- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (0)
Visite totali: (608) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org Domenica 27a per annum – B – 04 ottobre 2006 –,di Paolo Farinella, prete

Domenica 27a per annum – B – 04 ottobre 2006 –

di Paolo Farinella, prete

Con la domenica 27a del tempo ordinario-B, entriamo in una dimensione particolare e difficile del cammino catecumenale proposto dal vangelo di Mc. Nel formare gli apostoli Gesù ha un obiettivo: condurli a capire il disegno di Dio creatore. Credere è entrare in questo disegno e il cammino di fede è illimpidirsi lo sguardo per «vedere» la vita con gli occhi di Dio. La fede, infatti, non è altro che un cantiere dove si realizza la costruzione del progetto della vita nella collaborazione armonica tra il progettista (Dio) e l’interessato (noi). E’ un cantiere sempre attivo, dalla nascita alla morte e oltre la morte per l’eternità. Se la religione si può vivere per forza d’inerzia perché è guidata dall’uso e dal costume, la fede, al contrario, deve essere sempre conquistata, giorno dopo giorno, perché non è una acquisizione una tantum, ma un lento e laborioso lavoro secondo la legge della crescita e della formazione. La religione ripete gesti e parole all’infinito in un contesto di immobilità che diventa immobilismo e, spesso anche fondamentalismo; la fede invece è la ricerca di senso alla luce di un evento che afferrato» la vita di chi crede: la morte e la risurrezione di Dio. La religione contratta, la fede offre e dona.
La prima lettura e il vangelo affrontano il rapporto uomo-donna dal punto di vista della radicalità della relazione come è vissuta da Dio. L’annuncio sconcertante è il seguente: la relazione uomo-donna non è una relazione qualsiasi che dipende dalla volontà dell’individuo, ma essa è lo spazio privilegiato dove Dio esprime in pienezza l’alleanza con l’umanità e il progetto di tutta la storia. Questo è possibile solo nell’incontro di due libertà: quella di Dio e quella della persona, perché senza libertà non può esistere né vita né fede, né alleanza. Tutto questo s’intende con l’espressione: «il matrimonio è un sacramento», cioè la profezia dell’innamoramento esclusivo di Dio per ciascuno di noi e per tutta l’umanità.
La domanda da farci è: oggi i credenti comprendono questo «vangelo nuziale». La risposta è negativa. La maggior parte dei matrimoni che si celebrano «in chiesa» (quasi tutti) non sono sacramenti, ma celebrazioni pagane dentro un vuoto contesto liturgico: convivenze pubbliche con l’approvazione della parrocchia[1]. Molti si sposano «in chiesa» per fare scena, altri per fare piacere alla famiglia, altri per scaramanzia, altri per chiedere la benedizione di un generico Dio, ma quanti si sposano «nella chiesa» per rispondere ad una vocazione profetica che li convoca per inviarli nel mondo ad annunciare con la loro vita sponsale agli uomini e alle donne loro contemporanei che Dio li ama di un amore esclusivo, senza condizioni?
Gli uomini hanno stravolto il disegno originario di Dio, instaurando un sistema di potere maschilista che sottomette la donna ad un’autorità senza mandato e senza dignità, l’imperatore Cesare. Gesù stesso afferma con amarezza che «al principio non era così» (traduzione letterale di Mt 19,8; cf Mr 10,6). La crisi del matrimonio nasce dall’usurpazione del matrimonio stesso che ne hanno fatto gli uomini. Nel vangelo Gesù riporta la natura del matrimonio, almeno a livello di aspirazione e di progetto, al piano originario del Creatore. Egli sfugge alle diatribe se il divorzio è lecito oppure no perché è un falso problema, e si situa nell’alveo della profezia che la relazione uomo-donna contiene nella verità profonda del suo esistere.
Contro la mentalità del tempo che puniva l’adulterio della donna in modo molto più pesante di quello dell’uomo, Gesù pone sullo stesso piano sia il comportamento dell’uomo che quello della donna, riportando così alla verità originaria la parità strutturale della coppia: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio» (Mc 10,11-12; cf Es 20,14; Dt 5,18; Lv 18,22). Qual è il fondamento di questa relazione radicale? Perché la relazione uomo-donna è così unica che coinvolge la vita e il destino stesso del singolo uomo e della singola donna fino ad indurli di «abbandonare il padre e la madre» cioè la relazione più radicale dell’esistenza? In che senso Dio è coinvolto nella relazione uomo-donna? Perché il rapporto sessuale tra uomo e donna non è nella disponibilità dei singoli individui, ma è assunto da Dio come l’espressione suprema della sua identità di Dio da farne il segno visibile del «sacramento» sulla terra?
La risposta è nella seconda lettura. Gesù accetta di essere fatto inferiore agli angeli entrando così nella dinamica della sofferenza, del limite e della morte. Ciò significa che Dio è uomo vero, non per finta. Lo è in modo così reale che l’umanità stessa diventa la cifra di riconoscimento della divinità. Certo, Dio avrebbe potuto scegliere ad un «segno» tangibile, impressionante da colpire le intelligenze; invece ha scelto la relazione più radicale e più fragile che esiste nell’umanità: la relazione uomo-donna, alla quale ha affidato il compito di esporre, di raccontare la sua natura intima di Dio-relazione: la Trinità.
Nel prendere la «carne» del maschile-femminile che diventa «una cosa sola», la Scrittura anticipa l’incarnazione del Lògos in una «vera carne»: «Il Lògos-carne fu fatto» (Gv 1,14) e cioè la Divinità nella sua trascendenza si fa fragilità, corruttibilità, precarietà e immanenza: «non ritenne un privilegio l’essere uguale a Dio, ma svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2,6-7). Con questa incarnazione che lo espone all’inferiorità degli angeli, Gesù dice che Dio può essere incontrato solo nella esperienza umana. In altre parole, il luogo dove si può cercare e trovare Dio è la vita che si snoda nella storia delle relazioni, tra le quali quella sessuale-affettiva tra uomo e donna, è la più completa, l’unica e la sola che Dio stesso sceglie come espressiva della sua natura e del suo progetto, appunto come «sacramento». Per la Bibbia infatti l’esperienza sessuale non è un gesto, ma un atto di conoscenza descritta con il verbo «yadà» che significa «conoscere sperimentalmente»: il rapporto sessuale è l’atto conoscitivo più profondo esistente nell’umanità.
 
Nota storica. Nella società opulenta di oggi il divorzio è inevitabile. Non possiamo illuderci. La maggior parte dei matrimoni celebrati «in chiesa» sono nulli perché non sono sacramento. E’ un costume, una tradizione. La prova sta nel fato che al matrimonio «in chiesa» spesso i nubendi arrivano dopo anni e anni di abbandono della Chiesa, di cui non hanno che un flebile ricordo infantile. In questo contesto, il divorzio è una necessità perché il matrimonio è progettato e vissuto come un contratto privato in funzione della stabilità dei contraenti che in esso si rifugiano scappando dalla paura della solitudine e dal controllo della famiglia. Se il matrimonio è «opera dell’uomo e della donna», non si capisce perché non possa avere anche un termine in base alla volontà di uno dei due. Per i primi mille anni del Cristianesimo, il matrimonio è solo una convivenza riconosciuta. Dal sec. X-XI il matrimonio acquista sempre più valenza «sacrale» perché garantisce la legittimità della discendenza per re e nobili. Il concilio di Trento nel sec. XVI definisce anche la «forma canonica» della celebrazione come necessaria alla validità. Oggi questi due presupposti sono decaduti: i figli sono legittimati in quanto figli, senza differenza tra figli legittimi e naturali, per cui il matrimonio ha perso uno dei cardini su cui poggiava. La forma canonica del matrimonio oggi coesiste con la forma civile e con quella privata della convivenza, perché non esiste solo la forma del matrimonio religioso perché, con la promulgazione nel 1804 del primo «Codice civile» di Napoleone Bonaparte che introduce l’istituto del matrimonio civile distinto dal matrimonio religioso,  gli Stati moderni non abdicano al loro potere di legiferare sui doveri e sui diritti dei propri cittadini su un aspetto della loro vita che coinvolge più persone, interessi economici e giuridici di non poco conto.
 
