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www.ildialogo.org Domenica 6a Ordinario –C– 14 febbraio 2009 –,a cura di Paolo Farinella, prete

Domenica 6a Ordinario –C– 14 febbraio 2009 –

a cura di Paolo Farinella, prete

La domenica 6a del tempo ordinario ci porta al cuore del vangelo dei Sinottici: le Beatitudini che non sono una novità del NT, ma una caratteristica di tutta la Bibbia. Esse appartengono ad una forma letteraria detta «macarismo»[1] perché in greco «makàrios» significa «beato/felice». In tutta la Bibbia se ne contano almeno 150, specialmente nei Salmi e nei Sapienziali[2]. Il «macarismo» consiste in una breve affermazione in cui si «esalta» un individuo per una ragione esterna, mentre se si vuole esaltare per un motivo interiore, si usa il termine «lode» (èpainos, àinesis, dòxa, ecc.)[3]. Noi oggi ascoltiamo le beatitudini nella versione di Lc.

 Il testo di Lc è molto differente da quello di Mt (5, 3-12)[4] sia nella struttura (Mt ha 8+1 beatitudini, mentre Lc solo 4) sia nella collocazione geografia (Mt pone Gesù «sul monte» [5,2], Lc su «un luogo pianeggiante» [6,17]). A sua volta Lc riporta anche 4 «guai» che invece mancano in Mt. Tutto questo ci dice che i vangeli hanno bisogno di essere studiati, ruminati anche nelle questioni che sembrano di poco conto, mentre invece ci aiutano a capirne il senso profondo.
La 1a lettura ha l’andamento tipico del salmo che mette a confronto le due scelte opposte tra loro tra, il bene e il male, la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Questo modo di procedere è tipico del Deuteronomio (cf Dt 30,15.19), del movimento sapienziale (Pr 11,19; 12,28; 13,14; Sir 11,14; 15,17; 33,14; 37,18) e profetico (p. es., Ger 21,8). Un discepolo di Geremia spiritualizza ancora di più l’insegnamento della Sapienza che parlava del giusto che porta come frutto «l’albero di vita» (Pr 11,30), perché ora lo stesso giusto diventa «l’albero piantato lungo i corsi d’acqua» (Ger 17,8), mentre l’ingiusto diventa un arbusto di poco conto in terra deserta (Ger 17,6). In termini moderni diciamo: la persona autosufficiente che pone le sue sicurezze nel successo, nel denaro, nella professione e anche nell’amore come dimensione egoistica, ha radici secche perché costruisce su terra arida, mentre la persona che vive la dimensione spirituale come orizzonte della vita, dei sentimenti, delle sue scelte, è generativa che partecipa e condivide chi è e ciò che ha costruendo una rete di relazioni che diventano la sua dimora e il suo radicamento di stabilità.
La 2a lettura ci dice che il criterio di lettura della vita dell’uomo deve essere la soprannaturalità, senza della quale tutto diventa banale. La risurrezione da morte di Gesù è la chiave di volta di tutta l’architettura della creazione e anche della dimensione interiore. Non siamo nati per barcamenarci, ma per vivere da risorti perché ognuno di noi ha un compito unico e inconfondibile nella riuscita del mondo e nella speranza dell’umanità. Se anche uno sola persona si tira indietro, il mondo non è più lo stesso. Noi veniamo al mondo perché siamo «il senso» che dobbiamo scoprire. E’ questa la dimensione della fede che illumina la ricerca di senso, fino all’incontro personale e intimo con Dio nella persona di Gesù, che è Dio dal nostro versante. Senza una prospettiva finale, bisogna andare alla ricerca di un fondamento per ogni cosa, per ogni scelta, per ogni pensiero. Se Cristo è risorto, tutto ciò che noi viviamo acquista una dinamica così profonda da diventare un riposo dell’anima. E’ questo il senso dell’Eucaristia: riposarci nella morte e risurrezione di Gesù.
Il Salmo ci porta una ventata di freschezza perché ci trasporta sulle rive di un fiume che alimenta di vita rigogliosa gli alberi che lo costeggiano. Esso fa da cassa di risonanza alla 1a lettura di cui è fonte e ispirazione. Vita e morte, bene e male: noi camminiamo tra due poli, tra due attrazioni e siamo chiamati a scegliere. Il male c’è ed è anche molto. La fede non lo elimina, ma lo individua con più facilità e lo affronta con la forza della risurrezione per svuotarlo di senso e di energia. Camminiamo in mezzo al male per perseguire il bene che è la vita, anzi la pienezza di vita.
Il vangelo ci offre il criterio di Gesù: il capovolgimento delle logiche: la logica del mondo si basa sul successo e sulla esteriorità, sulla forza e sulla ricchezza come strumento di oppressione; la logica del Regno si basa sulla povertà come attitudine interiore che diventa fame e sete di giustizia, lotta alle ingiustizie, assunzione del dolore: libertà da ogni condizionamento superfluo per essere la piena immagine del Creatore.
Invochiamo lo Spirito perché ci purifichi da ogni condizionamento e ci disponga il cuore ad ascoltare con orecchi circoncisi il messaggio delle beatitudini che sono le condizioni per entrare nel Regno dei cieli che è già cominciato nel contesto della nostra storia. Iniziamo facendo nostre le parole del salmista (Sal 31/30,3-4): «Sii per me una roccia di rifugio, un luogo fortificato che mi salva.Perché mia rupe e mia fortezza tu sei, per il tuo nome guidami e conducimi».
 
