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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org Domenica 2a Quaresima – C – 28 febbraio 2010 –,a cura di Paolo Farinella, prete

Domenica 2a Quaresima – C – 28 febbraio 2010 –

a cura di Paolo Farinella, prete

Domenica 2a Quaresima–C
– 28 febbraio 2010 –
La 2a domenica di Quaresima ci offre lo spettacolo della trasfigurazione nella triplice versione dei Sinottici. L’anno C riporta l’interpretazione di Lc. A questo fatto cruciale nella vita di Gesù fa da cassa di risonanza la 1a lettura con il racconto dell’Alleanza nella versione di Gen 15 che ha un carattere speciale: riporta la più antica tradizione scritta che va sotto il nome di «javista» (sec. X-IX a.C.) con influssi della tradizione successiva che va sotto il nome di «elohista» (sec. VIII-VII a.C.)[1] . Paolo ai Filippesi propone due modi di essere cristiani: uno esteriore e l’altro motivato da una prospettiva soprannaturale in cui lo stesso Signore «trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso» (Fil 3,21). Il salmo a sua volta ci trasmette l’anelito dell’esiliato che «cerca il volto del Signore» come tensione costante della vita. Il quadro liturgico è dunque formato da un trittico: alleanza, desiderio, trasfigurazione che possono essere unificati nel tema «vita morale». In altre parole: che cosa è la vita morale del cristiano alla luce della trasfigurazione che realizza il desiderio che si acquieta nell’alleanza?
Il tema è attualissimo perché oggi c’è il tentativo di trasformare la vita di fede in un ideale morale, cioè in un codice di regole, per lo più proibitive, che mirano alla stabilizzazione di asseriti «valori» come punto d’incontro tra credenti e non credenti. La conseguenza si traduce inevitabilmente in un’alleanza impura per la gestione diretta del potere. Si corre il rischio di trasformare il «vangelo» in «progetto culturale» che vorrebbe porre le premesse ad un connubio innaturale di interessi temporali condivisi. Il vangelo che proietta sulla prospettiva del Regno di Dio è ridotto ad un codice di comportamento e di pensiero «temporanei» perché cultura e comportamenti sono per loro natura mutevoli. Chi persegue un «progetto culturale» mescola la soprannaturalità della scelta cristiana con l’adeguatezza al conformismo inteso come fedeltà ad un sistema accettato che non può non essere quello di questo momento storico»: il peccato diventa reato e la virtù si trasforma in obbedienza al codice civile e penale o alla prescrizioni ecclesiastiche che oggi sono e domani mutano, come la storia insegna.
La Toràh di Mosè, la Legge, come coscienza di appartenere ad un popolo, è data da Dio come garanzia dell’alleanza con Abramo: essa esprime un rapporto d’amore non un codice di comportamento. Chi ama genera comportamenti d’amore segnati dalla gratuità e dall’eccedenza, mentre chi organizza si preoccupa dei rapporti costi-benefici. La Legge è data da Dio nel deserto, cioè in un ambiente dove nulla è possibile se non la fedeltà sulla parola e la fiducia reciproca: nessuna sicurezza, nessuna garanzia, ma solo fiducia e abbandono alla parola dell’altro come garanzia di sopravvivenza. Nel deserto possono accadere solo due cose: o il suicidio o l’abbandono alla fede totalmente e senza riserve. Non è un caso che nei momenti più drammatici del tradimento, i profeti rievocheranno il deserto come l’ambiente puro dell’amore incondizionato: « io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore … là mi risponderà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d’Egitto» (Os 2,16.17).
La vita morale esemplare del cristiano nasce e si conclude nella Persona di Gesù Cristo, perché essa non è una prerogativa cristiana e non necessariamente una persona morale porta «il gioioso annuncio» che Dio è Padre e Cristo il Signore. Molti, tanti uomini non credenti in Gesù Cristo o in Dio hanno una vita morale che spesso supera per esemplarità e coerenza quella dei cristiani i quali non hanno acquisito il monopolio dell’etica. Su questo punto bisogna essere rigorosi, altrimenti non è possibile alcun dialogo perché si parte dal presupposto che i cristiani in quanto tali sono migliori e in posizione di vantaggio. E’ la posizione dei Giudei che pretendono per il solo fatto di essere «figli di Abramo» di avere il futuro assicurato, salvezza compresa, non sapendo che Dio può suscitare figli anche dalle pietre (cf Mt 3,9; Lc 3,8; Gv 8,21-59, spec. v. 39). Essere cristiani non è un vantaggio né una garanzia, ma una responsabilità e un impegno; non è un privilegio, ma una missione da compiere in umiltà di testimonianza.
La morale cristiana sorge da un avvenimento irreversibile che è la morte risurrezione di Gesù: essa non è un sistema teorico di regole o comportamenti, non è un codice di vita elevato, non è nemmeno ascesi, ma soltanto la prospettiva della storia dal punto di vista di Dio che trova il suo perno e il suo compimento nell’incarnazione e infine nella morte e risurrezione del Figlio di Dio. La morale e quindi l’etica personale diventa il luogo della testimonianza dove la prospettiva pasquale è una proposta permanente della vita da vivere come evento condiviso con gli altri. Morale pasquale significa che il cristiano come credente in Gesù accetta di entrare nella dinamica della volontà del Padre che fa sua perché si realizzi la sua alleanza di salvezza che tutti include e nessuno esclude. Essa non è un codice, ma una conseguenza, frutto di una trasformazione, di una «trasfigurazione». Con la sua vita il credente in Cristo morto e risorto annuncia che ciascuno ha la possibilità di risorgere e di partecipare all’avventura del Regno di Dio che prende come misura e condizione i poveri, i piccoli e gli esclusi.
Oggi nel mondo cattolico ci si accanisce sui valori cristiani senza  accorgersi che è un controsenso perché non esistono valori cristiani, ma esistono prospettive e dimensioni umane che sono vissute con spirito e creatività evangelica. Gesù non ha annunciato un modello cristiano di famiglia o di società, non ha dato una struttura economica o sociale: egli ha detto che tutti sono figli di Dio, in qualunque situazione si trovino.  Paolo, a sua volta, traduce questa uguaglianza nel criterio che «non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). Difendere i valori della famiglia «di una volta» non significa necessariamente difendere la prospettiva cristiana, ma solo una struttura economica e ideologica di una società borghese che nel privato ha disatteso quegli stessi valori che oggi pretende di difendere in pubblico come baluardo dei suoi interessi economici e della sua stessa ideologia. Nella Scrittura l’uomo e la donna «in una sola carne» sono il sacramento visibile del Dio dell’alleanza, il volto trasfigurato del Dio di Gesù Cristo che invita e convoca alla mensa della nuzialità universale e cosmica.
 Il Cristianesimo è un processo permanete di conversione che si realizza in ogni situazione e che nessun «valore» storico può esaurire. Essere morali cristianamente significa affrontare le sfide quotidiane della morte negli avvenimenti e nelle relazioni interpersonali, assumerli su di sé e viverli nell’obbedienza che porta allo spogliamento totale di sé fino a quella radicale povertà che il discorso della montagna dichiara «beata» (Mt 5,3) nella prospettiva della risurrezione. L’Eucaristia che celebriamo è la sorgente di questa dimensione morale perché non eseguiamo un rito di protezione, ma celebriamo il mistero pasquale nella forza e nella luce dello Spirito Santo che invochiamo con tutto il cuore[2]«Il mio cuore ripete il tuo invito: “Cercate il mio volto!”. Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto».. Prima di invocare lo Spirito Santo che ci copre con la sua nube di santità, facciamo nostro il desiderio del salmista che «cerca il volto di Dio come suggerisce l’antifona d’ingresso: (Sal 27/26,8-9):[3]
 
