- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (0)
Visite totali: (328) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org Domenica 32a Tempo Ordinario – B – 8 novembre 2009 –,di Paolo Farinella, prete

Domenica 32a Tempo Ordinario – B – 8 novembre 2009 –

di Paolo Farinella, prete

Domenica scorsa (31a per annum B) la liturgia ci ha proposto lo «Shemà‛ Israel» come professione di fede del popolo ebraico, riletto dalla comunità cristiana primitiva alla luce dell’insegnamento di Gesù.. Abbiamo visto anche che la parola «uno» in ebraico «echàd» ha valore numerico di «13», cioè lo stesso valore della parola ebraica «‘ahavah/amore». Non si può amare Dio mescolato a qualcos’altro: Dio è uno come unico è l’amore. L’amore di Dio però non è concorrenziale all’amore umano; al contrario l’amore di relazione trova nell’amore di Dio il suo fondamento e la sua consistenza.
 
In questa 32a domenica del tempo ordinario B, la liturgia ci aiuta a compiere un passo in avanti e ci dà due esempi di questo amore «unico», le cui protagoniste sono due donne, due vedove. La vedova di Zarèpta[1] nella prima lettura, è colta nel gesto di condividere la sua vita, a rischio della morte, con uno straniero verso il quale non aveva alcun obbligo. La vedova del vangelo agisce nel silenzio della sua coscienza dove sa di essere alla presenza del Signore Dio. La prima supera gli obblighi legali che non le imponevano di aiutare un forestiero e si apre al rischio della novità che può portare la morte e dall’uomo di Dio riceve la vita per oggi e per domani. La seconda nella sua autenticità fa da contrappeso all’ipocrisia dei capi religiosi: questi si gonfiano nella loro vanagloria e servono Dio per farsi vedere e venerare, la vedova entra nel sacrario della sua coscienza e, nel silenzio della sua relazione interiore con Dio, non getta il superfluo che non ha nemmeno, ma tutto quello che getta nel tesoro è la sua vita: due spiccioli (corrispondenti circa a due centesimi).
Due atteggiamenti sono contrapposti: nella prima lettura la regina Gezabele, ricca e assetata di potere cerca la morte dell’uomo di Dio che si oppone ai suoi atti criminosi; nel vangelo una povera vedova è scelta da Gesù come immagine rappresentativa di Dio in opposizione a coloro che ne hanno usurpato la rappresentanza e che sono gli specialisti del culto e della liturgia. Gli esegeti non mettono in luce con il dovuto rilievo l’aspetto rivoluzionario di questo brano di vangelo e cioè che nell’intenzione di Gesù la vedova rappresenta Dio e il suo agire perché nel venire incontro all’uomo, egli non ha dato del suo superfluo, ma si è svuotato di sé per darsi tutto a tutti (cf Fil 2,7-8; 1Cor 12,6). Il «sacramento» visibile della persona e dell’agire di Dio non sono i capi, Farisei o Scribi, che ufficialmente lo rappresentano, ma una donna con l’aggravante di essere vedova: una nullità radicale, appartenente ad una delle tre categorie di marginalità, tipiche dell’epoca: orfano, vedeva, straniero.
Quando oggi i cristiani urlano contro gli stranieri si mettono dalla parte opposta di Dio che sta sempre dalla parte del più debole in forza della giustezza del suo amore e non in nome di una giustizia di comodo. Ciò non vuol dire che la povertà, l’emarginazione, gli stranieri, specie se di altra religione e cultura non pongano problemi, al contrario una visione più profonda della realtà, una visione che abbia l’orizzonte dello sguardo di Dio, vede i problemi, opera su di essi il discernimento dello Spirito e infine cerca le soluzioni più adeguate e rispettose della dignità di tutti.
La seconda lettura fa da sintesi liturgico-teologica: l’Autore della lettera riflette sullo «Yom Hakippur» il giorno ebraico dell’espiazione, quando il sommo sacerdote entrava, unica volta nell’anno, nel Santo dei Santi per invocare il perdono di Dio su di sé e sul popolo con due sacrifici. Nel primo sacrificio un ariete veniva sacrificato nel Tempio e il suo sangue veniva diviso in due parti, con una metà si aspergeva il popoloe l’altra metà era versata sull’altare e bruciata in sacrificio di lode[2]. Nel secondo un altro ariete veniva caricato dei peccati del popolo e inviato nel deserto, dove era ucciso, scaraventato in burrone: il capro espiatorio.
Non c’è più bisogno di capri espiatori, ora Dio stesso offre e immola se stesso sulla croce perché nessun profeta debba più essere perseguitato e nessuna vedova debba essere costretta a immolare la sua stessa vita. Il Salmo responsoriale espone in forma sapienziale il volto di Dio che si prende cura degli oppressi, protegge i giusti, sfama gli affamati, libera i prigionieri, sostiene l’orfano e la vedova (cf salmo 146/145, infra). Il nuovo Tempio dell’alleanza nuova è l’umanità di Gesù e l’umanità di ogni persona: è lì che ormai si celebra la liturgia della vita e si compie il sacrificio di redenzione per tutta l’umanità. Ci affidiamo allo Spirito Santo perché ci doni la misura della «larghezza, altezza e profondità» dell’amore di Dio (Ef 3,18-19).
 