Per correre ai ripari del fallimento religioso del matrimonio, la Chiesa non sa fare altro che proporre lo scempio dei CPM (Centri Preparazione Matrimonio) con cui vorrebbe arginare la diga della deriva del significato di fede del matrimonio stesso. L’istituto del CPM era nato come catechesi e si è trasformato in elemento giuridico formale: un placebo di quattro o cinque incontri pseudo-formativi, illudendosi di mettere una pezza e una mano di vernice: « Nessuno cuce un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo porta via qualcosa alla stoffa vecchia e lo strappo diventa peggiore» (Mc 2,21). Bisognerebbe avere il coraggio di ritornare alle origini, quando non esisteva il matrimonio religioso né la celebrazione avveniva in chiesa, né davanti al ministro di culto. Ciò che valeva era l’accesso alla vita di fede come incontro con il Signore Gesù morto e risorto che ha portato nel cuore stesso della relazione il «mistero pasquale», svelando l’unione dell’uomo e della donna come profezia vivente dell’amore di Dio. Diventando cristiani, acquistava valore anche la vita quotidiana degli sposi e dei figli, della cui crescita i genitori sono responsabili.
E’ l’incontro con il Cristo che configura il significato originario di «sacramento» per il matrimonio: non nel senso di azione sacra, ma in quanto espressione privilegiata della rivelazione di Dio. Si potrebbe dire per analogia che il matrimonio tra due credenti in Gesù Cristo, da un lato è la «confessione» della sua signoria che attraverso lo Spirito permea tutta la vita e dall’altro è una nuova «Scrittura» con cui Dio traccia, descrive e propone la sua e la nostra storia. Ogni matrimonio tra un uomo e una donna è una «lettera d’amore» che Dio scrive a tutta la comunità dove si celebra. Questa Scrittura coniugale o Vangelo nuziale non è scritta con l’inchiostro, ma nella carne palpitante dei due sposi che formano una sola persona nuova, una nuova personalità: «Voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma su tavole di cuori umani» (2Cor 3,3).
Chiediamo allo Spirito Santo di liberarci da ogni condizionamento per entrare nel cuore del disegno di Dio per contemplarlo, chiedendogli il dono di poterlo vivere secondo le nostre forze e domandando perdono qualora non ne fossimo capaci per qualsiasi motivo. Lo Spirito ci guidi nel mistero di Dio che svela un poco di sé nel mistero dell’uomo e della donna che formano un cuore e un’anima sola. Saliamo al monte del Signore, con le parole della regina Ester che supplica Dio per salvare il suo popolo Israele (Est 4,17b-c): «“Signore, re che domini l’universo, tutte le cose sono sottoposte al tuo potere e non c’è nessuno che possa opporsi a te nella tua volontà di salvare Israele. Tu hai fatto il cielo e la terra e tutte le meraviglie che si trovano sotto il firmamento. Tu sei il Signore di tutte le cose».
 
Spirito Santo, tu hai voluto togliere l’uomo e la donna alla loro solitudine,              Veni, Sancte Spiritus,
Spirito Santo, tu hai dato all’uomo la conoscenza dei nomi degli essere viventi,                  Veni, Sancte Spiritus,
Spirito Santo, tu hai svelato all’uomo il mistero della donna, sorella e sposa,                       Veni, Sancte Spiritus,
Spirito Santo, tu guidi i passi dell’uomo che lascia il padre per la sua donna,                       Veni, Sancte Spiritus,
Spirito Santo, tu accompagni la donna che lascia il padre per il suo uomo,              Veni, Sancte Spiritus,
Spirito Santo, tu sei la benedizione dell’uomo che teme il Signore,                           Veni, Sancte Spiritus,
Spirito Santo, tu rendi feconda la casa costruita sulla Parola di Dio,                         Veni, Sancte Spiritus,
Spirito Santo, tu sei il vigore che fa crescere i figli generati in Dio,                           Veni, Sancte Spiritus,
Spirito Santo, tu hai santificato la terra perché accogliesse il Figlio del Padre,                      Veni, Sancte Spiritus,
Spirito Santo, tu sveli l’unità intima che lega il Cristo a tutto il creato,                                  Veni, Sancte Spiritus,
Spirito Santo, tu hai sparso nel mondo il merito della morte del Signore Gesù,                     Veni, Sancte Spiritus,
Spirito Santo, tu apri agli uomini il mistero della volontà di Dio,                               Veni, Sancte Spiritus,
Spirito Santo, tu pieghi la durezza del cuore che si oppone a Dio,                            Veni, Sancte Spiritus,
Spirito Santo, tu sei la forza che unisce ciò che Dio vuole resti unito,                                  Veni, Sancte Spiritus,
Spirito Santo, tu illumini la coscienza per comprendere ciò che è giusto,                              Veni, Sancte Spiritus,
Spirito Santo, tu proponi al mondo un bambino come modello di Gesù,                              Veni, Sancte Spiritus,
Spirito Santo, tu illimpidisci il nostro sguardo perché possiamo credere,                              Veni, Sancte Spiritus,
 
La Parola di oggi è difficile specialmente se calata nella mentalità odierna che è fondata sul criterio dell’utilità che ha sostituito quello della verità: l’uomo d’oggi non s’interroga su ciò che è vero, ma su ciò che serve come utile immediato. La prova sociale di questo criterio sta nel fatto che stiamo scaricando sulle generazioni future il costo del nostro stile di vita che oggi è al di sopra delle nostre possibilità a livello di assistenza, di ecologia, di sistema economico compatibile, ecc. Si parla di famiglia, di matrimonio e di «valori cristiani» da custodire e preservare, ma nessuno parla del «principio» o del «fondamento» che dovrebbe stare alla base della vita cristiana, sia della coppia che dei singoli. I «valori» non sono la premessa da cui partire, ma nell’ambito della fede sono la conseguenza di una scelta radicale di vita. Questa pietra angolare è la morte e la risurrezione di Gesù che porta una «parola nuova» e svela il mistero di eternità che si cela nell’incontro tra un uomo e una donna. Non si tratta di giudicare le singole persone, ma di proporre una mèta, un ideale che è una proposta di salvezza e uno strumento di pace per tutta l’umanità. Liberiamoci dai condizionamenti culturali, dalle fluttuazioni degli interessi e lasciamoci misurare da una Parola, la prima lettura, che viene dal lontano sec. X a. C.  che Gesù dieci secoli dopo riprende nel vangelo per dire la sua novità e che noi oggi incarniamo a distanza di trenta secoli dalla prima lettura e di venti secoli da Gesù. Lo facciamo nel nome della Trinità che è la roccia di ogni relazione d’amore:
 
(ebraico)
Beshèm
ha’av
vehaBèn
veRuàch
haKodèsh.
Amen.
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e dello Spirito
Santo.
 
Invocare la misericordia di Dio significa lasciarsi invadere alla potenza dello Spirito per essere in grado di stare davanti a lui che parla travasando in noi la sua paterna maternità. Chiedere perdono è lasciarsi modellare il cuore perché sia libero da ogni condizionamento e possa ascoltare la dichiarazione d’amore di Dio che noi viviamo e sperimentiamo nell’Eucaristia, il sacramento dell’incontro, culmine e vertice anche del ministero del matrimonio. Chiediamo al Signore la grazia di un cuore innamorato libero soltanto di lasciarsi amare.
 
[Congruo esame di coscienza personale]
 
Signore, tu hai chiamo l’uomo e la donna ad essere la carne della nuova alleanza, Kyrie, elèison.
Cristo tu hai dato al matrimonio la forza della profezia pasquale del tuo amore,                  Christe, elèison.
Signore, quando viviamo in funzione dei nostri bisogni e non della tua chiamata,  Pnèuma, elèison.
Cristo, quando non siamo capaci di dare al nostro esistere il senso del «principio»,             Christe, elèison.
 
