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www.ildialogo.org Fare politica o vivere di politica?,Di Rémi Lefebvre

Le trappole della professionalizzazione
Fare politica o vivere di politica?

Di Rémi Lefebvre

Le Monde Diplomatique, ottobre 2009 (traduzione dal francese di José F. Padova)


Esclusi durevolmente dal potere nazionale, in Francia i partiti dell’ex sinistra pluralista si sono ripiegati sulle loro basi locali e sulle loro reti di eletti, adattandosi a una situazione che garantisce loro numerosi posti da  spartire. Il Partito socialista, il Partito comunista e i Verdi sono così diventati macchine elettorali, con prestazioni relativamente elevate sul piano comunale, provinciale o regionale, nelle quali sembrano predominare gli interessi di migliaia di professionisti della politica. Sembra essere ormai lontano il tempo in cui la sinistra combatteva la “notabilizzazione” dei suoi eletti. La lotta per i posti tende a sostituire quella di classe, tagliando fuori i partiti della sinistra dalle rivendicazioni e dal vissuto quotidiano dei gruppi sociali che tradizionalmente li sostenevano (operai, impiegati, insegnanti). E allora, mentre flessibilità e precarietà colpiscono duramente quelle parti sociali e la crisi ha incrinato i dogmi liberisti, sono i litigi dei capi e i sapienti calcoli per la composizione delle liste elettorali che dominano i dibattiti.
 
Alle ultime elezioni europee i partiti della vecchia sinistra pluralista sono preoccupati, in questa ripresa [dell’attività politica], non già dalla crisi economica e sociale, bensì per i preparativi delle regionali del 2010 e per la spinosa questione della composizione delle liste. Il sistema di scrutinio proporzionale attribuisce alle formazioni politiche un ruolo essenziale che permette loro di retribuire o di riconvertire tutto un insieme di responsabili (vecchi trombati, aspiranti alla carriera politica senza ancoraggio comunale, collaboratori o parenti e amici di eletti, facenti funzioni nelle grandi città, responsabili delle correnti…).

I partner–rivali socialisti, verdi e comunisti hanno molto da perdere o da guadagnare in questa battaglia. Il Partito socialista (PS) cerca così di conservare la quasi totalità delle regioni (venti su ventidue), che dirige dopo la sua schiacciante vittoria del 2004. Il suo primo segretario, la signora Martine Aubry, ha già concesso ai presidenti uscenti una grande libertà nelle strategie delle alleanze e per la composizione delle liste, per permettere di conservarne il numero massimo. Il pragmatismo elettorale è ormai appropriato.
 
I Verdi, la cui strutturazione locale dipende dai loro centosettanta eletti regionali, intendono  capitalizzare il loro successo alle europee dello scorso giugno e costruire un nuovo rapporto di forze con il PS in vista delle prossime legislative (1). Il PCF [Partito comunista francese], infine, esita fra l’inseguimento del Fronte della sinistra (2) e un’alleanza classica con il PS, meno avventurosa, che avrebbe il vantaggio di assicurargli a prima vista un minimo di mandati. L’interesse degli apparati politici prevale qui su qualsiasi altra considerazione: le poste in gioco interne alla sinistra hanno preso il sopravvento sulle preoccupazioni esterne e gli interessi dei gruppi sociali che si presume essa debba difendere.
 
Dal 2002 la sinistra si trova in una situazione paradossale. Indebolita su piano nazionale, rimossa dalla sfera del potere di Stato, ideologicamente dominata, privata di qualsiasi prospettiva strutturante, non ha mai tanto prosperato localmente. Il PS e i Verdi hanno accresciuto in modo significativo il numero dei loro eletti, i cui poteri sono stati rafforzati dalla decentralizzazione. Il PCF, i cui risultati alle elezioni presidenziali sono catastrofici, riesce a mantenere una presenza parlamentare grazie ai suoi sindaci e sopravvive grazie al suo reticolo di eletti. La logica delle elezioni intermedie penalizza oggi i governi di destra esistenti. Riequilibrando localmente la spartizione del potere assicura una rendita di posizione ai partiti di sinistra, che così fanno vivere migliaia di professionisti della politica le cui logiche di carriera pesano di rimando sulle strategie di partito.
 
