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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org Solennità Tutti i Santi A-B-C 1° novembre 2009,a cura di Paolo Farinella, prete

Solennità Tutti i Santi A-B-C 1° novembre 2009

a cura di Paolo Farinella, prete

* Solennità Tutti i Santi A-B-C[1] 
1° novembre 2009
Ingresso: Cappella Musicale: ALESSANDRO SCARLATTI (1660-1725): TOCCATA TERZA
 
MESSA CONCERTATA di ALESSANDRO SCARLATTI
 
«MESSA À CINQUE VOCI IN DUE CHORI «PER SANTA MARIA MAGGIORE»
 
Accademia dei Virtuosi – Cappella Musicale[2]
 
CHORO I
CHORO II
 
 
Cantus I
Luisa Bagnoli
Cantus II
Alessandra Secci
Altus
Luca Soattin
Tenor
Filippo Biolé
Bassus
Matteo Armanino
Cantus I
Luisa Cuneo, Emanuela Nuvolone
Cantus II
Laura Basso, Chiara Longobardi
Altus
Marina Mucci, Raffaella Romano
Tenor
Carlo Bavastro, Salvatore Spanò, Federico Wrubl
Bassus
Alberto Cerin, Marcello Modena, Riccardo Musenich
Basso Continuo
Mario del Grosso, organo
Federico Bagnasco, violone
 
DIRETTORE: LUCA FRANCO FERRARI
 
INTRODUZIONE
Oggi, Festa di Tutti i Santi e di Tutte le Sante nella Gerusalemme terrestre e celeste, continua per noi un evento che ritengo di grande rilievo per questa parrocchia e per la città di Genova: ricorre infatti il 1° compleanno dell’«Ensemble Accademia dei Virtuosi della Scuola Musicale Giuseppe Conte di Genova Pegli e Cappella Musicale della parrocchia di San Torpete», di cui è direttore il M°. Luca Franco Ferrari. Desidero ringraziare pubblicamente tutti e singoli i componenti della Cappella, insieme alla Scuola Giuseppe Conte di GE-Pegli di cui è parte integrante e attiva. Siamo orgogliosi di averli come nostra Cappella Musicale. La Messa concertata di oggi, la prima delle quattro in programma, è la «MESSA À CINQUE VOCI IN DUE CHORI «PER SANTA MARIA MAGGIORE»[3].
La Messa, cioè l’Eucaristia, è l’evento più importante per i cristiani, reso più solenne e anche più austero dal servizio della Cappella che si mette in 2° piano, come un sottofondo musicale per dare risalto al mistero eucaristico che celebriamo. Se sappiamo ascoltare la Musica nel contesto dell’Eucaristia per la quale e in funzione della quale è nata ed ha senso, la gusteremo di più e sapremo custodirla nel nostro cuore con gioia e passione. Lasciamo che la musica afferri la nostra preghiera e i nostri sentimenti e ci trasporti nel cuore stesso di Dio per diventare a nostra volta musica di vita e passione d’amore.
 
Oggi prima della Messa faremo distribuiremo una scheda e compileremo insieme: riguarda la stagione musicale. Ripeteremo questa indagine/intervista personale durante il concerto del 18 aprile 2010. Vorrei pregare di compilarla in modo veritiero e personale. Alcuni collaboratori, distribuiranno e raccoglieranno le schede.
 
La presenza della Cappella Musicale ha un grande significato spirituale e culturale perché nel riprendere la grande e sana tradizione della musica nella liturgia, vogliamo dare una risposta al tentativo di regressione oggi in atto nella Chiesa che noi non riteniamo un museo del passato, ma un armonioso e organico sviluppo, di epoca in epoca, con gli strumenti e la cultura di ogni epoca, in cammino verso il compimento finale.
 
Oggi la mia famiglia celebra l’onomastico di mio fratello Santo, morto tragicamente all’età di 31 anni: con mia cognata, qui presente, abbiamo sempre voluto celebrare il giorno onomastico piuttosto che il giorno della morte, avvenuta il 28 marzo del 1982. Insieme a lui vorrei che ricordaste anche i miei genitori, Rosa e Giuseppe, il papà di mia cognata Agostino, e i defunti di ciascuno di voi perché oggi è la Festa di tutti i Santi e di tutte le Sante del cielo e della terra che sono molto più numerosi di quelli iscritti nel calendario ufficiale. Non è un caso che domani celebriamo la loro memoria come prolungamento della solennità luminosa di oggi.
Oggi è anche il 38° anniversario della mia ordinazione a prete avvenuta nella cattedrale di San Lorenzo il 1 novembre 1972. Ringrazio Dio di avermi chiamato ad essere prete con un cuore laico. Non sono mai stato pentito di questa scelta, anche se molti hanno tentato di farmi ponti d’oro. Non lascerò mai la Chiesa nella quale voglio morire, anche se questo può fare venire le coliche a qualche cardinale.
Oggi insieme agli amici di Oregina vogliamo anche ricordare il decimo  anniversario della morte di don Ettore Mazzini che ricorreva il 29 ottobre. Prete genovese che visse oltre trent’anni in Messico avendo la strada per chiesa. Uomo di immensa cultura, musicista e disegnatore, colpiva per la freschezza del suo pensiero e per la vivacità delle sue idee. Stargli vicino significava contagiarsi in avanti e mai indietro. Vogliamo ricordarlo in tutto lo splendore della sua povertà che fu totale, assoluta, libera.
 
