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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org Domenica 3a Avvento– C – 13 dicembre 2009 –,di Paolo Farinella, prete

Domenica 3a Avvento– C – 13 dicembre 2009 –

di Paolo Farinella, prete

Domenica 3a Avvento–C
– 13 dicembre 2009 –
Riportiamo un brano dell’introduzione alla 3a domenica di Avvento dello scorso anno:
 
«Nella introduzione generale al tempo di Avvento fatta nella prima domenica, abbiamo ripreso i passaggi dell’origine storica di questo tempo che oggi è il risultato della sintesi di due filoni: l’aspetto penitenziale sviluppatosi in Gallia e l’aspetto gioioso sviluppatosi in Roma. L’Avvento in Gallia era caratterizzato dal digiuno tre giorni alla settimana (Quaresima di San Martino). Considerate le condizioni di vita molto pesante del tempo, la Chiesa, alla 3a domenica, quasi a ridosso del Natale, interrompeva il digiuno, invitando alla festa, alla gioia.
Fin dalle primissime parole dell’antifona d’ingresso, l’Eucaristia è connotata da un clima festoso e gioioso: «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti.… il Signore è vicino / Gaudete in Domino semper iterum dico gaudete …Dominus prope» (Fil 4,4)». Per questo la domenica fu chiamata domenica «Gaudete/Siate lieti».
 
La gioia innerva tutta la liturgia della Parola per creare il clima dell’attesa ormai vicino alla fine. Non ci resta che entrare anche noi in questo clima per farlo nostro e percorrere l’ultimo tratto di strada che ci porta al Natale, cioè alla prima venuta del Signore, «il Lògos [che] carne/fragilità fu fatto» (Gv 1,14) proiettato verso la seconda venuta come Signore Giudice di amore che alla fine del mondo per costituire la sua comunità definitiva: il Regno che qui nella celebrazione dell’Eucaristia sperimentiamo e anticipiamo.
Il profeta Sofonia è uno dei profeti più pessimisti della Scrittura. Egli visse durante il Regno di Giosia (sec. VII a.C.), prima che l’Assiria occupasse Israele e deportasse con il primo esilio. Il tempo storico fu forse il periodo di massima decadenza morale: tutto si sfasciava e ognuno pensava a se. Nel buio senza futuro, all’improvviso cominciò a profilarsi una speranza: il re Giosìa un uomo retto e pio volle riformare il popolo e la religione perché il rito corrispondesse alla vita. Egli mise in atto una grande riforma religiosa e politica passata alla storia come «riforma deuteronomistica». Il libro del Deuteronomio nacque da questo movimento riformatore. Il brano di oggi si situa in questo barlume di luce: bisogna gioire e fare festa perché Gerusalemme ha davanti a sé un tempo di prosperità e di pace che nascono dall’autenticità della fede.
Il profeta esplode in un invito che è un urlo di gioia. Il verbo usato, infatti è «chàirō – gioisco» ed è usato comunemente come saluto ordinario: nella forma imperativa «chàire – gioisci / chàirete – gioite» assume il significato neutro di «salve/benvenuto/saluti» come forma di saluto amichevole espresso con sentimenti di felicità. Lc mette in bocca all’arcangelo Gabriele lo stesso verbo quando entra nella casa di Maria a Nazareth per annunciarle la maternità del Figlio di Dio e l’evangelista s’ispira proprio a Sofonia da cui prende in prestito il saluto: «Chàire – Gioisci» (Lc 1,26) perché dal contesto si rileva che Maria incarna in sé la Gerusalemme riscattata, la figlia di Sion redenta. Il contesto evangelico è lo stesso di quello vissuto dal profeta, per cui il saluto deve essere inteso nello stesso senso: esultanza per una svolta storica radicale.
La seconda lettura probabilmente è la conclusione generale a tutta la lettera ai Filippesi, scritta forse nel 56 a Efeso (1,13; 4,22) o nel 62 a Roma, si divide in due parti: la lettera vera e propria (1,1-3,1a; 4,2-7.10-23) chiamata «lettera dalla prigionia» e una inserzione successiva che gli studiosi chiamano «lettera polemica» perché con parole forti mette in guardia dai cristiani giudaizzanti della scuola dell’apostolo Giacomo che mettevano zizzania nelle comunità di Paolo (3,1b-4,1.8-9). Questa seconda lettera forse in origine fu autonoma e poi unita alla prima successivamente.
Il brano di oggi è tutto centrato sulla «gioia». La comunità di Filippi, insieme a quella di Tessalonica, è molto cara al cuore di Paolo perché non l’ha mai abbandonato, ma lo ha sempre assistito senza creargli alcun problema. Con questa comunità Paolo esprime il cuore della sua anima. La «gioia» che l’apostolo vive è «nel Signore» (v. 4) perché ne è il fondamento e la ragione. La «gioia» di Paolo e dei suoi figli deve avere una prospettiva: «Il Signore è vicino» (v. 5) e questo avvicinarsi non è più il «giorno» tremendo e terribile dei profeti, ma è una vicinanza familiare e amica: chi ha paura del Dio che viene a cercare chi si era perduto (cf Lc 15)? Veramente, nel NT «il Signore delle schiere è con noi, una roccia è per noi il Dio di Giacobbe» (Sal 46/45,8.12).
Andiamo incontro al Signore che viene a Natale, sapendo che è lui a venire incontro a noi e a prendersi cura di noi, nutrendoci alla duplice mensa della Parola e del Pane. Possa lo Spirito guidarci a diventare a nostra volta nutrimento di coloro che incontriamo sulla nostra strada.
 
Spirito Santo, tu sei la gioia e l’esultanza della figlia di Sion,                        Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu rallegri il cuore della santa città Gerusalemme,                    Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei l’amore di Dio che sta in mezzo a noi,               Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la festa che rallegra la gioia della Chiesa,                       Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la forza del Signore che viene a salvarci,                       Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei l’acqua che attingiamo alla sorgente che è Cristo,          Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu manifesti ai popoli le meraviglie del Signore,                      Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu raduni attorno al Santo d’Israele che è in mezzo a noi,       Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu formi i credenti all’affabilità della testimonianza,  Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei il messaggero che annuncia che il Signore è vicino,       Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu custodisci i nostri i cuori e pensieri in Cristo Gesù,             Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la risposta agli interrogativi della vita,                Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei l’acqua che battezza chi crede in Gesù di Nazareth,      Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei il fuoco purificatore che sana e trasforma,                     Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei il Vento che pulisce il frumento della fede,                   Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la luce e la forza che guida i nostri passi,                       Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la vita nel cui Nome celebriamo l’Eucaristia,     Veni, Sancte Spiritus.
 
La gioia nasce dalla pace delle relazioni. Quando siamo in pace con tutti, noi siamo nella gioia. Anche quando attendiamo qualcuno che amiamo, la gioia è incontenibile e fremente. Nel mistero di Dio oggi incontriamo i fratelli e le sorelle che nel mondo celebrano l’Eucaristia, gli uomini e le donne che nel mondo esprimono un atto di fede, oppure che rifiutano la fede perché non hanno incontrato alcuno che la testimoniasse loro con disinteresse. In questo giorno dal clima gioioso, in un abbraccio universale di fraternità, invochiamo il Nome della santa Trinità su ogni volto, su ogni dolore, su ogni gioia
 
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e dello Spirito
Santo.
Amen.
(ebraico)
Beshèm
ha’av
vehaBèn
veRuàch
haKodèsh.
 
