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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org IL VANGELO CI LIBERA, E NON LA LEGGE,

Firenze 2
IL VANGELO CI LIBERA, E NON LA LEGGE

Contributi al dibattito


Riceviamo dagli organizzatori del convegno di Firenze del prossimo 6 febbraio 2010 i seguenti contributi al dibattito che molto volentieri pubblichiamo.

2. 11. 09
Il disagio non è alle nostre spalle
dai promotori della “Lettera alla chiesa fiorentina”
Ci siamo riuniti la sera del 2 novembre per leggere insieme il documento “Firenze 2” e abbiamo cercato di sintetizzare in questo scritto la nostra posizione anche perché la stessa lettera-invito sollecita contributi. Anche se – lo ricordiamo – non siamo un gruppo ma una piccola esperienza di chiesa in cammino, ci siamo sentiti interpellati a chiarire una nostra posizione rispetto all’evento del 6 febbraio 2010.
Lasciata alle nostre spalle la necessità di dar voce ancora una volta al disagio di tanti nella chiesa di oggi (..)”, così troviamo scritto nella lettera-invito e questo assunto non ci trova in sintonia. Noi crediamo infatti che ancora forti siano i motivi di sofferenza e disagio nell’appartenere a questa Chiesa, pur continuandola ad amare. Per questo crediamo che l’impostazione del 6 febbraio non risponda appieno alle attese suscitate con il 16 maggio a Firenze. Chi ha convenuto tante persone a Firenze in quella data (e fra queste ci mettiamo anche noi che siamo radicati in questo territorio) porta una grande responsabilità: non solo “ricondurre” ma anche “farsi condurre”. Un convegno come quello proposto pur su un tema bello e profondo non ci pare che sia quello che l’assemblea e soprattutto l’ascolto profondo degli intervenuti avesse sollecitato: non avevamo parlato di metodo sinodale? Sentiamo forte il rischio della dispersione di tanti contributi generosamente offerti, anche se non “in positivo”, nel pomeriggio del 16 maggio.
Ci pare infatti che il 16 maggio chiedesse attivazione di reti, partecipazioni dal basso, connessioni di esperienze, non convegni di dottrina teologica calati un po’ dall’alto. Senza equivoci, il programma proposto ci pare molto bello e sarà di sicuro oggetto di partecipazione da parte nostra individualmente come singoli credenti, ma non lo sentiamo nella strada tracciata il 16 maggio e fra le nostre finalità. Pensiamo infatti che anche la stessa impostazione della giornata, pur su un tema così attuale e con momenti di preghiera, risenta della volontà di prescindere dalla contingenza che quei temi portano quando invece noi crediamo che la contingenza del tempo presente necessiti in certi momenti storici la forza dello svelamento, della traduzione di quei principi, di quelle linee nella nostra vita ecclesiale, senza silenzi che non sarebbero compresi.
In conclusione, sentendo la proposta invito per il 6 febbraio 2010 non in continuità dal nostro punto di vista con il 16 maggio 2009, non possiamo aderirvi come esperienza della “Lettera” e quindi fornire anche gli aspetti organizzativi che avevano caratterizzato anche il nostro apporto “di servizio” a maggio scorso.
Saremo comunque vicini all’iniziativa nello spirito di fratelli in cammino, consapevoli che sono tante le strade della chiesa.
   
19-11-09
Ai promotori dell’incontro del 6 febbraio a Firenze
 Care sorelle, cari fratelli,
 abbiamo letto la vostra proposta  per la convocazione del 6/II pr. e siamo ovviamente d’accordo sulla preminenza del Vangelo nella vita e nella storia dei credenti; cosa d’altronde  che riteniamo come premessa e come già assodato  punto di partenza per un cammino di sinodalità da parte di tutti quelli che hanno partecipato all’incontro di maggio  e che sono convenuti a Firenze proprio a partire dall’urgenza di un vangelo da viversi e comunicarsi  in modo genuino e non soffocato da preoccupazioni ed equilibrismi  più o meno diplomatici.
 
Vorremmo perciò chiedervi se non sarebbe più efficace avere, certo, il vangelo come punto di riferimento fondamentale per il nostro confronto e il nostro cammino di sinodalità, ma rovesciando la  prospettiva, ad esempio in questo modo:
 
+  iniziare senz’altro da una preghiera comunitaria
+  riflettere sulla situazione attuale della Chiesa cattolica italiana  e della storia che stiamo vivendo:evidenziando i nodi irrisolti e le difficoltà di dialogo e di comunicazione, e confrontandoli con la Parola del  Vangelo (non con la sua deriva moralistica)  per individuare percorsi ed itinerari concreti
+  concludere con la preghiera comunitaria, che si faccia portatrice delle istanze emerse durante il
+ dibattito
Quindi:
+ partire dalla situazione attuale della e nella Chiesa cattolica italiana, con l’esposizione / introduzione di chi si è   occupato di questi temi
+ dare lo spazio maggiore possibile al confronto comune
+ individuare quella Parola del Vangelo che può essere illuminante
+ indicare cammini concreti di percorribilità  e di approfondimento nell’esperienza delle realtà locali
+ comunque  tentare alla fine una sintesi  di orientamento
 
Carissimi saluti nel nome del Signore
Network di Milano: Coordinamento 9 marzo, Gruppo Promozione Donna, Gruppo pace di S. Angelo, Il Graal, Il Guado; “Noi Siamo Chiesa”.
 
Per riferimenti :Teresa Ciccolini tel.0248196557;
Vittorio Bellavite tel. 022664753   <vi.bel@iol.it>
 
 
19-12-09
Cari amici
mi pare importante questo messaggio che Licinia ci ha inoltrato. Esso manifesta per così dire il liminare che distingue, fin dall'inizio, la nostra iniziativa da tante che vogliono partire dal basso. È un'occasione buona che potrà permettere una chiarificazione. Per questo ritengo che essa vada pubblicata sul sito e dopo si accenda un confronto. Questo confronto a mio avviso dovrebbe essere prima fra di noi per arrivare a una risposta calibrata (la lettera è indirizzata non ad un singolo, ma al gruppo promotore) che spiega il senso del nostro metodo, dove l'analisi non è affatto esclusa, ma l'inizio è dalla Parola e l'analisi è fatta alla luce della parola ascoltata. La lettera è, mi pare, anche una sollecitazione all'impostazione del seminario del 10 dicembre a Milano, che non può essere un generico discorso sullo stato della chiesa italiana, ma uno sguardo su di essa alla luce della libertà cristiana che è fatta di sottomissione al vangelo che solo permette la libertà dalla legge. È il "rovesciamento della prospettiva" che è in questione.
Pino Ruggieri
 
