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www.ildialogo.org Silvio Berlusconi vuole indebolire lo Stato per “salvarsi",di Philippe Ridet

Analisi di Le Monde
Silvio Berlusconi vuole indebolire lo Stato per “salvarsi"

di Philippe Ridet

Le Monde, Paris, 10 ottobre 2009 (traduzione dal francese di José F. Padova)


Toccato, tre volte toccato! In sei mesi Silvio Berlusconi ha appena incassato tre rovesci. Il primo riguarda la sua immagina di uomo di Stato sorpreso durante un incontro con una ragazza che è appena diventata maggiorenne o nel ricevere prostitute nelle sue residenze private. Se ne riprenderà: degli italiani, maschilisti e immemori, sono soltanto il 20% coloro che giudicano “importanti” questi fatti. Gli altri li ignorano o se ne infischiano. Il secondo riguarda il suo portafoglio dopo una condanna da parte di un tribunale di Milano a versare 750 milioni di euro al suo antico nemico Carlo De Benedetti, defraudato nell’affare della vendita dell’Editrice Mondadori. Il patrimonio del presidente del Consiglio, stimato a 8 miliardi di euro, dovrebbe permettergli di assorbire questo choc finanziario.

Il terzo, infine, riguarda il suo avvenire giudiziario dopo il rigetto, da parte della Corte Costituzionale, della legge che garantiva l’immunità penale di Berlusconi per tutta la durata del suo mandato. Circondato da un esercito di agguerriti avvocati, il Cavaliere, che non è mai stato condannato in via definitiva nonostante una ventina di processi, si appresta ancora una volta a giocare col tempo perché i fatti imputatigli (corruzione, fondi neri, frode fiscale) cadano sotto la mannaia della prescrizione.

Ma il prezzo da pagare per la propria sopravvivenza è pesante. Molto pesante per le istituzioni, lo Stato, la Costituzione e più in generale per i protagonisti della mediazione democratica. Piegando tutto alla sua volontà di opporre il popolo, dal quale egli dice di avere ricevuto il suo mandato, alle elite che gli impedirebbero di esercitarlo, il presidente del Consiglio ricorre a un sistema di difesa che rischia di sprofondare l’Italia un po’ più a fondo nella crisi dei valori e in un’opposizione sempre più isterica fra pro e antiberlusconiani. Cosa che avrebbe come risultato quello di trasformare la persona del capo del governo in soggetto unico del dibattito e dell’attività politici.

Per salvare la sua reputazione, il presidente del Consiglio ha innanzitutto preso di mira la stampa, accusata di pubblicare “menzogne”. Per fare cessare (senza risultato) le rivelazioni sugli scandali che colpiscono la sua vita privata, intenta causa contro due quotidiani di sinistra (la Repubblica e L’Unità), dai quali pretende somme ingenti per “diffamazione”. Nello stesso tempo ha spinto i giornali e le televisioni che gli appartengono a un’offensiva totale contro i media nemici e ha concluso la sua presa di possesso su due delle tre reti della televisione pubblica, alla nomina dei cui dirigenti ha provveduto personalmente.

Per salvare il suo impero industriale Berlusconi ha attaccato violentemente la giustizia, nella quale vede un’istituzione che si sarebbe interamente dedicata a portargli danno. “Giudici rossi”, “giudici di parte”, “giudici pagati dai contribuenti per nuocere agli italiani”: le sue accuse che denigrano lo Stato riprendono la sua politica, che mira a farlo dimagrire mediante tagli nella funzione pubblica. Esse completano le dichiarazioni del ministro della Funzione pubblica che insulta i suoi funzionari trattandoli come “fannulloni” e trasformando il governo in una vera e propria macchina da guerra contro lo Stato.

Per contestare la sentenza della Corte costituzionale il Cavaliere non ha esitato ad attaccare il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Questo antico membro del Partito comunista è una delle personalità politiche più rispettate in Italia, il garante della Costituzione. “Si sa da che parte sta”, ha lanciato Berlusconi al culmine del furore, rinfacciandogli, senza dirlo esplicitamente, di non aver fatto ciò che lui, forse, non avrebbe esitato a fare: esercitare sufficiente pressione sui giudici della Consulta, nominati per un terzo dalla presidenza della Repubblica, per ottenere una sentenza favorevole agli interessi del presidente del Consiglio.