Spirito Santo, tu guidasti Abramo nel deserto perché si predisponesse all’alleanza, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu mostrasti al patriarca Abramo lo splendore della notte stellata,                   Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu animasti la fede di Abramo che credette alla promessa del Signore,           Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei il torpore che rapì Abramo per ammetterlo alla visione di Dio, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la discendenza che abbiamo ereditato con l’alleanza di Abramo,          Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la difesa che protegge il nostro cuore che cerca il volto di Dio,             Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei il desiderio di Dio che vogliamo contemplare nella terra dei viventi, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu rinfranchi il nostro cuore perché non tema e speri sempre nel Signore,      Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu ispiri l’emulazione tra i tuoi figli per diffondere l’amore di Dio,     Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sorreggi la nostra coerenza per non vanificare la croce del Signore,           Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu alimenti in noi il desiderio dell’attesa della patria del cielo,                        Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la nostra corona e la nostra gioia che ci rende saldi nel Signore,            Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu accompagnasti Gesù e gli apostoli sul monte per pregare il Padre, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei il monte che ci accoglie quando noi stessi diventiamo preghiera,          Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la gloria che trasfigurò Gesù nella luce del suo esodo al Padre,             Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la voce che dal monte invita ad ascoltare il Signore Gesù,                     Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la forza della Parola che viene a noi dal monte dell’altare,                    Veni, Sancte Spiritus!
 
Gesù non ci ha mandato nel mondo per conquistarlo ai nostri criteri, ma ci ha inviati come testimoni dell’amore di Dio perché nessuno possa essere estraneo al disegno di amore. Siamo nel mondo per dire con la vita e la parola che vivere nella prospettiva di Dio e dell’eternità dà un senso pieno alla vita di relazione e anche agli avvenimenti che vengono vissuti e non subiti. Non abbiamo in quanto cristiani il monopolio della vita morale, ma la morale vissuta da cristiani con coerenza evangelica diventa un luogo privilegiato d’incontro con gli uomini e le donne di buona volontà. Entrare nel mistero dell’alleanza significa lasciarsi trasformare nell’intimo, là dove si prendono le decisioni e si formano le consapevolezze di coscienza. Saliamo con fiducia al monte dell’altare e impariamo da Dio ad essere servi e testimoni che gratuitamente offrono una proposta di vita che è una speranza concreta
 

(ebraico)
Beshèm
ha’av
vehaBèn
veRuàch
haKodèsh.
Amen.
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e dello Spirito
Santo.

 
Prendiamo coscienza che Dio sta alla nostra presenza perché ci raduna alla mensa del Figlio per l’azione dello Spirito Santo che è fondamento di unità e comunione. Celebrare l’Eucaristia è rispondere ad una vocazione. Non veniamo in chiesa per noi o per tacitare la nostra coscienza, noi veniamo perché siamo stati convocati da Dio che vuole sentire la nostra voce nella santa Assemblea[4]. L’Eucaristia non è un obbligo da adempiere, ma un amore da consumare. Per questo abbiamo bisogno del silenzio interiore per fare spazio in noi e lasciare che l’amore vibri liberamente. Esaminiamo la nostra coscienza e domandiamo perdono, consapevoli che la grazia supera qualsiasi peccato e deficienza.
 
[alcuni momenti effettivi e congrui di silenzio]
 
Signore, in Abramo hai stipulato la tua alleanza perdona le nostre incongruenze,     Kyrie, elèison!
Cristo, sei discendenza di Abramo: perdona la nostra dispersione e superficialità,   Christe, elèison!
Signore, in te siamo figli di Abramo: raduna l’umanità nella tua alleanza d’amore, Pnèuma, elèison!
Cristo, per tutte le volte che abbiamo vanificato lo scandalo della santa croce,                    Christe, elèison!
Signore, che ti sei trasfigurato, perdona le nostre opacità di vita e di relazione,                    Kyrie, elèison!
Cristo, parlasti con Mosè ed Elia del tuo esodo: guidaci verso l’alleanza della pace,            Christe, elèison!
 
Dio onnipotente che ci ha chiamati nel padre Abramo ad essere discendenza nel Figlio signore per condurci al monte Tabor dove con la guida della Parola di Dio, possiamo essere trasfigurati con lui, per i meriti del nostro patriarca Abramo, per i meriti di Paolo apostolo delle genti, ma specialmente per i meriti del Signore nostro Gesù Cristo abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.
 
Preghiamo (colletta). Dio grande e fedele, che riveli il tuo volto a chi ti cerca con cuore sincero, rinsalda la nostra fede nel mistero della croce e donaci un cuore docile, perché nell’adesione amorosa alla tua volontà seguiamo come discepoli il Cristo tuo Figlio. Egli è Dio, e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Liturgia della Parola
Prima lettura Gen 15,5-12,17-18. Il cap. 15 della Genesi amalgama le due tradizioni orali più antiche che vanno sotto il nome di tradizione jahvista del sec. X a.C. e la tradizione elohista del sec. VIII a.C. La prima è attenta alla alleanza che descrive in termini militari di assistenza e protezione tra un re e il suo vassallo, mentre la seconda legge l’alleanza in chiave di promessa di una posterità che si realizza nella discendenza. Il sacrificio di Abramo che «taglia» gli animali e ne versa il sangue è simbolo di una comunione di vita che nell’unico patriarca Abramo unifica tutto Israele; sia le tribù del nord che le tribù del sud. Anche noi «tagliamo l’alleanza»  nell’Eucaristia senza più spargimento di sangue perché è il sacrificio di Cristo è compiuto «una volta per tutte» (Eb 7,27).
 