24-11-09
Licinia, 1l 19 scorso, ci ha inoltrato da parte di Bellavite un messaggio che metteva in discussione tutta l'impostazione di Firenze e, soprattutto il fatto che noi avessimo già messo "davanti al carro" (influsso di Ugo!) un tema forte come quello del rapporto tra vangelo e legge. Io avevo reagito inviando a tutti voi l'invito a discuterne fra di noi e preparare così una risposta condivisa. Non ho ricevuto alcuna reazione da parte vostra. Mi sembra tuttavia che il problema lo ritroveremo. Se ci pensate bene Bellavite e i gruppi che rappresenta nella sua lettera non dicono cose molto diverse da quelli della "Lettera alla chiesa fiorentina". C'è tutto un modo di atteggiarsi da parte di molti gruppi "scontenti" (come del resto lo siamo anche noi) che va capito e analizzato. Mi pare che esso sia dato dall'attenzione prioritaria alle situazioni "difficili" che per se stessa sarebbe capace di generare - per la reazione sana di quanti si ispirano ad un rinnovamento che parta dalla base attenta al vangelo - una ben più sana esperienza di chiesa. Personalmente non condivido questo metodo. In tanti anni si è dimostrato ultimamente sterile. Nella storia della chiesa sono state persone cristianamente robuste e idee forti che hanno operato nel senso giusto e non già lamenti e invocazioni. Io parto dal presupposto che la chiesa sia stata sempre la "casa di Rahab" (nel vocabolario italiano c'è tutto un lessico che rende l'espressione pudica di Origene). Quella della I Cor non era molto diversa da quella descritat nelle "lettere abruzzesi" da cui Maria Cristiana è rimasta toccata tanto. Vivremo sempre dentro questo bordello. Il peccato degli altri deve essere portato con il sentire in grande di Dio sulle nostre spalle. Ma lamentarsi e piangere sulel spalle degli altri serve a ben poco. Occorre invece caricarsi di tutto - soprusi ecclesiastici e lamenti indignati - e reagire così come la 2 Pt 1, 3-11 ci esorta a fare.
Pino Ruggieri
 
 


30-11-09
Da: Antonio Gorgellino [mailto:antonio.gorgellino@fastwebnet.it]
Inviato: lunedì 30 novembre 2009 11.01
A:Ugo ROSEMBERG
Oggetto: su Firenze 2
Ciao Ugo ! 
volevo informarti che ho richiesto a Simona - cc Claudio  e Beppe , che all'argomento  Firenze due fosse dedicato un attimo di riflessione. Ecco il testo della richiesta:
Il disagio e il dissenso se non esteriorizzati portano l'ulcera!
 
Ciao Simona!
sulla tematica proposta per Firenze due , vorrei "timidamente" chiedere  al coordinamento di dedicare 5 minuti nel riflettere sulla necessità di ampliare il discorso (come d'altronde già richiesto da alcuni gruppi) sulla condivisione di esperienze di chiesa che attualmente si vivono.
Non solo fare teologia (necessaria) ma fare assemblea-comunione di esperienze ovvero fare chiesa nel senso più ampio.
Il fermarsi alla sola teologia. ,  diventa  materia sterile (la fede senza la carità....). I tempi della scuola sono finiti (non i tempi dell'apprendimento) così pure i tempi delle prediche . Il Concilio (e la sua eredità) ci ha dato le dritte per vivere il Vangelo nel nostro tempo.
L'invito del Vangelo (che abbiamo ricevuto) ci chiede  di  essere il sale della terra , e  a mettere in pratica le beatitudini dato che le medesime sono attualizzazioni di necessità terrene .
Grazie dell'attenzione.
Cordialità
Tony


 

 
 
30-11-09
Caro Antonio, grazie!
Firenze 2, secondo me, non si avvia a fare solo teologia. Intanto la relazione biblica non è teologia, strettamente parlando, e di relazione teologica ve n'è una sola. Anche volendo iscrivere il biblista fra i teologi abbiamo poi la terza relazione (Bartolomei-De Sandre) sulla situazione di fatto della chiesa che sarà preparata in un incontro che terremo a Milano il 10/12.
 
Sulle argomentazioni da Firenze e da Milano noi ci stiamo scrivendo parecchio. E discutendo e pensando. La questione è sempre di sapere da dove si prende l'avvio.
 
Tu suggerisci: condivisione di esperienze di chiesa che attualmente si vivono. assemblea-comunione di esperienze
 
Questo pare importante a tutti noi, penso. Però è interessante la tua reazione. E' come se ti sembrasse che trascuriamo qualche cosa: potresti aiutarci a capire meglio? Le tue ultime frasi sono abbastanza generiche da non essermi di aiuto sufficiente per poter ascoltare e interpretare quello che ti sta a cuore.
 
Ti invito a segnalarmi fin d'ora quel che credi in dettaglio per l'incontro del 10/12, ma non oltre domenica 6 mattina. Lo inoltrerò ai partecipanti, ma dal 7 al 9 non posso occuparmene.
 
E poi a Firenze penso che potrete venire a raccontare in ogni caso. Ugo
 
1-12-09
Cari amici e amiche,
solo per dire, con ritardo, che concordo con la tesi di Pino Ruggieri. Il senso della nostra pur piccola iniziativa sta nel "rovesciamento della prospettiva". Solo partendo dalla Parola e dal confronto con la Parola può riproporsi la dirompente novità dell'Evangelo e la sua forza radicalmente liberante, per ciascuno di noi e per la chiesa (in ogni tempo, in ogni luogo e in ogni frangente storico).
Convengo che occorre un meditato, collettivo ed esplicito chiarimento sul senso  del documento per "Firenze2" e del nostro ritrovarci in ragione (soltanto) del "Vangelo che abbiamo ricevuto". Nell'incontro milanese sarebbe forse opportuno dedicare un tempo (previamente delimitato !!!) per una risposta che ci è chiesta e che credo siamo tenuti a dare.  La riflessione di don Paolo, giunta oggi, offre elementi profondi e convincenti, ma forse occorre una risposta più sintetica e maggiormente accessibile per tutti.
Luciano Guerzoni
 