Logico equivalente di questo lavoro sistematico di scalzamento delle istituzioni: il partito anti immigrati e autonomista Lega Nord ha acquistato un peso sempre più grande nella coalizione al potere. Poiché gli attacchi contro lo Stato e le istituzioni urtano la cultura dei parlamentari provenienti dal partito postfascista Alleanza Nazionale, la solidità del governo dipende oggi dal partito più “anti-italiano”. Si può ben scommettere che questa influenza aumenterà ancora a mano a mano che Berlusconi avrà bisogno di sostegno. Per il momento la Lega non ha ancora presentato il conto. Le elezioni regionali di marzo prossimo le permetteranno di farlo: dal numero dei capilista ch’essa avrà ottenuto al Nord si potrà dedurre l’ammontare del prezzo pagato da Berlusconi per assicurarsi la fedeltà di questo partito, per il quale lo Stato non è altro che una finzione, un puzzle da disfare al più presto.

Che lo Stato italiano – pesante, inefficiente, spendaccione e in deficit – abbia necessità più che nessun altro in Europa di essere riformato non vi dubbio alcuno. Altrettanto che le sue istituzioni abbiano bisogno che si tolga loro di dosso la polvere. Berlusconi – che ha esercitato il potere durante la metà degli ultimi quindici anni – non vi è riuscito, non più di quanto ha fatto la sinistra. Rieletto nel 2008, durante qualche mese ha dato l’impressione di voler essere finalmente un “uomo di Stato”. La crisi economica e il terremoto in Abruzzo hanno rafforzato questa illusione. Ma i suoi rinnovati attacchi contro la stampa, i giudici, il presidente della Repubblica e la Costituzione fanno pensare che, per salvarsi, il presidente del Consiglio abbia deliberatamente assunto il rischio di indebolire questi ultimi ostacoli che si frappongono alla tranquillità di un cittadino gaudente e di un imprenditore disonesto chiamato Silvio Berlusconi.

Philippe Ridet, corrispondente da Roma di Le Monde, Paris
ridet@lemonde.fr

Testo originale :

Analyse
Silvio Berlusconi veut affaiblir l'Etat pour "se sauver"
Par Philippe Ridet
LE MONDE | 10.10.09 | 14h19 

Touché, trois fois touché ! En six mois, Silvio Berlusconi vient de subir trois revers. Le premier concerne son image d'homme d'Etat surpris à se rendre à un rendez-vous avec une jeune fille tout juste majeure ou à recevoir des prostituées dans ses résidences privées. Il s'en remettra : les Italiens, machistes et oublieux, ne sont que 20 % à juger ces faits "importants". Les autres les ignorent ou s'en moquent. Le deuxième concerne son portefeuille après une condamnation par un tribunal de Milan à verser 750 millions d'euros à son vieil ennemi Carlo De Benedetti, spolié dans l'affaire de la vente des éditions Mondadori. La fortune du président du conseil, estimée à 8 milliards d'euros, devrait lui permettre d'absorber ce choc financier.

Le troisième, enfin, concerne son avenir judiciaire après le rejet par la Cour constitutionnelle de la loi garantissant l'immunité pénale de M. Berlusconi pendant la durée de son mandat. Entouré d'une armée d'avocats aguerris, le Cavaliere, qui n'a jamais été condamné définitivement malgré une vingtaine de procès, s'apprête encore une fois à jouer la montre afin que les faits qui lui sont reprochés (corruption, caisse noire, fraude fiscale) tombent sous le coup de la prescription.

