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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org I HAVE A DREAM…,di Daniela Zini

80 anni fa nasceva Martin Luther King (1929-1968)
I HAVE A DREAM…

di Daniela Zini

AI SANS PAPIERS DI TUTTO IL MONDO, ESSERI UMANI SENZA IDENTITA'- QUINDI SENZA DIRITTI - CORPI SENZA OMBRA PER GLI STATI E LE LORO VANTATE ED ESPORTATE "DEMOCRAZIE
 
 
“I have a dream: that one day this nation will rise up and live out the true meaning of its creed: "We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal.”.”
“Ho un sogno: che un giorno questa nazione si sollevi e viva pienamente il vero significato del suo credo: "Riteniamo queste verità di per se stesse evidenti, che tutti gli uomini sono stati creati uguali.”.”
Martin Luther King
 
Il 20 settembre 1958, nel pomeriggio, un uomo di media statura – un nero – sta autografando copie del suo primo libro, Stride Toward Freedom, in una libreria della 125ma Strada West, la grande strada di Harlem, quando una donna nera gli si avvicina e gli chiede:
 
“È lei il dr. King?”
 
L’uomo solleva lo sguardo dal libro, uno sguardo dolce e vuoto insieme e assente con la testa. In quel preciso istante la donna gli conficca nel petto un tagliacarte affilatissimo. La lama raggiunge l’aorta del dr. King. Ma l’uomo non si muove, non cade, non emette un gemito. Solo qualche perla di sudore freddo appare sulla sua fronte. Viene trasportato fuori della libreria su una sedia e su quella sedia è fatto salire sull’ambulanza. I medici diranno, poi, che il dr. King si era salvato vita, facendo appello al suo freddo coraggio. Se avesse fatto anche un impercettibile movimento, un colpo di tosse, la lama avrebbe reciso l’aorta.
Il reverendo Martin Luther King jr. entra nella storia contemporanea attraverso questo episodio di sangue. 
La donna, Izola Ware Curry, era una nera, una domestica di quarantadue anni, che, poi, venne rinchiusa in manicomio. Il Dr. King la perdonò, ma tutti gli altri la giudicarono pazza. E, tuttavia, alla domanda:
 
“Perché volevi ucciderlo?”,
 
lei rispose sempre con molta lucidità:
 
“Volevo ucciderlo perché il reverendo King è un pericolo per la razza nera.”
 
“In che senso è un pericolo?”,
 
le chiesero.
 
“Il Signore vuole che la razza nera sia sottoposta al bianco, che ne è superiore, e non sporchi la sua mente con ribellioni politiche. Il dr. King è un pericolo per la razza nera perché non predica l’obbedienza, ma la rivolta contro il bianco. È dannato e condannato. È per queste ragioni che ho voluto che morisse.”
 
Anche molti bianchi, specie nel Deep South, la pensavano come la donna nera di Harlem. Il Governatore della Georgia, lo Stato nel quale King era nato, nel 1929, dichiarò, nel 1961:
 
“Il reverendo King è un uomo pericoloso, da sorvegliare a vista.”
 
J. Edgar Hoover, direttore dell’FBI,  lo definì “il più noto bugiardo d’America” e l’ex-presidente Truman un “piantagrane”.
Il dr. King era, infatti, un “piantagrane”: voleva l’integrazione, vale a dire la fine della miseria e dell’umiliazione del ghetto, predicando pace, giustizia e non-violenza. La violenza scoppiava sempre da qualche altra parte, in qualche altro quartiere, non nella black belt del sud, e, quando, alcune fucilate “bianche” furono sparate in un quartiere nero di Albany (Georgia), nel 1962, e qualche nero disse che erano state sparate al dr. King, questi dal pulpito di una chiesa replicò:
 
“Qualche pallottola potrà anche crocefiggermi e io morire. Ma voglio ripetere che, se anche dovessi morire in battaglia, voglio che si dica: “ È morto per fare libera la sua gente.”.”
 
Martin Luther King era votato alla morte e ne era cosciente. Conosceva bene il sud e conosceva anche l’uomo bianco del sud. Ma ripeteva unione, non separazione.
 
“Noi abbiamo bisogno del bianco perché ci liberi dai nostri complessi di inferiorità e il bianco ha bisogno del nero perché si liberi dai suoi complessi di colpa.”
 
Iniziando la sua crociata di liberazione dal pulpito della sua chiesa a Montgomery (Alabama), nel 1955, Martin Luther King jr. sapeva a cosa sarebbe andato incontro: la violenza, che è l’altra faccia del sud. In quasi tutto il sud – in quegli Stati, dove spesso i diritti dell’uomo venivano dimenticati, dove spesso qualcuno moriva per la furia popolare – bastava un niente, a volte, perché l’aria si riempisse di spari. E, dal 1955 in poi, quel niente essenziale si chiamò integrazione.
King ebbe il Premio Nobel per la pace, nel 1964, a trentacinque anni.
Era un uomo di media statura, dai lineamenti rudi e marcati, da lottatore. Ma la dolcezza dei suoi occhi e la delicatezza delle sue mani ne fecero un uomo pensoso, ispirato. Non predicò mai contro i bianchi e questo, da una parte, gli alienò molti seguaci e, dall’altra, diede vita a nuovi capi, quali Stokely Carmichael e H. Rap Brown, sostenitori del Black Power e dell’azione a suono di mitraglia, incendi, devastazioni e odio e, poi, odio e, poi, odio, contro la razza bianca americana.
King predicava una nuova coscienza, quella dell’eguaglianza, quella che ha nome GIUSTIZIA.
Quando era studente all’Università di Boston, dove si laureò in teologia sistematica, Martin Luther King jr. prese a interessarsi ai principi di disobbedienza civile, esposti sia da Henry David Thoreau (1817-1862) sia da Mohandas Karamchand Gandhi (1869-1948). Più tardi, quando, nel sud, iniziarono i moti studenteschi di boicottaggio contro la segregazione negli autobus, nei ristoranti e nelle scuole, King precisò le sue idee sulla disobbedienza civile e diede vita alla sua filosofia che predicava la resistenza passiva e la non-violenza. Per King resistenza passiva significava predisposizione alla sofferenza e al sacrificio.
 
“È un qualcosa come andare in galera o anche morire. Ma se così è, allora bisognerà riempire le galere di tutta la gente del sud. È qualcosa come morire, morire fisicamente. Ma se la morte è il prezzo che l’uomo deve pagare per liberare i suoi figli e i suoi confratelli bianchi da una permanente morte spirituale, allora niente potrebbe essere più redentrice di questa.”         
 
Durante la campagna presidenziale del 1960, i seguaci di King che instaurarono in tutta l’America i Sit-ins, inscenarono una dimostrazione pacifica ad Atlanta. King venne arrestato con il pretesto che guidava senza possedere la patente dello Stato della Georgia. John Fitzgerald Kennedy telefonò, in segno di solidarietà, a Coretta King e, in seguito, si disse che Kennedy fosse divenuto presidente degli Stati Uniti soprattutto per i voti dei neri: voti che arrivarono opportuni, dopo quella telefonata.
Per King quell’arresto era ingiusto perché la legge era ingiusta.
 
“Io obbedisco alla legge quando è giusta, quando è in linea con la legge morale dell’universo. Ma quando la coscienza ci dice che una legge è ingiusta, allora l’uomo giusto non ha alternative e deve scientemente disobbedire a quella legge.”
 
