo dalla speculazione. Se lei va a vedere come sono strutturati i fondi previdenziali, quelli che dovranno garantire una previdenza integrativa a chi oggi lavora, vedrà che sono dei fondi comuni con dentro azioni, obbligazioni, titoli del tesoro (e verosimilmente questo varrà d'ora in poi per tutti i fondi previdenziali, dato il passaggio al sistema contributivo). Questo significa che ogni lavoratore, anche lei, raccoglie anno dopo anno una certa somma che rimane lì, produce interessi (con buona pace del Deuteronomio) e poi serve alla fine per avere una pensione. Non mi sembra un'azione riprovevole, sarebbe riprovevole invece danneggiare tutti questi lavoratori non pagando il nostro debito, come propone Puliga. Se i singoli cittadini (metà del nostro debito è in mano italiana) o i fondi previdenziali (italiani ed esteri) non vogliono comperare più dei titoli, perché non hanno più certezza che siano affidabili, questa lei ritiene che sia speculazione o cautela? E per indurre di nuovo la gente ad acquistare quei titoli, qual è l'alternativa, se non tornare ad avere una gestione delle spese (e delle entrate) sostenibile?
Dario Maggi
Autore Città Giorno Ora
michelangelo puliga zurigo 12/12/2011 21.41
Titolo:
Caro Sig. Maggi,
in un passato non lontano (prima degli anni 80) gli stati finanziavano la loro crescita con l'emissione di moneta, si preoccupavano dell'inflazione ma non in maniera cosi' ossessiva. Invece oggi non abbiamo piu' questo strumento in gran parte a causa dei veti della Bundesbank. Quanto ai fondi pensione americani la decisione o meno di tenere o non tenere nei propri portafogli i titoli italiani e' legata a considerazioni di mercato e di affidabilita' che solo in parte possono essere giustificate come cattiva condotta dell'Italia (non avrebbero in quel caso dovuto concedere credito diciamo negli ultimi 10 anni).
Ora non passera' molto tempo che gli investitori stranieri si saranno liberati del pesante fardello dei debiti sovrani tutti (anche di quelli tedeschi). Tra poco tempo la pratica economica vedra' il prestito agli stati come per nulla sicuro e ci si concentrera' su materie prime o cibo con effetti ben evidenti.
Quanto alla parte di debito che l'Italia potrebbe non ripagare e' quella parte detenuta dagli italiani stessi. Io personalmente posseggo qualche obbligazione del tesoro italiano parcheggiata la' da parecchi anni, in caso di necessita' preferirei che mi prelevassero quelle piuttosto che vedermi ridotte le prestazioni sanitarie. In fondo se le ho parcheggiate la' a lunga scadenza e' perche' non ne avevo urgente necessita', mentre di una prestazione sanitaria o di una buona scuola ho bisogno ora non domani alla scadenza degli interessi.

Quindi l'Italia si dovrebbe impegnare a pagare il debito con gli investitori stranieri ma essere in caso di emergenza piu' severa con i propri cittadini che sono i primi chiamati ad aiutare il paese in difficolta'. Poi lei potra' dirmi che per un prelievo del genere ci vorrebbe autorita' morale e certamente la casta politica italiana con i suoi privilegi non ne ha l'autorita'.

Infine senza voler essere catastrofista ma se non diamo una forte regolata ai mercati per esempio separando banche d'affari e commerciali come si fece anche negli anni 30 o proibendo i naked CDS o come anche lei riconosce tassando le transazioni quanto tempo passera' fino alla prossima crisi sistemica ?

Ci sono tante bolle pronte a scoppiare e gli effetti sono sempre piu' devastanti. Magari basterebbe ricordare che la FED americana ha assorbito oltre un trilione di dollari di titoli tossici dalle istituzioni in difficolta', un trilione di dollari che si abbattera' sul debito americano entro pochi anni.

Eppoi che storia e' mai questa di una Europa senza prestatore di ultima istanza, senza una banca centrale autorizzata a farsi carico dei problemi finanziari mettendo sul campo qualsiasi risorsa (la FED ha garantito i titoli tossici con il 50% del pil americano come puo' leggere su Bloomberg). Invece qua si litiga sulla forma e non si agisce. Si lascia bruciare, e siccome il fuoco sui mercati arrichisce qualcuno che lo alimenta ... beh forse non abbiamo ancora visto tutto.

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Commenti Articolo 972

Titolo articolo : DONNA LA TUA GRANDEZZA È DIRE SI.,di p. Ottavio Raimondo – Suor Giuseppina Barbato

Ultimo aggiornamento: December/12/2011 - 14:46:41.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/12/2011 14.46
Titolo:UOMO LA TUA GRANDEZZA E' DIRE SI' ...
I CHERUBINI DELL'ARCA DELL'ALLEANZA E I "DUE COLOMBI" DELLA LEGGE COME DEL MESSAGGIO EVANGELICO(MARIA E GIUSEPPE) DICONO LA STESSA PAROLA: "DIO E' AMORE (1 Gv. 4.8):

COME MARIA: "FIGLIA DEL TUO FIGLIO", COSI’ GIUSEPPE: "FIGLIO DEL TUO FIGLIO"! Per la chiesa cattolica-costantiniana, Giuseppe è ancora "un goj" - uno straniero (da sopportare e sfruttare)!!!


Dante non "cantò i mosaici" dei faraoni, ma la Legge del "Dio" di Mosè, del "Dio" dei nostri "Padri" e delle nostre "Madri".

RIEQUILIBRIAMO IL CAMPO DELLE RELAZIONI TRA UOMINI E DONNE E PENSIAMO BENE LA LEZIONE FRANCESCANA DEL "PRESEPE"!!! GESU' NON ERA IL FIGLIO DI MARIA E DEL DIO-IMPERATORE DELL'UNIVERSO, MA DELL'AMORE DI MARIA E GIUSEPPE!!! Dell’Amore che muove il Sole e le altre stelle.

BUON NATALE


Federico La Sala

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Commenti Articolo 973

Titolo articolo : DAL VATICANO, UN MESSAGGIO DI "BUON NATALE". Benedetto XVI benedice la maestra di Bologna che spaventò una bambina con i racconti dell'Apocalisse. Una nota di Giacomo Galeazzi,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: December/12/2011 - 14:05:36.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 12/12/2011 14.05
Titolo:DALLA "CHARIDAD" ALLA "CARITAS" ....
DALLA "CHARIDAD" ALLA "CARITAS", LA SVOLTA TEOLOGICA DI BENEDETTO XVI.


Karol Wojtyla si era laureato con una tesi
su san Giovanni della Croce ed era Terziario
Carmelitano.


Dal 2006, sul Vaticano, in Piazza san Pietro, sventola il "Logo" del Grande Mercante e del Grande Capitale: Benedetto XVI, "Deus caritas est" (2006) .... ma nessuno ancora se ne è accorto!!! Si continua a parlare e a confondere "eu-charitas" con "eu-caritas", "eu-charistia" con "eu-carestia", e ... così va la Chiesa e "il mondo dentro il capitale"!!!

"CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1Gv., 4, 1-8).


Eppure Giovanni Paolo II aveva detto: "Se mi sbalio, mi coriggerete"!!!

Ma nessuno, nessuno, si è alzato e ha avuto il coraggio di parlare...

Dal 2996 a oggi, tutti e tutte - cardinali, vescovi, preti, accademie pontificie, teologi e teologhe, filosofi e filosofe, - o hanno taciuto e hanno acconsentito - divinamente, capitalistica-mente al ’nuovo’ corso!!! E tacciono ancora!!! A maggior gloria della menzogna filologica, teologica, e antropologica ... del cattolicesimo-costantiniano e del capitalismo vecchio e ’nuovo’!!!

PER RATZINGER, PER IL PAPA E I CARDINALI, UNA LEZIONE DI GIANNI RODARI. L’Acca in fuga (cfr: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=4368 )

AI CERCATORI DEL MESSAGGIO EVANGELICO. Una nota sulla "lettera" perduta. (cfr.: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/breve.php3?id_breve=424 )U

Federico La Sala

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Commenti Articolo 974

Titolo articolo : Goldman Saxhs il denaro finto e lo spread, mandarli a quel paese è la sola soluzione,di Amina Salina

Ultimo aggiornamento: December/12/2011 - 07:54:05.

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Autore Città Giorno Ora
Elisabetta Vettori Vicenza 05/12/2011 21.14
Titolo:Come mai i comuni hanno intrapreso unoperazione così rischiosa?
Quello che non capisco è prorpio questo: perchè mai i comuni che sono gestiti da gente esperta, non sono stati un po' oi prudenti. Tutti sanno che più alto è il rendimento maggiore è il rischio. Come hanno potuto prendersi questa responsabilità con denari pubblici?
Autore Città Giorno Ora
Ernesto Miragoli Como 12/12/2011 07.54
Titolo:chi li manda a quel paese?
Articolo condivisibile in tutto e per tutto. Ma resta la domanda: chi manda a quel paese la Goldman o la S&P o la F.?
Nessuno di noi poveri mortali ha il potere di farlo.
Chi ha potere potrebbe farlo semplicemente non curandosene.
Ma per farlo bisognerebbe avere un po' di spina dorsale.
A me pare di vedere una massa di governanti invertebrati.

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Commenti Articolo 975

Titolo articolo : IL RABBINO JONATHAN SACKS A ROMA PER AIUTARE BENEDETTO XVI A PORTARSI SULLA DIRITTA VIA. "LA FINANZA E IL VITELLO D'ORO". Un suo intervento sull'Osservatore Romano - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: December/11/2011 - 18:03:59.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/12/2011 17.40
Titolo:LA TEOLOGIA ECONOMICA DELLA "CARITAS" DI BENEDETTO XVI ...
IL CAPITALISMO DIVINO E LA TEOLOGIA DELLA "CARITAS" DI BENEDETTO XVI.

Dal 2006, sul Vaticano, in Piazza san Pietro, sventola il "Logo" del Grande Mercante e del Grande Capitale: Benedetto XVI, "Deus caritas est" (2006) .... ma nessuno ancora se ne è accorto!!! Si continua a parlare e a confondere "eu-charitas" con "eu-caritas", "eu-charistia" con "eu-carestia", e ... così va la Chiesa e "il mondo dentro il capitale"!!!

"CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1Gv., 4, 1-8).


Eppure Giovanni Paolo II aveva detto: "Se mi sbalio, mi coriggerete"!!!

Ma nessuno, nessuno, si è alzato e ha avuto il coraggio di parlare...

Dal 2996 a oggi, tutti e tutte - cardinali, vescovi, preti, accademie pontificie, teologi e teologhe, filosofi e filosofe, - o hanno taciuto e hanno acconsentito - divinamente, capitalistica-mente al ’nuovo’ corso!!! E tacciono ancora!!! A maggior gloria della menzogna filologica, teologica, e antropologica ... del cattolicesimo-costantiniano e del capitalismo vecchio e ’nuovo’!!!

PER RATZINGER, PER IL PAPA E I CARDINALI, UNA LEZIONE DI GIANNI RODARI. L’Acca in fuga (cfr: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=4368 )

AI CERCATORI DEL MESSAGGIO EVANGELICO. Una nota sulla "lettera" perduta. (cfr.: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/breve.php3?id_breve=424 )U

Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/12/2011 18.03
Titolo:Bendetto XVI ha ribadito quanto scritto nella "Caritas in veritate" ...
Benedetto XVI alle cooperative cattoliche e alle banche di credito cooperativo richiama l'ispirazione cristiana


Mercato mai senza solidarietà

La dottrina sociale della Chiesa promuove da sempre il principio di sussidiarietà e complementarietà tra la persona e lo Stato, in virtù del quale si crea "equilibrio fra la tutela dei diritti del singolo e la promozione del bene comune, nello sforzo di sviluppare un'economia locale che risponda meglio alle esigenze della collettività".

Benedetto XVI lo ha ricordato questa mattina, sabato 10 dicembre, ai membri della Confederazione delle cooperative italiane e della Federazione italiana delle banche di credito cooperativo, ricevuti in udienza nella Sala Clementina, in occasione del centoventesimo anniversario della Rerum novarum.


Soffermandosi sull'impegno delle cooperative cattoliche nella continua ricerca di "comporre armonicamente la dimensione individuale e quella comunitaria", il Papa ha sottolineato l'importanza, sul piano etico, di una marcata sensibilità solidale, nel rispetto della giusta autonomia del singolo. Ciò vale anche nel campo dell'economia e della finanza.

A questo proposito il Pontefice ha ribadito quanto scritto nella Caritas in veritate: "retta intenzione, trasparenza e ricerca dei buoni risultati sono compatibili e non devono mai essere disgiunti".

Allo stesso modo, ha aggiunto, economia e mercato non devono mai essere disgiunti dalla solidarietà. Dovere dei cristiani è quello di favorire ogni iniziativa che dia vita ad un'economia "animata dalla logica della comunione e della fraternità".

Nell'adempiere a questa missione, ha concluso il Papa, è necessario "attingere alla sorgente divina attraverso un rapporto intenso con Dio", restare in costante ascolto "della Parola di Dio" e vivere "un'esistenza nutrita dall'Eucaristia".

Prima di incontrare Benedetto XVI i rappresentanti delle cooperative cattoliche avevano partecipato alla messa celebrata per loro dal cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, nella basilica di San Pietro.

Nell'omelia il porporato aveva sottolineato la necessità di mostrare, oggi più che mai, il coraggio di andare controcorrente, di saper osare in nome di Dio, sfidando le logiche dominanti, i luoghi comuni e i modi di pensare e di vivere conformisti.

In un momento difficile come quello attuale, è anche necessario "riuscire a coniugare la finanza, la politica e la tecnologia con l'etica" per raggiungere "un nuovo assetto econ0mico mondiale più giusto e solidale". Infine il cardinale ha ribadito l'importanza del ruolo della donna nel sistema cooperavistico.



(©L'Osservatore Romano 11 dicembre 2011)

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Commenti Articolo 976

Titolo articolo : "Abbundantis abbuntandum",di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: December/09/2011 - 17:46:03.

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Autore Città Giorno Ora
Alberto Bencivenga Roma 09/12/2011 17.44
Titolo:Sono d'accordo con te
Carissimo,

siamo completamente d'accordo ed io ho difeso le iene nello stesso spirito di ironia con cui Tu le hai citate, oltre che perchè, in fondo, possono anche essere simpatiche.
Hai citato l'art. 49 della Costituzione molto a proposito e mettendo il dito su una delle piaghe più puzzolenti della nostra degenerazione politica: quella dei partiti diventati feudi personali! E' logico che se questi feudatari possono contare sull'attuale legge elettorale che permette loro di nominare i deputati, il Parlamento perde gran parte del suo potere a favore dell'Esecutivo, con una grave malattia della democrazia, dimostrata dalle rimostranze che Burlesconi fece a suo tempo dicendo che le leggi scritte da lui venivano poi sempre cambiate prima di diventare esecutive, col che dimostrava di ignorare appunto una regola fondamentale delle moderne democrazie: le leggi le fa il Parlamento, non l'esecutivo, il cui compito è solo di applicarle!
Per cui, invece di impalare i politici, basterebbero poche regolette per moralizzare il nostro mondo politico:
1. nessun membro di assemblea elettiva può percepire uno stipendio che superi la media degli stipendi pagati agli impiegati dell'organizzazione che fa capo alla loro assemblea (per cui i parlamentari non possono percepire uno stipendio superiore alla media degli stipendi percepiti dagli impiegati dello stato);
2. nessun partito può essere riconosciuto come legale se i suoi dirigenti non sono stati eletti per scrutinio segreto dai tesserati (e piantiamola con la buffonata delle primarie dove se Burlesconi è furbo solo la metà di quello che crede manda i suoi tirapiedi a votare alle primarie del PD per far dirigere questo partito da D'Alema & Co.);
3. nessun parlamentare può ricoprire cariche esecutive, perchè un controllato non può essere anche controllore, come i francesi si sono accorti da lunga pezza, vietando ai parlamentari di far parte del governo;
4. per creare nei malfattori l'interesse a stare lontani dalla politica, bisognerebbe che le pene inflitte ad un parlamentare, anche e soprattutto per reati commessi prima di entrare in politica, siano automaticamente raddoppiate e, magari, triplicate per reati di corruzione, concussione e fiscali!
5. E' vietato per chi ricopre più di una carica politica di percepire più di uno stipendio.
Queste poche regolette credo che cambierebbero la situazione, senza ricorrere a riforme che spesso mi viene di sognare, anche se non sono capace di prevederne bene l'impatto finale, come permettere ai cittadini di votare solo per l'elezione dei consigli comunali, per poi far eleggere dai consiglieri comunali di una regione i consiglieri regionali e dai consiglieri delle regioni i deputati, conservando l'elezione dei senatori a collegio uninominale; far votare separatamente uomini e donne in modo che la metà dei membri di ogni assmblea elettiva siano donne elette da donne e l'altra metà uomini eletti da uomini...
Da ultimo vorrei fare una proposta che non c'entra con la politica, ma curerebbe un altro mondo malato di corruzione e nepotismo: quello accademico: commissari a concorsi per cattedre universitarie possono essere solo professori ordinari della materia in oggetto, purchè non siano cittadini italiani e non insegnino in università italiane. Negli anni '60 i finlandesi, con una legge di questo tipo guarirono definitivamente le loro università.
Cari saluti
Alberto Bencivenga

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Commenti Articolo 977

Titolo articolo : Domenica 3a Avvento – B – 11 dicembre 2011,di Paolo Farinella, prete

Ultimo aggiornamento: December/08/2011 - 16:56:27.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/12/2011 16.56
Titolo:A MARIA E GIUSEPPE - E GESU'!!!
AI DUE CHERUBINI E AI DUE COLOMBI ... A MARIA E GIUSEPPE - E GESU'!!!

COME DA ARCA DELL'ALLEANZA ... COME DAL "GLORIA A DIO NEL PIU' ALTO DEI CIELI", COME DALLA LEZIONE DEL PRESEPE DI SAN FRANCESCO - E DI DANTE:

DEUS CHARITAS EST (1 Gv.: 4.8)



Come MARIA: "FIGLIA DEL TUO FIGLIO", Così GIUSEPPE: "FIGLIO DEL TUO FIGLIO"!!!

Dante non "cantò i mosaici" dei "faraoni", ma soprattutto la Legge del "Dio" di Mosè di Elia e di Gesù, del "Dio" dei nostri "Padri" e delle nostre "Madri".

L’Amore ("Charitas") muove il Sole e le altre stelle ... e non la ricchezza ("caritas") del "santo-padre" del cattolicesimo-costantiniano.

In principio era il Logos - non il "Logo" della tradizione vaticana del "Latinorum"!!!

Buon Natale!!!

Federico La Sala

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Commenti Articolo 978

Titolo articolo : Immacolata Concezione della B. V. Maria – 8 dicembre –,di Paolo Farinella, prete

Ultimo aggiornamento: December/08/2011 - 16:45:46.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/12/2011 16.45
Titolo:AI DUE CHERUBINI E AI DUE COLOMBI ... MARIA E GIUSEPPE - E AL LORO FIGLIO GESU' ...
AI DUE CHERUBINI E AI DUE COLOMBI ... MARIA E GIUSEPPE - E GESU'!!!

COME DA ARCA DALL'ALLEANZA ... COME DAL "GLORIA A DIO NEL PIU' ALTO DEI CIELI", COME DALLA LEZIONE DEL PRESEPE DI SAN FRANCESCO - E DI DANTE:

DEUS CHARITAS EST (1 Gv.: 4.8)



Come MARIA: "FIGLIA DEL TUO FIGLIO", Così GIUSEPPE: "FIGLIO DEL TUO FIGLIO"!!!

Dante non "cantò i mosaici" (Carlo Ossola) dei "faraoni", ma soprattutto la Legge del "Dio" di Mosè di Elia e di Gesù, del "Dio" dei nostri "Padri" e delle nostre "Madri".

L’Amore ("Charitas") muove il Sole e le altre stelle ... e non la ricchezza ("caritas") del "santo-padre" del cattolicesimo-costantiniano.

In principio era il Logos - non il "Logo" della tradizione vaticana del "Latinorum"!!!

Buon Natale!!!

Federico La Sala

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Commenti Articolo 979

Titolo articolo : Le lacrime, il sangue e lo sterco di Satana,Bruno Gambardella

Ultimo aggiornamento: December/08/2011 - 16:27:51.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/12/2011 16.27
Titolo:ANCHE LA CHIESA PAGHI L'I CI ....
Per conoscenza.

Questo il mio testo di adesione all'appello di Micromega: anche la Chiesa paghi l'ici


_____________________________________________________




19136 FEDERICO LASALA



PROF. MONTI



LA "CHARTA CHARITATIS" (1115), LA "MAGNA CHARTA" (1215), E LA COSTITUZIONE ITALIANA (1948), NON HANNO NULLA A CHE FARE CON LA FALSA "CARTA" DELLA TEOLOGIA DEL "LATINORUM":

Sul Vaticano, in Piazza san Pietro, il "Logo" del Grande Mercante: "Dio è ricchezza" - "Deus caritas est" (Benedetto XVI, 2006)!!! Nello Stato del Vaticano ci sono solo i "banchieri" del "capitale divino"!



IL SOGNO "INFANTILE", DEVASTANTE E GOLPISTA, DI "FORZA ITALIA" E DELLA CHIESA "CATTOLICA" E FINITO!



USCIAMO DALLO "STATO" DI MINORITA' E DI SONNAMBULISMO!!!



E SALVIAMO L'ITALIA, DAVVERO!!!



Federico La Sala



http://temi.repubblica.it/micromega-appello/?action=vediappello&idappello=391231&show=firme&...


________________________________________________________________

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Commenti Articolo 980

Titolo articolo : La mistica del capitalismo,

Ultimo aggiornamento: December/07/2011 - 19:40:01.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/12/2011 21.47
Titolo:IL CAPITALISMO DIVINO E LA TEOLOGIA MISTICA DI PAPA RATZINGER
IL CAPITALISMO DIVINO E LA TEOLOGIA DEL "LATINORUM" DI BENEDETTO XVI.


Dal 2006, sul Vaticano, in Piazza san Pietro, sventola il "Logo" del Grande Mercante e del Grande Capitale: Benedetto XVI, "Deus caritas est" (2006) .... ma nessuno ancora se ne è accorto!!! Si continua a parlare e a confondere "eu-charitas" con "eu-caritas", "eu-charistia" con "eu-carestia", e ... così va la Chiesa e "il mondo dentro il capitale"!!!

"CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1Gv., 4, 1-8).

Eppure Giovanni Paolo II aveva detto: "Se sbalio, mi coriggerete"!!!

Ma nessuno, nessuno, si è alzato e ha avuto il coraggio di parlare...


Dal 2996 a oggi, tutti e tutte - cardinali, vescovi, preti, accademie pontificie, teologi e teologhe, filosofi e filosofe, - o hanno taciuto e hanno acconsentito - divinamente, capitalistica-mente al 'nuovo' corso!!! E tacciono ancora!!! A maggior gloria della menzogna filologica, teologica, e antropologica ... del cattolicesimo-costantiniano e del capitalismo vecchio e 'nuovo'!!!



Federico La Sala
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/12/2011 22.17
Titolo:LA QUESTIONE MORALE, QUELLA VERA - EPOCALE.
P. S.:

VARIAZIONI SUL TEMA:



LA QUESTIONE MORALE, QUELLA VERA - EPOCALE. AL GOVERNO DELLA CHIESA UN PAPA CHE PREDICA CHE GESU’ E’ IL FIGLIO DEL DIO "MAMMONA" ("Deus caritas est") E AL GOVERNO DELL’ **ITALIA** UN PRESIDENTE DI UN PARTITO (che si camuffa da "Presidente della Repubblica"), che canta "Forza Italia" con il suo "Popolo della libertà" (1994-2011). Questo è il nodo da sciogliere (cfr.: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=3811)


MONSIGNOR RAVASI, MA NON E’ POSSIBILE FARE CHIAREZZA? SI TRATTA DELLA PAROLA FONDANTE E DISTINTIVA DELLA FEDE CRISTIANA!!! DIO E’ AMORE ("Charitas") O MAMMONA ("Caritas")?! Ha dimenticato l’esortazione di Papa Wojtyla ("Se mi sbalio, mi coriggerete")?! (cfr.: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=3699)

LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!! (cfr.: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/breve.php3?id_breve=294)

SE UN PAPA TEOLOGO SCRIVE LA SUA PRIMA ENCICLICA, TITOLANDOLA "DEUS CARITAS EST" ("CHARITAS", SENZA "H"), E’ ORA CHE TORNI A CASA, DA "MARIA E GIUSEPPE", PER IMPARARE UN PO’ DI CRISTIANESIMO. (cfr.: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=4089)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/12/2011 19.40
Titolo:ANCHE LA CHIESA PAGHI L' ICI ...
TESTO DI ADESIONE ALL'APPELLO DI "MICROMEGA"

ANCHE LA CHIESA PAGHI L'ICI:



----19136 FEDERICO LASALA ---

PROF. MONTI

LA "CHARTA CHARITATIS" (1115), LA "MAGNA CHARTA" (1215), E LA COSTITUZIONE ITALIANA (1948), NON HANNO NULLA A CHE FARE CON LA FALSA "CARTA" DELLA TEOLOGIA DEL "LATINORUM":

Sul Vaticano, in Piazza san Pietro, il "Logo" del Grande Mercante: "Dio è ricchezza" - "Deus caritas est" (Benedetto XVI, 2006)!!! Nello Stato del Vaticano ci sono solo i "banchieri" del "capitale divino"!

IL SOGNO "INFANTILE", DEVASTANTE E GOLPISTA, DI "FORZA ITALIA" E DELLA CHIESA "CATTOLICA" E FINITO!

USCIAMO DALLO "STATO" DI MINORITA' E DI SONNAMBULISMO!!! E SALVIAMO L'ITALIA, DAVVERO!!!
Federico La Sala

http://temi.repubblica.it/micromega-appello/?action=vediappello&idappello=391231&show=firme&...

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Commenti Articolo 981

Titolo articolo : COME I CRISTIANI DA MARTIRI DIVENTARONO PERSECUTORI. Un lavoro di Giovanni Filoramo presentato da Massimo Firpo - con alcune note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: December/04/2011 - 19:29:10.

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Autore Città Giorno Ora
ugo agnoletto ponte della priula 04/12/2011 19.29
Titolo:cosa è cambiato e cosa non
se qualcosa è cambiato è perché la chiesa ha dovuto accettare alcuni dei diritti umani difesi dai laici, ma permane nella chiesa l'idea che se soldi, scuole, ospedali, leggi, ecc. sono gestiti e suggeriti dalla chiesa, allora le cose vanno bene, se sono in mano agli altri no. La storia stà sconfessando tutto questo, ma la chiesa ancora non vuol capire. Aggiungo che non tutti nella chiesa sono d'accordo con i vertici, ma sono molto pochi quelli che hanno il coraggio di dirlo

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Commenti Articolo 982

Titolo articolo : "DOMINUS IESUS"!!! IL CODICE DI DON VERZE' BOSS CON LA TONACA E IL "MODELLO CRISTOLOGICO" DELLA TEOLOGIA RATZINGERIANA. Una nota di Francesco Merlo - con allegati sul tema,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: December/03/2011 - 16:47:08.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 03/12/2011 16.47
Titolo:Don Verzè: io sono come Cristo in croce. Una lettera aperta ...
Don Verzè: io sono come Cristo in croce
mia ogni responsabilità sul San Raffaele
Una lettera aperta del fondatore. Che si offre al "giudizio di tutti", a partire dai pubblici ministeri,
e scrive che la struttura milanese si trova ora "sotto la protezione del Vaticano e dalla giustizia"

di WALTER GALBIATI *

Don Luigi Verzè, fondatore del San Raffaele
Si sente come Gesù Cristo in croce, tempestato di insulti, anche se il Signore per andare a diffondere la buona novella camminava a piedi nel deserto, mentre lui ha scelto di volare con un jet da 20 milioni di euro. Don Luigi Verzé, il fondatore del San Raffaele, l'ospedale finito in bancarotta con debiti da 1,5 miliardi di euro, ha scelto non di parlare, ma di affidare a una lettera pubblica il suo pensiero.

Via alle nuove offerte, in corsa Rotelli e Soros Don Verzè voleva una flotta aerea privata Don Verzè, Formigoni e quegli affari con Cl La cupola degli sperperi

"Non leggo da mesi la stampa: ho pensato di fare come Gesù Cristo che dopo aver guarito tanti ammalati e dopo averci donato una dottrina salvatrice, fu arrestato, calunniato e condannato alla croce: non si è difeso", è l'esordio della missiva. In realtà, Don
Verzé è solo indagato, in carcere c'è finito un fornitore del San Raffaele, Pierangelo Daccò, lui non è stato calunniato e la croce al momento l'ha portata solo il suo ex braccio destro, Mario Cal, morto suicida lo scorso luglio. Secondo la sua ricostruzione dei fatti, il suo merito sarebbe quello di aver donato una sanità dignitosa ai più poveri.

La lettera di don Verzé (.pdf)

Il cammino è iniziato quando il 12 gennaio 1950 fu convocato a Verona da don Giovanni Calabria e gli disse: "Il Signore - trascrive don Verzé nella lettera - ti vuole a Milano, Là nascerà un'Opera che farà parlar di sé l'Europa intera". Una frase che subito dopo il prete chiosa in questo modo. "Guardando l'Angelo San Raffaele che sovrasta l'intera opera, debbo riconoscere che quella profezia si è avverata".

Peccato, però, che per costruire e montare sull'ospedale quell'arcangelo in vetroresina e acciaio inox, alto 8,3 metri, capace di resistere al vento e allo smog della tangenziale Est che passa lì sotto ci sono voluti 2,5 milioni di euro. E altri 50 milioni sono stati spesi per tirar su l'edificio sul quale è appoggiato. Più che l'avveramento della profezia, il cupolone e l'arcangelo sono diventati i simboli degli sperperi del San Raffaele, insieme con il jet privato e la compravendita di aerei, che hanno ben poco a che fare con la missione di un ospedale e la carità cristiana.

"Sì, è vero, un aereo, il dott. Mario Cal, mio vice presidente esecutivo, mi propose di acquistarlo per risparmiare tempo e fatiche, sempre disponibile per andare in India, a Daharamsala (Tibet), in Africa, in America Latina, oltre che a Roma, a Cagliari, a Olbia, a Taranto, in Sicilia, ecc, dove la dottrina del San Raffaele venisse conosciuta e realizzata: dare tutto quello che si ha per guarire gli ammalati anche poverissimi, così come insegna Gesù: "Andate, insegnate, guarite, mondate i lebbrosi"". Cosa poi andasse a fare quello stesso aereo in un paradiso fiscale come San Martin e perché, secondo le carte della procura, portasse a bordo imprenditori come Daccò e politici del calibro di Roberto Formigoni, il governatore della Lombardia, don Verzé lo spiegherà ai magistrati.

Del resto è lui stesso a offrirsi agli inquirenti, rivendicando per sé "l'intera responsabilità morale e giuridica di quanto avvenuto per il San Raffaele". Con una precisazione, però, che don Verzé tiene a sottolineare: "Non so come Mario Cal abbia gestito nei particolari la sua funzione". Un dettaglio importante, dal punto di vista giuridico, perché, a partire dalla fine degli anni 90, don Verzé aveva rimesso ogni delega nelle mani di Cal dopo essere stato condannato in via definitiva per abuso edilizio (aveva costruito senza permessi buona parte della palazzina di ingresso del San Raffaele, per poi sanarla). Un modo elegante per evitare che con una nuova eventuale condanna per una qualsiasi altra vicenda, la pena di poco più di cinque mesi, inflittagli dal Tribunale di Milano, potesse diventare da sospesa a effettiva. Una croce, di fatto, passata al suo vice, Mario Cal.


* la Repubblica, 02 dicembre 2011

http://milano.repubblica.it/cronaca/2011/12/02/news/don_verz_io_sono_come_cristo_in_croce_mia_ogni_r...

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Commenti Articolo 983

Titolo articolo : Lettera aperta a Benedetto XVI,

Ultimo aggiornamento: December/02/2011 - 21:18:53.

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Autore Città Giorno Ora
Enrico Sciarini Segrate 05/4/2010 17.10
Titolo:lettera aperta
Ora aspettiamo che i sacerdoti che hanno una compagna prendano coraggio e scrivano anche loro una lettera aperta al pontefice
Autore Città Giorno Ora
chino piraccini Cesena(FC) 12/4/2010 18.47
Titolo:eprimo gratitudine per vostra lettera aperta a papa benedetto
Avete centrato tutte le questioni del celibato obbligatorio, soprattutto la questione del cuore che dev'essere indiviso per servire degnamente il Signore. Il prete non può perdersi in sentimenti frantumati per la sua donna e i suoi figli eventuali. Questo argomento appare a molti, vescovi, preti e buoni laici e buone donne come l'argomento ecclesiale che taglia la testa al toro, e fa gridare alla libertà dei figli del regno, là dove "neque nubent,neque nubentur". Purtroppo questi signori dimenticano che l'essere umano solo è un rischio permanente, non tanto per la pedofilia, ma per gl'infiniti surrogati dell'amore di cui è a rischio il cuore dell'uomo-prete. Grazie a Voi. Chino
Autore Città Giorno Ora
filippo angileri trapani 14/4/2010 11.30
Titolo:Lettera aperta a Benedetto XVI
Complimenti per la lettera.Nella Fede Baha'i di cui mi onoro farne parte, non esiste la gerarchia, non ci sono preti nè suore,la comunità va avanti con il contributo di tutti/e non ci sono caste, la religiosità e gli aspetti pratici vengono gestiti da tutti/e attraverso la legge della consultazione.E' un mondo nuovo e meraviglioso, venite a vedere.. inoltre chi vuole può sposarsi, non esiste il celibato imposto.
Tutti dovete ancora scoprire questa cosa così entusiasmante che realizza le migliori aspirazioni di tutti/e noi.
Fraternamente
filippo

www.bahai.it
Autore Città Giorno Ora
Silvio Brozzi Roma 26/4/2010 15.01
Titolo:Cosa dice Gesù Cristo
Vangelo secondo Matteo (MT 19,10):

Gli dissero i discepoli: "Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi". Egli rispose loro: "Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso.
Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca".
Autore Città Giorno Ora
Giuseppe Morelli ROMA 17/5/2010 14.16
Titolo:Scelta, Vocazione e RESPONS-ABILITA'
Due sono le vocazioni dell'ESSERE UMANO:
MATRIMONIO oppure CONSACRAZIONE RELIGIOSA.
Il SACERDOZIO non è un LAVORO ... ma una CHIAMATA VOCAZIONALE e ci sono SOLO DUE modalità di VIVERE la VOCAZIONE che i SACRAMENTI, cioè la CONSACRAZIONE a DIO della VITA di RELAZIONE, offrono: l'ORDINE nel MATRIMONIO e l'ORDINE nel SACERDOZIO.

Infatti, gli SPOSATI, i MARITATI, collaborano con il proprio ministero UNICO ed IRRIPETIBILE, al DISEGNO ddi DIO per la VITA dell'UMANITA' "nel SECOLO" ... ed hanno una dignità che non è nè superiore nè inferiore alla dignità del SACERDOZIO MINISTERIALE.

Ecco l'esempio di San Paolo con il suo rapporto fruttuosissimo con Aqulia e Priscilla.

Mi chiedo ... ma questi uomini che non sono nè carne né pesce ... e queste donnicciuole da quattro soldi ... abbiano il coraggio di vivere la vita delle povere persone che LAVORANO per SBARCARE il LUNARIO ... e RINUNCINO al PRIVILEGIO dell'ABITO SACRO ... SEEVENDO DIO da LAICI ... ad esempio nel DIACONATO ... che è dignitosissimo.

Questa è VERITA' di VITA ECCLESIALE E SPIRITUALE secondo ORDINE e che GESU' IN PERSONA APPROVA.

Poi, ogni situazione è degna di ricevere COMPASSIONE, COMPRENSIONE, ACCOGLIENZA ... ma laddove l'UMILTA' è "IL" SEGNO dell'ESSERE NEL'AMORE DI DIO e nella SUA GRAZIA.

Direttore, la SALVEZZA sta solo ... nella FEDE ... mentre la GIUSTIFICAZIONE sta SOLO nei SACRAMENTI e la SANTITA' sta solo nelle OPERE!!!

Convertitevi e credete al Vangelo.

Baqdate bene a non dover rispondere di tante anime che contribuite a confondere per la vostra IDEOLOGIA ANTICATTOLICA ... ANTICRISTICA!!!

Basta con questo scempio di FALSI CRISTIANI!!!

BASTA!!!

CONVERTITEVI e CREDETE AL VANGELO.

NEL NOME DEL SIGNORE GESU' CRISTO, CONVERTITEVI E CREDETE AL VANGELO.

IN NOME DEL SIGNORE,
Giuseppe Morelli
Autore Città Giorno Ora
Stefania Salomone Roma 17/5/2010 19.31
Titolo:Chiamati alla felicità, alla libertà. Altrimenti parliamo di aria fritta.
E, oltretutto, bisognerebbe informarsi seriamente.
Le prime comunità cristiane avevano presbiteri sposati. La storia della chiesa cattolica conta 39 papi sposati ...
Come la mettiamo?
Gesù non ha mai parlato di consacrazione né tanto meno ha preferito gente celibe a gente sposata, tanto è vero che ha riposto tante speranze nel testardo Pietro che, per giunta, aveva ceduto alle insidie della carne ...povero lui.
Mi sorprende peraltro la massiccia presenza di maiuscole, perché queste persone amano distinguere ciò che merita da ciò che non merita, e va scritto in minuscolo.
Peccato che spesso questo riguardi perfino le persone, ma forse loro hanno letto un altro vangelo, uno in cui si narra di un Gesù che discrimina o ignora i diritti fondamentali della persona umana.
Ho letto di presunti privilegi, addirittura il privilegio dell'abito sacro, ma quale Dio è mai questo?
Mi dispiace che viviate questo inferno, perché non deve essere una vita serena la vostra, ma, coraggio! Rimettete in tasca il dito inquisitore e sorridete.
E' l'augurio sincero di una donnicciola da quattro soldi, che cerca la ricchezza al di fuori delle assurde leggi della religione, lì dove Gesù ha piantato la sua croce. Fuori della religione.
Autore Città Giorno Ora
Salvatore Trotta Tampa 31/5/2010 17.49
Titolo:La libertà non si elemosina
La questione del celibato è una NON questione, da un lato e una questione di sottomissione dall\\\'altro.
a) La sottomissione all\\\'uomo è contraria al Vangelo perchè lo stesso vangelo condanna la schiavitù o sottomissione volontaria ad altri uomini: "smettete di divenire schiavi degli uomini. " (1 Corinti 7.23) "Per tale libertà Cristo ci rese liberi. State dunque saldi e non vi fate porre di nuovo sotto un giogo di schiavitù." (Galati 5.1)
Perchè voler chiedere ad un altro uomo il permesso di fare ciò che Dio permette ?

b) La non questione è più facilmente comprensibile perché che se si chiede a qualcun altro qualcosa che si può facilmente ottenere autonomamente evidentemente c\\\'è una convenienza personale economica alla base di tale richiesta.
Ciò è talmente più vero quando il Vangelo stesso, il quale chi vuol essere prete decide di servire, afferma : "Il vescovo deve perciò essere irreprensibile, marito di una sola moglie, di abitudini moderate, di mente sana, ordinato, ospitale, qualificato per insegnare, non ebbro schiamazzatore, non percotitore, ma ragionevole, non bellicoso, non amante del denaro, uomo che diriga la propria casa in maniera eccellente, avendo i figli in sottomissione con ogni serietà;  (se in realtà un uomo non sa dirigere la propria casa, come avrà cura della congregazione di Dio?) (1 Timoteo 3.2-5)

Quindi perchè voler chiedere ad un altro uomo il permesso di fare ciò che Dio permette ?

Dio disse: "Se ti volgi per fare il bene, non ci sarà un'esaltazione?" (Genesi 4.7) - "Ma se, quando fate il bene e soffrite, lo sopportate, questa è cosa gradita presso Dio." (1Pietro 2.20)
Così per fare il bene non c\\\'è bisogno di chiedere il permesso a nessuno se qualcuno lo fa va pure contro Dio.
Autore Città Giorno Ora
XXXXXX XXXXXX LLLLLLLLLLLLLLLLL) 25/11/2011 17.24
Titolo:finalmente qualcuno che ha il coraggio della verità!
sono prete da oltre quarant'anni e il problema da voi presentato è vissuto da molti preti. C'è una considerazione da fare che mi faceva un prete e che condivido: spesso la donazione è solo costrizione anche perchè negli anni 60 quando iniziai la mia strada verso il sacerdozio ci veniva se non impedito almeno sconsigliato il fare gli esami alle scuole pubbliche in modo che non avendo alcun foglio in mano si era coscretti a rimanere anche se controvoglia. Questo prete, ora in Svizzera dagli anni '70 mi diceva: "Rientrerò in Italia solo quando sarò economicamente libero": Che dire poi della "eguaglianza" che avrebbero dovuto fare con l'8 per mille?
C'è qualche prete che deve mangiare pane e cipolle ed altri che ancora si costruiscono ville (vedi don Verzè). Io purtroppo sono vecchio ma spero che "i miei figli????????" possano godere di una maggiore libertà di essere preti ed insieme avere il conforto di una donna che possa condividere la loro solitudine, cosa che mi pesa particolarmente ora che sono vicino ai '70. Grazie!
Autore Città Giorno Ora
Paolo Gianardi Piombino 02/12/2011 21.18
Titolo:grazie
sono convinto che la mia fede in Gesù il Liberatore sia sopravvissuta alle delusioni per lo strapotere e l'ipocrisia vaticani anche grazie al fatto di avere vissuto da vicino - negli anni sessanta del secolo scorso, quand'ero poco più di un ragazzo... - l'esperienza di qualche carissimo, coraggioso amico prete cattolico, che decideva di vivere alla luce del sole il proprio amore per la propria, non meno coraggiosa compagna: sono grato a quelle care persone ed a voi

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Commenti Articolo 984

Titolo articolo : I PRETI E LE SUORE SPOSATE? LEBBROSI!LEBBROSI! LEBBROSI!,di Ernesto Miragoli

Ultimo aggiornamento: December/01/2011 - 17:49:31.

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Autore Città Giorno Ora
FILIPPO CECALA CARINI 01/12/2011 17.49
Titolo:
Grazie Ernesto per ciò che hai scritto. Ci hai presentato uno spaccato doloroso della chiesa, che perde un’altra opportunità per essere “MADRE”, infatti prendiamo ulteriormente atto che per noi sacerdoti-sposati non c’è e, a quanto pare non ci può essere, nessuna riabilitazione.
Allora vorrei dire, cosa possiamo fare noi sacerdoti-sposati, e siamo in tanti, per uscire fuori dal silenzio? In giro c’è chi scrive libri, c’è chi ha un blog personale, c’è chi fa parte di un’associazione X o Y in favore dei sacerdoti sposati etc… Ma questo basta? Mi rendo conto che attorno a noi, ci sono le nostre consorti, i nostri bimbi, gli amici che ci stimavano da sacerdoti e adesso ci stimano di più perché sacerdoti-sposati, perché siamo stati coerenti; in altre parole siamo un popolo immenso, che purtroppo non si fa sentire, un popolo che rischia di non avere voce.
Comprendo bene che i nostri diretti interlocutori dovrebbero essere i nostri Pastori, ma constatiamo che il più delle volte, o quasi sempre, non vogliano avere rapporti di nessun genere con noi, del resto noi siamo i traditori e quindi con i traditori si tagliano i ponti e basta. Ci sono altri interlocutori, amici, conoscenti, laici cattolici e non, questi ci ascoltano e ci apprezzano perché siamo stati, lo ribadisco, coerenti, onesti umili, veri, loro ci ascoltano e non si vergognano di camminare insieme a noi e alle nostre famiglie. Credo, e ne sono sempre più convinto, che dovremmo cambiare rotta ed interlocutori. Il nostro vero problema è che siamo isolati. Ognuno di noi, pur avendo mille idee nel cuore, suggerite dallo Spirito Santo, non abbiamo e non sappiamo come realizzarle, il più delle volte, ci si scoraggia perché ci rendiamo conto di essere soli. Purtroppo, fino ad oggi, pur avendolo chiesto, anche tramite il mio blog, di incontrarmi, qui in Sicilia, con qualche sacerdote sposato, ho tristemente constatato che nessuno ha accolto questo mio invito, per cui mi chiedo e vi chiedo, chi ci ascolterà se non abbiamo il coraggio di uscire fuori dal silenzio e dall’omertà? Carissimi amici cambiamo interlocutori, parliamo insieme con chi volentieri ci ascolta e ci sente vicino. Questo il mio invito, questo è l’impegno che desidererei realizzare, aspetto…
saluti,

Filippo.

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Commenti Articolo 985

Titolo articolo : IL PROBLEMA DELLA "CHARITAS". Luigi Di Liegro invocava con fervore «Non assistenza, ma giustizia», Benedetto XVI e i suoi Cardinali impongono con astuzia «Non giustizia, ma assistenza»! Una nota di Roberto Monteforte sul 35˚ Congresso nazionale delle Caritas diocesane nel 40˚ della fondazione - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/25/2011 - 17:38:59.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/11/2011 17.38
Titolo:GIUSTIZIA SI', ELEMOSINA NO ....
la fede al tempo della crisi

di Filippo Di Giacomo (l'Unità, 25 novembre 2011)

In uno dei suoi sermoni Lutero, con un inciso assai efficace, osservava: «Per giungere sulla retta
via, l’uomo di tanto in tanto deve anche spaventarsi di se stesso».
Secondo la tesi ideologica
introdotta nella cultura occidentale dalla rivoluzione francese, il cristianesimo (che crede nella fine
del mondo, nel giudizio, nel premio o nella punizione) è per sua natura pessimista mentre la
modernità (che crede nel progresso come legge della storia) sarebbe per sua natura ottimista.

Oggi, invece, abbiamo tutti i mezzi per osservare in diretta l’inesorabile sgretolarsi della
presunzione che la modernità continua a diffondere di se stessa. Le “crisi” che si sono succedute nei
sistemi socio-politici dell’Occidente, da quella “energetica” di inizio anni Settanta all’ultima
finanziaria ancora in corso, ci hanno tolto ogni possibile alibi, obbligandoci a prendere atto di
quanto il progresso sia anche un progresso dalle possibilità distruttive. Perché, come persone e
come società, dal punto di vista morale, non sempre siamo all’altezza della nostra ragione. Tanto
per fare un esempio, se volessimo ridurre il problema economico-finanziario in corso anche in Italia
al suo nucleo essenziale, dovremmo per forza riportarci a quella idiosincrasia tra moralità e
razionalità che spinge il nostro modello di sviluppo ad abusare delle risorse della terra e delle
società politiche senza porci mai, e comunque non in modo oggettivo, il problema dei limiti, cioè di
una condivisione equa e sostenibile di quanto pianeta e nazioni offrono.

L’idea che le cose umane, mercato compreso, lasciate a se stesse, diventino necessariamente
migliori non trova alcun sostegno nel cristianesimo. Il cristiano infatti, come ogni altra persona
dotata di ragione, sa che la storia è disseminata di gravi crisi. E che una di esse, è oggi davanti
all’umanità intera. Tuttavia, secondo l’ottimismo cristiano, anche orrori spaventosamente inumani
come Auschwitz, i quali devono assolutamente sconvolgerci (cosa che invece nonostante gli anni
trascorsi non ancora avviene), possono essere ricollocati e ricompresi a partire dal fatto che,
comunque e sempre, Dio è più forte del male. Se la Shoah fosse stata solo minimamente compresa
dai nostri politici, i bambini nati e cresciuti in Italia, già da tempo sarebbero stati accolti e
riconosciuti e considerati ricchezza per tutta la nazione. Eppure l’inverno demografico nel quale
siamo precipitati, destinato a prolungare le sue fredde ombre nei prossimi decenni, non ci ha ancora
ispirato alcuna paura di noi stessi. E così preferiamo illuderci che, coltivando presunte paure per
“l’altro”, possiamo legittimamente privare una parte importante del nostro esiguo ricambio
generazionale dei propri diritti civili, mantenendola sotto il giogo di una possibile espulsione dal
nostro territorio nazionale, obbligandola a costruirsi ghetti di una imposta marginalizzazione e di
una costante precarietà.

Proprio parlando dell’accoglienza di chi viene considerato “altro” dalla mentalità corrente, a
Cotonou, Benedetto XVI ha suggerito, paragonando una società ad una mano: «La compongono
cinque dita, diverse tra loro. Ognuna di esse però è essenziale e la loro unità forma la mano. La
buona intesa tra le culture, la considerazione non accondiscendente delle une per le altre e il rispetto
dei diritti di ciascuno sono un dovere vitale (…). L’odio è una sconfitta, l’indifferenza un vicolo
cieco (…). Tendere la mano significa sperare per arrivare, in un secondo tempo, ad amare. Cosa c’è
di più bello di una mano tesa?».

Tra qualche mese, l’anno prossimo ricorrerà il cinquantesimo anniversario dell’inizio del Concilio
ecumenico vaticano II, la prima (forse, inconsapevole) assise del mondo globalizzato, la cattedra
che ci ha consegnato le lezioni di quei due giganteschi maestri di umanità che sono stati Giovanni
XXIII e Paolo VI. Nel 1959, proprio indicendo il Concilio, il beato Giovanni XXIII aveva spiegato
come la Chiesa non fosse un museo da custodire ma un giardino da coltivare. Anzi, la sua metafora
era «nella piazza che è il mondo, la Chiesa deve essere come la fontana che sta al centro». E ancora
non si parlava di villaggio globale...

A ben ricordare, tra i Papi che hanno accompagnato i cinque decenni trascorsi dal Concilio, nessunoha mai insegnato il pessimismo. Ne consegue che, se proprio si vuole misurare “il tasso di
cattolicità apparente” inserito dall’attuale governo nella sua compagine, devono arrivare in
Parlamento (accantonando le pretese di chi, già in questi primi giorni, tenta di ottenere migliorie
esistenziali per i suoi protetti nello Stato e nel parastato) anche le leggi sulla cittadinanza, l’asilo, i
centri di permanenza temporanei, le carceri… Insomma, anche in politica, per una volta, giustizia
sì, elemosina no.

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Commenti Articolo 986

Titolo articolo : Un monumento contro la guerra,di Enrico Peyretti

Ultimo aggiornamento: November/20/2011 - 22:32:20.

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Autore Città Giorno Ora
piergiorgio borsotti villadossola 20/11/2011 22.32
Titolo:il monumento contro la guerra
condivido profondamente l'idea di Enrico Peyretti (lui non crdo si possa ricordare di me ma io lo conosco e lo apprezzo da anni; l'ultima volta l'ho incontrato a Verbania sempre sul tema della pace). Anni fa, in un articolo su un giornale locale anch'io avevo segnalato la profonda umanità di questo monumento (che conosco fin dall'infanzia, avendo parenti in Savoia ed avendo in particolare odio le guerre che hanno obbligato gente dello stesso sangue a combattersi di qua e di là delle Alpi). Segnalo che c'è qualcosa di simile anche a Pettenasco, sul Lago d'Orta. Sarebbe bello pensare ad un censimento del genere, in vista delle tremende cose che ci toccherà ascoltare fra qualche anno (ce li ammazzeranno ancora una volta i nostri nonni e bisnonni nel centenario della prima guerra mondiale....)
Pece,forza e gioia
Piergiorgio Borsotti

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Commenti Articolo 987

Titolo articolo : A proposito di governo nuovo,di Michele Zarrella

Ultimo aggiornamento: November/20/2011 - 20:22:36.

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Autore Città Giorno Ora
Antonio Finno Gesualdo 20/11/2011 20.22
Titolo:
Ormai e noto a tutti che il fiume di denaro che ogni giorno si versa nelle casse dello stato ,denaro proveniente dal fisco ,tagli alla scuola sanità e tutti quei servizi utili ,non fanno altro che aumentare sprechi e privilegi, pensioni :
prolungamento dell’età pensionabile e diminuzione della stessa con l’illusione che si vive di piu’ ,vive di piu’ chi conduce una vita regolare e senza preoccupazione , forse una volta si poteva parlare di non arrivare a fine mese oggi le difficoltà cominciano all’inizio del mese perche’ tanta gente il lavoro non c’e’ lo ha o lo perso ,poi si parla di licenziamenti facili in questo caso non si fa altro che paragonare un essere umano ad pezzo meccanico, quando si usura si sostituisce .
quando un lavoratore con l’avanzare dell’età comincia a venir meno la prontezza dei riflessi, perdita dell’udito , vista quali requisiti fondamentali per mantenere in movimento il meccanismo industriale allora si deve essere sostituiti con giovani sani .
ad un’età avanzata si resta senza lavoro (con il facile licenziamento).
ma si e’ giovani e mancano i requisiti contributivi per andare in pensione, si finisce per restare senza pensione e senza lavoro come sopravvivere?....................................................
globalizzazione non deve essere un qualcosa solo a togliere diritti ma estendere diritti al resto del mondo evitare di sfruttare una mano d’opera minorile e controllare quel lavoro senza ne norme e regole la competitività si deve basare su’ pari diritti .
rendere competitive alle imprese si può abbassando loro la pressione fiscale ,recuperando su sprechi e privilegi come ben elencati nell’articolo
tutta la popolazione italiana e’ contro lo spreco di denaro pubblico allora non resta che organizzarsi e fare delle manifestazioni pacifiche di massa solo cosi’ si puo’ risolvere qualcosa ,visto che ogni tentativo da parte di alcuni parlamentari vedi vitalizio qule risultato al voto

ti ringrazio per la possibilità di commentare
Antonio finno

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Commenti Articolo 988

Titolo articolo : IL GOVERNO DI "IMPEGNO NAZIONALE" E LA "DEMOCRAZIA SOSPESA". UNA VERGOGNA DI LUNGA DURATA E IL DIFFICILISSIMO TENTATIVO DI MONTI. Il suo discorso al Senato e i limiti della fiducia ottenuta - con alcune note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/18/2011 - 16:25:11.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/11/2011 16.25
Titolo:Monti incassa la fiducia della Camera
IL NUOVO GOVERNO

Monti incassa la fiducia della Camera: "Durerò poco, ora decisioni sgadevoli"

A Montecitorio 556 sì al governo. Il premier: "Offensive le accuse sui poteri forti". Appello ai partiti "Non dite più stacchiamo spina". Martedì la missione a Bruxelles: incontri con Sarkozy e la Merkel *

ROMA «Qui oggi non vi chiedo una fiducia cieca, ma una fiducia vigilante». Mario Monti incassa il sostegno alle forze politiche per aiutarlo a prendere le «decisioni non facili o non gradevoli» che presto arriveranno.

Il conteggio alla Camera è di 556 sì e 61 contrari (59 leghisti più altri due deputtai). Una maggioranza "bulgara" dunque anche a Montecitorio, dopo i 281 sì e 25 no registrati a palazzo Madama. Anche il dubbioso Di Pietro dà il via libera «per il bene del Paese».

Il compito «è quasi impossibile, ma ce la faremo» dice il premier chiudendo la discussione alla Camera. Con un appello alle forze politiche a «deporre le armi» e a non usare più le parole «staccare la spina», dice Monti rivolgendosi ai partiti. Bossi non è d’accordo: «Durerà finché la gente non si incazza».

L’obiettivo del Professore è comunque di arrivare alla fine della legislatura per completare il programma di emergenza alla cui realizzazione è stato chiamato. Un discorso pacato quello di Monti, ma senza sconti per nessuno: Monti risponde piccato a chi lo accusa di essere piegato ai «poteri forti», si dice «indignato» per le accuse «troppo facili» della società civile alla politica, invita gli italiani a non dare la colpa della crisi «agli altri».

Il premier vuole che l’Italia torni ad essere ascoltata in Europa: annuncia un prossimo incontro a tre con Nicolas Sarkozy e Angela Merkel e promette che questo tipo di colloqui diventeranno stabili: «il contributo dell’Italia , d’ora in poi, sarà permanente». L’intervento di Monti parte con due ringraziamenti: a Berlusconi (che però- come anticipato da La Stampa.it- non è in aula ad ascoltarlo), del quale il premier dice di aver «apprezzato il senso di responsabilità istituzionale», e a Gianni Letta, una persona «che so molto rispettata da tutti», venuto ad ascoltarlo in tribuna sia al Senato sia alla Camera.

Esauriti i convenevoli, Monti prende di petto i punti più controversi dell’esordio del suo governo. A cominciare dalla durata della sua esperienza a Palazzo Chigi. «Continuate pure a chiamarmi professore, anche perchè l’altro titolo, presidente, durerà poco». Poco quanto? Monti ribadisce che il governo è ovviamente legato alla fiducia che gli sarà accordata ma precisa con chiarezza che il suo obiettivo è quello di «proiettare la squadra di governo sulla prospettiva da qui alle elezioni», cioè fino al 2013.

L’unica arma che Monti ha per convincere i partiti a sostenerli, è quella del crollo di fiducia che sperimenterebbero se si tirassero indietro: «la fiducia in noi è anche una fiducia verso di voi» e farla mancare «avrebbe conseguenze sulla fiducia dei cittadini verso la politica». L’ammonimento è rivolto a quanti (specie nel Pdl) minacciano di «staccare la spina» al governo in un futuro più o meno prossimo. Un’espressione che il professore non ama, e lo fa capire con una battuta: «Vi prego, non usatela più, noi non siamo un apparecchio elettrico. E anche se fosse, non saprei quale apparecchio dovremmo essere, se un rasoio o un polmone artificiale...».

Con l’occasione, Monti si toglie qualche sassolino dalla scarpa. A chi ha espresso dubbi sulla sua sudditanza ai «poteri forti» e a chi ha posto la questione del conflitto di interessi del ministro Passera, Monti replica con tono duro e risentito: «Permettetemi di reagire in modo molto chiaro e netto, non tanto per me quanto per i colleghi di governo, sulla questione conflitto d’interessi, poteri forti e altre espressioni di pura fantasia che considero offensive». Poi ricorda quando, da commissario europeo alla concorrenza, bloccò la fusione tra i supergiganti Usa General Electric e Honeywell, «nonostante fosse intervenuto il presidente degli Stati Uniti». L’Economist, ricorda il professore, «scrisse che per il mondo degli affari Mario Monti era il Saddam Hussein del business».

Monti invita a concentrarsi sulle emergenze. Il momento impone unità: per questo Monti promette di agire «con umiltà e determinazione» per favorire «una deposizione delle armi delle forze politiche fin qui contrapposte che possa favorire l’assunzione di decisioni non facili e non gradevoli». Infine, un’assicurazione per la Lega: «Non c’è nessuna contraddizione tra quanto già deciso sul federalismo fiscale, del quale il governo intende seguire da vicino il processo di attuazione, e la coesione territoriale».

* La Stampa, 18/11/2011

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Titolo articolo : IL "PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA" (DI FATTO) SI E' DIMESSO, MA RESTA IL BERLUSCONISMO COME CATEGORIA DELLO SPIRITO. Quei pozzi avvelenati, 
dalla giustizia alla Rai. Una nota di Francesco Merlo - con alcuni appunti,a c, di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: November/14/2011 - 20:45:40.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/11/2011 20.45
Titolo:CERCHIAMO DI NON CADERE DALLA PADELLA NELLA BRACE. In che mani siamo ...
In che mani siamo

Tutti gli uomini di Goldman Sachs

di Francesco Piccioni (il manifesto,13.11.2011)

I «padroni dell’universo». Un soprannome modesto per gli uomini di punta di Goldman Sachs (GS). Una banca d’affari con 142 anni di vita, più volte sull’orlo del baratro, da sempre creatrice di conflitti di interesse terrificanti, da far impallidire - per dimensione e pervasività - quelli berlusconiani.

Famosa per «prestare» i propri uomini alle istituzioni, quasi dei civil servants con il pessimo difetto di passare spesso dalla banca privata ai posti di governo. Come peraltro i membri della Trilaterale o del Bilderberg Group. Mario Monti è uomo accorto: è presente in tutti e tre. Per GS ha fatto finora l’international advisor, come anche Gianni Letta, dal 2007, nonostante il ruolo di governo. Cos’è un advisor? Beh, è un consigliere; una persona in grado di indicare a una banca internazionale i migliori affari in circolazione. Specie quando uno Stato deve privatizzate le società pubbliche. Sta nella buca del suggeritore, ma può diventare premier... E G&S ha comunicato ai mercati in tal caso lo spread per i Btp italiani calerebbe a 350 punti in un lampo.

È la banca che ha inventato (subito copiata dalle altre) i prodotti derivati, quei 600mila miliardi di dollari virtuali che stanno strangolando il mondo. Che ha aiutato i conservatori greci a nascondere lo stato reale dei conti pubblici davanti alla Ue. Che ha mandato l’amministratore delegato Henry Paulson, nel 2006, a fare il ministro del tesoro di Bush figlio. Dopo il crack di Lehmann Brothers inventò il piano Tarp: 700 miliardi di dollari statali per salvare le banche private anche a costo di far esplodere il debito pubblico Usa. G&S riuscì in quel caso a intascare buona parte dei 180 miliardi destinati al salvataggio di Aig, gruppo assicurativo. Prima di lui era stato su quella poltrona Robert Rubin, con Clinton presidente; c’era poi tornato molto vicino, con Obama, ma dovette lasciare quasi subito il team economico: troppo evidente il suo doppio ruolo. Robert Zoellick è invece partito da G&S per coprire decine di ruoli per conto dei repubblicani, fino a diventare 11° presidente della Banca Mondiale.

Ma anche gli italiani si difendono bene. Romano Prodi era stato lui advisor, prima di tornare all’Iri per privatizzarla e spiccare quindi il volo verso la presidenza del consiglio, per ben due volte. Al suo fianco, negli anni, Massimo Tononi, ex funzionario della sede di Londra e quindi sottosegretario all’economia tra il 2006 e il 2008.

Ma il più noto è certamente Mario Draghi. Dal 2002 al 2005 è stato vicepresidente e membro del management Committee Worldwide della Goldman Sachs; in pratica il responsabile per l’Europa. Ha lasciato l’incarico per diventare governatore della Banca d’Italia e prendere la presidenza del Financial Stability Forum (ora rinominato Board), incaricato di trovare e mettere a punto nuove regole per il sistema finanziario globale. Compito improbo, che ha partorito molte raccomandazioni ma nessun risultato operativo di rilievo (le regole di Basilea 3 sono tutto sommato a tutela della solidità delle banche, non certo limitative di certe «audacie» speculative).

Dall’inizio di questo mese siede alla presidenza della Banca Centrale Europea, ma prima ancora di entrarci aveva scritto e poi fatto co-firmare a Trichet - la lettera segreta con cui il governo veniva messo alle strette: o le «riforme consigliate» in tempi stretti o niente acquisti di Btp. Forse rimpiange di ver lasciato il Financial Stability Board. Ma non deve preoccuparsi: al suo posto Mark Carney, governatore della Banca centrale canadese. Anche lui, per 13 lunghi anni, al fianco dei «padroni dell’universo» targati Goldman Sachs.

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Titolo articolo : Una ipotesi nient'affatto peregrina,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: November/14/2011 - 11:34:41.

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Autore Città Giorno Ora
vittorio pedrali marigliano 07/11/2011 19.05
Titolo:
Ciao carissimo,
mi trovi perfettamente d'accordo, anzi: è da una vita (anni intendo) che predico il fatto che alla caduta del berlusca dovremo pagare per "apparare" i suoi guai e che lui dirà: "avete visto?! la SINISTRA vi aumenta le tasse, io ve le ho diminuite" (cosa in cui solamente chi crede in babbo natale può credere). Tant'è: a pagare siamo sempre noi.
Un abbraccio fraterno
vittorio pedrali
Autore Città Giorno Ora
Angela Cantone Pomigliano d\'Arco 14/11/2011 11.34
Titolo:Vorrei una bacchetta magica
...Il capitalismo selvaggio dei nostri tempi sta distruggendo l'intera Terra. E allora è ora il momento di cambiare e di buttare via pastrocchi indecenti che fanno venire il vomito al solo pensarli.
D'accordissimo caro Direttore, ma chi votare? Faccio parte della lunga schiera che “destra o sinistra pari sono”. Non vedo alternativa. Non sono convinta che il voto possa cambiare qualcosa, e cosa, poi, visto che nemmeno la legge elettorale è stata cambiata? Alla fine CI RITROVIAMO I SOLITI NOTI! Che fare? Non lo so: magari avessi la bacchetta magica! Abbracci, Angela

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Commenti Articolo 991

Titolo articolo : SIRIAPALMIRA, LA VENEZIA DEL DESERTOFECE TREMARE ROMA,di Daniela Zini

Ultimo aggiornamento: November/11/2011 - 12:38:56.

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Autore Città Giorno Ora
Dimitri Strazzeri palermo 11/11/2011 12.38
Titolo:complimenti
Che dire? spero di conoscerti presto e intanto approfitto per farti i miei più sinceri complimenti.

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Commenti Articolo 992

Titolo articolo : Veritas in caritate,

Ultimo aggiornamento: November/07/2011 - 20:21:41.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 07/11/2011 20.21
Titolo:Quale ecumenismo?! Cerchiamo di svegliarci (e non spacciamo falsità)!!!
VERITAS IN CARITATE!!! Cerchiamo di svegliarci (e non spacciamo falsità)!

TOGLIERE L’ACCA ("H") ALLA CARITA' ("CHARITAS") E' UN'OPERAZIONE DA CHIESA DEL "LATINORUM", SERVE SOLO A FARE AFFARI E NON A PORTARE LA BUONA-NOTIZIA!!!

"CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE ... DEUS CHARITAS EST"(1 Gv., 4.1-16).

Federico La Sala

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Commenti Articolo 993

Titolo articolo : Maria Stella, i neutrini e la scienza,di Gianni Mula

Ultimo aggiornamento: November/01/2011 - 20:33:03.

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Autore Città Giorno Ora
Gianluigi Marredda Cagliari 01/11/2011 20.33
Titolo:commento articolo Gianni Mula
questo articolo esprime magistralmente concetti acquisiti da molti uomini di scienza che spesso, per un errato senso del "politically correct", preferiscono non esprimerle. Complimenti all'autore.

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Commenti Articolo 994

Titolo articolo : Lettera aperta ai Presbiteri italiani,di d. Pietro Taffari

Ultimo aggiornamento: October/27/2011 - 10:38:29.

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Autore Città Giorno Ora
Ernesto Miragoli Como 27/10/2011 10.38
Titolo:Taffari ha ragione
Vorrei sapere se questa lettera è stata inviata anche ad altri organi di stampa, media e alla CEI.
E' una riflessione molto seria, serena, documentata e...VERA!
Complimenti, don Pietro!
Ernesto Miragoli

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Commenti Articolo 995

Titolo articolo : A DON ENZO MAZZI, IL TESTIMONE DI UN CRISTIANESIMO ANCORA DA VENIRE - IN MEMORIA. Una piccola antologia di suoi interventi da rileggere e rimeditare,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/23/2011 - 11:48:03.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/10/2011 11.48
Titolo:LE PAROLE DI UN CRISTIANESIMO RIBELLE ...
Un testimone profondo del nostro tempo

di redazione (il manifesto, 23 ottobre 2011

Nonostante la sua età, 84 anni passati, Enzo Mazzi conservava nel cuore tutte le caratteristiche della gioventù. Era tra le persone più aperte al futuro, disponibili e coraggiose che il manifesto ha avuto la possibilità di incontrare sulla sua strada. Per noi è stato un privilegio averlo avuto tra i nostri principali collaboratori. Perché il nostro piccolo e fragile strumento quotidiano è stato anche il giornale di Enzo. Sulle nostre pagine ha tracciato un sentiero unico, spesso in assoluta solitudine.

Per un cammino che veniva da lontano, dagli stessi giorni del ’68 che portarono alla nascita della Comunità dell’Isolotto a Firenze e all’esperienza in tutta Italia delle Comunità cristiane di base. Quelle realtà che per la prima volta rivendicavano dal basso una nuova possibilità del Concilio, trovando quasi sempre la contrapposizione autoritaria del potere temporale della Chiesa. Mi piace ricordare che sta per uscire per la ManifestoLibri un libro da lui curato con un suo saggio introduttivo proprio sulla storia del processo all’Isolotto.

Enzo Mazzi è stato un profondo testimone del nostro tempo, rimesso alle volontà collettive ma forte nell’individualità delle scelte e della presa di parola.

La natura del suo dichiarato impegno si è sempre accompagnata ad uno stile alto nella scrittura, capace di attraversare l’oscurità delle verità rivelate per illuminare, per svelare. Sia che si trattasse di rivendicare quello che chiamava «proto-Vangelo», un Gesù terreno, per un nuovo mondo possibile ben lontano dalla fissità simbolica dell’«oggetto» crocefisso, sia nell’intervenire contro la violenza del doppio potere, della Chiesa e del governo, come nel caso dell’accanimento contro il corpo di Eluana Englaro. Oppure quando sottolineava la possibilità di un processo reale alle responsabilità del papa per la tragedia e il crimine della pedofilia. O ancora quando denunciava il dominio del sacro, presente sia nei vecchi - e rinnovati dalla liturgia - processi di santificazione, come nelle nuove e moderne mitologie delle merci.

I suoi consigli, il suo conforto, la sua scrittura che si confronta nel divenire dei giorni, davvero ci mancheranno. Addio Enzo.

______________________________________________________________________

Le parole di un cristianesimo ribelle

di Riccardo Chiari (il manifesto, 23 ottobre 2011)

Come ogni domenica, anche oggi l’appuntamento della Comunità dell’Isolotto è alle 10.30, alle «Baracche» in via degli Aceri 1. «Fra le altre cose - anticipa Carlo Consigli - socializzeremo l’assenza di Enzo, e la continuità della sua presenza». Nel solco di quella esperienza comunitaria che Enzo Mazzi considerava essenziale. Come una bussola che lo ha guidato per una intera esistenza. Di cui ha fatto dono, non solo metaforico, alle donne e agli uomini della comunità. Con loro non potrà più camminare insieme. Grazie a loro, e ai tantissimi che di settimana in settimana, anno dopo anno, hanno socializzato negli appuntamenti comunitari della domenica, Enzo Mazzi continuerà ad esserci.

Per sua espressa volontà, la morte non doveva essere una notizia. L’ennesimo rifiuto della «caratterizzazione personalistica» che l’ex parroco del quartiere popolare e operaio dell’Isolotto aveva abiurato, fin dagli albori della Comunità. «Ma il manifesto era importante per Enzo», riconosce Consigli. Perché l’eretico quotidiano comunista era per lui un altro luogo dove comunicare con gli altri i temi delle riflessioni comunitarie della domenica. Riflessioni che, negli anni, sarebbero finite anche sulle pagine fiorentine di altri quotidiani. Perché affrontavano questioni, fossero l’acqua bene comune oppure la democrazia in fabbrica, insieme locali e globali.

Anche in questi ultimi mesi, quando già la malattia ne fiaccava il corpo ma non lo spirito, a Enzo Mazzi non erano sfuggiti avvenimenti come il «Se non ora, quando?» del 13 febbraio. Affrontato così: «Le donne che si riprendono le piazze si riprendono anche per se stesse e per tutti noi il potere sulla sacralità della natura, dei corpi, della sessualità e, mettendo un po’ di enfasi, sulla sacralità di tutto l’esistente. «Se non ora, quando?». Poi erano arrivate altre riflessioni critiche, di fronte al tentativo di considerare anche Primo Maggio «una festa da sacrificare all’orgia del consumo». Infine, lo scorso 28 agosto sul manifesto, l’ultimo graffio: «Per la strategia liberista la gente deve scordare il suo passato sociale, e non avere altro ideale e identità che la religione del danaro».

Sempre nel segno delle comunità cristiane di base di cui all’Isolotto, insieme a Sergio Gomiti e Paolo Caciolli, era stato precursore. Raccontate in quel «Cristianesimo Ribelle», edito tre anni fa per "manifesto libri", dove tirava le fila di quella spinta profonda che da 43 anni ha portato molti credenti a mettere in discussione le gerarchie ecclesiastiche e i nessi tra chiesa e potere. Trovando nelle comunità un luogo-laboratorio dove socializzare riflessioni ed esperienze.

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Commenti Articolo 996

Titolo articolo : IL DECALOGO, IL "MANDATO" EVANGELICO - L'AMORE, E IL BIMILLENARIO "TRUCCO" PAOLINO-CATTOLICO. Note filologiche di Armando Torno e Massimo Cacciari sul tema - con una premessa,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/22/2011 - 15:36:47.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/10/2011 15.36
Titolo:DUE FIUMI E UNA SOLA SORGENTE. L\'Amore ....
L’Amore!

di Raymond Gravel

in “www.lesreflexionsderaymondgravel.org” del 20 ottobre 2011 (traduzione: www.finesettimana.org)

XXX Domenica del tempo ordinario A: Esodo 22, 20-26; Matteo 22, 34-40.