Narra un midrash ebraico, ripreso anche da un apocrifo che, dopo avere creato la terra, prima di creare l’uomo, al crepuscolo del quinto giorno, Dio chiamò l’arcangelo Michele e gli ordinò di raggiungere i quattro angoli della terra a nord, a sud, ad est e a ovest e di portargli un pizzico di polvere da ogni angolo. Con quella polvere raccolta nei quattro punti cardinali avrebbe creato l’uomo. Impastò, diede forma, animò e infine «ecco l’uomo» che nell’intenzione di Dio non è bianco, nero, giallo, residente o immigrato, cittadino o straniero, ma è solo «Adam» che significa «genere umano». Ogni individuo porta in sé tutta l’umanità e tutta l’umanità porta in sé ogni persona, uomo o donna, in qualunque paese, nazione e cultura si trova a vivere: ogni individuo, infatti, ha solo una caratteristica: è «immagine eterna di Dio». Nessuno la può violare senza compiere un sacrilegio.
Oggi 1 novembre la Chiesa dà forza teologica a questa realtà: si celebra la festa di «Tutti i Santi e di tutte le Sante del cielo e della terra»[4], senza differenze come ci dirà la 1a lettura di oggi, tratta dall’Apocalisse: «apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua» (Ap 7,9). Pensiamo come è bella questa prospettiva: nessuno è straniero, ma tutti siamo cittadini; nessuno è extracomunitario, ma tutti siamo figli di una sola famiglia; nessuno è di un’altra razza (un insulto alla scienza e alla ragione!), ma tutti siamo cittadini del mondo; nessuno è superiore perché tutti siamo figli della fame e del vento, del dolore e della speranza. Oggi prendiamo coscienza di essere orgogliosi di appartenere alla «Chiesa Cattolica» che per sua natura e per mandato del Signore è «universale».
Se in mezzo a noi c’è qualcuno che nutre sentimenti anti-immigrati, che pensa che gli immigrati, specie se neri, siano inferiori o nutre sentimenti razzisti, sappia che non può partecipare a questa Eucaristia senza commettere un peccato grave contro la stessa persona di Dio. Davanti a Dio che è «Padre nostro» possiamo stare solo e a condizione che riconosciamo e accettiamo gli altri, tutti, come nostri uguali con gli stessi diritti e gli stessi doveri. Se qualcuno milita in formazioni partitiche xenofobe, sappia è colpevole di un delitto contro l’umanità e ha perso il diritto di essere cristiano perché Gesù è un Giudeo, un emigrante, un perseguitato, un ricercato dalla polizia di Stato, un morto ammazzato con l’accusa di essere un sobillatore.
 
Facciamo festa oggi perché è la nostra festa di battezzati nella santità di Dio che ci genera suoi figli e figlie per portare nel mondo la rivoluzione cristiana: annunciare che un nuovo mondo sorge dalle macerie del vecchio, un mondo fatto di uomini e donne nuovi che annunciano un èra di pace universale, senza divisioni, senza distinzioni, senza nazioni perché il mondo intero è radunato sul monte del Signore, rappresentato da questo altare sul quale insieme spezziamo il pane e distribuiamo il calice per tutte le genti. Oggi, festa di Tutti i santi e di tutte le Sante del cielo e della terra, ascoltiamo l’invito ad essere non piccoli come gli uomini, ma grandi e immensi e sconfinati come Dio stesso che ha il cuore spalancato sul volto di ogni uomo e di ogni donna.
 
«Nel Nome di Yhwh, il Santo d’Israele (Sal 71/70,22; 89/88, 19, ecc; Is 1,4; 5,19, ecc.) viene a noi Gesù di Nazareth, il Messia, il Santo di Dio che nel momento della sua morte lascia in eredità la stessa santità di Dio, lo Spirito Santo cosicché la vita trinitaria diventa il fondamento della santità della chiesa in ogni tempo e luogo. Entriamo dunque nella beatitudine dell’Eucaristia, il Santo dei Santi per eccellenza, dove possiamo sono solo vedere il volto di Dio come egli è, fragile come un pane e povero come la parola, ma possiamo anche comunicare con lui e in lui con tutti gli uomini e le donne di buona volontà che vogliono costruire un mondo nuovo proiettato verso l’unità e l’universalità senza limiti.
 
Spirito Santo, tu sei il sigillo di salvezza che ci ha segnati nel battesimo,      Veni Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei il Maestro che ci guida all’incontro finale con Dio,                   Veni Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la luce che svela il volto dell’Agnello di Dio,                 Veni Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei forza che sostiene chi fatica a salire il monte di Dio,                 Veni Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu ci insegni che il vero Povero di spirito è Gesù,                                Veni Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu ci conduci a Gesù, mite ed umile bel cuore,                                    Veni Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la nostra fame e sete insaziabili di giustizia,                   Veni Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu ci educhi alla scuola della pace dei figli di Dio,                  Veni Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu ci abiliti a celebrare l’Eucaristia, nostra beatitudine,                        Veni Sancte Spiritus!
 
Un midràsh ebraico racconta che da Adam in poi, quando una generazione pecca, la Gloria/Kabòd di Dio si ritira verso il cielo allontanandosi dalla terra, mentre quando una generazione si converte, scende e si avvicina alla terra[5]. Noi vogliamo chiedere a Dio di appartenere alla generazione che lo avvicina alla terra: per riconoscerlo Uomo tra gli uomini, Dimora tra di noi della tenerezza della santa Trinità che invochiamo:
 
(ebraico)
Beshèm
ha’av
vehaBèn
veRuàch
haKodèsh.
Amen.
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e dello Spirito
Santo.
 
Non devastate la terra… L’Apocalisse sottolinea il tema della dilazione come un tempo supplementare di salvezza La condanna e la distruzione sono sospesi perché noi ora possiamo radunarci attorno al Dio vicino ed essere con lui in comunione di vita: ci è concesso un tempo supplementare perché ci è data un’altra possibilità di conversione. Per questo esaminiamo la nostra coscienza e con l’aiuto dello Spirito Santo, invochiamo il dono della teshuvà/della conversione del cuore.
 
[breve, ma reale pausa di silenzio per l’esame di coscienza]
 
Cappella Musicale
ALESSANDRO SCARLATTI: «MESSA À CINQUE VOCI IN DUE CHORI:
Kyrie, elèison! Christe, elèison! Kyrie, elèison!
 
Dio onnipotente, per i meriti dei Santi e delle Sante del cielo e della Terra, per i meriti dei Patriarchi d’Israele degli Apostoli della Santa Chiesa, abbia misericordia di noi perdoni i nostri peccati e ci conduce alla vita eterna. Amen.
 
Cappella Musicale
ALESSANDRO SCARLATTI: «MESSA À CINQUE VOCI IN DUE CHORI Gloria in excelsis...
 
Gloria in excelsis Deo
Gloria a Dio, nell'alto dei cieli,
Et in terra pax hominibus bonae voluntatis.
e pace in terra agli uomini di buona volontà.
Laudamus Te, benedicimus Te, adoramus
Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo,
Te, glorificamus Te,
ti glorifichiamo,
Gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam,
ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa.
Domine Deus, Rex coelestis, Deus Pater omnipotens.
Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente,
Domine Fili Unigenite, Jesu Christe, Domine Deus,
Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio,
Agnus Dei, Filius Patris:
Agnello di Dio, Figlio del padre:
Qui tollis peccata mundi miserere nobis;
tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi;
Qui tollis peccata mundi
tu che togli i peccati del mondo,
suscipe deprecationem nostram,
accogli la nostra supplica;
Qui sedes ad dexteram Patris miserere nobis.
tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi.
Quoniam Tu solus Sanctus, Tu solus Dominus,
Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore,
Tu solus Altissimus,
tu solo l'Altissimo:
Jesu Christe,
Gesù Cristo
Cum Sancto Spiritu in gloria Dei Patris. Amen.
con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.
 


