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ISSN 2420-997X

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Ora di islam a scuola

Rassegna stampa a cura di Federico La Sala


Come i nostri lettori sanno siamo da tempo favorevoli al superamento dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole e alla sua trasformazione nell'insegnamento di "storia delle religioni", dove tutte le religioni possano trovare la loro storia e cultura rappresentata. In mancanza di nulla anche l'ora di islam ci andrebbe bene ma il nostro obiettivo rimane quello della "storia delle religioni". Sul tema dell'ora di islam rilanciata dal vice ministro URSO riportiamo un’ampia rassegna stampa curata da Federico La Sala.

 
Repubblica 19.10.09
Ebrei favorevoli all’ora di religione islamica
Il Pdl "molla" Urso: un´idea sbagliata. La Libia applaude la proposta
Il rabbino di Roma "Il problema è che i musulmani non hanno una rappresentanza visibile"
di Orazio La Rocca

ROMA - «Non vedo perché non si dovrebbe prevedere nelle scuole pubbliche quello che già è previsto per ebrei e cattolici, cioè anche l´insegnamento dell´islam». Il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni non è pregiudizialmente contrario all´ora musulmana negli istituti scolastici pubblici italiani proposta dal vice ministro Adolfo Urso. Pur senza negare che per un tema così importante e delicato le «difficoltà da superare non sono poche».
«Noi ebrei abbiamo già da tempo risolto parzialmente il problema dell´insegnamento dell´ebraismo nelle scuole pubbliche con l´intesa sottoscritta tra lo Stato italiano e l´Unione delle comunità ebraiche italiane, che però, a differenza dei cattolici, si sono fatto carico dell´onere di pagare gli insegnanti. Per cui non vedo perché ad altri non si debba concedere di fare altrettanto. Il problema vero è invece - puntualizza Di Segni - come questa legge è stata concepita, come dimostra il diverso modo con cui viene affrontato il pagamento degli insegnanti e a chi spetta far fronte a questo onere. Non va nemmeno sottovalutato il fatto che gli ebrei sono rappresentati dall´Unione delle comunità. Lo stesso non si può dire per i musulmani».
Sulla proposta-Urso ieri, intanto, sono intervenuti i rappresentanti di quasi tutti i partiti. Per il ministro Roberto Calderoli «è una mattana di cui non abbiamo bisogno»; il presidente dei deputati del Carroccio Roberto Cota assicura che «con la Lega Nord al governo proposte come quella dell´insegnamento dell´ora di religione islamica verranno rispedite al mittente». Distinguo anche dalla stessa area politica del vice ministro Urso. Per Italo Bocchino, presidente Pdl alla Camera, "la proposta Urso è palesemente non percorribile». Bocchino invita a «non commettere l´errore di fare dell´ora islamica oggetto di scontro politico nel Pdl o nella maggioranza».
Il ministro della Difesa Ignazio La Russa il quale pur «comprendendo la ragione» non crede che «in Italia l´insegnamento dell´islam sia un problema prioritario». Ma pure il ministro Andrea Ronchi parla di «idea inattuabile per tanti motivi, a partire dalla necessità di dover difendere le radici cristiane della nostra società». Per «evitare che nel nostro paese prendano piede imam fai-da-te e prolifichino preghiere fondamentaliste», è tempo ormai che «sia il ministero dell´Istruzione - suggerisce Ronchi - che si faccia carico di preparare docenti di storie delle religioni con corsi rigorosi e altamente formativi». Contrari Andrea Sarubbi (Pd) e Fabio Granata (Pdl), primi firmatari di una proposta di legge bipartisan sulla cittadinanza agli immigrati.
Divisi i partiti d´opposizione. Al sì convinto di Massimo Donadi, capogruppo alla Camera dell´Italia dei Valori - che parla di «valido strumento di arricchimento culturale e di conoscenza» - , risponde il leader dell´Udc Pier Ferdinando Casini secondo il quale «l´idea è senz´altro generosa, ma rischia di essere avventata». A sorpresa, Urso, in visita ieri a Tripoli, ha incassato il plauso del ministro libico Mohammed Al Huweji, il quale lo ha ringraziato per «aver avanzato una proposta che evidenzia come tra Libia ed Italia non ci sono differenze perché siamo tutti figli di Abramo e adoriamo Dio».

