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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org La Chiesa : UNA, SANTA, CATTOLICA, APOSTOLICA…,di p. <i>Nadir Giuseppe Perin </i>

La Chiesa : UNA, SANTA, CATTOLICA, APOSTOLICA…

di p. Nadir Giuseppe Perin

Ringraziamo di vero cuore il nostro carissimo amico p. Nadir Giuseppe Perin, prete-sposato dal 1968, per questo approfondimento che ha scritto per il nostro sito come contributo al dibattito sul tema dei preti sposati. p. Nadir Giuseppe Perin è dottore in Teologia dogmatica presso l'Università Pontificia dell'Angelicum in Roma; specializzato in Teologia Morale all'Università Lateranense - Accademia Alfonsiana di teologia Morale; Diplomato in Psychiatric Nursing presso la Mental Health Division di Toronto; specializzato in scienze psicopedagogiche presso l'Università di magistero dell'Aquila. Per contatti: nadirgiuseppe@alice.it )

Credo che siano in molti a conoscere il provvedimento del Vaticano per accogliere nella Chiesa cattolica (= entrare nella piena comunione con la Chiesa cattolica) gli anglicani tradizionalisti (vescovi, preti, fedeli) che ne fanno richiesta. Gli anglicani tradizionalisti sono coloro che, in questo momento storico, non accettano che la loro Chiesa anglicana sia aperta al sacerdozio delle donne e degli omosessuali.
Quando una persona si può ritenere nella piena comunione con la Chiesa Cattolica?
La Chiesa è un organismo sociale e giuridico, ordinato gerarchicamente, ma nello stesso tempo una struttura intima e spirituale, cioè una “comunità di fede, di speranza e di carità (Charitas) ”( L.G.n 8,1).
Il can. 205 del C.I.C. recita “ Su questa terra, sono nella piena comunione della Chiesa Cattolica quei battezzati che sono uniti a Cristo nella struttura visibile della Chiesa stessa, ossia mediante i vincoli della professione di fede, della partecipazione ai sacramenti e della ubbidienza ai sacri Pastori (governo ecclesiastico).
Ai fini della salvezza, però, secondo l’espressione di S. Agostino, è necessario che il fedele sia nella Chiesa non solo “con il corpo”, cioè non basta  avere una semplice appartenenza giuridica, ma è necessario che il fedele sia nella Chiesa soprattutto “con il cuore”, cioè viva il dono dell’Amore                 ( “Charitas”), nel dono di sé agli altri ( L.G. n. 12,2), come Gesù. In tutte le situazioni anche le più tragiche e disperate, Gesù ha sempre solo e unicamente comunicato vita, ha invogliato ad ottenerla, ha aiutato a sprigionare dentro la persona quelle energie vitali che, unite alle sue, possono dare la pienezza di vita all’uomo.
E’ questa la “piena comunione con la Chiesa Cattolica” che gli anglicani tradizionalisti cercano ? Sinceramente non lo so ! Quello che conosco e posso raccontare è che già nel giugno del 1980 la Santa Sede, tramite la Congregazione per la Dottrina della Fede, espresse parere favorevole alla richiesta presentata dai vescovi degli Stati Uniti d'America in merito all'ammissione alla piena comunione con la Chiesa cattolica di alcuni membri del clero e del laicato appartenenti alla Chiesa episcopaliana. Così si chiama la Chiesa anglicana americana.
Ma le motivazioni che avevano gli episcopaliani americani per essere ammessi alla piena comunione con la Chiesa cattolica, forse non furono le stesse degli anglicani tradizionalisti di oggi.
 La risposta della Santa Sede al clero e al laicato episcopaliano incluse la possibilità di un “provvedimento pastorale" mediante il quale, a coloro che lo desideravano,  veniva permessa una comune identità, conservando alcuni elementi della loro eredità.
L'ingresso di queste persone nella Chiesa cattolica doveva, però, essere inteso come "riconciliazione delle singole persone che desideravano la piena comunione cattolica”.