 
Preghiamo (colletta). O Dio onnipotente ed eterno, che doni alla tua Chiesa la gioia di celebrare in un unica festa i meriti e la gloria di tutti i Santi e di tutte le Sante, concedi al tuo popolo, per la comune intercessione di tanti nostri fratelli, l’abbondanza della tua misericordia. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
Liturgia della Parola
Prima lettura Ap 7,2-4.9-14. Il brano di oggi è tratto dalla seconda parte del libro dell’Apocalisse: il settenario dei sigilli (4,1-8,1). Descrive il 6° sigillo, il più importante perché riguarda la fine della storia. Per descrivere l’intervento di Dio l’autore si serve di tre visioni. La liturgia riporta la 2a e la 3a che descrive i 144.000 segnati e la folla enorme che nessuno poteva contare. L’autore s’ispira ad Ezechiele (9,4-6) che segna sulla fronte quelli che non hanno ceduto all’idolatria. Dio stesso porrà il sigillo della salvezza sulla fronte di tutta l’umanità. Le 12 tribù nominate due volte [ e 12 x 12 x 1.000 è = a 144.000] sono Israele (12 Tribù) e la Chiesa (12 Apostoli). La folla della 2a visione «che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua» (v. 9) descrive tutti i credenti di tutti i credenti di tutti i tempi fino alla fine dei tempi.
 
Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo 7,2-4.9-14
Io, Giovanni, vidi salire dall’oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di devastare la terra e il mare: «Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio». 4 E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele. 9 Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. 10 E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello». 11 E tutti gli angeli stavano attorno al trono e agli anziani e ai quattro esseri viventi, e si inchinarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio dicendo: 12 «Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen». 13 Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?».14 Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello». – Parola di Dio.
 
Salmo responsoriale 24/23,1-2; 3-4ab; 5-6. Il salmo di 24/23 insieme ai salmi 15/14 e 134/133 è un salmo liturgico professionale, cantato durante la processione mentre l’arca varcava la soglia del Tempio. L’arca è simbolo della Shekinàh/Presenza di Dio. Alla domanda dei pellegrini: «Chi salirà il monte del Signore?» Il levita rispondeva elencando le qualità morali per ascendere al Tempio, alla presenza della Shekinàh. Il ritornello è una evidente ripresa della 6a beatitudine del vangelo odierno.
 
Rit. Ecco la generazione che cerca il tuo volto, Signore.


1. 1Del Signore è la terra e quanto contiene:
il mondo, con i suoi abitanti.
2È lui che l’ha fondato sui mari
e sui fiumi l’ha stabilito.
Rit.
2. 3Chi potrà salire il monte del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
4Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli.
Rit.
3. 5Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
6Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe. Rit.


 
Seconda lettura1 Gv 3,1-3. La prima parte della 1a lettera di Gv è centrata sui termini «comunione» e «conoscenza» di Dio. Ora nella seconda parte l’autore sviluppa gli stessi temi dal punto di vista dell’essere «figli di Dio» non in modo simbolico, ma concreto e sperimentale. Gli eretici, coloro che mettono in dubbio l’incarnazione umana di Gesù sono avvertiti: alla fine noi «vedremo Dio come egli è» (v. 2) e non simbolicamente. Già fin d’ora ne abbiamo l’anticipo nell’Eucaristia.
 
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo 3,1-3
Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro. – Parola di Dio.
 
Canto al VangeloMt 11,28
Alleluia.Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, / e io vi darò ristoro. Alleluia.
 
VangeloMt 5,1-12a. Le Beatitudini sono la solenne introduzione profetica al 1° discorso programmatico di Gesù che è il discorso della montagna. Una Toràh rinnovata scende dal nuovo Monte della rivelazione: non più una parola scritta sulle tavole di pietra, ma la Parola incarnata, cioè il Lògos fatto Uomo. Ora è Dio stesso che insegna e chiama i popoli al Monte di Dio realizzando così la profezia di Isaia 2,1-5: la convergenza finale e pacifica di tutti i popoli sul suo Monte per ascoltare la Parola del Signore. Ecco la Parola: sette beatitudini sono rivolte a noi perché non ascoltiamo più per mezzo dell’interme-diario Mosè, ma ora anche noi possiamo sedere accanto al Signore (v. 2) che ci chiama «beati» perché vediamo e ascoltiamo il Verbo della vita «così come egli e» (1Gv 3,2).
 
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, 1 vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. 10 Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. 11 Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12 Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli». – Parola del Signore.
 
