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www.ildialogo.org 1a Domenica dopo Natale: la santa famiglia - C - 27 dicembre 2009 –,a cura di Paolo Farinella, prete

1a Domenica dopo Natale: la santa famiglia - C - 27 dicembre 2009 –

a cura di Paolo Farinella, prete

La domenica dopo Natale è sempre dedicata alla riflessione sulla famiglia di Nàzaret dove incontriamo tre progetti di vita connessi tra loro, ma ciascuno secondo una prospettiva e una funzione diverse. La liturgia non parla della famiglia «in genere», ma delle dinamiche che la Presenza di Dio opera in «questa famiglia»: nella famiglia dove Gesù è cresciuto nella coscienza di un pio e buon ebreo.

 
Abbiamo celebrato il Natale, cioè abbiamo fatto memoria della nascita di un Bimbo che viene a ricordarci che dobbiamo «rinascere» nello Spirito. Immediatamente dopo, quasi ad impedire che ci addormentiamo nell’illusione di una poesia edulcorata, fatta di zampogne e bontà a basso costo, la liturgia con la memoria di Santo9 Stefano, primo martire, ci richiama al mistero della morte di Dio, che è l’«ora» della manifestazione della sua «Gloria/Kabòd/Dòxa». Il Natale senza la morte è una illusione e un inganno. La missione del Bimbo celebrato a Natale si compie su un’altra culla, questa volta a forma di croce. L’arte bizantina raffigura la culla di Natale sempre a forma di sepolcro. La Nascita e la Morte. La domenica seguente, con la memoria della Santa Famiglia, la liturgia ci invita a riflettere tra ciò che avviene nella vita tra la nascita e la morte: la vita di relazione che in modo compiuto e forte si realizza in quel rapporto privilegiato di relazioni essenziali che si chiama «famiglia».
Oggi è facile edulcorare discorsi sulla famiglia specialmente in questo periodo di fine millennio dove la stanchezza genera decadenza epocale, facendo entrare in corto circuito il «mistero dell’esistenza» alimentando da un lato la superficialità e dall’altro dando sfogo ad un individualismo esasperato per cui contano e hanno valore solo le relazioni «che servono» agli scopi soggettivi. Viviamo in un’epoca in cui tutti sfruttano tutti e ciascuno cerca di vendere qualcosa all’altro, contrabbandandolo come criterio assoluto. Noi non vogliamo perderci in un mare di recriminazioni in difesa della famiglia né vogliamo difendere un istituto di cui tutti parlano, ma pochi sanno di cosa si tratti. Prendiamo atto della confusione che regna e in mezzo a questa confusione sempre più ingarbugliata, proviamo a contemplare la Parola di Dio per assaporare, se è possibile, la prospettiva che ci offre il Signore per riuscire a vivere coerentemente e con verità la nostra esperienza di famiglia come luogo di relazioni.
La prima lettura ci parla di una nascita «impossibile»: la sterilità, attribuita esclusivamente alla donna è considerata una maledizione di Dio perché una donna senza figli è nessuno. La maternità costituisce la vera personalità della donna come persona: infatti la donna dopo il parto di un figlio maschio perde il suo nome e acquista quello del figlio perché per tutta la vita sarà indicata come «madre di…», nel caso della 1a lettura, Anna sarà ricordata come «madre di Samuele». Una donna sterile e anziana dà alla luce un figlio, riscattando così il suo disonore davanti al popolo. I racconti di nascite fuori del comune sono abbastanza abituali sia nella letteratura biblica che extrabiblica e appartengono ad un genere letterario proprio per mettere in evidenza la natura della missione del neonato e la gratuità della sua stessa e esistenza. Anna (in ebraico significa «essere graziosa/ottenere un favore»), la madre, è così consapevole che il figlio che le aperto il grembo non le appartiene che lo consacra fin da piccolo al servizio del Tempio
La 2a lettura ci riporta in una dimensione spirituale oltre ogni esperienza: nella nuova alleanza tutte le forme di relazione, compresa quella famigliare devono essere espressione di un rapporto fondamentale che si radica nella novità del vangelo: la Paternità di Dio come fondamento della fraternità dei credenti. Si potrebbe dire che la fede precede la natura. I fratelli e le sorelle di sangue non sono figli di Dio per natura, ma i figli di Dio generati nella fede sono inevitabilmente fratelli e sorelle per vocazione. Se la figliolanza di Dio non genera la fraternità, la fede è solo religione appagante un bisogno, non la chiave della vita. Questo è il motivo per cui l’autore della 1a lettera di Gv insiste sul rapporto «conoscenza-comandamento dell’amore». La conoscenza biblica è l’esperienza dell’altro non attraverso un sentimento passeggero, ma nella decisione di fondere la vita. Non è un caso che in ebraico il termine «yadà» significhi «conoscere-conoscenza» e indichi anche il rapporto sessuale uomo-donna che è l’atto sperimentale di conoscenza più profondo che esista in natura perché esprime l’identità piena e solidale dell’«immagine di Dio». Conoscere Dio è amare è la stessa cosa.
Nel vangelo abbiamo un ridimensionamento della famiglia naturale in rapporto all’assoluto che è Dio-Padre. Gesù stesso insegnerà nella sua predicazione che «chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me» (Mt 10,37). Come vedremo nell’omelia, Gesù è al compimento del suo 12° anno e quindi per la legge ebraica diventa maggiorenne. Egli con la sua famiglia si reca a Gerusalemme per il rito del passaggio che si chiama «bar mitswàh» ovvero «figlio del comandamento». Il senso di questo rito è semplice quanto grave: il padre cessa di avere un’autorità diretta sul figlio perché il figlio ora maggiorenne entra nell’obbedienza della Toràh. Entrare nella maggiore età significa per l’ebreo diventare responsabile dei comandamenti, della Parola di Dio dalla quale la sua vita sarà guidata, animata e giudicata. Questa prospettiva si capisce bene nella parabola di Lazzaro e del ricco epulone (Lc 16,20-31) dove il condannato chiede a Dio di inviare Lazzaro dai suoi fratelli e avvertirli dei tormenti del castigo dopo il giudizio (vv. 27-28). Dio però risponde: «Hanno Mosè e i profeti» (v. 29) e «se non ascoltano Mosè e i profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi» (v. 31).
Saliamo in pellegrinaggio ideale a Gerusalemme, entriamo nel Sancta Sanctorum della Parola di Dio e riceviamo il Pane della conoscenza che genera in noi la volontà di vivere relazioni costruttive di vita fondate sulla fede nel Cristo risorto che ha inviato il suo Spirito per costituirci famiglia di Dio. Facciamo nostre le parole dell’antifona d’ingresso (Lc 2,16): I pastori si avviarono in fretta e trovarono Maria e Giuseppe, e il Bambino deposto nella mangiatoia.
 
