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www.ildialogo.org Berlusconi, teorico dell’ “arte di sapersela sbrogliare”,di Carlo Galli

Né Stato di diritto, né legge di mercato
Berlusconi, teorico dell’ “arte di sapersela sbrogliare”

di Carlo Galli

da Le Monde Diplomatique, settembre 2009, pag. 3 (traduzione dal francese di José F. Padova)


Inossidabile, così appare il capo del governo italiano. Gli scandali personali e finanziari che si succedono non sembrano raggiungerlo, attribuiti come sono alla malevolenza della magistratura, della stampa o di un’opposizione che pure è al collasso. E se fosse precisamente questa sfacciataggine e questo disprezzo delle regole comuni che, molto più del suo liberismo economico, d’altra parte relativo, o delle sue misure anti-immigrati, spiegassero la longevità politica di Silvio Berlusconi?

Di Carlo Galli, professore di Storia del pensiero politico all’Università di Bologna, presidente dell’Istituto Gramsci dell’Emilia-Romagna

Il successo politico di Silvio Berlusconi non ha nulla di un lampo nel cielo sereno della storia d’Italia, né di un ufo caduto nel bel mezzo di una democrazia efficiente e di un mercato trasparente. Egli al contrario rappresenta la realizzazione e la garanzia del loro declino come pure del loro immobilismo – per una parte ne è la causa.

A partire dal 1978, anno dell’assassinio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, l’Italia ha sofferto di una mancanza di obiettivi politici e di slancio riformatore; ha subito una decadenza del senso civico legata all’estinzione progressiva del fondamento di legittimità della Repubblica: l’antifascismo. In seguito, e dopo gli anni ’80, il ruolo regolatore della politica e del diritto è diminuito a favore del peso delle esigenze economiche. Ma di un’economia il cui carattere «liberale» dipende da una definizione puramente ideologica, mentre la sua sostanza è neo-corporativa, clientelare.

L’Italia è un Paese frammentato in gruppi d’interesse, dai più potenti ai più miserevoli, in guerra gli uni contro gli altri e dimentichi della legalità comune, perfino dello spirito civico. La sua società è una giungla, con qualche radura più ospitale – come certe regioni del Nord o quelle, «rosse», del Centro – dove non intervengono pienamente né la logica del mercato né la logica dello Stato, ma quella del privilegio, dell’appartenenza, del risentimento o della paura.

Non è per caso se l’insicurezza caratterizza questo «stato di natura», tipico di una società che comprende sempre meno la necessità di norme per vivere insieme. Gli italiani sentono intuitivamente che la crisi della legalità li penalizza tutti, ma la maggior parte preferisce giocare allo «scrocco», tentando d’intrufolarsi fra le maglie della legge, senza mai sforzarsi di ritornare a un’azione collettiva rispettosa delle regole.

L’incremento della corruzione, compresa quella nell’ambito dell’amministrazione pubblica, deriva da questa logica del «particolare» o del «familiare amorale», che ormai costituisce la norma (1). Lo spazio pubblico della legalità, della trasparenza e dell’universalità si riduce. Lo rimpiazza un conglomerato d’interessi privati e di particolarismi con influenze e pesi diversi, in lotta per un equilibrio precario. La società si struttura sempre in funzione delle fedeltà personali e delle clientele: alla legge, ai diritti e ai doveri preferisce le astuzie e i favoritismi. Alla crisi economica, sociale e politica si aggiunge così una crisi morale, vero e proprio spreco del capitale sociale che è rappresentato dalla fiducia.

Lo sfaldamento della sinistra ha svolto un grande ruolo nell’avventura berlusconiana. Minata da incertezze e contraddizioni quando si trovava al potere, essa ha concluso un’alleanza con una parte minoritaria dei cattolici e formato con essi un polo politico d’intellettuali (sempre meno numerosi), di stipendiati del settore pubblico e di pensionati. Rimane egemonica (non senza difficoltà) in qualche regione dell’Italia centrale, come l’Emilia-Romagna e la Toscana, mentre altrove domina il sistema clientelare della destra.

Complicità della gerarchia religiosa
Perché Berlusconi è riuscito a incarnare la «ribellione delle masse» provocata dalla fine del sistema dei partiti della I. Repubblica, accelerata dai processi giudiziari di «Mani pulite» (2), che hanno decimato una parte della classe politica. Berlusconi ha approfittato della rivolta contro la politica, contro la cultura, contro le élite, che ha segnato gli anni ’90 e continua ancora.