La punizione che ne segue, accettata con animo nobile, viene a significare nobilitazione della legge stessa.
A questo proposito King osservò che Socrate, i primi cristiani, gli abolizionisti del sud e tutti coloro che si opposero a Hitler praticarono la disobbedienza civile.
Niente è stato più decisivo per la causa nera – e, di riflesso, per una maggiore comprensione delle radici del razzismo bianco americano – come la predicazione e la morte di Martin Luther King jr. Non si cancellerà mai dalla coscienza americana il giorno della sua tragica morte, né mai si cancelleranno i giorni dei funerali di Atlanta, che ricordavano i giorni tragici di un’altra morte, quella di John Fitzgerald Kennedy. Chi gli sparò, il 4 aprile 1968, a Memphis, da una casa di mattoni rossi di fronte al balcone del suo albergo, fu descritto dai testimoni come un bianco, in abito nero, alto un metro e settanta, tra i ventisei e i trentadue anni di età. L’arma: un fucile Remington 30-06, con mirino a telescopio. Jesse Jackson, suo collaboratore, che era in strada, nell’attesa che King, in piedi sul balcone, scendesse per andare a cena, riferì:
 
“Gli avevo appena presentato un cantante di Chicago, Benjamin Branch, che doveva cantare alla messa di inaugurazione alla marcia del prossimo giovedì sera. E il dr. King disse a Branch: “Si ricordi di cantare Precious Lord per me. E lo canti molto dolcemente…”. Quindi guardò su, davanti a sé e si girò per rientrare nella stanza. Sono sicuro che stava guardando direttamente al di là della strada – da quella parte da cui è arrivata la pallottola…”
 
Aveva, forse, visto il suo assassino?
Alla stessa maniera aveva guardato diritto in volto la donna che gli aveva chiesto, in quel 20 settembre 1958:
 
“È lei il dr. King?” 
 
Martin Luther King era un ribelle. Era un missionario e un profeta. Un predicatore, uno che era stato arrestato, incarcerato, picchiato, lapidato e, anche, accoltellato. Ed era, anche, uno che sapeva che, un giorno, sarebbe stato ucciso. Il giorno prima del suo assassinio, rivolgendosi a una folla di duemila sostenitori, aveva chiamato la sua marcia verso i diritti civili “marcia verso la terra promessa”. Circolavano voci insistenti che la sua vita fosse in pericolo, come non mai.
 
“Non so ciò che accadrà. Abbiamo giorni difficili davanti a noi. Ma a me non importa più ormai. Io sono salito in cima alla montagna, pertanto, non importa più ormai. Io voglio solo fare il volere di Dio. Lui mi ha consentito di salire in cima alla montagna. E di là ho guardato e ho visto la terra promessa. è possibile che là non vi arriverò con voi, ma voglio che sappiate stasera che noi, come popolo, arriveremo alla terra promessa. è per questo che sono felice stasera. Io non ho paura di nessun uomo. I miei occhi hanno visto la Gloria dell’arrivo del Signore.”
 
 
 
 
I have a dream
by Martin Luther King, Jr.
Speech delivered on the steps at the Lincoln Memorial in Washington D.C. on August 28, 1963

I am happy to join with you today in what will go down in history as the greatest demonstration for freedom in the history of our nation.
Five score years ago, a great American, in whose symbolic shadow we stand today, signed the Emancipation Proclamation. This momentous decree came as a great beacon light of hope to millions of Negro slaves who had been seared in the flames of withering injustice. It came as a joyous daybreak to end the long night of their captivity.
But one hundred years later, the Negro still is not free. One hundred years later, the life of the Negro is still sadly crippled by the manacles of segregation and the chains of discrimination. One hundred years later, the Negro lives on a lonely island of poverty in the midst of a vast ocean of material prosperity. One hundred years later, the Negro is still languished in the corners of American society and finds himself an exile in his own land. And so we've come here today to dramatize a shameful condition.
In a sense we've come to our nation's capital to cash a check. When the architects of our republic wrote the magnificent words of the Constitution and the Declaration of Independence, they were signing a promissory note to which every American was to fall heir. This note was a promise that all men, yes, black men as well as white men, would be guaranteed the “unalienable Rights” of “ife, Liberty and the pursuit of Happiness”. It is obvious today that America has defaulted on this promissory note, insofar as her citizens of color are concerned. Instead of honoring this sacred obligation, America has given the Negro people a bad check, a check which has come back marked “insufficient funds”.
But we refuse to believe that the bank of justice is bankrupt. We refuse to believe that there are insufficient funds in the great vaults of opportunity of this nation. And so, we've come to cash this check, a check that will give us upon demand the riches of freedom and the security of justice.
We have also come to this hallowed spot to remind America of the fierce urgency of Now. This is no time to engage in the luxury of cooling off or to take the tranquilizing drug of gradualism. Now is the time to make real the promises of democracy. Now is the time to rise from the dark and desolate valley of segregation to the sunlit path of racial justice. Now is the time to lift our nation from the quicksands of racial injustice to the solid rock of brotherhood. Now is the time to make justice a reality for all of God's children.
It would be fatal for the nation to overlook the urgency of the moment. This sweltering summer of the Negro's legitimate discontent will not pass until there is an invigorating autumn of freedom and equality. Nineteen sixty-three is not an end, but a beginning. And those who hope that the Negro needed to blow off steam and will now be content will have a rude awakening if the nation returns to business as usual. And there will be neither rest nor tranquility in America until the Negro is granted his citizenship rights. The whirlwinds of revolt will continue to shake the foundations of our nation until the bright day of justice emerges.
But there is something that I must say to my people, who stand on the warm threshold which leads into the palace of justice: In the process of gaining our rightful place, we must not be guilty of wrongful deeds. Let us not seek to satisfy our thirst for freedom by drinking from the cup of bitterness and hatred. We must forever conduct our struggle on the high plane of dignity and discipline. We must not allow our creative protest to degenerate into physical violence. Again and again, we must rise to the majestic heights of meeting physical force with soul force.
The marvelous new militancy which has engulfed the Negro community must not lead us to a distrust of all white people, for many of our white brothers, as evidenced by their presence here today, have come to realize that their destiny is tied up with our destiny. And they have come to realize that their freedom is inextricably bound to our freedom.
We cannot walk alone.
And as we walk, we must make the pledge that we shall always march ahead.
We cannot turn back.
There are those who are asking the devotees of civil rights, “When will you be satisfied?” We can never be satisfied as long as the Negro is the victim of the unspeakable horrors of police brutality. We can never be satisfied as long as our bodies, heavy with the fatigue of travel, cannot gain lodging in the motels of the highways and the hotels of the cities. We cannot be satisfied as long as the negro's basic mobility is from a smaller ghetto to a larger one. We can never be satisfied as long as our children are stripped of their self-hood and robbed of their dignity by signs stating:
“For Whites Only.”
We cannot be satisfied as long as a Negro in Mississippi cannot vote and a Negro in New York believes he has nothing for which to vote. No, no, we are not satisfied, and we will not be satisfied until “justice rolls down like waters, and righteousness like a mighty stream”.
I am not unmindful that some of you have come here out of great trials and tribulations. Some of you have come fresh from narrow jail cells. And some of you have come from areas where your quest -- quest for freedom left you battered by the storms of persecution and staggered by the winds of police brutality. You have been the veterans of creative suffering. Continue to work with the faith that unearned suffering is redemptive. Go back to Mississippi, go back to Alabama, go back to South Carolina, go back to Georgia, go back to Louisiana, go back to the slums and ghettos of our northern cities, knowing that somehow this situation can and will be changed.
Let us not wallow in the valley of despair, I say to you today, my friends.
And so even though we face the difficulties of today and tomorrow, I still have a dream. It is a dream deeply rooted in the American dream.
I have a dream that one day this nation will rise up and live out the true meaning of its creed:
“We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal.”
I have a dream that one day on the red hills of Georgia, the sons of former slaves and the sons of former slave owners will be able to sit down together at the table of brotherhood.
I have a dream that one day even the state of Mississippi, a state sweltering with the heat of injustice, sweltering with the heat of oppression, will be transformed into an oasis of freedom and justice.
I have a dream that my four little children will one day live in a nation where they will not be judged by the color of their skin but by the content of their character.
I have a dream today!
I have a dream that one day, down in Alabama, with its vicious racists, with its governor having his lips dripping with the words of “interposition” and “nullification” -- one day right there in Alabama little black boys and black girls will be able to join hands with little white boys and white girls as sisters and brothers.
I have a dream today!
I have a dream that one day every valley shall be exalted, and every hill and mountain shall be made low, the rough places will be made plain, and the crooked places will be made straight; and the glory of the Lord shall be revealed and all flesh shall see it together.
This is our hope, and this is the faith that I go back to the South with.
With this faith, we will be able to hew out of the mountain of despair a stone of hope. With this faith, we will be able to transform the jangling discords of our nation into a beautiful symphony of brotherhood. With this faith, we will be able to work together, to pray together, to struggle together, to go to jail together, to stand up for freedom together, knowing that we will be free one day.
And this will be the day -- this will be the day when all of God's children will be able to sing with new meaning:
“My country 'tis of thee, sweet land of liberty, of thee I sing. Land where my fathers died, land of the Pilgrim's pride, From every mountainside, let freedom ring!”
And if America is to be a great nation, this must become true.
And so let freedom ring from the prodigious hilltops of New Hampshire.
Let freedom ring from the mighty mountains of New York.
Let freedom ring from the heightening Alleghenies of Pennsylvania.
Let freedom ring from the snow-capped Rockies of Colorado.
Let freedom ring from the curvaceous slopes of California.
But not only that:
Let freedom ring from Stone Mountain of Georgia.
Let freedom ring from Lookout Mountain of Tennessee.
Let freedom ring from every hill and molehill of Mississippi.
From every mountainside, let freedom ring.
And when this happens, when we allow freedom ring, when we let it ring from every village and every hamlet, from every state and every city, we will be able to speed up that day when all of God's children, black men and white men, Jews and Gentiles, Protestants and Catholics, will be able to join hands and sing in the words of the old Negro spiritual:
“Free at last! Free at last!
Thank God Almighty, we are free at last!”
 