Dopo una prima controversia con i farisei a proposito dell’imposta dovuta all’imperatore di domenica scorsa, eccone un’altra con uno dei farisei, un dottore della legge, a proposito del grande comandamento della Legge, non un comandamento tra i 613 (248 prescrizioni e 365 proibizioni), che dovrebbe essere considerato più importante degli altri, ma un comandamento che riassuma tutti gli altri. Non ci sono 36 comandamenti, risponde Gesù al dottoere della legge, ce n’è uno solo, quello dell’Amore, ma che ha due destinatari: Dio e il prossimo. Non l’uno senza l’altro. Tutti e due insieme... Cosa vuol dire?

1. L’Amore: una sorgente e due fiumi. Il teologo francese Patrick Jacquemont scrive: “La Parola di Dio acquista tutto il suo senso: amerai il Signore Dio tuo... amerai il prossimo tuo. Il secondo comandamento è simile al primo, ma non c’è un solo amore. C’è una sorgente unica, e due fiumi differenti”. È perché ci si sa amati da Dio che possiamo amarlo... ma possiamo amarlo solo amando l’altro, gli altri. È l’essenza dell’amore che fa sì che si ami. Non per niente, san Giovanni nella prima lettera dirà: “Se uno dicesse: \"Io amo Dio\", e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20). In fondo, ciò che san Giovanni vuol dire, è che amare Dio significa partecipare del suo amore, amando gli altri. Quindi, amando gli altri, si ama Dio.

Alla domanda del dottore della Legge: “Maestro, nella Legge, qual è il più grande dei comandamenti?” (Mt 22,36), cioè il comandamento nel quale sono compresi tutti gli altri? Gesù, che è lui stesso principio di unità, dà la risposta. Riunisce le due parti della Legge, i comandamenti riguardanti l’amore di Dio e quelli riguardanti l’amore del prossimo; li fonde ed unifica la loro espressione, che formula in termini identici, presi dalle Scritture: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, tutta l’anima e con tutte le forze” (Dt 6,5), e “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Lev 19,18b). Si tratta di un amore senza restrizioni, che impegna tutta la persona, cuore, anima e mente.

2. L’Amore cristiano: due principi di unità. Unificando l’amore di Dio e del prossimo, il Cristo del Vangelo ci dà due principi di unità:

1) La parabola del giudizio universale (Mt 25,31-46). Cristo si identifica con il prossimo: “Ciò che avete fatto ad uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). E più di così: si identifica con i suoi fratelli, con i cristiani che sono poveri, sprovvisti di tutto, emarginati, perché le loro situazioni di povertà danno l’occasione agli altri, ai non cristiani di incontrare Cristo e di riconoscerlo.

Già nell’Antico Testamento, il Dio dell’Alleanza aveva un debole per i poveri. Nel brano del libro dell’Esodo che abbiamo oggi, i poveri sono l’immigrato, in ebreo ger, cioè lo straniero residente, quel gruppo di persone che aveva uno statuto sociale intermediario tra i cittadini israeliti e gli schiavi. Quelle persone non potevano possedere terre; dovevano solamente offrire il loro servizio agli altri. Erano quindi economicamente deboli: “Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto” (Es 22,20). La vedova e l’orfano sono un’altra categoria di deboli nelle società ebrea di allora; senza risorse, vivevano spesso in miseria: “Non maltratterai la vedova e l’orfano” (Es 22, 21). E che cosa fare per non sfruttare i poveri? Prestare loro del denaro senza interessi e lasciare loro la loro dignità: “Se prendi in pegno il mantello del tuoprossimo, glielo renderai al tramonto del sole” (Es. 22,25).

2) “Seguitemi” (Mt 4,19). La legge dell’amore di Cristo non si riduce ad un codice o a un registro; è Gesù stesso che è la nostra legge, una legge viva, una persona con cui siamo in comunione, il cui Spirito ci abita e di cui noi siamo il corpo. Cosa che san Paolo traduce così: “Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo” (1 Co 11,1). Come cristiani, siamo dei cristi viventi, ed è a questo titolo che dobbiamo amare come lui.

Allora, se attualizzo la Parola oggi, le leggi, i precetti della religione, non possono applicarsi che in riferimento alla Legge dell’Amore proposta dal Cristo del Vangelo. Dipende dalla nostra fedeltà a Cristo il fatto che l’Amore sia l’essenziale, non solo nella nostra relazione con Dio, ma soprattutto nella nostra relazione con gli altri; altrimenti, anche l’amore di Dio è impossibile. E il prossimo, non sono solo le persone che la pensano come noi e che ci sono vicine; sono anche e soprattutto coloro che sono diversi da noi e talvolta anche difficili da amare.

Terminando, vorrei leggervi questa breve riflessione del francese Éric Julien: “Perché è così difficile amare Dio? Perché questo vuol dire amare il prossimo. E perché è così difficile amare il prossimo? Perché bisogna amarlo come se stessi, e pochissime persone sanno amarsi al loro giusto valore. E come si fa per amare se stessi? Si cerca di guardarsi come ci guarda Cristo. Con rispetto, tenerezza e... pazienza infiniti”.

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Commenti Articolo 997

Titolo articolo : IL VATICANO, LA CITTA' DEL PAPA-RE, E IL VILLAGGIO DI CARTONE. Ermanno Olmi guarda all'avvenire della Chiesa e scrive: «Così leggo la carità». La sua risposta al giornale dei Vescovi - con alcune note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/22/2011 - 08:48:51.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/10/2011 08.48
Titolo:UNA SORGENTE E DUE FIUMI: L'AMORE ....
L'Amore!

di Raymond Gravel

in “www.lesreflexionsderaymondgravel.org” del 20 ottobre 2011 (traduzione:
www.finesettimana.org)


XXX Domenica del tempo ordinario A: Esodo 22, 20-26; Matteo 22, 34-40.


Dopo una prima controversia con i farisei a proposito dell'imposta dovuta all'imperatore di domenica scorsa, eccone un'altra con uno dei farisei, un dottore della legge, a proposito del grande
comandamento della Legge, non un comandamento tra i 613 (248 prescrizioni e 365 proibizioni), che dovrebbe essere considerato più importante degli altri, ma un comandamento che riassuma tutti
gli altri. Non ci sono 36 comandamenti, risponde Gesù al dottoere della legge, ce n'è uno solo, quello dell'Amore, ma che ha due destinatari: Dio e il prossimo. Non l'uno senza l'altro. Tutti e due
insieme... Cosa vuol dire?


1. L'Amore: una sorgente e due fiumi. Il teologo francese Patrick Jacquemont scrive: “La Parola di Dio acquista tutto il suo senso: amerai il Signore Dio tuo... amerai il prossimo tuo. Il secondo
comandamento è simile al primo, ma non c'è un solo amore. C'è una sorgente unica, e due fiumi differenti”. È perché ci si sa amati da Dio che possiamo amarlo... ma possiamo amarlo solo amando
l'altro, gli altri. È l'essenza dell'amore che fa sì che si ami. Non per niente, san Giovanni nella prima lettera dirà: “Se uno dicesse: "Io amo Dio", e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20). In fondo, ciò che san Giovanni vuol dire, è che amare Dio significa partecipare del suo amore, amando gli altri. Quindi, amando gli altri, si ama Dio.

Alla domanda del dottore della Legge: “Maestro, nella Legge, qual è il più grande dei comandamenti?” (Mt 22,36), cioè il comandamento nel quale sono compresi tutti gli altri? Gesù, che è lui stesso principio di unità, dà la risposta. Riunisce le due parti della Legge, i comandamenti riguardanti l'amore di Dio e quelli riguardanti l'amore del prossimo; li fonde ed unifica la loro espressione, che formula in termini identici, presi dalle Scritture: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto ilcuore, tutta l'anima e con tutte le forze” (Dt 6,5), e “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Lev 19,18b). Si tratta di un amore senza restrizioni, che impegna tutta la persona, cuore, anima e
mente.


2. L'Amore cristiano: due principi di unità. Unificando l'amore di Dio e del prossimo, il Cristo del Vangelo ci dà due principi di unità:

1) La parabola del giudizio universale (Mt 25,31-46). Cristo si identifica con il prossimo: “Ciò che avete fatto ad uno solo dei miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me” (Mt 25,40). E più di così: si identifica con i suoi fratelli, con i cristiani che sono poveri, sprovvisti di tutto, emarginati, perché le loro situazioni di povertà danno l'occasione agli altri, ai non cristiani di incontrare Cristo e di riconoscerlo.


Già nell'Antico Testamento, il Dio dell'Alleanza aveva un debole per i poveri. Nel brano del libro dell'Esodo che abbiamo oggi, i poveri sono l'immigrato, in ebreo ger, cioè lo straniero residente, quel gruppo di persone che aveva uno statuto sociale intermediario tra i cittadini israeliti e gli schiavi. Quelle persone non potevano possedere terre; dovevano solamente offrire il loro servizio agli altri. Erano quindi economicamente deboli: “Non molesterai il forestiero né lo opprimerai,
perché voi siete stati forestieri nel paese d'Egitto” (Es 22,20). La vedova e l'orfano sono un'altra categoria di deboli nelle società ebrea di allora; senza risorse, vivevano spesso in miseria: “Non
maltratterai la vedova e l'orfano” (Es 22, 21). E che cosa fare per non sfruttare i poveri? Prestare loro del denaro senza interessi e lasciare loro la loro dignità: “Se prendi in pegno il mantello del tuoprossimo, glielo renderai al tramonto del sole” (Es. 22,25).

2) “Seguitemi” (Mt 4,19). La legge dell'amore di Cristo non si riduce ad un codice o a un registro; è Gesù stesso che è la nostra legge, una legge viva, una persona con cui siamo in comunione, il cui Spirito ci abita e di cui noi siamo il corpo. Cosa che san Paolo traduce così: “Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo” (1 Co 11,1). Come cristiani, siamo dei cristi viventi, ed è a questo titolo che dobbiamo amare come lui.

Allora, se attualizzo la Parola oggi, le leggi, i precetti della religione, non possono applicarsi che in
riferimento alla Legge dell'Amore proposta dal Cristo del Vangelo. Dipende dalla nostra fedeltà a Cristo il fatto che l'Amore sia l'essenziale, non solo nella nostra relazione con Dio, ma soprattutto nella nostra relazione con gli altri; altrimenti, anche l'amore di Dio è impossibile. E il prossimo, non sono solo le persone che la pensano come noi e che ci sono vicine; sono anche e soprattutto coloro che sono diversi da noi e talvolta anche difficili da amare.


Terminando, vorrei leggervi questa breve riflessione del francese Éric Julien: “Perché è così difficile amare Dio? Perché questo vuol dire amare il prossimo. E perché è così difficile amare il prossimo? Perché bisogna amarlo come se stessi, e pochissime persone sanno amarsi al loro giusto valore. E come si fa per amare se stessi? Si cerca di guardarsi come ci guarda Cristo. Con rispetto, tenerezza e... pazienza infiniti”.

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Commenti Articolo 998

Titolo articolo : ELLIS ISLAND 1892-1954oil sogno dell’immigrazione,di Daniela Zini

Ultimo aggiornamento: October/21/2011 - 17:54:46.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/10/2011 17.54
Titolo:LA STATUA CON LA "SPADA SGAUINATA" .....
CARA DANIELA

OTTIMA RICOGNIZIONE!


COME AVEVA BEN CAPITO FRANZ KAFKA, GRANDE MAESTRO DELLA LEGGE,
LA STATUA DELLA LIBERTA’ DEGLI U.S.A E' CON LA SPADA SGUAINATA ("GUAI AI VINTI"), NON CON LA FIACCOLA! E SUL DOLLARO C'è LA SCRITTA "IN GOD WE TRUST": VALE A DIRE - tradotto IN CATTOLICHESE (e "latinorum") RATZINGERIANO - TUTTO A CARO-PREZZO ("DEUS CARITAS EST")!!!

Sul tema, cfr

-http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=1367

M. saluti e buon lavoro,

Federico La Sala

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Commenti Articolo 999

Titolo articolo : ASSISI, 27 OTTOBRE 2011: LA CHIESA TACE E IL PAPA TEOLOGO CAMBIA LE CARTE IN TAVOLA. La «Giornata di riflessione, dialogo e preghiera» ideata da Papa Wojtyla 25 anni fa sarà solo una «Giornata di riflessione e dialogo» tra diverse fedi. Una nota di Franca Giansoldati - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/19/2011 - 14:45:41.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/10/2011 13.25
Titolo:Lo spirito e la materia di Assisi - di Raniero La Valle
Lo spirito e la materia di Assisi

di Raniero La Valle (“Rocca”, n. 19, 1 ottobre 2011)

Ci sarà il 27 ottobre la salita delle religioni al monte santo di Assisi, per l'incontro ecumenico ed
interreligioso indetto dal papa nel venticinquesimo anniversario di quel primo convegno dei leaders
religiosi mondiali che fu promosso nel 1986 da Giovanni Paolo II, per la gioia di molti e il cruccio
scandalizzato di altri, soprattutto uomini di curia e collaboratori a lui più vicini. Tutte le religioni
insieme: non è forse irenismo? Il problema che esplose allora si ripropone anche oggi.

La scommessa sta tutta nel fatto che il mettere insieme in nome della fede, e non della politica o
della cultura, rappresentanti di religioni e Chiese diverse, non venga messo sul conto di quel
relativismo, anzi di quella «dittatura del relativismo», che è il male strenuamente combattuto da
Benedetto XVI fin dall'inizio e anzi dagli antefatti del suo pontificato. Per allontanare dall'evento
tale sospetto lo stesso Benedetto XVI parlando una volta dello «spirito di Assisi», ne precisava il
contenuto in un comune lavoro per la pace e la riconciliazione tra i popoli, «nel rispetto delle
differenze delle varie religioni».

È molto giusto che le differenze - cioè il pluralismo - siano rispettate, e questo le stesse religioni lo
vogliono. Il problema è però che la differenza rispetto alle altre fedi e religioni non sia identificata
dalla Chiesa cattolica nel fatto che essa sarebbe l'unica religione per la salvezza mentre le altre, pur
rispettabili, non sarebbero idonee a questo fine. Se infatti questa fosse la differenza concepita dalla
Chiesa romana rispetto ai suoi interlocutori negli incontri ecumenici e interreligiosi, tali incontri si
ridurrebbero a puro folklore (anche la liturgia può ridursi a folklore) e vano sarebbe lo stesso
«pellegrinaggio» del papa ad Assisi.

Che proprio questo sia il problema è dimostrato dal fatto che il rapporto con le religioni è una delle
principali ragioni di rottura con la Chiesa degli integristi scismatici che rifiutano il Vaticano II;
contro il raduno di Assisi il loro superiore francese ha avuto parole di fuoco, e pare che nell'incontro
del 14 settembre tra il cardinale Levada, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e
mons. Bernard Felley, capo dei lefebvriani, questi abbia dichiarato che il vero ostacolo da
rimuovere per la riconciliazione sarebbe la dichiarazione «Nostra aetate» del Concilio.

Dal suo punto di vista ha ragione: se c'è infatti un punto decisivo in cui il Concilio ha innovato
rispetto alla dottrina comunemente professata nella Chiesa cattolica fino ad allora, è proprio nel
riconoscimento dei valori cristici e salvifici che sono presenti in tutte le tradizioni religiose e in tutti
gli uomini, come appunto dice la «Nostra aetate» quando afferma che la Chiesa «nulla rigetta di ciò
che è vero e santo in queste religioni» le quali, pur nel differenziarsi dal credo cattolico «non
raramente riflettono un raggio della verità che illumina tutti gli uomini». Queste parole erano del
resto solo l'inizio di una riflessione che sarebbe stata sviluppata nello stesso Concilio e poi nella
dottrina e nella prassi della Chiesa fino allo «spirito di Assisi» e oltre.

La novità stava nel fatto che
la Chiesa cattolica non si presentava più come l'unica depositaria della verità e la sola dispensatrice
di salvezza, secondo la vecchia affermazione che «extra Ecclesiam nulla salus» (fuori della Chiesa
non c'è salvezza), che purtroppo nell'apologetica era stata unita alla figura non edificante di Raab la
quale, secondo il racconto biblico, aveva rotto la solidarietà col suo popolo ed era stata l'unica a
salvarsi nello sterminio di Gerico. Il Concilio ha deposto solennemente questa pretesa esclusivista e
dominatrice, come Paolo VI depose allora il suo triregno, in favore dei poveri, nelle mani di
Massimo IV Saigh, il capo della piccolissima Chiesa melchita.


Dice infatti con forza il Concilio che «con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad
ogni uomo», ciò che rompe ogni confine di tempi, di templi e di civiltà, ed è proprio quello che gli
integristi anticonciliari non riescono ad accettare. La chiave di tutto è nell'affermazione paolina che«Dio vuole che tutti gli uomini si salvino e arrivino alla conoscenza della verità», incessantemente
ripetuta dal Vaticano II sia riguardo alle Chiesa, sia riguardo ai credenti di altre fedi, sia riguardo a
tutti quelli che, «immagine di Dio», sono tenuti, in nome della libertà, a «obbedire soltanto alla
propria coscienza».

Le conseguenze sono ben più profonde che un buon galateo tra le religioni. Come diceva già
Teilhard de Chardin occorre «sottrarre la venuta del Figlio di Dio, l'Incarnazione, al quadro di una
concezione statica del mondo e della vita, in cui è stata finora collocata»; secondo Carlo Molari (su
«Rocca») l'Incarnazione non è un evento istantaneo che si esaurisce nella realtà umana di Gesù,
«ma incide in modo profondo nella storia ed è ancora operante nel divenire umano»; secondo
Raimundo Panikkar «non si può ridurre Dio a un ruolo esclusivamente storico, né l'Incarnazione a
un fenomeno temporale»; secondo le ultime parole di papa Giovanni, richiamate da don Loris
Capovilla proprio in vista di questo prossimo incontro, «quelle braccia allargate del Crocifisso
dicono che egli è morto per tutti, per tutti».
Questo è lo spirito, ma anche la via che parte da Assisi.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/10/2011 18.20
Titolo:"Bonus Miles Christi", il buon soldato di Cristo, I cappellani militari chiedono...
Hanno una rivista che si chiama "Bonus Miles Christi", il buon soldato di Cristo. Ma siamo sicuri sia proprio Cristo ad arruolare soldati "buoni" che bombardano figli, figlie e anziani di popoli che nemmeno conoscono?

I cappellani militari chiedono più soldi per fare le guerre

di don Paolo Farinella *

Un’amica mi ha passato un articolo di Manlio Dinucci con il titolo «Aggressioni “benedette”». Fin dalle parole d’incipit ci si chiede se ancora a dieci anni del terzo millennio, dobbiamo ancora subire come cristiani parole che sono il segno di una vita più indecente conclamata in nome di Cristo. Il vescovo castrense (non equivocare, dicesi castrense il vescovo insignito della carica vescovile e contemporaneamente di quella di generale di corpo di armata, con stellette incorporate ); il vescovo castrense guida diocesi dei militari (si chiama Ordinariato militare) che hanno una rivista il cui titolo è - indovinate un po’? - «Bonus Miles Christi - Il buon soldato di Cristo». Sì, proprio così: Cristo è uno che arruola soldati e per giunta buoni, anche quando vanno a sparare ai figli, figlie, bambini, bambine, anziani di popoli che non ci conoscevano nemmeno se non per avere a capo del governo un degenerato, pazzo e tronfio piccoletto dai tacchi rialzati.

Fin dove può arrivare la mistificazione! Si mescola l’acqua santa col diavolo, Dice il capo di questa diocesi di soldati di Cristo armati ed educati alla violenza con armi sofisticate per ammazzarne più che sia possibile; dice che «prova amarezza di fronte a chi invoca lo scioglimento degli eserciti, l’obiezione contro le spese militari» perché «il mondo militare contribuisce a edificare una cultura di responsabilità globale, che ha la radice nella legge naturale e trova il suo ultimo fondamento nell’unità del genere umano». Monsignor Vincenzo Pelvi continua, e non s’accorge delle bestialità: «l’Italia, con i suoi soldati fa la sua parte per promuovere stabilità, disarmo, sviluppo e sostenere ovunque la causa dei diritti umani». Parole messe in fila una dopo l’altra dal giornale dei vescovi «Avvenire» (2 giugno 2011), segno che la presidenza approva. Sia benedetto l’esercito e gli eserciti che tanto bene fanno all’umanità con amore e compassione: sparando, squartando, bruciando, violentando, stuprando, bestemmiando. Cosa importa! Alla rientro da queste battaglie di civiltà c’è sempre un pincopallo di cappellano, con aspersorio e stola, pronto ad assolvere e con la penitenza di andare ancora contro il nemico e «di farlo fuori prima che ti faccia fuori lui».

Manlio Dinucci, Manifesto, ricorda alcuni momenti topici che dovrebbero fare impallidire anche la Madonna nera, mentre di questi fatti, i preti di ieri e di oggi non se ne fanno un baffo:

1. Nel 1911, nella chiesa di S. Stefano dei Cavalieri in Pisa, parata con bandiere strappate ai turchi nel Cinquecento, il cardinale Maffi invitava i soldati in partenza per la guerra di Libia, a «incrociare le baionette con le scimitarre» per portare nella chiesa «altre bandiere sorelle» e in tal modo «redimere l’Italia, la terra nostra, di novelle glorie».

2. Il 2 ottobre 1935, all’annuncio di Mussolini che iniziava la guerra di Etiopia, Mons. Cazzani, vescovo di Cremona, da perfetto fascista indirizzava al popolo una sua pastorale, dove si leggono queste perle: «Veri cristiani, preghiamo per quel povero popolo di Etiopia, perché si persuada di aprire le sue porte al progresso dell’umanità, e di concedere le terre, ch’egli non sa e non può rendere fruttifere, alle braccia esuberanti di un altro popolo più numeroso e più avanzato». 3. Il 28 ottobre 1935, ricorrendo il 13° anniversario della marcia su Roma, nel Duomo di Milano, il cardinale Alfredo Ildelfonso Schuster così celebrava: «Cooperiamo con Dio, in questa missione nazionale e cattolica di bene, nel momento in cui, sui campi di Etiopia, il vessillo d’Italia reca in trionfo la Croce di Cristo, spezza le catene agli schiavi. Invochiamo la benedizione e protezione del Signore sul nostro incomparabile Condottiero».

4. L’8 novembre 1935, sempre in relazione alla guerra di Etiopia Mons. Valeri, arcivescovo di Brindisi e Ostuni, scrive anch’egli una pastorale al suo popolo: «L’Italia non domandava che un po’ di spazio per i suoi figli, aumentati meravigliosamente da formare una grande Nazione di oltre 45 milioni di abitanti, e lo domandava a un popolo 5 volte meno numeroso del nostro e che detiene, non si sa perché e con quale diritto, un’estensione di territorio 4 volte più grande dell’Italia senza che sappia sfruttare i tesori di cui lo ha arricchito la Provvidenza a vantaggio dell’uomo. Per molti anni si pazientò, sopportando aggressioni e soprusi, e quando, non potendone più, ricorremmo al diritto delle armi, fummo giudicati aggressori».

5. Oggi dopo 76 anni, un altro cappellano militare, anima persa e senza Dio, tale don Vincenzo Caiazzo, che celebra messa sulla portaerei Garibaldi, che di fatto è la sua parrocchia, popolata di caccia, missili bombe con cui lui e quelli come lui bombardano la Libia - garantisce che «l’Italia sta proteggendo i diritti umani e dei popoli, per questo siamo in mezzo al mare» perché la motivazione teologica è chiara: «I valori militari vanno a braccetto con i valori cristiani». (Oggi, 29 giugno 2011).

Di fronte a questo rinnegamento del Vangelo viene solo voglia di dire «Povero Cristo!». Costoro dovrebbero essere le «guide», coloro che dovrebbero insegnare a «discernere» il grano dal loglio, la violenza dalla non-violenza, il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto, la pace dalla guerra. Costoro sono l’autorità nella Chiesa che si annettono Cristo a loro uso e consumo, lo militarizzano, lo circondano di armi e di morte e poi vanno nei salotti clericali a difendere la vita. Che Dio li perdoni, se può, perché costoro non hanno smarrito solo la fede, ma «c’hanno perduto il ben de l’intelletto» (Dante, Inf. III,18).

* DOMANI/ARCOIRIS. 13-10-2011

http://domani.arcoiris.tv/i-cappellani-militari-chiedono-piu-soldi-per-fare-le-guerre/
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/10/2011 10.24
Titolo:INNOVARE IN MODO CONCRETO DI ESSERE CHIESA. I diritti di noi credenti ....
I diritti di noi credenti

di Paola Gaiotti De Biase ("Europa”, 14 ottobre 2011)

Mauro Ceruti su Europa così chiude un discorso, peraltro largamente condivisibile, anche se non mi pare rifletta tutti i dati reali delle scelte politiche dei cattolici in questo ventennio. «Queste idee e queste esperienze sono state elaborate nei vitali laboratori della cultura e dell’associazionismo cattolici: tuttavia non hanno trovato un modo per fare rete fra loro e tanto meno adeguate forme per affermare una loro più ampia rilevanza politica. Ma è proprio la rilevanza di questo patrimonio culturale e organizzativo che impone ai cattolici un rinnovato impegno politico, al servizio di un grande progetto (da condividere laicamente con tutti, senza distinzioni e senza steccati) per il bene comune della nazione».

Tutto bene: ma non dovremmo anche domandarci, se si ritiene che questa rete da condividere laicamente non siamo riusciti a costruirla, perché questo è avvenuto.

Chi ha impedito che i cattolici si ritrovassero tutti sulla linea di Amartya Sen in economia, su una cultura della pace e un’idea della globalizzazione e del ruolo dell’Europa, che guidasse la nostra politica internazionale, sul rapporto dell’uomo con la natura? Chi ha indebolito sistematicamente l’autonomia politica dei laici che si muovevano in questa direzione? Chi li ha indirizzati sistematicamente verso sponde politiche altre da quelle declinate nell’articolo di Cerruti? Chi ha irriso ai cattolici adulti, da Prodi alla Bindi a Franceschini che si sono mossi in queste direzioni?

Chi ha ignorato le molte militanze cattoliche che si muovevano sulla linea di quel patrimonio ideale? Perché è importante che l’associazionismo cattolico si ritrovi su alcune grandi griglie ideali, e perfino anche che sappia definire in modo corretto le divisioni strutturalmente inevitabili nel concreto delle scelte politiche in una democrazia (insomma voglio dire che esista anche grazie ai cattolici una destra decente): ma non possiamo dimenticare due cose, semplici e irrefutabili.

La prima è che questo è possibile solo in un contesto esplicito di ricerca, di approfondimento, di competenza tecnica e dunque di autonomia laicale e di responsabilità diretta, non delegata da nessuno. Sono stata colpita dall’invito del Papa ai cattolici a impegnarsi politicamente. Mi pare che sia nella storia difficile del regno sia in quella della repubblica i cattolici non abbiano avuto bisogno di inviti e sollecitazioni: lo hanno fatto in molti da soli, in nome del loro essere cittadini come gli altri, e talora non senza difficoltà.

La seconda è che l’associazionismo cattolico non pensi di sostituire con l’impegno politico quello che è il nostro vero problema di credenti, da affrontare da laici insieme ma con coraggio: la coerenza della Chiesa di fronte alle aspettative svegliate dal Concilio Vaticano II, al necessario equilibrio per cui logica della profezia e logica dell’istituzione trovino la loro mediazione, non limitandosi la prima ai discorsi e la seconda ai fatti, ma innovando il modo concreto di essere Chiesa.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/10/2011 13.07
Titolo:L'EREDITA' DEL CONCILIO E IL NUOVO MESSALE IN INGLESE ....
Il nuovo Messale in inglese e l'eredità del Concilio

di Massimo Faggioli

in “popoli” dell'ottobre 2011


Nella prima domenica di Avvento (27 novembre) la Chiesa cattolica degli Stati uniti - al pari di
quelle di Gran Bretagna, Sudafrica, Australia e Nuova Zelanda - inizierà a usare la nuova traduzione
inglese del Messale romano.

Il cambiamento avviene dopo un lungo iter in cui non sono mancate
tensioni tra Roma e la Chiesa statunitense, né divisioni all’interno di quest’ultima. È utile dunque
ricostruire brevemente le tappe di una vicenda che, seppure estremamente importante per il mondo
cattolico, ha avuto scarsa eco in Italia. Dopo l’approvazione, durante il Concilio Vaticano II, della
Costituzione sulla Sacra liturgia Sacrosanctum Concilium (1963), avvenuta anche grazie
all’appoggio decisivo dei vescovi americani, nel 1973 fu approvata da Roma e iniziò a essere usata
nelle chiese statunitensi la prima traduzione del Messale dal latino all’inglese realizzata da Icel
(International Commission on English in the Liturgy), commissione fondata proprio durante il
Concilio dalle Conferenze episcopali anglofone.

Tra 1994 e 1998 la Congregazione per il culto divino iniziò a manifestare obiezioni nei confronti
delle nuove traduzioni in lingua inglese dei testi liturgici fatte secondo il principio della
«equivalenza dinamica».

Nel 1999 il cardinale Medina escluse l’«equivalenza dinamica» come
metodo accettabile. Il passo successivo fu l’istruzione vaticana Liturgiam authenticam
del 2001, tuttora in vigore e valida per tutte le Chiese, secondo la quale le nuove traduzioni devono
seguire il principio di «equivalenza formale»: ogni parola latina deve avere un corrispondente nella
traduzione, e sintassi, punteggiatura e vocabolario della lingua latina devono essere riprodotti
fedelmente.

Nel 2002 iniziò l’emarginazione di Icel come luogo di elaborazione dei testi liturgici in lingua
inglese, a favore di un nuovo organismo di creazione vaticana, Vox Clara, che dipende dalla
Congregazione per il culto divino; Icel fu riorganizzata in modo da non rispondere più ai vescovi
ma al Vaticano. Iniziò in quel periodo il lavoro per una nuova traduzione inglese del Messale.

Nel
2008 la nuova traduzione preparata da Icel fu presentata e subito subissata di critiche da parte di
molti teologi e liturgisti anglofoni quanto alla qualità della traduzione; il testo fu comunque inviato
a Roma per l’approvazione. Vox Clara introdusse a questo testo circa 10mila modifiche, il Vaticano
approvò e inviò il nuovo Messale ai vescovi perché venisse introdotto all’inizio dell’anno liturgico
2011-2012.


Nel corso degli ultimi due anni il dibattito si è acceso in ogni Paese anglofono toccato dalla nuova
traduzione del Messale. Negli Stati Uniti esso è stato particolarmente intenso non solo per la
consistenza numerica della Chiesa cattolica (67 milioni di fedeli, circa il 23% dei cittadini adulti),
ma anche per il ruolo decisivo giocato, tra Icel e Vox Clara, dal cardinale Francis George,
arcivescovo di Chicago e fino alla fine del 2010 presidente della Conferenza episcopale Usa
(Usccb), la quale è stata teatro di numerose e palesi irregolarità procedurali finalizzate a far passare
il testo «romano» senza possibilità di intervento da parte dei vescovi.

Dall’assemblea della Usccb del novembre 2009 buona parte dei liturgisti americani ha cercato di
rimettere in discussione il nuovo Messale. Fino all’inizio del 2011 i vescovi e teologi americani
erano ancora divisi sulla sua accettabilità; negli ultimi mesi, però, i critici hanno pubblicamente
rinunciato a portare avanti la loro «resistenza» in nome dell’unità della Chiesa americana. Noti
liturgisti che avevano contestato la qualità linguistica e teologica del nuovo Messale si sono messi a
disposizione dei vescovi, al fine di limitare i danni nel corso del delicato processo di recezione.

Anche tra il laicato statunitense le critiche sono proseguite (si veda, per esempio, il sito
www.whatifwejustsaidwait.org) fino all’inizio del 2011, quando anche i più convinti oppositorihanno dichiarato la loro disponibilità a lavorare per una migliore recezione del nuovo Messale, al
fine di non lacerare la comunione ecclesiale.

Ma quali sono le principali critiche rivolte al nuovo Messale? C’è anzitutto un problema di
chiarezza del testo: la nuova traduzione, che ha dovuto mantenere la struttura della frase latina, è
ricca di espressioni complesse non facilmente comprensibili da un anglofono medio.

C’è poi un
problema di lunghezza delle frasi: per esempio, la lunghezza delle frasi delle preghiere eucaristiche
del nuovo Messale (aumentate mediamente del 78% rispetto al precedente) fa diventare quei testi
totalmente estranei al ritmo della lingua inglese.

Infine, ci sono rilevanti cambiamenti di formule
ormai entrate a far parte della lingua liturgica dopo il Concilio. Un esempio: quando il sacerdote
dice «Il Signore sia con voi», ora anche gli anglofoni, come facciamo noi italiani, risponderanno
«And with your spirit» («E con il tuo spirito»), formula certo più aderente al latino, ma ben diversa
dall’espressione colloquiale, «And also with you» («E anche con te»), a cui erano abituati. Ancora:
durante la consacrazione del vino, al posto di «cup» ci sarà l’arcaico «chalice».

E l’espressione
«For you and for all» («Per voi e per tutti») sarà sostituita da «For you and for many» («Per voi e
per molti»): in quest’ultimo caso, tra l’altro, è evidente che con la nuova traduzione si è voluto
trasmettere un contenuto teologico particolare, una questione che va al di là della maggiore o
minore vicinanza ai testi latini.


Del resto tutta la vicenda dell’elaborazione del nuovo Messale ha significati più profondi di una
semplice controversia linguistica. Colpiscono due aspetti, collegati tra loro. In primo luogo, chi vive
in America sa che la qualità liturgica nelle chiese cattoliche è notoriamente molto alta: dal punto di
vista della solennità, della musica, della cura delle letture e degli arredi sacri, ecc.

I motivi sono
molti, specialmente per quanto riguarda la musica (tra cui un interessante fenomeno di migrazione
verso la cultura cattolica di una tradizione liturgica congregazionale-protestante), ma in particolare
vi è il successo del processo di recezione della riforma liturgica del Concilio negli Usa, come ha
evidenziato il recente studio di Mark Massa, The American Catholic Revolution: How the ’60s
Changed the Church Forever (New York, Oxford University Press, 2010).

Al contrario di altri casi
additati dai nostalgici, la riforma liturgica conciliare in America non ha dato luogo ad «abusi» né
alla distruzione di un patrimonio rituale - molto cattolico e molto americano - che è ancora forte e
sentito. Dunque, delle tante riforme di cui gli anti-conciliari o i cattolici conservatori americani
potrebbero sentire il bisogno, quella della liturgia è percepita come la meno urgente.


In secondo luogo, è evidente che al cuore delle tensioni tra Roma e le Chiese anglofone, e
all’interno di queste, vi è la consapevolezza che la riforma liturgica del Concilio è «il» simbolo del
Vaticano II e in qualche modo il custode della sua ecclesiologia. Quanti attaccano la riforma
liturgica sanno bene che il Vaticano II è ancora sulla strada di una sua «canonizzazione», ovvero di
una sua stabilizzazione culturale come nuova forma espressiva della fede cattolica.

Modificare la
liturgia del Concilio (e in questo caso, latinizzarne la lingua) può essere letto come un sottinteso
appello a rimettere in discussione tutto il resto del Vaticano II.

La nuova traduzione in inglese del
Messale appare dunque un terreno di confronto circa l’interpretazione del Concilio: un confronto
particolarmente delicato e dall’esito incerto per un cattolicesimo, come quello anglofono,
culturalmente poco attaccato alle nostalgie dell’età tridentina.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/10/2011 14.45
Titolo:Il filosofo ateo AC Grayling declina l’invito ...
Il filosofo ateo AC Grayling declina l’invito a partecipare ad Assisi


di Madeleine Teahan

in “The Catholic Herald” del 18 Ottobre 2011 (traduzione di Maria Teresa Pontara Pederiva)

Il filosofo britannico AC Grayling ha declinato l'invito a partecipare all’evento interreligioso per promuovere la pace nel mondo promosso dal Vaticano.

Anche se il docente di filosofia aveva inizialmente previsto di partecipare al terzo incontro di "Preghiera per la Pace" ad Assisi, in Italia, egli ha poi cambiato idea alla scoperta che il suo
intervento sarebbe stato solo nel contesto di un incontro per i pellegrini.

Il prof. Grayling ha dichiarato al Catholic Herald: "Avevo pensato inizialmente di avere un dialogo con il papa circa il ruolo della religione nella società, ma poi ho scoperto che si trattava di un evento minore in cui gli ospiti erano invitati ad accompagnare il papa in un pellegrinaggio. Così ho deciso di ritirarmi".

L'invito al professor Grayling aveva del sorprendente data la sua critica feroce a papa Benedetto XVI alla vigilia della sua visita in Inghilterra. Nel maggio 2010 aveva scritto un articolo per The Independent dal titolo: "Perché non l’ASBO (Anti-social Behaviour Order, un ordine emesso da un tribunale nei confronti di individui socialmente pericolosi) per il Papa?" Affermando: "Non corre forse il papa il pericolo di essere condannato a 100 ore di lavoro socialmente utile dopo aver nascosto centinaia di pedofili agli occhi della legge in tutto il mondo? Non dovrebbe ricevere anche lui questo tipo di condanna? O è stato invece invitato nel Regno Unito come un visitatore ufficiale che incontrerà la regina e sarà acclamato e riverito, con la certezza che ogni sforzo per arrestarlo e metterlo sotto processo in qualità di capo di una grande associazione di criminali fallirà?".


Papa Benedetto ha invitato altri ben noti non credenti per l'evento interreligioso di Assisi, secondo il progetto vaticano del "Cortile dei Gentili", progetto che mira a promuovere il dialogo tra cristiani e non credenti di tutto il mondo.

Fra gli altri atei invitati a partecipare ad una tavola rotonda la filosofa francese Julia Kristeva, l'italiano Remo Bodei e dal Messico, Guillermo Hurtado, fondatore della rivista di filosofia, Dianoia.

L’evento è previsto per la prossima settimana così da celebrare il 25 ° anniversario del primo incontro di Assisi, che ha avuto luogo nel 1986, sotto il pontificato del beato Giovanni Paolo II, il quale intese far incontrare i membri di molte confessioni cristiane e i membri di altre fedi.

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Titolo articolo : FORUM DI TODI, L'ITALIA, E LA MISSIONE DEI CATTOLICI. Una nota di Ferruccio De Bortoli - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/17/2011 - 22:39:03.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/10/2011 13.28
Titolo:"Nuova alleanza per l’emergenza antropologica". Lettera aperta di ...
La lettera aperta

Il confronto può partire dal tema antropologico

Il Pd, partito di credenti e non credenti, pronto a discutere della crisi italiana, della tenuta dell’unità della nazione, della «sostanza etica» della democrazia

di Pietro Barcellona, Paolo Sorbi, Mario Tronti, Giuseppe Vacca (l’Unità, 17.10.2011)

La manipolazione della vita, originata dagli sviluppi della tecnica e dalla violenza insita nei processi di globalizzazione in assenza di un nuovo ordinamento internazionale, ci pongono di fronte ad una inedita emergenza antropologica. Essa ci appare la manifestazione più grave e al tempo stesso la radice più profonda della crisi della democrazia. Germina sfide che esigono una nuova alleanza fra uomini e donne, credenti e non credenti, religioni e politica. Pertanto riteniamo degne di attenzione e meritevoli di speranza le novità che nel nostro Paese si annunciano in campo religioso e civile.

A noi pare che negli ultimi anni un periodo storico cominciato con la crisi finanziaria del 2007 e in Italia con il crepuscolo della seconda Repubblica mentre la Chiesa italiana si impegnava sempre più a rimodulare la sua funzione nazionale, un interlocutore come il Partito democratico sia venuto definendo la sua fisionomia originale di «partito di credenti e non credenti». Sono novità significative che ampliano il campo delle forze che, cooperando responsabilmente, possono concorrere a prospettare soluzioni efficaci della crisi attuale. Il terreno comune è la definizione della nuova laicità, che nelle parole del segretario del Pd muove dal riconoscimento della rilevanza pubblica delle fedi religiose e nel magistero della Chiesa da una visione positiva della modernità, fondata sull’alleanza di fede e ragione.

Nel suo libro-intervista Per una buona ragione, Pier Luigi Bersani afferma che il «confronto con la dottrina sociale della Chiesa» è un tratto distintivo della ispirazione riformistica del Pd e che la presenza in Italia «della massima autorità spirituale cattolica» può favorire il superamento del bipolarismo etico che in passaggi cruciali della vita del Paese ha condizionato negativamente la politica democratica. Ribadendo la «responsabilità autonoma della politica», Bersani esprime una opzione decisa per una sua visione «che non volendo rinunciare a profonde e impegnative convinzioni etiche e religiose, affida alla responsabilità dei laici la mediazione della scelta concreta delle decisioni politiche».

Per quanto riguarda la Chiesa cattolica vi sono due punti della relazione del cardinale Bagnasco alla riunione del Consiglio permanente dei vescovi del 26-29 settembre 2011 che meritano particolare attenzione. Il primo riguarda la critica della “cultura radicale”: essa è rivolta a quelle posizioni che, «muovendo da una concezione individualistica», rinchiudono «la persona nell’isolamento triste della propria libertà assoluta, slegata dalla verità del bene e da ogni relazione sociale». Il secondo è la proposta di nuove modalità dell’impegno comune dei cattolici per contrastare quella che in una precedente occasione aveva definito «la catastrofe antropologica»: «La possibilità di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica».

E non è meno significativa la sua giustificazione storica: «A dar coscienza ai cattolici oggi non è anzitutto un’appartenenza esterna, ma i valori dell’umanizzazione sempre di più richiamano anche l’interesse di chi esplicitamente cattolico non si sen- te». In altre parole, la “possibilità” di questo nuovo soggetto origina dall’impegno sociale e culturale del laicato, nel quale i cattolici sono «più uniti di quanto taluno vorrebbe credere» grazie alla bussola che li guida: la costruzione di un umanesimo condiviso. La definizione della nuova laicità e l’assunzione di una responsabilità più avvertita della Chiesa per le sorti dell’Italia esigono uno sviluppo dell’iniziativa politica e culturale volta non solo a interloquire con il mondo cattolico, ma anche a cercare forme nuove di collaborazione con la Chiesa, nell’interesse del Paese. A tal fine appare dirimente il confronto su due temi fondamentali del magistero di Benedetto XVI che nell’interpretazione prevalente hanno generato confusioni e distorsioni tuttora presenti nel discorso pubblico: il rifiuto del “relativismo etico” e il concetto di “valori non negoziabili”. Per chi dedichi la dovuta attenzione al pensiero di Benedetto XVI non dovrebbero sorgere equivoci in proposito.

La condanna del “relativismo etico” non travolge il pluralismo culturale, ma riguarda solo le visioni nichilistiche della modernità che, seppur praticate da minoranze intellettuali significative, non si ritrovano a fondamento dell’agire democratico in nessun tipo di comunità: locale, nazionale e sovranazionale. Il “relativismo etico” permea, invece, profondamente, i processi di secolarizzazione, nella misura in cui siano dominati dalla mercificazione. Ma non è chi non veda come la lotta contro questa deriva della modernità costituisca l’assillo fondamentale della politica democratica, comunque se ne declinino i principi, da credenti o da non credenti. D’altro canto, non dovrebbero esserci equivoci neppure sul concetto di “valori non negoziabili” se lo si considera nella sua precisa formulazione. Un concetto che non discrimina credenti e non credenti, e richiama alla responsabilità della coerenza fra i comportamenti e i principi ideali che li ispirano. Un concetto che attiene, appunto, alla sfera dei valori, cioè dei criteri che debbono ispirare l’agire personale e collettivo, ma non nega l’autonomia della mediazione politica. Non si può quindi far risalire a quel concetto la responsabilità di decisioni in cui, per fallimenti della mediazione laica, o per non nobili ragioni di opportunismo, vengano offese la libertà e la dignità della persona umana fin dal suo concepimento. Ad ogni modo, se nell’approccio alle sfide inedite della biopolitica ci sono stati e si verificano equivoci e cadute di tal genere non solo in scelte opportunistiche del centrodestra, ma anche nel determinismo scientistico del centrosinistra, la riaffermazione del valore della mediazione laica che sembra ispirare «la possibilità di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica» rischiara il terreno del confronto fra credenti e non credenti. Quindi dipenderà dall’iniziativa culturale e politica delle forze in campo se quella “possibilità” acquisterà un segno progressivo o meno nella vicenda italiana. A tal fine noi riteniamo che il Pd debba promuovere un confronto pubblico con la Chiesa cattolica e con le altre confessioni religiose operanti in Italia oltre che sui temi cosiddetti “eticamente sensibili”, su quelli che attengono in maniera più stringente ai rischi attuali della nazione italiana: la tenuta della sua unità, la “sostanza etica” del regime democratico. Tanto sull’uno, quanto sull’altro, la storia dell’Italia unita dimostra che la funzione nazionale assolta o mancata dal cattolicesimo politico è stata determinante e lo sarà anche in futuro.
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Sul quotidiano dei vescovi "Avvenire" il documento di quattro intellettuali di formazione marxista: Barcellona, Sorbi, Tronti e Vacca

"Laicità e relativismo, Bersani ascolti il Papa" *

TODI - La sinistra collabori con la Chiesa, nell’interesse dell’Italia. L’invito a farlo proviene da quattro noti intellettuali di formazione marxista, ed è partito ieri con una lettera aperta pubblicata sul quotidiano dei vescovi Avvenire. Il documento è firmato da Paolo Sorbi, Pietro Barcellona, Mario Tronti e Giuseppe Vacca. Il titolo scelto, con le foto dei quattro studiosi, è "Nuova alleanza per l’emergenza antropologica".

Sorbi, Barcellona, Tronti e Vacca esortano il Pd, e il suo segretario Pierluigi Bersani, a fare i conti con l’insegnamento di Benedetto XVI sulla insopprimibile dignità della vita umana e sul primato della persona, «cercando di andare oltre tutti gli steccati». «La definizione della nuova laicità - spiegano - e l’assunzione di una responsabilità più avvertita della Chiesa per le sorti dell’Italia, esigono uno sviluppo dell’iniziativa politica e culturale volta non solo a interloquire con il mondo cattolico, ma anche a cercare forme nuove di collaborazione con la Chiesa, nell’interesse del Paese». Annota Sorbi sul quotidiano della Cei, alla vigilia dell’incontro di Todi, che «il rischio incombente per un centrosinistra rassegnato a seguire derive radicali è di non riuscire a elaborare una cultura di governo all’altezza delle gigantesche sfide del nostro tempo». (m.ans.)

* la Repubblica, 17.10.2011
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/10/2011 22.39
Titolo:La chiesa italiana prepara il dopo-Berlusconi ...
La chiesa italiana prepara il dopo-Berlusconi

di Philippe Ridet

in “Le Monde” del 18 ottobre 2011 (traduzione: www.finesettimana.org)

Ha voltato pagina. Un po’ tardi, sperando fino all’ultimo momento in un miracolo che non è arrivato. Stanca di aspettare, la chiesa cattolica, dopo anni di “affiancamento” e di interessi reciproci, ha rotto con Silvio Berlusconi. “Bisogna purificare l’aria”, ha avvertito il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, invitando ancora una volta i credenti a restaurare le rovine della politica italiana.

La prima riunione a porte chiuse della maggior parte delle associazioni cattoliche, lunedì 17 ottobre, in un convento di Todi, dovrebbe segnare il loro ritorno in forze. Insieme, dicono di rappresentare 16 milioni di italiani. Così, l’appuntamento di Todi è passato dalle “notizie in breve” alla “doppia pagina” dei quotidiani italiani. Ci si interroga su questo raduno di ecclesiastici e di laici che vogliono “salvare l’Italia”, “tornare all’etica pubblica”. Vi si parlerà di morale, lavoro, fiscalità, economia. Sarà celebrata una messa per i partecipanti.

Un ufficio funebre per le esequie politiche del Cavaliere? “Per più di dieci anni, il Vaticano ha chiesto ai cattolici di tacere per sostenere la sua alleanza con Berlusconi. Quell’epoca è finita”, nota Marco Politi, vaticanista di il Fatto Quotidiano. In nome di quel patto, che ha assicurato alla Chiesa il sostegno del governo sui suoi “valori non negoziabili” (rispetto della vita dal concepimento alla morte naturale, scuole cattoliche, ecc.), i cattolici hanno inghiottito di tutto: scandali sessuali, errori politici e promesse non mantenute.

Tra desiderio di partecipazione e volontà di pesare sulle prossime scadenze, lo scopo di questo forum non è chiaro. “I cattolici vogliono ormai essere protagonisti. Hanno il dovere di colmare l’abisso che si è creato tra i politici e il popolo”, spiega Andrea Riccardi, presidente della comunità di Sant’Egidio. Per Raffaele Bonanni, segretario generale della Confederazione italiana dei lavoratori (CISL, 4,5 milioni di iscritti), “è venuto il momento di costruire un governo responsabile di unità nazionale per affrontare i problemi. La riforma delle riforme, è la pacificazione dell’Italia. La conflittualità ha raggiunto un livello parossistico”.

L’annuncio di questa riunione dopo la presentazione in luglio di un Manifesto per una buona politica, è bastato a far risorgere l’ipotesi del ritorno della Democrazia cristiana che, dalla sua fondazione ne 1942 fino alla sua scomparsa nel 1994 a seguito di scandali finanziari, ha tenuto le redini della politica italiana. “La Balena bianca” (soprannome della DC) starebbe per rinascere? “La volontà di ricreare un partito dei moderati esiste, ma è minoritaria, decripta Marco Politi. L’intenzione del forum è piuttosto di lavorare su una piattaforma di proposte (...) che sarebbero poi sottoposte ai diversi partiti. Non c’è una vera strategia, perché non c’è uno stratega.”

L’ampiezza dei temi affrontati manifesta la volontà dei cattolici di uscire da un “do-ut-des” strettamente utilitaristico. Per anni, i credenti, spinti dal Vaticano, non hanno avuto a cuore se non la difesa dei loro “valori non negoziabili”. Essa traduce anche la volontà della Chiesa italiana di riprendere in mano il suo dialogo con il potere, che ha a lungo delegato alla Curia.

Mentre Berlusconi ha ottenuto un’altra volta la fiducia del Parlamento, la Chiesa scommette sulla sua prossima fine e sulle elezioni anticipate, o sulla formazione di un governo di responsabilità nazionale, nella primavera 2012. Un appuntamento per il quale la Chiesa ha già prenotato il suo posto. Carlo Costalli, presidente del Movimento cristiano dei lavoratori, vi si vede già: “Il declino del berlusconismo porterà ad una scomposizione e a una ricomposizione del panorama politico. (,,,) Vogliamo costruire dei ponti e collaborare con tutti.”

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Commenti Articolo 1001

Titolo articolo : HAHNEMANN: OMEOPATIA E CONOSCENZA CRITICA. Alcune indicazioni per una rilettura dell’Organon dell’arte del guarire,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/17/2011 - 18:59:38.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/10/2011 18.59
Titolo:Al di là del «Noli autem sapere, sed time» di san Paolo, sulla via kantiana del ...
L’ILLUMINISMO. Adottò il motto oraziano «Sapere aude». Kant: «Abbi il coraggio di servirti della tua intelligenza»
IL PARLAMENTO. Luogo di una vera e propria rappresentazione che in quanto tale ha bisogno del pubblico

Il segreto della democrazia: non avere segreti

Una forma di governo che si fonda sulla piena visibilità del potere, incompatibile con l’esistenza degli arcana imperii cari agli assolutisti

Un intervento del 1988. Si intitola Democrazia e segreto il volume, in uscita da Einaudi (pp. XIX-53, 9), che raccoglie alcuni interventi di Norberto Bobbio (1909-2004), tra i quali una relazione tenuta nel marzo del 1988 a Sassari, nell’ambito di un convegno di studi gius-internazionalistici sul tema «Il trattato segreto». Di questo testo proponiamo qui uno stralcio. Pubblicato la prima volta in edizione fuori commercio come plaquette einaudiana alla fine del 2009, il libro è ora disponibile per tutti, con la prefazione ampliata di Marco Revelli.

di Norberto Bobbio (La Stampa, 16.10.2011)

In un articolo del 1981, intitolato L’alto e il basso. Il tema della conoscenza proibita nel ’500 e ’600 , Carlo Ginzburg prese lo spunto dal passo paolino ( Lettera ai Romani , 11, 20), che nella vulgata suona «Noli autem sapere, sed time», interpretato via via sempre più nel senso di un invito alla rinunzia alla superbia intellettuale e quindi come un ammonimento contro la eccessiva curiosità del sapiente, per fare qualche riflessione sui limiti assegnati alla nostra conoscenza dalla presenza di tre sfere invalicabili: gli arcana Dei , gli arcana naturae e gli arcana imperii , strettamente connessi tra di loro. Chi aveva trasgredito quei limiti era stato punito: esempi classici, Prometeo e Icaro. Ma potremmo aggiungere, forse il più familiare, almeno alla tradizione culturale italiana, l’Ulisse dantesco.

Le grandi scoperte astronomiche del Cinquecento rappresentarono una prima trasgressione del divieto di penetrare gli arcana naturae. Quali ripercussioni avrebbe avuto questa prima trasgressione della prescrizione di arrestarsi di fronte a una delle tre terre proibite, rispetto alla analoga prescrizione nelle altre due? Alla metà del Seicento, racconta Ginzburg, il cardinale Sforza Pallavicino acconsentì a riconoscere che era lecito penetrare i segreti della natura perché le leggi naturali sono poche, semplici e inviolabili. Ma non ammise che ciò che valeva per i segreti della natura valesse anche per i segreti di Dio e per quelli del potere, ritenendo che fosse un atto di temerità violare l’imperscrutabilità della volontà del sovrano non altrimenti che quella di Dio. Negli stessi anni Virgilio Malvezzi ripeté analogo concetto dicendo che «chi per isciogliere i fisici avvenimenti adduce Iddio per ragione è poco filosofo, e chi non lo adduce per iscioglimento di politici, è poco cristiano».

Per contrasto, il pensiero illuministico adottò come suo motto l’oraziano «Sapere aude». Alcuni anni or sono si svolse sulla Rivista storica italiana un dotto dibattito sull’origine del motto (di cui io avevo trovato un altro esempio nel saggio in difesa della codificazione scritto da Thibaut nel 1814) tra Luigi Firpo e Franco Venturi. Firpo risalì a Gassendi, citato dal Sorbière nel suo Diario.

Com’è noto, il motto campeggia nello scritto sull’illuminismo di Kant, che Kant traduce così «Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza». È in questo saggio che Kant afferma che l’illuminismo consiste nell’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso e che alla base dell’illuminismo sta la più semplice di tutte le libertà, la libertà di far uso pubblico della propria ragione. «Il pubblico uso della propria ragione deve essere libero, ed esso solo può attuare l’illuminismo fra gli uomini». Conducendo alle logiche conseguenze questa affermazione, si scopre che vengono a cadere i divieti tradizionali posti a guardia degli arcana imperii . Per l’uomo uscito di minorità, il potere non ha, non deve più avere, segreti. Perché l’uomo diventato maggiorenne possa fare pubblico uso della propria ragione è necessario che egli abbia una conoscenza piena degli affari di Stato. Perché egli possa avere una piena conoscenza degli affari di Stato, è necessario che il potere agisca in pubblico. Cade una delle ragioni del segreto di Stato: l’ignoranza del volgo che faceva dire dal Tasso a Torrismondo: «I segreti di Stato al folle volgo ben commessi non sono».

Spetta a Kant il merito di aver posto con la massima chiarezza il problema della pubblicità del potere e di averne dato una giustificazione etica. [...] Affinché questo principio della pubblicità possa essere non solo dichiarato dal filosofo ma attuato dal politico, in modo che, per esprimerci ancora una volta con Kant, non si dia ragione al detto comune «Questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la pratica», occorre che il potere pubblico sia controllabile. Ma in quale forma di governo questo controllo può avvenire se non in quella in cui il popolo ha il diritto di prendere parte attiva alla vita politica?

Kant certamente non è uno scrittore democratico nel senso che per «popolo» intende non tutti i cittadini ma solo i cittadini indipendenti, ma quale sia il valore che egli attribuisce al controllo popolare sugli atti del governo risulta ancora una volta in tema di diritto internazionale là dove, affermando che la pace perpetua può essere assicurata soltanto da una confederazione di Stati che abbiano la stessa forma di governo repubblicana, ne dà la ragione col celebre argomento che solo con il controllo popolare la guerra cesserà di essere un capriccio dei principi, o, con l’espressione kantiana, una «partita di piacere».

Sino a che il potere del re era considerato come derivante dal potere di Dio, gli arcana imperii erano una diretta conseguenza degli arcana Dei . In uno dei suoi discorsi Giacomo I, principe assoluto e teorico dell’assolutismo, definì la prerogativa, cioè il potere regio non sottoposto al potere del parlamento, come un «mistero di Stato» comprensibile solo ai principi, ai re-sacerdoti che, come dèi in terra, amministrano il mistero del governo. Un linguaggio come questo in cui l’appello al mistero svolge un ruolo essenziale, e si sottrae ad ogni richiesta di spiegazione razionale sul fondamento del potere e del conseguente obbligo di obbedienza, è destinato a scomparire via via che il discorso del governo si sposta dall’alto al basso, e, per restare in Inghilterra, dalla prerogativa del re ai diritti del parlamento.

Il linguaggio esoterico e misterico non si addice all’assemblea di rappresentanti eletti periodicamente dal popolo, e quindi responsabili di fronte agli elettori, pochi o molti che siano, ma non si addiceva del resto neppure alla democrazia degli antichi, quando il popolo si riuniva in piazza ad ascoltare gli oratori e quindi a deliberare. Il parlamento è il luogo dove il potere viene rappresentato nel duplice senso che esso è il luogo dove si riuniscono i rappresentanti e dove, nello stesso tempo, avviene una vera e propria rappresentazione, che in quanto rappresentazione ha bisogno del pubblico e deve quindi svolgersi in pubblico. Coglie bene questo nesso tra rappresentanza e rappresentazione Carl Schmitt quando scrive: «La rappresentanza può aver luogo soltanto nella sfera della pubblicità. Non c’è alcuna rappresentanza se si svolga in segreto e a quattr’occhi [...]. Un parlamento ha carattere rappresentativo solo in quanto crede che la sua attività sia pubblica. Sedute segrete, accordi e decisioni segrete di qualsivoglia comitato possono essere molto significative ed importanti, ma non possono avere mai un carattere rappresentativo».

Con ciò non si vuol dire che ogni forma di segretezza debba essere esclusa: il voto segreto può essere in certi casi opportuno; la pubblicità delle Commissioni parlamentari non è riconosciuta. C’è anche chi, come Giovanni Sartori, nella nuova edizione, aggiornata ed arricchita, della sua teoria della democrazia, condanna la richiesta di una politica sempre più visibile, come poco consapevole delle conseguenze che la maggiore visibilità comporta. Ma non si può non riconoscere con Schmitt che «rappresentare» significa anche «rendere visibile e rendere presente un essere invisibile mediante un essere pubblicamente presente».

Possiamo concludere questa riflessione con Richard Sennett che nel suo aureo libretto sull’autorità, pubblicato nel 1980 (tradotto in italiano nel 1981) afferma: «Tutte le idee di democrazia che abbiamo ereditato dal XVIII secolo sono basate sulla nozione di un’autorità visibile». E cita il detto di Jefferson: «Il dirigente deve agire con discrezione ma non gli deve essere concesso di tenere per sé le sue intenzioni».

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Commenti Articolo 1002

Titolo articolo : FREUD E LE SORELLE "DIMENTICATE" A VIENNA E "IMMOLATE" AL NAZISMO. Una nota di Leonetta Bentivoglio sul lavoro di Goce Smilevski, "La sorella di Freud" - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/16/2011 - 13:01:51.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/10/2011 13.01
Titolo:Parla Goce Smilevski ...
«Ho dato una vita ad Adolfine Freud»

Il mistero delle quattro sorelle di Sigmund: dimenticate a Vienna e deportate

Parla Goce Smilevski, lo scrittore macedone, autore del romanzo La sorella di Freud, uscito in Macedonia nel 2007, acquistato da editori di trenta Paesi (fra cui ci sono l’America, l’Inghilterra, la Francia, la Spagna e la Germania) che ora appare in Italia, nella prima traduzione, di Davide Fanciullo, dall’editore Guanda (pp. 334, 18).
Un successo molto festeggiato in Macedonia, una consacrazione simile a quella che toccò al regista Milcho Manchevski, Leone d’oro a Venezia nel 1994 con Prima della pioggia.

di Ranieri Polese (Corriere della Sera, 16.10.2011)

FRANCOFORTE - Il 10 aprile del 1938, con un plebiscito, i cittadini austriaci approvavano l’unificazione con il Reich tedesco. Meno di due mesi dopo, il 4 giugno, per sfuggire alla persecuzione antisemita, Sigmund Freud partiva da Vienna portando con sé sedici persone (la moglie, la figlia Anna, la cognata Mina, il suo medico con la moglie, la cameriera e altri ancora), ma lasciava a Vienna quattro sorelle: Rosa, Marie, Adolfine e Pauline, tutte oltre la settantina. Sei anni dopo, tra giugno e agosto del 1942, verranno deportate e dopo poco moriranno. «Leggendo le biografie di Freud, avevo notato che i due fatti - la partenza di Freud da Vienna con sedici persone, e le quattro sorelle che invece non possono andare con lui - non vengono mai messi insieme. Ai biografi del padre della psicoanalisi non scatta mai la domanda: perché Freud le ha abbandonate alla fine certa in un campo di sterminio?».

Goce Smilevski ha trentasei anni. Ha studiato letteratura a Skopje, Praga e Budapest; si è laureato con una tesi su Milan Kundera; ha pubblicato due romanzi, Il pianeta dell’inesperienza e Conversazione con Spinoza (uscirà l’anno prossimo, sempre da Guanda). Grazie a un capitolo de La sorella di Freud apparso nell’antologia Best European Fiction 2010 curata da Aleksandar Hermon e Zadie Smith, vince l’European Prize for Literature (l’anno prima, 2009, l’aveva vinto Daniele Del Giudice con Orizzonte mobile). Ora è a Francoforte per incontrare gli editori del suo fortunato La sorella di Freud.

Allora, perché Freud abbandona le sorelle? «La domanda rimane senza risposta. Nonostante le lunghe ricerche che ho fatto, non ci sono lettere o documenti in grado di darci una spiegazione. Ma da qui mi è venuto l’impulso di scrivere un romanzo, lavorando di immaginazione, prendendo come protagonista Adolfine, la penultima, l’unica che non si era sposata. Quella che il figlio di Freud, Martin, nei ricordi di famiglia definisce "poco intelligente". Di lei ci resta solo qualche lettera, in una dà notizie dei genitori al fratello che si trovava a Roma con la moglie e la cognata».

Bambina poco amata dalla madre, legata da un’ammirazione che sconfina quasi in una passione incestuosa per il fratello Sigmund, Adolfine vive una vita in ombra. Il romanzo la riempie di avvenimenti, che sono tutti frutto della fantasia di Goce Smilevski. Adolfine prende lezioni di disegno e s’innamora di Rajner, il malinconico figlio del suo insegnante; diventa amica di Klara Klimt, la sorella del pittore Gustav; aspetta un figlio da Rajner, che l’abbandona, così decide di abortire; per sua scelta si fa ricoverare nella clinica per malattie mentali Il Nido; si prenderà cura dei tanti figli illegittimi di Gustav Klimt, quando Klara non sarà più in grado di occuparsene.

«Sì, sono tutte finzioni romanzesche, tutte comunque verosimili nella Vienna del crepuscolo dell’Impero. Vienna, dove ho passato lunghi periodi, conserva ancora il ricordo di quella stagione irripetibile di grande creatività e di inarrestabile decadenza». Così la clinica somiglia a un padiglione dello Steinhof, il manicomio costruito da Otto Wagner; Klimt che dà scandalo con la sua vita sregolata ricorda le polemiche dei benpensanti contro gli artisti della Secessione; e ci sono squarci della vita quotidiana di Freud nella sua casa di Berggasse 19.

«Il non sapere niente di Adolfine mi ha dato la libertà di reinventare una vita che nessuno si è curato di documentare. È un po’ la libertà che io, scrittore di un Paese che sta ai limiti dell’Europa, marginale, cui non guarda nessuno, mi posso prendere: posso scegliere quello che mi piace della tradizione dell’Europa occidentale che non mi riconosce come suo cittadino. Mi sono appropriato di Spinoza, di Kundera, di Freud. E se devo pensare a un modello, direi Hermann Broch, il grande scrittore austriaco, l’autore della Morte di Virgilio, da cui ho preso quel misto di narrativa poetica e di saggistica».

Troppo vicini per essere esotici, troppo lontani per essere dei veri europei, agli scrittori macedoni - dice Smilevski - si finisce sempre e solo per chiedere la situazione politica del loro Paese. «Che è una situazione bizzarra, nonostante la richiesta di entrare nella Comunità, l’accesso è sempre rimandato». Per la questione del nome Macedonia che la Grecia contesta? «Ma il problema non è tanto il nome, c’è il fatto che nel 1948 la Grecia espulse 300 mila macedoni e confiscò i loro beni. Se entriamo a pieno titolo in Europa, Atene ci dovrebbe risarcire molti milioni di euro».

Oltre ad Adolfine, nel romanzo incontriamo altre due sorelle, Klara Klimt appunto, e Ottla Kafka, internata a Terezin, che ricorda solo il nome, Franz, del suo grande fratello. Sembra che un destino maligno pesi su queste donne, la cui disgrazia nasce proprio dall’essere sorelle di uomini importanti.

«Sono delle esistenze dimenticate, che nessuno considera anche in vita. Per questo mi piace scriverne, perché se la storia si occupa di generali, grandi leader politici, re e imperatori, il romanzo può, deve dedicarsi a queste figure cosiddette minori».

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Commenti Articolo 1003

Titolo articolo : NON DISTURBATE IL MANOVRATORE: IL PAPA TEOLOGO CHE NON ASCOLTA E UNA CATTOLICITA' DIVISA. “Joseph Ratzinger. Crisi di un papato”. Un brano del libro di Marco Politi,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/10/2011 - 18:44:29.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/10/2011 18.44
Titolo:La doppia faccia di Benedetto
La doppia faccia di Benedetto

di Massimo Teodori (Il Sole 24 Ore, 9 ottobre 2011)


Con Crisi di un papato, Marco Politi, studioso del mondo cattolico e sperimentato vaticanista
(illuminanti i suoi libri su papa Wojtyla), racconta con maestria il carattere tradizionalista del
pontificato di Benedetto XVI a sei anni dal conclave in cui non doveva divenire papa. Fondato su
una gran quantità di documenti di diversa origine, il libro illumina le tappe della china regressiva su
cui è scivolato il teologo Ratzinger che non è riuscito a divenire uomo di governo della Chiesa.

Con
il catastrofico discorso di Regensburg ha compromesso i rapporti con l'Islam a cui si era dedicato
per vent'anni Giovani Paolo II; trascurando ad Auschwitz la Shoah e sostenendo che il nazismo è
stato un corpo estraneo alla Germania, si è alienato la simpatia del mondo ebraico; sminuendo l'uso
dei preservativi nell'Africa martoriata dall'Aids, ha suscitato indignate reazioni nel mondo;
simpatizzando con l'oltranzismo religioso ha riammesso nella Chiesa quattro vescovi lefebvriani tra
cui un noto negazionista; e pur condannando la pedofilia, ne ha sminuito la gravità con
l'affermazione che il fenomeno è presente in tutti gli ambienti.

Concentrato negli studi teologici e restìo ad ascoltare i segnali esterni, papa Ratzinger ha così
accentuato uno stile di governo solitario che ha rigettato l'interpretazione del Vaticano II come
rottura tra la Chiesa preconciliare e postconciliare, e non è neppure riuscito a domare i conflitti
interni alla Curia. Come asse portante e missione principale della Chiesa, il pontefice ha indicato
con ostinazione la necessità di condannare il "secolarismo aggressivo" dominante oggi in Europa, e
ha incitato a combattere il relativismo che rappresenterebbe il grande male del secolo, insieme ai
pericoli dell'indifferentismo, del libertinismo e dell'individualismo.

Se, dunque, questa è la bussola teologica ratzingeriana, non meno nostalgico è l'orizzonte che ne
consegue nel magistero civile: «Nessun fedele può appellarsi al principio del pluralismo e
dell'autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettono e che attenuino la
salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali». Singolare canone integralista secondo cui nel
XXI secolo il richiamo etico deve necessariamente coincidere con l'interpretazione ecclesiasticodottrinale della religione cattolica.

Non stupisce quindi che negli anni di Benedetto XVI, con la
mediazione in Italia della Conferenza episcopale e in Europa del «Consiglio pontificio per la nuova
evangelizzazione» affidato al vescovo Rino Fisichella, già "cappellano" della Camera, si sia
manifestata la più rigida chiusura su alcune questioni oggetto di discussione anche nella Chiesa: il
biotestamento, l'omosessualità, il divorzio, la pillola, le coppie di fatto e la fecondazione assistita.

Marco Politi ha il merito, fuori dai labirinti iniziatici e gergali, di far luce sull'arroccamento di
Benedetto XVI che, a suo parere, ha portato alla crisi del papato, in maniera divergente dall'eredità
lasciata alla Chiesa e al mondo dal suo predecessore.

***

Il libro del vaticanista Marco Politi si intitola Joseph Ratzinger. Crisi di un papato (Laterza, pagg.
344, € 18,00 in libreria da questa settimana) e cerca di indagare, con lo spirito del cronista di affari
vaticani gli orientamenti e le discussioni aperte dal papato di Benedetto XVI.
Dopo sei anni di pontificato Benedetto XVI, infatti, è ancora un pontefice che divide. I cui atti
fanno ovviamente discutere, dagli incidenti come la citazione su Maometto, alle frasi sull'Aids che
hanno suscitato reazioni di protesta in tutto il pianeta; fino a questioni calde come come il calo dei
sacerdoti e il ruolo della donna.
Ma Politi traccia anche il profilo di Ratzinger uomo: sensibile, timido, caloroso e pieno di
umorismo nel privato. Un uomo che crede a un cristianesimo «religione dell'amore».

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Commenti Articolo 1004

Titolo articolo : L'iniziativa dei preti austriaci non si ferma,

Ultimo aggiornamento: October/10/2011 - 15:53:55.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 10/10/2011 15.53
Titolo:Helmut Schüller, alla prima riunione del “Movimento dei parroci irlandesi”
Il principale rappresentante della Pfarrer-Initiative, Helmut Schüller,
alla prima riunione del “Movimento dei parroci irlandesi”

di “Ja-Kirchenzeitung” e Helmut Schüller

in “www.ja-kirchenzeitung.at” del (traduzione: www.finesettimana.org)

L’associazione irlandese “Association of Catholoic Priests” (ACP) fondata in primavera si è riunita per la prima volta a Dublino il 4 e 5 ottobre per la sua riunione generale costituente. Era presente Helmut Schüller, principale rappresentante della “Pfarrer-Initiative” austriaca, con la quale l’ACP desidera collaborare in futuro. L’ “Appello alla disobbedienza” dei preti austriaci è stato accolto con favore.

La riunione, a cui hanno preso parte 350 persone, ha espresso una severa critica nei confronti della gerarchia e ha richiesto decise riforme nella Chiesa, riferisce il quotidiano “The Journal”: una verifica della dottrina della Chiesa sulla sessualità, un nuovo modo di scegliere i vescovi, l’ordinazione di uomini sposati e di donne. Uno dei principale relatori, Kevin Hegarty, ha detto che la Chiesa irlandese è divisa in due: “Da un lato la Chiesa che costruisce comunità, che mi dà piena soddisfazione, e dall’altro la Chiesa istituzionalizzata, a cui mi sento estraneo.” Ha anche affermato che la Chiesa negli ultimi 30 anni ha impedito le riforme e si è ritirata in un ghetto per difendere strutture superate.

Se ci fossero elezioni democratiche, la Chiesa cattolica vivrebbe oggi in Irlanda la stessa debacle del “Fianna Fail”, il partito che per decenni ha guidato il paese, che nelle ultime elezioni alcuni mesi fa è praticamente caduto nell’irrilevanza.

ACP conta già 535 membri e secondo Sean McDonagh nei prossimi giorni si presume che ci saranno 100 nuovi associati.

