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www.ildialogo.org Domenica 3a Ordinario – C – 24 gennaio 2010 –,di don Paolo Farinella, prete

Domenica 3a Ordinario – C – 24 gennaio 2010 –

di don Paolo Farinella, prete

 Domenica 3a Ordinario–C

– 24 gennaio 2010 –
Con la 3a domenica del tempo ordinario C, inizia la lettura quasi continua del Vangelo di Lc che ci accompagnerà per tutto l’anno fino al prossimo avvento. In questo modo si conclude ancora una volta l’intero ciclo liturgico triennale. In altre parole: chi ha partecipato alla liturgia domenicale per tre anni di seguito, compreso quello in corso, alla fine avrà letto quasi tutta la Bibbia, almeno nelle parti essenziali[1]. La liturgia è strutturata come gli altri due cicli (A e B): la 1a lettura, tratta sempre dall’AT, di norma, è collegata in qualche modo al vangelo, mentre la 2a lettura, tratta sempre dal NT, in genere va per conto suo, assolvendo il compito di cassa di risonanza, di decantazione con il suo stile parenetico, cioè esortativo. Il salmo invece è l’adesione nostra alla proclamazione della Parola che diventa preghiera, cioè anelito del cuore: l’eco della Parola che risuona nell’Assemblea. Si ha così una visione d’insieme della rivelazione: noi cristiani non siamo avulsi dalla storia di Israele che rimane il popolo dell’alleanza e della promessa, di cui facciamo parte: per questo si legge l’AT, non come momento superato, ma come progetto in corso. Segue la preghiera assembleare del salmo che anela e invoca da Dio il compimento del progetto salvifico. Per noi cristiani è importante perché Gesù e gli apostoli pregavano con i salmi: ogni domenica anche noi c’immergiamo in questo flusso ininterrotto di intimità con Dio. Segue la lettura del NT che diventa così per noi la chiave attualizzante della promessa ai patriarchi. Per noi credenti in Cristo, il NT non sostituisce l’AT, ma lo «compie», cioè lo perfeziona. Infine la lettura di un brano del vangelo che diventa così la chiave di lettura, alla cui luce comprendiamo tutta la Rivelazione: la morte e la risurrezione di Gesù sono il punto di arrivo della promessa di Abramo e il punto di partenza verso il Regno di Dio.
Alla luce di tutto questo è necessario che purifichiamo il nostro modo di partecipare alla Messa che non è una riunione, e gli interventi non sono un confronto di idee o un luogo dove esporre le proprie riflessioni su questo o quell’argomento: è facile rilevare le colpe degli altri e dare giudizi, ma memori del criterio di Lc 6,41-42 (cf Mt 7,3-5) che c’invita a misurare la pagliuzza degli altri con la trave nostra, impariamo a mettere in discussione noi stessi, ad essere severi con noi e misericordiosi con gli altri. Nessuno di noi è autorizzato a giudicare alcuno, ma abbiamo il dovere di mettere in discussione i nostri stili di vita e le nostre scelte. Nell’Eucaristia noi purifichiamo la nostra coscienza, cioè illimpidiamo lo sguardo per vedere la realtà intima e valutare con discernimento.
Le tre letture, più il salmo a cui si aggiungono le antifone di ingresso e di comunione sono Parola di Dio: è il Lògos che per noi s’incarna «qui ed ora». Momento solenne perché è Gesù stesso che scende in mezzo a noi per «spiegarci le Scritture» (Lc 24,27.32). Chi legge deve sentire l’investitura profetica che l’avvolge perché il lettore o la lettrice non legge un testo qualsiasi di letteratura, ma annuncia il «vangelo/la gioiosa notizia che è Gesù Cristo, il Figlio di Dio» (Mc 1,1). Dobbiamo essere consapevoli che la Parola che ascoltiamo diventa carne e sangue, cioè vita di Dio condivisa con noi. L’Eucaristia è il sacramento della incarnazione: noi assistiamo e contempliamo il Lògos che carne diventa. Ne siamo testimoni e siamo chiamati ad esserne anche profeti. Nell’Eucaristia noi facciamo due volte la comunione: la prima volta con le orecchie, ascoltando cioè interiorizzando la Parola che è Gesù, il Cristo; la seconda volta con la bocca, mangiando, cioè interiorizzando la Parola/Pane/Vino come linfa vitale. Nell’uno e nell’altro caso è intimità sacramentale con la Santa Trinità[2].
Alla luce di tutto questo, è evidente che chi sta all’ambone/leggio non legge un testo, ma proclama la Parola, il progetto di Dio sul mondo perché chi legge esercita la funzione di profeta che presta la sua voce e la sua persona al ministero dell’annuncio della salvezza. Non è una competizione a chi sa leggere meglio o per mettersi in mostra, ma è l’esercizio di un mandato: «Va’ e riferisci … Così dice il Signore … » (Is 38,5; cf Mr5,19). Se si capisce questo, si capisce anche che il «Lezionario» è il «Libro» della Parola e l’ambone/ leggio è il trono solenne della maestà della Parola di Dio. Chi legge non deve mai confondere il Lezionario con i fogli che usiamo come aiuto e sostegno alla celebrazione comunitaria. Non si legge mai dai fogli, tranne che non sia disponibile il Lezionario per un motivo particolare e significativo: in questo caso si userà il foglio già predisposto. Chi legge la Parola, non porta con sé i fogli che ha in mano e non li appoggia sull’altare perché l’altare non è un tavolo di servizio, ma il simbolo di Cristo, attorno a cui noi siamo convocati dallo Spirito Santo. L’altare è il cuore dell’Assemblea e dell’Eucaristia e deve avere e ricevere il massimo del rispetto. Chi legge lascia i fogli sula propria sedia, si accosta all’ambone/leggio e con grande severità annuncia il progetto di misericordia che Dio vuole proclamare, oggi, per noi e attraverso di noi, per il mondo intero.
La liturgia (dal greco «lèiton èrgoncomune azione») è un’azione corale che esige la fede previa di coloro che vi partecipano perché essi hanno la consapevolezza non di mettersi in mostra, ma di scomparire come le note in una sinfonia o come il sale nel cibo. La liturgia è la Shekinàh/la Presenza di Dio che sta in mezzo a noi e noi stiamo davanti a lui in nome di tutto il mondo. Nella liturgia è Cristo che parla, opera, suggerisce, dispone, prega e salva, battezza, vive[3]. Noi c’inseriamo dentro il suo afflato e facciamo la nostra parte, ma dobbiamo fare emergere lui non noi, altrimenti siamo pagani che hanno ricevuto la loro ricompensa (cf Mt 6,2).
La 1a lettura è una solenne descrizione della festa ebraica delle capanne o tabernacoli, in ebraico Sukkôt (singolare: Sukkàh), festa autunnale dei raccolti che dura otto giorni ed è caratterizzata dalla gioia, tanto che l’ultimo giorno, l’ottavo, si chiama il giorno della «Gioia della Toràh», in ebraico Shimchàt Toràh[4]. Col tempo la festa perse il suo ideale religioso e divenne più una festa popolare. La lettura di oggi testimonia un tentativo di spiritualizzare questa festa e riportarla al suo significato originario. Nel 444 a. C, l’anno in cui si fissa defitnivamente l’attuale Pentateuco, si celebra Sukkôt mettendo al centro di tutto la Parola di Dio e contemporaneamente si innalza un trono riservato al Messia. Nello stesso anno per dare il senso della ricostruzione nel segno della Parola, il sacerdote Esdra e il laico Neemìa fecero costruire un pulpito perché tutti vedessero e sentissero, e da esso fu proclamata in ebraico la Toràh, mentre uno scriba la traduceva in aramaico per farla capire da tutti[5]. La lettura si protrasse dal mattino alla sera (cf Esd 3,1-6; Ne 8, 1-18).
Nella seconda lettura, Paolo usa lo stesso apologo che il console Menenio Agrippa nel 503 a.C. usò per convincere il popolo a cessare lo sciopero contro i ricchi[6]. Paolo non narra un apologo, ma fa una constatazione. Non ha bisogno di convincere il popolo a sottomettersi di nuovo ai ricchi, ma afferma esattamente il contrario: la diversità è costitutiva dell’unità. I singoli ministeri e carismi sono dati da Dio a ciascuno in modo diverso da un altro, non per uso personale quasi vanitoso, ma per l’utilità del bene comune. Paolo fa anche una scala di priorità: prima vengono i carismi legati alla Parola (apostoli, profeti e didàscali o catechisti e solo dopo vengono quelli delle straordinarietà come gli esorcismi, le guarigioni e la glossolalìa (parlare estatico, quasi in trance). Questi impressionano, quelli costruiscono. Il fondamento comune di tutti i carismi è lo Spirito Santo che dovrebbe metterci al riparo di appropriarcene indebitamente: noi siamo solo strumenti.
Il vangelo di Lc è strutturato come un solenne, unico viaggio verso Gerusalemme, mentre in effetti Gesù ne fece più di uno. Il viaggio di Gesù non dunque un viaggio storico, ma un viaggio come categoria della vita e della storia della salvezza: è l’uomo di Dio che intraprende il suo «esodo» attraversando da nord a sud tutto il territorio di Israele per giungere alla mèta che è la città santa di Dio, Gerusalemme, dove si compie il destino dell’uomo e il disegno di Dio nella singolarità dell’uomo-Dio, Gesù di Nàzaret.  Il viaggio ha una struttura straordinaria: inizia nella sinagoga di Nàzaret con l’investitura messianica (cf Lc 4,16-21) cioè sotto la potestà della Parola di Dio, attraversa la «Galilea delle genti» (Mt 4,15), cioè la regione paragonata a territorio pagano, percorre la Samarìa, territorio di eretici e di nemici giurati dei Giudei (cf Gv 4,9) e si conclude nella città santa di Gerusalemme dove «si compirà tutto ciò che fu scritto dai profeti riguardo al Figlio dell’uomo» (Lc 18,31). Qui nella città santa gli apostoli dopo l’Ascensione ritornano nel tempio, cioè nel luogo della Parola (cf At 3-4). Lungo questo viaggio Lc inserisce gli insegnamenti e le opere di Gesù: «quello che Gesù fece e insegnò» (At 1,2). E’ inutile cercare il contesto storico degli eventi in Lc perché il suo schema letterario colloca eventi e parole fuori da ogni contesto storico. In sintesi si dice che il Vangelo di Lc è il vangelo del discepolo, di colui che cammina dietro al suo maestro. Vogliamo iniziare anche noi questo cammino nel segno dello Spirito, facendo nostre le parole del salmista (Sal 96/95,1.6): «Cantate al Signore un canto nuovo, cantate al Signore, uomini di tutta la terra. Maestà e onore sono davanti a lui, forza e splendore nel suo santuario».
 