Dal libro della GènesiGen 15,5-12,17-18
In quei giorni, 5 Dio condusse fuori Abram e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». 6 Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia. 7 E gli disse: «Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questa terra». 8 Rispose: «Signore Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?». Gli disse: «Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un colombo». 10 Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all’altra; non divise però gli uccelli. 11 Gli uccelli rapaci calarono su quei cadaveri, ma Abram li scacciò. 12 Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco terrore e grande oscurità lo assalirono. 17 Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi. 18 In quel giorno il Signore concluse quest’alleanza con Abram: «Alla tua discendenza io do questa terra, dal fiume d’Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate». - Parola di Dio.
 
Salmo responsoriale 27/26, 1; 7-9a; 9bc; 13-14. «Cercare il volto di Dio» (v. 8) in origine significava andare a consultare Dio nella sua Dimora o Tempio (Am 5,4). Il salmo è un canto fiducioso di un levita lontano dal Tempio e desideroso di tornarvi. Segue la supplica di un perseguitato che si sente abbandonato da tutti, ma non da Dio che è riparo e difesa. L’Eucaristia acquieta la nostra ricerca perché ci nutre con la Parola, il Pane e il Vino, che sono gli alimenti della fede e della ricerca. Qui il volto del Dio di Gesù Cristo è svelato, trovato e contemplato.
 
Rit. Il Signore è mia luce e mia salvezza.

1. 1 Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
3 Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura? Rit.
«Cercate il mio volto!».
Il tuo volto, Signore, io cerco. Rit.
3. Non nascondermi il tuo volto, 9
non respingere con ira il tuo servo.
2. 7 Ascolta, Signore, la mia voce.
Io grido: abbi pietà di me, rispondimi!
 8 Il mio cuore ripete il tuo invito:
Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi,
non abbandonarmi, Dio della mia salvezza. Rit.
4. 13 Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
14 Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore. Rit,

 
Seconda lettura Fil 3,17-4,1 (Iett. breve 3,20-4,1). Paolo sta descrivendo agli amati Filippesi la perfezione cristiana (Fil 3,17-4,3) e mette a confronto due categorie di cristiani. Da una parte vi sono coloro che si fidano della loro appartenenza religiosa esteriore tanto che giungono ad essere «nemici della croce di Cristo» (v. 18). Dall’altra vi sono quelli che, come Paolo, pongono la loro sicurezza in Cristo che diventa così il metro di misura per ogni azione, pensiero e scelta e anche della morte che è vista come attesa del Signore Gesù (v. 20). L’ascesi cristiana non consiste nelle opere di penitenza, ma nella consapevolezza di essere associati alla missione di Cristo che dobbiamo rendere credibile con la nostra vita e il nostro stile di relazione.
 
Dalla lettera di Paolo apostolo ai Filippési Fil 3,17-4,1 [Iett. breve 3,20-4,1].
Fratelli, [17 fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi. 18 Perché molti - ve l’ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto - si comportano da nemici della croce di Cristo. 19 La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra.] 20 La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, 21 il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose. 4,1 Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi! -Parola di Dio.
 
Vangelo Lc 9,28b- 36. L’evangelista Lc, preoccupato che il suo uditorio, prevalentemente greco, possa confondere la trasfigurazione con una delle tante metamorfosi degli dèi della mitologia greca, dedica poco spazio all’avvenimento in sé e lo trasforma in una esperienza di stile comunitario. Egli, infatti, attribuisce la trasfigurazione di Gesù alla sua preghiera (v. 29) e  associa anche i suoi discepoli alla gloria di Mosè ed Elia che rappresentano la Toràh. In questa santa assemblea convocata sul monte Gesù parla del suo «esodo» (v. 32). Il punto centrale del racconto però è la preghiera (vv. 28-29) come via privilegiata per comprendere il valore della Scrittura (Mosè ed Elia) e il senso della propria vocazione (esodo). Non preghiamo per chiedere qualcosa, dal momento che «il Padre vostro sa che ne avete bisogno» (Lc 12,30; Mt 6,32), ma preghiamo per conoscere noi stessi e scoprire in noi il segno della Presenza di Dio e il mistero della missione a cui siamo chiamati. La Quaresima è camminare in questa prospettiva di trasfigurazione che anticipa la Pasqua, a sua volta premessa del Regno che viene.
 
Canto al Vangelo Mt 17, 5.
Lode e onore a te, Signore Gesù!  Dalla nube luminosa, si udì la voce del Padre: / «Questi è il mio Figlio, l’amato: ascoltatelo!». Lode e onore a te, Signore Gesù! 
 
Dal Vangelo secondo Luca Lc 9,28b- 36
Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. 29Mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. 30Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. 32Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. 34Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All'entrare nella nube, ebbero paura. 35E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». 36Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto. - Parola del Signore.
 
