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www.ildialogo.org Una singolare lettura della storia,di Pierre Daum, giornalista

Le Monde Diplomatique, luglio 2009
Una singolare lettura della storia

di Pierre Daum, giornalista

(traduzione dal francese di José F. Padova)


«Dagli anni ’60 in poi i tedeschi hanno iniziato a guardare al nazismo con la medesima intransigenza di tutti gli altri europei», spiega Gerhard Botz, professore di Storia contemporanea a Vienna e direttore dell’Istituto di ricerca in Storia sociale Ludwig Boltzmann (1). «Gli austriaci ci si mettono appena e per di più non tutti!». Come si è formata una simile diversità? La risposta si articola in due tempi. Occorre considerare quanto è avvenuto prima del 1945 e dopo.

Botz e i suoi colleghi hanno dimostrato che prima e durante il III Reich «l’antisemitismo è stato più violento in Austria che in Germania (2)». Scene terribili, in marzo e aprile 1938, al momento dell’integrazione dell’Austria al Reich (l’ Anschluss), come quella di quella popolazione che, irridente, costringeva numerosi ebrei a mettersi in ginocchio per pulire le strade di Vienna con spazzolini da denti... Qualche mese dopo funzionari austriaci elaboravano un meccanismo burocratico molto solido che permetteva l’espropriazione delle case e delle attività commerciali degli ebrei. Ammirato, Hermann Göring importò il sistema in Germania, dove venne applicato.

«Al momento del pogrom di novembre 1938 – la Notte dei cristalli – rapporti della Gestapo descrivono una efferatezza austriaca più spaventosa di quella dei tedeschi. Infine, sempre secondo Botz, «gli austriaci furono rappresentati oltremisura nei posti-chiave della macchina di sterminio»: Adolf Eichmann (arrivato in Austria all’età di 8 anni), Alois Brunner, Ernst Kaltenbrunner (successore di Heinrich Himmler alla testa dell’Ufficio centrale per la Sicurezza del Reich, che faceva capo alla Gestapo), Odilo Globocnik (responsabile, con tutta un’equipe di austriaci, dell’Operazione Reinhardt, nel corso della quale più di due milioni di ebrei e di rom furono sterminati), Franz Stangl (comandante dei campi di sterminio di Sobibor e di Treblinka), ecc.

Dopo la guerra, le nuove autorità austriache imposero una lettura della storia i cui effetti si fanno sentire ancor oggi. L’Austria non aveva collaborato all’impresa nazista, ma ne era stata, a causa dell’ Anschluss, la sua prima vittima! Per quanto fosse parziale, questa falsificazione fu accettata sia dagli Alleati occidentali che dall’URSS, in cambio della promessa da parte dell’Austria di non mettersi né da una parte né dall’altra (3).

Altra differenza con la Germania: la denazificazione. In quel Paese essa fu effettuata dagli Alleati, mentre gli austriaci ebbero il diritto di «denazificarsi» da soli. Molto severa il primo anno (quarantatre condanne a morte e trenta esecuzioni capitali; perdita dell’impiego e dei diritti civili), la repressione presto si allentò, per scomparire nel 1948. In quell’anno i seicentomila ex membri del Partito nazista austriaco ricuperarono i loro diritti civili. Si avvicinavano le nuove elezioni nazionali e i dirigenti del Partito socialdemocratico austriaco (SPÖ) come anche i democristiani del Partito popolare austriaco (ÖVP) si lanciarono in una nauseante corsa ai voti degli antichi nazisti. Fu creato un nuovo partito, l’Unione degli indipendenti (VdU), destinato a catturare questi voti (4). Di quei seicentomila voti ognuno di questi tre partiti ne raccolse un terzo.

La tesi di un’Austria prima vittima di Hitler si impose in tutta la società. Durante decenni i manuali scolastici evocarono per il periodo 1938-1945 solamente la guerra in Europa, mentre la sola menzione dell’Austria si focalizzava sugli sporadici tentativi di resistenza, per la maggior parte individuali. L’ affaire Kurt Waldheim avrebbe potuto far saltare il coperchio. Non se ne fece nulla: gli austriaci fecero blocco intorno a questo ex ufficiale della Wehrmacht, eletto presidente della Repubblica nel 1986, accusato di aver partecipato alla deportazione di ebrei nei Balcani, il quale dichiarò: «Non ho fatto altro che il mio dovere!». Waldheim è morto nell’indifferenza internazionale il 14 giugno 2007 e ha avuto diritto, nel suo Paese, ai funerali di Stato.