Repubblica 19.10.09
In Germania esiste già in cinque Stati

BERLINO - In Italia la proposta divide, ma in Germania la lezione di Islam come scelta per l´ora di religione a scuola esiste già in ben cinque dei sedici Stati che compongono la Repubblica federale. Per inciso: in tutti e cinque i casi i governatori sono democristiani. E secondo la Cdu della cancelliera Angela Merkel e i suoi alleati liberali (Fdp) è un momento decisivo per l´integrazione.

Corriere della Sera 19.10.09
Religioni
L’ora di Islam? Un’idea senza senso
di Vittorio Messori

L’idea (disastrosa) dell’ora di Islam e il rischio della scuola coranica

Ancora una volta, riecco l’invocazione scaramantica: «Ci vorrebbe l’ora di…». Stavolta, quella nuova, da istituire subito nelle scuole pubbliche, sarebbe «l’ora di Islam». C’è qualcosa di drammati­co, ma anche di grotte­sco, nella parabola, vec­chia ormai di due secoli, delle funzioni che si so­gna di affidare alla «scuo­la di Stato». C’è, qui, un mito nato — come tanti — dagli schemi ideologi­ci di giacobini e girondi­ni.
Non lo scettico Voltaire ma il fervoroso Rousseau fu il maestro di quei signori: si nasce buoni, il peccato originale è una favola disastrosa, date ai fanciulli dei maestri acconci ed avrete il regno della bontà, dell’altruismo, del civismo.
Sorgono difficoltà sempre nuove? Ma dov’è il problema?
Basterà inserire nella scuola pubblica delle apposite «ore di…» che educhino al bene e al buono i nuovi virgulti; e tutto sarà ripianato. Da noi, il Cuore deamicisiano è l’icona caricaturale di questi nuovi templi di un’umanità plasmata dalla Ragione e strappata alla superstizione. Succede, però, che proprio nell’Occidente laicamente formato, abbiano trovato folle entusiaste le ideologie mortifere che hanno devastato i due secoli seguiti al trionfo delle utopie roussoiane. Ma poiché gli ideologi hanno per motto «se la realtà non coincide con la teoria, tanto peggio per la realtà», il mito ha continuato ad agire. Il sesso fra gli adolescenti crea gravidanze incongrue e favorisce violenze? Si istituiscano nelle scuole «corsi di educazione sessuale». Alcol e droghe devastano i giovanissimi? Ecco gli esperti per gli appositi «corsi contro le dipendenze». C’è strage su moto e automobili? Subito «corsi di educazione stradale».
La convivenza sociale è sempre più turbolenta? Ecco dei bei «corsi di educazione civica».
Si potrebbe continuare, ma la realtà è chiara: a ogni problema, una risposta affidata alla scuola. Con il risultato, segnalato da pedagogisti ovviamente inascoltati, o di effetti irrilevanti o addirittura di aggravamento delle situazioni: il confuso istinto di ribellione dei giovani porta a sperimentare e a praticare ciò che è condannato nelle prediche degli adulti, soprattutto se insegnanti.
Trasgredire al professore dà tanto gusto come, un tempo, trasgredire al parroco.
E ora, tocca all’Islam, la cui presenza tra noi, ogni giorno in crescita, è tra gli eventi che meritano l’inflazionato aggettivo di «storico». Non siamo davanti a una immigrazione, ma a una di quelle migrazioni che si verificano una o due volte in un millennio. Per quanto importa, sono tra i convinti che, sulla lunga durata, l’Occidente si rivelerà per l’islamismo una trappola mortale. I nostri valori e, più ancora, i nostri vizi, corroderanno e, alla fine, faranno implodere una fede il cui Testo fondante non è per nulla in grado di affrontare la critica cui sono state sottoposte le Scritture ebraico-cristiane.
Una fede che, in 1400 anni, non è mai riuscita ad uscire durevolmente dalle zone attorno ai tropici, essendo una Legge nata per remote organizzazioni tribali. Una fede che, priva di clero e di un’organizzazione unitaria, impossibilitata a interpretare il Corano — da applicare sempre e solo alla lettera — è incapace di affrontare le sfide della modernità e deve rinserrarsi dietro le sue mura, tentando di esorcizzare la paura con l’aggressività. Ma poi: panini al prosciutto, vini e liquori, minigonne e bikini, promiscuità sessuale, pornografia, aborti liberi e gratuiti, «orgogli» omosessuali, persino la convivenza con cani e gatti, esseri impuri, e tutto ciò di cui è fatto il nostro mondo — nel bene e nel male — farà sì che chi si credeva conquistatore si ritroverà conquistato.
Ma questo, dicevo, in una prospettiva storica: per arrivarci passerà molto tempo e molti saranno i travagli, magari i drammi. Per adesso, che fare?
Sorprende che, proprio da destra, si proponga lo pseudorimedio che è, da sempre, quello caro alle sinistre: nelle scuole «corsi di Islam», quello buono, quello politically correct . L’idea non ha né capo né coda.
Brevemente: poiché, a parte casi particolari, gli allievi islamici sono ancora pochi in ogni classe, bisognerebbe riunirli tutti assieme in una classe sola, almeno per quelle ore. Ed ecco pronta la madrassa, la scuola coranica, che esige che i credenti in Allah stiano unicamente con altri credenti. Stretti in comunità, a cura della nostra Repubblica, chi farà loro lezione? E che gli si insegnerà? Gli ingenui, o insipienti, promotori della proposta si cullano forse nel mito di un «Islam moderato», pensano che esistano schiere di intellettuali musulmani «laici, pluralisti, democratici», pronti ad affrontare concorsi per cattedre di Islam «corretto»?
Ignorano che incorrerebbe in una fatwa di morte il muslìm che presentasse la sua religione come una verità tra le altre?
Non sanno che relativismo e neutralità religiosa sono frutti dell’illuminismo europeo, ma bestemmie per il credente coranico? Ignorano che l’anno islamico inizia da Maometto e che il tempo e il mondo sono solo del suo Allah? Non sanno che è impensabile il concetto stesso di «storia delle religioni» per chi è convinto che c’è una sola fede e le altre sono o incomplete o menzognere? I politici pensano, allora, di affidare le «ore di Islam» a non islamici, di far spiegare il Corano — in modo «laico e neutrale» — a chi non lo crede la Parola eterna e immutabile di Dio?
Fossi un assicuratore, mai stipulerei una polizza sulla vita per simili, improbabili, introvabili docenti. Se l’insegnamento nelle istituende «madrasse della Repubblica italiana» differisse anche di poco da quello delle moschee, l’esplosione di violenza sarebbe inevitabile. E, come troppo spesso è successo con i fautori delle «ore di…», le buone intenzioni produrrebbero frutti disastrosi.
 