Helmut Schüller ci ha inviato la seguente relazione sulle sue impressioni dell’incontro di Dublino (i titoli dei paragrafi sono della redazione): C’è fermento tra i preti cattolici irlandesi. Non si può spiegare altrimenti il fatto che la “Association of Catholic Priests” (ACP) fondata in primavera abbia già 535 membri. E questo con finalità ben chiare, come la piena realizzazione della visione e dell’insegnamento del Concilio Vaticano II, con particolare accentuazione del primato della coscienza individuale, della posizione e della partecipazione attiva di tutti i battezzati, di una Chiesa nella quale tutti i battezzati siano trattati allo stesso modo.

servizio invece di potere
Ovvero: il rinnovamento delle cariche nella Chiesa con la finalità di includere i doni, la saggezza e l’esperienza di tutta la comunità dei credenti, uomini e donne. Ovvero: il cambiamento del sistema direttivo della Chiesa, che deve essere basato sul servizio e non sul potere e deve promuovere una cultura della consultazione e della trasparenza a tutti i livelli della Chiesa, specialmente nella nomina delle guide della Chiesa.

verifica della dottrina della Chiesa sulla sessualità
Ovvero: verifica della dottrina cattolica sulla sessualità con il riconoscimento del profondo mistero della sessualità umana e dell’esperienza e saggezza del popolo di Dio. Inoltre: la promozione di pace, giustizia e salvaguardia del creato, a livello locale, nazionale e globale. Il riconoscimento della separazione di Chiesa e Stato. Cerimonie liturgiche in una lingua di facile comprensione, che includa e sia accessibile. Il rafforzamento dei rapporti con i cristiani di altre Chiese e con le persone di altre fedi.

abbandonati dai vescovi
L’ACP vuole porre fine al silenzio dei preti che c’è stato fin’ora, esprimendosi con voce autonoma e anche partecipare attivamente alle discussione fondamentali della società irlandese. Si percepiva chiaramente il grande malumore per la mancante direzione della Chiesa da parte dei vescovi a proposito del notevole invecchiamento e del crescente sovraccarico di impegni dei preti. Anche difronte alla rivelazione e alla discussione pubblica di abusi sessuali nella Chiesa i preti si sentono assolutamente lasciati soli dai vescovi. Forte è stata anche la critica alla lingua del nuovo messale di lingua inglese e della sua imposizione dall’alto.

ACP riflette sul percorso della Pfarrer-Initiative
Il Consiglio direttivo dell’ACP ha ricevuto una chiara approvazione da parte dei membri di formulare i singoli obiettivi in maniera ancora più precisa e concreta, e di rappresentarli. A questo proposito all’ “Appello alla disobbedienza” della Pfarrer-Initiative in Austria è stata riservata particolare attenzione, appello su cui i membri della ACP erano già bene informati. Al termine della mia relazione sulla situazione attuale ho avuto richieste di chiarimenti in innumerevoli conversazioni. Nelle discussioni plenarie è stato più volte proposto di riflettere sulla possibilità dell’ACP di seguire un percorso analogo. Il Consiglio direttivo dell’ACP ha accolto queste proposte e ha espresso il suo grande interesse per un collegamento in rete con la PfarrerInitiative.

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Commenti Articolo 1005

Titolo articolo : "CREDERE, OBBEDIRE, E COMBATTERE"! I preti austriaci rifiutano di revocare il loro appello alla disobbedienza. Una nota di Christa Pongratz-Lippitt e Sarah Mac Donald,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/09/2011 - 09:12:22.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/10/2011 09.12
Titolo:Newsletter 10. Cari membri, sostenitrici e sostenitori!
Newsletter 10

di Pfarrer-Initiative

in “www.pfarrer-initiative.at” del 20 settembre 2011 (traduzione: www.finesettimama.org)


Cari membri, sostenitrici e sostenitori!

Fin dal momento in cui l' “appello alla disobbedienza” è stato reso pubblico, ci è stato chiesto di
ritrattare tale testo. È una cosa che in coscienza non possiamo fare perché continuiamo ad esser
convinti del suo contenuto. La disobbedienza nei confronti di singole leggi e regole ecclesiastiche
restrittive in vigore già da anni fa parte della nostra vita e del nostro lavoro pastorale. Dichiarare
pubblicamente qualcosa di diverso da ciò che pensiamo e da come agiamo, renderebbe più acuta la
dissonanza nella Chiesa e nella pastorale.

Siamo però consapevoli che la parola “disobbedienza” deve essere intesa come stimolo. Per questo
spieghiamo volentieri che non intendiamo affatto una disobbedienza generalizzata per il gusto della
contrapposizione, bensì un'obbedienza graduata, che dobbiamo innanzitutto a Dio, poi alla nostra
coscienza e infine anche alle disposizioni ecclesiastiche. Abbiamo sempre considerato in
quest'ordine la dottrina della Chiesa, il papa e i vescovi. E così vogliamo proseguire.
Per ora non è stata stabilita alcuna data per un ulteriore incontro del cardinale Schönborn con i
quattro membri del nostro consiglio direttivo dell'arcidiocesi di Vienna. In quel dialogo da parte
nostra devono essere date delle risposte alle domande che nel primo incontro ci sono state
presentate in forma scritta.

Da diverse parti ci viene ripetutamente consigliato di cercare con il cardinale delle “soluzioni” sui
temi più semplici tra quelli da noi affrontati. Nel consiglio direttivo però siamo dell'opinione che
partner di dialogo dei vescovi su questi temi non deve essere la Pfarrer-Initiative, ma tutta la
comunità cristiana: ad esempio in una prosecuzione del “Dialogo per l'Austria” o nel quadro dei
futuri incontri previsti con i consigli delle comunità parrocchiali o di un altro procedimento
sinodale. In caso contrario sarebbero alcuni rappresentanti dell' “alto clero” con alcuni
rappresentanti del “basso clero” a parlare di ciò che riguarda tutto il popolo di Dio. Anche la
richiesta di “scindere in vari punti” il nostro “pacchetto dell'appello” ci pare molto problematica. I
temi che abbiamo citato sono tutti quanti, spesso e da tempo, preoccupazioni e domande formulate a
noi dalla comunità cristiana, che non tocca a noi valutare.

I vescovi continuano a ripeterci, che noi come Chiesa locale possiamo procedere nel cammino solo
con il papa e con la chiesa universale. Allora si pone però la domanda, fino a che punto il papa e la
direzione della chiesa universale possono essere anch'essi invitati a procedere nel cammino con noi.

Si mostra però sempre più chiaramente, che i nostri problemi e le nostre preoccupazioni non sono
affatto solo temi “austriaci”.

L'eco positiva che ci giunge da altri paesi negli ultimi tempi è in netto
aumento. E perché i nostri vescovi non dovrebbero preoccuparsi di un consenso per cammini
sperimentali a livello di chiesa universale? Il cardinale Schönborn ha detto tempo fa in un'intervista
che ci sarebbe la possibilità per tali cammini. Solo che lui non si curerebbe di ciò.
Si ripete continuamente che i nostri temi e le nostre domande sono troppo “piccoli”, sono problemi
minori. Si dice che si devono affrontare i “grandi” problemi: la ricerca di Dio da parte dell'uomo, i
temi del futuro della nostra società e del mondo. Ma anche quando noi nel nostro “appello” e in altri
testi affrontiamo prima di tutto problemi immediati della pastorale quotidiana, nelle nostre comunità
sono molto ben presenti anche le “grandi” questioni. Altrimenti, di che cosa ci preoccupiamo prima
di tutto nelle nostre comunità e con le nostre collaboratrici e collaboratori, se non della ricerca di
Dio da parte dell'uomo, del linguaggio che possiamo usare per parlare di lui e per annunciarlo? Non
sono forse prima di tutto le nostre comunità, quelle in cui si discute e si pratica la solidarietà con i
poveri, sia vicini a noi che nel sud del mondo? Non ci preoccupiamo forse prima di tutto nelle
comunità anche di come affrontare i grandi problemi della vita dei partner e delle famiglie, dei
giovani e degli anziani ecc.? E se la Chiesa deve essere in dialogo con il nostro tempo sulle grandi
questioni, quanto credibile è la “lingua del corpo” della Chiesa, se in essa non c'è un'adeguatapartecipazione del popolo alle decisioni e agli orientamenti? Se si rinuncia all'esperienza di vita e di
fede di tanti uomini e donne, e si fa sorgere l'impressione che si abbia timore dell'influenza del
popolo della Chiesa come invasione di un pericoloso spirito del tempo?

Per non parlare
dell'esclusione delle donne dagli incarichi “sacri” della Chiesa, in una società che, superando la
Chiesa, ha fatto la scelta (che è biblica!) dell'uguaglianza della donna.
Per l'inizio di ottobre siamo invitati alla riunione annuale dell'Associazione irlandese dei preti
cattolici (ACP) a Dublino. Là ci sarà occasione di contatto con rappresentanti di analoghe reti di
preti provenienti dagli Stati Uniti. L'ACP conta già 500 membri e si impegna in Irlanda sugli stessi
temi e preoccupazioni nostri. Aumentano anche le collaborazioni con colleghi tedeschi.

Recentemente si è messo in contatto con noi anche un prete dal Messico.

La nostra situazione attuale di membri e sostenitori:
Preti: membri: 338, sostenitori: 69
Laici: sostenitori/sostenitrici: 1037

Un'ultima indicazione per i nostri membri: la nostra riunione generale sarà domenica 6 novembre
2011, alle 15 a Linz, sarà inviato un invito personale.

Ringraziamo di cuore per i molti segni di solidarietà negli ultimi mesi.

I membri del consiglio direttivo
Helmut Schüller, Hans Bensdorp, P. Udo Fischer, Franz Großhagauer, Gerald Gump,
P. Arno Jungreithmair,
Peter Paul Kaspar, Franz Lebenbauer, Franz Ofenböck, Wolfgang Payrich

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Commenti Articolo 1006

Titolo articolo : ISRAELE E LA CARTA D'IDENTITA'. Per non discriminare i palestinesi, la protesta dell’anagrafe. Un gruppo di attivisti chiede di cambiare lo stato civile. Una nota di Roberta Zunini,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: October/04/2011 - 11:24:21.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/10/2011 11.24
Titolo:Yomar Kanyuk vince la battaglia con l’anagrafe israeliana. Cade uno dei pilastr...
La sfida dello scrittore “Ebreo senza religione”

Kanyuk vince la battaglia con l’anagrafe israeliana

Yoram Kaniuk 81 anni è uno dei personaggi mitici di Israele: ha combattuto nella guerra di Indipendenza del 1948 ed è stato un pioniere del dialogo con l’Olp di Arafat

di A. B. (La Stampa, 03.10.2011)

Nel 1948 ha combattuto in prima linea per lo Stato di Israele e ha visto gli amici morire come mosche. Adesso ha la netta sensazione che lo Stato laico di Israele stia soccombendo sotto un establishment rabbinico «invadente e di stampo iraniano», che gli provoca repulsione. E allora lo scrittore più indisciplinato e anticonformista di Israele, Yoram Kaniuk (81 anni), è tornato in prima linea per scardinare il connubio (a suo parere divenuto perverso) tra «popolo ebraico» da un lato e «religione ebraica», dall’altro. Nei registri dello stato civile israeliano sono tutt’uno.

Quando, mesi fa, è andato al ministero degli Interni per esigere di essere registrato al tempo stesso «membro del popolo ebraico» e «senza religione», l’impiegata è rimasta sbigottita: mai nessuno, prima di lui, aveva avanzato una richiesta del genere. Ma adesso il tribunale distrettuale di Tel Aviv ha assecondato la sua iniziativa, in ossequio al principio della libertà dell’Uomo. «Una decisione coraggiosa, uno sviluppo storico», ha esclamato Kaniuk.

Dopo un decennio trascorso nella ruggente New York degli Anni 50, Kaniuk era rientrato in Israele con una celebre ballerina, Miranda, di fede cristiana. Col passare degli anni i due bohémien hanno avuto due figlie, che in Israele non sono state riconosciute come ebree. L’anno scorso è arrivato un atteso nipotino, che il ministero degli Interni ha registrato come «senza religione».

«Ero stufo di essere in minoranza, unico ebreo della famiglia - ha osservato maliziosamente lo scrittore -. Ho deciso allora di essere esattamente come mio nipote: privo di religione». Con l’ortodossia ebraica non vuole rapporti: «Ho detto loro: io ora esco». Ma ancora si sente legato al popolo ebraico e allo Stato di Israele. «Quando Ben Gurion parlava di uno Stato ebraico - ha rincarato, con tono beffardo - non pensava certo che un giorno in Israele 400 rabbini sarebbero andati a ispezionare le bollicine dell’acqua minerale per verificare se fossero compatibili con la halacha», l’ortodossia ebraica.

Da parte loro i rabbini gli mandano a dire che «quando uno nasce ebreo, resta ebreo. Non si sfugge». Davvero non si sfugge? Kaniuk il ribelle la sa lunga: nemmeno da morto i rabbini avranno il suo corpo - ridacchia - perché lo ha già donato alla scienza.
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Religione: «Nessuna». Cade uno dei pilastri d’Israele

di Francesco Battistini (Corriere della Sera, 03.10.2011)

GERUSALEMME - L’uomo «morto almeno due volte», come si definisce Yoram Kaniuk, che fu ferito grave nella battaglia di Gerusalemme e andò in America e ripartì con la morte nel cuore, a 81 anni è rinato a nuova vita. Precisamente la vigilia del Capodanno ebraico, quando un giudice di Tel Aviv gli ha regalato una carta d’identità nuova di zecca. Stabilendo che il più sionista degli scrittori israeliani può finalmente essere accontentato. E che in un Paese dove molti documenti ti domandano quale sia la tua fede, dove i matrimoni non religiosi sono di serie B, lui potrà essere registrato all’anagrafe con uno status mai visto: appartenente al popolo ebraico, in quanto nato da madre ebrea, eppure «senza religione».

Ebreo non ebreo: per scelta, non per il credo. Kaniuk ne ha fatto una questione di principio. Pur essendo un’icona della guerra del ’48, trenta libri tradotti in 25 lingue, le sue trame recitate al cinema da Jeff Goldblum o Willem Defoe, lo scrittore non vuole più «far parte d’un Iran ebraico», qual è a suo parere diventato Israele, «o appartenere a quella che oggi è chiamata la religione di Stato» e che secondo lui è invece utilizzata a fini politici. Quando l’anno scorso gli è arrivato un nipotino, da sua figlia che era nata da una cristiana americana e a sua volta è registrata a Tel Aviv come non ebrea, quando per il bambino ha ottenuto (a fatica) che fosse iscritto all’anagrafe «senza religione», da quel momento Kaniuk ha preteso lo stesso: ha fatto domanda al ministro dell’Interno, e di fronte al rifiuto s’è rivolto alla giustizia. Ottenendo un sì: «La libertà della religione deriva dal diritto alla dignità umana, protetto dalla Legge fondamentale - ha motivato il giudice Gideon Ginat -. La sola questione da soppesare è se Kaniuk abbia dimostrato la serietà delle sue intenzioni». E poiché tali si sono rivelate, in uno Stato democratico nulla vieta che lo scrittore viva la sua identità come gli pare. «Sono entusiasta - squilla l’ottantunenne dereligiosizzato -. È una sentenza storica: riconosce che la dignità umana basta a definirmi. E che anche in questo Paese posso sentirmi ebreo senza credere in nulla».

È una sentenza solo simbolica, dice la giurista Nicol Mahor, del Centro per il pluralismo e la ricerca religiosa: «Capita già che gl’israeliani cambino religione, convertendosi o si dichiarino atei. Qui, per la prima volta, un ebreo cancella il suo status religioso. Ma non credo che varrà come precedente: se Kaniuk alla sua età volesse risposarsi con un’ebrea, l’ultima parola spetterebbe in ogni caso all’autorità religiosa». Il sasso nella vetrata è lanciato, però. E lo dimostrano la reazione liquidatoria d’un rabbino tradizionalista, Shlomo Aviner («anche se diventa cristiano, non si sfugge: un ebreo resta ebreo, l’ebraismo è una nazionalità, non solo una fede»), o il dibattito sul sito di Haaretz fra chi considera lo scrittore un ingrato («la sola ragione per cui esiste è che è un ebreo»), chi una bandiera: «La maggioranza degl’israeliani la pensa come lui». E perfino chi addita il nostro Belpaese a modello: «Prendete l’Italia - scrive Melissa - è un Paese cattolico, ma lascia che ci vivano anche altre religioni».

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Commenti Articolo 1007

Titolo articolo : Il prete che si sposa è preparato alla vita matrimoniale ?,di p. Nadir Giuseppe Perin

Ultimo aggiornamento: October/04/2011 - 10:52:26.

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Autore Città Giorno Ora
Giuseppe Cabras Cagliari 04/10/2011 10.52
Titolo:Il seminario del clero latino non ha mai preparato al matrimonio.
Sono un prete sposato con dispensa dal 1968 e solo la Providenza divina mi ha donato una sposa che finora mi ha aiutato e donato alla vita cristiana tre figli.
60 anni fà era così, come sia oggi lo afferma il card. Piacenza nella lectio magistralis ai seminaristi.
Un prete non pronto al matrimonio che cosa farà nella pastotale?Condordo pienamente con p.Nadir.

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Commenti Articolo 1008

Titolo articolo : SE IL DIO DI BENEDETTO XVI E' IL VALORE ("CARITAS"), "LO STRANO SILENZIO DELLA CHIESA" NON E' AFFATTO STRANO NE' INCOMPRENSIBILE!!! Una 'confusa' analisi di Barbara Spinelli - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/27/2011 - 12:55:06.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/9/2011 12.55
Titolo:NON POSSUMUS. Parlando in nome della Chiesa italiana, il cardinale Bagnasco ...
Non possumus

di Barbara Spinelli (la Repubblica, 27.09.2011)

Parlando in nome della Chiesa italiana, il cardinale Bagnasco ha usato parole molto chiare, ieri, davanti al Consiglio permanente dei vescovi. Il nome del presidente del Consiglio non viene fatto, ma è di Berlusconi che parla: quando denuncia «i comportamenti licenziosi e le relazioni improprie», quando ricorda il «danno sociale (che essi producono) a prescindere dalla loro notorietà».

Quando cita l’articolo 54 della Costituzione e proclama: «Chiunque sceglie la militanza politica, deve essere consapevole della misura e della sobrietà, della disciplina e dell’onore». Non è la prima volta che il Presidente della Cei critica l’immoralità insediatasi ai vertici del governo italiano, ma questa volta le parole sono più precise e dure, il tono si fa drammatico perché il Vaticano ormai ne è consapevole: la personalità stessa del premier è elemento della crisi economica che sta catturando l’Italia, e all’estero la sua figura non è più giudicata affidabile. Tra le righe, Bagnasco fa capire che le dimissioni sarebbero la via più opportuna: «Quando le congiunture si rivelano oggettivamente gravi, e sono rese ancor più complicate da dinamiche e rapporti cristallizzati e insolubili, tanto da inibire seriamente il bene generale, allora non ci sono né vincitori né vinti: ognuno è chiamato a comportamenti responsabili e nobili. La storia ne darà atto».

Come in altre occasioni, non manca la critica parallela alla magistratura: critica che Berlusconi ha abilmente sfruttato a proprio favore, per lungo tempo, presentandosi come politico vicino alla Chiesa e da essa appoggiato. Il Cardinale ha dubbi «sull’ingente mole di strumenti di indagine messa in campo, quando altri restano disattesi e indisturbati» e giunge sino a dirsi «colpito dalla dovizia delle cronache a ciò dedicate»: sono dubbi e sbigottimenti non del tutto comprensibili, perché è pur sempre grazie alla magistratura e alla dovizia delle cronache che la Chiesa stessa, infine, ha dovuto constatare i «comportamenti non solo contrari al pubblico decoro ma intrinsecamente tristi e vacui»; «l’improprio sfruttamento della funzione pubblica»; i «comitati d’affari che, non previsti dall’ordinamento, si autoimpongono attraverso il reticolo clientelare, andando a intasare la vita pubblica con remunerazioni, in genere, tutt’altro che popolari»; l’evasione fiscale infine, «questo cancro sociale» non sufficientemente combattuto. Senza le inchieste della stampa indipendente, senza le intercettazioni ordinate dai pubblici ministeri, senza la documentazione sugli innumerevoli reati imputati al premier, la Chiesa non potrebbe fondatamente pronunciare, oggi, il suo «non possumus».

Anche in questo caso tuttavia, Bagnasco cambia tono rispetto agli anni scorsi. Pur esprimendo dubbi su magistrati e giornalisti, si rifiuta di metter sullo stesso piano le condotte degli uni e degli altri: «La responsabilità morale ha una gerarchia interna che si evidenzia da sé, a prescindere dalle strumentalizzazioni che pur non mancano (...) La questione morale, complessivamente intesa, non è un’invenzione mediatica: nella dimensione politica, come in ciascun altro ambito privato o pubblico, essa è un’evenienza grave, che ha in sé un appello urgente».

La questione morale non è un’invenzione mediatica: lo dicono da tempo tanti cattolici, laici e non, e la Chiesa italiana sembra volerli ascoltare, meno riottosamente di ieri. Si capisce che non faccia nomi espliciti, che non usi l’arma ultima che è la richiesta esplicita di dimissioni: sarebbe un’interferenza nella politica italiana, non promettente per il futuro anche se comprensibilmente invocata da molti. La Chiesa già interviene molto sulle scelte delle nostre istituzioni (il testamento biologico è un esempio), e non sarebbe male se in tutti gli ambiti osservasse la prudenza politica che manifesta verso Berlusconi, non nominandolo espressamente. Forse la condanna che oggi pronuncia - che questo giornale ha chiesto con forza - non può che essere spirituale, al momento: il cristiano non compra l’amore, non compra il consenso, non mente, non inganna, non privilegia i ricchi contro i poveri, non presta falsa testimonianza. Su questi e altri peccati ce ne sono, di cose da dire.

La vera questione, a questo punto, concerne i cattolici che sono nella maggioranza, e che dovranno giustificare ora le innumerevoli connivenze, i silenzi così tenaci e vili. Cosa pensano Formigoni, o Giovanardi, delle parole che vengono dal vertice della Conferenza episcopale italiana? Con che faccia il ministro Rotondi parla di Berlusconi come di un «santo puttaniere»? Perché "santo"? Per tutti costoro, più che per la Chiesa, vale oggi il comandamento di Gesù: «Sia invece il vostro parlare «sì sì», «no no», il di più viene dal maligno». Il Cardinale sembra avere in mente questi politici quando constata: «Colpisce la riluttanza a riconoscere l’esatta serietà della situazione al di là di strumentalizzazioni e partigianerie; amareggia il metodo scombinato con cui a tratti si procede, dando l’impressione che il regolamento dei conti personali sia prevalente rispetto ai compiti istituzionali e al portamento richiesto dalla scena pubblica, specialmente in tempi di austerità».

Non è escluso che il Papa abbia avuto il suo peso, nel linguaggio più aguzzo cui la Chiesa italiana ricorre. Da quando si è inasprita la crisi, Benedetto XVI ha usato parole di grande severità contro le ingiustizie e le diseguaglianze che lo sconquasso economico sta dilatando. Va in questa direzione l’omelia pronunciata l’11 settembre a Ancona. E nel viaggio in Germania il Pontefice non ha esitato ad ammettere che la Chiesa per prima è oggi scossa alle fondamenta: che per sopravvivere e rinascere deve "demondanizzare" se stessa, deve farsi scandalosa. Nel discorso al Konzerthaus di Friburgo ha ricordato che uno dei tanti fattori che rendono "poco credibile" la Chiesa è il suo apparato, e sono le sue ricchezze materiali.

Demondanizzarsi, riscoprire l’umiltà e la povertà: è un progetto di vita alto, è l’antica denuncia che Antonio Rosmini fece nelle Cinque Piaghe della Chiesa (inizialmente la Sacra Congregazione dell’Indice condannò il grande libro, nel 1849). «La Chiesa non deve forse cambiare? Non deve forse, nei suoi uffici e nelle sue strutture, adattarsi al tempo presente, per raggiungere le persone di oggi che sono alla ricerca e in dubbio?» lo ha chiesto a Friburgo il Papa, stavolta, e quel che ha chiesto è importante anche per l’Italia, alla cui costruzione e alla cui unità tanti cattolici laici hanno contribuito. Così come è essenziale anche il discorso sulla povertà. È già un passo non irrilevante la disponibilità di Bagnasco a farsi giudicare, sulle sovvenzioni che la Chiesa riceve dallo Stato italiano: «Facciamo notare che per noi, sacerdoti e vescovi, e per la nostra sussistenza, basta in realtà poco. Così come per la gestione degli enti dipendenti dalle diocesi. Se abusi si dovessero accertare, siano perseguiti secondo giustizia, in linea con le norme vigenti».

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Commenti Articolo 1009

Titolo articolo : EUCARESTIA, MINISTERO ORDINATO, DONNE PRETE: IV INCONTRO DE “IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO”,di Agenzia Adista n. 69 - 01 Ottobre 2011

Ultimo aggiornamento: September/26/2011 - 20:46:16.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/9/2011 18.01
Titolo:L'EUCARESTIA E IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO... MA DA CHI?!
EU-CARESTIA E VANGELO: LA BUONA CARESTIA, VENDUTA COME IL "BUON-PANE" ("EU-CHARISTIA") DEL PADRE NOSTRO ("DEUS CHARITAS") DELLA BUONA NOVELLA ("EU-ANGELO")

MI SORPRENDE LA CONNIVENZA DI UNA REDAZIONE COME QUELLA DI ADISTA CON IL LINGUAGGIO BIFORCUTO DELLE VARIE PERSONALITA' E ISTITUZIONI CATTOLICHE CHE CONTINUANO A USARE LA PAROLA "EU-CARESTIA" AL POSTO DI "EU-CHARISTIA" E A USARE LA PAROLA "VANGELO" AL POSTO DI "EV-ANGELO". Che il Papa per le sue ragioni di stato utilizzi la parola "caritas" (valore, ricchezza) invece di "charitas" (amore pieno di grazia), non comporta che ci si faccia portatori di falsità filologiche e teologiche!!!

Federico La Sala

_____________________________________________________________

“DEUS CARITAS EST”: IL “LOGO” DEL GRANDE MERCANTE E DEL CAPITALISMO

di Federico La Sala *

In principio era il Logos, non il “Logo”!!! “Arbeit Macht Frei”: “il lavoro rende liberi”, così sul campo recintato degli esseri umani!!! “Deus caritas est”: Dio è caro-prezzo, così sul campo recintato della Parola (del Verbo, del Logos)!!! “La prima enciclica di Ratzinger è a pagamento”, L’Unità, 26.01.2006)!!!

Il grande discendente dei mercanti del Tempio si sarà ripetuto in cor suo e riscritto davanti ai suoi occhi il vecchio slogan: con questo ‘logo’ vincerai ! Ha preso ‘carta e penna’ e, sul campo recintato della Parola, ha cancellato la vecchia ‘dicitura’ e ri-scritto la ‘nuova’: “Deus caritas est” [Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2006]!

Nell’anniversario del “Giorno della memoria”, il 27 gennaio, non poteva essere ‘lanciato’ nel ‘mondo’ un “Logo” ... più ‘bello’ e più ‘accattivante’, molto ‘ac-captivante’!!!

Il Faraone, travestito da Mosè, da Elia, e da Gesù, ha dato inizio alla ‘campagna’ del Terzo Millennio - avanti Cristo!!! (Federico La Sala)

http://www.ildialogo.org/editoriali/inprincipilogos26012006.htm
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/9/2011 20.46
Titolo:EUCARISTIA O EUCARISTIA .... TUTTO FA BRODO: E' LA STESSA COSA!!!
PER "STATUSECCLESIAE", EUCARISTIA O EUCARISTIA .... TUTTO FA BRODO!!!

RELATIVAMENTE AGLI INCONTRI DI "IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO", VISITARE IL SITO DI "STATUSECCLESIAE.NET"

TEMA (E USO DELLA PAROLA) DELL'ULTIMO INCONTRO*

Tavola rotonda «L’eucaristia oggi: la ricerca di autenticità evangelica»

Eucarestia come realtà ed esperienza di non-dominio, di Enrico Peyretti *


Una ecclesiologia apofatica
Ecclesiologia del non-dominio
Fraternità nel servizio
Eucarestia fermento politico
Le forme dell'assemblea eucaristica
I momenti dell'assemblea eucaristica
Cena escatologica, “ultima”
Eucarestia del popolo sacerdotale
Eucarestia ecumenica, senza padroni, senza esclusioni


Cfr. STATUS ECCLESIAE:

http://www.statusecclesiae.net/it/il-vangelo-che-abbiamo-ricevuto/roma-17-18-settembre-2011/roma-tav...

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Commenti Articolo 1010

Titolo articolo : Lettera aperta del Sito Plein Jour al Papa,a cura di Stefania Salomone

Ultimo aggiornamento: September/24/2011 - 18:59:02.

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Autore Città Giorno Ora
camilla alberti trieste 24/9/2011 18.59
Titolo:ben fatto
una lettera aperta di cui non condivido tutti i passaggi, ma senza dubbio significativa. vorrei però sapere una cosa: che fine ha fatto? c'è il modo di sapere se il Papa la leggerà, se vorrà rispondere, o se preferirà ignorarla?
iniziativa coraggiosa che senza dubbio apprezzo, ma mi dispiacerebbe molto constatare che è stato solo un altro buco nell'acqua...
qualcuno sa rispondermi?

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Titolo articolo : VIAGGIO IN GERMANIA. Benedetto XVI: "Capisco chi si allontana dalla Chiesa", "Nulla da dire contro proteste civili". Una nota - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/22/2011 - 20:30:16.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/9/2011 12.44
Titolo:Il Papa a Berlino: «Sono qui per parlare di Dio»
L'INCONTRO CON IL PRESIDENTE WULFF

Il Papa a Berlino: «Sono qui per parlare di Dio» *


Signor Presidente Federale,

Signore e Signori,

Cari amici,

mi sento molto onorato per l’amabile accoglienza che mi riservate qui al Castello Bellevue. Sono particolarmente grato a Lei, Signor Presidente Wulff, per l’invito a questa Visita ufficiale, che è il mio terzo soggiorno come Papa nella Repubblica Federale di Germania. La ringrazio di cuore per le gentili parole di benvenuto che mi ha rivolto. La mia gratitudine va ugualmente ai rappresentanti del Governo Federale, del Bundestag e del Bundesrat nonché della Città di Berlino per la loro presenza con cui esprimono il loro rispetto per il Papa come Successore dell’Apostolo Pietro. E non da ultimo ringrazio i tre Vescovi ospitanti, l’Arcivescovo Woelki di Berlino, il Vescovo Wanke di Erfurt e l’Arcivescovo Zollitsch di Friburgo, nonché tutti coloro che, a vari livelli ecclesiali e pubblici, hanno collaborato nei preparativi di questo Viaggio nella mia patria, contribuendo in tal modo alla sua buona riuscita.

Pur essendo questo Viaggio una Visita ufficiale che rafforzerà le buone relazioni tra la Repubblica Federale di Germania e la Santa Sede, in primo luogo non sono venuto qui per perseguire determinati obiettivi politici o economici, come fanno giustamente altri uomini di stato, ma per incontrare la gente e parlare di Dio.

Nei confronti della religione vediamo una crescente indifferenza nella società che, nelle sue decisioni, ritiene la questione della verità piuttosto come un ostacolo, e dà invece la priorità alle considerazioni utilitaristiche.

D’altra parte c’è bisogno di una base vincolante per la nostra convivenza, altrimenti ognuno vive solo seguendo il proprio individualismo. La religione è uno di questi fondamenti per una convivenza riuscita. “Come la religione ha bisogno della libertà, così anche la libertà ha bisogno della religione.” Queste parole del grande vescovo e riformatore sociale Wilhelm von Ketteler, di cui si celebra quest’anno il secondo centenario della nascita, sono ancora attuali.

La libertà ha bisogno di un legame originario ad un’istanza superiore. Il fatto che ci sono valori che non sono assolutamente manipolabili, è la vera garanzia della nostra libertà. Chi si sente obbligato al vero e al bene, subito sarà d’accordo con questo: la libertà si sviluppa solo nella responsabilità di fronte a un bene maggiore. Tale bene esiste solamente per tutti insieme; quindi devo interessarmi sempre anche dei miei prossimi. La libertà non può essere vissuta in assenza di relazioni.

Nella convivenza umana non si dà libertà senza solidarietà. Ciò che sto facendo a scapito degli altri, non è libertà, ma azione colpevole che nuoce agli altri e anche a me stesso. Posso realizzarmi veramente quale persona libera solo usando le mie forze anche per il bene degli altri. Questo vale non soltanto per l’ambito privato ma anche per la società. Secondo il principio di sussidiarietà, la società deve dare spazio sufficiente alle strutture più piccole per il loro sviluppo e, allo stesso tempo, deve essere di supporto, in modo che esse, un giorno, possano reggersi anche da sole.

Qui, al Castello Bellevue, che deve il suo nome alla splendida vista sulla riva della Sprea e che è situato non lontano dalla Colonna della Vittoria, dal Bundestag e dalla Porta di Brandeburgo, siamo proprio nel centro di Berlino, la capitale della Repubblica Federale di Germania. Il castello con il suo passato movimentato è – come tanti edifici della città – una testimonianza della storia tedesca. Lo sguardo chiaro anche sulle pagine scure del passato ci permette di imparare da esso e di ricevere impulsi per il presente. La Repubblica Federale di Germania è diventata ciò che è oggi attraverso la forza della libertà plasmata dalla responsabilità davanti a Dio e dell’uno davanti all’altro. Essa ha bisogno di questa dinamica che coinvolge tutti gli ambiti dell’umano per poter continuare a svilupparsi nelle condizioni attuali. Ne ha bisogno in un mondo che necessita di un profondo rinnovamento culturale e della riscoperta di valori fondamentali su cui costruire un futuro migliore (Enciclica Caritas in veritate, 21).

Auspico che gli incontri durante le varie tappe del mio Viaggio – qui a Berlino, a Erfurt, nell’Eichsfeld e a Friburgo – possano dare un piccolo contributo in merito. Che in questi giorni Dio conceda la sua benedizione a noi tutti.

* Avvenire, 22 settembre 2011
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 22/9/2011 20.30
Titolo:Hans Kung: La Chiesa è malata ...
“La Chiesa è malata del sistema romano”

di suc/dpa

in “www.spiegel.de” del 18 settembre 2011
(traduzione: www.finesettimana.org)

In occasione della visita in Germania del papa, secondo il famoso teologo svizzero ottantatreenne Hans Küng, esiste “una enorme discrepanza tra la facciata che viene costruita e la realtà” della Chiesa. “La vita della Chiesa” a livello di comunità è decisamente crollata in molti paesi, ha detto Küng nell’intervista a “Spiegel”.

Ma “la gerarchia ecclesiastica non ha finora trovato il coraggio, di ammettere onestamente e chiaramente quale sia veramente la situazione.” Di fronte all’ “occultamento dello stato di emergenza”, la diagnosi di Küng è “che la Chiesa è malata del sistema romano”. Le immagini dell’evento papale ingannano, a suo avviso, presentando una Chiesa potente.

“Si sa invece che questi eventi non portano quasi niente alle comunità”, avverte l’ex compagno di Joseph Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI. “Non abbiamo quasi più persone che vengono alle celebrazioni, non abbiamo praticamente più candidati al presbiterato, abbiamo non pochi abbandoni.”

Benedeto XVI visiterà la Germania la prossima settimana. La cancelliera Angela Merkel spera che la visita unisca maggiormente cristiani cattolici ed evangelici. L’ecumenismo è un momento centrale nella visita, ha detto sabato nel suo videomessaggio settimanale la signora Merkel, che è anche capo della CDU. Secondo quanto riferito dal Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung, il papa dovrebbe incontrare anche alcune vittime di abusi. A tale incontro dovrebbero partecipare anche persone che si sono prese a cuore il dolore delle vittime, scrive il giornale. Nel frattempo si discute molto sul previsto intervento del papa al Bundestag. Alcuni politici della CDU definivano vergognoso l’annunciato boicottaggio del discorso da parte di deputati dell’opposizione.

Küng critica nell’intervista a “Spiegel” un tale “culto della persona, che è in contrasto con tutto ciò che si legge nel Nuovo Testamento”. “Oggi mi chiedo se non stiamo vivendo in una fase di ’putinizzazione’ della Chiesa cattolica”, dice Küng, perché a suo parere esistono analogie strutturali e politiche tra il presidente russo Vladimir Putin e la politica di restaurazione dei papi in Vaticano dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II, che parlava invece di rinnovamento e di dialogo ecumenico.

“Praticamente, sia Ratzinger che Putin hanno messo i loro vecchi collaboratori in posizioni di guida ed allontanato invece altri meno amati”. E “in questo sistema i delatori tornano a crescere”. Ogni parroco favorevole alle riforme, e anche ogni vescovo, deve temere di essere denunciato a Roma. Secondo Küng, la conseguenza è che sotto il papa tedesco alle leve del potere ha potuto mettersi una cricca di “yes-men” prevalentemente italiana, che non ha alcuna considerazione per le esigenze di riforma.

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Commenti Articolo 1012

Titolo articolo : Dobbiamo fermarli,

Ultimo aggiornamento: September/22/2011 - 12:28:09.

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Autore Città Giorno Ora
Maurizio Piano CREAZZO (VI) 22/9/2011 12.28
Titolo:Il Re è nudo
Qualcosa si muove,il Re è nudo,speriamo che per il Signoraggio sia la fine.Tutto dipende da noi,più sappiamo cosa realmente sta succedendo nel mondo e più scopriremo che il messaggio CRISTIANO diventa la luce per il nostro futuro.Riscoprirlo individualmente diventa una forza interiore che potrà aiutarci in questi momenti dove la forza del Materialismo ci fà comprendere che così non c'è Futuro e Vita per noi Esseri Umani.
Non bisogna arrabbiarsi con il mondo che ci circonda,ma con noi stessi che non abbiamo compreso il messaggio del CRISTO,la comprensione oggi diventa la RIVOLUZIONE da attuare perchè le cose possano veramente cambiare,non è facile,però possiamo farcela,bisogna assolutamente provaci per non lasciare questo meraviglioso mondo in mano a persone di poca FEDE.
Maurizio Piano.

"22 Poi disse ai suoi discepoli: «Perciò vi dico: non siate in ansia per la vita vostra, di quel che mangerete, né per il corpo, di che vi vestirete; 23 poiché la vita è più del nutrimento e il corpo più del vestito. 24 Osservate i corvi: non seminano, non mietono; non hanno dispensa né granaio, eppure Dio li nutre. E voi, quanto più degli uccelli valete! 25 E chi di voi può con la sua preoccupazione aggiungere un'ora sola alla durata della sua vita? 26 Se dunque non potete fare nemmeno ciò che è minimo, perché vi affannate per il resto? 27 Guardate i gigli, come crescono; non faticano e non filano; eppure io vi dico che Salomone stesso, con tutta la sua gloria, non fu mai vestito come uno di loro. 28 Ora se Dio riveste così l'erba che oggi è nel campo e domani è gettata nel forno, quanto più vestirà voi, gente di poca fede! 29 Anche voi non state a cercare che cosa mangerete e che cosa berrete, e non state in ansia! 30 Perché è la gente del mondo che ricerca tutte queste cose; ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno. 31 Cercate piuttosto il suo regno, e queste cose vi saranno date in più.
32 Non temere, piccolo gregge; perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il regno.
33 Vendete i vostri beni, e dateli in elemosina; fatevi delle borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nel cielo, dove ladro non si avvicina e tignola non rode. 34 Perché dov'è il vostro tesoro, lì sarà anche il vostro cuore."
Luca 12:22-34

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Commenti Articolo 1013

Titolo articolo : I sette giorni che cambiarono la finanza,di C. Clericetti

Ultimo aggiornamento: September/21/2011 - 12:16:31.

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Autore Città Giorno Ora
Maurizio Piano CREAZZO (VI) 21/9/2011 12.16
Titolo:
"Ciò che mediante il denaro è a mia disposizione,ciò che io posso pagare,ciò che il denaro può comprare,quello sono io stesso.Ciò che io sono e posso non è quindi affatto determinato dalla mia individualità.Io sono brutto,ma posso comprarmi la più bella tra le donne.E quindi io non sono brutto,perchè l'effetto della bruttezza,la sua forza repulsiva è annullata dal denaro.Io sono un uomo malvagio,disonesto,senza scrupoli,stupido,ma il denaro è onorato,e quindi anche il suo possessore.Io sono uno stupido,ma il denaro è la vera intelligenza di tutte le cose;e allora come potrebbe essere stupido chi lo possiede?Inoltre costui potrà sempre comprarsi le persone intelligenti,e chi ha potere sulle persone intelligenti non è più intelligente delle persone intelligenti?Io che con il denaro ho la facoltà di procurarmi tutto quello a cui il cuore umano aspira,non possiedo forse tutte le umane facoltà?Forse che il mio denaro non trasforma tutte le mie deficienze nel loro contrario?"
(K.Marx "Manoscritti economici-filosofici del 1844")
Così scriveva Marx quando i ricchi erano pochi e la maggioranza delle persone viveva per sopravvivere.Cos'è cambiato da allora?Chi aveva il potere l'ha mantenuto,nonostante siano morte milioni di persone con la speranza di liberarsi da oppressioni di uomini su altri uomini.Non è possibile che l'economia governi gli Stati.L'articolo racconta una storia che non potrà mai accadere.Sarebbe bello che si potesse scrivere:"L'Uomo ha preso in mano il suo destino,gli Stati si sono liberati dall'incubo del debito pubblico e possono finalmente risolvere tutti i problemi che i cittadini hanno,dagli ultimi ai primi.Il Signoraggio è stato smascherato,adesso si può evolvere come Esseri Umani."
"Così gli ultimi saranno primi e i primi ultimi"
Matteo 20:16
Maurizio Piano.

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Commenti Articolo 1014

Titolo articolo : LA GRATITUDINE (CHE NON C'E') E LA VIOLENZA ASTUTA (CHE C'E'). Una sollecitazione a pensare (non dal Festival di Filosofia ma) dal mondo di Esopo e di Fedro,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/20/2011 - 08:56:20.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 20/9/2011 08.56
Titolo:Zygmunt Bauman: Il progresso è finito al futuro serve l’eco-scienza
Il progresso è finito al futuro serve l’eco-scienza

Per la mentalità moderna tutto ciò che sta nel mondo è lungi dall’essere perfetto. Niente è tanto buono da non poter ricevere correzioni

La presunta serie infinita di battaglie vinte contro la Natura ci ha portati davanti alla prospettiva di perdere la guerra. È il punto di non ritorno

di Zygmunt Bauman (la Repubblica, 17.09.2011)

L’idea di poter migliorare il mondo ha radici antichissime. E si basa sulla convinzione che l’uomo possa "correggere" la Natura piegandola alle sue necessità. Ma quello che fino a poco tempo fa era un grande modello di sviluppo rischia adesso, per i suoi eccessi, di danneggiare la vita sul pianeta. Ecco perché è arrivato il momento di usare il potere della tecnica per altri obiettivi, più sostenibili. Una sorta di eco-scienza per tutti

Il concetto di "Natura" è entrato nel nostro vocabolario con un’aura di santità: indicava la Creazione divina e, come tutto ciò che è divino, evocava l’esperienza del «numinoso», ossia quel peculiare intreccio di terrore, paura e adorazione che, come nella celebre proposta di Rudolf Otto, costituì l’avvio dell’idea di Dio e tutt’ora ne rimane la vera essenza. Per questa ragione la "Natura" significava anche un qualcosa che torreggia al di sopra della comprensione e del potere d’agire degli uomini, e con cui pertanto essi non potevano trafficare: la Natura, proprio come il Dio che l’aveva concepita e fatta venire all’essere, doveva essere riverita e adorata. La semplice idea di interferire o di immischiarsi con la Natura era ritenuta al contempo inane, implausibile e sacrilega. In verità, come ha mostrato il grande filosofo russo Mikhail Bakhtin, le elevate catene montuose e gli sconfinati mari hanno indotto fin da tempi immemorabili un «timore cosmico» che nella prospettiva di Bakhtin costituiva l’origine di ogni fede religiosa.

L’idea di ri-produrre la Natura allo scopo di costringerla a servire meglio le comodità degli uomini (idea audace, insolente, presuntuosa e per molti blasfema) è nata assieme alla modernità. La svolta moderna nella storia umana è stata equivalente, nella sua essenza, a un progetto di ricambio manageriale, ossia l’intenzione di assumere la Natura, creata da Dio benché lasciata dopo la Creazione alle sue proprie vicende, sotto la gestione degli uomini, per assoggettarne l’attività al controllo, alla progettazione e alla programmazione da parte degli uomini.

Come ha sinteticamente affermato Francesco Bacone, uno degli araldi di maggiore spicco dello spirito moderno, per comandare alla Natura occorre obbedirle. Il presupposto implicito che rendeva questa ingiunzione tanto convincente quanto attraente era che, una volta che gli uomini di sapere, ossia i praticanti della scienza emergente, avessero stilato un inventario delle ferree regole che guidavano i processi naturali, gli uomini avrebbero imparato a volgere tali regole a proprio vantaggio: cioè a ottenere, in modo regolare e invariabile, effetti positivi per il loro benessere, impedendo e prevenendo quelli dannosi e indesiderabili. Gli uomini comanderanno alla Natura obbedendo alle sue leggi: era questo in realtà ciò che voleva dire Bacone. Voltaire portò l’ingiunzione baconiana alla sua conclusione logica dichiarando che il segreto delle arti è di correggere la Natura.

Per la mentalità moderna tutto ciò che sta nel mondo è lungi dall’essere perfetto e quindi può essere reso migliore. Niente è tanto buono da non poter beneficiare di un’ulteriore correzione: cosa ancor più importante, tutto agogna a venire corretto.

Del resto non esiste niente che, in linea di principio, gli uomini non possano correggere, prima o poi, se si armano della conoscenza appropriata, degli strumenti giusti e di sufficiente determinazione. Alla fine del Settecento a questo incessante sforzo di correzione è stato dato il nome di "cultura". Esso rivendicava in questo modo come proprio archetipo le antichissime pratiche dei coltivatori e degli allevatori, sebbene esse potessero apparire limitate nelle loro ambizioni, quando le si accostava alla grandiosità mozzafiato del progetto moderno. "Natura" (cioè la condizione che non è frutto di scelta umana) e "cultura" (cioè tutto ciò che gli esseri umani erano capaci di fare per adeguarsi meglio ai propri bisogni e desideri) erano l’una contrapposta all’altra. Tuttavia la loro linea di separazione veniva considerata eminentemente flessibile e soggetta a spostarsi: si riteneva infatti che il progresso della scienza e del know-how umano fosse destinato ad ampliare il dominio della cultura, riducendo al contempo con regolarità il volume delle cose e degli eventi che opponevano resistenza all’intelligenza, all’astuzia e all’inventiva degli uomini.

Oggi, diversi secoli dopo, i tempi sono maturi per arrischiare quanto meno una valutazione provvisoria, un "bilancio di carriera" di quest’ambizione moderna di dominio della Natura. Le sensazioni che un tale bilancio susciterà saranno a dir poco contraddittorie. Da una parte è lusinghiero per l’intelligenza, l’acume e la laboriosità degli uomini, dato che la nostra capacità di sfruttare le ricchezze della Natura e volgerle a nostro vantaggio (si legga: di utilizzarle per aumentare la nostra opulenza e comodità) è cresciuta enormemente, superando di gran lunga i sogni di Bacone. Dall’altra, tuttavia, siamo ormai giunti pericolosamente vicini alla linea d’arrivo dei progressi sostenibili e plausibili. Quanto più ci avviciniamo a tale linea, tanto più diveniamo consapevoli della sua differenza radicale rispetto allo "stato ultimo" di perfezione che Bacone e Voltaire avevano immaginato. La presunta serie infinita di battaglie vinte contro la resistenza della Natura ci ha portati davanti alla prospettiva (alcuni dicono: l’imminenza) di perdere la guerra. Anzi forse, intossicati per aver vinto questa lunga striscia di battaglie, abbiamo già raggiunto il punto di non ritorno, che in questo caso significa che la sconfitta definitiva è ormai divenuta una conclusione inevitabile e irrevocabile. [...]

Più o meno una dozzina di anni fa due chimici di spicco dell’atmosfera, Paul Crutzen e Eugene Stoermer, si sono resi conto che l’epoca geologica nella quale si presumeva che vivessimo, quella nota con il nome di "Olocene", era in ogni caso passata e che siamo entrati viceversa in un’epoca diversa della storia, nella quale le condizioni planetarie sono plasmate dalle attività di origine culturale della specie umana più che da qualsiasi forza naturale (per esempio, in fattorie e altri luoghi selezionati da esseri umani si piantano molti più alberi di quanti crescano nelle "foreste naturali". Negli ultimi due secoli gli uomini hanno "sciolto" e rilasciato nell’atmosfera un volume di carbon fossile che la Natura aveva impiegato centinaia di milioni di anni per legare e ammassare). Crutzen e Stoermer hanno suggerito che questa nuova epoca meriti il nome di «Antropocene», ossia «la recente epoca dell’uomo». Ci sono voluti alcuni anni perché il resto dell’establishment scientifico prestasse dapprima riluttante attenzione, e in seguito ammettesse con crescente adesione la verità dell’intuizione di Crutzen-Stoermer...

«Attribuire una data precisa all’inizio dell’Antropocene», dicono Crutzen e Stoermer, «pare assai arbitrario, tuttavia proponiamo l’ultima parte del diciottesimo secolo (...). Scegliamo questa data perché, nel corso degli ultimi due secoli, gli effetti globali delle attività umane sono divenuti chiaramente notevoli. Questo è il periodo nel quale i dati recuperati dai nuclei dei ghiacciai mostrano l’inizio di una crescita nella concentrazione atmosferica di diversi "gas serra" (...). Una tale data d’inizio coincide anche con l’invenzione del motore a scoppio da parte di James Watt, nel 1784...».

Il messaggio trasmesso dagli studi di Crutzen e dei suoi collaboratori e seguaci dice che è molto tardi, ma non ancora troppo tardi, per cambiare la direzione di tendenza dell’Antropocene e del culturale-che-si-fa-naturale. La distruzione del pianeta non è (quanto meno finora) assolutamente una conclusione inevitabile. I nostri nuovi saperi e il nostro impressionante potere tecnico possono ancora venire reimpiegati per rendere il pianeta meno, non più, vulnerabile, e per innalzare, invece che per diminuire, la qualità della vita. Quel messaggio va inteso come un segnale d’allarme e una chiamata alle armi. Il punto è, tuttavia, che non si deve oltrepassare il punto in cui la chiamata alle armi si trasforma in una campana a morto...Come suggerisce il termine stesso "Antropocene", l’agire umano è divenuto una forza critica nel determinare il destino di un sempre più ampio spettro di sistemi biofisici. Una conseguenza di questo spartiacque è che qualsiasi tentativo di spiegare la condotta o di prevenire il futuro delle condizioni di vita sul pianeta deve partire rivolgendosi all’agire umano culturalmente connotato. Come sempre, quanto più grande è la vittoria (in questo caso, della cultura sulla natura), tanto più grandi sono le responsabilità che ne conseguono.

Il nostro futuro è ancora in bilico, così come le opzioni aperte a tutti noi che lo abbiamo a cuore. La giuria, come si suol dire, è ancora riunita. Ma ormai è ora di rientrare con il verdetto. Quanto più a lungo la giuria resta riunita, tanto più grande sarà la probabilità che sia costretta a scappare dalla camera di consiglio perché sono finite le bibite fresche...

Traduzione di Daniele Francesconi

© Consorzio per il festivalfilosofia

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Commenti Articolo 1015

Titolo articolo : IL VATICANO GRIDA "FORZA ITALIA" E BENEDICE IL GOVERNO IN NOME DELLA BENEDETTINA "CARITAS". Una nota di Marco Politi - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: September/17/2011 - 12:47:05.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/9/2011 12.47
Titolo:COSTITUZIONE E PROSTITUZIONE
Costituzione e prostituzione

di Antonio Padellaro (il Fatto, 17.09.2011)

A chi ancora domanda (gli sbalorditi giornalisti stranieri e tanti comuni cittadini) come sia possibile che un tipo accusato di essere un puttaniere patentato e ricattato resti inamovibile e protervo a Palazzo Chigi, e cosa si possa fare per lavare questa vergogna nazionale non si può che rispondere: troppo tardi, bisognava pensarci prima.

Chi è infatti il personaggio che, parlando di ragazze come se fossero agnelli da scuoiare, dice a Gianpi “chi mi porti stasera?” e che versa centinaia di migliaia di euro a Tarantini e ai suoi degni compari perché tengano la bocca chiusa? È lo stesso che più di tre lustri fa ribaltò, grazie a una montagna di quattrini, il già poco virtuoso tavolo della politica italiana e che ora, disponendo di un patrimonio di quasi 6 miliardi di euro, si è comprato un governo, una maggioranza e tutte le leggi di cui ha bisogno. E dunque può fare solo rabbia il fatto che ora, nell’opposizione guidata dal Pd, si levino alti i lamenti sul “Berlusconi che ci porta alla rovina” quando per ben due volte (1996 e 2006) la sinistra di lotta e di governo si guardò bene dal varare una seria norma sul conflitto d’interessi per impedire che un miliardario senza scrupoli facesse banco, come poi ha fatto.

E che dire della grande stampa d’informazione? Siamo convinti che il galantuomo Ferruccio de Bortoli prima o poi darà voce sulla prima pagina del Corriere della Sera allo sdegno della grande borghesia produttiva, che quel grande giornale rappresenta, per lo spettacolo vergognoso di un premier che vuole trasformare la Costituzione in prostituzione.

Mentre i giornali di Arcore si coprono di ridicolo sostenendo che il padrone non paga le ragazze, ma fa beneficenza (non sposarono festosamente anche la balla suprema di Ruby nipote di Mubarak?), ciò che resta della libera informazione, con poche eccezioni, si limita a commentare il “troiaio” con timide giaculatorie che lasciano il tempo che trovano. Del resto i loro editori, palazzinari, banchieri o industriali dell’auto, hanno un maledetto bisogno del governo di Papi e si adeguano.

Una prece infine sui silenzi vaticani. Sì, quelle purpuree gerarchie che insorgono appena si osi parlare di coppie di fatto, tacciono imperturbabili di fronte allo scempio morale: decine di giovani donne vendute e comprate per il sollazzo di un vecchio. Il quale sa di non temere nulla, finché i mercanti continueranno a bivaccare nel tempio in cambio di un’esenzione Ici.

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Commenti Articolo 1016

Titolo articolo : Un no deciso alla guerra un si deciso ed incondizionato alla pace,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: September/12/2011 - 17:24:43.

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Autore Città Giorno Ora
Antonio Di Ninno Laecdonia 12/9/2011 17.24
Titolo:
sono pienamente d'accordo con te!
questi americani si stanno comportando come in America che hanno distrutto il popolo indiano.
Io dico che gesu era comunista e i preti non mi vedere per questo fatta eccezzione di Don Vitaliano con cui dialogo volentieri.
Perche lui è un pacifista convinto?

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Commenti Articolo 1017

Titolo articolo : La lunga e solitaria crociata di un uomo contro l'opposizione vaticana al clero uxorato,di DAVID RICE

Ultimo aggiornamento: September/11/2011 - 08:45:57.

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Autore Città Giorno Ora
Annamaria Prandina Novara 06/9/2011 19.31
Titolo:IL MATRIMONIO E' LA TOMBA DELL'AMORE, E' L'ORRIDO, LO SCHIFO
Il matrimonio è la tomba di ogni sentimento, il non luogo per l'amore e per tutto quanto è tenerezza e gioia. Il matrimonio è lo schifo dei rapporti umani, è l'orrido, il matrimonio non va usato neppure come concime, è la base per imparare e portare avanti l'odio quotidiano e prolungato nei confronti del prossimo. La chiesa lo sa bene, e dunque vieta ai suoi funzionari di sposarsi. Non vieta affatto loro di amare a qualsiasi livello. Tutti i preti (spero) hanno una donna o più di una, rapporti liberi, gioiosi, rapporti UMANI.
Voi che potete Non Sposarvi non reclamate, apprezzate la fortuna in cui vivete.
ciao
anna
Autore Città Giorno Ora
Domenico Peruzzi Desenzano del Garda 07/9/2011 16.54
Titolo:
Anna si esprime in forma apodittica e con un linguaggio che può infastidire, sono peraltro d'accordo sulla sostanza del suo pensiero: il matrimonio remedium concupiscentiae è un inganno esistenziale nel senso che rovina l'esistenza.
Non so proprio immaginare quale potrebbe essere la soluzione per i preti e ho dubbi anche sul fatto che la dottrina del matrimonio indissolubile per i laici sia la più adatta nell'attuale momento storico.
Ma quando, e come, e perché è stata sacramentalizzata l'unione tra uomo e donna?
Forse ci si potrebbe chiarire le idee rispondendo a questi tre interrogativi.
Autore Città Giorno Ora
Domenico Peruzzi Desenzano del Garda 11/9/2011 08.45
Titolo:
Che delusione! Nessun nuovo intervento! Eppure, ogni qualvolta l'argomento entra nella discussione in un gruppo di persone, si ascoltano appassionati interventi in favore o contro: al momento di mettere poche parole per iscritto passa la passione o giunge il timore . . . di impegnarsi in un'opinione?

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Commenti Articolo 1018

Titolo articolo : Coscienza e obbedienza, nuovo libro del teologo Vito Mancuso,

Ultimo aggiornamento: September/09/2011 - 17:14:45.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/9/2011 17.14
Titolo:NATHAN IL SAGGIO: CHE ILLUSIONE AFFIDARSI ALLA CHIESA ’CATTOLICA’!!!
VITO MANCUSO, DA CATTOLICO, CREDE ANCORA CHE IL DIO (CHE SALVA) DELL’ ALLEANZA CHIESE AD ABRAMO DI SACRIFICARE ISACCO (...E A GIUSEPPE DI SACRIFICARE GESU’!) E CERCA DI PRENDERNE LE DISTANZE.

PER UNA BUONA TEOLOGIA OCCORRE LA LIBERTA’ DEL CRISTIANO E L’USO DELLA SUA PROPRIA FACOLTA’ DI GIUDIZIO.

Federico La Sala

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Commenti Articolo 1019

Titolo articolo : Alcuni pensieri da condividere,di Filippo Cecala

Ultimo aggiornamento: September/06/2011 - 16:09:05.

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Autore Città Giorno Ora
Ernesto Miragoli Como 06/9/2011 16.09
Titolo:Siamo lebbrosi
Ciao, Filippo.
Ho letto con molta attenzione il tuo messaggio e scrivere che concordo in pieno è quasi ovvio.
Le stesse cose che tu scrivi molti di noi le ripetono da anni (mia moglie ed io da 25 anni). Per i nostri gerarchi siamo la lebbra della chiesa militante. Essi sanno curare tante malattie perchè esiste la pastorale per i divorziati risposati, per le prostitute, per i tossicodipedenti, per altri casi che la società e la chiesa perbenista considera anomali...per i preti che lasciano il ministero per sposarsi, no. Essi e le loro mogli sono ignorati. Ti dirò che, comunque, i gerarchi stanno facendo progressi perchè almeno non ostacolano chi trova un lavoro e vive nella zona dove ha esercitato il ministero.
Non rammaricarti!
Siamo segno profetico di un futuro ecclesiale. Siamo il seme che cade nella terra e che deve morire per dare un nuovo frutto.
Lo Spirito...lui sa come e quando lavorare.

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Commenti Articolo 1020

Titolo articolo : SE TI ASCOLTERA’ AVRAI GUADAGNATO IL TUO FRATELLO,

Ultimo aggiornamento: September/04/2011 - 10:47:24.

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Autore Città Giorno Ora
luigi bassan Torino 04/9/2011 10.47
Titolo:Istitituzione della confessione Matteo 18,15-20
“«E tutto quello che scioglierete in terra sarà sciolto in cielo»”. Si tratta del perdono, Il perdono di Dio diventa operativo ed efficace quando si traduce in perdono verso gli altri. Quindi chi non perdona lega il perdono di Dio, mentre chi perdona lo scioglie.

Commento: allora non è vero che qui viene sancita la nascita della Confessione, poi definita Scaramento.
Viene sancito il "perdono ricevuto" in funzione del "perdono dato".
Quindi la Confessione è stata prescritta dai preti e non da Gesù,
che fino all' ultimo momento della sua vita , ha perdonato.
Pertanto la Confessione :
A) può ritenersi un mezzo di dialogo con il prete
B) Che si può usare , ma "potere" non è dovere.
C) Il dialogo personale con Dio è quello che conta.

Grazie per una sua risposta
Saluti
Luigi Bassan

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Commenti Articolo 1021

Titolo articolo : La fine di un'epoca è alle porte,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: September/01/2011 - 18:53:27.

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Giovanni Sarubbi Monteforte Irpino 26/8/2011 17.39
Titolo:
Ho ricevuto la seguente email da Daniela Tuscano e la condivido:

Ciao. Mi è molto piaciuto l'editoriale "La fine di un'epoca è alle porte", anch'io avevo espresso gli stessi concetti qui http://www.mentecritica.net/ ... (il titolo da me scelto era "Umano, solo umano" ma me l'hanno cambiato, pazienza). Poiché temo non vi arrivi il link diretto ho scelto la email. A proposito, come si fa a copiare il link del vostro editoriale? Non è più possibile e non vorrei ricorrere al copia-incolla. Grazie.
Autore Città Giorno Ora
Gianni Mula Cagliari 01/9/2011 18.53
Titolo:Un'analisi impietosa ma vera
Caro Giovanni,
questo tuo editoriale è straordinariamente ben centrato, tempestivo ed efficace. Ci sono altri segni che ci stiamo avvicinando, se già non ci siamo dentro, a una transizione drammatica, di cui non siamo in grado di prevedere gli esiti. Penso che dovremmo cercare e trovare la maniera di svegliare l'opinione pubblica con prese di posizione di questa qualità. Un elemento da diffondere in questa direzione mi pare questa riflessione di Ilvo Diamanti su Repubblica (http://www.repubblica.it/rubriche/bussole/2011/09/01/news/non_studiate_-21096938/?ref=HREA-1).

Gianni Mula

PS Non ho aspettato a vedere la nota di Diamanti per commentare il tuo articolo. È che, colpevolmente anche se ho scuse di lavoro, non guardo il sito da una settimana e l'ho scoperto solo adesso (e solo perché me lo ha segnalato Carlamaria!)

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Commenti Articolo 1022

Titolo articolo : Manca una vera laicità,di Paolo Rabassini

Ultimo aggiornamento: September/01/2011 - 08:17:16.

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Carlo Castellini Brescia 01/9/2011 08.17
Titolo:SONO D'ACCORDO SOLO IN PARTE
caro PAOLO sono d'accordo solo in parte su quello che dici a proposito della laicita'. Andiamo per gradi: esiste una grossa parte del laicato cattolico, che non ha coscienza dei propri diritti e dei propri doveri. E' da sempre sottomesso alle gerarchie, osserva le regole essenziali per avere la coscienza a posto e sta bene così. Ma esiste anche un'altra fetta che è più cosciente dei propri diritti e dei propri doveri, è abbastanza autonoma rispetto alle scelte della gerarchia, e soprattutto in fatto di diritti umani e di scelte politiche agisce in conformità e in autonomia di scelta e di coscienza. Il discoprso della non violenza ci porta molto lontano. Per me credente la croce del Cristo ed il suo comportamento sono la massima espressione della non violenza. Gandhi ha letto i VNageli, i libri sacri dell'India e il Corano, ammirava Cristo come grande uomo ma non voleva diventare cristiano e soprattutto non amava la cultura dell'Occidente, perchè incoerente e affetta da complesso di superiorità, che lui più volte ha umiliato. In una chiesa di questo tipo autoritaria, dommatica e accentratrice la laicità si vede ancora troppo poco. Infine non mi sembra che padre ALEx parli solo ai cattolici. Con amicizia, Carlo Castellini da Brescia.

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Commenti Articolo 1023

Titolo articolo : SE QUALCUNO VUOLE VENIRE DIETRO A ME, RINNEGHI SE STESSO,

Ultimo aggiornamento: August/29/2011 - 14:51:58.

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Paola Alforno Carignano (TO) 29/8/2011 14.51
Titolo:GRAZIE PADRE!!
Finalmente si può leggere un commento al Vangelo VIVO quello che ormai è stato "sminato" dal suo accento dirompente! Sono sinceramente stanca delle omelie che purtroppo sento in Chiesa (vuote di contenuti) o in TV (spesso stucchevoli)!! GESU' e il Vangelo la stessa Bibbia vengono svuotati del loro significato più sacro; di quanto può mettere in discussione i comportamenti personali, politici, sociali!! Si ha paura di GESU': nei commenti di molti preti GESU' sembra quansi essere assente della sua valenza "cristiana". Si cerca un Gesù come che vada bene per tutti gli usi e che si adatti ad ogni contesto. GRAZIE Padre perchè in questo sito ho letto un commento verace e formativo.

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Commenti Articolo 1024

Titolo articolo : Chiediamo al Parlamento europeo di cacciare via Borghezio,

Ultimo aggiornamento: August/25/2011 - 19:37:40.

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giuseppe frau vigevano 25/8/2011 19.37
Titolo:
condivido la mozzione

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Commenti Articolo 1025

Titolo articolo : Le Compagne del Profeta (pbsl): esempi per il nostro presente, guide per il nostro futuro,Di Khawtar Lucia Rallo

Ultimo aggiornamento: August/25/2011 - 18:10:31.

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carlo camillo ponte della priula 25/8/2011 18.10
Titolo:complimenti
non conosco l'arabo, e non moltissimo gli insegnamenti dell'islam.
Però sono contento di trovare discorsi come questo!!!

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Commenti Articolo 1026

Titolo articolo : ULTIME MENZOGNE E OMISSIONI DEI MEDIA E VERITA’ DI TESTIMONI RAGGIUNTI AL TELEFONO,di Marinella Correggia

Ultimo aggiornamento: August/23/2011 - 17:01:21.

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Carlo Castellini Brescia 23/8/2011 17.01
Titolo:l'informazione attraverso i testimoni
Condivido e mi complimento con questo modo di informare di MARINELLA CORREGGIA, perchè costringe il giornalista ad uscire dai luoghi comuni e dalle notizie velina, e mette il lettore nelle condizioni di ricevere notizie fresche, che non hanno bisogno di essere purificate da altri filtri. Nel mio piccolo l'ho fatto anch'io e lo pratico ancora. Però ci vuole coraggio e forte desiderio di andare contro corrente come ha fatto MARINELLA. GRAZIE AMICI, DA CARLO cASTELLINI.

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Commenti Articolo 1027

Titolo articolo : Prudenza…ecclesiale?,di Don Romeo Vio

Ultimo aggiornamento: August/16/2011 - 05:52:08.

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Giuseppe Mancini Pisa 16/8/2011 05.52
Titolo:commento alla lettera di don Vio Romeo
sono uno dei pochi/tanti a cui è pervenuta la mail che don Vio Romeo ha inviato alla vostra redazione sabato 13 agosto c.a.
sono un diacono da pochi giorni tornato dal XXIII convegno nazionale dei diaconi permanenti che si è tenuto a Rimini dal 3 al 6 c.m.. questo fatto potrebbe trarre in inganno a proposito della mia determinazione ad inviarvi un mio commento. sono partito consapevole di essere un "pollo" e sono tornato dopo quattro giorni di convegno senza l'illusione di essere diventato un"aquila!
il mio rapporto con Montefortre Irpino (AV) è antico in quanto, a partire dalla second metà degli anni Settanta, inviavo nel carcere della vostra città le lettere che indirizzavo ad un ergastolano che da adolescente era stato mio dipendente. don Vio Romeo è stato fino ad un anno fa il delegato dell'Arcivescovo per il diaconato permanento della mia diocesi. don Agostino lo conosco più per fama che per rapporto personale, ma questa basta a farne un mito possibilmente da imitare.
durante la mia esperienza pastorale in una piccola parrocchia della Colline Pisane (fine anni '90 inizio anni '00) ebbi il cattivo gusto di far abitare nella casa canonica (disabitata cinque giorni e mezzo su sette) un giovane albanese senza lavoro né permesso di soggiorno. ovviamente il primo pensiero fu quello di avvisare il Maresciallo dei CC e il Sindaco perchè il mio gratuito aiuto non potesse essermi imputato ad azione illegale. col domicilio Leonardo trovò anche il lavoro e col domicilio e il lavoro ottenne l'auspicato permesso di soggiorno. una volta consolidato il suo ruolo sociale, dopo oltre un anno potè prendere in locazione un appartamentino e chiedere il ricongiungimento familiare con la madre vedova e le due sorelle una delle quali ha potuto frequentare l'università di Pisa. purtroppo per me, se avevo avuto naso nel mettere al corrente della situazione il Maresciallo e il Sindaco, non ero stato altrettantop sollecito con gli ammbienti curiali, per cui una volta scoperta la mia negligenza, fuyi aspramente redarguito.
attualmente abito nella casa canonica di un'latra parrocchia ed ho a disposizione una camera per gli ospiti con quattro posti letto. devo confessarvi che questo fatto mi crea non pochi complessi di colpa, soprattutto quando attraverso i Madia mi rendo conto della precarietà della situazione contingente.
so benissimo che né i preti né i diaconi né i vescovi devono sostituirsi agli/alle Assisitenti sociali del territorio di competenza, ed anche un fatto incontrovertibile che prendere in casa dei senza tetto sconosciuti è un oggettivo problema di non facile soluzione. Mi domando però come posso addormentarmi ogni sera tranquillamente in quanto crsitiano e soprattutto senza rivolgermi la domanda: "che cosa farebbe Gesù al posto mio? che cosa risponderò alle domande sulle opere di misericordia corporali a cui fa riferimento il vangelo di Matteo?"
se la vocazione dei diaconi permanenti è quella di stare sulla "soglia" della chiesa con un piede nel sacro ed uno nel pro fanum dove testimoniare la Caris di Cristo, non è che per voler diventare un sempre migliore sacrestano e chierichetto mi sto clericalizzando al punto di chiudere gli occhi sui problemi del mondo per vivere h 24 in sacrestia? che senso ha un ministero sganciato dalla prassi e dalla testimonianza. se ogni giorno facessi la Comunione sacramentale con Gesù eucaristico solo per me stesso e non per essere da Lui aiutato a creare Comunione coi fratelli che mi fa incontrare ogni giorno, avrei perso tempo!
cinquant'anni fa i preti dovevano fare regolare concorso per essere nominati parroci anche di modeste parrocchie di campagna/montagna e in alcuni casi gli mandavano anche il cappellano (vica parroco) perchè i seminari erano pieni di aspiranti all'ordine sacro. Giovanni XXIII credo sia stato il primo papa a parlare dei segni dei tempi. io credo che lo Spirito di Dio si serva di tutto per portare avanti l'annuncio della Buona Notizia. oggi un prete può esser parroco di due, tre, quattro, cinque ed oltre parrocchie contemporaneamente e siccome non può risiedere che in una sola parrocchia, di conseguenza ci sono di fatto una, due, tre, quattro canoniche vuote che potrebbero ospitare sfrattati, fidanzati precari che vogliono metter su famiglia, immigrati senza tetto, rom. forse anche questo potrebbe essere funzionale alla missione della Chiesa universale che dimostrerebbe coi fatti che veramente Dio si è fatto prossimo del suo popolo. d.p. Giuseppe

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Commenti Articolo 1028

Titolo articolo : Auguri ai Musulmani per l'inizio del Ramadan 1432,di Comitato Organizzatore

Ultimo aggiornamento: July/31/2011 - 19:23:38.

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Autore Città Giorno Ora
Franca Maria Bagnoli Pescara 29/7/2011 10.30
Titolo:Mi associo
Mi associo all' augurio ai fratelli e sorelle musulmani di un buon inizio del Ramadan. In dialogo sempre.
Autore Città Giorno Ora
Mario Affuso PRATO 31/7/2011 19.23
Titolo:Sottoscrivo il messaggio augurale
In nome e per conto della Chiesa Apostolica Italiana di Firenze/Prato sottoscrivo il messaggio augurale in occasione del Ramadan 1432. E' questa occasione opportuna per comunicare che la Chiesa Apostolica Italiana di Firenze/Prato sta organizzando, unitamente con i fratelli della Comunità Musulmana, un incontro di dialogo e di amicizia che si avrà a Firenze il giorno 24 settembre dalle 17,00 alle 19,00. Invieremo il testo dell'invito. Mario Affuso

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Commenti Articolo 1029

Titolo articolo : Scusateci fratelli e sorelle musulmani,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: July/26/2011 - 19:31:09.

