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www.ildialogo.org L'ATTENTATO ALLA COSTITUZIONE - GIA' FATTO!!! - E L'URGENZA DI UNA RADICALE ASSUNZIONE DI RESPONSABILITA'. Una ferita alla democrazia. Una nota di Nadia Urbinati,a cura di Federico La Sala

LA COSTITUZIONE, LE REGOLE DEL GIOCO, E IL "GIOCO SPORCO" DEL MENTITORE ISTITUZIONALE (1994-2009). AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, AL PRIMO CITTADINO, L’INVITO E IL DOVERE DI FARE CHIAREZZA, DI RIPRENDERSI LA PAROLA - "ITALIA", E DI RIDARE ORGOGLIO E DIGNITA’ A TUTTO IL PAESE ...
L'ATTENTATO ALLA COSTITUZIONE - GIA' FATTO!!! - E L'URGENZA DI UNA RADICALE ASSUNZIONE DI RESPONSABILITA'. Una ferita alla democrazia. Una nota di Nadia Urbinati

Le strategie di difesa contro questo esorbitante potere sono molteplici (...) Ed è la nostra Costituzione scritta che ci legittima a fare quello che dobbiamo per difenderla.


a cura di Federico La Sala


  ATTENTATO ALLA COSTITUZIONE? GIA’ FATTO!!!:
IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE GENERA MOSTRI

  LA COSTITUZIONE, LE REGOLE DEL GIOCO, E IL MENTITORE ISTITUZIONALE ... 
  1994-2008: LA LUNGA E BRILLANTE CAMPAGNA DI GUERRA DEL CAVALIERE DI "FORZA ITALIA" CONTRO L’ITALIA. Alcuni documenti per gli storici e i filosofi del presente e del futuro

  O CHE "BEL" NATALE: E CHE "BUON" ANNO !!! IL PRESIDENTE DEL "POPOLO DELLA LIBERTA’" GIA’ PREPARA LO SPETTACOLO "IO SONO NAPOLITANO" E CANTA: "FORZA ITALIA"!!!


Una ferita alla democrazia

di NADIA URBINATI *

Fatte salve le forme dell’uguaglianza civile e politica, ogni moderna democrazia funzionante è in grado di scegliere, di selezionare classi di governo in senso proprio, e di consentire il formarsi, nella società, di ceti dirigenti in senso lato, sulle basi dell’ingegno, dell’impegno e del merito. Sono le élites - aristocratiche, borghesi, operaie - quelle che hanno anticipato i nuovi orizzonti della società.

L’hubrys dominandi sembra rendere il nostro premier incapace perfino di comprendere il senso del limite e della limitazione. Il fatto preoccupante è che nessun contenimento tradizionale del potere sembra efficace abbastanza. La ragione di questa inefficacia non sta nelle strategie costituzionali, che sono chiare e ottime, ma in un fattore che è culturale e per questo difficile da modificare o contenere. Per dirla in parole povere, i contrappesi costituzionali e ogni azione di contenimento di carattere giuridico e istituzionale funzionano soltanto e fino a quando c’è da parte di chi governa la volontà di rispettarli, fino a quando cioè la costituzione formale e quella materiale coincidono. È proprio questa coincidenza che oggi si è spezzata cosicché alla costituzione scritta, come ha messo in evidenza più volte Gustavo Zagrebelsky, se ne è come sovrapposta un’altra, quella che si riflette nelle leggi, nelle politiche e nei comportamenti del governo e del suo leader. La regola che governa il nostro paese è funzionale a uno scopo molto semplice nella sua brutalità: conservare il potere ed esercitarlo per il bene e l’interesse di chi lo esercita. Qui sta il vulnus dispotico del quale soffre la democrazia italiana oggi.

Certo, si tratta di un vulnus che gode della maggioranza dei voti degli italiani; ma è bene essere consapevoli che quello che la maggioranza esercita non è un potere innocente, perché è stato costruito affidandosi in larga parte all’uso spregiudicato e poi al dominio diretto e incontrastato dei media. Ieri Berlusconi ha attaccato l’informazione nel suo complesso: ma quante sono le reti televisive e le testate libere in Italia?

