- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (0)
Visite totali: (519) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org Quel piano che ha spaventato il Cile,di Jorge Magasich

Le Monde Diplomatique, dicembre 2009, pag. 16
«Salvador Allende preparava un sanguinoso auto-colpo di Stato»

Quel piano che ha spaventato il Cile

di Jorge Magasich

Jorge Magasich – storico, professore incaricato all’Istituto di alti studi sulle comunicazioni sociali di Bruxelles, autore di Los que dijeron « No ». Historia del movimiento de los marinos antigolpistas de 1973, LOM, Santiago (Chili), 2008 (Quelli che dissero “no”. Storia del movimento dei marinai antigolpisti del 1973, LOM; Santiago del Cile, 2009).
(traduzione dal francese di José F. Padova)


In Cile una campagna mediatica menzognera, condotta in particolare dal quotidiano «El Mercurio», ha preparato e poi giustificato il colpo di Stato dell’11 settembre 1973 contro Salvador Allende. Attualmente la stampa, compresa quella internazionale, si scatena contro le trasformazioni sociali in corso in Bolivia, Ecuador, Venezuela, e osanna la politica «responsabile» messa in atto a Santiago. La quale rischia di provocare un ritorno della destra al potere, il 13 dicembre prossimo [ndt. : il ballottaggio avverrà il 17 gennaio 2010, ma sempre con la legge elettorale voluta da Pinochet per conservare il potere ; vedi http://www.antennedipace.org/antennedipace/articoli/art_4379.html]

Sette giorni dopo il colpo di Stato dell’11 settembre 1973 il quotidiano cileno El Mercurio titola su otto colonne: «L’ex-governo marxista preparava un auto-colpo di Stato». Un’informazione terrificante! L’amministrazione di Salvador Allende avrebbe fomentato un piano di assassinio in massa di militari, dirigenti politici e giornalisti dell’opposizione, senza dimenticare le loro famiglie. Nome in codice: Piano Z. «Migliaia di persone sono coinvolte in questa sinistra operazione», riferisce l’articolo firmato Julio Arroyo Kuhn, un giornalista molto vicino ai servizi d’informazione della Marina.  Un mese prima questi aveva diffuso informazioni false che demonizzavano alcuni marinai [ndt.: della Marina Militare cilena] che si erano uniti ai dirigenti dei partiti di sinistra per
segnalare l’imminente putsch (1).

Fresco della nomina a segretario della Giunta [ndt.: di Pinochet e accoliti], il colonnello Pedro Ewing il 22 settembre convoca una conferenza stampa. Davanti a ciò che resta della stampa nazionale e dei giornalisti stranieri spiega che il 19 settembre, giorno dell’esercito, Allende progettava di invitare l’Alto comando a pranzo al Palazzo presidenziale della Moneda. A sorpresa, le sue guardie del corpo, travestite da camerieri, avrebbero crivellato di pallottole gli ufficiali, mentre nel Parco O’Higgins di Santiago i militari che si preparavano alla sfilata e i dirigenti dell’opposizione sarebbero stati massacrati.

Carneficine simili sarebbero state perpetrate nelle province. Il giorno successivo sarebbe stata instaurata la «Repubblica popolare democratica del Cile». Questo confermano – conclude il colonnello – i documenti scoperti nella cassaforte del vice-ministro dell’Interno di Allende, Daniel Vergara, e le loro copie trovate presso la Banca Centrale.

A mano a mano che i servizi segreti decifrano i documenti – così almeno essi pretendono – il colonnello moltiplica le rivelazioni in successive conferenze stampa. Nel corso di una di queste egli annuncia che una seconda fase del piano prevedeva l’assassinio di Allende. Benché nessuna domanda potesse essere posta, i giornalisti stranieri si stupiscono che Allende sia autore di un piano che … includeva il proprio assassinio (2).

Che importa, i media bombardano l’opinione pubblica. Ogni scoop si rivela più sensazionale del precedente: «Una nuova scuola di guerriglia scoperta a Nueva Imperial», «I marxisti incitano a progetti sinistri nella zona del salnitro», «Il PS [Partito Socialista] e il MIR [Movimento della sinistra rivoluzionaria] pianificavano l’assassinio di seicento famiglie», «I marxisti progettavano la distruzione di Limache» (3). In un articolo dello stesso Kuhn, il 23 ottobre, La Estrella di Valparaiso farà il resoconto, a modo suo, delle esecuzioni di militanti dell’Unità Popolare (UP, partito di sinistra): «Quattro capi del Piano Z passati per le armi».

La Giunta mobilita tutti i mezzi per dare credito all’esistenza del Piano. Esso verrà evocato durante la XXVIII Assemblea generale dell’ONU l’8 ottobre 1973: parla il ministro degli Affari esteri, ammiraglio Ismael Huerta, davanti a una sala quasi vuota. Ed è contenuto nel Manuale di storia del Cile, di Frías Valenzuela (1974), adottato in un gran numero di scuole.