Spunti di omelia
«Essere santi!» è l’invito costante di Yhwh nell’AT e di Gesù nel vangelo: «Siate santi perché Santo sono Io il Signore Dio vostro – qedoshìm tihyù ki qadòsh anì Yhwh elohekèm» (Lv 19,2; 1Pt 1,16); «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli – èsesthe hymeî tèleioi hôs ho patêr hymôn ho ourànios tèleiós estin» (Mt 5,48). Per secoli i preti hanno riservato la santità ad alcune categoria  di persone, considerando gli altri come intrinsecamente impossibilitati ad esserlo. Da una parte il clero, i monaci e le persone che avevano abbandonato il mondo, considerato come una precondizione di santità che poi s’identificava con un cliché stereotipo: senza personalità, occhi bassi, estraneo ad ogni afflato di vita, dedito alla sofferenza e alla mortificazione come condizione essenziale della vita, sottomissione a chiunque esercitasse un potere e tristezza assicurata. Spesso tutto ciò era accompagnato da manie frutto di una perversione psicologica che rasentava la schizofrenia e la patologia di coloro che vivono chiusi in ambiente solo maschili o solo femminili con travagli e traumi e tragedie che solo Dio conosce. Oggi una porzione di questo velo si è scoperto e scopriamo che molti,m troppi, che tanti anni sono stati considerati modelli di santità, erano invece poveri malati che non avevano risolto alcun problema fondamentale della loro vita, specialmente in materia sessuale e li abbiamo trovati manipolatori e abusatori di minori perché infantili e irrisolti anche loro a motivo preminente della loro formazione che si occupava talmente del loro spirito da dimenticarsi del loro corpo e separandoli ha generato frustrati, divenuti carnefici per gli altri.
Oggi vogliamo prendere consapevolezza che la santità è un cammino semplice e lineare, vicino a chiunque, impossibile solo a chi non vuole esserlo. Essere santi significa in primo luogo essere se stessi, esserlo sempre, esserlo senza paura. Essere se stessi significa prendere coscienza che ciascuno di noi è un valore immenso, eterno e senza prezzo, perché ogni uomo e ogni donna è «immagine di Dio». Ognuno di noi lo è per sempre. Essere santi significa incontrare Gesù Cristo e riconoscerlo come Figlio e in lui riconoscersi figli. Questo significa che qualunque sia lo stato della nostra vita, anche quando sbagliamo, noi siamo sempre figli di Dio perché come la paternità umana non può essere disconosciuta nei confronti di un figlio degenere, così la paternità/maternità di Dio non può, per rivelazione, venire mai meno. Anche se noi cessassimo, per assurdo di essere figli di Dio, Dio non può cessare di essere «Padre nostro» perché rinnegherebbe se stesso e Dio non può ingannarsi né ingannarci.
Siamo Santi e Sante, ogni volta che in tutto ciò che siamo, viviamo, speriamo, disperiamo, amiamo e temiamo, sappiamo riconoscere il segno di Dio, che è lo Spirito Santo. Ogni volta che ne rileviamo la presenza, noi compiamo un atto di santità che di per sé è contagioso. Ogni volta che amiamo noi diamo volto e nome all’amore di Dio che viene a sedersi a mensa con noi per condividere la sua eternità d’amore. Ogni volta che sappiamo riconoscere negli altri il sigillo di Dio e sappiamo accoglierli come parte integrante di noi stessi, noi siamo santi; così pure se nel lavoro, nelle scelte della vita, nella vita di famiglia, con gli amici, in viaggio, ovunque diamo un senso a tutto ciò che operiamo e facciamo, noi estendiamo la santità di Dio attraverso la normalità e la ordinarietà della nostra vita vissuta come pellegrinaggio verso la tappa conclusiva che è l’inizio di un èra nuova: il Regno escatologico di Dio.
Oggi però i testi della liturgia pongono una discriminate: non può essere santo, cioè si esclude dal banchetto del Regno colui o colei che non accetta la dimensione universale della fede che è l’espressione della universalità della paternità/maternità di Dio. Il tema è molto attuale e per dirlo in altri termini possiamo formularlo così: chiunque fa differenza di persone o si rifiuta di accogliere anche una sola persona o nutre sentimenti di razzismo o considera anche una sola persona inferiore e non degna degli stessi diritti e doveri, si autoesclude dalla santità di Dio. Oggi la liturgia ci fa danzare la danza della universalità e della inclusione di tutti e di ciascuno, siano essi singoli o popoli, nell’unica dimensione di santità che è il cuore di Dio. A questo riguardo bisogna essere chiari, come abbiamo accennato nell’introduzione: chiunque è razzista, xenofobo, chiunque considera gli immigrati come la somma di tutti i mali, chiunque non riconosce il diritto alla mobilità di tutti in tutto il mondo, chiunque non riconosce il diritto dei poveri ad accedere alla mensa del benessere, chiunque sfrutta un immigrato e lo costringe ad una vita di schiavo, chiunque sfrutta una prostituta o un prostituto alimentando così la schiavitù delle persone e il mercato delle mafie, è responsabile del degrado del mondo, complice dell’ingiustizia, còrreo del delitto di lesa umanità e nega l’esistenza di Dio. Può dire formule di preghiera dal mattino alla sera, può andare in chiesa mille volte al giorno, io vi dico che costui se ne torna a casa con un peccato ancora maggiore come il fariseo del tempio (cf Lc 18,14).
L’apocalisse ci dà la prospettiva e l’orizzonte: 144.000 = 12x12x1000 e cioè le 12 tribù d’Israele moltiplicate per i 12 apostoli, basamenti della Chiesa, che simboleggiano il mondo non giudaico, moltiplicati ancora per 1000 e si ottiene un numero senza confine. Il risultato è il numero simbolico di 144.000 che non è un numero definito, ma indica la totalità d’Israele più la totalità della chiesa aperta al mondo non giudaico più un numero infinito che comprende l’umanità intera (12x12x1000 = 144.000). Ora se si fa la somma di 144 (1+4+4) si ottiene la cifra 9 che in ebraico corrisponde ad «’Adam» (‘_D_M = 1+4+40 = 1+4+4 = 9) che significa «genere umano». Questi numeri non sono casuali, ma esprimono una grande teologia perché poco dopo lo stesso autore dice: «Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello» (Ap, 7,9). E’ il progetto d’integrazione che dovrebbe interessare ogni uomo e ogni credente, in Italia, in Europa e nel mondo: una moltitudine che nessuno poteva contare…di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Un solo popolo senza confini, territori, cultura e religione che si apre ad una prospettiva più grande: la Gerusalemme celeste, quella che comprende e abbraccia anche coloro che sono morti. I quali morti sono parte integrante della vita perché contemplano la vita, mentre noi pellegrini in cammino verso l’unità, ne anticipiamo alcune forme e assaporiamo la premessa. Come siamo piccini, quando vogliamo mettere i paletti ai confini di una nazione!
La santità è incontrare Dio che è presente in tutte le persone che incontriamo sul nostro cammino, chiamarlo per nome e farlo entrare nel nostro cuore e nel nostro affetto, perché Dio è uno solo, ma presente in tutti. E’ questo il segno della santità cristiana che diventa fede in Dio e accoglienza di uomini e donne in un cammino di speranza che costruisce un presente e un futuro di amore. La santità è imitare Dio che si fa prossimo degli ultimi e tra gli ultimi ancora dei più ultimi. Le beatitudini che abbiamo appena proclamato altro non sono che l’attuazione del progetto di Dio: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sente e mi avete dato bere; ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato,, ero in carcere e siete venuti a trovarmi… Signore quando …? ... In verità vi dico: ogni volta che lo avete fatto ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me» (Mt 25,35-36.37.40.42-43.44.45). Se siamo credenti, andiamo nel mondo e imitiamo il Signore, se non siamo credenti, facciamo lo stesso perché questa è la misura della civiltà, senza aggettivi e senza sconti.
 
Professione di fede [proclamato tutti insieme, rispettando le pause]
 
Credo o Simbolo degli Apostoli[6]
 
Io Credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra;            [breve pausa 1-2-3]
e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitato da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio onnipotente: di là verrà a giudicare i vivi e i morti. [breve pausa 1-2-3]
Credo nello Spirito santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen.
 
