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www.ildialogo.org Non posso o non voglio?,di Mario Mariotti

Non posso o non voglio?

di Mario Mariotti

Quando crepo ho già il mio epitaffio: “È nato che non capiva niente, è morto che capiva ancora meno”. Però pur capendo sempre meno, sapendo di non sapere, indago, così complico le cose a me stesso e un po’ anche agli altri, i quali però hanno le spalle robuste, hanno interiorizzato l’epitaffio prima che io l’abbia scritto, e non se la prendono più di tanto. Se le mie riflessioni accennano a metterli in crisi, ne escono subito brillantemente: “quello è un comunista aspirante ateo; ha perso la fede, non c’è niente di buono da aspettarsi da lui”. Lui, invece, non trova pace, sia perché ha capito che la pace del Signore è non-pace con tutto quanto contraddice l’amore, e sia soprattutto per il dialogo continuo che porta avanti con i tre ospiti che hanno preso residenza in lui. I tre ospiti sono Auschwitz, i piccini della favela del Sud, i gattini cui la scabbia succhia la vita. Il primo, l’olocausto, è il paradigma della cattiveria degli uomini; i secondi spingono ad indagare sulla sofferenza indotta dalla violenza strutturale all’ingiustizia, sul peccato mortale dell’omissione di solidarietà; il terzo allude al mistero della vita che per sussistere deve recare dolore, e all’altro mistero della presenza del dolore non finalizzato al togliere dolore.
Questi tre temi generatori, uniti alla prassi del dono delle proprie pecore, alla solidarietà nella continuità, non formalizzano però del tutto la profezia del vecchio saggio, che annunciava la Verità va incontro, Lei stessa, a coloro che trovano la forza di condividere.
La pedagogia più significativa in questo senso è il rendersi discepoli dei viventi in difficoltà: qui si condividono non solo le pecore, le proprie risorse, ma la propria stessa vita, allora pian piano si rinasce anche se vecchi, ed allora si incomincia ad intuire qualcosa, ci si comincia a vedere un po’ meglio. Nonostante tutto questo, l’epitaffio rimane, e l’indagine, la riflessione, continuano, e la non-pace lavora. E dove porta oggi la non-pace? “Io sono la vite e voi i tralci. Chi rimane in me ed io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla”. Questo è l’enunciato che Giovanni mette in bocca a Gesù, ed è su di esso che io insisto ad indagare.
Due dei miei inquilini ospiti Auschwitz ed i piccini della favela, a riflettere sia sulla reversibilità delle parole di Gesù, sia sull’incompletezza del Messaggio, sia sul mistero che sottende al suddetto annuncio. La reversibilità suona in questo modo: se è vero come è vero che: “senza di me non potere far nulla, è altrettanto vero che: senza di noi Tu non puoi fare nulla”. È vero che i tralci hanno bisogno della Vite, ma Essa stessa, per dare frutto, ha bisogno di tralci. Lo sterminio degli ebrei, un milione e mezzo dei quali erano bambini e l’olocausto dei piccini della favela del Sud, stanno a dimostrare che l’intervento di Dio, o il Suo silenzio e non-intervento, dipendono dall’incarnazione o dal rifiuto dell’Amare, dello Spirito di Dio, da parte degli uomini, che sono corpo potenziale di Lui.
Se allora Giovanni avesse messo sulle labbra di Gesù il messaggio completo: “senza di me voi non potete fare nulla, come io non posso fare nulla senza di voi”, ecco che l’invito a superare la logica religiosa, e ad entrare in quella dell’Incarnazione, sarebbe stato molto più esplicito, significativo e responsabilizzante per chi ascoltava.
È vero che l’evangelista conclude col comandamento nuovo dell’amarci fra noi come Dio ci ha amato, il quale determina la direzione laica dell’amare, che parte dalla Vite e colloca i tralci come mezzi e come fini dei frutti dell’amore incarnato nell’amare; ma la presente formalizzazione, “senza di me non potete far nulla” è rimasta incompleta , è ed è risultata deviante, perché è stata usata dalla casta sacerdotale, che ha fatto proprio il “senza di me” riferendolo a se stessa, e l’ha usato per il proprio prestigio, il proprio potere, per accumulare ricchezza, per alienare e deresponsabilizzare il prossimo.
Probabilmente l’Evangelista era condizionato, lui stesso, dalla cultura religiosa del suo tempo e del suo popolo cui apparteneva e i suoi occhi “religiosi” gli hanno impedito di completare il messaggio, di superare la logica religiosa evidenziando l’interconnessione strutturale esistente fra la Vite ed i tralci, entrambi necessari per la costruzione del Regno. In rapporto a questo messaggio, la costruzione del Regno, il “senza di voi io non posso far nulla” mancante, focalizzerebbe in modo inequivocabile la responsabilità dell’uomo, la necessità del “si” dell’uomo; come è stato necessario quello di Maria, perché lo Spirito-Verbo-Amare venga coniugato dagli uomini stessi, e porti frutto nella terra dei viventi, in questo nostro mondo che giace ostaggio della sofferenza, della violenza e della cattiveria, e aspetta, ed ha sete di venire completato, trasformato secondo Amore.
Possiamo infine al terzo punto, al mistero che sottende all’enunciato nella parte che sarebbe necessaria al suo completamento: “…come io non posso fare nulla senza di voi”. Il verbo da usare era “posso” o era “voglio”? Il signore Dio, il Padre, è stato costretto ad operare attraverso le mani degli uomini, o ha voluto come libera scelta servirsi di noi per fare arrivare a noi il Suo Amore per noi? Qui mi fermo e non so rispondere. Non voglio neppure perdere tempo a farlo, .
Se all’inizio c’è solo Dio-Spirito, e alla fine c’è il Regno, il creato compiuto secondo Amore, creato che può venire considerato come “corpus Domini”, questo per me è un intreccio troppo complesso, è un mistero inaccessibile, e anche per i teologi lo è, troppo complesso. L’unica cosa sicura è che se lo Spirito-Amare resta a soffiare sulle acque, e non trova chi gli dia corpo, chi lo materializzi nel mondo, il mondo stesso rimane un inferno. Se invece gli uomini, se le persone coniugano l’Infinito in “io amo, tu ami, egli ama” , i frutti dell’Amare, il necessario e la gioia, raggiungono e saziano ogni vivente. Per questo resta fondamentale la responsabilizzazione dell’uomo in rapporto all’Incarnazione, resta indispensabile l’abbattimento del muro costruito dalla religione per nascondere la Verità, dato che il sabato è per l’Uomo e non viceversa, e il compito di coloro che si autoqualificano quali custodi della Rivelazione sarebbe quello di indurre i fedeli credenti a lasciare in pace il Padre risparmiandogli preghiere ed epidemie liturgiche e a concentrarsi sul prossimo, sugli altri uomini, perché il Padre, per portare avanti il suo lavoro, (per completare la creazione) cerca solo delle mani che facciano agli altri ciò che vorrebbero ricevere da loro.
Questa la gioia del Padre, come di ogni padre, e questo per togliere sofferenza e portare il necessario e la gioia ad ogni vivente, a tutte le sue creature, anche alle “piccole vite”, anche ai “minimi”, che Egli ama…
 
Mario Mariotti


Luned́ 24 Agosto,2009 Ore: 15:21
 
 
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