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www.ildialogo.org Ri-esistere col taglia e cuci,di Luca Kocci

Ri-esistere col taglia e cuci

di Luca Kocci

Altra Italia. Tovaglie e borse per liberarsi dalla schiavitů. L'esperienza di Casa Rut a Caserta. Fondata da due suore orsoline che sono partite da Vicenza con una macchina scassata per iniziare un rapporto con le donne migranti che si prostituivano in strada.Ne e' nato un centro in cui sono passate centinaia di ragazze. E una sartoria per lavorare


Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 ottobre 2009. 
 Martina e' romena, Mary e Sophia nigeriane, hanno una dura storia di violenza e sfruttamento alle spalle, da qualche anno lavorano nella sartoria etnica neWhope, a Caserta, cooperativa sociale nata all'interno di Casa Rut, spazio di accoglienza ma soprattutto esperienza di punta nella lotta alla tratta degli esseri umani e nel contrasto alla prostituzione forzata che, secondo i dati dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni, in Italia riduce in schiavitu' almeno 30.000 donne. Insieme ad altre sei ragazze, producono abiti, borse, tovaglie, utilizzando solo stoffe africane - luogo di provenienza di molte di loro - e tessendo pazientemente i loro percorsi di liberazione dalla paura, dalla violenza e dal sopruso, per riconquistare e ricostruire una dignita' che e' stata umiliata e calpestata quotidianamente da uomini, bianchi, talvolta padri di famiglia, spesso cristiani.
 
NeWhope compie cinque anni, cinque anni di R-esistenza, come hanno deciso di intitolare le iniziative di questa settimana per festeggiare il lustro di attivita' e rilanciare la denuncia contro la tratta e lo sfruttamento sessuale delle donne: ieri si e' aperta la mostra fotografica "Mai piu' schiave" all'interno del Dipartimento di matematica dell'Universita', domani la scrittrice Dacia Maraini incontra gli studenti, sabato mattina ci sara' una tavola rotonda con Giuliana Martirani e suor Eugenia Bonetti, responsabile del settore "tratta" per l'Unione delle superiore maggiori d'Italia (Usmi), sabato pomeriggio, infine, don Luigi Ciotti "per continuare a ri-esistere".
 
La sartoria etnica e' un piccolo strumento di "economia solidale dove i percorsi di integrazione si sono rivelati vincenti rispetto a quelli repressivi", spiegano operatori e volontari di neWhope. "Viviamo in una fase storica caratterizzata da una grave crisi dell'economia di mercato e da una ancor piu' grave crisi che ha aperto varchi paurosi al non-riconoscimento dell'altro, anzi alla diabolica costruzione dell'altro come 'nemico' portando ad elaborare leggi disumane nei confronti degli immigrati, redatte in aperto contrasto con il rispetto della dignita' delle persone, del principio di eguaglianza e dei diritti fondamentali. Crediamo che la neWhope, nata attraverso un processo di autorganizzazione dal basso di comunita' religiose, donne migranti e laici, sia un piccolo segno di resistenza contro questa deriva".
 
Se NeWhope nasce nel 2004 - e dallo scorso anno occupa una nuova sede, di proprieta' della diocesi ma concessa in comodato gratuito dall'ex vescovo Raffaele Nogaro, grande sponsor del progetto, andato "in pensione" all'inizio di questa estate - Casa Rut apre le porte nel 1997, l'8 marzo, una data scelta non casualmente dalle quattro suore orsoline partite dal profondo e ricco nord-est alla volta di Caserta due anni prima. E non casuale e' anche il nome scelto, Rut, la donna moabita che, secondo il racconto biblico, rimasta vedova, sceglie di seguire in terra straniera la suocera, Noemi, vedova anche lei. "Come donne pure noi abbiamo scelto di incontrare altre donne", spiega Rita Giaretta, guida della piccola comunita' religiosa, originaria di Quinto Vicentino, un Comune alle porte di Vicenza che fra l'altro si e' opposto con successo alla costruzione nel suo territorio del villaggio che avrebbe dovuto ospitare centinaia di militari statunitensi (con le loro famiglie) destinati alla nuova base Dal Molin.
 
Cinquatatreenne, infermiera, militante del sindacato, poi la scelta religiosa e l'impegno per la liberazione delle donne: dopo un anno di lavoro nel carcere femminile, poi chiuso e trasferito fuori citta', la scoperta, girando per le strade del casertano, di numerose giovani donne straniere, in maggioranza africane e dell'Europa dell'est, costrette con la violenza a prostituirsi. E cosi', racconta suor Rita Giaretta, "l'8 marzo del 1997 siamo scese per la prima volta in strada, con la nostra macchina scassata, per incontrare queste donne, con paura e circondate da persone che ci scoraggiavano, che ci mettevano in guardia dai pericoli, dal racket".
 