Spirito Santo, tu hai aperto la speranza di Anna con la chiave della sterilità,         Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu hai prefigurato nella nascita di Samuele quella del Messia,        Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu ha svelato il volto del Signore al suo profeta Samuele,               Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu hai ispirato la madre ad offrire il figlio al Signore suo Dio,         Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu ci convochi nelle amabili dimore del Signore della Pace,            Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu susciti in noi il desiderio e la brama del Dio vivente,                  Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu ci consacri abitazione del Santo, scudo del suo popolo, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la coscienza accesa che siamo realmente figli di Dio,           Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu generi in noi la conoscenza del Padre, del Figlio e dei Fratelli,     Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu ogni giorno ci sveli il volto di Dio così come egli è,                    Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu coltivi il comandamento della fede nel Signore Gesù,                  Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu trasformi in noi la fede nel comandamento dell’amore, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la guida nel pellegrinaggio alla Gerusalemme di Dio, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei il principio di sapienza che ascolta e interroga la Parola,       Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu custodisci nel segreto del nostro cuore ogni evento di Dio,         Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu susciti in noi la passione per le cose del Padre che è nei cieli,     Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei il maestro che ci fa crescere in sapienza, età e grazia,           Veni, Sancte Spiritus!
 
La festa di oggi è molto recente e nello spirito della liturgia ha il senso di indirizzarci alla comprensione sempre più profonda del mistero dell’incarnazione: il Lògos eterno nel piantare la sua tenda in mezzo a noi, ha fatto l’esperienza umana reale e fino in fondo. Gesù non fu un Bambino prodigio, ma un bambino normale in una normale famiglia. Fu Paolo VI che nella riforma liturgica collocò la memoria della Santa Famiglia di Nàzaret nella domenica tra il Natale e Capodanno per metterla in stretta connessione con la nascita del Figlio di Dio, impedendo così qualsiasi fuga di natura «spiritualista»: Gesù è uomo veramente[1]. In questo mistero, abbracciando il mondo intero e contemplando Gesù nella concretezza di una famiglia, invochiamo il «Nome» della santa Trinità
 
(ebraico)
Beshèm
ha’av
vehaBèn
veRuàch
haKodèsh.
Amen.
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e dello Spirito
Santo.
 
Sapendo che Gesù è nato e cresciuto in una famiglia come ciascuno di noi, possiamo bene immaginarci momenti di vita intimi, forti, tesi, banali, ovvi, densi di sentimenti e anche pesanti. Tutto ciò rende Gesù più accessibile alla nostra esperienza e alla nostra fede. E’ la sua realtà pienamente umana che ci permette di «vedere Gesù» (Gv 12,21). Possiamo anche vederlo e sperimentarlo come Figlio di Dio che guarisce le ferite perdonando i nostri peccati (Lc 5,23), cioè le realizzazioni della nostra vita che abbiamo preteso di compiere indipendentemente dal suo comandamento dell’amore. Lasciamoci visitare da Gesù che è la Misericordia del Padre venuta per «me».
 
[Esame di coscienza con congruo e vero silenzio]
 
Signore, Dio-Bambino che sei nato in una famiglia di poveri,                   Kyrie, elèison!
Cristo, che sei salito al Tempio per riconoscere il primato del Padre,       Christe, elèison!
Signore, che hai interrogato le Scritture per conoscere la tua via,            Kyrie, elèison!
Cristo, che hai richiamato tua madre all’obbedienza del Padre,               Christe, elèison!
Signore, che hai amato il Padre più del padre adottivo e di tua madre,     Kyrie, elèison!
Cristo, che ci insegni a valutare le priorità delle scelte di vita,                  Christe, elèison!
Signore, noi crediamo in te,, ma tu aumenta la nostra fede,                     Kyrie, elèison!
Cristo, rendici credibili nella chiesa, la tua santa Famiglia,                       Christe, elèison!
Signore, rendi la Chiesa luogo di accoglienza e di trasparenza,                Kyrie, elèison!
 
Dio onnipotente, che ha preparato una famiglia che accogliesse il Verbo della vita, per i meriti delle sante famiglie di cui la Scrittura tesse le lodi, per i meriti di Anna ed èlkana che hanno generato il profeta Samuele, per i meriti di Samuele il profeta che ascolta la Parola di Dio, per i meriti della santa Famiglia di Nàzaret che ha custodito cresciuto e offerto al mondo il Figlio di Dio, abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen!
 
GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente[breve pausa 1-2-3]
 
Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. [breve pausa 1-2-3]
 
Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo: [breve pausa 1-2-3]
 
Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.
 