Per questa ragione è fuorviante parlare di tirannia della maggioranza, perché, come ben compresero i liberali ottocenteschi, in un governo rappresentativo è sempre e comunque una minoranza a tenere le fila del potere della parola. Questo vale in maniera spropositata nella nostra democrazia, dove il rischio alle libertà civili primarie - in primis quella della libera formazione e manifestazione delle idee - - viene dai pochi, i molti essendo uno strumento di sostegno passivo. I cittadini sono ridotti a semplici spettatori con l’aggravante che lo spettacolo al quale assistono è scientemente manipolato e decurtato. Gli italiani - quell’80% che si affida alla televisione per informarsi - - vivono come in uno stato di autarchia mediatica, chiusi al mondo del loro paese e a quello che del loro paese il mondo pensa e scrive. Questa è la situazione gravissima nella quale ci troviamo.

Il premier considera e tratta l’Italia come il suo cortile di casa: con collaboratori domestici o addomesticati che si preoccupano di allontanare da lui ogni sospetto di dissenso, che confezionano notizie con lo scopo di nascondere la verità ai cittadini e passano leggi per accomodare il diritto alle necessità del premier; con intrattenitori e intrattenitrici che rallegrano la sua vita; con ministri che come visir sfornano politiche che falcidiano la cosa pubblica, dalla scuola alla sanità, e dirottano risorse non si sa bene dove e per fare cosa.

Perché tutto questo si tenga il dissenso deve essere azzerato con tutti i mezzi: dal mercato alle strategie intimidatorie. L’obiettivo è terrorizzare e ridurre al silenzio chi pensa liberamente per infine circondarsi di yes-men e yes-women. Che sia un segno di impotenza invece che di forza è evidente, tuttavia per chi tiene ai diritti e alla libertà gli effetti di questo potere di dominio sono disastrosi. Ora, non c’è da dubitare che il Pdl ospiti molti liberali, persone convinte che i diritti di libertà siano un bene prezioso che non può essere sacrificato a nessuna maggioranza - come possono questi liberali restare in silenzio? Come possono non comprendere che nella nostra Costituzione scritta è anche la loro sicurezza? Si usa dire che le costituzioni sono scritte quando il popolo è sobrio e pensando all’eventualità che potrebbe non esserlo sempre. I liberali hanno voluto legare la volontà della maggioranza con le costituzioni perché sono pessimisti abbastanza da non escludere che si possano formare maggioranze non sobrie che traghettino il paese verso acque pericolose. I liberali tutti non possono non vedere che l’Italia si trova oggi a navigare in un mare in tempesta, battuta da un lato da pericolose ondate di razzismo e intolleranza e dall’altro da un leader che ha in disprezzo i diritti fondamentali. L’attacco frontale a Repubblica, quello subdolo all’Avvenire, la critica durissima alla stampa estera - e l’ultima accusa al sistema informativo tout court - costituiscono un pericolo che nessun liberale serio può sottovalutare.

Le strategie di difesa contro questo esorbitante potere sono molteplici. In primo luogo è urgente che l’opposizione di scrolli dal torpore delle sue solipsistiche diatribe che ne paralizzano l’azione politica e si faccia promotrice di un coerente discorso politico alternativo che rimetta in moto un movimento civile di opinione che chieda a voce alta verità e giustizia, che sappia riportare i cittadini nell’agorà pubblica; in secondo luogo vanno usati tutti gli strumenti giuridici di cui il nostro Stato e l’Ue dispongono: portare il caso italiano davanti al parlamento europeo propone Gianni Vattimo, ma si dovrebbe anche aggiungere, rivolgersi direttamente alla Corte Europea dei Diritti; in fine, mettere in moto tutti gli strumenti dei quali l’opinione politica libera può disporre, e visto che non pare facile strappare il bavaglio imposto dalle televisioni nazionali, occorrerebbe attivare una rete di controinformazione tramite il web, i giornali, le associazioni della società civile, i movimenti. Ci troviamo in una condizione di emergenza e di eccezionale rischio. è la nostra dignità di cittadini che deve essere riscattata da questo clima di docilità e servizievole sudditanza. Ed è la nostra Costituzione scritta che ci legittima a fare quello che dobbiamo per difenderla.