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Autore Città Giorno Ora
Franca Maria Bagnoli Pescara 23/7/2011 18.36
Titolo:Grazie
Un grazie di cuore a Giovanni Sarubbi.
Autore Città Giorno Ora
Arrigo Chieregatti Bologna 23/7/2011 20.45
Titolo:Un grazie a Giovanni Sarubbi
Grazie che qualcuno si muove: credo che pochi giornali faranno correzioni sul "fanatismo islamico". Purtroppo il messaggio è passato e sarnno pochi quelli che potranno leggere la smentita.
Questa è la vergogna della nostra informazione. Spero che verranno smentiti e svergognati primo o poi. Comunque credo che gli stranieri sono più sinceri dei responsabili della nostra informazione inquinata di pregiudizi. Gli stranieri stanno soffrendo queste offese con la serenità di gente che non ha nulla da difendere. Le persone che non hanno poco o nulla da difendere sono le persone a cui dare fiducia.
Ma questi giornalsti cosa debbono difendere? Forse solo i loro pacchiani pregiudizi.
Autore Città Giorno Ora
Berlanda Elena Bergamo 23/7/2011 20.53
Titolo:Grazie di cuore a Giovanni Sarubbi. Penso che sarebbe opportuno inviare queste r...
Autore Città Giorno Ora
giuseppina barbato senigallia 23/7/2011 22.45
Titolo:anch'io chiedo scusa
Cara Redazione de 'Il dialogo' il vostro editoriale mi ha lasciata perplessa ma al tempo stesso anche edificata sapendo che nel panorama multiforme dell'editoria giornalistica, c'è ancora qualcuno che crede in e fa informazione, non solo alternativa, ma per quanto possibile obiettiva e realistica. grazie
Autore Città Giorno Ora
daniela tuscano bresso 24/7/2011 07.27
Titolo:nemo propheta...
Beh, senza falsa modestia fui buona profetessa nel 2006, forse mi pubblicaste anche voi quando scrissi "Fondamentalisti: gli atei d'oggi" http://danielatuscano.wordpress.com/2006/10/03/fondamentalisti-gli-atei-doggi/ , ma non è il momento degli (auto)compiacimenti: sono morti quasi cento ragazzi. Ma di riflettere sì, abbiamo un grande bisogno. Ieri mi è capitato di vedere per caso uno stralcio dello pseudo-tg di Fede, che naturalmente derubricava la strage al delirio d'un "pazzo". Avrebbe fatto lo stesso se il "pazzo" fosse stato musulmano? No di certo. Spero si apra una discussione seria e profonda sui seminatori d'odio, e in tal caso segnalo il sito Pontifex. Di là dalla prevedibile cantonata da costoro presa a proposito di Oslo http://www.pontifex.roma.it/index.php/editoriale/esteri/8566-autobomba-ad-oslo-multiculturalismo-ecu... i loro articoli, peraltro scritti malissimo, sono pregni di invettive contro ecumenismo, multiculturalismo, donne, gay, ebrei, ovviamente islamici con toni non molto diversi da quelli degli estremisti. Da non perdere di vista.
Autore Città Giorno Ora
Mario Gamba Borgomanero 24/7/2011 09.52
Titolo:Con tristezza
Con tristezza, con grande tristezza, riconosco la bontà delle critiche rivolte da Giovanni Sarubbi al giornalismo dei "se". Con un minimo di contentezza (o minor rincrescimento) riconosco che ci sono però ancora persone (come Sarubbi) che non si sono prostituite al "già detto e già visto", e che con grande fatica ricercano la verità (anche senza pretendere di averla raggiunta in via definitiva). Anch'io ringrazio la sua voce fuori dal coro. Anch'io chiedo scusa (per quello che può valere) alle sorelle e ai fratelli musulmani.
Autore Città Giorno Ora
Giovanni Sarubbi Monteforte Irpino 25/7/2011 08.42
Titolo:Grazie a tutte/i
Ho ricevuto molte email di sostegno a questo editoriale. Ringrazio tutti/e per la condivisione. Riporto di seguito una sintesi delle email ricevute.

Giovanni Sarubbi

Scrivi alla Redazione

Date 24/07/2011 12:47
Messaggio : ho letto l'editoriale di oggi su segnalazione de La stampa, on line. poichè non riesco ad accedere al forum, vi scrivo per dirvi che
1 ho postato l'articolo sulla mia bacheca facebook, come condivisione
2 vi ringrazio della posizione che avete assunto, perchè le scuse sono dovute, necessarie e onorano chi le fa, in questo caso più di altri
3 perchè non sono cristiana, nè ebrea, nè musulmana, rispettosa della fede di un singolo,attenta ai valori culturali e storici, ma sommamente diffidente con le varie strutture religiose, ferita molte volte vivendo in Italia per la mia esistenza non credente, e dunque come minoranza tendo a identificarmi con le altre minoranze che abitano il nostro paese più che con la maggioranza religiosa. per queste ragioni anche apprezzo e ringrazio.
Nome e Cognome: Adriana nannicini
Città: milano
-------------------------------------------
To direttore@ildialogo.org
Subject grazie
Date 24/07/2011 12:44
Le Sue parole sono state una boccata di sincerità non facili da pronunciare in questa situazione sociale nella quale ogni valore è abbandonato per il conformismo assoluto.
Che tanti La leggano e magari abbiano il coraggio di analizzarsi in profondo.
Molto cordialmente
Dott. Sandro SANDRI
-------------------------------------------------------------
From "Vincenzo Pillai"
To Redazione www.ildialogo.org
Subject Re: Segnalazione editoriale del sito www.ildialogo.org dal 23/07/2011 sui tragici fatti di Oslo
Date 23/07/2011 19:39
grazie per il lavoro che avete fatto e l'aiuto che date a mantenere la speranza
vincenzo pillai
-----------------------------------------------
From tammaro giovanni
To direttore@ildialogo.org
Subject Scrivi al Direttore
Date 23/07/2011 18:13
Messaggio : Grazie per l'editoriale di scuse ai fratelli e sorelle musulmani. Pensavo le stesse cose che tu hai scritto leggendo la stampa di oggi e mi fa piacere che ne hai fatto un momento di riflessione comune.
Buon lavoro
Giovanni Tammaro
Nome e Cognome: Giovanni Tammaro
Città: Massafra
-----------------------------------
From Piccoli Florestana
To Aboulkheir Breigheche
Cc redazione@ildialogo.org
Subject Re: Aggiornamenti settimanali del sito www.ildialogo.org dal 18/07/2011 al 24/07/2011
Date 24/07/2011 20:38
Ho una grande stima di Sarubbi, che seguo sempre nelle sue rubriche e con il quale ci siamo anche scambiati qualche mail a livello personale sui temi che ci stanno a cuore: con Sarubbi è possibile un vero dialogo, franco, aperto, ben al di fuori da ogni pregiudizio razzista, xenofobo, oggi soprattutto antislamico.
Mi associo pertanto pienamente, anche in questo caso, a quanto egli afferma nel suo editoriale sulla strage compiuta in Norvegia e mi permetto aggiungere che non si tratta solo di pseudo-fondamentalismo (o piuttosto di fanatismo), ma di una bassa e ignobile "guerra" contro l'Islam così come contro tutte le fasce più esposte della società (omosessuali, donne ecc.).
Sappiamo fin troppo bene che il fanatismo, in religione come in qualsiasi altro contesto, semina solo odio, stragi e morte: ma quando il fanatismo viene altresì strumentalizzato, si tocca il fondo.
Purtroppo, nel nostro Paese esistono ancora troppi "incantatori di serpenti", che godono di immediata credibilità. Oso dire che l'Italia, fra l'altro oggi divisa e lacerata politicamente, dominata dallo strapotere e dal malcostume di qualcuno, è divenuta una troppo facile preda dei più deboli.
Mai però dobbiamo demordere. Parafrasando le note parole del Pastore nero M.L.King, "Il male e l'ingiustizia non prevarranno".
Giunga a Lei, dr. Breigheche, e a tutta la comunità Islamica del Trentino il solidale e cordalissimo saluto della Chiesa Cristiana Valdese in diàspora a Rovereto e mio personale.
Florestana Piccoli Sfredda - valdese.
----------------------------------------------------------------------
grazie a voi fratelli e in particolare a Giovanni
Dott. Dachan Mohamed Nour
Presidente Comunità Islamica delle Marche
Angeli di Rosora 60030 (AN);Italy
-----------------------------------------------------------------------
L'articolo è stato ripreso dal blog di Francesca Paci ORIDENTE su La Stampa del 23/7/2011
Se una strage ha automaticamente matrice islamica

Vi segnalo l'editoriale del sito Il dialogo sull'attentanto di Oslo, una lettera aperta di scuse al mondo musulmano per l'errore prospettico d'aver automaticamente incolpato al Qaeda della morte di decine e decine di giovani norvegesi ucciso invece da un connazionale estremista di destra. Tutti (nessuno escluso) hanno pregiudizi, ma pochissimi sanno ammettere quando si accorgono di aver sbagliato.

----------------------------------------------------------------------

"hamza roberto piccardo"

To direttore@ildialogo.org

Date 24/07/2011 11:53

Grazie, fratello, ma tu non hai nulla di cui scusarti
pubblicato su
http://www.islam-online.it/
e inviato al webmaster di ucoii.org
un abbraccio
"hamza roberto piccardo"
Autore Città Giorno Ora
Raffaella Bonatta bolzano 26/7/2011 19.31
Titolo:fuori dal coro
giungo sulla vostra pagina attraverso un commento apparso su un blog:http://terre-basse.blogspot.com/2011/07/il-tg3-come-aznar.html una voce diversa da altre. è triste constatare che i cittadini hanno l'occhio più attento di chi li dovrebbe informare.

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Commenti Articolo 1030

Titolo articolo : SINDROME GIAPPONESE,di Giorgio Ferrari e Angelo Baracca

Ultimo aggiornamento: July/23/2011 - 01:07:56.

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Autore Città Giorno Ora
Aldo Maggion Montebelluna 23/7/2011 01.07
Titolo:Grazie per il vostro sforzo nel cercare di creare cultura
Ho letto con attenzione il vostro documento sul disastro di fukushima. Ho seguito per quello che ho potuto il disastro su internet, i giornali e le tv fanno ridere, e quindi ho ritrovato nel vostro report molti dati interessanti.

Leggendo, e ormai arrivato a 38 anni, sto' cercando di capire come mai dei poveri cittadini indifesi, devono subire cosi pesanti torture per scelte e decisioni di persone politiche e tecniche che poi poco hanno a che fare con queste impressionanti calamita'.


Personalmente, ho progettato impianti per fonderia, e quindi conosco un po' le alte temperature e il trasformarsi di acqua in idrogeno ..... Da qui la mia intuizione che cio' che stava succedendo al di la' del mondo ( che poi non e' proprio cosi grande come sembra) fosse al di fuori delle possibilita' di controllo degli esseri umani ..... Allora mi chiedo come puo sentirsi tutta quella schiera di grandi ingegneri, progettisti che hanno sostenuto il nucleare come energia a basso costo ..... Mi chiedo quelli che hanno scritto della possibilita' di guasti ai reattori 1 volta su migliaia di anni ..... Che presuntuosi e arroganti, o forse che strumentalizzati..... Spero che qualche figlio di ingegnere vada a lavorare in questi mostri di tecnologia progettati dal padre ..... Che avra' la presunzione di essere stato un grande.....


Vergogna, vergogna .... Che l'uomo sia arrivato a creare dei mostri incontrollabili ..... Come in altri settori d'altronde, come l'alimentare, dove conosco bene le cose.... E mi batto tutti i giorni, con questa licenza gratuita di uccidere che qualche grossa azienda / governi si sono permessi di creare ....

Un saluto e controllero' aggiornamenti....

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Commenti Articolo 1031

Titolo articolo : CHE MOSTRA! In Vaticano non hanno le Grazie (in greco, acc. plurale - "Chàritas") e riaprono il dialogo tra fede e arte per celebrare la bellezza della vera "ricchezza" e della buona-"carestia" teorizzata da Benedetto XVI ("Deus caritas est")! Una nota celebrativa di Bruno Forte, con una premessa,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: July/09/2011 - 14:16:48.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/7/2011 16.13
Titolo:LA PIU' GRENDE BUGIA DELLA STORIA ....
Le donne, gli uomini e la più grande bugia della storia

di Luciana Castellina (l’Unità, 28.06.2011)

C’è una bugia storica che non può essere svelata declassificando documenti segreti, come è stato per le Carte del Pentagono o per le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. A dirla sono le nostre moderne democrazie. Consiste nel far credere che, adesso, nascono bambini neutri e non più, come una volta, bambine femmine e bambini maschi.

Sulla base di questa menzogna hanno spacciato come universale l’intero edificio istituzionale dei nostri Paesi e la loro organizzazione sociale, che è invece rimasta tutta disegnata sull’essere umano maschio. Da quando la bugia è stata detta, le donne, per non rimanere prigioniere nel ghetto del privato familiare sottratto alle regole pubbliche, hanno dovuto vivere clandestinamente la propria identità, mascherandosi da essere neutro, cioè, nei fatti, da uomo.

Il femminismo recente ha per fortuna cominciato a sollevare dubbi su questa carnevalata. Purtroppo per disvelarla non basta desecretare carte, perché riconoscere l’esistenza di una differenza di genere cui viene nagato valore, significherebbe rimettere in discussione l’intera filosofia che ispira i nostri sistemi democratici, fondati sul principio di uguaglianza di fronte alla legge. Un’idea che ha avuto e ha molte buone ragioni, perché ha aiutato a eliminare i privilegi più vistosi e le esclusioni più inaccettabili, ma che non ha eliminato le disuguaglianze profonde: le ha nascoste come si fa con la polvere sotto i tappeti.

E così le istituzioni, i codici, la rappresentanza, l’organizzazione civile, l’assetto materiale della vita continuano ad assumere l’inesistente essere neutro come referente: un cittadino travestito da astratto, indistinto nel genere così come nella sua collocazione sociale reale.

Dire “ogni cittadino è uguale di fronte alla legge” è una conquista democratica ma anche un inganno. L’astrattezza della norma andrebbe colorata assumendo come metro il bisogno di ognuno, valorizzando la sua diversità e organizzando la vita collettiva in modo da dare uguaglianza concreta alle differenze.

Significherebbe costruire identità relazionali in cui ciascuno, anziché mutilarsi per entrare nella corazza dell’astratto, o rifugiarsi, mortificato, nella sua diversità diventata debolezza, si costruisce un’identità che assume l’altra o l’altro come risorsa critica di se stessa e di se stesso. A partire da qui si potrebbe ridisegnare un mondo migliore.

Detto questo, sono tuttavia d’accordo con Bobbio quando ci metteva tutti in guardia dai rischi di indebolire le garanzie formali di questa nostra democrazia che per ora è la migliore in circolazione. Ma d’accordo con Bobbio anche quando esprimeva la sofferta consapevolezza dei suoi limiti.

Mi basterebbe che almeno si sapesse della bugia storica e non si pensasse di ristabilire la verità concedendo qualche diritto a tutela delle minoranze (e peraltro le donne non sono una minoranza). Mi basterebbe insomma mettere una spina nel fianco della nostra democrazia imperfetta, e avere il coraggio di continuare a pensare il non ancora pensato. Non siamo alla fine della storia.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 09/7/2011 14.16
Titolo:Neppure un miracolo, crediamo, potrebbe far tornare ciò che è definitivamente sp...
Se la fede non dialoga con l'arte

di Antonio Gnoli

in “la Repubblica” del 9 luglio 2011


Era negli intenti del Cardinal Ravasi – con la mostra che si è aperta questa settimana in Vaticano –
rilanciare quel dialogo tra arte e fede che in un passato, ormai remoto, ha offerto grandi capolavori e
una fioritura di arte sacra di inarrivabile livello.

Qualche perplessità, tuttavia, suscita l'iniziativa. E
non solo per la constatazione desolante di che cosa abbia significato per la Chiesa l'arte negli ultimi
secoli – tra orrendi edifici, terrificanti dipinti e raccapriccianti sculture (l'ultima delle quali un
controverso omaggio a Giovanni Paolo II) – ma soprattutto per il venir meno del linguaggio con cui
tutto questo dovrebbe esprimersi.

In altre parole che idea di bellezza ha la Chiesa e in quale
direzione va l'arte contemporanea, chiamata da Ravasi ad assolvere a un compito di testimonianza?
È un problema non irrilevante, per chi adotta la fede come criterio, osservare il profondo
relativismo delle nuove tendenze, le quali sempre meno sono interessate alla bellezza (il cui ripudio
è discusso da Roger Scruton in un libro appena edito da V&P) e sempre più al mercato.

L'arte del
passato è stata grande perché grande fu il potere della Chiesa. Potente la committenza dei papi,
fecondo il dialogo con gli artisti, e indiscutibile la tradizione. Niente di tutto questo è rimasto. E
neppure un miracolo, crediamo, potrebbe far tornare ciò che è definitivamente sparito.

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Titolo articolo : GRAMSCI E' UNO DEI NOSTRI! DOPO BENEDETTO CROCE E' IL VATICANO A GRIDARLO! A Claudio Sardo, nuovo direttore dell’Unità, i primi «cordiali auguri» dall’Osservatore Romano. Una nota di Daniela Preziosi, con una premessa sul tema,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: July/08/2011 - 12:48:29.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/7/2011 12.48
Titolo:Da oggi Claudio Sardo, provenendo dal Messaggero, è il nuovo direttore dell’Unit...
da oggi Claudio Sardo, provenendo dal Messaggero, è il nuovo direttore dell’Unità, quello che segue è il suo primo editoriale

l’Unità 8.7.11

Nel segno dell’Unità

di Claudio Sardo

L ’Unità è il giornale delle idee, delle lotte, delle passioni civili che hanno radicato la sinistra nella storia italiana e ne hanno accompagnato la crescita democratica. Già il nome contiene una forza vitale, che è ragione non secondaria di questo lungo percorso. La tensione verso l’unità è stata nel tempo l’antidoto contro il settarismo, le tentazioni di autosufficienza, lo spirito minoritario o elitario. È stata una spinta continua al dialogo, all'apertura, al rinnovamento. È stata il mastice popolare che ha tenuto insieme il Paese nei momenti difficili.

Non c’è bisogno di tornare ai tempi eroici della Resistenza e della Costituzione, alle grandi conquiste dei diritti sociali e del lavoro, ai pensieri lunghi di Enrico Berlinguer e Aldo Moro per apprezzare il valore della parola unità. Sotto questo segno, dopo la sconfitta del ’94, nacque l’Ulivo, che consentì all’Italia di raggiungere il traguardo storico dell’euro, senza il quale chissà se oggi saremmo ancora un Paese unito. Ma a ben guardare lo stesso vento nuovo, sospinto dalle amministrative e dal referendum, reca un'impronta simile.

All’origine della nuova speranza italiana ci sono le celebrazioni del 150 ̊ dell’unità nazionale, che il presidente Giorgio Napolitano ha fortemente voluto e che hanno rinsaldato le radici patriottiche e costituzionali dei progressisti e dei moderati, provocando invece gravi affanni e contraddizioni nella maggioranza Pdl-Lega.

Ci sono le battaglie di questi mesi dei lavoratori, dei precari, degli studenti, dei ricercatori, che si sono ribellati alle crescenti disuguaglianze e ai muri divisori tra Nord e Sud, tra garantiti e non, tra giovani e adulti, tra chi è protetto da una corporazione e chi no. All'origine del vento nuovo c'è ancora la carica culturale del movimento delle donne, che ha opposto al berlusconismo la più radicale critica del linguaggio e dei comportamenti. Quella del 13 febbraio non è stata l’ultima piazza della contestazione ma la prima della ricostruzione: ne è testimonianza quel passaggio dell’appello che richiama la coscienza “civile, etica e religiosa della nazione” come il tessuto connettivo da preservare (e domani tornerà a riunirsi a Siena il movimento “Se non ora quando?”).

La parabola di Berlusconi sta declinando. Forse non si chiuderà solo il decennio dei suoi governi, ma anche quella che abbiamo chiamato Seconda Repubblica. In ogni caso non sarà un passaggio facile. L'onda lunga della crisi finanziaria e le paure dell'Europa rendono il momento assai insidioso. E la drammatica debolezza di un governo, ormai incapace di agire, aumenta i rischi per l'Italia e minaccia ancor più il nostro futuro.

L'Unità sarà un giornale battagliero e aperto. Impegnato con ogni forza a raccontare la verità sull'Italia. La verità sui conti pubblici, sulle riforme negate per conservare i privilegi di pochi, sulle cricche, sulla crescita necessaria per uscire dalla tenaglia tra rigore economico e ingiustizia sociale. Questo Paese deve tornare a crescere. Lo chiedono innanzitutto i più deboli e la classe media impoverita dalla crisi. È la grande priorità nazionale, senza la quale rischiano di crollare tutte le ipotesi politiche.

Per fortuna, però, ci sono anche importanti novità sociali, che recano il segno della ricomposizione, della responsabilità nazionale, appunto dell' unità. Spicca tra queste il recente accordo sulla contrattazione, che ha ridato all'Italia la speranza dell'unità sindacale: non ci sarà svolta progressista senza unità tra le forze del lavoro (e non è un caso che il governo Berlusconi abbia sempre lavorato per la divisione).

Ma altri processi unitari, pur trascurati dalle cronache, rappresentano un segno di speranza: dalla storica alleanza tra le cooperative bianche e rosse, che ora si pone alla base di un rilancio dell'economia sociale, alla Rete delle piccole imprese, degli artigiani e dei commercianti, che non vogliono restare esclusi dai processi di innovazione. C'è anche questo nelle vittorie di Giuliano Pisapia e del centrosinistra al Nord. E l'Unità intende raccontare quest'Italia che non accetta di finire in serie B, che vuole premiare il lavoro e l’impresa anziché la rendita, che si impegna per dare un futuro migliore ai propri figli.

Non c'è soltanto un'alternativa di governo da comporre. All'Italia serve un grande patto per la ricostruzione. Un impegno di portata costituente, il cui programma economico e sociale non potrà che avere l'orizzonte di un decennio e la dimensione dell'Europa. Come altre volte è accaduto nella storia, è più di sinistra costruire una larga convergenza attorno a un progetto di cambiamento concreto che non tentare da minoranza la conquista del Palazzo. Perché le politiche di uguaglianza e di innovazione hanno bisogno di condivisione e di responsabilità. Ovviamente hanno anche bisogno di radicalità nei valori, di rigore nei comportamenti, di rispetto per la legalità, di un grande senso etico e civico. L'Unità vigilerà, racconterà, discuterà, darà voce ai cittadini. E non farà sconti. Neppure al centrosinistra.

L'Unità non è un giornale di partito. Nessuno potrà costringerci in uno spazio predefinito. Ma cercheremo anche noi di dare il nostro contributo a definire una nuova cultura democratica. E in questa cultura i partiti sono insostituibili strumenti di partecipazione, a disposizione in primo luogo di chi altrimenti sarebbe escluso dal potere economico e mediatico. Vogliamo uscire dal berlusconismo, combattendo anche quello che ha messo radici nel centrosinistra. In fondo, la contrapposizione tra società civile buona e partiti cattivi è stata la chiave che ha portato il Cavaliere al successo e che, insieme alla vulgata liberista, ha segnato l'epoca che dobbiamo superare. La nostra prospettiva è un'alleanza tra partiti e società, tra buona politica e movimenti innovativi. Così è accaduto nei momenti migliori della nostra storia.

Il populismo e il leaderismo, invece, distruggono i corpi intermedi e il pluralismo sociale prima ancora che la buona politica. Ringrazio l'editore che ha avuto fiducia in me e mi dà la grande opportunità di dirigere questo giornale storico in un passaggio così importante.

Ringrazio Concita De Gregorio per aver portato il testimone con passione e intelligenza: la sua amicizia mi onora e la sua impronta resterà nella nostra impresa collettiva. Mi impegnerò con tutte le forze, sapendo di avere al fianco colleghi appassionati, competenti, generosi.

Un giornale, più di ogni altra cosa, è un lavoro collettivo, un'opera comune. Dei giornalisti che ci lavorano e anche dei lettori che lo apprezzano, lo criticano, ci si riconoscono. Considero un mio compito anche valorizzare questo elemento comunitario.

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Titolo articolo : LA TRADIZIONALE "SCOLA" COSTANTINIANA DI BENEDETTO XVI: IL MAGISTERO DELL'INGANNARE IL PROSSIMO COME SE STESSO. Un'analisi di Giancarlo Zizola, con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: July/04/2011 - 07:14:38.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/6/2011 16.32
Titolo:Lettera aperta al Cardinale Tettamanzi - di Angelo Cupini ....
Il periodo in cui Dionigi Tettamanzi è stato arcivescovo di Milano è stato caratterizzato dalla ferocia di attacchi personali, politici e pastorali da parte di chi odia il suo impegno a fianco di immigrati, poveri e rom. Da settembre gli succederà il cardinale Angelo Scola, già patriarca di Venezia, e prima del passaggio di consegne un ringraziamento per tanto lavoro mai del tutto riconosciuto

Lettera aperta al Cardinale Tettamanzi: una missione passata sotto silenzio e infangata da sarcasmo e parole rozze

di Angelo Cupini ("Domani-Arcoiris", 30-06-2011)

Chiuso di Lecco, Casa sul pozzo.

Carissimo Padre,

Ti scrivo dopo che a mezzogiorno è stata data la notizia del tuo successore alla Cattedra di Ambrogio. Voglio dirti ciò che mi ha colpito ieri sera, nella celebrazione liturgica del Beato Serafino nella parrocchia di Chiuso, che tu hai presieduto. Mentre il diacono Roberto annunciava il Vangelo tu ti sei appoggiato pesantemente al tuo bastone pastorale, per tutta la durata della proclamazione.

Non so i tuoi pensieri, ma vedevo il compimento del tuo servizio espresso in questo gesto unificante; ieri sera eri il nostro parroco, colui che abita vicino alle nostre case. I vecchi abitanti di Chiuso, che abbiamo conosciuto e che se ne sono andati prima di questa proclamazione, ci hanno raccontato della memoria, ricevuta, di questo parroco chiamato sempre beato e anche di una certa indifferenza della gente (siamo di confine, dicevano). Tu hai raccontato il legame tra città e periferia, nella fattispecie tra Milano e Chiuso, sviluppato in don Serafino.

Hai ricordato con affetto i tuoi predecessori a Milano quasi a consegnare una mappa del servizio pastorale offerto al popolo ambrosiano. Ho provato a declinare dentro di me le cose che mi hanno colpito del tuo essere pastore:

Il pastore conosce le pecore e le chiama per nome; ieri sera cercavi don Gil (Orsi) e chiedevi dove fosse. Mi hai detto, riconoscendomi, che avevi piacere di rivedermi. Entrando in una chiesa o in un luogo di raduno ti fermi a salutare la gente per trasformare l’attesa e l’applauso in relazione, breve, ma cordiale. Al ragazzino con il braccio ingessato che ti offriva l’ampolla all’offerta dei doni, vedevo che eri lì lì a chiedere cosa gli fosse successo. Un pastore chiama per nome e conosce il timbro. Appoggiato al bastone di servizio e di guida nel tuo piccolo/grande cuore ci sono i nomi di tutti.

Il mio fraterno amico vescovo Casaldaliga ha scritto un giorno:

Alla fine del cammino mi diranno:
Hai vissuto, hai amato?
Ed io senza dire niente
Aprirò il cuore pieno di nomi.

Non dimenticherò mai che nella grande congiura del silenzio nella quale siamo stati avvolti tu hai chiamato per nome le storie degli uomini e delle donne; fossero rom, immigrati, portatori di handicap, cinesi o latinoamericani, africani o dell’est; per te erano persone, uguali in dignità, in diritti e doveri. Parola e gesti che ti hanno fatto scaricare addosso sarcasmo e parole rozze e ancora tanto silenzio da parte degli uomini e delle donne degli equilibri.

La gente ha capito la tua vita buona perché tu hai riconosciuto la loro, fatta di fatica quotidiana, di resistenza al male e di affido alla Provvidenza. Non ti sei stancato di offrire ottimismo evangelico. I tre ultimi Beati sono la tua firma per una storia di chiesa: fondamentalmente amici di Dio e degli uomini. Mi auguro che non si chiuda questa stagione. Oso farti un invito: quando avrai passato il tuo bastone di Pastore al nuovo Vescovo, vienici a trovare a la Casa sul pozzo, non lontano da dove riposa e veglia il beato Serafino. Sarai una benedizione per tutti.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/7/2011 16.47
Titolo:il sogno di Ratzinger: Scola papa ....
Scola, nel solco di Ratzinger

di Paolo Flores d’Arcais (il Fatto Quotidiano, 1 luglio 2011)

La nomina del cardinale Angelo Scola come arcivescovo di Milano è incredibilmente irrituale ed esige dunque una spiegazione ragionevole. La carica di Patriarca di Venezia è una delle più prestigiose nell’ambito della Chiesa. Il passaggio a Milano costituisce anzi dal punto di vista protocollare una retrocessione, perché “Patriarca di Venezia” è titolo superiore a cardinale e arcivescovo. Insomma, non si “trasloca” da quella sede venerabile verso una’altra diocesi, per importante e grande che sia, a meno che non si tratti di Roma, per diventare Sommo Pontefice, cosa che nel XX secolo è avvenuto ben tre volte (Pio X, Giovanni XXIII, Giovanni Paolo I).

Non regge allora la spiegazione (ventilata ad esempio dal teologo Vito Mancuso) che Ratzinger volesse chiudere radicalmente e platealmente con l’ultimo ridotto del cattolicesimo democratico, la Milano di Martini e Tettamanzi, delle Acli e di don Colmegna, attraverso un gesto “brutale” di discontinuità. O meglio, l’ipotesi di Mancuso è del tutto plausibile, direi certa, ma per realizzarla il cardinale Scola non era l’unica personalità rilevante di cui Ratzinger disponesse. È vero che nella nomina di Scola vi è un elemento di “sfregio” verso il cattolicesimo ambrosiano che sarebbe mancato ad altri candidati (a Scola fu rifiutato il sacerdozio, al termine del seminario diocesano di Venegono, tanto che per farsi ordinare prete dovette trasferirsi a Teramo: ora torna da arcivescovo), ma è davvero improbabile che la volontà di Ratzinger di sottolineare come a Milano il vento debba cambiare avesse la necessità irrinunciabile di un ingrediente tanto “velenoso”.

UNA SCELTA di sbandierata normalizzazione poteva perciò essere realizzata anche senza la novità inaudita dello spostamento di un porporato da Venezia a Milano. Se per Benedetto XVI Angelo Scola è risultato perciò “unico” , deve esserci una motivazione in più, una motivazione davvero eccezionale che giustifichi l’irritualità e l’insostituibilità della scelta. Una ragione di SUCCESSIONE. La nomina, altrimenti incomprensibile di Ratzinger, ha il significato di una INVESTITURA: Benedetto XVI indica ai cardinali che come suo successore sulla cattedra di Pietro vuole Angelo Scola. Irritualità che spiega irritualità.

Del resto anche Karol Wojtyla aveva compiuto un gesto irrituale che indicava la sua propensione per Ratzinger quale successore, dedicando un libro “all’amico fidato”, e facendo risapere nei sacri palazzi l’assai insolito e iper-lusinghiero “titolo” (accompagnandolo poi con l’incarico - tutt’altro che irrituale, questo - di scrivere i testi per l’ultima solenne “via crucis”). Ogni Conclave, naturalmente, decide poi come preferisce, nella convinzione, anzi, che a scegliere sia lo Spirito Santo, “vento” di Dio che, come è noto, “soffia dove vuole”. Ma il senso profondo e perentorio di investitura e testamento, da parte di Benedetto XVI, della nomina di Scola sulla cattedra di Ambrogio, non è certo sfuggito a nessuno dei Porporati che compongono il sacro collegio. Perché, ripetiamolo, altra spiegazione non c’è, a meno di chiamare in causa categorie inammissibili per un Pontefice: capriccio e oltraggio.

FORSE RATZINGER ha sentito il bisogno di rendere plateale l’investitura di Scola anche per l’handicap che attualmente - dopo secoli di situazione opposta - costituisce per ogni papabile l’essere italiano. Nel (quasi ex-) Patriarca di Venezia, Benedetto XVI vede la più sicura (e ai suoi occhi evidentemente ineguagliabile) garanzia di continuità con il proprio pontificato sotto almeno due profili: il rilievo crescente assicurato a movimenti “carismatici” come Comunione e Liberazione rispetto all’associazionismo tradizionale legato a diocesi e parrocchie, e il privilegio del dialogo con l’Oriente, nel duplice senso di cristianità ortodossa e di islam. Se il primo tema èsottolineato da tutti gli osservatori, il secondo è talvolta trascurato benché perfino più influente.

Il filo conduttore del papato di Ratzinger è infatti l’offerta agli altri monoteismi, e a quello di Maometto in modo speciale, di una Santa Alleanza contro la modernità atea e scettica. Questo era il senso dello sfortunato discorso di Ratisbona, che per una maldestra citazione accademica provocò invece risentimento e disordini.

Dialogo con l’islam, ma nel segno del comune anatema contro il disincanto dell’illuminismo, del pensiero critico, della democrazia conseguente, in alternativa all’accoglienza verso “i diversi” del cattolicesimo democratico di stampo conciliare. La fondazione e la rivista “Oasis”, volute a Venezia da Scola, sono da anni l’efficacissimo strumento di questa linea ideologico-pastorale dall’afflato “globale” ma dagli evidenti risvolti europei, vista la presenza dell’islam come seconda religione (in espansione demografica galoppante) in tutte le grandi metropoli del vecchio continente. Solo in un’ottica un “piccina” si può pensare che con l’investitura di Scola, seguace di don Giussani, Ratzinger paghi il debito di gratitudine verso CL, lobby trainante della sua elezione. In realtà,

Ratzinger vede in Scola il successore capace di proseguire con più coerenza e successo degli altri papabili la sfida oscurantista della rivincita di Dio sui lumi che caratterizza il suo pontificato: intransigenza dogmatica, “fronte integralista” con l’islam, presenza decisiva della fede cattolica nella legislazione civile, spregiudicatezza nel confronto pubblico con l’ateismo, accompagnati da un’affabilità pastorale superiore alla sua.
Autore Città Giorno Ora
Ernesto Miragoli Como 04/7/2011 07.14
Titolo:Perchè non aspettare?
La nomina di Scola a Milano ha suscitato un vespaio nei commentatori ecclesiali che non ricordo nemmeno quando fu nominato Martini.
In gran parte condivido le analisi di Zizola e Mancuso, ma mi rimane la riserva del dubbio.
Non è meglio aspettare per capire come Scola si comporterà nei 5 o 6 anni che gli rimangono prima di andare in pensione?
A me non sembra un gran pastore: Venezia è una diocesi piccola e perlopiù onorifica. Mi è stato anche detto che a Venezia il Patriarca c'era poco, occupato com'era ad andare in giro per il mondo a far conferenze.
Non credo che a Milano Scola possa sconvolgere in pochi anni una vivacità ecclesiale che ha sempre caratterizzato la cattedra ambrosiana perchè non bastano 5-6-7 anni per cambiare gli animi e le istanze pastorali che sono maturate in decenni.
Ci sarà una specie di risorgimento ciellino, visto che il nuovo vescovo viene da quella scuola?
Ma sì! Che ci sia!
Anche cielle non avrà lunga vita: fra vent'anni ben pochi sapranno chi era don Giussani e la CdO sarà un club di nostalgici.
Secondo me il vescovo Angelo (oggi si usa dire così) vivrà una pastorale di statu quo.

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Titolo articolo : PER LA SCALATA AL DUOMO DI MILANO, VECCHIE ASTUZIE E PAROLE AGGIORNATE.

Ultimo aggiornamento: June/30/2011 - 10:34:34.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 21/6/2011 18.02
Titolo:Scola a Milano, la rivincita del vescovo di Cl ...
Scola a Milano, la rivincita del vescovo di Cl

Il patriarca di Venezia pronto a succedere a Tettamanzi. Nel 1970 fu cacciato dalla diocesi ambrosiana: per "settarismo". Obbediva solo a don Luigi Giussani e non riconosceva altre autorità *

“Per la Chiesa ambrosiana sarà un trauma. Se davvero Angelo Scola sarà scelto come prossimo arcivescovo di Milano, sulla diocesi più grande del mondo, l’arcidiocesi di Giovanni Battista Montini e di Carlo Maria Martini, piomberà un macigno. Non riesco a crederlo possibile: sarebbe, anche per il clero ambrosiano, uno strappo culturale e pastorale lancinante”.

Chi manifesta queste preoccupazioni, a condizione di aver garantito l’anonimato, è un personaggio che ha avuto un ruolo nella storia della diocesi di Milano. Con lui, sono molti i preti e i laici impegnati nelle strutture ecclesiali che sono seriamente allarmati per il possibile arrivo di monsignor Scola nella curia di piazza Fontana. Sarebbe la grande rivincita: fu cacciato dalla diocesi di Milano nel 1970, tanto che dovette andare a farsi ordinare sacerdote a Teramo, e ora tornerebbe nella Chiesa di Ambrogio da trionfatore. L’attuale arcivescovo, Dionigi Tettamanzi, a settembre si ritirerà in pensione. Il candidato favorito a sostituirlo è il patriarca di Venezia Angelo Scola, che gode della fiducia di papa Benedetto XVI.

Angelo Scola nasce a Malgrate, non distante da Lecco, nel 1941. Maturità al liceo classico Manzoni di Lecco, poi laurea in filosofia all’Università Cattolica di Milano. Intanto però Angelo ha fatto l’incontro che gli cambia la vita: quello con “il Gius”, don Luigi Giussani, il fondatore di Comunione e liberazione. Decide, adulto, di diventare prete. Entra nel seminario diocesano milanese: un anno a Saronno, poi a Venegono, dove si compiono gli studi teologici. Ma alla vigilia dell’ordinazione, il rettore Attilio Nicora decide di “fermare” il giovane Scola.

Il seminario milanese ha una tradizione antica e prestigiosa, che risale a San Carlo Borromeo: non può tollerare che alcuni seminaristi vivano tra i chiostri silenziosi di Venegono come fossero un corpo separato, senza riconoscere davvero l’autorità dei superiori, dei professori, dei teologi, del padre spirituale, perché hanno i loro maestri, i loro superiori, i loro teologi, i loro padri spirituali. Monsignor Nicora spiega ai ciellini che non possono usare il seminario ambrosiano come fosse un taxi. Così viene bloccato Angelo Scola, ma hanno qualche difficoltà anche Massimo Camisasca, Luigi Negri, Marco Barbetta, altri pupilli di “don Gius” che obbediscono a lui e solo a lui.

Cl s’incarica di trovare altre strade per far diventare prete Scola e anche gli altri faranno poi comunque carriera nella Chiesa. Il ventinovenne Angelo di Malgrate viene ordinato sacerdote il 18 luglio 1970 dal vescovo di Teramo, monsignor Abele Conigli, e poi parte per Friburgo, dove completa gli studi di teologia. Come gli altri preti ciellini vive in una sorta di extraterritorialità, fuori dalla diocesi, tanto che nel 1976, quando partecipa al primo convegno ecclesiale organizzato dalla Cei su “Evangelizzazione e promozione umana”, nel programma viene indicato come proveniente da Caserta.

Per capire la sua espulsione di fatto dal seminario maggiore ambrosiano, bisogna ricordare che cosa stava succedendo in quegli anni a Milano. Il gruppo di Giussani aveva occupato il settore giovanile dell’Azione cattolica ambrosiana, con grande imbarazzo del presidente, Livio Zambrini. Negli anni Sessanta, “il Gius” conquista Gioventù studentesca, “movimento d’ambiente” dell’Azione cattolica nelle scuole, trasformandola nel nucleo da cui nasce prima Undicesima ora, poi Comunione e liberazione. Con sapiente “entrismo”, colonizza il Settore giovani dell’Azione cattolica ambrosiana, ai cui vertici impone i ciellini Massimo Camisasca e Piera Bagattini. Angelo Scola era intanto diventato presidente della Fuci, l’organizzazione degli universitari cattolici. La campagna di conquista s’interrompe nel 1972.

L’assistente diocesano di Azione cattolica, don Antonio Barone, fiancheggiato dai giovani don Giovanni Giudici e don Erminio De Scalzi, va dal cardinale arcivescovo, monsignor Giovanni Colombo, e fa presente che la situazione non è più tollerabile. Si è insediata a Milano una Chiesa “parallela”, che risponde non al vescovo e ai preti e laici che hanno cariche formali, ma soltanto alla gerarchia invisibile di don Giussani. Il cardinale, dopo qualche tentennamento, interviene. Camisasca e Bagattini sono costretti a dare le dimissioni, sostituiti da Giorgio Vecchio e Antonietta Carniel. Ma “Don Gius” e i suoi non si danno per vinti. Spostano la guerra a Roma. Ottenendo importanti riconoscimenti prima da Giovanni Paolo II e ora da papa Ratzinger. Una sorte beffarda ha già voluto che Scola diventasse cardinale nel concistoro del 21 ottobre 2003, lo stesso che ha concesso la porpora anche ad Attilio Nicora, il rettore che lo cacciò da Milano. Ora, se arriverà nella diocesi ambrosiana come arcivescovo, la sua rivincita sarà completa.

* IL FATTO QUOTIDIANO, 19.06.2011

- http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/06/19/scola-a-milanola-rivincita-del-vescovo-di-cl/119964/
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 30/6/2011 10.34
Titolo:LA SCALATA I VERTICI DELLA CHIESA DEL CLUB DI "COMMUNIO" ....
La teologia di Ratzinger nella scelta di Scola

di Giancarlo Zizola (la Repubblica, 30 giugno 2011)

Un pontificato che si narra come proiezione dell’autobiografia di Joseph Ratzinger nelle scelte istituzionali. La nomina di Angelo Scola a Milano è l’ultima conferma della plausibilità di questa chiave interpretativa. Benedetto XVI ha un occhio di riguardo per le persone incrociate in passato.

È accaduto per Tarcisio Bertone, che deve il ruolo di segretario di Stato poco più che alla scrivania di segretario della Congregazione per la Dottrina accanto all’ufficio del prefetto. Come se un pezzo di burocrazia condivisa potesse garantire qualità per qualsiasi altro ruolo. In modo analogo, con il canadese Marc Ouellet a capo della Congregazione dei Vescovi e il patriarca Scola a Milano, si proietta ai vertici della Chiesa il club teologico di Communio, la rivista teologica fondata nel 1972 da Ratzinger con Urs von Balthasar e Henri de Lubac per competere con le visioni del riformismo radicale di Concilium. E l’ammirazione di Ratzinger per don Giussani, i cui funerali volle concelebrare a Milano, è la fonte riconosciuta di una predilezione papale per Cl, un movimento di cui Scola era seguace, anche se da anni non aveva ruoli privilegiati al suo interno.

Non è solo questione di fiducia personale, e neanche di medaglie al merito assegnate agli amici, ma di opzioni. Vi è bene un legame tra le ostinate affiliazioni lefebvriane del fratello prete Georg, da un lato, e - dall’altro - le precipitose assoluzioni dei vescovi dello scisma e le controriforme liturgiche con cui il papa ha dato via libera alla messa tridentina che va generando l’attuale baraonda intorno agli altari cattolici. Su un altro piano, una continuità autobiografica emerge tra il Ratzinger di professione teologo e un magistero papale dominato dall’inquietudine per la formazione anche intellettuale dei cattolici ad una fede matura, fino all’apogeo dell’opera anticamente sognata, i due volumi del Gesù di Nazareth, non a caso firmato insieme da "Joseph Ratzinger e Benedetto XVI".

Un papa ha bene il diritto di imprimere la propria impronta sulla vita della Chiesa. Ma la nomina di Scola rischia di diventare un caso imbarazzante, al di là delle qualità personali del prescelto, ben riconosciute, proprio perché fa esplodere alcune anomalie del sistema. Il "fattore Papa" ha giocato nella costruzione di una campagna di stampa martellante, che ha penalizzato la ricerca di altre candidature.

Con due conseguenze: di intercettare il severo clima di segretezza in cui Roma avvolge le procedure di selezione dei vescovi (il cardinale Martini scriveva domenica di essere stato sorpreso dalla sua nomina a Milano). Poi, di contraddire il criterio raccomandato dallo stesso Papa, di scegliere come vescovi candidati che abbiano almeno dieci anni prima della rinuncia canonica a 75 anni, perché possano svolgere un piano pastorale decente. E invece per Milano è stato nominato un settantenne.

L’anomalia maggiore è visibile, ancora una volta, nelle procedure centralizzate. A metà dell ’Ottocento Antonio Rosmini dimostrava che il sistema verticistico non era in grado di tutelare la Chiesa dalle ingerenze del potere politico. Le campagne mediatiche a favore di un candidato sono la nuova forma delle pressioni dei poteri cesaro-papisti, che rendono attuali le lotte per le investiture di Gregorio VII. Benché la consultazione del nunzio in Italia Giuseppe Bertello nella diocesi di Milano sia stata più ampia del consueto, è evidente che quanto è successo invita a ripensare al monito di Rosmini circa i vescovi "intrusi", paracadutati dall’alto e dunque fattori di indifferenza religiosa e di divisione del popolo cristiano.

L’altra anomalia riguarda la situazione dell’episcopato italiano. Indubbiamente non mancano al suo interno delle intelligenze pastorali di grande sensibilità e zelo, tuttavia alcune analisi sociologiche, come quella di Luca Diotallevi, non si astengono dal documentarvi segnali di un criterio selettivo ancorato per oltre un ventennio alla presunta sicurezza di figure conformiste, col risultato che gli attuali risvegli dal basso mondo cattolico sembrano scarsamente recepiti dalla gerarchia e non sembra determinarsi una vera inversione di rotta.

Paradossalmente la Chiesa italiana era più ricca sotto Pio XII di grandi figure episcopali, un certo Roncalli a Venezia, Montini a Milano, Fossati a Torino, Siri a Genova, Lercaro a Bologna, Dalla Costa a Firenze, Ruffini a Palermo: saranno igrandi protagonisti del Concilio Vaticano II.

Infine, da notare che Scola entra a Milano su due vigilie: quella del cinquantenario dell’apertura del Vaticano II (1962-2012) e quella dei 1700 anni dell’editto di Milano con cui aveva origine "l’età costantiniana" nel 313: statuto di libertà per il cristianesimo, divenuta "religione imperiale". Vigilie che si intrecciano organicamente.

Il maestro di Scola, Von Balthasar, era molto netto sulla necessità di finirla con la riproduzione del regime di cristianità. Diceva che «al cristiano è vietato il ricorso ai mezzi d’azione specificamente mondani per un preteso incremento del regno di Dio in terra». Criticava l’integralismo di gruppi di «mammalucchi cristiani che aspirano a conquistare il mondo» e ammoniva: «Chi fa tali cose non ha esatta idea né della impotenza della croce né della onnipotenza di Dio né delle leggi proprie della potenza mondana».

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Commenti Articolo 1036

Titolo articolo : A MILANO, TUTTI A "SCOLA" DI "LATINORUM": "DEUS CARITAS EST"! ORDINE DI BENEDETTO XVI. Cancellare ogni traccia della "charitas" di Ambrogio. Una nota sull'evento, con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: June/29/2011 - 22:48:36.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/6/2011 15.51
Titolo:Scola alla conquista di Milano
Scola alla conquista di Milano

di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 28 giugno 2011)

Il cardinale Angelo Scola arriva a Milano. Lascia la sede del patriarcato veneziano per assumere la guida della più grande diocesi d’Europa. Stamane verrà dato l’annuncio ufficiale nella Sala stampa vaticana.

Benedetto XVI lo voleva sulla cattedra ambrosiana e Benedetto XVI ve lo ha messo. I sondaggi preliminari contano poco per papa Ratzinger. Quando nel 2006 si profilava la partenza del cardinale Ruini dalla carica di presidente della conferenza episcopale italiana il nunzio dell’epoca mons. Paolo Romeo - su mandato dell’allora Segretario di Stato cardinale Sodano - fece un sondaggio riservato tra i vescovi italiani per individuare una rosa di successori. In testa emerse il nome di Tettamanzi. Ma il papa non ne tenne conto. Nel 2007 - su pressione di Ruini e del nuovo Segretario di Stato Bertone - fu scelto Angelo Bagnasco.

È accaduto così anche in occasione delle dimissioni annunciate del cardinale Tettamanzi. Non corrispondeva a Scola il profilo del successore che la diocesi ambrosiana avrebbe desiderato. Ma papa Ratzinger - invece di andare alla ricerca di nuove personalità da fare crescere (come accadde quando papa Wojtyla d’improvviso scelse il biblista Carlo Maria Martini per mandarlo a Milano) - sempre più si sta circondando di persone che considera facenti parte della cerchia dei suoi intimi, teologicamente parlando.

Scola ha fatto parte del gruppo della rivista “Communio”, sorta per “raddrizzare” in senso moderato e a tratti conservatore gli sviluppi del dopo-concilio e contrastare espressamente l’ala marciante dei teologi riformatori riuniti nella rivista “Concilium”. Da una parte il riformismo conseguente, rappresentato da personalità come Yves Congar, Karl Rahner, Hans Kueng, Johann Baptist Metz, Edward Schillebeeckx, dall’altra le personalità intimorite dalla rivoluzione conciliare, convinte della necessità di salvaguardare il rapporto con la Tradizione. Con Henri de Lubac e Hans Urs von Balthasar Joseph Ratzinger fonda perciò la rivista “Communio” nel 1972.

Trentatré anni dopo Ratzinger diventa pontefice. Immediatamente, a Natale del 2005, condanna ufficialmente la teologia che considera il Vaticano II (inevitabilmente) una rottura con molti elementi della Chiesa tridentina. Collaboratore di “Communio” è stato il cardinale canadese Marc Ouellet, diventato recentemente responsabile del dicastero vaticano che si occupa dei preti di tutto il mondo (Congregazione del clero), collaboratore di “Communio” è stato Angelo Scola.

NON È TANTO l’origine ciellina che procura uno shock a quanti nella diocesi milanese sono stati fautori della linea Martini-Tettamanzi. Un cardinale che cresce di peso - come Scola - e che è arrivato nella lista dei papabili non può rimanere attaccato ad una matrice, per quanto attivissima, come Comunione e liberazione.

È la consapevolezza che - per volontà del pontefice - adesso si volterà decisamente pagina a Milano. La linea Martini-Tettamanzi ha significato che con omelie, interventi diretti o lasciando silenziosamente fare gli arcivescovi di Milano hanno favorito nell’ultimo trentennio una di riflessione teologica non sempre totalmente adagiata sul pensiero unico vaticano.

Sul piano politico, poi, Tettamanzi non ha nascosto - seppure in forme ponderate e nonostante l’asse vaticano con il centrodestra - la sua avversione alle derive becere del berlusconismo e del leghismo. E’ indubbio che alle ultime elezioni non ha ostacolato la forte mobilitazione cattolica a favore di Pisapia.

Scola, il “cardinale manager” come lo chiama Cacciari, vorrà tenere tutto sotto controllo. Teologicamente e politicamente. Ma anche per lui la realtà variegata della Chiesa milanese rappresenta una sfida
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/6/2011 10.02
Titolo:EMANUELE SEVERINO GARANTISCE PER LA "BONTA'" DELLA "SCOLA" ....
Severino: «È stato mio allievo. Da laico gli ho dato 30 e lode»

intervista a Emanuele Severino,

a cura di Gian Guido Vecchi (Corriere della Sera, 28 giugno 2011)

«Eh sì, è stato mio studente. Lucido. E bravo, molto bravo. Allora, in Cattolica, avevo la cattedra di Filosofia morale. Lui stesso mi ha fatto venire in mente che all’esame gli diedi trenta e lode, ha scritto anche delle nottate passate assieme ai suoi compagni a studiare un mio libro, La struttura originaria...» .

Il filosofo Emanuele Severino tradisce un pizzico d’orgoglio da professore, è bello vedere i propri ragazzi fare strada. Il giovane Angelo Scola si laureò verso la fine degli anni Sessanta con Gustavo Bontadini, il pensatore che fu maestro dello stesso Severino («vale tre Maritain» ), poco prima che il grande filosofo bresciano fosse allontanato dalla Cattolica, nel ’ 70, dopo aver subito un «processo» dall’ex Sant’Uffizio. Acqua passata. Con il patriarca di Venezia si rividero nel 2003, a Ca’ Foscari, per un convegno su Bontadini organizzato dall’università.

E come fu l’incontro, professore, dopo più di trent’anni?

«Ci fu il ritorno di un rapporto che non esito a dire affettuoso, di simpatia reciproca. Non so cos’avessero i vaporetti, ma quel giorno arrivai in ritardo e il cardinale Scola era già lì da tempo, puntuale, circondato da gente con l’aria ossequiosa e compunta. Il patriarca invece non aveva affatto quell’aria e mi aspettava tranquillo, all’ingresso dell’aula magna Ca’ Dolfin, seduto su un termosifone. Simpatico, semplice, affettuoso. Ci siamo incontrati di nuovo due anni fa, all’università di Padova, per un convegno sulla morte voluto da un’altra mia bravissima allieva e docente, Ines Testoni».

Che arcivescovo si devono aspettare i milanesi?

«Di altissima qualità. Un uomo che sarà capace anche di entusiasmare, e lo dico con convinzione: oltre a essere un intellettuale di grosso calibro, ha tratti di semplicità e naturalezza che non è facile trovare negli uomini di Chiesa».

Certo avete idee diverse, lei sul «Corriere» replicò al cardinale che aveva proposto di uscire dalla «immagine vecchia dell’idea e della pratica della laicità...

«È una considerazione diffusa, nel mondo cattolico. Scola diceva di non condividere la persuasione di Habermas, secondo il quale "una democrazia costituzionale, per giustificarsi, non ha bisogno di un presupposto etico o religioso". Per Scola invece ne ha bisogno. Né lui né Habermas, però, approfondivano la radice di quella persuasione. Ma proprio questo è il punto da discutere. Così io obiettavo che, impostando il problema del laicismo in quel modo, prendendosela al solito con il "relativismo", la Chiesa corre il rischio - ma è più di un rischio - di trascurare il nemico autentico della religiosità e della tradizione: la forza con cui la filosofia degli ultimi due secoli elimina la tradizione e, da Leopardi a Nietzsche a Gentile, dimostra l’impossibilità di ogni verità assoluta e quindi di ogni "presupposto".

Scola e la Chiesa non vedono l’autentico pensiero contemporaneo?

«Se è per questo non lo vede neanche il mondo laico, che continua a presentarsi in modo debole, erede com’è di una fortuna che ignora di possedere. Bisogna saper guardare il sottosuolo del pensiero contemporaneo, oltre la superficie. È come quando, nel Simposio di Platone, si dice che Socrate è un sileno: fuori è bruttissimo, è vero, però dentro è Socrate! Il sottosuolo del pensiero contemporaneo - che peraltro non dice affatto l’ultima parola, bisogna andare ben oltre - è una potenza che non viene non dico riconosciuta, ma nemmeno intravista».

L’arcivescovo saprà confrontarsi, in una città come Milano, con il mondo laico?

«Ah, questo sì, ne ha tutte le capacità ed è un uomo aperto: per quanto lo conosco, credo proprio di poterlo dire. E penso che l’incrocio con Milano sia estremamente positivo, anche perché torna un po’ dalle sue parti. Conoscendo la sua intelligenza filosofica, lo ritengo incapace di prepotenze politiche o ideologiche. È invece un uomo capace di innovazioni senza vantarsene, senza marcare troppo le differenze».

C’è chi si è mostrato preoccupato per la sua estrazione ciellina...

«Anche questa faccenda, andiamo... Francamente non me lo vedo, rinchiuso nel ruolo di animatore di un movimento, con tutto il rispetto di quel movimento: la sua statura intellettuale è superiore e va oltre».
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/6/2011 13.43
Titolo:VESCOVI E CARDINALI CHE SI TOLGONO LA TESTA. Operazione sant'Ambrogio ...
A "SCOLA" DI AUTORITARISMO: VESCOVI E CARDINALI CHE SI TOLGONO LA TESTA. Don Primo Mazzolari diceva ai suoi parrocchiani: «Quando entrate in chiesa vi togliete il cappello, non vi togliete la testa»

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Operazione sant’Ambrogio

di Aldo Maria Valli (Europa, 29 giugno 2011)

Nel 1972, durante la sua visita a Venezia, Paolo VI, nel bel mezzo di piazza San Marco e davanti alla folla, si tolse la stola e la mise sulle spalle di un imbarazzatissimo Albino Luciani, allora patriarca della Serenissima. Gesto eloquente, una vera e propria investitura. Che ebbe conferma e pratica realizzazione sei anni più tardi, alla morte di papa Montini, quando dal conclave uscì eletto proprio il timido patriarca.

All’inizio dello scorso maggio, nel corso della visita in laguna, Benedetto XVI non si è tolto la stola e non l’ha deposta sulle spalle del patriarca Angelo Scola. Non è nello stile di Joseph Ratzinger compiere gesti plateali. Ma, se non l’ha fatto, c’è anche una ragione sostanziale. Ratzinger, a differenza di molti altri dentro la Chiesa, crede nelle regole e nella collegialità.

In queste settimane che hanno preceduto la nomina di Scola a Milano si è detto e ripetuto che il patriarca di Venezia è approdato sotto la Madonnina perché fortemente voluto da Benedetto XVI. Adesso, a nomina avvenuta, sappiamo che è una verità parziale. Che Benedetto stimi Scola da molti anni è fuori discussione. Che ne ammiri le capacità di animatore culturale e di organizzatore è altrettanto certo. Ma non è vero che il papa si sia battuto per la nomina di Scola nonostante le opinioni divergenti degli altri vescovi chiamati a sottoporre al pontefice le candidature.

Anzi, è vero il contrario. Da fonti vaticane risulta infatti che per ben tre volte, davanti a una maggioranza di vescovi che, riuniti nella plenaria della congregazione, indicava una terna di nomi con Scola come candidato più forte per Milano, il papa ha rimandato indietro la proposta chiedendo un ulteriore approfondimento (o, come si dice in ecclesialese, un discernimento).

Lo ha fatto, sicuramente, non per scarsa fiducia in Scola, ma per grande considerazione della collegialità episcopale e del ruolo delicatissimo che la plenaria della congregazione per i vescovi è chiamata a ricoprire, specie quando in ballo c’è una nomina importante come quella che riguarda Milano. Solo che, dai vescovi, è arrivato sempre lo stesso responso: tre nomi, con due candidature oggettivamente deboli e una sola, quella di Scola, in grado di poter essere presa davvero in considerazione.

Al che il papa, proprio in ossequio al rispetto della collegialità, ha dato il via libera. Ora, perché la maggioranza dei vescovi (circa due terzi, a quanto risulta) ha puntato così decisamente su Scola? Paradossalmente l’ha fatto pensando di compiacere il papa. Poiché una campagna di stampa e di persuasione, sapientemente condotta e orchestrata, ha tambureggiato a lungo indicando il patriarca come candidato più gradito a Benedetto XVI, la maggioranza dei vescovi riuniti nella plenaria si è prontamente adeguata e, non volendo risultare in dissonanza con il pontefice, è diventata più realista del re (o meglio, più papista del papa).

Più che dalla strenua volontà di Benedetto XVI, il trasloco di Scola da Venezia a Milano nasce quindi da un’abile strategia di comunicazione e di persuasione messa al servizio di un candidato. Cosa che si ripeterà, c’è da scommetterlo, in caso di conclave, visto il successo di questa che, parafrasando il celebre film Operazione san Gennaro, possiamo ribattezzare Operazione sant’Ambrogio.

Sicuramente il papa non è scontento della scelta di Scola: la sua ammirazione per l’uomo e per il teologo è certa e si è consolidata nel tempo. Quanto al nuovo arcivescovo di Milano, difficile che in lui non emerga, in queste ore, un certo senso di rivincita, visto che diventa il capo di quella diocesi, che è poi la sua diocesi di nascita, nella quale quarant’anni fa non riuscì a essere ordinato prete (dovette “emigrare” a Teramo).

Sullo sfondo, in ogni caso, resta il problema: il funzionamento degli organi decisionali della Chiesa e la capacità di giudizio e di scelta di coloro (oggi i vescovi, domani i cardinali) che sono chiamati a decidere in un’epoca in cui la macchina dell’informazione, se pilotata in un certo modo, può diventare un soggetto determinante nell’orientare il consenso.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/6/2011 22.48
Titolo:Milano, entri Scola ed esca il popolo di Dio ....
DON PAOLO FARINELLA - Milano, entri Scola ed esca il popolo di Dio *

Habemus Scolam. Come volevasi dimostrare. Il cardinale Martini, malato, è andato a Roma a perorare Milano, il cardinale Tettamanzi è andato a Roma a supplicare il papa perché non interrompesse una linea pastorale che da Montini, a Colombo, a Martini e a Tettamanzi ha mantenuto di fatto la rotta sulla indicazione del concilio ecumenico Vaticano II, facendo di Milano in un certo senso il «contr’altare» della Curia Romana, il segno, seppur debole, di una ecclesiologia plurale, eppure il papa sceglie l’antico, e guarda al passato.

Amico personale del papa, garante delle idee di Joseph Ratzinger, ipergarante di Comunione e Liberazione che ora ingrassa anche all’ombra della «Madunnina», l’ex patriarca Angelo Scola prende possesso della Chiesa che fu Ambrogio con grande cipiglio e anche un pizzico di vendetta. Quando era in seminario a Milano fu mandato via per le sue impurità nei confronti di CL e ora ritorna a consacrare CL come «modello di ecclesialità» rampante che sguazza bene anche nel malaffare attraverso la Compagnia delle Opere, vero sigillo di satana.

Il papa non ha tenuto conto delle consultazioni, degli appelli dei credenti milanesi e non, dell’identikit che gruppi ecclesiali hanno prospettato, ma ha scelto «motu proprio» non secondo gli interessi della Chiesa milanese e universale, ma secondo gli esclusivi interessi suoi personali e dei gruppi che egli protegge. E’ indubbio che l’elezione di Scola a Milano è un regno di transizione, quanto basta per rompere la «tradizione ambrosiana» aperta al futuro. Il passaggio infatti di Scola da patriarca ad arcivescovo (il cardinalato è a sé anche perché resta una carnevalata), formalmente è una retrocessione perché per il protocollo il patriarca di Venezia è titolo onorifico che precede il cardinale e l’arcivescovo.

Se addirittura c’è una retrocessione protocollare, significa che la posta è alta e gli interessi sono cogenti: Scola deve garantire la rottura, anzi la discontinuità tra i suoi predecessori e il suo successore. Milano deve rientrare nell’orbita della Curia Romana e non deve permettersi di assumere posizioni differenziate nei confronti della società civile (non credenti, divorziati, matrimonio, politica e politica governativa) e tutto deve essere riportato all’obbedienza «pronta e cieca» di memoria fascista.

Scola vuol dire: sguardo, cuore, reni, fegato e frattaglie rivolte a Trento, anzi più indietro, verso il tempo avanti Cristo, quando si stava sicuri anche dei sospiri perché chi dissentiva veniva fatto fuori, come poi imparò bene la chiesa medievale. La nomina di Scola è una lettura del pontificato ratzingheriano sul quale ormai è morta non solo la speranza, ma anche l’ipotesi di speranza. Un papato chiuso in se stesso, diffidente di se stesso, un papato che ha come segretario di Stato un Bertone qualunque (perché un qualunquista come Bertone, è difficile trovarlo anche con la lanterna di Diogene) non può che volere uno Scola a Milano.

L’elezione di Scola a Milano è anche un contro bilanciamento all’elezione «laicista» di Pisapia a palazzo Marino, eletto da buona parte di cattolici. Ora le distanze torneranno di sicurezza, di sorveglianza e tutto quello che varerà la giunta in materia di diritti civili ecc. sarà spiato, soppesato, contraddetto, distanziato.

Che pena vedere le foto di Scola che brilla nei suoi polsini dorati, nel suo orologio d’oro, nella sua croce d’oro, nella sua gualdrappa rosso porpora, nel suo cappello a tre punte, rigorosamente rosso. Mi chiedo se uno vestito così poteva entrare nel cenacolo o se non stava meglio alla corte di Nabucodònosor tra i satrapi e gli eunuchi di corte. Ora è l’ora della Chiesa intesa come popolo di Dio: o rialza la coscienza e la schiena, magari piegando le ginocchia, o si sotterra e perde il diritto di lamento perché il «mugugno» solo a Genova è gratis.

E’ il tempo dei laici che non possono più lasciarsi trattare da chierichetti cresciuti e rincitrulliti. Ora è il tempo delle sorprese. Le sorprese del popolo di Dio che può essere capace di convertire i vescovi come i poveri fecero con Mons. Oscar Romero, con Mons. Hélder Cámara e tanti altri. Entri Scola ed esca il popolo di Dio.

Don Paolo Farinella

* MICROMEGA, 29 giugno 2011

http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2011/06/29/don-paolo-farinella-milano-entri-...

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Commenti Articolo 1037

Titolo articolo : NON CHIUDERE UN OCCHIO, MA APRIRE GLI OCCHI: RIDISEGNARE UN MONDO MIGLIORE! Le donne, gli uomini e la più grande bugia della storia. Una nota di Luciana Castellina - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: June/28/2011 - 17:43:08.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 28/6/2011 17.43
Titolo:"Se non ora quando" . Stati generali del movimento il 9 e 10 luglio.
- Stati generali del movimento il 9 e 10 luglio.
- Comencini: vogliamo che la nostra rete resti in piedi

- Riecco le donne di "Se non ora quando"
- "A Siena per cambiare il Paese"

- "Lavorano come gli uomini ma guadagnano meno: dati Istat sconfortanti"

- di Silvia Fumarola (la Repubblica, 28.06.2011)

ROMA - Le donne sono abituate a non arrendersi; se cominciamo qualcosa, difficilmente mollano a metà strada. Ma perché la condizione femminile cambi veramente bisogna impegnarsi a fondo, far sentire la propria voce, senza dare niente per scontato, senza incertezze: per questo, dopo aver portato un milione di persone in piazza, le donne di "Se non ora quando?" organizzano la grande manifestazione a Siena del 9 e 10 luglio, perché «l’Italia diventi davvero un paese per donne». Indietro non si torna ma dopo il 13 febbraio, e la conferma che c’era una grande voglia - dapprima silenziosa - di cambiare, non si sono fatti grandi passi avanti.

Adesso gli oltre 120 comitati locali, nati in quell’occasione, si incontreranno nella città toscana, nel complesso di Santa Maria della Scala per una sorta di Stati generali della condizione femminile, un momento di confronto con le donne di tutta Italia, sui temi fondamentali: la vita quotidiana, il lavoro, l’immagine femminile, il ruolo nella società, la difficoltà enorme di conciliare famiglia e professione. Quante sono le donne nelle stanze dei bottoni? Ancora troppo poche. Linda Laura Sabbadini dell’Istat fornirà dati sconfortanti e l’economista Tindara Addabbo spiegherà come le donne siano ancora discriminate: lavorano come gli uomini, ma guadagnano meno.

«Vogliamo che la rete resti in piedi» chiarisce la regista Cristina Comencini «e si allarghi il più possibile; se siamo riuscite a portare tanta gente in piazza è stato grazie al web, al confronto continuo con tante donne diverse, in tutto il Paese. È fondamentale mettere insieme le esperienze e confrontarci, c’è stato un risveglio lo scorso inverno che è prezioso, le energie non vanno disperse. Partendo dalla difesa del corpo delle donne adesso vogliamo andare avanti, mettere al centro il lavoro. I dati parlano chiaro: le 800mila italiane costrette a lasciare il loro impiego dopo una gravidanza, l’esercito di precarie e disoccupate - eppure, è appurato, le donne sono le più efficienti e preparate - sono la dimostrazione che questo non è un Paese per donne. Il campo non lo lasciamo, anche se ci rendiamo conto che il nostro progetto di cambiamento è molto ambizioso».

Ma le donne riunite alla Fnsi (tra cui Francesca Comencini e Lunetta Savino, fondatrici del movimento) dov’è stata presentata la nuova iniziativa - che prevede anche una sottoscrizione online per la due giorni senese, sul sito di "Se non ora quando?" - hanno l’aria di voler andare fino in fondo. «Vogliamo coinvolgere gli uomini e farci sentire perché la politica» come spiega la Comencini «non può non farsi contagiare da un movimento che dal Nord al Sud ha scosso il Paese». «Il 13 febbraio ha fatto esplodere un processo già in corso» aggiunge la sindacalista Valeria Fedeli «e ciò che sta avvenendo dice che una parte della società civile si è svegliata. Non dobbiamo mollare, anche se c’è un pezzo della politica e delle istituzioni che si muove per bloccare questo movimento, come dimostrano le ultime decisioni sull’età pensionabile. A Siena sarà un atto fondativo pubblico».

Siena diventerà per due giorni "la città delle donne": sono previsti sconti ed iniziative, come anticipa Tatiana Campioni, direttrice del Complesso di Santa Maria della Scala. «Per noi è un’iniziativa bellissima, speriamo davvero che tante donne, insieme, riescano a fare la differenza». «Cambiare» è il verbo più ripetuto. «Perché per cambiare davvero va combattuta una battaglia culturale» dice Lunetta Savino «il mondo ha bisogno dello sguardo delle donne, capace di andare a fondo nelle cose e modificarle. E va rinnovato anche il linguaggio, il modo di far sentire la protesta. Non a caso, all’inizio, abbiamo usato lo strumento del teatro, portando in scena lo spettacolo "Libere"».

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Commenti Articolo 1038

Titolo articolo : Una tavola rotonda discute la crisi dei diritti umani in Iran,

Ultimo aggiornamento: June/24/2011 - 10:43:21.

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Autore Città Giorno Ora
filippo angileri trapani 24/6/2011 10.43
Titolo:Una tavola rotonda discute la crisi dei diritti umani in Iran.
Ringrazio per la pubblicazione dell'articolo ed invio cari e fraterni saluti
filippo

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Commenti Articolo 1039

Titolo articolo : CONVIVIALISMO E CRISTIANESIMO. ECO-NOMIA DELLA RICCHEZZA E CARESTIA O DELL'EU-CHARISTIA?! Il tentativo di cattolici e cattoliche di togliersi il cappello, ma non la testa, quando entrano in Chiesa. Una nota di Vittorio Cristelli e la lettera invito del gruppo di "il vangelo che abbiamo ricevuto" - con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: June/24/2011 - 06:42:25.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 24/6/2011 06.42
Titolo:Referendum e profezie ....
Referendum e profezie


di Vittorio Cristelli


in “vita trentina” del 26 giugno 2011


Gli ultimi avvenimenti stanno parlando anche alla Chiesa. Chiamateli segno dei tempi, chiamateli
kairòs, o più terra-terra opportunità, ma qui sta parlando lo Spirito Santo. Lo si percepisce anche nel
linguaggio dell'amore che viene usato.


Prendiamo l'esito del referendum. La lettura che ne fa il sociologo Ilvo Diamanti fa risaltare "il
valore del bene comune e il bene comune come valore". Signori, questa è dottrina sociale della
Chiesa e lo dico non perché la Chiesa debba metterci il cappello, anzi spero che non lo faccia, ma è
un riapparire come polla di un fiume carsico di un valore che sembrava desueto, ignorato, messo in
naftalina. Sarà una riscoperta laica ma ha il sapore della profezia, magari straniera ma non per
questo meno ascoltabile. A proposito, il presidente della Cei card. Bagnasco definiva nella sua
ultima relazione la politica corrente italiana "inascoltabile" Ebbene, qui risuona come scrive,
sempre a commento del referendum, Stefano Rodotà "una rinnovata attenzione alla politica, ad
un'altra politica". Quella del bene comune appunto che traspare non solo dal quesito sull'acqua –
bene comune, ma anche da quello sul nucleare come difesa dell'ambiente e della vita prima di tutto
umana ma anche vegetale e animale. E bene comune è pure l'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte
alla Legge, oggetto del quarto quesito.

Ma c'è di più e di esplicito in tema di amore. Ancora Ilvo Diamanti legge nell'esito referendario un
ricomparire di valori come "l'altruismo e la solidarietà'; echi e traduzioni nella vita di tutti i giorni
dell'evangelico amore del prossimo. Anche per questi si può parlare di eclissi. Infatti fino a ieri a
parlare di altruismo e condivisione in politica si passava per buonisti e ignoranti.

Ma come non ricordare che anche al recente Festival dell'Economia di Trento sono risuonati accenti
cristiani. Uno per tutti Zygmunt Bauman che ha proposto come alternativa all'economia neoliberista
del profitto, il criterio dell'amore. Che ha intrinsecamente la caratteristica di crescere uanto più
crescono i commensali. A differenza dell'interesse egoistico che cala proporzionalmente al crescere
dei pretendenti.


C'è un altro aspetto di rilievo nella modalità con cui si è realizzato il consenso attorno ai quesiti
referendari. È dimostrato che i canali decisivi sono stati il passa-parola, i contatti personali sulla rete
Internet e sui telefonini. Si è così raggiunta una maggioranza di "sì" che è andata oltre il 95%. Per
favore non chiamatela "maggioranza bulgara', perché quella era prodotta dal timore mentre questa è
stata un inno di libertà e partecipazione.