Preghiamo (colletta). O Dio, nostro creatore e padre, tu hai voluto che il tuo Figlio, generato prima dell’aurora del mondo, divenisse membro dell’umana famiglia; ravviva in noi la venerazione per il dono e il mistero della vita, perché i genitori si sentano partecipi della fecondità del tuo amore, e i figli crescano in sapienza, età e grazia, rendendo lode al tuo santo nome. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti secoli dei secoli. Amen.
 
Mensa della Parola
Prima lettura 1 Sam 1,20-22.24-28. Ancora una nascita fuori dagli schemi. Una donna sterile e ormai rassegnata riceve l’annuncio dal sacerdote di Dio che l’impossibile è possibile: nonostante tutto, ella concepirà e darà alla luce un figlio. Anna la madre è consapevole che il figlio partorito non le appartiene perché è «proprietà» di Dio a cui lo restituisce. A lei è sufficiente avere assaporato la maternità che genera. «Samuele» in ebraico significa: «Dio ascolta». L’uso di consacrare un bambino era una prassi abituale, ma qui acquista una dimensione antimonarchica nella prospettiva del Messia come antagonista di re infedeli. La nascita di Samuele anticipa quella del Battista e di Gesù: tutte e tre sono strutturate nello stesso modo in uno schema di «nascite impossibili»  per mettere in evidenza la gratuità dell’intervento divino che «scrive dritto anche sulle righe storte» (Gilbert Keith Chesterton).
 
Dal primo libro di Samuele 1 Sam 1,20-22.24-28
20Al finir dell’anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuèle, «perché – diceva –  al Signore l’ho richiesto». 21Quando poi Elkanà andò con tutta la famiglia a offrire il sacrificio di ogni anno al Signore e a soddisfare il suo voto, 22Anna non andò, perché disse al marito: «Non verrò, finché il bambino non sia svezzato e io possa condurlo a vedere il volto del Signore; poi resterà là per sempre». 24Dopo averlo svezzato, lo portò con sé, con un giovenco di tre anni, un’efa di farina e un otre di vino, e lo introdusse nel tempio del Signore a Silo: era ancora un fanciullo. 25 Immolato il giovenco, presentarono il fanciullo a Eli 26 e lei disse: «Perdona, mio signore. Per la tua vita, mio signore, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. 27 Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho richiesto. 28 Anch’io lascio che il Signore lo richieda: per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore». E si prostrarono là davanti al Signore. - Parola del Signore.
 
Salmo responsoriale 84/83, 2-3-4; 5-6; 9-10. Ogni ebreo osservante compiva ogni anno tre pellegrinaggi a Gerusalemme: a Pasqua (Pesàch) a Pentecoste (Shavuòt) e per la festa delle Capanne (Sukkòt). In queste feste si cantano i salmi di pellegrinaggio tra cui è annoverato il salmo 84/83. Esso canta Yhwh come Presenza nel Tempio a cui anela il pellegrino che sale alla città santa (vv. 6-8), ma anche i sacerdoti e i leviti che abitano nel Tempio sono pieni della sua Presenza che vivono come beatitudine (vv. 5.11). Gesù ha pregato con questo salmo molte volte, anche noi lo facciamo con gli stessi sentimenti, sapendo che ora saliamo al cuore stesso di Dio: l’Eucaristia che è l’Emmanuele/Dio-con-noi.
 
Rit. Beato chi abita nella tua casa, Signore.
 


1. 2Quanto sono amabili le tue dimore,
Signore degli eserciti!
3L’anima mia anela
e desidera gli atri del Signore.
4 Il mio cuore e la mia carne
esultano nel Dio vivente. Rit.
2. 5Beato chi abita nella tua casa:
senza fine canta le tue lodi.
6Beato l’uomo che trova in te il suo rifugio
e ha le tue vie nel suo cuore.
Rit.
3. 9Signore, Dio degli eserciti, ascolta la mia preghiera,
porgi l’orecchio, Dio di Giacobbe.
10Guarda, o Dio, colui che è il nostro scudo,
guarda il volto del tuo consacrato.
Rit.


 
Seconda lettura 1Gv 3,1-2.21-24. Nella rivelazione cristiana quando si parla di famiglia il riferimento è sempre in rapporto con Dio che pone le condizioni per la qualità delle relazioni interpersonali. Famiglia significa essere figli di Dio in un rapporto di intimità trasparente: «lo vedremo così come egli è» (v. 20). Ogni relazione si basa sulla fiducia, cioè sull’affidamento consapevole all’altro. Come possiamo verificare che tutto ciò sia vero? Dalla presenza nella nostra vita di due realtà: il comandamento dell’amore reciproco e la presenza dello Spirito del Risorto. In altre parole, se viviamo la vita come espressione di amore, incontreremo Dio, i fratelli e le sorelle senza fatica.
 


Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo1Gv 3,1-2.21-24
Carissimi, vedete 1 quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. 2Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. 21Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, 22 e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito. 23Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. 24 Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato. Parola di Dio.
 
Vangelo Lc 2,41-52. Ogni bambino ebreo al compimento del 12° anno doveva compiere il rito di passaggio dalla minore alla maggiore età. Questo rito si chiama, ancora oggi, «bar mitzvàh» che alla lettera significa «figlio del comandamento» perché con esso ogni figlio d’Israele passava dalla tutela paterna alla ubbidienza della Toràh. Il figlio minore dipende in tutto dal padre, il figlio adulto dipende dalla sua responsabilità che si fonda sull’osservanza della Toràh. Anche Gesù compie questo rito nel passaggio dall’adolescenza alla maturità, ma Lc racconto a modo suo questo rito e ne fa un’occasione per compiere una «rivelazione» sulla persona di Gesù. Il racconto infatti è racchiuso tra due affermazioni simili che danno il senso e la misura del racconto: Gesù cresceva in sapienza, età e grazia» (cf v. 40 e v. 52). In tutto il racconto resta per noi il mistero dell’angoscia dei genitori che è la prova della loro lenta consapevolezza della volontà di Dio. Noi celebriamo l’Eucaristia per imparare a riconoscere la volontà del Padre nel cammino della nostra maturazione umana e cristiana.
 
