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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org Edward Schillebeeckx.,di José María Castillo, teologo

Lutti
Edward Schillebeeckx.

di José María Castillo, teologo

La vigilia di Natale è mancato a Nimega (Olanda) uno dei teologi più grandi del XX secolo. Aveva 95 anni. Ed era domenicano.


Lunedì 28 dicembre 2009

 
Per questo, ricordando questo teologo che “ha osato pensare” con la sua testa, voglio limitarmi ad esprimere quello che ci viene spontaneo dire, in questo momento in cui ci ha lasciato un grande maestro, uno dei pensatori più seri e fecondi del secolo scorso.
Prima di tutto, chiaramente, è che questa morte rappresenta la fine imminente della generazione di grandi teologi che brillarono di luce propria nel XX secolo. La generazione di quegli uomini geniali che furono capaci di dare un nuovo orientamento al cristianesimo e alla chiesa, i pensatori più fecondi che la tradizione cristiana ha vantato dopo il secolo XVI. Hablo de H. Urs von Balthasar, Karl Barth, Dietrich Bonhoeffer, Rudolf Bultmann, M. D. Chenu, Yves Congar, Henri de Lubac, Karl Rahner, Paul Tillich e lo stesso E. Schillebeeckx
Possiamo dire però che tra tutti questi, ci restano uomini eminenti come, tra gli altri, il caso di Hans Küng o J. B. Metz. Ma è chiaro che questi (almeno per il momento) sono gli ultimi testimoni di una generazione che si va esaurendo; poiché è evidente che, dopo questi nomi, non ne vengono altri della stessa statura, con altrettanta creatività o con la stessa libertà di pensare per conto proprio.
Con questo intendo dire che la teologia si è impoverita. Precisamente laddove il mondo sta cambiando con tanta velocità, laddove ci si pongono nuovi interrogativi che prima non immaginavamo, laddove abbiamo bisogno di uomini liberi, che siano capaci di pensare, dopodiché situazioni che non sospettavamo, il tema di Dio e la religione, il significato di Cristo, il ruolo della chiesa, le risposte che l’etica mondiale necessità…, proprio adesso si spengono le luci, rimaniamo senza nuove soluzioni ai nuovi problemi; e vediamo nella penosa situazione di quelli che devono sopportare gli sproloqui clericali del passato, gli argomenti da sacrestia di tutta la vita, per dare risposta a coloro che cercano (forse senza saperlo) nuovi cammini per uscire dalla paralisi mentale e di valori nella quale siamo precipitati.
 
Cosa ci succede? Perché rimpiangiamo la libertà e la creatività degli uomini che sono morti di vecchiaia, mentre al tempo stesso rifiutiamo la petulanza autoreferenziale dei ragazzi giovani, delle ragazze che sono in crescita, e vanno verso la vita sostenendo di non aver nulla da imparare da coloro i quali, nei passati 60 anni, furono capaci di dare un nuovo corso alla chiesa e alla storia del cristianesimo?
 
E’ vero che, negli anni successivi al Vaticano II, c’era molta gente sconcertata, che non sapeva (o non poteva) accogliere i cambiamenti che si trovavano ad affrontare. E’ anche vero che Paolo VI fu, a volte, indeciso, magari provò una paura inconfessabile, cosa che traspariva in alcune delle sue decisioni. Ma ciò che di più chiaro noialtri vediamo è che il lungo pontificato di Giovanni Paolo II è stato decisivo per frenare gli importanti cambiamenti del Concilio.
 
E, soprattutto, oggi vediamo con chiarezza che il progetto di quel papa fu avocare e monopolizzare, lui solo, il pensiero e l’orientamento che guideranno la chiesa in questi tempi. Nel dire questo, ricordo ciò che Y. Congar scrisse nel suo Diario, quando disse, riferendosi a Pio XII, che il papa aveva sviluppato l’ossessione del convincimento che l’opinione dei teologi si riduca a commentare e argomentare ciò che il papa di turno dice in ciascun documento o in ciascun discorso pubblico. Ma, allora, accade che il papa si identifichi con lachiesa intera e prentenda di essere, lui da solo, depositario della verità della fede e delle risposte per tutti i problemi.  Cosa dire di un uomo che osa pensare così?
 
