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www.ildialogo.org La violenza nell’età dell’innocenza: il bullismo,di Giuseppe P. Fazio

La violenza nell’età dell’innocenza: il bullismo

di Giuseppe P. Fazio

Uno dei maggiori problemi che si sono evidenziati in questi ultimi anni nei rapporti tra gli studenti di ogni ordine e grado è il fenomeno del bullismo: fenomeno che può riassumersi, semplicisticamente, in uno stato di sudditanza subito da un soggetto (vittima) da parte di un altro soggetto (bullo).

Il bullismo costituisce, in sintesi, una manifestazione dell’aggressività tra le più deleterie e distruttive in quanto, perpetrata nel tempo e per lunghi periodi, spinge il soggetto vittima in un baratro di insicurezze spesso difficilmente risolvibili in età adulta.

L’aggressione, solitamente, si configura come drammatica routine che rende stabili e palesemente riconoscibili gli aspetti salienti delle parti direttamente coinvolte: il bullo si configura sempre più manifestamente come un soggetto caratterizzato da aggressività e scarsa empatia, da una buona opinione di sè e da un atteggiamento positivo verso la violenza. La vittima, di contro, tende a chiudersi in atteggiamenti ansiosi e insicuri e a produrre un’immagine negativa di sé, in quanto persona di poco valore.

Importante sottolineare che il semplice ricorso all’aggressività non differenzia di per sè i ruoli antitetici e complementari del bullo e della vittima. Anche le vittime possono far ricorso a condotte aggressive: esistono infatti vittime passive e vittime provocatrici. Queste ultime, caratterizzate da una combinazione di due modelli reattivi, quello ansioso proprio della vittima passiva e quello aggressivo proprio del bullo, possono avere comportamenti iper-reattivi, instabilità emotiva e irritabilità. Il risultato è una condotta ostile ma funzionalmente inefficace alla risoluzione del problema. Proprio la capacità di agire un comportamento aggressivo bene organizzato e funzionale ad acquisire l’obiettivo designato costituisce la linea di demarcazione che differenzia le vittime provocatrici dai bulli.

Le condotte da bullo possono essere costituite da attacchi fisici, verbali o da una serie di atteggiamenti di esclusione che intrappolano la vittima ponendola in una luce negativa e condannandola all’isolamento. Le manifestazioni del bullismo dipendono dall’età e dal genere. Come rilevato da alcune ricerche, con l’età emerge la tendenza a una limitazione nell’uso dell’aggressività fisica ai danni di ambo i sessi, mentre si assiste a un aumento di quelle molestie sottili e indirette, come calunniare ed escludere dalla relazione.

Dai dati di alcune ricerche emerge chiaramente come genitori e insegnanti sono prevalentemente ignari della portata del fenomeno e che è scarsa la comunicazione adulto-bambino sul problema. Anche coloro che hanno la necessità di chiedere urgentemente aiuto rimangono muti in quanto scarsa è l’attenzione attesa.

In ogni caso, in linea con i dati raccolti in altri Paesi, si registra una sensibile diminuzione del fenomeno nel passaggio dalla scuola elementare a quella media. Sebbene la questione rimanga da approfondire è possibile sostenere come la possibilità che determinati soggetti permangano nel ruolo di bullo o vittima vada a determinare un rafforzamento e una radicalizzazione dei rispettivi ruoli, con l’accentuarsi del rischio di una progressiva canalizzazione delle traiettorie dello sviluppo verso direzioni patologiche e devianti.

Ai fini della previsione, ma anche a quelli dell’intervento, è importante comprendere le cause del bullismo o le concomitanze che a esso si associano. Dalle ricerche a disposizione vengono smentiti alcuni luoghi comuni che tendono a porre il bullismo in relazione a particolari fattori socio-ambientali e a caratteristiche fisiche dei soggetti. Sembrerebbero, infatti, sostanzialmente disattese le ipotesi, spesso avanzate dagli insegnanti, secondo le quali un alto numero di studenti per classe e l’ampia dimensione della scuola sarebbero correlati positivamente con la presenza di prepotenze.

Un’ipotesi che con particolare attenzione è stata sottoposta al vaglio dei ricercatori è invece quella secondo la quale il bullismo sarebbe connesso a deficit di natura socio-cognitiva, come nel caso di molte condotte aggressive. Sebbene costituisca oggetto di approfondimento, l’ipotesi del deficit socio-cognitivo si applica con maggior successo alle vittime, che di fatto risultano meno capaci di affrontare la realtà sociale anche ai fini dell’immediato e del vitale interesse della difesa personale. Sembrerebbe invece esserci una correlazione con i contesti educativi e di socializzazione, in prima istanza quelli relativi all’influenza familiare. Gli studi relativi al clima familiare hanno evidenziato l’incidenza negativa sia di uno stile educativo permissivo e tollerante, sia di quello coercitivo. In entrambi i casi è probabile l’assunzione da parte del bambino di condotte aggressive, nel primo caso per l’incapacità a porre adeguati limiti al proprio comportamento, nel secondo per la tendenza a legittimare l’uso delle stesse modalità comportamentali esperite nella relazione parentale.

Ovviamente, vi sono diverse possibilità di intervento sul bullismo che vedono in primo piano un impegno non indifferente della scuola in una articolazione di azioni che vanno dal piano istituzionale a quello individuale. Tali programmi prevedono l’utilizzo di diverse tecniche: dagli incontri di classe per discutere le difficoltà o i problemi personali vissuti, all’attivazione di occasioni di apprendimento cooperativo e di attività positive comuni, a incontri tra insegnanti, genitori e alunni, a colloqui approfonditi con i bulli e con le vittime, a colloqui con i genitori degli studenti direttamente coinvolti nel problema, a incentivazione di forme di aiuto da parte di ragazzi neutrali.



16 giugno 2008
 
 
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O Ruofolo - Periodico della Comunita' di fede di Sant'Angelo a Scala (Av)

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