Ne ho già parlato ma vale la pena ritornarci. Anche nella Chiesa c'è un rifiorire di opinione pubblica
sulle vie dell'etere. Sono strade percorse soprattutto da quello che si chiama "Chiesa del disagio";
che rifiuta di essere considerata Chiesa del dissenso e chiede solo di essere ascoltata. Come
auspicava e suggeriva nel noto incontro a Roma sulla "blogosfera', p. Lombardi non sospettabile di
essere un dissidente perché direttore di Radio Vaticana e della sala stampa del Vaticano.


Lo Spirito spira dove vuole e quando si parla di amore, di altruismo, di solidarietà non c'è ombra di
dubbio che lì dentro c'è lo Spirito. Che profetizza. E si sa che molte sono le profezie e tra di esse ci
sono anche quelle straniere che non hanno il timbro della gerarchia ma che pure devono essere
ascoltate. E questo è un criterio che vale soprattutto oggi in tempo di globalizzazione, di
mescolanze tra popoli e di interdipendenza per cui quello che succede in una parte del mondo incide
su tutto il globo.

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Commenti Articolo 1040

Titolo articolo : LA TRASFORMAZIONE "MOLECOLARE" DELLA COSTITUZIONE E MORTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA. La lettera aperta dei "ragazzi di Barbiana" al Presidente Napolitano e una riflessione dalle "Lettere dal carcere" di Antonio Gramsci, con appunti,a cura di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: June/19/2011 - 21:58:56.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/4/2011 15.06
Titolo:La Magna Charta di don Milani ...
La Magna Charta di don Milani

di Roberto Beretta (Avvenire, 13 aprile 2011)

Don Milani garante della Costituzione. Per chi conosce il Priore, non è affatto una novità: «Tutti i cittadini sono uguali senza distinzione di lingua», citava la Lettera a una professoressa; «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», stava scritto nella Lettera ai cappellani militari che costerà all’autore un processo per apologia di reato. È tuttavia alquanto curioso che due suoi discepoli, due fratelli di sangue - Michele e Francesco Gesualdi -, in modo praticamente contemporaneo benché da prospettive politiche differenti evochino la figura del prete toscano per difendere la nostra Carta fondamentale, tirando in ballo - in modi diversi - il presidente Napolitano in quanto garante appunto della Costituzione.

Francuccio, infatti, ha appena firmato con altri ex alunni di Barbiana una veemente lettera aperta in cui chiede al Quirinale - «nello spirito di don Milani» - di pronunciarsi con un pubblico messaggio a difesa della Costituzione e di praticare l’«obiezione di coscienza ogni volta che è chiamato a promulgare leggi che ne insultano nei fatti lo spirito».

Il fratello maggiore Michele invece, già presidente della Provincia di Firenze, ha invitato il medesimo presidente della Repubblica a seguire (forse avverrà a settembre) il «percorso costituzionale » che la Fondazione Don Lorenzo Milani inaugura sabato alle 11 a Barbiana, alla presenza del presidente della Corte costituzionale Ugo De Siervo. Un sentiero appositamente ripristinato (è lo stesso percorso a piedi dal sacerdote fiorentino la prima volta che giunse nella sua destinazione «punitiva») che si snoda per oltre un chilometro lungo il bosco, fino alla canonica del Mugello dove don Lorenzo visse dal 1954 al 1967 e dove è sepolto.

Un grande «libro di strada» permanente costituito da 44 cartelloni con gli articoli della «magna charta» italiana, illustrati dagli studenti di alcune scuole della Penisola (Rovereto, Firenze, Milano, Montebelluna, Pieve a Nievole...). Un percorso didattico che, d’ora in poi, sarà obbligatorio per le migliaia di giovani che ogni anno si recano in pellegrinaggio civile nella sperduta eppure «centrale» località: nemmeno oggi, infatti, i pullman arrivano fin lassù e dunque tutti i visitatori percorreranno l’ultimo tratto a piedi sotto l’ombra delle nuove bacheche «costituzionali». Un’ottima introduzione alla «lezione» che poi riceveranno nella scarna aula dove si faceva scuola 365 giorni l’anno, 10 ore al giorno, e senza annoiarsi.

Lì sono cresciuti anche fisicamente i due Gesualdi (il Priore li aveva praticamente adottati e sono gli unici allievi citati per nome nel suo testamento) ed è sintomatico che oggi, ragionando sulla situazione del Paese e anche come segno per il 150° dell’unità, abbiano avuto uno spunto simile: ricorrere al libro che il loro maestro indicava come garanzia per poter essere cittadini sovrani.

«Lo studio della Costituzione era costantemente presente nell’insegnamento di don Milani - testimonia Michele -. Se ne trovano ampi riferimenti in Esperienze pastorali, nella Lettera ai cappellani militari e in quella ai giudici, in Lettera a una professoressa e nelle lettere pubblicate postume. Alla scuola di Barbiana il suo studio era molto considerato, non solo come legge fondamentale, ma anche come punto di equilibrio sociale capace di indicare soluzioni per la costruzione di una società diversa». Lo testimoniano ancor oggi vari grafici su temi di educazione civica (il diritto al voto, la storia del Parlamento dal 1921 al 1968, l’iniquità fiscale, la piramide della selezione scolastica, il diritto al lavoro...) che stavano appesi al muro dell’aula di Barbiana e oggi sono riprodotti nel percorso didattico.

La Costituzione era considerata dal Priore un’arma fondamentale di difesa degli ultimi, i figli dei contadini semi-analfabeti ai quali egli voleva fornire la cultura come mezzo per emanciparsi da una situazione di inferiorità economica e sociale; il Vangelo infatti vale solo per i credenti, ma la Costituzione - quella - è obbligatorio rispettarla.

Non per nulla il prete Milani nella Lettera ai cappellani militari rinuncia ad usare argomenti religiosi (troppo facile dimostrare che Gesù era contro la violenza!) e scegli di basarsi solo sulla carta repubblicana fondamentale.«Agli occhi dei barbianesi - sostiene ancora Michele Gesualdi - i valori e le promesse costituzionali apparivano elementi di grande novità con una forte carica innovativa, tesa al riscatto delle persone deboli. È proprio a quella società diversa che guarda don Lorenzo e forma i suoi ragazzi ad impegnarsi nella vita per eliminare le disuguaglianze che creano ingiustizie sociali. Quando il contadinello Luciano che, per andare a scuola, cammina solo solo nel bosco per più di un’ora e mezzo, cade in un fosso d’acqua che sbarra la strada rischiando di affogare, don Lorenzo trasuda d’indignazione e sdegno e reagisce insieme ai ragazzi della scuola impugnando di fronte al sindaco di Vicchio l’articolo 3 della Costituzione: la Repubblica si impegna a rimuovere gli ostacoli economici e sociali che limitano di fatto l’eguaglianza di tutti i cittadini...

E ottiene che venga costruita una passerella sul ruscello. Oggi che si invoca da più parti una revisione della Costituzione, sarebbe utile rammentare come - per il Priore - «le leggi degli uomini sono giuste quando sono la forza del debole... e non sono giuste quando sanzionano il sopruso del forte».

Ne conviene il presidente della Fondazione Don Milani, sostenendo che i valori costituzionali sono semmai da rafforzare: «Sembra lontana la tensione morale di quando don Lorenzo indicava nella Costituzione il fondamento e la formazione civile dei suoi ragazzi. Allora nessuno metteva in discussione l’attualità e la lungimiranza della nostra Carta. Oggi il clima è un po’ diverso, non è più unanimemente riconosciuta la fecondità di quel documento; ma proprio per questo si rende più necessario riproporne la forza». Magari facendo quattro passi in Mugello, sulle pendici del Monte Giovi, destinazione Barbiana.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/6/2011 21.58
Titolo:Primo Levi su «un oceano dipinto» ...
Primo Levi su «un oceano dipinto»

di Sergio Luzzatto (Il Sole-24 Ore, 19 giugno 2011)

Primo Levi ha parlato molto di sé, nei quarant’anni compresi fra la pubblicazione di Se questo è un uomo e l’abbreviata fine della sua vita. Tuttavia, c’è una dimensione del suo racconto che noi continuiamo a ignorare per la maggior parte: è la dimensione duale (e intima, o comunque più privata che pubblica) del Levi scrittore di lettere. Fino a oggi l’epistolario è rimasto disperso, e quasi interamente inedito. Da qui l’importanza delle trouvailles, i rinvenimenti fortunosi. Come la lettera pubblicata in questa pagina, risalente al maggio 1965 e collegata a una precisa circostanza editoriale: la pubblicazione in Gran Bretagna e negli Stati Uniti della traduzione inglese de La tregua.

Due anni prima, nel 1963 (sedici anni dopo l’esordio ben poco fragoroso di Se questo è un uomo, e cinque anni dopo la più fortunata riedizione Einaudi), l’uscita della Tregua aveva dischiuso a Levi le porte del riconoscimento letterario: terzo classificato al premio Strega, vincitore del premio Campiello. Il racconto dell’avventuroso ritorno da Auschwitz - oltre sei mesi nel 1945 per ritrovare l’Italia, dopo un periplo attraverso la Polonia, la Russia, l’Ucraina, la Romania e l’Ungheria - aveva conferito a Levi, chimico di professione, lo status non più soltanto di un memorialista del Lager ma di un narratore a pieno titolo. E non soltanto in Italia, anche all’estero. Mentre le edizioni britannica e americana di Se questo è un uomo erano uscite, fra 1959 e 1961, per due editori di nicchia, a tradurre La tregua nel ’65 erano ormai due case di prima grandezza, Bodley Head e Little Brown.

Nonostante questo, entrambe le edizioni conobbero un fiasco: per sfondare presso il pubblico anglosassone Levi avrebbe dovuto attendere gli anni Ottanta, con la traduzione del Sistema periodico. Invece, fin dal 1961 aveva sfondato in Germania con la traduzione tedesca di Se questo è un uomo: cinquantamila copie vendute in pochi mesi... E un dialogo diretto con decine di lettori tedeschi, che avevano voluto scrivere all’autore e ai quali l’autore aveva risposto, inaugurando scambi epistolari anche distesi nel tempo.

Tale essendo il contesto d’origine della lettera ritrovata, in che cosa la missiva partita da Torino il 23 maggio 1965 verso un indirizzo postale del Massachusetts può contribuire significativamente alla nostra conoscenza di Primo Levi? L’inedito si rivela prezioso sia per documentare il rapporto con uno scrittore-chiave del suo pantheon letterario, il poeta romantico inglese Samuel T. Coleridge, sia per illuminare la genesi di un progetto editoriale che Levi coltivò nei primi anni Sessanta e che - dopo essere fallito in quanto progetto a sé stante - sarebbe sfociato nell’ultimo capitolo dell’ultimo suo libro.

Che Coleridge sia stato, con la tardosettecentesca Ballata del vecchio marinaio [CFR.: http://www.ilsole24ore.com/pdf2010/SoleOnLine5/_Oggetti_Correlati/Documenti/Cultura/2011/The-Rime-of... , un autore-feticcio di Primo Levi, è cosa nota. Più volte Levi ha descritto il se stesso del 1946, straziato reduce di Auschwitz, come «simile al Vecchio Marinaio di Coleridge, che abbranca in strada i convitati che vanno alla festa per infliggere loro la sua storia di malefizi». Quando Levi avesse letto la Ballata per la prima volta non è dato di sapere con esattezza. Di sicuro, nel 1984 il sentimento di identificazione con il personaggio di Coleridge lo avrebbe spinto a intitolare con un verso del poemetto la principale sua raccolta di poesie, Ad ora incerta. E nel 1986 lo avrebbe spinto a riprendere (nell’originale inglese) l’intera strofa di quel verso come esergo del suo libro fondamentale e testamentario, I sommersi e i salvati.

La lettera del 1965 pubblicata qui per la prima volta [CFER.: http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-06-17/primo-levi-oceano-dipinto-173901.shtml?grafici] offre un complemento d’informazione tanto suggestivo quanto istruttivo alla storia del rapporto di Levi con Coleridge. Attesta infatti come già all’epoca della traduzione inglese della Tregua lo scrittore torinese avesse immaginato di intitolare un suo libro con parole tratte dalla Ballata del vecchio marinaio. A fronte dei due titoli scelti rispettivamente dall’editore britannico e dall’editore statunitense - il letterale, ma «sofisticato» The Truce e il «molto insipido» The Reawakening, il risveglio - l’autore ne avrebbe preferito un terzo che trovava «molto bello», Upon a painted Ocean: «sopra un oceano dipinto», il verso n. 118 del poemetto di Coleridge. Così, già nel ’65 l’odissea del ritorno da Auschwitz si presentava a Primo Levi nella forma di una navigazione (il titolo italiano da lui inizialmente pensato per la Tregua era Vento alto) che attribuiva al marinaio il ruolo insieme fatidico e fatale dell’unico superstite.

Non meno notevole la seconda parte dell’inedito, quella relativa al «progetto tedesco». In pratica, si trattava dell’idea di raccogliere in volume le lettere che l’autore aveva ricevuto dai lettori tedeschi di Se questo è un uomo, unitamente alle sue proprie lettere di risposta. Era questo un progetto che Levi aveva presentato all’Einaudi nel gennaio 1963 e che la casa editrice aveva sottoposto all’attenzione del suo germanista di riferimento, Cesare Cases. Il quale Cases, benché fosse da sempre un estimatore di Levi, aveva poi dimostrato (apprendiamo dall’inedito) ben poco interesse. Da qui - «il campo è libero, e le lettere sempre a Sua disposizione» - la scelta di Levi di rimettere il «progetto tedesco» nelle mani di un suo interlocutore d’oltreoceano: il destinatario della missiva ritrovata, Kurt H. Wolff.

Ecco un nome che fa capolino per la prima volta, o quasi, nella ricostruzione del paesaggio biografico di Primo Levi. Nome peraltro assai noto agli studiosi di sociologia, se è vero che Wolff, nato in Germania nel 1912 ed emigrato in America nel 1939, fu esponente fra i maggiori della scuola sociologica tedesca in esilio, e sarebbe giunto negli anni Settanta a occupare la carica di presidente dell’American Sociological Association. Levi lo aveva probabilmente conosciuto fra il 1963 e il ’64, quando il professore della Brandeis University aveva trascorso un anno sabbatico in Italia: quell’Italia dove era emigrato ventunenne nel 1933, dopo la presa al potere di Hitler, e dove si era laureato a Firenze con una pioneristica tesi di sociologia della cultura.

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Titolo articolo : “CREDO NELLO SPIRITO SANTO”. Un testo di Monsignor Guy-Marie Riobé, vescovo di Orléans (membro dell’Union fondata da Charles de Foucauld),

Ultimo aggiornamento: June/19/2011 - 15:21:33.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/6/2011 15.21
Titolo:IL PADRE NOSTRO ... IL DIO CHE CI INDUCE IN TENTAZIONE?
"Signore, insegnaci a pregare" (Lc., 11.1)

Dio è Amore - Deus charitas est

PRIMA LETTERA DI GIOVANNI (1 Gv.: 4, 1-16).

Carissimi, non prestate fede a ogni ispirazione, ma mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono comparsi nel mondo. ... Dio è Amore

Charissimi, nolite omni spiritui credere, sed probate spiritus si ex Deo sint: quoniam multi pseudoprophetæ exierunt in mundum.... Deus charitas est

***

O AMORE,

SPIRITO SANTO

PADRE NOSTRO,

CHE SEI NEI CIELI,
SIA SANTIFICATO IL TUO NOME,
VENGA IL TUO REGNO,
SIA FATTA LA TUA VOLONTA’
COME IN CIELO COSI’ IN TERRA.

TU CI DAI OGGI IL NOSTRO PANE PIU’ SOSTANZIOSO,
E RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI
COME NOI LI RIMETTIAMO AI NOSTRI DEBITORI.
TU NON CI INDUCI IN TENTAZIONE
MA CI LIBERI DAL MALE.
COSI E’: COSI SIA.
AMEN.

****

Dio ci induce in tentazione?

di Hervé Giraud

in “www.temoignagechretien.fr” del 17 giugno 2011
(traduzione: www.finesettimana.org)

Nel Padre Nostro, ogni parola ha la sua importanza. Mentre la Conferenza episcopale francese lavora ad una nuova traduzione liturgica francofona della Bibbia, Mons. Giraud, vescovo di Soissons, ha voluto offrire ai lettori del suo blog - e ai cattolici in generale - la sua visione di una frase particolarmente importante del vangelo di Matteo: “Non indurci in tentazione”. Se questa frase sarà cambiata, bisognerà abituarsi a dire questa preghiera in modo diverso. Se no, la riflessione proposta pubblicamente dal vescovo permette, a suo avviso, di comprendere meglio il rapporto dei cattolici con la tentazione. Questo dibattito c’è stato del resto anche tra gli anglosassoni che stanno mettendo a punto il loro nuovo messale e dovrebbero utilizzarlo a partire dall’Avvento 2011.

«La nuova versione del Padre Nostro è apparsa nella liturgia cattolica in Francia con la messa della Veglia pasquale del 1966. Una richiesta poneva problema sia dal punto di vista teologico che da quello esegetico o filosofico: “Ne nous laissez pas succomber à la tentation” (non lasciarci soccombere alla tentazione) era diventato “Ne nous soumets pas à la tentation” (non sottoporci alla tentazione). Attualmente, nessuno è soddisfatto della traduzione ecumenica della sesta richiesta del Padre Nostro. In effetti, questa traduzione presuppone una certa responsabilità di Dio nella tentazione che ha condotto al peccato, al male.

La parola peirasmos potrebbe certo essere tradotta con “prova” e non con “tentazione”. Ma “non sottoporci alla prova” sembra chiedere a Dio di farci rifuggire dalla condizione umana normale, segnata dalla prova.

La traduzione letterale del testo greco di Matteo 6,13 dovrebbe essere “Ne nous induis pas en tentation” (non indurci in tentazione) o “Ne nous fais pas entrer en (dans la) tentation”, “Ne nous introduis pas en tentation” (non farci entrare, non introdurci nella tentazione). Il verbo eisphérô significa etimologicamente “portare dentro”, “far entrare”. La tentazione è vista come un luogo nel quale Dio ci introdurrebbe. Ma Dio potrebbe “introdurci” in tentazione? Questo verbo esprime un movimento locale verso un luogo dove si penetra. Fa pensare a Gesù, quando è condotto dallo Spirito nel deserto per esservi tentato (Mt 4,11), o anche nel Getsemani: “Priez pour ne pas entrer en tentation” (pregate per non entrare in tentazione) (Mt 26,41). Ora, in tutto il Nuovo Testamento, non è mai detto che Dio tenti la sua creatura umana. La formula sembra supporre che Dio possa tentare l’uomo, mentre è il diavolo che si incarica normalmente di questa operazione. Dio non è l’autore della tentazione.

Sono state studiate diverse traduzioni. “Ne nous soumets pas à la tentation” (non sottoporci alla tentazione): questa traduzione evoca l’immagine di un Dio che fa subire la tentazione e che sarebbe come l’autore della tentazione. “Fais que nous n’entrions pas en (dans la) tentation” (fa che non entriamo in tentazione): questa traduzione cerca di scagionare Dio dall’essere l’autore della tentazione. “Ne nous fais pas entrer dans la tentation” (non farci entrare in tentazione): certo, “entrare in tentazione” non significa necessariamente soccombervi, ma significa entrare in quella situazione critica in cui Satana (il Male) comincia a raggiungerci e in cui noi rischiamo, a causa della nostra debolezza, di lasciarci vincere. Tuttavia rischia di designare ancora una certa responsabilità di Dio nella tentazione.

“Ne nous laisse pas entrer en tentation” (non lasciarci entrare in tentazione); questa traduzione sarebbe la migliore anche perché si avvicinerebbe ad una fonte letteraria aramaica. In francese “lasciar fare” vuol dire “non impedire”. “Non lasciar fare” ha il senso positivo di “impedire”. Dio può permettere che noi entriamo nella tentazione e darci la forza di poterne “uscire”.

Dio non ci tenta, ma ci mette talvolta alla prova permettendo a Satana (il Male) di tentarci per purificarci. Con questa traduzione, noi supplichiamo Dio “Non permettere neppure che entriamo in tentazione”. Noi gli chiediamo di intervenire in nostro favore per allontanare dalla nostra strada un pericolo temuto, quello di rischiare di essere separati da Lui e dal suo Popolo.

La traduzione liturgica della Bibbia potrebbe quindi scegliere di proporre “E ne nous laisse pas entrer en tentation” sulla base di Matteo 26,41. Già la Bibbia di Segond del 1964 riprendeva l’espressione “Ne nous laisse pas entrer en tentation”, come farà la Bibbia di Gerusalemme del 2000. La sua introduzione nel Padre Nostro della messa e nell’uso corrente attende un accordo dei vescovi, di tutte le Chiese e le Comunità ecclesiali francofone, perché è importante che i cristiani continuino a dire insieme la preghiera che il Signore ha insegnato.»

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Commenti Articolo 1042

Titolo articolo : LA PREGHIERA CHE GESU' HA INSEGNATO E IL DIO CHE INDUCE IN TENTAZIONE.

Ultimo aggiornamento: June/19/2011 - 14:22:52.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/6/2011 14.22
Titolo:“Credo nello Spirito Santo”. Lo Spirito, secondo Monsignor Riobé ...
Lo Spirito, secondo Monsignor Riobé


di Guy-Marie Riobé
in “www.baptises.fr” del 10 e 12 giugno 2011 (traduzione: www.finesettimana.org)


“Credo nello Spirito Santo”: con questo titolo, in una serie intitolata “Une brassée de confessions
de foi”, per iniziativa di Henri Fesquet, “Le Monde” del 10 luglio 1978 ha pubblicato questo testo
di Monsignor Guy-Marie Riobé, vescovo di Orléans (membro dell'Union fondata da Charles de
Foucauld). Otto giorni prima della sua morte.

Quando potremo allora, liberati dalle nostre formule esangui e dalle nostre astrazioni, confessare la
nostra fede nello Spirito Santo con una parola capace di andare da cuore a cuore, come una fiamma
ne chiama un'altra?

Credere nello Spirito, è credere nella vita, è credere che ogni vita avrà in Lui, definitivamente,
vittoriosamente, l'ultima parola su tutte le fatalità di disgregazione, di immobilismo e di morte.

Credere nello Spirito, è credere nella storia come storia di salvezza, storia di liberazione dell'uomo,
di tutti gli uomini.
Credo allo Spirito Santo non come ad una porta aperta per evadere, ma come alla sola speranza che
possa, in definitiva, animare la storia degli uomini.

Credo nello Spirito che anima oggi le grandi spinte di liberazione che tendono verso una
universalità umana concreta, diversa, capace quindi di comunione fatta attraverso l'uguale dignità e
il libero incontro dell'uomo e della donna, delle etnie, delle culture.

Credo nello Spirito che vibra nelle grida del Terzo Mondo come un appello alla condivisione dei
beni della terra, al rispetto dei popoli a lungo disprezzati, al dialogo delle civiltà riconosciute nelle
loro differenze e nella loro originalità.

Ogni uomo è mio fratello perché siamo tutti figli di uno stesso amore. Ogni uomo è sacro per me
perché ogni uomo è figlio di Dio.
E Credo nello Spirito che nello stesso tempo fa crescere nei nostri paesi, in maniera talvolta
selvaggia, sconcertante, una grande sete di senso.

È fuori dalle nostre Chiese, lo so, che molti uomini cercano quel Dio d'amore che solo lo Spirito
può farci conoscere ed amare. Mi dispiace, ma li capisco. Tutte le istituzioni, tutti i segni, anche i
più sacri, si degradano se non accettano ad ogni primavera di cambiar pelle, a qualsiasi costo, anche
a costo di accettare lacerazioni e sofferenze. Le nostre comunità, come tutte le istituzioni, non
sfuggono al tempo e alla sua usura.

La Chiesa, in diversi momenti della sua storia, ha avuto paura dello Spirito, ha smesso di essere
mistica e creatrice per diventare giuridica e moralizzatrice. Allora le burrasche dello Spirito hanno
soffiato alla sua periferia e a volte contro di lei in una grande esigenza di vita creatrice, di giustizia e
di bellezza. “Ci sono atei che grondano parola di Dio”, diceva Péguy, ed è tuttora vero.

Credo che Dio ci accompagni tutti nella nostra avventura umana e che solo la sua presenza sia
eterna, e non le strutture, le parole, le immagini che, a poco a poco, nel corso dei secoli, abbiamo
adottato per dire a noi stessi la sua presenza tra noi. La nostra Chiesa non ha nulla da temere dalle
critiche che le vengono da altri, se sa ascoltarle come un appello di Dio.

Essa non può sprangare le porte per disporre più sicuramente di se stessa. Essa riceve ad ogni
istante da Dio per essere continuamente inviata, immersa nel mondo, povera, modesta, fraterna,
messaggera di gioia, prestando la sua voce ai poveri, agli uomini che vengono torturati o uccisi, a
tutti coloro che ci gridano silenziosamente il Vangelo.
È questa per la Chiesa, e per ogni cristiano, la necessità, talvolta l'urgenza, di discernere e di
fondare la ragione dei propri atteggiamenti, delle proprie reazioni davanti a tutti i grandi movimenti
della storia.
Discernere senza spegnere o contristare il libero sgorgare dello Spirito e della vita che suscita.

Così potremo ritrovare l'attualità di quei grandi risvegli umani, venuti dal cuore dell'uomo comedelle pentecoste successive. È Dio che, attraverso tutta quella corrente che chiamiamo profetica,
difende la sua opera, impedisce che sia mutilata o paralizzata. In questo, e negli aspetti più
quotidiani della vita, c'è un vero dono dello Spirito in tanti veri viventi che non cessano di
reinventare l'amore e la gioia profonda di essere. Scaturisce a volte alla superficie della storia,
come un Dom Helder Camara, ad esempio. La Chiesa deve di nuovo lasciare che la parola di Dio
fecondi la storia.

...
In queste contingenze necessarie, la mia fede cerca sempre al di là.
Mi auguro che tra cristiani, di nuovo divisi, possiamo essere capaci di celebrare insieme, nella fede
più pura, il nostro amore per Gesù Cristo che superi le nostre dispute di un tempo.

Mi auguro che tra credenti, alla ricerca del nostro unico Dio d'amore, sia possibile riunirci qualche
volta, anche se nel silenzio delle nostre preghiere differenti, nell'unità dello stesso e solo Spirito che
ci fa gridare Abba, Padre.

Mi auguro che tra uomini possiamo mettere in comune tutte le nostre forze d'amore perché i giovani
di domani conoscano la fine dell'ingiustizia e dell'odio
Così sono in comunione con la speranza di tutti coloro che sono convinti che una terra di rispetto, di
giustizia, di uguaglianza e di amicizia è possibile.

Mi sento solidale con coloro che ne hanno fatto la lotta della loro vita.

E mi rallegro per il fatto che attualmente molti giovani si siano prefissi il compito di ricostruire
questa terra.

Abbiamo tutti appuntamento con questo amore sconosciuto che non possiamo o non osiamo
nominare per paura di rinchiuderlo nei limiti del nostro tempo.
A età diverse della propria vita, ciascuno lo accoglie e lo dice a modo suo.
In momenti diversi del risveglio spirituale dell'uomo, ogni civiltà lo riceve e lo esprime nella
propria cultura.

Perché è proprio l'umanità intera che ha appuntamento con Dio: alla sua nascita? In certi momenti
della storia? All'apogeo della sua evoluzione? Che importa, è il segreto di Dio, non il mio, ma credo
che lui è e sarà presente, in maniera inattesa, agli appuntamenti della storia umana, come è e sarà
presente agli appuntamenti di ciascuna delle nostre storie personali.
Mi basta ritrovare in questa speranza una gran parte del Vangelo.


È a questo punto che mi ricordo di Gesù di Nazareth. Lo ritrovo oggi nel cuore di tutto questo
popolo di cercatori di Dio. Sì, credo che Gesù è vivo, sorgente dello Spirito, che è una persona
presente, che può essere amico degli uomini, e che questa amicizia può essere lo scopo di tutta una
vita. Essere cristiani, dopo tutto, non è accettare di ricevere se stessi continuamente da Cristo, come
ci si riceve da ogni sguardo d'amore? Tutti i giorni, mi sembra di incontrare Cristo per la prima
volta.

Mi basta credere che, tornando al Padre dopo la resurrezione, Cristo ci ha reso liberi attraverso il
dono del suo Spirito e che ha aperto alla nostra responsabilità, fino a che Egli venga e perché venga,
il cantiere della storia.

In questa scia di libertà creatrice, non avremo mai finito di camminare da responsabili davanti a
Dio, di imparare a vivere e a morire.

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Commenti Articolo 1043

Titolo articolo : Vergini, madri martiri o suore: le donne della Madre Chiesa e del Santo Padre. Una riflessione di Natalia Aspesi - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: June/17/2011 - 11:44:39.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 17/6/2011 11.44
Titolo:Perché questo vergognoso silenzio e apatia da parte dei cattolici, clero, gerarc...
Dorothy Day e Merton, lettere sulla Bomba

di Lorenzo Fazzini (Avvenire, 17 giugno 2011)

«In coscienza, sento che non posso, in un momento come questo, continuare a scrivere solo su questioni come la meditazione. Penso di dovermi confrontare con le grandi questioni, le questionidi-vita-e-di-morte». «Il Catholic Worker è parte della mia vita, Dorothy. Sono sicuro che il mondo è pieno di gente che potrebbe dire lo stesso. Se non fosse esistito il Catholic Worker, io non sarei mai entrato nella Chiesa cattolica». A chi appartengono queste parole? E chi era questa Dorothy?

Scriveva così Thomas Merton (1915-1968), il grande monaco trappista americano, convertito al cattolicesimo da posizioni ateiste e marxiste, celeberrimo per il suo libro autobiografico La montagna delle sette balze (Garzanti). E lei era Dorothy Day (1897-1980), la fondatrice del movimento sociale Catholic Worker, da sempre impegnata per i diritti degli ’ultimi’ nelle metropoli statunitensi in nome del Vangelo. Una credente segnata anche dal dramma di un aborto prima della sua stessa conversione, oggi sulla via della santità: l’arcidiocesi di New York anni fa aprì il suo processo di beatificazione.

Due giganti del cattolicesimo yankee, dunque, dei quali oggi si può apprezzare la saldissima intesa, culturale e spirituale, attraverso la rispettiva corrispondenza. Sono numerose le missive che la Day spedì a Merton, ora consultabili nel recente All the Way to Heaven, libro che raccoglie le «selezionate lettere di Dorothy Day», appena uscito negli Usa a cura di Robert Ellsberg (Marquette University Press, pp. 454, $ 35).

Nello scambio epistolare - quelle di Merton si possono dedurre nel bellissimo A Life in Letters (HarperOne, uscito Oltreoceano nel 2008: a quando una traduzione italiana?) - i registri dei due interlocutori sono variegati: la Day punta molto sull’autobiografia, Merton ’vola alto’. «Il 25 luglio andrò a Montreal per fare un ritiro con quanti sono interessati alla famiglia spirituale di Charles de Foucauld - scrive l’attivista di New York a giugno del 1959 - . Sto cercando di entrare sia nel movimento laicale che nella loro associazione. Ma non sono sicura che essi mi vogliano». Per poi comunicare il 22 gennaio 1960: «Ti ho detto che sono una postulante nella Fraternità della Carità di Gesù nella famiglia di Charles de Foucauld? Prega per me».

Alcune confidenze ci mettono al corrente dell’impegno sociale a forte rischio della Day: «Abbiamo già ricevuto due minacce di bombe e sono stata minacciata in pubblico ad un incontro all’Onu» (novembre 1965). Tra i due interlocutori non mancano gli scambi letterari: «Il tuo bellissimo saggio su Pasternak mi ha tenuto sveglia fino alle quattro del mattino», scrive la Day al monaco.

E Merton rilancia (29 dicembre 1965): «Il tuo Catholic Worker per me ha un significato molto importante: lo associo ai domenicani inglesi, a Eric Gill. E a Maritain». L’esponente del Catholic non lesina elogi al trappista scrittore: «Non mi ricordo se ti ho ringraziato per il tuo splendido articolo su Camus [e la Chiesa] che ha avuto vasta ripercussione». La Day nel 1960 paragona Merton a un grande santo dell’Ottocento: «I tuoi scritti hanno raggiunto molte, molte persone e le hanno indirizzate nel loro cammino. Sii sicuro di questo. Questa è l’opera che Dio vuole da te, non importa quanto tu voglia starne lontano. Proprio come il Curato d’Ars».

Saldissimo il legame tra i due, l’uno nel ritiro monastico della sua Abbey of Gethsemani, nel Kentucky, l’altra nel vortice di marce e proteste nella frenetica New York del dopoguerra. Ad esempio, sulla questione della guerra: «Non esiste una singola voce cattolica che si sia sentita nel Paese, eccezion fatta per Dorothy Day del Catholic Worker. Ma chi l’ascolta?», chiede Merton nel 1962 ad un amico. Per poi rincarare, scrivendo all’amica (anno 1961, piena guerra fredda): «Perché questo vergognoso silenzio e apatia da parte dei cattolici, clero, gerarchia, laici, su questa terribile questione della guerra nucleare dalla quale dipende la reale continuazione della razza umana?». Da rilevare, sulla questione della bomba, il ’minimalismo’ della Day, che cita una mistica medievale: «Sulla strategia della guerra nucleare: Giuliana di Norwich diceva che il peggio è già successo ed è stato riparato. Niente di male può mai succederci».

Nel 1963 la Day poi compie un pellegrinaggio ’pacifista’ a Roma, in occasione del Concilio, digiunando - con un gruppo di attiviste - perché i padri del Vaticano II mantengano una posizione anti-militarista. In quell’occasione incontrerà il cardinale Tisserant, già prefetto della Congregazione per le Chiese orientali e autorevole rappresentante di Curia; ma anche il pensatore gandhiano Lanza del Vasto e frère Roger di Taizè. Scriverà all’amico Merton il 15 novembre 1965: «Il Catholic Worker ha sopportato il peso della guerra per 33 anni protestando contro vari conflitti, quello cinogiapponese, la guerra in Etiopia, in Spagna, la seconda guerra mondiale, Corea, Algeria, e ora questa: le bombe accidentali sui villaggi amici [in Vietnam], il napalm sulle nostre stesse truppe. È inevitabile che le proteste aumentino».

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Commenti Articolo 1045

Titolo articolo : REFERENDUM DI DOMENICA DI PENTECOSTE E GERARCHIE ATEE E DEVOTE. Comunicato di Pax Christi: "Abbiamo detto quattro volte sì. Ed ora ci devono ascoltare. Per il bene di tutti, anche il loro"!!!,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: June/14/2011 - 16:55:02.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 14/6/2011 16.55
Titolo:I cattolici di base trainano le gerarchie. «Un no al governo»
«Un no al governo»

I cattolici di base trainano le gerarchie

di Luca Kocci

in “il manifesto” del 14 giugno 2011


Ci sono molti cattolici in quel 57% di votanti che hanno consentito di raggiungere il quorum e
vincere i referendum. Non decisivi come quando nel 2005, obbedendo agli ordini dell'allora
presidente della Cei cardinale Ruini e alla militaresca mobilitazione per l'astensione delle
associazioni ecclesiali, fecero fallire il referendum per abrogare la legge sulla procreazione assistita
portando la percentuale delle astensioni al 74,1%, ma sicuramente sono stati importanti.

I vescovi non hanno remato contro, anzi più di qualcuno, da Morosini di Locri a Tettamanzi di
Milano a Caprioli di Reggio Emilia, ha suggerito di andare a votare. Il papa stesso, correggendo la
posizione vaticana favorevole «all'uso pacifico del nucleare» più volte espressa dall'ex presidente
del Pontificio consiglio Giustizia e Pace cardinale Martino, alla vigilia del voto, ha tirato la volata al
referendum invitando ad usare «energie pulite» non pericolose per l'uomo.

La grande maggioranza
dei 189 settimanali diocesani, nonostante molti l'anno scorso avessero pubblicato l'opuscolo pronucleare Energia per il futuro (realizzato dalla concessionaria pubblicitaria di Radio Vaticana che,
non a caso, annovera fra i suoi inserzionisti a pagamento l'Enel, in prima fila a fare il tifo per la
riapertura delle centrali atomiche in Italia), si sono schierati per il Sì, così come diverse riviste
cattoliche, da Famiglia Cristiana al mensile dei gesuiti Aggiornamenti sociali.

Sono scesi in campo i religiosi, dai domenicani ai francescani, i missionari, suore e preti di base,
che il 9 giugno hanno chiuso la campagna elettorale digiunando in piazza San Pietro, guardati a
vista dalla gendarmeria vaticana. E gran parte dei movimenti e delle associazioni laicali, con la
solitaria eccezione dei privatizzatori incalliti e non pentiti di Comunione e Liberazione, hanno
invitato i loro iscritti al voto - dall'Azione cattolica alle Acli fino agli scout dell'Agesci - o si sono
impegnati direttamente nei comitati per il Sì, come Pax Christi, la Rete interdiocesana nuovi stili di
vita e le Comunità di base.


Anzi sono stati proprio loro, religiosi, associazioni e gruppi di base, a trascinare le gerarchie
ecclesiastiche, costringendole a rivedere le proprie posizioni e a schierarsi. «Il responso del
referendum, e prima delle elezioni amministrative - legge il voto dei cattolici Giovanni Avena,
direttore editoriale dell'agenzia di informazione Adista, espressione del mondo cattolico di base -,
dice basta a Berlusconi e ricorda ai vescovi le loro responsabilità, e qualche volta complicità, nelle
scelte politiche del governo, in cambio di privilegi non a vantaggio dei poveri ma a beneficio delle
scuole cattoliche e degli enti ecclesiastici. Se la gerarchia saprà finalmente rinunciare a questo
enorme piatto di lenticchie dovrà dire grazie al popolo del referendum».

L'agenzia ufficiale della
Cei non si sofferma sui cattolici ma interpreta comunque il risultato come un nuovo «messaggio
diretto al governo», perché «il quorum superato di slancio va ben al di là del merito dei quesiti» e
apre «una fase di cambiamento».

Un voto politico insomma, che alla vigilia del referendum il
quotidiano dei vescovi Avvenire invece negava. E voto politico anche per Famiglia Cristiana: «Un
altro no al governo», titola l'edizione online del settimanale diretto da don Sciortino, che segnala
che «c'è molto mondo cattolico nel raggiungimento del quorum».

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Commenti Articolo 1046

Titolo articolo : L'ITALIA ALLE URNE: UN DATO STORICO. GIA' DOMENICA 12, AFFLUENZA ALLE ORE 22 AL 41%.,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: June/13/2011 - 21:42:15.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/6/2011 21.42
Titolo:Il quorum c’è: vota il 57% - Abbiamo scelto la democrazia .....
NELLA SEDE DELL’ITALIA DEI VALORI, PROMOTRICE DI DUE QUESITI, GIÀ SI FESTEGGIA

- Referendum, il quorum c’è: vota il 57%
- Vertice della Lega: «Basta sberle»

- Vittoria netta dei sì in tutti i quesiti. Anche -Berlusconi aveva ammesso: «Addio al nucleare» *

MILANO - Il quorum è stato raggiunto. Quella che fino a lunedì mattina sembrava solo una eventualità più che probabile (dopo il 41% di votanti registrato nella rilevazione di domenica sera) è diventata una certezza con l’arrivo dei primi dati ufficiali del ministero dell’Interno: l’affluenza alle urne per i quattro referendum si è infatti attestata al 57%. Lo stesso Silvio Berlusconi, in mattinata, a voto ancora in corso, aveva rotto il silenzio elettorale ammettendo che «dovremo dire addio al nucleare in seguito del voto popolare» e che «dovremo impegnarci sulle energie rinnovabili». Un concetto poi ribadito a risultato ormai conclamato: «La volontà degli italiani è netta su tutti i temi delle consultazioni».

I RISULTATI - Insomma, un risultato decisamente positivo per i comitati referendari, che per la prima volta da 16 anni a questa parte riescono nell’obiettivo di ottenere una partecipazione di popolo tale da garantire la validità della consultazione. In tutte le precedenti occasioni, infatti, il fronte dei no ha sempre preferito optare per una campagna pro-astensione, con l’obiettivo di far fallire il voto assommando il proprio non voto a quello degli astensionisti fisiologici, coloro che cioè non vanno a votare neppure per le elezioni politiche. Ma questa volta il «fuori gioco» referendario non è scattato. E il risultato alla fine è stato scontato: i sì per i diversi quesiti, senza significative variazioni per i diversi temi affrontati, risultano attorno al 95-97%.

RIPERCUSSIONI SUL GOVERNO - Resta ora da verificare se vi saranno ripercussioni sul governo, visto che il referendum sul legittimo impedimento coinvolge direttamente il premier Silvio Berlusconi e che gli altri tre sono comunque legati a provvedimenti approvati dal governo o legati al programma elettorale del centrodestra. Il portavoce del Pdl, Daniele Capezzone, e il ministro Ignazio La Russa, che del partito è coordinatore, si sono affrettati a dire che gli italiani hanno votato su quesiti specifici e non sulla tenuta dell’esecutivo. Le opposizioni, dal canto loro, sono immediatamente partite all’attacco. Per il segretario del Partito democratico, Pier Luigi Bersani, Berlusconi a questo punto avrebbe solo un passo da compiere: «Si dimetta e vada al Colle».

IL VERTICE DELLA LEGA - Ma non è solo l’opposizione ad analizzare il secondo risultato negativo per il centrodestra a distanza di poche settimane dalla debacle delle amministrative. Da più parti gli analisti, anche dell’area pidiellina, parlano di disaffezione degli elettori moderati e di necessità di rivedere la politica della maggioranza. La Lega ha riunito in via Bellerio il proprio stato maggiore: ci sono Bossi e i principali ministri. E anche se questi incontri sono la norma il lunedì nella sede del Carroccio, appare certo che le valutazioni che il Senatur si accingono a fare riguarderanno non solo l’esito della consultazione ma anche i rapporti interni alla coalizione. A maggior ragione considerando che domenica prossima ci sarà il tradizionale raduno di Pontida nel corso del quale Bossi parlerà al popolo leghista reduce dalla doppia sconfitta al referendum e alle elezioni amministrative, con il tracollo di Milano. Particolarmente esplicito Roberto Calderoli: «Diremo a Berlusconi cosa dovrà portare in aula il 22 giugno. Siamo stanchi di prendere sberle...».

Al. S.

* Corriere della Sera, 13 giugno 2011

________________________________________________________

VITTORIA

- Abbiamo scelto la democrazia

di Giancarla Codrignani *

Evviva, evviva, evviva! Sentite ancora i boatos? Diciamo che davvero abbiamo capito e fin da subito non ci neghiamo, soddisfatti, esaltati, finalmente ottimisti, di pensare. Nel numero di giugno di ‘Altreconomia’ Roberto Mancini scriveva di un’emozione “che non resta effimera, fine a se stessa. Perché invece è l’impulso del risveglio che porta a scoprire la passione per la democrazia. I referendum hanno finalmente diffuso nel Paese la sensazione che si possa cambiare, che i cittadini possano contare intanto per fermare i progetti più deliranti. Questa percezione è decisiva: l’iniquità, che sembra vincente e insuperabile, in verità non è necessaria, può essere sconfitta. Sorge da qui l’emozione della libertà, che si dispiega divenendo passione, ma anche esercizio di intelligenza e di creatività civile.

Mancini individuava nelle tre tematiche - il nucleare, l’acqua e l’eguaglianza di tutti dinanzi alla legge - un unico filo di collegamento: “il gelo del cuore chiuso dall’avidità è infatti riconoscibile chiaramente alla radice del desiderio perverso di fare affari gettando il Paese contemporaneamente nella trappola del nucleare, nell’assurda privatizzazione di un bene naturale e universale come l’acqua, nonché nella pretesa di monopolizzare il potere esecutivo del governo ponendolo al di sopra di ogni legge. Se la democrazia fosse immaginabile come un albero, provvedimenti del genere somiglierebbero a letali colpi di scure”.

Il ritorno alla partecipazione che si è manifestato in questi giorni non va perduto. E’ stato necessario scoprire che non è vero che non ci sono rimedi, che il cittadino è impotente, che tutti sono uguali. Adesso bisogna che la “passione referendaria” diventi passione politica. Non basta dire no ai disastri annunciati quando l’acqua arriva alla gola (e alla privatizzazione): bisogna “prevenire” senza antipolitica. I partiti hanno commesso errori, certamente; infatti la società civile inascoltata li aveva avvertiti non solo di scelte incomprensibili, ma anche dei sentimenti via via più ostili nei confronti delle loro inadempienze valoriali. Tuttavia anche la società ha proprie responsabilità: forse non è tutta individualista, ma certo fa della propria frammentazione un dato identitario e non la ricerca di possibili unità. Per capirci, alle municipali bolognesi ci sono state 17 liste, a quelle torinesi 27 e alcuni segnali indicano la propensione a ritenere che “l’esserci” di ciascun frammento costituisce ragione di riesumazione del mai dismesso manuale Cencelli.

Adesso abbiamo molto da fare, rioccupando gli spazi pubblici, con il voto, con la presenza in tutte le agorà, nella voglia di capire per meglio sorvegliare gli interessi generali. Anche cercando di guidare i partiti ad essere, come debbono, il luogo in cui la partecipazione diventa rappresentanza democratica non solo delle persone, ma degli interessi del popolo, “sovrano” non per modo di dire.

Il popolo sovrano, non “la gente” adesso deve dire se e con quali risorse rifare la rete idrica tutta fessurata da secoli e come riaggiustare le normative con gli enti locali. Deve dire che la cancellazione del programma governativo sul nucleare non incide sulla ricerca a cui sono stati tolti i fondi e che questo è il vero problema. E deve rifondare ogni discorso democratico sull’uguaglianza. Ma deve anche dire se la banche debbono diventare un potere così importante da non rispettare regole e diritti e far pagare ai contribuenti pasticci e fallimenti. La ristrutturazione del debito pubblico, cresciuto ad opera del governo e che costerà una grossa stretta della cinghia per rispettare i parametri richiesti dall’Europa, ma non tutti i possibili governi lo faranno con uguali priorità e uguali costi.

Siamo l’unico paese Ocse che non ha visto crescere il reddito: il danno resta senza rimedio, ma la qualità delle riforme va assunta con la massima serietà da lavoratori, sindacati, imprese. Si taglieranno le spese: impediamo che siano a detrimento dei diritti, della scuola (l’anno prossimo avremo 22.000 insegnanti in meno con una popolazione scolastica crescente e con più alta percentuale di stranieri), della sanità, della cultura, dell’assistenza. Anche l’informazione: quello che è successo in questi anni nel sistema pubblico è intollerabile: inventiamo scioperi dell’audience, lotte nonviolente, riempimenti delle caselle postali ed elettroniche dei responsabili.

Avete visto l’ambulante di Modena che si è fatto carico personale delle offese che Berlusconi ha continuato a rivolgere alla magistratura e ha denunciato il presidente del consiglio di vilipendio? Anche una persona sola, intelligente e generosa, può fare la sua parte.

Teniamo in piedi questa bella reazione civile e se anche i giovani ci daranno più inventiva e coraggio, forse integreremo quel senso dello stato che né il Risorgimento né, almeno in parte, la Costituzione sono riusciti a darci.

NOTA BENE: Non vorrei che nessuno dimenticasse che per prime hanno alzato la testa le donne. Non per amore di medaglie, ma per non ritrovarci tutte casalinghe.

* DOMANI - ARCOIRIS, 13-06-201

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Commenti Articolo 1047

Titolo articolo : Collirio per il Cardinale: apra gli occhi.,di don Paolo Farinella

Ultimo aggiornamento: June/13/2011 - 07:24:19.

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Autore Città Giorno Ora
Ernesto Miragoli Como 13/6/2011 07.24
Titolo:Solo collirio?
L'articolo di don Paolo centra il problema del clero e del suo "reclutamento": si guarda al passato. Sì, siamo una chiesa che vive di ricordi e di nostalgie per un mondo che non c'è più.
E meno male che non c'è più!
Era un mondo fondato sul sacro come potere e non sulla sacralità come proposta. Era un mondo in cui - come si dice in Lombardia - "pret e re: o parlan ben o tasè (preti e re: o parlarne bene o tacere)". Era un mondo che aveva dei valori che tuttora sono validi, ma che erano fondati più sul perbenismo che sull'autenticità.
Paolo stimola il suo Pastore (Bagnasco è vescovo della sua chiesa) e, bonariamente, lo invita ad aprire gli occhi prestandosi metaforicamente a fornirgli del collirio (di cui Paolo, reduce da intervento agli occhi, conosce certamente i benefici). Credo che il collirio non basti, a meno che uno dei principi attivi del preparato sia il Ginseng, radice di pianta orientale celebre anche in occidente.
Oltre al collirio serve anche la "voglia di vedere".
Di questa voglia di vedere non trovo che siano dotati molti vescovi i quali, secondo i canoni classici ai quali fa riferimento Paolo nel suo articolo, sono modellati su uno schema di episcopato che è ancora "onore e promozione" e non "servizio e dedizione". Stanno fra la gente, ma non s'accorgono che la gente li onora senza accoglierli perchè non sono testimoni di un Messaggio, ma solo proclamatori di verità codificate e stantie.
Ernesto Miragoli

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Commenti Articolo 1048

Titolo articolo : Anche San Paolo si può sbagliare,di Mario Mariotti

Ultimo aggiornamento: June/11/2011 - 17:55:55.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/6/2011 17.55
Titolo:PAOLO - E "LA DONAZIONE DI PIETRO" ...
PAOLO DI TARSO, L’ASTUTO APOSTOLO DELLA GRAZIA ("CHARIS") E DELL’ AMORE ("CHARITAS"), E LA NASCITA DEL CATTOLICESIMO-ROMANO! UNA NOTA

di Federico La Sala *

(...) non equivochiamo! Qui non siamo sulla via di Damasco, nel senso e nella direzione di Paolo di Tarso, del Papa, e della Gerarchia Cattolico-Romana: “[... ] noi non siamo più sotto un pedagogo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Galati: 3, 25-28).

Nella presa di distanza, nel porsi sopra tutti e tutte, e nell’arrogarsi il potere di tutoraggio da parte di Paolo, in questo passaggio dal noi siamo al voi siete, l’inizio di una storia di sterminate conseguenze, che ha toccato tutti e tutte. Il persecutore accanito dei cristiani, “conquistato da Gesù Cristo”, si pente - a modo suo - e si mette a “correre per conquistarlo” (Filippesi: 3, 12): come Platone (con tutto il carico di positivo e di negativo storico dell’operazione, come ho detto), afferra l’anima della vita evangelica degli apostoli, delle cristiane e dei cristiani, approfittando delle incertezze e dei tentennamenti di Pietro, si fa apostolo (la ‘donazione’ di Pietro) dei pagani e, da cittadino romano, la porta e consegna nelle mani di Roma. Nasce la Chiesa ... dell’Impero Romano d’Occidente (la ‘donazione’ di Costantino). La persecuzione dei cristiani, prima e degli stessi ebrei dopo deve essere portata fino ai confini della terra e fino alla fine del mondo: tutti e tutte, nella polvere, nel deserto, sotto l’occhio del Paolo di Tarso che ha conquistato l’anima di Gesù Cristo, e la sventola contro il vento come segno della sua vittoria... Tutti e tutte sulla romana croce della morte.

Egli, il vicario di Gesù Cristo, ha vinto: è Cristo stesso, è Dio, è il Dio del deserto... Un cristo-foro dell’imbroglio e della vergogna - con la ‘croce’ in pugno (e non piantata nella roccia del proprio cuore, come indicava Gesù) - comincia a portare la pace cattolico-romana nel mondo.

Iniziano le Crociate e la Conquista. Il Dio lo vuole: tutti i popoli della Terra vanno portati nel gelo eterno - questo è il comando dei Papi e dei Concili, cioè delle massime espressioni dell’intelligenza astuta (quella del Dio di Ulisse e della vergine Atena, non del Dio di Giuseppe e di Maria) del Magistero della Chiesa, alle proprie forze armate... fino a Giovanni Paolo II, al suo cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e alla Commissione teologica internazionale, che ha preparato il documento “Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato”.

Uno spirito e un proposito lontano mille miglia, e mille anni prima di Cristo, da quello della “Commissione per la verità e la riconciliazione”, istituita in Sudafrica nel 1995 da Nelson Mandela, per curare e guarire le ferite del suo popolo. Il motto della Commissione bello, coraggioso, e significativo è stato ed è: “Guariamo la nostra terra”!

*

Si cfr.: Federico La Sala, L’enigma della Sfinge e il segreto della Piramide, Ripostes, Roma-Salerno 2001, pp.23-25.

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Commenti Articolo 1049

Titolo articolo : Dopo "i mercanti e il tempio", "Come Giuda. La gente comune e i giochi dell’economia all’inizio dell’epoca moderna". Un brillante studio di Giacomo Todeschini recensito da Alberto Burgio - con note sulla "modernità" della via di Dante,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: June/08/2011 - 15:55:13.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/6/2011 15.55
Titolo:PERCORSI DI LETTURA ...
NOTA ALL\\\'ARTICOLO:


Percorsi di lettura sul protagonista di una lunga «leggenda nera»


di Alberto Burgio (il manifesto, 07.06.2011)

La ricostruzione della «leggenda nera» di Giuda è solo il tassello più recente di una vasta ricerca che Giacomo Todeschini conduce, sin dagli anni Ottanta, sui linguaggi teologici medievali e protomoderni e sulle loro implicazioni sociali, politiche e antropologiche. L’hanno preceduta «La ricchezza degli ebrei» (Cisam 1989), «Il prezzo della salvezza. Lessici medievali del pensiero economico» (Nis 1994) e, presso il Mulino, «I mercanti e il tempio. La società cristiana e il circolo virtuoso della ricchezza» (2002), «Ricchezza francescana. Dalla povertà volontaria alla società di mercato» (2004), «Visibilmente crudeli. Malviventi, persone sospette e gente qualunque dal Medioevo all’età moderna (2007)».

Un ideale complemento dei lavori di Todeschini costituiscono taluni recenti contributi storiografici di Paolo Prodi sugli aspetti etico-religiosi ed economici della codificazione giuridica nella transizione alla modernità: da «Una storia della giustizia. Dal pluralismo dei fori al moderno dualismo tra coscienza e diritto» (il Mulino 2000) alla raccolta di saggi curata da Prodi «La fiducia secondo i linguaggi del potere» (ivi 2008) a «Settimo non rubare. Furto e mercato nella storia dell’Occidente» (ivi 2009).

Tra gli studi più recenti sulla figura di Giuda ricordiamo, di Massimo Centini, «Indagine su Giuda. Vita e morte dell’uomo che cambiò il corso della storia» (Castelvecchi 2008) e ancora, «Giuda. Dal Vangelo all’Olocausto» di Pierre-Emmanuel Dauzat (Arkeios 2008) e «Giuda. Il tradimento fedele» di Gustavo Zagrebelsky, uscito per Morcelliana nel 2007 e da poco riproposto da Einaudi (pp. VIII-94, euro 12).

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Commenti Articolo 1050

Titolo articolo : IDENTIFICARSI CON MOSE' E CON CRISTO, MA PER FARE LA VOLONTA' DEL "PADRE NOSTRO", NON QUELLA PROPRIA UNIVERSALIZZATA DELLA GERARCHIA "CATTOLICO-ROMANA"!!! Il testo di Benedetto XVI dell'udienza di mercoledì 1° giugno 2011 - con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: June/06/2011 - 19:16:36.

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Autore Città Giorno Ora
Stefania Salomone Roma 06/6/2011 16.10
Titolo:
E' proprio così che definisco l'ennesimo inutile discorso del papa. Come non intercettare in questo testo un attaccamento alla visione pessimistica di un Dio che ha bisogno di essere raggiunto? Se così non fosse non avremmo bisogno di mediazioni. In realtà lo stesso Gesù non si presenta come mediatore, ma come "manifestazione visibile del Padre", anche se ho difficoltà ad immaginare Dio come una persona, anche se fosse soltanto il Padre.
Ricondurrei questo termine ad una sorta di "qualità d'amore da cui siamo originati".
Perché è necessario mantenere in auge il concetto di mediazione? Perché altrimenti tutta questa istituzione crollerebbe come un castello di carte malfatto alle prese con una folata di vento inaspettata.
Ma di vento dello Spirito in questo discorso neanche l'ombra. Ancora siamo all'ira di Dio, all'uomo-Dio che porta su di sé il peccato dell'uomo per renderlo salvo ... Per non parlare del digiuno offerto al Dio del Tempio.
Ma questo signore lo sa che ad un certo punto, nell'anno Zero è avvenuto qualcosa che ha "separato e contraddistinto" l'Antico Testamento dal Nuovo? Eppure si dice cristiano ...
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/6/2011 19.16
Titolo:LA GERARCHIA CATTOLICA E LA MEDIAZIONE DI UN CUORE IMPURO - DEVOTO A MAMMONA E A...
MATTEO: 15, 11-20

[...] Poi riunita la folla disse: « Ascoltate e intendete!

11 Non quello che entra nella bocca rende impuro l'uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l'uomo! ».



12 Allora i discepoli gli si accostarono per dirgli: « Sai che i farisei si sono scandalizzati nel sentire queste parole? ».

13 Ed egli rispose: « Ogni pianta che non è stata piantata dal mio Padre celeste sarà sradicata.

14 Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi. e quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso! ».


15 Pietro allora gli disse: « Spiegaci questa parabola ».

16 Ed egli rispose: « Anche voi siete ancora senza intelletto?

17 Non capite che tutto ciò che entra nella bocca, passa nel ventre e va a finire nella fogna?


18 Invece ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende immondo l'uomo.

19 Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie.

20 Queste sono le cose che rendono immondo l'uomo, ma il mangiare senza lavarsi le mani non rende immondo l'uomo ».

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Commenti Articolo 1051

Titolo articolo : NAPOLI, DE MAGISTRIS E IL VOTO DEL TURISTA AMERICANO. Una nota di Rino Mele (Salerno, 29 maggio 2011),

Ultimo aggiornamento: June/06/2011 - 10:50:26.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 06/6/2011 10.50
Titolo:ELEZIONI DI PRIMAVERA. Svestire i panni del servo e indossare la camicia dell’uo...
Elezioni di primavera

di Rino Mele (“Roma” - edizione salernitana, martedì 31 maggio 2011)

A volte, quasi all’improvviso, tutto cambia: quello che fino a ieri era consuetudine, assuefazione, servile accettazione di un dolore quotidiano, potrebbe finire: come svegliarsi, liberandoci da quei sogni pomeridiani in cui sembra di volare naufragando e, inabissandoci, salvarsi. Ieri l’Italia ha cambiato volto, l’Italia antica dei Comuni, quegli spazi del lavoro e dell’anima collettiva stretti intorno al nostro cuore come una corona (o un cilicio), luoghi dell’infanzia nostra o dei nostri figli, dove riconosciamo il volto del vicino come fosse il nostro (nei paesi, le fotografie poste negli angoli degli specchi servono a raddoppiare la memoria, i ricordi d’amore e di pena).

Le elezioni amministrative sono politiche perché il cammino dell’Unità d’Italia è ancora lungo e l’Italia dei Comuni non è stata superata, stiamo ancora uno di fronte all’altro (fratelli ostili) a guardarci dalla finestra, a riconoscere l’inizio del paese -quando torniamo- dall’odore dei campi seminati.

Le elezioni di ieri a Napoli, Milano, Cagliari, Trieste, Pordenone (in tanti altri luoghi della nostra Italia) sono state come un vento violento e fresco, vorrebbero costringerci a diventare diversi e nuovi, ad aprire le finestre di un pensato futuro per far entrare finalmente quel vento pulito, che mandi via lo stanco e strabico clientelismo, la burocratizzazione del potere. Da ieri, possiamo dire basta, ognuno per la parte che gli compete, ricostruire il nostro personaggio, assegnargli una parte più decente, svestire i panni del servo e indossare la camicia dell’uomo libero.

Ma bisogna farlo subito, non addormentarsi in una gioia sterile, lavorare con orgoglioso entusiasmo all’opera faticosa che la libertà (questo nuovo liberarsi) richiede.

Le elezioni appena terminate possono rappresentare l’inizio della distruzione degli steccati dell’imperturbabile egoismo, quei confini stretti che l’avidità traccia intorno ai privilegi e rende incapaci di guardare e capire la presenza umiliata di chi soffre, i lavoratori senza lavoro (ed è la più atroce delle contraddizioni) i malati mal curati, i vecchi abbandonati nel loro stupefatto vuoto, i bambini senza infanzia. E, soprattutto, salvare i giovani, che cercano volgendosi indietro il loro futuro. Da ieri un vento nuovo schiarisce d’emozione il nostro volto, possiamo lasciarlo andar via o correre nella primavera della sua forza.

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Commenti Articolo 1052

Titolo articolo : SENZA PIETA' E SENZA "GRAZIA DI DIO" ("CHARITAS"), IL CARDINALE BERTONE

Ultimo aggiornamento: June/05/2011 - 09:08:55.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 04/6/2011 10.02
Titolo:LA CARITAS INTERNATIONALIS E LA FORTE IDENTITA' CATTOLICA .....
Il ruolo distinto della Caritas Internationalis

di Editoriale


in “The Tablet” del 4 giugno 2011 (traduzione di Maria Teresa Pontara Pederiva)


Non è la prima volta che la Caritas Internationalis - grande agenzia umanitaria del mondo seconda
solo alla Croce Rossa – si è trovata ad attraversare un momento difficile nei rapporti con il
Vaticano. Ciò ha comportato la fuoruscita abbastanza demoralizzante del suo segretario generale, la
dott.ssa Lesley-Anne Knight, il cui rinnovo del contratto alla guida dell’organizzazione umanitaria
per altri quattro anni è stato bloccato da funzionari del Vaticano.
Sembra che ci siano tre elementi in gioco: una lotta per la conquista di un territorio tra la Caritas e
il dicastero vaticano che si occupa di carità, il Cor Unum; un conflitto di personalità, nel senso che
la dott.ssa Knight e la gerarchia vaticana hanno chiaramente fallito nel creare un buon rapporto di
lavoro; e una differenza di enfasi sulla politica, che ha portato alla luce il desiderio del Vaticano che
le agenzie di aiuto e sviluppo di matrice cattolica dovrebbero sviluppare una più forte identità
cattolica.


Ci sarebbero esili prove a sostegno di una voce circolata su Internet secondo la quale il vero reato
della Knight sarebbe stato quello di difendere alcune agenzie umanitarie affiliate alla Caritas in
Canada, accusate dagli attivisti pro-vita nordamericani di essere alquanto morbide in materia di
aborto. Se quello fosse stato il problema, sicuramente avrebbe dovuto essere gestito in modo
diverso.


La dott.ssa Knight, ex alto funzionario presso la sede Cafod a Londra, sarebbe probabilmente stata
rieletta all'unanimità se le fosse stato permesso di ricandidarsi. Il presidente rieletto della Caritas, il
card. Oscar Rodríguez Maradiaga, aveva parlato con forza in sua difesa. Il successore della Knight,
Michel Roy, già alla guida della Caritas di Francia, il Secours Catholique, non ha manifestato alcun
segnale che lo faccia porre in discontinuità con la gestione precedente. Ma, stando alle dichiarazioni
di un funzionario, il Vaticano premerebbe nell’intenzione di riformare la costituzione della Caritas
e creare un "nuovo profilo”.


Cosa questo possa significare è piuttosto confuso, ma sembrerebbe riferirsi al desiderio che la
Caritas venga percepita come essere più chiaramente sotto il controllo della Santa Sede. Esistono
due idee chiave in tensione fra loro: la necessità di preservare le professionalità all’interno della
Caritas, e la necessità di incorporarla all’interno del quadro delle attività principali della Chiesa, in
modo che essa non rappresenti solo un veicolo di carità cristiana, bensì anche di evangelizzazione.


Ma i professionisti non accettano con favore il ricevere imposizioni in merito al loro lavoro, né si
vedono semplicemente come dei missionari. Ciononostante, è vero che la loro professionalità deve
essere permeata di spiritualità cattolica, se la Caritas deve distinguersi per la sua azione.


Ritirare alla fonte il suo sostegno alla rielezione della Knight si è rivelato probabilmente il modo
meno brutale con cui il Vaticano ha potuto mettere in atto la sostituzione del direttore generale. Nel
racconto della dott.ssa Knight, nel corso dei suoi quattro anni a Roma, il Vaticano stesso avrebbe
fatto ben poco per favorire un buon rapporto con lei. Il Vaticano, se solo fosse più aperto su questa
vicenda, potrebbe ben dire qualcosa in risposta. Ma lo standard di approccio vaticano alle pubbliche
relazioni - mai spiegare, mai chiedere scusa - sembra applicarsi anche in questo caso. E qui sta il
pericolo.


Per cercare di costringere la Caritas e le sue 165 filiali internazionali in un cambiamento di ethos
senza prima persuadere sulla reale necessità di un cambiamento - o anche spiegare con chiarezza
cosa questo comporti - potrebbe sfociare facilmente un fallimento o una reazione di dissenso. Che
potrebbe anche finire per danneggiare o persino distruggere una rete che, attraverso un lavoro
coraggioso e instancabile per alleviare sofferenze e povertà, porta credito alla Chiesa cattolica in
tutto il mondo. E questo è già di per sé una manifestazione dei valori del Vangelo, un potente
strumento di evangelizzazione. In ogni riforma, la salvaguardia di questo spirito dovrà essere il
punto di partenza.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/6/2011 09.08
Titolo:Lesley-Anne Knight, Discorso di congedo all’Assemblea generale
Discorso di congedo all’Assemblea generale della Caritas

di Lesley-Anne Knight

in “Independent Catholic News” del 4 giugno 2011 (traduzione di Maria Teresa Pontara Pederiva)

Al termine dei quattro anni del suo mandato in qualità di Segretario generale della Caritas Internationalis, Lesley-Anne Knight si aspettava di servire per un altro mandato, ma la sua nomina era stata bloccata nelle scorse settimane dal Vaticano.

La dott.ssa Knight ha pronunciato il seguente discorso di congedo all’Assemblea generale della Caritas Internationalis lo scorso 27 maggio.

Vostra Eminenza, Eccellenze, Religiosi e Religiose, cari amici della Caritas, si dice che la vita è quello che ti accade, mentre sei impegnato a fare altri piani. Oggi, credevo di iniziare un secondo mandato come Segretario generale. Invece, mi trovo a dirvi addio e mi sembra di essere appena arrivata!

Quattro anni sono davvero un periodo troppo breve.

Ne parlavo ad un amico l’altro giorno, e lui mi ha detto che potevo prendere conforto nel fatto che ci sono stati molti leader di successo che hanno prestato servizio per un tempo altrettanto breve. Per esempio ... Giulio Cesare che fu capo dell’impero romano per circa quattro anni, fino a quando è stato pugnalato a morte nel 44 a. C.; Abraham Lincoln - considerato uno dei più grandi presidenti americani - in carica per soli quattro anni, fino al momento in cui gli spararono nel 1865; e John F. Kennedy, unico presidente cattolico degli Stati Uniti, è stato in carica meno di tre anni, prima di essere assassinato nel 1963.

"Ma faccio fatica a paragonare me stessa con un imperatore romano o di un presidente americano!", ho protestato. “Forse no - ha risposto il mio amico - ma devi comunque ringraziare di non essere stata assassinata”.

Sono stati una fonte di stress questi ultimi mesi, ma non sono questi i ricordi che voglio portare con me al momento di lasciare.

I ricordi sono tanti tesoro riguardo alla Caritas, ma più di tutto mi ricorderò delle persone della Caritas. Anche se ho solo avuto questo incarico solo per quattro anni, la mia partenza mette fine a un impegno all’interno della Caritas che abbraccia 20 anni, dei quali la maggior parte li ho trascorsi nel CAFOD, la nostra organizzazione in Inghilterra e Galles.

In particolare, mi ricordo delle tante persone al lavoro sul campo per la Caritas che ho avuto il piacere di incontrare durante la mia carriera. E sono molto lieta di averne rivisto alcuni in questa settimana.

Queste sono le persone che incarnano la vera essenza della Caritas: le persone che vivono e lavorano a fianco dei poveri, spesso il più difficile e pericoloso degli ambienti. Essi sono in prima linea nella battaglia contro la povertà, la loro realtà è lontana dal mondo esoterico degli statuti, dei regolamenti e del diritto canonico.

In molti casi essi hanno respinto una modalità di vita più comoda e gratificante per fare una opzione preferenziale per i poveri. Ecco il “cuore che vede” di cui parla papa Benedetto parla nella Deus Caritas est.

Si tratta di un’esperienza di umiltà necessaria a tutti i leader della Caritas quella di uscire sul campo e ricollegarsi con questa realtà fondamentale della Caritas in azione.

Dalla mia esperienza di programmi Caritas in tante parti del mondo, so che i lavoratori Caritas servono instancabilmente al fianco, e a favore, di gente di tutte le razze, persone di tutte le fedi, compresi quelli che non ne hanno nessuna. Essi sono un fulgido esempio di amore di Dio per l’umanità. Quale migliore dimostrazione dell’identità cattolica? Perché l’essere cattolico è, per sua stessa definizione, essere onnicomprensivo, lavorare per il bene comune di tutta l’umanità.

Mi ricordo anche dei nostri sostenitori Caritas sparsi in tutto il mondo. Ho avuto il piacere di incontrarli e parlare con molti di loro nel corso degli ultimi quattro anni. Alle riunioni dei cattolicinegli Stati Uniti e Canada, a Singapore, Australia, Nuova Zelanda, e in tutta Europa. Ho anche incontrato i rappresentanti dei trust e delle fondazioni che finanziano il nostro lavoro, così come singoli donatori, che spesso si rivolgono ai nostri uffici per contribuire con tutto ciò che possono permettersi di fronte ad un appello d’emergenza. In molti di questi incontri sono stata profondamente toccata dal rispetto e dall’ammirazione che in ogni parte del mondo la comunità cattolica ha per la Caritas Internationalis.

Sono convinta che essa sia una confederazione di cui essere molto orgogliosi. Nella relazione che ho preparato per l’Assemblea generale, ho parlato del viaggio che abbiamo intrapreso negli ultimi quattro anni. Credo che abbiamo compiuto davvero molta strada in questo periodo. Il mio augurio per la Caritas è che continui il suo viaggio, uniti nella mente e nel cuore. Non ho dubbi che siamo stati sulla strada giusta, e spero che la Caritas:

- Continui ad essere una voce forte e autentica dei poveri e si assicuri che le loro voci vengano ascoltate nei dibattiti internazionali sui cambiamenti climatici, migrazione, salute, sicurezza alimentare e povertà cronica;
- Continui a raggiungere e abbracciare la più ampia comunità di persone. Che possa collaborare con altre organizzazioni religiose e laiche che condividono i nostri stessi valori. C’è molto che noi possiamo dare e molto che possiamo imparare.

- E, infine, che continui a lavorare per un maggiore equilibrio tra donne e uomini nella direzione delle organizzazioni Caritas. Non dobbiamo dimenticare che le donne laiche costituiscono una percentuale enorme dei lavoratori Caritas. Esse meritano rispetto e riconoscimento. La mia nomina come la prima donna segretario generale nel 2007 è stato un passo coraggioso. Sapete bene che possiamo compiere anche noi un lavoro: unica paura è la misoginia e il pregiudizio che si incontra sulla strada.

Ma qualunque sia la direzione che la Caritas prenderà in futuro, io sono chiamata ad una strada nuova e voi ora avete un nuovo Segretario generale.

Mi congratulo con Michel Roy per la sua nomina. E’ stato per me un grande privilegio essere stata in grado di servire questa meravigliosa comunità che noi conosciamo come la Caritas - e sono certo che Michel proverà gli stessi sentimenti.

Ti consegno le redini con affetto. Sarai nelle mie preghiere, perché so che hai davanti a te delle sfide importanti.

Avrai bisogno del coraggio di un leone, la pelle di un rinoceronte, la saggezza di un gufo e la pazienza di un orso polare. E non so se vi è un animale con gli occhi nella parte posteriore della testa, ma so che anche questo potrebbe essere molto utile!

Ora vorrei ringraziare tutti coloro che nel corso di questi quattro anni mi hanno offerto la loro amicizia e il loro sostegno, e tutti coloro che hanno lavorato così duramente per aiutare la Caritas nella fisionomia che vediamo oggi.

Ringrazio il nostro Presidente, l’Ufficio di presidenza e la Commissione legale per tutte le loro indicazioni preziose e la saggezza dimostrata.