Canto al Vangelo Cf At 16,14: Alleluia. Apri, Signore, il nostro cuore, / e accoglieremo le parole del Figlio tuo. Alleluia.
 
Dal Vangelo secondo Luca 2,41-52
41I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. 42 Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. 43 Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. 44 Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; 45 non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. 46 Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. 47E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. 48 Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». 49 Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». 50 Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. 51Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. 52 E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. Parola del Signore.
 
Spunti di Omelia
Il vangelo di oggi riporta la versione cristiana della bar mitzvàh  ebraica che letteralmente vuole dire «figlio del comandamento». Riflettere su questo rito ebraico che Gesù ha compiuto, significa illuminare di luce nuova e profonda la memoria che oggi la Chiesa ci propone: funzione e compito della famiglia, specialmente in un tempo in cui tutti i rapporti comprese le relazioni affettive sono valutate e riconosciute solo in funzione della solitudine dell’individuo. Oggi si fa molta fatica ad assumere la responsabilità di una relazione fondata sulla gratuità come condivisione di vita prima che di bisogni. E’ un momento della storia che attraversa il passaggio tra due millenni e come tutti i momenti di passaggio è passeggero. La famiglia oggi ha perso la sua funzione e il suo ruolo come agenzia primaria di educazione alla vita. Sono cambiate le condizioni e la geografia dell’influsso della famiglia, mentre la nozione di famiglia è rimasta immobile ad una realtà patriarcale, legata ad una economia familiare e ad un mondo monoculturale.
Il mondo delle nostre città e paesi è «plurale», crocevia di culture e di stili di vita con cui confrontarsi continuamente. Mentre un tempo la famiglia era l’agenzia educativa fondamentale attorno alla quale ruotavano i supporti complementari esterni (parrocchia, oratorio, scuola, svago, ecc.), oggi la famiglia è prevalentemente un «rifugio fisico» dove rintanarsi per espletare i bisogni fondamentali per non dire i bisogni pratici (dormire, mangiare, igiene, internet). La famiglia non è più un luogo di educazione e di crescita perché i figli crescono «altrove», in luoghi e tempi che spesso sono in contrasto con la struttura stessa della famiglia. I Genitori hanno di fatto abdicato al loro ruolo e cercano con ogni mezzo di delegare, quando s’impegnano addirittura per non conoscere ciò che accade non tanto per non vedere, quanto piuttosto per non prendere coscienza della propria inadeguatezza e della propria insufficienza di fronte alle difficoltà che la «vita plurima» dei figli impone.
I figli passano molto tempo fuori di casa e quando sono in casa vivono sotto l’influsso dominante della tv che ormai detta norme di comportamento, scelte economiche e modelli di vita che di fatto sono modelli effimeri e pieni solo di un vuoto senza abisso. La famiglia diventa il luogo del dovere, mentre tutto il resto è lo spazio del piacere. Da parte sua la scuola è vissuta come un peso perché «il pensiero dominante» esige che la cultura sia un accessorio inutile di fronte alla bellezza e all’immagine per essere famosi e per fare soldi senza fatica. La famiglia oggi potrebbe avere un grande ruolo di sintesi tra tutte le esperienze che ciascuno di noi vive nella propria vita, ma questo ruolo oggi essenziale è impossibile per l’impreparazione dei genitori come «maestri» e testimoni credibili. Non serve recriminare perché è un passaggio storico necessario e obbligato, per cui è certamente meglio riflettere e aiutare le persone a pensare guardando dentro il cuore del progetto di Dio per verificare fino a che punto noi vi siamo dentro e quale cammino dobbiamo ancora fare con il suo aiuto.
Al tempo di Gesù la famiglia è fondata sull’«uomo» inteso come capo e padrone sia della donna che dei figli minori. Questo possesso era ridimensionato due volte. Una prima volta quaranta giorni dopo la nascita di un figlio, quando i genitori salivano al Tempio per fare il rito del riscatto: offrivano un sacrificio a Dio il quale per mano del sacerdote di turno «affidava» il bambino ai genitori i quali da questo momento hanno coscienza di essere «genitori adottivi» di un figlio di Dio di cui dovranno rendere conto a Dio stesso. I figli non sono nostri figli, ma sono a noi affidati perché li aiutiamo a crescere secondo «l’immagine e la somiglianza» che Dio ha loro impresso. Maria e Giuseppe compirono questo rito come è descritto nel vangelo di Lc (2,21-38).
Una seconda volta l’autorità del padre terreno viene ridimensionata al compimento del 12° anno, e quindi all’inizio del 13° anno, quando un figlio diventa maggiorenne e il padre lo riconsegna ufficialmente a Dio con il rito della bar mitzvàh in cui il figlio si assume la responsabilità della sua obbedienza alla Toràh. Il padre durante il rito, tenendo la mano destra sulla spalla del figlio pronuncia questa preghiera: Ti ringrazio, o Signore, perché oggi mi togli la responsabilità di educare questo tuo figlio. Da questo momento il maggiorenne risponde delle sue azioni davanti alla Toràh, può partecipare alle funzioni religiosi in sinagoga, ha l’obbligo di compiere i pellegrinaggi prescritti alla santa città di Gerusalemme, può partecipare alla cena di Pasqua, può leggere la 2a lettura nella liturgia dello shabàt, può portare i tefillin o filattèri, cioè i segni esterni del suo amore per la Toràh[2] e digiunare a Yom Kippur (giorno dell’espiazione).
L’evangelista Lc ci presenta il passaggio dalla minore alla maggiore età di Gesù, il quale, accompagnato dai suoi genitori, fa il pellegrinaggio più importante della sua vita di ebreo al Tempio di Gerusalemme per adempiere la Legge e osservare uno dei 613 precetti prescritti. Matteo e Luca sottolineano con intenzione che la vita di Gesù si compie nel segno dell’adempimento della Toràh (Mt 1,22; 2,15.23) o secondo l’usanza (Lc 1,9; 2,42). Ciò dimostra che Gesù fu educato come un ebreo osservante e fedele alla tradizione, per cui risuonano ancora più gravi le parole che egli dirà da rabbi adulto nei confronti della famiglia e delle tradizioni. Gesù non eleva la famiglia ad un assoluto a cui tutto bisogna sacrificare, la famiglia è uno strumento temporaneo che deve aprire alla responsabilità consapevole. Lo stesso atteggiamento ha nei confronti della tradizione: quando diventa ostacolo perché si sostituisce al piano di Dio o ne impedisce la realizzazione, Gesù non esita a dichiararne la fine.