Nell'accogliere il clero episcopaliano uxorato, tra il clero cattolico, la Santa Sede precisò subito che l'eccezione alla norma del celibato era concessa in favore di queste singole persone e non doveva essere intesa come un cambiamento del pensiero della Chiesa circa il valore del celibato presbiterale che doveva, invece, rimanere la norma anche per i futuri candidati al ministero presbiterale di questo gruppo.
La Congregazione per la Dottrina della Fede, d'intesa con la conferenza episcopale degli Stati Uniti, designò s.e. mons. Bernard F. Law, vescovo di Springfield-Cape Girardeau, quale delegato ecclesiastico per detta questione. Il suo compito era quello di elaborare delle proposte, contenenti elementi utili per il suddetto "provvedimento pastorale", da sottomettere all'approvazione della Santa Sede, curarne l'adempimento ed esaminare con la Congregazione per la Dottrina della Fede le questioni concernenti l'ammissione dell'ex-clero episcopaliano al ministero presbiterale cattolico.
Il 2 giugno del 1995, la Conferenza Episcopale Cattolica dell'Inghilterra e Galles istituì una commissione con il compito di esaminare le domande dei pastori anglicani, celibi o sposati, che chiedevano di entrare nella Chiesa cattolica e di continuare a svolgere l'attività pastorale.
Lo statuto è stato scritto dalla Conferenza episcopale dell'Inghilterra e Galles alla luce delle direttive date dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Un mese dopo l'approvazione della Santa Sede, le disposizioni in esso contenute diventarono leggi particolari della Chiesa Cattolica d'Inghilterra e restarono in forza per un periodo di quattro anni, a partire dalla loro data di approvazione.
C’era una procedura da seguire: il candidato (pastore anglicano: celibe o sposato) dopo essere  stato accolto nella piena comunione della Chiesa cattolica, se voleva continuare l'esercizio del ministero pastorale, doveva presentare una domanda al vescovo diocesano per l'ammissione agli ordini. Il vescovo diocesano doveva presentare questa domanda alla Commissione istituita a tale scopo, allegando alla domanda la necessaria documentazione prescritta dallo statuto. Nello stesso tempo egli provvedeva a dare il suo parere sulla idoneità del candidato; il suo parere sulla opportunità della ammissione del candidato agli ordini e dell' incardinazione nella sua diocesi; i suoi suggerimenti circa il programma di studi e di preparazione che il candidato avrebbe dovuto seguire prima di ricevere gli ordini; indicare i compiti pastorali che il candidato avrebbe svolto dopo la sua ordinazione.
Nel prendere la sua decisione la Commissione doveva tener  conto del1'idoneità del candidato, considerando la stabilità del suo matrimonio; l'approvazione della moglie che doveva mettere per iscritto che accettava la decisione del marito di voler essere ordinato presbitero cattolico e di dedicarsi al ministero pastorale e che non poneva alcun ostacolo alla sua attività; l'apertura del candidato alle prospettive teologiche e pastorali della Chiesa Cattolica come espresse nel Concilio Vaticano II; la capacità e la disponibilità del candidato ad essere incardinato tra i presbiteri della diocesi; la volontà del candidato di accettare che nella Chiesa cattolica di rito latino fosse in vigore la legge del celibato. I candidati, inoltre, dovevano accettare la regola severa che, in caso di morte della moglie, non avrebbero potuto risposarsi.
Il Vescovo, per valutare l’opportunità dell’ammissione e dell’incardinazione del candidato,doveva tener conto delle circostanze particolari della diocesi : come i bisogni pastorali, la storia e i contesti sociali; il numero di casi simili che, eventualmente, erano già stati ammessi nella diocesi. Il candidato, inoltre, alla luce dei precedenti studi accademici e delle esperienze pastorali, doveva intraprendere quegli studi che gli avrebbero permesso di acquisire competenza nel campo della teologia dogmatica, dell'ecclesiologia, della teologia morale, del diritto canonico e della pratica dei sacramenti. Normalmente il periodo di preparazione sarebbe durato due anni, dopo essere entrato a far parte della piena comunione con la Chiesa cattolica.
