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www.ildialogo.org La tirannia delle lobby,di Serge Halimi

Le Monde Diplomatique, settembre 2009, n. 666 - EDITORIALE
La tirannia delle lobby

di Serge Halimi

(traduzione dal francese di José F. Padova)


Negli Stati Uniti un programma di aiuti sociali riservati ai poveri fu abolito nel 19996 dal Congresso repubblicano e dal presidente William Clinton con la motivazione (ampiamente mendace) che avrebbe incoraggiato «frodi, sprechi e abusi». Tredici anni più tardi la riforma, che Barack Obama difende, non cambierà fondamentalmente un sistema della sanità pubblica pietoso, perché coloro che ne approfittano hanno pouto comperare il favore dei parlamentari. Il programma di aiuti sociali abolito nel 1996 rappresentava corca l’ 1% del bilancio americano; gli assicuratori privati, tanto bene protetti, divorano l’essenziale del 17% della ricchezza nazionale destinata alle spese mediche.

Il presidente degli Stati Uniti è paradossalmente uno dei migliori patrocinatori del sistema con il quale ha scelto di venire a patti. Giorno dopo giorno egli racconta «la storia di gente che lavora duro e viene presa in ostaggio da compagnie di assicurazione che rifiutano di dare loro copertura assicurativa, o che annulla la loro polizza quando più ne hanno bisogno, o chiedono loro premi che essi nno possono pagare in cambio di cure che sono loro disperatamente necessarie. Noi abbiamo un sistema di sanità che funziona meglio per gli assicuratori che per il popolo americano (1)».

Il progetto iniziale difeso da Obama comprendeva due progressi. Da una parte prevedeva di rendere obbligatoria la copertura sanitaria dei quarantasei milioni di americani che non ne dispongono, mediante sovvenzioni ai meno abbienti. Dall’altra prevedeva la creazione di un sistema pubblico i assicurazioni capace di offrire tariffe menome di quelle dei trust privati (2). Questi ultimi in effetti dedicano enormi risorse alla ricerca dei cavilli giuridici che permetteranno loro di non pagare le cure mediche dei loro assicurati quando si ammalano… ora, di che cosa si inquieta la destra, con una violenza che talvolta lascia allibiti? «Se verrà adottata, una “opzione pubblica”, spara fulmini il governatore della Louisiana, imporrà agli assicuratori privati una concorrenza sleale, portandoli al fallimento (3)». Altri fallimenti, più strazianti, avrebbero potuto attirare la sua attenzione. In particolare in Louisiana, uno degli Stati più miserabili degli Stati Uniti.

La politica americana è a tal punto incancrenita dal denaro delle lobby industriali e finanziarie che soltanto le riduzioni d’imposte superano senza sforzo lo sbarramento del Congresso. Imporre qualunque cosa alle banche, alle compagnie d’assicurazioni, all’industria farmaceutica rientra nel campo del mito. Nel caso specifico, il presidente (democratico) della Commissione finanze del Senato, Max Baucus, la cui collaborazione è necessaria per l’adozione della riforma, è anche il parlamentare che riceve più denaro da ospedali, assicurazioni e medici privati. I suoi principali finanziatori si preoccupano ben poco dei problemi del suo piccolo Stato rurale, il Montana: il 90% dei doni ricevuti dal senatore, tutto sommato legali e registrati, provengono da altre parti. Si è già indovinato che Baucus si oppone a una rimessa in discussione del sistema sanitario attuale?

Un anno dopo il crack del liberalismo, il (piccolo) panico delle oligarchie si è ormai dissipato; il gioco politico sembra congelato a loro favore. Ogni tanto un operatore più disonesto – o più sfortunato – di un altro atterra dietro le sbarre; allora si salmodiano le aprole magiche: moralizzazione, etica, regolamentazione, G20. poi tutto ricomincia. Interrogata circa i colossali bonus dei trader di BNP Paribas, Christine Lagarde, ministro francese dell’Economia e già avvocato d’affari a Chicago, si è rifiutata di condannarli: «Se si “proibisse i bonus” ecco che cosa accadrà: le migliori squadre di trader andranno semplicemente a stabilirsi altrove(4)».

