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www.ildialogo.org Domenica 19a per annuum – B – 9 agosto 2009 –,a cura di Paolo Farinella

Domenica 19a per annuum – B – 9 agosto 2009 –

a cura di Paolo Farinella

La 19a domenica prosegue la lettura semicontinua del capitolo 6 di Gv con i vv. 41-52 che appartengono alla 4a unità del racconto e comprende i vv. 35-59 che la liturgia divide in due parti attribuendole arbitrariamente alla domenica di oggi (Gv 6,41-52) e alla prossima (Gv 6,52-59), operando una divisione maldestra del testo biblico: non sempre i liturgisti conoscono la Bibbia. Noi commenteremo l’intero brano (Gv 6,35-59), anche se siamo costretti a distribuirlo in due domeniche: lo faremo però in modo armonico. Nella 1a  domenica (17a ordinaria-B) abbiamo assistito al fatto materiale del miracolo, o meglio al segno che la folla assetata di «miracoli» non ha saputo cogliere e riconoscere. Nella 2a domenica (18a ordinaria-B) siamo entrati dentro questo segno per coglierne le coordinate di senso: dal pane materiale che finisce al pane che dura per la vita eterna; a questo punto siamo stati introdotti sulla soglia della personalità di Gesù, scoprendo la necessità di cercarlo, trovarlo, ma soprattutto incontrarlo nella sua vera identità, superando le impressioni superficiali, tipiche della folla: egli non è solo il profeta che sfama, ma il Pane stesso; non è solo l’inviato mediatore, ma è «Io-Sono»: la rivelazione del volto di Yhwh.  Siamo rimasti però con un interrogativo personale: Chi è, dunque, Gesù per me?
 
Nell’AT più di ogni altra la figura di Elia è legata alla personalità del Messia: secondo la tradizione è lui che deve annunciarne l’arrivo. Gesù stesso lo identifica con Giovanni Battista, il precursore[1] . Il tema del viaggio di Elia al monte di Dio si addice all’Eucaristia che è il pane che nutre durante il viaggio della vita verso la conoscenza non di una legge di pietra, ma del Verbo che «carne fu fatto» (Gv 1,14) per rivelare a noi il volto della paternità di Dio (Gv 1,18). Durante il viaggio, il cristiano non ha che un metodo, come c’insegna Paolo nella seconda lettura: «camminare nella carità, nel modo in cui anche Cristo ha amato e ha dato se stesso per noi» (Ef 5,2).
Il profeta è colui che riprende sulle proprie spalle e nella propria esperienza l’intero vissuto del popolo di cui è membro vivo. Egli potrà profetizzare in nome di Dio solo ciò che sperimenta: non può fare proclami, ma la sua parola deve essere garantita dalla sua vita e dal suo stile di vita. Un profeta non credibile rende «incredibile» anche Dio. Ieri come oggi il prezzo che il profeta paga è spesso la solitudine ecclesiale, perché egli può essere solo in mezzo al suo stesso popolo, ma è sempre  presente davanti alla Shekinàh/Dimora/Presenza di Dio che non lo abbandona e non permette che soccomba. O meglio, Dio è sempre presente al suo profeta, anche quando tutto fa pensare il contrario[2]. Ripercorrendo in senso contrario il percorso dell’esodo, dalla terra promessa al monte Sinai, Elia ritorna alla sorgente dell’esistenza del suo popolo e quasi in un cammino di purificazione, rivive il suo esodo personale come memoriale dell’esodo perduto del suo popolo che si prostituito con gli idoli e la politica immorale della regina fenicia Gezabele, sposa del re di Israele, Acab (875-852). Solo rivisitando il memoriale dell’esodo, Elia può superare e vincere lo scoraggiamento e, di nuovo, affrontare i rischi e gli imprevisti del nuovo viaggio che lo guiderà ad annunciare la Parola senza condizionamenti e senza paura.
Anche Gesù nel Vangelo dopo avere sfamato la folla e insegnato ai suoi discepoli si trova solo e deve chiedere: «Volete andarvene anche voi?» (Gv 6,67). Egli intende la moltiplicazione del pane come segno di un mondo nuovo, mentre la gente la interpreta come miracolo materiale da sfruttare: consapevole della incomprensione della folla, Gesù non perde tempo a spiegare, ma si ritira sul monte tutto solo (Gv 6,15) a ripensare il suo ministero alla luce degli eventi e nella sua coscienza. E’ più facile essere sacerdoti che essere profeti: il primo gestisce il culto come una impresa che esige presenza fisica non anche coinvolgimento dell’anima; il profeta invece si appella alla coscienza e parla con la vita (cf le figure tipiche di Elia, Osea e Geremia).
Nella seconda lettura san Paolo è sulla stessa linea: non basta essere battezzati, bisogna anche incarnare nella vita questa appartenenza, evitando i peccati di lingua come la menzogna che si oppone alla verità (Ef 4,25) e la maldicenza (Ef 4,31) che si oppone alla carità. Per Paolo il contrasto è tra Spirito e lingua: lo Spirito è accoglienza della Parola di verità cioè del Vangelo della salvezza, predicato da Paolo, per cui non è più possibile pronunciare parole di menzogna o di malizia che negherebbero la Parola del Vangelo. Lo Spirito è comunione con Dio e con quanti Dio è in comunione formando così quella misteriosa realtà che si chiama corpo mistico o corpo di Cristo, cioè la Chiesa[3].
Celebrare l’Eucaristia è compromettersi con la profezia della Parola che annuncia la frantumazione del Pane che deve essere distribuito alle folle perché abbiano coscienza degli eventi di Dio. Ci lasciamo guidare dallo Spirito Santo per spezzare il pane della Parola che è la vita stessa di Dio, con le parole del salmista (Sal 74/73,20.19.22.21): Volgi lo sguardo, Signore, alla tua alleanza, non dimenticare per sempre la vita dei tuoi poveri. Àlzati, o Dio, difendi la mia causa; il povero e il misero lodino il tuo nome.
 