In particolare, ringrazio il card. Rodriguez e tutto il bureau per la fiducia che hanno riposto in me e per la loro costante fedeltà, sostegno e preoccupazione nei miei confronti nei mesi trascorsi. Ringrazio i nostri Coordinatori Regionali, che hanno sempre costituito una critica cassa di risonanza per le nuove proposte, e una preziosa fonte di consigli e feedback da parte loro regioni. Ringrazio tutte le Regioni che mi hanno invitato alle loro conferenze annuali, coloro che hanno fatto parte degli organi consultivi, dei gruppi di lavoro e consultazione. Devo anche ringraziare tutti coloro che sono stati coinvolti nella progettazione e nella realizzazione di questa Assemblea Generale, comprese i nostri gentili e disponibili volontari e ausiliari. Avete tutti lavorato straordinariamente duro e penso che i risultati delle vostre fatiche siano stati apprezzati da tutti noi.

Ma soprattutto, debbo ringraziare i colleghi della squadra del Segretariato generale, senza la loro esperienza e il loro intenso lavoro sarebbe stato impossibile il mio stesso lavoro, e la cui fedeltà e gentilezza mi hanno sempre sostenuto.

Miei cari amici e colleghi del Segretariato generale, desidero rivolgere a voi uno speciale pensiero.Abbiamo parlato tante volte negli ultimi mesi di essere in acque profonde e di come uscirne ... Ci siamo detti quanto sia importante leggere i segni dei tempi ... abbiamo cercato di capire e di compiere la volontà di Dio ...

Ho imparato che la volontà di Dio nella nostra vita non viene in linea retta, o con segni evidenti, o determinate scelte. La vita non è un insieme di costanti a cui ci aggrappiamo per la sicurezza o cercare un’affermazione. Al contrario, la vita è spesso confusa e sfocata, insicura sotto i tuoi piedi, incerta e tremolante al tatto. I nostri rapporti di amicizia non si sentono come ben saldi com’erano una volta. Il mondo intorno a noi si è inclinato e ha perso l’equilibrio senza chiederci il permesso. Nulla è ciò che era una volta, nulla è ciò che ha promesso di essere.

Ma una cosa è inevitabile: il nostro modo di affrontare qualsiasi avvenimento che ci accade all’esterno dipenderà interamente da ciò che siamo diventati dentro di noi.

Il luogo dove abbiamo fissato i nostri cuori, qualunque cosa sia ciò che abbiamo loro offerto, questo determinerà il nostro modo di fare esperienza di tutto quanto ci accade in questo momento. Michel, tu erediti un dream team (una squadra da sogno) che merita il tuo più alto rispetto e riconoscimento, per favore prenditi cura di loro.

Dopo l’annuncio che avrei lasciato la Caritas, sono stata travolta da decine di messaggi di sostegno e di buona volontà provenienti da ogni parte del mondo. Sono giunti da parte di lavoratori Caritas in tutte le nostre sette Regioni, da vescovi e sacerdoti, religiosi e religiose, fondazioni caritative cattoliche, corpi diplomatici e la più ampia comunità umanitaria.

Vorrei ringraziare tutti coloro che mi hanno scritto, e anche tutti voi che mi avete espresso i vostri migliori auguri personalmente nel corso di questa settimana. Le vostre parole gentili, i pensieri e le preghiere sono state per me una sorgente enorme di forza e di ispirazione e mi hanno mostrato la profonda bontà che esiste all’interno della famiglia della Caritas che amo.

E io avverto profondamente che la Caritas è una comunità, anzi è per molti versi un modello per la visione di quell’”unica famiglia umana” a cui tendiamo.

Molte famiglie oggi - come anche la mia - sono sparse in tutto il mondo, spesso a migliaia di chilometri di distanza. I moderni mezzi di comunicazione rendono facile il tenersi in contatto. Ma tutti sappiamo che non vi è niente che possa sostituire il riunirsi di una famiglia vera, quando si può raggiungersi e abbracciarsi l’un l’altro. E questo vale anche per la nostra famiglia Caritas.

Una collega Caritas, molto saggia, e di lungo corso, una volta quando mi sentivo un po’ nervosa riguardo agli obiettivi e risultati che avremmo potuto raggiungere in una riunione mi ha dato un buon consiglio: "Abbi fiducia nel fatto stesso che ci troviamo”, mi disse. E infatti c’è qualcosa di molto speciale in un incontro Caritas. Ci incontriamo non solo per parlare di business, ma ci riuniamo per pregare insieme, abbracciarci l’un l’altro ed aprirci il cuore l’uno l’altro.

Ho sperimentato questa speciale comunione che regna in Caritas in diverse occasioni, ma mai in una maniera così intensa come nel corso questa settimana. In questa Assemblea generale ho avvertito il vostro abbraccio amoroso e questa è stata per una esperienza profondamente commovente e rigenerante.

Il vostro generoso riconoscimento del nostro lavoro comune compiuto negli ultimi quattro anni ha fatto sì che io possa andarmene in pace. Ho sempre cercato di fare quello che sentivo era giusto per la Caritas e sono molto grata che la famiglia Caritas l’abbia riconosciuto.

Mi vengono in mente le parole di san Pietro nella sua 1 Lettera:

“E chi potrà farvi del male se siete ferventi nel bene? Se poi doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non sgomentatevi per paura di loro e non turbatevi, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia, questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo.

Se questa infatti è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male” (1 Pt,3,13-17). Miei cari amici in Caritas, adesso che vi ho detto addio, prego altresì che restiate sempre orgogliosi e fiduciosi in quello che rappresentiamo come Caritas. E allo stesso modo che voi possiate rimanere aperti a tutto il nuovo che sta emergendo, aperti allo Spirito santo e a quello che Dio ci chiede di fare nel mondo di oggi, e ai nostri sforzi per diventare una sola famiglia umana. Rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità ... ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità” (Col 3,1-14).

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Titolo articolo : IL CROLLO DELL'ASSE: IL CARDINALE BERTONE E LA CADUTA DA CAVALLO. Commenti e riflessioni di Marco Politi e Mirella Camera, sull'esito delle elezioni amministrative - con premessa,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: June/01/2011 - 21:24:43.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/6/2011 21.24
Titolo:RISULTATI ELETTORALI E COMMENTO DI BRUNO FORTE. La linea di Tettamanzi una luce ...
«È un segnale importante sul piano etico e sociale La gente non ne può
più»

intervista a Bruno Forte a cura di Gian Guido Vecchi

in “Corriere della Sera” del 1 giugno 2011

«Ora l’attenzione di tutti è rivolta all’analisi delle conseguenze politiche, ma questo come pastore
non mi riguarda. A me sta a cuore la svolta sul piano etico».

E da questo punto di vista, eccellenza, che ne dice?

«Che è un segnale importante perché la gente non ne può più. È chiaro che in questa vicenda ci
siano segnali di insoddisfazione profonda rispetto alla scena etica e sociale del Paese. Anche se il
difficile comincia adesso».

L’arcivescovo e teologo Bruno Forte ha partecipato ieri sera alla recita del rosario guidata da
Benedetto XVI nei Giardini vaticani. «La scorsa settimana è stato commovente che tutti i vescovi
italiani, con il Papa, abbiano pregato e rinnovato l’affidamento del nostro Paese a Maria: un gesto
profetico...».

Perché la gente non ne può più?

«Perché è stanca della scena politica che si presenta ogni giorno. Molte cose non vanno, la
situazione economica, la fatica ad arrivare a fine mese, la crisi generale, ma anche le ferite allo stato
sociale, la famiglia, il lavoro, la scuola, l’educazione, la sanità, le difficoltà delle piccole imprese,
insomma i problemi reali. C’è voglia di cambiamento».

In che modo?

«La priorità assoluta è che si faccia l’interesse dei più deboli. Non è possibile anteporre il bene
privato a quello pubblico, occorre trasparenza di comportamenti e rispetto degli impegni, soprattutto
una politica nella quale i toni aggressivi di questa campagna elettorale siano abbandonati per
sempre: io sento una forte esigenza di serietà, anche nei rapporti tra istituzioni».

Mesi fa lei parlò di «disgusto» , il presidente della Cei ha denunciato una politica
«inguardabile» e ridotta a «vaniloquio».

«Le parole del cardinale Bagnasco sono state un segnale importante perché profondamente vero.
Noi tutti vescovi ci siamo sentiti rappresentati da questa denuncia».

A Milano si è evocata Zingaropoli...

«La linea del cardinale Tettamanzi risplende come una luce per tutti: ha ricordato ciò che dice la
dottrina sociale della Chiesa sulla dignità di ogni essere umano, demonizzare le sue posizioni
significa non conoscerla».

Nell’assemblea Cei c’era disagio per l’uso della «leva della paura».
«Tra l’altro mi è sembrata una scelta assolutamente improduttiva. Può funzionare quando le cose
vanno bene e si ha paura di perdere ciò che si ha. Ma quando invece vanno male, e si ha bisogno di
proposte credibili, l’evocazione della paura infastidisce, esaspera e produce il contrario di quello
che si voleva ottenere».

E adesso?

«C’è bisogno di un sussulto etico generale. Nei momenti difficili ci vogliono modelli di
responsabilità e solidarietà, figure come De Gasperi o Adenauer, gente che univa l’assoluta
dedizione al bene comune alla totale affidabilità sul piano personale: e questo, sia chiaro, va chiesto
a tutti».

Perché diceva che il difficile comincia ora?

«Di là dall’onda del momento, abbiamo bisogno di convinzioni profonde, di scelte da portare avanti
pagando di persona. E questo è molto più difficile, in questo senso le elezioni hanno detto più un
"no" che un "sì". Occorre qualcosa di diverso, c’è un’esigenza di etica sociale e personale forte.
Perciò la grande sfida comincia ora, penso alla nuova generazione di politici cristiani più volte
evocata dal Papa: ridare ai giovani il gusto della cosa pubblica, la convinzione che vale la penaimpegnarsi per il bene comune. Noi pastori abbiamo il dovere di educare alla politica come forma
di carità: oggi, lo so, è un’espressione che fa sorridere. Questo è il problema»

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Commenti Articolo 1054

Titolo articolo : DOPO CHE IL SUO PAPA HA BENEDETTO E GUIDATO L’ATTACCO ALLA REPUBBLICA E ALLA COSTITUZIONE, BRUNO FORTE SI INTERROGA SULL'ITALIA FERITA E SCONCERTATA. Una nota di premessa sull’inizio dell’offensiva e le sue "riflessioni sui nostri tempi", oggi,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: June/01/2011 - 21:22:20.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/4/2011 09.36
Titolo:NOSTALGIA DI COSTANTINO? L'analisi di G. Zizola ....
Nostalgia di Costantino?

di Giancarlo Zizola (Rocca, 7, 1° aprile 2011)

Nel discorso pronunciato al Quirinale il 24 giugno 2005, nella sua prima visita ufficiale, Benedetto XVI formulava un riconoscimento solenne della «sana laicità dello Stato, in virtù della quale le realtà temporali si reggono secondo le norme loro proprie». Ma il papa subito precisava che la laicità dello Stato è legittima «senza tuttavia escludere quei riferimenti etici che trovano il loro fondamento ultimo nella religione». E rafforzava questo paradigma aggiungendo che «l’autonomia della sfera temporale non esclude un’intima armonia con le esigenze superiori e complesse derivanti da una visione integrale dell’uomo e del suo eterno destino» (1).

Probabilmente non erano molti allora a notare che la rilettura ratzingeriana della laicità - come anche l’interpretazione massimalista sulla libertà religiosa nel discorso dell’11 gennaio scorso al Corpo Diplomatico - si proiettava, al di là della comunità cattolica, anche sullo Stato, invitato a riconoscere nel suo ordinamento i paradigmi propri dell’ordinamento della confessione maggioritaria in Italia.

La visione etica della laicità veniva invocata cioè, insieme al classico principio della collaborazione tra Stato e Chiesa per il bene comune, per legittimare le esigenze della Chiesa, anche se nei modi di un potere di persuasione morale, per misure legislative forgiate secondo i suoi principi morali e i suoi interessi sui terreni critici del matrimonio e della famiglia, della legislazione del vivente e del finanziamento delle scuole private, malgrado la diversa direttiva formulata dalla Costituzione italiana.

Le ripercussioni concrete di questa piattaforma della politica ecclesiastica non cessano di sgomentare molti seguaci della fede nel Cristo dei Vangeli nel nostro avventurato Paese. In una lettera al nuovo arcivescovo paracadutato dall’alto a Torino, un leader cristiano ben conosciuto di quella comunità cristiana Enrico Peyretti lamentava che la Chiesa «appare come un partito, una forza sociale tra le altre, coi suoi interessi, addirittura interessi economici non puliti, forse peggiori delle offese sessuali, con le sue alleanze calcolate, non di rado impresentabili». E constatava con sofferenza che la gerarchia episcopale dava l’impressione di «vivere nel sogno di una società coincidente con la Chiesa, un matrimonio trono-altare».

Al punto che non sembrava azzardato, con tutte le cautele storiografiche del caso, il parallelo tra «l’odierno catto-berlusconismo della gerarchia cattolica italiana e il catto-fascismo del ventennio violento che fu il fallimento dei pastori e l’abbandono dei fedeli al potere malvagio e falso, può accadere di peggio alla Chiesa? - si chiedeva Peyretti - Questo è peggio della persecuzione». Non è da oggi che si accumulano segnali di una ristrutturazione più o meno raffinata del paradigma «costantiniano» nelle relazioni della Chiesa con gli Stati, e particolarmente con lo Stato italiano.

All’avanzata di una società secolarizzata, che sembra insidiare l’egemonia del cattolicesimo nei paesi di antica cristianità e di fatto mette in crisi la riproduzione sociale della cristianità, il rischio crescente è la nostalgia dello Stato cattolico. L’esito di questa deriva è fra l’altro l’offuscamento delle direttive del Concilio Vaticano II il quale aveva affermato che la Chiesa «in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non si lega ad alcun sistema politico per essere segno e salvaguardia del carattere trascendente della persona umana... La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo... La Chiesa non pone la sua speranza nei privilegi offertile dall’autorità civile, anzi rinuncerà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti ove constatasse che il loro uso potrebbe far dubitare della sincerità della sua testimonianza».

catto-berlusconismo

L’insorgere di una tentazione neo-costantiniana è senza dubbio facilitato dalla deriva liberistica del governo Berlusconi che ha applicato la politica della privatizzazione anche ai rapporti con la Santa Sede e con la Cei, riducendoli ad un aberrante mercato di privilegi confessionali in cambio di consenso. Anche all’interno della coalizione governativa si nota con allarme che è invalsa una prassi per cui vengono sistematicamente saltati i canali diplomatici dello Stato per privilegiare comunicazioni dirette tra membri del governo e prelati romani e trattare a questo livello privatistico misure legislative di interesse ecclesiastico.

Una prassi del genere è andata incontro al neo-costantinianesimo di settori ecclesiastici, segnando la crisi dell’impianto conciliare della «Gaudium et Spes» sul quale si fondava l’aspettativa che la Chiesa seguisse altre strade, diverse da quella delle posizioni di potere, per farsi strada nel mondo delle anime.

Di fatto, la Chiesa reale ha ceduto alla facilità di una Chiesa «di Stato» esorbitando dal proprio campo con interventi invasivi nei campi in cui, in una società pluralista, lo Stato può e deve legiferare, cioè sulle coppie di fatto, sul trattamento di fine vita, sulla «pillola abortiva» eccetera: altrettanti campi sui quali lo Stato ha competenza ed è tenuto a intervenire con attente mediazioni fra l’ordine dei valori e la complessa realtà sociale in rapida trasformazione. Si tratta di situazioni che di fatto sono presenti nella nostra società, e sui quali il potere civile è pienamente legittimato a legiferare per inquadrarle in un minimo di normativa civile, ad evitare mali maggiori.

Le derive citate rendono attuale il monito dell’abate Rosmini: «quando la Chiesa si fa arbitra delle sorti umane, allora solo è impotente, quello è il tempo del suo decadimento»

strategie interventiste

Le sortite di alcuni vescovi di regime ne hanno dato una corposa convalida, nella congiuntura delle notti orgiastiche del premier. Tra le scorciatoie assolutorie escogitate, nessun discepolo laicista di Machiavelli avrebbe saputo toccare le altezze cognitive raggiunte da Giampaolo Crepaldi, il vescovo che sta dividendo la comunità cristiana di Trieste. In un volume Il cattolico in politica. Manuale per la ripresa» (Cantagalli, 2011), Crepaldi afferma: «Tra un partito che contemplasse nel suo programma la difesa della famiglia fondata sul matrimonio e il cui segretario fosse separato dalla moglie, e un partito che contemplasse nel programma il riconoscimento delle coppie di fatto e il cui segretario fosse regolarmente sposato, la preferenza andrebbe al primo partito». E aggiungeva: «È più grave la presenza di principi non accettabili nel programma che non nella pratica di qualche militante, in quanto il programma è strategico ed ha un chiaro valore di cambiamento politico della realtà più che le incoerenze personali».

Il suo confratello Luigi Negri, vescovo di San Marino e Montefeltro, non esitava a schierarsi a difesa di Berlusconi, adducendo (in un articolo al settimanale Tempi, poi in una intervista a La Stampa) l’appoggio assicurato da questo governo ai «principi non negoziabili», quali la difesa della vita dal suo inizio al suo termine naturale, ai valori della famiglia, avvalorando questi vantaggi come sufficienti a giustificare la mancanza di «indignazione» verso le condotte personali del premier (in realtà, verso le presunte sue violazioni di leggi dello Stato sulla concussione e la prostituzione minorile, contestategli dalla Procura di Milano).

Lo spettacolo di vescovi che si prodigavano ad affondare alcuni principi fondamentali dell’ordine cristiano tradizionale per tenere a galla Berlusconi non poteva lasciare indifferenti. Già al Consiglio Permanente della Cei, aperto i124 gennaio ad Ancona dalla prolusione del Cardinale Bagnasco, si erano manifestate le inquietudini di alcuni vescovi secondo i quali la Chiesa con il suo atteggiamento ancillare nei confronti del regime avrebbe assunto «la responsabilità di intrattenere questo governo». «Un conto è pazientare, tutt’altro sostenere» era stato osservato da chi avvertiva dei gravi danni che una sostanziale collusione col regime avrebbe procurato alla missione pastorale, chiamata a rivolgersi a tutti, al di là di opzioni politiche settarie.

A Crepaldi hanno risposto alcuni gruppi cristiani di Verona (in «Segni dei tempi», anno II, n. 10) indicando il pericolo dell’immoralismo berlusconiano, dei suoi fiancheggiatori e della vasta pletora dei tolleranti per il suo potere destrutturante dal punto di vista civile e politico. Essi contestavano «la pretesa di scindere vita privata e vita pubblica» come uno dei fattori (accanto all’eventuale responsabilità per atti penalmente rilevanti) che «inquinano alla radice la possibilità della costruzione di una vita sociale in cui si possa riconoscere». E parlando della strategia interventista dei vescovi, sottolineava la decadenza dell’autonomia politica del laicato cattolico, costretta - contrariamente alle direttive esplicite del Vaticano II (messo da parte dal Crepaldi) - a rifluire entro i quadri clericali dell’obbedienza agli indirizzi dei vescovi, considerata «tratto distintivo della loroazione politica».

la vera alternativa a Dio

Sulle tesi neo-costantiniane di Negri interveniva poi, uscendo da un prolungato silenzio, l’emerito vescovo di Ivrea Luigi Bettazzi. In una «Lettera aperta» egli difendeva lo statuto originalmente evangelico dell’«indignazione» e rammentava che tra i principi «non negoziabili» è presente quello fondamentale della solidarietà, in forza del quale ci si deve impegnare non solo in difesa delle vite più deboli ma anche di tutte le vite «minacciate», «come sono quelle di quanti sfuggono la miseria insopportabile o la persecuzione politica, che sono invece fortemente condizionate dal nostro Governo». Del resto, anche sotto il profilo delle «consonanze cristiane», «non si è fatto nulla per favorire la vita nascente con leggi che incoraggino il matrimonio e la procreazione come ha fatto la ’laica’ Francia».

Infine, a contraddire la tesi che il politico va giudicato solo per la politica, Bettazzi ricordava che «chi sta in alto deve dare il buon esempio perché egli tanto più in quest’era mediatica, influisce sull’opinione pubblica. Ed è questo che dovrebbe preoccupare noi vescovi, cioè il diffondersi, soprattutto fra i giovani, dell’opinione che quello che conta è ’fare i furbi’, è riuscire in ogni modo a conquistare e difendere il proprio interesse, il bene particolare, anche a costo di compromessi, come abbiamo visto nei genitori e nei fratelli che suggerivano alle ragazze di casa di vendersi ad alto prezzo». Così si diffonde l’idolatria del fare soldi, del fare ciò che si vuole, concludeva Bettazzi. Si instaura nella società «la vera alternativa a Dio» («o Dio o mammona»), si ignorano le raccomandazioni della Cei sul bene comune come impegno specifico dei cristiani.

la potente armata morale di Ruini

Tuttavia non erano in questione soltanto le propensioni politiche di questo o quel vescovo, o il grado più o meno profetico delle trepidazioni gerarchiche dinanzi all’immoralismo politico. In realtà a trovarsi implicata era un’intera politica ecclesiastica, troppo esposta all’obiezione di perseguire vantaggi materiali mediante uno spericolato compromesso con il regime al comando. E questa situazione rinviava all’opzione decisa fin dagli inizi dell’«era Ruini», nello scenario del pontificato spettacolare di Wojtyla, quando si era adottato per l’avvenire della Chiesa cattolica in Italia il paradigma di un cattolicesimo dimostrativo, presente nella mischia politica e nel frastuono mediatico, ma anche desideroso di allargare il deposito dell’8 per mille concordatario, dei privilegi confessionali, delle leggi conformi al suo credo, in una società pluralista.

Si profilavano fin da allora i presupposti di fenomeni di involuzione, caratterizzati dal ritorno ad una pretesa di autosufficienza della Chiesa verso la società moderna, dal tentativo di costituire nella Chiesa, favorita dai nuovi privilegi concordatari, la base organizzativa di una potente armata morale, quasi a rincorrere il sogno di una nuova cristianità clericale per tamponare le crepe della cristianità sociologica, serrando le fila per far fronte al mondo.

Nel vuoto lasciato dal Partito cattolico dopo la disfatta della Dc era chiaro che la Chiesa cercava di assumere un nuovo potere di supplenza politica nel Paese, come agenzia di valori e lobby di pressione, pronta a scendere in campo direttamente come minoranza attiva, per ottenere per via parlamentare, col favore di governi compiacenti, ciò che evidentemente disperava di raggiungere per le vie lunghe della testimonianza e delle convinzioni.

Una volta constatata la perdita di influsso dei suoi modelli morali sulla vita privata degli individui, la Chiesa operava un completo cambiamento di strategia: senza abbandonare del tutto le vie consuete della sua pastorale delle coscienze, cominciava a dirottare l’investimento principale sul pubblico, cercando di far leva sulla potenza della comunicazione mediatica, sulla legislazione favorevole dello Stato, sugli strumenti concordatari (specialmente nel campo della scuola e in quello del matrimonio) per difendere e promuovere nell’ordine politico statuti di vita privata che possano riprodurre il più fedelmente possibile le sue visioni antropologiche e sociali.

Una prospettiva tale da permettere alla Chiesa istituzionale, al meglio dell’ipotesi, di rimanere una forza sociale consistente e centrale nella società italiana ed europea, valorizzando quel fondo di eredità cristiana che viene considerato un dato strutturale, ben radicato e insostituibile della cultura diffusa del Paese. Di qui la piega neocostantiniana e mondanizzante di una Chiesa che preferisce negoziare spazi per i suoi modelli morali con i poteri politici del momento piuttosto che concentrarsi sulle proprie vie religiose per la formazione degli spiriti liberi.

Con pericoli per lo sviluppo delle dinamiche democratiche (altro che puritanesimo moralistico!), ma anzitutto pericoli «per l’anima della Chiesa stessa, per la sua mistica» ammoniva Achille Ardigò poco prima di morire. «Vedo il pericolo - sottolineava il discepolo di Giuseppe Dossetti - nella volontà ormai esplicita della gerarchia di scendere direttamente, in prima persona, sul terreno politico più operativo, quello dell’organizzazione, delle scelte tattiche, delle valutazioni di convenienza e opportunità, del fine che giustifica i mezzi (...). La Chiesa non può farsi partito politico senza rischiare di dissolvere il proprio fondamento mistico» (2).

Note

(1) Il testo in Osservatore Romano, 25 giugno 2005.
(2) «L’attacco al Concilio e l’interventismo dei vescovi: intervista con Achille Ardigò», La Repubblica, 7 luglio 2005.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/4/2011 19.57
Titolo:La Chiesa non può essere “neutra” (al fianco del potere) quando il paese precipi...
La proposta dei vescovi sui “problemi cruciali” é il “consolidamento di una democrazia governante”, vale a dire prevalenza dei poteri sui diritti, rafforzamento dell’esecutivo, sistema elettorale maggioritario, legge che regoli la democrazia interna ai partiti: ma i padri della Costituzione l’avevano respinta, allora che neutralità é?

La Chiesa non può essere “neutra” (al fianco del potere) quando il paese precipita nella disperazione

di Raniero La Valle *

C’è un caso serio che si è aperto nella Chiesa italiana e nella stessa comunità civile. È un’agenda di “problemi cruciali” e di cose da fare (detta “un’agenda di speranza per il futuro del Paese”) che è stata presentata dai vescovi a conclusione della recente Settimana Sociale dei cattolici tenutasi a Reggio Calabria. Che qualcuno si preoccupi di quel che ci sarebbe da fare in questo povero Paese per riaprire i cuori alla speranza è certamente una cosa positiva, come è positivo dire che tra le cose più ragionevoli e giuste da fare ci sia di accogliere gli stranieri.

È motivo però di grande sconforto e allarme trovare che i “primi temi” indicati siano quelli attinenti al “consolidamento di una democrazia governante” (espressione che nell’attuale gergo politico indica la prevalenza dei poteri sui diritti) e che questi temi vengano identificati così: a) rafforzamento dell’esecutivo; b) sviluppo del federalismo; c) sistema elettorale maggioritario; d) bipolarismo; e) legge che disciplini la vita dei partiti e ne regoli la democrazia interna (ipotesi discussa, ma respinta, alla Costituente); e tutto ciò in una “forma di governance” che si preferisce definire “poliarchica” invece che democratica, con un richiamo non pertinente a Benedetto XVI che nell’enciclica “Caritas in veritate” usava sì il termine “poliarchico”, ma non per incoraggiare una frammentazione feudale dei poteri negli ordinamenti interni, bensì per sostenere una pluralità dei poteri sul piano internazionale, contro il mito di un unico governo mondiale e di un unico Impero.

In questo complesso di tesi e di programmi politici proposto ora dai vescovi è riconoscibile l’ideologia propria di un gruppo minore del Partito democratico vicino a Veltroni; ma la Chiesa che c’entra? L’opzione che essa in tal modo propone all’Italia si presta in effetti a due gravi critiche, una nel merito, l’altra nel metodo. Sul piano del merito la piattaforma politica avanzata dalla Conferenza episcopale sembra non tenere conto della drammaticità della situazione italiana, oggi dominata da un potere oltracotante e corruttore, che non viene mai nominato, grazie alla scelta indicata dal Rettore della Cattolica, Ornaghi, di fare un’analisi intenzionata a “restare neutra rispetto agli schieramenti politici”.

Ora, nell’astrazione di un Paese assunto senza schieramenti politici, senza partiti, senza alcun giudizio sulle pratiche del governo in atto, sulle sue politiche e le sue leggi, l’idea della CEI è che sia “indilazionabile il completamento della transizione istituzionale”, nel senso indicato di una prevalenza dell’esecutivo, del maggioritario, del bipolarismo, del federalismo. Invece, sulla base dell’esperienza disastrosa dell’ultimo ventennio molti italiani pensano a un ripristino della rappresentanza, a una riabilitazione del Parlamento, a uno sviluppo del pluralismo delle culture politiche e dei partiti, e ad elezioni veritiere basate su un voto libero ed eguale.

Siamo, certo, nell’opinabile. Ma rispetto ai fini specifici della Chiesa ragioni non troppo opinabili dovrebbero spingerla a opzioni opposte a quelle adottate: il bipolarismo, nella settaria versione italiana, ha rotto infatti l’unità spirituale del Paese, ha spronato a una legislazione e a provvedimenti amministrativi spietati contro la vita degli stranieri (anche quella nascente), ha seminato rancore ed odio, e lascia per cinque anni incontrollato il governo anche se decide guerra, politiche di impoverimento e nucleare. Inoltre, con la complicità del maggioritario, ha separato dalla politica il movimento cattolico ed esclude ogni forma di partecipazione autonoma dei cattolici alla competizione tra i partiti.

Sul piano del metodo la pronunzia ecclesiastica si presenta come fatta in nome di “noi tutti come Chiesa e come credenti, chiamati al grande compito di servire il bene comune della civitas italiana”; e benché formalmente il documento sia riconducibile al Comitato organizzatore della Settimana, esso è stato approvato dal Consiglio permanente della CEI, mentre lo stesso Comitato è un’articolazione permanente della Conferenza episcopale, presieduto com’è da un vescovo nominato da lei e incaricato com’è di monitorare il seguito da dare alla Settimana mettendosi in relazione, quasi come alto Direttorio, con “le diverse forme di presenza capillare dei cattolici nella società italiana”.

Il documento, come è proprio dei migliori documenti ecclesiastici, chiama a testimoni apostoli, evangelisti e profeti, fa appello al tesoro dell’attuale magistero pontificio ed episcopale, chiede conferma al Concilio, unisce cielo e terra, eucaristia e politica, si rivolge non a una parte, ma a tutti i cattolici e a tutti gli italiani, e parla in nome della fede. Ma in base a quale carisma sceglie tra l’una o l’altra legge elettorale e forma di governo, e in base a quale sussidiarietà si sostituisce, nel dettare l’agenda politica, alla responsabilità dei cattolici come cittadini, così come dei cittadini non cattolici?

* domani.arcoiris.tv, 11-04-2011
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/6/2011 21.22
Titolo:DOPO I RISULTATI DELLE AMMINISTRATIVE E DEI BALLOTTAGGI. Intervista a Forte ....
«È un segnale importante sul piano etico e sociale La gente non ne può
più»

intervista a Bruno Forte a cura di Gian Guido Vecchi

in “Corriere della Sera” del 1 giugno 2011

«Ora l’attenzione di tutti è rivolta all’analisi delle conseguenze politiche, ma questo come pastore
non mi riguarda. A me sta a cuore la svolta sul piano etico».

E da questo punto di vista, eccellenza, che ne dice?

«Che è un segnale importante perché la gente non ne può più. È chiaro che in questa vicenda ci
siano segnali di insoddisfazione profonda rispetto alla scena etica e sociale del Paese. Anche se il
difficile comincia adesso».

L’arcivescovo e teologo Bruno Forte ha partecipato ieri sera alla recita del rosario guidata da
Benedetto XVI nei Giardini vaticani. «La scorsa settimana è stato commovente che tutti i vescovi
italiani, con il Papa, abbiano pregato e rinnovato l’affidamento del nostro Paese a Maria: un gesto
profetico...».

Perché la gente non ne può più?

«Perché è stanca della scena politica che si presenta ogni giorno. Molte cose non vanno, la
situazione economica, la fatica ad arrivare a fine mese, la crisi generale, ma anche le ferite allo stato
sociale, la famiglia, il lavoro, la scuola, l’educazione, la sanità, le difficoltà delle piccole imprese,
insomma i problemi reali. C’è voglia di cambiamento».

In che modo?

«La priorità assoluta è che si faccia l’interesse dei più deboli. Non è possibile anteporre il bene
privato a quello pubblico, occorre trasparenza di comportamenti e rispetto degli impegni, soprattutto
una politica nella quale i toni aggressivi di questa campagna elettorale siano abbandonati per
sempre: io sento una forte esigenza di serietà, anche nei rapporti tra istituzioni».

Mesi fa lei parlò di «disgusto» , il presidente della Cei ha denunciato una politica
«inguardabile» e ridotta a «vaniloquio».

«Le parole del cardinale Bagnasco sono state un segnale importante perché profondamente vero.
Noi tutti vescovi ci siamo sentiti rappresentati da questa denuncia».

A Milano si è evocata Zingaropoli...

«La linea del cardinale Tettamanzi risplende come una luce per tutti: ha ricordato ciò che dice la
dottrina sociale della Chiesa sulla dignità di ogni essere umano, demonizzare le sue posizioni
significa non conoscerla».

Nell’assemblea Cei c’era disagio per l’uso della «leva della paura».
«Tra l’altro mi è sembrata una scelta assolutamente improduttiva. Può funzionare quando le cose
vanno bene e si ha paura di perdere ciò che si ha. Ma quando invece vanno male, e si ha bisogno di
proposte credibili, l’evocazione della paura infastidisce, esaspera e produce il contrario di quello
che si voleva ottenere».

E adesso?

«C’è bisogno di un sussulto etico generale. Nei momenti difficili ci vogliono modelli di
responsabilità e solidarietà, figure come De Gasperi o Adenauer, gente che univa l’assoluta
dedizione al bene comune alla totale affidabilità sul piano personale: e questo, sia chiaro, va chiesto
a tutti».

Perché diceva che il difficile comincia ora?

«Di là dall’onda del momento, abbiamo bisogno di convinzioni profonde, di scelte da portare avanti
pagando di persona. E questo è molto più difficile, in questo senso le elezioni hanno detto più un
"no" che un "sì". Occorre qualcosa di diverso, c’è un’esigenza di etica sociale e personale forte.
Perciò la grande sfida comincia ora, penso alla nuova generazione di politici cristiani più volte
evocata dal Papa: ridare ai giovani il gusto della cosa pubblica, la convinzione che vale la penaimpegnarsi per il bene comune. Noi pastori abbiamo il dovere di educare alla politica come forma
di carità: oggi, lo so, è un’espressione che fa sorridere. Questo è il problema»

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Commenti Articolo 1055

Titolo articolo : Ecologia Scientifica e Modelli di Sviluppo,di Luciano Burderi, Tiziana Di Salvo, Manuel Floris

Ultimo aggiornamento: May/31/2011 - 12:29:32.

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Autore Città Giorno Ora
Sandro Sanna Milano 16/5/2011 13.29
Titolo:Complimenti e ...
Complementi a Luciano Burderi, Tiziana Di Salvo e Manuel Floris per il prezioso contributo. Un grazie a Gianni Mula per averlo postato.
Una sola curiosità. In Italia e/o in Europa, l’unico organo di informazione che l’ha pubblicato Ecologia Scientifica e Modelli di Sviluppo è il dialogo - periodico di Monteforte Irpino?
Autore Città Giorno Ora
Gianni Mula Cagliari 17/5/2011 13.29
Titolo:Sembra proprio di sì
Rispondono Luciano Burderi e Tiziana Di Salvo
L'articolo, come si capisce, e' una risposta ad un articolo apparso sul Fatto Quotidiano l' 11 marzo scorso, che metteva in dubbio, su presunte basi scientifiche, la possibilità di ricorrere alle fonti alternative come opzione energetica.
La cosa ci aveva colpito ed indignato perché non vera ed avevamo scritto il nostro articolo cercando di farlo pubblicare sul Fatto Quotidiano:
abbiamo scritto alla redazione ma non abbiamo ottenuto nessuna risposta. Abbiamo poi inviato l'articolo a La Repubblica, ma anche in questo caso non abbiamo ottenuto alcuna risposta.
Abbiamo contattato l' autore dell' articolo, Dario Bressanini, via e-mail. Dopo un iniziale scambio di mail, Bressanini ci invitava a leggere il libro del fisico inglese David Mackay (che era stato da lui recensito nell' articolo del Fatto) per confrontare i nostri dati con i suoi. Noi lo abbiamo fatto e, citando il libro abbiamo dimostrato, numeri alla mano, che le leggi della fisica permettono di convertirsi completamente alle energie alternative e che i numeri del nostro articolo sono assolutamente esatti: dopo questo mail finale anche da Bressanini nessuna risposta!
L' unico altro sito che ha pubblicato il nostro articolo è quello di Sardegna Democratica. Sul sito www.progrestv.net (andando sull' opzione TV on demand) è possibile vedere un programma registrato la sera del 4 maggio in cui Luciano Burderi illustra in una conferenza dal titolo Ecologia Scientifica e Modelli di Sviluppo (45 minuti circa) i temi affrontati nell' articolo.
Questa è la storia della nostra pubblicazione,
Luciano Burderi e Tiziana Di Salvo
Autore Città Giorno Ora
Marco Cervino Bologna 31/5/2011 12.29
Titolo:cambiare marcia
complimenti agli autori e alla popolazione sarda per il voto consultivo per il rifiuto al nucleare (in maggioranza assoluta degli aventi diritto!).
Detto questo, non ci sono risorse tecniche ed intellettuali (ed imprenditoriali e politiche) in Sardegna per rendere questi calcoli da astratti a una politica attuabile ?
Non si potrebbe passare ad un dettaglio maggiore, ad esempio sui suoli/tetti e siti disponibili al FV comune per comune o provincia per provincia, comprendere la rivoluzione necessaria per una generazione e consumo distribuito, l'integrazione con l'idro (solo il lago Omodeo ?) al dettaglio, politiche di contenimento degli sprechi che consentano sviluppo umano ma stato stazionario dei consumi (e l'elenco si allunga). Solo cosi' la prospettiva di eliminare olio e carbone dalla produzione elettrica sarda si trasforma da appello a prassi, direi.
Mi/vi auguro un proficuo sviluppo di queste idee.

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Commenti Articolo 1056

Titolo articolo : LA CODA DI PAGLIA DEL VATICANO: IL PRETE DELLA NOTTE E LE COLPE DELLA CHIESA. Una nota di Francesco Merlo,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: May/19/2011 - 20:46:44.

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Autore Città Giorno Ora
Stefania Salomone Roma 18/5/2011 18.41
Titolo:Cosa non si fa ...
... per l'8 per mille!
Non è strano che proprio in questo periodo abbiano deciso di SACRIFICARE un prete (o alcuni preti collegati a questo caso), lasciandolo per la prima volta in pasto a giornali, giudici e forze dell'ordine?
Non è strano che proprio in questo periodo (e non prima) Bagnasco sia andato a Lampedusa, cercando anche lui una barca su cui salire, visto che quella berlusconiana sta affondando?

Cosa non fanno per il denaro!!!
Svegliamoci.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 19/5/2011 20.46
Titolo:LAMPEDUSA, 8 PER MILLE E CHIESA CATTOLICA .....
Le strutture religiose accolgano gli immigrati

di Chiara Saraceno (la Repubblica, 27.3.2011)

Sarebbe bello che le istituzioni religiose aprissero almeno una parte delle proprie strutture per dare un’ospitalità decente alle migliaia di immigrati, in primis ai minori non accompagnati, che arrivano a Lampedusa in fuga dall’incertezza e dai pericoli dei loro paesi in conflitto. Sarebbe non solo una doverosa compartecipazione all’azione di solidarietà collettiva cui tutti siamo chiamati a fronte di questa emergenza umanitaria, ma un atto di restituzione di un mancato introito per il bilancio pubblico (stimato in 70-80 milioni di euro) in un periodo di tagli alla spesa sociale che colpiscono soprattutto i cittadini più vulnerabili.

Soprattutto sarebbe una, sia pure temporanea, dimostrazione che effettivamente quelle strutture hanno finalità religiose e assistenziali e non commerciali e quindi la giustificazione formale del sostanzioso sconto Ici di cui beneficiano gli immobili destinati "esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive o per uso culturale" ha un effettivo fondamento.

Ricordo che, nonostante il parere contrario della Corte di giustizia Europea che giustamente ha parlato di trattamento di favore lesivo della concorrenza, il governo lo ha mantenuto e introdotto anche nel decreto sulla fiscalità municipale, anche se, specie per le "strutture ricettive", è spesso davvero difficile non definirle commerciali. Non basta la pur benemerita opera della Caritas, oggi in prima linea anche a Lampedusa, a giustificare perché i vari conventi trasformati in strutture alberghiere a Roma come a Venezia e in altre città debbano pagare meno Ici di qualsiasi altro albergo, pensione o bed and breakfast, facendo anche concorrenza sleale. Questo è il momento di dimostrare che sono innanzitutto dedicate allo svolgimento d attività assistenziali ed anche ricettive non commerciali.

Sarebbe anche opportuno che il governo ripensasse alla sua decisione di non avere un unico election day, buttando al vento centinaia di migliaia di euro. E’ stata una scelta sconsiderata in sé, appunto in un periodo di tagli dolorosi, ma lo è tanto più ora, quando le immagini dei profughi ridotti in condizioni disumane non possono non lasciarci pieni di vergogna. Lo scarto tra spreco e bisogno è letteralmente intollerabile.

Sarebbe infine bello che quest’anno lo Stato, a fronte di tagli alla spesa sociale e viceversa crescenti domande di sostegno in una situazione in cui una emergenza sociale non ne cancella un’altra, indicasse due-tre priorità sociali su cui si impegna a spendere l’8 per mille che gli verrà destinato nelle dichiarazioni dei redditi. Offrirebbe ai cittadini una alternativa effettiva, invogliando una quota maggiore di contribuenti ad indicare il proprio destinatario di elezione: tra le diverse chiese e confessioni religiose e, appunto, lo Stato.

E’ bene ricordare, infatti, che solo una minoranza dei contribuenti indica un destinatario dell’8 per mille. Chi non sceglie, è convinto che i soldi rimangano nel bilancio pubblico. Ma non è così. L’intero ammontare dell’8 per mille delle entrate è ripartito sulla base delle scelte effettuate. Chi conquista la maggioranza della minoranza che sceglie, conquista perciò anche la maggioranza dell’intero ammontare. Come nelle elezioni, chi si astiene di fatto è come se votasse con la maggioranza. In una situazione di risorse scarse e bisogni gravi crescenti, mi sembra davvero non solo poco democratico, ma uno spreco non mettere i cittadini di fronte a possibilità di scelta effettiva sugli obiettivi concreti, in campo sociale, su cui distribuire l’8 per mille.

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Titolo articolo : La beatificación de Juan Pablo II,di Juan José Tamayo, teólogo

Ultimo aggiornamento: May/16/2011 - 08:55:56.

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Autore Città Giorno Ora
claudio bellavita torino 16/5/2011 08.55
Titolo:la santità non necessariamente va d'accordo con la storia
Non sono un teologo, se mai ho una cultura storica, ma penso che il giudizio storico c'entri poco con le qualità che fanno un santo.
Nell'analisi storica che fa il teologo spagnolo, manca un approfondimento sull'allineamento della chiesa alla politica della CIA in america latina, cominciata prima di papa Woijtila, ma da lui perseguito con rigore di sterminio della teologia della liberazione.Risultato: diffusione delle sette e reazione anticlericale dei governi che si sono liberati della tutela americana.
Manca anche la critica al silenzio della chiesa sul problema della droga, dove solo l'assunzione dello spaccio libero da parte dello stato può mettere fine al narcotraffico, all'economia criminale che si sta impadronendo degli stati, e alla microcriminalità diffusa dei drogati. Con queste misure , si ridurrebbe il debito pubblico e l'inflazione in modo decisivo.
Manca anche la critica alla mancata presa di coscienza che in 100 anni la popolazione mondiale è passata da 2 a 7 miliardi di abitanti, con il consumo pro capite in continuo aumento e il tutto sta divorando il pianeta. Ma la Chiesa continua a combattere il preservativo e a condannare ogni pratica omosessuale.
Dopo di che, uno può anche essere santo, per i suo martirio personale, perchè qualche suora grida al miracolo: ma è un esempio personale.

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Commenti Articolo 1058

Titolo articolo : ECUMENISMO RINASCIMENTALE E DOMANDE DEL NOSTRO TEMPO: LA RISCOPERTA DI UNA CAPPELLA SISTINA CON 12 SIBILLE. Sul tema, la prefazione di Fulvio Papi al lavoro di Federico La Sala,

Ultimo aggiornamento: May/13/2011 - 23:12:19.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/5/2011 23.12
Titolo:UN VIAGGIO, IN COMPAGNIA DI DON GIUSEPPE DE LUCA ....
UN VIAGGIO:

SUI LUOGHI DELLA METAFISICA. IN COMPAGNIA DI DON GIUSEPPE DE LUCA **

Tutte le volte, e non furono tante, che io son tornato nella casa dove nacqui (è in un paese montano, sul margine di faggete eterne che mai nessuno ha traversato, nel cuore più nascosto della Basilicata; e sì che vi si è a distanza pari, lassù, tra l’Adriatico, lo Ionlo, ll Tirreno, e io fanciullo coi pastori spiavo se, di tra una radura e l’altra della sommità più alta, si vedessero in lontananza scintillare insieme le tre marine); tutte le volte che sono tornato a casa, dicevo, giungendovi da Salerno per il Vallo di Diano, non appena oltrepassato il crinale che il Vallo separa dalla vallata del Pergola, d’ún subito scoprivo, là sulla costa di fronte, il mio paese nel sole, e poco più giù sulla destra il camposanto, dove dorme colei che, dando in cambio la vita sua per la mia, mi fece uomo; e accanto ad essa, dorme il prete che fece me prete.

Voi direte: il Pergola, peuh! gran fiume che è! e poi anche la valle di cotanto fiume, e poi... Adagio, lettore. Da quei monti dietro il mio paese, da quelle faggète, scende il Melandro; il Melandro per ùna matassa lenta di andirivieni va a riversarsi nel Pergola, il Pergola nel Tanagro; e così, dolce dolce, una valle appresso all’altra ora costeggiando l’uno ora.l’altro paese, antiquos subterlabentia muros, quei magri fiumi si gettano alla fine nel Sele

[nei pressi della stazione ferroviaria del Comune di CONTURSÌ, fls],


e il Sele entra nel mare a Pesto, dove L’acqua del mare serba ancora una sua certa luce: poco più su insomma dell’antica Elea, dove nacque un giorno la metafisica, come sullo Ionio a Metaponto, ora coltivata ma sempre solitaria, nacque un giorno la filosofia religiosa.

Lettor mio, vuoi proprio levarti la voglia e il gusto di darci di “area depressa”? Padrone. Io pure, rintronato sin da fanciullo tra nomi come Melandro, Tanagro, Sele, Palinuro, Elea, Metaponto, anche io mi sento quando perplesso e quando depresso. Non forse in quel senso che dici tu, ma è un fatto, sento che mi opprime, quasi un peso troppo grande, il peso di tre millenni continuati nella luce della civiltà; e se non ti dispiace, mi sento turbare tutte le volte da quelle terre, quei cieli,.quei boschi, quelle acque, quei luoghi senza gloria, così poveri e antichi. Tutte le volte. Te ne accorgerai tu pure, un giorno non lontano *.

*

Questo è il paesaggio in cui si trova Contursi Terme, e questo è il sorprendente avvio dell’articolo, intitolato Ballata alla Madonna di Czestochova (“Osservatore Romano”, 25.2.1962), scritto da don Giuseppe De Luca (su invito di Giovanni XXIII, in occasione della visita a Roma del primate polacco, il cardinale Wyschinski), a meno di un mese dalla sua repentina morte avvenuta il 19.3.1962 (cfr. “Bailamme”, nn. 5-6, 1999, pp. 11 e sgg.). Egli era nato a Sasso di Castalda, in provincia di Potenza, il 15.09.1898, da una famiglia contadina.

Della sua instancabile e preziosa attività culturale, degna di nota (per i problemi qui trattati) è la cura e la risrampa, accresciuúa con ricchi dati bibliografici, della dissertazione del 1907 di Angelo Roncalli su Il Cardinale Cesare Baronio. Per il terzo centenario della morte, cfr. Angelo Roncalli, Il Cardinale Cesare Baronio, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1961.

** Cfr. Federico La Sala, Della Terra, il brillante colore. Note sul “poema” rinascimentale di un ignoto Parmenide carmelitano (ritrovato a Contursi Terme nel 1989), Prefazione di Fulvio Papi, Edizioni Ripostes, Salerno-Roma 1996, pp. 14-15.

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Commenti Articolo 1059

Titolo articolo : Il vescovo cattolico con 600 foto pedofile nel pc,

Ultimo aggiornamento: May/12/2011 - 19:04:30.

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Autore Città Giorno Ora
Salvatore Messina Valdagno 12/5/2011 19.04
Titolo:DEI FIGLI MIEI di Salvatore Messina
E' sera
con gli occhi con la mente
in te sovrano ed assassinoei
s'addormono l'infami tuoi pensieri
consacrati
Dei bimbi il corpo dilaniato offeso
eviscerato inquisito dissacrato
Il sacro latte di tua madre
quello che hai infangato ucciso stuprato
ma dei figli miei
quelli che da mostro immondo
o da infame vivisettore hai stuprato
quale altro dio dalla croce
me li depone

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Commenti Articolo 1060

Titolo articolo : Preti, licenza di offendere,Dal Blog AnimaBella

Ultimo aggiornamento: May/09/2011 - 16:25:58.

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Autore Città Giorno Ora
Stefania Salomone Roma 09/5/2011 16.25
Titolo:Bellissima riflessione
Sono questi i talk show del pomeriggio o gli scioccanti minestroni della domenica.
Prendi Meluzzi, lo mescoli con Sgarbi, ci aggiungi la sagacia di Signorini, le false lacrime della D'Urso e la "voce suadente" della De Filippi, e, in ultimo, il prete bacchettone.
E il gioco è fatto.
Il successo è assicurato.

L'unica cosa sarebbe riuscire a convincere le persone a spegnere la TV, a pensare con la propria testa e a non dare ascolto al prete soltanto perché è prete.
Ma la minaccia dell'inferno è sempre in agguato ... e ancora funziona!

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Commenti Articolo 1061

Titolo articolo : Dopo Napoli,

Ultimo aggiornamento: May/09/2011 - 15:40:10.

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Autore Città Giorno Ora
Concetta Centonze San Donà di Piave 09/5/2011 15.40
Titolo:La Parola
Negli ultimi dieci anni, l’insoddisfazione nei confronti del mio essere cristiana mi ha condotto ad una ricerca favorita dall’utilizzo di internet.
Il primo incontro è avvenuto con le omelie di padre Alberto Maggi attraverso Arcoiris; in seguito sono entrata in rapporto con Koinonia di padre Alberto Bruni; mi sono iscritta al gruppo di “Noi siamo chiesa” di Vittorio Bellavite, partecipando ad alcuni incontri vuoi a Pistoia, vuoi a Milano e al primo incontro di Firenze del maggio del 2009.
Ascoltare i suddetti fratelli ha significato riconoscere la verità in ciò che dicevano e facevano.
Quello che ho appreso e compreso- me ne assumo la responsabilità- mi sembra non del tutto consonante con la posizione di don Pino Ruggeri accennata nel vostro articolo: la questione del perdono.
Il cristianesimo delle origini ricalcava in modo puntuale l’idea di una divinità arcigna a cui offrire sacrifici e, d’altra parte, non poteva essere che così vista la contiguità con la sinagoga e con il paganesimo.
Oggi, dopo 2000 anni di storia e di conoscenze antropologiche e psicologiche é ancora proponibile lo schema peccato- sacrificio/espiazione- perdono?
E‘ mai esistito un peccato originale? O questa espressione indica la condizione di paura dell’uomo primitivo che altro non è la paura per la non conoscenza di sé e del mondo circostante e quindi la sensazione di insufficienza ovvero peccato?
Se ciò fosse veritiero che senso avrebbe la venuta di Cristo? Essa avrebbe esclusivamente il compito di rivelare all’uomo la sua autentica natura: per l’homo sapiens sapiens era giunto il momento di compiere un’ulteriore evoluzione per superare la propria individualità egoistica che lo conduceva alla belluina affermazione di sé perpetrando un dominio sempre più animalesco sugli altri, come dimostrano la storia degli imperi antichi e l’esistenza della schiavitù.
L’umanità non poteva giungere da sola a tale consapevolezza: per questo Cristo è venuto a donarle la rivelazione che consisteva nel fargli intendere, grazie alla sua stessa vita e ortoprassia, il destino ulteriore che attende l’umanità e la sua partecipazione a un Tutto capace di amore disinteressato, amore creativo.
Per questo oggi non si dovrebbe più affermare che Cristo è venuto a “lavare i peccati del mondo”, a riaprirci le porte del Paradiso” poiché sappiamo che Egli morì per decisione di Caifa e per i compromessi tra il popolo ebreo e i suoi dominatori romani: compromessi in cui il frustrato Pilato si trovò a barcamenarsi.
Va quindi corretto il percorso prima accennato: peccato ( cioè non conoscenza da parte dell’umanità della propria divina natura) – perdono- conversione.
Dio ci aveva già perdonato, ci perdona ogni istante e Cristo, suo figlio, ce lo ha rivelato; al nostro operare spetta la libera scelta della conversione.
Per questo credo nella supremazia della la parola, giudico impellente necessità farla conoscere.
E’ la fedeltà a tale parola che ci fa cristiani, fedeltà da parte di tutti, gerarchia compresa -su cui ritengo abbiamo dovere di agire con correzione fraterna- prima che la chiesa di Roma diventi, contraddicendo il termine cattolico, sempre più romana e berlusconiana e non più cristiana.
Cettina Centonze

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Commenti Articolo 1062

Titolo articolo : EREDI DI DIO, CO-EREDI DI CRISTO. UN’EREDITA’ ANCORA PENSATA ALL’OMBRA DELL’"UOMO SUPREMO" E DEL "MAGGIORASCATO". Una riflessione di Massimo Cacciari su "cosa significa ereditare il passato", con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: May/05/2011 - 10:28:33.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/5/2011 10.28
Titolo:Eredi - Letture dei Classici ---- PROGRAMMA ....
Eredi - Letture dei Classici

5, 12, 19, 26 maggio 2011,
Aula Magna di Santa Lucia,
Bologna

Tipo:
Conferenze

Indirizzo:
Via Castiglione, 36
Bologna

Si apre la decima edizione della tradizionale manifestazione di lettura dei Classici promossa dal Centro Studi La permanenza del Classico.

Il ciclo di quest’anno, presentato come di consueto dal rettore Ivano Dionigi nella cornice dell’Aula Magna di Santa Lucia, si intitola "Eredi" e vuole essere un’articolata riflessione sui legami che connettono tra loro tanto le epoche quanto gli individui, in un incessante passaggio del testimone dai padri ai figli, dai maestri agli allievi, dagli avi ai posteri, dal passato al futuro.

La rassegna si svilupperà per quattro serate nel mese di maggio e vedrà alternarsi sul palco gli interventi di grandi personaggi del mondo della cultura che porteranno contributi e riflessioni sotto forma di una breve lezione. Arricchiranno le conferenze le letture di brani classici, eseguite da importanti nomi del panorama teatrale e cinematografico.

Tutte le traduzioni dei testi che accompagneranno gli incontri sono state prodotte per l’occasione dagli studiosi di La permanenza del Classico, un centro studi, articolazione scientifica del Dipartimento di Filologia Classica e Medioevale dell’Università di Bologna, che si propone l’intento di studiare le proiezioni dell’antico nelle varie forme del sapere occidentale.

Durante le serate verrà distribuito gratuitamente ai partecipanti un libro di sala contenente le letture e le traduzioni dei testi rappresentati. Sul web è possibile consultare una versione digitale del volume: http://www2.classics.unibo.it/Permanenza/2011/EREDI-volume.pdf

L’ingresso è gratuito ma ad invito: i biglietti potranno essere ritirati, fino ad esaurimento, il martedì precedente ciascuna rappresentazione, dalle ore 17.00 alle ore 19.00, presso il Centro Studi La permanenza del Classico (via Zamboni, 32). Per tutti coloro che non riusciranno ad essere presenti alle serate sarà reso disponibile un servizio di diretta video online collegandosi al sito del Centro: http://www2.classics.unibo.it/Permanenza/

PROGRAMMA DELLE SERATE:

Giovedì 5 maggio
ore 21.00
Heres heredem sequitur - Figli e eredi
Lezione di Massimo Cacciari e Ivano Dionigi
Letture da Virgilio, Eneide
Interpretazione Sonia Bergamasco e Fabrizio Gifuni
Regia di Claudio Longhi

Giovedì 12 maggio
ore 21.00
Patris imago - Conoscere il padre
Lezione di Massimo Recalcati
Odissea di e con Mario Perrotta Compagnia Teatro dell’Argine
Musiche dal vivo di Mario Arcari e Maurizio Pellizzari

Giovedì 19 maggio
ore 21.00
De magistro - Maestri e allievi
Lezione di Paolo Grossi
Letture da Platone, Aristotele, Lucrezio, Seneca, Petronio, Persio, Marco Aurelio, Agostino
Interpretazione "Mitipretese": Manuela Mandracchia, Alvia Reale, Sandra Toffolatti, Mariángeles Torres
Regia di Claudio Longhi

Giovedì 26 maggio
ore 21.00
Apocalypsis - Il testamento di Dio
Lezione di Enzo Bianchi e Barbara Spinelli
Apocalisse (una domenica a Patmos) dall’Apocalisse di Giovanni
con Francesco Colella
Regia di Francesco Lagi

FONTE: FLASHGIOVANI.IT - http://www.flashfumetti.it/eventi/evento/id-14418/day-2011-05-26/

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Commenti Articolo 1063

Titolo articolo : IL MAGGIORASCATO! IL GIOVANE MARX, LO "SCORPIONE E FELICE", E "LA PIETRA FILOSOFALE" DEL SUO CAMMINO. Una nota di Michele Serra e alcune pagine dal romanzo umoristico e satirico di Marx - con una premessa,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: May/03/2011 - 17:08:56.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 03/5/2011 17.08
Titolo:GESU' E IL MAGGIORASCATO. Cit. da un intervento di Paolo Farinella .....
CITAZIONE DA:

Il Padre che fu madre

Una lettura moderna della parabola del Figliol Prodigo

Trascrizione dell’incontro di presentazione dell’ultimo libro di don Paolo Farinella tenutosi a Roma il 19 gennaio 2011

[INTERVENTO - RIPRESA PARZIALE] *

Paolo Farinella (Autore):


[...] All’epoca di Gesù il patrimonio non poteva essere diviso perché ereditava soltanto il figlio maggiore. Il figlio minore aveva un terzo di eredità, che per non poteva vendere, era titolare ma non poteva disporne, perché la proprietà non poteva essere divisa. Il figlio maggiore rappresentava la tutela della proprietà.

E questo è stato fino a Napoleone. Grosso modo nel XVII secolo i monasteri, i conventi erano pieni di figli secondogeniti per non sperperare il patrimonio. Il motivo per cui nella chiesa cattolica si ostina a difendere il celibato non credete che sia per motivo di assimilazione a Cristo, queste sono balle che hanno voluto far credere! Ma il vero motivo dal X secolo in avanti, con l’XI secolo in modo particolare in Francia, è per garantire la legittimità del figlio del re di Francia e per impedire che il prete sposato possa intaccare il patrimonio della chiesa.

Questo è il vero motivo detto papale papale. E non motivi spirituali. Se poi i teologi o gli spiritualisti o gli ascetici vogliono farci degli arzigogoli sopra sono liberi di fare quello che vogliono, però siano onesti nel dire quali sono i veri motivi. Un Padre aveva due figli, il fariseo e pubblicano che stanno nel tempio. E poi ci sono tanti altri, per esempio Esaù e Giacobbe e via di seguito. Nel libro cerco di spiegare questi rapporti, Pharez e Zerah, quello che nasce prima viene dopo, quello che doveva nascere dopo viene prima, e c’è tutto un casino che si sviluppa proprio per affermare un principio, che è il principio paolino della prima lettera ai Corinzi, che Dio sceglie nel mondo tutto ciò che non conta niente per affermare il regno di Dio. Non dovrebbe essere questo un principio nella chiesa oggi? Non dovrebbe essere questa la pastorale? Non dovrebbe essere questo l’annuncio profetico? Non dovrebbe essere questo quello che il papa dal balcone, o il cardinale Bertone dal balchino, dovrebbero gridare davanti a un Berlusconi su questo governo? Non dovrebbero dire: “E’ il secondogenito che ha diritto, cioè sono i poveri che hanno diritto, che devono essere tutelati”?

Questo dovrebbe dire la chiesa, questo dovrebbe gridare e no semplicemente andare a pranzo, di giorno, di notte, come i carbonari, per sollecitare interessi vergognosi, perché in questo modo noi nascondiamo il vangelo, anzi lo rinneghiamo il vangelo. Dice Paolo: “Dio non sceglie le cose che contano”, anche perché aggiunge poco prima che “soltanto lo Spirito è capace di leggere le profondità di Dio”. Allora bisogna veramente diventare spirituali per poter leggere le profondità di Dio. Perché soltanto nello Spirito del risorto noi possiamo incontrare Dio. Che cosa dice il figlio minore al padre? Il figlio minore guardate non vuole semplicemente andarsene di casa. Il figlio minore fa una richiesta precisa. Purtroppo le traduzioni non rendono. Voi sapete qual è il sistema delle traduzioni? La CEI, prendendo atto che il popolo di Dio non conosce la scrittura, ha fatto la scelta liturgica, cioè quella del testo che si capisca subito e che abbia un buon suono e che sia orecchiabile, anche a scapito del significato. Io preferisco una traduzione più stridente, ma che sia più letterale e profonda e poi magari si spiega.

Allora, invece di perdere tempo a fare lettere pastorali, a fare piani pastorali, a fare progetti culturali e via di seguito ... sono cinquant’anni ormai che facciamo queste cavolate qui. Bastava semplicemente fare un solo documento di una pagina e dire: “Da oggi in poi si fa solo Bibbia, Bibbia, Bibbia. Bibbia la mattino, Bibbia al pomeriggio, Bibbia alla sera. Bibbia prima dei pasti, dopo i pasti. Bibbia prima delle cure, dopo le cure, prima delle vacanze e dopo le vacanze. Bibbia, Bibbia, Bibbia!”

Se avessero formato un gruppo enorme di biblisti e li avessero sparsi per il paese, noi oggi avremmo un popolo di Dio che almeno può prendersi la scrittura e leggersela tranquillamente. Ma è quello che non si vuole, perché la parola di Dio deve essere sempre mediata da qualcuno, perché se non è mediata da qualcuno, l’autorità per come viene intesa, cioè come possesso delle coscienze, va a farsi fottere tranquillamente.

Allora il lavoro che bisogna fare, a mio parere, è proprio questo [...] E’ mio compito oggi restituire tutte queste cose e restituirle con gli interessi! Perché io non appartengo a me stesso, ma appartengo a una comunità, sono figlio di una comunità e non posso tenerle solo per me. Ecco perché nella preparazione di questa grammatica sono arrivato a sei, sette lezioni, che è faticosissimo perché alle volte, in una giornata, scrivi solo due righe, tre righe, perché devi cercare in tutta la Bibbia greca dell’Antico Testamento, in tutti i libri, devi trovare la forma e poi metterla a confronto con testo ebraico. Poi devi dire il passaggio che c’è stato nelle varie poche, e diventa un lavoro appassionante.

Il Card. Martini, quando ci incontravamo in Gerusalemme, mi diceva: “Don Paolo sono queste le cose che dobbiamo fare perché la gente possa avere in mano gli strumenti per poter leggere la Bibbia per conto proprio e non necessariamente andare in una chiesa per avere una spiegazione”. Tu devi andare in chiesa per incontrarti con la tua comunità e condividere la parola perché non è più una parola sola per te, ma una parola che diventa profezia e questa profezia deve essere gridata, deve essere annunciata.

La richiesta che fa il figlio al padre è una richiesta fondamentale: “Padre, dammi la parte di vita che mi spetta”. Non dammi la parte del patrimonio. In greco usa il termine “ousìa - natura”, dammi la parte della tua natura. E subito dopo il padre - notate il gesto eucaristico - “prese la sua vita e la spezzò tra i due figli”. Questo è il compito di Dio, spezzarsi per darsi. E’ l’Eucaristia.

Quando il figlio va lontano non va lontano. Il verbo greco è apedêmēsen. E apedêmēsen è un aoristo che significa ... qui c’è il problema dell’aoristo con cui io ho problemi, perché in base alla scuola di Niccacci, dipende da dove si trova, e cioè nella lettura narrativa bisogna vedere dove è collocato il verbo principale, cioè in quale linea, in una linea di primo piano o secondaria, ecc. Però io qui non voglio fare questo discorso specialistico. Voglio dire solo che il verbo apedêmēsen viene da apò demèō, dèmos - popolo: “Il figlio, andandosene con la vita del padre, si allontanò dal suo popolo”. Non è semplicemente andare lontano, ma è staccarsi dalla sua identità. E infatti, secondo la traduzione italiana, aggiunge che “visse da dissoluto”. In greco non dice che visse da dissoluto, in greco dice che visse da “asôtos”, un avverbio che indica “senza salvezza”. Vi rendete conto che non è semplicemente una parabola. Quando ero giovane prete non ho mai fatto cantare “mi alzerò e andrò da mio padre ...” nel tempo di Quaresima, perché in tempo di Quaresima c’è tutto questo sciorinamento di questo figlio che si converte.

Ma non è così. Il figlio non si converte e non ritorna per amore del amore del padre, non ritorna perché è pentito, non ritorna per la coscienza di aver fatto male, ritorna perché vuole mangiare, ed è disposto anche a diventare schiavo del padre, non più figlio, pur di sbarcare il lunario e avere un piatto di minestra. E non c’è amore in questo, non c’è compassione in questo. E lo vedo sullo stesso piano dell’altro figlio che Rembrandt ... se voi guardate il quadro che si trova all’Ermitage di San Pietroburgo, se voi guardate il quadro per intero, voi vedete che il figlio maggiore è rappresentato dietro, sul nero, con un pugnale in mano.

E questo pugnale indica che il fratello desiderava la morte del fratello minore, cioè c’era una competizione tra di loro. Ed è la competizione che si trova nella chiesa primitiva fra gli ebrei che si considerano figli prediletti e i greci che invece non devono far parte allo stesso titolo della stessa chiesa. Ed è contro questa impostazione che Paolo si scaglia. E oggi è contro un’umanità di fronte a cui ci troviamo e verso cui la chiesa, o parte di essa, fa delle esclusioni perché si identifica in una civiltà e in una cultura. L’eresia di oggi è affermare che il cristianesimo è identificabile come civiltà occidentale. Non esiste un cristianesimo occidentale. Nella mia chiesa noi diciamo il Padre Nostro - per quattro anni l’abbiamo detto - in aramaico. E da domenica scorsa l’abbiamo iniziato in greco, proprio per far capire dal punto di vista dei segni, che la lingua di Gesù, cioè il cristianesimo nasce in Oriente: Avunà di bishmaiàh itkaddàsh shemàch tettè malkuttàch tit’avèd re’utàch, non sembra di sentire un arabo? Come possiamo dire che il cristianesimo si identifica con la civiltà occidentale? Questa è una bestemmia! Il cristianesimo si identifica con Gesù Cristo, il quale deve essere detto e letto in ogni lingua, in ogni cultura e ambiente può essere annunciato.
E deve essere letto con le categorie specifiche di ciascuno [...]


* Il Dialogo, Martedì 25 Gennaio,2011 Ore: 14:41 (RIPRESA PARZIALE).

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Titolo articolo : Suor Marie Simon Pierre non si vergogna come una ladra,di Miriam Della Croce

Ultimo aggiornamento: May/03/2011 - 13:36:37.

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Autore Città Giorno Ora
Stefania Salomone Roma 02/5/2011 12.11
Titolo:Come non dare ragione a Miriam ...
Sono totalmente ed assolutamente d'accordo.
Grazie per questa breve, ma intensa lettera.
Quanto vorrei, anche solo per un secondo, che le folle osannanti che ieri hanno reso Roma una città diciamo di "costantiniana memoria", si fermassero a leggerla.
E' dura riuscire a fare spazio nella propria mente per farsi venire almeno qualche piccolo dubbio.
Ed è ancora più difficile quando esponenti della sinistra, suppostamente critici o "progressisti", sono invitati nei salotti della tv di stato a commentare la giornata e dicono meraviglie del defunto papa beatificato.
Autore Città Giorno Ora
Carlo Ferraris genova 02/5/2011 18.24
Titolo:e io?
Pur essendo d'accordo con Miriam, io, che credo in Dio ma sono convinto che non esista, mi domando cosa penserei e cosa direi se il miracolo capitasse a me. Francamente non so dare una risposta.
Autore Città Giorno Ora
Silvana RISI SAN GIORGIO A CREMANO 03/5/2011 13.36
Titolo:
Vorrei chiedere a Miriam Della Croce che cosa ne pensa dei beneficati da Gesù nei miracoli descritti nel Vangelo.
Sono anche loro dei privilegiati, così come Suor Marie Simon Pierre? In realtà ci è stato detto che quei miracoli sono da intendersi soprattutto come dei "segni". Segni che rimandano a qualcos'altro, a significati Altri.
Non si potrebbe immaginare che sia la stessa cosa anche in questo caso?
Grazie.
Silvana Risi

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Commenti Articolo 1065

Titolo articolo : I messaggi di augurio giunti in occasione del decennale,

Ultimo aggiornamento: May/02/2011 - 10:21:29.

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Autore Città Giorno Ora
filippo angileri trapani 01/12/2009 10.13
Titolo:I messaggi di augurio giunti in redazione
Mi dispiace che dei miei auguri inviati non c'è traccia alcuna....
Pazienza.
Ancora auguri e..buona continuazione...buon lavoro
Fraterni sluti a tutti.
Filippo
Autore Città Giorno Ora
LUIGI BUSELLI VOLTERRA 02/5/2011 10.21
Titolo:Auguri e forza!
C'è grande bisogno di voi. Grazie per quello che fate.
Io non sono un classico credente. Condivido e seguo solo gli insegnamenti di Gesù Cristo, non vado mai in chiesa, sono anticlericale, vorrei etica, moralità interiore, amore, giustizia, uguaglianza. Vorrei semplicemente essere quell'uomo che Dio creò e che l'avidità di altri uomini cerca di distruggere.
Cari saluti e grazie di nuovo.
Luigi Buselli

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Commenti Articolo 1066

Titolo articolo : Dal Nucleare al Fotovoltaico,di Ruggero Da Ros

Ultimo aggiornamento: April/25/2011 - 06:51:39.

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Autore Città Giorno Ora
Ernesto Miragoli Como 25/4/2011 06.51
Titolo:
Complimenti per l'articolo chiarissimo e per nulla lungo da leggere.
Non so come raggiungere l'autore e chiedo a Codesta direzione il permesso di poter pubblicare questo articolo sul mio piccolo sito.
Un solo commento: per tema di veder affluire molte persone al referendum sul nucleare (e quindi anche sull'acqua e sul legittimo impedimento) questo governo si sta dando da fare per scippare la consultazione referendaria. Probabilmente ce la farà perchè noi cittadini non abbiamo mezzi per impedire la dittatura democratica mentre questa democratica dittatura ha molti pennivendoli al proprio servizio per persuadere il popolo sulle proprie scelte.
Non ci rimane, pertanto, che diffondere articoli come il presente per sensibilizzare quanto più possibile.
Ernesto Miragoli

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Commenti Articolo 1067

Titolo articolo : Liberiamoci dalle ingiustizie, dalla violenza, dallo sfruttamento dell'uomo sull'uomo,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: April/24/2011 - 19:49:38.

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Autore Città Giorno Ora
filippo angileri trapani 24/4/2011 19.49
Titolo:liberiamoci dalle ingiustizie...
Grazie, condivido e sottoscrivo,
per quanto mi riguarda, posso dire che i baha'i questo lo stanno facendo in tutto il mondo, pur con l'indifferenza di tutti e con le persecuzioni in Iràn - gente innocente "perseguitata e punita" nei modi più crudeli, perchè vive per realizzare pace e unità.
Grazie Giovanni,
fraternamente

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Commenti Articolo 1068

Titolo articolo : Settimana Santa,di don Paolo Farinella

Ultimo aggiornamento: April/23/2011 - 20:49:35.

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Autore Città Giorno Ora
milvia fracassi campli 23/4/2011 20.49
Titolo:auguri
Grata per i commenti che settimanalmente tanto mi arricchiscono, auguro a tutti ogni bene nel Signore Gesù.B

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Commenti Articolo 1069

Titolo articolo : AL DI LA' DELLA TRAGICA OPPOSIZIONE TRA SACRO E PROFANO, PER LA "COMMEDIA"!!! IL CORTILE DEI GENTILI, IL CRISTO MORTO, L'ORIGINE DEL MONDO E LACAN. Una nota di Armando Torno, un'intervista a Julia Kristeva, e alcuni appunti critici,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: April/18/2011 - 19:47:37.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 25/3/2011 18.34
Titolo:DALLA CATTEDRA AL CORTILE di Piero Stefani ....
Dalla cattedra al cortile

di Piero Stefani (Il pensiero della settimana, 26 febbraio 2011)

Una delle intuizioni più profonde del card. Martini fu di istituire la «cattedra dei non credenti». L’esempio di Milano fu imitato da molti, in modi non sempre felici. Invero, nel succedersi delle edizioni, anche nella diocesi ambrosiana l’iniziativa perse progressivamente di smalto. Assunse, infatti, più l’aspetto di «liturgia culturale» che di vero e proprio confronto. Ciò non toglie la geniale originalità dell’iniziativa.

