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www.ildialogo.org IRAN TRA TEOCRAZIA E DEMOCRAZIA,di Daniela Zini

PRIMAVERA A TEHRAN
IRAN TRA TEOCRAZIA E DEMOCRAZIA

di Daniela Zini

Cerchiamo di capire cị che sta accadendo in Iran - PRIMA PARTE -


Arash Rahmanipour, 20 anni, eMohammad Reza Ali Zamani, 37 anni, sono stati impiccati, lo scorso 28 gennaio, nella prigione di Evin, nel nord di Tehran, e altri nove, condannati alla pena capitale, rischiano di essere giustiziati nei prossimi giorni.
 
 “Voglio che sappiate che anche nel nostro paese molti sono coloro che approvano il processo di democratizzazione iniziato nel vostro paese e che condannano l’operato del governo sovietico e l’intervento in Cecoslovacchia. Mi hanno entusiasmato il coraggio, l’unità e lo spirito di disciplina da voi dimostrato in momenti così tragici per il vostro paese. Sono entusiasta della presa di posizione degli esponenti di partito e di governo cecoslovacchi. Farei con gioia qualcosa per voi, ma penso che comprenderete che nell’attuale situazione anche questa lettera rappresenti un rischio non trascurabile. Ricordate che milioni di cittadini in tutto il mondo guardano con simpatia e approvazione la lotta coraggiosa da voi intrapresa per il diritto di poter scegliere da soli la vostra strada. Sono convinto che un popolo che ha saputo dimostrare tale unità di fronte alla forza bruta è un popolo invincibile.”
da una lettera di un giovane russo a un giovane cecoslovacco, che porta la data del 12 settembre 1968.
 
Il 12 giugno scorso, gli iraniani hanno votato, per la decima volta, sotto il regime islamico, per eleggere un nuovo presidente della repubblica. Nel sistema politico iraniano, unico al mondo, il presidente, eletto a suffragio universale, per una durata di quattro anni e il cui mandato è rinnovabile una sola volta, non è il capo dello Stato. È il capo del potere esecutivo, più precisamente di una parte di questo potere. Questi presiede il consiglio dei ministri, ma ciascuno dei ministri deve ricevere l’approvazione del parlamento, che ne può chiedere le dimissioni, individualmente o collettivamente. Il vero capo dello Stato è la guida suprema della rivoluzione, attualmente l’ayatollah Ali Khamenei. È teoricamente eletto da un’assemblea di esperti, ma fino a oggi le cose si sono svolte diversamente. Così all’indomani della rivoluzione, l’ayatollah Khomeini si imponeva come prima guida suprema, designava il proprio successore, l’ayatollah Montazeri e, due mesi prima della sua morte, sopravvenuta il 3 giugno 1989, sceglieva un nuovo successore, Ali Khamenei, allora presidente della repubblica. La guida è nominata a vita e non può essere sollevata dalle sue funzioni se non in circostanze eccezionali. Il primo personaggio dello Stato interviene, il più spesso direttamente o indirettamente, nelle attività dei poteri legislativo, giudiziario ed esecutivo, tuttavia, l’esperienza di questi ultimi anni dimostra che il presidente può avere un’influenza non trascurabile nella politica iraniana.
La scelta dei candidati alle elezioni presidenziali, come in tutte le altre elezioni, è discriminatoria: il consiglio dei guardiani approva le candidature spesso in funzione di criteri non democratici. Gli oppositori che criticano le posizioni del regime, le decisioni della guida o si pronunciano per una modifica della costituzione, non hanno alcuna possibilità di partecipare alle elezioni.
Nel 2005, il consiglio aveva, così, respinto la candidatura della maggior parte dei deputati riformisti per segnare una battuta di arresto al movimento avviato dal presidente Mohammad Khatami.
Per le elezioni presidenziali del 12 giugno scorso, se il consiglio dei guardiani ha convalidato le candidature di Mahmud Ahmadinejad, Mehdi Karubi, Hossein Mussavi e Mohsen Rezai, non ha, invece, accolto nessuna delle quarantadue candidature femminili, basandosi su una interpretazione contestata della costituzione, che rifiuterebbe alle donne il diritto di accedere alla carica di presidente della repubblica.
Mahmud Ahmadinejad, fedele alla sua reputazione, ha condotto una campagna populista. Utilizzando fondi pubblici, ha assegnato sussidi, buoni d’acquisto e denaro a impiegati, studenti e agricoltori. Non ha esitato a distribuire trecento tonnellate di patate nei quartieri popolari di Tehran e nella provincia. Per evitare di parlare del fallimento del suo governo sul piano economico, ha fato uso e abuso di un discorso nazionalista, non esitando ad accusare i riformisti di aver tradito il paese, innescando una politica di distensione con l’occidente, e sospeso, nel 2003, l’arricchimento dell’uranio.
La guida suprema che, solitamente, evita di impegnarsi pubblicamente per questa o quella fazione del regime, aveva moltiplicato le occasioni per bacchettare i riformisti, “coloro che abdicano a profitto dell’occidente”, aveva sostenuto.
I due candidati riformisti, Hossein Mussavi e Mehdi Karubi, e il candidato della fazione conservatrice, Mohsen Rezai, concordavano su un punto: denunciavano la gestione del paese da parte del presidente uscente, la sua politica inflazionistica (l’inflazione ha raggiunto lo scorso anno il 25%) e lo sperpero delle entrate petrolifere, vale a dire 300 miliardi di dollari in tre anni.
 
Daniela Zini
Copyright © 2010 ADZ


Marted́ 09 Febbraio,2010 Ore: 16:06
 
 
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