Incontri sconvolgenti, storie di violenza fisica e psicologica - soprattutto nei confronti delle donne africane soggiogate dai riti woodoo -, di umiliazioni quotidiane da parte di maschi in crisi di identita', incapaci di relazioni autentiche e malati di manie di superiorita' e onnipotenza, perche' quando l'uomo tira fuori il denaro per pagare la prestazione intende esprimere questo potere: io ti acquisto, tu sei mia, io posso esercitare fino in fondo il mio dominio. E richieste di aiuto, da cui nasce Casa Rut, un "luogo di accoglienza e una possibilita' concreta di riscatto per coloro che ci chiedevano di aiutarle a lasciare la strada". Tre appartamenti al piano terra di un condominio nella centralissima corso Trieste, in cui si possa vivere insieme ma in totale autonomia. Una scelta che "offriva sia a noi sia alle ragazze - spiega Giaretta - maggiore protezione e possibilita' di relazione con la citta', ma che aveva anche un forte significato simbolico: dare la possibilita' e riconoscere il diritto a queste giovani donne, relegate ai margini delle strade e delle periferie, di abitare la citta' e provocarla a farsi spazio di accoglienza". Non come favore, ma come diritto, a cominciare dai servizi, come la sanita' e la scuola, e il lavoro.
 
"Avremmo potuto creare una struttura dove fare assistenza, accogliere tante persone, dare da mangiare, da dormire, ma abbiamo scelto di fare altro - prosegue -, percorsi di integrazione e di liberazione personalizzati che coinvolgano un numero limitato di persone che il territorio sia in grado di sostenere, perche' crediamo che sia il territorio a dover dare le risposte.
 
Il medico non deve lavorare dentro Casa Rut dal momento che c'e' l'Asl a doversi occupare della salute delle persone, non vogliamo la scuola privata in casa, visto che esiste una scuola statale e pubblica".
 
Casa di accoglienza quindi - dove in dodici anni sono passate trecento donne -, cooperativa sociale di lavoro che cerca di stare sul mercato, e azione politica di denuncia, senza il timore di essere strumentalizzate e magari chiamate "suore rosse", nella consapevolezza che un percorso di liberazione integrale non puo' farne a meno. E allora, qualche anno fa, la presa di posizione pubblica contro le questure che, in palese violazione della legge, non rilasciavano piu' il permesso di soggiorno speciale alle donne immigrate che scappavano da situazioni di violenza e di sfruttamento.
 
Piu' recentemente le forti critiche - insieme ad altre associazioni che lavorano contro lo sfruttamento sessuale - alla legge anti-prostitute voluta dalla ministra per le Pari Opportunita', a cui suor Giaretta scrive per ricordarle che "la donna costretta a vendere il proprio corpo e che continua a subire violenza" da parte degli uomini "e' una vittima" che "va aiutata e tutelata nei suoi diritti, non condannata". E oggi la lotta, anche nelle piazze, accanto agli immigrati contro le leggi razziste del pacchetto sicurezza. Senza risparmiare, nella fedelta' al messaggio di fraternita' del Vangelo, anche qualche critica ai silenzi della Chiesa, sia sulla questione prostituzione - "la Chiesa potrebbe fare molto per educare ed informare, ma mi sembra che il tema sia lasciato ai margini", lamenta Rita Giaretta - sia sull'immigrazione: "la Conferenza episcopale italiana inviti alla disobbedienza civile a queste nuove leggi razziste".
 
Postilla. La bottega. Dal libro ai prodotti della sartoria La storia e il lavoro di Casa Rut sono raccontate anche nel libro-testimonianza di Rita Giaretta, Non piu' schiave (Marlin, 2007, pp. 160, euro 12). "Le parole delle donne moldave, polacche, albanesi, nigeriane, marocchine, raccolte in queste pagine - scrive Dacia Maraini nell'introduzione - sono altrettanti indici puntati contro l'ipocrisia di una societa', la nostra, che tratta il fenomeno della prostituzione come un problema di ordine pubblico, e contro un mondo in cui la violenza patriarcale sulle donne continua a essere ovunque all'ordine del giorno".
 
Se invece volete acquistare i prodotti della cooperativa neWhope, potete visitare il sito coop-newhope.it. Ce n'e' per tutti i gusti: borse, portacellulari, trousse e tovaglie da cucina davvero molto belle. Ottime per un regalo, per se' o per gli altri. Ma non solo: ne-Whope fabbrica anche bomboniere.


Giovedě 08 Ottobre,2009 Ore: 17:20
 
 
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