Dio onnipotente, che ci convoca sul monte del «mistero pasquale» per consegnarci non più la Legge su tavole di pietra, ma la profezia del matrimonio come progetto di una umanità rinnovata nella celebrazione della Nuova Alleanza, abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduce alla vita eterna. Amen.
 
GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente      [breve pausa 1-2-3]
 
Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi.             [breve pausa 1-2-3]
 
Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo:          [breve pausa 1-2-3]
Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.
 
Preghiamo (colletta). Dio, che hai creato l’uomo e la donna, perché i due siano una vita sola, principio dell’armonia libera e necessaria che si realizza nell’amore; per opera del tuo Spirito riporta i figli di Adamo alla santità delle prime origini, e dona loro un cuore fedele, perché nessun potere umano osi dividere ciò che tu stesso hai unito. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che vive e regna nell’unità dello Spirito santo,per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Mensa della Parola
Prima lettura Gen 2,18-24.La Bibbia riporta due racconti della creazione. Uno è più antico ed è databile secc. X-IX a.C. con successive variazioni: un passo di questo racconto è il testo della lettura di oggi. L’altro più recente e databile sec. VI-V a.C. riportato nel cap. I del libro della Genesi. Il brano odierno narra della creazione della donna che risente dell’ambiente maschilista del tempo perché è vista e considerata in funzione dell’uomo, anche se nel testo vi sono accenni di superamento di questa mentalità. Per quanto però l’uomo provi a dominare la donna, non riesce né a partecipare alla sua creazione né a darle il nome come ha fatto con tutti gli animali affermando così che l’uomo non ha potere sulla donna che resta un assoluto e non una proprietà. Bisogna aspettare ben dieci secoli per sentire le parola di Paolo: «Non c'è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c'è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28).
 
Dal libro della Genesi Gen 2,18-24
Il Signore Dio disse: 18 «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». 19 Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. 20 Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. 21 Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. 22 Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. 23 Allora l’uomo disse: «Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta». 24 Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne. Parola di Dio.
 
Salmo responsoriale 128/127, 1-2; 3; 4-5a; 5b-6.Salmo è una «beatitudine» che si estende sulla casa domestica che celebra la felicità della famiglia come dono di Dio al giusto in forza della legge della retribuzione personale: se uno fa il bene riceve il bene, se fa il male riceve il male anche da Dio. E’ la misura della giustizia umana proiettata sul comportamento di Dio. Questa concezione fiscale di Dio sarà superata da Gesù che viene a svelare il volto umano di Dio che si prende cura di tutti i suoi figli anche quando fanno il male perché in lui la giustizia è sinonimo di perdono. La fecondità generativa che chiama i figli a condividere la vita è il segno della protezione divina. L’integrità, il lavoro, l’amore sponsale e i figli sono benedizioni del Signore che coinvolgono anche Gerusalemme, anche la terra. Il giusto è contagioso anche a sua insaputa.   
 
Rit.Ci benedica il Signore tutti i giorni della nostra vita.
 
1. 1 Beato chi teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
2 Della fatica delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice e avrai ogni bene.Rit.
2. 3 La tua sposa come vite feconda
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno alla tua mensa. Rit.
3. 4 Ecco com’è benedetto l’uomo
che teme il Signore.
5 Ti benedica il Signore da Sion. Rit.
4. Possa tu vedere il bene di Gerusalemme
tutti i giorni della tua vita!
6 Possa tu vedere i figli dei tuoi figli!
Pace su Israele!
Rit.
 
Seconda lettura Eb 2,9-11.Dopo l’esilio di Babilonia (sec. VI-V a.C.) si sviluppa in Israele una forte riflessione che ha per oggetto gli angeli e che al tempo di Gesù era diventata una autentica speculazione. Per averne un’idea basta sfogliare il libro di Tobia, di Daniele e i primi due capitoli di Luca. Nel brano di oggi, l’autore della lettera agli Ebrei, probabilmente un sacerdote giudeo convertito, parla dell’abbassamento del Cristo al di sotto degli angeli. In ciò l’autore vede la solidarietà di Cristo con gli uomini perché egli si sottomette alle leggi dell’esistenza umana, morte compresa, realizzando così una fraternità definitiva.
 
Dalla lettera agli Ebrei Eb 2,9-11.
Fratelli e Sorelle, quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti. 10 Conveniva infatti che Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria – rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza.  11 Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli. Parola di Dio.
 
Vangelo Mc 10,2-16 (lett. breve 10,2-12). La questione del divorzio è riportata da Marco e da Matteo(Mt 19,1-9). Mc scrive per un uditorio non giudeo che non ha dimestichezza con la Toràh e la tradizione degli Ebrei, per cui basa la sua argomentazione sulla «legge naturale» (Mc 10,6) senza riferirsi come fa Matteo ad una  «parola di Dio» detta ad Adamo ed Eva (Mt 19,4-5).  Allo stesso modo non rimanda al dettato della Toràh e alla tolleranza sopravvenuta successivamente per la durezza del cuore (Mt 19,8), ma si appella alla sola volontà di Dio (Mt 10,9). Per Mc quindi il matrimonio va oltre la contrattazione facoltativa tra due persone perché esso implica e coinvolge la stessa volontà di Dio. Per spiegare il matrimonio occorrono tre soggetti: l’uomo, la donna e il Signore. La domanda che ci poniamo oggi è se tutto ciò è presente nei matrimoni che si celebrano in/e nella Chiesa che spesso sono rappresentazioni plastiche di un ateismo diffuso.
 
Canto al Vangelo Gv 4,12
Alleluia. Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi / e l’amore di lui è perfetto in noi. Alleluia.
 
Dal Vangelo secondo Marco Mc 10,2-16 (lett. breve 10,2-12)
In quel tempo, 2 alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. 3 Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». 4 Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». 5 Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. 6 Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; 7 per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. 8 Così non sono più due, ma una sola carne. 9 Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». 10 A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: 11 «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; 12 e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio». [13 Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. 14 Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. 15 In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». 16 E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.] Parola del Signore.
 