La sua forza si basa su un populismo plebiscitario che si nutre di potere mediatico, di un autentico carisma personale e di un patto con gli italiani fondato su inclinazioni, interessi, paure e passioni. Berlusconi offre ai suoi elettori una retorica e una cultura politica ciniche e anti-istituzionali. I valori che difende a parole – ma che non mette per niente in pratica – derivano da convinzioni tradizionali anti-intellettuali e piccolo-borghesi. Egli non accetta alcun limite al proprio potere, come lo provano le sue polemiche con il Parlamento, nel quale tuttavia dispone di una maggioranza, e contro la magistratura, dalla quale si è voluto proteggere con una legge che gli garantisce l’immunità giudiziaria personale, senza dimenticare la sua interpretazione dispotica del ruolo di presidente del Consiglio.

Per Berlusconi quest’ultimo rappresenta l’espressione diretta del favore popolare, un’investitura che fornisce al fortunato eletto l’unzione del Signore (come l’aveva lui stesso affermato qualche anno fa) e lo pone ampiamente al disopra delle leggi e delle istituzioni. In quest’ottica la delegazione non proviene da una procedura razionale ma da una rappresentazione simbolica, personale e plebiscitaria, grazie alla quale un popolo riconosce la propria identità nel corpo mistico del capo. Lo ama perché lo capisce e ne ricava un senso di sicurezza, per lo meno quando odia (ve lo si spinge) i «comunisti», termine col quale la retorica di destra definisce gli spiriti critici e più in generale chiunque non si allinei sui valori della maggioranza. Per Berlusconi la sfera pubblica non è per nulla uno spazio critico, ma piuttosto quello della pubblicità – nel senso commerciale della parola –, della propaganda e del consenso entusiasta.

Questa politica autoritaria e carismatica è naturalmente estranea all’antifascismo – d’altra parte nessuno dei grandi partiti storici del CNL (Comitato Nazionale di Liberazione) partecipava al primo governo Berlusconi del 1994. Essa non ha nulla in comune con la democrazia liberale, come lo confermano i reiterati attacchi contro la libertà della stampa e della televisione, l’abbandono di qualsiasi nozione laica in politica (privilegi economici della Chiesa e ostentato rispetto delle direttive della Gerarchia ecclesiastica in materia di bioetica e di biopolitica), l’assenza di qualsiasi scrupolo nell’eccitare la xenofobia e le paure sociali (3).

Si tratta anche del passaggio dal potere dei partiti a quello delle persone, addirittura di una persona, e dall’ «arco costituzionale» (4) a una politica di scissione verticale del Paese in due blocchi opposti fin dentro alle loro antropologie. La ripetizione costante della logica amico/nemico permette di forgiare un’unità simbolica in un Paese del quale si mantiene deliberatamente la frammentazione e le disuguaglianze economiche e sociali (5).

Più che l’ «uomo del fare» - come lui ama definirsi, in contrasto con i politici di professione che si accontenterebbero di parlare – Berlusconi è l’ «uomo del lasciar fare». Ma non nel senso del protoliberismo di François Guizot: il suo consiste nel lasciare che ogni gruppo di potere o d’interessi conservi i suoi privilegi e nel cercare di accrescerli a detrimento dei gruppi più deboli, ivi compreso lo strumento fiscale (la lotta contro l’evasione ha perso la sua efficacia), e più in generale della dimensione collettiva della coabitazione nazionale.

Il premier ha di che trarre benefici, evidentemente proprio lui, il cui conflitto d’interessi non risolto appartiene ormai al panorama politico e non attira ormai più neanche l’attenzione. Al contrario: la posizione anormale del capo lo spinge a garantire l’impunità di tutti i cittadini per le loro trasgressioni alla regola comune, piccoli e grandi. La legge universale della Repubblica diventa l’anomalia, della quale Berlusconi costituisce l’icona: saturare la vita pubblica con logiche e pratiche private rappresenta la forza della sua posizione e la ragione del consenso del quale gode. Il lavoro salariato, innanzitutto pubblico, nondimeno fa eccezione, «preso di mira» dai controlli del ministro Renato Brunetta, che eccita il risentimento della maggioranza degli italiani contro l’amministrazione pubblica senza per questo migliorarne le prestazioni (6).