 
I ho un sogno
Martin Luther King
Discorso pronunciato sui gradini del Lincoln Memorial a Washington il 28 agosto 1963
 
Oggi sono felice di essere con voi in quella che nella storia sarà ricordata come la più grande manifestazione per la libertà nella storia del nostro paese.
Un secolo fa, un grande americano, che oggi getta su di noi la sua ombra simbolica, firmò il Proclama dell'emancipazione. Si trattava di una legge epocale, che accese un grande faro di speranza per milioni di schiavi neri, marchiati dal fuoco di una bruciante ingiustizia. Il proclama giunse come un'aurora di gioia, che metteva fine alla lunga notte della loro cattività.
Ma oggi, e sono passati cento anni, i neri non sono ancora liberi. Sono passati cento anni, e la vita dei neri è ancora paralizzata dalle pastoie della segregazione e dalle catene della discriminazione. Sono passati cento anni, e i neri vivono in un'isola solitaria di povertà, in mezzo a un immenso oceano di benessere materiale. Sono passati cento anni, e i neri ancora languiscono negli angoli della società americana, si ritrovano esuli nella propria terra.
Quindi oggi siamo venuti qui per tratteggiare a tinte forti una situazione vergognosa. In un certo senso, siamo venuti nella capitale del nostro paese per incassare un assegno. Quando gli architetti della nostra repubblica hanno scritto le magnifiche parole della Costituzione e della Dichiarazione d'indipendenza, hanno firmato un “pagherò” di cui ciascun americano era destinato a ereditare la titolarità. Il “pagherò” conteneva la promessa che a tutti gli uomini, sì, ai neri come ai bianchi, sarebbero stati garantiti questi diritti inalienabili: “vita, libertà e ricerca della felicità”.
Oggi appare evidente che per quanto riguarda i cittadini americani di colore, l'America ha mancato di onorare il suo impegno debitorio. Invece di adempiere a questo sacro dovere, l'America ha dato al popolo nero un assegno a vuoto, un assegno che è tornato indietro, con la scritta “copertura insufficiente”. Ma noi ci rifiutiamo di credere che la banca della giustizia sia in fallimento. Ci rifiutiamo di credere che nei grandi caveau di opportunità di questo paese non vi siano fondi sufficienti. E quindi siamo venuti a incassarlo, questo assegno, l'assegno che offre, a chi le richiede, la ricchezza della libertà e la garanzia della giustizia.
Siamo venuti in questo luogo consacrato anche per ricordare all'America l'infuocata urgenza dell'oggi. Quest'ora non è fatta per abbandonarsi al lusso di prendersela calma o di assumere la droga tranquillante del gradualismo. Adesso ' il momento di tradurre in realtà le promesse della democrazia. Adesso è il momento di risollevarci dalla valle buia e desolata della segregazione fino al sentiero soleggiato della giustizia razziale. Adesso è il momento di sollevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell'ingiustizia razziale per collocarla sulla roccia compatta della fraternità. Adesso è il momento di tradurre la giustizia in una realtà per tutti i figli di Dio.
Se la nazione non cogliesse l'urgenza del presente, le conseguenze sarebbero funeste. L'afosa estate della legittima insoddisfazione dei negri non finirà finché non saremo entrati nel frizzante autunno della libertà e dell'uguaglianza. Il 1963 non è una fine, è un principio. Se la nazione tornerà all'ordinaria amministrazione come se niente fosse accaduto, chi sperava che i neri avessero solo bisogno di sfogarsi un po' e poi se ne sarebbero rimasti tranquilli rischia di avere una brutta sorpresa.
In America non ci sarà né riposo né pace finché i neri non vedranno garantiti i loro diritti di cittadinanza. I turbini della rivolta continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione finché non spunterà il giorno luminoso della giustizia.
Ma c’è qualcosa che devo dire al mio popolo, fermo su una soglia rischiosa, alle porte del palazzo della giustizia: durante il processo che ci porterà a ottenere il posto che ci spetta di diritto, non dobbiamo commettere torti. Non cerchiamo di placare la sete di libertà bevendo alla coppa del rancore e dell’odio. Dobbiamo sempre condurre la nostra lotta su un piano elevato di dignità e disciplina. Non dobbiamo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica. Sempre, e ancora e ancora, dobbiamo innalzarci fino alle vette maestose in cui la forza fisica s'incontra con la forza dell'anima.
Il nuovo e meraviglioso clima di combattività di cui oggi è impregnata l'intera comunità nera non deve indurci a diffidare di tutti i bianchi, perché molti nostri fratelli bianchi, come attesta oggi la loro presenza qui, hanno capito che il loro destino è legato al nostro. Hanno capito che la loro libertà si lega con un nodo inestricabile alla nostra. Non possiamo camminare da soli. E mentre camminiamo, dobbiamo impegnarci con un giuramento: di proseguire sempre avanti. Non possiamo voltarci indietro.
C'è chi domanda ai seguaci dei diritti civili:
“Quando sarete soddisfatti?”