1-12-09
Cari amici e amiche,
forse la divergenza non è grossa.
"Firenze 1" (16 maggio) partì dal famoso "disagio", raccolto e riferito da Ugo Rosenberg e da me. Senza quella base avremmo fatto, con le successive relazioni, un ottimo convegno di teologia e spiritualità della chiesa, senza averne ascoltata direttamente la sofferenza.
Non era, quello, "... un generico discorso sullo stato della chiesa italiana, ma uno sguardo su di essa alla luce della libertà cristiana che è fatta di sottomissione al vangelo che solo permette la libertà dalla legge" (prendo le parole che scrive Pino Ruggieri il 19-11 rispondendo alla sollecitazione di Vittorio Bellavite, v. infra).
Qual era l'origine del disagio nei vari gruppi locali che scrissero e vennero a Firenze? Proprio l'attrito tra vangelo cristiano e legge ruiniana. Fu utile e sano sia esprimersi sia porre solide basi evangeliche per proporre nella chiesa proprio un "rovesciamento di prospettiva" rispetto alla ...soteriologia politico-intrallazzistica-compromissoria (sperante nel falso messia di Arcore) ruiniana. Questo era nel movente di Firenze 1 e questo fu nel suo risultato.
Ora Pino scrive:
1) "l'analisi non è affatto esclusa, ma l'inizio è dalla Parola e l'analisi è fatta alla luce della parola ascoltata"
2) "... seminario del 10 dicembre a Milano, che non può essere un generico discorso sullo stato della chiesa italiana, ma uno sguardo su di essa alla luce della libertà cristiana che è fatta di sottomissione al vangelo che solo permette la libertà dalla legge. È il "rovesciamento della prospettiva" che è in questione".
Se capisco (giudicate voi) non si tratta di rovesciare Firenze 1 per fare Firenze 2, né di rovesciare il programma per questo secondo, ma si tratta ancora di rovesciare - cioè evangelicamente raddrizzare - la prospettiva ecclesiastica, che ha continuato (Ruini o non Ruini) a regnare, fino alla q. sui crocifissi e altre recenti (ci volevano cose madornali come i minareti svizzeri per sentire parole più giuste - ma il nostro vescovo a Torino si era già espresso come il 57% svizzero per salvare lo skyline "cristiano" della nostra città, mentre vi si costruisce un grattacielo bancario spropositato!).
Non si tratta neppure di fare un semplice bis del 16 maggio. Il seminario di Milano (con dispiacere non potrò esserci) non ripete la relazione di Ugo e mia, né usa lo stesso metodo (raccolta di voci). Darà una descrizione, costruita con competenze maggiori, valutata col metro evangelico, della situazione della chiesa italiana, un anno dopo Firenze. Con un occhio a quella situazione e l'altro al vangelo regolatore, cioè guardandoli insieme, cercheremo vie cristiane in questo presente.
Nelle mie "riflessioni dopo Firenze 1" per il libro di Melloni "Il vangelo basta", ho creduto di dover dire che c'è circolarità, e non ordine di precedenza tra il pregare e l'operare per la giustizia. "Per la continuazione possibile, nella base della chiesa italiana, dell’appuntamento di Firenze, momento di confluenza e di nuova irradiazione, vedo due componenti ugualmente essenziali: l’ascolto continuo e intimo dell’evangelo, per potere annunciarlo con parole e vita; la responsabilità del giudizio profetico sulle potenze del mondo, che obbliga alla difesa dell’umano, immagine di Dio nel tempo e nella storia, immagine da riconoscere anzitutto negli ultimi, nelle vittime. Non c’è un prima e un dopo, un primo e un secondo tra le due linee".
Non perdiamo energie in contrapposizioni. L'impostazione attuale di Firenze 2 (stato della chiesa; vangelo e teologia della salvezza) mi sembra completa, base buona per proseguire.
Valutate voi. Scusate le tante parole. Grazie a tutti. Ciao, Enrico
 
3 -12- 09
IL VANGELO CI LIBERA, NON LA LEGGE                   
dopo il 16 maggio a Firenze
 
Giancarla Codrignani
 
Vorrei partire dalla problematica ecumenica, quale è apparsa dalle dichiarazioni del primate delle Chiesa d'Inghilterra Rowan Williams nel recente incontro con Benedetto XVI (cfr. www.lavie.fr, 24.XI.'09), dopo le disposizioni vaticane sull'accoglimento dei preti anglicani dissidenti dalla loro confessione. La chiesa cattolica - sostiene Williams - riafferma il linguaggio della regola e della gerarchia stabilito per decreto, con opposizioni formali tra docente e discenti, direttori e diretti, nonostante il Vaticano II avesse superato il verticismo giuridico gerarchico e posto il tema dell'unità in termini di compatibilità reciproca, fatti salvi i temi non negoziabili su cui le Chiese possono anche rischiare gli scismi per conflittualità non risolte. E l'accesso delle donne e degli omosessuali al presbiterato e all'episcopato non è questione secondaria, anche se mette in discussione la coerenza di una Chiesa.
Non si tratta solo di una denuncia di parte; la stessa critica, in tutta fedeltà al messaggio evangelico, viene rivolta anche da quel mondo cattolico che è attento ai problemi dell'ecumenismo, oggi in regresso totale nei fatti, a prescindere dal permanere di dichiarazioni di principio del tutto platoniche. Lo ha dimostrato l'accettazione vaticana dei dissidenti anglicani e lo dimostra il documento ortodosso antiecumenico che circola sulla rete ed è firmato da vescovi che ritengono di non avere lo stesso Dio di nessun'altra religione (A:Melloni, Il Corriere della Sera, 16.XI.'09). Analogamente, a prescindere da altri fatti recenti più di strumentalizzazione politica che di fede, non si può non dubitare della valorizzazione tutta formale del crocifisso da imporre nelle sedi istituzionali: come non sentirsi in contraddizione con il rispetto dovuto ai credenti il cui culto (ebraico e islamico) nega la possibilità di raffigurare in  immagini la divinità? Il problema di fondo è relazionarsi su un piano orizzontale di riconoscimento della reciproca ricerca di verità e perseguire ciò che unisce le confessioni cristiane (che non possono annunciare tranquillamente la pace se restano divisi quelli che credono in un solo Cristo e in un solo battesimo) e le religioni in generale.
Ormai è ampiamente discussa l'importanza del fattore religioso nelle conflittualità fra paesi di differenti interessi non solo culturali. L'arroccamento a difesa di un Dio contro un altro (che di questo si tratta) danneggia in primo luogo ogni fede e ogni ricerca di verità. Viviamo situazioni difficili anche in Europa, dove la Svizzera per referendum ha assolto i missili e condannato i minareti, e in Italia, dove, a Coccaglio, il Comune ha "democraticamente" deliberato che il Natale sia "bianco" non per innocua neve, ma per bianchezza di pelle; a Ceresara e San Martino dell'Argine (Mn) gli amministratori hanno pubblicato un "bando" per invitare i cittadini a denunciare gli immigrati irregolari; e negli stadi si contesta il calciatore Balotelli, un cittadino ritenuto indegno di rappresentare il nostro paese nella nazionale perché pur italiano è nero. Fa paura un governo che per legge ha reso reato l'immigrazione clandestina - di per sé giuridicamente non diversa dal turismo. I più giovani debbono sapere che incominciò così, partendo dall'antico pregiudizio ahimè cristiano, l'antisemitismo che delegittimò i cittadini tedeschi e italiani di "razza" ebraica, e accettò di veder fumare i camini di Auschwitz.
Per dare valore ad una fede incarnata sono tanti i problemi interni alla cattolicità che non possono essere taciuti perché possono mettere a repentaglio la trasmissione del messaggio di Cristo al futuro. Non mancano testimonianze in questo senso, sia di teologi non sempre costruttivamente valorizzati dal Vaticano, sia di gruppi di fedeli che manifestano, non solo in Italia, le loro perplessità sull'attuale  status ecclesiae che Roma ben conosce e di cui ha evidentemente paura, se rifiuta di guardare avanti.
"La nostra Chiesa non sta bene", dice un gruppo francese che ha creato la Conferenza dei battezzati di Francia: "siamo migliaia di persone, uomini e donne, religiosi e religiose, diaconi, preti, vescovi e laici che... abbiamo dato la nostra fede a Cristo e siamo pronti a render conto della speranza che ci fa vivere...e della grazia del nostro battesimo". Tuttavia, nonostante il Decreto sull'apostolato dei laici del Vaticano II e l'appello di Giovanni Paolo II alla corresponsabilità nella Chiesa, i cattolici 0francesi, non avendo "un luogo dove tutti possano discutere, ascoltarsi, sostenersi", debbono chiedere ai vescovi il riconoscimento di valore del contributo critico dei laici: è il tributo da pagare per aver condannato i fedeli alla passività e solo un'apertura alla discussione può superare le "critiche pesanti" di cui la Chiesa è oggetto.
Sempre per ricorrere ai piccoli segni, il rettore del collegio dei gesuiti del Cairo ha pubblicato su Internet una lettera al Santo Padre che non è mai arrivata a destinazione per altre vie (Il Regno n.16/'09). P. Henry Boulad, ricco di esperienze internazionali conferma che "la pratica religiosa è in costante declino" e che "il linguaggio ecclesiastico è desueto, anacronistico, noioso, ripetitivo, moralistico, totalmente inadatto alla nostra epoca". Per questo e tenuto conto della diminuzione del clero e dell' insidia delle sette, chiede alla Chiesa cattolica "che è stata la grande educatrice dell'Europa" un rinnovamento, ripensato e riformulato "dai fondamenti" sul terreno teologico, pastorale, catechetico e spirituale. Condivido, non da oggi. Ma  è necessario ottenere ascolto e non essere emarginati perché "cristiani adulti". Vorrei per questo che l'istituzione ecclesiastica si rendesse fraternamente presente al prossimo incontro, se è vero che crediamo tutti nella potenza dello Spirito.
 
