- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (1)
Visite totali: (347) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org «Coloro che si battezzano per i morti».,di Marco Morselli

«Coloro che si battezzano per i morti».

di Marco Morselli

Un’ipotesi intepretativa di 1Cor 15,29


«Coloro che si battezzano per i morti».
Un’ipotesi intepretativa di 1Cor 15,29
 
            Padre Mariano Herranz (1928-2008) ha diretto per molti lustri la Scuola esegetica di Madrid. Con la collaborazione dei suoi studenti, a partire dagli anni Settanta ha pubblicato quaranta piccoli volumi in una collana intitolata «Cuadernos de Evangelio» e, a partire dal 2000, dieci volumi nella collana «Studia Semitica Novi Testamenti». Riferendosi a quest’ultima, egli scrive: «Tutti i volumi di questa collana sono dedicati a chiarire passi oscuri, o molto oscuri, dei Vangeli e delle lettere di san Paolo. Per quanto mi riguarda devo confessare che, avendo lavorato in modo intensivo alla loro redazione, sono rimasto sorpreso nello scoprire la grande quantità di passi oscuri in lingua greca contenuti nei Vangeli».[1]       
            Già negli anni Trenta C. C. Torrey e J. De Zwaan avevano formulato la tesi secondo la quale «quando nei Vangeli ci si imbatte in un passo scritto in un greco stridente, oscuro o incomprensibile, bisogna pensare che si tratti di una cattiva traduzione dall’originale aramaico» (pp. 20-1). Questo per quanto riguarda i Vangeli.
Per quanto riguarda Paolo le cose erano viste altrimenti. Pur riconoscendo che la sua formazione religiosa era ebraica, che spesso i suoi erano concetti ebraici ricoperti da una veste greca, un dato sembrava certo: Paolo ha scritto le sue lettere in greco. Di questo era convinto lo stesso Herranz nel 1976: «Ricordiamo un fatto elementare: san Paolo ha scritto le sue lettere in greco» (p. 297). Venticinque anni dopo, Herranz ha rivisto le sue certezze: «Il lettore potrà facilmente rendersi conto che esistono validi motivi per affermare che san Paolo ha scritto le lettere in aramaico, mentre il greco, con le sue tante oscurità, è opera del traduttore o dei traduttori» (pp. 300-1).
            Tra i passi oscuri esaminati da Herranz vi è 1Cor 15,29: «Epèi tì poièsousin oi baptizòmenoi hypèr tòn nekròn?», che sembra voler dire: «Altrimenti, che cosa faranno quelli che si fanno battezzare per i morti?» (CEI 2008)[2].
 Paolo sta predicando ai Corinzi la resurrezione dei morti. Alcuni nella Comunità credevano nella dottrina greca dell’immortalità dell’anima, ma non nella dottrina ebraica della tehiyat ha-metim: «negavano la resurrezione dei morti giacché in essa vedevano una concezione troppo materialista, barbara, rispetto all’idea greca dell’immortalità dell’anima libera dal corpo» (p. 45).
E tuttavia: cosa vuol dire “battezzarsi per i morti”? «Nella teologia dell’Apostolo, e della Chiesa primitiva, è inconcepibile che una persona viva riceva il battesimo per beneficiare un morto» (p. 50). Herranz osserva che tramite alcuni Padri della Chiesa sappiamo che «alcune sette cristiane praticavano il rito del battesimo di un vivo, sdraiato sotto il letto di un morto che non aveva ancora ricevuto il sacramento, ma aveva già iniziato il catecumenato», pratica che venne rifiutata dai Padri e condannata dal III Concilio di Cartagine (pp. 50-1)[3].
Egli passa poi in rassegna alcune interpretazioni proposte nei secoli dagli esegeti («Alcune di esse, soprattutto dei secoli XVI e XVII, sono veramente pittoresche; ma qui il pittoresco è giustificato dall’oscurità del testo sacro») per poi accordare la sua preferenza all’interpretazione di Nicola da Lira (ca 1270-1349): «La parola “battezzare” - dice - qui non riveste il suo significato tipicamente cristiano di ricevere il sacramento del battesimo: ha piuttosto un significato traslato; ciò che san Paolo vuole dire è che i Corinzi, non credendo nella resurrezione dei morti, sopportano invano le tribolazioni. “Essere battezzato” qui significa “patire delle sofferenze”».   
Herranz osserva che nei Vangeli abbiamo due detti di Gesù che parlano di “battesimo” e “battezzare” in un senso che nulla ha a che fare con il sacramento cristiano: Mc 10,35-40 e Lc 12,50 (p. 52).           Osserva inoltre che baptìzein, che originariamente significa ”immergersi nell’acqua”, compare in un passo di Giuseppe Flavio con il significato di “distruggere, portare alla rovina” (Bell. 4,137); mentre la preposizione hypèr          non significa solo “al posto di” ma anche “a causa di”.
Il passo va quindi secondo lui tradotto dando a baptìzesthai il valore di “patire grandi sofferenze, essere sul punto di morire” e a hypèr il valore di “a causa di”, in modo da avere: «Altrimenti [se non c’è risurrezione dei morti], che cosa farebbero quelli che vengono battezzati per i morti [per la risurrezione dei morti]? Se davvero i morti non risorgono, perché si fanno battezzare per loro?» (pp.53-4).
La conclusione dell’esegesi di Herranz è la seguente: «Con questa lettura di un passo tanto controverso, svaniscono in primo luogo le difficoltà create dall’enigmatico battesimo per i morti, e allo stesso tempo risulta naturale che san Paolo ne parli come di un’azione che qualcuno compie normalmente:     il battesimo-sofferenza a causa dei morti è il pane quotidiano dell’Apostolo e di tutti coloro che lavorano per il Vangelo, che risulta così definito come “lavorare per i morti”» (p. 54).
 