Il brano del vangelo è un racconto autonomo e completo perché è collocato tra due versetti che ne fanno una cornice di riferimento o come si dice in esegesi, fanno inclusione, si richiamano cioè a vicenda delimitando così i confini del brano.
-    v. 40: «Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui».
-    v. 52: «E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini».
In mezzo Lc colloca il racconto del pellegrinaggio, del rito della bar mitswàh, lo smarrimento, il ritrovamento nel Tempio, la notizia della disputa con i dottori, il dialogo con la madre e l’annotazione che Maria osservava con attenzione ciò che accadeva perché «serbava tutte queste cose nel suo cuore» (v. 51). I due vv. che formano da cornice hanno lo scopo di dirci che Gesù ebbe una crescita armonica: in età cioè nella vita fisica e psicologica, in sapienza che qui ha il valore principale di «dialettica» nel senso di capacità argomentativi (cf Lc 12,12; 21,15; At 6,10) e infine in grazia cioè nella consapevolezza del suo rapporto con Dio, che per un ebreo era vivere in sintonia con i comandamenti della Toràh.
Da una parte Lc ci dice che Gesù prende sul serio la sua responsabilità di figlio d’Israele, assumendosi il giogo della Toràh e dall’altra vediamo il metodo che educa questa responsabilità: stava «nel tempio seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava» (v. 46). Stare seduto è proprio del maestro, mentre il discepolo sta in piedi. Lc ci dice che Gesù era sullo stesso piano dei dottori, cioè degli specialisti, riconoscendogli così una certa autorevolezza. Questa autorevolezza di Gesù si scontra con la fatica della famiglia che sembra non capire ciò che accade, anche se poi Lc rimette le cose a posto, affermando che Maria aveva un atteggiamento di stupore attento a non interferire nella vita del figlio. Quando si legge questo passo bisogna stare attenti perché si rischia di presentare Gesù come un bambino «prodigio» che aveva piena coscienza della sua divinità e si comporta a 13 anni come un adulto maturo a cui tutto è chiaro.
C’è un solo modo per non annacquare l’incarnazione e viverla nel modo più genuino. I racconti dell’infanzia sono riletti da Lc alla luce della morte e risurrezione del Signore Gesù. L’espressione «non compresero/capirono» si trova ogni volta che i discepoli non capiscono il senso del «salire» di Gesù a Gerusalemme per soffrirvi e trovarvi la morte (Lc 9,43-45; 18,34; 24,25-26). L’espressione è dunque legata al mistero della persona della persona di Gesù nel suo atto supremo: il mistero pasquale. Come i discepoli anche Maria e Giuseppe non riescono ad entrare nella logica del disegno di Dio.
L’espressione «sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore»[3] nella Scrittura descrive l’atteggiamento interiore di chi ha coscienza che Dio sta realizzando una profezia o un oracolo, come i parenti alla nascita di Giovanni Battista (Lc 1,66), come Maria davanti allo stupore dei pastori (Lc 2,19) e qui davanti al figlio nel Tempio (Lc 2,51), come Giacobbe di fronte al figlio Giuseppe sognatore (Gen 37,11), come Daniele alla fine della sua visione (Dn 7,28), come il profeta dell’Apocalisse dopo la visione della Gerusalemme celeste (Ap 22,7). Lo stesso rimprovero di Gesù: « Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49)[4] è un ritornello ricorrente nel vangelo come rimando alle Scritture che annunciavano la sua morte e risurrezione (Lc 9,22; 13,33; 17,25; 22,37; 24,7, ma in modo speciale con i discepoli di Èmmaus in 24,27.44). In questo contesto quello che appare un rimprovero è in effetti un rimando alla necessità del compimento delle Scritture sulla persona di Gesù. In sostanza si potrebbe dire: volete sapere perché sono qui o faccio questo? Interrogate le Scritture e saprete che non posso essere altrove e non posso agire diversamente. La Parola di Dio è la chiave di volta della vita di Gesù.
Gesù sale a Gerusalemme per assumere su di sé il giogo della Toràh (Mt 11,29-30), ma anche per anticipare l’altra salita a Gerusalemme quella che si concluderà con la sua morte e risurrezione. Le due presenze nel Tempio che egli individua come la sua casa perché è lì che ci si occupa «delle cose del Padre mio» (v. 49) sono in Lc speculari e possono essere letti in sinossi secondo lo schema seguente:
-    Il contesto esterno è offerto dalla festa di Pasqua
-    Il contesto spirituale è espresso dal tema della ricerca di Dio che qui diventa la ricerca di Gesù (il verbo io ri-cerco/cerco in greco anazetèō/zetèō, ricorre ben quattro volte (vv. 44.45.48.49) a sottolineare l’importanza di un tema che domina la Scrittura. Cercare Dio è il senso della vita del credente e il Dio di Gesù Cristo non è un dio distante, ma vicino (Dt 4,7) che si lascia trovare (Ger 29,13) come la Sapienza che attende quelli che la cercano (Sp 6,12). Bisogna cercare «il Signore mentre si fa trovare» (Is 55,6).
-    Il racconto ci dice anche in qualche modo il processo psicologico e spirituale di Gesù: egli si reca nella «casa del Padre suo» all’inizio della sua vita di adulto, ma è ancora adolescente non perché sa già chi è e cosa farà, ma solo per iniziare il suo cammino di ricerca della volontà del Padre che gli sarà chiara solo qualche istante prima della morte, quando in preda all’angoscia e tentato di salvarsi, diversamente da Adamo, si abbandona totalmente e senza riserve alla volontà del Padre suo che accetta come orizzonte della sua vita nonostante la morte, oltre la morte: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice, ma non la mia, ma la tua volontà si compia» (Lc 22,42). In questo atteggiamento egli è il novello Isacco che secondo la tradizione giudaica, quando capisce che deve essere immolato, supplica il padre Abramo di legarlo ben stretto affinché, anche solo istintivamente non possa scalciare e rendere così inadeguato il sacrificio.
Lo schema identico è il segno più evidente che i vangeli dell’infanzia sono letti alla luce della Pasqua e questa illumina tutta la vita e le attività precedenti. Di seguito il confronto:
 