La veridicità della cospirazione è avallata dalla quasi totalità degli intellettuali del blocco di opposizione al governo di UP [Unidad Popular, il partito di Allende], che unisce la destra e i democristiani (4). Il Piano Z in fondo non è altro che il prolungamento delle virulente campagne mediatiche che hanno preceduto il putsch, portate avanti, in primo luogo, da El Mercurio. Quotidiano con riferimenti estremamente conservatori, lanciato nel 1827 a Valparaíso e nel 1900 a Santiago, proprietà di Agustin Edwards, padrone di uno dei più grandi patrimoni del Cile, il giornale ha avuto un ruolo fondamentale nella preparazione del colpo di Stato. Secondo il Rapporto del Senato degli Stati Uniti – «Covert action in Chile 1963-1973» (1975) – El Mercurio e altri mezzi di comunicazione hanno ricevuto 1,5 milioni di dollari dalla CIA per destabilizzare Allende.

Gueriglieri, sesso, alcol e marxismo
Durante i primi mesi il Partito democristiano appoggia la dittatura. Nel numero di El Mercurio che il 18 settembre svela il Piano Z, il presidente del partito, Patricio Alwyn (primo capo dello Stato durante la transizione dal 1990 al 1994) dà al piano un completo avallo: «Il governo di Allende (…) si apprestava a realizzare un auto-colpo di Stato per instaurare con la forza la dittatura comunista. [Questo] sarebbe stato terribilmente sanguinoso e le forze armate si sono limitate a prevenire questo rischio imminente». L’ex presidente Eduardo Frei (1964-1970) (5) afferma da parte sua (ABC, 10 ottobre 1973) che «masse di guerriglieri erano già pronte e lo sterminio dei capi dell’esercito era stato bene preparato».

Queste dichiarazioni contribuiscono senza dubbio a dissipare ogni scrupolo dei giornalisti «democristiani» che lavorano nei media autorizzati. Così, Emilio Filippi e Hernán Millas, l’uno direttore del settimanale Ercilla e l’altro reporter, pubblicano in gennaio 1974 Cile ’70-’73. Cronaca di un’esperienza – un libro che rincara le spaventosità del Piano Z e si diffonde in invettive contro i dirigenti di sinistra, che non hanno alcun mezzo per difendersi.

Allo stesso modo Abraham Santibáñez, direttore aggiunto di Ercilla, e Luis Alvarez, capo redattore, pubblicano Martedì 11 settembre. Apogeo e caduta di Allende. Secondo costoro, la residenza presidenziale di El Arrayán era la «scena di sordidi eventi. Vi si mischiava, in una combinazione esplosiva, la preparazione alla guerriglia e il sesso, l’alcol e le lezioni marxiste (6)». La loro versione del Piano Z, che implicava il ministro della Difesa, il direttore del Servizio nazionale di sanità e il Presidente stesso, fu causa di persecuzioni contro i giornalisti della televisione nazionale e del Canale 13 dell’Università cattolica (7).

Alla fine di ottobre del 1973 il governo militare fa pubblicare un Libro bianco del cambio di governo in Cile, ripubblicato molte volte in spagnolo e in inglese, per spiegare perché «le forze armate e il corpo dei carabineros della Repubblica del Cile (…) rovesciarono il presidente Salvador Allende». Questo Libro bianco concentra praticamente tutte le diatribe lanciate contro l’UP, ma il suo pezzo forte è senza alcun dubbio il Piano Z, presentato come appendice documentale.

Il piano Z genera rapidamente creature regionali e locali: numerosi capi militari delle province «scoprono» la loro; in certi quartieri i vicini «di destra» pretendono di sapere da fonti sicure che liste di persone da giustiziare sono state scoperte nel Piano Z locale e se ne disputano aspramente i primi posti. Durante i primi anni della dittatura coloro che oseranno manifestare un certo disaccordo con le brutalità del regime riceveranno invariabilmente la risposta prefabbricata: il Piano Z sarebbe stato peggio! L’esercito ci ha salvati e i suoi eccessi sono scusabili.

Secondo Millas – a quell’epoca favorevole al colpo di Stato – partigiani del regime o persone desiderose di essere percepite come tali esercitavano pressioni enormi sulla stampa perché i loro nomi figurassero sulle liste del Piano Z; allora essi potevano pronunciare la frase: «Ho saputo che anch’io sarei stato ucciso…». Un agricoltore che esperiva le procedure per recuperare la sua hacienda espropriata offrì 100.000 escudos (25.000 dollari) perché il suo nome apparisse sulle liste immaginarie (8).

La portata del Piano Z va al di là di una montatura per giustificare il putsch. Esso ha costituito un elemento essenziale nel condizionamento dei militari lanciati contro il «nemico interno». Perché i soldati reprimessero senza pietà occorreva che essi percepissero i perseguitati non come cittadini, eventualmente di idee diverse, ma come assassini che progettavano di eliminarli, essi e le loro famiglie. Disumanizzando l’avversario, il Piano Z inculcò ai militari l’odio indispensabile per torturare e assassinare.