* la Repubblica, 5 settembre 2009



Sabato 05 Settembre,2009 Ore: 09:13
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/9/2009 10.44
Titolo:IL CINISMO DELLE ELITE - DI CARLO GALLI
Il cinismo delle élite

di Carlo Galli (la Repubblica, 05.09.2009)

Il nostro governo costituisce un serio problema per le libertà civili e l’ordine democratico del nostro paese. E come si è avuto modo di toccare con mano in questi giorni, esso costituisce un serio problema per l’Europa e i fondamenti di libertà sui quali è nata e si fonda l’Unione Europea.

Sono le élite che hanno elaborato categorie, stili, forme, linguaggi, in grado di imporsi in ambiti più vasti. Nella società di oggi, politici, imprenditori, professionisti, docenti, scienziati e intellettuali, gerarchie religiose, alti burocrati, giornalisti, a volte anche artisti - ciascun gruppo con forme diverse di selezione, con diversi gradi di chiusura o di apertura - perseguono il medesimo fine: esercitare influenza o potere nella società, presentando i propri interessi come indispensabili agli interessi generali del Paese. La democrazia di una società complessa si articola nella concorrenza di diverse proposte egemoniche.

Sono le élites ad avere la capacità, e il dovere, di esercitare più consapevolmente le virtù sociali e politiche, di esserne l’esempio concreto. Infatti, i loro membri sono sì orientati al successo, ma anche alla lungimiranza, alla disciplina, al differimento dell’utile, al merito, al decoro, all’efficienza; non per amore della virtù, ma per legittimare le proprie pretese. La loro deontologia - l’insieme dei doveri di ciascuno verso la professione, verso se stesso e verso i pari - è la loro morale civile: è l’assunzione di responsabilità, fondata sul rigore e sul merito, verso la società intera. E’ una morale in cui sono centrali le nozioni di prestigio e di vergogna, di efficienza e di credibilità.

Certo, i processi di democratizzazione e il formarsi di una società di massa, rendono le élites apparentemente meno legittimate davanti al senso comune; eppure, una società moderna ne ha bisogno. La controprova è data da quelle situazioni - fra cui purtroppo rientra, in parte, il nostro Paese - in cui le élites sono in sofferenza. Le nostre élites sembrano non volersi più sobbarcare il peso del rigore disciplinato che è necessario per articolare in chiave universale i propri interessi particolari, per coniugare al futuro, e non nella miopia dell’eterno presente, i verbi dell’agire sociale; per essere esempio civile.

A parte le splendide individualità o piccoli gruppi isolati di eccellenza che spesso hanno vita difficile - le élites italiane corrono il rischio di trasformarsi in corporazioni chiuse (a volte dinastiche, con modalità nepotistiche di trasmissione del potere), in un pulviscolo di piccoli o grandi privilegi o di snobismi, in Palazzi e Caste (non solo della politica); lungi dall’esibire l’orgoglio del merito, i membri delle élites aspirano piuttosto a essere vip; anziché vigilare sulle modalità di ingresso, di selezione, di addestramento dei propri membri, rilassano le pratiche di controllo, chiudono un occhio su insufficienze e infrazioni (purché sia garantita la docilità dei nuovi entrati).

È il cinismo delle élites - facilmente trasmesso all’intero corpo sociale - una delle più gravi tare del Paese, l’origine della sconnessione fra morale e politica, della corrosione dello spazio civile, del frammentarsi del discorso pubblico in una congerie di particolarismi dialettali. Ed è anche l’origine - oltre che il prodotto - dei tentativi della politica di polverizzare la società, di governarla attraverso il combinato disposto della propaganda e del populismo.