Lo sviluppo dell’ “intercomunalità” a partire dal 1999 (comunità di comuni e di agglomerazioni, comunità urbane) ha contribuito ad aumentare fortemente le remunerazioni elettive e a professionalizzare un numero crescente di eletti che vivono della e per la politica (3). La delicata questione delle indennità e della professione, occultate e negate in pubblico, dietro le quinte svolge un ruolo essenziale e determina primariamente tutto un insieme di prese di posizione e di strategie.
 
Per esempio, il PS è incapace di forgiare una posizione comune sulla riforma delle collettività territoriali, tanto gli interessi dei suoi rappresentanti divergono sul piano provinciale e regionale.
 
La sinistra si struttura così sempre più in rapporto a una specificità istituzionale francese: l’importante quantità di mandati elettivi legati all’accatastamento delle istituzioni locali. D’altra parte proprio questo mercato dei posti elettivi è ciò che il presidente Nicolas Sarkozy cerca di far cessare nel  suo progetto di riforma delle collettività locali annunciato come un impegno forte della fine del suo quinquennio. La creazione del mandato di «consigliere territoriale» deve in effetti permettere di ridurre il numero dei posti di consigliere regionale e cantonale da seimila a tremila.
 
Da qualche anno si è soliti parlare della «crisi» del PS, posto di fronte a problemi di direzione, di divisioni permanenti e alla smobilitazione dei suoi militanti… Ma questa crisi rimane del tutto relativa. Molti socialisti si sono ripiegati nel comfort dei loro bastioni e il partito vive piuttosto una crisi di crescita locale, che ne ha vampirizzato il centro. Mai ha contato su altrettanti eletti. Le presidenze socialiste dei consigli generali sono in costante progressione: ventitre nel 1994, trentacinque nel 1998, quarantuno nel 2001, cinquantuno nel 2004. e in seguito alle vittorie riportate in quell’anno totalizzava seicentonovantaquattro consiglieri generali e seicentoquaranta consiglieri regionali.
 
Il PS comprende inoltre un rispettabile numero di sindaci (2.913 nel 2005), ai quali occorre aggiungere consiglieri comunali, assistenti ed eletti alla Comunità europea. Ha ottenuto un successo storico alle ultime elezioni comunali, che ha aumentato in misura ancor più apprezzabile le sue risorse istituzionali. È anche in procinto di essere in maggioranza al Senato  per la prima volta nella sua storia.
 
Una spoliticizzazione del discorso locale
Queste conquiste di nuovi posti non impediscono un rinnovo molto debole delle elite, che invecchiano sempre più. Le chance di fare carriera in seno al PS appaiono estremamente ridotte per tutti coloro che sono entrati nel partito dopo il 1981. Molti giovani sindaci e/o consiglieri generali eletti alla fine degli anni ’70, o giovani deputati senza mandato anteriore portati avanti dall’ondata rosa del 1981, sono sempre al loro posto, perfino se hanno cambiato il mandato strada facendo. Un terzo dei deputati designati nel 1978 e nel 1981 avevano meno di 40 anni al momento della loro elezione. Questa percentuale si è ridotta regolarmente, per raggiungere il 9,9% nel 1997 (anno tuttavia favorevole, con 250 eletti) e soltanto il 4,2% nel 2002. L’età media dei deputati nel 2006 è di 54 anni, cioè com’era all’incirca prima del 1971.
 
In questo contesto in numerosi dirigenti socialisti risorgono i vecchi riflessi «alla Mollet» (4): «Lasciamo il potere alla destra, ci sono troppi colpi da incassare in una situazione economica ostile alla socialdemocrazia, ripieghiamo sulle nostre posizioni locali che fanno vivere il PS». Gli eletti sul posto calcolano bene che un’ipotetica vittoria socialista alle elezioni presidenziali avrebbe automaticamente, secondo la logica delle «elezioni intermedie», effetti negativi sul loro radicamento locale. Essi si dissociano così dal divenire nazionale della loro organizzazione e coltivano i loro feudi.
 