Tracce di omelia
I vangeli non riportano il nome del monte della trasfigurazione, «Tabor» che è dovuto solo alla tradizione[5]Nel libro dei Giudici il Tabor è ricordato come il monte dove Barak e Deborah sconfiggono Sisara, comandante dell’esercito cananeo (Gdc 4,6-23). Il salmo 89/88,13 nella versione della Lxx dice che «il Tabor e l’Ermon nel tuo nome esulteranno» (il testo ebraico dice: «gridano di gioia») che alla luce di quanto accade nel NT viene spontaneo leggerla come una profezia della trasfigurazione. Gesù trasfigurato viene a raccogliere l’eredità di Dio sparsa ai quattro angoli del mondo per ricostruire il giardino di Eden, il nuovo Regno di Dio non più con la polvere del suolo, ma nella consistenza della sua natura umana.: il «monte» di cui parla Lc (Lc 9,28) diventa «alto monte» in Mt e Mc (Mt 17,1; Mc 9,2), mentre assume una connotazione teologica nella 1a lettera di Pietro che cita l’episodio evangelico parlando di  «monte santo» (2Pt 1,18). Il «monte» nella Bibbia è sempre il luogo di Dio o, al contrario, dell’idolatria[6].
Il Midràsh, a sua volta, narra che il monte Tabor chiese a Dio di sceglierlo come montagna della rivelazione e della Toràh, ma Dio rifiutò la richiesta perché su di esso vi erano stati fatti sacrifici agli idoli. Per la consegna della Toràh scelse invece il monte Sinai perché umile e perché su di esso nessun sacrificio idolatrico fu mai compiuto[7]prevede che alla fine del mondo Dio farà scendere dal cielo la Gerusalemme celeste su quattro monti: il Tabor, l’Hermon, il Carmelo e il Sinai che segnano i quattro punti cardinali del territorio d’Israele e dei quattro angoli della terra da cui Dio aveva raccolto un pizzico di polvere per creare Adam[8]è presente nell’Apocalisse che contempla la città santa con le sembianze di una sposa che viene da «un monte alto e grande» (Ap 21,2.10). e sui cui radunerà i dispersi della fine. Quest’ultima idea della raccolta finale .  Un altro Midrash 
Un’altra pista interessante è il rapporto che potrebbe esserci tra il monte Tabor e il monte Moria, dove Abramo fu chiamato per sacrificare il figlio Isacco che però fu risparmiato in forza dell’obbedienza del padre e del figlio (Gen 22,1-19). Abramo sale sul monte per sacrificare il figlio; Gesù sul monte parla con Mosè ed Elia del suo «esodo» cioè della sua morte che si compirà a Gerusalemme, che secondo la tradizione sorge sul luogo del sacrificio di Isacco. Isacco si lascia «legare» (ebr. ‘aqad [da cui ‘aqedàhlegatura]); Gesù è consapevole di andare a morire sul monte Calvario dove si lascerà «legare» alla croce.  Sul monte Moria vi sono un padre e un figlio; sul monte Tabor sale il Figlio che il Padre rivela ai discepoli. Sul Moria l’angelo parla ad Abramo; sul Tabor la voce del cielo parla a Gesù e di Gesù ai presenti. Isacco è salvato dalla morte e risorge (è trasfigurato) nuovamente come figlio della promessa; Gesù si trasfigura come anticipo della risurrezione che vivrà di lì a poco. Sul monte Moria, Isacco accetta la volontà del padre suo che a sua volta obbedisce ad un ordine di Dio; sul Tabor la trasfigurazione è il vero sacrificio perché Gesù offre al Padre l’obbedienza alla sua volontà, accettando l’«esodo» della sua esistenza: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: “Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà”» (Eb 10,5-7; cf Sal 41/40,7-9).
Il contesto della trasfigurazione è certamente quello della festa ebraica di Sukkôt-Capanne (cf Lv 23,24;Dt 13,16) perché non avrebbe senso, diversamente, la richiesta di Pietro: «Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia» (Lc 9,33). Noi sappiamo che la festa durava sette giorni, ma era prolungata di un giorno per completarla con Shemini azerèt L’ottava assemblea solenne che si concludeva con Shimchàt Toràh ovvero la gioia della Toràh. La festa, gioiosa e allegra aveva una forte connotazione messianica (Zac 14,16): un momento centrale della festa era l’agitazione di quattro piante: la palma, il limone, il mirto e il salice, legati insieme per fare festa davanti al Signore come prescrive Lv 23,40[9].
In questa festa inoltre si compivano anche due sacrifici: uno per la remissione dei peccati del popolo (cf Antichità Giudaiche,X, 4, 245-247) e uno, il secondo, che prevedeva il sacrificio di settanta buoi: poiché si pensava che la terra fosse abitata da 70 popoli, si offriva un bue sacrificale per ogni popolo esistente sulla terra (cf Talmud Sukkôt 55b). Nella festa della massima gioia di Israele, durante la quale si intronizzava il Messia come discendente di Davide, il popolo dell’alleanza offriva un sacrificio di espiazione per la salvezza del mondo intero. E’ straordinaria questa concezione ebraica della universalità da parte di un popolo che si pensa «unico». Sulla croce Gesù s’investirà dell’espiazione universale, offrendo se stesso per tutta l’umanità e per i suoi carnefici.
         Lc non dà molto importanza al fatto della trasfigurazione in sé perché la colloca nel contesto della «preghiera», quasi a dire che è la preghiera la condizione della trasfigurazione (Lc 9,29). Anche per il battesimo, Lc ricostruisce lo stesso clima di preghiera con la stessa voce che accredita Gesù come Figlio e come Maestro:
 

Trasfigurazione (Lc 9,27-36)
Battesimo (Lc 3,21
 
21Ed ecco, mentre … Gesù, ricevuto anche lui il battesimo,
28Gesù… salì sul monte a pregare. 29Mentre pregava,
stava in preghiera,
il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante …
il cielo si aprì
34Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra …
22e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba,
35E dalla nube uscì una voce, che diceva:
e venne una voce dal cielo:
«Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».
"Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento".

 
La corrispondenza tra i due eventi non è casuale e non è di poco perché, a differenza di Mc e Mt, Lc sottolinea l’aspetto interiore della trasfigurazione a cui unisce anche quello comunitario/ecclesiale: non è Gesù solo che vive questa esperienza mistica, ma Mosè ed Elia in rappresentanza dell’economia antica e gli apostoli che ne condividono la gloria (Lc 9, 32.34), in rappresentanza della nuova economia. Per Lc la trasfigurazione è un fatto ecclesiale, quasi a dire che là dove la Chiesa è se stessa, nonostante la paura (Lc 9, 34) sperimenta direttamente la trasfigurazione del suo Signore e ne partecipa l’intimità (la gloria) se sperimenta la preghiera come «luogo» della comunità che vive la dimensione dell’esodo (Mosè) e quella della profezia (Elia). Secondo il diritto, un evento per avere validità giuridica, deve essere testimoniato da due o tre testimoni come garanti di autenticità (cf Dt 17,6; 19,15; Eb 10,28; 2Cor 13,1; 1Tm 5,19; Mt 18,15). Qui Mosè ed Elia sono testimoni qualificati: uno rappresenta la Toràh scritta e orale e l’altro i profeti. Toràh/Legge e profeti sono espressione ellittica (cioè sintetica) per rappresentare tutta la tradizione biblica di Israele (Lc 16,16; 24,44; cf Mt 5,17; 7,12; 11,13; 22,40; At 28,23; Gv 1,45) che qui, nella trasfigurazione accreditano Gesù come Messia di Israele e ancora di più come Figlio «amato/unigenito» del Padre. In Mt e Mc la presenza di Mosè ed Elia si esaurisce nella «testimonianza» qualificata perché essi si limitano a «conversare» con Gesù (cf Mt 17,3; Mc 9,4), mentre in Lc vi è qualcosa di più perché con essi Gesù parla  «del suo esodo» (Lc 9,31), cioè della sua morte e della sua risurrezione di cui la trasfigurazione è anticipo e premessa[10] (cf Lc 1,17; 9,8)[11]. . Mosè è il fondatore dell’anima israelita e della coscienza del popolo attraverso la Toràh, mentre Elia rappresenta tutta la corrente profetica che aveva alimentato la speranza messianica d’Israele. Al tempo di Gesù era diffusa la convinzione che il Messia avrebbe preso il posto del grande condottiero Mosè, preceduto da Elia che sarebbe riapparso fisicamente sulla terra per preparare gli animi ad accoglierlo
            Il terzo vangelo, a buon diritto, potrebbe essere definito il vangelo della preghiera per l’importanza che l’autore vi attribuisce nella vita di Gesù[12]. Si potrebbe raccogliere, infatti, un vero e proprio libretto della preghiera, mettendo insieme i passi dove Gesù prega o altri personaggi sono in atteggiamento di preghiera. Nei momenti decisivi della vita, nel vangelo di Lc troviamo Gesù in preghiera (cf Lc 9,28-29), come se sentisse il bisogno di illimpidirsi lo sguardo per conoscere il cammino da fare e purificare il pensiero per decidere le scelte della vita. Gesù è prossimo alla morte e ne ha coscienza e sa che anche i discepoli, nonostante le contraddizioni, subiranno la sua stessa sorte (cf Lc 9,23-36). Nella seconda parte dell’«Ave Maria» noi preghiamo: «nell’ora della nostra morte» perché nel contesto cristiano, la morte è nella prospettiva dell’esodo più che della fine.
La preghiera svela il mistero della morte e apre la prospettiva della vita oltre la morte. Non si prega soltanto per ottenere questo o quello perché la preghiera non è una transazione da mercato; non si prega per superare le difficoltà: «E voi, non state a domandarvi che cosa mangerete e berrete, e non state in ansia: di tutte queste cose vanno in cerca i pagani di questo mondo; ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercate piuttosto il suo regno, e queste cose vi saranno date in aggiunta» (Lc 12,29-31). La preghiera è la chiave di accesso alla volontà di Dio che passa attraverso la morte e la risurrezione: la morte del proprio orgoglio e della propria presunzione, l’abbattimento dell’idolo del proprio io che è sempre una sfida al progetto di salvezza di Dio. Si prega per capire dove siamo e come siamo, si prega per perdersi nel cuore di Dio e abbandonarsi alla sua volontà, si prega per entrare nel mistero della morte, la sola che sa svelare il segreto della vita.
 Gesù prega perché è vicino alla morte che diventa così la misura della sua fedeltà di Figlio. Egli è venuto apposta per «quest’ora» e la preghiera è necessaria per non banalizzare il momento supremo della sua vita perché si prega per dare un senso serio alla propria esistenza e bruciare le banalità di superficie, come esprime in modo sublime Gv che non racconta espressamente della trasfigurazione, ma la colloca in una cornice di gloria e di teofania come risultato e conseguenza diretta dell’«ora» del Figlio che vive l’agonia del Getsèmani, immerso nella volontà del Padre (cf Mc 14,32-42):
 