09/12/09
 
Cara Maria Cristina,
            preferisco indirizzare solo a te l'email e agli altri per "cc". Lo faccio per delicatezza, spero, sia verso gli altri 12 firmatari della convocazione a "Firenze 2" (alcuni mi conoscono poco), sia verso gli altri invitati – di cui ho l'email (alcuni non mi conoscono per niente )–  alla riunione a Milano il 10 dicembre, ove sarò presente al varo del seminario da te curato con Italo de Sandre per l'analisi de La situazione attuale della chiesa.
            Nel file allegato darò le motivazioni articolate, forse fin troppo, della sofferta, travagliata adesione a "Firenze 2". Lo esprimo qui pubblicamente, perché la tua mediazione etico-spirituale
al telefono è stata fondamentale. Quasi nessuno sa che noi (io, te e Gion Gieli) ci conosciamo dalla Pentecoste del 1980, quando mi portaste al treno a Milano, scendendo dall'Abazia di S. Egidio di Sotto il Monte dove avevate festeggiato il millenario dell'Abazia che dal 1964 aveva ospitato il ramingo p. David Turoldo (presso il quale poi, sei mesi dopo, andrò a vivere per  5 anni, prima di stabilirmi dal 1986 definitivamente a Camaldoli).
- Mostra testo citato -
 
            Sono notizie non per informare gli altri interlocutori di un "privato-pubblico", ma solo per dire che cosa significa l'amicizia, intesa come l'Ottavo sacramento per p. David, o unico sacramento per p. Calati.
 
Mi scuso con chi ovviamente troverà troppo pignolesche alcune mie frasi dell'allegato. Serviranno da correzione fraterna reciproca. Mi fa un po' specie che sia stato quasi entusiasta alla fine di "Firenze 1" - anzi sono stato edificato nel senso paolino-lucano del termine –  e ora invece fatico ad orientarmi, pur nell'adesione di fondo all'impresa sinodale
A presto, Giordano di Camaldoli <Sofferta adesione a Firenze.2.doc>
 
 
 
09/12/09
Caro Padre Giordano
Giacché hai espresso perplessità sul titolo della mia relazione, di cui sono il solo responsabile, cerco di "giustificare" (come vedi uso già termini infetti) le parole: démone (e non demonio) è tratto dal fr. 119 di Eraclito, che ha attirato a suo tempo la riflessione di Heidegger. Puoi tradurlo anche con "divino". Cercherò di volgarizzare e sviluppare al tempo stesso i pensieri che ho raccolto in "La verità crocifissa" pp. 141-157. Non mi sembrano problemi riservati agli specialisti o ai biblisti, giacché la schiavitù dell'etica, della conoscenza del bene e del male, è quanto di più quotidiano ci sia ed è costitutivamente confrontata con le viscere di misericordia del Padre.
Grazie in anticipo per la "tua" misericordia
Pino Ruggieri
 
  
19-12-09
Ho fatto un bel lavoro, un regalo di Natale.
Vi mando la trascrizione di una relazione udita ieri su laici e credenti nel "seminario Bobbio", che vale anche per il tema di Firenze 2, Vangelo e legge.
Ciao, Enrico
 
Seminario Bobbio
Laici e credenti: una segreta simpatia, se intelligenti
 
L’ultimo appuntamento del Seminario internazionale “Norberto Bobbio” si è tenuto il 18 dicembre nell’Aula Magna dell’Università di Torino, su Cultura laica e religiosa: un contrasto insuperabile?
Le diverse relazioni (Virgilio Mura, Luis Salazar, Florian Schuller, Ermanno Vitale, Gustavo Zagrebelsky) saranno pubblicate (segreteria@centenariobobbio.it , www.centenariobobbio.it ). Qui mi limito a presentare un mio riassunto dell’intervento (il testo distribuito ha molte correzioni a mano), di  Florian Schuller (Katholischen Akademie in Bayern), valendomi anche degli appunti presi nell’ascolto. Questa relazione si è distinta (con quella di Zagrebelsky) per franca dialogicità, meno riscontrabile in altre relazioni.
Enrico Peyretti, 19 dicembre 2009
 
*
Sintesi della relazione di Schuller 
Bobbio l’ho sentito “filosofo della vita” più che filosofo del diritto o politologo. Vorrei parlare della questione esistenziale posta al singolo, se ci sia o ci debba essere quel “contrasto insuperabile” tra cultura laica e cultura religiosa. Presento schematicamente sette tesi.
 