Ma a che cosa serve, giustamente, il potere locale? I contorni del «socialismo comunale» restano particolarmente sfumati e il suo esercizio non sembra favorire la politicizzazione. Il locale, per quanto dotato di margini di manovra reali con la decentralizzazione, malgrado il disimpegno dello Stato – e la forte diminuzione dei mezzi finanziari nelle città operaie – non sembra più rappresentare una leva di trasformazione sociale (come fu il caso negli anni ’70). Ci si guarda dal «fare politica» a questo livello, pensato come dipendente essenzialmente dalla gestione.
 
……………………
[ndt.: segue esame dettagliato della situazione di Verdi e PCF, piuttosto simili a quella del PS].
 
Deputata verde a Parigi, passata al Partito della sinistra, la signora Martine Billlard analizza questo peso sempre più grande dei professionisti della politica e i suoi effetti sul partito: «Stimo in duemila il numero degli eletti e degli stipendiati politici, su cinquemila aderenti effettivi. Questo finisce col pesare in misura molto forte. Gli eletti sono assorbiti dai loro compiti di gestione, affogano nel loro lavoro, soprattutto quando si trovano in funzioni esecutive, e trascurano a livello locale di sviluppare il partito e la militanza. Si ha l’abitudine di fare dell’ironia sui Verdi dicendo che, nel partito, ci sono gli eletti, gli stipendiati dagli eletti e quelli che vogliono prendere il loro posto (8). I collaboratori sono reclutati nelle reti di militanti. Per gli aderenti l’elezione comunale è la più importante, è quella che più li motiva. Le liste comuni con i socialisti al primo turno, molto numerose, permettono di garantire i mandati locali. La politica è vista sempre più da un punto di vista professionale. I militanti, il più sovente trentenni, che arrivano al partito vogliono essere eletti. Per loro, fare politica è essere eletti. L’ambiente associativo, che anch’esso si è molto professionalizzato, vive delle sovvenzioni delle collettività gestite o cogestite dagli eletti».
 
L’elezione di 14 deputati europei verdi nel 2009 ha segnato un certo rinnovo delle elite verdi. Ma i nuovi rappresentanti non sono neofiti. Daniel Cohn-Bendit si è presentato in Francia perché in Germania era sottoposto a una regola di limitazione della durata del mandato. Gérard Onesta ha abbandonato il Parlamento di Strasburgo appena esseri impegnato ma senza dubbio sarà capolista alle regionali del 2010. Karima Delli lavorava per un senatore; Hélène Flautre inizia il suo terzo mandato; Michèle Rivasi era fino a ieri assistente del sindaco e vice presidente del consiglio generale della Drôme ; François Alfonsi, sindaco…
 
Timore di un ritorno alla vita professionale
La problematica del PCF è un poco diversa. Si osserva, certamente, un rafforzamento del potere degli eletti in un npartito che cercava storicamente di controllarli per evitare qualsiasi deriva personalistica in forma di notabilato (era ugualmente proibito il cumulo delle cariche fino agli anni ’70). Il PCF ritrova l’ «impianto ad arcipelago» che era suo caratteristico fra le due guerre mondiali: il suo elettorato si denazionalizza e si ritira sulle sue basi locali. Il partito si appoggia sui suoi eletti, perseguendovi una strategia di riduzione del declino, il cui prezzo è la loro forte autonomia. Questa posizione di sopravvivenza spiega largamente il grande distacco del PC, preso fra la sua prossimità ideologica con l’estrema sinistra e la volontà di conservazione delle posizioni locali che l’alleanza col PS garantisce (ma per quanto tempo?).
 
