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www.ildialogo.org IMITAZIONE DI COSTANTINO: LA CROCE DI HITLER, LA MAGLIETTA DI KAKA', E IL SOGNO RATZINGERIANO DELL'AVVENIRE.,a cura di Federico La Sala

"IN HOC SIGNO VINCES": LE RADICI COSTANTINIANE DEL CATTOLICESIMO-ROMANO ...
IMITAZIONE DI COSTANTINO: LA CROCE DI HITLER, LA MAGLIETTA DI KAKA', E IL SOGNO RATZINGERIANO DELL'AVVENIRE.

Un articolo di Vittorio Messori, un articolo di Luigi Testaferrata, e altri materiali.


a cura di Federico La Sala

La sagrestia di Lambach, in Alta Austria, custodisce il segreto

Ecco la svastica che ispirò Hitler

Il futuro dittatore frequentò qui la terza elementare. I religiosi hanno interdetto l’accesso per impedire il pellegrinaggio di nostalgici. Quando i nazisti soppressero le case monastiche venne risparmiata solo quella

di Vittorio Messori (Corriere della Sera, 09.07.2009)

Per penetrare nel luogo proibito, ho dovuto giocare la carta del riconosci­mento, mostrando il passaporto e al­cune pubblicazioni recenti che ave­vo con me. Ho superato così la diffidenza del monaco guardiano, fortunatamente let­tore delle traduzioni tedesche dei miei libri. Affidato a un sagrestano e aperta la grande porta barocca chiusa a chiave, mi sono stati concessi pochi minuti per scattare qualche istantanea con la mia macchinetta automati­ca. Alla fine, l’esortazione a «far buon uso» del privilegio accordato a me e negato cate­goricamente a tanti altri, da molti anni.

Tutto questo per accedere alla sagrestia di una chiesa non solo aperta al pubblico ma anche assai frequentata, essendo al contem­po parrocchia e tempio della grande, antica abbazia di Lambach, nell’Alta Austria. Un monastero che, nella sua vita millenaria, ha vissuto anche una esperienza singolare: du­rante l’anno scolastico 1897/98 ospitò, per la terza classe elementare, un bambino di ot­to anni originario di Braunau am Inn. Bambi­no disciplinato, dal visetto grazioso (come mostra la ancora esistente foto della classe) ma ostinato e introverso. Il che non gli impe­dì di essere un diligente chierichetto e un buon elemento della corale di voci bianche, nonché un allievo attento delle lezioni di vio­lino impartitegli da un Padre benedettino. Dopo l’aula della scuola nell’abbazia, la mag­gior parte del suo tempo lo trascorse, quel­l’anno, proprio nella sagrestia ora interdetta ai visitatori. Lì, infatti, aiutava i sacerdoti ce­lebranti a indossare e a togliere i paramenti liturgici, lì lavava e riempiva le ampolle per l’acqua e per il vino, lì sistemava arredi e ve­sti negli armadi. Lì si radunava con gli altri bambini, ogni sabato pomeriggio, per le pro­ve dei canti per la messa grande domenicale e si esercitava per le melodie previste per matrimoni, funerali, feste liturgiche varie.

Ebbene, quel vasto ambiente barocco è do­minato da una sorta di grande cenotafio in marmi dai colori vivaci, che termina in uno stemma abbaziale, sovrastato da una mitria e da un pastorale in pietra rossa, forse di Ve­rona. Nell’ovale del blasone, una svastica con gli uncini piegati, vistosamente dorata. La stessa doratura per la data (1869) e per le quattro lettere che circondano la croce: T.H.A.L. Cioè: Theoderic Ha­gn Abate (di) Lambach.

Per posizione, per impo­nenza, per policromia dei marmi pregiati, il cenotafio è il punto focale della sala, è impossibile non esserne at­tratti appena entrati. Dun­que, in quell’anno scolastico di oltre 110 anni fa, attrasse anche gli occhi, avidamente curiosi, dell’al­lievo di terza classe della Volks-Schule, nonché chierichetto e corista. Il suo nome era Adolf Hitler.