Spirito Santo, padre e difensore degli orfani e delle vedove,                                    Vieni, Spirito Santo.
Spirito Santo, che guidasti Elia alla casa della vedova pagana di Zarèpta,     Vieni, Guida di chi cerca.
Spirito Santo, che hai affidato la vita del profeta all’accoglienza della vedova,        Vieni, santa Accoglienza.
Spirito Santo, che hai salvato la vita della vedova con la Parola del profeta,            Vieni, Padre dei poveri.
Spirito Santo, che susciti sentimenti di bene nei credenti e nei non credenti,            Vieni, Principio di unità.
Spirito Santo, che porti la giustizia agli oppressi e la libertà ai prigionieri,     Vieni, santa Libertà.
Spirito Santo, che illumini chi vuole vedere e rialzi chi è caduto,                             Vieni, provvido Soccorso.
Spirito Santo, che proteggi e difendi lo straniero da ogni sopruso,                Vieni, Spirito Paràclito.
Spirito Santo, fai della comunità dei credenti il santuario dell’alleanza nuova,         Vieni, santo Sigillo.
Spirito Santo, con la tua presenza unifichi vita e rito in un unico sacrificio,             Vieni, Fiamma d’Amore.
Spirito Santo, che guidi il popolo di Dio all’incontro finale con il Cristo,      Vieni, Pellegrino d’Amore.
Spirito Santo, tu ispiri in chi crede attitudini di riservatezza e di pudore,                   Vieni, Fuoco purificatore.
Spirito Santo, tu soffochi ogni tentazione di appariscenza vanitosa,             Vieni, Forza della Fede.
Spirito Santo, tu sostieni chi condivide tutto quello che ha ed è,                               Vieni, Fonte di Carità.
Spirito Santo, tu respingi le offerte di chi vuole comprarti a suo beneficio, Vieni, Sorgente di Gratuità.
Spirito Santo, donaci la fede della vedova che pone se stessa nel cuore di Dio,       Vieni, Trasparenza di Dio.
 
Nella economia della fede, nulla della nostra vita può e deve essere estraneo alla Presenza di Dio, ben sapendo che ciò non comporta una limitazione della nostra libertà. La lezione che la Parola ci dà oggi è duplice: Dio non fa differenze di persona, ma parla al profeta come alla vedova pagana. Con la vedova del vangelo simbolo di Dio, siamo invitati ad essere semplicemente noi stessi per essere autentici testimoni credibili di Dio. Né esaltazione né rassegnazione: essere veri è la condizione dell’autentica umiltà. Sapendo che l’agire di Dio è oltre ogni frontiera, invochiamo la sua Shekinàh
 
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e dello Spirito
Santo.
Amen.
(ebraico)
Beshèm
ha’av
vehaBèn
veRuàch
haKodèsh.
 
Gli Scribi sono superbi e pieni di sé per questo impediscono a Dio di incontrarli, nonostante siano specialisti della religione, dei riti e della Parola, di cui conoscono anche le prescrizioni più sottili e insignificanti. Spesso la religione è un impedimento alla fede. Chiediamo al Signore per la potenza dello Spirito Santo che ci liberi da ogni religiosità superstiziosa, superficiale e alla fine atea. Chiediamo la trasparenza della fede insieme a quella del cuore. Chiediamo perdono.
 
[Le prime tre risposte sono in ebraico, le altre in greco]
 
Signore Gesù Cristo, abbi pietà di noi, peccatori, ascolta e perdonaci,          Signore Gesù, Christe, elèison.
Figlio di Dio, accogli la nostra piccola povertà,          ascolta e redìmici,       Figlio del Padre, Kyrie, elèison.
Signore, donaci la purità del cuore che ama, ascolta e purificaci,      Messia, aiutaci. Christe, elèison.
Signore, figlio di Davide, abbi pietà di noi,  ascolta e santìficaci,                  Figlio di David, Kyrie, elèison.
Cristo, tu scegli la vedova segno del tuo agire, ascolta e protèggici,   Gesù, ascoltaci. Kyrie, elèison.
Signore, nel tuo Nome liberaci dal male, ascolta e risànaci,              Christe, elèison. Pnèuma, elèison.
 
Dio onnipotente, che nella vedova di Zarepta ha voluto assistere il suo profeta e ha scelto quella del vangelo per rivelarci il mistero di Dio, ci conceda la sua misericordia perché possiamo essere testimoni credibili del suo amore senza confini, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna nei secoli dei secoli. Amen.
 
GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente      [breve pausa 1-2-3]
 
Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi.             [breve pausa 1-2-3]
 
Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo:          [breve pausa 1-2-3]
Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.
 
Preghiamo (colletta).O Dio, Padre degli orfani e delle vedove, rifugio agli stranieri, giustizia agli oppressi, sostieni la speranza del povero che confida nel tuo amore, perché mai venga a mancare la libertà e il pane che tu provvedi, e tutti impariamo a donare sull’esempio di colui che ha donato se stesso, Gesù Cristo nostro Signore. Egli è Dio, e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Mensa della Parola
Prima lettura 1Re 17,10-16. Il profeta Elia appartiene al ciclo dei profeti «non scrittori», cioè vissuti prima del sec. VIII a.C. Egli ha un posto d’onore nella tradizione giudaica perché è il profeta che avrebbe annunciato il Messia come lo stesso Gesù riconosce identificandolo con Giovanni Battista (Mt 11,7-15). Ancora oggi durante la cena pasquale ebraica si lascia una sedia vuota per lui perché può presentarsi nelle vesti di un povero e la quarta coppa di vino è detta: «la coppa di Elia». Il brano di oggi mette in evidenza la fede del profeta che, mentre è perseguitato da una donna potente che sperpera nel lusso, la regina Gezabele, non esita a chiedere aiuto ad un donna straniera e pagana che non ha nemmeno il necessario per vivere. Il profeta credente e la vedova pagana sono immagine di Abramo che affidano a Dio il loro futuro. A questo racconto si ispira Gesù nel commentare il gesto di della vedova del vangelo.
 