Lo storico comunista Roger Martelli analizza gli scogli di questo orientamento: «Ci si trova in una situazione di via di mezzo. Si tratta di mantenere il capitale costituito dagli eletti per salvare l’apparato, di icollarsi al PS per salvare le posizioni locali. Ma arginare il declino piuttosto che costituire nuove dinamiche è un approccio difensivo. Il peso della questione elettorale e degli interessi locali si è incontestabilmente rafforzato, ma questi sono concepiti come una condizione per il mantenimento dell’apparato, che rimane il nocciolo pensato come necessario  all’organizzazione comunista. Il partito cerca di avere degli eletti, il loro peso si è cresciuto, ma negli organismi direttivi non è aumentato. La struttura partitica verticale e gerarchica rimane una cultura radicata. Nello stesso tempo i responsabili del partito sono diventati eletti, ciò che ha tutta una seria di effetti. Da questo punto di vista le regionali del 1998 sono state un punto di svolta. La consegna è stata di mettere sistematicamente i segretari federali nelle liste. Essi hanno assunto responsabilità negli esecutivi. Fino ad allora, i segretari federali rimanevano lontani dalle responsabilità gestionali per consacrarsi al partito. Allora si ascoltava spesso: “Io, se non sono eletto, non ho più un posto permanente, ma la mia federazione va in pezzi o si disgrega”».
Numerosi eletti di origine operaia, che da molto tempo vivono di politica, temono un ritorno alla vita professionale, in grado di porre loro temibili problemi di riconversione.
 
Nei fatti, il funzionamento e la vitalità del PCF dipendono in gran parte dai contributi dei suoi eletti. Nel 2007 quasi duemila eletti locali fornivano più della metà delle sue risorse. Il PCF è di gran lunga la formazione politica nella quale questo fenomeno è più forte (9).
 
In definitiva le istituzioni locali tengono in piedi i partiti di sinistra, molto più del contrario. La supremazia della «competenza» tecnicizza i problemi e li spoliticizza – anche nell’animo dei profani che hanno interiorizzato la divisione dei ruoi come una necessità funzionale. Lo spazio politico, come lo ha bene dimostrato Pierre Bourdieu, è un campo autonomo, sempre più ripiegato sui propri giochi e sfide, reso impermeabile all’entrata di gente nuova (10). Il personale che vi si dedica lo fa sempre più a lungo e si apparenta con una casta inamovibile. Nel 1958 un deputato su tre era in età di meno di 40 anni. Questa proporzione si è abbassata nel 2002 a uno su tredici. Nel 2008 per la prima volta la maggioranza assoluta dei deputati aveva un’età dai 55 anni in su. La regola della prelazione per gli eletti uscenti si è imposta in quasi tutte le formazioni partitiche.
 
Lungi dal contrastare questa evoluzione, la sinistra istituzionale l’ha rafforzata. La professionalizzazione che l’affligge concorre così ad allontanarla sul piano sociale e nella pratica dai gruppi sociali che si presume essa debba difendere. Entrare in politica è consacrarsi a tempo pieno a una nuova attività e spesso lasciare il proprio ambiente d’origine per investire sé stessi in un nuovo mondo sociale con le sue regole e i suoi codici. Col tempo diventa difficilmente immaginabile fare altro. L’assenza di uno statuto dell’eletto, pur costituendo un problema reale, serve come argomento-pretesto per giustificare questa chiusura del gioco.
 
Da allora la professionalizzazione si misura sul metro della debole rappresentatività sociale degli eletti e sull’estromissione delle categorie popolari. Gli insegnanti eletti deputati socialisti all’inizio degli anni ’80 si sono così molto ampiamente tagliati fuori da un ambiente nel quale il PS disponeva di un forte radicamento. Le filiere sindacali o associative del reclutamento si sono prosciugate. Nell’ultima Assemblée nazionale [ndr.: corrisponde in Francia alla nostra Camera dei deputati] nessun deputato è più dio origine operaia. Queste evoluzioni costituiscono anche un ostacolo alla ricomposizione della sinistra. Il patriottismo di partito è a misura degli interessi di carriera. Le scelte individuali concernenti le posizioni elettive hanno la preminenza su tutto e rafforzano le strategie dell’apparato.
 
Testo originale:
 
LES PIÈGES DE LA PROFESSIONNALISATION
Faire de la politique ou vivre de la politique ?