L’anno a Lambach del futuro Führer è ovviamente ben noto agli storici, anche perché l’interessato gli dedicò una pagina del Mein Kampf, dove dice di non avere condi­viso l’ideale di quei monaci ma di averne sti­mato la serietà e, soprattutto, di avere prova­to tali emozioni durante le solenni liturgie da sentirsi, lui che sarà sempre astemio, be­rauscht, ubriaco. Alcune biografie accenna­no anche alla svastica del monumento abba­ziale ma, curiosamente, sono quasi inesi­stenti, per quanto sappia, le fotografie che appaghino la curiosità dei lettori. In ogni ca­so, le rare immagini sono di molti anni fa, in sfocato bianconero. In effetti, come io stesso ho constatato, i religiosi hanno deci­so di interdire l’accesso alla sagrestia per troncare una sorta di pellegrinaggio, ove ai curiosi si aggiungevano, pare, anche inquie­tanti nostalgici se non dei pericolosi pazzoi­di.

La gran maggioranza dei visitatori ignora che un’altra svastica, seppur di dimensioni minori, potrebbe risvegliare la curiosità. La seconda croce uncinata è sulla fontana nel giardino di fronte all’ingresso. Il piccolo Adolf vide pure questa tutti i giorni, giungen­do al mattino in abbazia, ma nel dopoguerra è stata coperta da rampicanti e da vasi di fio­ri e per vederla bisogna conoscerne l’esisten­za e spostare le piante. Anche questa è «fir­mata » da padre Theoderic Hagn, abate di Lambach nella seconda metà dell’Ottocento che per il suo stemma (ogni superiore di mo­nastero benedettino ne ha uno, alla pari dei vescovi) scelse una svastica, forse perché se­gno dell’incontro tra la croce cristiana e la tradizione religiosa mondiale.

È noto, infatti, che sin da tempi preistorici la croce uncinata è presente come simbolo sacro in ogni continente, America preco­lombiana e Oceania incluse. Soltanto il giudaismo sem­bra non conoscerla, probabil­mente perché è simbolo sola­re, mentre la tradizione ebraica, a cominciare dal ca­lendario, è soprattutto lunare. Sta di fatto che anche per questo la Hakenkreuz, la «cro­ce con gli uncini», fu dichiarata «segno aria­no » e prediletta, tra Ottocento e Novecento, dai gruppi ispirati al nazionalismo germani­co nonché all’esoterismo e all’antisemitismo in qualche modo «metafisico». Il giovane Hi­tler la conobbe (curiosamente, proprio nella forma «alla Lambach», con gli uncini piega­ti) presso la Thule-Gesellschaft, la società se­misegreta le cui dottrine e i cui uomini ali­mentarono il nazionalsocialismo nascente.

Fu nel maggio del 1920 che il futuro Führer presentò l’insegna del movimento, da lui stesso (pittore frustrato) disegnata: una svastica, appunto, ma con i bracci rad­drizzati e inclinata verso destra, per, disse, «dare l’idea di una valanga che travolga il mondo decadente».

Questa scelta del simbolo, tra tanti possi­bili, fu determinata anche dall’impressione ricavata dallo scolaro di terza elementare da­vanti alle svastiche dell’abate Hagn? Hitler non ne fece mai cenno, ma ci sono due epi­sodi che fanno pensare. Quando invase l’Au­stria, nel 1938, pur pressato da mille impe­gni, si fece portare a Lambach (riservata­mente, con Eva Braun, una foto lo mostra con un impermeabile bianco, da borghese) per rivedere l’abbazia e sostò nella sagre­stia, davanti al vistoso cenotafio dove tante volte aveva lavorato e cantato. C’è di più: co­me già in Germania, i nazisti soppressero subito le case monastiche austriache, ma Lambach fu risparmiata e i religiosi furono allontanati soltanto nel 1942. Dopo tutto, non sfugga un particolare: attorno ai bracci della svastica dell’abate, stanno anche una A e una H. Proprio quelle iniziali che Adolf Hitler volle incise accanto alla Hakenkreuz.

                                                       ***  * ***

 COSA SIGNIFICANO QUELLE MAGLIETTE SU GESÙ

 

di LUIGI TESTAFERRATA (Avvenire/Agorà, 03.07.2009)

Quanti miliardi di persone hanno guardato, domenica 28 giugno, la finale della Confederation Cup tra Brasile e Usa nello stadio di Johannesburg assordato e, più che assordato, travolto, alluvionato dal suono continuo delle trombette africane? Quanti miliardi di persone, allora, hanno visto quello che Kakà e Lucio, a vittoria ottenuta, hanno fatto vedere sollevando la maglia gialla della tenuta ufficiale ed esibendo sotto la luce piena dei riflettori le canottiere bianche? Non è stata una questione di pochi secondi.