Oltretutto, quando se ne va uno di questo grandi uomini, come nel caso di Schillebeeckx, è inevitabile ricordare che sono brutti tempi per il pensiero, per la libertà e la creatività negli ambienti intellettuali. Non è una sciocchezza affermare che ‘l’intellettuale puro’ è una figura che si va estinguendo. Basta entrare in qualche libreria. Ovunque novelle, racconti, storie … ma sempre meno libri di pensiero con valore e peso.
 
I saggi, la ricerca letteraria, umanista, storica e filosofica… stanno attraversando una crisi molto preoccupante e molto grave. Esiste tutta una generazione (o forse più) che non legge. Internet, e la tecnica economica del “copia” e “incolla” ha soppiantato la creatività intellettuale.
Che futuro ci aspetta in questo cammino, mentre veniamo sovrastati da una tecnologia in crescita e al servizio degli interessi delle multinazionali? E’ la grande domanda che mi si pone ricordando l’immagine autorevole del Prof. Edward Schillebeeckx.
  
 
 
Edward Schillebeeckx.
 
di José María Castillo, teólogo
La víspera de Navidad falleció, en Nimega (Holanda), uno de los teólogos más grandes que produjo el s. XX. Tenía 95 años. Y era dominico.
 
Lunes 28 de diciembre de 2009.
Por eso, al recordar a este teólogo que "se atrevió a pensar" por sí mismo, quiero limitarme a indicar lo que nos viene a decir, en este momento, cuando nos deja este gran maestro, uno de los pensadores más serios y fecundos del siglos pasado.
Lo primero, lo más claro, es que la muerte de  indica el final inminente de la generación de grandes teólogos que brillaron, con luz propia, en el s. XX. La generación de aquellos hombres geniales que fueron capaces de dar una orientación nueva al Cristianismo y a la Iglesia, los pensadores más fecundos que ha tenido la tradición cristiana después del s. XVI. Hablo de H. Urs von Balthasar, Karl Barth, Dietrich Bonhoeffer, Rudolf Bultmann, M. D. Chenu, Yves Congar, Henri de Lubac, Karl Rahner, Paul Tillich y el propio E. Schillebeeckx.
 
Se puede decir que de ellos, aún nos quedan hombres eminentes como, entre otros, el caso de Hans Küng o J. B. Metz. Pero es claro que éstos (al menos, por ahora) ya son los últimos testigos de una generación que se acaba. Porque es claro que, detrás de esos nombres, ya no vienen otros de la misma talla, con parecida creatividad y con la misma libertad para pensar por sí mismos.
 
Esto quiere decir que la teología se ha empobrecido. Precisamente cuando el mundo está cambiando más de prisa, cuando se nos plantean preguntas nuevas que no imaginábamos, cuando necesitamos hombres libres, que sean capaces de pensar, desde situaciones que no sospechábamos, el tema de Dios y de la Religión, el significado de Cristo, el papel de la Iglesia, las respuestas que exige la ética mundial..., ahora precisamente se van apagando las luces, nos vamos quedando sin las nuevas soluciones para los nuevos problemas; y nos vemos en la penosa situación de quienes tienen que soportar la palabrería clerical de antaño, los tópicos de sacristía de toda la vida, para dar respuesta a quienes buscan (quizá sin saberlo) caminos nuevos para salir de la parálisis mental y valorativa en que nos hemos atascado.
 
¿Qué nos está pasando? ¿Por qué añoramos la libertad y la creatividad de hombres que se han muerto de viejos, al tiempo que nos produce tanto rechazo la petulancia autosuficiente de chicos jóvenes, de muchachos que aún están madurando, y van por la vida diciendo que ellos no tienen nada que aprender de quienes, en los pasados años 60, fueron capaces de darle un giro nuevo a la Iglesia y a la historia del cristianismo?
 