Par Rémi Lefebvre
Le monde Diplomatique, octobre 2009, n. 667

Exclus durablement du pouvoir national en France, les partis de l'ex-gauche plurielle se sont repliés sur leurs bases locales et sur leurs réseaux d 'élus, s'accommodant d'une situation qui leur assure de nombreux postes à répartir Le Parti socialiste, le Parti communiste français et les Verts sont ainsi devenus des machines électorales, relativement performantes sur le plan municipal, départemental ou régional, dans lesquelles les intérêts de milliers de professionnels de la politique semblent désormais prédominer. Il semble loin le temps où la gauche combattait la notabilisation de ses élus. La lutte des places tend à se substituer à celle des classes, coupant les partis de gauche des revendications et du vécu quotidien des groupes sociaux qui les soutenaient traditionnellement (ouvriers, employés, enseignants). Et alors même que flexibilité et précarité frappent durement ces milieux et que la crise a fissuré les dogmes libéraux, ce sont les querelles de chefs et les savants calculs pour la composition des listes électorales qui dominent les débats.

Les élections européennes passées, les partis de l'ancienne gauche plurielle sont préoccupés, en cette rentrée, non par la crise économique et sociale, mais par les préparatifs des régionales de 2010 et l'épineuse question de la composition des listes. Le mode de scrutin proportionnel confère aux formations politiques un rôle essentiel qui leur permet de rétribuer ou de reconvertir tout un ensemble de responsables (anciens battus, aspirants à la carrière politique sans ancrage municipal, collaborateurs ou proches d'élus, adjoints de grandes villes, responsables de courants...).

Les associés-rivaux socialistes, écologistes et communistes ont beaucoup à perdre ou à gagner dans cette bataille. Le Parti socialiste (PS) cherche ainsi à préserver la quasi-totalité des régions (vingt sur vingt-deux) qu'il dirige depuis son écrasante victoire de 2004. Sa première secrétaire, M Martine Aubry, a déjà concédé aux présidents sortants une grande liberté dans les stratégies d'alliance et la composition des listes pour permettre d'en conserver le maximum. Le pragmatisme électoral est désormais de mise.
 
Les Verts, dont la structuration locale dépend de leurs cent soixante-dix élus régionaux, entendent capitaliser leur succès aux européennes de juin dernier et construire un nouveau rapport de forces avec le PS en vue des prochaines législatives (1). Le Parti communiste français (PCF), enfin, hésite entre la poursuite du Front de gauche (2) et une alliance classique avec le PS, moins aventureuse, qui aurait l'avantage de lui assurer d'emblée un minimum de mandats. L'intérêt des appareils politiques prime ici sur toute autre considération : les enjeux internes à la gauche ont pris le pas sur les préoccupations externes et les intérêts des groupes sociaux qu'elle est censée défendre.

Depuis 2002, la gauche se trouve dans une situation paradoxale. Affaiblie nationalement, écartée de la sphère du pouvoir d'Etat, idéologiquement dominée, privée de toute perspective structurante, elle n'a jamais autant prospéré localement. Le PS et les Verts ont accru de manière notable leur nombre d'élus, dont les pouvoirs ont été renforcés avec la décentralisation. Le PCF, dont les scores aux élections présidentielles sont catastrophiques, parvient à maintenir une présence parlementaire grâce à ses maires et survit grâce à ses réseaux d'élus. La logique des élections intermédiaires » pénalise aujourd'hui les gouvernements de droite en place. En rééquilibrant localement le partage du pouvoir, elle assure une rente de situation aux partis de gauche, qui font ainsi vivre des milliers de professionnels de la politique dont les logiques de carrière pèsent en retour sur les stratégies partisanes.
Le développement de l'intercommunalité depuis 1999 (communautés de communes et d'agglomération, communauté urbaine) a contribué à augmenter fortement les rémunérations électives et à professionnaliser un nombre croissant d'élus qui vivent de et pour la politique (3). La question sensible des indemnités et du métier, occultée et déniée publiquement, joue en coulisse un rôle essentiel et surdétermine tout un ensemble de prises de position et de stratégies.
(Lire la suite page 4.)
(1) En juin 2009, la liste Europe Ecologie a obtenu 16,3 % des suffrages exprimés, contre 16,5 pour le Parti socialiste.
(2) Lors des élections européennes, le Front de gauche rassemblait le PCF, le Parti de gauche, la Gauche unitaire — issue du Nouveau parti anticapitaliste (NPA)—, République et Socialisme, la Convention pour une alternative progressiste et quelques formations ou associations politiques locales.
(3) Les indemnités des élus locaux ont connu des hausses très importantes ces dernières années : plus 50,5 % entre 2000 et 2001, plus 37,1 % en 2002 et plus 13,4 % en 2003. Les exécutifs des intercommunalités sont pléthoriques, comme le dénonce régulièrement la Cour des comptes.