 
 
 
Repubblica 18.10.09
La vera missione della scuola
di Adriano Prosperi

La proposta di introdurre nelle scuole un insegnamento di religione islamica fatta dal viceministro Urso è un tentativo di rompere il cerchio di un dialogo tra lingue non comunicanti.
Per questo va salutato come un avvio positivo da raccogliere e approfondire. Non tutti sono d´accordo, naturalmente, ma la discussione che è nata è comunque interessante. Per esempio, quando il cardinale Ersilio Tonini rigetta questa idea lo fa con un argomento che si presta invece a sostenerla: «Pensare che l´Islam sia un gruppo completo, esaustivo, è un errore. L´Islam ha mille espressioni, collegamenti, apparentamenti: insomma con i valori della nostra civiltà non ha niente a che vedere». Proviamo a sostituire nella prima frase la parola «Islam» con la parola «Cristianesimo»: quante sono oggi le espressioni e le interpretazioni del cristianesimo, non solo nella conoscenza e coscienza dei singoli cristiani, nell´etica privata e nelle leggi degli stati, ma anche e soprattutto nelle chiese e nei movimenti che si dichiarano cristiani? Immaginiamo che il cardinale volesse dire «cattolicesimo». Ma il carattere monolitico, anzi totalitario del cattolicesimo, come ebbe a dire Papa Pio XI e come prima di lui scrisse fra Paolo Sarpi che coniò l´antenato del termine totalitarismo («totatus») è proprio quello che all´atto di nascita della tolleranza religiosa valse al cattolicesimo una considerazione a parte: «I papisti - scrisse John Locke nel «Saggio sulla tolleranza» del 1667 - non devono godere i benefici della tolleranza perché, dove essi hanno il potere, si ritengono in obbligo di rifiutarla agli altri». Lo sappiamo bene in Italia. Quanto poi al fatto che l´Islam non abbia niente a che vedere con la nostra civiltà, si tratta di un´affermazione che se fosse fatta da uno studente di storia di scuola media svelerebbe l´esistenza di un preoccupante «debito formativo». Si tratta di schieramenti di battaglia che non portano lontano. Bisogna anche in questo caso accogliere l´invito autorevole lanciato da Gustavo Zagrebelski dalle colonne di questo giornale a mettere un freno allo «scatenamento delle energie peggiori» riflettendo invece al respiro lungo della vita civile che in materie costituzionali deve guardare al di là della durata di un governo e di un leader e non tener conto delle violenze verbali dei leghisti che, ieri pagani oggi cattolici, alzano la voce sulla religione per fare cassetta alle elezioni più vicine. L´obbiettivo che abbiamo di fronte quando di queste cose si parla nel contesto civile e politico e non all´interno di una chiesa è quello di attuare in modo adeguato ai bisogni dei nostri tempi e alla nostra realtà il principio del diritto alla libertà religiosa: un diritto a cui la cultura italiana ha dato un contributo grande e sostanziale fin dai tempi delle guerre di religione del ´500 e che oggi, secondo la Costituzione italiana, significa «diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata» (art. 18), inclusa l´istituzione di «scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo stato» (art.33). Certo, con quelle dichiarazioni volute da tutti i padri costituenti è in contrasto una situazione di fatto e di diritto a tutti nota. Nella scuola pubblica c´è oggi un insegnamento denominato «Religione» impartito da insegnanti formati e autorizzati dalla Chiesa cattolica ma pagati dallo stato. Questo insegnamento