Gesù al Tempio (Lc 2)
La Pasqua (Lc 22. 24)
v. 41
v. 1
Si avvicinava la festa degli Azzimi, chiamata Pasqua,
vv. 44-45
44 Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; 45 non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
24,3
 
24,23-24
e non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24 Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto".
v. 46
46 Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava
24,7
v. 49
49 Ed egli rispose: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?"
22,42
"Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà".

 
In Gesù di Nàzaret, la ricerca di Dio diventa ricerca «del Signore», cioè del Padre di cui si conosce il volto. Egli però non si trova nel contesto della famiglia (Lc 2,44), ma nella sua «casa» là dove ci si può occupare «delle cose del Padre mio» (Lc 2,49). Gesù «cresceva» ripetuto due volte significa che Lc mette in evidenza lo sviluppo progressivo della consapevolezza di Gesù che in quanto persona umana ha dovuto confrontarsi sia con le persone che con gli avvenimenti per trovare la dimensione della sua vita. Il Figlio di Dio ha imparto a conoscere e ad acquisire, anche con fatica, tutto ciò che la sua famiglia, l’ambiente e le circostanze potevano trasmettergli.
Dopo questo racconto che ci narra della bar mitzvàh  di Gesù a 13 anni, nei vangeli c’è il vuoto. Di Gesù si perdono le tracce per circa 20/25 anni. Dove è stato? Dove è andato? Cosa ha fatto? Riappare all’età di circa 33/35 anni per un breve ministero di rabbi itinerante che culminerà con la sua morte e risurrezione. La sua predicazione dura complessivamente da un anno a tre anni. Quello che possiamo dire con sicurezza è che per il suo ministero brevissimo di predicazione egli impiega circa 25 anni di preparazione con questo rapporto: 20/25 anni di silenzio a fronte di 1 o 3 anni di predicazione. Nessuna parola ha senso se non è adeguatamente preparata da un congruo silenzio che come cassa di risonanza purifica sia la parola che il pensiero.
         Abbiamo privilegiato l’analisi del testo del vangelo piuttosto che riflettere sul tema del giorno che riguarda la famiglia, ma siamo consapevoli che solo la Parola di Dio ci offre il contesto e lo sfondo entro cui sentire, collocare e ripensare il senso e il ruolo della famiglia cristiana che oggi non è un dato scontato. Non basta mettere insieme un uomo e una donna e qualche figlio per «essere famiglia»: il mondo è pieno di alberghi dove vivono padri, madri e figli senza comunicazione e senza trasfusione di vita. Noi credenti possiamo solo interrogare la Scrittura, entrare nel progetto di alleanza che Dio propone nell’incontro con Gesù Signore e offrire al mondo la nostra testimonianza di famiglia come espressione visibile del nostro essere comunità orante che cerca il Signore andando incontro ai fratelli e alle sorelle che incontriamo sul nostro cammino.
 
Credo o Simbolo degli Apostoli[5]
Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra; [Pausa: 1 – 2 – 3]
e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, [Pausa: 1 – 2 – 3]
il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato,
fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; [Pausa: 1 – 2 – 3]
il terzo giorno è risuscitato da morte; salì al cielo,
siede alla destra di Dio onnipotente; di là verrà a giudicare i vivi e i morti. [Pausa: 1 – 2 – 3]
Credo nello Spirito santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen.
Preghiera universale[intenzioni libere]
Liturgia eucaristica
Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo: «Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24). Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.
 
Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.
 
[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]
 
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna.                         Benedetto nei secoli il Signore.
 
Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.
Il Signore riceva questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.
 
Preghiamo (sulle offerte).Accogli, o Signore, questo sacrificio di salvezza, e per intercessione della Vergine Madre e di san Giuseppe, fa’ che le nostre famiglie vivano nella tua amicizia e nella tua pace. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
PREGHIERA EUCARISTICA II  (detta di Ippolito, prete romano del sec. II)
Prefazio di Natale: Il misterioso scambio che ci ha redenti
 
Il Signore sia con voi                 E con il tuo spirito.    In alto i nostri cuori              Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio                   E’ cosa buona e giusta.
 