Spirito Santo, tu sei la Legge che Esdra portò davanti all’assemblea,                                    Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu circoncidi il nostro orecchio perché ascolti il Verbo di Dio,                        Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu animasti la gioia messianica della festa di Sukkôt,                          Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu ispiri la nostra fede nel dire l’Amen che il Cristo,                           Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la Legge perfetta che rinfranca l’anima nostra,                          Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la Testimonianza che anima le nostre scelte,                              Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu ispiri in noi il timore e il tremore davanti alla Maestà,                                 Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu rendi gradite al Signore le parole della nostra bocca,                                   Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu ci convochi per abbeverarci all’acqua della Parola,                                    Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu garantisci l’unità della Chiesa nella diversità dei doni,                                Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu dài vita alle singole membra che animano l’unica Chiesa,               Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la Mano che usò Lc per scrivere il santo Vangelo,                                 Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu hai ispirato le ricerche accurate per la solidità della fede,                Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu ha conservato e tramandato la testimonianza dei testimoni,                        Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu consacrasti Gesù come Messia della Nuova Alleanza,                                Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu ispirasti Gesù dei Nazareth ad aprire il rotolo del profeta Isaia,                  Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei l’annuncio che porta ai poveri il Vangelo che è Cristo,             Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei il proclama di libertà per tutti i prigionieri e gli oppressi,                       Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la luce che dona ai ciechi la libertà dalle tenebre,                                  Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei l’«Oggi» di Cristo che si compie in noi nell’Eucaristia,             Veni, Sancte Spiritus!
 