Es verdad que, en los años que siguieron al Vaticano II, hubo mucha gente desconcertada, gente que no supo (o no pudo) asumir los cambios a los que se tuvieron que enfrentar. Es verdad también que Pablo VI fue, a veces duvitativo, quizá tuvo miedos inconfesables, cosa que se traslucía en algunas de sus decisiones. Pero lo más claro que muchos vemos ahora es que el largo pontificado de Juan Pablo II ha sido decisivo para frenar los cambios más importantes del Concilio.
 
Y, sobbre todo, hoy vemos con claridad que el proyecto de aquel Papa fue asumir y monopolizar, él solo, el pensamiento y la orientación que tiene que llevar la Iglesia en estos tiempos. Al decir esto, recuerdo lo que Y. Congar escribía en su Diario, cuando decía, refiriéndose a Pío XII, que aquel Papa había desarrollado hasta la obsesión el convencimiento de que el papel de los teólogos se reduce a comentar y argumentar lo que el Papa de turno dice en cada documento y cada vez que habla en público. Pero, entonces, lo que pasa es que el Papa se identifica con la Iglesia entera y pretende que él, y sólo él, posee la verdad de la fe y la respuesta para todos los problemas. ¿Qué decir de un hombre que llega a pensar así?
 
Por lo demás, cuando se nos va uno de estos grandes hombres, como es el caso de Schillebeeckx, resulta inevitable recordar que corren malos tiempos para el pensamiento, para la libertad y la creatividad en los ambientes intelectuales. No es ningún disparate afirmar que el "intelectual puro" es una figura que se va extinguiendo. Basta visitar cualquier librería. Por todas partes, novelas, relatos, historias... Pero cada día menos libros de pensamiento con entidad y peso.
 El ensayo, la investigación literaria, humanista, histórica, filosófica... están atravesando una crisis muy preocupante y muy grave. Hay toda una generación (o quizá más) que ya no lee. Internet, y la ténica barata del "cortar" y "pegar" ha suplantado a la creatividad intelectual. ¿Qué futuro nos espera por este camino, cuando vivimos asustados por el crecimiento de una tecnología que vive costeada y al servicio de los intereses de las empresas multinacionales? Es la gran pregunta que se me plantea al evocar la imagen gigantesca del Profesor Edward Schillebeeckx  


 
Muere Edward  Schillebeeckx,
teologo di frontiera
 
Nato nel 1914, è stata una delle personalità più influenti nel rinnovamento del cristianesimo durante la seconda metà del XX secolo.
di JUAN JOSÉ TAMAYO 25/12/2009  
Il 23 dicembre è morto a 95 anni Edward Schillebeeckx, il teologo cattolico più prestigioso del XX secolo, insieme a Karl Rahner, e una delle personalità più influenti nel rinnovamento del cristianesimo durante tutta la seconda metà del secolo passato. E’ stato protagonista dei momenti più importanti della storia recente della teologia, della vita della chiesa olandese e della chiesa cattolica.
 
Nato nel 1914 a Amberes, città flamenca del Belgio in una famiglia molto religiosa di 14 figli. Fino ai 18 anni studiò in un collegio dei gesuiti, dove ricevette una formazione rigorosa basata sui classici. A 19 anni entrò nell’ordine dei domenicani. Cosa lo ha attratto dell’ordine domenicano tanto da sceglierlo come stile di vita? Lo stesso ha risposto: l’apertura al mondo, la dedizione allo studio, il lavoro di analisi e la teologia centrata sulla predicazione. E queste stesse furono le quattro caratteristiche della sua vita religiosa, della sua attività intellettuale e della sua maniera di stare al mondo.
 