«“E’ venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato… Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! 28Padre, glorifica il tuo nome”. Venne allora una voce dal cielo: “L'ho glorificato e lo glorificherò ancora!”» (Gv 12,27-29).
 
Il racconto della trasfigurazione da Lc è collocato «circa otto giorni dopo» che è un’indicazione «cristologica» perché il numero otto nella tradizione giudaica e cristiana è sempre riferito alla persona del Messia[13]x), quello verso il basso, verso la terra: dall’alto al basso, dal cielo alla terra, da Dio all’uomo perché i cieli possano riversarsi sulla terra: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi!» (Is 63, 19), riallacciando il colloquio d’intimità spezzato da Adamo ed Eva (Gen 2,8). E’ il movimento dell’incarnazione.Secondo la ghematrìa[14], il nome greco Iēsoûs ha il valore di 888 (= 8x3), mentre in ebraico, il termine Mashiàch ha il valore finale di 16 (= 8x2). Tutto ciò che riguarda Gesù, il Messia è sempre connesso con il «n. 8» in un rapporto non occasionale, ma salvifico e teologico. Come il 666 è l’imperfezione assoluta (3volte 6) così l’888 è il massimo della perfezione perfetta.. Nel vangelo di Lc, il numero «otto» segna la vita di Gesù: all’ottavo giorno è circonciso (cf Lc 2,21) e riceve il «nome che è sopra ogni altro nome» (Fil 2,9), cioè Gesù / Iēsoûs / Yehoshuà’; «otto giorni dopo» si trasfigura sul monte (cf Lc 9,28) e infine risorge (Lc 24,1, dove però si usa l’espressione liturgica «nel primo giorno dei sabbati» che è formula tecnica per indicare il giorno ottavo). In tutta la tradizione giudaica e patristica il giorno ottavo è descritto come il giorno del Messia. Nell’alfabeto ebraico il «n. 8» corrisponde alla lettera heth (= h aspirata: chet) che graficamente è chiusa da tre lati, ma aperta sul quarto (
Il Midrash Cantico rabbà 1,1 riporta l’elenco dei dieci cantici che segnano la storia della salvezza: «Dieci cantici sono stati detti in questo mondo... Il primo cantico lo disse Adamo… L’ottavo cantico lo disse Davide, re d’Israele, per tutti i prodigi che aveva fatto per lui il Signore; egli aprì la sua bocca e disse il cantico, come sta scritto: E Davide in profezia cantò la lode davanti al Signore (2Sam 22, 1/ targum)».Davide re e pastore immagine, tipo e padre del Messia pastore e redentore, conclude l’ottavo cantico profetizzando il Messia, sua discendenza regale. Nella Bibbia greca della Lxx in 2Sam 22,51 l’ottavo cantico si conclude con un riferimento esplicito al Messia: «Al suo cristo/unto, a David e alla sua discendenza per sempre». E Davide nel Sal 12/11,1 canta al Messia sull’ottava corda dello strumento musicale che accoglie il suo discendente nel volto di quel Bimbo circonciso «quando furono compiuti gli otto giorni» perché assume la missione del Messia salvatore e pastore d’Israele che guida nel mondo futuro, nel mondo dei redenti. E’ la conclusione della storia. E’ il ritorno all’Eden dell’«in principio».
La trasfigurazione è quindi un evento cristologico che supera la persona di Gesù per farne un criterio portante della nuova rivelazione centrata sulla persona. Non stiamo parlando di un fatto storico che capitò a Gesù di Nazareth e quindi è concluso perché accaduto una sola volta, ma Lc vi attribuisce un valore universale che riguarda quanti «ascoltano» Gesù e ne accolgono il vangelo. Con il racconto della trasfigurazione collocato nel contesto intenso della preghiera di Gesù, Lc ci dice che la trasfigurazione è un processo interiore con il quale Gesù entra nella logica di Dio superando se stesso per il bene degli altri. In termini sociali si direbbe che ha fatto prevalere il bene comune sul bene suo personale. «Parlava del suo esodo» significa che Gesù accettava definitivamente di essere parte integrante della storia del suo popolo, prendeva su di sé l’esperienza guidata da Mosè, si faceva carico delle promesse e delle attese dei profeti e ora rinunciava alla sua realizzazione per sottomettersi totalmente e senza ambiguità al disegno originario di Dio. Così facendo portava a compimento sia la Toràh che in lui trova la roccia fondamentale, sia la profezia che ora diventa non più parola promessa e annunciata, ma «Parola-carne», Lògos incarnato.
In Dt 18,15 Dio aveva promesso a Mosè un successore alla sua portata: «Il Signore tuo Dio susciterà per te, fra i tuoi fratelli, in mezzo a te, un profeta come me: lui ascolterete» e ora sul Tabor una voce celeste realizza la profezia: «Ascoltatelo!» (Lc 9,35)[15]. Come per Mt anche per Lc, Gesù è il «nuovo Mosè», colui che guida il nuovo popolo non più nel deserto verso la terra promessa, ma verso i confini della terra (cf Lc 24,27). Il passaggio non avviene più dall’Egitto alla terra promessa, ma dall’incredulità della Gerusalemme terrestre (cf Lc 19,41-44; 13,33-24; 21,37) che assume i connotati dell’antico Egitto verso la sponda della «Gerusalemme nuova» (Gal 4,25-26; Eb 12,22) a cui si arriva attraverso il passaggio delle acque del battesimo di immersione della volontà del Padre (Lc 12,50). Da questo momento l’«esodo» di Gesù è segnato: dal monte della trasfigurazione Gesù si dirige alla città della risurrezione passando attraverso «l’immersione» nella morte, da cui salirà sul monte degli Ulivi per l’ultimo passaggio sulla terra: l’Ascensione al Padre (At 1,10). La vita di Gesù è una ripresa della storia d’Israele e un paradigma nuovo per la storia della nuova umanità. Mosè ed Elia sono gli unici personaggi che nell’AT hanno tentato di immergersi nel mistero personale di Dio, ma non ci sono del tutto riusciti (cf Es 3; 1Re 19). Ora l’«esodo» di ricerca di Dio è finita perché con Gesù sul monte Tabor e sul monte Calvario Dio si fa trovare da quanti hanno il cuore di cercarlo (cf Is 55,6; Sap 1,1-2). Se gli apostoli possono vedere il volto trasfigurato di Gesù, la Chiesa in ogni tempo e in ogni luogo può contemplare lo stesso volto, trasfigurando se stessa davanti agli occhi degli uomini e delle donne che cercano Dio e non lo trovano per colpa di una Chiesa che piuttosto che svelare il volto luminoso di Dio, lo nasconde e lo deturpa.
 