Non potremo mai essere soddisfatti, finché i neri continueranno a subire gli indescrivibili orrori della brutalità poliziesca. Non potremo mai essere soddisfatti, finché non riusciremo a trovare alloggio nei motel delle autostrade e negli alberghi delle città, per dare riposo al nostro corpo affaticato dal viaggio. Non potremo mai essere soddisfatti, finché tutta la facoltà di movimento dei neri resterà limitata alla possibilità di trasferirsi da un piccolo ghetto a uno più grande. Non potremo mai essere soddisfatti, finché i nostri figli continueranno a essere spogliati dell'identità e derubati della dignità dai cartelli su cui sta scritto “riservato ai bianchi”. Non potremo mai essere soddisfatti, finché i neri del Mississippi non potranno votare e i neri di New York crederanno di non avere niente per cui votare. No, no, non siamo soddisfatti e non saremo mai soddisfatti, finché la giustizia non scorrerà come l’acqua, e la rettitudine come un fiume in piena.
Io non dimentico che alcuni fra voi sono venuti qui dopo grandi prove e tribolazioni. Alcuni di voi hanno lasciato da poco anguste celle di prigione. Alcuni di voi sono venuti da zone dove ricercando la libertà sono stati colpiti dalle tempeste della persecuzione e travolti dai venti della brutalità poliziesca. Siete i reduci della sofferenza creativa. Continuate il vostro lavoro, nella fede che la sofferenza immeritata ha per frutto la redenzione.
Tornate nel Mississippi, tornate nell'Alabama, tornate nella Carolina del Sud, tornate in Georgia, tornate in Louisiana, tornate alle baraccopoli e ai ghetti delle nostre città del Nord, sapendo che in qualche modo questa situazione può cambiare e cambierà.
Non indugiamo nella valle della disperazione. Oggi, amici miei, vi dico: anche se dobbiamo affrontare le difficoltà di oggi e di domani, io continuo ad avere un sogno. E un sogno che ha radici profonde nel sogno americano.
Ho un sogno, che un giorno questa nazione sorgerà e vivrà il significato vero del suo credo: noi riteniamo queste verità evidenti di per sé, che tutti gli uomini sono creati uguali.
Ho un sogno, che un giorno sulle rosse montagne della Georgia i figli degli ex schiavi e i figli degli ex padroni di schiavi potranno sedersi insieme alla tavola della fraternità.
Ho un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, dove si patisce il caldo afoso dell'ingiustizia, il caldo afoso dell'oppressione, si trasformerà in un'oasi di libertà e di giustizia.
Ho un sogno, che i miei quattro bambini un giorno vivranno in una nazione in cui non saranno giudicati per il colore della pelle, ma per l'essenza della loro personalità. Oggi ho un sogno.
Ho un sogno, che un giorno, laggiù nell'Alabama, dove i razzisti sono più che mai accaniti, dove il governatore non parla d'altro che di potere di compromesso interlocutorio e di nullification delle leggi federali, un giorno, proprio là nell'Alabama, i bambini neri e le bambine nere potranno prendere per mano bambini bianchi e bambine bianche, come fratelli e sorelle.
Oggi ho un sogno.
Ho un sogno, che un giorno ogni valle sarà innalzata, ogni monte e ogni collina saranno abbassati, i luoghi scoscesi diventeranno piani, e i luoghi tortuosi diventeranno diritti, e la gloria del Signore sarà rivelata, e tutte le creature la vedranno insieme.
Questa è la nostra speranza. Questa è la fede che portero' con me tornando nel Sud. Con questa fede potremo cavare dalla montagna della disperazione una pietra di speranza.
Con questa fede potremo trasformare le stridenti discordanze della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fraternità.
Con questa fede potremo lavorare insieme, pregare insieme, lottare insieme, andare in prigione insieme, schierarci insieme per la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi.
Quel giorno verrà, quel giorno verrà quando tutti i figli di Dio potranno cantare con un significato nuovo:
“Patria mia, è di te, dolce terra di libertà, è di te che io canto. Terra dove sono morti i miei padri, terra dell'orgoglio dei Pellegrini, da ogni vetta riecheggi libertà.”
E se l'America vuol essere una grande nazione, bisogna che questo diventi vero.
E dunque, che la libertà riecheggi dalle straordinarie colline del New Hampshire.
Che la libertà riecheggi dalle possenti montagne di New York.
Che la libertà riecheggi dagli elevati Allegheny della Pennsylvania.
Che la libertà riecheggi dalle innevate Montagne Rocciose del Colorado.
Che la libertà riecheggi dai pendii sinuosi della California.
Ma non soltanto.
Che la libertà riecheggi dalla Stone Mountain della Georgia.
Che la libertà riecheggi dalla Lookout Mountain del Tennessee.
Che la libertà riecheggi da ogni collina e da ogni formicaio del Mississippi, da ogni vetta, che riecheggi la libertà.
E quando questo avverrà, quando faremo riecheggiare la libertà, quando la lasceremo riecheggiare da ogni villaggio e da ogni paese, da ogni stato e da ogni città, saremo riusciti ad avvicinare quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, protestanti e cattolici, potranno prendersi per mano e cantare le parole dell'antico inno:
“Liberi finalmente, liberi finalmente.
Grazie a Dio onnipotente, siamo liberi finalmente.”
 

J'ai un rêve 
Martin Luther King, Jr.
Discours prononcé sur les marches du Lincoln Memorial, Washington D.C., le 28 août 1963