Testi biblici
Prima lettura 1Re 19,4-8. Il profeta Elia appartiene al gruppo dei profeti detti «anteriori» le cui gesta si trovano in quattro libri dell’AT (Giosuè, Giudici, 1-2Samuele e 1-2Re) per distinguerli dal gruppo dei profeti «posteriori» o scrittori (Amos, Osea, Isaia, Geremia, Ezechiele e i Dodici minori). Elia è vissuto nel sec. IX a. C. durante un’apostasia del regno del nord, governato dal re Acab e da sua moglie Gezabele di Sidone in Fenicia, da cui è perseguitato per la sua fedeltà al Dio d’Israele. Inseguito dalla polizia di regale, egli fugge nel deserto e ripercorre lo stesso tragitto che ha fatto il popolo d’Israele dall’Egitto alla terra promessa. Elia rivive così l’esperienza del suo popolo, ma al contrario: dalla terra promessa al monte Sinai. Israele, perseguitato dal Faraone, attraversa il Mare Rosso e il deserto fino all’incontro con Dio sul monte Oreb dalla cui sommità scende la Legge, dono di Dio. Elia perseguitato per la sua fedeltà al Dio dell’esodo, fugge da Israele e va nel deserto dove, nutrito dal cibo che Dio stesso gli procura, affronta un viaggio di quaranta giorni fino all’Oreb, la montagna dell’alleanza: qui l’incontro con Dio suggella tutta la sua vita e la persecuzione.
 
Dal primo libro dei Re 1Re 19,4-8 
In quei giorni, Elia s’inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto una ginestra. Desideroso di morire, disse: «Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri». Si coricò e si addormentò sotto la ginestra. Ma ecco che un angelo lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia!». Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia, cotta su pietre roventi, e un orcio d’acqua. Mangiò e bevve, quindi di nuovo si coricò. Tornò per la seconda volta l’angelo del Signore, lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino». Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb. - Parola di Dio.
 
Salmo responsoriale 34/33, 2-3; 4-5; 6-7; 8-9. Il salmo nel testo ebraico e greco è alfabetico (ogni versetto è preceduto da una lettera dell’alfabeto) diviso in due parti. La prima, riportata dalla liturgia di oggi, è un inno di ringraziamento per una liberazione ottenuta da un pericolo mortale (vv. 2-11). Segue la seconda parte (vv. 12-23), assente nella liturgia, che in forma didattica sullo stile sapienziale insegna il timore di Dio in una vita retta. Nei momenti del pericolo «benedire» Dio significa partecipare alla sua paternità feconda che non ci abbandona mai.
 
Rit. Gustate e vedete com’è buono il Signore.
 

 
1. 2 Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
3 Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino. Rit.
2. 4 Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
5 Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato. Rit.
 
3. 6 Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
7 Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce. Rit.
4. 8 L’angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono, e li libera.
9 Gustate e vedete com’è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia. Rit.