Professione di Fede (rinnovo delle promesse battesimali)
Anche nella 2a domenica di Quaresima, sostiamo alla sorgente del nostro battesimo e rinnoviamo le promesse della nostra fede perché il nostro cammino verso la Pasqua sia segnato dalla fede che illumina i nostri passi e le nostre decisioni, in comunione con i cristiani che oggi in tutto il mondo rinnovano la stessa professione di fede.
 
Credete in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra? Credo.
 
Credete in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, che nacque da Maria vergine, morì e fu sepolto, è risuscitato dai morti e siede alla destra del Padre? Credo.
Credete nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne e la vita eterna? Credo.
 
 Questa è la nostra fede. Questa è la fede della Chiesa. Questa fede noi ci gloriamo di professare in Cristo Gesù nostro Signore. Amen.
 
Preghiera universale [Intenzioni libere]
LITURGIA EUCARISTICA
Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:
 
«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24),
 
Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.
Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.
 
[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]
 
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna. Benedetto nei secoli il Signore.
 
Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.
Il Signore riceva questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.
 
Preghiamo (sulle offerte).Questa offerta, Signore misericordioso, ci ottenga il perdono dei nostri peccati e ci santifichi nel corpo e nello spirito, perché possiamo celebrare degnamente le feste pasquali. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
 
PREGHIERA EUCARISTICA DELLA RICONCILIAZIONE I
LA RICONCILIAZIONE COME RITORNO AL PADRE
Prefazio: Ringraziamo il Padre per la gloria pasquale che il Cristo annunciò nella sua trasfigurazione
 
Il Signore sia con voi. E con il tuo spirito.    In alto i nostri cuori.    Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore nostro Dio.                     È cosa buona e giusta.
 
È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo Signore nostro.
Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria.
 
Egli, dopo aver dato ai discepoli l’annunzio della sua morte, sul santo monte manifestò la sua gloria
«[Abramo] credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia» (Gen 15,6).
 
e chiamando a testimoni la Legge e i Profeti indicò agli apostoli che solo attraverso la passione possiamo giungere al trionfo della risurrezione.
Hai concluso l’alleanza con Abramo e la sua discendenza dandogli la terra della promessa e ora concludi l’alleanza con noi nella santa Eucaristia nel segno dell’umanità del Cristo nostro redentore  (Gen 15,18).
 
E noi uniti agli angeli del cielo acclamiamo senza fine la tua santità, cantando l’inno di lode: Santo...
Benedetto nel nome del Signore colui che viene. Osanna nell’alto dei cieli. Kyrie, elèison! Pnèuma, elèison.
 
Padre veramente santo, fin dall’origine del mondo tu ci fai partecipi del tuo disegno di amore, per renderci santi come tu sei santo. Guarda il popolo riunito intorno a te e manda il tuo Spirito, perché i doni che ti offriamo diventino il corpo e il sangue del tuo amatissimo Figlio, Gesù Cristo, nel quale anche noi siamo tuoi figli.
Tu, Signore, ascolti la nostra quando t’invochiamo nell’Assemblea e ti fai trovare quando ti cerchiamo (Sal 27/26,7-8).
 
Eravamo morti a causa del peccato e incapaci di accostarci a te, ma tu ci hai dato la prova suprema della tua misericordia, quando il tuo Figlio, il solo giusto, si è consegnato nelle nostre mani e si è lasciato inchiodare sulla croce.
Siamo certi di contemplare la tua bontà, Signore, che ti sveli nel mistero pasquale del Figlio dell’uomo (cf Sal 27/26,13).
 
Prima di stendere le braccia fra il cielo e la terra, in segno di perenne alleanza, egli volle celebrare la Pasqua con i suoi discepoli.
E dice a noi nella santa Eucaristia: «Ho tanto desiderato mangiare questa pasqua con voi» (cf Lc 22,15).
 
Mentre cenava, prese il pane e rese grazie con la preghiera di benedizione, lo spezzo, lo diede loro, e disse:
PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO È IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
«La nostra cittadinanza è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo» (Fil 3,20).
 
Allo stesso modo, prese il calice del vino e rese grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO È IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.
Tu, Signore, trasfiguri il nostro corpo per conformarlo al tuo corpo glorioso, in virtù del potere che hai di sottomettere a te tutte le cose (Fil 3,21)
 
FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
Insieme a Pietro anche noi che partecipiamo all’Assemblea eucaristica, esclamiamo: «Maestro, è bello per noi essere qui» (Lc 9,33).
 
Mistero della fede.
Tu ci hai redenti con la tua croce e la tua risurrezione: salvaci, o Salvatore del mondo.
Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, nostra Pasqua e nostra pace,  in attesa del giorno beato della sua venuta alla fine dei tempi, offriamo a te, Dio vero e fedele, questo sacrificio che riconcilia nel tuo amore l’umanità intera. 
Mosè ed Elia, apparvero nella loro gloria accanto al Signore e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme (cf Lc 9,30-31).
 