Je suis heureux de participer avec vous aujourd’ui à ce  qui restera dans l'histoire comme étant le plus grand rassemblement pour la liberté dans l’histoire de notre nation.
Il y a cent ans, un grand Américain, qui jette sur nous aujourd'hui son ombre symbolique, a signé la Proclamation d'Emancipation. Cet arrêté d’une importance capitale venait porter la lumière, comme un phare d’espoir, aux millions d'esclaves Noirs, marqués par les flammes d’une injustice foudroyante, et annonçait l’aube joyeuse qui allait mettre fin à la longue nuit de la captivité. Mais un siècle plus tard, nous devons faire le constat tragique que les Noirs ne sont pas encore libres. Un siècle plus tard, la vie des Noirs reste entravée par la ségrégation et enchainée par la discrimination.
Un siècle plus tard, les Noirs représentent un ilôt de pauvreté au milieu d’un vaste océan de prospérité matérielle. Un siècle plus tard, les Noirs languissent toujours dans les marges de la société américaine, des exilés dans leur propre terre. Alors nous venons ici aujourd'hui pour dramatiser notre condition effroyable.
Nous venons à la capitale de notre nation pour demander, en quelque sorte, le paiement d'un chèque. Quand les architectes de notre République écrivirent les textes magnifiques de la Constitution et de la Déclaration d’Indépendance, ils signèrent un billet à l’ordre de chaque américain. C'était la promesse que chacun serait assuré de son droit inaliénable à la vie, à la liberté et à la poursuite du bonheur.
Il est aujourd’hui évident que l’mérique a manqué à cet engagement quant à ses citoyens de couleur. Au lieu de faire honneur à cette obligation sacrée, l’Amérique a passé au peuple Noir un chèque qui revient marqué “sans provision”. Mais nous ne saurons croire qu’il n’y a plus suffisamment de provisions dans les grands coffres d’opportunités nationaux. Alors nous venons exiger notres paiement contre ce chèque, paiement sur demande des richesses de la liberté et de la sécurité que procure la justice.
Nous venons également à cet endroit sacré pour rappeler à l’Amérique l’urgence absolue de ce moment. Ce n’est pas le moment de prendre le luxe de laisser calmer les esprits, ni de nous laisser endormir par une approche gradualiste. Il est temps de quitter la vallée sombre et désolée de la ségrégation pour prendre le chemin ensoleillée de la justice raciale. Il est temps d’ouvrir les portes de l’opportunité à tous les enfants de Dieu. Il est temps de tirer notre nation des sables mouvants de l’injustice raciale jusqu'au rocher solide de la fraternité.
Que la nation ne tienne pas compte de l’urgence du moment, qu’elle sous-estime la détermination des Noirs, lui serait fatal. Cet été étouffant du mécontentement légitime des Noirs ne prendra fin qu’à l'arrivée d’un automne vivifiant qui amènera liberté et égalité. L’année 1963 n'est pas une fin, mais un début.
Ceux qui veulent croire que les Noirs seront satisfaits seulement de s’exprimer avec force auront un fàcheux réveil si la nation revient aux affaires habituelles comme si de rien n'était. L’Amérique ne connaîtra ni repos ni tranquillité tant que les Noirs ne jouissent pas pleinement de leurs droits civiques. Les orages de la révolte continueront à secouer les fondations de notre pays jusqu’au jour où la lumière de la justice arrivera. Mais il y a quelque chose que je dois dire à mon peuple, qui est sur le point de franchir le seuil de la justice. En luttant pour prendre notre juste place, nous ne devrons pas nous rendre coupables d’actes injustes. Ne buvons pas de la coupe de l’amertume et de la haine pour assouvir notre soif.
Nous devons toujours conduire notre lutte dans un haut souci de dignité et de la discipline. Nous ne pouvons pas laisser notre protestation créative dégénérer en violence physique. Encore et encore, nous devons atteindre ce niveau exalté où nous opposons à la force physique la force de l’me. Le militantisme merveilleux qui a pris la communauté noire ne doit pas nous amener à nous méfier de tous les Blancs, on le voit par leur présence ici aujourd’ui, se sont rendus compte que leur destin dépend étroitement de la nôtre. Nous ne pouvons pas marcher seuls.
Et quand nous marchons, nous ne devons jurer d’aller toujours de l'avant. Nous ne pouvons pas faire demi-tour. Il y en a qui demandent aux fervents des droits civiques:
Quand serez-vous satisfaits?
Nous ne serons étre satisfaits tant que nous ne pouvons pas laisser nos corps fatigués se reposer dans les motels des routes ni les hôtels des villes. Nous ne serons être satisfaits tant que les Noirs ne peuvent bouger que d'un petit ghetto à un ghetto plus grand. Nous ne serons être satisfaits tant qu’un Noir en Mississippi n’aura pas le droit de voter et qu’un Noir à New York ne verra rien pour lequel on peut voter. Non, non, nous ne sommes pas satisfaits et nous ne serons satisfaits que le jour où la justice se déchaînera comme les eaux, et que la justice sera comme un fleuve puissant.
Je ne suis pas sans savoir que certains d'entre vous arrivent ici après maintes épreuves et tribulations. Certains d’entre vous viennent directement des cellules étroites des prisons. Certains d'entre vous viennent des régions où votre quête pour la liberté vous a laissé meurtris par les orages de la persécution et renversés par le vent de la brutalité policière.
Vous êtes les vétérans de la souffrance créative. Persévérez dans l'assurance que la souffrance non méritée vous apportera rédemption.
Retournez dans le Mississippi, retournez en l'Alabama, retournez en Géorgie, retournez en Louisiane, retournez dans les ghettos et quartiers pauvres de nos villes du Nord, en sachant que cette situation, d’une manière ou d’une autre, peut être et sera changée. Ne nous complaisons pas dans la vallée du désespoir.
Je vous dis aujourd’hui, mes amis, que malgré les difficultés et les frustrations du moment, j’ai quand même un rêve. C'est un rêve profondément enraciné dans le rêve américain.
J’ai un rêve qu'un jour, cette nation se lèvera et vivra la vrai signification de sa croyance:
Nous tenons ces vérités comme allant de soi, que les hommes naissent égaux.
J’ai un rêve qu'un jour, sur les collines de terre rouge de la Géorgie, les fils des anciens esclaves et les fils des anciens propriétaires d'esclaves pourront s'asseoir ensemble à la table de la fraternité.
J’ai un rêve qu'un jour même l'Etat de Mississippi, un désert étouffant d'injustice et d'oppression, sera transformé en un oasis de liberté et de justice.
J’ai un rêve que mes quatre enfants habiteront un jour une nation où ils seront jugés non pas par la couleur de leur peau, mais par le contenu de leur caractère.
J’ai un rêve aujourd'hui.
J’ai un rêve qu’un jour l'Etat de l'Alabama, dont le gouverneur actuel parle d'interposition et de nullification, sera transformé en un endroit où des petits enfants noirs pourront prendre la main des petits enfants blancs et marcher ensemble comme frères et soeurs.
J’ai un rêve aujourd’hui.
J’ai un rêve qu’un jour, chaque vallée sera levée, chaque colline et montagne seront nivellées, les endroits rugueux seront lissés et les endroits tortueux seront fait droits, et la gloire du Seigneur sera révélée, et tous les hommes la verront ensemble.
Ceci est notre espoir. C’st avec cet espoir que je rentre dans le Sud. Avec cette foi, nous pourrons transformer les discordances de notre nation en une belle symphonie de fraternité. Avec cette foi, nous pourrons travailler ensemble, prier ensemble, lutter ensemble, être emprisonnés ensemble, en sachant qu’un jour nous serons libres.
Quand ce jour arrivera, tous les enfants de Dieu pourront chanter avec un sens nouveau cette chanson patriotique:
Mon Pays, c'est de toi, douce patrie de la liberté, c’st de toi que je chante. Terre où reposent mes aïeux, fierté des pélerins, de chaque montagne, que la liberté retentisse.
Et si l'Amérique veut être une grande nation, ceci doit se faire.
Alors, que la liberté retentisse des grandes collines du New Hampshire.
Que la liberté retentisse des montagnes puissantes de New York.
Que la liberté retentisse des Hauts Alleghenies de la Pennsylvanie!
Que la liberté retentisse des Rockies enneigées du Colorado!
Que la liberté retentisse des beaux sommets de la Californie!
Mais aussi que la liberté retentisse des Stone Mountains de la Géorgie!
Que la liberté retentisse des Lookout Mountains du Tennessee!
Que la liberté retentisse de chaque colline et de chaque taupinière du Mississippi!
Que la liberté retentisse!
Quand nous laisserons retentir la liberté, quand nous la laisserons retentir de chaque village et de chaque lieu-dit, de chaque Etat et de chaque ville, nous ferons approcher ce jour quand tous les enfants de Dieu, Noirs et Blancs, Juifs, Catholiques et Protestants, pourront se prendre par la main et chanter les paroles du vieux spiritual noir:
Enfin libres ! Enfin libres!
Dieu tout-puissant, merci, nous sommes enfin libres!”
 