L’elettorato di Berlusconi non si riduce ai ricchi e ai potenti. Le classi medie, gli impiegati e una parte degli operai votano per lui, delusi dalla politica di sicurezza collettiva della sinistra, dallo Stato-provvidenza e dal principio stesso di eguaglianza. Essi preferiscono credere alle speranze, alle illusioni (e ai rancori) che la destra alimenta. Essi contano su Berlusconi per essere aiutati a venirne fuori, magari con l’appoggio, tradizionale, della pubblica amministrazione.

All’opposto, fra i discorsi e gli atti di Berlusconi si scava un fossato più profondo di quello dei professionisti senza scrupoli della politica. Che cosa è stato della promessa elettorale del 2001 - «meno imposte per tutti»? La destra l’ha rinnegata: la sua politica reale va in direzione opposta a quella degli interessi delle categorie più modeste. Si pensi anche alle misure contro i trust e per la libera concorrenza del mercato prese dal governo di Romano Prodi, che in particolare introducevano, con prudenza, un genere di class action (possibilità per i consumatori di opporsi collettivamente contro una pratica disonesta di una società privata): la destra le ha svuotate della loro sostanza moltiplicando gli emendamenti, tutti destinati a favorire le grandi imprese (7).

In breve, come d’abitudine, la corsa all’interesse a breve termine ricompensa i più forti: moltissimi italiani si credono furbi, ma in realtà si fanno prendere per il naso, quando non si ingannano da sé. Se Berlusconi appare come un mago che, simultaneamente, delude e affascina, non arriverà mai a modernizzare autoritariamente alcunché, perfino in modo indiretto. Dalla vecchia Democrazia Cristiana ha ereditato l’elettorato, ma non la politica: questa consisteva nel prendere voti a destra per riciclarli al centro-sinistra, al servizio di uno sviluppo democratico. Lui prende i suoi voti dal «ventre» del Paese e li utilizza per lasciare l’Italia nello stato in cui si trova e affermare il proprio potere.

Forse la maggioranza degli italiani si risveglieranno dal fascino berlusconiano e romperanno il patto firmato con lui il giorno in cui si renderanno conto che la politica del «fare nulla» risulta rovinosa. Che il rifiuto di vedere la crisi, come sta facendo la destra, non basta per superarla. Resta il fatto che nel giugno scorso il «Cavaliere» ha attraversato la crisi più grave della sua carriera, che avrebbe distrutto qualsiasi altro uomo politico occidentale: lo scandalo dei festini nelle sue residenze private a Roma e in Sardegna, la partecipazione di prostitute di lusso, il loro trasporto con voli noleggiati dallo Stato… tuttavia gli italiani continuano a manifestargli in maggioranza la loro fiducia, anche se ridotta, nei sondaggi e nelle elezioni (8), come se la vera essenza della sua politica, la sua funzione pubblica restassero intatte.

Da qui il ritorno alla nostra domanda iniziale: Berlusconi si è adattato agli italiani al punto che, quando lascerà la scena, il Paese non potrà più tornare a una politica che non pratica più da molti anni?


(1) Il barometro della corruzione di Transparency International, « Global Corruption Barometer 2009 » pone l’Italia in una posizione disonorevole sul piano mondiale della corruzione – reale e percepita.
(2) «Mani pulite»: indagine penale lanciata da magistrati milanesi il 17 febbraio 1992, allo scopo di mettere in luce la corruzione generalizzata del sistema dei partiti.
(3) Si pensi ai recenti commenti su Milano, che «rassomiglia a una città africana»: v. Il Corriere della Sera, 4 giugno 2009.
(4) Espressione usata nel dibattito politico degli anni ’60 e ’70 per definire i partiti che avevano partecipato alla redazione e all’approvazione della Costituzione del 1948, dai comunisti ai liberali. Ne era escluso il Movimento sociale italiano (MSI), che non condivideva i valori antifascisti.
(5) Per Berlusconi la sinistra è il «nemico dell’Italia», v. la Repubblica, Roma, 30 giugno 2009.
(6) Il 25 giugno 2008, su proposta del ministro della Funzione pubblica, il governo ha approvato il decreto-legge 112/2008, noto come «decreto anti-fannulloni», che punisce le assenze dal alvoro dei funzionari e prevede fra l’altro riduzioni di stipendio per i primi dieci giorni d’assenza, indipendentemente dalla durata del congedo per malattia.
(7) V. il Rapporto annuale dell’Autorità per la concorrenza e il mercato, 30 aprile 2009, www.agcm.it.
(8) Alle elezioni europee e regionali del giugno 2009 il partito del presidente del Consiglio ha riportato un reale successo, ma senza raggiungere la soglia del 40% che Berlusconi aveva presentato come suo obiettivo.