Spirito Santo, tu sei la luce che illumina la via del vangelo che è il Signore Gesù,    Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu apri il cuore nostro perché confidi sempre nel Signore Gesù,                     Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu ci radichi nell’albero che è Cristo come rami viventi della sua linfa,          Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei l’ombra che sconfigge il caldo e l’acqua che disseta chi è riarso,          Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei il fondamento della «beatitudine» a cui siamo convocati,                     Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu mòrmori nel nostro cuore la Parola del Signore giorno e notte,                  Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu ci rendi solidi come un albero piantato lungo i corsi d’acqua,                    Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei il Santo che veglia sul cammino dei giusti di ogni tempo,                      Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei il principio della risurrezione del Signore morto per noi,                       Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei testimone e garante che Cristo Gesù è risorto dai morti,                       Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei testimone e garante che anche noi risorgeremo in lui,                Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu alimenti la fede di chi confessa che Gesù è risorto da morte,                     Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la garanzia che la nostra fede non è né può essere vana,                       Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu guidasti le folle e gli apostoli sulla pianura delle beatitudini,                      Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu custodisci il Regno di Dio, riservato ai poveri di Yhwh,                 Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu conservi la Parola per sfamare chi ha fame e sete di Dio,               Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei l’unguento che consola e ristora chi piange ed è sconsolato,                 Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei lo scudo che protegge i discepoli da insulti e aggressioni,                      Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu convochi i ricchi alla mensa della condivisione, unica loro salvezza,        Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu resti con noi perché possiamo essere sempre i figli della beatitudine,         Veni, Sancte Spiritus.
 
La logica delle Beatitudini è opposta alla logica del mondo: bisogna scegliere tra due vie. Non è lecito restare indifferenti o fermi. Tutte e due le «vie» comportano conseguenze logiche. O viviamo il presente e la nostra esperienza di vita come premessa di un futuro che si apre alla dimensione di Dio, o restiamo chiusi nella strettoia della nostra piccola esistenza dove ci illudiamo di bastare a noi stessi. Le Beatitudini non sono un galateo di comportamento o un atteggiamento da salotto, ma condizioni dirimenti che obbligano a scegliere perché si conficcano nell’anima: o camminiamo da soli o camminiamo insieme verso «il luogo pianeggiante» delle Beatitudini. Camminare da soli significa morire soffocati nell’egoismo, camminare insieme significa costruire un mondo nuovo, dove gli esclusi siedono alla stessa mensa. L’Eucaristia è la scuola che ci educa come stare alla mensa della vita
 
(ebraico)
Beshèm
ha’av
vehaBèn
veRuàch
haKodèsh.
Amen.
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e dello Spirito
Santo.
 
Qual è la logica che guida la nostra vita? Che cosa significa per noi «essere poveri»? Se pensiamo che significa vivere nella miseria e nella sporcizia, siamo fuori strada, perché la povertà di cui parla Gesù è un moto dell’anima che diventa stile di vita, scelta sociale, progetto politico, criterio di economia, lotta alla miseria e alla sporcizia. Le beatitudini sono la relativizzazione dell’orgoglio di Adam che si crede Dio o peggio che crede Dio come superfluo nella propria vita. Nella nostra giornata di credenti quale rapporto abbiamo con Dio? Come lo alimentiamo, lo custodiamo, lo verifichiamo? Quanto spazio occupa la Parola di Dio che incarna le clausole delle Beatitudini? La mia famiglia in che modo e in che senso è «il luogo pianeggiante» dove Gesù proclama le beatitudini della vita di relazione? Il nostro essere coppia, in che senso e in che modo esprime la dimensione «beata» della vita vissuta dalla prospettiva dell’amore verso la pienezza dell’amore?
Sapendo che «ora» è Dio che sta davanti a noi, srotoliamo la nostra coscienza e lasciamoci imprimere il sigillo dello Spirito che scrive in noi il Nome del Figlio che è la «Beatitudine» del Padre, consapevoli che Egli è sempre più grande di qualsiasi nostro peccato.
 
[congruo esame di coscienza]
 
Signore, ci siamo dimenticati delle beatitudini per vivere del nostro egoismo,                      Kyrie, elèison!
Cristo, non ti abbiamo riconosciuto come nostra unica sorgente di beatitudine,                   Christe, elèison!
Signore, spesso il nostro orizzonte di vita è fermo al limite della nostra esperienza,             Pnèuma, elèison!
Cristo, abbiamo perseguito il superfluo e tradito le condizioni del tuo Regno,                      Christe, elèison!
Signore, guariscici nello spirito perché possiamo aderire alla tua volontà                 Kyrie, elèison!
 
Dio onnipotente che pianta il giusto come albero rigoglioso lungo i corsi di acqua fresca e lo guida sulla via della vita, per i meriti del santo profeta Geremia, per i meriti del santo re Davide, ma specialmente per i meriti del Signore nostro Gesù di Nazareth, che ci guida sul sentiero delle beatitudini che conducono al Regno del Padre, abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.
 
GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente. [breve pausa 1-2-3]
 
Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. [breve pausa 1-2-3]
 
Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo: [breve pausa 1-2-3]
 
Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.
 
Preghiamo (colletta). O Dio, che respingi i superbi e doni la tua grazia agli umili, ascolta il grido dei poveri e degli oppressi che si leva a te da ogni parte della terra: spezza il giogo della violenza e dell’egoismo che ci rende estranei gli uni agli altri, e fa’ che accogliendoci a vicenda come fratelli diventiamo segno dell’umanità rinnovata nel tuo amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Liturgia della Parola
Prima lettura Ger 17,5-8. In origine il brano di Geremia era probabilmente un salmo autonomo e servì da modello al salmo 1, che è il salmo responsoriale di oggi. Il tema esposto è classico della corrente che si ispira al Deuteronomio: ogni individuo si trova al bivio tra la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Quando Dio diede l’alleanza a Israele, stabilì le clausole, ma subito dopo il popolo dovette scegliere responsabilmente da che parte stare (Dt 11,26-32. 27-28; 30,15-20. E’ il dramma, ma anche la sfida della vita: la felicità consiste nel superare il ripiegamento su se stessi che impedisce di cogliere la dinamica della vita di relazione e quindi la profondità del proprio cuore. Il credente sa che Dio svela il mistero della felicità perché in lui l’amore s’identica con la vita.
 
Dal libro del profeta GeremiaGer 17,5-8
Così dice il Signore: «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore. Sarà come un tamarisco nella steppa; non vedrà venire il bene, dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere. Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. È come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell’anno della siccità non si dà pena, non smette di produrre frutti». - Parola di Dio.
 