L’attività pubblica di Gesù, secondo Lc, inizia nella sinagoga, all’insegna dello Spirito Santo. Sinagoga dal greco «synagōghê» significa «assemblea/riunione» e per estensione «casa di Dio», dove abbiamo coscienza di essere davanti alla Maestà di Dio e alla scuola della sua Parola, la bussola della vita che offre la chiave di lettura della storia. Noi viviamo in una duplice storia: quella personale che a sua volta è inserita in quella più grande del mondo. L’una non può esistere senza l’altra. Ovunque vediamo segni di sopraffazione, strumenti di morte, scelte scellerate dei governanti: tutto ciò è animato da una sola aspirazione che è il potere cieco e assassino. Senza Dio, l’uomo è lupo per l’uomo[7] perché senza il riconoscimento e l’accettazione della paternità è impossibile riconoscere la fraternità. Il fratello uccide il fratello perché il mondo è orfano della paternità di Dio. E’ necessario immergerci nella pienezza dello Spirito di Dio per abbeverarci alla sua Parola e costruire relazioni d’amore e non di odio, rapporti fecondi e non sterili. Invochiamo la Shekinàh della santa Trinità su di noi e sul mondo perché lo Spirito del Figlio che il Padre ha mandato a noi Testimone e Amen del suo amore possa afferrarci e sedurci:
 

(ebraico)
Beshèm
ha’av
vehaBèn
veRuàch
haKodèsh.
Amen.
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e dello Spirito
Santo.

 
L’evangelista Lc inizia il suo vangelo garantendoci di avere fatto «ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te» (Lc 1,3, vangelo odierno). L’esame di coscienza è solo questo: un’accurata ricerca nel nostro pozzo profondo per mettere ordine in tutto ciò che siamo «fin dal principio». Chiedere perdono significa riconoscersi creature limitate con un grande potere: la libertà di dire sì o no a Dio, accettarlo come Signore e fondamento della nostra libertà o come antagonista di una nostra presunta indipendenza che non porta da nessuna parte. Esaminiamo accuratamente la nostra coscienza sapendo che Dio vi abita con discrezione e amorevole tenerezza.
 
[congruo esame di coscienza]
 
Signore, abbiamo offuscato la nostra consacrazione a rattristato il tuo Spirito,                     Kyrie, elèison!
Cristo, hai ascoltato la Parola e hai preso coscienza della tua missione,                                Christe, elèison!
Signore, per tutte le volte che nel giorno viviamo come se tu non ci fossi,                Pnèuma, elèison!
Cristo, per tutte le volte che ricerchiamo e alimentiamo la nostra vanagloria,                       Christe, elèison!
Signore, aiutaci ad abbeveraci sempre all’acqua viva del tuo Spirito,                                   Kyrie, elèison!
Cristo, il tuo perdono è sigillo di ordine nella nostra coscienza e nella vita,             Christe, elèison!
 
Dio onnipotente che ci consacra con lo Spirito del suo Figlio, immergendoci nelle acque del battesimo e abbeverandoci alla sorgente della sua Parola, il Lògos incarnato; che ci ha costituito membra vive dell’unica Chiesa nella pienezza della dignità  e della diversità di ciascuno; che ci ha consacrati testimoni degli eventi della salvezza che abbiamo vissuto ai piedi della croce e ai bordi del vuoto sepolcro, per i meriti del Signore nostro Gesù Cristo, abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.
 
GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente. [breve pausa 1-2-3]
 
Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. [breve pausa 1-2-3]
 
Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo: [breve pausa 1-2-3]
 
Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.
Preghiamo (colletta).O Padre, tu hai mandato il Cristo, re e profeta, ad annunziare ai poveri il lieto messaggio del tuo regno, fa’ che la sua parola che oggi risuona nella Chiesa, ci edifichi in un corpo solo e ci renda strumento di liberazione e di salvezza. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
MENSA DELLA PAROLA
Prima lettura Ne 8,2-4a.5-6.8-10. Nel primo mese dell’anno ebraico, detto Tishri (tra settembre-ottobre), Israele celebra ogni anno la festa delle Capanne o delle Tende in ebraico «Festa di Sukkôt in ricordo dei 40 anni vissuti sotto le tende nel deserto. Per una settimana si va nel deserto e si vive in capanne di paglia. La celebrazione è un «memoriale» del passato rivissuto nel presente, ma anche una festa agricola autunnale connotata dalla gioia. Nell’anno 444 a.C. dopo l’editto di Ciro, il movimento riformatore, guidato dal sacerdote Esdra e dal laico Neemìa, dà alla festa una connotazione spirituale, centrandola sul dono della Toràh e sulle sue esigenze etiche. Il clima è solenne: su tutto il popolo domina la Parola di Dio che provoca emozioni profonde e induce alla condivisione del cibo. Proclamare la Parola nella liturgia non è leggere una semplice lettura, ma annunciare l’Alleanza di Dio come progetto della vita nostra e dell’umanità. Chi legge esercita la profezia.
 
Dal libro di Neemia Ne 8,2-4a.5-6.8-10
In quei giorni, il sacerdote Esdra portò la legge davanti all'assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere. Lesse il libro sulla piazza davanti alla porta delle Acque, dallo spuntare della luce fino a mezzogiorno, in presenza degli uomini, delle donne e di quelli che erano capaci d'intendere; tutto il popolo tendeva l'orecchio al libro della legge. 4  Lo scriba Esdra stava sopra una tribuna di legno, che avevano costruito per l'occorrenza. Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutti; come ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse il Signore, Dio grande, e tutto il popolo rispose: «Amen, amen», alzando le mani; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra dinanzi al Signore. I levìti leggevano il libro della legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura[8] Neemìa, che era il governatore, Esdra, sacerdote e scriba, e i leviti che ammaestravano il popolo dissero a tutto il popolo: «Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete!». Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge. 10 Poi Neemìa disse loro: «Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza». - Parola di Dio.
 
Salmo responsoriale 19/18, 8; 9; 10; 15. La liturgia riporta appena cinque versetti dei quindici che compongono questo meraviglioso salmo che è un inno celebrativo a Dio creatore del cielo, specialmente del sole, e autore della Toràh: natura ed etica, la materia e lo spirituale si integrano nella loro fonte comune. Nell’antico oriente il sole era simbolo di giustizia (cf Ml 3,20; Sap 5,6). Nella liturgia del Natale, il salmo è applicato al Lògos, sole di giustizia (cf Ml 3,20; Gv 1,9; Lc 1,78), mentre agli apostoli è applicato il v. 5: «per tutta la terra si diffonde la loro voce, e ai confini del mondo la loro parola». Nell’Eucaristia la natura simboleggiata dal pane, dall’acqua e dal vino si unisce al cuore che custodisce la coscienza etica di essere figli di Dio nel Figlio unigenito. Diventiamo la Parola che proclamiamo.
 
Rit.Le tue parole, Signore, sono spirito e vita.