«Il più dimenticato dei racconti militari»
Invariabilmente, gli indizi sull’origine del piano Z indicano i servizi segreti della Marina, che sono anche all’origine del putsch. Il primo annuncio d’altra parte è fatto da Kuhn, giornalista che è strettamente legato ad essi. Il rapporto Hinchey sulle attività della CIA in Cile, redatto su richiesta della Camera dei rappresentanti [statunitense] nel 2002, imputa la paternità del Libro bianco a «cileni che avevano collaborato con la CIA ma non agivano sotto la sua direzione (9)».

Quasi due decenni dopo, alcuni riconosceranno il loro errore. Millas spiegherà nel 1999 che «il Piano Z non è mai esistito e che si tratta del più dimenticato dei racconti militari», senza mai accennare al suo sciagurato libro del 1974 (10). Santibáñez nel 1999 dichiarerà ugualmente : «Devo confessare che vi è stato un grande errore: credere al Piano Z (11)». Il direttore di El Mercurio, Arturo Fontaine Aldunate che, nel 1973, organizzò su questo tema un vero e proprio martellamento mediatico, risponde alla giornalista Mónica González: «Non ho alcuna prova dell’esistenza del Piano Z. A quell’epoca lo si dava per certo. Per me, oggi, questo rimane un mistero (12)». Federico Willoughby, primo consigliere in comunicazioni della Giunta, nel 2003 riconosce che il Piano Z fu montato dai servizi segreti della dittatura come uno strumento di guerra psicologica destinato a giustificare il colpo di Stato (13).

Gli autori del Piano rimangono ignoti, ma quelli del Libro bianco hanno cominciato a parlare. Quasi trent’anni dopo, lo storico Gonzalo Vial Correa riconosce di essere uno dei suoi compilatori: «L’abbiamo scritto in molti, ma principalmente io (14)». Vial Correa è l’autore di una Storia del Cile molto diffusa, ma è ugualmente un uomo politico di estrema destra, vicino all’Opus Dei. Sotto il governo di Allende diresse la rivista Qué Pasa [Che accade], coinvolta nel putsch; nel 1979 divenne ministro dell’Educazione di Pinochet; nel 1990 il governo Alwyn lo designò come …commissario della Commissione verità e conciliazione; nel 1994, sotto la presidenza di Frei, sarà nominato membro della Tavola di dialogo.

Nel 2002 Vial Correa (morto in ottobre 2009) spiegherà che dopo il colpo di Stato la sua equipe (la redazione di Qué Pasa) era in contatto con la Giunta attraverso un ufficiale di Marina. Costui gli consegnò diversi documenti «scoperti durante le perquisizioni», fra i quali «il Piano». Testardo, Vial Correa era una delle rare persone che continuavano a difenderne ancora l’esistenza. Per lui «una testa calda di Unità Popolare, una fra le tante che il governo Allende contava fra i suoi membri, ha scritto questo documento, ne ha fatto copie e le ha distribuite ai suoi amici (…). Detto questo, che vi sia stato un inizio di effettuazione e che siano stati molti o pochi a parteciparvi è un’altra storia. Quando si parla di un’invenzione, è una menzogna. Nessuno l’ha inventato, è stata trovato. E abbiamo dovuto lottare per poterlo pubblicare (15)».

Pur concedendo che, trent’anni prima, lo storico pensasse che i foglietti fattigli pervenire dalla Marina fossero opera di una «testa calda» non identificata, ciò che egli pubblica nel Libro bianco è radicalmente diverso. Egli vi asserisce che «l’Unità Popolare e Salvador Allende (…) si apprestavano a fare un auto-colpo di Stato per conquistare un potere assoluto basato sulla forza e sul crimine (16)». La sua responsabilità, come quella dei suoi collaboratori, fra i quali si trovava Cristián Zegers, l’attuale direttore di El Mercurio, è immensa: sono loro che promossero qualche pezzo di carta, molto probabilmente fabbricato da agenti della Marina, al rango di piano del governo di Allende. I risultati sono noti.
[vedi oltre: Le ferite ancora aperte del Cile - Processo a una dittatura, Le Monde Diplomatique, dicembre 2009, pag. 24].

Paradossalmente nessuno dei quattro governi eletti dopo il 1990 ha osato indagare sul ruolo degli organizzatori del putsch, e in particolare degli intellettuali, nella diffusione pianificata di false informazioni. A Valparaíso, dopo il ripristino della democrazia, la Marina ha eretto un monumento all’ammiraglio José Toribio Merino, colui che nel 1973 prese la testa della sedizione. Le sue Memorie (17), vero e proprio incitamento a fare colpi di Stato, contengono una descrizione barocca del piano Z. La loro lettura è oggi consigliata alla Scuola Navale, dove Merino figura come modello per i futuri ufficiali.