Salmo responsoriale 1, 1-2; 3; 4.6. Il salmo 1 s’ispira alla 1a lettura di oggi. Esso fa da introduzione a tutto il salterio ebraico-cristiano perché l’orante è posto di fronte alla responsabilità della scelta tra «le due vie»: la vita e la morte. Ad ogni tornante della storia della salvezza troviamo una «beatitudine» che ne segna il cammino. Mosè «autore» dei primi 5 libri della Bibbia, conclude l’ultimo suo discorso con la «beatitudine» d’Israele: «Te beato, Israele! Chi è come te, popolo salvato dal Signore?» (Dt 33,29). Davide, «autore» dei 5 libri che compongono il salterio, inizia con una «beatitudine»: «Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi» (Sal 1,1). Lo stesso Gesù inizia il suo ministero profetico con sette «beatitudini»: «Beati i poveri, i miti, gli afflitti…», tutti i prediletti da Dio. Ascoltando e pregando la Parola, condividendo il Pane della vita, noi entriamo nel cuore di questa «Beatitudine» il cui Nome è Gesù di Nàzaret, il Figlio di Dio.
 
Rit.Beato l’uomo che confida nel Signore.


1 1 Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi,
non resta nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli arroganti,
2 ma nella legge del Signore trova la sua gioia,
la sua legge medita giorno e notte.
Rit.
2 3 È come albero piantato lungo corsi d’acqua,
che dà frutto a suo tempo:
le sue foglie non appassiscono
e tutto quello che fa, riesce bene.
Rit.
3 4 Non così, non così i malvagi,
ma come pula che il vento disperde;

5
poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti,
mentre la via dei malvagi va in rovina.
Rit.


 
Seconda lettura 1Cor 15,12.16-20. Sappiamo che al tempo di Gesù la corrente dei farisei credeva nella risurrezione dei corpi, mentre quella dei sadducei, da cui provenivano i sacerdoti che officiavano nel Tempio, non vi credevano (cf Mt 22,23; At 23,6-8). La stessa situazione si ritrova al tempo di Paolo nella chiesa di Corinto. Forse alcuni cristiani provenienti dalla corrente sadducea, ammettono la possibilità che Cristo possa essere risorto, ma fanno fatica ad accettare la risurrezione finale di ogni individuo. Oppure potevano essere Greci seguaci del pensiero filo-platonico che non ammette l’esistenza di corpi nel mondo delle anime. Paolo dirime la questione partendo dall’esperienza di Cristo che è risorto in quanto uomo. Egli così diventa la premessa della risurrezione di ciascun uomo: «se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede» (1Cor 15,17). La nostra fede non è vana perché si nutre dell’Eucaristia dove noi riviviamo la sua morte, ne annunciamo la risurrezione e ne attendiamo il ritorno (Canone eucaristico).
Dalla prima lettera di Paolo apostolo ai corinzi 1Cor 15,12.16-20.
Fratelli, 12 se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti? 16 Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; 17 ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. 18 Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. 19 Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini. 20 Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. - Parola di Dio.
 
Vangelo Lc 6,17.20-26. A differenza di Mt che colloca il discorso programmatico del Regno «sulla montagna» (Mt 5,1), Lc lo ambienta «in un luogo pianeggiante» (Lc 6,17), segno che i vangeli non sono una cronaca registrata. Lc è più vicino allo stile di Gesù che richiama il genere profetico fatto di frasi brevi e forti, ma ne addolcisce il «tono» profetico, trasformandolo in insegnamento sapienziale: tenendo presente tutto l’insegnamento di Gesù sulla ricchezza e la povertà, egli elogia la classe sociale dei poveri da cui provenivano i primi cristiani (At 4,34-5,11) e garantisce loro un compenso certo nell’aldilà. Mt invece si preoccupa dell’atteggiamento «morale» di chi accoglie il vangelo. Il messaggio è semplice: le beatitudini non sono promesse ai poveri e i guai non sono minacce ai ricchi, per un resoconto nell’aldilà. Le beatitudini  costituiscono lo spartiacque tra coloro che vivono il presente proiettato nel futuro di Dio e coloro che invece lo vivono chiusi nel loro egoismo. Il povero si affida, il ricco diffida; il povero condivide, il ricco è avido; il povero prega, il ricco conteggia. L’Eucaristia ci immerge nel cuore del Povero che è Cristo: Pane spezzato e Vino donato che  esiste non per se stesso, ma perché altri vivano e vivano per sempre.
 
Canto al Vangelo Mt 11,28
Alleluia. Rallegratevi ed esultate, dice il Signore, / perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo.
 
Dal Vangelo secondo LucaLc 6,17.20-26
In quel tempo, 17 Gesù, disceso con loro [= i Dodici], si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne. 20 Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. 21 Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. 22 Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. 23 Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. 24 Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. 25 Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. 26 Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti». - Parola del Signore.
 
Sentieri di omelia
Se dovessimo usare una espressione moderna per definire il discorso programmatico di Gesù meglio conosciuto come discorso della montagna nella versione di Mt e discorso della pianura nella versione di Lc, potremmo dire esso è la carta costituzionale o fondativa della nuova realtà che Gesù propone. Da essa non si può prescindere perché si svuoterebbe completamente ogni ambito di vita conseguente: non avrebbe senso la Chiesa, non avrebbe senso la predicazione perché il vangelo sarebbe solo una propaganda in funzione di un «sistema» di condizionamento. In uno Stato democratico, il codice penale e quello civile hanno senso perché raffigurano e attuano nelle diverse circostanze della vita la dimensione e la prospettiva di «comunità» descritta nella Carta Costituzionale che contemporaneamente esprime l’orizzonte di una società e ne delimita i confini. Essa non è fatta di norme, ma di principi, anzi di pilastri fondamentali, in cui si riconoscono uomini e donne di estrazioni culturali diverse. La Costituzione è la carta di identità di un popolo che non è la somma di tanti individui, ma la convergenza di tutti i desideri di libertà espressi dalle singole persone.
In Mt Gesù pronuncia cinque discorsi, corrispondenti ai cinque libri (Toràh/Pentatèuco) che la tradizione attribuisce a Mosè,  di cui quello che contiene le beatitudini è il primo ed è collocato «sul monte» per meglio equiparare Gesù a Mosè che «sul monte» Sinai riceve le tavole della Toràh. Ora nella nuova economia, è Dio stesso che per bocca di Gesù parla direttamente non più al solo Israele, ma all’umanità intera. In Lc invece Gesù non fa cinque discorsi, ma compie un solo, lungo viaggio che parte della Galilea, terra d’Israele equiparata a quella dei Pagani («Galilea delle Genti», cf Is 8,23; Mt 4,15) e ha come mèta la città santa dove si compie il destino di Israele e anche quello di Dio: lungo questo viaggio Gesù insegna e opera, parla e agisce. Il discorso programmatico del Regno è collocato dentro questo viaggio.
La preoccupazione universalistica di Lc emerge già dall’ambientazione geografica: «Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne» (Lc 6,17). Da questo versetto emergono diversi elementi che è bene sottolineare:
 