La forma civile complessiva di un Paese è data infatti oltre che dalle istituzioni, anche da quei nuclei di interessi e di sapere, di orgoglio professionale e di autostima, di senso del decoro e di vergogna sociale, che fanno sì che la civile convivenza non consista in un ammasso informe di atomi privi di relazione reciproca, ma sia un complesso e multiforme paesaggio, con un profilo e una fisionomia definiti, non plasmabili a piacere dal potere politico. Non a caso, quindi, le cronache italiane delle ultime settimane mostrano che chi ha come programma di governare senza contrappesi e istanze di controllo si appella con fare plebiscitario a una generica «gente», scavalca quando può le istituzioni e lotta contro quanto resta di élites autorevoli, o contro le loro frange non docili: magistrati, giornalisti, Scuola e Università, gerarchie ecclesiastiche (ultimi, gli economisti).

Né è un caso che Berlusconi resista aggressivamente a uno scandalo che avrebbe travolto (grazie alla reazione della stampa, delle tv, dell’opinione pubblica più qualificata, dei partiti) ogni altro leader politico di ogni altra democrazia occidentale: ha infatti potuto appellarsi alla compiaciuta tolleranza dei «molti», nella impotenza o nella indifferenza o nel cinico silenzio-assenso dei ‘pochi’ che avrebbero dovuto utilizzare il loro sapere e il loro prestigio per criticarlo e per rischiarare il giudizio collettivo.

Perché l’intero Paese non rischi di trasformarsi in un deserto morale, oltre che in una società inerte e inefficiente, e di pagare il proprio deficit collettivo di virtù democratica con la moneta della decadenza, qualcuno dovrà combattere credibilmente contro il cinismo, la rassegnazione, la passività, il conformismo, il mancato rispetto di sé e degli altri. Con un programma - in qualche misura neo-risorgimentale - di una riforma morale degli italiani, si tratta di ricominciare dai pochi (che saranno certo tacciati di moralismo, azionismo, giacobinismo), cioè da élites nuove o rinnovate, la cui rigorosa esemplarità sappia riportare la decenza e la vergogna fra le virtù civili della nostra democrazia.
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/9/2009 10.57
Titolo:Il premier - con lo stato maggiore di "Forza Italia" - non ha escluso il ricorso...

Confronto dopo lo sfogo sul Colle. Il premier: una tregua, basta veleni
Il capo dello Stato preoccupato anche per i difficili rapporti a livello europeo

"Serve equilibrio e responsabilità"
Napolitano frena il Cavaliere

Il premier teme ancora manovre in autunno. E con lo stato maggiore
di Forza Italia non ha escluso il ricorso ad elezioni politiche anticipate

di FRANCESCO BEI *

Napolitano con Silvio Berlusconi ROMA - Alla fine, come forse era inevitabile, l’onda del caso Boffo, la crisi nei rapporti tra governo e Cei, si è andata a infrangere sul Quirinale.

In quel salotto nello studio alla Vetrata, dove il capo dello Stato ha ricevuto ieri pomeriggio Berlusconi, insieme a Sandro Bondi e Gianni Letta, è stato proprio il Cavaliere a tirar fuori per primo l’argomento. Uno sfogo non sollecitato, come quello che la mattina l’aveva portato a prendersela con i giornali, che Giorgio Napolitano ha raccolto con preoccupazione, spendendosi più del solito per un "rasserenamento" del clima. "Presidente - ha esordito Berlusconi, febbricitante e sofferente per via di un mal di stomaco - sappi che in tutta questa storia di Boffo io non c’entro assolutamente nulla, i giornali hanno diffuso solo falsità. Feltri lo conosci anche tu. Semmai la prima vittima sono io".