Seconda lettura Ef 4,30-5,2.Il brano della 2a lettura è tratta dalla parte dottrinale della lettera agli Efesini che potrebbe essere posteriore a Paolo e quindi un autore diverso. Per contenuto la lettera dipende da quella ai Colossesi. L’autore si situa nella stessa logica di Gv: i cristiani che sono diventati discepoli di Gesù non possono più continuare con la vita pagana, ma devono accettare che «il fatto nuovo» è irreversibile e deve coinvolgere anche le scelte di vita (4,17), perché hanno ricevuto il sigillo dello Spirito (Ef 1,132; Cor. 1,22). I cristiani non sono frutto di un’astratta elezione divina che si perde nel tempo antico; essi, al contrario, sono immersi nell’amore di Dio che li sigilla proprietà esclusiva di Dio (Es 12,13; Ez 9,4-7; Ap 7,3; 9,4), posta nel cuore del mondo per essere segno della sua presenza.
 
Dalla lettera di Paolo apostolo agli Efesini 4,30-5,2
Fratelli, 30 non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione. 31 Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. 32 Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo. 5,1 Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore. - Parola di Dio.
 
Vangelo Gv 6,41-51. Gesù non fa sconti e non cerca il consenso: le sue parole suscitano scandalo in coloro che appena poco prima lo avevano osannato per farlo Re (Gv 6,15). La folla cataloga Gesù nei suoi schemi superficiali e pretende di «sapere» tutto di lui. Quando però non riesce a incasellarlo nella fissità di una religiosità anonima e abitudinaria, invece di mettersi in discussione, dichiara che è impossibile che lui sia chi dice di essere. La certezza religiosa chiude alla fede e all’incontro con Dio. E’ il dramma della Chiesa: si può essere convintamente religiosi e nello stesso tempo non avere fede; pratica molto ed essere atei. Nemmeno la rilettura delle esperienze dei loro padri riesce ad aprirli all’attualità di Dio: sono troppo presi dalle loro certezze e non si accorgono di smarrire l’incontro decisivo con il Dio che viene, oggi e domani. Anche gli uomini di chiesa possono essere lontani da Dio pur essendo materialmente dentro il tempio. Dal momento dell’incarnazione che nell’Eucaristia trova il suo sacramento originale,il tempio non è più una garanzia della Presenza divina perché il vero tabernacolo della nuova alleanza è nell’umanità di Dio che prende posto nell’umanità del mondo.
 
Canto al Vangelo Gv 6,51
Alleluia.  Io sono il pane vivo, disceso dal cielo, dice il Signore, / se uno mangia di questo pane vivrà in eterno.
 
Dal Vangelo secondo GiovanniGv 6,41-51
In quel tempo, 41 i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». 42 E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?». 43 Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. 44 Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 45 Sta scritto nei profeti: «E tutti saranno istruiti da Dio». Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. 46 Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. 47 In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. 48 Io sono il pane della vita. 49 I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50 questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. 51 Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. 52 Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». - Parola del Signore.
 
Spunti di Omelia
Nella domenica 17a, abbiamo incontrato il profeta Elia che sfamava la gente con un pane di orzo ricevuto gratuitamente; nella domenica 18a (domenica scorsa) è Dio stesso che provvede la manna per il popolo affamato e stremato nel deserto; oggi nella domenica 19a è Elia il profeta intransigente ad avere bisogno di essere sfamato e Dio lo provvede di pane e acqua (1Re 19,6). Nel NT, Dio si offre cibo e bevanda di comunione per la vita eterna: nel vangelo di oggi, infatti, per 4x si ripete l’affermazione: «pane disceso dal cielo» o simile (Gv 6,41.48. 50.51). La figura di Elia è veramente propedeutica alla conoscenza di Gesù perché anticipa i temi che Gesù svilupperà e farà suoi nella sua vita:
 
