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www.ildialogo.org Chi è Matteo?,di Giovanni Carbone

Napoli
Chi è Matteo?

di Giovanni Carbone

Le peripezie di un migrante e di cerca di aiutarlo


Raggiungo il posto di lavoro servendomi del trasporto pubblico. La vettura inquina, impoverisce, impigrisce, abbrutisce.  Dalla Stazione centrale di Napoli arrivo a piedi al Centro Direzionale dove ho incontrato un giovane sedicente ghanese con il berretto teso per raccogliere moneta. Un paese civile contrasta l’accattonaggio. A Napoli c’è un mendicante ad ogni angolo, fuori ciascuna Chiesa o ciascun supermercato o ciascun cimitero. Di solito, i caporali li sbarcano dal loro furgone e li collocano nei posti più strategici in cambio del trenta percento del ricavato.
Da dove vieni? Dal Ghana. Da quanto tempo sei qui in Italia? Nove mesi. Come ti chiami? Mathew, ovvero Matteo. Non parli italiano? No. Domani mattina ti ritroverò qui? Sì.  Ti darò una serie d’informazioni.
L’indomani mattina l’ho ritrovato al solito posto. Gli ho dato un manuale utile a conoscere i luoghi dove mangiare, dormire, lavarsi, ricevere indumenti? Io stesso l’ho accompagnato alla mensa dei Carmelitani di Piazza Mercato. Qui ha avuto istruzioni di come utilizzare il servizio mensa. Di buonora può godere della prima colazione e ritirare il tiket che gli consente di mangiare un pasto in uno dei due turni di mezzogiorno. Il giovane, che ho conosciuto con gli occhi della disperazione, appariva ossigenato dall’interessamento nei suoi riguardi ma anche diffidente perché incredulo, dopo tante sofferenze patite, della gratuità del mio impegno.
L’ho poi accompagnato alla Gesco Sociale, un’agenzia di promozione sociale e di sviluppo senza perseguire fine di lucro, ubicata nel palazzo dell’INPDAP di Poggioreale. Si rivolga a Dedalus due piani più su, sono meglio organizzati per questo tipo di esigenza. Dedalus ci ha inviati invece ad un’altra associazione sita in Corso Garibaldi. Ahinoi, c’interessiamo soprattutto di minori. Per questo caso sarà risolutivo rivolgersi all’associazione che si trova in Santa Maria la Nova. Qui incontriamo Marco, un addetto dell’ONLUS, che grazie ad un progetto legalmente riconosciuto, ha dichiarato Matteo residente presso la sua associazione. Marco lo ha pure identificato compilando i dati in un’apposita scheda.
Dal colloquio in inglese è venuto fuori che Matteo di 25 anni ha raggiunto, in un classico barcone e solito calvario, Lampedusa, dove gli è stato rilasciato un permesso di soggiorno come rifugiato che gli scade a dicembre. Entro tale data, Matteo, se vorrà beneficiare di un ulteriore permesso di soggiorno, dovrà provare alla Commissione presso la Questura di Caserta le difficoltà che lo hanno costretto a espatriare e che gli rendono difficile il rientro.
La sua storia continua. La madre, del Ghana, sembra sia stata uccisa. Anche il padre, nigeriano, è deceduto. Ha delle sorelle, una convivente ed una bambina che ha visto fino a pochi mesi. Attualmente di un anno, la bambina è gravemente malata per ignota causa, come gli è stato comunicato in questi giorni. Di fatto Matteo viene dalla Nigeria, anche se sente di appartenere di più alla cultura del Ghana dove pare abbia vissuto alcuni periodi.
D’altra parte, dire di essere nigeriano non l’aiuta: i pregiudizi aumentano vorticosamente e, a torto o a ragione, anche l’ostilità. Ha poi raccontato di aver trovato a nero, nei pressi di Forcella, un posto letto in una stanza occupata già da altri due nigeriani per la cifra di € 250 mensili. Per tanto è obbligato a raccogliere molte monetine nel mese, indispensabili a far fronte alle varie necessità. Matteo termina il colloquio raccontando i fatti che gli sono accaduti proprio di recente.
Un gruppo di connazionali, provenienti da Castelvolturno e in giro per Napoli, lo avrebbero individuato e assaltato. Lo stesso gruppo qualche tempo prima pretendeva che lui Matteo facesse parte della loro gang. Sembra che gli avessero dato anche dei soldi. Pur di non far parte del clan Matteo gli avrebbe però reso l’importo. Di qui l’atto intimidatorio dei nigeriani e la volontà del giovane di volerli denunciare. Marco gli ha fissato, a questo punto, un appuntamento con un legale disponibile a seguirlo convenientemente.
A colloquio concluso, chiedevo a Marco di inserire Matteo in qualche corso di recupero scolastico e/o un corso di lingua italiana. Il periodo estivo ha rinviato la richiesta.
Intanto con la residenza è stato possibile ottenere, il giorno dopo, il codice fiscale e avviare la procedura per procurarsi la tessera sanitaria. Il lunedì mattina ho condotto Matteo all’ASL di via De Gasperi che si è detta incompetente. Quella interna all’ospedale Gesù e Maria rilascia la tessera a chi è privo di permesso di soggiorno. Quella di Piazza Nazionale ci ha mandati in Via Cesare Battisti presso la ASL, finalmente giusta al caso. Dopo una prima fila, siamo scesi per provvederci della copia del Codice Fiscale, della residenza e del permesso di soggiorno. Fatta una seconda fila gli è stata rilasciata la tessera incompleta del timbro che viene apposto nella sede di Via De Gasperi. Un iter burocratico incomprensibile e che lascia senza parole. Da italiano ho trovato complicato percorrere le varie tappe dell’assurdo labirinto! 