Prete. Terza domenica di Avvento. Siamo oltre metà cammino. Fra sette giorni è Natale e la Chiesa c’invita ad anticipare la festa, quasi ad assaporare l’incontro con il Dio che viene nel volto di un bimbo perché nessuno abbia paura di vedere il Signore. Preghiamo Cristo luce del mondo perché nel segno della terza candela che si accende nel nostro cammino di Avvento possiamo vedere la nostra immagine di uomini e donne che vogliono consumare la propria vita come figlie e figli costruttori di pace. Preghiamo insieme:
 
Preghiera davanti al cero «simbolo dell’Avvento»
 


1. Signore, 
il cero è segno dell’Avvento atteso.
Sia luce perché Tu ci illumini
nelle difficoltà e nelle decisioni.
Sia fuoco perché Tu bruci in noi
egoismo, orgoglio e impurità.
Sia fiamma perché Tu riscaldi il cuore
per lenire l’altrui cuore spezzato.
 
2. Fra poco la Messa finirà!
E noi andremo per le strade della vita
e non staremo qui con te,
nel silenzio orante, come vorremmo,
ma lasciamo qui davanti a te il segno
di questo cero che brucia, testimone ardente
che anche noi bruceremo d’amore
sull’altare della vita in ogni incontro ed evento.
 
3. Primo giorno.
Signore, Tu ci insegni ad ardere
d’amore in ciò che viviamo
Tu c’insegni a bruciare
nelle due tendenze del cuore
perché nel bene e nel male amarTi
speriamo e vogliamo, amando.
 
4. Signore,
che doni lo Spirito di fuoco,
fiamma che il cuore consuma
come questo cero la fiamma scioglie,
donaci il fuoco di passione per Te,
per i Fratelli e le Sorelle, compagne
e compagni di viaggio e vigilante tenerezza.
 
5. E’ Avvento! Il tuo tempo, Signore!
La nostra eternità. Amen! Amen!


 

Il fondamento della pace è il perdono di Dio che purificandoci ci dona il senso della nostra intima identità di figli, fratelli e sorelle di pace. Chiedere perdono non è un rito, ma un atto vitale, un evento generativo da cui ri-nasciamo pronti a riprendere il ministero della testimonianza. Stare davanti a Dio significa avere coscienza che lui sta davanti a noi e ci conosce meglio di noi. Lasciamoci «sedurre» (cf Ger 20,7) con gioia.
 
[Breve pausa di silenzio, ma reale per esaminare la nostra coscienza]
 
Signore, tu con il tuo perdono ci restituisci sempre alla gioia della vita, abbi pietà,   Kyrie, elèison!
Cristo, tu sei il perdono del Padre sparso nei nostri cuori pacificati, abbi pietà,                    Christe, elèison!
Signore, tu ci annunci il vangelo della gioia come frutto del tuo perdono, abbi pietà,           Kyrie, elèison!
Cristo Gesù, Messia d’Israele e Signore della Chiesa tua sposa, abbi pietà di noi,     Christe, elèison!
 
Dio onnipotente che dona la gioia al Padre del figlio perduto e ritrovato, al pastore della pecora smarrita e ritrovata, alla donna della moneta perduta e ritrovata, per il merito dei santi patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, delle Sante Matriarche Sara, Rebecca, Lia e Rachele, dei Santi Apostoli e della primitiva comunità cristiana, della Beata Madre di Dio, Maria di Nazareth, dei nostri fratelli e sorelle martiri di fede e di amore, ci conceda il perdono e la pace perché possiamo condividere la gioia dell’Eucaristia e dell’Assemblea. Lo chiediamo specialmente per i meriti di Gesù Cristo nostro Signore che vive nei secoli dei secoli. Amen.
 
Preghiamo (colletta).O Dio, fonte della vita e della gioia, rinnovaci con la potenza del tuo Spirito, perché corriamo sulla via dei tuoi comandamenti, e portiamo a tutti gli uomini il lieto annunzio del Salvatore, Gesù Cristo tuo Figlio. Egli è Dio, e vive e regna nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 


Mensa della Parola
Prima lettura Sof 3,14-18a. Nel sec. VII a. C. il Medio Oriente era dominato dall’Assiria che si apprestava ad invadere Israele, la cui decadenza morale aveva degenerato anche la religiosità. Il nuovo re, Sedecìa, uomo pio e saggio, pone mano ad una riforma radicale della religione e della liturgia che può essere paragonata per noi a quella del concilio ecumenico Vaticano II. Da questa riforma nasce l’ultimo libro del Pentateuco, cioè il Deuteronomio (alla lettera «seconda legge»). E’ in questa prospettiva che bisogna leggere i due poemetti riportati dalla liturgia di oggi (3,14-15 e 16-17) che offrono uno spiraglio di luce verso una speranza futura. Non tutto è perduto se il popolo e le sue gerarchie torneranno al Signore con cuore nuovo. L’invito alla gioia è ripreso dall’arcangelo Gabriele che nell’annunciazione usa le stesse parole del profeta Sofonia per salutare Maria di Nazareth (Lc 1,26). Facciamo festa al Signore che viene.
 
Dal libro del profeta Sofonia Sof 3,14-18a[1]
14Rallégrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! 15Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico. Re d’Israele è il Signore in mezzo a te, tu non temerai più alcuna sventura. 16In quel giorno si dirà a Gerusalemme: «Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! 17Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia». - Parola di Dio.
 
Salmo responsoriale Is 12,2-3; 4bcd; 5-6. Il salmo di oggi non appartiene al Salterio, ma è tratto dal libro del profeta Isaia, i cui primi 39 capitoli appartengono al’Isaia storico vissuto nel sec. VIII a. C. Il brano conclude la sezione messianica ( Is 6-11) molto usata nel periodo di Avvento e di Natale. Il profeta descrive il futuro re d’Israele con uno sguardo alle «grandi opere» (v. 5) che il Signore ha fatto nel passato, durante l’esodo di cui si ricordano tre avvenimenti: il canto di liberazione del Mare Rosso: «Mia forza e mio canto è il Signore» (v. 2b ed Es 15,2); lo stupore dei popoli: «manifestate tra i popoli la sue meraviglie» (v. 4 ed Es 15,14-16); e infine e Dio che disseta il suo popolo per la mancanza di acqua: «alle sorgenti della salvezza» (v. 3 ed Es 15,22-27. L’Eucaristia è la nostra sorgente della salvezza che ci disseta con l’acqua della Parola, con il Pane della vita e il Sangue del sacrificio[2].
 
Rit. Alleluia: viene in mezzo a noi il Dio della gioia.
 