In generale, questi preti ex-anglicani entrati a far parte della piena comunione con la Chiesa Cattolica, non venivano assegnati alla " normale cura delle anime", ma a servizi amministrativi, sociali o educativi, quando l'Ordinario del luogo giudicava questi compiti compatibili.
Per circostanze particolari ed a prudente giudizio dell'Ordinario, per venire incontro alle necessità pastorali e spirituali del popolo, il prete sposato ex-anglicano poteva anche essere autorizzato a dare la sua assistenza spirituale ed espletare il suo ministero in una parrocchia. Ma, in nessun caso, il prete sposato ex-anglicano avrebbe avuto la responsabilità diretta di una parrocchia, come parroco. Potevano cioè fare di tutto fuorché i parroci.Quindi, cappellani negli ospedali, nelle carceri, vicari cooperatori nelle parrocchie.
Tutti i candidati dovevano ricevere l'ordinazione presbiterale, in conformità all'insegnamento e alla pratica costante della Chiesa cattolica. Tutti i candidati, dopo un’appropriata preparazione, dovevano ricevere l'ordinazione al diaconato e poi al presbiterato, seguendo le leggi comuni della Chiesa riguardanti il tempo che deve trascorrere tra un'ordinazione e l'altra, a norma del Diritto Canonico. Per l'ordinazione si doveva seguire il rito liturgico del Pontificale Romano, con l'inclusione - prima dell'esame del candidato nel rito di ordinazione del diaconato - della preghiera di ringraziamento per il ministero esercitato nella Chiesa Anglicana.
Quando l'esame della petizione si considerava concluso, la Commissione dava il suo voto sul caso, indicando se il voto era affermativo (con l'aggiunta di eventuali condizioni ) oppure negativo, oppure rimandando il caso all'esame della Santa Sede " Casus examini Sanctae Saedis subiciatur".
Se la decisione era negativa il Vescovo che aveva presentato la domanda alla Commissione era libero di fare appello alla Santa Sede, attraverso la Congregazione per la dottrina della Fede cattolica
La Commissione doveva fare riferimento alla Congregazione per la fede cattolica, quando i vescovi anglicani domandavano una qualche forma di riconoscimento per il loro stato episcopale; e quando qualcuno faceva la domanda di ordinazione "sub condicione".
Coloro che avevano esercitato il ministero di vescovo nella Chiesa anglicana, al di fuori della considerazione della propria dignità, la competente autorità (Commissione o la Congregazione per la Fede cattolica) giudicava sulla convenienza di proporre al Santo Padre la concessione della sola ordinazione presbiterale.
Le formule liturgiche, in quei casi in cui veniva conferita l'ordinazione presbiterale "sub condicione", dovevano essere decise in accordo con la Santa Sede. Nei casi riservati alla Santa Sede, la Commissione doveva trasmettere tutta la documentazione alla Congregazione per la Dottrina della Fede la quale aggiungeva il suo parere.
I casi decisi dalla Commissione, dovevano essere presentati, dal suo Presidente, al Santo Padre, attraverso la Congregazione per la dottrina della Fede, che aggiungeva il suo " visto".
Il Presidente della Commissione doveva presentare un suo rapporto alla Congregazione per la Dottrina della fede alla fine di ogni anno per i casi ricevuti e decisi, come sulla situazione in generale.
Molte mogli di questi pastori, seguendo il marito nella sua decisione di farsi prete cattolico, si sono fatte cattoliche a loro volta, ma non tutte. Ai figli del pastore che si faceva cattolico e chiedeva di continuare a svolgere l'attività pastorale, non si chiedeva di farsi cattolici. I più piccoli, per lo più andavano alle scuole cattoliche. I più grandi erano lasciati totalmente liberi e non era detto che si facessero cattolici. Potevano restare anglicani.