Preghiera universale [intenzioni libere]
 
[Spiegare il senso della raccolta]
 
Cappella Musicale[durante la preparazione delle offerte]
ALESSANDRO SCARLATTI: FUGA IN RE MAGGIORE
 
Preghiamo (sulle offerte). Ti siano graditi, Signore, i doni che ti offriamo in onore di tutti i Santi e delle Sante: essi che già godono della tua vita immortale, ci proteggano nel cammino verso di te. Per Cristo nostro Signore. Amen.
PREGHIERA EUCARISTICA II (detta di Ippolito, prete romano del sec. II)
Prefazio proprio di Tutti si santi

Il Signore sia con voi.             E con il tuo spirito.  In alto i nostri cuori.    Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.        E’ cosa buona e giusta.
 
E veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.
Stiamo in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, lodando a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello. (cf Ap 7,9-10).
 
Oggi ci dai la gioia di contemplare la città del cielo, la santa Gerusalemme che è nostra madre, dove l’assemblea festosa dei nostri fratelli e sorelle glorifica in eterno il tuo Nome.
«Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen» (Ap 7,12).
 
Verso la patria comune, noi pellegrini sulla terra, affrettiamo nella speranza il nostro cammino, lieti per la sorte gloriosa di questi membri eletti della Chiesa, che ci hai dato come amici e modelli di vita.
Chi salirà il monte del Signore,Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non pronunzia menzogna
chi starà nel suo luogo santo?
(Sal 24/23,3-4).
 
Per questo dono del tuo amore, uniti all’immensa schiera degli Angeli, dei Santi e delle Sante cantiamo a una sola voce la tua gloria:               
 
Cappella Musicale
ALESSANDRO SCARLATTI: «MESSA À CINQUE VOCI IN DUE CHORI
 

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus Sabaoth.
Santo, Santo,Santo,il Signore Dio degli eserciti
Pleni sunt caeli et terra gloria tua.
I cieli e la terra sono pieni della tua gloria.
Hosanna in excelsis.
Osanna nell’alto dei cieli.
Benedictus qui venit in nomine Domini.
Benedetto, nel nome del Signore, Colui che viene.
Hosanna in excelsis
Osanna nell’alto dei cieli.

 
 
Anafora Eucaristica
Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito perché diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore.
Signore, tu hai detto: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli»(Mt5,3).
 
Egli si offrì liberamente alla sua passione, prese il pane e rese grazie, lo spezzo, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI:  QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
«Tu, o Signore, sei il pane vivo disceso dal cielo: chi mangia di questo pane vivrà in eterno»(Gv 6,51).
 
Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice e rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO É IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA  ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.
«Il calice della benedizione che noi benediciamo, è comunione con il sangue di Cristo»  (1 Cor 10,16).
 
FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
Ti rendiamo grazie sull’arpa, per la tua fedeltà, o Signore nostro Dio! Canteremo sulla cetra, o Santo d’Israele ( cf Sal 71/70,22).
 
MISTERO DELLA FEDE.
Per il mistero della tua santa croce, salvaci o Cristo Risorto, Santo di Dio! Maranà thà! Vieni, Signore!
 
Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo, Padre, il pane della vita e il calice della salvezza, e ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale.
«Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti perché erediteranno la terra» (Mt 53,4-5).
 
Ti preghiamo per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo.
«Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia perché saranno saziati» (Mt 5,6).
 
Ricordati, Padre, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra: rendila perfetta nell'amore in unione con il Papa …, il Vescovo …, le persone che amiamo e che vogliamo ricordare… e tutto l’ordine sacerdotale che è il popolo dei battezzati.
«Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio»(Mt 5,7s)
 
Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione e di tutti i defunti che affidiamo alla tua clemenza…. ammettili a godere la luce del tuo volto.
«Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,10).
 
Di noi tutti abbi misericordia: donaci di avere parte alla vita eterna, con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, gli apostoli e tutti i santi, che in ogni tempo ti furono graditi: e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua gloria.
«Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5,12).
 
Dossologia[è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]
 
PER CRISTO, CON CRISTO E IN CRISTO, A TE, DIO, PADRE ONNIPOTENTE, NELL'UNITA DELLO SPIRITO SANTO, OGNI ONORE E GLORIA, PER TUTTI I SECOLI DEI SECOLI. AMEN.
 
Padre nostro in aramaico: Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:


Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià
sia santificato il tuo nome
itkaddàsh shemàch
venga il tuo regno
tettè malkuttàch
sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra
tit‛abed re‛utach kedì bishmaià ken bear‛a.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh
e rimetti a noi i nostri debiti
ushevùk làna chobaienà
come noi li rimettiamo ai nostri debitori
kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà
e non indurci in tentazione
veal ta‛alìna lenisiòn
ma liberaci dal male.
ellà pezèna min beishià. Amen!

 
Cappella Musicale [durante lo scambio di pace]:
ALESSANDRO SCARLATTI: «MESSA À CINQUE VOCI IN DUE CHORI
 

Agnus Dei qui tollis peccata mundi, miserere nobis
Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi
Agnus Dei qui tollis peccata mundi, miserere nobis
Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi
Agnus Dei qui tollis peccata mundi, dona nobis pacem
Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, dona a noi la pace.

 
 
COMUNIONE:
appella Musicale [durante la Comunione]:
ALESSANDRO SCARLATTI: VARIAZIONI SULLA FOLLIA
 
Preghiamo. O Padre, unica fonte di ogni santità, mirabile in tutti i tuoi Santi, fa’ che raggiungiamo anche noi la pienezza del tuo amore, per passare da questa mensa eucaristica, che ci sostiene nel pellegrinaggio terreno, al festoso banchetto del cielo. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
Benedizione e saluto finale
Il Signore, il Santo in mezzo a Israele , suo popolo dal cuore duro, ci doni la sua benedizione,       Amen.
Il Signore tre volte Santo che i cieli non possono contenere, ci di al sua consolazione,                    Amen.
Il Signore il Santo dei santi nella sua fragile umanità, ci colmi della sua tenerezza,              Amen.
Il Signore che chiama ciascuno di noi alla santità di Dio, ci converta e ci sorregga,             Amen.
Il Signore sia sempre davanti a voi per guidarvi.                                                                   Amen.
Il Signore sia sempre dietro di voi per difendervi dal male.                                                  Amen.
Il Signore sia sempre accanto a voi per confortarvi e consolarvi.                                         Amen.
 
E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre.                                                Amen!
 
