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www.ildialogo.org Non lasciamoli difendere dai “caporali”!,di Vitaliano Della Sala

Non lasciamoli difendere dai “caporali”!

di Vitaliano Della Sala

Questo articolo è tratto dal numero di febbraio 2010 di tempi di fraternità. Ringraziamo la redazione per avercelo messo a disposizione. Per contatti www.tempidifraternita.it

fempi di fraternità
EDITORIALE
Di notte, sempre in modo coatto e lonta­no dalle telecamere, con la scusa della sicurezza, stanno rimpatriando tantissi­mi immigrati che lavorano nelle campagne di Eboli e Battipaglia in provincia di Salerno.
Sono centinaia i nordafricani che in quei fer­tili terreni lavorano come schiavi, sfruttati, sottopagati, portati a lavorare per dieci ore al giorno da caporali-negrieri, anch’essi nordafri­cani, che speculano sulla vita dei loro connazio­nali; in questo periodo raccolgono tonnellate di finocchi per i padroni italiani. Alcuni parlano di 1000, 1200 marocchini, ma una stima attendibi­le è impossibile.
Ora qualcuno ha deciso che se ne devono an­dare, e ha preso il via una squallida caccia al­l’uomo. Prima è stato sgomberato il luogo dove passavano la notte in attesa del caporale. Un vec­chio edificio abbandonato, senza luce né acqua, infestato dai topi e dai parassiti, al posto del quale ora deve sorgere un centro commerciale.
Ora questi migranti, molti dei quali con il per­messo di soggiorno, si sono dispersi per le cam­pagne, dove dormono, riuniti in piccoli gruppi, sulla nuda terra avvolti in luride coperte, nono­stante il freddo pungente e umido di questi gior­ni. Non vogliono allontanarsi da quei luoghi per non perdere quello che eufemisticamente chia­mano lavoro.
Ad assisterli, per quanto è possibile, ci sono solo alcuni volontari, qualche sindacalista, frà Gianfranco, un giovane francescano del con­vento di Eboli, la Caritas, che però non vuol sentir parlare di clandestini e qualche politico locale. L’edificio che la Caritas ha messo a di­sposizione è vecchio, non riscaldato e con un solo servizio igienico, ma per fortuna c’è al­meno questo inadatto riparo, dove si coordina il lavoro di assistenza e la distribuzione di co­perte e pasti caldi, offerti da qualche cittadino che ha ancora un po’ di umanità. In esso, per paura di essere presi dalla polizia e espulsi, dormono però solo pochissimi immigrati. Per trovarli bisogna girare la campagna di sera, ed eccoli spuntare dai cespugli a dai solchi arati di fresco, impauriti e infreddoliti, come zombi di un film del terrore.
La vita di queste persone, che fanno arrivare frutta e ortaggi freschi sulle nostre tavole, non interessa a nessuno: le Istituzioni, dalla Regio­ne in giù, sono latitanti, e anche la società civile sembra distratta dalle puttane di Berlusconi e dai trans di Marrazzo. Mi chiedo: dove sono tutti quei cristiani che si sono indignati per la sen­tenza della Corte europea di giustizia contro i crocifissi di legno, mentre altri Crocifissi, di carne, ossa e fiato, sono trattati peggio di Cristo in croce?
Oltre ai pochi volontari improvvisatisi infer­mieri, cuochi e assistenti sociali, gli unici ad essere interessati agli immigrati sono, per assur­do, proprio i proprietari delle terre e i caporali, che temono una riduzione dei disonesti guada­gni. Per lo Stato, invece, queste persone sono invisibili, non esistono affatto.
“Se questo è un uomo”, scriveva Primo Levi parlando degli internati nei campi di sterminio nazista; è quello che ti viene da pensare di fron­te a questi poveri e sfortunati esseri umani, col­pevoli solo di essere nati nella parte sbagliata del nostro mondo, ridotti dal nostro egoismo a meno che bestie.
Non so voi ma, in questi tempi in cui l’unica parola vincente sull’immigrazione sembra essere quella razzista, xenofoba e disumana della Lega, io guardo i telegiornali e leggo i quotidiani con grande sofferenza e rabbia, anche se con una non ancora spenta speranza di sentire, finalmente, la voce forte e rappresentativa della società civile, delle Istituzioni, dei partiti, della Chiesa, dei costituzionalisti e giuristi sani e democratici del nostro Paese, che finalmente abbiano il coraggio di uscire allo scoperto e gridare quello che oggi non fa piacere a nessuno sentire: abbiamo il dovere di accogliere i migranti, altrimenti vorrà dire che la barbarie si è impadronita della nostra civiltà. È giunta l’ora di rivendicare il nostro diritto ad essere antirazzisti, uscendo allo scoperto con la “stella di Davide” cucita sulla giacca pur senza essere ebrei, dichiarandoci idealmente albanesi o kurdi o meghrebini, pur essendo nati in Italia.
È giunto il momento in cui dobbiamo fare in modo che tutti i fratelli e le sorelle migranti, anche se considerati dalla legge clandestini, restino in Italia, perché in ogni caso hanno qualcosa da insegnarci, da regalarci; perché restando potranno aiutare il nostro Paese a cambiare, potranno aiutarci a crescere.
E, se questo è il posto in cui a loro piace vivere, dobbiamo permettere che rimangano in Italia, perché i confini territoriali, l’idea di patria e di nazione fanno parte del passato: siamo tutti, egualmente, cittadini dello stesso mondo.


Domenica 14 Febbraio,2010 Ore: 17:54
 
 
Commenti

Gli ultimi messaggi sono posti alla fine

Autore Città Giorno Ora
filippo angileri trapani 15/2/2010 15.48
Titolo:
Ottimo articolo che condivido in pieno.Grazie, don Vitaliano!
Ti invito a prendere contatto con le comunità baha'i della Campania.Scoprirai un mondo nuovo e meraviglioso.
Fraterni saluti
Filippo

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