Grazie anche ai lavori da pionieri di Erika Weinzierl e di Botz, seguiti oggi da quelli di Bertrand Perz e di Olivier Rathkolb, appena dieci anni fa i manuali di storia hanno iniziato a descrivere la profonda partecipazione degli austriaci al nazismo. Ma sondaggi effettuati recentemente dimostrano che rimane da percorrere un lungo cammino. Quando si domandò: «L’Austria avrebbe dovuto impegnarsi in una resistenza armata all’ Anschluss?», una metà appena delle persone interrogate nel 2006 risposero positivamente (53%, contro 41% di «no»). Nel 2005 la domanda: «Il nazionalsocialismo in Austria costituisce un episodio con aspetti positivi e negativi?» raccolse il 44% di «si», contro il 20% soltanto di ci considerava questo episodio solamente negativo (5).

I luoghi della memoria austriaci offrono numerosi esempi di questa tolleranza con il passato nazista. A Vienna una parte del Ring, quel prestigioso viale che circonda il centro storico, continua a portare il nome di Karl Lueger, sindaco della città dal 1897 al 1910, ma soprattutto fondatore del Parito cristiano sociale, il primo partito di massa antisemita d’Europa, un riferimento ideologico fondamentale per il giovane Adolf Hitler. Vi sono statue con la sua effige, una chiesa porta il suo nome, senza che alcuno se ne emozioni.

A Klagenfurt, sulla Domplatz, il solo monumento alla memoria delle vittime della Seconda guerra mondiale denuncia i maltrattamenti da parte dei... partigiani antinazisti sloveni. Nel feudo di Jörg Haider la parola stessa di «resistente» costituisce un’ingiuria.

(1) Gerhard Botz è in particolare l’autore dell’opera di riferimento Nationalsozialismus in Wien (1978), ripubblicata in un’edizione molto arricchita (Mandelbaum Verlag, Vienne, 2008).
(2) Nel 1938 l’Austria contava duecentomila ebrei (su sei milioni di abitanti, ovvero il 3% della popolazione), la maggior parte dei quali viveva a Vienna. Nel 1933 la Germania contava cinquecentoventitremila ebrei (1%).
(3) Questa tesi della vittima (Opferthese) compare a partire dal novembre 1943, nella Dichiarazione di Mosca. L’obiettivo strategico mirava a fare nascere nel Paese un’opposizione un poco sul modello di quella francese. Questa strategia si rivelò poco efficace.
(4) Questa Unione degli Indipendenti (Verband der Unabhängigen, VdU) si trasformò nel 1956 nel Partito austriaco della libertà (FPÖ), diretto più tardi da Jörg Haider.
(5) Silvia Tributsch e Peter Ulram, « Das österreichische Geschichtsbewusstsein und seine Geschichte », in Franz Schausberger (sotto la direzione di), Geschichte und Identität, Böhlau, Vienne, 2008.

Testo originale:

Une curieuse lecture de l'histoire
Pierre Daum (giornalista), pour Le Monde Diplomatique, juillet 2009

«Dès les années 1960, les Allemands ont commencé à regarder le nazisme avec la même intransigeance que l'ensemble des Européens », explique Gerhard Botz, professeur d'histoire contemporaine à Vienne, et directeur de l'institut de recherche en histoire sociale Ludwig-Boltzmann (I). «Les Autrichiens s'y mettent à peine, et encore, pas tous !» Comment une telle différence s'est-elle construite ? La réponse se décline en deux temps. Il faut considérer ce qui s'est passé avant 1945, et après.

Botz et ses collègues ont montré que, avant et pendant le IIIe Reich, «l'antisémitisme a été plus violent en Autriche qu'en Allemagne (2) ». Scènes terribles, en mars et avril 1938, au moment de l'intégration de l'Autriche au Reich (l'Anschluss), telle cette population hilare forçant de nombreux Juifs à se mettre à genoux pour nettoyer les rues de Vienne avec des brosses à dents... Quelques mois plus tard, des fonctionnaires autrichiens mirent en place un mécanisme bureaucratiquement très solide permettant l'expropriation des Juifs de leurs appartements et de leurs commerces. Admiratif, Hermann Göring importa le système en Allemagne, où il l'appliqua.

Lors du pogrom de novembre 1938 – la Nuit de cristal –, des rapports de la Gestapo décrivent une sauvagerie autrichienne bien plus effrayante que celle des Allemands. Enfin, toujours selon Botz, «les Autrichiens furent surreprésentés dans les postes-clés de la machine d'extermination » : Adolf Eichmann (arrivé en Autriche à l'âge de 8 ans), Alois Brunner, Ernst Kaltenbrunner (successeur de Heinrich Himmler à la tête de l'Office central de la sécurité du Reich, qui chapeautait la Gestapo), Odilo Globocnik (responsable, avec toute une équipe d'Autrichiens, de l'Aktion Reinhardt, au cours de laquelle plus de deux millions de Juifs et de Tziganes furent exterminés), Franz Stangl (commandant des camps d'extermination de Sobibor et de Treblinka), etc.