1. 8 La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l'anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice. Rit.
2. 9 I precetti del Signore sono retti,
fanno gioire il cuore;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi. Rit.
3. 10 Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti. Rit.
4. 15  Ti siano gradite le parole della mia bocca;
davanti a te i pensieri del mio cuore,
Signore, mia roccia e mio redentore. Rit.

 
Seconda lettura Cor 12,12-30 (lett. breve 12,12-14.27). Il brano conclude l’esposizione paolina della diversità dei carismi che cooperano a formare l’unità sacramentale. Su tutti dominano i carismi legati alla Parola: gli apostoli che l’annunciano nella missione, i profeti che la proclamano nella liturgia e i maestri/didàscali che l’approfondiscono nella catechesi (cf 1Cor 12,8-10.12.27-30; Rm 12,6-8; Ef 4,11). Le singole chiese hanno funzioni diverse in forza del loro contesto proprio, della propria esperienza e storia. E’ necessario però avere la consapevolezza che la fonte di ogni diversità è unica ed è lo stesso ed unico Spirito. Solo così si debella la gelosia, l’arroganza, l’invidia e la corsa all’apparire che sono le piaghe di una comunità di fede. Non la propria persona è importante da mostrare, ma bisogna lasciare scorrere il fiume dirompente della Parola. Il vero credente gioisce dei doni degli altri e ringrazia Dio.
 
Dalla prima lettera di Paolo apostolo ai Corinzi 1Cor 12,12-30 (lett. breve 12,12-14.27)
Fratelli e Sorelle, 12 come il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. 13 Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito. 14 E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra. 15 Se il piede dicesse: «Poiché non sono mano, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. 16 E se l'orecchio dicesse: «Poiché non sono occhio, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. 17 Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l'udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l'odorato? 18 Ora, invece, Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto, come egli ha voluto. 19 Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? 20 Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. 21 Non può l'occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; oppure la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi». 22 Anzi proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie; 23 e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, 24 mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, 25 perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. 26 Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. 27 Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. 28 Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare varie lingue. 29 Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? 30 Tutti possiedono il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano? - Parola di Dio.
 
Vangelo Lc 1,1-4; 4,14-21. Dopo una introduzione da vero storico con dedica a chi forse ha pagato la pergamena, Lc dà inizio al racconto della vita pubblica di Gesù che comincia in sinagoga con la lettura della Parola di Dio (cf Lc 1,5-23) e termina con il ritorno degli apostoli nel tempio di Gerusalemme, dopo l’ascensione (cf Lc 24,50-53). Lc qui ci presenta un Gesù «liturgo» che partecipa alla celebrazione sinagogale della sua comunità di Nàzaret che comprendeva due letture:  una tratta dalla Toràh (Pentateuco) letta da un dottore della legge e l’altra detta Aftaràh (Conclusione), tratta dai Profeti e letta da un laico presente che avesse compiuto trenta anni. Gesù si avvale di questa prerogativa e fa una omelia liturgia dopo la lettura del brano di Isaia (Is 61,1-2), attualizzando la Parola letta [letteralmente]: «Oggi si è compiuta questa Scrittura nelle vostre orecchie». Gesù è il compimento della Scrittura perché egli è la gioiosa notizia che porta la misericordia di Dio. Entriamo nello spirito di ascolto, lasciandoci penetrare dalla singole parole fino al midollo dell’anima nostra.
 
Canto al Vangelo. Alleluia.  Il Signore mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, / a proclamare ai prigionieri la liberazione. Alleluia.
 
Dal Vangelo secondo Luca Lc 1,1-4; 4,14-21
1 Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, 2 come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, 3 così anch'io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, 4 in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto. In quel tempo, 4,14 Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. 15 Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. 16 Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. 17 Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: 18 «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi 19 e proclamare l'anno di grazia del Signore». 20 Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all'inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. 21 Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». - Parola del Signore.
 
Sentieri omiletici
Iniziamo la lettura continua del vangelo di Lc.  In ordine di collocazione nella Bibbia cattolica è il 3° vangelo, dopo Mt e Mc e prima di Gv; in ordine cronologico, invece, il 1° vangelo è Mc che è lo schema base su cui si fondano Mt e Lc. Se vogliamo seguire uno schema catechetico, possiamo dire: Mc è il vangelo dei catecumeni, perché aiuta a scoprire per la prima volta Gesù uomo. Il catecumeno diventa discepolo e riceve il vangelo di Lc che lo accompagna nel cammino, anzi nel «viaggio» verso la comprensione del disegno di Dio che si compie a Gerusalemme. Il discepolo infine diventa a sua volta catechista con il vangelo di Mt che presenta Gesù come «maestro», quasi sempre nella posizione docente: seduto che insegna ai suoi discepoli e alle folle.
La struttura del vangelo di Lc è semplice e si conclude nello schema letterario del «viaggio». In altre parole, Lc che scrive nella 2a metà del sec. I d.C. (data bassa: 65/70; data alta: 70/80) non ha conosciuto Gesù perché è un cristiano convertito dal paganesimo della seconda generazione: discepolo di Paolo, ne riflette gli insegnamenti e la teologia. Di professione medico e, secondo la tradizione, anche pittore, scrive in un greco nobile, superiore per stile a quello di Mc e Mt, leggermente inferiore solo alla Lettera agli Ebrei: ne abbiamo un saggio nella dedica che abbiamo appena proclamato, che è strutturata secondo i canoni classici e in uno stile impeccabile.
Egli prende il vangelo di Mc e lo rielabora integrandolo con materiali di altre tradizioni, alcune delle quelli le ha in comune con Mt, mentre altre solo  esclusive di Lc[9]. Egli stesso, infatti, dice espressamente di avere fatto ricerche, probabilmente nell’ambiente familiare di Gesù che era interessato a custodirne la memoria storica, ma anche idealizzata. I destinatari del vangelo sono i cristiani provenienti dal paganesimo e quindi Lc sorvola molto sulle tradizioni ebraiche. Il luogo di composizione potrebbe essere o la Grecia o Roma.
Usando lo schema del viaggio come canovaccio del racconto, Lc fa compiere a Gesù un solo viaggio a Gerusalemme, lungo il quale distribuisce il materiale raccolto che così non è più nel suo contesto storico, per cui è inutile domandarci quando e come Gesù ha detto questo o quello. Ciò che conta per Lc è mettersi al seguito di Gesù e fare l’unico grande pellegrinaggio che conta: andare ad incontrare Dio nel tempio di Gerusalemme. Il piano del vangelo è funzionale a questa impostazione:
1. Lc 1,1-4: Prologo e dedica
2. Lc 1,5-2,52: Vangelo dell’infanzia (riflettono la Pasqua)
3. Lc 3,1-5,19: Ministero in Galilea (nord Palestina)
4. Lc 6,20-9,50: Insegnamento o discorso della pianura
5. Lc 9,51-18,14: Il grande viaggio (inserzione lucana)
6. Lc 18,15-19,27: Bambini, annuncio passione, cieco di Gerico, Zaccheo e parabola delle mine.
7. Lc 19,28-21,38: Ministero a Gerusalemme (Sud Palestina)
8. Lc 22,1-24,53; Mistero pasquale (passione, morte, Emmaus, ascensione).
 