-    Elia sperimenta lo scoraggiamento come tentazione[4] fino a desiderare la morte (1Re 19,4; cf Mt 26,36-46) perché è rimasto solo dalla parte di Dio e ricercato dalla polizia di stato e deve scappare (1Re 19,1-3; cf Gv 18,3; Mt 26,47). Abbandonato anche da quel popolo che prima lo osannava come profeta di Dio (1Re 18,39; cf Gv 12,12-13), mentre ora si adegua servilmente al potere e lascia Elia nella più totale solitudine (1Re 19,3-4; Mt 26,36-46).
-    Elia annuncia la dilazione del tempo[5]per giungere alla conversione. Il tema della dilazione è descritto nella cifra dei 40 giorni e 40 notti (v. 8) ed lo stesso tema che Gesù citando Isaia annuncia anella sinagoga di Nazareth proclamando «un anno di misericordia» (Lc 4,19; cf Is 61,2). Anche Gesù sperimenterà i 40 giorni e le 40 notti nel deserto (Mt 4,2) come erede del popolo d’Israele che anche egli assume nella sua esperienza, non solo come profeta della nuova alleanza e guida verso il Regno di Dio, ma come la Presenza fisica di Dio sulla terra. Dio non ha mai fretta, perché a lui non interessa qualsiasi risultato, ma solo l’esito della salvezza «perché nulla vada perduto» (Gv 6,12: cf anche vangelo della dom. 17a-B).
-    Elia è accostato a Mosè, il condottiero e il profeta per eccellenza. Ambedue sono legati dallo stesso percorso (40 anni di viaggio per Mosè [Nm 32,13]; 40 giorni per Elia [1Re 19,8]) e dalla stessa montagna da cui Mosè parte verso la Terra promessa, e verso cui Elia si dirige per trovarvi rifugio, fuggendo dalla Terra promessa. Mosè è il legislatore che conosce il mistero di Dio da cui riceve la parola scritta dell’alleanza, mentre Elia è il profeta che ritorna alla sorgente, al monte da dove il mistero di Dio si è svelato divenendo in qualche modo «parola incarnata» che egli deve precedere e annunciare. L’uno e l’altro nella tradizione cristiana saranno associati alla figura di Gesù, l’uomo che svela definitivamente il mistero di Dio nel racconto della Trasfigurazione, di cui sono testimoni appunto Mosè in rappresentanza della Toràh e Elia in rappresentanza della Profezia (cf. Mt 17,3-4; Mc 9,4-5; Lc 9,30-31)[6].
 
Sulla scia di Elia il profeta e di Mosè il condottiero, Gesù pone i suoi ascoltatori (e Gv i suoi lettori) di fronte ad un bivio: o si viene a lui (Cf Gv 6, 37.44-45) o si «mormora» contro di lui per le esigenze forti che richiede (Gv 6,41; Mt 20,1-15, specialmente v. 11)[7]. Le mormorazioni dei Giudei (Gv 6,31 e 41) rimandano al parallelo tra Gesù e Mosè:
 
Gv 6: Gesù
Es.:Mosè
v. 1
Gesù ha attraversato il mare di Galilea
14,21-22
Mosè il Mare Rosso
vv. 5.32
Gesù vuole sfamare la folla con l’Eucaristia
 in vista del Regno di Dio[8]
3,8
Mosè sfamò il popolo con la manna
in vista della Terra Promessa
v. 41
gli Ebrei di oggi mormorano contro Gesù
15,24[9]
gli Ebrei nel deserto mormorano contro Mosè 
v. 50.  (38.41.51)
Gesù è «il pane che discende dal cielo»
16, 4.8-9
la manna, «il pane disceso dal cielo»
 
Gv 6,49 rende esplicito e diretto il rapporto tra la manna di Mosè e il pane/corpo, svelando così la sua intenzione di mettere in relazione gli eventi del deserto con quelli nuovi che accadono attorno a Gesù[10]. Non si può capire pertanto il senso della manna senza partire dal discorso di Gesù e non si può capire il discorso di Gesù senza comprendere prima il «segno» profetico della manna di Mosè:
 
«I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”. Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero».
 
Questo dunque è il quadro di riferimento globale: Gv 6 vuole rileggere il racconto dell’Esodo in chiave attualizzante: l’Eucaristia realizza oggi ciò che l’Esodo aveva anticipato come simbolo. Troviamo qui applicato il metodo di esegesi ebraica, il Midrash che spiega la Scrittura con la Scrittura. Per potere comprendere la portata di questo brano, è necessario leggerlo nel contesto dell’intera unità di cui è parte, come abbiamo detto nell’introduzione. Ecco di seguito il testo integrale della 4a unità che comprende sia il testo di oggi a cui aggiungiamo in corsivo i versetti esclusi, sia quello di domenica prossima e che dovrebbe essere incluso qui[11]:
 
A
 (vv. 35-40 assenti)
[35 Gesù rispose: «Io-Sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai.
 