L'età di questi pastori anglicani, diventati poi preti cattolici andava dai 30 ai 70 anni, e la maggioranza aveva 45-50 anni. Non veniva posta la clausola di non avere rapporti sessuali con la propria moglie, come sembra, invece, sia avvenuto altrove.
Per quanto riguarda il sostentamento : se il candidato aveva di che potersi mantenere assieme alla famiglia, bene! Altrimenti il Vescovo che riceveva il candidato, doveva cercare una collocazione che gli consentiva di percepire uno stipendio, come ad esempio, fare il cappellano nelle carceri o negli ospedali o l’insegnante.
Tali disposizioni della Chiesa cattolica verso i pastori anglicani sposati che volevano entrare in piena comunione con la Chiesa, ma che desideravano continuare a svolgere l'attività pastorale, avevano suscitato, fin da allora, molte problematiche nella stessa Chiesa cattolica.
Per esempio : Che fare se un uomo sposato della Chiesa cattolica desiderasse farsi prete ? O se un diacono sposato desiderasse ricevere l’ordinazione presbiterale? Quale atteggiamento dovrebbe avere la Chiesa nei confronti di queste persone, delle loro mogli e delle loro famiglie? E se un prete ordinato della Chiesa cattolica che ha lasciato il ministero ed ha formato una sua famiglia chiedesse la possibilità di essere riammesso all'esercizio del ministero pastorale ?
La conferenza episcopale dell'Inghilterra e del Galles a queste domande rispose dicendo che la situazione del pastore anglicano che si convertiva alla Chiesa cattolica, desiderando di continuare nel suo ministero pastorale, era diversa da quelle sopra esposte perché egli, prima di tutto, aveva l'obbligo di rispettare il suo stato matrimoniale e di mantenere le promesse di fedeltà fatte alla sua sposa prima di diventare prete cattolico.
Ma che cosa risponderà la Santa Sede alle domande del Popolo di Dio, dei vescovi e dei presbiteri, a seguito di questo provvedimento  di accogliere nella Chiesa cattolica gli anglicani tradizionalisti ?
Sulle conseguenze concrete e visibili di questo provvedimento, diverse persone competenti in materia, hanno fatto delle ipotesi che si possono leggere su Internet in diversi siti tra cui “il dialogo.org”, oppure su quotidiani, settimanali ed in modo particolare su “Adista- notizie”….
Personalmente, se il gentile lettore me lo permette, vorrei, come presbitero italiano cattolico sposato, concludere queste riflessioni mettendo in risalto, come - di fronte a queste decisioni della autorità ecclesiastica che peraltro può in modo legittimo e responsabile prendere -  un celibato imposto per legge canonica a tutti coloro che nella Chiesa Cattolica di rito latino sono chiamati da Dio al ministero presbiterale, risulti oltremodo lesivo del diritto naturale che ogni persona ha di potersi sposare e come questa legge canonica sia lontana anni luce dal genuino spirito del Vangelo, la buona notizia che Gesù di Nazareth è venuto a far conoscere all’uomo.  
Per comprendere bene il mio ragionamento è necessario partire da alcune affermazioni inconfutabili che provengono dalla stessa autorità ecclesiastica.
Nessuno può mettere in dubbio:
1) che il carisma del “celibato” è un dono dello Spirito Santo che viene “donato”solo ad alcuni e non a tutti. E il dono non si può meritare, né si può imporre, ma va solamente accolto.
2) che “ la perfetta e perpetua continenza per il Regno dei cieli, raccomandata da Cristo Signore…non è richiesta dalla natura stessa del presbiterato, come risulta evidente dalla prassi della Chiesa primitiva e dalla tradizione delle Chiese Orientali, nelle quali, oltre a coloro che assieme a tutti i vescovi scelgono con l’aiuto della grazia il celibato, vi sono anche degli eccellenti presbiteri coniugati…che dedicano pienamente e con generosità la propria vita per il gregge loro affidato” (Decreto sul ministero e la vita sacerdotale (Presbyterorum Ordinis)  n. 1296 ). Al n. 1298  dello stesso Decreto Conciliare viene ribadito che“ Per motivi fondati sul Mistero di Cristo e della sua missione, il celibato[1] che prima veniva raccomandato ai preti, in seguito è stato imposto per legge nella Chiesa latina a tutti coloro che si avviano a ricevere gli Ordini Sacri”.