Le note a questo articolo si trovano in calce alla versione francese originale.

Le Monde Diplomatique, dicembre 2009, pag. 24
Le ferite ancora aperte del Cile
Processo a una dittatura
di Nira Reyes Morales (traduzione dal francese di José F. Padova)

In virtù di un mandato internazionale emesso dal giudice spagnolo Balthazar Garzón, il generale Augusto Pinochet è arrestato a Londra il 16 ottobre 1998. Deve rispondere dei crimini commessi durante gli anni della dittatura (1973-1989). Avvenimento impensabile per colui che credeva di avere organizzato la sua impunità nei minimi dettagli e che, qualche mese prima, era ancora il capo di stato maggiore dell’esercito cileno. Avvenimento ugualmente impensabile per le vittime della repressione, orchestrata da questo generale arrivato al potere grazie a un colpo di Stato che rovesciò il presidente Salvador Allende l’11 settembre 1973. Avvenimento all’origine di tre libri, di Jac Forton, Xavier Montanyà e Martha Helena Montoya Vélez.

Autore di numerose opere sulla dittatura cilena, Forton ripercorre il processo che avrebbe potuto condurre il generale Pinochet e quattordici altri militari cileni a rendere conto davanti alla giustizia francese della scomparsa, durante la dittatura, di quattro militanti di sinistra di questa nazionalità (1). Aperta dai giorni seguenti all’arresto di Pinochet a Londra, l’istruzione del processo non sarà conclusa che nel 2007 con una ordinanza di rinvio a giudizio davanti alla Corte d’assise francese. Morto qualche settimana prima, il dittatore non verrà quindi giudicato né in Francia né in Cile. Ma i suoi complici ancora in vita lo potrebbero essere a Parigi. Il processo si sarebbe dovuto tenere nel maggio 2008, ma è stato rinviato sine die. La lentezza della giustizia francese e i meandri delle procedure internazionali hanno avuto ragione, per ora, dell’opera di giustizia reclamata dalle famiglie delle vittime.

Per alcuni, la violenza della dittatura non avrebbe potuto essere combattuta se non con la lotta armata. Nel 1986 il Fronte patriottico Manuel Rodriguez, braccio armato del Partito comunista cileno, decise di eliminare il generale Pinochet. Il giornalista catalano Montanyà ripercorre il tracciato di alcuni autori di questo tentativo di attentato, dal quale Pinochet scampò miracolosamente (2). Arrestati, torturati e condannati a morte, detenuti in una prigione di massima sicurezza, essi riuscirono a evadere nel gennaio 1990, qualche giorno prima che il generale trasmettesse il potere a Patricio Alwyn, il nuovo presidente democraticamente eletto. Ma il Cile della «transizione democratica» si è rifiutato di amnistiarli. La maggior parte di essi hanno dovuto lasciare il Paese – alcuni sono ancora sotto la minaccia di procedimenti giudiziari.

Montoya Vélez, da parte sua, era una giovane studentessa colombiana quando arrivò in Cile per vivere l’utopia della rivoluzione pacifica di Allende. Appena giunta è travolta dal golpe (3). Arrestata nel settembre 1973 è imprigionata per un mese allo stadio Nazionale di Santiago, trasformato in centro di tortura. Liberata grazie alla tenacia dell’Ambasciatore di Colombia rientra al suo Paese, distrutta. Costretta da sua madre a tenere sotto silenzio quelle settimane di incubo, le occorreranno quasi vent’anni per «fare uscire quelle ferite nascoste sotto mascheramenti diversi (4)». Il suo racconto, costruito in forma di cronache corte e potenti, conduce il lettore in quel «labirinto di dolore» nel quale le donne erano ammucchiate, umiliate, violentate dai torturatori, obbligate ad assistere alla distruzione dei loro mariti e compagni. Un racconto dell’inferno, senza amarezza e pieno di umanità.

(1) Jac Forton, Pinochet. Le procès de la dictature en France, Toute Latitude, Paris, 2009, 189 pages, 17,80 euros.
(2) Xavier Montanyà, Les Derniers Exilés de Pinochet. Des luttes clandestines à la transition démocratique, Agone, Marseille, 2009, 220 pages, 18 euros.
(3) Coup d'Etat.
(4) Martha Helena Montoya Vélez, Rompre le silence. Je t'accuse Pinochet, Elytis, Bordeaux, 2009, 208 pages, 19 euros.