Ma ciò che sta più a cuore al premier è chiedere un aiuto, cercare una sponda istituzionale nel presidente della Repubblica. Come prima del G8 dell’Aquila, al culmine degli scandali sulla vita privata del premier, quando, in nome dell’Italia, Napolitano arrivò a invocare una "tregua" politica. "C’è in giro un clima per cui diventa impossibile lavorare, sarebbe utile un tuo intervento che faccia da argine a tutti questi veleni - ha chiesto a questo punto Berlusconi -, anche perché alla fine è il paese che ci va di mezzo, è l’immagine dell’Italia all’estero". Berlusconi se ne è reso conto nel suo recente viaggio a Danzica e ne è rimasto impressionato: persino durante le commemorazioni sull’invasione nazista della Polonia si è sentito chiedere conto delle serate a palazzo Grazioli da uno dei leader europei. Ma questa volta, da parte di Napolitano, più che comprensione c’è stato un invito implicito ad abbandonare la tattica di controguerriglia seguita finora da palazzo Chigi. Un invito alla "moderazione", al senso di "equilibrio" e di "responsabilità da parte di tutti".

Il cruccio di Napolitano riguarda anche i rapporti con la Commissione europea, oggetto degli strali del Cavaliere a Danzica. Così, se il Presidente non ha fatto mistero di aver seguito con apprensione gli attacchi a Boffo, allo stesso modo ha valutato lo scontro tra Roma e Bruxelles un errore. E non è un caso allora se proprio ieri, da Stoccolma, Franco Frattini si sia affrettato a smentire gli intenti più bellicosi annunciati dal premier, quel voler paralizzare le istituzioni comunitarie con il veto se non cesseranno le critiche al governo italiano: "Siamo un paese responsabile", ha tagliato corto il ministro degli Esteri. Un’altra colomba, Gianni Letta, starebbe manifestando un crescente disagio per la strategia di attacchi a tutto spiano messa in atto da Berlusconi. In fondo le dimissioni di Boffo e la campagna del Giornale segnano anche la prima vera sconfitta della sua linea, volta interamente a ricucire la frattura con la Santa sede. Come dimostra anche la sua presenza domani a Viterbo accanto a Papa Ratzinger. È Letta una delle vittime del furore dei falchi che circondano il Cavaliere, che ieri ha provato a blandirlo in pubblico ancora una volta: "Non ho bisogno di Internet, io ho Gianni".

L’altra grande questione che sta agitando l’inquilino di palazzo Chigi sono le elezioni regionali. Anche qui nella convinzione che solo una schiacciante vittoria metterà a tacere i critici e spazzerà il tavolo da tutti i "complotti" messi in campo per destituirlo. E se poi il clima si dovesse fare ancora più pesante, alcuni sussurrano che il premier avrebbe in mente di giocarsi l’arma finale, le dimissioni e il ricorso alle elezioni anticipate (nella certezza che un’altra maggioranza in Parlamento sarà impossibile da trovare) in concomitanza con le amministrative di marzo. Fantapolitica? Forse, ma nel pranzo di ieri a palazzo Grazioli, dove Berlusconi ha riunito Verdini, Cicchitto, Quagliariello, Bondi e Gianni Letta, il padrone di casa ha ripetuto: "In questa legislatura non ci saranno altri governi".

Il cuore della partita, dunque, si gioca nella metà campo di Casini, decisivo in molte regioni. Ma nel lungo vertice a via del Plebiscito sarebbe stata affrontata anche la questione del testamento biologico e dell’atteggiamento da tenere per disinnescare le "trappole" del presidente della Camera nell’iter del ddl a Montecitorio. I partecipanti ovviamente smentiscono, giurano che si è trattato di una "riunione informale, del tutto occasionale", ma intanto dalle parti di An il vertice è stato visto sotto tutt’altra luce. "È stata una riunione incauta - è la reazione che si coglie tra gli uomini di Fini -, sembra quasi il tentativo di far rinascere Forza Italia. Un episodio che dà un segno involutivo al processo di costruzione del Pdl. Tra di noi c’è profondo malessere".

* la Repubblica, 5 settembre 2009
Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 05/9/2009 15.05
Titolo:150° ITALIA. IL PRESIDENTE DI "ITALIA" CHIEDE AL PRESIDENTE DI "FORZA ITALIA" ...