Testo originale:

Ni état de droit, ni loi de marché
M. Berlusconi, théoricien de la «débrouille»
Par Carlo Galli * Professeur d'histoire de la pensée politique à l'université de Bologne, président de l’Institut Gramsci de d’Emilie-Romagne

(Le Monde Diplomatique, septembre 2009)

Inoxydable, tel apparaît le chef du gouvernement italien. Les scandales personnels et financiers qui se succèdent ne semblent pas l'atteindre, attribués à la malveillance de la magistrature, de la presse ou d'une opposition pourtant en déconfiture. Et si c'était précisément ce culot et ce mépris des règles communes qui, bien plus que son libéralisme économique, d'ailleurs relatif, ou ses mesures anti-immigrés, expliquaient la longévité politique de M. Silvio Berlusconi ?
PAR CARLO GALLI
Le succès politique de M. Silvio Berlusconi n'a rien d'un éclair dans le ciel serein de l'histoire de l'Italie, ni d'un ovni tombé au beau milieu d'une démocratie efficace et d'un marché transparent. Il représente au contraire l'aboutissement et l'assurance de leur déclin comme de leur immobilisme — pour une part, il en est la cause.

A partir de 1978, année de l'assassinat d'Aldo Moro par les Brigades rouges, l'Italie a pâti d'un manque d'objectifs politiques et d'élan réformateur ; elle a subi une décadence du sens civique liée à l'extinction progressive du fondement de la légitimité de la République : l'antifascisme. Ensuite, et depuis les années 1980, le rôle régulateur de la politique et du droit a diminué au profit du poids des exigences de l'économie. Mais d'une économie dont le caractère « libéral » relève d'une définition purement idéologique, alors que sa substance est néocorporatiste, clientéliste.

L’Italie est un pays fragmenté en groupes d'intérêts, des plus puissants aux plus misérables, en guerre les uns contre les autres et oublieux de la légalité commune, voire de l'esprit civique. Sa société est une jungle, parsemée de quelques clairières plus hospitalières – comme certaines régions du Nord ou celles, «rouges », du Centre –. où n'interviennent pleinement ni la logique du marché ni la logique de l'Etat, mais celles du privilège, de l'appartenance, du ressentiment ou de la peur.

Nul hasard si l'insécurité caractérise cet « état de nature », typique d'une société qui perçoit de moins en moins la nécessité de normes pour vivre ensemble. Les Italiens sentent intuitivement que la crise de la légalité les pénalise tous, mais la plupart préfèrent jouer la «resquille », tentant de se faufiler entre les mailles de la loi, sans jamais s'efforcer de revenir à une action collective respectueuse des règles.

L'essor de la corruption, y compris au sein de l'administration, découle de cette logique du « particulier » ou du « familial amoral », qui constitue désormais la norme (1). L'espace public de la légalité, de la transparence et de l'universalité se réduit. Lui succède un conglomérat d'intérêts privés et de particularismes aux influences et poids divers, en lutte pour un équilibre précaire. La société se structure toujours en fonction des fidélités personnelles et des clientèles : à la loi, aux droits et aux devoirs, elle préfère les astuces et le favoritisme. A la crise économique, sociale et politique s'ajoute ainsi une crise morale, véritable gaspillage du capital social que représente la confiance.

Le délitement de la gauche a joué un grand rôle dans l'aventure berlusconienne. Minée d'incertitudes et de contradictions lorsqu'elle se trouvait au pouvoir, elle a conclu une alliance avec une partie minoritaire des catholiques et formé avec eux un pôle politique d'intellectuels (de moins en moins nombreux), de salariés du secteur public et de retraités. Elle ne reste hégémonique (non sans difficulté) que dans quelques régions de l'Italie centrale, comme l'Emilie-Romagne et la Toscane, alors qu'ailleurs domine le système clientéliste de la droite.
CAR M. Berlusconi a réussi à incarner la « rébellion des masses » provoquée par la fin du système des partis de la IYe République qu'ont précipitée les procédures judiciaires de « Mani pulite » (2), décimant une partie de la classe politique. Il a mis à profit la révolte contre la politique, contre la culture, contre les élites qui a marqué les années 1990 et se poursuit.