Tengo un sueño
Martin Luther King, Jr.
Discurso leído en las gradas del Lincoln Memorial durante la histórica Marcha sobre Washington, DC 28 de agosto de 1963
 
Estoy orgulloso de reunirme con ustedes hoy, en la que será ante la historia la mayor manifestación por la libertad en la historia de nuestro país.
Hace cien años, un gran estadounidense, cuya simbólica sombra nos cobija hoy, firmó la Proclama de la emancipación. Este trascendental decreto significó como un gran rayo de luz y de esperanza para millones de esclavos negros, chamuscados en las llamas de una marchita injusticia. Llegó como un precioso amanecer al final de una larga noche de cautiverio. Pero, cien años después, el negro aún no es libre; cien años después, la vida del negro es aún tristemente lacerada por las esposas de la segregación y las cadenas de la discriminación; cien años después, el negro vive en una isla solitaria en medio de un inmenso océano de prosperidad material; cien años después, el negro todavía languidece en las esquinas de la sociedad estadounidense y se encuentra desterrado en su propia tierra.
Por eso, hoy hemos venido aquí a dramatizar una condición vergonzosa. En cierto sentido, hemos venido a la capital de nuestro país, a cobrar un cheque. Cuando los arquitectos de nuestra república escribieron las magníficas palabras de la Constitución y de la Declaración de Independencia, firmaron un pagaré del que todo estadounidense habría de ser heredero. Este documento era la promesa de que a todos los hombres, les serían garantizados los inalienables derechos a la vida, la libertad y la búsqueda de la felicidad.
Es obvio hoy en día, que Estados Unidos ha incumplido ese pagaré en lo que concierne a sus ciudadanos negros. En lugar de honrar esta sagrada obligación, Estados Unidos ha dado a los negros un cheque sin fondos; un cheque que ha sido devuelto con el sello de fondos “insuficientes". Pero nos rehusamos a creer que el Banco de la Justicia haya quebrado. Rehusamos creer que no haya suficientes fondos en las grandes bóvedas de la oportunidad de este país. Por eso hemos venido a cobrar este cheque; el cheque que nos colmará de las riquezas de la libertad y de la seguridad de justicia.
También hemos venido a este lugar sagrado, para recordar a Estados Unidos de América la urgencia impetuosa del ahora. Este no es el momento de tener el lujo de enfriarse o de tomar tranquilizantes de gradualismo. Ahora es el momento de hacer realidad las promesas de democracia. Ahora es el momento de salir del oscuro y desolado valle de la segregación hacia el camino soleado de la justicia racial. Ahora es el momento de hacer de la justicia una realidad para todos los hijos de Dios. Ahora es el momento de sacar a nuestro país de las arenas movedizas de la injusticia racial hacia la roca sólida de la hermandad.
Sería fatal para la nación pasar por alto la urgencia del momento y no darle la importancia a la decisión de los negros. Este verano, ardiente por el legítimo descontento de los negros, no pasará hasta que no haya un otoño vigorizante de libertad e igualdad.
1963 no es un fin, sino el principio. Y quienes tenían la esperanza de que los negros necesitaban desahogarse y ya se sentirá contentos, tendrán un rudo despertar si el país retorna a lo mismo de siempre. No habrá ni descanso ni tranquilidad en Estados Unidos hasta que a los negros se les garanticen sus derechos de ciudadanía. Los remolinos de la rebelión continuarán sacudiendo los cimientos de nuestra nación hasta que surja el esplendoroso día de la justicia.
Pero hay algo que debo decir a mi gente que aguarda en el cálido umbral que conduce al palacio de la justicia. Debemos evitar cometer actos injustos en el proceso de obtener el lugar que por derecho nos corresponde. No busquemos satisfacer nuestra sed de libertad bebiendo de la copa de la amargura y el odio. Debemos conducir para siempre nuestra lucha por el camino elevado de la dignidad y la disciplina. No debemos permitir que nuestra protesta creativa degenere en violencia física. Una y otra vez debemos elevarnos a las majestuosas alturas donde se encuentre la fuerza física con la fuerza del alma. La maravillosa nueva militancia que ha envuelto a la comunidad negra, no debe conducirnos a la desconfianza de toda la gente blanca, porque muchos de nuestros hermanos blancos, como lo evidencia su presencia aquí hoy, han llegado a comprender que su destino está unido al nuestro y su libertad está inextricablemente ligada a la nuestra. No podemos caminar solos. Y al hablar, debemos hacer la promesa de marchar siempre hacia adelante. No podemos volver atrás.
Hay quienes preguntan a los partidarios de los derechos civiles:
“¿Cuándo quedarán satisfechos?
Nunca podremos quedar satisfechos mientras nuestros cuerpos, fatigados de tanto viajar, no puedan alojarse en los moteles de las carreteras y en los hoteles de las ciudades. No podremos quedar satisfechos, mientras los negros sólo podamos trasladarnos de un gueto pequeño a un gueto más grande. Nunca podremos quedar satisfechos, mientras un negro de Misisipí no pueda votar y un negro de Nueva York considere que no hay por qué votar. No, no; no estamos satisfechos y no quedaremos satisfechos hasta que la justicia ruede como el agua y la rectitud como una poderosa corriente.
Sé que algunos de ustedes han venido hasta aquí debido a grandes pruebas y tribulaciones. Algunos han llegado recién salidos de angostas celdas. Algunos de ustedes han llegado de sitios donde en su búsqueda de la libertad, han sido golpeados por las tormentas de la persecución y derribados por los vientos de la brutalidad policíaca. Ustedes son los veteranos del sufrimiento creativo. Continúen trabajando con la convicción de que el sufrimiento que no es merecido, es emancipador.
Regresen a Misisipí, regresen a Alabama, regresen a Georgia, regresen a Louisiana, regresen a los barrios bajos y a los guetos de nuestras ciudades del Norte, sabiendo que de alguna manera esta situación puede y será cambiada. No nos revolquemos en el valle de la desesperanza.
Hoy les digo a ustedes, amigos míos, que a pesar de las dificultades del momento, yo aún tengo un sueño. Es un sueño profundamente arraigado en el sueño americano.
Sueño que un día esta nación se levantará y vivirá el verdadero significado de su credo:
“Afirmamos que estas verdades son evidentes: que todos los hombres son creados iguales.”
Sueño que un día, en las rojas colinas de Georgia, los hijos de los antiguos esclavos y los hijos de los antiguos dueños de esclavos, se puedan sentar juntos a la mesa de la hermandad.
Sueño que un día, incluso el estado de Misisipí, un estado que se sofoca con el calor de la injusticia y de la opresión, se convertirá en un oasis de libertad y justicia.
Sueño que mis cuatro hijos vivirán un día en un país en el cual no serán juzgados por el color de su piel, sino por los rasgos de su personalidad.
¡Hoy tengo un sueño!
Sueño que un día, el estado de Alabama cuyo gobernador escupe frases de interposición entre las razas y anulación de los negros, se convierta en un sitio donde los niños y niñas negras, puedan unir sus manos con las de los niños y niñas blancas y caminar unidos, como hermanos y hermanas.
¡Hoy tengo un sueño!
Sueño que algún día los valles serán cumbres, y las colinas y montañas serán llanos, los sitios más escarpados serán nivelados y los torcidos serán enderezados, y la gloria de Dios será revelada, y se unirá todo el género humano.
Esta es nuestra esperanza. Esta es la fe con la cual regreso al Sur. Con esta fe podremos esculpir de la montaña de la desesperanza una piedra de esperanza. Con esta fe podremos trasformar el sonido discordante de nuestra nación, en una hermosa sinfonía de fraternidad. Con esta fe podremos trabajar juntos, rezar juntos, luchar juntos, ir a la cárcel juntos, defender la libertad juntos, sabiendo que algún día seremos libres.
Ese será el día cuando todos los hijos de Dios podrán cantar el himno con un nuevo significado:
Mi país es tuyo. Dulce tierra de libertad, a tí te canto. Tierra de libertad donde mis antesecores murieron, tierra orgullo de los peregrinos, de cada costado de la montaña, que repique la libertad. Y si Estados Unidos ha de ser grande, esto tendrá que hacerse realidad.
Por eso, ¡que repique la libertad desde la cúspide de los montes prodigiosos de Nueva Hampshire! ¡Que repique la libertad desde las poderosas montañas de Nueva York!
¡Que repique la libertad desde las alturas de las Alleghenies de Pensilvania!
¡Que repique la libertad desde las Rocosas cubiertas de nieve en Colorado!
¡Que repique la libertad desde las sinuosas pendientes de California!
Pero no sólo eso: !
¡Que repique la libertad desde la Montaña de Piedra de Georgia!
¡Que repique la libertad desde la Montaña Lookout de Tennesse!
¡Que repique la libertad desde cada pequeña colina y montaña de Misisipí!
“De cada costado de la montaña, que repique la libertad.”
Cuando repique la libertad y la dejemos repicar en cada aldea y en cada caserío, en cada estado y en cada ciudad, podremos acelerar la llegada del día cuando todos los hijos de Dios, negros y blancos, judíos y cristianos, protestantes y católicos, puedan unir sus manos y cantar las palabras del viejo espiritual negro:
“!Libres al fin!
¡Libres al fin! Gracias a Dios omnipotente, ¡somos libres al fin!