* Professeur de sciences politiques à l'université de Lille-1l, coauteur avec Frédéric Sawicki de La Société des socialistes, Editions du Croquant, Bellecombeen-Bauges, 2006.

Le PS est par exemple incapable de forger une position commune sur la réforme des collectivités territoriales, tant les intérêts départementalistes et régionalistes de ses représentants divergent.

La gauche se structure ainsi de plus en plus par rapport à une spécificité institutionnelle française : la quantité importante de mandats électifs liés à l'empilement des institutions locales. C'est d'ailleurs ce marché des postes électoraux que le président Nicolas Sarkozy cherche à tarir dans le projet de réforme des collectivités locales annoncé comme un temps fort de la fin de son quinquennat. La création du mandat de conseiller territorial » doit en effet permettre de réduire le nombre de postes de conseillers régionaux et cantonaux de six mille à trois mille.

Il est convenu depuis quelques années de parler de la o crise » du PS, confronté à des problèmes de direction, de divisions permanentes, et à la démobilisation de ses militants... Mais cette crise reste toute relative. Beaucoup de socialistes se sont repliés dans le confort de leurs bastions, et le parti vit plutôt une crise de croissance locale, qui a vampirisé le centre partisan. Jamais il n'a compté autant d'élus. Les présidences socialistes des conseils généraux sont en progression constante : vingt-trois en 1994, trente-cinq en 1998, quarante et un en 2001, cinquante et un en 2004. Et, à l'issue des victoires remportées cette année-là, il totalisait six cent quatre-vingt-quatorze conseillers généraux et six cent quarante conseillers régionaux.

Le PS comprend en outre un nombre considérable de maires (deux mille neuf cent treize en 2005), aux quels il faut ajouter conseillers municipaux, adjoints et élus communautaires. Il a obtenu un succès historique aux dernières élections municipales, qui a encore accru de manière appréciable ses ressources institutionnelles. Il est même en passe d'être majoritaire au Sénat pour la première fois de son histoire.
Une dépolitisation du discours local
CES CONQUÊTES de postes nouveaux n'empêchent pas un très faible renouvellement des élites, de plus en plus vieillissantes. Les chances de faire une carrière au sein du PS apparaissent extrêmement restreintes pour tous ceux qui ont intégré le parti après 1981. Beaucoup de jeunes maires et/ou conseillers généraux élus à la fin des années 1970, ou de jeunes députés sans mandat antérieur portés par la vague rose de 1981, sont toujours en place, même s'ils ont changé de mandat en cours de chemin. Un tiers des députés désignés en 1978 et 1981 avaient moins de 40 ans lors de leur élection. Ce pourcentage a baissé régulièrement, pour atteindre 9,9 % en 1997 (année pourtant faste, avec deux cent cinquante-quatre élus) et seulement 4.2 °/) en 2002. L'âge moyen des députés est, en 2006, de 54 ans, soit à peu près ce qu'il était avant 1971.

Dans ce contexte, chez de nombreux dirigeants socialistes, les vieux réflexes molletistes » (4) resurgissent : « Laissons le pouvoir à la droite, il y a trop de coups à prendre dans un environnement économique hostile à la social-démocratie, replions-nous sur nos positions locales qui font vivre le PS. » Les élus en place mesurent bien qu'une hypothétique victoire socialiste à l'élection présidentielle aurait mécaniquement, par la logique des o élections intermédiaires », des effets négatifs sur leur ancrage local. Ils se désolidarisent ainsi du devenir national de leur organisation et cultivent leurs fiefs.