Testo originale:

Le Monde Diplomatique, décembre 2009, p. 16

«Salvador Allende préparait un auto-coup d’Etat sanglant»

Ce plan  qui a épouvanté le Chili

Au Chili, une campagne médiatique mensongère, menée en particulier par le quotidien « El Mercurio », a préparé puis justifié le coup d'Etat du 11 septembre 1973 contre Salvador Allende. Actuellement, la presse, y compris internationale, se déchaîne contre les transformations sociales en cours en Bolivie, en Equateur, au Venezuela, et choie la politique « responsable » menée à Santiago.
La quelle risque de provoquer un retour de la droite au pouvoir, le 13 décembre prochain

Par Jorge Magasich** Historien, chargé de cours à l'Institut des hautes études des communications sociales de Bruxelles, auteur de Los que dijeron « No ». Historia del movimiento de los marinos antigolpistas de 1973, LOM, Santiago (Chili), 2008.

Sept jours après le coup d'Etat du 11 septembre 1973, le quotidien chilien El Mercurio titre sur huit colonnes : « L'ex-gouvernement marxiste préparait un auto-coup d'Etat ». Une information terrifiante ! L'administration de Salvador Allende aurait fomenté un plan d'assassinat massif de militaires, de dirigeants politiques et de journalistes d'opposition, sans oublier leurs familles. Nom de code : plan Z. «Des milliers de personnes sont impliquées dans cette sinistre opération », relate l'article signé Julio Arroyo Kuhn, un journaliste très proche des services de renseignement de la marine. Un mois plus tôt, il avait diffusé de fausses informations diabolisant des marins qui s'étaient réunis avec les dirigeants des partis de gauche pour dénoncer le putsch imminent (1).

Fraîchement désigné secrétaire de la junte, le colonel Pedro Ewing convoque une conférence de presse, le 22 septembre. Devant ce qui reste de la presse nationale et des journalistes étrangers, il explique que, le 19 septembre, jour de l'armée, Allende projetait d'inviter à déjeuner le haut commandement au palais présidentiel de la Moneda. Par surprise, ses gardes du corps, déguisés en serveurs, cribleraient les officiers de balles, tandis que, dans le parc O'Higgins de Santiago, les militaires en train de défiler et les dirigeants de l'opposition seraient massacrés.
Des carnages similaires surviendraient dans les provinces. Le lendemain, la « République populaire démocratique du Chili » serait instaurée. Ainsi l'établissent – conclut le colonel – les documents découverts dans le coffre-fort du vice-ministre de l'intérieur d'Allende, Daniel Vergara, et leur copie trouvée à la Banque centrale.

A mesure que les services de renseignement déchiffrent les pièces – du moins le prétendent-ils –, le colonel multiplie les révélations lors de nouvelles conférences de presse. Au cours de l'une d'elles, il annonce qu'une seconde phase du plan envisageait l'assassinat d'Allende. Bien qu'aucune question ne puisse être formulée, les journalistes étrangers s'étonnent qu'Allende soit l'auteur d'un plan incluant... son assassinat (2).

Qu'importe, les médias pilonnent l'opinion. Chaque scoop se révèle plus sensationnel que le précédent : « Une autre école de guérilla découverte à Nueva Imperial » ; « Les marxistes encourageaient de sinistres plans dans la zone du salpêtre» ; «Le PS [Parti socialiste] et le MIR [Mouvement de la gauche révolutionnaire] planifiaient l'assassinat de six cents familles » ; « Les marxistes projetaient la destruction de Limache » (3). Dans un article du même Kuhn, le 23 octobre, La Estrella (Valparaíso) rendra compte, à sa manière, des exécutions de militants de l'Unité populaire (UP) : « Quatre chefs du plan Z passés par les armes ».
La junte mobilise tous les moyens pour accréditer l'existence du plan. Il sera évoqué lors de la XXVIII Assemblée générale de l'Organisation des Nations unies (ONU), le 8 octobre 1973, parle ministre des affaires étrangères, l'amiral Ismael Huerta, devant une salle presque vide. Et il figure dans le Manuel de l'histoire du Chili, de Frías Valenzuela (1974), adopté par un grand nombre d'écoles.

La véracité de la conspiration est cautionnée par la quasi-totalité des intellectuels du bloc d'opposition au gouvernement de l'Unité populaire (UP) qui unit la droite et les démocrates-chrétiens (4). Le plan Z n'est au fond que le prolongement des virulentes campagnes médiatiques qui ont précédé le putsch, menées, en tout premier lieu, par El Mercurio. Quotidien de référence extrêmement conservateur, lancé en 1827 à Valparaíso et en 1900 à Santiago, propriété d'Agustin Edwards, une des grandes fortunes du Chili, le journal a été fondamental dans la préparation du coup d'Etat. Selon le rapport du Sénat des Etats-Unis – « Covert action in Chile 1963-1973 » (1975) –, El Mercurio et d'autres médias ont reçu 1,5 million de dollars de la Central Intelligence Agency (CIA) pour déstabiliser Allende.