non è obbligatorio ma l´insegnante concorre alla valutazione dell´allievo insieme agli altri in una forma che - secondo la recentissima dichiarazione del ministro Gelmini - si appresta a diventare quella piena del voto. Ma la realtà del paese cambia: aumentano gli immigrati e i cittadini italiani di altre religioni, e specialmente quelli di religione islamica. Da qui l´idea di spezzare l´autismo di una politica che criminalizza e sfrutta gli immigrati in mille modi, pratica lo scontro di civiltà, alimenta e strumentalizza paure. Si propone un insegnamento scolastico della religione islamica nelle scuole pubbliche come primo passo per l´integrazione dei ragazzi di quella cultura. Lo scopo è eccellente, il mezzo ha difetti evidenti: quell´ora settimanale non solo non garantirebbe parità di trattamento per tutte le religioni ma dividerebbe fisicamente e culturalmente gli allievi islamici dagli altri nel momento fra tutti delicato dell´insegnamento della religione. E la moltiplicazione a raffica degli insegnamenti «religiosi» per garantire i diritti di altre minoranze sarebbe non solo difficile da attuare ma anche controproducente rispetto all´obbiettivo di far dialogare in un´unica scuola pubblica i portatori di culture diverse. Un sistema a compartimenti stagni renderebbe permanenti le divisioni rischiando di far emergere una divisione non solo religiosa ma civile e sociale dai frutti avvelenati. Ne troviamo conferme nella storia e nella cronaca. Le città tedesche che nell´età delle guerre di religione garantirono libertà di culto e spartizione equa di cariche tra cattolici e protestanti pagarono la pace con la perpetuazione della divisione culturale e il blocco dello sviluppo civile. E la cronaca recente ci dice che i terroristi islamici appartengono in genere alla seconda e terza generazione di immigrati e nutrono l´odio di chi, crescendo nei ghetti, si è sentito cittadino di serie B. Ma c´è una frase interessante detta dall´onorevole Urso, che ha parlato di «un´ora di storia della religione islamica». La storia, che per tanto tempo nel paese di Giambattista Vico, di Benedetto Croce, di Antonio Gramsci ha retto l´asse centrale dell´insegnamento scolastico, oggi è avvilita a campo di battaglia tra mute rabbiose intente a marcare opposti territori. Intanto crescono materie di carattere sistematico e astorico: la religione, i diritti, l´etica e così via. Questo è il più grave e più inavvertito segno della peste fondamentalista: si è perso il senso della nostra realtà di esseri immersi nel flusso di quel tacito, infinito andar del tempo che investe e muta ogni cosa, che fa sì che la nostra società e le nostre religioni siano quelle dei nostri tempi e non quelle dei nostri padri. E chi più tuona di voler tutelare l´«identità cattolica» è proprio il neopaganesimo del nostro tempo, se è vero che, come ha scritto uno storico che se ne intende, «il paganesimo è il culto del potere politico, della ricchezza, della forza fisica» (Jan Assmann, «Dio e gli dèi», Il Mulino 2009). Dunque la proposta va formulata meglio: si tratta di portare nella scuola la religione ma all´interno della storia culturale, non all´esterno. Solo qui può esserci posto per una conoscenza dell´Islam e del cristianesimo come realtà storiche portatrici di valori ideali che, se depurati dall´interferenza e dall´intolleranza dei poteri politici ed ecclesiastici, potranno alimentare di nuovi succhi vitali l´Italia di domani.