E’ veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo Signore nostro.
Offriremo il sacrificio al Signore: lo cercheremo e vedremo il suo Volto (cf 1Sam 1,21-22).
 
In lui oggi risplende in piena luce il misterioso scambio che ci ha redenti: la nostra debolezza è assunta dal Verbo, l’uomo mortale è innalzato a dignità perenne e noi, uniti a te in comunione mirabile, condividiamo la tua vita immortale.
Santo, Santo, Santo, il Signore Dio degli eserciti. Kyrie, eleison, Christe, elèison. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Christe, elèison, Pnèuma, elèison!
 
Per questo mistero di salvezza, uniti a tutti gli angeli, proclamiamo esultanti la tua lode:
Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto colui che viene, nel Nome del Signore. Kyrie, eleison, Christe, elèison, Pnèuma, elèison!

Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito perché diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore.
Il nostro cuore e la nostra carne esultano in te, Padre, Dio vivente di Gesù il Signore (Sal 84/83, 3).
 
Egli, offrendosi alla sua passione, prese il pane e rese grazie, lo spezzo, lo diede ai suoi discepoli, e disse:  PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
Porgi l’orecchio, Dio di Giacobbe: ti riconosciamo allo spezzare il pane (cf Sal 84/83,9; Lc 24, 29-31).
 
Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice e rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO É IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.
Il calice della benedizione che benediciamo è comunione con il Signore Gesù (cf 1Cor 10,16).
 
FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
«Beato chi abita la tua casa: sempre canta le tue lodi! Beato chi trova in te la sua forza» (Sal 84/83,5-6).
 
MISTERO DELLA FEDE.
Maranà thà! Vieni, Signore! Celebriamo la tua morte e risurrezione, attendiamo il tuo ritorno.
 
Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo, Padre, il pane della vita e il calice della salvezza, e ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale.
L’amore grande che ci hai dato, o Padre è questo: siamo suoi figli e lo siamo realmente (cf 1Gv  3,1).
 
Ti preghiamo: per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo.
Solo tu, o Dio, sei Padre e noi siamo tutti fratelli chiamati ad essere perfetti come tu sei perfetto, Dio del cielo e della terra (Cf Mt 5,48).
 
Ricordati, Padre, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra: rendila perfetta nell’amore in unione con il Papa …, il Vescovo …, le persone che amiamo e che vogliamo ricordare… e tutto l’ordine sacerdotale che è il popolo dei battezzati.
Questo è il comandamento del Padre: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato (1Gv 3,23).
 
Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione e di tutti i defunti che affidiamo alla tua clemenza…. ammettili a godere la luce del tuo volto.
Il Signore si manifesta a noi nella santa Eucaristia e per la forza della sua Parola noi siamo simili a lui perché nel sacramento del Pane e del Vino noi lo sperimentiamo così come egli è senza vederlo(1Gv 3,2).
 
Di noi tutti abbi misericordia: donaci di aver parte alla vita eterna, insieme con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con gli apostoli e tutti i santi, che in ogni tempo ti furono graditi: e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua gloria.
Ecco, noi ora siamo nelle cose che sono del Padre e custodiamo nel nostro cuore la Parola che è Figlio per crescere con lui in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,49.51).
 
Dossologia [è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]
 
PER CRISTO, CON CRISTO E IN CRISTO, A TE, DIO, PADRE ONNIPOTENTE, NELL’UNITA DELLO SPIRITO SANTO, OGNI ONORE E GLORIA, PER TUTTI I SECOLI DEI SECOLI. AMEN.
 
Padre nostro in aramaico: Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià
sia santificato il tuo nome
itkaddàsh shemàch
venga il tuo regno
tettè malkuttàch
sia fatta la tua volontà
tit‛abed re‛utach
come in cielo così in terra
kedì bishmaià ken bear‛a.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh
e rimetti a noi i nostri debiti
ushevùk làna chobaienà
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori
kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà
e non abbandonarci alla tentazione
veal ta‛alìna lenisiòn
ma liberaci dal male. Amen!
ellà pezèna min beishià. Amen!

 
Antifona alla comunione Lc 2,48-49: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Gesù rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?».
 
Dopo la Comunione
Da Isacco della Stella, Sermone n. 8 per la prima domenica dopo l’Epifania, 57.
“Figlio, perché ci hai fatto questo?”. “Piuttosto, madre, perché hai fatto questo a tuo figlio? Passi per Giuseppe l’averlo dimenticato: egli non lo ha generato. Ma tu, come hai potuto dimenticare il figlio delle tue viscere?”. Dice il profeta: “Si dimentica forse una madre del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere” (Is 49,15). E se un’altra madre ha potuto farlo, tu perlomeno non avresti dovuto farlo. Come? durante tutta quella giornata di tenebra e di oscurità, non hai pregato Dio, non hai pensato a Dio, non ti sei ricordata di Dio? Chi potrebbe crederlo? Ma certo, Dio è lui! Forse allora hai pregato il Padre dimenticando il Figlio. Ma come è possibile, dal momento che nel nome del Padre si nomina anche il Figlio? Anzi, chi non ha il Figlio non ha neppure il Padre (1Gv 2,23). Ma forse, consapevole della verità segreta, tu enunci un mistero”. “Figlio, che cosa ci hai fatto?”. Preferirei credere che questa frase esprime ammirazione più che domanda o rimprovero. Infatti, l’ammirazione richiede l’investigazione e l’investigazione merita la conoscenza. Quindi Maria ammira senza tuttavia ignorare; ma attraverso la sua ammirazione, ci invita all’investigazione, dicendo con una ponderata ammirazione: “Figlio mio, quale dottrina e quale insegnamento ci ha dispensato in questo modo, cioè restando qui mentre noi ce ne andavamo”.
 