Prima tesi: il cristianesimo come etica, eredità avvelenata dell’illuminismo
Kant è uno dei miei filosofi preferiti, ma non comprendeva la prassi religiosa, che per lui si riduceva ai canti da chiesa, imposti e cantati a squarciagola dai reclusi della prigione accanto a casa sua, per lui profondamente molesti.
Kant presuppone che gli uomini siano «posti in grado di valersi sicuramente e bene del loro proprio intelletto nelle cose della religione, senza la guida di altri». Non vedo come questa interpretazione possa conciliarsi col sentire della fede, come lo concepisce san Paolo. La necessità di giustificare l’atto di fede al cospetto del tribunale della propria ragione, conduce ad una giustificazione attraverso la propria azione, perché questa, al contrario del mistero dell’esistenza di Dio, sembra accessibile ad una dimostrazione razionale. Conseguenza diretta di questo credere illuminato è la sua eticizzazione, cosa che ritengo disastrosa.
La fede cristiana non costituisce un sistema etico. La fede è a-morale, nel senso che non intende primariamente pilotare il mio comportamento. Essa è anzitutto un orientamento interiore all’ultima realtà. La quale, tuttavia, con intrinseca necessità, ma in modo indiretto, implica determinati comportamenti. Come è noto, l’apostolo Paolo ha ripreso tutti i cataloghi delle virtù della filosofia stoica pagana a lui contemporanea.
Cosa resta di speciale al cristiano sul piano etico in uno stato secolarizzato? Prima di tutto gli resta la considerazione che lui, nelle cose dell’ordine secolare e dei valori fondamentali, non è più intelligente dei non cristiani e deve resistere alla tentazione di impiegare contenuti specifici della rivelazione cristiana per le attuali lacune dei valori fondanti (Hans Maier). La rivelazione cristiana non è un sacco pieno di verità.
 
Seconda tesi: le tradizioni religiose rammentano ciò che manca
Questa tesi è necessaria integrazione a quanto detto. La tradizione religiosa è un irrinunciabile contributo per il consenso in una società secolare. Ne ha parlato Jürgen Habermas già nel 2001 poi nel 2004, nel dibattito col cardinale Ratzinger su “Prepolitica fondazione morale dello Stato di Diritto”. Habermas si definisce (come Max Weber) stonato sul piano religioso (religiös unmusikalisch), ma dice: «Le tradizioni religiose permettono fino ad oggi l’espressione della coscienza di ciò che manca. Mantengono viva la sensibilità per ciò che è fallace. Preservano dall’oblio le dimensioni della nostra vita sociale e personale, nella quale i progressi della razionalizzazione culturale e sociale hanno provocato abissali distruzioni».
Secondo Habermas, l’uomo fatto «a immagine e somiglianza di Dio» (Gottebenbildlichkeit) esprime molto più del concetto di “dignità umana” (Menschenwürde). Non si tratta solo di una eventuale più intensiva motivazione del comportamento etico. Le tradizioni religiose sono di fatto insostituibili. Il ritorno del religioso vale almeno come una tradizione che fonda l’orientamento e così aiuta a superare i deficit politici e sociali che insidiano l’umanità.
Norberto Bobbio disse qualcosa di simile in una intervista con Otto Kallscheuer. Si era sempre considerato un razionalista e non un uomo di fede, ma proprio in quanto tale conosceva i limiti della ragione, capace di illuminare solo una minuscola parte delle tenebre che ci circondano. Siamo circondati e abbiamo sentore dei misteri della vita: per questa circostanza Bobbio usa il concetto di “religioso”, un fondamento degli esseri umani di fronte all’inafferrabile, al di là di tutte le dottrine e sistemi religiosi.
I veri illuministi, i veri “laici”, hanno sempre conosciuto la “dialettica dell’illuminismo”. Per Werner Scheiders esso sarebbe un affare sconfortante, per quattro ragioni: 1) poiché è infinito, ricomincia con ogni essere umano e non esaurisce nessun problema; 2) esso sconforta col tedio di distruggere le illusioni sostituendole con alcuni aridi principi; 3) sarebbe essenzialmente negativo e distruttivo, mentre vivrebbe parassitariamente dell’oscurantismo perdurante; 4) sarebbe portatore di disperazione: la sua luce avrebbe messo in fuga gli spiriti buoni e non solo quelli cattivi. Leopardi chiamava ciò il «massacro delle illusioni».
 
Terza tesi: i confini sfumano, le identità diventano multiple
Che cosa è “cultura laica”? È la caratteristica di una “era secolare”? Per Charles Taylor (A secular age, 2007), essa è 1) l’autonomia dei singoli settori (economia, politica, ecc.) senza un comune riferimento a Dio o a convincimenti religiosi; 2) l’evanescenza dei credi religiosi e delle pratiche religiose nella società; 3) la relativizzazione delle dichiarazioni di fede, che ormai rappresentano una opzione tra più opzioni.
Oltre a tutto ciò, osservo da straniero che in Italia nel concetto di “cultura laica” risuona una certa “verve” anticlericale.
E che cosa è “cultura religiosa”? Le religioni non sono scomparse nell’epoca secolarizzata. Il contenuto della parola “religione” è mutato, ed è appena utilizzabile. Per Romain Rolland la religiosità era un vago «sentimento oceanico».
I sociologi della religione (anche per non perdere il mestiere) usano questo termine in modo tanto meno vincolante quanto più la religione scompare. Lo noto in Italia come in Germania. Da un articolo del Corriere della Sera: «inutile processare presepe e angeli, meglio abbandonarsi ai riti».
Diminuisce il numero di coloro che sono legati alla chiesa, aumenta il numero dei credenti non praticanti (Detlev Pollack, sociologo della religione, di Lipsia, protestante).
Noi credenti oggi glissiamo sulla radicalità e urgenza della “questione di Dio”, posta da Johann Baptist Metz. Egli scrive che in quest’epoca di irreligiosità benevola verso la religione, la soluzione soft di una religione senza Dio sarebbe molto più tollerante e compatibile col pluralismo, che non il ricordo del Dio biblico, tramandato come Dio personale della storia e della legge.
Noi viviamo in questa situazione confusa, siamo condizionati da entrambi i mondi. C’è chi si sente più a suo agio nella cultura laica, chi in quella religiosa. I due concetti mantengono il diritto ad esistere. Ma qualche volta la fenditura corre in ogni singolo cuore. Negli esseri umani reali si mischiano entrambe le parti.
 