Sa force repose sur un populisme plébiscitaire qui se nourrit de pouvoir médiatique, d'un authentique charisme personnel et d'un pacte avec les Italiens fondé sur des penchants, des intérêts, des peurs et des passions. M. Berlusconi offre à ses électeurs une rhétorique et une culture politique cyniques et antiinstitutionnelles. Les valeurs qu'il défend en paroles – mais qu'il ne met nullement en pratique... – relèvent de croyances traditionnelles anti-intellectuelles et petites-bourgeoises. Il n'accepte aucune limite à son propre pouvoir, comme le prouvent ses polémiques avec le Parlement, au sein duquel il dispose pourtant d'une majorité, et contre la magistrature, dont il a voulu se protéger avec une loi lui assurant une immunité judiciaire personnelle, sans oublier son interprétation musclée du rôle du président du conseil.

Pour M. Berlusconi, ce dernier représente l'expression directe de la faveur populaire, une investiture qui apporte à l'heureux élu l'onction du Seigneur (comme lui-même l'avait affirmé il y a quelques années) et le place largement au-dessus des lois et des institutions. Dans cette optique, la délégation ne résulte pas d'une procédure rationnelle mais d'une représentation symbolique, personnelle et plébiscitaire, grâce à laquelle un peuple reconnaît sa propre identité dans le corps mystique du chef. Il aime celui-ci parce qu'il le comprend et en retire un sentiment de sécurité, du moins lorsqu'il hait (on l'y pousse) les « communistes », terme par lequel la rhétorique de droite désigne les esprits critiques et plus généralement quiconque ne s'aligne pas sur le système de valeurs de la majorité. Pour M. Berlusconi, la sphère publique n'est en rien un espace critique, mais plutôt celui de la publicité — au sens commercial du mot —, de la propagande et du consensus enthousiaste.

Cette politique autoritaire et charismatique est naturellement étrangère à l'antifascisme — d'ailleurs, aucun des grands partis historiques du Conseil national de libération ne participait au premier gouvernement Berlusconi de 1994. Elle n'a rien de commun avec la démocratie libérale, comme le confirment les attaques réitérées contre la liberté de la presse et de la télévision, l'abandon de toute notion laïque en politique (privilèges économiques de l'Eglise et respect ostentatoire des directives de la hiérarchie religieuse en matière de bioéthique et de biopolitique), l'absence de tout scrupule dans l'excitation de la xénophobie et des peurs sociales (3).

Il s'agit aussi du passage du pouvoir des partis à celui des personnes, voire d'une personne, et de 1'« arc constitutionnel » (4) à une politique de clivage vertical du pays en deux blocs opposés jusque dans leurs anthropologies. La répétition constante de la logique ami/ennemi permet de forger une unité symbolique dans un pays dont on maintient délibérément la fragmentation et les inégalités économiques et sociales (5).

Plus que 1'« homme du faire » – comme il aime à se définir, par opposition aux politiciens de profession qui se contenteraient de parler –, M. Berlusconi est 1'« homme du laisser-faire ». Mais pas dans le sens du protolibéralisme de François Guizot : le sien consiste à laisser chaque groupe de pouvoir ou d'intérêt conserver ses privilèges et chercher à les accroître au détriment de groupes plus faibles, y compris du fisc (la lutte contre l'évasion de capitaux a perdu de son efficacité), et plus généralement de la dimension collective de la cohabitation nationale.

Le premier à en bénéficier, c'est évidemment lui, dont le conflit d'intérêts non résolu appartient désormais au paysage politique et n'attire même plus l'attention. Au contraire : la position anormale du chef l'amène à garantir l'impunité de tous les citoyens pour leurs manquements à la règle commune, petits et grands. La loi universelle de la République devient l'anomalie, dont M. Berlusconi constitue l'icône : saturer la vie publique avec des logiques et des pratiques privées représente la force de sa position et la raison du consensus dont il jouit. Le travail salarié, avant tout public, fait néanmoins exception, o ciblé » par les contrôles du ministre Renato Brunetta, qui excite le ressentiment de la majorité des Italiens contre l'administration sans pour autant en améliorer les prestations (6).

L'électorat de M. Berlusconi ne se réduit pas aux riches et aux puissants. Les classes moyennes, les employés et une partie des ouvriers votent aussi pour lui, déçus par la politique de sécurité collective de la gauche, l'Etat-providence et le principe même de l'égalité. Ils préfèrent croire aux espoirs, aux illusions (et aux rancoeurs) que la droite alimente. Ils comptent sur M. Berlusconi pour les aider à s'en sortir, peut-être avec l'appui, traditionnel, de l'administration.