Dal primo libro dei Re 1Re 17,10-16
In quei giorni, 10 Elia si alzò e andò a Sarèpta. Arrivato alla porta della città, ecco una vedova che raccoglieva legna. La chiamò e le disse: «Prendimi un po’ d’acqua in un vaso, perché io possa bere». 11 Mentre quella andava a prenderla, le gridò: «Per favore, prendimi anche un pezzo di pane». 12Quella rispose: «Per la vita del Signore, tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo». 13Elia le disse: «Non temere; va’ a fare come hai detto. Prima però prepara una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, 14poiché così dice il Signore, Dio d’Israele: “La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra”». 15Quella andò e fece come aveva detto Elia; poi mangiarono lei, lui e la casa di lei per diversi giorni. 16La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia. - Parola di Dio.
 
Salmo responsoriale 146/145, 6c.7; 8-9a; 9bc-10. Il salmo 146/145 introduce il terzo Hallel[3] che comprende gli ultimi cinque salmi del salterio (1° Hallel: Sall 113-118; 2° Hallel: Sal 136). E’ un inno a Dio salvatore dell’afflitto e del povero. Si compone di un invito alla lode (vv. 1-2) e si conclude acclamando la regalità divina (v. 10). La parte centrale riportata dalla liturgia celebra Dio che si prende cura dell’uomo in qualsiasi situazione di oppressione ed emarginazioni si trovi. E’ stato scelto perché fa da sfondo sia alla 1a lettura che al vangelo.
 
Rit.Loda il Signore, anima mia.
1. 6c Il Signore rimane fedele per sempre,
7 rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri. Rit.
il Signore ama i giusti,
9 il Signore protegge i forestieri. Rit.
3. 9 Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
2. 8 Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
10 Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, per ogni generazione. Rit.
 
Seconda lettura Eb 9,24-28. Il sacerdote ebreo convertito al cristianesimo sta spiegando ai cristiani giudei che non hanno più accesso al tempio e ai sacrifici che nulla è stato perduto perché ora Gesù Cristo è il nuovo ed eterno sacerdote che ha sostituito e superato il sacerdozio levitico. Nel brano di oggi si sofferma a descrivere Cristo che realizza perfettamente la festa di Yom Kippur (giorno dell’espiazione) prescritto dal libro del Levitico (16,11-16) nel rispetto del rituale: Gesù entra nel Santo dei Santi come sommo sacerdote (Lv 16,24.26.27b) e vi compie l’espiazione versando non il sangue di animali, ma il suo stesso sangue (Lv 16,24.28a). Questo rito che s’identifica con colui che lo compie è «unico», è irripetibile: ad esso noi partecipiamo ogni volta che celebriamo l’Eucaristia.
 
Dalla lettera agli Ebrei Eb 9,24-28
24Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. 25E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: 26in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte. Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. 27E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, 28 così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza. - Parola di Dio.
 
Vangelo Mc 12,38-44. Con questo brano si chiudono le discussioni di Gesù con i Giudei. Il brnao del vangelo di oggi si compone di due parti, strettamente legate dalle figure della vedeva e dagli Scribi. La prima (vv. 38-40) contiene una maledizione agli Scribi che derubano le vedove, la seconda (vv. 41-44) contiene una benedizione della vedeva che viene proposta come «immagine di Dio». Alla religione del superfluo Gesù oppone la necessità della fede, all’apparenza e alla vanagloria invece oppone l’umiltà e la vita. Ancora una volta ci troviamo di fronte al capovolgimento delle situazioni: i due momenti del brano, infatti, sono un commento della parabola dei vignaioli omicidi (Mc 12,1-9) dove ai capi è tolto il regno di Dio che viene dato invece ai poveri che ne erano esclusi. Lo Spirito Santo ci aiuti a vivere la totalità della vita come la vedova del vangelo.
 
Canto al Vangelo Mt 25,34.
Alleluia. Beati i poveri in spirito, / perché di essi è il regno dei cieli. Alleluia.
 
Dal Vangelo secondo Marco 12,38-44
In quel tempo, 38 Gesù diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, 39avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. 40Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa». 41 Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. 42Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. 43Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. 44Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». - Parola del Signore.
 