Lo stesso card. Claudio Hummes, titolare della Congregazione per il Clero, riconobbe apertamente che il celibato dei preti “e che “la proibizione del matrimonio” è stata promulgata solo alcuni secoli dopo l’istituzione del “presbiterato” (cfr. 1 Concilio Lateranense  del 1123).
3) che le disposizioni del diritto positivo della comunità ecclesiale occidentale, contenute nel Codice di Diritto Canonico, dispongono che l’ordine sacro è impedimento dirimente al matrimonio dei chierici, i quali pertanto non possono “celebrare il sacramento del matrimonio”. In particolare i cann. 1087 e 1088 recitano “ attentano invalidamente il matrimonio coloro che sono costituiti negli ordini sacri” e “… coloro che sono vincolati dal voto pubblico perpetuo di castità, emesso in un istituto religioso” di diritto pontificio o diocesano, nel senso proprio determinato dal can. 607.
Anche nel CCEO (Codice di Diritto della Chiesa Orientale) si afferma che “attenta invalidamente il matrimonio colui che è costituito nell’Ordine Sacro” (cfr. CCEO can 804 e 805).
La dispensa dall’obbligo del celibato per chi ha ricevuto validamente l’ordine sacro è di esclusiva competenza del Romano Pontefice ( can. 291). In questo caso il chierico perde lo “stato clericale”, ma la sacra ordinazione, una volta ricevuta validamente, non può mai essere annullata ( can. 290). Un prete che ha ricevuto la dispensa dall’obbligo del celibato può sposarsi sacramentalmente, rimanendo però prete per sempre, anche se gli è proibito di esercitare la potestà di ordine, salvo disposto del can 976 ( can 292).
4) che lo stesso matrimonio è un impedimento all’ordine sacro (can. 1042, 1° ) “Sono semplicemente impediti dal ricevere gli ordini: l’uomo che è sposato, tranne che sia destinato legittimamente al diaconato permanente”. La dispensa da tale impedimento “ vir uxorem habens” è riservato alla Santa Sede(can.1047, § 2, 3°)
Tutte queste disposizioni di legge sono contenute nel Diritto Canonico, ma non nel Vangelo.
Deve quindi essere chiaro e “ al di là di ogni ragionevole dubbio” che il celibato, cioè il non potersi sposare dei preti cattolici della Chiesa Latina, non è un dogma, ma una norma disciplinare”.
5) Il matrimonio è una realtà umana e nello stesso tempo una realtà sociale, civile e religiosa che ha un interesse primario sia per i non cristiani che per i cristiani e che, nella complessità dei suoi aspetti, si richiama non solo al diritto civile o al Diritto Canonico, da cui riceve la sua struttura giuridica, ma anche a numerose altre scienze, ciascuna delle quali offre il suo contributo per determinarne ed approfondirne la natura, le finalità, i valori.
 
Tenendo presente quindi  :
* che lo “sposarsi” (ius connubii) dell’uomo e della donna è un loro diritto naturale perché voluto da Dio e fondamentale della persona umana (cfr. Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, 22 ottobre 1983);
 * che tutti possono contrarre matrimonio, se il diritto positivo non ne fa loro divieto (cfr. can. 1058);
* che il diritto positivo civile o ecclesiastico (Diritto Canonico) non può porre delle restrizioni a tale diritto naturale, se non ci sono “gravi ed adeguate ragioni richieste da gravi ed oggettive esigenze dello stesso istituto matrimoniale e della sua rilevanza sociale e pubblica  
* che il diritto positivo civile ed ecclesiastico può solo “regolare”, stabilendo quanto è necessario perché il patto matrimoniale sia valido e socialmente riconosciuto;
la soppressione o anche la limitazione di tale diritto costituisce un’aperta violazione della dignità umana (cfr. Paolo VI  nell’enciclica Populorum Progressio, n.37 ) dal momento che  “ la motivazione di “somma convenienza e confacenza” del celibato con il presbiterato”, non può essere considerata come “grave ed adeguata ragione richiesta da gravi ed oggettive esigenze dello stesso istituto matrimoniale e della sua rilevanza sociale e pubblica.