Guérilleros, sexe, alcool et marxisme
Durant les premiers mois, le Parti démocrate-chrétien appuie la dictature. Dans le numéro d'El Mercurio qui, le 18 septembre, dénonce le plan Z, son président, M. Patricio Aylwin (premier chef d'Etat de la transition, de 1990 à 1994), lui donne un aval complet : a Le gouvernement d 'Allende (...) s'apprêtait à réaliser un auto-coup d 'Etat pour instaurer par la force la dictature communiste. [Celui-ci] aurait été terriblement sanglant, et les forces armées se sont bornées à devancer ce risque imminent. » L'ex-président Eduardo Frei (1964-1970) (5) affirme quant à lui (ABC, 10 octobre 1973) que a des masses de guérilleros étaient déjà prêtes et que l'extermination des chefs de l'armée était bien préparée ».

Ces déclarations contribuent sans doute à dissiper tout scrupule chez les journalistes « démo-chrétiens » travaillant dans les médias autorisés. Ainsi Emilio Filippi et Hernán Millas, l'un directeur de l'hebdomadaire Ercilla et l'autre reporter, publient en janvier 1974 Chili 70-73.
Chronique d'une expérience — un livre qui surenchérit sur les épouvantes du plan Z et se répand en invectives contre les dirigeants de gauche, qui n'ont aucun moyen de se défendre.

De même Abraham Santibáñez, directeur adjoint d'Ercilla, et Luis Alvarez, son rédacteur en chef, publient Mardi 11 septembre. Apogée et chute d'Allende. Selon eux, la résidence présidentielle d'El Arrayán était la «scène de sordides histoires. Il s'y mêla, dans une combinaison explosive, l'entraînement guérillero et le sexe, l'alcool et la leçon marxiste (6) ». Leurs versions du plan Z, impliquant le ministre de la défense, le directeur du service national de santé et le président lui-même, entraîneront des persécutions contre les journalistes de la télévision nationale et du Canal 13 de l'Université catholique (7).

Fin octobre 1973, le gouvernement militaire fait publier un Livre blanc du changement de gouvernement au Chili, réédité plusieurs fois en espagnol et en anglais, pour expliquer pourquoi « les forces armées et le corps des carabiniers de la République du Chili (...) renversèrent le président Salvador Allende ». Ce Livre blanc concentre pratiquement toutes les diatribes lancées contre l'UP, mais sa pièce principale est sans aucun doute le plan Z, présenté en appendice documentaire.

Le plan Z engendra rapidement des créatures régionales et locales : de nombreux chefs militaires de provinces « découvrent» le leur; dans des quartiers, les voisins « de droite » prétendent savoir de bonne source que des listes de personnes à exécuter ont été découvertes dans le plan Z local, et l'on se dispute âprement les premières places. Durant les premières années de la dictature, ceux qui oseront manifester un certain désaccord avec les brutalités du régime recevront invariablement la réponse fabriquée : le plan Z aurait été pire ! L'armée nous a sauvés et ses excès sont excusables.

Selon Millas — à cette époque favorable au coup d'Etat —, des partisans durégime, ou des personnes désireuses d'être perçues comme telles, exerçaient d'énormes pressions sur la presse afin que leurs noms figurent sur les listes du plan Z ; elles pouvaient alors prononcer la phrase : «J'ai appris que moi aussi j'allais être tué... » Un agriculteur qui entreprenait des démarches pour récupérer son hacienda expropriée offrit 100 000 escudos (25 000 dollars) pour que son nom apparaisse sur les listes imaginaires (8).

La portée du plan Z va au-delà d'un montage pour justifier le putsch. Il a constitué une pièce essentielle dans le conditionnement des militaires lancés contre l'« ennemi intérieur ». Pour que les soldats répriment sans pitié, il fallait qu'ils perçoivent les persécutés non comme des citoyens, éventuellement aux idées différentes, mais comme des assassins qui projetaient de les éliminer, eux et leurs familles. Déshumanisant l'adversaire, le plan Z inculqua aux militaires la haine indispensable pour torturer et assassiner.

« Le plus oublié des contes militaires »
Invariablement, les indices sur l'origine du plan Z désignent les services secrets de la marine, qui sont aussi à l'origine du putsch. La première annonce en est d'ailleurs faite par Kuhn, journaliste qui leur est étroitement lié. Le rapport Hinchey sur les activités de la CIA au Chili, rédigé à la demande de la Chambre des représentants, en 2002, impute la paternité du Livre blanc à « des Chiliens qui avaient collaboré avec la CIA mais n 'agissaient pas sous sa direction (9) ».

Presque deux décennies plus tard, certains reconnaîtront leur méprise. Millas expliquera en 1999 que le plan Z n'a jamais existé et qu'il est le plus oublié des contes militaires », sans jamais mentionner son livre malheureux de 1974 (10). Santibáñez déclarera, en 1999 également : «Je dois avouer qu'il y eut une grande erreur : croire au plan Z (11). » Le directeur d'El Mercurio, Arturo Fontaine Aldunate, qui, en 1973, organisa un véritable matraquage médiatique sur ce thème, répond à la journaliste Mónica González : «Je n'ai aucune preuve de l'existence du plan Z. A cette époque on le donnait pour certain. Pour moi, aujourd'hui, ça reste un mystère (12). » Federico Willoughby, le premier conseiller en communication de la junte, reconnaît, en 2003, que le plan Z fut monté par les services secrets de la dictature comme un outil de la guerre psychologique destiné à justifier le coup d'Etat (13).