Guarda, o Padre, questa tua famiglia, che ricongiungi a te nell’unico sacrificio del tuo Cristo, e donaci la forza dello Spirito Santo, perché vinta ogni divisione e discordia siamo riuniti in un solo corpo.
«Mentre pregava, il volto del Signore Gesù cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante» (Lc 9,29).
 
Custodisci tutti noi in comunione di fede e di amore con il nostro Papa …, il nostro vescovo …, con tutti coloro che oggi si convertono al tuo amore, le persone che incontriamo, i nostri cari… [silenzio di memoria] e quelli che non amiamo abbastanza. 
Mentre il Signore parlava, venne la nube dello Spirito Santo e li coprì con l’ombra della Parola (cf Lc 9,34).
Aiutaci a costruire insieme il tuo regno fino al giorno in cui verremo davanti a te nella tua casa, santi tra i santi, con i Padri e le Madri d’Israele e con la beata Vergine Maria e gli Apostoli, 
Dalla nube della santa Eucaristia esce una voce, che dice a noi qui riuniti: «La Parola che avete ascoltato, il Pane che mangiate e il Vino che bevete è il mio Figlio, l’eletto, il vostro Dio(Lc 9,35).
 
Ricordati, Padre, dei nostri defunti che affidiamo  a te… N. N…. ricco di grazia e di misericordia, di coloro che muoiono oggi e giungono davanti al trono del tuo giudizio, ma tu, nostro Redentore, cambia la misura della giustizia nella misura della misericordia.
Nella tua Parola, siamo forti e rinfranchiamo il nostro cuore perché speriamo in te, Signore (Sal 21/26,14).
 
Allora nella creazione nuova, finalmente liberata dalla corruzione della morte, canteremo l’inno di ringraziamento che sale a te dal tuo Cristo vivente in eterno.
[Dossologia conclusiva: il momento più importante dell’Eucaristia, il vero offertorio]
 
PER CRISTO, CON CRISTO E IN CRISTO, A TE, DIO PADRE ONNIPOTENTE, NELL’UNITÀ DELLO SPIRITO SANTO, OGNI ONORE E GLORIA PER TUTTI I SECOLI DEI SECOLI. AMEN.
 
Padre nostro in aramaico: Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:
 

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià
sia santificato il tuo nome
itkaddàsh shemàch
venga il tuo regno
tettè malkuttàch
sia fatta la tua volontà
tit‛abed re‛utach
come in cielo così in terra
kedì bishmaià ken bear‛a.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh
e rimetti a noi i nostri debiti
ushevùk làna chobaienà
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori
kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà
e non abbandonarci alla tentazione
veal ta‛alìna lenisiòn
ma liberaci dal male.
ellà pezèna min beishià. Amen!

 
Antifona alla comunione Mt 17,5 (cf Mc 9,7; Lc 9,35): «Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento».
 
Dopo la comunione 
Dalle riflessioni di Alfred Delp, martire del totalitarismo nazista.
Alfred Delp fu impiccato nel carcere di Plotzensee (vicino Berlino) il 2 febbraio del 1945. Al processo disse: «La mia colpa è solo quella di aver creduto che la Germania alla fine saprà uscire da quest’ora di tenebra e di angoscia e di aver rifiutato questo cumulo di arroganza, orgoglio e di forza che costituisce lo stile di vita nazista, e di averlo fatto come cristiano e gesuita». Mentre si avviava alla forca disse al cappellano che l’assisteva: «Tra mezz’ora ne saprò molto più di te». Riportiamo un pensiero che scrisse in carcere prima della morte:
 
«Cari fratelli, eccomi al bivio e io devo prendere l’altra strada dopo tutto. La sentenza di morte è stata emessa e l’atmosfera è così carica di inimicizia e di odio che nessun appello ha speranza di successo. Ringrazio la Società [di Gesù] e i miei fratelli per tutta la loro bontà, lealtà e aiuto, specialmente durante queste ultime settimane. Chiedo perdono per quanto c’è stato di falso e di ingiusto; e domando che un piccolo aiuto e interessamento sia dato ai miei genitori, anziani e malati. La vera ragione della mia condanna è che mi è capitato di essere, e ho deciso di restarlo, un gesuita. Non c’è stato nulla in grado di dimostrare che io avessi un qualche collegamento con l’attentato alla vita di Hitler, così sono stato assolto da quell’imputazione... Le altre accuse erano assai meno serie e più realistiche. Vi era un unico tema sotteso – un Gesuita è a priori un nemico e un traditore del Reich. Moltke ricevette un trattamento abominevole solo perché associato a noi, soprattutto a Rösch. Così l’intero processo si è trasformato in una sorta di commedia con un tema da svolgere. Non si trattava di fare giustizia, ma di mettere in atto la decisione di distruggerci. Che Dio vi protegga tutti. Chiedo le vostre preghiere. Ed io farò del mio meglio per recuperare, nell’aldilà, tutto ciò che ho lasciato incompiuto qui sulla terra. Verso mezzogiorno celebrerò Messa ancora una volta e allora nel nome di Dio mi incamminerò sotto la sua provvidenza e la sua guida. Che Dio vi benedica e vi protegga, il vostro riconoscente Alfred Delp (Plotzensee, 11 gennaio 1945)» (tratto da Giorno per giorno, Lettera dal Barrio del Goiàs, Brasile del 02.02.2007).
 
Preghiamo. Per la partecipazione ai tuoi gloriosi misteri ti rendiamo fervide grazie, Signore, perché a noi ancora pellegrini sulla terra fai pregustare i beni del cielo. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
Benedizione e saluto finale
Il Signore che ha chiamato Abramo nella notte stellata dell’alleanza sia con noi ora e sempre.        Amen.
Il Signore che ha promesso ad Abramo una discendenza numerosa, ci rende eredi nel Figlio.        
Il Signore che ci associa alla sua trasfigurazione, ci renda partecipi del mistero pasquale.
Il Signore che sul Tabor, in Mosè ed Elia ci consegna la sua  Parola, ci nutra della Scrittura.          
Il Signore sia sempre davanti a noi per guidarci.
Il Signore sia sempre dietro di voi per difendervi dal male.
Il Signore sia sempre accanto a noi per confortarci e consolarci.
 
E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre.                                                Amen!
 