B
36 Vi ho detto però che voi mi avete visto, eppure non credete. 37 Tutto ciò che il Padre mi dá, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, 38 perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. 39 E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno. 40 Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna;e  io lo risusciterò nell’ultimo giorno»]
 
 
 
Domenica 19a  (Oggi)
 
 
C
41 I Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». 42 E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?». 43 Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. 44 Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 45 Sta scritto nei profeti: «E tutti saranno istruiti da Dio». Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. 46 Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. 47 In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. 48 Io sono il pane della vita. 49 I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50 questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
 
Domenica 20(domenica prossima)
 51 Io-Sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
 
B’
52 Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53 Gesù disse loro: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55 Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57 Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
A’
58 Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». 59 Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.
Il brano è un affresco che dipinge la personalità di Gesù e la coscienza che egli ha di sé, inserendo i singoli temi sia nella prima parte (Gv 6,35-47) che nella seconda (Gv 6,48-59). Purtroppo la liturgia non riporta il brano Gv 6,35-40 che contiene due progressioni di rivelazione, quasi un crescendo musicale e riguardano la prima la personalità di Gesù che si rivela come Pane:
 
-       v. 35: Io-Sono il pane della vita (ripreso al v. 48)
-       v. 41: Io sono il pane disceso dal cielo (ripreso al v. 58)
-       v. 51: Io-Sono il pane vivo, disceso dal cielo
 
La seconda progressione riguarda la volontà di Dio che è il perno della vita di Gesù:
 
-        v. 38: Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato
-        v. 39: Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato,
ma lo risusciti nell’ultimo giorno.
-        v. 40: Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna;
e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
 
Nella prima progressione che introduce sempre più intimamente nell’intimità di Gesù, si passa dal pane della vita ad un gradino superiore perché questo pane di vita è disceso dal cielo e si conclude che non solo è pane della vita, ma resta un pane vivo disceso dal cielo: un pane di vita, disceso dal cielo che è vivo. Nella seconda progressione abbiamo una conoscenza sempre più approfondita della volontà del Padre che è rivoluzionaria in un contesto religioso che ruota attorno all’«esclusività» del popolo Israele, lasciando gli altri ai margini, a lambire solo le briciole della salvezza: obiettivo di Cristo-Pane è la volontà del Padre non la propria; questa volontà non è una sudditanza passiva (fare quello che vuole un altro), ma una missione: non perdere alcuno (la salvezza è per tutti); la volontà del Padre offre anche i mezzi di salvezza (la fede nel Figlio come via al Padre). La volontà del Padre è volontà di salvezza universale, attraverso la vita del Figlio. Ecco perché è Pane disceso dal cielo.
 
Di seguito offriamo un  elenco incompleto dei temi che il brano di oggi ci offre
a)      Domina la figura del Padre citato 9x (vv. 38.39.40.44.45.46[2x].57[2x]). La personalità di Gesù non può essere intuita e compresa se non nella «volontà di colui che lo ha mandato». Strano risultato! Gesù viene per rivelare il Padre (Gv 1,18) e nello stesso tempo solo chi ha «udito il Padre e imparato da lui» (v. 45) può vedere Gesù e credere in lui[12].
b)      Gesù rivela la coscienza che ha nel suo rapporto con il Padre (v. 38: non «la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato»).
c)      Ad essa si contrappone l’opinione dei Giudei fermi alla paternità terrena di Giuseppe (v. 42).
d)      I Giudei danno a Gesù il titolo di «figlio di Giuseppe» (v. 42) a cui Gesù contrappone quello messianico di «Figlio dell’uomo» (v. 53): titoli che costituiscono una cristologia bassa, povera, essendo i due titoli ancora nella dimensione messianica e non in quella della divinità espressa.
e)      Le espressioni «vedere il Figlio» (v. 36.40) e «venire a me» (vv. 35.36. 37[2x].44.45) sono sinonimi di «credere in me» (vv. 35.36.40.47).
f)       La formula di auto-rivelazione «Io-Sono» ricorre 4x (vv. 35.41.48.51), svelando così la personalità di Gesù[13].
g)      Gesù pone a confronto gli effetti dell’azione dei «vostri padri» (v. 49) con ciò che fa il «Padre» suo (v. 37. 44-46.57): «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno»; «I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti» (vv. 44. 49).
h)      Il tema della manna/pane lo abbiamo riportato molte volte per ritornarci ancora, ma qui è interessante riportare il testo del Targum che commenta Es 16,4 e 15:
 
 
Es 16,4.
Targum (j I)
v. 4
Allora il Signore disse a Mosè : «Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina o no secondo la mia legge».
Allora Yhwh disse a Mosé: «Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo conservato per voi fin dal principio. Il popolo uscirà a raccoglierne la razione di ogni giorno per metterli alla prova e vedere se osservano i miei comandamenti.
v. 15
Gli Israeliti la videro e si dissero l’un l’altro: «Man hu: che cos’è ?», perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: «E’ il pane che il Signore vi ha dato in cibo».
Essi si dissero l’un l’altro: «Che cosa è?». Essi non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: «E’ il pane che è stato conservato in alto nei cieli per voi fin dal principio e che adesso Yhwh vi dona».
 