-      Gesù discende (gr.: katabàs da katabàinō – io discendo): si esprime l’idea dell’abbassamento di Dio, dall’alto verso il basso e Lc usa lo stesso verbo (al participio aoristo attivo) che la Lxx usa per Mosè che scende (gr.: katabàs) verso il popolo (Es 19,10.21). Si noti che come in Es 19,20 sia Dio che katèbē – discese, mentre Mosè, convocato da Dio, anèbē – salì sul monte. Il processo di un Dio che «scende» verso gli uomini è inconcepibile nella concezione orientale della «divinità» che sta sempre «in alto» per non contaminarsi con «il basso» degli umani. Il Dio di Mosè invece si rende «prossimo» del suo popolo e cammina con loro (Dt 20,4; 31,6; Is 52,12); con Gesù addirittura s’immerge nell’umanità afflitta e sofferente fino a diventare una cosa sola con essa perché non solo si avvicina, ma «la tocca», diventando impuro tra gli impuri (cf Lc 5,13; 7,14.39).
 
-      Gesù discende con loro: sono i Dodici che egli scelse in Lc 6,13-16, immediatamente precedente. Nell’AT Dio scendeva attorniato dagli «eserciti» della natura come tuoni, lampi, nubi, ecc. (Es 19,16; 20,18), ora è in compagnia di Dodici discepoli, rappresentanti delle dodici tribù di Israele, che hanno la funzione di testimoni autorevoli perché tutto sia giuridicamente valido come stabilisce la Toràh alla presenza di «due o tre testimoni» (Dt 17,6; 19,15; Mt 18,16; 2Cor 13,1; 1Ti 5,19). E’ il principio dell’autorità nella Chiesa e il senso della sua funzione di garanzia della testimonianza. La Chiesa, e quindi a maggior ragione al suo interno, la gerarchia, non esiste per se stessa o in funzione del suo successo e della sua affermazione, ma solo ed esclusivamente come testimone, come garante della Presenza.
 
-      Vi è una «folla» di discepoli e una «moltitudine di popolo», abbastanza inverosimile all’inizio della predicazione di un giovane rabbi ancora sconosciuto: questo dimostra che il racconto è una proiezione «dal dopo al prima», dal momento che il vangelo è scritto molto tempo dopo la Pasqua alla luce della quale tutto s’illumina. La «moltitudine del popolo» proviene «da tutta la Giudea e da Gerusalemme» cioè dall’estremo sud-est della Palestina, ma anche «dal litorale di Tiro e Sidone» in Siria (oggi in Libano, sulle coste del Mediterraneo) cioè a nord-ovest, fuori della Palestina. Storicamente è una esagerazione inverosimile («tutta» la Giudea; cf Lc 7,17; 23,5; Mt 3,5). Tiro e Sidone sono città pagane che sono assunte nei Vangeli come modelli di fede a confronto dei «religiosi» Giudei che invece si comportano come pagani (cf Lc 10,13-14; Mt 11,21-22; 15,21; Mc 3,8; 7,24.31)[5]. Lc ha una visione teologica della storia umana e la presenta come teatro dell’intervento di Dio per cui non è più possibile separare la vita di Dio da quella degli uomini. In questo contesto, Lc inserisce la nascita di Gesù nel cuore degli avvenimenti dalla storia profana (cf Lc 2,1-5).
 
-      Prima di mettersi a parlare per insegnare,  Gesù «alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva», eppure c’è anche la «moltitudine di popolo». Il senso di questa annotazione potrebbe essere che l’insegnamento di Cristo può restare lettera morta, vane parole se non si è discepoli, se non si è disposti ad ascoltarlo con le fibre dell’anima. Non basta avere qualcosa da dire per essere maestri, bisogna che qualcun altro si ponga in atteggiamento di «discepolo» e instauri una relazione di conoscenza. E’ il senso della mediazione. Nessuno di noi può da solo capire il senso e la direzione di marcia: tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci faccia da specchio, da verifica. Il maestro non è per se stesso, ma solo in relazione ad un discepolo. Molti che oggi esercitano l’autorità, specialmente nella Chiesa o in una comunità o in famiglia, sono semplicemente caricature di comandanti, gente che crede nel proprio cipiglio autoritario: hanno una tale considerazione di sé da non accorgersi di essere soli col loro potere senza autorevolezza. A guardare dall’esterno, spesso viene da pensare che la gerarchia ecclesiastica somigli ad un pastore senza pecore: parla e nessuno l’ascolta, scrive astrusi documenti magisteriali che nessuno legge e intanto il popolo va per conto suo. Bisogna credere per ascoltare, bisogna amare per riconoscere e bisogna servire per essere nel giusto.  
Lc 6,20-26 riporta quattro beatitudini e quattro guai (diamo una traduzione letterale)[6]:
 

Lc 6, 20-22
20 E avendo alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
   Beati
i poveri
perché vostro è
il regno di Dio.
21 Beati
gli affamati
ora
perché sarete saziati!
 
   Beati
i piangenti
ora
perché riderete!
 