Quarta tesi: diventa necessario un “ecumenismo del terzo tipo”
La Chiesa guardi alla cultura del moderno non solo come al nostro interlocutore distante e separato. Il moderno ha anche radici nei valori cristiani, benché appena riconoscibili (Medard Kehl, gesuita, Francoforte).
Il teologo di Erfurt Eberhard Tiefensee distingue: 1) il primo ecumenismo, tra le chiese cristiane; 2) il secondo, tra le religioni; 3) il terzo: ciascun credente con il suo contemporaneo non credente.
L’ecumenismo presuppone che si conosca e si apprezzi l’altra parte.
Domanda che si pone a noi credenti: avete davvero interiorizzato la storia della libertà dell’illuminismo e la svolta all’individuo autonomo? Osiamo fare un discorso razionale, che né sostituisca né motivi la fede, ma si ritiri al momento giusto per permettere alle fedi di svilupparsi? Andrea Emo esprime questa dialettica associando all’atto della fede l’immagine della fenice che risorge dalle ceneri (antico simbolo di Cristo): «Il suo nido è appunto il fuoco che la distrugge».
Domanda che si pone ai laici: i credenti verranno presi sul serio e non considerati dei soggetti labili, alterati nella propria capacità razionale, che hanno bisogno di consolazione ultraterrena, perché altrimenti sarebbero incapaci a vivere?
 
Quinta tesi: la solitudine crea legami
Un intellettuale laico è per definizione solitario: risponde delle sue convinzioni senza fare affidamento sul sostegno di gruppo o comunità ideologica. La vita e le opere di Bobbio offrono più di un esempio di ciò.
Ma questo vale anche per un uomo di fede, addirittura per un cattolico. Certo, la chiesa precede l’atto di fede, ma ciò rafforza la drammaticità dell’atto religioso: percepirsi soli all’interno di una chiesa necessaria per la fede è una doppia solitudine. Essa però viene provocata dalla situazione spirituale attuale.
Già sotto il nazismo, Dietrich Bonhoeffer ha messo in dubbio il sentire religioso come connaturato agli esseri umani: «Questo folle essere sospinto verso un dio invisibile non lo può più sopportare nessun essere umano». Questa esperienza vale probabilmente per tutti i tempi. In un vangelo apocrifo nella tradizione musulmana, la ricerca di Dio ha dieci parti: nove di silenzio, la decima di solitudine. Non solo Gesù ha pregato da solo.
Per Klaus Berger (di Heidelberg, esperto di Nuovo Testamento), la chiesa sono gli esseri umani che si sono incontrati nel deserto e hanno retto insieme il silenzio di Dio.
Il deserto come topos ancestrale della solitudine appare tornato in auge nella coscienza collettiva. Per Thomas Merton la povertà dell’eremita è di natura spirituale: «Essa assale sia la sua anima sia il suo corpo e alla fine all’eremita non rimane in eredità che l’incertezza. Talora sbatte la testa contro il muro del dubbio. Forse consisterebbe in questo la sua intera meditazione. Non si tratterebbe di dubbio intellettuale, ma di altro: di una sorta di non-riuscire-più-a-capire ciò ce si è; si tratta di un dubbio che tocca le radici della stessa esistenza».
Con questo detto ho parlato davvero solo dei cristiani contemporanei, oppure ho parlato anche di Norberto Bobbio o di altre persone, che la pensano e sentono come lui?
 
Sesta tesi: abbiamo nemici comuni
In questa solitudine che unisce agnostici, atei e credenti, non si deve trascurare il vero pericoloso nemico. Forse vale anche nel campo spirituale ciò che sostiene Carl Schmitt: è essenziale per la politica definire nemico il nemico. E spesso il nemico se ne sta nel proprio campo. Sono gli intransigenti, a causa dei quali ci si deve vergognare delle proprie posizioni. Mi pare la tesi di Giancarlo Bosetti nel libro Il fallimento dei laici furiosi. Dice che da ambo le parti, dalle «truppe acriticamente fedeli alla chiesa», e dagli «indiscriminati combattenti per la laicità», posizioni irrigidite non possono più essere trasmesse alla società. In questo modo recano danno alle proprie convinzioni, così come alla società nel suo complesso. Sono questi i veri “contrasti insuperabili”.
 
Settima tesi: la paura resta una cattiva consigliera
Una ricerca sociologica sui valori a cui crede l’Europa (69° Eurobarometro, 2008) pone la religione al dodicesimo e ultimo posto. Il sociologo José Casanova (Università dei Gesuiti di Georgetown) ha diagnosticato per l’Europa «l’incapacità di riconoscere apertamente nel cristianesimo una delle componenti costitutive dell’identità politica e culturale dell’Europa». Nel suo libro L’Europa ha paura della religione, sostiene che non siano le religioni ad essere un problema per l’Europa quanto l’assunto che solo le società laiche siano società democratiche. È necessario abbattere la paura, cattiva consigliera per il dialogo e l’incontro. Questo vale per entrambe le parti.
 
Conclusioni
«Fra avversari intelligenti c’è una segreta simpatia. Dobbiamo all’intelligenza e alle virtù del nostro nemico la nostra intelligenza e le nostre virtù», scrisse il filosofo Gòmez Dàvila, che amava definirsi “reazionario”. Questo dovrebbe valere anche per la nostra domanda se fra cultura laica e cultura religiosa ci sia un contrasto insuperabile. Ma se esiste una segreta simpatia allora dovrebbe valere per il dialogo tra laici e credenti un altro aforisma di Dàvila: «Due persone intelligenti non si contraddicono senza riderci su di nascosto».
 
