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Ricordi di Camillo De Piaz

Due articoli da "Il Corriere della Sera" e "l'Unità"


Camillo De Piaz, il braccio destro di padre Turoldo   

di Aldo Bonomi
 
(Corriere della Sera, 1 febbraio 2010)
 
 È morto Camillo De Piaz, frate servita che molti ricorderanno, con il suo passo indietro da suggeritore, accanto alla figura imponente del suo sodale padre David Maria Turoldo. Era nato il 24 febbraio 1918 e aveva molte cose da raccontare. Lui, Premio Curiel per la Resistenza, protagonista di quel crogiuolo operoso e fecondo di incontri milanesi tra cattolici e comunisti durante la Resistenza. Lui, frate cattocomunista come è stato sempre segnato, dava interpretazioni sottili di quell’incontro tra le due culture del ’900 che cambiava e mutava la sua Milano. Ne faceva testimonianza anche, con gli incontri tra la Corsia dei Servi, l’associazione culturale da lui animata, e la Casa della Cultura allora diretta da Rossana Rossanda. Erano tempi di sperimentazioni che avrebbero portato poi a elaborazioni politiche alte, fino al compromesso storico tra Aldo Moro e Enrico Berlinguer.
  Si era ritirato a Tirano in Valtellina, dove è morto, nel convento di fronte alla Basilica dopo gli anni 50, quando lui e Turoldo erano stati allontanati da Milano come frati scomodi, vivendo da pendolare tra il locale, un borgo alpino di confine e il globale, si direbbe oggi, di una Milano plasmata e cambiata dal boom economico e dalla rinascita postbellica. Con cui aveva mantenuto reti lunghe ed alte di frequentazione. Con quella borghesia ambrosiana dei Pirelli, più con Giovanni che con Leopoldo, dei Cederna, l’amica Camilla e il Vittorini del Politecnico. Borghesia e intellighentia che faceva fabbriche e si poneva l’interrogativo forte dell’intreccio tra economia, cultura e coesione sociale. A noi, ragazzotti sessantottini che scrivevamo sui muri del palazzo valtellinese dei Cederna «Borghese illuminato non inganni il proletariato» spiegava paziente il ruolo delle élite e di una borghesia interrogata dal motto weberiano «la proprietà obbliga». Obbligo per quelli che stanno in basso, nella società. Gli ultimi a cui dava voce e visibilità alla Corsia dei Servi dove si raccontava il venire avanti di una città che accoglieva i tanti che facevano esodo da sud a nord al lavoro nel «fabbricone» raccontato da Testori e dalla poesia disperante dell’amica Alda Merini.
  Camillo aveva attenzione anche ai dannati della terra. Attraverso le reti della teologia della liberazione faceva racconto dei territori lontani, l’Algeria, l’America Latina... La Corsia non era solo racconto degli ultimi, era snodo di quel cattolicesimo postconciliare animato da Camillo e Mario Cuminetti a Milano, e da padre David, emblematicamente collocato a Sotto il Monte, la piccola Gerusalemme di Giovanni XXIII. Dialogando tenacemente con il farsi e il mutare della società. Con il suo sviluppo. Discutendone con Giuseppe De Rita.
  Per dirla con il cardinale Martini, quella di padre Camillo è una storia di vita da cristianesimo di minoranza che si fa nella relazione e nella contaminazione convinto, come è sempre stato e come ci insegnava citando Levinàs che «l’identità non sta nel soggetto ma nella relazione». È la sintesi del suo romanzo di formazione che molti hanno letto e vissuto con lui. Rimane un Camillo privato, intimo. Quello che scendendo da Carona, il piccolo comune dove aveva avuto origine la sua famiglia, ti stupiva con il suo poetico entusiasmo per i tronchi delle betulle illuminate nella notte dai fari dell’automobile. Non per nulla era amico e gli piaceva scoprire poeti, pittori e scrittori. Da farne un’altra storia. Oggi mi basta ricordarlo e raccontarlo come un frate poeta che ha attraversato e ci ha raccontato il ’900.
 