1. 2Ecco, Dio è la mia salvezza;
io avrò fiducia, non avrò timore,
perché mia forza e mio canto è il Signore;
egli è stato la mia salvezza. Rit.
“Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome,
proclamate fra i popoli le sue opere,
fate ricordare che il suo nome è sublime. Rit.
 3. 5Cantate inni al Signore,
2. 3Attingerete acqua con gioia
alle sorgenti della salvezza.
4In quel giorno direte:
 perché ha fatto cose eccelse,
le conosca tutta la terra.
6Canta ed esulta, tu che abiti in Sion,
 
perché grande in mezzo a te è il Santo d'Israele”. Rit.

 
Seconda lettura Fil 4,4-7. La città di Filippi, nella Macedonia orientale fu fondata nel 358-357 a.C. da Filippo II il Macedone, padre di Alessandro Magno. Qui nell’anno 50 d. C., nasce la prima comunità cristiana europea ad opera della predicazione di Paolo, mentre prima il Cristianesimo era tutto imperniato nell’Asia Minore, in particolare nell’attuale Turchia, dove ora la presenza cristiana è solo simbolica.Il brano di oggi appartiene alla lettera vera e propria ed è tutta improntata alla gioia che è il tema di fondo della liturgia odierna, ma anche la condizione per gustare la pace che «sorpassa ogni intelligenza» (v. 7) perché può essere solo sperimentata e non spiegata. Per noi questa pace interiore nasce dall’Eucaristia.
 
Dalla lettera di Paolo apostolo ai Filippesi Fil 4,4-7
Fratelli e Sorelle 4siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. 5 La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! 6Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. 7E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù.- Parola di Dio.
 
Vangelo Lc 3,10-18. Il vangelo dei tre Sinottici (Mc, Mt e Lc) si apre con un trittico che descrive l’inizio della vita pubblica di Gesù: ministero e predicazione di Giovanni (3,1-20); battesimo (3,21-22) e tentazioni di Gesù (4,1-13). Il brano di oggi appartiene al 1° quadro del trittico, la predicazione e il battesimo di Giovanni il Battezzante. Lc non è originale, ma si limita a riportare la tradizione comune ai Sinottici. Si sente già la polemica post-pasquale con i discepoli del precursore nella contrapposizione tra il battesimo di acqua di Giovanni e il battesimo «in Spirito santo e fuoco» portato da Gesù (v. 16). Il termine battesimo a questo livello non ha ancora il significato sacramentale che ha assunto successivamente, ma è semplicemente un annuncio del «giudizio» di Dio sulle nazioni da cui saranno preservati dallo Spirito coloro che si faranno battezzare nel Nome di Gesù. Infine è un invito alla vigilanza a sapere cogliere le Shekinàh/Dimore/Presenze di Dio nella nostra vita.
 
Canto al Vangelo Cf. Is 61,1 (Lc 4,18)
Alleluia. Lo spirito del Signore è su di me, / mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri. Alleluia.
 
Dal Vangelo secondo Luca Lc 3,10-18.
In quel tempo, 10Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». 11Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». 12 Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». 13Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». 14Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe». 15Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, 16Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 17Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».18Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo. - Parola del Signore.
 
Spunti di omelia
Il vangelo di oggi nella versione di Lc si limita a riportare i temi comuni agli altri due sinottici, Mc e Mt, e nello stesso tempo pone qualche problema di lettura. Noi sappiamo che la redazione finale dei vangeli, come cioè li leggiamo oggi, sono frutto di una lunga storia prima orale, poi scritta parzialmente e infine raccolta e fissata secondo l’ordine di questa forma particolare letterario-catechetica che si chiama «vangelo». Sarebbe assurdo pretendere da questi scritti il rispetto cronologico e tematico degli avvenimenti come si sono svolti «esattamente». Sbagliano coloro che ritengono che i vangeli siano «testi esatti di storia», come l’intendiamo oggi, e sbagliano quelli che parlano di «invenzione» pura e semplice senza alcun riferimento alla storicità dei fatti.
 
Nota (trasmissione del testo)
I vangeli non sono nati come testi di scuola o di studio o di storia. Essi sono «vangelo», cioè un annuncio gioioso[3] di una novità racchiusa in un messaggio indirizzato a tutti, specialmente agli esclusi e ai poveri. Chi scrive i vangeli sono persone che credono in ciò che scrivono e quindi da questo punto di vista non sono neutri, semmai «prevenuti». Essi sono già innamorati di Gesù Cristo e con i loro scritti vogliono indurre altri, oggi vogliono coinvolgere noi, ad innamorarsi di lui. Per questo la Parola di Dio è attuale oggi: nel momento in cui la leggiamo si compie per noi come se fosse proclamata e scritta la prima volta. Noi attribuiamo i vangeli ad alcuni nomi e diciamo che Mc fu discepolo di Paolo e di Pietro, che Lc fu discepolo di Paolo, che Matteo e Giovanni invece furono testimoni diretti in quanto apostoli.
Facciamo fatica a capire che gli antichi avevano metodi e criteri di scrivere diversi dai nostri per cui un cristiano non dovrebbe spaventarsi se diciamo che non sappiamo chi siano gli autori materiali dei vangeli perché essi sono frutto di un lungo processo, quasi mai di singole persone e quasi sempre di comunità vive. In un secondo tempo questi scritti, sviluppati all’interno di singole comunità, furono attribuiti a personaggi che probabilmente furono determinanti in quelle stesse comunità o come predicatori o come figure carismatiche. I vangeli quindi sono scritti o strumenti di catechesi, usati per la formazione. Sono scritti «prevenuti» di autori «prevenuti» che credono in ciò/Colui che annunciano.
 