Nel Targum il Pane conservato è il pane dei comandamenti e quindi dell’alleanza: il Pane della parola di Dio che nella Toràh nutre e vivifica il popolo santo. Da ciò possiamo dedurre che il Giudaismo del sec. I fosse in attesa del tempo del Messia come un tempo in cui Dio avrebbe rinnovato il miracolo della manna (2Bar 29,8; Or Sib 7,148-149; Rut R. 2,14) che non è solo un cibo per sfamare, ma principalmente il cibo che nutre l’obbedienza ai comandamenti del Padre. Gesù mette al centro del suo vangelo il comandamento dell’amore, riducendo ad esso i 613 precetti della tradizione giudaica[14]. Infine, la manna è la Parola di Dio che si incarna nei comandamenti che nutrono chi li vive, come insegna anche la Sapienza (16,20-21.26):
 
«Hai sfamato il tuo popolo con un cibo degli angeli (Lxx: anghèlon trophên), dal cielo hai offerto loro un pane pronto senza fatica, capace di procurare ogni delizia e soddisfare ogni gusto. Questo tuo alimento manifestava la tua dolcezza verso i figli … perché i tuoi figli, che hai amato, o Signore, imparassero che non le diverse specie di frutti nutrono l’uomo, ma la tua parola tiene in vita coloro che credono in te» (Sap 16,20-21.26).
 
Il pane degli angeli diventa il nutrimento dei figli di Dio che sono custoditi e conservati direttamente dalla Parola che ascoltano e che praticano nei comandamenti, nel comandamento dell’amore. La tradizione rabbinica successiva si ricollega al Targum quando riporta la lista dei 7 oppure 10 oggetti «preesistenti» alla creazione del mondo, tradizione conosciuta anche dal NT:
 
Pirqè Avot V, 6
Gv 17
1 Pt 1
Ap 2
Dieci cose furono create al crepuscolo del primo Sabato: l’apertura della terra, la bocca del pozzo, la bocca dell’asina, l’arcobaleno, la manna, la verga [di Mosè], lo shamìr, le lettere dell’alfabeto, la scrittura e le Tavole della Legge. C’è chi dice: anche gli spiriti maligni e la tomba di Mosè nostro maestro, l’ariete di Abramo nostro patriarca e c’è chi dice anche la tenaglia fatta con tenaglia[15].
5 E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse.
18 Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come l’argento e l’oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, 19 ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia. 20 Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi.
17Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese. Al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza bianca, sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi lo riceve[16].
 

 
i)        Un altro tema importante che collega le due unità è quello della «vita e della morte» (vv. 40.49)
j)        Il tema della «fede» domina la prima parte della struttura (vv. 35-47) in cui Gesù «dice» che è sinonimo di «insegnare» (v. 36), mentre il discepolo deve udire il Padre per andare al Figlio (v. 45). La fede si nutre col Pane della Parola che è l’Ascolto (vv. 35.36.40.45.47)[17].
Abbiamo visto quanto sia complesso il capitolo 6 di Gv pur nella semplicità del suo messaggio eucaristico. Da ciò apprendiamo come sia pericoloso leggere la Scrittura in modo fondamentalista e quanto sia necessario conoscere lo sfondo giudaico in cui il testo è nato ed è stato proclamato. L’Eucaristia per noi è quello che per gli Ebrei era (ed è) la sinagoga: Bet haMidrash, cioè scuola della Parola che attraverso il linguaggio c’insegna il pensiero di Dio e ci svela la sua vera natura: Pane di vita e Vino di alleanza.
L’Eucaristia imbandisce un banchetto con due mense: la mensa della Parola che è l’Eucaristia attraverso le orecchie e la mensa del Pane che è l’Eucaristia attraverso la bocca. Ascoltare e mangiare, in questo contesto, sono sinonimi perché indicano le forme della comunione vissuta: nell’Eucaristia facciamo la comunione due volte: la prima attraverso gli orecchi e la seconda attraverso la bocca realizzando così il cuore stesso dell’annucio del vangelo del pane disceso dal cielo: «Il Lògos carne fu fatto» (Gv 1,14).
 