  Addio a De Piaz Frate e partigiano
 
 di Goffredo Fofi
 
(l'Unità, 1 febbraio 2010)
Alle tre di notte di ieri domenica, è morto a Madonna di Tirano in Valtellina, dove era nato nel 1918 e dove nel 1957 era stato costretto a tornare a vivere da un diktat della curia milanese, padre Camillo De Piaz, frate dell'ordine dei Servi di Maria. De Piaz non era un cognome da nobili e Camillo ci teneva a dirlo: significa “di Piazzo”, un villaggio non lontano da dove è nato, figlio di un falegname-contadino morto quando lui aveva otto anni. In collegio aveva conosciuto un ragazzo della sua età che sarebbe diventato padre Davide Turoldo, amico di tutta una vita, scomparso molto prima di lui, e insieme essi furono i protagonisti di una grande stagione del cattolicesimo italiano, o meglio, della minoranza più autenticamente cristiana all'interno della Chiesa cattolica. Più d’espressione e di battaglia padre Davide, più di pensiero Camillo.
 A Milano, aveva preso parte alla Resistenza nel Fronte della Gioventù, che raggruppava cattolici e comunisti, socialisti e liberali, ed era stato vicino a Eugenio Curiel, ucciso dai nazifascisti due mesi prima della Liberazione. Nel 1973, Enrico Berlinguer doveva premiare Camillo (mi scuso di chiamarlo per nome, ma è così che l’ho chiamato da quando l’ho conosciuto, tantissimi anni fa) con la medaglia Curiel, e in quell’occasione egli aveva voluto presentarsi in tonaca, come gli accadeva di fare molto di rado. L’attività della Corsia dei Servi a Milano - gruppo e libreria tuttora attivi, anche dopo la scomparsa di due magnifici animatori come Mario Cuminetti e Lucia Pigni, nella sede di via Tadino che fu data alla Corsia dalla Cisl dopo che era stata sloggiata dalle adiacenze della centralissima piazza San Babila, a due passi dalla Casa della Cultura - è stata fondamentale nella vita civile, culturale e politica della città sin dal primo dopoguerra, luogo d’incontro tra i più straordinari negli anni della ricostruzione.   Di lì sono passati Dossetti e don Zeno, Dolci e Vittorini, Fortini e Balbo, Camilla Cederna e Testori, padre Balducci e Santucci, su fino a Grazia Cherchi e a molti dei “Piacentini” e a tanti non credenti a fianco dei credenti, uniti da comuni idealità sociali.
C’è un bellissimo libro che si può dire sia stato scritto a quattro mani da Camillo con Giuseppe (Beppe) Gozzini che lo ha firmato (e che, prima di diventare membro dei “Quaderni rossi” e animatore di gruppi operai all'Alfa Romeo dopo il ‘68, fu il primo obiettore di coscienza cattolico, quello per cui don Milani rischiò la galera per aver scritto in sua difesa L'obbedienza non è più una virtù). Il libro si intitola Sulla frontiera, lo ha edito Libri Scheiwiller nel 2006 ed è facilmente rintracciabile: un dialogo serrato attraverso il quale è possibile ricostruire le vicende del meglio della cultura cattolica italiana più radicale, illuminando i suoi legami con la Francia, le nuove tensioni portate dalla teologia della liberazione, il grande apporto dato da questa cultura al Concilio e le amarezze provocate in essa dal dopo Concilio.
 Camillo parlava molto chiaro, e non ha mai esitato a criticare aspramente Comunione e Liberazione e ogni altro uso della religione a scopi politici. In una intervista a “Una città” del 2005 diceva: «La dimensione della laicità è profondamente radicata nel cristianesimo e direi anche nella tradizione biblica, La Bibbia è fondamentalmente una storia che si svolge in questo mondo. Dio dopo la creazione si ritira, ed è come se dicesse: il mondo è vostro, ora tocca a voi gestirlo».
Ho frequentato Camillo assiduamente, quando scendeva a Milano, anche perché la libreria di via Tadino a cui faceva capo era a mezza strada tra casa mia e la redazione di “Linea d'ombra” e vi passavo davanti più volte al giorno e, quando c’era, era l’occasione di lunghe chiacchierate e giri d’orizzonte. Di recente, ho preso parte ai festeggiamenti per il suo 90° compleanno, a Milano, credo la sua ultima discesa nella città. Ormai non si muoveva più da Madonna di Tirano, aveva problemi alla vista, e i suoi contatti col mondo erano Radio3 e le telefonate degli amici. Era diventata un’abitudine chiamarlo ogni qualche domenica per lunghe chiacchierate affettuose in cui voleva sapere di tutto, dalla situazione politica ai libri letti agli amici incontrati. Le telefonate più belle sono, nel mio ricordo quelle che gli facevo immancabilmente ogni 25 aprile, così come ho fatto da anni a tutti gli amici che avevano fatto la Resistenza, Nuto Revelli, Bianca Guidetti Serra, Lalla Romano e tanti dai nomi non noti. Ben pochi di loro restano in vita, ma proprio per questo vanno, i vivi onorati, i morti, ricordati. Anche perché di frati come padre Camillo De Piaz non ne restano in giro molti, nell’Italia di oggi.


Luned́ 01 Febbraio,2010 Ore: 12:30
 
 
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