Di Lc sappiamo poco, ma questo poco che sappiamo è molto. Egli scrive un vangelo non cronologico e lui stesso afferma di avere fatto delle ricerche dal momento che riporta notizie e fatti sconosciuti agli altri autori. Lc raccoglie tradizioni diverse e molte sono in comune con Mt e Mc. Quando possiede tutto il materiale lo riordina secondo un suo schema catechistico, probabilmente in uso nelle comunità da lui frequentate. Al tempo di Lc che scrive nella 2a metà avanzata del sec. I d. C., non interessava la questione del Gesù «storico»: dove, come quando nacque, visse, operò, morì, ecc. perché l’interesse delle comunità, degli apostoli e dei predicatori era suscitare la «fede» in lui, uomo ebreo che essi conobbero, con cui vissero e che credono «Figlio di Dio».
Lc usa lo schema del viaggio: ordina tutto il materiale trovato, distribuendolo lungo un ipotetico viaggio (uno solo) che Gesù avrebbe compiuto dal nord al sud, dalla Galilea alla Giudea, da Nàzaret-Cafarnao a Gerusalemme. Lungo il cammino Gesù insegna agli apostoli e a quelli che incontra. Egli opera, compie azioni, mentre il suo passo e il suo volto sono indirizzati con determinazione alla città di Dio dove si compierà il ministero per cui è venuto: la morte e la risurrezione (cf Lc 9,51). Questo viaggio è preceduto in tutti e tre i Sinottici (segno di una tradizione comune) dalla figura di Giovanni Battista che è presentato come il battistrada, il precursore. Il vangelo di oggi parte da qui. Nella sua ossatura esteriore il brano è parte della sezione che comprende Lc 3,1-20 che riporta la triplice consegna etica di Giovanni a tre categorie di persone: folla, pubblicani e soldati (Lc 3, 10-14). Segue l’attesa del popolo che scambia Giovanni con il Cristo (Lc 3,15), a cui simmetricamente corrisponde l’opposizione di Giovanni che annuncia il «vero» Cristo (Lc 3,16-17) e infine un sommario sul contenuto della predicazione di Giovanni che evangelizza il popolo (Lc 3,18).
Il rituale dell’abluzione era molto diffuso in Israele. Ogni abitazione aveva una vasca di acqua per la purificazione dalle impurità per chi veniva dall’esterno o dal mercato (cf Mc 7,3-4). Al tempo di Gesù l’attesa messianica era così frenetica che tutti erano attenti ad ogni piccolo segno che potesse indicare l’arrivo del Messia. La predicazione di Giovanni il Battezzante sulle rive del Giordano, nei pressi del Mar Morto e di Qumran, dove viveva la comunità degli Esseni, ebbe un grande seguito perché le folle videro in lui o il Messia (Lc 3,15; Gv 1,19-23; Mc 8,28), o un profeta (Mt 21,26; Mc 11,32; Lc 20,6; cf Mt 11,9; Lc 7,26). L’invito alla conversione riapriva il tempo di Dio che tornava a inviare i suoi profeti. Il popolo capiva che era finito il castigo della siccità della Parola e trovava la «profezia» (cf Am 8,11). Il Targum Neofiti (e il Targum frammentario) di Gen 30,22 («Dio si ricordò anche di Rachele; Dio la esaudì e la rese feconda») riporta una tradizione antica secondo cui Dio ha trattenuto per sé quattro chiavi tra cui quella della pioggia che nella Scrittura è spesso simbolo della Parola di Dio[4].
Il brano di oggi, infatti riporta tre categorie di persone che si avvicinano a Giovanni con la stessa domanda: «Che cosa dobbiamo fare?» (Lc 3,10.12.14), dichiarando così la disponibilità ad accogliere la novità. Le folle (Lc 3,10), i pubblicani (Lc 3,13) e i soldati (Lc 3,14), oggi diremmo le masse di disperati, percepiscono l’arrivo di eventi straordinari e vogliono partecipare da protagonisti. E’ logico che chiedano cosa debbano fare in un contesto socio-religioso orientale, dove tutto è deciso dalle autorità che resta sempre e comunque indiscussa e indiscutibile. Oggi noi siamo più attenti al valore della persona e all’importanza decisiva che ha la coscienza individuale per cui, diremmo: «Chi e come dobbiamo essere?» Le folle sono anonime per definizione; i pubblicani Giudei sono collaborazionisti dei Romani invasori da cui hanno avuto l’appalto delle tasse e sono considerati ladri di professione ed evitati come i pagani; i soldati sono violenti di ventura che si offrono a chi li paga di più e sono considerati immondi per la violenza e i soprusi che operano.
La domanda ripetuta tre volte apparteneva allo schema catecumenale della formazione cristiana (cf At 2,37; 16,30; 22,10 e Lc 18,18) e con essa il candidato esprimeva la sua volontà di entrare nella novità di vita del discepolo di Cristo. Alle tre categorie (i nuovi catecumeni) Giovanni non chiede di cambiare vita, ma offre l’inizio di un percorso, la prospettiva da cui partire: la condivisione dei beni materiali come condizione di libertà interiore (Lc 3,11); la giustizia senza frode che significa semplicemente non rubare (Lc 3,13) e infine il rispetto degli altri e il rifiuto di arricchirsi ingiustamente a danno dei poveri (Lc 3,14).
Convertirsi è cominciare a mettere ordine nella propria vita per muovere i primi passi verso un disegno globale della propria esistenza. La figura di Giovanni il Battezzante è un grande figura di psicoterapeuta perché induce le persone a fare scelte adeguate, lasciando alla responsabilità individuale la prosecuzione del rinnovamento che avrà bisogno di altre prospettive e di altri sostegni. Non fa piazza pulita di ciò che esiste. La folla resta folla, i pubblicani esecrati restano pubblicani e i soldati non smettono di fare i soldati, ma a ciascuno dà una indicazione adeguata al proprio stile di vita e commisurata alla propria esperienza.
Quando Dio ci chiede la conversione non sempre ci fa cadere di colpo da cavallo come Paolo di Tarso sulla via di Damasco (At 9,3-6), ma spesso si adegua al nostro passo e, munito di pazienza, cammina con noi fino a quando non si fa sera (cf Lc 24,15.29) perché convertirsi non è cambiare di punto in bianco, ma abituarsi al cambiamento ed educarsi al mutamento degli stili di vita. Non spetta a Giovanni dire «come» deve cambiare vita chi pone la domanda del «che cosa devo fare?». Giovanni offre la direzione di senso, spetterà poi a loro decidere il modo del cambiamento, quando incontreranno il Cristo. L’evangelista Lc ci mette su questo avviso perché nel descrivere il battesimo di Giovanni, usa il «presente indicativo», mentre per annunciare il battesimo di Gesù usa il verbo al «tempo futuro», come a sottolineare una distanza tra i due battesimi: «io battezzo…egli battezzerà» (Lc 3,16). Giovanni è grande perché sa prospettare il futuro, non blocca gli uditori sulla sua persona, ma li proietta oltre se stesso, oltre il presente, verso l’incognita del futuro. E’ il compito dell’educatore autentico (genitore, prete, direttore spirituale, parroco, insegnante, catechista, papa, politico, ecc.): presenta la propria esperienza come trampolino per una nuova conquista, una nuova avventura di vita e di amore.
Le richieste di Giovanni sono molto lontane dalle esigenze richieste dal discorso della montagna, eppure, per cominciare ad intraprendere la via del Regno è sufficiente mettere in discussione la struttura del proprio «io» per rimodellarla alla luce della prospettiva del Regno. La vera penitenza è prendere coscienza della propria personalità e indirizzarla all’incontro col Signore che viene e viene ad incontrare. Giovanni battezzante ha consapevolezza della verità: egli non si appropria di identità che non possiede: la folla si chiede se non sia il Cristo (Lc 3,15) e già in fase di dubbio, egli non distorce la ricerca, ma la riporta sulla direzione giusta fino al punto di fare un passo indietro per mettere in risalto che colui che viene dopo, il solo a cui spetta di pulire l’aia col ventilabro del giudizio e della pace (Lc 3,16-17).
Giovanni contrappone il suo battesimo «con acqua» al battesimo «in Spirito Santo e fuoco» di «uno più forte di me» (Lc 3,16) che è il residuo di una controversi tra i discepoli di Giovanni il battezzante e i discepoli di Gesù. Noi sappiamo che il gruppo dei «giovanniti» e quello cristiano convissero assieme su posizioni opposte per lungo tempo fino all’ostracismo reciproco. I discepoli del Precursore ritenevano non superato il battesimo del loro maestro, mentre i cristiani predicavano la provvisorietà di Giovanni di fronte a Gesù. I vangeli sono pieni di allusioni a riguardo. Lo stesso Lc nei «vangeli dell’infanzia» presenta Giovanni e Gesù in due «dittici» paralleli, ma inversamente proporzionali: il quadro di Giovanni è funzionale a quello di Gesù e la stesa struttura letteraria è più breve nel racconto del Precursore e più ampia in quella di Gesù.
L’espressione «Spirito Santo e fuoco» di Lc 3,16, nel contesto apocalittico del tempo indica che è giunto il tempo del giudizio delle nazioni del mondo: chi si farà battezzare con l’acqua di penitenza sarà preservato dalla condanna finale (Ez 9,4-11; Ap 7,3; 9,4). In greco la parola «pnèuma» è neutro e traduce l’ebraico femminile «ruàch» che significa sia «spirito» che «vento». Poiché Giovanni parla di pala e aia (Lc 3,17), è probabile che abbia detto «battesimo nel vento e nel fuoco», ispirandosi a Is 41,16 che parla di Dio come «ventilatore» d’Israele[6]. Giovanni non può non ricorrere al bagaglio delle sue conoscenze scritturistiche che presentano il giudizio come una tempesta di fuoco che brucia tutto ciò che è scoria e impurità (cf Is 29,5-6; 30,27-28; 33,11-14; 66,15; An 1,14, ecc.). Chi non riceverà il battesimo di acqua, cioè non si convertirà, sarà immerso nel battesimo di fuoco, cioè brucerà per sempre. L’acqua indica la salvezza, il fuoco la condanna.
Modificando il vocabolario (vento con spirito), Lc contrappone il battesimo di Giovanni a quello cristiano (At 19,1-7), facendo di Giovanni non il Battezzatore, ma il Precursore del battesimo cristiano: Giovanni è la «figura», Gesù è la «realtà». Nel vangelo di Giovanni (Gv 1,19-36) questo processo è compiuto: l’autore, infatti, sottolinea ormai che il Battista battezzava solo con acqua (Gv 1,26b. 31.33).
L’espressione «sciogliere il legaccio dei sandali» (Lc 3,16)[7] è un’espressione che appartiene al diritto matrimoniale e specificamente al diritto del levirato: di riscatto della vedova. Il significato dei sandali da sciogliere però può avere altre spiegazioni, senza escludere l’interpretazione del servo che si umilia. Si tratta di un rito di penitenza e di un gesto che concerne il diritto matrimoniale. Nella Scrittura nulla è casuale e ogni minima differenza deve essere annotata e possibilmente spiegata. Se non si riesce a spiegare, bisogna dire umilmente: per ora non abbiamo elementi e conoscenze sufficienti per spiegare questo testo e questa discordanza. Se il tema del sandalo è comune a tutti e quattro i vangeli (caso molto rado), ci dobbiamo interrogare sul motivo delle differenze. Le uguaglianze si spiegano facilmente (per es. con la dipendenza dalla stessa fonte), le differenze, invece, no, perché possono dipendere non solo da fonti diverse, ma da prospettive teologiche proprie dei singoli evangelisti.
Il rimando al sandalo richiama il rito di penitenza-conversione che significa andare scalzi e senza sandali che è più visibile in Mt che usa l’espressione: «non sono degno di portare i sandali-hypodēmata» (Lc 3,11). Lc, al contrario parla di «sciogliere il legaccio dei sandali» (Lc 3,16), usando quasi lo stesso linguaggio di Giovanni: «Colui che viene dopo di me: di lui (io) non sono degno di sciogliere il legaccio del suo sandalo» (Gv 1,27) [8]. Dai testi riportati nella nota 8 si rileva che non portare i sandali, ma andare scalzo, fa parte di un rito di penitenza, rito che a somiglianza di Davide e di Michea, Giovanni Battista, forse, ha imposto ai suoi come segno distintivo in attesa dell’arrivo del Messia che avrebbe comportato la conversione di tutto il popolo. Con questa espressione si vuole dire che Giovanni il Battista non è in grado di imporre al Messia alcun rito di penitenza e tanto meno di conversione, dal momento che Lui è «l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29) e perché è «Colui che viene dopo di me era prima di me» (Gv 1,15)[9].
     L’accenno al «sandalo» potrebbe anche essere un richiamo al diritto matrimoniale[10] che prevede il gesto simbolico compiuto da un uomo quando rinuncia al suo diritto di levirato in base a Dt 25,5-10 che stabilisce la procedura in caso di vedovanza di una donna, moglie di un marito che abbia fratelli[11]. Per comprendere il significato del testo di Dt, bisogna fare riferimento alla lettura targumica che veniva fatta nella sinagoga[12]. Il Targum Neophiti 1 (TN 1) così traduce il Dt 25,9[13]:
 