20-12-09
Carissimi amici,
in vista dell'incontro del 6 febbraio a Firenze, inviamo il nostro piccolo contributo per la discussione. In seguito confermeremo se e quante persone saremo presenti.
Intanto, da Modica vi giunga il nostro augurio di ogni bene e pace nel Signore Gesù che si fa uomo
Luca Licita
 
Nell’attuale prassi pastorale della Chiesa si vede e si soffre uno stile astratto nel campo dottrinale, etico e disciplinare e un intreccio concreto con orientamenti culturali e schieramenti politici che molte volte e su molti punti stridono con lo spirito e la lettera del Vangelo.
Si tratta di un’immagine prodotta dal Magistero, diffusa da una pastorale applicativa, specie a livello di catechesi e di editoria.
È un’immagine che si accredita con un linguaggio tradizionale e formalmente ortodosso, ma che produce tipi antropologici repressi e insicuri, si rende incomprensibile alla moderna cultura e pedagogia umanistica, genera sospetto di compromissioni mondane e perfino scandali quando ri0porta successo sociale come religione civile.
La Chiesa del Vangelo segue un precorso di amore, speranza, mitezza; testimonianza di uno stile alternativo nell’umile consapevolezza della propria inadeguatezza e incoerenza.
La forza del Vangelo è la persuasività di persone e comunità serene, fiduciose, creative, resistenti.
Oggi un mutamento in senso evangelico della Chiesa, nello stile e nella sostanza, può avere efficacia solo sui tempi lunghi, lavorando con umiltà e mansuetudine, dal basso, a livello dell’esperienza di grazia dei singoli e di magistero catechistico: il catechismo è lo spazio creativo e formativo per realizzare il Vangelo e rinnovare la Chiesa.
Questo movimento ecclesiale potrebbe dare continuità alla sua voce mediante una rivista o semplicemente un foglio mensile.
 
Mandi il tuo spirito, sono creati e rinnovi la faccia della terra (Salmo 103)
È meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nei potenti (Salmo 117)
Assenza Maurilio
Licitra Luca
Lorefice Carmelo
Lorefice Corrado
Sichera Antonio
 
 
22-12-09
Cara Licinia,
Il gruppo milanese di “Noi Siamo Chiesa” ha partecipato a un contributo collettivo inviato in novembre alla preparazione dell’incontro del 6 febbraio
Ti unisco ora quello del Coordinamento nazionale.
 
Auguri cordialissimi di buon Natale a te e a tutti del gruppo promotore
 
Vittorio Bellavite, coordinatore di “Noi Siamo Chiesa”
 
Care sorelle e cari fratelli promotori dell’incontro del 16 maggio e ora di quello del 6 febbraio,
il tema che indicate per il prossimo incontro, “Il Vangelo ci libera, e non la legge”, va sicuramente alla radice degli aspetti più discutibili del modo in cui oggi la nostra Chiesa tende a proporre il Vangelo e la propria presenza nella società (riduzione della fede a etica, “questioni non negoziabili”, plausibilità del cristianesimo alla luce della ragione, cattolicesimo come religione civile, “progetto culturale”, ecc.). Approfondirlo in tutte le sue conseguenze ci pare quindi assai utile e necessario oggi.
Tuttavia ci pare che la vostra proposta, per come è articolata, rischi di tradursi in “un convegno in più”, per quanto particolarmente puntuale e in grado di offrire riflessioni fondamentali, mentre, come scrivemmo nel nostro testo del 17 aprile e disse in assemblea il nostro portavoce, a noi sembra prioritario e urgente, nell’oggi del nostro paese e della nostra Chiesa in Italia, dare stabilità – attraverso questi incontri convocati da persone autorevoli e sole in grado, per la loro storia e collocazione di assolvere a tale ruolo - ad uno spazio specifico di incontro e di confronto della molteplicità di gruppi, settori ed aree che sono accomunati da un’idea “conciliare” di Chiesa. In particolare pensiamo a quelli impegnati a favore della pace e nel dialogo tra le culture; a quelli che quotidianamente cercano di porsi accanto alle persone emarginate per condividerne il cammino verso l’inclusione e la cittadinanza; a quelli che con maggior forza cercano di dare seguito alla spinta riformatrice del Concilio Vaticano II; a quelli che, spesso a partire dall’attività missionaria, si sforzano di guardare il mondo dal punto di vista dei poveri di tutti i Sud; a quelli che, richiamandosi alla tradizione del cattolicesimo democratico, mantengono come riferimento alto i valori della Costituzione e si sforzano di rinnovare il significato della laicità alla luce di una società pluralista; a quelli che si spendono nel dialogo ecumenico e con le altre fedi, dentro e ai margini delle strutture ecclesiastiche.
Pensiamo che a Firenze 1 sia emerso in modo evidente questo proposito soprattutto nel dibattito e che si siano poste le premesse per andare avanti. In questa direzione non riusciamo a capire quanto avete scritto sul “lasciare alle nostre spalle la necessità di dare voce ancora una volta al disagio di tanti nella chiesa di oggi” e su “non vogliamo parlare contro nessuno”. Possiamo anche andare aldilà della terminologia (“disagio”, “dissenso”)  che può essere equivocata o capita in modi differenti. E non c’è dubbio che non ci si debba fermare allo “sfogatolo”, ma sia necessario provare a riflettere in positivo sulle fondamenta di un modo diverso di essere Chiesa ed esserlo in Italia oggi. Non si può tuttavia ignorare che  esiste una sofferenza ( chiamamola così) diffusa e trasversale di cui abbiamo solo incominciato a parlare. Essa è diffusa e trasversale e profonda nei confronti di molte strutture ecclesiastiche. Quando la si esprime, in forme che ognuno sceglie a seconda della sua esperienza e sensibilità, si può parlare anche contro qualcuno. Perché no quando vi si è costretti da passione per la comunità e a  partire dalla lettura dell’Evangelo ?
Questa sofferenza  si è ingigantita  a pochi passi da dove ci incontriamo. Il caso Santoro/Le Piagge ci sembra costituisca proprio un esempio tipico di violenza della legge usata contro il Vangelo, contro una comunità, contro un pastore (anche con una interpretazione discutibile della stessa norma canonica). E lo stesso decreto di sabato 19  di Benedetto XVI di avviare la causa di beatificazione di Giovanni Paolo II e di Pio XII con questi tempi e senza ascoltare le legittime  obiezioni sollevate da tante parti,  fa aumentare questa sofferenza in tutta l’area “conciliare” di cui facciamo parte.
In conclusione, vogliamo ribadire che per essere utile all’evangelizzazione e nei confronti degli aspetti negativi della secolarizzazione, il nostro rincontrarci deve partire dai problemi concreti della nostra Chiesa   discuterli con parresìa  e profondità  e il tempo necessario (e quindi con tempi non soffocati dalle relazioni) e porsi l’obiettivo di organizzare un network di quanti nella  Chiesa, in modo pensoso, critico e propositivo,  vogliono riavviare il percorso conciliare.
Un abbraccio di pace a tutte/tutti per un sereno e cristiano Natale !
 
