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www.ildialogo.org UN PAESE PARANORMALE: "ITALIA" (1994-2010). INTELLETTUALITA' DIFFUSA E ESPERIENZE DI ALTERITA'. Il Manifesto apre con un articolo di Benedetto Vecchi una riflessione sull'industria culturale,a cura di Federico La Sala

IL BERLUSCONISMO E IL RITORNELLO DEGLI INTELLETTUALI....
UN PAESE PARANORMALE: "ITALIA" (1994-2010). INTELLETTUALITA' DIFFUSA E ESPERIENZE DI ALTERITA'. Il Manifesto apre con un articolo di Benedetto Vecchi una riflessione sull'industria culturale

L’Italia non sarà un paese normale, ma per quanto riguarda l’industria culturale è in linea con le tendenze presenti al di fuori dei suoi confini naturali (...)


a cura di Federico La Sala

 

  •  I salotti perbene di un paese paranormale
     
    di Benedetto Vecchi *
     
     
  • Con questo articolo di Benedetto Vecchi apriamo oggi una riflessione sull’industria culturale in Italia, così come si è evoluta (o involuta) negli ultimi anni, alla luce di un paio di recenti episodi, ampiamente dibattuti dai quotidiani nazionali negli ultimi giorni: la scelta di un autore di sinistra come Paolo Nori - collaboratore fra l’altro del «manifesto» - di scrivere per il quotidiano «Libero» e l’appello rivolto da un gruppo di intellettuali a Roberto Saviano perché smetta di pubblicare i suoi libri per la casa editrice Mondadori, che fa capo al gruppo Fininvest, e quindi a Silvio Berlusconi. Si tratta di un tema cruciale per tutti coloro che oggi hanno a che fare, dall’uno o dall’altro versante, con la produzione culturale. Per questo abbiamo aperto nel sito del «manifesto» uno spazio di intervento, intitolato «In corpore vili», rivolto a tutti coloro che vorranno intervenire nella discussione aperta dagli articoli che man mano proporremo nei prossimi giorni. *

    L’Italia non sarà un paese normale, ma per quanto riguarda l’industria culturale è in linea con le tendenze presenti al di fuori dei suoi confini naturali. Da alcuni anni, infatti, abbiamo assistito a una concentrazione oligopolistica nella produzione editoriale che ha decretato l’eclissi dell’editore «puro», figura tanto mitica quanto rilevante nella storia culturale italiana dal secondo dopoguerra a una manciata di lustri fa. Una concentrazione oligopolistica tanto nella produzione editoriale che nella sua distribuzione e vendita. Questo non ha significato tuttavia un’omologazione sul lato dell’offerta. Anzi, l’editoria, tanto in Italia che al di fuori di essa, ha scoperto ben prima di tanti altri settori il just in time, cioè quella forma produttiva che consente alle case editrici di registrare e monitorare attentamente le variazioni dei consumi culturali, adeguando e differenziando la sua offerta.

    Intellettualità diffusa

    Accanto a questo mutamento «strutturale» ce n’è stato un altro: l’affermazione di un’egemonia culturale di destra che non ha coinciso con diffuse pratiche censorie, ma con una capacità di interpretare la differenziazione dei consumi culturali come una reazione al male oscuro delle democrazie occidentali, cioè a un ordine del discorso «politicamente corretto» che impedisce il libero sviluppo degli «spiriti animali» delle società tardomoderne o liquide che dir si voglia. Un’egemonia culturale di destra che parla cioè il linguaggio delle differenze e non della massificazione.

    Ma se non mancano analisi su questa «rivoluzione passiva» dell’industria editoriale, poco e nulla è emerso su come essa è vissuta, interpretata da chi opera, meglio da chi ci lavora. E se le famose pagine dedicate da Adorno nella Dialettica dell’illuminismo all’industria culturale segnalavano enfaticamente che quella schiera di intellettuali curvi sulle macchine da scrivere per sfornare script e story board per Hollywood come se fossero curvi su una catena di montaggio coincideva con l’avvio di una colonizzazione mercantile della produzione culturale, nella realtà contemporanea la «ragion economica» è oramai diventata la norma dell’industria culturale, una realtà produttiva che vede al lavoro un numero sempre più crescente di uomini e donne. Di loro poco si sa, eccetto il fatto che possono disinvoltamente transitare dal ruolo di consulente a direttore di una collana, a collaboratore delle pagine culturali dei giornali o di una rivista culturale. Costituiscono cioè un’intellettualità diffusa dove le scelte di un singolo - 
      visto che la cultura è una merce che contribuisce alla formazione dell’opinione pubblica - non sono mai neutre, né trovano legittimazione in un indefinito principio di responsabilità individuale, ma sono sempre inserite in contesti produttivi, economici, ideologici.