Ich habe einen traum
Martin Luther King, Jr.
Ansprache während des Marsches auf Washington für Arbeitsplätze und Freiheit
August 28, 1963. Washinton, D.C.

Ich freue mich, heute mit euch zusammen an einem Ereignis teilzunehmen, das als die größte Demonstration für die Freiheit in die Geschichte unserer Nation eingehen wird.
Vor hundert Jahren unterzeichnete ein großer Amerikaner, in dessen symbolischen Schatten wir heute stehen, die Emanzipationsproklamation. Er kam wie ein freudiger Tagesanbruch nach der langen Nacht ihrer Gefangenschaft.
Aber hundert Jahre später ist der Neger immer noch nicht frei. Hundert Jahre später ist das Leben des Negers immer noch verkrüppelt durch die Fesseln der Rassentrennung und die Ketten der Diskriminierung. Hundert Jahre später schmachtet der Neger immer noch am Rande der amerikanischen Gesellschaft und befindet sich im eigenen Land im Exil.
Deshalb sind wir heute hierher gekommen, um eine schändliche Situation zu dramatisieren. In gewissem Sinne sind wir in die Hauptstadt unseres Landes gekommen, um einen Scheck einzulösen. Als die Architekten unserer Republik die großartigen Worte der Verfassung und der Unabhängigkeitserklärung schrieben, unterzeichneten sie einen Schuldschein, zu dessen Einlösung alle Amerikaner berechtigt sein sollten. Dieser Schein enthielt das Versprechen, dass allen Menschen — ja, schwarzen Menschen ebenso wie weißen — die unveräußerlichen Rechte auf Leben, Freiheit und der Anspruch Glück garantiert würden.
Es ist heute offenbar, dass Amerika seinen Verbindlichkeiten nicht nachgekommen ist, soweit es die schwarzen Bürger betrifft. Statt seine heiligen Verpflichtungen zu erfüllen, hat Amerika den Negern einen Scheck gegeben, der mit dem Vermerk zurückgekommen ist: “Keine Deckung vorhanden.” Aber wir weigern uns zu glauben, dass die Bank der Gerechtigkeit bankrott ist. Wir weigern uns zu glauben, dass es nicht genügend Gelder in den großen Stahlkammern der Gelegenheiten in diesem Land gibt.
So sind wir gekommen, diesen Scheck einzulösen, einen Scheck, der uns auf Verlangen die Reichtümer der Freiheit und die Sicherheit der Gerechtigkeit geben wird. Wir sind auch zu dieser merkwürdigen Stätte gekommen, um Amerika an die grimmige Notwendigkeit des Jetzt zu erinnern.
Jetzt ist nicht die Zeit, in der man sich den Luxus einer “Abkühlungsperiode” leisten oder die Beruhigungsmittel langsamen, schrittweisen Fortschritts einnehmen kann. Jetzt ist die Zeit, die Versprechungen der Demokratie Wirklichkeit werden zu lassen. Jetzt ist die Zeit, aus dem dunklen und trostlosen Tal der Rassentrennung aufzubrechen und den hellen Weg der Gerechtigkeit für alle Rassen zu beschreiten.
Jetzt ist die Zeit, unsere Nation aus dem Treibsand rassischer Ungerechtigkeit zu dem festen Felsen der Brüderlichkeit emporzuheben. Jetzt ist die Zeit, Gerechtigkeit für alle Kinder Gottes Wirklichkeit werden zu lassen. Es wäre verhängnisvoll für diese Nation, wenn sie nicht die Dringlichkeit der gegenwärtigen Lage wahrnehmen würde. Dieser heiße Sommer berechtigter Unzufriedenheit des Negers wird nicht zu Ende gehen, solange nicht ein belebender Herbst der Freiheit und Gerechtigkeit begonnen hat.
1963 ist kein Ende, sondern ein Anfang. Wer hofft, der Neger werde jetzt zufrieden sein, nachdem er Dampf abgelassen hat, wird ein böses Erwachen haben, wenn die Nation wieder weitermacht wie vorher.
Es wird weder Ruhe noch Rast in Amerika geben, bis dem Neger die vollen Bürgerrechte zugebilligt werden. Die Stürme des Aufruhrs werden weiterhin die Grundfesten unserer Nation erschüttern, bis der helle Tag der Gerechtigkeit anbricht.
Und das muss ich meinem Volk sagen, das an der abgenutzten Schwelle der Tür steht, die in den Palast der Gerechtigkeit führt: Während wir versuchen, unseren rechtmäßigen Platz zu gewinnen, dürfen wir uns keiner unrechten Handlung schuldig machen.
Lasst uns nicht aus dem Kelch der Bitterkeit und des Hasses trinken, um unseren Durst nach Freiheit zu stillen. Wir müssen unseren Kampf stets auf der hohen Ebene der Würde und Disziplin führen. Wir dürfen unseren schöpferischen Protest nicht zu physischer Gewalt herabsinken lassen. Immer wieder müssen wir uns zu jener majestätischen Höhe erheben, auf der wir physischer Gewalt mit der Kraft der Seele entgegentreten.
Der wunderbare, neue kämpferische Geist, der die Gemeinschaft der Neger erfasst hat, darf uns nicht verleiten, allen Weißen zu misstrauen. Denn viele unserer weißen Brüder — das beweist ihre Anwesenheit heute — sind zu der Einsicht gekommen, dass ihre Zukunft mit der unseren untrennbar verbunden ist. Sie sind zu der Einsicht gelangt, dass ihre Freiheit von unserer Freiheit nicht zu lösen ist. Wir können nicht allein marschieren.
Und wenn wir marschieren, müssen wir uns verpflichten, stets weiter zu marschieren. Wir können nicht umkehren. Es gibt Leute, die fragen diejenigen, die sich selbst der Bürgerrechte verpflichtet fühlen:
“Wann werdet ihr endlich zufriedengestellt sein?”
Wir können niemals zufriedengestellt sein, solange der Neger das Opfer der unaussprechlichen Schrecken polizeilicher Brutalität ist.