22 Beati siete
quando vi odiano gli uomini,
 
 
 
quando vi espellono
 
 
 
e insultano e rigettano il vostro nome
 
 
 
come malvagio a causa del Figlio dell’uomo
 
 
 
 
23 Rallegratevi
in quel giorno
 
 
ed esultate
 
 
 
poiché, ecco, la vostra
retribuzione
 
 
 
[è] grande
nel cielo!
 
Poiché lo stesso facevano i loro padri ai profeti
 
Lc 6, 24-26
24 Ma
   Guai a voi
i ricchi
perché tenete la vostra
consolazione
51 Guai a voi
i saziati
ora
perché avrete fame!
 
   Guai
i ridenti
ora
perché sarete afflitti e
piangerete!
22 Guai siete
quando di voi diranno
 
 
 
bene  tutti gli uomini,
 
 
 
Poiché lo stesso facevano i loro padri ai falsi profeti
 

 
Come si vede dallo schema sinottico, vi è una corrispondenza esemplare. Gesù storicamente deve avere usato questo stile, secco, asciutto e tagliente, che rispecchia la predicazione dei profeti dell’AT[7]. Il contenuto dell’insieme è evidente anche ad una lettura superficiale: Gesù inaugura uno nuovo modo di esercitare la giustizia che non si basa più sulle apparenze e sulla religione-mercato che crede di potere comprare Dio con le buone azioni o con la materialità dei riti, ma che esige la disponibilità del cuore per rischiare il coinvolgimento dell’anima in un incontro di vita che cambia l’esistenza. Non sono più le circostanze esteriori che determinano il rapporto con Dio, ora è necessario ascoltare le condizioni del Regno e liberamente scegliere di aderirvi con l’assenso che sgorga dall’intimo dell’essere. Credere non è compiere riti estetici e sontuosi, credere è semplicemente illimpidirsi lo sguardo per guardare la vita con gli occhi di Dio.
Scegliere di seguire Gesù e il suo insegnamento significa compiere una scelta che chiama naturalmente la persecuzione perché la logica del vangelo è opposta a quella del mondo che, sentendosi minacciato opera due reazioni: cerca di comprare la Chiesa con regali, offerte, promesse, onori e scambi oppure se non riesce ad «addomesticare» il nemico, lo combatte con la persecuzione e la calunnia. Questo comportamento è esplicito ed evidente nel mondo della politica che cerca disperatamente il consenso delle gerarchie ecclesiastiche per avere il dominio dei credenti in cambio di favori nel campo della scuola privata, delle facilitazioni fiscali, di leggi specifiche che toccano materie «sensibili».
Le beatitudini annunciano un ribaltamento della situazione, caro a Lc che lo aveva annunciato già nel cantico di Maria, il Magnificat , dove la donna di Nàzaret fa una scelta di campo sull’esempio del suo Dio che non esista a schierarsi dalla parte degli umili, scalzando i potenti:
 
«51Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; 52ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; 53ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc 1,52-53).
 
Di fronte a questa pagina, non esiste né può esistere distinguo: Gesù non pone il ricco e il povero sullo stesso piano, ma  oppone due prospettive, due orientamenti di vita, due visioni di progettazione. Il ricco è sazio e autosufficiente perché colmo di «materia prima», tanto che ancora oggi si dice che con i soldi tutto si può comprare, anche gli uomini e le donne. In parte è vero, la dove vi sono uomini e donne che si vendono anche per poco pur di apparire in tv o in quella società del nulla che, ironia della sorte, si autodefinisce »società che conta». Il povero non ha difese e deve fidarsi degli altri perché per la sua condizione deve aprirsi al mondo esterno e questo spiega perché i poveri sono ospitali, generosi, liberi.
Spesso si accusa la Chiesa di predicare ai poveri la rassegnazione «qui, in questo mondo», favorendo così i ricchi, e rimandando la consolazione nel mondo a venire, «nel Regno dei cieli». Che sia stata questa la natura della predicazione corrente, non c’è dubbio, ma non è questa la dimensione del vangelo: tra l’«ora» e il «Regno di Dio e quel giorno» non c’è un rapporto temporale, ma un rapporto di qualità che si vive «adesso, qui» nella Storia, come premessa e anticipo del Regno che sarà. Regno di Dio non significa «oltre la morte», ma significa il «versante di Dio», la prospettiva, il fine che è ora nella storia di ciascuno. Ognuno di noi è chiamato «adesso» a scegliere tra il bene e il male, tra la ricompensa immediata e la prospettiva dell’insieme. IN questo senso, l’uso che facciamo dei beni della terra deve essere «povero» perché dobbiamo pensare che dopo di noi altre generazioni si affacceranno sulla soglia della porta del mondo e delle sue risorse. Il cristiano è colui che «l’adesso» del vangelo nel contesto di una visione d’insieme: ieri ci appartiene perché da esso proveniamo; domani ci appartiene perché ad esso andiamo e non da soli, perché andiamo incontro all’umanità che avanza dal futuro. Il cristiano è colui che vivendo la ricchezza e il benessere li regola e li sente come dimensione comunitaria, come prospettiva di salvezza universale. Il cristiano non pensa a se stesso e basta, ma pensa alla comunità dove ritrova se stesso.
            Una Chiesa equidistante tra ricchi e poveri è una Chiesa che tradisce il Vangelo; se poi gli uomini di Chiesa e segnatamente la gerarchia cerca e contratta appoggi o connivenze con i ricchi per avere risultati sul piano sociale, politico o legislativo, non solo tradisce il suo mandato, ma rinnega quel Dio che l’ha scelta come «segno e sacramento di salvezza universale» (cf Lumen Gentium, 1). Gesù non ha chiamato la Chiesa a d essere diplomatica, ma ad essere solo profetica e il profeta deve fare una scelta di campo, non può stare con chiunque, ma solo con i poveri perché di essi è il Vangelo di Gesù e il Regno dei cieli.
Il nucleo del pensiero di Lc è tutto qui: chi è pieno di cose o di sé non è in grado di scendere nelle profondità del proprio essere perché egli è pago di ciò che sperimenta superficialmente. Il povero fa l’esperienza della solitudine perché è privo di cose, spesso anche del necessario e non ha nemmeno il tempo materiale per attaccarsi a qualcosa. La sua solitudine, cioè la comprensione della sua consistenza, lo rende disponibile all’incontro perché egli sa che può solo ricevere e in questo atteggiamento interiore è capace di profondità inaudite nello spirito. Il povero non è beato in quanto misero, e il ricco non è maledetto in quanto possidente, ma l’uno è l’altro sono misurati in ragione della loro consistenza interiore che, se autentica, li condurrà alla condivisione e alla partecipazione non solo dei beni, ma anche e specialmente della vita.
Fuori di metafora: il ricco è Adam che non contento della «signoria» su tutto il creato, vuole carpire il posto a Dio e diventare «simile a lui»; il povero è Gesù di Nàzaret che in piena e libera coscienza accetta non di «essere simile a Dio», ma accetta di «svuotare se stesso» per amore degli altri, senza chiedere nulla in cambio. Gesù è il volto delle beatitudini, Adam dà corpo alla maledizione. L’Eucaristia è la scuola che ci educa a questa differenza di prospettive attraverso la povertà della Parola, del Pane e del Vino, alimenti di comunione e di condivisione universali.
 