Il suo fulcro era ben espresso dal titolo scelto. Un vescovo, a cui spetta, per definizione, la cattedra, dava voce a insegnamenti che provengono dall’esterno e giungono fino all’interno. Per comprenderlo occorre aver a mente che l’impostazione degli incontri non si concentrava sul confronto tra persone dotate o sprovviste di fede. Questo aspetto non era escluso, ma non era il più significativo.

La qualifica di «non credente» è spesso riduttiva o addirittura impropria, dominata com’è da una pura negazione. Nella «cattedra» era invece propria; e lo era perché il senso più autentico della proposta stava nell’affermare che le ragioni più serie della non credenza venivano considerate una forma di interlocuzione, esterna e interna, indispensabile perché ci fosse una fede matura. Analogamente la testimonianza di un credente pensoso non era avvertita priva di significato da parte di chi, in virtù della sua riflessione e della sua coscienza, era indotto a negare l’esistenza di una realtà trascendente o, quanto meno, nutriva dubbi al suo riguardo.

Si comprende, allora, sia perché Martini parlasse del dialogo con il non credente che è in noi, sia perché dichiarasse che la vera distinzione non era quella che sussiste tra credenti e non credenti, ma quella che divide le persone pensanti dai non pensanti. Si potrebbe tentare una sintesi: le persone pensanti sono coloro che danno spazio dentro di sé alle ragioni dell’«altro»; lo fanno non per consegnarsi all’incertezza, ma per render più mature le proprie convinzioni. Ciò avviene solo nel caso in cui il confronto sia sincero e alieno tanto da interessi di parte quanto da convenienze reciproche; condizioni queste ultime ormai estremamente rare.

In luogo della «cattedra dei non credenti», la Chiesa universale ora lancia un’iniziativa chiamata «cortile dei gentili». Affidata al Pontificio Consiglio della Cultura (prefetto card. Ravasi), il «cortile» è stato preinaugurato un paio di settimane fa a Bologna; mentre l’avvio ufficiale avverrà a Parigi verso fine marzo.

La scelta dell’espressione è stata spiegata da Benedetto XVI nel suo discorso tenuto alla Curia romana a fine 2009. Si prendono le mosse dal fatto che, sentendo parlare di «nuova evangelizzazione», persone agnostiche o atee (le quali «devono stare a cuore a noi come credenti») forse si spaventano. Tuttavia in loro rimane presente la questione Dio. Come primo passo dell’evangelizzazione bisogna perciò tener desta la loro ricerca di Dio. A tal proposito, aggiunge Ratzinger, vengono in mente le parole di Gesù che, sulla scorta di Isaia, presentano il tempio di Gerusalemme come casa di preghiera per tutti i popoli (Mc 11,17; Is 56,7).

Gesù pensava «al cosiddetto cortile dei gentili, che sgomberò da affari esteriori perché ci fosse lo spazio per i gentili che lì volevano pregare l’unico Dio, anche se non potevano prender parte al mistero, al cui servizio era riservato l’interno del tempio». Si pensava cioè a persone che conoscono Dio solo da lontano: «che desiderano il Puro e il Grande anche se Dio rimane per loro il “Dio ignoto” (cfr. At 17,23)». «Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorte di “cortile dei gentili” dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa. Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto».

È noto che l’esegesi biblica non ha alcun peso nei documenti ufficiali della «Chiesa docente», perciò non val la pena di impegnarsi a mostrare quanto sia inesatta l’interpretazione del passo evangelico qui proposta. Il punto serio è altrove; esso sta nel fatto che, in questa immagine, la Chiesa prende il posto del tempio (e di Israele). La sua cura e generosità sono però tali da aprire una dependance in cui è concessa ospitalità ad alcuni incerti ricercatori di Dio. Nel suo interno, la Chiesa celebra il mistero e nessuna crepa solca il suo levigato seno. In questa prospettiva sarebbe un vero e proprio ossimoro parlare della parte non credente che è in noi e sarebbe addirittura inconcepibile che le ragioni serie del dubbio e della negazione siano meritevoli di ascolto al fine di liberare la propria fede da sovrastrutture improprie.
In realtà, però, a dover essere purificato non è solo il cortile, è anche e soprattutto l’interno del tempio.

In definitiva, il «cortile» che si sta inaugurando presuppone un dialogo senza ascolto. A quanto si può immaginare (e l’impressione è confermata dalla prime avvisaglie), nessuno accederà a essa per mettersi in discussione; dichiaratamente non lo faranno mai i credenti (si può, dunque, già ipotizzare quale sarà la lista degli invitati). Se i fatti confuteranno queste previsioni, saremo ben lieti di ricrederci.

Del resto mettersi in discussione è difficile per tutti. Le drammatiche vicende libiche di queste ore dovrebbero indurre l’Italia a mobilitarsi (ma non ne vediamo tracce consistenti) e ad aprire un profondo ripensamento a proposito della sua storia (in Cirenaica Badoglio e Graziani non si comportarono meglio di quanto faccia Gheddafi nei suoi ultimi giorni di potere), del suo passato prossimo e dei suoi affari presenti. Sono considerazioni che non valgono per la Grecia, Cipro e Malta.

Questi ultimi giorni dimostrano, ancora una volta, che anche ottanta o settanta anni fa i governi e le società erano fatti di uomini esattamente come siamo noi che peraltro siamo, volenti o nolenti, molti più informati di allora. In Libia si compiono stragi e qui ci si preoccupa del prezzo del petrolio e della possibile invasione degli immigrati; mentre, quando si passa ad altro compartimento stagno, si riesce, per esempio, persino a scandalizzarci che alla fine degli anni trenta l’Inghilterra mandataria contingentasse l’immigrazione ebraica in Palestina.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 26/3/2011 18.25
Titolo:Te­sto del video-messaggio pronunciato dal Pa­pa e trasmesso ieri sera sul sagra...
«La nuova fraternità tra credenti e no»

Benedetto XVI

Il Papa: «Varcate insieme questo magnifico portale e rivolgete una preghiera al Dio conosciuto nella fede, o al Dio Ignoto»

«La questione di Dio non è un pericolo per la società, non deve essere assente dai grandi interrogativi del nostro tempo. Non chiudete la vostra coscienza»

«La prima delle azioni che potete compiere insieme è rispettare, aiutare e amare ogni essere umano, poiché esso è una creatura di Dio e in un certo modo la strada che conduce a Lui»

Pubblichiamo in una nostra traduzione il te­sto del
video-messaggio pronunciato dal Pa­pa e trasmesso ieri sera
sul sagrato di Notre-Dame in occasione del Cortile dei gentili
(Avvenire, 26.03.2011)


Cari giovani, cari amici!

So che vi siete riuniti numerosi sul sa­grato di Notre-Dame di Parigi, su in­vito del cardinale André Vingt-Trois, arcive­scovo di Parigi, e del cardinale Gianfranco Ra­vasi, presidente del Pontificio Consiglio del­la Cultura. Vi saluto tutti, senza dimenticare i fratelli e gli amici della Comunità di Taizé. Sono grato al Pontificio Consiglio per aver ri­preso e sviluppato il mio invito ad aprire, nel­la Chiesa, dei ’Cortili dei gentili’, immagine che richiama quello spazio aperto sulla vasta spianata vicino al Tempio di Gerusalemme, che permetteva a tutti coloro che non condi­videvano la fede di Israele di avvicinarsi al Tempio e di interrogarsi sulla religione. In quel luogo, essi potevano incontrare degli scribi, parlare della fede ed anche pregare il Dio ignoto.

E se, all’epoca, il Cortile era allo stesso tempo un luogo di esclusione, poiché i ’Gentili’ non avevano il diritto di entrare nello spazio sacro, Cristo Gesù è venuto per «abbattere il muro di separazione che divi­deva » ebrei e gentili, «per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo del­la croce, eliminando in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto ad annunziare pace ...» ( Ef 2 , 14 -17 ), come ci dice san Paolo.

Nel cuore della ’Citè des Lumières’, davanti a questo magnifico capolavoro della cultura religiosa francese, Notre-Dame di Parigi, un grande spazio si apre per dare nuovo impul­so all’incontro rispettoso ed amichevole tra persone di convinzioni diverse. Giovani, cre­denti e non credenti presenti questa sera, voi volete stare insieme, questa sera come nella vita di tutti i giorni, per incontrarvi e dialogare a partire dai grandi interrogativi dell’esisten­za umana. Al giorno d’oggi, molti riconosco­no di non appartenere ad alcuna religione, ma desiderano un mondo nuovo e più libe­ro, più giusto e più solidale, più pacifico e più felice.

Nel rivolgermi a voi, prendo in consi­derazione tutto ciò che avete da dirvi: voi non credenti volete interpellare i credenti, esi­gendo da loro, in particolare, la testimonian­za di una vita che sia coerente con ciò che es­si professano e rifiutando qualsiasi deviazio­ne della religione che la renda disumana. Voi credenti volete dire ai vostri amici che que­sto tesoro racchiuso in voi merita una con­divisione, un interrogativo, una riflessione. La questione di Dio non è un pericolo per la società, essa non mette in pericolo la vita u­mana! La questione di Dio non deve essere assente dai grandi interrogativi del nostro tempo. C ari amici, siete chiamati a costruire dei ponti tra voi. Sappiate cogliere l’opportunità che vi si presenta per trovare, nel profondo delle vostre coscienze, in una riflessione solida e ragionata, le vie di un dialogo precursore e profondo. Avete tan­to da dirvi gli uni agli altri. Non chiudete la vo­stra coscienza di fronte alle sfide e ai proble­mi che avete davanti. Credo profondamente che l’incontro tra la realtà della fede e quella della ragione per­metta all’uomo di trovare se stesso. Ma trop­po spesso la ragione si piega alla pressione de­gli interessi e all’attrattiva dell’utilità, costretta a riconoscere quest’ultima come criterio ul­timo. La ricerca della verità non è facile. E se ciascuno è chiamato a decidersi, con corag­gio, a favore della verità, è perché non esisto­no scorciatoie verso la felicità e la bellezza di una vita compiuta. Gesù lo dice nel Vangelo: «La verità vi renderà liberi».

Spetta a voi, cari giovani, far sì che, nel vostro Paese e in Europa, credenti e non credenti ri­trovino la via del dialogo. Le religioni non pos­sono aver paura di una laicità giusta, di una laicità aperta che permette a ciascuno di vi­vere ciò che crede, secondo la propria co­scienza. Se si tratta di costruire un mondo di libertà , di uguaglianza e di fraternità , cre­denti e non credenti devono sentirsi liberi di essere tali, eguali nei loro diritti a vivere la propria vita personale e comunitaria restan­do fedeli alla proprie convinzioni, e devono essere fratelli tra loro.

Una delle ragion d’essere di questo Cortile dei gentili è quella di operare a favore di que­sta fraternità al di là delle convinzioni, ma senza negarne le differenze. E, ancor più profondamente, riconoscendo che solo Dio, in Cristo, ci libera interiormente e ci dona la possibilità di incontrarci davvero come fra­telli.

Il primo degli atteggiamenti da assumere o delle azioni che potete compiere insie­me è rispettare, aiutare ed amare ogni es­sere umano, poiché esso è una creatura di Dio e in un certo modo la strada che condu­ce a Lui. Portando avanti ciò che vivete que­sta sera, contribuite ad abbattere le barriere della paura dell’altro, dello straniero, di colui che non vi assomiglia, paura che spesso na­sce dall’ignoranza reciproca, dallo scettici­smo o dall’indifferenza. Siate attenti a raffor­zare i legami con tutti i giovani senza distin­zioni, vale a dire non dimenticando coloro che vivono in povertà o in solitudine, coloro che soffrono per la disoccupazione, che at­traversano la malattia o che si sentono ai mar­gini della società.

Cari giovani, non è solo la vostra esperienza di vita che potete condividere, ma anche il vostro modo di avvicinarvi alla preghiera. Cre­denti e non credenti, presenti su questo sa­grato dell’Ignoto, siete invitati ad entrare an­che all’interno dello spazio sacro, a varcare il magnifico portale di Notre-Dame e ad en­trare nella cattedrale per un momento di pre­ghiera. Per alcuni di voi, questa preghiera sarà una preghiera ad un Dio conosciuto nella fe­de, ma per gli altri essa potrà essere anche u­na preghiera al Dio Ignoto. Cari giovani non credenti, unendovi a coloro che stanno pre­gando all’interno di Notre-Dame, in questo giorno dell’Annunciazione del Signore, apri­te i vostri cuori ai testi sacri, lasciatevi inter­pellare dalla bellezza dei canti e, se lo volete davvero, lasciate che i sentimenti racchiusi in voi si elevino verso il Dio Ignoto. S ono lieto di aver potuto rivolgermi a voi questa sera per questo momento inau­gurale del Cortile dei gentili. Spero che vorrete rispondere ad altri appuntamenti che ho fissato, in particolare alla Giornata mon­diale della gioventù, quest’estate, a Madrid. Il Dio che i credenti imparano a conoscere vi invita a scoprirLo e vivere di Lui sempre più. Non abbiate paura! Sulla strada che percor­rete insieme verso un mondo nuovo, siate cercatori dell’Assoluto e cercatori di Dio, an­che voi per i quali Dio è il Dio Ignoto.

E che Colui che ama tutti e ciascuno di voi vi benedica e vi protegga. Egli conta su di voi per prendersi cura degli altri e dell’avvenire, e voi potete contare su di Lui!

Benedetto XVI
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 27/3/2011 18.30
Titolo:Le strutture religiose accolgano gli immigrati .....
Le strutture religiose accolgano gli immigrati

di Chiara Saraceno (la Repubblica, 27.3.2011)

Sarebbe bello che le istituzioni religiose aprissero almeno una parte delle proprie strutture per dare un’ospitalità decente alle migliaia di immigrati, in primis ai minori non accompagnati, che arrivano a Lampedusa in fuga dall’incertezza e dai pericoli dei loro paesi in conflitto. Sarebbe non solo una doverosa compartecipazione all’azione di solidarietà collettiva cui tutti siamo chiamati a fronte di questa emergenza umanitaria, ma un atto di restituzione di un mancato introito per il bilancio pubblico (stimato in 70-80 milioni di euro) in un periodo di tagli alla spesa sociale che colpiscono soprattutto i cittadini più vulnerabili.

Soprattutto sarebbe una, sia pure temporanea, dimostrazione che effettivamente quelle strutture hanno finalità religiose e assistenziali e non commerciali e quindi la giustificazione formale del sostanzioso sconto Ici di cui beneficiano gli immobili destinati "esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive o per uso culturale" ha un effettivo fondamento.

Ricordo che, nonostante il parere contrario della Corte di giustizia Europea che giustamente ha parlato di trattamento di favore lesivo della concorrenza, il governo lo ha mantenuto e introdotto anche nel decreto sulla fiscalità municipale, anche se, specie per le "strutture ricettive", è spesso davvero difficile non definirle commerciali. Non basta la pur benemerita opera della Caritas, oggi in prima linea anche a Lampedusa, a giustificare perché i vari conventi trasformati in strutture alberghiere a Roma come a Venezia e in altre città debbano pagare meno Ici di qualsiasi altro albergo, pensione o bed and breakfast, facendo anche concorrenza sleale. Questo è il momento di dimostrare che sono innanzitutto dedicate allo svolgimento d attività assistenziali ed anche ricettive non commerciali.

Sarebbe anche opportuno che il governo ripensasse alla sua decisione di non avere un unico election day, buttando al vento centinaia di migliaia di euro. E’ stata una scelta sconsiderata in sé, appunto in un periodo di tagli dolorosi, ma lo è tanto più ora, quando le immagini dei profughi ridotti in condizioni disumane non possono non lasciarci pieni di vergogna. Lo scarto tra spreco e bisogno è letteralmente intollerabile.

Sarebbe infine bello che quest’anno lo Stato, a fronte di tagli alla spesa sociale e viceversa crescenti domande di sostegno in una situazione in cui una emergenza sociale non ne cancella un’altra, indicasse due-tre priorità sociali su cui si impegna a spendere l’8 per mille che gli verrà destinato nelle dichiarazioni dei redditi. Offrirebbe ai cittadini una alternativa effettiva, invogliando una quota maggiore di contribuenti ad indicare il proprio destinatario di elezione: tra le diverse chiese e confessioni religiose e, appunto, lo Stato.

E’ bene ricordare, infatti, che solo una minoranza dei contribuenti indica un destinatario dell’8 per mille. Chi non sceglie, è convinto che i soldi rimangano nel bilancio pubblico. Ma non è così. L’intero ammontare dell’8 per mille delle entrate è ripartito sulla base delle scelte effettuate. Chi conquista la maggioranza della minoranza che sceglie, conquista perciò anche la maggioranza dell’intero ammontare. Come nelle elezioni, chi si astiene di fatto è come se votasse con la maggioranza. In una situazione di risorse scarse e bisogni gravi crescenti, mi sembra davvero non solo poco democratico, ma uno spreco non mettere i cittadini di fronte a possibilità di scelta effettiva sugli obiettivi concreti, in campo sociale, su cui distribuire l’8 per mille.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/3/2011 13.44
Titolo:L'IDENTITA' DI CRISTO, SECONDO RATZINGER. Un'analisi di Franca D'Agostini ...
FILOLOGIA, FILOSOFIA, E TEOLOGIA. Il teologo Ratzinger, dopo aver tolto la "h" dalla "Charitas" (Amore), ha precisato: "Gesù di Nazaret" si scrive "senza acca"...

IL TEOLOGO E SACERDOTE RATZINGER - PAPA BENEDETTO XVI SI METTE SOTTO I PIEDI IL REGNO DI DIO E S'IDENTIFICA A MODO SUO CON "GESU' DI NAZARET".

L’identità di Cristo

di Franca D’Agostini (il manifesto, 30 marzo 2011)

Nel pontificato di Benedetto XVI si esprime un preciso disegno politico-culturale, che si annuncia chiaramente, e in tutta onestà, nella prima enciclica papale: la Deus caritas est, del 2006. Qui il pontefice dice senza mezzi termini che la dottrina sociale della Chiesa deve prendere il posto lasciato vuoto dalla koiné marxista; deve cioè sostituirsi al marxismo (un «sogno svanito») nella sua opera di mobilitazione convergente delle coscienze umane. Consapevole di quanto la fine del bipolarismo mondiale e la cosiddetta «crisi delle ideologie» abbiano portato e stiano portando a un nuovo orizzonte politico e ideologico, il papa ipotizza dunque che il messaggio cristiano, di cui la Chiesa è prima autorevole interprete, possa e debba porsi alla testa del mutamento.

La sua fisionomia politica

L’ipotesi sembra rischiosa e nello stesso tempo plausibile. Rischiosa perché potrebbe essere l’inizio di un tipo di teocrazia intellettuale che urta contro tutte le conquiste del pensiero politico moderno. Plausibile perché l’idea del marxismo, o più in generale dei movimenti libertari dell’Ottocento, come forme di secolarizzazione (o realizzazione-dissoluzione) del messaggio cristiano, è ben presente alla nostra memoria culturale. L’intera opera di Benedetto XVI - e prima ancora di Joseph Ratzinger - si colloca in equilibrio su questo discrimine.

Questo papa, che oltre a essere un teologo e un sacerdote è anche, chiaramente, un intellettuale pubblico, sembra aver lavorato soprattutto nella prima direzione. Ma per chiunque sia interessato alle sorti dell’umanità globalizzata, è utile vedere da vicino con quali argomenti si giustifica l’ipotesi. E in questo senso i due libri del papa su Gesù di Nazareth costituiscono un’ottima risorsa, perché affrontano il problema in modo diretto e preliminare, chiedendosi: che cosa ha detto e fatto Gesù? Che significato ha per noi la sua figura?

La politica di Gesù. Il primo libro, uscito nel 2007, riguarda il periodo Dal battesimo alla Trasfigurazione, il secondo, appena uscito (a cura di Pierluca Azzaro, e tradotto da Ingrid Stampa), va Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione (Libreria Editrice Vaticana). Questo secondo libro può definirsi decisamente politico.

Il suo tema dominante è la questione della regalità di Gesù Cristo. È questo in effetti il tema centrale dell’ultima fase della vita di Gesù, che incomincia con l’ingresso in Gerusalemme, tra la folla che lo acclama, culmina con il processo e la condanna, precisamente a causa del suo presentarsi come Re d’Israele e Figlio di Dio (bestemmia! urla Caifa, stracciandosi le vesti), e si conclude con il trionfo della Resurrezione.

Benedetto XVI avverte che Gesù separa religione e politica, in precedenza intrecciate, nella prospettiva tradizionale giudaica. Eppure, tutto il testo è destinato a mostrare che in Gesù si esprime una nuova forma di regno e di potere, un nuovo modo di essere giusti e concepire la giustizia, un nuovo tipo di agire pubblico. Dunque tutti gli aspetti del «politico» che riconoscono i filosofi: il potere (Schmitt, Foucault), la giustizia (Rawls), l’agire (Arendt), sono coinvolti.

Il punto è che questi aspetti sono praticati e concepiti da Gesù in modo nuovo. I termini «nuovo», «novità», dominano nel libro. Ma in che cosa consiste, esattamente, la novità? Il papa individua sostanzialmente due categorie-chiave: il sacerdozio, e la verità. Il potere di Gesù è potere sacerdotale, e comporta una speciale (nuova) visione del sacerdozio; il regno di Gesù è il regno (inedito) della verità.

La sua fisionomia rivoluzionaria

Gesù rivoluzionario? Intuitivamente, e al di là di ogni raffinata analisi teologica, si sarebbe portati a dire che la novità di Gesù consiste nel «rovesciamento» per cui si afferma il primato dei deboli, degli umili, dei poveri e degli oppressi (ciò di cui si lamentava appunto Nietzsche). La concezione cristiana della giustizia si presenta subito, nelle parole della più tranquilla tra i personaggi evangelici: Maria. Nel Magnificat appare con chiarezza un Dio che «rovescia i potenti dai troni», e «innalza gli umili», che «ricolma di beni gli affamati» e «rimanda a mani vuote i ricchi». E tutto ilseguito della narrazione conferma questa intuizione preliminare.

In ciò effettivamente il cristianesimo potrebbe facilmente sostituirsi al «sogno svanito» del marxismo, o forse correggerlo e integrarlo: è l’intuizione di Simone Weil, e di molti altri. Ma non è questa la via intrapresa dal Papa. Il tema di Gesù difensore dei poveri e dei perseguitati non è del tutto assente nell’analisi di Benedetto XVI. Però, insistendo in questa direzione, il Papa avrebbe dovuto sposare la causa delle teologie politiche, specie quelle della liberazione, o quelle femministe. Perciò, tanto nel precedente volume quanto nel secondo, l’autore ha una cura del tutto speciale non nel discutere, ma piuttosto nel disattivare e attenuare una simile ipotesi interpretativa.

In questo nuovo volume i conti con le teologie libertarie vengono fatti rapidamente, nella riflessione sulla «purificazione del Tempio», quando Gesù adirato rovescia i tavoli dei cambiamonete. Qui il Papa scrive che sì, il gesto di Gesù esprime uno zelo speciale, ma l’idea del riscatto promesso da Gesù così come è concepito dalle «teologie della rivoluzione» equivale all’idea di una legittimazione della violenza «come mezzo per instaurare un mondo migliore»; ed è pertanto inaccettabile nella luce del messaggio evangelico.

In realtà, non è necessario legittimare la violenza per riconoscere che l’integrità di Gesù indica agli esseri umani un modo preciso di essere giusti, e di promuovere la giustizia. Ma per Benedetto XVI questo e altri gesti fanno di Gesù non un rivoluzionario, né un «rovesciatore» di ordini e gerarchie, ma piuttosto un Sommo Sacerdote di un tipo particolare.

La chiave interpretativa del «sacerdozio» di Gesù è una costante in tutto il testo. Gesù è un sacerdote di tipo nuovo, che è venuto per servire, e non per essere servito, che compie la sua opera nel sacrificio di se stesso (in tal modo ponendo fine alla consuetudine dei sacrifici animali), e facendosi tramite della verità. Il suo zelo è amore per il Tempio, la casa di suo padre. Evidentemente questa prospettiva permette al Papa di allacciare meglio il Nuovo Testamento all’Antico, enfatizzando la continuità del Cristianesimo con l’ebraismo. Ma gli permette anche di minimizzare un aspetto che è altrimenti evidentissimo: l’anticlericalismo di Gesù, un altro dato ben noto, e inequivocabile.

In modo insistente, Gesù manifesta una netta e sistematica avversione per le gerarchie ecclesiastiche («guai a voi scribi e farisei!»), e proprio da queste viene condannato e ucciso. Prevede lui stesso che «dovrà soffrire molto» a causa degli «anziani, degli scribi, dei sacerdoti». E non è un caso che il suo unico e solo gesto violento siano proprio quei tavoli rovesciati, contro la corruzione del Tempio. Se davvero Gesù di Nazareth è da vedersi come un sacerdote di un genere particolare, allora il senso del suo sacerdozio non risiede soltanto nel «sacrificio di sé» ma anche (e piuttosto) nel lanciare l’autocritica della Chiesa come apparato sacerdotale. In questo senso, Caifa aveva le sue ragioni: Gesù costituiva un serio pericolo.

Il Regno della Verità. Ma il punto cruciale dell’analisi compare proprio al centro del libro. Il potere di Gesù è il potere della verità, scrive l’autore. «Gesù qualifica come essenza della sua regalità la testimonianza della verità». Anche in precedenti opere, e nel suo confronto con i filosofi «laici», Joseph Ratzinger ha fatto della verità il concetto-chiave del suo magistero. Resta però sempre in gioco la questione di Pilato: che cosa è la verità? Che cosa intende Benedetto XVI per «verità»?

Ora è interessante notare che la verità di cui si tratta non è tanto e propriamente «l’adeguamento dell’intelletto alla realtà oggettiva», come scriveva Giovanni Paolo II nell’Enciclica Fides et ratio, richiamando la formula tomistica dell’adaequatio intellectus et rei. L’autore del Gesù di Nazareth ci dice infatti che questa nozione di verità è appropriata, ma funziona solo per una verità parziale, umana, che è sempre imperfetta e incompiuta. Nell’ottica umana «la verità in tutta la sua grandezza e purezza non appare». Invece, la vera verità è qualcosa di cui dispone Dio, e vale allora la «formula lapidaria» di San Tommaso: Dio è la prima e somma verità. Dunque: gli umani non hanno vera verità, questa proviene da Dio e Dio solo ne dispone.

Una teocrazia intellettuale

In questi passi Benedetto XVI si rivela in perfetto accordo con molta filosofia laica del Novecento. Non soltanto, per esempio, con Hilary Putnam, che assegna la vera verità allo «sguardo di Dio», ma anche con il maestro di tutti i relativismi, Richard Rorty, che vede nel concetto stesso di veritàl’espressione di una visione «teologica» della conoscenza. L’unica variazione è che mentre per Putnam (ebreo) la verità resta l’enigma inaccessibile di Dio, e per Rorty non c’è verità perché non c’è nessun Dio, per Benedetto XVI Dio c’è, e la sua verità è accessibile, ma attraverso Gesù Cristo, e cioè attraverso la Chiesa, interprete autorizzata del suo messaggio.

Esattamente come i relativisti, Benedetto XVI ritiene che le facoltà umane non abbiano accesso alla verità. «Dare testimonianza alla verità» non significa dunque per lui dire le cose come stanno, ma piuttosto: «mettere in risalto Dio e la sua volontà di fronte agli interessi del mondo e delle sue potenze». Le conseguenze sono molto problematiche, tanto sul piano politico quanto sul piano dottrinale. Qui ha origine, in sordina ma inequivocabilmente, la teocrazia intellettuale di cui si diceva. «La moderna dottrina dello Stato», scrive il Papa, riconosce che il mondo umano non dispone di verità; ma allora: «quale giustizia sarà possibile», visto che non ci sono criteri per distinguere la vera giustizia? Ecco dunque la Chiesa venire in soccorso degli Stati smarriti, senza fondamenti e senza vero: il messaggio cristiano deve dettare agli organismi statali la regola del vero, perché evidentemente «senza verità l’uomo non coglie il senso della sua vita, e si lascia, in fin dei conti, il campo ai più forti».

L’obiezione però è fin troppo facile: se i contenuti della verità sono stabiliti dalla dottrina ufficiale della Chiesa, quali garanzie abbiamo che questa verità sia esente dalla parzialità e dal difetto che per definizione affliggono ogni tentativo umano di sapere? Chi ci assicura che questa pretesa verità non sia ancora la voce «del più forte»? Se si ignorano queste perplessità siamo di nuovo daccapo: siamo al Sinedrio che non fa trionfare affatto la verità, ma anzi, tutto al contrario: manda a morte Gesù.

Così stanno le cose

L’altra verità. Si può in effetti sostenere che proprio la difesa della verità è un dato intrinseco al messaggio di Gesù, e che nel cristianesimo la verità diventa davvero «categoria politica». È essenziale però chiarire che forse non si tratta della summa veritas, come ritiene Joseph Ratzinger, ma più semplicemente: della verità umile e banale, per cui è vero significa così stanno le cose. In questa prospettiva molto cambia.

In primo luogo, spostare l’accento sul potere della verità significa dire: la realtà, proprio quella realtà che urta i nostri corpi, ferendoli, quella realtà fisica che ci fa morire, e soffrire, ed è teatro delle guerre, dell’ingiustizia, e dell’oppressione dei più deboli, ha un potere inequivocabile e primario nelle nostre vite. Questa idea schiettamente naturalistica della vita umana è ben presente nell’operare di Gesù, non per nulla attento a curare i corpi, e pronto a commuoversi per la morte di Lazzaro e per il dolore degli esseri umani che incontra. Verità è la proprietà delle parole (umane) che dicono onestamente e con giustizia questi fatti. Di qui l’estrema importanza del logos - parola, ragione, discorso - per il vangelo di Giovanni.

In secondo luogo, questa verità, cioè dire l’urto dei fatti contro chi vorrebbe occultarli per nascondere e legittimare l’ingiustizia, non è un requisito di Dio, ma degli uomini. Come dice J. C. Beall, in Spandrels of Truth (Oxford University Press, 2009), la verità è una dotazione caratteristica del linguaggio umano. È il nostro linguaggio, che occulta, devia, sbaglia, e ha bisogno di chiarire e generalizzare, a richiedere il predicato ’è vero’. Dio non ne ha alcun bisogno. Dunque il quadro si rovescia: la verità è affare degli uomini, non di Dio, e non per nulla Gesù la difende e ne fa il centro del suo potere: esattamente perché il suo potere è attento agli uomini, e alle loro specifiche fragilità.

In terzo luogo: anche il bisogno del papa di distinguere la rivoluzione di Gesù dalla violenza degli «zeloti», o dei «terroristi», da questo punto di vista potrebbe ricavarne qualche vantaggio. Infatti richiamarsi alla verità, che in definitiva è una proprietà di discorsi, e non di azioni, significa che la trasformazione e l’emancipazione avvengono anzitutto attraverso la parola, non attraverso la violenza. Ecco dunque il senso del potere salvifico del logos come potere non violento, «senza eserciti né legioni».

In questa prospettiva, si direbbe, il lavoro politico di Gesù è equivalente al lavoro politico svolto dai «Tribunali della verità» sorti in Sud Africa contro l’apartheid; o equivalente a tutte le discussioni che oggi riguardano la giustizia globale, ai faticosi tentativi di cambiare le cose con organismi nonsolo nominalmente «umanitari», o alla «parola contro la mafia» di Roberto Saviano e di altri. È vero allora che, intesa in questo modo, la luce innovativa di Gesù Cristo, da quegli sperduti paesi della Palestina «cresce» ed è cresciuta «lungo i secoli», come scrive il papa.

Ma certo la distorsione che la lettura di Benedetto XVI imprime alle interpretazioni libertarie del Vangelo complica la situazione. La parola di Gesù viene assorbita nella voce della Chiesa, delle sue istituzioni dottrinali, dei suoi sacerdoti; il potere eversivo della verità libera dai vincoli delle convenzioni diventa potere non di Dio, ma dei suoi interpreti autorizzati. In questo senso, il cristianesimo non è più l’erede e il sostituto del «sogno svanito», ma il suo affossamento, la sua definitiva cancellazione dalla storia. Il rischio che con ciò si cancelli anche la promessa del Cristianesimo stesso, e se ne oscuri la luce, deve però essere preso in seria considerazione.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 16/4/2011 23.06
Titolo:Un neopaganesimo che monsignor Fisichella durerà fatica a contestualizzare ...
Il bacio del dio Priapo

l’ultimo rito delle notti di Arcore

"L’Omino con il pene grosso" viene offerto alle ospiti della villa di Berlusconi: così il mito incrocia il bunga bunga

di FILIPPO CECCARELLI *

E INSOMMA, per farla breve: è tornato Priapo. Ma sul serio, e dalle risultanze giudiziarie si capisce che è tornato sulla cresta dell’onda di un neopaganesimo che monsignor Fisichella durerà fatica a contestualizzare. E’ tornato dalle parti di villa San Martino, l’inconfondibile dio, in forma di statuetta a riscaldare l’atmosfera per il bunga bunga. Una giovanissima ha raccontato ai Pm che durante le simpatiche seratine di Arcore, appena dopo la solita scarica di barzellette sconce, il presidente del Consiglio dei ministri si faceva portare - purtroppo non è detto da chi - un involucro della grandezza di una bottiglia d’acqua da mezzo litro e, oplà, sorpresa, meraviglia, tintinnio di risate olgettine, ecco che dall’arcano tabernacolo è spuntata fuori una statuetta di un "omino con il pene grosso" l’ha definito la ragazza. Di più: "Un pene visibilmente sproporzionato".

E insomma, non ci sono dubbi: è lui, e quel coso lì nella mitologia ellenico arcaica, non ancora arcoriana, è detto "itifallo"; e il suo legittimo proprietario, un vecchio basso e tarchiato la cui incerta genealogia oscilla fra Dioniso, Pan e una mezza dozzina di divinità prosperate nella notte dei tempi con i significativi patronimici tipo "l’Eretto" o "Colui che colpisce", ecco, non può essere che Priapo, il dio che passò il tempo a corrompere le donne della città di Lampsaco insegnando loro ogni sorta di turpitudine, ma che gli antichi finirono per riconoscere come custode delle vigne e dei giardini, a volte ridotto al rango di spaventapasseri, ma soprattutto dispensatore di fertilità nonché protettore di quella particolare forma di malocchio che punta a debilitare la virilità a colpi di invecchiamento, impotenza, cilecche.

Il trasloco di questo specialissimo culto dall’Ellesponto alla Brianza berlusconiana trova nei verbali della Procura una descrizione adeguatamente vivida. Nel senso che a un dato momento il Cavaliere consegnava l’idoletto nelle mani delle sue graziose ospiti che se lo passavano l’un l’altra dopo averne baciato la macroscopica protuberanza. Sembra che alcune, per non lasciare nulla d’intentato, se lo strusciassero anche sulle sise - e a questo punto un giornalista politico, pure avvezzo agli scialbi rituali della Prima e della Seconda Repubblica, si sentirebbe anche un po’ in imbarazzo a proseguire nella sua linea interpretativa, oltretutto necessariamente guardona. Sennonché, con l’insperato soccorso del Dizionario dell’erotismo di Ernest Borneman (Rizzoli, 1984) si intuisce che tale cerimonia è assimilabile a una "falloforia", o se si vuole a una "fallogogia", comunque una sorta di processione augurale, nondimeno scherzosa considerato l’oggetto portato in giro per celebrare la forza generatrice della natura. E vabbè.

Resta da aggiungere che Emilio Fede nega di aver visto statuette falliche, "e comunque - ha specificato - non sarebbe reato". Certo che no. Ma intanto è sorprendente la facilità con cui da qualche tempo la vita pubblica va a sbattere sulla mitologia e i suoi derivati. C’è questo anziano presidente le cui voglie incessanti hanno fatto richiamare creature come quelle dei satiri. Ci sono queste giovanissime ragazze da cui egli "è preso", come dicono al telefono le ninfe della Dimora Olgettina. L’ex scenografo del craxismo, Filippo Panseca, ha dedicato un intero ciclo pittorico agli amori, per così dire, e alle incessanti mitologie orgiastiche berlusconiane. Rispetto alle quali di recente Famiglia cristiana ha evocato addirittura la Nemesi, anch’essa una divinità, figlia della Notte e adeguatamente dotata di spada per ristabilire l’equilibrio sbomballato dall’arroganza e dagli eccessi dei mortali.

Il problema odierno, semmai, è che questi ultimi vengono addirittura rivendicati e incoraggiati dal potere. Come dimostra, pure qui con cospicui agganci mitici, il simbolico dono di un toro, sia pure Swaroski, da parte dei maggiorenti del Pdl lombardo al Cavaliere con annesso attestato di efficacia genitale ("due palle così"), al quale il premier ha reagito con maestoso autocompiacimento: "Mi pare un paragone appropriato". Come pure il restauro del blocco scultoreo di Venere e Marte in prestito a Palazzo Chigi, che Berlusconi ha personalmente ordinato impegnando i migliori restauratori a ricostruire il pisello del dio guerriero per la non modica spesa di 70 mila euri. Chissà cosa ne avrebbe scritto Carlo Emilio Gadda che in Eros e Priapo demolì dalle fondamenta il mussolinismo dimostrando la terribile pericolosità di certe smaniose follie. E a rileggerlo davvero sembra che parli di oggi, "il Gran Tauro", appunto, "la Fava Unica", "il Cetriolo Immagine", "la fulgurata protuberanza di chella sua proboscide fallica e grifomorfa in dimensione suina". L’idoletto del bunga bunga che mette una mano in tasca e recita l’anagramma del suo nome: Silvio Berlusconi, "l’unico boss virile".

* la Repubblica, 15 aprile 2011: http://www.repubblica.it/politica/2011/04/15/news/bacio_priapo-14954489/
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/4/2011 19.47
Titolo:OMOSESSUALITA' NEGATA DI RATZINGER. Secondo il teologo David Berger ...
Il teologo David Berger:

“Papa Benedetto XVI è gay”

Secondo lo studioso “quando si parla tra studiosi in privato, tutti concordano sull’omosessualità di Ratzinger”. Indignati i cattolici

di Emiliana Costa *

“Papa Ratzinger è gay”. La scioccante dichiarazione è di David Berger, il teologo tedesco che nel novembre scorso era salito alla ribalta delle cronache per aver fatto coming out e aver lanciato input pruriginosi sull’omosessualità di molti preti nella chiesa cattolica. A distanza di pochi mesi, Berger è tornato con un pettegolezzo choc sulle inclinazioni sessuali di Benedetto XVI. E lo ha fatto dalle colonne del mensile gay “Fresh”.

Secondo il teologo “quando si parla tra studiosi in privato, tutti concordano sull’omosessualità di Ratzinger. Lui viene da una cultura clericale nella quale il tema dell’amore per persone dello stesso sesso era totalmente tabù. Quello che odia in sé lo proietta sugli altri e lo disprezza”.

Nel suo libro “Una sola illusione: un teologo gay nella Chiesa cattolica”ci sarebbero anche le dichiarazioni della giornalista Valeska von Roques, secondo cui Benedetto XVI durante la sua attività di cardinale avrebbe avuto storie omosessuali con alcune guardie svizzere.

“Il Papa - ha aggiunto Berger - è costantemente preoccupato dell’omosessualità, la prima cosa che ha fatto nel 2005 è stato un documento contro i preti gay, per lui sono pericolosi”. Secondo il teologo, Benedetto XVI avrebbe avuto contatti regolari con cardinali omosessuali.

Mentre sul web, la notizia rimbalza da un portale all’altro, il mondo cattolico si indigna davanti a simili dichiarazioni. Il sito cattolico kath.net sostiene che quella di Berger sia pura diffamazione di un uomo potente come papa Ratzinger. Anzi alcuni sono molto taglienti e ribattono che la tesi di Berger dimostrerebbe come l’omosessualità spenga il cervello.

Kreuz.net definisce Berger una “latrina omosessuale”, in quanto “avrebbe insultato il Papa nello squallido mensile omosessuale descrivendolo come un sodomita”.

* REPORTER: Emiliana Costa, 15 aprile 2011

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Commenti Articolo 1070

Titolo articolo : SCIENZA E LIBERTA' NEGATA: ITALIA 1911-2011. CROCE E GENTILE, NELLA SCIA DI HEGEL, CONTRO FEDERIGO ENRIQUES (COME CONTRO GRAMSCI). Un articolo di Armando Massarenti, con appunti sul tema,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: April/18/2011 - 19:17:51.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/4/2011 11.05
Titolo:SU GRAMSCI, PARZIALE E AMBIGUO RICONOSCIMENTO DI CROCE ....D
SULLA LIBERTA’ DI GIUDIZIO, SULLA LIBERTA’ DI PENSIERO E DI AZIONE DI GRAMSCI, :UN IMPORTANTE, MA PARZIALE E AMBIGUO, RICONOSCIMENTO DA PARTE DEL ‘GRAN SACERDOTE’ DELLA “RELIGIONE DELLA LIBERTA’”:

“Benedetto Croce recensì nei “Quaderni della critica, (III,8,1947) le Lettere dal carcere. Ed è rimasta celebre la sua potremmo dire appropriazione dell’autore rivelato da quelle lettere: “Come uomo di pensiero egli fu dei nostri”

Cosa intendesse con tali parole è giusto chiedersi. La risposta prenderebbe molto spazio perché comporterebbe di affrontare una delle questioni centrali della cultura italiana del Novecento, e cioè l’implicazione profonda dell’opera di Gramsci, quale fu rivelata daí Quaderni, con le due correnti dominanti del neoidealismo italiano impersonate rispettivamente da Croce e da Gentile, nonché i limiti di tale implicazione e l’innesto che Gramsci tentò di quelle filosofie nell’orizzonte mentale e pratico del comunismo.

Ci terremo invece alla spiegazione che ne dà lo stesso Croce: ammirevole perché fondata sulla sola lettura delle lettere e non ancora dei Quaderni.

In quelle lettere Croce riscontra “apertura verso la verità da qualsiasi parte gli giungesse, scrupolo di esattezza e di equanimità, gentilezza e affettuosità del sentire”, e soggiunge: “noi altri, nel leggerlo, ci confortiamo di quel senso della fraternità umana che, se sovente si smarrisce nei contrasti politici, è dato serbare nella poesia e nell’opera del pensiero, sempre che l’anima si purghi e di salire al cielo si faccia degna, come accadeva al Gramsci”.

E sfida gli intellettuali comunisti suoi antagonisti nella quotidiana battaglia delle idee “a adoprarsi a portare, se potevano, la dottrina comunistica a quell’altezza” (Cfr. Luciano Canfora, Prefazione, a: Antonio Gramsci, Lettere dal carcere, RCS Quotidiani, Milano 2011, p. 9)
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/4/2011 19.17
Titolo:Il 6 aprile del 1911 si apriva a Bologna il IV Congresso Internazionale di Filos...
Geometria come cultura

di Umberto Bottazzini (Il Sole-24 Ore, 17 aprile 2011)

Il 6 aprile del 1911 si apriva a Bologna il IV Congresso Internazionale di Filosofia sotto la presidenza di Federigo Enriques. Enriques? Un «professore di matematica che si diletta di filosofia», lo definisce un astioso Benedetto Croce in una celebre intervista rilasciata a un quotidiano dopo la conclusione del Congresso. Quel «professore di matematica» è in realtà un geniale matematico, che ha dato contributi di eccezionale valore nel campo della geometria e, all’epoca, è ormai considerato uno dei maestri della scuola italiana di geometria algebrica, una scuola che si è affermata su posizioni di riconosciuta avanguardia sulla scena internazionale. Insomma, uno dei grandi della matematica della prima metà del Novecento.

Non solo. Quando, con l’inizio del secolo, si chiude la straordinaria stagione della collaborazione scientifica con Guido Castelnuovo, che in meno di dieci anni ha portato alla creazione della teoria delle superfici algebriche, l’impegno di Enriques si manifesta in misura crescente sul terreno filosofico e culturale. «La filosofia penso debba essere fatta da spiriti scientifici, e in servigio della scienza», egli scrive all’amico Vailati nel 1901 annunciando la convinzione che lo porterà, di lì a qualche anno, a lasciare i «campi della Geometria, ove il pensiero riposa tranquillo nella sicurezza degli acquisti» per inoltrarsi decisamente sul terreno della filosofia.

La riflessione critica sui principi della geometria e sulla natura dello spazio rappresenta per Enriques non solo il punto di partenza ma un continuo termine di confronto nell’elaborazione della sua filosofia "scientifica". Come dirà ne I problemi della scienza (1906), era stato infatti il progresso della geometria nel corso del secolo appena concluso ad avere agito «direttamente sopra lo sviluppo del razionalismo». In particolare, le geometrie non euclidee avevano reso «manifesto che le nostre nozioni geometriche, in quanto si riferiscono alla realtà sensibile, non possono in alcun modo pretendere a quella rigorosa certezza, che fu tenuta come uno degli argomenti più forti in favore del loro carattere a priori».

La critica al kantismo si accompagna all’idea che «il progresso della scienza è procedimento di approssimazioni successive, dove dalle deduzioni parzialmente verificate e dalle contraddizioni eliminanti l’errore delle ipotesi implicite, sorgono nuove induzioni più precise, più probabili, più estese». Un’idea ribadita nel 1912 in Scienza e razionalismo: «La corrispondenza fra i concetti scientifici e la realtà sensibile rimane sempre una corrispondenza approssimata, ma il valore obiettivo della razionalità del sapere consiste in ciò che il processo della scienza è un processo di approssimazioni successive illimitatamente perseguibile».

Nel 1906, intervenendo a Milano al convegno della Società Filosofica Italiana Enriques sostiene, in polemica con il ministro della Pubblica istruzione, «l’assurdità di preparare i futuri filosofi con una esclusiva educazione storica e letteraria», rivendicando per la matematica «un posto d’onore fra gli insegnamenti che preparano alla filosofia». Nel successivo congresso della Società a Parma afferma che «il rinascimento filosofico nella scienza contemporanea» chiude definitivamente la stagione del positivismo, «l’epoca che si distinse su tutte come antifilosofica» e che «fu in realtà dominata da una filosofia particolare», il positivismo appunto.

In quegli anni l’attività del matematico e filosofo Enriques è frenetica. Viene eletto presidente della Società Filosofica Italiana, con Rignano e altri dà vita a «Scientia», fonda la «Rivista di filosofia», organizza congressi filosofici nazionali e internazionali, come quello di Bologna. L’impegno in campo filosofico si accompagna a una altrettanto intensa attività di ricerca in campo matematico, premiata nel 1909 col Premio Bordin dell’Académie des sciences di Parigi attribuita a un’ampia, fondamentale memoria scritta con l’antico allievo Francesco Severi. Agli occhi di Croce e Gentile, Enriques è un antagonista, che trova credito nella comunità filosofica internazionale. Con Enriques la polemica è accesa, i toni violenti.

Più che quella polemica, è tuttavia la Prima guerra mondiale a segnare per Enriques la fine di una stagione e una cesura profonda, resa emblematica dal suo abbandono della direzione di «Scientia». Del resto, la sostanziale estraneità rivendicata alla scienza dalle vicende contingenti della vita politica sembra essere la chiave di lettura dell’attività di Enriques anche negli anni del fascismo. Che, messe da parte le antiche polemiche, non gli impedirà di collaborare con Gentile dirigendo la sezione di Matematica dell’Enciclopedia Treccani.

Di fronte all’idealismo di Croce e Gentile trionfante in Italia, Enriques non rinuncia tuttavia a continuare la sua battaglia filosofica in scritti che trovano attenti lettori all’estero, soprattutto in Francia. «La filosofia della natura è caduta nel nulla», osserva con amarezza Enriques in un saggio apparso in francese nel 1934. «I nuovi idealisti credono di sbarazzarsi del suo peso morto ritenendo ogni forma di studio della natura come una maniera di attività pratica, indifferente al pensiero. In tal guisa, non solo impoveriscono l’idealismo ma, ciò che è più grave per dei pensatori storicisti, commettono un errore antistorico. Perché tutta la storia della filosofia, almeno della filosofia occidentale, prende norma e ispirazione dal pensiero naturalistico».

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Commenti Articolo 1071

Titolo articolo : OOPS! IL PAPATO DI BENEDETTO XVI SEGNATO DA GRANDI E PICCOLI "LAPSUS" FIN DALL'INIZIO. Una nota di Mirella Camera sul caso di "Youcat", il mini-catechismo dedicato ai giovani - con alcuni appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: April/15/2011 - 10:12:09.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 15/4/2011 10.12
Titolo:ALTRI ERRORI - IN FRANCESE ....
Youcat, intraducibile catechismo


di Philippe Clanché

in “www.temoignagechretien.fr” del 14 aprile 2011 (traduzione: www.finesettimana.org)


Il libro avrebbe dovuto essere l'oggetto di richiamo degli zainetti dei partecipanti alle prossime
GMG di Madrid. Youcat (“Youth Catechism”, catechismo per i giovani) – previsto in 750 000 copie
in 15 lingue – è stato battezzato nel dolore mercoledì 13 aprile a Roma.


Il progetto veniva dalla Germania dove dei giovani cattolici hanno redatto un documento che in 520
domande-risposte presentava le grandi linee della fede e delle pratiche cattoliche in una lingua
comprensibile alle nuove generazioni. Purtroppo le diverse traduzioni hanno conosciuto sorti
funeste, raffreddando alquanto l'entusiasmo generale.

Da alcuni giorni correva voce di un ammorbidimento della dottrina ufficiale sull'uso dei mezzi
contraccettivi da parte della coppia. E questo a causa di una frase dell'articolo 420 della versione
italiana di Youcat. Vi si legge una risposta positiva alla domanda: “Può una coppia fare ricorso ai
metodi anticoncezionali?” Invece nella traduzione inglese si legge: “Una coppia cristiana sposata
può controllare il numero dei suoi figli [regulate the number of children they have]”. Una
formulazione nettamente più in linea con la norma vaticana, in corso dal 1968 (!) e dall'enciclica
Humanae Vitae.


Una sfumatura non da poco. Tanto che i vescovi italiani hanno esitato a sbarazzarsi delle migliaia di
copi stampate, per decidere, alla fine, che il libro sarà distribuito con una nota correttiva. Che
preciserà che l'espressione “metodi anticoncezionali” deve essere letta come “regolazione delle
nascite”.

eutanasia


Sempre nella versione italiana, sarà soppressa nella prossima versione una frase che potrebbe far
pensare all'accettazione da parte della Chiesa cattolica dell'“eutanasia passiva”. Il testo originale
(tedesco) usa il termine “Sterbehilfe”, letteralmente “aiuto alla morte”, dal significato più ampio del
senso normalmente dato a eutanasia.


Ancora ieri, nel corso della conferenza stampa per il lancio del libro presso la sala stampa della
Santa Sede, i vescovi italiani non erano i soli a mostrarsi scontenti. I loro colleghi francesi, vittime
di una altro grosso errore di trascrizione, hanno preso una decisione più radicale: 30.000 copie dello
Youcat francese andranno al macero.


In questo caso non si tratta di regolazione delle nascite, ma di relazioni interreligiose. La semplice
dimenticanza di una negazione è stata la causa dello strafalcione. Nel libro si leggeva l'affermazione
“riconoscere la libertà religiosa significa riconoscere che tutte le religioni sono uguali”, invece della
formulazione corretta “riconoscere la libertà religiosa non significa riconoscere che tutte le religioni
sono uguali”.


In un'epoca di lotta ratzingeriana contro il relativismo in materia religiosa e morale, particolarmente
tra i giovani, la svista appariva troppo grave. L'apertura al dialogo interreligioso, riaffermata
recentemente da Benedetto XVI (1) non permette di mettere tutte le credenze sullo stesso piano.


E pazienza per i soldi buttati al vento e per l'umiliazione. Da Roma, Mons. Christophe Dufour,
presidente della Commissione episcopale per la catechesi, e padre André Dupleix, vicesegretario
generale dell'episcopato, dicono di aver scelto di gettare tutti i libri, con l'accordo degli editori, il
trio Bayard/Mame/Cerf. I quali, in tutta fretta, hanno dovuto annullare la conferenza stampa di
Parigi.

umorismo


Sempre flemmatico e abituato ad inghiottire i rospi di una comunicazione spesso accidentata,
Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, ha reagito con umorismo: “La lingua tedesca è
veramente difficile, lo abbiamo constatato a diverse riprese”.


Il gesuita si riferiva al libro-intervista del papa Luce del mondo, uscito alla fine del 2010. Si è
discusso per giorni per sapere se l'esempio del papa di giustificazione eccezionale dell'uso delpreservativo riguardasse un prostituto (versione originale tedesca) o una prostituta (traduzione
italiana). Una polemica che oggi appare assolutamente aneddotica davanti alle disavventure di
Youcat.


I difensori dell'istituzione vaticana vedranno in questa faccenda la prova dell'estrema modestia della
Chiesa, incapace, per mancanza di mezzi, di gestire perfettamente una pubblicazione poliglotta. Il
che è vero. I suoi detrattori ne dedurranno che Roma eviterebbe questo genere di incidenti se
accettasse di decentralizzare la realizzazione dei suoi testi ufficiali, dando prova di maggiore fiducia
per le Chiese locali.
Ma non è il caso di preoccuparsi. Quest'estate, nell'entusiasmo e nel caldo di Madrid, i giovani
avranno dimenticato da tempo il parto doloroso di Youcat.

(1) Convoca i rappresentanti di tutte le fedi ad Assisi il 27 ottobre per commemorare i 25 anni
dell'incontro storico organizzato da Giovanni Paolo II


(traduzione: www.finesettimana.org)

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Commenti Articolo 1072

Titolo articolo : E se restassimo senza preti?,

Ultimo aggiornamento: April/14/2011 - 14:57:33.

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Autore Città Giorno Ora
Fiorina Pistone Novara 14/4/2011 00.33
Titolo:I ministri del culto cristiano non sono più sacerdoti degli altri
La Chiesa Cattolica sbaglia a chiamare sacerdoti i suoi ministri del culto. Al tempo degli apostoli essi venivano chiamati semplicemente "gli anziani". Sacerdoti venivano chiamati, invece, i ministri del culto dell'Antica Alleanza, i quali svolgevano il compito di offrire a Dio i sacrifici animali nel tempio. Nel Nuovo Testamento l'unico ad essere chiamato sacerdote è Gesù (vedi la Lettera agli Ebrei, capitoli 7, 8 , 9, 10), perchè ha sostituito i sacrifici antichi, offrendo sè stesso sulla croce.
Autore Città Giorno Ora
Fiorina Pistone Novara 14/4/2011 11.22
Titolo:La messa non è il rinnovamento del sacrificio di Gesù
La Chiesa Cattolica sbaglia anche quando dice che la messa è il rinnovamento del sacrificio di Gesù. Infatti la Lettera agli Ebrei (testo biblico del Nuovo Testamento, nel capitolo 10, versetto 10, afferma che "noi siamo stati santificati per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù fatta una volta per sempre"
Autore Città Giorno Ora
Fiorina Pistone Novara 14/4/2011 14.50
Titolo:Precisazione
La Bibbia chiama "sacerdoti" anche i Cristiani globalmente intesi, per il semplice fatto che lodano Dio e gli offrono la loro vita, nel senso che si sottomettono a lui per mezzo di Gesù. Difatti la prima lettera di Pietro così dice, rivolgendosi a tutti i fedeli:"Ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perchè proclami le opere meravigliose di lui, che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce".
Autore Città Giorno Ora
Fiorina Pistone Novara 14/4/2011 14.57
Titolo:Collocazione del versetto citato
Chiedo scusa ai lettori. Il versetto che ho ctato più sopra si trova in 1Pietro 2, 9

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Commenti Articolo 1073

Titolo articolo : MAGISTERO RATZINGERIANO AL C.N.R.: CASO DE MATTEI. A VERGOGNA DELLA COMUNITA’ SCIENTIFICA E ACCADEMICA ITALIANA, CATTOLICA E LAICA. Un'intervista al "fondamentalista non riluttante" di Antonio Gnoli e una nota su "il barone e l'invertito" di Marco D'Eramo, con appunti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: April/13/2011 - 10:36:37.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 13/4/2011 10.36
Titolo:Misteri della fede ....
Misteri della fede: il prof. De Mattei ai vertici del Cnr

Le uscite del vice

di Rino Falcone (l’Unità, 13.04.2011)

Le dichiarazioni che il vice-presidente del Cnr ha rilasciato negli ultimi tempi hanno avuto grande eco nei media nazionali. Si tratta di affermazioni i cui tratti di fondamentalismo sono difficili da ritrovare persino nelle più estreme posizioni del clericalismo ipertradizionalista. Piuttosto che entrare nel merito delle gravi tesi sostenute, vorrei affrontare una questione metodologica.

Il principio di libertà d’opinione non può esimerci da indagare con attenzione l’opportunità di certi giudizi quando espressi in sede di rappresentanza istituzionale e la loro compatibilità con incarichi di forte rilevanza simbolica. Il punto è: se le opinioni di De Mattei si fondano nella dimensione della fede perché mai dovrebbe egli assumere un incarico così rilevante nel principale Ente di ricerca nazionale? Ente che esprime nella sua essenza più profonda le ragioni del pensiero razionale. Ente che organizza una comunità di scienziati, ne disciplina le azioni e ne finalizza le strategie.

Perché mai una tale comunità (quella scientifica) deve trovare rappresentanza (seppure nella funzione di “vice”) in chi ha come principale obiettivo l’affermazione del pensiero dogmatico? Altri ambiti socio-politici (o più strettamente metafisici e confessionali) possono ospitare tali opinioni. E la società può/deve prendersi carico di stabilire spazi di confronto costante e dinamico tra questi approcci metodologici differenti e contrapposti. Ma mai confonderli!

Come è successo allora che De Mattei sia finito nel CdA del Cnr? Come si organizza la ricerca nel nostro Paese? In queste settimane alcuni enti di ricerca (tra cui il Cnr) hanno definito i cosiddetti «statuti autonomi» a seguito della legge 165 del 2007.

Il ministro Gelmini, ha fortemente distorto le intenzioni di quella legge e operato trasformazioni e pressioni tali che gli statuti varati non produrranno autogoverno e reale autonomia statutaria. In particolare, le comunità scientifiche non potranno esprimere loro rappresentanze dirigenziali e la politica continuerà a svolgere un ruolo preminente (con gli evidenti paradossi cui stiamo assistendo).

Le comunità scientifiche hanno manifestato pubblicamente le loro preoccupazioni per questo fatto ma l’opinione pubblica, alquanto disattenta ai temi sostanziali per il futuro del Paese, ha offerto un’attenzione infinitesimale rispetto a quella che oggi si è attivata per il caso De Mattei.

Eppure i due fenomeni sono strettamente connessi. Ed è la stessa Costituzione ad indicare la soluzione quando nell’articolo 33 pone l’esigenza di rendere autonome le istituzioni della conoscenza. Ecco perché una malintesa relazione tra scienza e politica può condurre a clamorose e controproducenti aberrazioni.

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Commenti Articolo 1074

Titolo articolo : SUL PROBLEMA DEL "CAPO": LENIN E MUSSOLINI, A CONFRONTO - E GIA' CONTRO DERIVE STALINISTE! LA LEZIONE PIU' GRANDE DI ANTONIO GRAMSCI. Una bussola per non naufragare e una lezione di vita e di libertà,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: April/11/2011 - 19:55:24.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/4/2011 16.51
Titolo:Il padrone e i poteri sudditi - di Nadia Urbinati ...
Il padrone e i poteri sudditi

di Nadia Urbinati (la Repubblica, 11.04.2011)

La legge della natura delle cose contro le norme della giustizia: la forza del più forte contro quella della legge. Una storia che si ripete da secoli ma che ogni volta che riappare sembra nuova, inedita e diversa. Le recentissime esternazioni del presidente del Consiglio sono un florilegio da manuale sul rischioso cammino nel quale una democrazia si immette quando consente a un cittadino che ha acquistato già troppo potere economico e mediatico di coprire incarichi di governo.

Il rischio si sta dimostrando fatale, soprattutto perché viviamo nell’era della audience leadership, dove la propaganda viaggia non più attraverso partiti strutturati ma invece il fluido mondo delle immagini e delle opinioni dette e non falsificabili. Antico e moderno si uniscono tuttavia, poiché nonostante la forma mediatica e da gossip con la quale si alimenta il plebiscitarismo di oggi, la sostanza e la tentazione restano le stesse, poiché, dopo tutto, la natura umana è fatta delle stesse passioni, in primo luogo quelle che spingono a ottenere il "massimo" di godimento da ciò che piace: dal potere di comandare masse di sudditi facendo loro bere ciò che è non è nel loro interesse e come se lo fosse, a quello di gestire un commercio largo e capiente di procuratori e procuratrici di piacere.

Però, nonostante la natura immoderata del potere, sarebbe sbagliato pensare che il plebiscitarismo si sorregga solo sul potere del leader, che tutto nel bene e nel male sia a lui solo imputabile. Nessun regime si sorreggerebbe più di una manciata di ore senza il sostegno di un gruppo di fedeli e senza consenso. Il plebiscitarismo nasce del resto nella democrazia, che è una forme di governo fondata sul consenso.

Dunque, partiamo da questa ovvietà: nessun governo può sussistere senza consenso. Nemmeno i tiranni possono permettersi il lusso di stare al potere senza fare affidamento su un qualche sostegno da parte dei loro sudditi; diversamente dovrebbero mettere un guardiano a sentinella di ciascun suddito con la conseguenza di trasformare il paese in una caserma.

A questo inconveniente i governi totalitari hanno provveduto facendo dei sudditi docili militanti dell’ideologia di governo. Ecco dunque che la differenza tra Paesi governati dispoticamente e Paesi liberi non consiste semplicisticamente nel fatto che questi ultimi sono governati per mezzo dell’opinione mentre i primi per mezzo della forza. Entrambi sono, in forme e con intensità diverse, governati anche grazie al sostegno dell’opinione e del consenso di chi occupa le istituzioni. I governi autocratici cadono quando l’élite di governo si fraziona e rompe il consenso, come avvenne appunto con il Gran consiglio fascista il 25 luglio 1943. I governi liberi, invece, cadono quando il Parlamento toglie la fiducia alla maggioranza che governa.

La differenza fra i due tipi di regimi sta nel fatto che in quelli dispotici i sudditi obbediscono a un potere il quale non è certo che sia espressione della loro opinione poiché non godono della libertà di gridare forte il loro dissenso; mentre nel caso dei governi liberi cittadini ed eletti sanno di essere consapevolmente e volontariamente, in forma diretta o indiretta, gli agenti e i sostenitori del governo che hanno. È a questi ultimi che dobbiamo dirigere la nostra attenzione quando parliamo di plebiscitarismo democratico, nel quale dunque la responsabilità del consenso è principalmente imputabile a coloro che sono stati eletti e operano nelle istituzioni.

Il Parlamento ha una responsabilità diretta nelle persistenza del governo democratico. Lo si è visto molto bene con la recente votazione sul caso Ruby o quella sulla fiducia del dicembre scorso. In entrambi i casi, il Parlamento ha dismesso una delle sue due funzioni fondamentali, quella per la quale la sua presenza è segno distintivo della nostra libertà: la funzione di veto.

Poiché il rapporto del Parlamento con l’esecutivo non è né di predellino né di copertura. I parlamentari hanno infatti mandato libero e nessuno, nemmeno il capo del loro partito, può costringere la loro volontà decisionale: su questa loro libertà sta la doppia funzione del Parlamento, quella deliberativa ovvero di produrre una maggioranza e quella di veto o limitazione del potere del governo. Il Parlamento non è mai un docile e passivo sostenitore del governo. Quando dismette la sua funzione di veto, esso diventa cassa di risonanza del governo e spalanca le porte al plebiscitarismo che la propaganda mediatica rinforza quotidianamente. Come l’opinione pubblica, il Parlamento diventa un potere docile nelle mani del leader.

Il presidente del Consiglio è consapevole di avere in mano il Parlamento quando riesce a neutralizzarne il potere di veto. Sa anche che due altri poteri di fermo gli sfuggono ancora di mano: la Presidenza della Repubblica e la giustizia. Da questa consapevolezza scaturiscono le sue recentissime esternazioni: cambiare la Costituzione per rendere tutti i contro-poteri docili al suo potere.

Di fronte a questo rischio evidente, il Parlamento dovrebbe sentire la responsabilità del suo ruolo poiché è un fatto che nella democrazia elettorale i governi non dovrebbero cadere con la mobilitazione delle piazze, ma nel Parlamento. È possibile rendere il rischio gravissimo che sta di fronte alla nostra già compromessa democrazia costituzionale in questo modo: al Parlamento spetta il compito di riprendersi la sua completa autonomia, che è di rendere possibile una maggioranza e di fungere da veto. Più ancora, di impedire che tutti i poteri di veto e di controllo siano resi docili e addomesticati.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 11/4/2011 19.55
Titolo:La Chiesa non può essere “neutra” (al fianco del potere) quando il paese precipi...
La proposta dei vescovi sui “problemi cruciali” é il “consolidamento di una democrazia governante”, vale a dire prevalenza dei poteri sui diritti, rafforzamento dell’esecutivo, sistema elettorale maggioritario, legge che regoli la democrazia interna ai partiti: ma i padri della Costituzione l’avevano respinta, allora che neutralità é?

La Chiesa non può essere “neutra” (al fianco del potere) quando il paese precipita nella disperazione

di Raniero La Valle *

C’è un caso serio che si è aperto nella Chiesa italiana e nella stessa comunità civile. È un’agenda di “problemi cruciali” e di cose da fare (detta “un’agenda di speranza per il futuro del Paese”) che è stata presentata dai vescovi a conclusione della recente Settimana Sociale dei cattolici tenutasi a Reggio Calabria. Che qualcuno si preoccupi di quel che ci sarebbe da fare in questo povero Paese per riaprire i cuori alla speranza è certamente una cosa positiva, come è positivo dire che tra le cose più ragionevoli e giuste da fare ci sia di accogliere gli stranieri.

È motivo però di grande sconforto e allarme trovare che i “primi temi” indicati siano quelli attinenti al “consolidamento di una democrazia governante” (espressione che nell’attuale gergo politico indica la prevalenza dei poteri sui diritti) e che questi temi vengano identificati così: a) rafforzamento dell’esecutivo; b) sviluppo del federalismo; c) sistema elettorale maggioritario; d) bipolarismo; e) legge che disciplini la vita dei partiti e ne regoli la democrazia interna (ipotesi discussa, ma respinta, alla Costituente); e tutto ciò in una “forma di governance” che si preferisce definire “poliarchica” invece che democratica, con un richiamo non pertinente a Benedetto XVI che nell’enciclica “Caritas in veritate” usava sì il termine “poliarchico”, ma non per incoraggiare una frammentazione feudale dei poteri negli ordinamenti interni, bensì per sostenere una pluralità dei poteri sul piano internazionale, contro il mito di un unico governo mondiale e di un unico Impero.

In questo complesso di tesi e di programmi politici proposto ora dai vescovi è riconoscibile l’ideologia propria di un gruppo minore del Partito democratico vicino a Veltroni; ma la Chiesa che c’entra? L’opzione che essa in tal modo propone all’Italia si presta in effetti a due gravi critiche, una nel merito, l’altra nel metodo. Sul piano del merito la piattaforma politica avanzata dalla Conferenza episcopale sembra non tenere conto della drammaticità della situazione italiana, oggi dominata da un potere oltracotante e corruttore, che non viene mai nominato, grazie alla scelta indicata dal Rettore della Cattolica, Ornaghi, di fare un’analisi intenzionata a “restare neutra rispetto agli schieramenti politici”.

Ora, nell’astrazione di un Paese assunto senza schieramenti politici, senza partiti, senza alcun giudizio sulle pratiche del governo in atto, sulle sue politiche e le sue leggi, l’idea della CEI è che sia “indilazionabile il completamento della transizione istituzionale”, nel senso indicato di una prevalenza dell’esecutivo, del maggioritario, del bipolarismo, del federalismo. Invece, sulla base dell’esperienza disastrosa dell’ultimo ventennio molti italiani pensano a un ripristino della rappresentanza, a una riabilitazione del Parlamento, a uno sviluppo del pluralismo delle culture politiche e dei partiti, e ad elezioni veritiere basate su un voto libero ed eguale.

Siamo, certo, nell’opinabile. Ma rispetto ai fini specifici della Chiesa ragioni non troppo opinabili dovrebbero spingerla a opzioni opposte a quelle adottate: il bipolarismo, nella settaria versione italiana, ha rotto infatti l’unità spirituale del Paese, ha spronato a una legislazione e a provvedimenti amministrativi spietati contro la vita degli stranieri (anche quella nascente), ha seminato rancore ed odio, e lascia per cinque anni incontrollato il governo anche se decide guerra, politiche di impoverimento e nucleare. Inoltre, con la complicità del maggioritario, ha separato dalla politica il movimento cattolico ed esclude ogni forma di partecipazione autonoma dei cattolici alla competizione tra i partiti.

Sul piano del metodo la pronunzia ecclesiastica si presenta come fatta in nome di “noi tutti come Chiesa e come credenti, chiamati al grande compito di servire il bene comune della civitas italiana”; e benché formalmente il documento sia riconducibile al Comitato organizzatore della Settimana, esso è stato approvato dal Consiglio permanente della CEI, mentre lo stesso Comitato è un’articolazione permanente della Conferenza episcopale, presieduto com’è da un vescovo nominato da lei e incaricato com’è di monitorare il seguito da dare alla Settimana mettendosi in relazione, quasi come alto Direttorio, con “le diverse forme di presenza capillare dei cattolici nella società italiana”.

Il documento, come è proprio dei migliori documenti ecclesiastici, chiama a testimoni apostoli, evangelisti e profeti, fa appello al tesoro dell’attuale magistero pontificio ed episcopale, chiede conferma al Concilio, unisce cielo e terra, eucaristia e politica, si rivolge non a una parte, ma a tutti i cattolici e a tutti gli italiani, e parla in nome della fede. Ma in base a quale carisma sceglie tra l’una o l’altra legge elettorale e forma di governo, e in base a quale sussidiarietà si sostituisce, nel dettare l’agenda politica, alla responsabilità dei cattolici come cittadini, così come dei cittadini non cattolici?

* domani.arcoiris.tv, 11-04-2011

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Commenti Articolo 1075

Titolo articolo : Anche Roberta De Monticelli interpreta male il Vangelo,di Renato Pierri

Ultimo aggiornamento: April/09/2011 - 19:12:15.

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Autore Città Giorno Ora
Renato Pierri Roma 09/4/2011 19.12
Titolo:Il senso dello scandalo nella Bibbia
Gentile direttore



Le trascrivo alcuni commenti di Angelo Lancellotti.



"Fanciullo come questo: cioè un uomo che, messosi alla sequela di Gesù, si è rivestito dello spirito d'infanzia".



"Lo scandalo dei piccoli. Chi volontariamente per diventare vero discepolo di Gesù si è fatto «piccolo» praticando le virtù dei piccoli e più degli altri esposto, per la sua professata «debolezza», al pericolo e al male dello scandalo; da qui la severità delle minacce di Gesù contro coloro che sono fautori di scandali nella sua Chiesa”.



“Questi piccoli : sono, anche qui, gli autentici seguaci di Cristo che non hanno una preminenza né vi aspirano”





“Beato è colui che non si scandalizza di me : l’aspetto dimesso dell’opera di Gesù e l’azione, per così dire, frenante della sua predicazione costituivano per il popolo che si attendeva un messianismo d’altro genere, un serio ostacolo a credere in Gesù”



"Patirete scandalo: cioè soccomberete. Di fronte alla scandalo della croce la fede dei discepoli sarà messa a dura prova e non reggerà.



In questo senso nel Vangelo si parla della scandalo e della fede. San Paolo dà lo stesso significato allo scandalo e alla fede: "Non distruggete, a causa di un cibo, l'opera di Dio. Tutto è puro, ma è male per chi mangia dando scandalo. Perciò è bene non mangiare carne , né bere vino, né fare alcunché per cui il tuo fratello possa prendere occasione d'inciampo" (Rm 14,20 - 21).



Nella Bibbia lo scandalo è inciampo sulla via del bene.



Riguardo ai bambini in quanto tali, Gesù mostra particolare attenzione verso di essi.



Un saluto cordiale

Renato Pierri

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Commenti Articolo 1076

Titolo articolo : “Troveremo i pedofili che la Chiesa ha coperto”,di Tommaso Caldarelli

Ultimo aggiornamento: April/09/2011 - 01:39:03.

