Corrado Augias, su la Repubblica (11 settembre) in un'amara risposta a Renato Pierri, scrive: "Non solo i politici, tutti si schierano secondo convenienza. La segreteria di Stato vaticana (equivalente in termini istituzionali alla presidenza del Consiglio) può chiudere tutti e due gli occhi sui comportamenti licenziosi del capo del Governo in nome dei vantaggi pratici che, sfruttando il suo senso di colpa, gli si potranno strappare". E conclude rilevando che il Vaticano cade "nello stesso peccato a suo tempo rimproverato a Machiavelli, volgarmente riassunto nella formula: il fine giustifica i mezzi".  L'amarezza diventa totale se si pensa all'alibi morale che può nascere nella mente di uomini della Chiesa. Un alibi dalle conseguenze pericolosissime, nefaste. Essi, infatti, potrebbero non dire a se stessi: è per il bene del Vaticano, bensì: è per il bene della Chiesa. Potrebbero ritenere che il bene del Vaticano si identifichi col bene della Chiesa, «corpo di Cristo». Se un giorno, per assurda ipotesi, venisse eletto un pontefice il quale volesse riformare radicalmente la Chiesa privandola del suo potere temporale, con un alibi morale del genere qualche ecclesiastico potrebbe meditare di eliminarlo fisicamente e sentirsi ad un tempo a posto con la coscienza. Potrebbe ritenere lecito sacrificare una vita umana per la salvezza del «corpo di Cristo». Sentirsi persino meritevole agli occhi di Dio.