Spunti di omelia
Il tema che offre la liturgia di oggi è delicato perché tocca ciascuno di noi, specialmente le persone sposate e quelle che vivono una relazione profonda, anche se a volte problematica, o che hanno sperimentato la rottura del loro rapporto con la separazione o il divorzio, ma anche coloro che hanno fatto la scelta della convivenza o del matrimonio solo civile. Oggi però non parliamo di queste realtà che comportano in sé dolore e sofferenza, anche se esse sono coinvolte nelle cose che diremo. Non spetta a noi giudicare le scelte di chi ponderatamente ha scelto l’una o l’altra soluzione che, lo crediamo veramente, corrisponde alle esigenze di pace di ciascuno. Dio stesso non vuole che viviamo nell’angoscia e nella disperazione e lui sì che non carica «gli uomini di pesi insopportabili» (Lc 11,46) perché ha preso solo di sé il peso della croce della’umanità. 
Nessuno si senta giudicato, ma ciascuno di noi sia attento a quanto la Scrittura propone come ideale e come obiettivo all’interno di un disegno di amore che non vuole essere un peso, ma una liberazione radicale e definitiva. Proviamo a verificare la nostra realtà con il disegno di Dio e valutiamo quale corrispondenza vi sia tra di essi. Ci poniamo la domanda: Che cosa la Scrittura ci insegna sul matrimonio come progetto di Dio. Solo dopo, ognuno di noi può riflettere su di sé e ascoltare la risonanza che lo Spirito opera dentro il nostro cuore. Il primo passo è cercare di entrare dentro il senso delle parole per capire ciò che dice la Scrittura.
Sono necessarie due premesse brevi. Viviamo in un contesto di religiosità diffusa all’interno di un mercato religioso che, giocando sulle debolezze, le paure e le fragilità degli individui, offre una gamma vastissima di «religioni-fai-da-te» che sono la risposta ad una propria immaginazione di Dio, ma nulla hanno a che fare con la fede in una Persona viva con la quale entrare in relazione di vita. La società di oggi, pur così avanzata a livello scientifico e tecnico o forse proprio per questo, è affamata di religiosità consolatoria che si esprime ad intermittenza: si usa quando se ne ha bisogno o quando non si hanno soluzioni razionali a problemi, situazioni e scelte; è come prendere una medicina eccitante o calmante a seconda dei casi.
Buona parte del popolo cristiano appartiene a questa dimensione religiosa che non fa riferimento né alla Scrittura, né alla fede, né a Gesù Cristo, ma soddisfa un bisogno ancestrale di vaga protezione. Si cerca il miracolistico e il contatto materiale della statua, la processione, la candela, le parole ripetitive, ecc. I sacramenti e, in modo particolare il matrimonio, sono vissuti come momenti di contatto con il divino a livello magico e solo esteriore: non si capirebbe perché il divorzio dei matrimoni religiosi raggiunge percentuali altissime: su 100 matrimoni celebrati in chiesa oltre 80% finisce in divorzio.
C’è qualcosa che non funziona nel matrimonio religioso, di cui non si vuole prendere coscienza per porvi rimedio perché comporterebbe la dichiarazione ufficiale del fallimento della Chiesa nel suo aspetto formativo. Il matrimoni «in chiesa» (luogo fisico) non è un sacramento, cioè un incontro generativo a livello di vita, ma una festa esterna costruita attorno ai contraenti dove l’aspetto religioso del matrimonio si riduce a poco più o meno di una «benedizione» che non si nega mai ad alcuno. Un placebo consolatorio e inutile. Perché sia sacramento è necessario sposarsi «nella Chiesa» come «profeti dell’alleanza» di Dio in Gesù.
 
La prima lettura riporta un brano del racconto della creazione della tradizione Yahvista databile intorno al sec. X a. C e definitivamente messa per iscritto nella forma attuale nel 444 a.C. quando si formò la Toràh (il Pentateuco) come la possediamo oggi. Il racconto nasce in un ambiente maschile che considera la donna giuridicamente invalida ed esclusiva proprietà dell’uomo come il bue, l’asino, il servo e la serva (Es 20,17; Dt 5,21). Qui la donna è vista come «aiuto» all’uomo, quell’aiuto che Adam non ha trovato tra le cose e tra gli animali: la donna esiste in funzione dell’uomo. Se la donna nasce come «aiuto» all’uomo (Gen 2,18-20), la sua dipendenza da lui è la sua natura: essa, cioè si realizza solo nell’essere sottomessa e nella dipendenza dall’uomo; in questo senso la donna non esiste in quanto persona, ma vive in funzione di qualcuno. E’ proprietà di qualcuno (padre, marito).
 L’uomo al suo risveglio vede la donna e la definisce in apporto a sé: «carne della mia carne e osso delle mie ossa» (Gen 2,23). La stessa procedura troviamo negli scritti paolini (cf 1Cor 11,9; 1Tm 2,12). Di primo acchito questo sembrerebbe lo stato delle cose e così pare ad una lettura superficiale della Scrittura. Molte volte abbiamo detto che la Parola di Dio ha «settanta significati» per cui bisogna avere la pazienza di scavare o meglio di lasciarsi scavare dalla Parola che come una goccia penetra anche la roccia. Nonostante o proprio perché ci troviamo in una cultura e in un ambiente estremamente maschilista, la Parola di Dio introduce elementi di novità che sono dirompenti e rivoluzionari. Li passiamo in rassegna.
            a) L’uomo nel giardino di Eden è l’immagine visibile del creatore, di cui esercita il potere di vita o di morte in forma vicaria espresso nella potestà di «dare il nome». L’uomo dà il nome agli animali e alle cose (Gen 2,18-20), cioè esercita la sua «signoria» su tutto il creato come luogotenente di Dio: il nome nella cultura semitica significa la natura intima di chi lo porta e «conoscere il nome di qualcuno» significa avere un certo potere su di lui[2]. Nonostante ciò però l’uomo ha un problema: nessuno degli esseri viventi sui quali esercita il potere di vita e di morte (= dare il nome) risponde al suo bisogno fondamentale di «essere in relazione».
b) L’uomo non realizza se stesso nel dominio o nel potere perché alla fine si ritrova solo e insoddisfatto: cerca ancora un incontro che possa rispondere al suo anelito di relazione nella comunione. L’uomo cerca la sua identità e non la trova, ma la scopre solo quando vede la donna davanti a sé perché scopre in lei la parte mancante del suo essere incompleto: nel momento in cui vede la donna, egli scopre con stupore e ammirazione la parte migliore di sé (Gen 2,23), davanti alla quale si ferma la «signoria vicaria» di Adam perché egli non può esercitare alcun potere su di essa: non può darle il «nome».
c) La donna è creata direttamente da Dio, senza alcuna partecipazione attiva dell’uomo perché egli dorme mentre Dio crea la donna. Facendo cadere un torpore sull’uomo, Dio sottrae la donna alla discrezione del maschio. Davanti ad essa, l’uomo può esprimere solo il suo stupore perché in lei vede riflessa l’immagine di se stesso e insieme riassumono quella di Dio (cf Gen 1,27). Adam è creato dalla polvere del suolo (Gen 2,7) come «ogni sorta di bestie selvatiche e… uccelli del cielo» (Gen 2,19), da cui deriva la parentela dell’uomo con la terra e il regno animale. Il nome alla donna non è dato da Adam , il quale si limita a prendere atto della sua esistenza.
 
Nota. La tradizione giudaica insegna che Dio per creare Adam diede ordine a Gabriele di raccogliere un pizzico di polvere dai quattro angoli della terra che egli impastò. Con questo impasto «universale» diede forma all’uomo che ha una natura fragilissima perché è tenue come la polvere della terra, ma è anche superficiale perché la polvere è lo strato più esterno della terra e basta un soffio di vento per portarla via: «Sì, sono un soffio i figli di Adamo, una menzogna tutti gli uomini: tutti insieme, posti sulla bilancia, sono più lievi di un soffio» (Sal 62/61,10) e ancora: «l’uomo è come un soffio e i suoi giorni come ombra che passa» (Sal 144/143,4)[3].
 