Annidati in un sistema politico che le protegge – e che essi proteggono – , approfittando del cinismo generale e dello sconforto popolare, i trader e gli assicuratori nel campo sanitario non possono che perseverare nella loro funzione di parassiti. L’ «abuso» non è una deviazione del loro commercio, ma la sua essenza. S’impone quindi non già una «riforma» alla quale essi potrebbero acconsentire, ma la loro definitiva messa in condizioni di non nuocere.

(1) Pubblica riunione in Montana, 14 agosto 2009.
(2) In quindici dei cinquanta Stati, più della metà del «mercato» è occupata da una sola compagnia privata. Vedi Cf « The tight grip of health insurers », Business Week, New York, 3 août 2009.
(3) Bobby Jindal, « How to make health-care reform bipartisan ? », The Wall Street Journal, New York, 22 juillet 2009.
(4) Europe 1, 7 août 2009.

Le Monde Diplomatique, settembre 2009, pag. 2
Si riparla del «deficit democratico»
di Anne-Cécile Robert (traduzione dal francese di José F. Padova)

Segnato dal peccato originale – il disprezzo per il suffragio universale – il Trattato di Lisbona ha appena subito un nuovo, inatteso rovescio. Dopo il «no» irlandese del 12 giugno 2008, è ora la Corte costituzionale tedesca che tira il segnale d’allarme, in una sentenza del 30 giugno scorso emessa a seguito di una istanza da parte de Die Linke [ndt.: il partito socialista di Lafontaine, attualmente in grande espansione in molti Länder] e dell’Unione cristiano-sociale (CSU). Pur giudicando il Trattato compatibile con la Legge fondamentale tedesca, la Corte dipinge un ritratto poco lusinghiero delle istituzioni europee. In particolare constata che l’Unione Europea soffre di un «deficit democratico strutturale» al quale il Trattato di Lisbona non fornisce soluzioni sufficienti. Per sostenere la loro dimostrazione, gli alti magistrati ritengono che «il Parlamento europeo non è l’organo di rappresentanza di un popolo europeo del quale i deputati sarebbero i rappresentanti». Le maggioranze politiche che vi si formano non saprebbero quindi esprimere la «volontà maggioritaria» dei popoli europei. Fondandosi sul «rispetto del voto dei cittadini» tedeschi, i giudici di Karlsruhe ritengono che Berlino non potrà ratificare il trattato se non vi sarà una legge che garantisca le prerogative del Parlamento nazionale e il suo controllo su qualsiasi trasferimento di sovranità all’Unione Europea. Il 18 agosto scorso l’Unione democristiana (CDU), il partito socialdemocratici (SPD) e la CSU si sono accordati su un testo che dovrebbe essere adottato a metà settembre.

Già nel 1992, consultata a proposito del Trattato di Maastricht, la Corte di Karlsruhe aveva sottolineato che, a causa della mancanza di democrazia europea, la Germania doveva conservare gli strumenti per esercitare la sua sovranità nei settori-chiave di sua competenza. Nella sua sentenza del 2009, la Corte va più lontano, mettendo in guardia contro una «federalizzazione rampante» dell’Unione Europea e ricordando che ogni superamento dello statu quo politico attuale dovrà ottenere l’avallo degli eletti del popolo tedesco. Essa ricorda che i cittadini, e quindi il Parlamento, rimangono i detentori del potere costituente e quindi della sovranità del Paese.

Questa sentenza, anche se non impedisce la ratificazione del Trattato di Lisbona, definisce i limiti dell’integrazione europea come li intende la Germania. Pone altresì questioni sull’atteggiamento delle altre Corti costituzionali che, da parte loro, non hanno messo in rilievo ciò che un buon numero di giuristi criticano da molto tempo: la mancanza di legittimazione democratica dell’Unione. Essa getta inoltre una luce realistica sull’atteggiamento delle classi politiche del Vecchio Continente, che cercano di imporre l’idea che il «deficit democratico» è un argomento da tribuna. Così, secondo il socialista Pierre Moscovici, «l’Unione Europea è la prima esperienza riuscita di democrazia sopranazionale (1)». Più prudente, Michel Barnier, allora commissario europeo, stimava che «la democrazia europea sarà sempre, è certo, una democrazia particolare (2)». Una democrazia senza popolo, non c’è dubbio…

(1) Sul suo blog, 25 juin 2007, http://moscovici.typepad.fr
(2) «Un progetto d’avvenire per l’Europa», Varsavia, 27 juin 2002.