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Domenica 19a del tempo ordinario – B – Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete
© Nota: L’uso di questi commenti è consentito citandone la fonte bibliografica
Paolo Farinella, prete – 09-08-2009 – San Torpete,Genova


[1] Mt 11,14; [Mc 6,15; Lc 9,8] 16,14 [Mc 8,28; Lc 9,19]; 17,10-12 [Mc 9,11-13]; cf anche Lc 1,17; Gv 1,21.25.
[2] Gesù nell’angoscia della morte non sarà abbandonato, ma un angelo lo conforterà (Lc 22,43); così pure anche il povero che s’abbandona a Dio (Sal 10/9,14) non è solo se in lui si rifugia (Sal 37/36,28). Elia rivive il cammino del popolo di Dio nel deserto: il pane e l’acqua del v. 6 richiamano la manna (Es 16,1-35) e l’acqua della roccia (Es 17,1-7).
[3] Essere parte vivente di questo corpo esige che si deponga ogni atteggiamento di violenza, d’ingiurie, di liti, di menzogne, di inganni, di sopraffazioni (Ef 4,31), atteggiamenti che negano lo Spirito di comunione, cioè il Cristo stesso in cui si dice di credere. I credenti, invece, vivono la bontà e la compassione (Ef 4,32) e soprattutto il perdono che lo Spirito ha seminato in germe in ciascuno e che deve essere portato a maturazione nelle scelte quotidiane. Il perdono reciproco (Ef 5,1) rende imitatori di Dio, non nel comportamento esteriore, quanto piuttosto nella testimonianza. Il credente ha beneficiato del perdono di Dio e ora lo estende ai suoi simili e fratelli (Ef 5,2; cf Mt 18,23-35). In altre parole la nostra missione è rendere credibile Dio stesso attraverso le nostre parole, i nostri comportamenti e le nostre scelte, sapendo che il comportamento morale del cristiano non dipende dalla sua volontà, ma è radicato nel cuore stesso di Dio: ha per motivo e ragione la natura intima di Dio che in Cristo opera il nostro perdono e la trasfigurazione della nostra vita quotidiana.
[4] Il tema dello scoraggiamento come tentazione è un tema classico nella Scrittura: Agar per suo figlio (Gen 21,14-21); Mosè nei confronti di Dio (Nm 11,11-15); Giona per Nìnive (4,3-8); Geremia nei confronti del popolo (15,10-11); Gesù nell’orto degli ulivi (Mt 26,36-46).
[5] Anche il tema della dilazione è una costante in tutta la rivelazione: il numero 40 è il numero dell’attesa, della preparazione, della purificazione, della prova. Elia vuole raggiungere il suo Dio che sembra sfuggirgli e per questo vuole morire (1Re 19,4-5), ma se vuole incontrare il Presente-assente deve percorrere tutto il deserto, per tutto il tempo della ricerca (quaranta giorni e quaranta notti) e deve equipaggiarsi del nutrimento necessario che non gli è dato dalle sue forze, ma solo da un angelo del cielo che porta pane e acqua: il cibo di Dio, cioè la sua volontà e il suo disegno di salvezza. Ad Elia non restano molte alternative: se vuole incontrare Dio, deve rifare l’esodo e ritornare allo stato originario quando il popolo si fidava di Dio e questi lo guidava verso la terra promessa. Una volta giunto all’Oreb, Elia non incontrerà Dio nemmeno nella brezza (il testo non dice che Dio era nella brezza), ma sperimenterà la presenza di Dio e il suo animo cadrà in adorazione di quel Dio inafferrabile eppure vicino, assente, eppure prossimo più di quanto Elia stesso possa immaginare. Spesso Dio abita il silenzio della solitudine da cui vorremmo uscire per cercarlo, senza sapere che Lui è già lì e ci ha già trovati per primo.
[6] Elia è associato a Mosè perché si scaglia contro un sentire religioso materiale, che ha perso lo spirito originario, proprio di Mosè: egli è la memoria perenne che richiama alle esigenze della legge del deserto quanti si sono arricchiti e ingrassano a danno dei poveri, coinvolgendo in questo tradimento le stesse istituzioni religiose che sono diventate strumento di oppressione e non di liberazione. Elia è così il Mosè che ritorna a richiamare alle esigenze spirituali della fede, ad esigere la “scelta religiosa” senza compromessi con qualsiasi potere, anche a costo della vita.
[7] Cf J. Dupont, «La parabole des ouvriers de la vigne», in NRTh (1957) 785-797.
[8] Sta qui il motivo per cui i Cristiani non hanno un rapporto viscerale con la «Terra d’Israele» come gli Ebrei «Eretz Israel». Per i Cristiani la Terra Promessa è l’Eucaristia che a sua volta è anticipo del Regno «già» vissuto, «ma non ancora» posseduto del tutto. La Terra o meglio i Luoghi della Salvezza per i Cristiani sono «sacramentali» cioè l’estensione visibile del «corpo fisico» del Signore da amare e visitare, ma più ancora di essi è l’Eucaristia il «corpo» che noi possiamo toccare (cf 1Gv 1,1-4) oltre la Terra, in ogni Terra, ovunque una comunità celebra il memoriale della nuova alleanza.