Spunti di omelia
I protagonisti della 1a lettura e del vangelo sono due vedove, cioè due donne che per la cultura dell’epoca sono esseri insignificanti, giuridicamente irrilevanti. La vedova poi è una categoria marginale al limite della schiavitù, perché una vedova che non avesse una qualche forma di protezione poteva essere preda di chiunque. Le due donne sono anonime. Sia la prima lettura che il vangelo abbondano di contrasti. La vedova di Zarèpta si contrappone alla regina Gezabèle: questa vuole imporre il suo Dio, Bàal (1Re 18,20); quella si apre ad un Dio straniero annunciato da un profeta che viene da oltre confine[4]. La regina vive nel lusso e ruba ai poveri, ricorrendo anche all’omicidio (1Re 21,1-25), la vedova di Zarèpta è povera e si prepara a morire nella sua povertà estrema. Il profeta Elia colpisce la regina Gezabèla con una maledizione terrificante: sarà sbranata dai cani nel luogo del suo delitto (1Re 21,17-24), lo stesso profeta Elia riserva invece alla vedova di Zarèpta una benedizione di vita e di prosperità. La regina Gezabèle muore, la vedova vive.
La prima chiave di lettura del racconto della prima lettura è certamente la fede, cioè l’abbandono totale nelle mani di Dio. Ebbe fede il profeta che chiede da mangiare ad una vedova che sta morendo di fame (vv.11-13) ed ebbe fede la vedova che si fidò dell’uomo di Dio regalando il suo ultimo pasto all’ospite. Sia Elia che la vedova somigliano ad Abramo, il quale senza conoscere la mèta, si affida alla nudità della Parola di Dio e rischia il suo futuro. Credere è sposare il comandamento di Dio senza preoccuparsi del risultato.
La seconda chiave di lettura, per noi molto attuale, è il senso di universalità che il testo respira e trasmette. Il profeta e la Parola di Dio superano i confini della teologia dell’epoca e si aprono ai poveri delle altre nazioni (cf Lc 4,25-26). Il profeta di Dio e la donna pagana esprimono in modo sublime la fede pura che il Dio di Israele chiede ad Abramo e che Paolo esporrà magistralmente nelle sue lettere: «Non c’è più Giudeo né Greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). I cristiani non possono perdere tempo a misurare i confini della singole nazioni: con l’avvento di Cristo siamo entrati nella dimensione dell’universalità e si estende oltre i confini del mondo per giungere fino al cuore dell’eternità. E’ in questa logica e in questo contesto che dobbiamo affrontare e risolvere i processi migratori che riguardano tutti i popoli. In un tempo come il nostro segnato dal fenomeno dell’emigrazione di stampo biblico, è penoso vedere singoli, gruppi e popoli che si definiscono credenti nel Dio di Elia e di Paolo e accostarsi a questi fenomeni con il sentimento della «paura» che domina sulla razionalità e sui criteri della fede stessa.
Di fronte a questi testi che oggi proclamiamo come Parola di Dio, possiamo avere paura dell’altro, chiunque esso sia? Nella nostra fede troviamo la forza e la luce per scorgere nell’altro da qualsiasi confine giunga un immagine di Dio, un segno della sua benevolenza, un comandamento di condivisione e amore. Dentro questa logica di Dio dobbiamo vivere le contraddizioni che la prima lettura ci ha messo davanti: anche i Musulmani si disprezzassero come infedeli, noi li ameremo come fratelli e sorelle; anche se l’immigrato è diffidente, noi lo giudicheremo degno di fede; anche se abbiamo paura di dovere cambiare modo di pensare, noi ci convertiremo nel Nome di Dio, nel segno della «Chiesa cattolica», cioè nel Nome del Dio unico e universale.
Noi siamo già nel NT e dovremmo avere superato il concetto del «dio territoriale», della religione chiusa negli usi e costumi di una etnia. Se non abbiamo compreso il testo della prima lettura di oggi, vuol dire non solo che non siamo ancora nel NT, ma che non siamo entrati nemmeno nell’AT. Se ci lasciamo dominare dalla paura e vogliamo rinchiudere il Dio di Elia, di Paolo e di Gesù in uno schema angusto e in una visione quasi privatistica, è segno che siamo del tutto fuori della fede. Forse siamo uomini e donne religiosi, persone cioè che compiono atti e gesti di ritualità scontata, ma non siamo uomini e donne che professano la propria fede nel Dio creatore del cielo e della terra e nel Signore che censisce i popoli (Sal 87/86,6) o nel Signore a cui «le famiglie di popoli» tributano gloria e potenza (Sal 96/95,7). La domanda che ci poniamo è: a che punto siamo della storia della salvezza? Come Chiesa universale, come Chiesa locale, come comunità e come singoli, siamo sicuri di avere incontrato Gesù di Nazareth? Se guardiamo alla storia della salvezza come paradigma della storia di ciascuno, dove ci troviamo «adesso»? Siamo ancora con Adamo ed Eva nel tentativo di usurpare il trono di Dio? Siamo con Caino ad attuare il fratricidio? Siamo con Noè nel vortice del diluvio? Siamo dentro la barca tra i vivi o siamo tra i morti che della loro autosufficienza avevano fatto la loro sfida a Dio? Siamo in esilio o nella Terra promessa? Con i profeti o nella siccità della Parola? Siamo ai piedi della croce o ai bordi del vuoto sepolcro o siamo invece a baloccarci con le religiosità-giocattolo per dare sfogo ai nostri istinti di uomini e donne immaturi? E’ urgente trovare la propria collocazione nel contesto della storia della salvezza perché solo così la salvezza diventerà la nostra storia e la Parola di Dio il codice di accesso e di lettura.
Nel vangelo abbiamo una situazione in parte simile e in parte molto rivoluzionaria. Il brano si divide in due parti: la maledizione agli scribi che come la perfida Gezabèle derubano le vedove (vv. 38-40) e la benedizione della vedova che non ha nulla se non la sua povertà (vv. 41-44). Queste due parti sono nell’economia di Mc un commento alla parabola dei vignaioli omicidi (Mc 12,1-9): il Regno di Dio viene tolto ai capi del popolo e ai responsabili del culto e viene dato ai poveri che non ne avevano diritto perché erano stati dichiarati impuri. La vedova al v. 42 viene detta «povera»: in greco si usa la parola «ptōchê» lo stesso termine che è usato nella prima beatitudine: «Beati i poveri (gr. ptōchòi) in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3). La traduzione esatta di questo termine in italiano è «pitocco»[5], essere pauroso e insignificante. E’ una rivoluzione radicale, un capovolgimento totale che noi abbiamo annacquato in uno spiritualismo di maniera per toglierci da ogni coinvolgimento e per impedirci di fare scelte di conversione. Il cristianesimo è tutto qui perché il volto del Dio di Gesù Cristo è questo non altri. O si fa la scelta della povertà come dimensione e condizione della visibilità di Dio o possiamo fare feste, liturgie, usare drappi e panneggi, ma restiamo fuori dal cuore stesso del vangelo, cioè dalle beatitudini. La povertà non è una categoria sociale, ma una dimensione dello spirito che ci porta ad incarnarci nella storia sull’esempio di Gesù e ad assumere tutte le povertà materiali per trasformarle in sacramento di condivisione e di fede.
L’antitesi ricco-povero che è una caratteristica della predicazione di Gesù (Lc 6,20-24) qui si materializza binomio scriba-vedova con una serie di contrasti che servono a mettere in risalto le figure e i contenuti che esprimono. Gli scribi amano la visibilità e sono ossessionati dalle vesti sontuose per essere visti e osannati dalle piazze: «amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze» (v. 38). La versione italiana traduce con «amano» il testo greco che invece usa il verbo «thèlō» che significa «voglio/desidero/bramo» e quindi esprime una decisione consapevole della volontà e in ultima analisi una ricerca ossessiva dell’applauso popolare. Alla loro ostentazione non può corrispondere la giustizia interiore perché essi proprio perché hanno il potere, lo esercitano per i loro interessi anche a scapito della Toràh che imponeva di non maltrattare l’orfano e la vedova (Es 20,21) e di renderli partecipi delle decime offerte per il culto (Dt 14,29). Gli scribi che rappresentano l’autorità di Dio avrebbero dovuto proteggere coloro che Dio protegge, ma divorando «le case delle vedove» si escludono dalla rappresentanza di Dio perché hanno perduto la loro autorità di guide religiose. Essi, infatti, non pregano, ma «ostentano di fare lunghe preghiere» (v. 40) perché ormai vivono solo per se stessi e per alimentare il culto della loro personalità.
Per Gesù è la vedova che rappresenta degnamente Dio e ne esprime il volto. Dio si è paragonato al seminatore, al vignaiolo, al pastore, e ora si paragona ad una donna per giunta vedova e addirittura povera. Il testo è imbarazzante per la nostra mentalità e la nostra religiosità[6]. Se qualcuno avesse qualche dubbio non deve fare altro che leggere in sinossi questo racconto con l’inno alla «svuotamento» di Dio della lettera ai Filippesi:[7]
 