A noi sembra che sia possibile trovare una spiegazione molto più semplice e convincente, utilizzando le stesse premesse di Herranz e aggiungendo però che non è sufficiente il solo dato linguistico (il riferimento all’ebraico e all’aramaico) ma che occorre anche il riferimento ai dati religiosi, cultuali e culturali ebraici.
Il battesimo è in effetti in origine la tevilah, l’immersione in acque vive (ossia correnti) del mare, di un fiume (ad esempio il Giordano) o di un miqweh. Questa immersione segna l’ingresso nella Comunità per un proselita, ma ha anche un significato di purificazione, e nel I secolo questo valeva tanto per gli ebrei che per i giudeo-cristiani. Come gli emerobattisti, i hassidim dei nostri giorni si immergono quotidianamente, o almeno alla vigilia di Shabbat e delle grandi feste.    
Tuttavia la tevilah non vale per i morti, i cui corpi non vengono immersi in acque vive. Il verbo baptìzein però compare anche con il significato di “fare le abluzioni” in Lc 11,38, in riferimento alla netilat yadayim, la lavanda delle mani prima del pasto.
A questo punto siamo molto vicini a quella che a noi sembra essere la soluzione: nel rito ebraico, prima della sepoltura i corpi dei morti vengono lavati, si compie su di loro il rito della rehizah, che è una miswah compiuta a loro favore, per loro, e che proprio per questo ha un particolare valore: viene compiuta a favore di qualcuno che non è in grado di mostrarci la sua gratitudine.
A nostro avviso Shaul\Paolo vuol dire questo: «Se i morti non risorgessero, che senso avrebbe fare le abluzioni sui loro corpi?». La rehizah è una preparazione al mondo a venire, nel quale i risorti entreranno purificati come per Shabbat e per i Moadim (le convocazioni, le feste).
Oi baptizòmenoi è un participio presente del medio, che può avere valore riflessivo, ma anche intransitivo e intensivo; hypèr significa anche “a favore di”. 1Cor 15,29 va dunque a nostro avviso tradotto così: «Altrimenti [se Ha-Shem non fa risorgere i morti] che cosa faranno coloro che fanno le abluzioni a favore dei morti? Se davvero i morti non risorgono, perché si fanno le abluzioni a loro favore?».
Con questa lettura di un passo tanto controverso, svaniscono in primo luogo le difficoltà create dall’enigmatico battesimo per i morti, e allo stesso tempo risulta naturale che Paolo si riferisca a un’azione che viene normalmente compiuta in occasione della sepoltura dei morti proprio in vista della loro resurrezione.
Marco Morselli


[1] M. Herranz, San Paolo attraverso le sue lettere, pref. di J. Carròn, tr. di E. Merlo, Marietti, Genova-Milano 2009, p. 20.
[2] Vulgata: «Alioquin quid facient qui babtizantur pro mortuis?»; Bible de Jérusalem: «Autrement que feront ‘ceux qui s’épuisent pour les morts’? »; Chouraqui: «Autrement, que feraient ceux qui se font immerger pour les morts?»;  Diodati: «Altrimenti che faranno coloro che sono battezzati per li morti?»; Alleanza Biblica Universale: «Fra voi, alcuni si fanno battezzare per i morti. A che serve farsi battezzare per loro?»; Bibbia ed. San Paolo: «Se così non fosse, che cosa farebbero quelli che si battezzano per i morti?»; Bibbia ed. Piemme: «Altrimenti, che cosa farebbero quelli che vengono battezzati per i morti?», in nota: «Paolo si richiama ad una consuetudine di cui non è rimasta traccia nella storia della Chiesa»; Good News Bible: «Now, what about those people who are baptized for the dead?»; Ha-Berit ha-Hadashah: «Ki mah yaasu ha-nitbalim be-ad ha-metim?»; il Nuovo Grande Commentario Biblico della Queriniana (Brawn, Fitzmyer, Murphy) non commenta il versetto.
[3] I Mormoni battezzano i morti: è anch’essa una pratica che trae la sua origine da un’interpretazione di 1Cor 15,29?


Lunedì 05 Ottobre,2009 Ore: 14:14
 
 
Commenti

Gli ultimi messaggi sono posti alla fine

Autore Città Giorno Ora
Salvatore Trotta Tampa 31/5/2010 18.54
Titolo:Il battesimo dei morti
La mia comprensione è la seguente: \"Coloro che si battezzano per essere dei morti\"
Infatti il battezzato rinasce ad una nuova vita e ottiene presso Dio una buona coscienza o approvazione e la cancellazione dei peccati, se però il battezzato, continua in un vecchio percorso tradizionale simile all\'edificare sulla sabbia o ad evere una fede di paglia, si è battezzato per nulla perché continuerà ad essere un morto agli occhi di Dio. Il suo battesimo non avrà avuto nessun valore. (Il battesimo è la richiesta fatta a Dio per una buona coscienza) ma se Dio la da e non la usi sei ancora morto.

Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (1) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
La parola ci interpella

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info