Cappella Musicale: USCITA: TOCCATA QUARTA
 
Solennità di Tutti i Santi A-B-C, 1-11-2009 – Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete
© Nota: L’uso di questi commenti è consentito citandone la fonte bibliografica
Paolo Farinella, prete – 1-11-2009 – San Torpete – Genova
Appendice
Per la riflessione personale
 
Dal Vangelo apocrifo di Tommaso (sec.I d.C.)
18. Gesù disse: «Beato colui che si situa al principio: perché conoscerà la fine e non sperimenterà la morte».
19. Gesù disse: «Beato colui che nacque prima di nascere».
49. Gesù disse: «Beati coloro che sono soli e scelti, perché troveranno il regno. Poiché da lì venite, e lì ritornerete».
58. Gesù disse: «Beato l’uomo che si è impegnato e ha trovato la vita»
69. Gesù disse: «Beati quelli che sono stati perseguitati nei cuori: sono loro quelli che sono arrivati a conoscere veramente il Padre. Beati coloro che sopportano la fame, così che lo stomaco del bisognoso possa essere riempito».
 
Dalla Liturgia siro-occidentale
Allora, dai cieli della sua santità gloriosa, apparirà lo sposo celeste e risusciterà dalla polvere tutti gli uomini; farà salire i giusti nelle altezze, e i peccatori li manderà nella geenna. La Chiesa Santa, sposa di Cristo -che è i santi ed i veri fedeli-, verrà con gioia al suo incontro, scortandolo con tutto l'onore, lui, lo Sposo vero, Gesù nostro Signore. Prenderà la Chiesa sua sposa e la farà salire con lui nel cielo; la farà entrare nel suo talamo e sedere alla sua destra e la rallegrerà con tutta sorte di beni che non passano e non periscono. Lei si rallegrerà in Lui ed esulterà e sarà nella gioia; e con voci mirabili e canti soavi canterà la lode con i cori celesti. Che il Signore nostro ci conceda, anche a noi, di essere degni di aver parte nella gioia dei santi, Amen e Amen!
 


Antifona al Magnificat nel Vespro di oggi
Ti acclama il coro degli apostoli e la candida schiera dei martiri, le voci dei profeti si uniscono nella tua lode; la Chiesa dei santi proclama la tua gloria: Santa Trinità, unico Dio!
 
Esegesi dei testi
Chi sono i santi? La liturgia oggi risponde che sono coloro che hanno servito l’umanità nella quale hanno visto e contemplato il volto di Dio. Essi sono i depositari delle beatitudini (vangelo di oggi) e coloro che sono descritti in Mt 25 (liturgia dei defunti di domani): coloro che sfamano, dissetano, assistono, visitano, accolgono i poveri nei quali Gesù si è identificato. I santi sono coloro che per essere fedeli a Dio si fanno carico del mondo e ne portano la croce con tutte le sue fide: come la fame, la guerra, la povertà, l’emarginazione, la dignità calpestata.
Il vangelo riporta 8 beatitudini (l’ultima la 9a è aggiunta posteriore). 8 beatitudini cioè 7+1 per dire che il discorso programmatico di Gesù ha una prospettiva di pienezza abbondante. Le beatitudini, infatti, sono l’intro-duzione al primo dei cinque discorsi di Gesù che Matteo presenta come nuovo Mosè, come il Legislatore dell’al-leanza nuova. Nei capitoli 5-6 del vangelo è riportato il discorso della montagna o beatitudini, quasi la costituente del nuovo Regno; al capitolo 10 quello sulla missione; al 13 quello sul regno; al 18 quello sulla comunità dei nuovi credenti; a1 24-25 quello escatologico o finale. Per Matteo Gesù pronuncia 5 discorsi in corrispondenza di Mosè che, secondo la tradizione giudaica, è l’autore dei primi 5 libri della Bibbia ovvero la Toràh ovvero il Pentateuco.
A nessuno sfugge il particolare che al v. 1 Mt usa la stessa espressione di Es 19,3: «Mosè salì sulla montagna di Dio…». Anche Gesù «salì sulla montagna», segno evidente che l’evangelista vuole porre un parallelo tra i due personaggi. Mosè sulla montagna del Sinai per ricevere la Toràh è solo: infatti, in Es 19,12 nessuno può salire sulla montagna pena la morte: «Guardatevi dal salire la montagna e dal toccarne le estremità: chiunque toccherà la montagna morirà». Nella nuova alleanza, sul nuovo monte è Dio stesso che convoca le folle e discepoli possono accostarsi a lui (v. 1). Mosè riceve la Toràh scritta in tavole di pietra, mentre Gesù parla direttamente al popolo radunato, senza intermediari: «…e aprendo la sua bocca ammaestrò loro dicendo…» (v. 2). La Toràh di Mosè era piena di divieti e sanzioni tanto che la tradizione aveva individuato ben 365 precetti negativi da osservare, uno per ogni giorno dell’anno insieme ai 248 positivi che corrispondono al numero delle ossa e delle nervature che compongono il corpo umano. Dal monte di Cristo scendono invece 8 beatitudini, cioè la pienezza messianica della felicità, indirizzata ai poveri, cioè a coloro che sono esclusi sia dalla società civile che da quella religiosa.
Alcuni codici antichi riportano una variante di testo: la 4a e la 5a beatitudine sono invertite, di modo che alla prima che dichiara la beatitudine dei poveri (v. 3) segua quella che dichiara beati i miti (v. 5). La logica della variante di testo sta nel fatto che in aramaico lo stesso termine ‘anē/‘anì sta sia per povero che per mite per cui la seconda beatitudine sarebbe un prolungamento della prima in senso spirituale. Non basta la povertà materiale per essere poveri quanto allo spirito perché la povertà sociale senza una qualità morale è una condanna alla disperazione. Usando la stessa parola aramaica per esprimere due concetti, Mt esprime le due dimensioni: la povertà sociologica e la mitezza interiore, cioè la povertà del cuore.
            Se accettiamo la variante, ci troviamo di fronte ad una costruzione straordinaria che esprime un messaggio teologico attraverso il fascino del significato dei numeri (ghematrìa) che noi occidentali abbiamo perso del tutto. A qualcuno potrebbe sembrare un gioco, ma è anche vero che con questo gioco gli antichi ragionavano, pensavano e spiegavano. In italiano ho cercato di tradurre rispettando esattamente il numero delle parole del testo greco per aiutarvi a verificare di persona. Ecco il testo con la variante:
1 Vedendo poi le folle salì su la montagna e mettendosi seduto gli s’accostarono i suoi discepoli;
2 e aprendo la sua bocca ammaestrò loro dicendo:                                                                  [totale 24 parole]                24
 