Les auteurs du plan demeurent inconnus, mais ceux du Livre blanc ont commencé à parler. Presque trente ans plus tard, l'historien Gonzalo Vial Correa reconnaît être l'un de ses rédacteurs : «Nous l'avons écrit à plusieurs, moi principalement (14). » Vial Correa est l'auteur d'une Histoire du Chili bien diffusée, mais il est également un homme politique d'extrême droite, proche de l'Opus Dei. Sous le gouvernement d'Allende il dirigea la revue Qué Pasa, liée au putsch ; en 1979, il devint ministre de l'éducation de Pinochet ; en 1990, le gouvernement Aylwin le désigna... commissaire de la Commission vérité et réconciliation ; en 1999, sous la présidence de M. Frei, il sera nommé membre de la Table de dialogue.

En 2002, Vial Correa (décédé en octobre 2009) expliquera qu'après le coup d'Etat son équipe (la rédaction de Qué Pasa) était en contact avec la junte via un officier de la marine. Celui-ci lui remit divers documents « découverts lors de perquisitions », parmi lesquels « le plan ». Têtu, Vial Correa était une des rares personnes à continuer à en défendre encore l'existence. Pour lui « une tête brûlée de l'Unité populaire, parmi les nombreuses que comptait le gouvernement d'Allende, a écrit ce document, en a fait des copies et les a distribuées à ses amis. (...) Cela dit, qu'il y ait eu un début d'exécution et qu'ils aient été nombreux ou non à y participer, c'est une autre histoire. Lorsqu'on parle d'une invention, c'est un mensonge. Personne ne l'a inventé, il a été trouvé. Et nous avons dû batailler pour pouvoir le publier (15) ».

Même si l'on concède que, trente ans auparavant, l'historien pensait que les feuillets remis par la marine étaient l'œuvre d'une « tête brûlée » non identifiée, ce qu'il publie dans le Livre blanc est radicalement différent. Il y assure que « l'Unité populaire et Salvador Allende (...) s'apprêtaient à faire un auto-coup d 'Etat pour conquérir un pouvoir absolu basé sur la force et le crime (16) ». Sa responsabilité, comme celle de ses collaborateurs, parmi lesquels se trouvait Cristián Zegers, l'actuel directeur d'El Mercurio, est immense : ce sont eux qui promurent quelques feuilles très probablement fabriquées par des agents de la marine au rang de plan du gouvernement d'Allende. Les résultats sont connus (lire page 24).

Paradoxalement, aucun des quatre gouvernements élus depuis 1990 n'a osé enquêter sur le rôle des organisateurs du putsch, et notamment des intellectuels, dans la diffusion planifiée de fausses informations. A Valparaíso, après le rétablissement de la démocratie, la marine a élevé un monument à l'amiral José Toribio Merino, celui qui, en 1973, prit la tête du soulèvement. Ses Mémoires (17), véritable exhortation à faire des coups d'Etat, contiennent une description baroque du plan Z. Leur lecture est aujourd'hui conseillée à l'Ecole navale, où Merino fait toujours figure de modèle pour les futurs officiers.
Jorge Magasich.


(I) http://theses.ulb.ac.be/ETD-db/collection/available/ULBetd- l 1282007-102000/
(2) Hernán Millas, La Familia militar, Planeta, Santiago, 1999, p. 23-28.
(3) Francisco Herreros, a Prensa canalla y violación de los derechos humanos», El Siglo, Santiago, 4 novembre 2005 ; www.purochile.org/27.html
(4) A l'exception de treize dirigeants démocrates-chrétiens qui, réunis autour de Bernardo Leighton, condamnèrent le coup d'Etat. Leighton sera griève
ment blessé à Rome, en 1975, dans un attentat organisé par la police secrète de la dictature.
(5) Son fils aîné Eduardo Frei sera également président de 1994 à 2000.
(6) Luis Alvarez, Francisco Castillo et Abraham Santibàñez, Septiembre. Martes 11. Auge y caída de Allende, Triunfo, Santiago, 1973.
(7) Ernesto Carmona, e El informe Valech también sentó a los periodistas chilenos en el banquillo », Rocinante, Santiago, janvier 2005.
(8) Hernán Millas, op. cit., p. 25-26.
(9) « Hinchey report » (en anglais), http://foia. state.gov/ ; « Informe Hinchey sobre las actividades de la CIA en Chile » (en espagnol).
(10) Hernán Millas, op. cit., p. 23-30.
(11) «Abraham Santibáñez Martinez, periodista y pensador del periodismo en Chile », Pensamento comunicacional latino-americano (PCLA), Sao Paulo, 23 juin 1998.
(12) Corporación de promoción y defensa de los derechos del pueblo, La Gran Mentira. El caso de las "Listas de los 119 ". Aproximaciones a la guerra psicológica de la dictadura chilena. 1973-1990, Santiago, 2002.
(13) Wilfried Huismann et Raúl Sohr, Pinochet Plan Z(documentaire), Arte GEIE /WDR /Huismann, 2003.
(14) « Las razones del quiebre institucional de 1973, segun Gonzalo Vial » ; www.educarchile.cl
(15) La Tercera, Santiago, 24 mars 2002.
(16) Libro Blanco, 1973.
(17) José Toribio Merino, Bitácora de un almirante, Andrés Bello, Santiago, 1998.