d) Al contrario, la donna è tratta da una costola dell’uomo, la parte più interna e protetta del corpo, cioè qualcosa di vivo e profondo, nobile perché vivente[4]. Il termine ebraico «sēlâ’ – costola» potrebbe derivare dalla lingua accadica e significare «vita». I Padri della Chiesa mettevano in relazione la creazione di Eva dal costato di Adam con la nascita della Chiesa generata dai sacramenti scaturiti dal costato di Cristo (Gv 19,34)[5]. Adam non assiste alla nascita di Eva perché Dio lo ha fatto piombare in sonno profondo (è la prima anestesia in assoluto della storia), quasi a dire che Adam è assente e non può vantare diritti che non vengano dalla comunione. Adam è senza coscienza mentre Eva viene formata e quando si sveglia scopre che colei che gli sta di fronte è corrispondente a qualcosa di mancante in lui: l’uno e l’altra sono essenziali e nessuno dei due può vivere senza l’altro perché la donna è della stessa natura dell’uomo.
e) Al suo risveglio Adam non può fare altro che stupirsi di fronte alla parte di sé che è la donna [traduzione letterale]: «Disse Adam: “Questa (è), ora sì/finalmente, osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne. Questa sarà chiamata “uoma” perché da «uomo» è fu presa questa» (Gen 2,23). Il pronome dimostrativo «questa» ripetuto per tre volte «Questa è … osso … questa sarà chiamata … fu presa questa …»  è un modo ebraico per indicare lo stupore assoluto di fronte ad una realtà che Adamo non poteva nemmeno immaginare. La donna è carne della carne dell’uomo, cioè è fatta con la stessa fragilità, ma è osso delle ossa di Adam, cioè è fatta con la parte più resistente del corpo e più interna, per cui è intima ad Adam di cui costituisce la forza. Diventando «una sola carne» nel rapporto sessuale, i due non fanno altro che ricomporre il principio unitario da cui sono stati generati e in quanto uomo e donna, solo così si riconoscono immagine di Dio creatore. Se l’uomo e la donna ricompongono l’unità originaria, solo insieme possono aspirare ad essere «immagine e somiglianza di Dio» (Gen 1,27), non separatamente.
Quando l’uomo e la donna fanno l’amore esercitano come sacerdoti il ministero eucaristico della nuzialità, sperimentando in sé la presenza esclusiva di Dio che in loro «carne diventa»: l’Invisibile diventa visibile. Fare sesso significa prendere coscienza della propria identità e rivelarsi l’uno all’altra come porzione dell’immagine di Dio. In questo contesto l’esercizio della sessualità tra uomo e donna è l’atto religioso più compiuto e l’azione liturgica più completa che possa esistere nel creato: è la lode a Dio che è Amore (1Gv 4,8).
La lingua italiana non riesce ad esprimere l’assonanza che sviluppa quella ebraica che usa il termine «‘iš – uomo» e «‘iššàh – uoma/donna». La definizione della donna non è un nome, ma semplicemente il femminile di «‘iš – uomo» per dire la piena identità tra i due. In italiano corrisponderebbe al binomio: uomo/uoma. Insegna la tradizione giudaica che il Signore, cioè Yhwh (in ebraico), nell’atto della creazione ha posto una porzione del suo nome «Y-h-w-h) nell’uomo e nella donna, secondo lo schema seguente[6]:
 

Significato
Consonanti alfabeto ebraico
Valore numerico
Signore =
 
y
 
h
w
h
= 26 = 8 (= 7+1)
 
 
 
 
 
 
 
 
uomo   =
y
š
 
-
-
= 307 = 10 = 1
 
 
 
 
 
 
 
 
donna =
y
š
h
-
-
= 316 = 10 = 1
 
 
 
 
 
 
 
 
(valore lettere)
1
10
300
5
6
5
 

 
L’uomo ha ricevuto da Dio una sola lettera del Nome santo e cioè la «y» (yod), mentre la donna ha ricevuto due porzioni del Nome di Dio e cioè le lettere «y» (yod, in comune con l’uomo) e la lettera «h» (he) che ricorre due volte nel Nome di Dio per cui alla fine la donna è portatrice della metà del «Nome» di Dio, mentre l’uomo ne porta un quarto soltanto[7]. Da ciò deriva una verità semplice: l’uomo e la donna insieme sono l’immagine quasi perfetta di Dio (1+1), ma non possono esaurire Dio che è sempre più abbondante di quanto possiamo immaginare (il 6 restante). Ne consegue che non può coesistere l’uomo da solo, né la donna da sola, ma solo insieme uomo/donna sono partecipazione del Nome di Dio e della sua vita. La relazione che lega uomo e donna si chiama «amore». In ebraico «amore» si dice  «‘ahabah» le cui consonanti (‘_h_v_h) sommate insieme hanno il valore numerico di 13 (= 1+5+2+5), cioè la metà esatta di 26 che è il valore del Nome «Yhwh», come a dire che nessun uomo e nessuna donna possono da soli «essere in Dio» perché mancanti dell’altra metà dell’amore necessario: l’amore deve essere «trinitario» altrimenti non sta in piedi[8].
 
Nota. La lingua ebraica estende questa «trinità» anche alla triade che nasce da questo rapporto: padre-figlio-madre. Padre in ebraico è «‘ab» e ha il valore di 3 (= 1+2), madre «‘em» ha il valore di 41 (= 1+40): mettendo insieme padre e madre si ha la somma di 44 che è il valore numerico di figlio, in ebraico «yeled» (= 10+30+4). Il figlio non è la somma, ma la simbiosi del padre e della madre: è la loro relazione d’amore vivente, quasi a dire che l’amore del padre e della madre (=13+13) ritrovano pienamente se stessi quando sono immersi in Dio (26 = 13+13) e da lui ricevono un’abbondanza di amore che non possono contenere e che quindi chiamano un altro perché sieda alla loro mensa a condividere la loro esistenza: il figlio (44 = 3+ 41)[9].
 
Questo è il contesto di riferimento in cui si muove Gesù e solo in questo contesto si può capire il suo insegnamento, altrimenti come avviene oggi ci si perde dietro il giuridicismo del divorzio sì o divorzio no e si parte da presupposti che nascono solo dalla confusione. La parola chiave che Gesù pronuncia è «in principio - bereshìt» che è un invito esplicito a tornare all’origine, cioè al fondamento che evidentemente è stato smarrito lungo la storia che è anche un processo di allontanamento da Dio[10]. Se applichiamo questo richiamo di Gesù alla nostra situazione di oggi, ci accorgiamo subito che i parametri da cui partiamo sono completamente fuori posto se non sbagliati perché noi ragioniamo in termini di convenzioni e di convenienze: di fronte ad una situazione dolorosa, ci sembra logico dire: «ma perché non si separano, non divorziano?». Gesù non si ferma alla casistica, ma ci invita alla riflessione invitandoci a sostare nel cuore stesso della nostra coscienza. Se dobbiamo interrogarci sul «principio», forse vuol dire che siamo giunti alla «fine» e si rende necessario un ritorno alle condizioni originarie.
Oggi si dà per scontato che i matrimoni, religiosi e civili siano consapevoli e validi, mentre in effetti sono conseguenze di un costume ordinario, un fattore ambientale. Prendiamo ad esempio il percorso di una persona che giunge al matrimonio religioso. I passaggi sono i seguenti (logicamente teniamo conto delle eccezioni):
-    Un bambino/a nasce e viene battezzato (oggi vi sono genitori che non battezzano e sono sempre più in crescita).
-    Fino all’età di sette anni viene cresciuto in un ambiente di fatto «a-religioso», dove il riferimento a Dio è il presepe e babbo natale, qualche preghiera la sera come sonnifero per addormentarsi, qualche visita in chiesa in occasione del Natale o di qualche matrimonio.
-    Da sette a dieci anni è iscritto a catechismo finalizzato alla prima comunione: il catechismo è vissuto come uno stress da tutta la famiglia che corre a fare lo slalom fra i mille impegni: quando il catechismo finisce e la cerimonia della prima comunione è compiuta, tutti in famiglia tirano un sospiro di sollievo. La frequenza alla Messa è un ricatto: se non si frequenta, non si avrà il premio della prima comunione. Appena finito il ricatto, cessa la frequenza, tranne qualche sporadica occasione.
-    Se va bene, da dieci a dodici/tredici anni continua il catechismo per la «confermazione/cresima», vissuto come un obbligo da dimenticare. Finito questo ciclo si entra nel buco nero dell’assenza. Cessa qualsiasi formazione di fede in famiglia e in ogni ambito dove il ragazzo/ragazza vivono.
-    Dopo circa tredici/venti anni di lontananza si ripresentano in parrocchia un uomo e una donna tra i venticinque e i trentacinque anni che dovendosi «sposare» chiedono quali documenti devono fare. E’ una richiesta burocratica che si potrebbe fare in qualsiasi ufficio preposto. In tutti questi anni nessuno ha mai letto una pagina della Bibbia, forse hanno ascoltato qualche pagina di vangelo in qualche domenica, in cui per sbaglio sono capitati in una chiesa, non sanno nulla del sacramento del matrimonio, ma si preoccupano della marcia nuziale di Mendelssohn e dell’Ave Maria di Schubert o di Gounod. A volte capita che di loro iniziativa presentano come credenziali di avere fatto i chierichetti da bambini o di essere stati scout.
-    Il parroco è accogliente e li dirige al CPM, dove in quattro/cinque/sei incontri si fa una veloce varechina sul senso generico del sacramento, in cui giocano Cristo, la Chiesa, la coppia, i figli, la fedeltà, arrivando qualche volta a parlare anche di divorzio e di separazione, di comunione o separazione dei beni. In alcuni CPM prima ancora di sposarsi, sono informati sulle modalità di separazione. L’info-point CPM comunica tutte le informazioni di rito, rilascia il certificato di frequenza e finalmente i due si sposano in chiesa. Atei autorizzati.
-    Il matrimonio è uno scintillio della chiesa, una cascata di fiori, la musica abbonda, gli invitati sospirano per il ritardo: gli uomini con l’abito della festa, le donne seminude con cappelli impossibili e tutti pensano forse di avere esagerato con il regalo di nozze.
-    Suonata la marcia nuziale, firmati i registri e lanciato il riso per augurare fecondità, si esce dalla chiesa per ritornarci [forse!] dopo qualche anno alla nascita del primo figlio per ripetere esattamente gli stessi passi dall’inizio, in un eterno ritorno. Essere cristiani per nascita è una condanna a vita.
La domanda d’obbligo è: cosa c’entra con il matrimonio cristiano tutto questo? Cosa ha a che fare tutto ciò con il matrimonio sacramento? La risposta è semplice, disarmante e anche banale: nulla. Assolutamente nulla. Un matrimonio simile al primo urto crolla come un castello di sabbia e la soluzione obbligata è il divorzio e i preti ne sono complici. Se non c’è sacramento, se cioè il matrimonio non è visto e celebrato come «luogo» da cui Dio può annunciare la sua alleanza di amore, perché lui o lei, se per strada o in ufficio incontrano qualcuno/a più appetibile, non devono sciogliere il primo contratto, visto che i contratti si firmano e si rescindono, per ricominciare una nuova vita? Che senso ha parlare di matrimonio indissolubile in queste condizioni?
Bisogna ricominciare dal «principio» che consiste nella formazione permanete che coinvolge tutta la vita e questo si può fare solo se i pastori responsabili non si preoccupano del matrimonio al fine di riempire le loro statistiche, ma se si preoccupano della formazione cristiana del popolo di Dio che ha diritto di avere e conoscere la Parola di Dio e di accedere consapevolmente alla vita di Dio espressa nei sacramenti. Bisogna avere coraggio e ripartire dalla ri-evangelizzazione della Chiesa stessa, come ebbe a dire profeticamente Paolo VI:
 