Wir können nicht zufriedengestellt sein, solange unsere müden Leiber nach langer Reise in den Motels an den Landstraßen und den Hotels der großen Städte keine Unterkunft finden. Wir können nicht zufriedengestellt sein, solange die Bewegungsfreiheit der Neger in erster Linie darin besteht, von einem kleinen Ghetto in ein größeres zu gehen.
Wir können nicht zufriedengestellt sein, solange unsere Kinder ihrer Freiheit und Würde beraubt werden durch Zeichen, auf denen steht:
“Nur für Weiße.”
Wir können nicht zufriedengestellt sein, solange der Neger in Mississippi nicht das Stimmrecht hat und der Neger in New York niemand hat, den er wirklich wählen möchte. Nein, wir werden nicht zufriedengestellt sein, bis das Recht strömt wie Wasser und die Gerechtigkeit wie ein mächtiger Strom.
Ich weiß wohl, dass manche unter euch hierher gekommen sind aus großer Bedrängnis und Trübsal. Einige von euch sind direkt aus engen Gefängniszellen gekommen. Einige von euch sind aus Gegenden gekommen, in denen ihr aufgrund eures Verlangens nach Freiheit mitgenommen und erschüttert wurdet von den Stürmen der Verfolgung und polizeilicher Brutalität. Ihr seid die Veteranen schöpferischen Leidens. Macht weiter und vertraut darauf, dass unverdientes Leiden erlösende Qualität hat.
Geht zurück nach Mississippi, geht zurück nach Georgia, geht zurück nach Louisiana, geht zurück in die Slums und Ghettos der Großstädte im Norden in dem Wissen, dass die jetzige Situation geändert werden kann und wird. Lasst uns nicht Gefallen finden am Tal der Verzweiflung.
Heute sage ich euch, meine Freunde, trotz der Schwierigkeiten von heute und morgen habe ich einen Traum. Es ist ein Traum, der tief verwurzelt ist im amerikanischen Traum.
Ich habe einen Traum, dass eines Tages diese Nation sich erheben wird und der wahren Bedeutung ihres Credos gemäß leben wird:
“Wir halten diese Wahrheit für selbstverständlich: dass alle Menschen gleich erschaffen sind.”
Ich habe einen Traum, dass eines Tages auf den roten Hügeln von Georgia die Söhne früherer Sklaven und die Söhne früherer Sklavenhalter miteinander am Tisch der Brüderlichkeit sitzen können.
Ich habe einen Traum, dass sich eines Tages selbst der Staat Mississippi, ein Staat, der in der Hitze der Ungerechtigkeit und Unterdrückung verschmachtet, in eine Oase der Gerechtigkeit verwandelt.
Ich habe einen Traum, dass meine vier kleinen Kinder eines Tages in einer Nation leben werden, in der man sie nicht nach ihrer Hautfarbe, sondern nach ihrem Charakter beurteilen wird. Ich habe einen Traum heute...
Ich habe einen Traum, dass eines Tages in Alabama mit seinen bösartigen Rassisten, mit seinem Gouverneur, von dessen Lippen Worte wie “Intervention” und “Annullierung der Rassenintegration” triefen ..., dass eines Tages genau dort in Alabama kleine schwarze Jungen und Mädchen die Hände schütteln mit kleinen weißen Jungen und Mädchen als Brüdern und Schwestern. Ich habe einen Traum, dass eines Tages jedes Tal erhöht und jeder Hügel und Berg erniedrigt wird. Die rauhen Orte werden geglättet und die unebenen Orte begradigt werden. Und die Herrlichkeit des Herrn wird offenbar werden, und alles Fleisch wird es sehen.
Das ist unsere Hoffnung. Mit diesem Glauben kehre ich in den Süden zurück.
Mit diesem Glauben werde ich fähig sein, aus dem Berg der Verzweiflung einen Stein der Hoffnung zu hauen. Mit diesem Glauben werden wir fähig sein, die schrillen Missklänge in unserer Nation in eine wunderbare Symphonie der Brüderlichkeit zu verwandeln.
Mit diesem Glauben werden wir fähig sein, zusammen zu arbeiten, zusammen zu beten, zusammen zu kämpfen, zusammen ins Gefängnis zu gehen, zusammen für die Freiheit aufzustehen, in dem Wissen, dass wir eines Tages frei sein werden. Das wird der Tag sein, an dem alle Kinder Gottes diesem Lied eine neue Bedeutung geben können:
“Mein Land von dir, du Land der Freiheit singe ich. Land, wo meine Väter starben, Stolz der Pilger, von allen Bergen lasst die Freiheit erschallen.”
Soll Amerika eine große Nation werden, dann muss dies wahr werden.
So lasst die Freiheit erschallen von den gewaltigen Gipfeln New Hampshires.
Lasst die Freiheit erschallen von den mächtigen Bergen New Yorks, lasst die Freiheit erschallen von den hohen Alleghenies in Pennsylvania.
Lasst die Freiheit erschallen von den schneebedeckten Rocky Mountains in Colorado.
Lasst die Freiheit erschallen von den geschwungenen Hängen Kaliforniens.
Aber nicht nur das, lasst die Freiheit erschallen von Georgia’s Stone Mountain.
Lasst die Freiheit erschallen von Tennesees Lookout Mountain.
Lasst die Freiheit erschallen von jedem Hügel und Maulwurfshügel in Mississippi, von jeder Erhebung lasst die Freiheit erschallen.
Wenn wir die Freiheit erschallen lassen — wenn wir sie erschallen lassen von jeder Stadt und jedem Weiler, von jedem Staat und jeder Großstadt, dann werden wir den Tag beschleunigen können, an dem alle Kinder Gottes — schwarze und weiße Menschen, Juden und Heiden, Protestanten und Katholiken — sich die Hände reichen und die Worte des alten Negro Spiritual singen können:
“Endlich frei! Endlich frei!
Großer allmächtiger Gott, wir sind endlich frei!”
 
 
 
 
Daniela Zini
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Marted́ 06 Ottobre,2009 Ore: 16:34
 
 
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