Dt 25,9
Traduzione del Targum Neophiti
«Sua cognata gli si avvicinerà in presenza degli anziani, gli toglierà il sandalo dal piede [al cognato], gli sputerà in faccia e proclamerà: “Così si fa all’uomo che non vuole ricostruire la famiglia del fratello”».
Sua cognata gli si avvicinerà in presenza degli anziani. Suo cognato avrà il piede destro calzato di un sandalo, fissato coi lacci che saranno annodati all’apertura del sandalo, egli terrà il piede poggiato per terra. La donna si alzerà, scioglierà i lacci (Yeb 102 a)[14] e glitoglierà il sandalo dal piede; quindi sputerà davanti a lui un sputo abbondante perché sia visto dagli anziani.

 
Il Targum di Rt 3,12 («È vero: io ho il diritto di riscatto, ma c'è un altro che è parente più stretto di me.») traduce così: «Ora è vero che io ho il diritto di riscatto; ma ce n’è uno che è più degno di me», rimanda istintivamente alla figura di Giovanni in Lc 3,16: «ma viene uno colui che è più forte di me, al quale io non sono degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali ». Nella stessa logica di Dt 25,5-10 in Rt 4,5-8 si aggiunge anche l’idea che sciogliere il sandalo è anche segno di riscatto[15].
E’ lo stesso Giovanni ci dà l’indicazione che il senso matrimoniale sia la pista giusta[16]. Nel ragionamento di Giovanni il Battista solo lo sposo legittimo, cioè il Messia ha il diritto all’alleanza nuziale. Giovanni è l’amico dello sposo (Gv 1,29) che non può condurre lo sposo-Cristo in giudizio davanti agli anziani per imporgli la rinuncia al suo diritto coniugale sull’umanità, sottomettendolo al rito dello scioglimento del legaccio del sandalo. «Non sono degno di sciogliere la fibbia del sandalo» significa: io non sono il Messia, lo sposo atteso e non mi contrappongo a lui, perché io sono solo «una voce che grida» e anticipa il vero battesimo: quello in Spirito Santo e fuoco» con cui lo sposo-Gesù accoglierà Israele/la Chiesa come sua sposa.
Nell’uno o nell’altro caso (che si tratti di rito di penitenza o di rito di riscatto nel contesto del diritto matrimoniale), Giovanni riconosce al Messia il diritto della primogenitura. Straordinaria figura, Giovanni il Battezzante che non perde mai il contatto con se stesso e non va fuori della linea maestra della sua vita e della sua ricerca. Egli ha coscienza di essere chi è e ciò gli basta. Fino in fondo. Fino ad assaporare la vita nella morte. Fino ad andare incontro alla morte come dovere della vita.
Nella terza domenica di Avvento, salendo all’altare della gioia, riceviamo il nutrimento che ci svela la nostra personalità, inviandoci nel mondo per testimoniare il diritto sponsale di Dio nei confronti dell’intera umanità, di cui siamo con temporaneamente figli e responsabili.
 