A l'inverse, entre les discours et les actes de M. Berlusconi se creuse un fossé plus profond que chez les professionnels sans scrupules de la politique. Qu'est devenue la promesse électorale de 2001 – a moins d 'impöts pour tout le monde » ? La droite l'a reniée : sa politique réelle va à l'encontre des intérêts des catégories les plus modestes. Qu'on pense aussi aux mesures contre les trusts et pour la libre concurrence du marché prises par le gouvernement de M. Romano Prodi, qui introduisaient notamment, avec prudence, un genre de class action (possibilité pour les consommateurs de se retourner collectivement contre une pratique douteuse d'une société privée) : la droite les a vidées de leur substance en multipliant les amendements, tous destinés à favoriser les grandes entreprises (7).

Bref, comme d'habitude, la course à l'intérêt à court terme récompense les plus forts : nombre d'Italiens se croient habiles, mais en réalité ils se font berner, quand ils ne se trompent pas eux-mêmes. Si M. Berlusconi apparaît comme un mage qui, simultanément, déçoit et charme, il ne parviendra jamais à moderniser autoritairement quoi que ce soit, même de façon indirecte. De la vieille Démocratie chrétienne, il a hérité l'électorat, mais pas la politique : celle-ci consistait à prendre des voix à droite pour les recycler au centre-gauche, au service d'un développement démocratique. Lui prend ses voix au <s ventre » du pays et les utilise pour laisser l'Italie en l'état et affirmer son propre pouvoir.

Peut-être la majorité des Italiens se réveilleront-ils du charme berlusconien et rompront-ils le pacte signé avec lui le jour où il se rendront compte que la politique du o ne rien faire » s'avère ruineuse. Que le refus de, voir la crise, comme le fait la droite, ne suffit pas à la surmonter. Reste qu'en juin dernier le o Cavaliere » a traversé la crise la plus grave de sa carrière, qui aurait détruit tout autre homme politique occidental : le scandale des fêtes dans ses résidences privées de Rome et de Sardaigne, la participation de prostituées de luxe, le transport de celles-ci par des vols affrétés par l'Etat... Pourtant les Italiens continuent à lui manifester majoritairement leur confiance, même réduite, dans les sondages et les élections (8), comme si la véritable essence de sa politique, sa fonction publique restaient intactes.

D'où ce retour à notre question initiale : M. Berlusconi s'est-il adapté aux Italiens au point que, lorsqu'il quittera la scène, le pays ne pourra plus retourner à une politique qu'il ne pratique plus depuis des années ?
(1) Le baromètre de la corruption de Transparency International, « Global Corruption Barometer 2009 », place l'Italie à une position déshonorante sur l'échelle globale de la corruption — réelle et perçue.
(2) « Mains propres » : enquête lancée par des magistrats milanais, le 17 février 1992, afin de mettre en lumière la corruption généralisée du système des partis.
(3) Qu'on pense aux commentaires récents sur Milan qui a ressemble à une cité africaine » : cf Il Corriere della Sera, Milan, 4 juin 2009.
(4) Expression utilisée dans le débat politique des années 1960 et 1970 pour qualifier les partis qui avaient participé à la rédaction et à l'approbation de la Constitution de 1948, des communistes aux libéraux. S'en trouvait exclu le Mouvement social italien (MSI), qui ne partageait pas les valeurs antifascistes.
(5) Pour M. Berlusconi, la gauche est 1'« ennemie de l'Italie », cf. La Repubblica, Rome, 30 juin 2009.
(6) Le 25 juin 2008, à l'initiative du ministre de l'instruction publique, le gouvernement a approuvé le décret-loi 112/2008, connu comme « décret anti-fainéants », qui sanctionne les absences au travail des fonctionnaires et prévoit entre autres des réductions de salaire pour les dix premiers jours d'absence, indépendamment de la durée du congé-maladie.
(7) Cf le rapport annuel de l'Autorité garante de la concurrence et du marché, 30 avril 2009, www.agcm.it
(8) Lors des élections européennes et régionales de juin 2009, le parti du président du conseil a remporté un réel succès, mais sans atteindre le seuil des 40 % que M. Berlusconi avait présenté comme son objectif.



Lunedì 14 Settembre,2009 Ore: 11:33
 
 
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