    La relazione tra scelte individuali e contesto è però diventata materia incandescente dopo che uno scrittore come Paolo Nori, collaboratore anche del manifesto, ha accettato l’offerta di «Libero», giornale notoriamente di destra, a collaborare con le sue pagine culturali. Scelta che ha fatto molto discutere, prima nel sito di Nazione indiana, dove il critico letterario Andrea Cortellessa non ha lesinato aspre critiche alla scelta di Nori. E negli stessi giorni in cui è apparsa la firma di Nori sul giornale diretto da Maurizio Belpietro, Vittorio Ostuni, editor per la saggistica della casa editrice Ponte delle Grazie, ha inviato una lettera aperta a Roberto Saviano, invitandolo a non pubblicare più per Mondadori, casa editrice di proprietà di Fininvest, cioè di Silvio Berlusconi.

    Due vicende tra loro diverse che pongono al centro della scena il rapporto tra politica e cultura che la «rivoluzione passiva» dell’industria editoriale aveva cacciato a forza dietro le quinte. Ma come spesso accade nelle discussioni pubbliche, molti quotidiani - «La Stampa», «Il Corriere della Sera», «Il riformista» - hanno cominciato a discettare sul dito dello scandalo (uno scrittore di sinistra che scrive per un giornale di destra famoso per i toni feroci usati nei suoi articoli e titoli), dimenticandosi di vedere la luna che quel dito indicava: quali possano, cioè, essere le forme di alterità, opposizione, financo antagonismo, di chi lavora in un’industria culturale segnata da una egemonia della destra?

    Esperienze di alterità

    Tema non peregrino, visto che, per quanto lo si possa auspicare, è impensabile che gran parte di quella intellettualità diffusa che lavora nelle case editrici si diriga verso le pur vivaci case editrici indipendenti che della qualità, della sperimentazione e della ricerca di autori nuovi vogliono fare la loro ragione sociale. Impensabile perché la piccola editoria indipendente è spesso caratterizzata da una diffusa e radicata precarietà nel rapporto di lavoro che certo non favorisce la scelta di lavorarci. Impensabile per la fragilità imprenditoriale che non sempre riesce a garantire la continuità di una produzione diversa da quella proposta dalle case editrici mainstream.

    Dunque come stare nell’industria culturale? Tra gli autori, un’esperienza di alterità viene dallo scrittore collettivo Wu Ming, che ha imposto licenze «creative common» sul diritto d’autore per i propri romanzi. Altri scrittori hanno invocato, in un incontro pubblico sulla vicenda che si è tenuto in una libreria romana alcuni giorni fa, una rinnovata aura di un autore che non si impegna direttamente nella sfera politica, ma che attraverso i suoi contenuti vuol sempre illuminare la caverna in cui sono condannati a vivere uomini e donne. Il tutto con il tono disincantato e spregiudicato di chi ritiene di essersi salvato dal fiume in piena sulla riproducibilità tecnica della cultura e sulla morte dell’autore che ha investito da oltre un cinquantennio la riflessione teorica sullo statuto della letteratura, della filosofia e chi ne ha più, più ne metta.

    La querelle attorno a Nori si è così dissolta in un brusio indistinto. Si è preferito inoltre cercare nel passato - la presenza della forma di Pier Paolo Pasolini sul «Corriere della Sera» o di Franco Fortini sul «Sole 24 ore» - una legittimazione a scelte che solipsisticamente evocano valori assoluti (libertà e responsabilità) cancellando però le condizioni che spesso impediscono l’esercizio di un responsabile e libero pensiero critico. E se «Libero» è il giornale che è, poco o nulla è stato detto sul fatto che l’egemonia culturale della destra è stata costruita, negli anni scorsi, anche nelle pagine culturali di giornali rispettabili e ammessi ai salotti buoni della società italiana. In passato, infatti, i reiterati interventi sul «Corriere della sera» a favore del libero mercato e dell’individualismo proprietario, in anni più recenti le pagine piene di liturgica empatia con le posizioni antilluministe presenti nella chiesa cattolica del «Foglio» sul pensiero hanno infatti avuto un peso maggiore delle pagine culturali di «Libero» o del «Giornale». Oppure basta scorrere gli ultimi anni dei catologhi di molte case editrici e trovare solo titoli su quell’unico mondo possibile che è il capitalismo contemporaneo. La «querelle Nori» può quindi essere archiviata come una delle tante dispute che periodicamente smuovono le acque quiete dell’industria culturale, ma rimane comunque il problema di come si possa stare in forma critica dentro di essa in maniera tale che ognuno possa far leva su quelle forme e trarre forza e potere contrattuale da esse.