La riforma liturgica di Paolo VI ha fatto una buona scelta, introducendo la lettura continua del 3° vangelo con il collegamento della 1a lettura tratta dal libro di Neemìa che narra il grande raduno del 444 a. C. dove fu letto il rotolo ritrovato tra le rovine del Tempio, detto «Deuteronomio». Abbiamo già anticipato che la prima lettura riflette l’ambiente e il clima della festa delle «Capanne – Sukkôt». La Parola di Dio viene letta da un ambone rialzato, una specie di pulpito sia perché tutti possano ascoltarla, ma anche perché tutti possano vedere la Parola proclamata e nello stesso tempo per affermare la maestà della Parola perché è Dio stesso (cf 1Gv 1,1-4). Quando nella liturgia proclamiamo la Parola di Dio, dobbiamo essere attenti anche alle sfumature, alle piccole cose per non banalizzare la serietà e la solennità dell’evento, come abbiamo ampiamente descritto nella introduzione. La Parola deve essere proclamata in modo che tutti intendano e capiscano. Una Parola non compresa è una parola muta e inutile. Esdra legge in ebraico e lo scriba traduce in aramaico, iniziando così quel grande filone scritturistico e letterario che prenderà il nome di Targùm che significa Traduzione/Interpretazione[10].
Lc nel vangelo ci dice alcune cose fondamentali, sempre a livello di metodo. La prima parte del vangelo riporta i primi quattro versetti della dedica che è un capolavoro della lingua greca detta koinè. In questa dedica troviamo diversi elementi:
-      La tradizione da cui Lc riceve il materiale. Nessuno nasce da solo senza un padre e senza una madre. Tutti proveniamo da un «dove» e camminiamo verso un altro «luogo». Sapere da «dove» si parte e conoscere la mèta, significa «essere nel viaggio» della vita che s’identifica con quello della fede. Se Lc riceve e a sua volta trasmette significa che si opera una catena di passaggio per cui andando indietro possiamo arrivare alla persona di Gesù, proprio perché nessuno può di re di «possederlo» del tutto. E’ un viaggio generazionale.
-      Ciò che riceviamo non è frutto della fantasia o dell’invenzione, ma si basa sulla testimonianza di persone credibili perché testimoni oculari che a loro volta sono diventati annunciatori e servitori di quella stessa Parola che hanno visto con fin da principio, che hanno udito, hanno veduto con i loro occhi, che hanno contemplato e che le loro mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (cf 1Gv 1,1).
-      Lc c’informa che le tradizioni su Gesù sono «molte» e anche gli scritti su di lui.
-      Anche Lc si decide a scrivere un vangelo, dopo aver fatto serie e scrupolose indagini. Finché anche noi, dopo avere accolto le testimonianze su Gesù, non scriviamo il «nostro» vangelo con le parole della nostra vita e un’accurata indagine sui motivi della nostra fede, lungo resta il cammino da fare. Il vangelo che annunciamo è solo un annuncio per suscitare altri annunci e altre ricerche.
-      Il vangelo come libro è dedicato ad un certo «Teòfilo», che alla lettera significa «Dio è amico» oppure anche «Amico di Dio». Di lui non sappiamo nulla, nemmeno se fosse una persona reale o non piuttosto una finzione letteraria per dedicare il vangelo a tutti i «Teòfili/Amici di Dio». Con ogni probabilità fu un amministratore greco-romano che finanziò l’opera (la pergamena era molto costosa). Egli ricevette una istruzione religiosa, ma ancora titubava: il vangelo è il sigillo sulla fede già ricevuta. Per ricevere il vangelo, bisogna già credere. Lo scritto materiale è la conferma della tradizione orale. Da ciò rileviamo una grande lezione: il vangelo che proclamiamo noi lo riceviamo dalla Grande Tradizione che a sua volta si fa garante di ciò che è scritto affinché sia conferme con ciò che è detto.
La seconda parte del vangelo è il primo atto pubblico ufficiale di Gesù come rabbi predicatore. Da questa narrazione sappiamo che Gesù ha compiuto 30 anni perché la seconda lettura poteva essere letta solo da un laico che aveva compiuto il trentesimo anno di età. La liturgia al tempo di Gesù prevedeva la divisione della Bibbia in tre anni e due letture per sabato (Meg 29b)[11]. Ogni brano della Toràh o Pentateuco, letto dal sacerdote o dal presidente della sinagoga, veniva accompagnato da una seconda lettura, detta «haftaràh - chiusura/conclusione» che comprendeva i Profeti[12]. La fama di Gesù doveva già essere diffusa perché in genere in Sinagoga si cedeva il posto della seconda lettura ad un personaggio ragguardevole, se presente. Il ritorno di Gesù a Nazareth deve avere impressionato i suoi compaesani per la fama che lo accompagnava da meritare il posto d’onore in sinagoga (Git 5,8). Il primo intervento pubblico di Gesù come rabbi è una omelia liturgica di cui Lc ci conserva l’essenziale sintetizzato. Il brano letto è tratto dal profeta Is 61,1-4, ma Lc non dice cosa disse Gesù, ma afferma che lesse la Parola di Dio e subito l’attualizza nel suo contesto storico: «Oggi si è compiuta questa Scrittura nei vostri orecchi» (Lc 4,21). Non dice: il profeta ha detto, ha insegnato, intende dire…, semplicemente «oggi».
Ascoltare la Scrittura è «compierla» negli orecchi perché nell’ascolto della Parola noi facciamo la comunione con Cristo Parola attraverso gli orecchi, allo stesso modo che attraverso la bocca facciamo la comunione con Cristo-Pane. La Parola proclamata nella liturgia non è una lettura del tempo passato e noi non leggiamo per ripassare la storia sacra, ma sperimentiamo il cuore stesso del «memoriale» biblico: nel momento stesso in cui ascoltiamo, noi compiamo la Scrittura che diventa «carne» qui e adesso. E’ come se quella Parola fosse pronunciata per la prima volta in assoluto per noi e solo per noi nello stesso istante in cui la voce giunge ai nostri orecchi. Ascoltare è comunicare in intimità, è diventare la Scrittura che si ode e sperimentare «l’oggi» di Dio che passa nella nostra vita.
Leggere la Parola di Dio non ha l’obiettivo di formare un senso morale o di fortificare la dimensione religiosa o alimentare la speranza nel senso profetico, che restano atteggiamenti leciti e importanti, ma ancora esterni e strumentali. Al contrario significa «comprendere/conoscere» che «oggi e ora» il disegno del Padre che invia il Figlio che dona lo Spirito «si compie» per me, per noi in modo definitivo[13]. Leggere la Parola non significa guardare alla storia biblica passata e nemmeno guardare al futuro escatologico, ma significa scoprire che «il Signore che viene dal Sinai nel Santuario» (Sal 68/67,18) che ora è un santuario fatto di carne e tessuto nel ventre umano di Maria di Nazareth.
Gesù legge il profeta Isaia, ma bisogna anche capire «come» lo legge e che cosa omette.
 