Lo stesso Papa Paolo VI riconobbe, del resto, che il celibato di per sé non è necessario al presbiterato.
Per questo diversi giuristi ed uomini di cultura si sono schierati per l’abrogazione dell’art. 5 del Concordato a causa della sua incompatibilità con le norme stesse della Costituzione Italiana.
Le norme sui diritti di libertà riguardano, infatti, tutti gli individui, quindi anche i preti e sono diritti inderogabili e non consentono eccezioni. Ogni eccezione sarebbe viziata di incostituzionalità. Gramsci nel 1932 definì gli “ex preti” “i paria” della società italiana, perché coloro che nella Chiesa hanno la potestà e la responsabilità del ministero per la comunità ecclesiale - imponendo il celibato al prete in nome e per conto del sistema ecclesiastico- hanno violato, a danno dei preti italiani che hanno lasciato il ministero per sposarsi, sia il diritto naturale che dà ad ogni uomo e ad ogni donna il diritto di sposarsi che gli stessi diritti costituzionali.
Questo diritto naturale di sposarsi anche di quelle persone  che sono chiamate da Dio (vocazione) al ministero presbiterale a servizio della comunità, è da secoli che viene violato e calpestato da parte di coloro che nella Chiesa hanno il potere. Nessuno di loro ha mai avuto il coraggio, né la volontà, almeno “per il bene della comunità e del Popolo di Dio”, tenendo “ prae oculis salute anumarum, quae in Ecclesia suprema sempre lex esse debet” ( can. 1752), di annullare la “obbligatorietà” del celibato, in nome del Vangelo.
Con molta amarezza mi sento di affermare che l’annullamento della “obbligatorietà del celibato per chi è chiamato da Dio al ministero ecclesiale nella Chiesa latina sarà difficile che avvenga, perché coloro che hanno la potestà e la responsabilità del ministero per la comunità, interessa più la “caritas” ( il dio Mammona) che la “Charitas”, cioè il Dio Amore, donato all’uomo e condiviso. Non conoscono e non sanno se non a parole che l’unica realtà che nutre e fa crescere l’uomo è l’amore (Charitas) generoso  e capace di comunicarsi agli altri. Non per niente Gesù ha affermato senza alcuna eccezione : “ Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri, come io amo voi ( Gv 13,35).
Penso che nella Chiesa, oggi, molti stiano ancora aspettando il Messia, il Cristo “figlio di Dio”. Quello che molti ci hanno presentato fino ad oggi e continuano a presentarci è un Cristo “figlio di Davide”. Siamo ancora nel Vecchio Testamento o per lo meno la buona notizia                                      (l’Evangelo), il vino nuovo, continua ad essere messo dentro a delle botti vecchie, con il risultato che tutti conosciamo e di cui ogni giorno facciamo esperienza !
Per riprendere, allora, il titolo di queste riflessioni, mi sembra giusto domandarsi :
- Quando la comunità dei discepoli del Signore sarà UNA ? Quando tutti i membri della comunità saranno “un cuor solo ed un’anima sola”. E lo saranno quando ciascuno avrà il coraggio di “accogliere in sé l’Amore (Charitas) di Dio come dono per fare della propria persona un dono di “Amore”(Charitas) ai fratelli.
- Quando sarà SANTA ? Quando entrerà in piena comunione con Dio e la piena comunione con Dio non si raggiunge attraverso l’osservanza di leggi e di riti (Rm3,20), ma mediante l’assomiglianza al suo amore liberante e creativo.