Il medico di base nominato fa studio in Piazza Mercato nei pressi della mensa dei Carmelitani. Qui abbiamo incontrato il carmelitano don Domenico della Tanzania. Mi ha raccomandato di accompagnare Matteo alla Curia dove incontrare un sacerdote che s’interessa dei nigeriani. Mi ha pure suggerito di interpellare le suore di Madre Teresa di Calcutta che ospitano chi è senza fissa dimora.
Mercoledì, intorno alla mezza, per una serie di casualità, ho rivisto Matteo, il giovane migrante, uscire dalla mensa dove aveva appena pranzato e che nel primo pomeriggio, come d’accordo, aveva l’appuntamento con l’avvocato a Santa Maria la Nova. Ho colto l’occasione per fargli conoscere, nello spacco, un po’ la città. Siamo arrivati a San Martino servendoci del trasporto pubblico. In questa circostanza, ho avuto prova che Matteo conosceva di Napoli Piazza Garibaldi e il Centro Direzionale. Di fronte alla funicolare è rimasto esterrefatto. Al Vomero ha avuto l’impressione di stare in un altro mondo. Gli si è mozzato il fiato al cospetto del golfo di Napoli visto da San Martino. Avrebbe voluto scattare foto a iosa.
Ahimè, impreparato, non avevo l’apparecchio fotografico.  Siamo quindi ritornati alla funicolare per scendere in Piazza Plebiscito. Una breve tappa e via per Santa Maria la Nova. Intorno alle quattro pomeridiane Matteo è stato ricevuto dal legale che si è riservato. Intanto informavo Marco sull’opportunità di un eventuale appoggio di Matteo presso le suore di Madre Teresa di Calcutta. Prima prova presso questo indirizzo - mi ha detto. Cosa che abbiamo fatto il giorno successivo.  
In questa strada del vasto e al secondo piano dello stabile indicato, sulla porta c’era affissa la tabella del Comune di Napoli. All’accettazione ci è stato riferito: troverete a giorni un posto letto nella nostra struttura di una traversa di via Duomo. Sono stato anche lì. 12 posti letto per quelli senza dimora, due o tre per stanza, sala televisione e servizi igienici. Insomma, una bella fortuna. Trovandoci in Via Duomo, ci siamo recati alla Curia dal sacerdote indicatoci dal carmelitano. Non l’abbiamo trovato. Su ulteriori indicazioni abbiamo invece raggiunto in un ufficio distaccato della Curia e negli stessi paraggi, una suora abile a dialogare in inglese che previo l’esibizione dei documenti originali prometteva a Matteo il suo sostegno nella ricerca di un posto di lavoro. All’uscita Matteo ha finalmente esternato la sua gioia oramai non più comprimibile: Signor Giovanni, mi hai cambiato la vita! Chiaramente l’ho spronato a rivolgere i suoi ringraziamenti al buon Dio.
I miei amici Nella e Mario, titolari di un affermato negozio di oggettistica nei dintorni di Piazza Garibaldi, hanno potuto costatare giorno per giorno l’evoluzione del caso. Hanno sicuramente inneggiato al successo ottenuto con tenacia e competenza. Matteo ha forse recuperato speranza e soprattutto dignità. La dignità di essere un soggetto capace di scrivere la propria storia e non un oggetto vagante tra una sventura e l’altra! Una considerazione unanime e spontanea! Oggi Matteo può contare su una rete di affetti, su trasparenti punti di riferimento. Può contare su se stesso divenuto un po’ più padrone della città e delle sue risorse. Può contare sull’amore e su un Dio che gli ha aperto la porta in un momento di profondo scoramento.
Alcune considerazioni sono d’obbligo. Perché l’esistenza di tanti labirinti? Per evitare il superaffollamento nei vari servizi e strutture? O perché a beneficiare dei servizi devono essere i soliti pochi fortunati? Perché la mancanza di accessibili informazioni? È la strategia idonea a scoraggiare la numerosa utenza? Perché incoraggiare l’accattonaggio? La perdita della dignità, che porta ad atti inconsulti, non è tanto grave rispetto al guadagno realizzato? Perché lasciar sviluppare vertiginosamente il volontariato? Non sarebbe più utile riorganizzare gli stessi volontari delle innumerevoli associazioni, spesso accattone, in centri meglio rispondenti con maggiori garanzie? Apparentemente il volontariato nasconde la disoccupazione, rende possibile il precariato, libera dalle responsabilità l’autorità che delega ai privati, ma quanta ingiustizia foraggia, quell’ingiustizia che degenera e fa danni superiori. Il volontariato concepisce figli e figliastri. Gratifica chi? Quanti? A conti fatti, rimpiazzando ciascuno al proprio posto verrebbe fuori un’organizzazione meglio produttiva e più giusta a beneficio dei più. Il volontario autentico dà direttamente il suo contributo allo svantaggiato. Non si serve dell’intermediario. Il benefattore che ama se stesso, ama anche il suo prossimo, chi gli sta nel cuore. Sa che lo svantaggiato non ha solo bisogno di denaro. Né si sciacqua la coscienza con un euro da regalare oggi ad una domani ad un’altra delle 230.000 associazioni.
Una notizia dell’ultima ora riferisce sulla volontà del governo a costruire carceri nuove! Dove lo svantaggiato costa alla collettività oltre € 300 al giorno!
 