Isaia 61,1-2
Luca 4,18-19
1 Lo spirito del Signore Dio è su di me
18 Lo Spirito del Signore è sopra di me;
perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri,
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,
 
a proclamare la libertà degli schiavi,
 
la scarcerazione dei prigionieri,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
 
e ai ciechi la vista;
 
a rimettere in libertà gli oppressi,
2 a promulgare l’anno di grazia del Signore,
19 a proclamare l’anno di grazia del Signore.
il giorno di vendetta del nostro Dio.
 

 
I primi cristiani citavano la Scrittura non alla lettera, ma a senso o per concetti. Gesù si prende la libertà di modificare il testo liturgico: mentre Isaia insieme alla consolazione dei poveri di Yhwh e all’«anno di grazia» annuncia «un giorno di vendetta», Gesù ferma la sua lettura solo all’anno di grazia e subito arrotola il testo e passa all’omelia. Il testo di Isaia è importante perché è un anticipo delle beatitudini che Gesù pronuncerà nel suo discorso programmatico. Nell’AT «il giorno del Signore» comporta sempre una duplice conseguenza: è salvezza per i poveri ed è condanna per chi si pone fuori del progetto di Dio. Gesù ha l’autorità di sospendere il giudizio e di temporeggiare, quasi volesse concedere ancora un supplemento di tempo per dare l’occasione, il kairòs, a tutti di decidere della loro vita. E’ questo il compimento dell’alleanza «nuova».
Per la prima volta nella storia della salvezza, non si annuncia una catastrofe apocalittica, ma si proclama che Dio non è un cecchino, ma un Padre che viene a cercare chi si trova in difficoltà. In queste parole pregustiamo già il sapore delle beatitudini e la loro logica di capovolgimento delle situazioni. Questo è il cristianesimo, questa è la fede in Gesù Cristo: annunciare il vangelo dell’anno di grazia/misericordia. Ciò è possibile perché «ora» nella vita e nell’umanità di Gesù si può «compiutamente/definitivamente» dire che l’umanità errante da Adam in poi, ha finalmente raggiunto il suo riposo nell’incontro sponsale con Dio. La separazione/frattura avvenuta nell’Eden con Adam ed Eva, ora è risanata perché di nuovo Dio e la nuova umanità passeggiano insieme nel nuovo giardino, nel Paradiso dell’Eucaristia dove l’albero della vita e della conoscenza è la persona stessa del Verbo incarnato, il Vangelo che è Gesù Cristo, Pane spezzato e vino versato per chi è affamato e assetato di comunione nella conoscenza e nella misericordia. Amen!
 
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.
[Pausa: 1-2-3]

Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. [Pausa: 1-2-3]
 
Credo nello Spirito Santo, che é Signore e da la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti. [Pausa: 1-2-3]
 
Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.
 
Preghiera universale [intenzioni libere]
 
LITURGIA EUCARISTICA
Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:
«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).
 
Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.
Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.
 
[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]
 
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna.                         Benedetto nei secoli il Signore.
 
Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.
Il Signore riceva il sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.
 
Preghiamo (sulle offerte).Accogli i nostri doni, Padre misericordioso, e consacrali con la potenza del tuo Spirito, perché diventino per noi sacramento di salvezza. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
PREGHIERA EUCARISTICA II (detta di Ippolito, prete romano del sec. II)
Prefazio del Tempo Ordinario VI: Il pegno della Pasqua eterna
 
Il Signore sia con voi             E con il tuo spirito.    In alto i nostri cuori     Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.                    E’ cosa buona e giusta.
 
E’ veramente cosa buona e giusta renderti grazie e innalzare a te l’inno di benedizione e di lode,
Dio onnipotente ed eterno, dal quale tutto l’universo riceve esistenza, energia e vita.
Santo, Santo, Santo, il Signore Dio di Esdra e di Neemìa. Kyrie, eleison, Christe, elèison. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Christe, elèison, Pnèuma, elèison!
 
Ogni giorno del nostro pellegrinaggio sulla terra è un dono sempre nuovo del tuo amore per noi e anche un pegno della vita immortale
Abbiamo aperto il libro della vita per ascoltare il Lògos, tuo Figlio. Benedici, o Padre il tuo popolo in piedi davanti al tuo Cristo e benedicilo, mentre proclama l’Amen e la tua Gloria cf (Ne 8,5-6).
 
Poiché possediamo fin da ora le primizie del tuo Spirito, nel quale hai risuscitato Gesù Cristo dai morte, così noi viviamo nell’attesa che si compia la beata speranza nella Pasqua eterna del tuo regno.
Questo giorno è consacrato al Signore vostro Dio; non facciamo lutto né ci rattristiamo perché la gioia del Signore è la nostra forza (cf Ne 8,9-10).
 
Per questo mistero di salvezza, con gli angeli, i santi e le sante del cielo e della terra proclamiamo a una sola voce l’inno della tua gloria:
Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto nel Nome del Signore colui che viene, Pnèuma, eleison, Christe, elèison, Kyrie, elèison.

Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito perché diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore.
La tua Legge, Signore, è perfetta, rinfranca l’anima e la tua testimonianza è stabile nel cuore (Sal 19/18,8).
 