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. [Pausa: 1-2-3]
 
Credo nello Spirito Santo, che é Signore e da la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti. [Pausa: 1-2-3]
 
Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.
 
Preghiera universale [intenzioni libere]
MENSA EUCARISTICA
Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:
«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).
 
Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.
Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.
 
[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]
 
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna.                         Benedetto nei secoli il Signore.
 
Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.
Il Signore riceva il sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.
 
Preghiamo (sulle offerte). Questa nostra offerta, Signore, ci purifichi e ci rinnovi, e ottenga, a chi è fedele alla tua volontà, l’eterna ricompensa. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
PREGHIERA EUCARISTICA III
Prefazio Ordinario 6: Il pegno della Pasqua eterna
 
Il Signore sia con voi.             E con il tuo spirito.    In alto i nostri cuori.    Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.        E’ cosa buona e giusta.
 
E’ veramente cosa buona e giusta renderti grazie e innalzare a te l’inno di benedizione e di lode, Dio onnipotente ed eterno, dal quale tutto l’universo riceve esistenza, energia e vita.
La benedizione scenda su di noi perché confidiamo nel Signore e in lui riponiamo la nostra fiducia (cf Ger 17,7).
 
Ogni giorno del nostro pellegrinaggio sulla terra è un dono sempre nuovo del tuo amore per noi, e un pegno della vita immortale,
Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto colui che viene, nel Nome del Signore.
 
poiché possediamo fin da ora le primizie del tuo Spirito, nel quale hai risuscitato Gesù Cristo dai morte viviamo nell’attesa che si compia la beata speranza nella Pasqua eterna del tuo regno.
Kyrie, eleison! Christe, elèison! Il nostro cuore non si allontana da te, o Signore, perché tu sei il nostro Dio e creatore (cf Ger 17,5). Christe, elèison, Pnèuma, elèison!
 
Per questo mistero di salvezza, insieme agli angeli e ai santi e alle sante del cielo e della terra, proclamiamo a una sola voce l’inno della tua gloria:
Santo, Santo, Santo, il Signore degli eserciti. Kyrie, eleison! Christe, elèison! Tutta la terra è piena della sua gloria. Osanna al Signore che viene. (cf Is 6,3).

Padre veramente santo, a te la lode da ogni creatura.
Siamo come alberi piantati lungo l’acqua perché crediamo in te o nostro Dio e Padre (cf Ger 17,8).
Per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, nella potenza dello Spirito Santo fai vivere e santifichi l’universo, e continui a radunare intorno a te un popolo, che da un confine all’altro della terra offra al tuo nome il sacrificio perfetto.
Beato chi si compiace della Legge del Signore e la medita giorno e notte (cf Sal 1,2).
 
 Ora ti preghiamo umilmente: manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo, perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, che ci ha comandato di celebrare questi misteri.
Tu, o Signore, vegli sul cammino dei giusti e dai frutto alle sue opere (cf Sal 1,5.3).
  
 Nella notte in cui fu tradito, egli prese il pane, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo spezzo, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
«Beati noi che ora siamo affamati della Parola che si fa pane, perché tu ci sazi, Padre nostro dei cieli (cf Lc 6,21).

 Dopo cena, allo stesso modo, prese il calice, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli, e disse:PRENDETE E BEVETENE TUTTI: QUESTO É IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.
Beati i poveri, perché ad essi appartiene il regno di Dio (cf Lc 6,20).
 
 FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
Beati voi che ora piangete, perché il Signore è la nostra consolazione e il nostro rifugio» (cf Lc 6,21).
 
Mistero della fede.
La tua morte annunziamo, Signore, la tua risurrezione noi celebriamo, la tua venuta noi attendiamo pellegrini nel mondo che tu ami.
 
Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell’attesa della sua venuta ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie questo sacrificio vivo e santo.

«Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo» (cf Lc 6,22).
 
Guarda con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione; e a noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo, in Cristo, un solo corpo e un solo spirito.
«Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli» (Lc 6,23).
 
 Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito, perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con i tuoi santi apostoli, i gloriosi martiri, e tutti i santi, nostri intercessori presso di te.
Se noi abbiamo speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini (cf 1Cor 15,19).
 
 Per questo sacrificio di riconciliazione, dona, Padre, pace e salvezza al mondo intero. Conferma nella fede e nell’amore la tua Chiesa pellegrina sulla terra: il tuo servo e nostro Papa Benedetto, il Vescovo Angelo, il collegio episcopale, il clero e il popolo che tu hai redento.
Noi proclamiamo che Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti (cf 1Cor15,22).
 
 Ascolta la preghiera di questa famiglia, che hai convocato alla tua presenza. Ricongiungi a te, padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi.
Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi e non resta nella via dei peccatori (cf Sal 1,1).
 