Credo o Simbolo degli Apostoli[17]
Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra; [Pausa: 1 – 2 – 3]
e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, [Pausa: 1 – 2 – 3]
il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine,  patì sotto Ponzio Pilato,
fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; [Pausa: 1 – 2 – 3]
il terzo giorno è risuscitato da morte; salì al cielo,
siede alla destra di Dio onnipotente; di là verrà a giudicare  i vivi e i morti. [Pausa: 1 – 2 – 3]
Credo nello Spirito santo,  la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne,  la vita eterna. Amen.
Preghiera universale [intenzioni libere]
MENSA EUCARISTICA
Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questo  gesto trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:
 
«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24),
 
Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.
Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.
 
[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]
 
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà riceviamo questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna.                 Benedetto nei secoli il Signore.
 
Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.
Il Signore riceva il sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.
 
Preghiamo (sulle offerte). Sempre si rinnovi, Signore, l’offerta di questo sacrificio, che attua il santo mistero da te istituito, e con la sua divina potenza renda efficace in noi l’opera della salvezza. Per Cristo nostro Signore. Amen.
PREGHIERA EUCARISTICA III[18] - Prefazio della Gerusalemme celeste
 
Il Signore sia con voi.             E con il tuo spirito.    In alto i nostri cuori.    Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.        E’ cosa buona e giusta.
E’ veramente giusto renderti grazie e innalzare a te l’inno di benedizione e di lode, Padre onnipotente, principio e fine di tutte le cose.
Rallegriamoci con la figlia di Sion, la santa Gerusalemme, ed esultiamo con Israele, perché il Signore ha revocato la condanna per sempre (cf Sof 3,14-15).
 
Egli fu annunziato da tutti i profeti, la Vergine Madre l’attese e lo portò in grembo con ineffabile amore,Giovanni proclamò la sua venuta e lo indicò presente nel mondo.
Santo Santo, Santo, il Signore Dio dell’universo. Kyrie, elèison, Christe, elèison, Pnèuma, elèison.I cieli e la terra sono pieni della tua gloria della tua santità. Osanna nell’alto dei cieli.
 
Lo stesso Signore, che ci invita a preparare il suo Natale ci trovi vigilanti nella preghiera, esultanti nella lode.
Il Signore, nostro Dio, è in mezzo a noi nella santa Assemblea, per questo non temiamo alcun male (cf Sof 3,16-17).
 
Per questo dono della tua benevolenza, uniti agli angeli e ai santi, con voce unanime proclamiamo l’inno della tua gloria:
Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il tre volte «Santo». Osanna nell’alto dei cieli. Christe, elèison. Pnèuma, elèison. Kyrie, elèison.
 
Padre veramente santo, a te la lode da ogni creatura.
Tu, o Signore, gioisce per noi e ci rinnovi con il tuo amore, ti rallegri per noi con grida di gioia (cf Sof 3,17).
 
Per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, nella potenza dello Spirito Santo fai vivere e santifichi l’universo, e continui a radunare intorno a te un popolo, che da un confine all’altro della terra offra al tuo nome il sacrificio perfetto.
Cantiamo inni a te, Signore, perché hai fatto cose eccelse, attraverso di noi le conosca tutta la terra (cf Is 12,5).
Ora ti preghiamo umilmente: manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, che ci ha comandato di celebrare questi misteri.
Siamo sempre lieti nel Signore, sì, siamo lieti perché egli viene (cf Fil 4,4).
 
Nella notte in cui fu consegnato, egli prese il pane, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO È IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
Ecco, Dio è la nostra salvezza, non avremo alcun timore, perché forza e nostro canto è il Signore; egli è la nostra salvezza (cf Is 12, 2).
 
Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO È IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.
Ecco il frutto della giustizia a lode e gloria di Dio: Gesù Cristo, Vino versato (cf Fil. 1,11).
 
FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
«Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore». Maràna thà – Il Signore viene! (cf Mc 12,29; 1Cor 16,22)
 
Mistero della fede.
Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice annunziamo la tua morte, proclamiamo la tua risurrezione, attendiamo il tuo ritorno: Maràn, athà – Signore nostro, vieni.
 
Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell’attesa della sua venuta ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie questo sacrificio vivo e santo.
Tu, o Signore sei un Dio vicino! Non ci angustiamo per nulla, ma in ogni circostanza presentiamo a te, o Padre, le nostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti (cf Fil, 4,5-6).
 
Guarda con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione; e a noi, che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito.
La pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i nostri cuori e i nostri pensieri in Cristo Gesù (cf Fil 4,7).
 
Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito, perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti: con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con i tuoi santi apostoli, i gloriosi martiri, e tutti i santi e le sante, nostri intercessori presso di te.
Lo spirito del Signore è su di noi, ci manda a portare il lieto annunzio ai miseri  (cf Is 61,1; Lc 4,18).
 
Per questo sacrificio di riconciliazione dona, Padre, pace e salvezza al mondo intero. Conferma nella fede e nell’amore la tua Chiesa pellegrina sulla terra: il tuo servo e nostro Papa …, il Vescovo …, il collegio episcopale, il clero, le persone che vogliamo ricordare…N.N.… e il popolo che tu hai redento.
Come le folle, anche noi interroghiamo il Signore Gesù: Che cosa dobbiamo fare?» (Lc 3,10.12.14).
 
Ascolta la preghiera di questa famiglia, che hai convocato alla tua presenza nel giorno in cui il Cristo ha vinto la morte e ci ha resi partecipi della sua vita immortale. Ricongiungi a te, Padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi.
Il Signore risponde: Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto» (Lc 3,11). 
 
Accogli nel tuo regno i nostri fratelli defunti e tutti i giusti che, in pace con te, hanno lasciato questo mondo; ricordiamo tutti i defunti… N.N. … concedi anche a noi di ritrovarci insieme a godere per sempre della tua gloria, in Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale tu, o Dio, doni al mondo ogni bene.
In mezzo a noi c’è il Cristo che noi conosciamo: egli ci battezza nella potenza della Parola e con Spirito Santo e fuoco (cf Lc 3,16).
 
Dossologia [è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]
 
PER CRISTO, CON CRISTO E IN CRISTO, A TE, DIO, PADRE ONNIPOTENTE, NELLA UNITÀ DELLO SPIRITO SANTO, OGNI ONORE E GLORIA, PER TUTTI I SECOLI DEI SECOLI. AMEN. ALL’AGNELLO IMMOLATO LODE, ONORE, GLORIA E POTENZA NEI SECOLI DEI SECOLI. AMEN.
 