                                    Il Coordinamento nazionale di “Noi Siamo Chiesa”
 
 
25-12-09
Da parte di Marcello Vigli
 
Buon Natale
Sono ben consapevole che il caso Santoro abbia necessariamente creato problemi e suscitato interrogativi alla vigilia dell'incontro di Firenze 2. Sono analoghi a quelli che si posero quarant'anni fa gli intellettuali riuniti a Camaldoli interpellati dal ben più radicale conflitto fra Florit e l'Isolotto . La loro scelta della via dell'equidistanza  ha segnato negativamente sia lo sviluppo del "dissenso" sia il processo postconciliare di maturazione dell'autonomia del laicato. Sarà possibile evitare che il cammino iniziato in maggio s'interrompa sulla negazione della legittimità del  "disagio" provocato dall'allontanamento di Santoro dalle Piagge?  Forse solo dando seguito all'auspicio formulato da Paolo Giannoni nel suo intervento sul sito. e) Frattanto la rete può funzionare, specie attraverso il sito che è già aperto e praticabile. Qui si chiede di partecipare attivamente. Questo scambio con la tua lettera ne è già una forma (e personalmente vedrei bene che la tua lettera, come anche la mia passassero nel sito).
 
Mi permetto di far notare in proposito che potrebbe giovare una maggiore tempestività nell'inserimento dei contributi specie se suggeriscono altre piste di ricerca.. Ne ho inviato uno il 6 dicembre  non ancora pubblicato
Nel ringraziarvi per l'impegno rinnovo gli auguri
Marcello Vigli
 
PS allego di nuovo il mio testo.
 -------------------------
 
domando scusa per l'intervento del 6-12-09, temo tuttavia di non averlo ricevuto.
ho avuto problemi con la rete e poi cambiato il computer è probabile che da parte mia ci sia stata disattenzione ma temo anche qualche problema tecnico, indipendente dalla mia volontà.
la ringrazio per la pazienza, ancora mille scuse
auguri per tutto
--
un caro saluto,
licinia
segretaria del gruppo
 
 
 
 
Libertà è responsabilità
Marcello Vigli
 
Accolgo l’invito a reagire alla lettera di convocazione di Firenze 2 innanzi tutto per ringraziare  gli organizzatori per l’impegno che hanno profuso e per la responsabilità che hanno assunto.
Proprio sulla responsabilità intendo soffermarmi, per riflettere sul nesso profondo che la lega alla condizione di “esseri liberi”, a cui il Vangelo ci chiama, nella speranza che maturi una comune consapevolezza del rapporto fra libertà e responsabilità.
Nel liberarci dalla Legge il Vangelo c’impone la responsabilità di sostituirsi ad essa sia per costruire un corretto rapporto con il Padre, sia per disciplinare le relazioni fra gli uomini, resi uguali dalla comune condizione di figli che cancella ogni distinzione fra libero e schiavo e, potremmo aggiungere, fra suddito e sovrano. Negato ogni diritto divino alla sovranità di un uomo sugli altri, la gestione delle società degli umani diventa una funzione di servizio, ben rappresentata dall’appellativo: “Servus servorum Dei”, ormai obsoleto, ma sempre ricco di significato.
Si coglie, forse, meglio questo significato se si declina nel rapporto fra ruolo e funzione, fra uguaglianza e differenza, del quale deve vivere la Chiesa Popolo di Dio nel coniugare il suo essere al contempo istituzione e profezia. La prima è funzionale alla seconda. Questa è bisognosa, ma anche giudice, della prima, perché ad essa spetta il compito di storicizzare nel tempo e rendere praticabile nello spazio il comandamento dell’amore.
Ama Dio vale in qualunque modo se lo sono rappresentato e se lo rappresentano i teologi. Vale, anche se lo dichiarano ineffabile riconoscendolo irriducibile alla frenetica azione dei neuroni umani, che non si rassegnano a non poterne fornire l’”unica” immagine autentica.
Il Vangelo indica, infatti, un concreto strumento di verifica di quell’amore: si deve esprimere nell’amore per il  prossimo.
Nei secoli, però, il viandante depredato destinatario delle cure del Samaritano, è diventato, lo schiavo, l’ignorante, il malato, l’emarginato, il proletario, il migrante, l’omosessuale, il perseguitato, ... oggi e nei diversi angoli del pianeta il deprivato dei diritti umani.
Come nella parabola, per riconoscere “l’oggetto” dell’amore spesso sono inadeguati quelli che si considerano “funzionari del sacro” chiamati a gestire la “tradizione”. Si sentono responsabili di difenderne l’immaginario anche se ridotto ad un’antiquata semplificazione d’intuizioni profonde, minuziose definizioni, complicate elucubrazioni del passato.  Per la loro formazione culturale trovano difficoltà a cogliere tempestivamente quanto di nuovo e in modo sempre più accelerato si elabora o si produce nelle società e nelle culture, nelle quali l’annuncio deve essere storicizzato, “incarnato”.
Presumono che sia sufficiente mediatizzarlo assumendo nuovi linguaggi e parole alla moda, sostituendo lo studio televisivo al pulpito, surrogando le chiese vuote con piazze affollate.
Alcuni, ispirati alla visione manichea dei rapporti umani respinta dal Vaticano II,  praticano “una spiritualità della ri-conquista” e, in una prospettiva ecclesiologica preconciliare, si smarcano  dalle Chiese locali e affollano le “chiese personali”: quelle di capi carismatici fondatori di chiese parallele, quasi “altre” chiese. Ne sono caratteristiche essenziali la devozione al leader, il “riconoscimento canonico”, gli Statuti, la separatezza dalla Chiesa locale e dal laicato ‘normale’, il diretto rapporto con la Curia e con la persona del  papa tanto da essere chiamati i “Movimenti del papa”.
Compete forse agli altri fedeli, comuni cittadini del Popolo di Dio, assumersi la responsabilità di proporre modi diversi per attualizzare l’annuncio del Vangelo, per non riservarlo a pochi eletti ma renderlo condivisibile dagli ultimi della terra contaminandolo con la loro ansia di liberazione. Impresa difficile e rischiosa perché, da un lato, una diffusa diffidenza circonda ogni tentativo di assumersi questa responsabilità, dall’altro, forte è la tentazione dell’autoreferenzialità per chi tenta di assumerla: più facile è rifugiarsi nel conformismo costruendosi, magari, proprie nicchie teologiche e liturgiche.
Antidoti efficaci per vincerla sono la rinuncia a proporre modelli, la pratica del dialogo e del confronto senza pregiudizi né ingiustificate reverenze, il riconoscersi in quella Chiesa universale che, secondo le parole di mons. Alessandro Plotti - riferite da Marco Politi nel suo libro la Chiesa del No - “non è la somma delle Chiese locali ma la tensione delle Chiese locali - nella diversità delle loro storie e delle loro sensibilità – verso l’unità, verso una comunione che sfocia nella testimonianza di una convergenza sui temi essenziali. E che alla fine è poi la comunione in Gesù Cristo.”
 
Roma, 6 dicembre 2009
 


Venerd́ 08 Gennaio,2010 Ore: 17:28
 
 
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