Il programma per le celebrazioni del 150esimo anniversario per esaltare le "libertà locali"
Un "Tg del Risorgimento", l’orchesta di Arbore e su Facebook gli "amici" di Garibaldi e Mazzini

Dialetti e nuovo nome a piazza Venezia
Ecco il piano per l’Unità d’Italia

di FRANCESCO BEI *

ROMA - Una celebrazione "pop", poco istituzionale, che molto concede ai nuovi fenomeni di comunicazione tipo Facebook e alla televisione. Con una decisa coloritura leghista sull’insieme e diverse sorprese, come quella di cambiare nome a piazza Venezia a Roma per ribattezzarla "piazza dell’Unità d’Italia". È il programma per le celebrazioni del 150esimo anniversario dell’Unità che Silvio Berlusconi e Sandro Bondi hanno illustrato ieri al capo dello Stato. Repubblica è in grado di anticiparne i contenuti, in attesa che il comitato dei Garanti presieduto da Carlo Azeglio Ciampi si pronunci nel merito.

E proprio Napolitano, preso atto "con soddisfazione" che il governo ha recepito il suo impulso a definire "senza ulteriori ritardi" il programma delle celebrazioni, ieri ha chiesto a Berlusconi il "pieno coinvolgimento" del comitato Ciampi.

"Che cosa è l’Italia per noi?", si è chiesto Bondi in Consiglio dei ministri illustrando le proposte. La riposta, musica per le orecchie di Bossi, è stata questa: "Il nostro governo ha sempre pensato alle molte Italie, perché la caratteristiche principale del nostro paese è di avere storie diverse". L’obiettivo del governo è quindi quello di "dare valore alle differenze in chiave federale". E per far questo ci sono molte strade. Anzitutto la "valorizzazione delle molte anime del Risorgimento". Non più o non solo "quella monarchica e quella democratico-liberale, ma anche quella federalista" di Cattaneo, nume tutelare del Carroccio.

Nella bozza del ministro si prevede inoltre un’antologia degli statuti comunali per esaltare le "libertà locali" delle Repubbliche italiane precedenti al Regno d’Italia. In quest’operazione rientra anche la riscoperta dei dialetti locali, che Bossi vorrebbe introdurre nelle scuole. "Un censimento dei dizionari dai vari dialetti all’italiano - sostiene Bondi - fotograferebbe la variegata realtà linguistica del dopo Unità e risponderebbe anche ad un’esigenza avvertita". E certamente sentita dalla Lega.

Ma visto che si parla di partito del Sud, anche i nostalgici dei Borbone saranno accontentati. Il piano del governo ipotizza infatti una manifestazione a Gaeta, la rocca dove venne schiacciata l’ultima resistenza di Francesco II, come "riconciliazione fra piemontesi e borbonici". Altre "chicche" del piano sono il cambio di nome di piazza Venezia a Roma e una grande manifestazione di avvio delle celebrazioni nel marzo 2011 all’Altare della Patria, a cui dovranno partecipare "tutti i sindaci d’Italia". Un’adunanza di più di 8000 primi cittadini.

Nel regno del magnate della tv, importanza primaria viene ovviamente data al piccolo schermo con un massiccio coinvolgimento della Rai. L’idea più originale è quella di dar vita a un "Tg del Risorgimento", un racconto della Storia "come fosse il Tg delle venti", per descrivere le giornate più memorabili dell’unificazione: "Titoli di apertura, corrispondenze dai campi di guerra, i retroscena della politica, le interviste ai protagonisti, gli editoriali". Spazio anche ai concerti. Quelli di musica classica, ma anche quelli dell’orchestra di Renzo Arbore.

E poi Facebook, nella speranza di attirare i giovani: "Verranno realizzate - dice Bondi - delle pagine dei principali protagonisti come Garibaldi, Mazzini, Cavour, che dialogheranno direttamente, come se fossero vivi, con i loro "amici" sulla Rete". Infine l’Italia in Dvd: "Venti Dvd da allegare ad uno dei maggiori quotidiani italiani per raccontare i momenti più importanti e i personaggi che hanno caratterizzato i primi 150 anni della storia d’Italia". Un solo quotidiano, ma al momento non è specificato quale.

* la Repubblica, 5 settembre 2009

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