Après la guerre, les nouvelles autorités autrichiennes imposèrent une lecture de l'histoire dont les effets se font sentir encore aujourd'hui. L'Autriche n'avait pas collaboré à l'entreprise nazie, mais en avait été, en raison de l'Anschluss, sa première victime ! Aussi partielle soit-elle, cette falsification fut acceptée par les alliés occidentaux autant que par l'URSS, en échange de la promesse de l'Autriche de ne basculer ni dans un camp, ni dans l'autre (3).

Autre différence avec l'Allemagne : la dénazification. Dans ce pays, celle-ci fut entreprise par les Alliés, alors que les Autrichiens eurent le droit de se «dénazifier» eux-mêmes. Très sévère la première année (quarante-trois condamnations à mort et trente exécutions ; perte d'emploi et des droits civiques), la répression se relâcha vite, pour disparaître dès 1948. Cette année-là, les six cent mille anciens membres du Parti nazi autrichien recouvrèrent leurs droits civiques. De nouvelles élections nationales approchaient, et les dirigeants du Parti socialdémocrate autrichien (SPO) comme les chrétiens-démorates du Parti populaire autrichien (OVP) se lancèrent ans une course nauséabonde aux voix des anciens nazis. Un nouveau parti fut créé, l'Union des indépendants VdU), destiné à capter ces votes (4). De ces six cent Ille voix, chacun de ces trois partis recueillit un tiers.
La thèse d'une Autriche première victime de Hitler s'imposa dans toute la société. Pendant des d cennies, les manuels scolaires n'évoquèrent, pour la periode 1938-1945, que la guerre en Europe, tandis tue la seule mention de l'Autriche se focalisait sur les quelques tentatives de résistance, la plupart individuelles. L'affaire Kurt Waldheim aurait pu faire exploser le couvercle. II n'en fut rien : les Autrichiens firent bloc derrière cet ancien officier de la Wehr-macht, élu président de la République en 1986, accusé d’avoir participé à la déportation de Juifs dans les Balkans, qui déclara : «Je n'ai fait que mon devoir !» Wal-dheim est mort dans l'indifférence internationale, le 14 juin 2007, et a eu droit, dans son pays, à des funérailles nationales.

Grâce notamment aux travaux pionniers d'Erika Weinzierl et de Botz, suivis aujourd'hui par ceux de Bertrand Perz et d'Olivier Rathkolb, les manuels ont commencé, il y a à peine dix ans, à décrire la participation profonde des Autrichiens au nazisme. Mais des sondages, effectués récemment, montrent qu'un long chemin reste à parcourir. Lorsque l'on demanda : « L'Autriche aurait-elle dû s'engager dans une résistance armée à l'Anschluss ? », à peine une grosse moitié des personnes interrogées en 2008 répondirent positivement (53 %, contre 41 % de « non »). En 2005, la question : « Le national-socialisme en Autriche constitue-t-il un épisode comportant des bons et des mauvais côtés ? » recueillait 44 % de « oui » contre 20 % seulement qui considéraient que cet épisode ne fut que négatif (5).

Les lieux de mémoire autrichiens offrent de nombreux exemples de cette tolérance avec le passé nazi. A Vienne, une partie du Ring, ce boulevard prestigieux qui entoure le centre historique, continue de porter le nom de Karl Lueger, maire de la ville de 1897 à 1910, mais surtout fondateur du Parti chrétien-social, le premier parti de masse antisémite d'Europe, une référence idéologique fondamentale pour le jeune Adolf Hitler. Des statues se dressent à son effigie, une église porte son nom, sans que personne s'en émeuve.

A Klagenfurt, sur la Domplatz, le seul monument à la mémoire des victimes de la seconde guerre mondiale dénonce les exactions des... partisans antinazis slovènes. Dans le fief de Jörg Haider, le mot même de « résistant v constitue une injure.
P. D.
(1) Gerhard Botz est notamment l'auteur de l'ouvrage de référence Nationalsozialismus in Wien (1978), réédité dans une version très enrichie (Mandelbaum Verlag, Vienne, 2008).
(2) En 1938, l'Autriche comptait deux cent mille Juifs (sur six mil-lions d'habitants, soit 3 % de la population), la plupart vivant à Vienne. En 1933, l'Allemagne comptait cinq cent vingt-trois mille Juifs (l %).
(3) Cette thèse de la victime (Opferthese) apparaît dès novembre 1943, dans la déclaration de Moscou. L'objectif stratégique visait à faire naître une résistance à l'intérieur du pays, un peu sur le modèle de la France. Cette stratégie se révéla peu efficace.
(4) Cette Union des indépendants (Verband der Unabhängigen, VdU) se transforma en 1956 en Parti autrichien de la liberté (FPO), dirigé plus tard par Jörg Haider.
(5) Silvia Tributsch e Peter Ulram, « Das österreichische Geschichtsbewusstsein und sein Geschichte », in Franz Schausberger (sotto la direzione di), Geschichte und Identität, Böhlau, Vienne, 2008



Lunedì 20 Luglio,2009 Ore: 15:59
 
 
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