Testo originale:

Le Monde Diplomatique, septembre 2009, n. 666

La tyrannie des lobbies
Serge Halimi

Aux ETATS-UNIS, un programme d'aide sociale réservé aux pauvres fut aboli en 1996 par le Congrès républicain et par le président William Clinton au motif (large-ment fallacieux) qu'il encourageait «fraudes,gâchis et abus ». Treize ans plus tard, la réforme que défend M. Barack Obama n'altérera pas fondamentalement un système de santé lamentable car ceux qui en profitent ont pu acheter la faveur des parlementaires. Le programme d'aide sociale aboli en 1996 représentait environ I % du budget américain ; les assureurs privés si bien protégés dévorent l'essentiel des 17 % de la richesse nationale affectés aux dépenses médicales.
Le président des Etats-Unis est paradoxalement l'un des meilleurs procureurs de l'ordre avec lequel il a choisi de composer. Jour après jour, il raconte «l'histoire de gens qui travaillent dur et sont pris en otage par des compagnies d'assurances refusant de les couvrir, ou annulant leur police quand ils en ont le plus besoin, ou leur réclamant des primes qu'ils ne peuvent pas payer en échange de soins désespérément nécessaires. Nous avons un système de santé qui fonctionne mieux pour les assureurs que pour le peuple américain (I) ».
Le projet initial défendu par M. Obama comportait deux avancées. D'une part, il pré-voyait de rendre obligatoire la couverture santé des quarante-six millions d'Américains qui n'en disposent pas, tout en subventionnant les plus modestes d'entre eux. D'autre part, il envisageait la création d'un système public d'assurance capable d'offrir des tarifs moins prohibitifs que ceux des trusts privés (2). Ces derniers consacrent en effet d'énormes ressources à la recherche de l'astuce juridique qui leur permettra de ne pas payer les soins de leurs assurés quand ils tombent malades... Or de quoi s'alarme la droite, avec une violence qui laisse parfois pantois ? a Si une "option publique" voit le jour, fulmine le gouverneur républicain de Louisiane, elle imposera aux assureurs privés une concurrence déloyale, les menant à la faillite (3).» D'autres faillites, plus poignantes, auraient pu retenir son attention. En particulier en Louisiane, un des Etats les plus misérables du pays.
LA POLITIQUE AMÉRICAINE est à ce point gangrenée par l'argent des lobbies industriels et financiers que seules les réductions d'impôts franchissent sans peine le barrage du Congrès. Imposer quoi que ce soit aux banques, aux compagnies d'assurances, à l'industrie pharmaceutique relève donc de la gageure. Dans le cas d'espèce, le président (démocrate) de la commission des finances du Sénat, M. Max Baucus, dont le concours est nécessaire à l'adoption de la réforme, est aussi le parlementaire qui reçoit le plus d'argent des hôpitaux, assureurs et médecins privés. Ses principaux bailleurs de fonds se soucient assez peu des problèmes de son petit Etat rural, le Montana : 90 % des dons reçus par le sénateur, au demeurant légaux et répertoriés, proviennent en effet d'ailleurs. A-t-on déjà deviné que M. Baucus s'oppose à une remise en cause du système médical actuel ?
Un an après le krach du libéralisme, la (petite) panique des oligarchies s'est dissipée ; le jeu politique semble gelé à leur profit. De temps en temps, un opérateur plus véreux — ou plus malchanceux — qu'un autre atterrit derrière les barreaux ; on psalmodie alors les mots magiques : moralisation, éthique, réglementation, G20. Puis tout recommence. Interrogée sur les primes colossales des traders de BNP Paribas, Mme Christine Lagarde, ministre française de l'économie et ancienne avocate d'affaires à Chicago, a refusé de les condamner : « Si on dit "interdisons les bonus'; qu'est-ce qui va se passer : les meilleures équipes de traders iront simplement s'installer ailleurs (4).»
Nichés dans un système politique qui les protège — et qu'ils protègent —, profitant du cynisme général et du découragement populaire, les traders et les assureurs médicaux ne peuvent que persévérer dans leur fonction de parasites. L'« abus » n'est pas une déviation de leur commerce, mais son essence. Ce n'est donc pas une « réforme » à laquelle ils pourraient consentir qui s'impose, mais leur mise hors d'état de nuire.
SERGE HALIMI.
(1) Réunion publique au Montana, 14 août 2009.
(2) Dans quinze des cinquante Etats, plus de la moitié du «marché » est détenue par une seule compagnie privée. Cf « The tight grip of health insurers », Business Week, New York, 3 août 2009.
(3) Bobby Jindal, « How to make health-care reform bipartisan ? », The Wall Street Journal, New York, 22 juillet 2009.
(4) Europe 1, 7 août 2009.