La messa finisce come rito, ma ora attende di essere «compiuta» nella testimonianza della vita.
Andiamo incontro al Signore nella storia.
Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.
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© Domenica 2a di Quaresima –C, Parrocchia di S. Maria Immacolata e San Torpete – Genova
L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica
Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete – Genova Paolo Farinella, prete 28/02/2010
 


[1] Gli studiosi hanno individuato quattro filoni letterari (tradizioni orali) che percorrono e s’intrecciano nel Pentateuco. Sono: la tradizione «jahvista» (o yavista) perché indica «Dio» sempre col nome «Yhwh» (il sacro tetragramma che non si pronuncia) ed è del sec. X-IX a.C.; la tradizione «elohista»  perché indica «Dio» sempre col nome di «Elohim» ed è del sec. VIII-VII a.C.; la tradizione «deuteronomista» che si trova esclusivamente nel libro corrispondente ed è del sec. VII a.C.) e la tradizione sacerdotale o presbiterale codificata durante l’esilio nel sec. VI-V a.C. Convenzionalmente sono abbreviate nell’ordine: J = Jahvista (nasce a sud); E = Elohista (nasce al nord); D = Deuteronomica (si sviluppa al nord e al sud) e P = Sacerdotale (dal tedesco Pristercodex che significa Codice Sacerdotale che si forma e si sviluppa in esilio, a Babilonia). Nel 444 a. C. durante la riforma di Esdra e Neemia furono fuse insieme nell’attuale raccolta che in ebraico prende il nome di Toràh e in greco di Pentateuco.
[2] Sul tema della Legge e della vita morale cf T. Maertens-J. Frisque, Guida dell’Assemblea cristiana, vol 2, ElleDi Ci, Torino Leuman, 1970, 88-92.
[3] «Cercare il volto del Signore: il Dio d’Israele non viene rappresentato da immagini; questa espressione, forse derivata dal linguaggio dei popoli vicini, può significare sia la ricerca interiore di Dio sia il pellegrinaggio al tempio, dove Dio fa sperimentare al fedele la sua presenza e protezione» (Bibbia-Cei, 2008, ad.l.).
[4] Cf Targum a Ct 2,8.
[5] S. Cirillo di Gerusalemme (370-444), Cat 12,16 e S. Girolamo (347-420), Ep 46,13 lo indicano come il monte dove avvenne la trasfigurazione.
[6] I culti idolatrici descritti nella Bibbia si svolgevano sulle «alture» (Is 36,7; Ger 19,5; 32,35; 48,35; Ez 36,19; Os 4,13).
[7] «Quando il Santo, Benedetto Egli Sia, scese dal cielo per donare la Torah sul Sinai, le montagne tutte corsero a contendersi questo onore, ciascuna di esse dicendo: “la Torah sarà rivelata su di me”. Il monte Tabor venne da Beth Elim e il Carmelo dal territorio di Apamea. Ma su tutte esse era stato già costruito un altare idolatra. Solo il Sinai su cui non vi erano sacrifici idolatri fu scelto per donare la rivelazione (Genesi Rabbah 89,1).
[8] Cf Midràsh Tanchuma 36,6; la stessa idea si trova nel Talmud Tehillìm (= Lodi/Salmi/Preghiere). Il tema della polvere raccolta dai quattro punti cardinali è una costante della tradizione ebraica: «Dio disse a Gabriele: “Va’ a prenderMi un poco di polvere ai quattro angoli della terra: con essa Io creerò l’uomo”» (Ginzberg, Le leggende degli ebrei I, 65. Vi sono anche tradizioni con varianti: “1La creazione dell’uomo avvenne nella seguente maniera… 7 Poi videro [gli angeli] che da tutta la terra raccolsero un pugno di polvere, da tutte le acque attinse qualche goccia, da tutta l’aria ne prese un soffio e da tutto il fuoco ne trasse un po’ di calore… 9 Poi Dio plasmò Adamo” (La Caverna del Tesoro 2, in L’altra Bibbia che non fu scritta da Dio, 50; cf DEJ, 20-21). Altre tradizioni fanno provenire la polvere della creazione di Adam dalla zona del Tempio (Targum Gionata a Gen 2,7; 3, 23; Pirkè di R. Eliezer 11,2 e 12,1; Talmud Jerushalmì Nazir 7,56b; Gen Rabbà 14,8 dà la ragione di questa scelta: dallo stesso luogo sarebbe arrivata a Israele l’espiazione dei peccati; cf anche Bagatti-Testa Il Golgota e la Croce, 17 e 109).
[9] E’ durante questa festa che Gesù fa il suo ingresso trionfale a Gerusalemme, alcuni giorni prima della morte (cf Mt 21,1-11; Mc 11,1-11; Lc 19,28-40; Gv 12,12-19)
[10] Bene traduce la nuova versione della Bibbia-Cei (2008): «Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme» (Lc 9,30-31; cf J. Manek, «The New Exodus in the Books of Luke», in N.Test 1957-1958, 8-23).
[11] La tradizione sul ritorno di Elia è diffusa e radicata nella coscienza popolare: nell’era escatologica, Elia porterà la pace nel mondo, riconciliando i figli con i padri (cf Ml 3,24; Mc 9,11-13; Mt 17,11-12; Mt 11,14; 16,14; 27,47.49; Mc 6,15; 8,28; 15,35-36; Lc 9,19; Gv 1,21.25) tanto che ancora oggi durante la Cena della Pasqua, si lascia la porta di casa socchiusa e si prepara un posto in più a tavola perché potrebbe presentarsi Elia nelle sembianze di un povero e si beve la quarta coppa di vino detta appunto la «coppa di Elia» come pregustazione dell’èra messianica. In sua memoria ancora oggi, così si prega alla fine del pasto: «Dio misericordioso manderà a noi il profeta Elia – possiamo noi ricordarcene in bene – ed egli annuncerà gioiose notizie [vangelo], soccorso e consolazione» (cf G. Wigoder, éd., DEJ, 340).
[12] Cf Lc 3,21; 22,45; Lc 5,16; 6,12 [2x]; 9,18.29; 11,1; 22,41.44.
[13] Sulla simbologia complessa del numero otto e la cristologia sottesa, cf P. Farinella, «Sulla corda ottava incontro al Messia. Simbolismo cristologico del numero “8” nella Bibbia e nella tradizione giudaico-cristiana», in La Sapienza della Croce (SapCr) 19 (2004), 129-171.
[14] La ghematrìa o scienza dei numeri è una delle 32 regole esegetiche stabilite da Rabbì ben Elièzer; essa interpreta le parole attraverso il loro valore numerico, perché in ebraico ad ogni consonate corrisponde un numero che veniva indicato da quella consonante, per cui si possono fare infinite applicazioni. Essa fu usata anche dai Padri della Chiesa, Origene, Agostino, ecc. in campo musicale tra gli altri, per es., da J.S. Bach.
[15] La profezia sul successore di Mosè è ben radicata: cf At 3,22; 7,37.

 



Mercoledμ 24 Febbraio,2010 Ore: 15:15
 
 
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