Dopo il noviziato, studiò filosofia a Gante e teologia a Lovaina con un orientamento tomista classico, che si è rinnovato durante i primi anni di docenza. Dopo la seconda guerra mondiale andò in Francia per conseguire il dottorato a Le Salchoir e per studiare a La Sorbona. A Salchoir incontrò due dei più prestigiosi teologi domenicani: Marie-Dominique Chenu (1895-1990), sanzionato dal Sant’Uffizio, e Ives-Marie Mª Congar (1904-1995), anch’egli sanzionato verso la metà del secolo passato. A La Sorbona seguì gli insegnamenti dei filosofi Le Senne, Lavelle, Wahl e Gilson.
Di ritorno a Lovaina nel 1947, iniziò la sua carriera di docente in teologia dogmatica con l’obiettivo di rinnovare il pensiero tomista, ancorato alla più chiusa neoscolastica, e ad aprirlo alle nuove correnti filosofiche. Gli scritti di questo periodo, che raggiunge l’inizio degli anni sessanta, si caratterizzano per il metodo storico contrapposto al dogmatismo da manuale, peraltro imperante, e per il prospettivismo gnoseologico, che rappresentava una sintesi tra la fenomenologia e il tomismo.
 
Teologo di fiducia dell’episcopato olandese, nonché progressista, fu suo consulente nel Concilio Vaticano II e uno dei principali ispiratori – oltre che redattore – dei suoi documenti innovativi, specialmente nei riguardi dell’ecclesiologia e del dialogo della chiesa col mondo. E’ proverbiale in questo contesto la sua affermazione “Fuori del mondo non c’è salvezza”, che contrasta l’aforismo escludente “Fuori della chiesa non c’è salvezza”. Per mantenere lo spiriti conciliare e sviluppare una teologia in sintonia con i profondi cambiamenti promossi dal Vaticano II, creò nel 1965, insieme a Congar, Rahner, Metz, Küng ed altri teologi progressisti la rivista internazionale di Teologia Concilium, che tuttavia seguita ad essere stampata in otto lingue.
Fu, allo stesso tempo, uno dei principali redattori del controverso Catecismo holandés, che presentava i grandi temi del cristianesimo, anche quelli più conflittuali, come la dottrina del peccato originale – con uno stile vibrante, un linguaggio moderno e una attitudine al dialogo con le nuove correnti culturali.
 
Lungo tutto il suo magistero teologico e la sua ampia opera, è stato processato tre volte dalla Congregazione per la Fede (ex Sant’Uffizio): nel 1968, a causa di alcuni saggi teologici centrati sulla secolarizzazione e il cristianesimo; nel 1979 per il suo libro Jesús. La historia de un Viviente- Gesù. La storia di un vivente, la miglior cristologia del XX secolo; e nel 1984 per il suo libro El ministerio eclesial – il ministero ecclesiale, dove giustificava la presidenza dell’eucaristia da parte di un ministro straordinario non ordinato.
Da tutti e tre uscì illeso, e addirittura fiero. Nelle sessioni di giudizio tenute in Vaticano riuscì a smontare le affermazioni dei suoi inquisitori con brillante finezza di argomenti.
 
Schillebeeckx è morto e la sensazione che abbiamo noi teologi e teologhe che ci muoviamo sulla linea dell’ermeneutica critica è di essere orfani, superata soltanto con la lettura delle sue opere che continueranno ad illuminare il cammino del cristianesimo del secolo XXI sul sentiero del dialogo con le culture del nostro tempo e del compromesso etico per la giustizia, con il vangelo di Gesù di Nazareth come referente.
 
 
M uere Edward
Schillebeeckx,
 teologo en la frontera
 
Nacido en 1914, fue una de las personalidades más influyentes en la renovación del cristianismo durante la segunda mitad del siglo XX
di JUAN JOSÉ TAMAYO 25/12/2009  
El 23 de diciembre murió, a los 95 años, Edward Schillebeeckx, el teólogo católico más prestigioso del siglo XX, junto con Karl Rahner, y una de las personalidades más influyentes en la renovación del cristianismo durante toda la segunda mitad del siglo pasado. Ha sido protagonista en los momentos más importantes de la historia reciente de la teología, de la vida de la Iglesia holandesa y de la Iglesia católica.
 