Egli, offrendosi alla sua passione, prese il pane e rese grazie, lo spezzo, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
Convocati dal tuo Spirito, o Padre, dalle nostre dispersioni, siamo giunti all’Altare per formare un solo corpo dalle molte membra (1Cor 12,12).
 
Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice e rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO É IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.
Tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito» (1Cor 12,13).
 
FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
«Cantiamo al Signore un canto nuovo, cantiamo al Signore da tutta la terra. Cantiamo al Signore, benediciamo il suo nome» (Sal 96/95, 1-2).
 
MISTERO DELLA FEDE.
Celebriamo la tua morte e risurrezione, attendiamo il tuo ritorno. Maranà thà! Vieni, Signore!
 
Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo, Padre, il pane della vita e il calice della salvezza, e ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale.
Noi abbiamo ricevuto quello che ci hanno trasmesso fin dal principio i testimoni e ministri della Parola (cf. Lc 1,2).
 
Ti preghiamo: per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo.
Tu doni alla tua Chiesa la diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; tu chiedi la diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore, tu o Dio Padre che operi tutto in tutti (1Cor 12,4-6).
 
Ricordati, Padre, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra: rendila perfetta nell'amore in unione con il Papa …, il Vescovo  … , le persone che amiamo e che vogliamo ricordare … e tutto l’ordine sacerdotale che è il popolo dei battezzati.
A ciascuno hai dato, o Padre,  una manifestazione particolare del tuo Spirito per l’utilità comune (1Cor 12,7).
 
Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione e di tutti i defunti che affidiamo alla tua clemenza…. ammettili a godere la luce del tuo volto.
Disse il Signore Gesù : «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, 19 a proclamare un anno di grazia del Signore (cf Lc 4,18).
 
Di noi tutti abbi misericordia: donaci di aver parte alla vita eterna, insieme con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con gli apostoli e tutti i santi, che in ogni tempo ti furono graditi: e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua gloria.
Oggi si è adempiuta per noi la Scrittura che abbiamo udita con le nostre orecchie (cf Lc 4,21).
 
Dossologia[è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]
 
Per Cristo, con Cristo e in Cristo,  a te, Dio Padre onnipotente,  nell’unità dello Spirito Santo,  ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
Padre nostro in aramaico: Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:
 

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià
sia santificato il tuo nome
itkaddàsh shemàch
venga il tuo regno
tettè malkuttàch
sia fatta la tua volontà
tit‛abed re‛utach
come in cielo così in terra
kedì bishmaià ken bear‛a.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh
e rimetti a noi i nostri debiti
ushevùk làna chobaienà
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori
kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà
e non abbandonarci alla tentazione
veal ta‛alìna lenisiòn
ma liberaci dal male.
ellà pezèna min beishià. Amen!

 
Antifona alla comunione Lc 4,18
«Lo Spirito del Signore è sopra di me; mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio».
 
Dopo la comunione
Da Lambert Beauduin[14], Il culto della chiesa
«Simile ad una meravigliosa basilica, la liturgia riserva a tutte le anime, e a uomini di ogni condizione, ricchezze e splendori infinitamente vari. Sì, i predicatori la commentino, gli educatori la insegnino, i teologi la consultino, gli uomini d’azione la diffondano, le madri la scandiscano, i bambini la balbettino. Gli asceti apprenderanno alla sua scuola il sacrificio, i cristiani la fraternità e l’obbedienza, gli uomini la vera uguaglianza, le società la concordia. Essa sia la contemplazione del mistico, la pace del monaco, la meditazione del presbitero, l’ispirazione dell’artista, l’attrazione del prodigo. Tutti i cristiani, uniti al loro parroco, al loro vescovo, al Padre comune a tutti i fedeli e pastori, la vivano pienamente, attingano l’autentico spirito cristiano a questa “fonte prima e indispensabile”, e realizzino così, vivendo lo spirito della liturgia, l’orazione della prima grande liturgia celebrata da Colui che è Sommo sacerdote in eterno: che tutti siano una sola cosa. Supremo auspicio e suprema speranza. Il movimento liturgico è questo: è tutto ciò che questo comporta; non è altro che questo».
 
Preghiamo. O Dio, che in questi santi misteri ci hai nutriti col corpo e sangue del tuo Figlio, fa’ che ci rallegriamo sempre del tuo dono, sorgente inesauribile di vita nuova. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
Benedizione e saluto finale
Il Signore che annuncia il vangelo ai poveri ci conceda la pace della libertà.            Amen.
Il Signore che consola gli afflitti e libera i prigionieri ci consoli con la sua benedizione.
Il Signore che concede il dono dell’unità e il dono della diversità, ci liberi dalle gelosie. 
Il Signore che annuncia l’ anno di grazia, guidi i nostri passi sulla via del Vangelo.
Il Signore rivolga su di noi il suo sguardo e ci doni la Pace del suo Spirito.
Il Signore rivolga su di noi il suo Volto e ci manifesti la sua misericordia.
Il Signore sia sempre davanti a voi per guidarvi.
Il Signore sia sempre dietro di voi per difendervi dal male.
Il Signore sia sempre accanto a voi per confortarvi e consolarvi.
E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre.                                     Amen!
La messa come rito «è compiuta» nella testimonianza della vita. Andiamo incontro al Signore nella storia.
Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.
_________________________
© Supplemento a Domenica 3a del Tempo Ordinario –C, Parrocchia di S. Maria Immacolata e San Torpete – Genova
L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica
Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete – Genova Paolo Farinella, prete 24/01/2010
 
 