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Autore Città Giorno Ora
alessio di benedetto pratola peligna (AQ) 09/4/2011 01.39
Titolo:DELITTO NON PUNITO
Sono particolarmente illuminanti alcune conclusioni dello psicoterapeuta che ha raccolto simili affermazioni da manicomio criminale e che da vent’anni ha in cura i prelati pedofili:
«In queste circostanze e in situazioni di clima spirituale l’abuso è particolarmente devastatore. Il prete che abusa della fragilità di un penitente vulnerabile è particolarmente colpevole. I preti giustificano il loro tradimento con queste espressioni: “L’ha voluto lui (la vittima)”; “Era un iniziato”; “Gli ho dato solo quello che voleva”. Quest’ultima affermazione registrata è di un prete che ha ammesso di avere abusato di 300 vittime minorenni» . NO COMMENT!

Se una setta fanatica di poche centinaia di aderenti si comportasse con le stesse strategie manipolatorie della liturgia cattolica, la reazione giusta ed immediata delle forze dell’ordine (come è accaduto con certi maghi televisivi) consisterebbe in una retata generalizzata per crimini quali: costrizione psicologica, abuso della credulità popolare, abuso fisico, psichico ed ideologico sui minori, falso ideologico, millantato credito, favoreggiamento alle devianze psichiche e sessuali, turbamento delle istituzioni democratiche, razzismo verso le minoranze religiose, contro gli omosessuali, i gay, le coppie di fatto, i divorziati, gli atei, i comunisti, i laici, il relativismo… E, invece, succede proprio il contrario: chi non è disposto ad essere abusato o denuncia il proprio violentatore è espulso dalla comunità, come nelle sette razziste. Quindi non solo non bisogna più cadere nell’inganno delle dissimulazioni clericali, rifiutando sdegnosamente - come palese imbroglio - il tentativo ufficiale di dissociazione del Vaticano dai suoi adepti pedofili. Anzi, dobbiamo altresì ritenere le gerarchie ekklesiastiche responsabili dirette di un sistema ideologico che crea le condizioni logistiche e psicopatologiche affinché il crimine si perpetui. Ed il delitto è alimentato e favorito e non punito, poiché esso costituisce la linfa vitale per riprodursi, ne è il substrato “consustanziale”, l’inconscio socio-simbolico, senza il quale l’istituzione soccomberebbe. Come nei partiti italiani: se non sei un corrotto con una lunga fedina penale di azioni criminose non sarai promosso e non potrai mai essere ammesso nel loro consesso. Ma allora, che cosa bisogna fare per liberarsi da tutto questo devastante plagio mentale e comportamentale?
La situazione è analoga alla tossicodipendenza: l’intero mondo interiore deve essere ricostruito con coscienza e consapevolezza, abbandonando tutta la mitologia miracolistica, gli abusi oltraggiosi delle preghiere, imposte fin dalla più tenera età, i sensi di colpa e di ricompensa che semmai appartengono al mondo della ragione e del reale e non ad un ipotetico ed irrazionale empireo, inventato a tavolino per controllare la mente dei fedeli. E questa disintossicazione dagli indottrinamenti di un certo modo di fare catechesi e d’insegnare religione nelle scuole avrà successo se ci affideremo alla logica ed all’intelligenza, oppure ad un mondo interiore che farà appello alla fede in noi stessi ed alla capacità di combattere in prima persona le ingiustizie del mondo, essendo soldati della libertà in ogni momento della giornata. Altrimenti si soccombe alle richieste pedofile del clero, e l’atto sessuale con i “monsignori degli abusi” diviene un atto divino, in cui il corpo del prete è il corpo e lo spirito santo del loro dio.


DA: LA RELIGIONE CHE UCCIDE
COME LA CHIESA DEVIA IL DESTINO DELL’UMANITÀ
(Nexus Edizioni)
517 pagine, 130 immagini, € 25

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http://www.macroedizioni.it/libri/la-religione-che-uccide.php
http://www.unilibro.it/find_buy/findresult/libreria/prodotto-libro/autore-di_benedetto_alessio_.htm
http://alessiodibenedetto.jimdo.com/novita-2010/
http://alessiodibenedetto.blogspot.com/2010/04/fuori-della-chiesa-non-ce-salvezza.html

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Commenti Articolo 1077

Titolo articolo : L'ILLUSIONE DI UN VATICANO SENZA MEMORIA: L'ITALIA RIDOTTA A SUO CORTILE! Come se il Galileo della Galilea e Galileo Galilei non fossero mai esistiti! La lettera scritta da Benedetto XVI al presidente Napolitano in occasione del 150° dell’Unità d’Italia commentata da Piero Stefani, con note,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: April/08/2011 - 11:15:55.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 08/4/2011 11.15
Titolo:MESSAGGIO DI BENEDETTO XVI A NAPOLITANO ....
Messaggio al Presidente Napolitano per 150 anni dell’Unità d’Italia

di BENEDETTO XVI (Avvenire, 16 marzo 2011)

Illustrissimo Signore On. GIORGIO NAPOLITANO

Presidente della Repubblica Italiana

Il 150° anniversario dell’unificazione politica dell’Italia mi offre la felice occasione per riflettere sulla storia di questo amato Paese, la cui Capitale è Roma, città in cui la divina Provvidenza ha posto la Sede del Successore dell’Apostolo Pietro. Pertanto, nel formulare a Lei e all’intera Nazione i miei più fervidi voti augurali, sono lieto di parteciparLe, in segno dei profondi vincoli di amicizia e di collaborazione che legano l’Italia e la Santa Sede, queste mie considerazioni.

Il processo di unificazione avvenuto in Italia nel corso del XIX secolo e passato alla storia con il nome di Risorgimento, costituì il naturale sbocco di uno sviluppo identitario nazionale iniziato molto tempo prima. In effetti, la nazione italiana, come comunità di persone unite dalla lingua, dalla cultura, dai sentimenti di una medesima appartenenza, seppure nella pluralità di comunità politiche articolate sulla penisola, comincia a formarsi nell’età medievale.

Il Cristianesimo ha contribuito in maniera fondamentale alla costruzione dell’identità italiana attraverso l’opera della Chiesa, delle sue istituzioni educative ed assistenziali, fissando modelli di comportamento, configurazioni istituzionali, rapporti sociali; ma anche mediante una ricchissima attività artistica: la letteratura, la pittura, la scultura, l’architettura, la musica. Dante, Giotto, Petrarca, Michelangelo, Raffaello, Pierluigi da Palestrina, Caravaggio, Scarlatti, Bernini e Borromini sono solo alcuni nomi di una filiera di grandi artisti che, nei secoli, hanno dato un apporto fondamentale alla formazione dell’identità italiana. Anche le esperienze di santità, che numerose hanno costellato la storia dell’Italia, contribuirono fortemente a costruire tale identità, non solo sotto lo specifico profilo di una peculiare realizzazione del messaggio evangelico, che ha marcato nel tempo l’esperienza religiosa e la spiritualità degli italiani (si pensi alle grandi e molteplici espressioni della pietà popolare), ma pure sotto il profilo culturale e persino politico.

San Francesco di Assisi, ad esempio, si segnala anche per il contributo a forgiare la lingua nazionale; santa Caterina da Siena offre, seppure semplice popolana, uno stimolo formidabile alla elaborazione di un pensiero politico e giuridico italiano. L’apporto della Chiesa e dei credenti al processo di formazione e di consolidamento dell’identità nazionale continua nell’età moderna e contemporanea. Anche quando parti della penisola furono assoggettate alla sovranità di potenze straniere, fu proprio grazie a tale identità ormai netta e forte che, nonostante il perdurare nel tempo della frammentazione geopolitica, la nazione italiana poté continuare a sussistere e ad essere consapevole di sé. Perciò, l’unità d’Italia, realizzatasi nella seconda metà dell’Ottocento, ha potuto aver luogo non come artificiosa costruzione politica di identità diverse, ma come naturale sbocco politico di una identità nazionale forte e radicata, sussistente da tempo. La comunità politica unitaria nascente a conclusione del ciclo risorgimentale ha avuto, in definitiva, come collante che teneva unite le pur sussistenti diversità locali, proprio la preesistente identità nazionale, al cui modellamento il Cristianesimo e la Chiesa hanno dato un contributo fondamentale.

Per ragioni storiche, culturali e politiche complesse, il Risorgimento è passato come un moto contrario alla Chiesa, al Cattolicesimo, talora anche alla religione in generale. Senza negare il ruolo di tradizioni di pensiero diverse, alcune marcate da venature giurisdizionaliste o laiciste, non si può sottacere l’apporto di pensiero - e talora di azione - dei cattolici alla formazione dello Stato unitario. Dal punto di vista del pensiero politico basterebbe ricordare tutta la vicenda del neoguelfismo che conobbe in Vincenzo Gioberti un illustre rappresentante; ovvero pensare agli orientamenti cattolico-liberali di Cesare Balbo, Massimo d’Azeglio, Raffaele Lambruschini. Per il pensiero filosofico, politico ed anche giuridico risalta la grande figura di Antonio Rosmini, la cui influenza si è dispiegata nel tempo, fino ad informare punti significativi della vigente Costituzione italiana. E per quella letteratura che tanto ha contribuito a "fare gli italiani", cioè a dare loro il senso dell’appartenenza alla nuova comunità politica che il processo risorgimentale veniva plasmando, come non ricordare Alessandro Manzoni, fedele interprete della fede e della morale cattolica; o Silvio Pellico, che con la sua opera autobiografica sulle dolorose vicissitudini di un patriota seppe testimoniare la conciliabilità dell’amor di Patria con una fede adamantina. E di nuovo figure di santi, come san Giovanni Bosco, spinto dalla preoccupazione pedagogica a comporre manuali di storia Patria, che modellò l’appartenenza all’istituto da lui fondato su un paradigma coerente con una sana concezione liberale: "cittadini di fronte allo Stato e religiosi di fronte alla Chiesa".

La costruzione politico-istituzionale dello Stato unitario coinvolse diverse personalità del mondo politico, diplomatico e militare, tra cui anche esponenti del mondo cattolico. Questo processo, in quanto dovette inevitabilmente misurarsi col problema della sovranità temporale dei Papi (ma anche perché portava ad estendere ai territori via via acquisiti una legislazione in materia ecclesiastica di orientamento fortemente laicista), ebbe effetti dilaceranti nella coscienza individuale e collettiva dei cattolici italiani, divisi tra gli opposti sentimenti di fedeltà nascenti dalla cittadinanza da un lato e dall’appartenenza ecclesiale dall’altro.

Ma si deve riconoscere che, se fu il processo di unificazione politico-istituzionale a produrre quel conflitto tra Stato e Chiesa che è passato alla storia col nome di "Questione Romana", suscitando di conseguenza l’aspettativa di una formale "Conciliazione", nessun conflitto si verificò nel corpo sociale, segnato da una profonda amicizia tra comunità civile e comunità ecclesiale. L’identità nazionale degli italiani, così fortemente radicata nelle tradizioni cattoliche, costituì in verità la base più solida della conquistata unità politica. In definitiva, la Conciliazione doveva avvenire fra le Istituzioni, non nel corpo sociale, dove fede e cittadinanza non erano in conflitto.

Anche negli anni della dilacerazione i cattolici hanno lavorato all’unità del Paese. L’astensione dalla vita politica, seguente il "non expedit", rivolse le realtà del mondo cattolico verso una grande assunzione di responsabilità nel sociale: educazione, istruzione, assistenza, sanità, cooperazione, economia sociale, furono ambiti di impegno che fecero crescere una società solidale e fortemente coesa. La vertenza apertasi tra Stato e Chiesa con la proclamazione di Roma capitale d’Italia e con la fine dello Stato Pontificio, era particolarmente complessa.

Si trattava indubbiamente di un caso tutto italiano, nella misura in cui solo l’Italia ha la singolarità di ospitare la sede del Papato. D’altra parte, la questione aveva una indubbia rilevanza anche internazionale. Si deve notare che, finito il potere temporale, la Santa Sede, pur reclamando la più piena libertà e la sovranità che le spetta nell’ordine suo, ha sempre rifiutato la possibilità di una soluzione della "Questione Romana" attraverso imposizioni dall’esterno, confidando nei sentimenti del popolo italiano e nel senso di responsabilità e giustizia dello Stato italiano. La firma dei Patti lateranensi, l’11 febbraio 1929, segnò la definitiva soluzione del problema. A proposito della fine degli Stati pontifici, nel ricordo del beato Papa Pio IX e dei Successori, riprendo le parole del Cardinale Giovanni Battista Montini, nel suo discorso tenuto in Campidoglio il 10 ottobre 1962: "Il papato riprese con inusitato vigore le sue funzioni di maestro di vita e di testimonio del Vangelo, così da salire a tanta altezza nel governo spirituale della Chiesa e nell’irradiazione sul mondo, come prima non mai".

L’apporto fondamentale dei cattolici italiani alla elaborazione della Costituzione repubblicana del 1947 è ben noto. Se il testo costituzionale fu il positivo frutto di un incontro e di una collaborazione tra diverse tradizioni di pensiero, non c’è alcun dubbio che solo i costituenti cattolici si presentarono allo storico appuntamento con un preciso progetto sulla legge fondamentale del nuovo Stato italiano; un progetto maturato all’interno dell’Azione Cattolica, in particolare della FUCI e del Movimento Laureati, e dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ed oggetto di riflessione e di elaborazione nel Codice di Camaldoli del 1945 e nella XIX Settimana Sociale dei Cattolici Italiani dello stesso anno, dedicata al tema "Costituzione e Costituente".

Da lì prese l’avvio un impegno molto significativo dei cattolici italiani nella politica, nell’attività sindacale, nelle istituzioni pubbliche, nelle realtà economiche, nelle espressioni della società civile, offrendo così un contributo assai rilevante alla crescita del Paese, con dimostrazione di assoluta fedeltà allo Stato e di dedizione al bene comune e collocando l’Italia in proiezione europea. Negli anni dolorosi ed oscuri del terrorismo, poi, i cattolici hanno dato la loro testimonianza di sangue: come non ricordare, tra le varie figure, quelle dell’On. Aldo Moro e del Prof. Vittorio Bachelet?

Dal canto suo la Chiesa, grazie anche alla larga libertà assicuratale dal Concordato lateranense del 1929, ha continuato, con le proprie istituzioni ed attività, a fornire un fattivo contributo al bene comune, intervenendo in particolare a sostegno delle persone più emarginate e sofferenti, e soprattutto proseguendo ad alimentare il corpo sociale di quei valori morali che sono essenziali per la vita di una società democratica, giusta, ordinata. Il bene del Paese, integralmente inteso, è stato sempre perseguito e particolarmente espresso in momenti di alto significato, come nella "grande preghiera per l’Italia" indetta dal Venerabile Giovanni Paolo II il 10 gennaio 1994.

La conclusione dell’Accordo di revisione del Concordato lateranense, firmato il 18 febbraio 1984, ha segnato il passaggio ad una nuova fase dei rapporti tra Chiesa e Stato in Italia. Tale passaggio fu chiaramente avvertito dal mio Predecessore, il quale, nel discorso pronunciato il 3 giugno 1985, all’atto dello scambio degli strumenti di ratifica dell’Accordo, notava che, come "strumento di concordia e collaborazione, il Concordato si situa ora in una società caratterizzata dalla libera competizione delle idee e dalla pluralistica articolazione delle diverse componenti sociali: esso può e deve costituire un fattore di promozione e di crescita, favorendo la profonda unità di ideali e di sentimenti, per la quale tutti gli italiani si sentono fratelli in una stessa Patria".

Ed aggiungeva che nell’esercizio della sua diaconia per l’uomo "la Chiesa intende operare nel pieno rispetto dell’autonomia dell’ordine politico e della sovranità dello Stato. Parimenti, essa è attenta alla salvaguardia della libertà di tutti, condizione indispensabile alla costruzione di un mondo degno dell’uomo, che solo nella libertà può ricercare con pienezza la verità e aderirvi sinceramente, trovandovi motivo ed ispirazione per l’impegno solidale ed unitario al bene comune".

L’Accordo, che ha contribuito largamente alla delineazione di quella sana laicità che denota lo Stato italiano ed il suo ordinamento giuridico, ha evidenziato i due principi supremi che sono chiamati a presiedere alle relazioni fra Chiesa e comunità politica: quello della distinzione di ambiti e quello della collaborazione. Una collaborazione motivata dal fatto che, come ha insegnato il Concilio Vaticano Il, entrambe, cioè la Chiesa e la comunità politica, "anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane" (Cost. Gaudium et spes, 76).

L’esperienza maturata negli anni di vigenza delle nuove disposizioni pattizie ha visto, ancora una volta, la Chiesa ed i cattolici impegnati in vario modo a favore di quella "promozione dell’uomo e del bene del Paese" che, nel rispetto della reciproca indipendenza e sovranità, costituisce principio ispiratore ed orientante del Concordato in vigore (art. 1). La Chiesa è consapevole non solo del contributo che essa offre alla società civile per il bene comune, ma anche di ciò che riceve dalla società civile, come affrerma il Concilio Vaticano II: "chiunque promuove la comunità umana nel campo della famiglia, della cultura, della vita economica e sociale, come pure della politica, sia nazionale che internazionale, porta anche un non piccolo aiuto, secondo la volontà di Dio, alla comunità ecclesiale, nelle cose in cui essa dipende da fattori esterni" (Cost. Gaudium et spes, 44).

Nel guardare al lungo divenire della storia, bisogna riconoscere che la nazione italiana ha sempre avvertito l’onere ma al tempo stesso il singolare privilegio dato dalla situazione peculiare per la quale è in Italia, a Roma, la sede del successore di Pietro e quindi il centro della cattolicità. E la comunità nazionale ha sempre risposto a questa consapevolezza esprimendo vicinanza affettiva, solidarietà, aiuto alla Sede Apostolica per la sua libertà e per assecondare la realizzazione delle condizioni favorevoli all’esercizio del ministero spirituale nel mondo da parte del successore di Pietro, che è Vescovo di Roma e Primate d’Italia. Passate le turbolenze causate dalla "questione romana", giunti all’auspicata Conciliazione, anche lo Stato Italiano ha offerto e continua ad offrire una collaborazione preziosa, di cui la Santa Sede fruisce e di cui è consapevolmente grata.

Nel presentare a Lei, Signor Presidente, queste riflessioni, invoco di cuore sul popolo italiano l’abbondanza dei doni celesti, affinché sia sempre guidato dalla luce della fede, sorgente di speranza e di perseverante impegno per la libertà, la giustizia e la pace.

Dal Vaticano, 17 marzo 2011

BENEDICTUS PP. XVI

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Commenti Articolo 1078

Titolo articolo : Siamo tutti responsabili,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: April/07/2011 - 22:37:57.

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Autore Città Giorno Ora
isabelle charlier varese 07/4/2011 22.37
Titolo:Siamo tutti responsabili
Un titolo così: "Siamo tutti responsabili" è molto forte, ma corrisponde davvero alle mie convinzioni. Vorrei commentare di più, ma davanti ad un articolo che illustra una struggente realtà, voglio rimanere in silenzio a favore di una profonda e sincera meditazione.

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Commenti Articolo 1079

Titolo articolo : NON CONFONDETE GLI HACKERS, CON I CRACKERS!!! UNA LEZIONE DI AGGIORNAMENTO PER LA GERARCHIA VATICANA. I gesuiti in difesa di Wikileaks. Una nota di Giacomo Galeazzi,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: April/05/2011 - 16:22:28.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/4/2011 16.22
Titolo:CHI HA PAURA DELLA TRAPARENZA .....
Chi ha paura della glasnost

di BARBARA SPINELLI *

SOLO chi ha un’idea cupa dell’informazione indipendente, e paventa persecuzioni non appena se la trova davanti, e per di più nulla sa della rivoluzione in corso nell’universo dei blog, può parlare, come il ministro Frattini, di un 11 settembre della diplomazia scatenato da WikiLeaks contro il mondo bello, composto e civile nel quale siamo supposti vivere. Solo chi fantastica planetarie offensive contro le notizie che da tempo circolano senza confini può credere che al caos comunicativo si debba rispondere, come negli attentati del 2001, con una bellicosa e "compatta alleanza: senza commentare, senza retrocedere sul metodo della diplomazia, senza lasciarsi andare a crisi di sfiducia".

WikiLeaks non è una cellula terrorista e il suo fondatore, Julian Assange, è magari indagato per violenza privata ma comunque non è un uomo che - la fine osservazione è del ministro - "vuol distruggere il mondo". Alla mutazione mediatica nata prima di lui non si replica con un globale schieramento, per "continuare a far vivere un metodo della diplomazia" che ha fatto disastri.

Mettere insieme in una battaglia contro Internet Roma e Mosca, Berlino e Kabul prefigura il Brave New World di Huxley, fatto di gente china e sedata dalla droga, il "soma" che rilassandoti uccide ogni critica. Più che un’utopia: una distopia.

Il mostro tanto temuto è la glasnost che d’un tratto irrompe in una zona politica non solo opaca ma sommamente inefficace: la diplomazia, il più chiuso dei recinti, dove il segreto, non sempre immotivatamente, è re. La glasnost è una corrente sotterranea potente, non un breve tumulto come fu Al Qaeda, e l’unica cosa da dire è: la politica ancora non sa fronteggiarla, organizzandosi in modo da disgiungere il segreto indispensabile dal superfluo. Se quello necessario viene alla luce è sua colpa, non di WikiLeaks. In realtà i 250.000 cabli non sono affatto top secret. Sono consultabili da ben 3 milioni di funzionari americani, e disponibili in siti interni al ministero della difesa Usa (Siprnet). Nella globale ragnatela Internet le fughe di notizie (i leaks) sono inevitabili. Scrive Simon Jenkins, sul Guardian: "Un segreto elettronico è una contraddizione in termini".

Nei paesi democratici, dove l’informazione indipendente esiste, il diplomatico è alle prese con una trasparenza non di rado ostacolata come in Italia, ma tangibile. Non è cancellata dalle ghignanti foto di gruppo dei vertici internazionali, che s’accampano monotoni su giornali e tv. Gli ambasciatori a Roma o Parigi raccontano quel che leggono nei giornali più liberi, che apprendono dai blog, che ascoltano da chi non nasconde il vero.

Si dice: "Ce n’è per tutti", nei dispacci. Per il Cancelliere tedesco, il regno britannico, l’Eliseo, oltre che per Roma. Nulla di più falso. Se la Merkel appare "refrattaria al rischio e poco creativa", Berlusconi "suscita a Washington sfiducia profonda": è "vanitoso, stanco da troppi festini, incapace come moderno leader europeo". Inoltre "sembra il portavoce di Putin in Europa". Un abisso separa i due leader. Resta che nelle democrazie le rivelazioni non sono fulmini che squarciano cieli tersi, neanche da noi. I diplomatici Usa comunicano quello che da 16 anni gli italiani hanno sotto gli occhi, sempre che non se li bendino per vivere in bolle illusorie e ingurgitare "soma televisivo". Sanno dei festini in dimore private spacciate per pubbliche. Sanno che Berlusconi coltiva con Putin rapporti personali torbidi, lucrosi, di cui non rende conto né all’Europa né al popolo che pure tanto s’affanna a definire sovrano. Non c’è bisogno di WikiLeaks per conoscere la pasta di cui son fatti i governanti, per capire lo scredito internazionale che non da oggi li colpisce, per allontanarli dal potere che democraticamente hanno occupato, e poco democraticamente esercitato.

Non così lì dove non c’è democrazia e nelle aree di crisi, nonostante le verità siano in larga parte note anche qui, a chi voglia davvero sapere. Non c’è praticamente notizia che i blog non dicano da anni (Tom Dispatch, Antiwar. com, Commondreams, Counterpunch, e in Italia, nel 2005-2010, Contropagina di Franco Continolo).

L’altra cosa che va detta è che gli ambasciatori che divulgano informative non sono sempre di qualità eccellente, e forse anche questo, in America, crea imbarazzo. Nelle aree critiche - Italia compresa, dove gli equilibri democratici vacillano - non hanno idee meticolosamente maturate, né si azzardano in analitici suggerimenti e prognosi. Fotografano l’esistente, sono figli essi stessi di Internet, tagliano e incollano schegge di verità senza osare approfondimenti. Nulla hanno in comune, ad esempio, con l’immensa ricerca in cui si sobbarcò George Kennan nel ’44-46, lavorando per la missione Usa a Mosca. Il "lungo telegramma", che inviò nel febbraio ’46 al Segretario di Stato James Bynes, descrive la natura oscura del sistema sovietico: le sue forze, le fragilità, il suo nevrotico bisogno di un mondo ostile. Ne scaturì l’articolo scritto nel luglio ’47 su Foreign Affairs, firmato X: fondamento di una politica (il containment) che per decenni pervase la guerra fredda senza infiammarla.

Nulla di analogo nei dispacci odierni, ma messaggi raccogliticci, frammentari, pericolosi infine per le fonti, nei paesi a rischio. Non la forza americana è esposta alla luce, ma la sua inconsistenza. Non un impero nudo, ma una finzione d’impero che addirittura usa i propri diplomatici - colmo di insipienza e mala educazione da parte di Hillary Clinton - come spie all’Onu. L’occhio Usa non scruta il lontano ma l’oggi, sposando non pochi luoghi comuni locali. La glasnost online sbugiarda questo modo di scrutare, e non è male che avvenga. Fa vedere l’impotenza, l’approssimazione, l’inefficacia americana. Inefficacia pur sempre limitata, perché i dispacci non paiono contaminati dai conformismi di tanti commentatori italiani: difficile trovare accenni, nei cabli, alla "rivoluzione liberale" o all’epifanico ruolo di Berlusconi nelle crisi mondiali.

Il vero scandalo è lo spavento che tutto questo suscita, lo sbigottimento davanti a notizie spesso banali, solo a tratti rivelatrici (è il caso, forse, del nesso stretto Nord Corea-Iran), l’imperizia Usa nel tutelare confidenze e confidenti. Ora si vorrebbe fare come se nulla fosse, "tener viva la diplomazia" così com’è: ottusamente arcana, lontana dallo sguardo dei cittadini. Ma quale diplomazia? Nel caso italiano una diplomazia chiamata commerciale dal governo perché essenzialmente fa affari, e all’estero riscuote in realtà "sfiducia profonda".

Dicono che Berlusconi si sia fatto una gran risata, non appena letti i dispacci. Forse ha capito più cose di Frattini, perché lui la diplomazia classica l’ha già distrutta. E non solo la diplomazia ma l’informazione indipendente, e in Europa la solidarietà energetica. Forse ride delle banalità diffuse da WikiLeaks. Forse intuisce che se si parlerà molto di festini, poco si parlerà di conflitto d’interessi, controllo dei media, mafia. È il limite di Assange, enorme: avrà minato la fiducia nella diplomazia Usa, senza dare informazioni autenticamente nuove (la più calzante parodia del cosiddetto 11 settembre di Assange l’ho trovata su un sito di cinefili 1).

Resta la sfida alla stampa: sfida al tempo stesso ominosa e straordinariamente promettente. È vero: nel medio-lungo periodo crescerà il numero di chi si informerà su Internet, più che sui giornali cartacei. Ma da quest’avventura la stampa esce come attore principe, insostituibile: messa di fronte ai 250 milioni di parole sparse come polvere sugli schermi WikiLeaks, è lei a fare la selezione, a stabilire gerarchie, a rendere intelligibile quello che altrimenti resta inintelligibile caos, ad assumersi responsabilità civili contattando le autorità politiche e nascondendo il nome di fonti esposte dai leaks a massimi rischi. Alla rivoluzione mediatica ci si prepara combinando quel che è flusso (Internet) e quel che argina il flusso dandogli ordine (i giornali scritti). L’unica cosa che non si può fare è ignorare la sfida, negare la rivoluzione, opporle sante alleanze conservatrici del vecchio.

Immagino che non fu diversa l’alleanza anti-Gutenberg quando nel XV secolo apparve la stampa, e anche allora vi fu chi, con le parole di quei tempi, parlò di un 11 settembre contro gli establishment: politici e culturali, delle chiese e degli imperi.

* la Repubblica, 01 dicembre 2010

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Commenti Articolo 1080

Titolo articolo : AD ALCUNI AMMINISTRATORI LOCALI (E NON SOLO), CONTRO IL RAZZISMO,di Peppe Sini

Ultimo aggiornamento: April/05/2011 - 14:00:17.

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Autore Città Giorno Ora
filippo angileri trapani 05/4/2011 14.00
Titolo:Ad alcuni amministratori locali, contro il razzismo.
Bravo il sig. Peppe Sini! Sono più che d'Accordp!Condivido in pieno.Lottiamo per quello che è giusto e sacrosanto.Questi sono anche valori portati e contenuti in tutte le grandi religioni rivelate.
Fraterni saluti
filippo

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Commenti Articolo 1081

Titolo articolo : "IN PRINCIPIO ERA LA GIOIA", TRADOTTO "ORIGINAL BLESSING". VITO MANCUSO RIPRENDE IL LAVORO DI MATTEW FOX E, IN NOME DI GIORDANO BRUNO, APRE IL "CAMPO DEI FIORI". Una buona iniziativa per riaprire la discussione e il cammino. Un'intervista a Fox e una nota di Mancuso - con alcuni appunti,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: April/03/2011 - 08:15:11.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 01/4/2011 12.57
Titolo:Il teologo scomodo e le sue tesi "luterane"
Il teologo scomodo e le sue tesi "luterane"

di Vito Mancuso (la Repubblica, 1 aprile 2011)

Era il 31 ottobre 1517 quando Lutero inchiodava sul portone della chiesa di Wittenberg le 95 tesi contro le indulgenze papali dando origine alla Riforma protestante. All’indomani dell’elezione di Joseph Ratzinger al soglio pontificio il 19 aprile 2005, il teologo americano Matthew Fox inchiodava sul medesimo portone di Wittenberg altre 95 tesi contro il papato di oggi. E dopo Wittenberg, ora è la volta di Roma.

Fox infatti si trova nella capitale per un dibattito con me (domenica alle 12) nel contesto della rassegna «Libri Come» attorno al suo libro In principio era la gioia (Fazi) a seguito del quale egli venne costretto a lasciare l’ordine domenicano dopo 34 anni di permanenza dietro pressione dell’allora cardinal Ratzinger in qualità di Prefetto della «Congregazione per la Dottrina della Fede», e a Roma, presso un’importante basilica, Fox ripeterà il simbolico gesto di Lutero.

Ma c’è ancora bisogno di un gesto così e di altre 95 tesi? Il luogo scelto da Fox è Santa Maria Maggiore (domenica alle 10), il cui arciprete è Bernard Francis Law, cardinale e già arcivescovo di Boston, rimosso nel 2002 per aver insabbiato numerosi casi di pedofilia e nominato nel 2004 da Giovanni Paolo II titolare dell’antica basilica romana, nonché membro attualmente di sette congregazioni vaticane. C’è ancora bisogno delle 95 tesi? Il lettore legga le tesi 8 e 68 e risponderà da sé. Qualche giorno fa in seguito al terremoto in Giappone un cattolico «doc» quale Roberto De Mattei (vicepresidente del Cnr!) dai microfoni di Radio Maria ha dichiarato che le catastrofi naturali sono un’esigenza della giustizia di Dio. C’è ancora bisogno delle 95 tesi? Il lettore legga le tesi 4 e 5 e risponderà da sé.

Dopo l’apertura di Benedetto XVI sull’uso dei preservativi nel libro-intervista Luce del mondo del novembre 2010 dove il papa li giudica un «primo atto di responsabilità», la Congregazione per la Dottrina della Fede si è affrettata a distanza di un mese (velocità supersonica per la curia romana) a pubblicare un documento per dire che non c’è nulla di nuovo e che i preservativi rimangono intrinsecamente cattivi come sono sempre stati. C’è ancora bisogno delle 95 tesi? Il lettore legga le tesi 70 e 71 e risponderà da sé.

Gli esempi potrebbero continuare, ma il centro della questione è che il mondo manifesta a chi lo sa leggere un grande bisogno di spiritualità che l’offerta religiosa tradizionale non riesce talora neppure a comprendere. Matthew Fox non offre un nuovo vangelo né le sue 95 tesi pretendono di essere infallibili. È solo un onesto, attuale e simpatico tentativo di tornare a far capire alla coscienza contemporanea quali grandi ricchezze sono in gioco nella spiritualità. Il lettore legga la tesi 46 e vedrà da sé il dischiudersi di grandi orizzonti vitali.

Le tesi di Fox

1) Dio è Madre e Padre.
4) Dio come Padre punitivo non può essere una divinità adorabile, bensì un idolo al servizio del potere assoluto. La rappresentazione di un Dio maschile punitivo è in contraddizione con l’essenza della divinità che è sia femminile materna che virile paterna.
5) «Tutti i nomi che noi diamo a Dio sono dovuti alla nostra immaginazione» (Meister Eckhart). Coloro che definiscono Dio ente punitivo, sono essi stessi vendicativi.
8) Tutti gli uomini, maschi e femmine, sono chiamati ad essere profeti, il che significa opporsi alle ingiustizie.
46)L’anima umana è creata per il cosmo e non sarà contenta finché non saranno uniti l’una con l’altro e dalla loro unione non sorgerà devoto rispetto, inizio di saggezza.
68) La pedofilia è una colpe terribile, ma il suo occultamento per opera della gerarchia è ancora più esecrabile.

70) Gesù non ha mai parlato di preservativi, di controllo delle nascite o di omosessualità.
71) Una Chiesa che si occupa più di abitudini anomali nella sfera sessuale che di ingiustizia è essa stessa malata
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 03/4/2011 08.15
Titolo:Benedire anziché incolpare - di Gianni Vattimo ...
Benedire anziché incolpare

di Gianni Vattimo (La Stampa, 2 aprile 2011)

Il libro di Matthew Fox In principio era la gioia inaugura degnamente la nuova collana di teologia diretta da Vito Mancuso e Elido Fazi, che ne è l’editore (pp. 423, 19,50). Lo si può e deve raccomandare senz’altro come fonte di edificazione spirituale, come manuale di meditazione, come guida per una possibile esperienza mistica. Come molto spesso la teologia non è edificante, così l’edificazione sembra prestarsi poco a discussioni e argomentazioni teologiche.

Che il libro sia qualcosa di più di un banale testo di edificazione, tuttavia, lo possiamo indurre dal fatto, per nulla trascurabile, che in conseguenza della sua pubblicazione (1983) l’autore fu espulso (1993), per iniziativa dell’allora cardinale Ratzinger, capo del Sant’Uffizio, dall’ordine domenicano, nel quale era stato discepolo di un grande teologo come Chenu. Se per alcuni già questa espulsione è una raccomandazione positiva, ce n’è un’altra che si scopre solo dopo la lettura delle dense trecento pagine del libro, e che suona così «Tutto questo libro, in realtà, non è altro che l’esposizione della spiritualità degli anawim , degli oppressi» (p. 331).

Non occorre dunque motivare ulteriormente la simpatia che sentiamo fin dall’inizio per il libro e il suo autore. Anche se alcuni elementi che lo caratterizzano suscitano qualche resistenza: la sistematicità della costruzione, che ripete e anche rinnova certi schemi tipici dei manuali di spiritualità della tradizione cattolica, con la articolazione di Via positiva, Via negativa, Via creativa, Via trasformativa; la fluviale abbondanza delle citazioni messe in esergo ai vari capitoli, dove è convocata tutta la storia della mistica, della poesia, del pensiero spirituale non solo dell’Occidente (e che ha anche il senso positivo di offrire una specie di summa antologica di questo pensiero). Soprattutto, ciò che attrae ma anche respinge nel libro, è il suo tono «positivo», che fa pensare talvolta a certe forme di nuova religiosità «americana» (New Age) verso cui nutriamo rispetto ma che non sentiamo nostre.

Il perché di un certo disagio verso quest’ultimo aspetto del libro è anche la sua sostanza teorica e teologica. La reazione di sospetto è motivata per l’appunto da ciò che ancora domina la nostra esperienza religiosa: siamo tutti figli di Agostino, direbbe Fox, cioè succubi di un’educazione che ci ha abituati a pensare la storia della salvezza come redenzione dalla caduta originaria nel peccato. Non per nulla il titolo inglese del libro è Original Blessing , Benedizione originale. Noi di originale abbiamo sempre conosciuto soprattutto il peccato: l’atto d’amore che ha dato luogo alla creazione, la benedizione originale, è stato subito macchiato dalla storia del serpente e della mela. La storia dei nostri rapporti con Dio è una storia di caduta, pena e redenzione, anche questa però operata solo in forza di un sacrificio, di una pena che lo stesso Figlio di Dio si sarebbe caricato sulle spalle sopportando il dolore della Crocifissione.

Ma, dice Fox, «nessuno credeva al peccato originale prima di Agostino», così per esempio Sant’Ireneo di Lione che scriveva duecento anni prima di lui (p.49). La «benedizione», l’atto di amore con cui Dio crea il mondo e ci dà la vita è un’idea biblica molto più originaria. Agostino ha costruito la dottrina del peccato originale solo negli ultimi anni della sua vita, fondandosi su un passo della lettera di Paolo ai Romani (5,12) che egli legge come se dicesse che con Adamo tutti gli uomini hanno peccato, e perciò portano in sé la stessa colpa. La filosofia occidentale (Kant: l’idea del «male radicale») ha ripreso questa dottrina ritenendo che l’inclinazione al male sia un dato naturale nell’uomo, con conseguenze importanti anche sul modo di intendere la società. E anche tutto il modo che abbiamo ereditato di considerare il corpo, i sensi, l’erotismo è profondamente legato a questo primato del peccato.

Fox si propone l’impresa niente affatto semplice di ripensare il cristianesimo fuori dalla corrusca luce che vi ha imposto l’agostinismo. Non certo facendo come se di peccato non si debba più parlare
egli stesso, nelle quattro sezioni in cui illustra le sue quattro «vie», dedica pagine intense a come si configura il peccato dal punto di vista di ciascuna di esse: che si riduce sempre a una qualche formadi resistenza inerte (egoistica, conservatrice) contro la positività della relazione con il mondo, con la natura, con gli altri.

Ma le disavventure che ha incontrato con la gerarchia cattolica avvertono della difficoltà anche teorica della sua posizione, almeno sul piano dottrinale. La Chiesa ha sempre lasciato molta libertà ai tanti mistici che Fox richiama nel libro, da Ildegarda di Bingen a Meister Eckhart a Giuliana di Norwich a Simone Weil - certo non a Giordano Bruno, che è uno dei grandi ispiratori di questo testo.

Ma sul piano della dottrina accettata e insegnata il discorso era ed è ancora molto più rigido. Ognuno di noi, e Fox stesso e i suoi discepoli, può (dovrebbe anzi) praticare in privato la propria religione con questo spirito di benedizione dimenticando la cupa idea della colpa collettiva. Ma da questa idea dipendono troppe «discipline», rapporti di potere, veri e propri privilegi della casta (!) sacerdotale perché una proposta di rinnovamento teologico e spirituale come questa non si scontri alla fine con la necessità di una autentica rivoluzione. Forse sarebbe ora, ma vi pare che sia il tempo propizio?

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Commenti Articolo 1082

Titolo articolo : Chi ha tempo non aspetti tempo,di Giovanni Sarubi

Ultimo aggiornamento: March/31/2011 - 14:20:05.

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Autore Città Giorno Ora
isabelle charlier varese 31/3/2011 14.20
Titolo:Grazie per l'articolo!
Quanto sia pesante e tragica la situazione del nostro mondo!
Mi viene da piangere e mi pento per il troppo poco che sto facendo a favore di un'umanità di Vero Amore!
Nell'orecchio fortunatamente, Dio mi susssura: forza!
Isabelle, Varese

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Commenti Articolo 1083

Titolo articolo : L'ALLEANZA DELL'INDECENZA E L'OPERAZIONE RATZINGERIANA. "Benedetto roi d’Italie. Chronique d’un pays à l’ombre du Vatican”. Un'intervista a Martine Nouaille, a cura di Amanda Breuer Rivera - con alcune note di premessa,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/31/2011 - 13:24:28.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 31/3/2011 13.24
Titolo:L''IDENTITA' DI CRISTO SECONDO RATZINGER di Franca D'agostini ...
BENEDETTO XVI SI METTE SOTTO I PIEDI IL REGNO DI DIO E S'IDENTIFICA A MODO SUO CON "GESU' DI NAZARET".

L’identità di Cristo

di Franca D’Agostini (il manifesto, 30 marzo 2011)

Nel pontificato di Benedetto XVI si esprime un preciso disegno politico-culturale, che si annuncia chiaramente, e in tutta onestà, nella prima enciclica papale: la Deus caritas est, del 2006. Qui il pontefice dice senza mezzi termini che la dottrina sociale della Chiesa deve prendere il posto lasciato vuoto dalla koiné marxista; deve cioè sostituirsi al marxismo (un «sogno svanito») nella sua opera di mobilitazione convergente delle coscienze umane. Consapevole di quanto la fine del bipolarismo mondiale e la cosiddetta «crisi delle ideologie» abbiano portato e stiano portando a un nuovo orizzonte politico e ideologico, il papa ipotizza dunque che il messaggio cristiano, di cui la Chiesa è prima autorevole interprete, possa e debba porsi alla testa del mutamento.

La sua fisionomia politica

L’ipotesi sembra rischiosa e nello stesso tempo plausibile. Rischiosa perché potrebbe essere l’inizio di un tipo di teocrazia intellettuale che urta contro tutte le conquiste del pensiero politico moderno. Plausibile perché l’idea del marxismo, o più in generale dei movimenti libertari dell’Ottocento, come forme di secolarizzazione (o realizzazione-dissoluzione) del messaggio cristiano, è ben presente alla nostra memoria culturale. L’intera opera di Benedetto XVI - e prima ancora di Joseph Ratzinger - si colloca in equilibrio su questo discrimine.

Questo papa, che oltre a essere un teologo e un sacerdote è anche, chiaramente, un intellettuale pubblico, sembra aver lavorato soprattutto nella prima direzione. Ma per chiunque sia interessato alle sorti dell’umanità globalizzata, è utile vedere da vicino con quali argomenti si giustifica l’ipotesi. E in questo senso i due libri del papa su Gesù di Nazareth costituiscono un’ottima risorsa, perché affrontano il problema in modo diretto e preliminare, chiedendosi: che cosa ha detto e fatto Gesù? Che significato ha per noi la sua figura?

La politica di Gesù. Il primo libro, uscito nel 2007, riguarda il periodo Dal battesimo alla Trasfigurazione, il secondo, appena uscito (a cura di Pierluca Azzaro, e tradotto da Ingrid Stampa), va Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione (Libreria Editrice Vaticana). Questo secondo libro può definirsi decisamente politico.

Il suo tema dominante è la questione della regalità di Gesù Cristo. È questo in effetti il tema centrale dell’ultima fase della vita di Gesù, che incomincia con l’ingresso in Gerusalemme, tra la folla che lo acclama, culmina con il processo e la condanna, precisamente a causa del suo presentarsi come Re d’Israele e Figlio di Dio (bestemmia! urla Caifa, stracciandosi le vesti), e si conclude con il trionfo della Resurrezione.

Benedetto XVI avverte che Gesù separa religione e politica, in precedenza intrecciate, nella prospettiva tradizionale giudaica. Eppure, tutto il testo è destinato a mostrare che in Gesù si esprime una nuova forma di regno e di potere, un nuovo modo di essere giusti e concepire la giustizia, un nuovo tipo di agire pubblico. Dunque tutti gli aspetti del «politico» che riconoscono i filosofi: il potere (Schmitt, Foucault), la giustizia (Rawls), l’agire (Arendt), sono coinvolti.

Il punto è che questi aspetti sono praticati e concepiti da Gesù in modo nuovo. I termini «nuovo», «novità», dominano nel libro. Ma in che cosa consiste, esattamente, la novità? Il papa individua sostanzialmente due categorie-chiave: il sacerdozio, e la verità. Il potere di Gesù è potere sacerdotale, e comporta una speciale (nuova) visione del sacerdozio; il regno di Gesù è il regno (inedito) della verità.

La sua fisionomia rivoluzionaria

Gesù rivoluzionario? Intuitivamente, e al di là di ogni raffinata analisi teologica, si sarebbe portati a dire che la novità di Gesù consiste nel «rovesciamento» per cui si afferma il primato dei deboli, degli umili, dei poveri e degli oppressi (ciò di cui si lamentava appunto Nietzsche). La concezione cristiana della giustizia si presenta subito, nelle parole della più tranquilla tra i personaggi evangelici: Maria. Nel Magnificat appare con chiarezza un Dio che «rovescia i potenti dai troni», e «innalza gli umili», che «ricolma di beni gli affamati» e «rimanda a mani vuote i ricchi». E tutto ilseguito della narrazione conferma questa intuizione preliminare.

In ciò effettivamente il cristianesimo potrebbe facilmente sostituirsi al «sogno svanito» del marxismo, o forse correggerlo e integrarlo: è l’intuizione di Simone Weil, e di molti altri. Ma non è questa la via intrapresa dal Papa. Il tema di Gesù difensore dei poveri e dei perseguitati non è del tutto assente nell’analisi di Benedetto XVI. Però, insistendo in questa direzione, il Papa avrebbe dovuto sposare la causa delle teologie politiche, specie quelle della liberazione, o quelle femministe. Perciò, tanto nel precedente volume quanto nel secondo, l’autore ha una cura del tutto speciale non nel discutere, ma piuttosto nel disattivare e attenuare una simile ipotesi interpretativa.

In questo nuovo volume i conti con le teologie libertarie vengono fatti rapidamente, nella riflessione sulla «purificazione del Tempio», quando Gesù adirato rovescia i tavoli dei cambiamonete. Qui il Papa scrive che sì, il gesto di Gesù esprime uno zelo speciale, ma l’idea del riscatto promesso da Gesù così come è concepito dalle «teologie della rivoluzione» equivale all’idea di una legittimazione della violenza «come mezzo per instaurare un mondo migliore»; ed è pertanto inaccettabile nella luce del messaggio evangelico.

In realtà, non è necessario legittimare la violenza per riconoscere che l’integrità di Gesù indica agli esseri umani un modo preciso di essere giusti, e di promuovere la giustizia. Ma per Benedetto XVI questo e altri gesti fanno di Gesù non un rivoluzionario, né un «rovesciatore» di ordini e gerarchie, ma piuttosto un Sommo Sacerdote di un tipo particolare.

La chiave interpretativa del «sacerdozio» di Gesù è una costante in tutto il testo. Gesù è un sacerdote di tipo nuovo, che è venuto per servire, e non per essere servito, che compie la sua opera nel sacrificio di se stesso (in tal modo ponendo fine alla consuetudine dei sacrifici animali), e facendosi tramite della verità. Il suo zelo è amore per il Tempio, la casa di suo padre. Evidentemente questa prospettiva permette al Papa di allacciare meglio il Nuovo Testamento all’Antico, enfatizzando la continuità del Cristianesimo con l’ebraismo. Ma gli permette anche di minimizzare un aspetto che è altrimenti evidentissimo: l’anticlericalismo di Gesù, un altro dato ben noto, e inequivocabile.

In modo insistente, Gesù manifesta una netta e sistematica avversione per le gerarchie ecclesiastiche («guai a voi scribi e farisei!»), e proprio da queste viene condannato e ucciso. Prevede lui stesso che «dovrà soffrire molto» a causa degli «anziani, degli scribi, dei sacerdoti». E non è un caso che il suo unico e solo gesto violento siano proprio quei tavoli rovesciati, contro la corruzione del Tempio. Se davvero Gesù di Nazareth è da vedersi come un sacerdote di un genere particolare, allora il senso del suo sacerdozio non risiede soltanto nel «sacrificio di sé» ma anche (e piuttosto) nel lanciare l’autocritica della Chiesa come apparato sacerdotale. In questo senso, Caifa aveva le sue ragioni: Gesù costituiva un serio pericolo.

Il Regno della Verità. Ma il punto cruciale dell’analisi compare proprio al centro del libro. Il potere di Gesù è il potere della verità, scrive l’autore. «Gesù qualifica come essenza della sua regalità la testimonianza della verità». Anche in precedenti opere, e nel suo confronto con i filosofi «laici», Joseph Ratzinger ha fatto della verità il concetto-chiave del suo magistero. Resta però sempre in gioco la questione di Pilato: che cosa è la verità? Che cosa intende Benedetto XVI per «verità»?

Ora è interessante notare che la verità di cui si tratta non è tanto e propriamente «l’adeguamento dell’intelletto alla realtà oggettiva», come scriveva Giovanni Paolo II nell’Enciclica Fides et ratio, richiamando la formula tomistica dell’adaequatio intellectus et rei. L’autore del Gesù di Nazareth ci dice infatti che questa nozione di verità è appropriata, ma funziona solo per una verità parziale, umana, che è sempre imperfetta e incompiuta. Nell’ottica umana «la verità in tutta la sua grandezza e purezza non appare». Invece, la vera verità è qualcosa di cui dispone Dio, e vale allora la «formula lapidaria» di San Tommaso: Dio è la prima e somma verità. Dunque: gli umani non hanno vera verità, questa proviene da Dio e Dio solo ne dispone.

Una teocrazia intellettuale

In questi passi Benedetto XVI si rivela in perfetto accordo con molta filosofia laica del Novecento. Non soltanto, per esempio, con Hilary Putnam, che assegna la vera verità allo «sguardo di Dio», ma anche con il maestro di tutti i relativismi, Richard Rorty, che vede nel concetto stesso di veritàl’espressione di una visione «teologica» della conoscenza. L’unica variazione è che mentre per Putnam (ebreo) la verità resta l’enigma inaccessibile di Dio, e per Rorty non c’è verità perché non c’è nessun Dio, per Benedetto XVI Dio c’è, e la sua verità è accessibile, ma attraverso Gesù Cristo, e cioè attraverso la Chiesa, interprete autorizzata del suo messaggio.

Esattamente come i relativisti, Benedetto XVI ritiene che le facoltà umane non abbiano accesso alla verità. «Dare testimonianza alla verità» non significa dunque per lui dire le cose come stanno, ma piuttosto: «mettere in risalto Dio e la sua volontà di fronte agli interessi del mondo e delle sue potenze». Le conseguenze sono molto problematiche, tanto sul piano politico quanto sul piano dottrinale. Qui ha origine, in sordina ma inequivocabilmente, la teocrazia intellettuale di cui si diceva. «La moderna dottrina dello Stato», scrive il Papa, riconosce che il mondo umano non dispone di verità; ma allora: «quale giustizia sarà possibile», visto che non ci sono criteri per distinguere la vera giustizia? Ecco dunque la Chiesa venire in soccorso degli Stati smarriti, senza fondamenti e senza vero: il messaggio cristiano deve dettare agli organismi statali la regola del vero, perché evidentemente «senza verità l’uomo non coglie il senso della sua vita, e si lascia, in fin dei conti, il campo ai più forti».

L’obiezione però è fin troppo facile: se i contenuti della verità sono stabiliti dalla dottrina ufficiale della Chiesa, quali garanzie abbiamo che questa verità sia esente dalla parzialità e dal difetto che per definizione affliggono ogni tentativo umano di sapere? Chi ci assicura che questa pretesa verità non sia ancora la voce «del più forte»? Se si ignorano queste perplessità siamo di nuovo daccapo: siamo al Sinedrio che non fa trionfare affatto la verità, ma anzi, tutto al contrario: manda a morte Gesù.

Così stanno le cose

L’altra verità. Si può in effetti sostenere che proprio la difesa della verità è un dato intrinseco al messaggio di Gesù, e che nel cristianesimo la verità diventa davvero «categoria politica». È essenziale però chiarire che forse non si tratta della summa veritas, come ritiene Joseph Ratzinger, ma più semplicemente: della verità umile e banale, per cui è vero significa così stanno le cose. In questa prospettiva molto cambia.

In primo luogo, spostare l’accento sul potere della verità significa dire: la realtà, proprio quella realtà che urta i nostri corpi, ferendoli, quella realtà fisica che ci fa morire, e soffrire, ed è teatro delle guerre, dell’ingiustizia, e dell’oppressione dei più deboli, ha un potere inequivocabile e primario nelle nostre vite. Questa idea schiettamente naturalistica della vita umana è ben presente nell’operare di Gesù, non per nulla attento a curare i corpi, e pronto a commuoversi per la morte di Lazzaro e per il dolore degli esseri umani che incontra. Verità è la proprietà delle parole (umane) che dicono onestamente e con giustizia questi fatti. Di qui l’estrema importanza del logos - parola, ragione, discorso - per il vangelo di Giovanni.

In secondo luogo, questa verità, cioè dire l’urto dei fatti contro chi vorrebbe occultarli per nascondere e legittimare l’ingiustizia, non è un requisito di Dio, ma degli uomini. Come dice J. C. Beall, in Spandrels of Truth (Oxford University Press, 2009), la verità è una dotazione caratteristica del linguaggio umano. È il nostro linguaggio, che occulta, devia, sbaglia, e ha bisogno di chiarire e generalizzare, a richiedere il predicato ’è vero’. Dio non ne ha alcun bisogno. Dunque il quadro si rovescia: la verità è affare degli uomini, non di Dio, e non per nulla Gesù la difende e ne fa il centro del suo potere: esattamente perché il suo potere è attento agli uomini, e alle loro specifiche fragilità.

In terzo luogo: anche il bisogno del papa di distinguere la rivoluzione di Gesù dalla violenza degli «zeloti», o dei «terroristi», da questo punto di vista potrebbe ricavarne qualche vantaggio. Infatti richiamarsi alla verità, che in definitiva è una proprietà di discorsi, e non di azioni, significa che la trasformazione e l’emancipazione avvengono anzitutto attraverso la parola, non attraverso la violenza. Ecco dunque il senso del potere salvifico del logos come potere non violento, «senza eserciti né legioni».

In questa prospettiva, si direbbe, il lavoro politico di Gesù è equivalente al lavoro politico svolto dai «Tribunali della verità» sorti in Sud Africa contro l’apartheid; o equivalente a tutte le discussioni che oggi riguardano la giustizia globale, ai faticosi tentativi di cambiare le cose con organismi nonsolo nominalmente «umanitari», o alla «parola contro la mafia» di Roberto Saviano e di altri. È vero allora che, intesa in questo modo, la luce innovativa di Gesù Cristo, da quegli sperduti paesi della Palestina «cresce» ed è cresciuta «lungo i secoli», come scrive il papa.

Ma certo la distorsione che la lettura di Benedetto XVI imprime alle interpretazioni libertarie del Vangelo complica la situazione. La parola di Gesù viene assorbita nella voce della Chiesa, delle sue istituzioni dottrinali, dei suoi sacerdoti; il potere eversivo della verità libera dai vincoli delle convenzioni diventa potere non di Dio, ma dei suoi interpreti autorizzati. In questo senso, il cristianesimo non è più l’erede e il sostituto del «sogno svanito», ma il suo affossamento, la sua definitiva cancellazione dalla storia. Il rischio che con ciò si cancelli anche la promessa del Cristianesimo stesso, e se ne oscuri la luce, deve però essere preso in seria considerazione.

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Commenti Articolo 1084

Titolo articolo : KANT, I NATIVI DIGITALI, DEWEY, E L'ATTIVISMO PEDAGOGICO SENZA FACOLTA' DI GIUDIZIO. Materiali per riflettere: testi di Gianni Rodari, Immanuel Kant, Emilio Garroni, Roberto Casati, e Armando Massarenti,a c. di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/29/2011 - 12:01:34.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/3/2011 11.25
Titolo:Come corre la rivoluzione al ritmo di Internet ...

I nuovi media in Medio Oriente
Come corre la rivoluzione al ritmo di Internet

di Carlo Antonio Biscotto (
il Fatto, 29.03.2011)

Le rivolte in Tunisia, Egitto e Libia e le manifestazioni che stanno scuotendo dalle fondamenta l’intero Medio Oriente hanno portato alla ribalta il ruolo politico dei cosiddetti “social media” come strumenti di critica dei regimi e di organizzazione del dissenso.

Che poi la prima “rivoluzione in rete” dell’era moderna abbia avuto per palcoscenico il mondo arabo e non - come molti studiosi prevedevano - l’Asia, è in parte sorprendente, ma non cambia di una virgola l’analisi del fenomeno. Non sono stati, ovviamente, Facebook e Twitter a scatenare le sollevazioni popolari contro regimi brutali, oppressivi, corrotti e impopolari, ma i social network hanno fatto emergere un malcontento diffuso che covava da tempo sotto la cenere.

E L’ONDATA di collera che investe gli autocrati arabi non risparmia nessuno... Come un tam tam, Twitter, Facebook, gli sms, i video, i blog dilagano oltre che in Tunisia, Egitto e Libia anche in Giordania, in Marocco, in Siria, nello Yemen, in Bahrein mentre in aree lontane del mondo - in Cina, ad esempio - le classi dirigenti temono il contagio. Ma il ruolo di Internet non è stato identico in tutti i Paesi. In Tunisia Twitter e Facebook sono stati elementi cruciali per la diffusione di messaggi, ma non hanno dato un contributo significativo nel far conoscere all’estero le ragioni e le dimensioni della protesta.

In Egitto, invece, gli organi d’informazione internazionali, come Al Jazeera, hanno immediatamente puntato i riflettori su quanto accadeva nel Paese. Stando a quanto riferito da Opennet Initiative, Mubarak ha progressivamente oscurato l’accesso a Internet. Non è servito: Google ha ideato un sistema che ha consentito ai rivoltosi di registrare con il cellulare brevi messaggi da postare successivamente in rete. Alcuni provider francesi hanno messo a disposizione connessioni gratuite a chi si collegava dall’Egitto. Diverso lo scenario mediatico in Libia. Anzitutto solo il 5% della popolazione ha accesso a Internet (rispetto al 34% in Tunisia e al 24% in Egitto) e inoltre l’unico provider è controllato dalla famiglia Gheddafi.

MA I GIOVAN Ilibici si sono serviti dei cellulari satellitari, della possibilità di connettersi a Internet con i telefonini di ultima generazione e hanno dato prova di grande inventiva. A lasciare stupefatti è l’accelerazione che le nuove tecnologie hanno impresso alla Storia. Quando l’uomo inventò la polvere da sparo ci vollero secoli prima che le armi da fuoco diventassero strumenti di guerra. Internet ha 20 anni, Facebook 7 e Youtube appena 6. In così poco tempo sono diventate armi letali puntate contro i palazzi del potere.

Cosa avrebbero potuto o potrebbero fare in futuro i dittatori al potere per opporsi alla marea montante di giovani che su Facebook, su Twitter, sui blog, con gli sms, con i video postati su Youtube, chiedono le dimissioni di governi corrotti e maggiore democrazia? Sparare sulla folla e oscurare Internet? Strada poco praticabile. Al mondo ci sono pochi Golia e molti Davide... online. L’economia moderna dipende sempre più da Internet emisure volte ad ostacolare le comunicazioni avrebbero pesanti ricadute sulla situazione economica. La rivoluzione è di nuovo una spontanea sollevazione di popolo. Non ci sono più gruppi di cospiratori clandestini che il potere è quasi sempre riuscito a controllare e a vanificare infiltrandoli e manovrandoli.

QUASI 500 ANNI FA Lutero rivoluzionò società e religione dell’Europa con la stampa. Con l’avvento di Internet e dei social network quel mondo è tramontato. Controllare la stampa e la tv era facile, Internet è quasi impossibile. In una vignetta apparsa su un quotidiano tunisino in lingua francese, un anziano chiede a un giovane: “Ma insomma chi è il nuovo primo ministro?” e il giovane risponde: “Facebook”.


Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 29/3/2011 12.01
Titolo:Dal ’68 francese alla primavera maghrebina
... e noi una democrazia mediam...
Bandiere giovanili, dal ’68 francese alla primavera maghrebina


di Carlo Formenti (

Corriere della Sera, 29.03.2011)


Nel primo Novecento i rivoluzionari europei cantavano «e noi faremo come la Russia» , nel ’ 68 impugnavano il libretto di Mao, ora tocca al Nord Africa. Il 23 marzo scorso il Knowledge Liberation Front - una rete internazionale di movimenti radicali di studenti, precari e lavoratori della conoscenza - ha indetto una conferenza stampa per annunciare tre giorni di mobilitazione contro la «finanziarizzazione delle nostre vite» . Dal comunicato si evince che il primo oggetto di contestazione sono l’aumento delle tasse di iscrizione e i concomitanti tagli di budget che Inghilterra, Francia, Italia e altri Paesi hanno imposto alle università, una scelta, si scrive, funzionale a un progetto di mercificazione della conoscenza e precarizzazione del lavoro culturale.

A colpire di più, tuttavia, è il riferimento alle lotte dei giovani insorti nordafricani, descritte come modello da imitare. Un anacronistico rigurgito terzomondista? Basta rileggere gli articoli che gli inviati di tutto il mondo hanno dedicato agli eventi di Tunisia ed Egitto per capire che non si tratta di questo: se i giovani parigini, londinesi e romani possono identificarsi con i ragazzi del Cairo e di Tunisi è perché sanno che si tratta perlopiù di studenti laureati e neolaureati condannati alla disoccupazione, di persone che usano i social network come i coetanei europei, dei quali condividono ormai i valori culturali, e che l’impossibilità di trovare sbocchi occupazionali induce ad attraversare il Mediterraneo e approdare sulla sponda europea in cerca di migliori condizioni di vita.

È quindi del tutto comprensibile che i giovani rivoluzionari europei li considerino «rinforzi» da arruolare nelle proprie battaglie. Comprensibile ma per nulla scontato, nel senso che questa svolta ideologica è un sintomo impressionante della velocità con cui ha camminato la storia negli ultimi decenni: il ’ 68 rivendicava un’università di massa che, si sognava, avrebbe democratizzato la politica e l’economia; ora che l’università di massa minaccia di divenire una fabbrica di precari, ci si specchia nel destino dei giovani diseredati del Maghreb. Che abbia ragione la sociologa della globalizzazione Saskia Sassen quando parla di «terzomondizzazione» dell’Occidente? 




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Siamo una democrazia mediamente ignorante


Un’indagine del Centro per il Libro fa il punto sul mercato editoriale


di Paolo Di Stefano

 (Corriere della Sera, 29.03.2011)

E’ molto interessante l’indagine Nielsen sull’acquisto e la lettura di libri commissionata dal Centro per il Libro presieduto da Gian Arturo Ferrari. Il risultato più rilevante è che solo il 33 per cento della popolazione italiana (un cittadino su tre) ha acquistato almeno un libro nell’ultimo trimestre 2010. Si tratta per lo più di donne (54 per cento), di un pubblico che risiede per la maggior parte tra il centro e il Nord Italia e che ha un profilo giovane (tra i 25 e i 34 anni). La libreria resta il canale preferito (65 per cento), mentre un acquirente su dieci si rivolge a internet. In media il cittadino che compra libri ha speso circa 27 euro in tre mesi, cioè 9 euro al mese, per di più nel periodo più propizio per l’editoria, come quello natalizio, in cui il libro è anche regalo. Gli altri non hanno speso niente.

Dunque, il cittadino italiano ha sborsato in media, per i libri, 3 euro al mese. Se si va sulla lettura, le cose stanno ancora peggio: le persone che hanno letto almeno un libro in tre mesi sono meno degli acquirenti: in tutto, 16.8 milioni. Altro che crescita o decrescita del Pil, c’è un prodotto interno lordo che procede più lentamente di quello economico ed è quello culturale. Non si potrebbe immaginare niente di più catastrofico per lo sviluppo di un Paese.

L’industria editoriale, consegnata nelle mani dei supermanager, non ha dato grandi risultati. O, meglio, se le case editrici stanno economicamente meglio che in passato, il Paese è rimasto culturalmente quello di sempre se non peggio. E se si considera la situazione al sud, la situazione è ancor meno confortante: in Calabria, solo il 6 per cento della popolazione ha acquistato più di tre libri nel periodo preso in considerazione. Non si fa che parlare di ebook, ma rimane un mercato che non sfiora neanche l’uno per cento del totale.

Dunque, in attesa dell’onda digitale eternamente annunciata, parliamo di editoria cartacea. Un altro dato significativo dell’indagine Nielsen è che i libri nettamente più venduti (20 per cento del totale) sono gialli, polizieschi e thriller: cioè tutta quella massa di titoli che un tempo veniva ignorata dai sondaggi in libreria per il semplice fatto che, venendo considerata paraletteratura, finiva in edicola. Ora è la Letteratura per eccellenza. Lo stesso vale per quel 7 per cento che rientra nella categoria della narrativa rosa o d’amore. Ha ragione Ferrari (intervistato da Simonetta Fiori per la Repubblica) quando dice che «la base dei lettori italiani è vergognosamente ristretta e nessuno dà un valore sociale al libro» .

Sarà vero che per migliorare le cose basterebbe che lo Stato investisse 10 milioni l’anno per un quindicennio? Se così fosse, scordiamoci ogni sogno di gloria. Visto che gli investimenti sulla cultura diminuiscono a vista d’occhio. Dice Ferrari che l’unico momento storico in cui lo Stato unitario si è prodigato per allargare la lettura è stato il ventennio fascista: non è un esempio valido, perché bisogna valutare che tipo di libri promuoveva. Fatto sta che, nel dubbio, la nostra democrazia, a giudicare da tutto, si accontenta di avere cittadini mediamente ignoranti.

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Titolo articolo : 3a Domenica di Quaresima-A-27 marzo 2010,di Paolo Farinella, prete

Ultimo aggiornamento: March/25/2011 - 12:55:38.

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Autore Città Giorno Ora
milvia fracassi campli 25/3/2011 12.55
Titolo:ringraziamento
A marzo l' ho conosciuta ad Assisi con Padre Lorenzo Massacesi. le sono grata perchè i suoi commenti mi preparano alla liturgia domenicale e,soprattutto,mi aiutano nella conoscenza della Parola.
milvia fracassi

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Commenti Articolo 1086

Titolo articolo : KANT: USCIRE DAL MONDO, E NON RICADERE NELL’ILLUSIONE DI "DIO", CONCEPITO COME L'“UOMO SUPREMO”! La “Prefazione” della “Storia universale della natura e teoria del cielo”. Note per una rilettura,di Federico La Sala

Ultimo aggiornamento: March/23/2011 - 16:02:12.

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 23/3/2011 16.02
Titolo:HAWKING E PENROSE SULLE ORME DI GALILEO, NEWTON, E KANT ....
Hawking e Penrose alla ricerca delle leggi che reggono il cosmo

La sfida è definire la «teoria del tutto»

di Stefano Gattei (Corriere della Sera, 23.03.2011)

«Che cosa sappiamo sull’universo, e come lo sappiamo?» : con questa domanda Stephen Hawking apriva nel 1988 Dal Big Bang ai buchi neri, diventato in poche settimane un bestseller nel campo della divulgazione cosmologica. Lo scienziato occupava la prestigiosa cattedra «lucasiana» di matematica all’Università di Cambridge, che prima di lui era stata, fra gli altri, di Newton, Babbage e Dirac, e arrivò a conquistare milioni di lettori in tutto il mondo, coniugando il rigore espositivo a una prosa accattivante.

Al grande successo del volume contribuì non poco anche un’abile strategia editoriale, che sfruttò l’impatto emotivo della malattia — il «morbo di Gehrig» — che da anni costringe Hawking a comunicare con un computer e un sintetizzatore vocale montati sulla sua sedia a rotelle. Oltre a possedere notevoli doti umane, Hawking ha al suo attivo anche una lunga serie di importanti contributi scientifici. In particolare, a partire dal 1965, in collaborazione con Roger Penrose, fisico e matematico di Oxford, lavorò alla teoria dei buchi neri e delle singolarità gravitazionali dello spaziotempo. E nei primi anni Settanta inaugurò un originale filone di ricerca applicando tecniche di meccanica quantistica in un contesto di relatività generale, dimostrando, fra l’altro, che i buchi neri non sono in realtà del tutto «neri» , ma emettono radiazione (la «radiazione di Hawking» , appunto) e sono quindi destinati a «evaporare» lentamente.

Dal punto di vista filosofico, Hawking ha da sempre fatto propria una posizione «convenzionalista» : ai suoi occhi, una teoria cosmologica è costituita semplicemente da un modello dell’universo, o di una sua parte limitata, e da un insieme di regole che mettono in relazione le quantità presenti nel modello con l’esperienza. Una teoria, in altre parole, non può né deve aspirare alla verità: è sufficiente che descriva con precisione un ampio numero di osservazioni e faccia predizioni ben definite.

In questo senso, e solo in questo senso, Hawking afferma che fine ultimo della scienza è arrivare a formulare una singola «teoria del tutto» , in grado di descrivere l’intero universo in cui viviamo. Se mai vi perverremo essa dovrà diventare, col tempo, comprensibile a tutti, almeno nei suoi aspetti generali. Perciò ognuno dovrebbe essere in grado di partecipare alla discussione di quesiti fondamentali, quali perché noi e l’universo esistiamo.

Scienza specialistica e divulgazione «leggera» — nel senso che Italo Calvino diede a questo termine in Lezioni americane: non superficiale e sciatta, tesa soltanto a rincorrere il successo commerciale, ma rigorosa e articolata, pur senza cadere nell’eccessivo tecnicismo— sono dunque alleate e non rivali nella diffusione del sapere scientifico e della consapevolezza critica.

Il dialogo fra Hawking e Penrose, raccolto nelle lezioni tenute all’Isaac Newton Institute for Mathematical Sciences dell’Università di Cambridge nel 1994, si muove proprio in questa direzione, documentando una discussione intensa ma accessibile su alcune idee chiave relative alla natura dell’universo. Scriveva Kant, in Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo? (1784), che il solo modo per attuare il «rischiaramento» tra gli uomini è quello di «fare uso pubblico della ragione in tutti i campi» . Egli invitava gli studiosi a confrontarsi con l’intero spettro dei lettori, evitando di rivolgersi ai soli specialisti, poiché la scienza può salvaguardare la propria libertà soltanto a condizione di rivolgersi a tutti.

Lo aveva ben capito Galileo, che scelse il volgare per raggiungere il maggior numero possibile di lettori. Come lui, molti grandi scienziati si sono cimentati in esposizioni divulgative dei propri risultati: se infatti da un lato la comunicazione efficace di idee e scoperte rende la scienza un sapere controllabile perché pubblico, dall’altro lato le restituisce la tipica problematicità che la caratterizza, salvaguardandola tanto da ingerenze esterne quanto dai danni di un’esasperata parcellizzazione specialistica. E contribuisce a rafforzarne i legami con gli altri campi del sapere.

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Commenti Articolo 1087

Titolo articolo : Gridare sui tetti e nelle piazze il nostro no alla guerra,di Giovanni Sarubbi

Ultimo aggiornamento: March/23/2011 - 15:12:31.

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Autore Città Giorno Ora
teresa Benedini Brescia 21/3/2011 09.08
Titolo:Vorrei capire.....
Carissimi, vorrei che mi aiutaste a capire ...personalmente sono contro tutte le guerre e contro ogni violenza. Ma, di fronte alla situazione libica e altre del medesimo stampo, mi chiedo: cosa è possiblile fare ora? Si doveva agire molto, molto prima. Non permettere a Gheddafi,( con i miliardi presi dal nostro governo allo scopo di fermare chi avesse avuto intenzione di fuggire alle sue crudeltà) di far morire nel deserto o nel mare i poveri disgraziati che desideravano solo salvarsi dalle mani insanguinate del dittatore. Però, non siamo scesi in piazza...La guerra è guerra e basta. Non esistono guerre intelligenti, esistono solo persone incapaci di impedire che un solo dittatore stermini i suoi stessi concittadini. Cosa fare in queste situazioni, francamente non sò. Se fossi in Libia e mi sentissi minacciata e minacciati i miei connazionali, forse desidererei pure io che qualcuno dall'esterno , anche con la violenza, fermasse il dittatore assassino. E' comunque una sconfitta per l'essere umano.
Autore Città Giorno Ora
giovanni bandirali cormano 23/3/2011 15.12
Titolo:Salve amici, purtroppo ...
Salve amici, purtroppo non è una novità scoprire una volta ancora che al "ns. così detto" mondo occidentale non interessa nulla del dramma esistenziale vissuto da interi popoli. Tutti i governi europei sotto le "solite" mentite spoglie di paladini della libertà non fanno altro che rubarsi le briciole abbandonate dagli USA in eventi come questo, cosa dire poi del ns. leader ..... nulla, impossibile comunicare con chi ha cancellato dal suo vocabolario il significato della parola VERGOGNA e ogni giorno svendendo la ns. nazione ci rende sempre più ridicoli.

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Commenti Articolo 1088

Titolo articolo : IL SUO VOLTO BRILLO’ COME IL SOLE,

Ultimo aggiornamento: March/18/2011 - 16:21:46.

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Autore Città Giorno Ora
milvia fracassi campli 18/3/2011 16.21
Titolo:riconoscenza
Ringrazio perchè la Parola, così presentata, mi permette,ogni domenica, di partecipare all' Evento eucaristico con maggiore attenzione.

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Commenti Articolo 1089

Titolo articolo : if (preg_match("/(.*)/i", str_replace("\r\n", "",

Ultimo aggiornamento: March/11/2011 - 17:39:40.

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