Repubblica 18.10.09
Il cardinale Poletto: No al relativismo. “Il Corano è estraneo all´Italia riparliamone tra cinquant’anni”
La religione cattolica fa parte della storia d´Italia, ne ha impregnato la cultura per secoli, l’islam no Non vorrei che si cadesse nel relativismo
di Paolo Griseri

TORINO - La religione cattolica «fa parte della storia d´Italia, ne ha impregnato la cultura per secoli. L´Islam no. Dunque, credo che sia sbagliato e prematuro istituire l´ora di religione islamica nella scuola pubblica». Il cardinale di Torino, Severino Poletto, esprime il suo punto di vista sulla proposta che sta dividendo la politica italiana. Lo fa con estrema prudenza: «Voglio che sia assolutamente chiaro che è comunque opportuno attendere sull´argomento il pronunciamento della Presidenza della Conferenza episcopale italiana. Il mio è un punto di vista personale».
Cardinale Poletto, perché considera la proposta prematura?
«Perché è una proposta che non tiene conto della società italiana di oggi. Che ha una cultura e una tradizione in cui l´Islam è sostanzialmente estraneo o presente in modo non centrale. Questo non vuol dire che tra cinquanta, cento anni, la situazione non si modifichi radicalmente. E che allora se ne possa parlare».
Non le pare che in questo modo la chiesa cattolica italiana finisca per difendere un antico privilegio, una rendita di posizione nei confronti delle altre religioni?
«Non si tratta di un privilegio, ma di una realtà storica. E se si va a vedere, questa realtà spiega e giustifica il mantenimento dell'ora di religione cattolica, sia pure facoltativa, nell'ordinamento della scuola italiana anche con la revisione del Concordato del 1984. Proprio perché il cattolicesimo fa parte integrante delle nostre radici, quell´ora serve a completare bene il curriculum di studi».
Un´ora che però la chiesa cattolica non vuole venga utilizzata per lo studio della storia delle religioni, come ha recentemente ricordato la Cei, ma solo per l´approfondimento del cattolicesimo. Dunque, non è solo cultura.
«Non è solo cultura, ma non è nemmeno catechismo. Quello si fa in parrocchia. Diciamo, è un inquadramento generale sui valori del cattolicesimo».
Per questo i vescovi pretendono di essere loro a scegliere gli insegnanti?
«Non è una pretesa, è la logica conseguenza del modo con cui è stata pensata quell'ora nella scuola pubblica italiana. Ci si dovrebbe piuttosto lamentare del fatto che manca, sovente, un'ora alternativa per cui spesso i ragazzi scelgono di non avvalersi dell'ora di religione cattolica per poter uscire un'ora prima o entrare un'ora dopo».
Chi sostiene la proposta dell'ora di religione islamica nella scuola pubblica spiega che in questo modo si eviterebbe di lasciare solo alla parte più integralista della comunità il compito di insegnare i principi islamici ai ragazzi. Non le pare un ragionamento condivisibile?
«In linea di principio sarei certamente d´accordo e capisco le buone intenzioni di chi ha pensato a questa soluzione. Ma credo che non siamo davvero preparati a un cambiamento di questo genere. È un problema di gradualità. La società italiana, come tutte le società, ha bisogno di assimilare i cambiamenti poco a poco. Una modifica brusca rischia di creare contraccolpi che possono produrre l´effetto contrario a quello desiderato».
Tempo fa lei si è detto contrario al sorgere di «minareti accanto ai campanili». È contrario alla libertà religiosa?
«Al contrario. Penso che la libertà religiosa sia uno dei fondamenti del vivere civile. Ma proprio per evitare che quella libertà diventi contrapposizione dico che ai simboli è necessario prestare attenzione. Sono assolutamente favorevole al fatto che si individuino luoghi di preghiera per i cittadini di fede musulmana come per quelli delle altre confessioni religiose. Quel che non vorrei è invece che si cadesse nel relativismo. Le città e i paesi italiani sono stati caratterizzati per secoli dalla presenza dei campanili. E credo che sia giusto che il paesaggio non si modifichi radicalmente in pochi anni. Anche perché il sorgere dei minareti, oggi, non sarebbe lo specchio della società italiana».
Non crede che prima o poi si dovrà cominciare a modificare la situazione?
«Penso che con il passare del tempo la situazione si modificherà in modo naturale. E c´è da auspicare che il cambiamento si realizzi anche nei paesi islamici. Provi a far costruire oggi un campanile di fianco a un minareto in Arabia Saudita: la libertà è fatta anche di reciprocità».


Luned́ 19 Ottobre,2009 Ore: 12:21
 
 
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