5 Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù, 6Fil 2,5-11).egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, 7ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall'aspetto riconosciuto come uomo, 8umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce.9Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, 10perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, 11e ogni lingua proclami: "Gesù Cristo è Signore!", a gloria di Dio Padre» (
 
La vedova ha «stessi sentimenti che furono di Gesù Cristo» perché ella imita Dio non solo nel suo comportamento, ma anche nel suo essere. A differenza degli scribi che vivono «sdoppiati», la vedova è ciò che appare e appare ciò che è nel suo intimo: essere a apparire sono la stessa cosa in un’unica armonia. Se Dio ci avesse dato solo ciò che gli avanzava, sarebbe stato meglio rappresentato dai ricchi i quali danno ieri come oggi solo del loro superfluo. Dio al contrario ha dato a noi solo ciò che è, il suo necessario, in una parola tutto se stesso e anche oltre. Il testo di Paolo (sopra riportato) per descrivere il comportamento di Dio al v. 7 usa un termine sconvolgente che in greco è «ekènōsen» (dal verbo kenòō) che significa «fece il vuoto/svuotò/tolse il pieno» (cf 1Cor 1,17) e quindi anche «si distrusse» (cf 1Cor 9,15)[8]. Nell’incarnazione di Gesù, Dio non ci dà qualcosa di sé come la vita, la grazia, la partecipazione alla sua gloria, ma va oltre: svuota annulla se stesso e si dona «tutto» a noi, esattamente come fa la vedova che non prende una moneta per offrirla al Tempio, ma offre l’unica moneta che ha, il necessario per la sua sopravvivenza[9].
Questa pagina di vangelo dovrebbe aiutarci a purificare l’immagine stessa di Dio, a rivedere la teologia che si nutre di un «dio astratto», staccato dal Dio che si manifestato negli atti, nei gesti e nelle scelte di Gesù di Nazareth, il quale è venuto a dire con chiarezza e senza possibilità di equivoci che Dio è tale solo se serve (Mc 10,45), solo se si mette in ginocchio per lavare i piedi degli uomini e delle donne (Gv 13,1-5): è un Dio che assume a sua immagine la figura di una donna che in quanto donna è l’emblema del servizio puro, gratuito: del servizio fattosi amore, senza chiedere in cambio nulla. Per Gesù, la vedova povera è la profezia che il modo di essere proprio di Dio è la povertà che si fa amore totale.
 