    * Il manifesto, 23.01.2010

_________

NOTE SUL TEMA *:

             A)  In questo momento l’Italia sta attraversando un periodo strano...              di U. Eco (2002) *

  • «Certo. Tutti i giornalisti vengono a intervistarmi su Berlusconi. Rispondo loro che si occupa dei suoi interessi con successo. Il problema è quel 50% di Italiani che gli permette di farlo, e il rischio di contagio che può effettivamente colpire la Francia e la Germania. Questa maniera di considerare la politica come un’impresa pubblicitaria è un problema che riguarda tutto l’Occidente. Ma lasciamo che quest’esperienza mostri la sua nocività ed evitiamo in ogni caso di parlare di fascismo. E conserviamo il nostro sangue freddo. Le tecniche di governo del Signor Berlusconi sono delle tali mazzate che più le si critica e più si ha l’aria d’esser pazzi. Quell’uomo si adopera per dare a ciascuno di noi un’occasione al giorno per indignarci, e in questo modo finisce per far sgonfiare la protesta e la rabbia. Ma se io riuscissi a lanciare una sassata ogni mattina e a romperle ogni volta un vetro, sarebbe lei ad aver l’aria dell’imbecille. Non Berlusconi».

    * Cit. da: Intervista a Umberto Eco, Vi scrivo dal medio evo, di MARCELLE PADOVANI - la Repubblica, 17 febbraio 2002.

    - - - -

    B) - IL NEMICO DELLA STAMPA ...  di U. Eco *

    "Nel 1931 il fascismo aveva imposto ai professori universitari, che erano allora 1.200, un giuramento di fedeltà al regime. Solo 12 (1 per cento) rifiutarono e persero il posto. Alcuni dicono 14, ma questo ci conferma quanto il fenomeno sia all’epoca passato inosservato lasciando memorie vaghe. Tanti altri, che poi sarebbero stati personaggi eminenti dell’antifascismo postbellico, consigliati persino da Palmiro Togliatti o da Benedetto Croce, giurarono, per poter continuare a diffondere il loro insegnamento. Forse i 1.188 che sono rimasti avevano ragione loro, per ragioni diverse e tutte onorevoli. Però quei 12 che hanno detto di no hanno salvato l’onore dell’Università e in definitiva l’onore del Paese.

    Ecco perché bisogna talora dire di no anche se, pessimisticamente, si sa che non servirà a niente.

    Almeno che un giorno si possa dire che lo si è detto "

    * Cit. da: U. Eco, Il nemico della stampa, L’Espresso, n. 28, 2009 - 10.07.2009)

 

  "La freccia ferma" (Elvio Fachinelli) e "La banalità del male" (Hannah Arendt). A "Regime leggero", verso la catastrofe... 
  IL BERLUSCONISMO E IL RITORNELLO DEGLI INTELLETTUALI. Dal 1994 al 2008: "Gran brutta aria, regime ancora no"!!!

  PREMIO NOBEL PER LA "LETTERATURA", ALL’"ITALIA", AL PRESIDENTE DELLA "REPUBBLICA" DEL "POPOLO DELLA LIBERTA’"!!! 
  ACCADEMIA E BERLUSCONISMO. PREMIATO IL PRESIDENTE BERLUSCONI, PER IL RILANCIO DEL PLATONISMO ATEO E DEVOTO. "IO, PLATONE, SONO LA VERITA’": "FORZA ITALIA"!!! 
  Nelle piazze e nei campi di calcio il popolo ateo-devoto è tutto in festa, in un mare di bandiere "nazionali"

  FILOSOFIA. IL PENSIERO DELLA COSTITUZIONE E LA COSTITUZIONE DEL PENSIERO .... 
  MA DOVE SONO I FILOSOFI ITALIANI OGGI?! POCO CORAGGIOSI A SERVIRSI DELLA PROPRIA INTELLIGENZA E A PENSARE BENE "DIO", "IO" E "L’ITALIA", CHI PIU’ CHI MENO, TUTTI VIVONO DENTRO LA PIU’ GRANDE BOLLA SPECULATIVA DELLA STORIA FILOSOFICA E POLITICA ITALIANA, NEL REGNO DI "FORZA ITALIA"!!!

Federico La Sala (24.01.2010)



Domenica 24 Gennaio,2010 Ore: 15:34
 
 
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