Mais à quoi sert, au juste, le pouvoir local ? Les contours du « socialisme municipal » demeurent particulièrement flous, et son exercice ne paraît pas favoriser la politisation. Le local, pourtant doté de marges 'de manoeuvre réelles avec la décentralisation, malgré le désengagement de l'Etat – et la forte baisse des moyens dans les villes ouvrières –, ne semble plus représenter un levier de transformation sociale (comme ce fut le cas dans les années 1970). On se défend de « faire de la politique » à ce niveau, pensé comme relevant essentiellement de la gestion.
 
……………………
 
lyse ce poids grandissant des professionnels de la politique et ses effets sur le parti : «J'estime à deux mille le nombre d'élus et de salariés politiques, sur cinq mille adhérents réels. Ça finit par peser très fortement. Les élus sont absorbés par leur tâche de gestion ; ils se noient dans leur travail, surtout quand ils sont dans les exécutifs, et négligent localement de développer le parti et le militantisme. On a l'habitude d'ironiser chez les Verts en disant que, dans le parti, il y a les élus, les salariés d'élus et ceux qui veulent prendre leur place (8). Les collaborateurs sont recrutés dans les réseaux militants. Pour les adhérents, l'élection municipale est la plus importante, c'est celle qui les motive le plus. Les listes communes avec les socialistes dès le premier tour, très nombreuses, permettent de sécuriser les mandats locaux. La politique est vue de plus en plus sous un angle professionnel. Les militants, le plus souvent trentenaires, qui arrivent dans le parti veulent être élus. Pour eux, faire de la politique, c'est être élu. Le milieu associatif qui s'est lui-même beaucoup professionnalisé, vit des subventions des collectivités gérées ou cogérées par les élus. »

L'élection de quatorze députés européens écologistes en 2009 a marqué un certain renouvellement des élites vertes. Mais les nouveaux représentants ne sont pas des néophytes. M. Daniel Cohn-Bendit s'est présenté en France parce qu'il était soumis en Allemagne à une règle de limitation de la durée des mandats. M. Gérard Onesta a abandonné le Parlement de Strasbourg, comme il s'y était engagé, mais il va sans doute être tête de liste aux régionales de 2010. Mme Karima Delli, 29 ans, travaillait pour un sénateur ; M Hélène Flautre commence son troisième mandat ; Mn"' Michèle Rivasi était jusque-là adjointe au maire et vice-présidente du conseil général de la Drôme ; M. François Alfonsi, maire...

 
Crainte d'un retour à la vie professionnelle
L A PROBLÉMATIQUE du PCF est un peu différente. On observe, certes, un renforcement du pouvoir des élus dans un parti qui cherchait historiquement à les contrôler pour éviter toute dérive de personnalisation notabiliaire (le cumul était globalement interdit jusque dans les années 1970). Le PCF retrouve 1'« implantation en archipel » qui était la sienne dans l'entre-deux-guerres : son électorat se dénationalise et se rétracte sur ses bases locales. Le parti s'appuie sur ses élus, poursuivant par là une stratégie d'amortissement du déclin dont le prix est leur forte autonomie. Cette posture de survie explique largement le grand écart du PC, pris entre sa proximité idéologique avec l'extrême gauche et la volonté de préservation des positions locales qu'assure (pour combien de temps ?) l'alliance avec le PS.