Mais le prix à payer pour sa survie est lourd. Très lourd pour les institutions, l'Etat, la Constitution et d'une manière générale pour les acteurs de la médiation démocratique. Tout à sa volonté d'opposer le peuple, dont, dit-il, il a reçu son mandat, aux élites qui l'empêcheraient d'exercer celui-ci, le président du conseil recourt à un sytème de défense qui risque de plonger l'Italie un peu plus dans la crise des valeurs et dans une opposition de plus en plus hystérique entre pro et anti-Berlusconi. Ce qui aurait pour résultat de transformer la personne du chef du gouvernement en sujet unique du débat et de l'activité politiques.

Pour sauver sa réputation, le président du conseil a d'abord visé la presse, accusée de publier "des mensonges". Pour faire cesser (sans succès) les révélations sur les scandales touchant à sa vie privée, il poursuit deux quotidiens de gauche (La Repubblica et L'Unita) à qui il demande de lourdes sommes pour "diffamation". Dans le même temps, il a poussé les journaux et les télévisions qui lui appartiennent à une offensive totale contre les médias ennemis, et achevé sa mainmise sur deux des trois chaînes de la télévision publique dont il a veillé personnellement à la nomination des cadres.

Pour sauver son empire industriel, M. Berlusconi a violemment attaqué la justice en qui il voit une institution qui serait tout entière consacrée à lui nuire. "Juges rouges", "juges partiaux", "juges payés par les contribuables pour nuire aux Italiens" : ses accusations qui dénigrent l'Etat font écho à sa politique visant à le faire maigrir à travers des coupes dans la fonction publique. Elles parachèvent les propos du ministre de la fonction publique qui insulte ses agents en les traitant de "fainéants", transformant le gouvernement en véritable machine de guerre contre l'Etat.

Pour contester l'arrêt de la Cour constitutionnelle, le Cavaliere, n'a pas hésité à attaquer le président de la République, Giorgio Napolitano. Cet ancien membre du Parti communiste est une des personnalités politiques les plus respectées en Italie, le garant de la Constitution. "On sait de quel bord il est", a lancé M. Berlusconi au comble de la fureur, lui reprochant, sans le dire, de ne pas avoir fait ce que lui, peut-être, n'aurait pas hésité à faire : exercer suffisamment de pression sur les sages, nommés pour un tiers par la présidence de la République, pour obtenir une sentence qui soit favorable aux intérêts du président du conseil.

Parallèle logique de ce travail de sape systématique contre les institutions : le parti anti-immigrés et autonomiste de la Ligue du Nord a pris un poids de plus en plus grand dans la coalition au pouvoir. Les attaques contre l'Etat et les institutions heurtant la culture des parlementaires venus du parti postfasciste Alliance nationale, la solidité du gouvernement dépend aujourd'hui du parti le plus "anti-italien". Il y a fort à parier que cette influence grandira encore au fur et à mesure que M. Berlusconi aura besoin de soutien. Pour l'instant, la Ligue n'a pas encore présenté l'addition. Les élections régionales de mars vont lui permettre de le faire : du nombre des têtes de liste qu'elle aura obtenu dans le Nord, on pourra déduire le prix payé par M. Berlusconi pour s'attacher la fidélité de ce parti pour qui l'Etat n'est qu'une fiction, un puzzle à défaire au plus vite.

Que l'Etat italien - lourd, inefficace, dépensier et déficitaire - ait plus qu'aucun autre en Europe besoin d'être réformé ne fait aucun doute. Que ses institutions aient besoin d'être dépoussiérées également. M. Berlusconi - qui a exercé le pouvoir durant la moitié des quinze dernières années -, pas plus que la gauche, n'y est parvenu. Réélu en 2008, il a donné pendant quelques mois l'impression de vouloir être enfin un "homme d'Etat". La crise économique et le tremblement de terre des Abruzzes ont renforcé cette illusion. Mais ses attaques renouvelées contre la presse, les juges, le président de la République et la Constitution laissent à penser que, pour se sauver, le président du conseil a délibérément pris le risque d'affaiblir ces derniers obstacles à la tranquillité d'un citoyen jouisseur et d'un chef d'entreprise indélicat nommé Silvio Berlusconi.

Correspondant à Rome
ridet@lemonde.fr
Philippe Ridet


Lunedì 19 Ottobre,2009 Ore: 12:02
 
 
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