-Quando sarà CATTOLICA ? Quando saprà prontamente individuare ed eliminare dal suo seno i segni malefici del “lievito dei farisei” (Mc 8,15) che lo stesso Vangelo aiuta a riconoscere. Ed il lievito dei farisei alberga ancora all’interno della comunità quando : l’esperienza dello Spirito invece di essere proposta, viene imposta agli altri quale unica via di salvezza ( At 15,1-21); quando si pretende di possedere la verità ( At 15,5) e si è certi di essere il vero e unico modello di Chiesa                     ( Mc 10,38-40); quando si lotta contro le tenebre, piuttosto di splendere in mezzo ad esse ( Gv 1,5); quando anziché creare, si desidera ripetere ( Mt 7,1-13); quando tutti gli uomini diranno bene di voi (Lc 6,26).
Se i credenti si lasceranno guidare dallo Spirito e rivestire “ dell’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità”, e saranno capaci di amare chi non se lo merita, perché è così che Dio ama; quando saranno capaci di fare del bene senza attendere nulla in cambio perché è così che il Signore si comporta; quando saranno capaci di concedere il perdono prima che questo venga richiesto perché è così che il Padre perdona, allora è segno che la Comunità è diventata Cattolica e gli uomini sono veri figli di Dio che permettono finalmente al Signore di mostrare tutta la sua paternità ed il Regno di Dio sta diventando realtà.
-Quando sarà APOSTOLICA ? Quando ciascuno che ne fa parte saprà lasciarsi guidare dallo Spirito per diventare un autentico discepolo del Signore che si riconosce nel dono gratuito di sé. Gli autentici discepoli del Signore, infatti, sono coloro che non impongono e non pretendono nulla in nome di Dio, ma donano ed offrono tutto in nome del Padre.
Il cammino da percorrere è ancora molto lungo! Ma non c’è da aver paura perché il Signore è la nostra speranza e garanzia: “ Io sono con voi per sempre, cioè fino al compimento del tempo in cui il progetto di Dio sull’umanità sarà realizzato”.
Giuseppe dall’Abruzzo.
 


[1] Il celibato, come stato di vita scelto per praticare la castità perfetta rappresenta una chiamata, una vocazione speciale che Dio rivolge solo ad alcune persone, le quali, attraverso la scelta volontaria di questa forma di vita e la libera accettazione di questo carisma donato dallo Spirito Santo, diventano nella chiesa autentici testimoni di quei valori escatologici verso i quali il popolo di Dio è diretto. Nessuno ha mai messo in dubbio che il celibato sia una forma di vita particolare; che la si possa vivere con serenità e gioia interiore; che il motivo dell’amore che lo ispira possa animare ogni aspetto della vita di chi lo abbraccia liberamente, perché ad esso chiamato. La gerarchia della Chiesa, tuttavia, pur imponendo per legge canonica il celibato ai preti, non può assicurare ad alcuno di poter vivere questo carisma, in modo totale e per tutta la vita, nemmeno per mezzo dell’amministrazione dei sacramenti. Esso è un carisma che appartiene all’ordine delle “grazie date gratuitamente” che sono essenzialmente distinte dalla grazia santificante o abituale, perché vengono concesse dallo Spirito Santo solo ad alcuni per il bene della comunità ecclesiale. Il carisma del celibato, infatti, non dipende né dai sacramenti né, propriamente parlando, dalla preghiera e non significa, soltanto, di poter evitare peccati gravi contro la castità. Giustamente, decreti conciliari, esortazioni pontificie, omelie patristiche, trattati di teologia spirituale hanno messo in giusta evidenza come il sacerdote non possa vivere il celibato senza il quotidiano supporto dell’Eucaristia, della preghiera liturgica e personale, perché si sa che nella vita del cristiano e del prete c’è sempre il primato della grazia e della preghiera umile e confidente che fa del prete una creatura di trasparenza e di dono.
 


Sabato 31 Ottobre,2009 Ore: 15:54
 
 
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