L'historien communiste Roger Martelli analyse les écueils de cette orientation : « On est dans une situation d'entre-deux. II s'agit de maintenir le capital d'élus pour sauver l'appareil, de coller au PS pour préserver les positions locales. Mais enrayer le déclin plutôt que de constituer de nouvelles dynamiques est une démarche défensive. Le poids de la question électorale et des intérêts locaux s 'est incontestablement renforcé, mais ils sont conçus comme une condition du maintien de 1 'appareil, qui demeure le noyau considéré comme nécessaire de 1 'organisation communiste. Le parti cherche à avoir des élus, leur poids s 'est accru, mais, dans les organismes de direction, il n 'a pas grandi. La structure partisane verticale et hiérarchique reste une culture enracinée. En même temps, les responsables de parti sont devenus élus, ce qui a toute une série d'ef .fets. Les régionales de 1998 ont été de ce point de vue un tournant. La consigne a été de mettre systématiquement les secrétaires fédéraux sur les listes. Ils ont pris des responsabilités dans les exécutifs. C'est une rupture. C 'est une manière de salarier des permanents sur des .fonctions électives. Jusque-là, les secrétaires fédéraux demeuraient en retrait des responsabilités gestionnaires pour se consacrer au parti. On entendait alors beaucoup : `Moi, si je ne suis pas élu, je n 'ai plus de poste de permanent, mais ma fédération éclate ou se désagrège." » De nombreux élus d'origine ouvrière, qui vivent de la politique depuis longtemps, craignent un retour à la vie professionnelle susceptible de leur poser de redoutables problèmes de reconversion.

De fait, le fonctionnement et la viabilité du PCF dépendent en grande partie des contributions de ses élus. En 2007, près de dix mille élus locaux lui apportaient plus de la moitié de ses ressources. Le PCF est de loin la formation où ce phénomène est le plus fort (9).

Au total, les institutions locales tiennent les partis de gauche beaucoup plus que l'inverse. La prime à la « compétence » technicise les problèmes et les dépolitise — y compris dans l'esprit des profanes qui ont intériorisé la division des rôles comme une nécessité fonctionnelle. L'espace politique, ainsi que l'a bien montré Pierre Bourdieu, est un champ autonome, de plus en plus replié sur ses jeux et enjeux propres, imperméables à de nouveaux entrants (10). Le personnel qui s'y adonne le fait de plus en plus longtemps et s'apparente à une caste inamovible. En 1958, un député sur trois était âgé de moins de 40 ans. Cette proportion a chuté en 2002 à un sur treize. En 2008, les plus de 55 ans représentent pour la première fois la majorité absolue des députés. La règle de la prime aux sortants s'est imposée dans quasiment l'ensemble des formations partisanes.

Loin de contrecarrer cette évolution, la gauche institutionnelle l'a confortée. La professionnalisation qui l'affecte concourt ainsi à l'éloigner socialement et pratiquement des groupes sociaux qu'elle est censée défendre. Entrer en politique, c'est se consacrer à temps plein à une nouvelle activité, et souvent quitter son milieu d'origine pour s'investir dans un nouveau monde social ayant ses règles et ses codes. Avec le temps, il devient difficilement envisageable de faire autre chose. U absence d'un statut de l'élu, si elle constitue un réel problème, sert d'argument-prétexte pour justifier cette clôture du jeu.

Dès lors, la professionnalisation se mesure à l'aune de la faible représentativité sociale des élus et de l'éviction des catégories populaires. Les enseignants élus députés socialistes au début des années 1980 se sont ainsi très largement coupés d'un milieu où le PS disposait d'un fort ancrage. Les filières syndicales ou associatives du recrutement se sont taries. Dans la dernière Assemblée nationale, plus aucun député n'est d'origine ouvrière. Ces évolutions constituent aussi un obstacle à la recomposition de la gauche. Le patriotisme de parti est à la mesure des intérêts de carrière. Les choix individuels concernant les positions électives priment sur tout et confortent les stratégies d'appareil.
RÉMI LEFEBVRE.
(8) La même plaisanterie circule au PS.
(9) Un peu plus de 17 millions d'euros sur 32 millions ; les cotisations d'adhérents représentent 3 millions d'euros, et le financement public 3,7 millions. La participation des élus atteint 1,8 million d'euros l'Union pour la majorité présidentielle (UMP) et 12 millions pour le PS en 2007.
(10) Cf notamment Pierre Bourdieu, Propos sur le champ politique, Presses universitaires de Lyon, 2000.
Crainte d'un retour à la vie professionnelle

 


Venerdě 16 Ottobre,2009 Ore: 16:31
 
 
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