1.       3 Beati i poveri in spirito, perché loro è il regno dei cieli                                                     [totale 12 parole]                12
2.       5Beati i miti perché essi erediteranno la terra                                                                      [totale 8 parole]
3.       Beati gli afflitti[7], perché saranno consolati                                                                       [totale 6 parole] = [8+6=14]
[totale 12+8+6 =         26]
4.       6 Beati gli affamati e assetati della giustizia, perché saranno saziati                              [totale 10 parole]
5.       7 Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia                                                   [totale 6 parole]
6.       8 Beati i puri di cuore perché essi il Dio vedranno                                                              [totale 10 parole] = [10+6+10=26]
 
7.       9 Beati i pacificatori perché saranno chiamati figli di-Dio                                                              [totale 8 parole]                  8
8.       10 Beati i perseguitati per giustizia, perché loro è il Regno dei cieli                                 [totale 12 parole]                12
 
I vv. 1-2 sono l’ambientazione geografica e sono formati da 24 parole, cioè 12+12. Mosè portava la Toràh per le 12 tribù d’Israele, Gesù parla anche all’Israele nuovo simboleggiato dai 12 apostoli.
La 1a beatitudine riprende il numero 12 per dire che sono dichiarati beati gli anawim cioè i poveri di Yhwh di tutti i tempi. Nel nuovo Regno si entra solo da poveri e il nuovo popolo sarà formato solo da poveri, da uomini e donne abbandonati alla volontà di Dio. Ecco il senso delle 12 parole che formano la 1a beatitudine. Anche l’ultima beatitudine contiene 12 parole: tutte le beatitudini sono per la totalità dei popoli rappresentati da Israele e dalla Chiesa. Le prime sei divise a gruppi di tre hanno lo stesso numero finale di parole: 26 il primo e 26 il secondo gruppo. Il numero 26 in ebraico è il valore numerico del Nome di Dio, Yhwh, (10+5+6+5= 26). Il cuore della rivelazione di Gesù è Yhwh, il Padre. Gv ne è consapevole e infatti nel prologo afferma: «Nessuno ha mai visto Dio, il Figlio unigenito che è nel seno del Padre, lui ne ha dato la spiegazione (lett. ne ha fatto l’esegesi)» (Gv 1,18).
La beatitudine della pace riprende il numero 8 che è il numero messianico per eccellenza e la pace è il dono messianico che riassume tutti gli atri. Chi costruisce la pace alimenta e aumenta il regno messianico. L’ultima, l’ottava beatitudine, ritorna al numero 12, il numero delle tribù e degli apostoli, quasi presagendo che non può esserci regno senza persecuzione, non può esserci giustizia a buon mercato o frutto di compromessi. Chi sceglie il Regno non va ad una passeggiata, ma va incontro a contrasti che possono esigere anche la vita.
Da queste indicazioni secondo il metodo esegetico antico ricaviamo che la santità  di Dio è il suo Nome partecipato a tutti i popoli in Gesù venuto a radunare sul Monte delle beatitudini per formare un solo ed unico popolo: «Non c’è più Giudeo né Greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). Le beatitudini pertanto sono il metodo che Gesù ci consegna per essere santi come Dio è santo (cf Lv 19,2 e 1Pt 1,16): otto beatitudini, cioè otto atteggiamenti interiori: poveri/miti, afflitti, misericordiosi costruttori di pace, liberi di cuore, perseguitati. Non è la logica del mondo, ma la logica della verità nella coerenza.
Povero è chi non ha posizioni da difendere, ma chi sa di dovere dipendere da altri. Il povero protende le mani e dipende dall’amore accogliente dell’altro. Il vero povero nello spirito è Gesù che si è affidato tutto alla volontà del Padre e completamente nelle mani degli uomini che ne hanno fatto scempio.
Mite anche se in aramaico è lo stesso termine di povero, aggiunge però a questo una qualità interiore, una valore morale che rende la povertà materiale un atteggiamento dello spirito sull’esempio di Gesù stesso che si presenta come mite ed umile (Mt 11,29; 21,5) e chiede ai suoi discepoli di imitarlo (2Cor 10,1; Gal 5,23; Tt 3,2; 1Pt 3,16) perché i Santi sono i discepoli che seguono le orme del Maestro.
Afflitto (lett. quello che è nel lutto) è colui che sta lontano da Gerusalemme e dal Tempio perché in esilio. Egli crede nella consolazione promessa dal prof. Is. 40,1(Consolate, consolate il mio popolo) e quindi sa aprirsi all’intervento imprevedibile di Dio, giunto nell’uomo di Nazareth (Lc 2,25).
I misericordiosi sono coloro che esercitano la carità e il perdono perché in ebraico misericordia ha attinenza con rachamim –  viscere, in linguaggio moderno: l’utero che forma e genera. Essi esercitano un’azione materna in quanto genera e in quanto recupera sempre. All’inizio dell’Eucaristia nell’atto penitenziale noi invochiamo tre volte con l’espressione greca «Kyrie, elèison!», alla lettera: Signore, abbi misericordia/elemosina di noi.
I costruttori/portatori di pace (lett. i poeti/inventori di pace) sono coloro che non hanno pregiudizi e quindi sono liberi nelle loro relazioni con gli altri per cui non hanno atteggiamenti ostili. In ebraico la pace/shalom è il primo e la somma dei beni messianici. Questa parola potrebbe essere sinonimo di salvezza.
Nominando i puri di cuore, Mt fa riferimento alla purità cultuale che i Farisei avevano relegato alla sfera esteriore, mentre ora Gesù la trasferisce a quella del cuore, cioè alla coscienza (15,1-20) per un culto spirituale in un Tempio spirituale (Rom 12,1): il rapporto con Dio tre volte Santo cf Is. 6, 3; Ap 4, 8) non è più esteriore, in un luogo, ma una comunione di cuori (cf Mt 15,1-20).
Perseguitati a causa della giustizia sono coloro che hanno coscienza del progetto salvifico di Dio, vi aderiscono e collaborano perché ne possano beneficiare anche quelli che apparentemente non ne avrebbero diritto. Essi, infatti, hanno il senso della giustizia di Dio che accoglie il peccatore prima ancora che questi abbia espiato la colpa. Gli affamati e gli assetati di giustizia prendono posizione in difesa di chi non può difendersi, di chi non ha voce, di chi non è considerato: sono i giusti che si fanno carico delle ingiustizie per camminare con i fratelli e le sorelle crocifissi sulle vie del mondo. Piuttosto che recriminare contro gli altri, essi sondano la propria coscienza per adeguarla sempre più all’ideale di santità delle beatitudini.
I santi sono coloro che scelgono di vivere la loro vita sull’esempio e sul modello di Gesù, povero nello spirito e mite di cuore; afflitto sulla croce e puro di cuore fino al perdono dei suoi carnefici; artefice e poeta di pace accoglie nel suo Regno il compagno di morte e di risurrezione; perseguitato per la giustizia di Dio perché si è immedesimato nella volontà del Padre, diventando così egli stesso giustificazione di tutta l’umanità di tutti i tempi.
Entriamo dunque nella comunione dei Santi con tutta la Chiesa e con tutta l’umanità così come lo chiede Paolo ai suoi diletti Efesini: «con ogni preghiera e supplica pregando in ogni occasione nello Spirito e vegliando a questo scopo con ogni perseveranza e supplica per tutti i santi» (Ef 6,18), cioè per tutto il popolo di Dio.
In questa dimensione entriamo in comunione con i nostri defunti: essi sono già nella gloria di Dio e vivono la pienezza della santità e con loro oggi, in modo particolare, viviamo un afflato di intimità che solo in Dio possiamo realizzare. Domani giorno dei defunti prolungheremo la giornata di oggi, la prolungheremo nel ricordo, nella memoria, nella preghiera del cuore.
 