Giovanni Carbone 12 luglio ‘09
 
 
A Curitba del Brasile - Terzo Mondo - il problema delle baraccopoli e della miseria è stato affrontato trovando sistemi semplici in grado di offrire effetti positivi immediati e un cambiamento radicale della cultura a lungo termine. E' la fantasia delle soluzioni quello che stupisce di più. Sembrano pazze ma contengono un'efficienza enorme. Ci sono servizi di distribuzione quotidiana di pasti gratuiti. Sono state costruite 14 mila case popolari... L’articolo interessantissimo, leggibile in internet Curitba Brasil, termina così: A questo punto però c’è da chiedersi come mai l'esperienza di Curitiba non sia conosciuta in Italia (Primo mondo?) ? Perché queste tecniche ingegnose ed entusiasmanti non sono diventate il cavallo di battaglia della nostra sinistra? Cosa hanno i nostri politici? Sono sprovvisti di senso pratico? Sono ammalati di serietà? Non sanno più sognare?
 
È così che si fa prevenzione?
 
Da L’Informale. Il nuovo “mostro” si chiama questa volta Salvatore Scognamiglio, 40 anni, che qualche giorno fa, a Napoli, ha rubato un pacco di biscotti del valore di 1,29 euro. Purtroppo per lui, due agenti della sorveglianza si sono accorti del reato e lo hanno consegnato ai carabinieri: la legge deve avere il suo corso, è normale. Davanti ai carabinieri, Scognamiglio sembra essersi giustificato così: “Mi vergogno, avevo fame”; tuttavia è stato riconosciuto responsabile di rapina impropria. La nuova legge Cirielli, che prevede un giro di vite per i recidivi (Salvatore aveva già commesso reati simili), impone di non poter applicare attenuanti generiche o per danno lieve; dunque, questo delinquente, ha avuto una condanna a tre anni di carcere. La notizia è passata in sordina, non tutti i quotidiani hanno pubblicato questa vittoria della giustizia sul male. “Mi vergogno, avevo fame”: da un lato, il senso civico e l’educazione che ci è stata data ci fa pensare subito che rubare è, e resta, reato. Tuttavia questa notizia fa viaggiare l’immaginazione, ed attraverso questo viaggio possiamo provare a spiegare come un uomo rinunci alla propria dignità per fame. Per il primo e veramente uguale bisogno che ci accomuna tutti: neri, bianchi, ricchi, poveri, stupidi, geni. Sembra vederli gli addetti alla sicurezza: un pacco di wafer può semplicemente essere nuovamente riposto nello scaffale, Salvatore sarebbe potuto essere allontanato, magari dicendogli di non farsi vedere più. Ma è la sicurezza gente: via, dai carabinieri. Anche i carabinieri sembra di vederli. Uno di loro, voglia di carriera e fede nella legalità, interroga a fari puntati Salvatore. L’altro batte a macchina l’assurdo motivo del delitto: avevo fame. Che motivo è? La fame è incomprensibile a chi non l’ha mai avuta, e poi Salvatore aveva commesso reati simili: è un recidivo, un ladro, delinquente, un pericolo per la sicurezza, per l’incolumità, per il quieto vivere. Processo immediato. La legge è uguale per tutti, il reato di furto è uguale per tutti, gli anni di carcere da scontare sono proporzionali al reato commesso per tutti. Le condanne a volte non sono per tutti: se dichiari che il motivo per cui hai rubato è stato per fame, sei spacciato. Se dichiari altri motivi, o ti avvali della facoltà di non rispondere, hai qualche speranza di salvarti. Rosario di Raimondo 10 luglio ‘09
 
 


Martedì 14 Luglio,2009 Ore: 16:41
 
 
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