«Il Concilio Vaticano II ha ricordato[11] e il Sinodo del 1974 ha fortemente ripreso questo tema della Chiesa che si evangelizza mediante una conversione e un rinnovamento costanti, per evangelizzare il mondo con credibilità… Il contenuto del Vangelo, e quindi dell’evangelizzazione, essa lo conserva come un deposito vivente e prezioso, non per tenerlo nascosto, ma per comunicarlo… Inviata ed evangelizzata, la Chiesa, a sua volta, invia gli evangelizzatori… Finalmente, chi è stato evangelizzato a sua volta evangelizza»(Esort. Ap. Evangelii Nuntiandi (8.12.1975) 15, 24).
 
E’ tempo di scegliere: o la Chiesa decide di diventare il luogo della Parola che significa essere momento di formazione della vita per la vita, offrendo prospettive alte, oppure morirà come sta morendo: una stazione ferroviaria dove ognuno stacca il biglietto per la mèta che vuole. Una stazione ferroviaria non diventerà mai una comunità che celebra la morte e la risurrezione di Gesù, figlio di Dio e figlio di Maria.
I passaggi obbligati sono i seguenti:
-    Scindere il matrimonio civile da quello religioso con abolizione del matrimonio concordatario che è il vero ostacolo al «sacramento» e la causa prima della confusione.
-    Invitare chi vuole a sposarsi tranquillamente in comune o a convivere, senza condizioni di sorta.
-    Chi vuole sposarsi «nella» Chiesa (non semplicemente «in chiesa»), inizierà un cammino di catecumenato che accompagnerà la coppia per anni, fino a quando la coppia stessa, eventuali figli e l’accompagnatore non concordano che sia arrivato il tempo di dare forma visibile e compimento all’intero cammino.
-    La coppia attorniata dalla comunità nella quale ha sperimentato l’iniziazione alla fede celebra il sacramento come momento eucaristico dell’intera comunità, assumendosi pubblicamente il compito profetico di testimoniare con la vita d’amore l’alleanza che Dio intende stipulare con tutta l’umanità.
-    La comunità si fa carico della nuova coppia e la introduce nella mistagogìa[12] della chiesa locale per vivere insieme da risorti chiamati alla vocazione del matrimonio. Questo è un punto decisivo perché il matrimonio non è la risposta ad un bisogno degli individui, ma la risposta ad una vocazione, ad una chiamata, in cui lui diventa padre adottivo di lei e la sposa madre adottiva di lui e insieme sono figli del Padre. Ciascuno dovrà rendere conto nel giorno del giudizio dell’altro perché dal momento del matrimonio con Dio e con la Chiesa, l’uomo non è più libero di cercare e trovare Dio a suo piacimento e così anche la donna, ma entrambi cercheranno e potranno trovare Dio solo attraverso l’altro/altra. Lui è la via di Dio per lei e lei è la via obbligata di Dio per lui e insieme sono la via obbligata di Dio per il figlio.
A questo punto non c’è più bisogno di catechismi finalizzati ai sacramenti perché la formazione e la crescita avviene nella vita e nella comunità dove ciascuno prende coscienza della propria porzione di amore e di Dio per metterla in comune e condividerla nella relazione d’amore che diventa anche relazione eucaristica. Nella coppia, il rapporto sessuale è l’Eucaristia domestica che essi celebrano come profeti e sacerdoti dell’amore per esercitarsi nell’arte di amare ed essere sempre pronti a dire senza parola agli altri il vangelo della loro nuzialità: guardate come ci amiamo e sperimentate come Dio vi ama.
Coloro che dall’esterno guardano la coppia cristiana che si ama, vedendola, dovrebbero potere dire non «guarda come si amano», ma «guarda come Dio ci ama». In questa coppia, ne siamo certi, non c’è né può esserci spazio per la separazione, il divorzio perché l’uomo cresce nell’amore di Dio attraverso la moglie e questa vive l’amore di Dio attraverso il marito e non sono loro che camminano l’uno verso l’altra, ma è Dio che li conduce per mano e li fonde insieme e  qualsiasi difficoltà la vita apporterà, sarà vissuta e annegata in un mare di amore senza calcoli e senza confini. Tutto il resto, separazione, divorzio, ruolo della donna, disparità dei sessi, sopraffazione, maschilismo, abuso di potere… tutto cade per più nulla accade «per la durezza del vostro cuore» (Mc 10,5)[13].
 
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.
[Pausa: 1-2-3]

Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. [Pausa: 1-2-3]
 
Credo nello Spirito Santo, che é Signore e da la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti. [Pausa: 1-2-3]
 
Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.
 
Preghiera universale[intenzioni libere]
 
LITURGIA EUCARISTICA
Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:
 
«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna  a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).
 
Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.
Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.
 
[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]
 
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna.                         Benedetto nei secoli il Signore.
 
Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.
Il Signore riceva il sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.
 
Preghiamo (sulle offerte): Accogli, Signore, il sacrificio che ci hai comandato d’offrirti e, mentre esercitiamo il nostro ufficio sacerdotale, compi in noi la tua opera di salvezza. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
PREGHIERA EUCARISTICA[Messa dei Fanciulli]
 
Il Signore sia con voi                         E con il tuo spirito.    In alto i nostri cuori  Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.                 E’ cosa buona e giusta.
 