[9] Cf anche Es 16,2; 17,3; Nm 16,41.
[10] R. Le Déaut, «Une aggadah targumique et les “murmures” de Jean 6«, Bib 51 (1970) 80-83.
[11] Il riquadro A e B non sono riportati nella liturgia (non si capisce il perché), il riquadro C contiene il testo della domenica di oggi (dom. 19a), tranne il Gv 6,51 che insieme a B’ e A’ appartengono alla domenica 20a.
[12] E’ lo stesso processo per riconoscere i segni che compie Gesù: non sono questi che inducono alla fede, ma è la fede che svela i segni rivelatori della sua personalità. Gv 6,45 è un segnale di quanto dicevamo domenica scorso sull’ipotesi che il capitolo sia un adattamento cristiano di un’omelia ebraica preesistente. Giovanni dice: «Sta scritto nei profeti: «E tutti saranno istruiti da Dio». Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me». Il profeta a cui si riferisce è Isaia: «Tutti i tuoi figli saranno discepoli/istruiti del Signore» (ebr.: limoudèi Yhwh). Se applichiamo ad Isaia la regola esegetica «al tiqrà [non dire] … elà [ma dici] … si ha il seguente risultato: «Non dire “limoud - istruito”, ma “lomed - impara”. Nel testo di Gv si ha: «E tutti saranno istruiti …Chiunque ha imparato [in gr.: mathôn –discepolo]». Questa nota per chi non conosce l’ebraico fa un discorso astruso, la mettiamo lo stesso per suscitare maggiore rispetto verso la Parola.
[13] Della formula di autopresentazione «Io-Sono» abbiamo parlato nella Domenica 4a di Pasqua B (con le note 1-10) e nella  Domenica 18a del tempo ordinario-B, riportando tutti i testi relativi da cui emerge che l’espressione nel suo complesso in Gv ricorre 26x che, secondo la scienza dei numeri o ghematrìa in ebraico, è il numero sacro che corrisponde al nome santo «YHWH»: Gesù con questa formula cristologia si presenta semplicemente come «Yhwh» (cf. Es 3,6.14, nella versione greca della Lxx).
[14] «E io so che il suo comandamento è vita eterna (Gv 12,50).Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri (Gv 13,34).Se mi amate, osserverete i miei comandamenti (Gv 14,15).  «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama (Gv 14,21).Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore (Gv 15,10). Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati (Gv 15,12). Da questo sappiamo d’averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti (1Gv 1, 2,3). Carissimi, non vi scrivo un nuovo comandamento, ma un comandamento antico, che avete ricevuto fin da principio. Il comandamento antico è la parola che avete udito (1Gv 2,7). Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri (1Gv 3,23). Perché in questo consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi. In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti (1Gv 5,2-3; cf anche 2Gv 5-7).
[15] L’apertura della terra che  ingoiò Core e compagni (Nm 16,31). Lo shamir è un insetto miracoloso con cui furono intagliati i nomi delle tribù di Israele sulle pietre preziose del pettorale del Sommo Sacerdote (cf Es 39,14-19). Esso servì anche per intagliare le pietre dell’altare nel Tempio (era vietato usare qualsiasi oggetto di metallo). Le tavole della Legge sono le due pietre della prima copia (che Mosè ruppe contro il vitello d’oro: cf Es 32,19). «Spiriti maligni»: dopo Adamo ed Eva, Dio creò altri spiriti da mettere in altri corpi, ma ormai dopo il peccato si fece tardi e arrivò il sabato e questi spiriti rimasero senza corpi, per cui divennero «maligni». Per fare una tenaglia di ferro ci vuole un’altra tenaglia che deve tenere la prima che è incandescente, mentre il martello la forma; ne consegue che la prima tenaglia l’ha fatta Dio. Vi è in ciò una allusione al fatto che Dio pose nella natura il germe della tecnica, delle scoperte e invenzioni di tutti i tempi.
[16] Il testo dell’Ap stabilisce per noi una data certa che è la fine del sec. I, fatto che dimostra che questa tradizione è molto antica e che Gesù stesso e gli evangelisti la conoscevano.
[17] V., infra, Appendice 1: il vocabolario di Gv 6.


Sabato 08 Agosto,2009 Ore: 22:04
 
 
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