Nació en 1914 en Amberes, metrópoli de la Bélgica flamenca en el seno de una familia muy religiosa de 14 hermanos. Hasta los 18 años estudió en un colegio de jesuitas, donde recibió una rigurosa formación basada en los clásicos. A los 19 años ingresó en la Orden de los Dominicos. ¿Qué es lo que le atrajo de la Orden dominicana por optar por ella como estilo de vida? Él mismo responde: la apertura al mundo, la dedicación al estudio, el trabajo de investigación y la teología centrada en la predicación. Y a fe que él mismo hizo realidad estas cuatro características en su vida religiosa, en su actividad intelectual y en su manera de estar en el mundo.

Tras el noviciado, estudió filosofía en Gante y teología en Lovaina con una orientación tomista clásica, que él renovaría durante los primeros años de docencia. Después de la Segunda Guerra Mundial fue a Francia para hacer el doctorado en Le Salchoir y estudiar en la Sorbona. En Salchoir se encontró con dos de los más prestigiosos teólogos dominicos: Marie-Dominique Chenu (1895-1990), sancionado entonces por el Santo Oficio, e Yves-Marie Mª Congar (1904-1995), igualmente sancionado en la década de los cincuenta del siglo pasado. En La Sorbona siguió las enseñanzas de los filósofos Le Senne, Lavelle, Wahl y Gilson.
De vuelta a Lovaina en 1947, inició su carrera docente en teología dogmática con el objetivo de renovar el pensamiento tomista, anclado en la más cerrada neoescolástica, y de abrirlo a las nuevas corrientes filosóficas. Los escritos de este periodo, que alcanza hasta principios de los sesenta, se caracterizan por el método histórico frente al dogmatismo de manual, entonces imperante, y por el perspectivismo gnoseológico, que buscaba una síntesis entre la fenomenología y el tomismo.

Teólogo de confianza del episcopado holandés, entonces progresista, fue su asesor en el Concilio Vaticano II y uno de los principales inspiradores -e incluso redactores- de sus documentos renovadores, especialmente en lo referente a la eclesiología y al diálogo de la Iglesia con el mundo. Es proverbial a este respecto su afirmación "Fuera del mundo no hay salvación", que contrasta con el aforismo excluyente "Fuera de la Iglesia no hay salvación". Para mantener el espíritu conciliar y desarrollar una teología en sintonía con los cambios profundos promovidos por el Vaticano II creó en 1965, junto con Congar, Rahner, Metz, Küng y otros teólogos progresistas la Revista Internacional de Teología Concilium, que todavía sigue editándose en ocho idiomas.
Fue asimismo uno de los principales redactores del polémico Catecismo holandés, que presentaba los grandes temas del cristianismo, -incluso los más conflictivos, como la doctrina del pecado original- con un estilo vibrante, un lenguaje moderno y en actitud de diálogo con las nuevas corrientes culturales.

A lo largo de su extenso magisterio teológico y de su amplia obra ha sido procesado tres veces por la Congregación de la Fe (antiguo Santo Oficio): en 1968, a propósito de algunos ensayos teológicos centrados en la secularización y el cristianismo; en 1979, por su libro Jesús. La historia de un Viviente, la mejor cristología del siglo XX; y en 1984 por su libro El ministerio eclesial, donde justificaba la presidencia de la eucaristía por parte de un ministro extraordinario no ordenado. De los tres salió ileso e incluso airoso. En las respectivas sesiones del juicio celebradas en el Vaticano logró desmontar las afirmaciones de sus inquisidores con brillante, argumental finura.

Schillebeeckx ha muerto y la sensación que tenemos los teólogos y las teólogas que nos movemos en su línea de hermenéutica crítica es de orfandad, sólo superada con la lectura de sus obras que seguirán iluminando el itinerario del cristianismo del siglo XXI por la senda del diálogo con las culturas de nuestro tiempo y del compromiso ético por la justicia, con el evangelio de Jesús de Nazaret como referente.


Martedì 05 Gennaio,2010 Ore: 08:39
 
 
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