Dio, nostro Padre, tu ci dai la gioia di riunirci nella tua Chiesa per dirti il nostro grazie con Cristo Gesù nostro salvatore. E’ il Verbo incarnato, luce del mondo in cui tu hai rivelato ai popoli il mistero della salvezza.
Hai creato la coppia perché nessuno fosse solo, né l’uomo né la donna, ma ciascuno fosse aiuto all’altro (Gen 2,18).
 
Tu ci ami tanto, che in lui apparso nella nostra carne mortale ci rinnovi con la gloria dell’immortalità divina.
Santo, Santo, Santo, il Signore Dio dell’universo. Kyrie, elèison, Christe, elèison. Pnèuma, elèison.
 
Tu ci hai tanto amato, che hai dato a noi il tuo Santo Spirito per formare in Cristo una sola famiglia che questa notte adora il Dio invisibile venuto in mezzo a noi.
Christe elèison, Kyrie elèison, Pnèuma, elèison. Sei tu, Signore, che hai creato l’uomo e la donna.
 
Per questi doni del tuo amore ti rendiamo grazie, o Padre, e uniti agli angeli e ai santi, cantiamo la tua gloria:
«Il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo» (Gen 2,21-22).
 
Sia benedetto Gesù Cristo, tuo Figlio, che ci hai mandato, amico dei piccoli e dei poveri. Egli ci ha insegnato ad amare te, nostro Padre, e ad amarci tra noi come fratelli.
I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Osanna nell’alto dei cieli. Kyrie elèison. Pnèuma, elèison.
 
E’ venuto a togliere il peccato, il male che allontana gli uomini da te e li rende cattivi e infelici. Ci ha promesso il dono dello Spirito Santo che rimane sempre con noi perché viviamo come tuoi figli.
Christe elèison, Kyrie elèison. Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna al Signore che ha creato l’uomo e la donna. Kyrie elèison, Christe elèison.
 
Ora ti preghiamo: Dio nostro Padre, manda il tuo Santo Spirito, perché questo pane e questo vino diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, nostro Signore.
Beato chi teme il Signore e cammina nelle sue vie (cf Sal 127/126,1).
 
Prima della sua morte sulla croce, egli ci lasciò il segno più grande del suo amore: nell’ultima cena con i Suoi discepoli, prese il pane e rese grazie, lo spezzò, lo diede loro e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI:  QUESTO E’ IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
«L’uomo disse: “Questa volta [essa] è osso delle mie ossa e carne della mia carne. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta”» (Gen 2,23).
 
PRENDETE E BEVETENE TUTTI: QUESTO E’ IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.
«La tua sposa come vite feconda nell’intimità della tua casa; i tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa» (Sal 127/126,3).
 
Poi disse loro:
FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
«Benedetto l’uomo che teme il Signore. Ti benedica il Signore da Sion» (Sal 127/126,4-5).
 
Noi ricordiamo, o Padre, il tuo Figlio Gesù, morto, risor­to, salvatore del mondo. Egli in questa giorno santo si è offerto nelle nostre mani  per mezzo di Maria e noi lo accogliamo e l’offriamo a te nostro sacrificio di riconciliazione e di pace.
Tu hai fatto il Cristo di poco inferiore agli angeli e noi lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti (cf Eb 2,9).
 
Ascolta, o Padre, la nostra preghiera e dona lo Spirito del tuo amore a tutti quelli che partecipano alla tua mensa; fa che diventino un cuore solo e un’anima sola nella tua Chiesa, con il nostro papa Benedetto, il vescovo Angelo, con tutta la Chiesa e con coloro che lavorano per il bene dei popoli.
Al principio della creazione, tu, o Dio ci hai fatti maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Non sono più due, ma una sola carne (cf Mc 10,6-8).
 
Benedici e proteggi, o Padre, il papa … il vescovo … la Chiesa sparsa nel mondo, le persone che amiamo… [breve silenzio memoriale] i nostri genitori, i nostri fratelli e le nostre sorelle e i nostri amici e anche quelli che non amiamo abbastanza. Ricordati anche dei nostri morti che sono viventi in te e presenti a noi… [breve silenzio memoriale]: prendili con te nella tua casa.
Nel Nome del Signore Gesù che ha detto: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio» (Mc 10,14)
 
Padre santo, concedi a noi tuoi figli di venire un giorno a te nella festa eterna del tuo Regno con la beata Vergine Maria, Madre di Dio e Madre nostra, con tutti gli amici di Gesù canteremo per sempre la tua gloria.
Nella Parola del tuo Figlio, nostro redentore che insegna: «In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso» (Mc 10,15).
 
Per Cristo, con Cristo e in Cristo,  a te, Dio Padre onnipotente,  nell’unità dello Spirito Santo,  ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. O santa Trinità, non ti offriamo  oro, incenso e mirra, ma colui che in questi santi doni è significato, immolato e ricevuto: Gesù Cristo nostro Signore e Redentore.Per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
Padre nostro in aramaico: Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:
 

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià
sia santificato il tuo nome
itkaddàsh shemàch
venga il tuo regno
tettè malkuttàch
sia fatta la tua volontà
tit‛abed re‛utach
come in cielo così in terra
kedì bishmaià ken bear‛a.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh
e rimetti a noi i nostri debiti
ushevùk làna chobaienà
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori
kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà
e non abbandonarci alla tentazione
veal ta‛alìna lenisiòn
ma liberaci dal male.
ellà pezèna min beishià. Amen!

 
Antifona alla comunione (Lam 3,25): «Buono è il Signore con chi spera in lui, con colui che lo cerca».
 
Dopo la comunione
Da Fr. Carillon: La sofferenza di Dio
Bisogna leggere le magnifiche pagine in cui Bachelard medita sul maschile e sul femminile delle parole. Ciò lo porta a sottili riflessioni sulla fantasticheria in animus e sulla fantasticheria - più profonda - in anima. In margine a queste pagine ho scritto alcune parole seguite da punti interrogativi:  Mal (male), malheur (disgrazia) sono maschili, douleur (dolore), souffrance (sofferenza) sono femminili, come pure pitié (pietà), miséricorde (misericordia). Bonheur (felicità) è maschile, joie (gioia) e béatitude (beatitudine) sono femminili. “O donna, mucchio di viscere, pietà dolce!”, dice Rimbaud, il quale certamente non sa di tradurre quasi alla lettera il “multitudo miserationum tuarum” del salmo 51,3). Animus è probabilmente incapace di raggiungere il mistero della sofferenza di Dio; occorre il genio, cioè l’ingenuità di Anima.
 
Preghiamo. La comunione a questo sacramento sazi la nostra fame e sete di te, o Padre, e ci trasformi nel Cristo tuo Figlio. Egli vive e regna, nei secoli dei secoli. Amen.
 
Il Signore risorto è con voi.                                                                E con il tuo spirito.
Ci benedica Cristo, Benedizione del Padre.                                       Ora e sempre, in vita e in morte.
Il Signore rivolga su di voi il suo sguardo e vi dia la sua pace.                      Venga la tua Pace, Signore.
Il Signore ponga il suo Nome si di voi e vi dia il suo sigillo.              Venga su di noi il sigillo dello Spirito.
Il Signore sia sempre davanti a voi per guidarvi.                                           Il Vangelo di Cristo è la nostra guida.
Il Signore sia sempre dietro di voi per difendervi dal male.               La croce di Cristo è il nostro scudo.
Il Signore sia sempre accanto a voi per confortarvi e consolarvi.      Amen. Ora e sempre.
 
E la Benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio,
e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen. Per la gloria di Dio.
 
Termina l’Eucaristia come sacramento , inizia ora l’Eucaristia della vita, come storia e testimonianza.
Andiamo in Pace. Rendiamo grazie a Dio.              
 