Padre nostro in aramaico o in greco:
Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:
 


Avunà di bishmaià
Padre nostro che sei nei cieli
Pàter hēmôn, ho en tòis uranòis,
itkaddàsh shemàch
sia santificato il tuo nome
hagiasthētō to ònomàssu;
tettè malkuttàch
venga il tuo regno
elthètō he basilèiassu ;
tit‛abed re‛utach
sia fatta la tua volontà
genēthētō to thèlēmàssu,
kedì bishmaià ken bear‛a.
come in cielo così in terra
ōs en uranô kài epì ghês
Lachmàna av làna sekùm
iom beiomàh
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
 
Ton àrton hēmôn ton epiùsion dos
hēmîn sēmeron;
ushevùk làna chobaienà
e rimetti a noi i nostri debiti
kài àfes hēmîn ta ofeilēmata hēmôn,
kedì af anachnà
così come anche noi li rimettiamo
ōs kài hēmeîs afēkamen
shevaknà lechayabaienà
ai nostri debitori
tòis ofeilètais hēmôn,
veal ta‛alìna lenisiòn
e non abbandonarci alla tentazione
kài mē eisenènkēis hēmâs eis
peirasmòn
ellà pezèna min beishià Amen!
ma liberaci dal male. Amen!
allà riûsai hēmâs apò tû ponērû. Amēn.

 
Ant. comunione (Is 35,4): Dite agli sfiduciati: Coraggio, temete! / Ecco il vostro Dio viene a salvarvi.
 
Da Origene,Omelie su san Luca, 26,3
Il battesimo con il quale Gesù battezza è in Spirito Santo e fuoco (Lc 3,16). Se sei santo, sarai battezzato nello Spirito Santo; se sei peccatore, sarai immerso nel fuoco. Lo stesso battesimo diventerà condanna e fuoco per i peccatori indegni, ma i santi, coloro che si convertono al Signore con una fede piena, riceveranno la grazia dello Spirito Santo e la salvezza.
 
Vite e Detti di Santi musulmani (da Fraternitade, Giorno per Giorno, Pensiero del giorno del 10.12.2006)
Una volta ar-Rifa‘i incontrò un gruppo di poverelli che lo insultarono gridando : “O guercio, o Anticristo, tu permetti le cose proibite, tu alteri il Corano; eretico, cane!” Ahmed si scoprì la testa , baciò per terra e disse: “Miei signore, abbiate il vostro servo per iscusato”, e prese a baciar loro le mani e i piedi. “Siate soddisfatti di me – diceva – e usatemi indulgenza”. Quegli uomini, sopraffatti, finirono per dirgli: “Non abbiamo mai visto un poverello come te, capace di sopportare da noi tanti affronti senza scomporsi”. Disse Ahmed: “Questo dipende dalla vostra bárakah e dalla fragranza delle vostre virtù”, poi si volse ai suoi compagni e spiegò: “Tutto è stato a fin di bene: abbiamo dato loro modo di sfogare parole che tenevano nascoste nel loro intimo e che noi meritiamo più di tanti altri, e forse se avessero parlato così a un’altra persona, non l’avrebbe sopportato”.
 
Preghiamo. O Dio, nostro Padre, la forza di questo sacramento ci liberi dal peccato e ci prepari alle feste ormai vicine in cui facciamo memoria dell’Incarnazione del Cristo, Figlio tuo e Signore nostro. Amen.
 
Berakàh/Benedizione e Saluto finale
Il Signore sia con voi.                        E con il tuo spirito.
Il Signore atteso viene: benedice il suo popolo nella pace.               
Egli è l’Alfa e l’Omèga, il Principio e il Fine.                                             
Sia benedetto il suo Nome invocato su di noi.                                               Amen.
Il Signore rivolga il suo sguardo su di voi e vi doni il suo Spirito.    
Il Signore rivolga il suo Volto su di noi e ci doni la sua Pace.                   
Il Signore sia sempre davanti a voi per guidarvi.                              
Il Signore sia sempre dietro di noi per difenderci dal male.                      
Il Signore sia Sempre accanto a voi per confortarvi e consolarvi.      Amen.
E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre.             Amen!
 
La messa finisce come rito, continua nella testimonianza. Andiamo incontro al Signore che viene.
Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.
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Domenica 3a del tempo di Avvento –C. © Nota: L’uso di questi commenti è consentito citandone la fonte bibliografica - Paolo Farinella, prete – 13/12/2009 – Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete , Genova


[1] Sof 3,14-17riporta «il canto di gioia per Gerusalemme»: le espressioni figlia di Sion e figlia di Gerusalemme sono riferite alla santa città a cui il profeta rivolge l’invito alla gioia (cf Sof 3,14) e a non temere (cf Sof 3,16), perché Dio è in mezzo a Gerusalemme (cf Sof 3,16-17). Il racconto lucano dell’annuncio a Maria riecheggia questi temi (cfr. Lc 1,28-30).
[2] L’espressione «sorgente della salvezza» in ebraico si dice: «mimmà‘ haienè haieshuàh» dove l’ultima parola richiama il Nome «Gesù – Iehoshuà», che vuol dire «Dio è salvezza». Il Nome «Gesù» è il progetto stesso dell’Alleanza.
 