Le Monde Diplomatique, dicembre 2009

LES PLAIES ENCORE OUVERTES DU CHILI
Procès d'une dictature
F N VERTU d'un mandat international lancé par le juge espagnol Bal-tasar Garzón, le général Augusto Pinochet est arrêté à Londres Ile 16 octobre 1998. Il doit répondre des crimes commis pendant les années de la dictature (1973-1989). Evénement impensable pour celui qui croyait avoir organisé son impunité dans les moindres détails et qui, quelques mois auparavant, était encore le chef d'état-major de l'armée chilienne. Evénement également impensable pour les victimes de la répression orchestrée par ce général parvenu au pouvoir grâce au coup d'Etat qui renversa le président Salvador Allende, le 11 septembre 1973. Evénement à l'origine de trois livres de Jac Forton, Xavier Montanyà et Martha Helena Montoya Vélez.
Auteur de plusieurs ouvrages sur la dictature chilienne, Forton retrace le processus qui aurait pu conduire le général Pinochet et quatorze autres militaires chiliens à rendre des comptes devant la justice française pour la disparition, durant la dictature, de quatre militants de gauche de cette nationalité (I). Ouverte dès les jours suivant l'arrestation de Pinochet à Londres, l'instruction ne sera close qu'en 2007 par une ordonnance de renvoi devant la cour d'assises. Décédé quelques semaines auparavant, le dictateur ne sera donc jugé ni en France ni au Chili. Mais ses complices encore vivants pourraient l'être à Paris. Le procès devait se tenir en mai 2008. Il a été reporté sine die. Les lenteurs de la justice française et les méandres des procédures internationales ont, pour l'heure, eu raison de 1'eeuvre de justice réclamée par les familles des victimes.
Pour certains, la violence de la dictature ne pouvait être combattue que par la lutte armée. En 1986, le Front patriotique Manuel Rodriguez, bras armé du Parti communiste chilien, décida d'éliminer le général Pinochet. Le journaliste catalan Montanyà retrace le parcours de certains des auteurs de cette tentative d'attentat de laquelle Pinochetréchappa miraculeusement (2). Arrêtés, torturés et condamnés à mort, détenus dans une prison de haute sécurité, ils sont parvenus à s'évader en janvier 1990, quelques jours avant que le général ne transmette le pouvoir à M. Patricio Aylwin, le nouveau président démocratiquement élu. Mais le Chili de la u transition démocratique» a refusé de les amnistier. La plupart d'entre eux ont dù quitter le pays — certains sont encore sous le coup de poursuites judiciaires.
Montoya Vélez, elle, était une jeune étudiante colombienne lorsqu'elle est arrivée au Chili pour vivre l'utopie de la révolution paci-fique d'Allende. A peine arrivée, elle est happée par le golpe (3). Arrêtée en septembre 1973, elle est détenue pendant un mois au Stade national de Santiago, transformé en centre de torture. Libérée grâce à la ténacité de l'ambassadeur de Colombie, elle rentre brisée dans son pays. Sommée par sa mère de faire silence sur ces semaines de cauchemar, il lui faudra près de vingt ans pour « faire sortir ces blessures cachées sous des déguisements divers (4) ». Son récit, construit sous forme de chroniques courtes et puissantes, conduit le lecteur dans ce « labyrinthe de la douleur » où les femmes étaient entassées, humiliées, violentées par des tortionnaires, obligées à assister à la destruction de leurs maris et compagnons. Un récit de l'enfer, sans amertume et plein d'humanité.
NIRA REYES MORALES.
(1) Jac Forton, Pinochet. Le procès de la dictature en France, Toute Latitude, Paris, 2009, 189 pages, 17,80 euros.
(2) Xavier Montanyà, Les Derniers Exilés de Pinochet. Des luttes clandestines à la transition démocratique, Agone, Marseille, 2009, 220 pages, 18 euros.
(3) Coup d'Etat.
(4) Martha Helena Montoya Vélez, Rompre le silence. Je t'accuse Pinochet, Elytis, Bordeaux, 2009, 208 pages, 19 euros.




Martedì 05 Gennaio,2010 Ore: 08:44
 
 
Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (0) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
Stampa estera

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info