Preghiamo (dopo la comunione). Padre misericordioso, che ci hai nutriti alla tua mensa, donaci di seguire gli esempi della santa Famiglia, perché dopo le prove di questa vita siamo associati alla sua gloria in cielo. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
Berakàh/Benedizione e Saluto finale
 
Il Signore atteso viene: benedice il suo popolo nella pace.                      
Egli è l’Alfa e l’Omega, il Principio e il Fine.                                             
Sia benedetto il suo Nome invocato su di noi.                                       
Il Signore rivolga il suo sguardo su di voi e vi doni il suo Spirito.
Il Signore rivolga il suo Volto su di voi e vi doni la sua Pace.                 
Il Signore sia sempre davanti a voi per guidarvi.                           
Il Signore sia sempre dietro di voi per difendervi dal male.                     
Il Signore sia Sempre accanto a voi per confortarvi e consolarvi.
 
E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre.             Amen!
La messa finisce come rito, continua nella testimonianza. Andiamo incontro al Signore che viene.
Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.
_________________________
© Santa Famiglia– Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete – Genova
[L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica]
Paolo Farinella, prete – 27/12/2009 – Genova


[1] Nel sec. XVII in molti paesi d’occidente sorgono associazioni familiari che si ispirano alla santa Famiglia di Nàzaret. Dato il loro costante incremento, nel 1893 il papa Leone XIII concede uno statuto e anche una festa dedicata alla santa Famiglia fissata per la 3a domenica dopo l’Epifania che papa Benedetto XV nel 1914, alla vigilia della 1a guerra mondiale, trasferisce al 19 gennaio e successivamente nel 1921 ne estende il culto a tutta la chiesa di rito latino. Nel calendario attuale è fissata nel 1969 da Paolo VI in attuazione dalla riforma liturgica conformemente ai dettami del concilio ecumenico Vaticano II, operando così anche un cambiamento di prospettiva: da festa nata per esigenze pastorali in funzione di una spiritualità della famiglia in un mondo sempre più secolarizzato, ora la celebrazione è un’ulteriore tappa nel cammino di comprensione del mistero del Verbo incarnato alla cui luce ogni realtà diventa «sacramentale» ed espressione visibile dell’alleanza nuova.
 
[2] I tefillìn (plur. da tefillàh che significa preghiera; gr. phylaktêrion – filatterio/custodia) sonodue scatolette cubiche di cuoio contenenti pergamene su cui sono scritti i passi biblici di Es 13, 1-10; Es 13, 11-16; Dt 6, 4-9.11 e Dt 6, 13-21. Le scatolette vengono posti sulla fronte e sul braccio sinistro all’altezza del cuore e fissati tramite cinghie di cuoio nero e s’indossano per la preghiera del mattino nei giorni feriali detta Shacharit (= alba). Portare i tefillìn è adempiere uno dei 613 precetti prescritti dalla Toràh orale.I quattro brani della Scrittura sono scritti da uno scriba su un’unica pergamena per la scatola posta sul braccio e su quattro pergamene separate per quella della testa. La preparazione delle scatolette complessa perché deve essere fatta rigorosamente a mano e occorre un anno di tempo per realizzare l’insieme. L’uso dei tefillìn è molto antico, perché sono stati trovati negli scavi di Qumran e quindi siamo certi che al tempo di Gesù erano di uso comune.
 
[3] Il greco usa un verbo che si trova solo qui e in At 15,29 e significa non solo «io serbo/conservo», ma anche «io mi astengo», quasi a sottolineare che lo sguardo di Maria era di attenzione agli eventi, ma senza la volontà d’interferire con i piani i Dio, quasi che avesse consapevolezza di trovarsi davanti a qualcosa di più grande di lei.
[4] Il testo greco dice alla lettera: «Non sapevate che bisogna che io sia nelle cose del Padre mio?» che meglio esprime la forza del verbo teologico «bisogna» (gr. dêi) cioè la «necessità» strutturale di Gesù di «essere» con Padre nel senso della sua intima unione con lui: nulla è estraneo al figlio di ciò che riguarda il Padre. Lc esprime continuamente questo senso di «necessità» tanto che la teologia biblica parla di «necessità divina». Non basta fare le cose del Padre, bisogna «essere» nel Padre e con il Padre e bisogna anche essere nella «sua casa» che deve ritornare ad essere il «luogo» della trasparente Presenza di Dio e non un posto qualsiasi dove Dio rischia di diventare un accessorio. A volte le chiese sono solo posti anonimi dove si traffica un vago sentimento religioso nei confronti di un Dio anonimo e non luoghi che esprimono anche nelle pietre «la necessità» di Dio di essere con noi e l’esigenza dell’istituzione di trasparire il volto di Dio.
[5] Il Simbolo degli Apostoli, forse è la prima formula di canone della fede, così chiamato perché riassume fedelmente la fede degli Apostoli. Nella chiesa di Roma era usato come simbolo battesimale, come testimonia Sant’Ambrogio: « È il Simbolo accolto dalla Chiesa di Roma, dove ebbe la sua sede Pietro, il primo tra gli Apostoli, e dove egli portò l'espressione della fede comune» (Explanatio Symboli, 7: CSEL 73, 10 [PL 17, 1196]; v. commento in Catechismo della Chiesa Cattolica [CCC], 194).


Luned́ 28 Dicembre,2009 Ore: 16:14
 
 
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