[1] Le prime due domeniche, segnate nella liturgia dalle due icone del Battesimo di Gesù e delle nozze di Cana, come abbiamo visto, sono servite per completare il quadro della «manifestazione del Signore», secondo l’impostazione antica che vedeva unite in una sola festa quattro «epifanie» di Gesù: ai pastori (emarginati), ai magi (pagani), al Giordano (Israele) e a Cana (l’alleanza universale in chiave nuziale).
[2] E’ questo il motivo teologico che ci spinge a dire che è puerile stabilire se e come «accostarsi alla comunione» perché non comunicarsi significa non nutrirsi e in forza del principio «sacco vuoto non può stare in piedi», la Parola/Cibo è essenziale e necessaria alla vita di fede. E’ una contraddizione «ascoltare» la Parola e quindi comunicarsi attraverso le orecchie e non partecipare al banchetto del Pane: è come partecipare ad un pranzo a metà.
[3] Per analogia possiamo applicare all’annuncio della Parola quello che Sant’Agostino afferma del battesimo e quindi dei sacramenti in generale:«Pietro battezza, ma è Cristo che battezza; Paolo battezza, ma è Cristo che battezza; Giuda battezza, ma è Cristo che battezza» (Sant’Agostino, In Io. tract. 6, 1 - PL 35, 1428).
[4] La festa si celebra ancora oggi nel mese di Tishrì (ottobre-novembre) che è il primo mese cronologico del calendario ebraico (simile al nostro mese di gennaio): in esso si celebra anche CapodannoRosh Ha-Shanàh, che culmina dopo dieci giorni penitenziali nella solennità di Yom KippurGiorno dell’espiazione.
[5] E’ l’origine del Targum, che letteralmente significa traduzione/spiegazione.
[6] «Una volta, pensando che lo stomaco fosse ozioso, le membra del corpo si accordarono perché le mani non portassero più cibo alla bocca, che la bocca non lo prendesse e i denti non lo masticassero. Mentre volevano dominare lo stomaco, essi stessi s’indebolirono e anzi tutto il corpo giunse ad una estrema sfinitezza. Compresero che la fame dello stomaco era un servizio che distribuiva a tutte le membra il cibo che da esse prendeva per cui ritornarono a collaborare. Allo stesso modo il popolo e il senato sono come un corpo solo che nella discordia periscono, e nella concordia si rafforzano» (in Tito Livio, Ab Urbe Condita II,32).
[7] Tito Maccio Plauto(250 ca. - 184 a.C.): «Lupus est homo homini», in Asinaria, v. 495.
[8] E’ l’origine del Targum che significa «spiegazione»: la lettura era in ebraico, ormai incomprensibile al popolo e la spiegazione (Targum) in aramaico che era la lingua parlata.
[9] «I tre vangeli sinottici… si assomigliano molto fra loro, hanno cioè in comune molto materiale: circa 350 versetti sono uguali in Matteo, in Marco e in Luca: si chiama materiale di “triplice tradizione”; Matteo e Marco hanno in comune circa 170 versetti, Luca e Marco circa 30, Matteo e Luca oltre 240: tutto questo materiale è detto di “duplice tradizione”; inoltre ogni evangelista ha una parte di materiale proprio: Matteo circa 320 versetti, Marco solo 50 e Luca invece oltre 550» (C. Doglio, Introduzione ai Vangeli e all’Apocalisse, Scuola di formazione per laici (pro manuscripto), Genova 1993, 16).
[10] Al tempo di Gesù nessuno capiva più l’ebraico, che restava la «lingua sacra» della Scrittura e per questo motivo in ogni sinagoga vi era il Metùrgheman o anche Targumista che aveva il compito di tradurre la Parola proclamata nella lingua parlata dalla gente che è l’aramaico: la Toràh di Mosè doveva essere tradotta versetto per versetto, mentre i Profeti o gli altri libri a tre versetti per volta. Egli era materialmente separato e distinto dal lettore e il tono della sua voce non doveva mai sovrastare quello del lettore così come gli era proibito leggere dal rotolo/libro, ma doveva tradurre a memoria la Parola che lui stesso ascoltava: la supremazia doveva restare alla Scrittura che non doveva essere fraintesa nemmeno con la traduzione simultanea e letterale (cf Mishnàh, Meg 4,4-10).
[11] In Palestina la Bibbia (v. nota seguente) era divisa in 153, 155 o 167 «Sedarìm» o «Ordini/brani» (da «Sèder – ordine»), mentre a Babilonia, cioè nella diaspora, essa era divisa in 54 brani.
[12] Nel NT ricorre nove volte l’espressione sintetica «la Legge e i Profeti» per indicare la Bibbia ebraica (Mt 5,17; 7,12; 11,13; 22,40; Lc 16.16; Gv 1,45; At 13,15; 24,14; 28,23; cf 2Ma 15,9) e una volta l’espressione più completa «la legge di Mosè, i Profeti e i Salmi» (Lc 24,44). La Bibbia ebraica è indicata con un acrostico «TaNaCh» che sono le iniziali ebraiche di TorAh (Legge = TA), Nebihim (Profeti = N[a]) e Chetubim (Scritti = CH che corrispondono ai Sapienziale della Bibbia cristiana), da cui la sigla TAN[a]CH.
[13] Anche gli apostoli seguono lo stesso procedimento attualizzante nelle loro omelie: At 13,14.42; 16,13-17; 17,1-3; 18,4) per cui si può dire che la liturgia della Parola della Chiesa cristiana è figlia della liturgia della sinagoga con la differenza che questa guarda al futuro rivivendo il passato, mentre la quella contempla «la pienezza del tempo» (Gal 4,4) che è già arrivata nel grembo di Maria e nel Lògos che carne fu fatto (cf Gv 1,14). Resta da vedere se le omelie che si fanno nelle assemblee rispettano sempre i criteri dell’omelia di Cristo e degli apostoli o se spesso, troppo spesso, non si riducono a fervorini spiritualisti in funzione di una propria visione di vita o morale o spiritualità, finendo per sostituire le nostre parole alla Parola creatrice di Dio.
[14] Dom Lambert Beauduin (1873-1960) è un prete belga della diocesi di Liegi. Diventa benedettino e nel 1925 fonda il monastero dell’Unione prima ad Amay e poi a Chevetogne, dove si dedica all’Ecumenismo e alla Liturgia, sperimentando forme nuove e monachesimo e di comunione tra in cristiani separati. Il successo è enorme, ma viene considerato pericoloso e per 20 anni viene mandato in esilio in Francia. Nel 1951 ritorna nel suo monastero come ospite e inizia a coinvolgere tutto il monastero nella riflessione e nello studio della liturgia in vista di un concilio. Mancavano otto anni all’annuncio del Vaticano II, ma dom Lambert conosceva bene il nunzio Angelo Giuseppe Roncalli che frequentò il monastero e ne divenne un grande amico. Il suo monastero non partecipò fisicamente al Concilio, ma contribuì enormemente alla riforma liturgica perché formò sia le persone che vi parteciparono sia producendo opere e studi specialmente sui primi otto concili ecumenici. Senza il monastero di Chevetogne, forse il Concilio avrebbe preso una piega diversa (cf E. Lanne, «Ruolo del monastero di Chevegnone al Concilio Vaticano II», in Cristianesimo e Storia (Cr St 27 [2006] 513-545).


Mercoledμ 20 Gennaio,2010 Ore: 15:44
 
 
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