Où l'on reparle du « déficit démocratique »
MARQUÉ par le péché originel — le dédain du suffrage universel —, le traité de Lis-bonne vient d'essuyer un nouveau revers inattendu. Après le « non » irlandais du 12 juin 2008, c'est la Cour constitutionnelle allemande qui tire la sonnette d'alarme, dans un arrêt du 30 juin rendu à la demande de députés issus de Die Linke et de l'Union chrétienne-sociale (CSU). Si elle juge le traité compatible avec la Loi fondamentale, elle peint un portrait peu flatteur des institutions européennes. Elle constate notamment que l'Union souffre d'un «déficit démocratique structurel» auquel le traité de Lisbonne n'apporte pas de solutions suffisantes. Pour appuyer leur démonstration, les hauts magistrats estiment que «le Parlement européen n'est pas l'or-gane de représentation d'un peuple européen dont ses députés seraient les représentants ». Les majorités politiques qui s'y dégagent ne sauraient donc exprimer la «volonté majoritaire» des peuples européens. Se fondant sur le «respect du vote des citoyens» allemands, les juges de Karlsruhe estiment que Berlin ne pourra ratifier le traité que si une loi vient garantir les prérogatives du Parlement national et son contrôle sur tout transfert de souveraineté à l'Union européenne. Le 18 août, l'Union chrétienne-démocrate (CDU), le Parti social-démocrate (SPD) et la CSU se sont mis d'accord sur un texte qui devrait être adopté mi-septembre.
Déjà en 1992, saisie à propos du traité de Maastricht, la Cour de Karlsruhe avait souligné que, en raison du manque de démocratie européenne, l'Allemagne devait conserver les moyens d'exercer sa souveraineté dans les domaines-clés de compétences. Dans son arrêt de 2009, elle va plus loin en mettant en garde contre une «fédéralisation rampante» de l'Union européenne et rappelle que tout dépassement du statu quo politique actuel devra requérir l'aval des élus du peuple allemand. La Cour rappelle que les citoyens, et donc le Parlement, restent les détenteurs du pou-voir constituant et donc de la souveraineté du pays.
Si cet arrêt n'empêche pas la ratification du traité de Lisbonne, il définit les limites de l'intégration européenne telle que l'entend l'Allemagne. II interroge aussi sur l'attitude des autres cours constitutionnelles qui, elles, n'ont pas relevé ce que bien des juristes critiquent depuis longtemps : le manque de légitimité démocratique de l'Union. II jette en outre une lumière crue sur l'attitude des classes politiques du Vieux Continent, cherchant à imposer l'idée que le « déficit démocratique » est un argument de tribune. Ainsi, selon le socialiste Pierre Moscovici, «l'Union est la première expérience réussie de démocratie supranationale (I) ». Plus prudent, M. Michel Barnier, alors commissaire européen, estimait que «la démocratie européenne sera toujours, bien sûr, une démocratie particulière (2) ». Une démocratie sans peuple sans doute...
ANNE-CÉCILE ROBERT.
(1) Sur son blog, 25 juin 2007, http://moscovici.typepad.fr
(2) « Un projet d'avenir pour l'Europe », Varsovie, 27 juin 2002.



Domenica 20 Settembre,2009 Ore: 17:05
 
 
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