Prima in campo e poi sulla tribuna dove avevano già ricevuto premi e coppa e dove il mondo calcistico presente e lontanissimo li acclamava, hanno mostrato, non più come indumenti secondari, ma come vetrine, come stendardi, come luoghi dove era scritta tutta l’anima della partita e della vita, due frasi stampate in nero e rosso.

Quella sul petto di Kakà diceva: «I belong to Jesus» (’io appartengo a Gesù’) ed era la frase che il ragazzo ha fatto vedere sempre, in ogni suo momento trionfale, a giro per il mondo. Quella sul petto di Lucio, che aveva segnato di testa il gol decisivo e continuava a piangere come un bambino nonostante i trent’anni e l’abitudine alle vittorie, diceva: «I love (ma il Love era un cuore rosso che spiccava sul bianco della maglietta e tra il nero delle parole), I love Jesus ».

Ma quanti telecronisti, commentatori, esperti di calcio, osservatori a cui non sfugge una mossa e discutono per interi quarti d’ora su un presunto fuorigioco, su un pallone sfiorato da un braccio in area di rigore, su un gol segnato o non segnato, quanti dispensatori di verità calcistiche, quanti predicatori di un ’credo’ che ha caterve di seguaci osannante, hanno letto le due frasi, hanno detto che c’erano? Non parlo degli stranieri che non ho ascoltati, mi riferisco agli italiani che ci travolgono con i loro discorsi per ore incredibilmente lunghe.

Tutti hanno certamente guardato (perché guardare è il loro mestiere), tutti hanno senza dubbio visto (perché vedere è la loro passione, la loro raffinata specialità), tutti hanno avuto il tempo di farlo e nessuno ha detto che sulla maglietta di Kakà di cui raccontano le quisquilie della vita, sulla canottiera di Lucio di cui conoscono tutti i segreti, nessuno ha avuto la voglia, o il coraggio, o il pudore, o la passione cristiana di scandalizzare, a nessuno è venuto in mente che le frasi dei due campioni erano quelle che dicevamo quando eravamo bambini, prima che le nonne e le mamme fossero cancellate dalle trombette dei sudafricani.

Eppure sarebbe stata l’occasione buona per dire che Gesù non è completamente sparito dalla storia quotidiana degli uomini, che non sono soltanto i fedeli delle altre religioni a sentire il bisogno orgoglioso di pregare in qualsiasi posto si trovino, magari davanti al Duomo di Milano: sarebbe stata l’occasione giusta, oltre che per dire giornalisticamente le cose come stavano, per far notare che anche in un torneo calcistico nella lontana punta meridionale dell’Africa ci sono giovani che sentono il bisogno di toccare l’erba del campo da giuoco e farsi il segno della croce come se vedessero da qualche parte da scritta: «In hoc signo vinces» .


Sul tema, in rete, si cfr.:

T-Shirt I BELONG TO JESUS S, M, L, XL KAKA’(eBay).

IN HOC SIGNO VINCES (Wikipedia).

IL CATTOLICESIMO CON LA CROCE UNCINATA. L’apertura degli archivi del vescovo filonazista Alois Hudal, rettore per decenni del Collegio pangermanico di Santa Maria dell’Anima a Roma

  Lo spirito di Assisi ... 
  "Dominus Iesus": RATZINGER, LO "STERMINATORE DI ECUMENISMO". 
  Un ’vecchio’ commento del teologo francescano Leonard Boff.

"Deus caritas est". Sul Vaticano, in Piazza san Pietro, il "Logo" del Grande Mercante!!!

  IL VANGELO ARMATO E ANTISEMITA DI PAPA BENEDETTO XVI E’ QUELLO DI COSTANTINO - PER LA GUERRA E PER IL DOMINIO, SPACCIATO COME EVANGELO DI GESU’!!!

 CRIPTONAZISMO ITALO-VATICANO. Il decreto con le impronte del cavaliere e la targa automibilistica S.C.V. - Stato Città Vaticano. Una nota di Paolo Farinella, sottoscritta e inviata da Aldo Antonelli 



Giovedì 09 Luglio,2009 Ore: 15:53
 
 
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