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© Nota: Supplemento a Solennità di Tutti i sante e di Tutte le Sante A-B-C - L’uso di questi commenti è consentito citandone la fonte bibliografica - Paolo Farinella, prete – 01/11/2008 – San Torpete - Genova


[1] L’asterisco che precede (*) indica che le letture sono quelle del nuovo lezionario entrato in vigore con la 1a domenica di Avvento, Anno A (2 dicembre 2007).
[2] Per informazione: Scuola Musicale Giuseppe Conte–Onlus, Via Cialli, 6D -16155 Genova -Tel/Fax 0106982 814 - E-mail: info@scuolaconte.it ; Parrocchia S. Maria Immacolata e San Torpete, Piazza San Giorgio - Tel/Fax 01024 68777; e-mail parroco: paolo_farinella@fastwebnet.it
[3] Come quasi tutti i compositori della sua epoca, anche Scarlatti entrò in contatto con l’ambiente musicale romano, e soprattutto con quello ecclesiastico. Ricevere la carica di maestro di cappella voleva dire per un musicista assicurarsi un introito fisso che gli permettesse di vivere, e la possibilità di comporre una quantità sempre nuova di musica. L’ambiente romano dei primi del ‘700 era una incredibile fucina artistica. Accanto allo stile “severo” e conservatore si trovavano fermenti di sperimentazione e innovazione. Sia presso le cappelle più rinomate (Sistina, Giulia, etc.) che presso quelle meno accentratrici, i maestri si trovavano a dover comporre in uno stile che richiamasse le forme “antiche” ma con contenuti armonici e melodici del tutto moderni. E’ in quest’ottica che prese vita la partitura della Messa à 5 voci, scritta nel periodo in cui il compositore palermitano ricoprì la carica di Maestro di cappella presso l’importante basilica romana di Santa Maria Maggiore. La struttura policorale, con la contrapposizione di due cori, uno di soli e l’altro “in ripieno” affonda le sue radici nel ‘500 veneziano, per poi essere esportata e trovare massimo sviluppo a Roma.
L’accompagnamento di solo basso continuo e la scrittura a cinque parti permise a Scarlatti, abile contrappuntista e formatosi alla scuola dei grandi didatti napoletani, di curare esemplarmente l’intreccio delle parti vocali. Quello che ne risulta è un vero e proprio capolavoro, nel rispetto della tradizione compositiva ma con arditezze già proiettate verso un ‘700 più maturo e consapevole. Il primo coro dialoga con passaggi d'agilità, mentre il secondo risponde con blocchi omoritmici o contrappuntistici di grande impatto sonoro. A momenti fastosi si alternano episodi più intimi e struggenti come il commovente Agnus Dei. Nonostante il concetto di “repertorio” ancora non esistesse, essendo la produzione musicale – soprattutto quella di fruizione pratico-liturgica – sempre nuova, nella capitale alcune partiture di autori molto apprezzati in un più o meno recente passato sopravvissero e continuarono ad essere eseguite, anche a fianco di pagine di autori moderni. E’ questo il caso delle composizioni per organo di Frescobaldi.
[4] La solennità di oggi proviene dalla Chiesa Orientale, e fu accolta a Roma quando il Papa Bonifacio IV trasformò il Pantheon, dedicato a tutti gli dei dell’antico Olimpo, in una Chiesa in onore della Vergine e di tutti i Santi. Era il 13 maggio del 609 e a questo giorno fu assegnata in un primo momento la celebrazione liturgica. Alcuino di York, il maestro di Carlo Magno, fu uno dei propagatori della festa e siccome nel suo paese i Celti consideravano il 1° novembre inizio della stagione invernale celebrato con solennità, anche la festa cristiana fu trasferita a questa data che restò definitiva. Nel sec. IX la festa è già estesa a tutta la chiesa e nel 1475 il papa Sisto IV fissò definitivamente la solennità al 1° novembre con la liturgia che ancora oggi celebriamo.
[5] «Quando peccò il primo uomo, la Dimora salì al primo cielo; peccò Caino e salì al secondo cielo; con la generazione di Enoch al terzo; con la generazione del Diluvio al quarto; con la generazione della torre di Babele al quinto; con i sodomiti al sesto e con gli egiziani ai giorni di Abramo al settimo. Al contrario, vi furono sette giusti: Abramo, Isacco, Giacobbe, Levi, Keat, Amram, Mosè con il quale la Dimora discese di nuovo sulla terra, al Sinai, come era sulla terra, all’Eden, prima del peccato (di Adam)» (cf Midrash Numeri Rabbà XIII,4; Genesi Rabbà XIX, 13 =Cantico Rabbà, V,1).
[6] Il Simbolo degli Apostoli, forse è la prima formula di canone della fede, così chiamato perché riassume fedelmente la fede degli Apostoli. Nella chiesa di Roma era usato come simbolo battesimale, come testimonia Sant’Abrogio: « È il Simbolo accolto dalla Chiesa di Roma, dove ebbe la sua sede Pietro, il primo tra gli Apostoli, e dove egli portò l'espressione della fede comune» (Explanatio Symboli, 7: CSEL 73, 10 [PL 17, 1196]; v. commento in Catechismo della Chiesa Cattolica, 194).
[7] Letteralmente: «Quelli che sono nel lutto».


Mercoledì 28 Ottobre,2009 Ore: 14:20
 
 
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