 Accogli nel tuo regno i nostri fratelli defunti e tutti i giusti che, in pace con te, hanno lasciato questo mondo …; concedi anche a noi di ritrovarci insieme a godere per sempre della tua gloria, in Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale tu, o Dio, doni al mondo ogni bene.
Se i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto;  ma se Cristo non è risorto, è vana la nostra fede (1Cor 15,12).
 
Dossologia[è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]
 
Per Cristo, con Cristo e in Cristo,  a te, Dio Padre onnipotente,  nell’unità dello Spirito Santo,  ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
Padre nostro in aramaico: Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:
 

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià
sia santificato il tuo nome
itkaddàsh shemàch
venga il tuo regno
tettè malkuttàch
sia fatta la tua volontà
tit‛abed re‛utach
come in cielo così in terra
kedì bishmaià ken bear‛a.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh
e rimetti a noi i nostri debiti
ushevùk làna chobaienà
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori
kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà
e non abbandonarci alla tentazione
veal ta‛alìna lenisiòn
ma liberaci dal male.
ellà pezèna min beishià. Amen!

 
Antifona alla comunione Lc 6,20
«Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio» dice il Signore.
 
Da Giorno per giorno - 28 Gennaio 2007, Lettera della fraternità del Goiàs-Brasile
Brano di una lettera scritta il 25 gennaio 2003 da don Andrea Santoro, prete romano ucciso nella chiesa di Trebisonda in Turchia il 05 febbraio del 2005.
 
«L’uomo può essere guarito di dentro e può essere risanato definitivamente nel corpo solo da un miracolo di Dio. Cos’è una conversione interiore se non un miracolo? Cos’è la risurrezione dei morti che aspettiamo se non un miracolo? Le durezze umane, l’oscurità del cuore, i pregiudizi, gli egoismi, il dolore profondo che avvolge le anime e consuma i corpi da chi possono essere risanati se non da Dio? In fondo tutta la storia biblica è un miracolo continuo di Dio. Il Vangelo è il miracolo della grazia che illumina, riconcilia e converte, è il miracolo della tenerezza di Gesù che rimette in piedi gli zoppi, i ciechi, i lebbrosi, i morti, gli uomini sfigurati dall’abbrutimento del peccato e dagli attacchi di satana. Bisogna chiederli questi miracoli , bisogna esserne convinti, bisogna contare su di essi e non sulle nostre piccole esili risorse. A volte invece lasciamo a Dio le briciole e ci facciamo carico di cose troppo grandi per noi. C’è bisogno di miracoli in Turchia, in Medio Oriente, in Europa. Debbo lasciare più spazio di manovra a Dio, alla sua Parola e alla sua grazia perché possa compierli. Dobbiamo avere la fiducia degli umili e dei semplici, o quella dei disperati e degli afflitti».
 
Dopo la comunione. Signore che ci hai nutriti al convito eucaristico, fa’ che riceviamo sempre quei beni che ci dànno la vera vita. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
Benedizione e saluto finale
Il Signore che ha chiamo i poveri, gli afflitti e gli esclusi, ci colmi della sua benedizione    Amen.
Il Signore che chiama i ricchi alla conversione della condivisione, ci liberi dall’ansia dell’avere,    Amen.
Il Signore che chiama la Chiesa Madre dei poveri, le doni il carisma della povertà,             Amen.
Il Signore che ci propone il Regno di Dio come principio e fine, ci doni la fortezza dello Spirito, Amen.
Il Signore sia sempre davanti a voi per guidarvi.                                                                   Amen.
Il Signore sia sempre dietro di voi per difendervi dal male.                                                  Amen.
Il Signore sia sempre accanto a voi per confortarvi e consolarvi.                                         Amen.
 
E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre.                                                Amen!
 
La messa come rito «è compiuta» nella testimonianza della vita. Andiamo incontro al Signore nella storia.
Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.


Appendice: nota al vangelo odierno (Lc 6,17.20-26)
 
Nell’omelia ci siamo fermati più al senso delle beatitudini che al testo, di cui vogliamo dare la struttura in appendice come aiuto ulteriore alla comprensione della Parola di Dio.
Il testo del vangelo di oggi fa parte di una sezione molto più ampia che inizia in Lc 16,12 e si conclude in Lc 7,17: tutta la sezione comprende ben 6 unità letterarie più piccole così strutturate[8]:
 
1) 6,12-19: Vocazione dei Dodici, chiamati a insegnare e a guarire come Gesù.
2) 6,20-26: Quattro beatitudini e quattro guai (maledizioni).
3) 6,27-38: Vocazione dei discepoli, chiamati ad agire con gli uomini come il Padre.
4) 6,39-49: Centro della sezione: la parabola dell’albero e dei frutti.
5) 7,1-10:   A Cafarnao (nord del lago di Tiberiade): Gesù guarisce il servo del centurione pagano.
6) 7,11-47: A Naim (sud-est di Nàzaret): Gesù guarisce la figlia della vedova ebrea.
 