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.
[Pausa: 1-2-3]

Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. [Pausa: 1-2-3]
 
Credo nello Spirito Santo, che é Signore e da la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti. [Pausa: 1-2-3]
 
Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.
 
Preghiera universale [Intenzioni libere]
 
Preghiera sulle offerta. Volgi il tuo sguardo, o Padre, alle offerte della tua Chiesa, e fa’ che partecipiamo con fede alla passione gloriosa del tuo Figlio, che ora celebriamo nel mistero. Per Cristo nostro Signore. Amen.
MENSA EUCARISTICA
Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:
 
«23Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).
 
Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.
Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.
 
[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]
 
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna.                         Benedetto nei secoli il Signore.
 
Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.
Il Signore riceva il sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.
 
PREGHIERA EUCARISTICA II  (detta di Ippolito, prete romano del sec. II)
Cristo Salvatore e Redentore [prefazio proprio]
Il Signore sia con voi                         E con il tuo spirito.    In alto i nostri cuori  Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.                 E’ cosa buona e giusta.
 
E’ veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Gesù Cristo, tuo dilettissimo Figlio.
Tu, Signore, Dio d’Israele hai detto: «La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore non farà piovere sulla terra»(cf 1Re 17,14).
 
Egli è la tua Parola vivente, per mezzo di lui hai creato tutte le cose, e lo hai mandato a noi salvatore e redentore, fatto uomo per opera dello Spirito Santo e nato dalla Vergine Maria.
Santo, Santo, Santo sei tu, Signore Dio dell’universo. Kyrie, elèison. Christe, elèison, Pnèuma, elèison. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria, o Provvidenza che custodisci ogni persona (cf Gb 10,12).
 
Per compiere la tua volontà e acquistarti un popolo santo, egli stese la braccia sulla croce, morendo distrusse la morte e proclamò la risurrezione.
Così avvenne secondo la tua Parola: «La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì» (1Re 17,16).
 
Per questo mistero di salvezza, uniti agli angeli, ai santi e alle sante del cielo e della terra, proclamiamo a una sola voce la tua gloria:
Osanna nell’alto dei cieli. Kyrie, eleison. Christe, eleison. Pnèuma, elèison. Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell’alto dei cieli.

Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito
perché diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore.
Tu, o Padre, sei fedele per sempre, rendi giustizia agli oppressi, dai il pane agli affamati e liberi i prigionieri» (Sal 146/145,6-7).
 
Egli, offrendosi liberamente alla sua passione, prese il pane e rese grazie, lo spezzo, lo diede ai suoi discepoli, e disse:  PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
 
Il pane che dona il tuo Figlio ridona la vista ai ciechi, il pane che discende dal cielo rialza chi è caduto, il pane della vita nutre gli affamati di giustizia (Sal 146/145,8).

Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice e rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO É IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.
 
Noi prendiamo il calice della nuova ed eterna alleanza e annunciamo al mondo che Gesù è il Signore (Fil 2,11).
 
FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
Cristo Signore, sommo sacerdote, è apparso nella pienezza dei tempi, per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso (cf Eb 9,26).
 
MISTERO DELLA FEDE.
Annunciamo la tua morte, proclamiamo la tua risurrezione, attendiamo il tuo ritorno. Maràn, athà – Signore nostro, vieni.
 
Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo, Padre, il pane della vita e il calice della salvezza, e ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza per il servizio sacerdotale.
Il Cristo, tuo Figlio,  non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote del tempio, ma si dona a noi nella santa cena ogni volta che lo Spirito convoca la santa Chiesa (cf Eb 9,25).
 
Ti preghiamo: per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo.
Chi ha fame venga e mangi, chi ha sete venga e beva: questo è il nutrimento della fede (cf Pr 9,5).
 
Ricordati, Padre, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra: rendila perfetta nell’amore in unione con il nostro Papa …, il Vescovo …, le persone che amiamo e che vogliamo ricordare … e tutto l’ordine sacerdotale che è il popolo dei battezzati.
Non permettere, Signore, che inganniamo noi stessi, nutrendoci di apparenza e di vanità (cf Mc 12,38).
 
Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione e di tutti i defunti che affidiamo alla tua clemenza…. ammettili a godere la luce del tuo volto.
Tu, o Padre, hai mandato a noi la vedova del vangelo come «sacramento» del tuo Figlio che ha dato tutto se stesso per noi, senza chiedere in cambio nulla  (cf Mc 12, 43-44).
 
Di noi tutti abbi misericordia: donaci di aver parte alla vita eterna, insieme con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con gli apostoli e tutti i santi, che in ogni tempo ti furono graditi: e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua gloria.
 
Dossologia [è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]
 
Per Cristo, con Cristo e in Cristo,  a te, Dio Padre onnipotente,  nell’unità dello Spirito Santo,  ogni onore e gloria. O santa Trinità, non ti offriamo  oro, incenso e mirra, ma colui che in questi santi doni è significato, immolato e ricevuto: Gesù Cristo nostro Signore e Redentore.Per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
Padre nostro in aramaico: Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:
 
Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià
sia santificato il tuo nome
itkaddàsh shemàch
venga il tuo regno
tettè malkuttàch
sia fatta la tua volontà
tit‛abed re‛utach
come in cielo così in terra
kedì bishmaià ken bear‛a.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh
e rimetti a noi i nostri debiti
ushevùk làna chobaienà
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori
kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà
e non abbandonarci alla tentazione
veal ta‛alìna lenisiòn
ma liberaci dal male.
ellà pezèna min beishià. Amen!
 