_______________________________
© Nota: L’uso di questi commenti è consentito citandone la fonte bibliografica
Domenica 27a del Tempo Ordinario – B – Parrocchia di S. Maria Immacolata e San Torpete – Genova
Paolo Farinella, prete – 04-10-2009
 
 


[1] Per ogni matrimonio il parroco di riferimento deve istruire un piccolo «processo» in cui attraverso l’acquisizione di documenti e testimonianze verifica l’identità e l’idoneità dei nubendi e il loro stato libero.
[2] Per questo il «Nome» di Dio, Yhwh, è impronunciabile e segreto perché nessuno può possedere Dio che è il «Tutt’Altro» e il Creatore; cf la risposta evasiva di Dio a Mosè che chiede di conoscerne il Nome in Es 3,13-14: non «Io-Sono colui che sono», ma «Io-Sono-Io» o meglio ancora in base alla struttura verbale dell’espressione biblica ebraica «Io sarò chi sono stato» che tradotto in termini comprensibili significa: «Interroga la storia passata e scoprirai chi sarò io nel futuro». Dio non dà una definizione, ma è evasivo per non farsi possedere da Mosè.
[3] «1 La creazione dell’uomo avvenne nella seguente maniera … 7 Poi videro [gli angeli] che da tutta la terra raccolsero un pugno di polvere, da tutte le acque attinse qualche goccia, da tutta l’aria ne prese un soffio e da tutto il fuoco ne trasse un po’ di calore … 9 Poi Dio plasmò Adamo» (La Caverna del Tesoro 2, in L’altra Bibbia che non fu scritta da Dio, 50; cf DEJ, 20-21). «Dio disse a Gabriele: “Va’ a prenderMi un poco di polvere ai quattro angoli della terra: con essa Io creerò l’uomo”» (Ginzberg, Le leggende degli ebrei I, 65). Altre tradizioni fanno provenire la polvere dalla zona del Tempio (Targum Gionata a Gen 2,7; 3, 23; Pirkè di R. Eliezer 11,2 e 12,1; Talmud Jerushalmì Nazir 7,56b; Gen Rabbà 14,8 dà la ragione di questa scelta: dallo stesso luogo sarebbe arrivata a Israele l’espiazione dei peccati. Per il notariqôn (acrostico) e anche per la tradizione della polvere raccolta dai quattro punti cardinali della terra, cf Bagatti-Testa Il Golgota e la Croce, 17 e 109).
[4] «La formazione della donna ha molte eccellenze nei confronti di quella dell’uomo: la prima delle quali è che fu formata da una materia più nobile di quella dell’uomo, perché l’uomo fu formato col fango della terra e la donna dalla costola dell’uomo» (Martín de Córdoba, Il giardino delle nobili donzelle, curato da Luisa Valeria Tosi Prioglio, Gaspari, Udine 1997, 73). Il testo è del 1468 ed è rilevante perché poco meno di due secoli dopo San Tommaso d’Aquino sosterrà che l’essere donna è una diminuzione dell’essere uomo, insomma uno sbaglio della natura: «aliquid deficiens et occasionatum – una carenza [del maschile] per puro caso» (Cf S. Theol, I, q. 92, a. 2).
[5] Per una panoramica complessiva cf. J. Danielou, Sacramentum futuri. Études sur les origines de la typologie biblique, Beauchesne,Paris 1950.
[6] Nella liturgia ebraica, spesso il Nome Yhwh viene scritto nella forma abbreviata «Yh» e si legge «Yah»: si usa nelle acclamazioni come «Allelu-yah» oppure nei nomi delle persone come «Isai-yah». Qui nelle parole «uomo/ish» e «uoma/ishàh» vi sono appunto le due lettere del Nome abbreviato di Dio: «Yh».
[7] Se guardiamo al valore numerico, scopriamo che sommando le singole lettere di «‘iš – uomo» (1+10+300) si ha somma finale di 307 che si riduce a 10 (=3+7) cioè a 1 e sommando quelle di «‘iššàh – uoma/donna» (1+10+300+5) si ha la somma di 316 che si riduce a 10 (= 3+1+6) cioè 1. Se si somma il Nome «Yhwh» (10+5+6+5) si ha 26 che scorporato corrisponde a 10 + 10 + 6, cioè a 1+1+6, dove il 6 indica la sovrabbondanza di Dio che sovrasta sempre la realtà umana anche se la partecipa (1+1). Anche il termine ebraico esistenza «hoyàh» che deriva dallo stesso verbo da cui si forma il nome «Yhwh» ha il valore finale di 26. Adam che nel capitolo terzo della Genesi pretende di esistere senza Dio è solo un illuso che si ritroverà fuori del giardino, lontano dall’albero della vita.
[8] Per esprimere compiutamente il Nome di Dio bisogna essere in due: uomo+donna = 13+13 perché solo così danno volto a Dio che è 26 (= 13+13). Il rapporto uomo-donna può reggere solo se è un rapporto a tre: uomo-Dio-donna. Se si tolgono le consonanti del Nome di Yhwh e cioè «y-h», le due parole «uomo-donna» in ebraico possono essere lette come «‘eš – fuoco»: senza la Presenza di Dio, l’uomo e la donna si trasformano in un «fuoco» che li divora e li consuma (cf Pirqè [Massime di] Rabbi Eliezer, 12; Midrash, Bereshit Rabba XVIII,1; Talmud, Shabbat 95a ; ecc.).
[9] Possono sembrare giochi infantili per una cultura che si ritiene superiore perché non sa andare oltre la conoscenza da obitorio in cui si diletta l’uomo moderno. Le lingue antiche hanno un fascino e contengono un mistero così grande che noi abbiamo perso e non siamo più in grado di decifrare. Queste riflessioni sono talmente profonde che il Talmud stesso, nel trattato Pirqè ‘Avòt – Le massime dei Padri (V,6), insegna che prima ancora di creare le cose che avrebbero formato la creazione, Dio si preoccupò di creare le lettere dell’alfabeto con le quali avrebbe scritto la Toràh che avrebbe conservato questi segreti e dato questi insegnamenti.
[10]«Gli empi allontanano la Dimora dalla terra, i giusti invece fanno abitare la Dimora sulla terra». «Quando peccò il primo uomo, la Dimora salì al primo cielo; peccò Caino, e salì al secondo cielo; con la generazione di Enoch, al terzo; con la generazione del diluvio, al quarto, con la generazione della torre di Babele, al quinto; con i sodomiti, al sesto, con gli Egiziani ai giorni di Abramo al settimo. Al contrario, vi furono sette giusti: Abramo, Isacco, Giacobbe, Levi, Keat, Amram, Mosè (con il quale la Dimora discese di nuovo sulla terra, al Sinai, come era sulla terra, all’Eden, prima del peccato)» (Midrash: Nm Rabbà [= grande] (XIII,4); Gen Rabbà (XIX,13 = Ct Rabbà V,1).
[11] Cf Concilio ecumenico Vaticano II, decreto Ad Gentes (7.12.1965) 5, 11, 12.
[12] «Mistagogìa» deriva dal verbo greco «myeō-imparo/sono allenato/insegno una dottrina nascosta» e dal sostantivo agôgê da àgō-conduco/guido con particolare riferimento alla condizione ambientale: imparare nel silenzio ovvero allenarsi ai misteri. E’ una specie di iniziazione di passaggio: dallo stato di catecumenato a quello di credenti. «I misteri di Dio sono tenuti nascosti non perché siano negati all’intelligenza di chi vuole conoscerli, ma perché siano rivelati solo a coloro che li ricercano» (Sant’Agostino, Sermo 60/A, 1; PLS 2, 472). Famose sono le catechesi mistagogiche di Sant’Ambrogio di Milano (sec. IV), di Cirillo di Gerusalemme (sec. IV) di Teodoro di Popsuestia (sec. IV-V) e Giovanni Crisostomo (sec. IV-V) nelle quali spiegano sia la dottrina che il rito dei sacramenti dell’iniziazione cristiana e le conseguenze di vita che ne derivano (cf 2a dome. Pasqua B).
[13] Alla lettera per «la sclerocardìa del vostro cuore».


Mercoledμ 07 Ottobre,2009 Ore: 14:21
 
 
Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (0) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
Il Vangelo della domenica

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info