[3] Bisogna prestare attenzione all’uso delle parole, specialmente quando riguarda la Bibbia. Si sente spesso tradurre il termine «vangelo» con «buona novella», senza rendersi conto che chi usa questa espressione contribuisce anche suo malgrado a diffondere la «notizia» che il vangelo sia una favola per bambini. In italiano il termine «novella», al suo sorgere nel Duecento, aveva ancora il carattere di narrativa breve realistica, mentre oggi dal Novecento in poi, ha allargato i confini narrativi, di «racconto», tanto che è difficile distinguervi i diversi filoni che vanno dalla memoria agli appunti, alla satira di costume, al racconto fantascientifico. Il «vangelo» non è una «novella», ma è «la notizia gioiosa/che porta gioia» per il contenuto di ciò che annuncia e per chi lo annuncia. Mc 1,1 infatti, grammaticalmente può essere tradotto così: «Principio del Vangelo, cioè Gesù Cristo, cioè Figlio di Dio». 
[4] «Quattro chiavi sono nelle mani di Yhwh, signore dei secoli. Esse non sono affidate nemmeno a un angelo o a un serafino: la chiave della pioggia, la chiave del nutrimento, la chiave dei sepolcri e la chiave della sterilità. La chiave della pioggia perché è detto: Yhwh aprirà per voi il buon tesoro dei cieli (Dt 28,12). La chiave del nutrimento perché è detto: Tu apri la tua mano e sazi ogni vivente (Sal 145,16). La chiave dei sepolcri perché è detto: Ecco, aprirò i vostri sepolcri e vi farò uscire. La chiave della sterilità perché è detto: Yhwh si ricordò di Rachele nella sua misericordiosa bontà e Yhwh l’ascoltò la voce della preghiera di Rachele e decise per la sua parola di darle dei figli» (Targum Neofiti [e anche Targum frammentario] di Gen 30, 22).
[5] Per i Semiti, il cielo è una calotta trasparente, ma rigida che trattiene le «acque superiori», mentre il mare contiene e trattiene «le acque inferiori». Per fare piovere, Dio toglie i chiavistelli alle cateratte che si aprono e fanno scendere la pioggia, mentre nella siccità Dio chiude gli sportelli della pioggia e la pioggia non può più scendere.
[6] Il testo ebraico di Isaia ha il termine «ruach» che ha la doppia valenza di «spirito» e «vento», mentre la versione greca della Lxx usa il termine «ànemos» che propriamente significa «vento». Il fatto che Lc usi il termine «pnèuma» sta a significare che intende modificare il senso usato da Giovanni e dargli una portata maggiore che è data dal termine «Spirito» perché ci troviamo in un ambito religioso e morale (cf anche Mt 3,12).
[7] Il tema del sandalo da sciogliere è comune sia alla tradizione sinottica (Mt 3,11; Mc 1,7; Lc 3,16 e At 13,24-25) sia alla tradizione giovannea (Gv 1,30) che probabilmente è un’aggiunta posteriore. Questa unanimità è segno che dell’importanza attribuita dalla comunità primitiva al tema. Nei Sinottici l’espressione sul «sandalo» è preceduta dall’altra affermazione: «Ma colui che viene dopo di me è più forte di me» (Mt 3,11) che esprime non un significato locale/temporale di un prima e di un poi, ma la dinamica complessa del discepolo che viene dietro al maestro e lo supera che dovrebbe essere il compito specifico di ogni educatore (genitori, maestri, guide, insegnanti, autorità): «Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3,30; cf anche Talmud, Pirqè ‘Avot/Massime dei Padri 2,8).
[8] Mt parlando di «portare i sandali» fa riferimento probabilmente ai seguenti testi:
-      2Sam 15,30: «Davide saliva l’erta degli Ulivi, saliva piangendo e camminava con il capo coperto e a piedi scalzi-anypòdetos; tutta la gente che era con lui aveva il capo coperto e, salendo, piangeva».
-      Mic 1,8: «Perciò farò lamenti e griderò, me ne andrò scalzo-anypòdetos e nudo, manderò ululati come gli sciacalli, urli lamentosi come gli struzzi»
-      Ez 24,17.23: «Sospira in silenzio e non fare il lutto dei morti: avvolgiti il capo con il turbante, mettiti i sandali-hypo-dēmata ai piedi, non ti velare fino alla bocca, non mangiare il pane del lutto. Avrete i vostri turbanti in capo e i sandali-hypodēmata ai piedi: non farete il lamento e non piangerete, ma vi consumerete per le vostre iniquità e gemerete l'uno con l’altro».
[9] Cf. T. Maertens – J. Frisque, Guida, 1,106.
[10] Cf. L. Proulx-L. Alonso-Schökel, “Las sandalias del Mesías esposo”, in Bib 59 (1978) 1-37.
[11] Dt 25,5-10: «5Quando i fratelli abiteranno insieme e uno di loro morirà senza lasciare figli, la moglie del defunto non si sposerà con uno di fuori, con un estraneo. Suo cognato si unirà a lei e se la prenderà in moglie, compiendo così verso di lei il dovere di cognato. 6Il primogenito che ella metterà al mondo, andrà sotto il nome del fratello morto, perché il nome di questi non si estingua in Israele. 7Ma se quell’uomo non ha piacere di prendere la cognata, ella salirà alla porta degli anziani e dirà: “Mio cognato rifiuta di assicurare in Israele il nome del fratello; non acconsente a compiere verso di me il dovere di cognato”. 8Allora gli anziani della sua città lo chiameranno e gli parleranno. Se egli persiste e dice: “Non ho piacere di prenderla”, 9allora sua cognata gli si avvicinerà in presenza degli anziani, gli toglierà il sandalo dal piede, gli sputerà in faccia e proclamerà: “Così si fa all’uomo che non vuole ricostruire la famiglia del fratello”. 10La sua sarà chiamata in Israele la famiglia dello scalzato [sottolineature mie]». La legge del levirato (Dt 25,5-10) riguarda il cognato di una donna rimasta vedova e senza figli. Si chiama “legge del levirato” da levir, parola latina che significa cognato. La norma intende garantire la continuità della discendenza di una famiglia, quando è compromessa dalla morte prematura del marito, che non ha avuto figli. Il racconto di Tamar in cf Gen 38 e quello del matrimonio di Booz con Rut (cfr Rt 4) ne sono una illustrazione.
[12] Un lettore leggeva il testo della Scrittura in ebraico e un altro, il targumista/traduttore, faceva la traduzione simultanea, a senso, in aramaico, che era la lingua del popolo poiché l’ebraico al tempo di Gesù era parlato solo dalle persone colte e nella liturgia.
[13] Cf. anche il Targum Pseudo-Jonatan (Tj I) a.l.
[14] Cf. R. Fabris, Giovanni, nota 8 a p. 189.
[15] « 5E Booz proseguì: “Quando acquisterai il campo da Noemi, tu dovrai acquistare anche Rut, la moabita, moglie del defunto, per mantenere il nome del defunto sulla sua eredità”. 6Allora colui che aveva il diritto di riscatto rispose: “Non posso esercitare il diritto di riscatto, altrimenti danneggerei la mia stessa eredità. Subentra tu nel mio diritto. Io non posso davvero esercitare questo diritto di riscatto”. 7Anticamente in Israele vigeva quest'usanza in relazione al diritto di riscatto o alla permuta: per convalidare un atto, uno si toglieva il sandalo e lo dava all’altro. Questa era la forma di autenticazione in Israele. 8Allora colui che aveva il diritto di riscatto rispose a Booz: “Acquìstatelo tu”. E si tolse il sandalo».
[16] Gv 3,27-30: 27«Giovanni rispose: “Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stata data dal cielo. 28Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: ‘Non sono io il Cristo’, ma: ‘Sono stato mandato avanti a lui’. 29 Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. 30Lui deve crescere; io, invece, diminuire”».
[17] Il Simbolo degli Apostoli, forse è la prima formula di canone della fede, così chiamato perché riassume fedelmente la fede degli Apostoli. Nella chiesa di Roma era usato come simbolo battesimale, come testimonia Sant’Ambrogio: « È il Simbolo accolto dalla Chiesa di Roma, dove ebbe la sua sede Pietro, il primo tra gli Apostoli, e dove egli portò l'espressione della fede comune» (Explanatio Symboli, 7: CSEL 73, 10 [PL 17, 1196]; v. commento in Catechismo della Chiesa Cattolica, 194).
[18] La Preghiera eucaristica III è stata composta ex novo su richiesta di Paolo VI in attuazione alla riforma liturgica voluta dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Non ha un prefazio proprio, ma mobile e per questo, forse, ha finito per essere scelta, nella pratica, come la preghiera eucaristica della domenica.


Mercoledì 09 Dicembre,2009 Ore: 15:46
 
 
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