Antifona alla comunione (Sal 23/22,1-2)
Il Signore è mio pastore, non manco di nulla; in pascoli di erbe mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce.
 
Dopo la Comunione
Da san Paolino di Nola(Lettera 34)
Gli altri avevano dato del loro superfluo, ma essa, forse più povera di molti poveri - dato che tutta la sua fortuna si riduceva a due spiccioli - era nel suo cuore più ricca di tutti i ricchi. Badava solo alle ricchezze della ricompensa eterna; avara dei tesori celesti, essa rinunciò a tutto ciò che possedeva sotto forma di beni provenienti dalla terra e ritornanti alla terra. Diede ciò che aveva per possedere ciò che non vedeva.
 
Da Farid ud-Dîn detto Attar [= colui che fa e commercia profumi], poeta e mistico sufi (Nishapur, Persia 1119-1220 ca.-1136-1230 ca.), La Farfalla e la Luce.
 
 
1. Una notte le farfalle si riunirono
in assemblea, volevano conoscere
che cosa fosse una candela. e dissero:
“chi andrà a cercare notizie si di essa?”

2. La prima andò a volare intorno a un castello
e da lontano, dall’esterno vide
una luce che brillava. tornò
e la descrisse con parole dotte.
ma una farfalla saggia – presiedeva
lei l’assemblea – le disse:
“tu non sai nulla”.

3. E un’altra partì, si avvicinò
arrivò sino a urtare la cera.
volò nei raggi della fiamma.
tornò, raccontò quello che sapeva.
ma la farfalla saggia disse: “tu,
tu non hai conosciuto nulla più della prima”.

4. Una terza infine si mosse, ed ebbra entrò
battendo forte le ali nella fiamma
tese il suo corpo alla fiamma, l’abbracciò
in essa si perse piena di gioia
tutta avvolta nel fuoco, le sue membra
divennero di porpora, tutte di fuoco.

5. E quando da lontano la farfalla
saggia la vide divenuta una
cosa sola con la candela, e tutta luce
disse: “lei sola ha toccato la meta, lei sola sa”.

6. Chi più di sé è dimentico
quello tra tutti sa.
finché non oblierai
il tuo corpo, la tua anima,
che cosa saprai mai
dell’Amata.

 

 

Preghiamo. Ti ringraziamo dei tuoi doni, o Padre: la forza dello Spirito santo, che ci hai comunicato in questi sacramenti, rimanga in noi e trasformi tutta la nostra vita. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
Benedizione e saluto finale
Il Signore è con voi.                E con il tuo spirito.
Sia benedetto il Nome del Signore che invochiamo su ogni nome di uomo e donna ovunque nel mondo.
Nel suo Nome saranno benedette tutti i popoli della terra (cf Sal 72/71,17).
 
Sia Benedetto colui che è Benedetto in cielo e in terra.                                 Amen.
Vi benedica l’Alfa e l’Omega, il Principio e il Fine.                          Amen.
Sia benedetto il Nome del Signore invocato su di noi.                    
 
Rivolga il Signore il suo Nome su di voi e vi doni il suo Spirito.      
Rivolga il Signore il suo Volto su di noi e ci doni la sua Pace.       
 
Sia sempre il Signore davanti a voi per guidarvi.                               Amen.
 
Sia sempre il Signore dietro di voi per difendervi dal male.              
Sia Sempre il Signore accanto a noi per confortarci e consolarci.           
 
E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre.             Amen!
 
La messa finisce come rito, continua come storia e testimonianza. Andiamo in Pace.
Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo in pace.
 
 
_______________________________
© Nota: L’uso di questi commenti è consentito citandone la fonte bibliografica
Domenica 32a del Tempo Ordinario – B – Parrocchia di S. Maria Immacolata e San Torpete – Genova
Paolo Farinella, prete – 12/11/2006 – San Torpete – Genova
 


