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www.ildialogo.org Antonio De Angelis ( in memoria),di Carlo Vai

Antonio De Angelis ( in memoria)

di Carlo Vai

27 giugno 2009 – Parrocchia di S:Giulia – Torino
Per Antonio è finita l’avventura. Chiamare una vita avventura è semplicemente magnifico. Ad ventura: verso cose che verranno, e non si sa come avverranno né se avverranno. Ma si sapranno sempre e soltanto dopo che sono avvenute.
E’ un fatto che Antonio questa avventura l’ha vissuta non passivamente ma come emozione profonda, un’emozione continua, consapevole di condividerla con quelli che ha avvicinato. Per questo era così amato. Per questo, parlandone, provo un’emozione da scoppiare. E, se ne parlo, è perché devo a lui questo tributo di amicizia.
Vorrei applicare a lui ciò che Henry Miller dice di certi artisti di secondo rango, non famosi ma realizzati come uomini, che egli aveva conosciuto: sono umili, pazienti, generosi.
Umili . Antonio era umile, da humus, cioè terrestre, non come deprezzamento rispetto a ciò che è spirituale, ma come adesione ai valori della terra, si trattasse di un fiore o di una barzelletta ( formidabile il suo humor, sempre velato da un tocco di tristezza.. Umile, che, poi, ha lo stesso étimo di umano.
Paziente. Anche qui il vocabolario aiuta a contrastare la forza d’inerzia dei significati. Non il contrario d’impulsivo, il paziente, ma quello che soffre. Una sofferenza gradita perché facente parte dell’avventura, è la sofferenza dell’atleta che con sforzo supremo raggiunge il traguardo. E’ la sofferenza del vivere che si tramuta in conquista.
Generoso. Anche qui dobbiamo trovare la rettitudine del vocabolo giusto. Da genus: uomo di genere, Antonio, uomo di razza e, se volete, superuomo ( ma quante sciocchezze sono state dette su questa parola ) Non c’è scampo nella vita: o esiste come uomo di razza, come super uomo, o non esisti. Proprio questo ci ha insegnato Nostro Signore.
Umile, paziente, generoso. Con queste tre qualità pago il mio tributo e dico grazie al testamento non biologico ma morale che Antonio ci ha lasciato.
Ma, questi tra aggettivi di qualità non ignorano, non possono ignorare un denominatore comune che li caratterizza e, in certo senso, li spiega: Antonio era, è un prete sposato. Omettere questo particolare non sarebbe rimanere al disotto della verità, sarebbe andare contro la verità. Non vorrei si fosse ripetuto stamane un triste e ritrito rituale cui non pensavo di dover ancora assistere. Un’omissione che ha il sapore della vergogna non per Antonio ma per chi si vergogna di parlarne. L’uomo di razza, il generoso Antonio non aveva paura di proclamarlo ai quattro venti.
Lui aveva il genus, quel genus che tutti noi siamo chiamati ad imitare. E questa imitazione è il messaggio più bello che ci lascia, il messaggio che lascia alla sua cara Sonia con la quale ha condiviso la vita, una vita di ricerca, una vita di lotta e, immagino, di tante cose belle. Vorrei che questo testamento ora noi lo piegassimo e lo mettessimo nella nostra tasca e ogni tanto, magari, gli dessimo uno sguardo. Grazie
Carlo Vai


Domenica 12 Luglio,2009 Ore: 16:05
 
 
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