Ognuna di queste sotto unità a sua volta si suddivide ancora in altri segmenti letterari che ci permettono di vedere l’articolazione del pensiero dell’evangelista che aveva un suo obiettivo preciso nello scrivere in questo modo.
La vocazione dei Dodici avviene prima sia delle dichiarazioni programmatiche che della vocazione dei discepoli, tra i quali evidentemente vi è una differenza. I Dodici sembrano acquisire fin da subito nei tre Sinottici un compito testimoniale di primo piano: essi devono vedere ciò che poi dovranno testimoniare. Sono garanti. Ciò spiega perché la fede in Gesù non può essere definita come «fede cristiana», cioè basata sulla persona di Gesù, ma deve correttamente essere detta «fede apostolica» perché si fonda solo sulla parola degli Apostoli i quali hanno visto e garantiscono con la loro vita e la loro coerenza di testimoni credibili. I Dodici devono imitare Gesù che li associa a sé nello stesso ministero di insegnare e guarire. In un certo senso essi prolungano Gesù nella storia. I discepoli invece sono chiamati ad uniformare il loro comportamento su quello di Dio perché è attraverso la loro vita che egli si può rendere visibile agli altri uomini. Gli uni (Dodici) e gli altri (discepoli) vivono di coerenza interna che sono i frutti che permettono di riconoscere l’albero e la sua specie. Il frutto che porta chi segue Gesù è la guarigione dell’umanità senza più alcuna distinzione: ebrea o pagana. Tutti partecipano ormai della stessa grazia e dello stesso risultato: la vita. Il servo del centurione romano e il figlio della vedova sono solo due segni della nuova umanità che sorge sulle parole di Cristo.
Annunciare una vita «nuova» significa dichiarare quella esistente o vecchia fuori corso, altrimenti non avrebbe senso parlare di novità. Ogni novità sostituisce qualcosa o qualcuno precedenti. Le parole di Gesù sono molto attuali perché a distanza di ventuno secoli fanno ancora la fotografia della nostra condizione umana. Vi sono persone e gruppi ristretti di persone «che ridono e si ingozzano e quelli che, probabilmente a causa dei primi, hanno fame e piangono. Giorno verrà per gli uni e per gli altri in cui tutto sarà capovolto. Il giudizio di Dio rialzerà gli uni e abbasserà gli altri. E’ solo questione di tempo»[9].
Spesso si fa dell’ironia sulle beatitudini dicendo che con la promessa futura in fondo si defrauda il povero che così viene invitato alla rassegnazione in attesa di una fantomatica ricompensa oltre la morte. In questo modo i ricchi possono stare tranquilli e continuare i loro affari «su questa terra». Chi ragiona così non solo legge superficialmente ilo testo, ma vi da un senso temporale, anzi cronologico, quasi di causa ed effetto, mentre al contrario, le parole di Gesù sono un appello alla coscienza, ora e qui ed esigono una scelta di prospettiva che coinvolge le tre dimensione della storia di ciascuno: il presente come frutto e spia del passato e come premessa e causa del futuro. Le scelte di oggi dicono chi uno è stato ieri e chi eventualmente sarà domani, se non interviene un cambiamento radicale che il vangelo chiama «conversione» o più correttamente in greco «metànoia» che indica una modificazione del pensiero, cioè della ragione non del semplice comportamento che è una conseguenza.
Sono maledetti coloro che ripongono la loro sorte e fiducia nelle ricchezze e vivono credendosi «dio» sono al contrario «beati» coloro che dell’incontro con Dio hanno fatto la dimensione portante della loro esistenza.
 
_________________________
© Nota: Domenica 6a del Tempo Ordinario –C, Parrocchia di S. Maria Immacolata e San Torpete – Genova
L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica
Genova, Paolo Farinella, prete 14/02/2010 – San Torpete – Genova
 


[1] Il termine «macarismo» appare per la prima volta in ordine cronologico in Omero, Iliade 24, 99; Id., Odissea, 14, 83; Platone, Repubblica 9, 591 d; Aristotele Retorica 1, 9 p; Epicuro, Sentenze Vaticane 1. 52; Pindaro, Pitica 5, 47; Stobeo, Egloga 3, 57, 13s; cf A. Wartelle, Lexique de la Rhétorique d’Aristote, ed. Les Belles Lettres, Paris, 1982, 248.
[2]P. es. Sal 1,1; 2,12; 32/31,1-2, ecc.; Pr 3,13; 8,34; 14,21; Sir 14,1.2.20, ecc.. Inoltre cf Grande Lessico del NuovoTestamento  (= GLNT), VI, 977, Paideia, Brescia 1970. Per i Padri della Chiesa, ad es., cf Glossarium ad scriptores mediae & infimae graecitatis in quo graeca vocabula novatae significationis, aut usus rarioris, barbara, exotica, ecclesiastica, liturgica, ... eorum notiones & originationes reteguntur: complures aevi medii ritus& mores; dignitates ecclesiasticae ... & ad Historia Byzantinam praesertim spectantia, recensentur et enucleantur. E libris editis, ineditis, veteribusque monumentis. Accedit Appendix ad Glossarium mediae & infimae Latinitatis, una cum brevi etymologico linguae gallicae ex utroque glossario. Auctore Carolo Du Fresne, domino du Cange ... Tomus primus \- secundus!. - Lugduni: apud Anissonios, Joan. Posuel, & Claud Rigaud, 1688 (ristampa giugno 1943), 2 voll. fol.: tomus primus, s.v. makarismòs, col. 853.
[3] Per il significato etimologico, probabilmente derivato dall’accadico magāru (= accordare favori, essere consenziente), cf G. Semerano, Le origini della cultura europea, Dizionario etimologico, Vol. II. Basi semitiche delle lingue indoeuropee, Dizionario della lingua greca, s. v. màkar, Leo S. Olschki Editore, Firenze 1984, 173.
[4] In Mc non ricorre mai il termine «beato/beati» e Gv ha qualche residuo di «macarismo» (13,17; 20,29). Cf uno studio completo in J. Dupont, Le Beatitudini, vol.1-2, Ed. Paoline, Milano, 1992 [1969].
[5] Forse il riferimento è a Giudei della diaspora in pellegrinaggio nella terra d’Israele: poiché essi vivono in territorio pagano lo rappresentano come parte di un tutto (retoricamente si usa la figura della sinèddoche da «syn – con/insieme e ekdèchomai – prendo, per cui «prendo insieme; es. «Il mare è pieno di vele», dove «vela» sta per «tutta la barca».
[6] Per questo e il seguente schema letterario cf. R. Maynet, Il Vangelo secondo Luca. Analisi retorica, Edizioni Dehoniane, Roma 1994, 213.
[7] Per «beati» cf Is 32,20; Sal 2,12; 84/83,5-6, ecc.; per «guai» cf Am 5,18; Is 5,8; Ez 13,18; Sof 2,5, ecc.
 
[8] Prendiamo in prestito lo schema da R. Meynet, Il Vangelo secondo Luca. Analisi retorica, Edizioni Dehoniane, Roma 1994, 209-237, qui per lo schema 209.
[9] Ibid., 212-213.


Giovedμ 11 Febbraio,2010 Ore: 10:58
 
 
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