[1] Paese della Fenicia, attuale Siria, a 13 chilometri a sud di Sidòne, sul Mare Mediterraneo.
[2]Nella cultura semitica «dam – sangue» è considerato la sede della vita, per cui versare il sangue significa dare la vita e il sacrificio di sangue è sacrificio di comunione di vita.
[3] «Hallel» è abbreviazione dell’ebraico «Halleluyà» (alla lettera: lodate/esaltate Yhwh). Con questo termine si indica una serie di gruppi di salmi che cominciano con l’invito alla lode: «Alleluia». Il più importante è il primo detto anche «Hallel egiziano» perché come spiega Rashi (Rabbi Shlomo Ytzchaki o Yarchi 1040 – 1105 d.C.), commentando il Talmud babilonese (Berakot 56a) è cantato a Pasqua per celebrare l’uscita dall’Egitto. E’ questo l’«inno» che Gesù ha cantato con i suoi discepoli di cui si parla in   Mc 14,26 e Mt 26,30. Deve essere cantanto «con bellezza » secondo il Midrash Cantico Rabba II,31 perché deve esprimere con forza l’entusiasmo di tute le generazioni d’Israele che in ogni epoca escono dalla schiavitù dell’Egitto e vivono la Pasqua di liberazione. Oggi, ma probabilmnete anche ai tempi di Gesù un modo di cantarlo consiste nella recita da parte di un solista a cui l’assembloea risponde intercalando «alleluia» ad ogni mezzo versetto per un totale di 123 «alleluia» (Cf. U. Neri, ed., Alleluia. Interpretazioni ebraiche dell’Hallel di Pasqua (Sal 113-118), Città Nuova, Roma 1981).
[4] Una concezione diffusa all’epoca era quella del «dio territoriale»: una divinità non aveva poteri fuori dei confini di sua competenza. La divinità è legata alla terra. Un esempio classico si trova nel ciclo delle gesta di Eliseo (2Re 5,1-27; Lc 4,27) dove si narra di un certo Nàaman capo dell’esercito siriano affetta da lebbra. Egli va da Eliseo che lo guarisce. Ritornando al suo paese chiede al profeta di potersi portare un po’ di terra d’Israele, quanta ne possono trasportare due muli per salire su di essa e potere ringraziare il Dio d’Israele che lo ha guarito. Pregare su quella terra aveva lo stesso valore che essere in Israele (è lo stesso principio che sta alla base del tappeto di preghiera dei Musulmani).
[5] Dal verbo ptōchéō, mendicare/accattare ha una connotazione di paura, spavento (ptôs), da cui pitocco.
[6] La versione della Bibbia della Cei nella 1a edizione del 1971 e nella revisione del 1974, nulla dice a riguardo del significato di questo brano, mentre nella 2a revisione del 1997, a piè pagina riporta: «12,41-44 (vedi Lc 21,1-4). La figura della vedova, che versa la sua misera offerta nel tesoro del Tempio, vuole illustrare il comandamento dell’amore di Dio. Dio attende una fede semplice, alinea da ogni calcolo, pronta a mettere in gioco la propria vita» (C.E.I., La Sacra Bibbia, Nuovo Testamento, Libreria Editrice Vaticana, Roma 1997, 131). E’ una interpretazione «morale», non esegetica perché qui non si tratta del comandamento dell’amore, ma del comportamento di Dio, degli uomini e delle donne. La vedova è più rappresentativa di Dio di coloro che lo dovrebbero manifestare istituzionalmente.
[7] Fil 2,5-11: al centro dell’esortazione a vivere unanimi e concordi nell’amore, sta l’inno di Fil 2,6-11 in cui si celebra e contempla il dramma di Gesù Cristo, la sua umiliazione fino alla morte di croce (cf Fil 2,8) e l’esaltazione fino alla gloria di Signore (cf Fil 2,11). Paolo riprende dalla tradizione liturgica la piccola composizione poetica e l’adatta al contesto della sua lettera. Fil 2,6-8: Gesù Cristo, in forza della sua originaria uguaglianza con Dio, avrebbe potuto rivendicare un’esistenza umana gloriosa. Ha scelto, invece, di condividere la condizione umana restando, nella umiliazione della morte, fedele a Dio. Fil 2,9: Il nome indica la natura intima, dignità e il ruolo di Signore, attribuiti a Gesù da Dio stesso (cf Eb 1,4). Fil 2,10-11: Le espressioni «ogni ginocchio si pieghi», «ogni lingua proclami» (cf Is 45,23) e il titolo di Signore, riservati esclusivamente a Dio, sono ora riferiti a Gesù risorto.
 
[8] Per descrivere l’incarnazione, Gv 1,14 usa il verbo «eskênōsen» (dal verbo skēnòōmi attendo/pianto/met-to/fisso la tenda/la dimora, da cui deriva skēnê - tenda): «Il Lògos carne fu fatto e si attendò/pose la tenda/fissò la dimora tra noi». I due verbi (kenòōmi svuoto e skēnòōfisso/pianto la tenda) hanno la stessa radice semantica e quindi sono in relazione di senso tra loro. Lo svuotarsi di Dio è farsi umano. Come ci si abbassa per piantare i pioli della tenda, così Dio deve abbassarsi per entrare nella dimensione umana che è più piccola della divinità: deve svuotarsi per adeguarsi alla nostra portata. Il termine skēnêtenda traduce l’ebraico «‘ohèl» usato anche per indicare la «tenda del convegno/tabernacolo» che custodiva le tavole della Toràh lungo la traversata del deserto (Es 26). Lo svuotamento di Dio altro non è che la natura umana trasformata in Tempio della sua Shekinàh/Dimora/Presenza. Se si vuole incontrare lo Spirito di Dio, bisogna vivere la stessa esperienza di Dio: immergersi nell’umano fino in fondo perché è il luogo privilegiato dell’incarnazione che manifesta e svela il volto autentico del Dio di Gesù (è la Teologia della Storia).
[9] «Due spiccioli»: il lepton o spicciolo era la moneta più piccola ebraica (Lc 12,42; Lc 21,2; 12,59) e corrispondeva a 2 soldi, per cui «due spiccioli» erano 4 soldi che corrispondeva ad un «quadrante», la moneta più piccola del mercato romano. La paga giornaliera di un operaio era di un denaro che corrispondeva a 16 soldi, per cui ne deriva che l’offerta della vedova di «due spiccioli» corrispondeva ad un quarto di paga giornaliera di un operaio. Una inezia.


Martedμ 03 Novembre,2009 Ore: 15:25
 
 
Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (0) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
Il Vangelo della domenica

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info