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www.ildialogo.org Il sindacalismo di papa Benedetto,di Lidia Menapace

Il sindacalismo di papa Benedetto

di Lidia Menapace

04.02.2010
   Dall'alto della finestra che dà su piazza san Pietro domenica il papa ha citato gli operai di Termini Imerese e di Portovesme, intercedendo per loro.  Naturalmente è stato ripreso  in tutti i telegiornali ecc., ma nè Fiat nè Alcoa gli hanno risposto.  E gli operai delle due fabbriche venuti a Roma non si sono rivolti a lui,  ma hanno stazionato davanti a palazzo Chigi e alla Camera.
  Le parole del papa sono generici inviti ai buoni comportamenti e basta, espressione di desideri buoni e di esortazioni senza conseguenze, dato che egli non ha in materia alcun potere, ma certo servono, anche se questa volta la loro durata televisiva è stata un lampo.
  Perchè? che cosa è cambiato? che cosa sta cambiando? e perchè il papa invece di riferirsi alla crisi mondiale e alla miseria dei disoccupati nell'intero mondo cita solo due fabbriche italiane? e nemmeno le cita come simboli di una condizione diffusa globalmente? 
  Le domande si affollano e rincorrono. Innanzitutto le parole del papa sono molto più generiche addirittura di quelle della Rerum novarum (1882) e non parliamo di quelle del Vangelo (salario uguale a tutti gli operai, anche a quelli che arrivano alla fine dell'orario di lavoro), del catechismo (non dare la giusta mercede agli operai è peccato che grida vendetta al cospetto di Dio) , delle successive encicliche sociali e delle costituzioni del Concilio Vaticano II.
   Ma forse la cosa più interessante è che, comportandosi così,  Benedetto  occupa sempre più , nell'indifferenza generale data le grande ignoranza religiosa che ad onta di tutte le ore di religione impartite nelle scuole, caratterizza il nostro paese, occupa -dicevo- gli spazi  della CEI. 
    Spiego: nelle fasi preparatorie del Vaticano II,  che durarono  anni, si fecero strada alcune esigenze nelle varie chiese cattoliche locali: movimenti fatti anche da laici che rivendicavano il diritto a costituire una "opinione pubblica" nella chiesa,  che ci fosse uno spazio di parola anche per i laici,  e che le varie lingue e culture potessero esprimersi  nel culto e nelle liturgie. L'esito più noto di questo movimento  è la messa in lingua e non in latino, e se ne è avuto ancora sentore nel riconoscimento da parte di Benedetto del diritto di dire ancora messa in latino su richiesta, di portare la veste talare (cioè lunga fino ai talloni) e non il clergyman e la chierica.  I preti che hanno ottenuto tali riconoscimenti sono così terribilmente reazionari e di destra che sono anche negazionisti della Shoah. 
    In certo modo si potrebbe dire che il movimento liturgico rivendicava una organizzazione meno centralistica  della Chiesa cattolica e non dico che volessero una organizzazione federale, ma certo meno dipendente da Roma, rivendicazioni secolari che avevano già provocato anche scismi (le Chiese ortodosse) ed eresie (le Chiese evangeliche). Un effetto di simili pulsioni dentro il Cattolicesimo fu -dicevo- la liturgia in lingua e non in latino e la costituzione delle conferenze episcopali nei vari paesi. In Italia fu molto importante anche un giornale, che era dei laici e della Cei, l'Avvenire, diretto da Raniero LaValle. Un vero giornale certamente  più letto e importante dell'Osservatore  romano.  I  vescovi  delle varie nazioni si unirono in Conferenze nazionali e incominciarono a intervenire pubblicamente nelle vicende dei loro paesi, anche senza consultare i Nunzi apostolici, cioè gli ambasciatori dello stato della città del Vaticano. Frizioni  che si ripetono spesso e mettono in questione la forma statuale che la chiesa cattolica ha, unica tra le religioni.
    La Cei fu ridotta nella sua importanza da Giovanni Paolo II, che fu un papa molto anticonciliare, e il perfezionamento della cancellazione del Vaticano II è la politica ecclesiastica di Benedetto XV. Che tende a ripristinare il potere temporale della Chiesa cattolica, per ragioni che molto dipendono dalla costituzione dell'Europa politica (il Vaticano non potrà mai farne parte, non essendo uno stato democratico, ma assoluto) (e ha però bisogno di uno stato attraverso il quale possa influire in Europa, dopo che ha invano cercato di affermarne le "radici cristiane",  affermazione storicamente falsa,  perchè l'Europa è molto più antica del Cristianesimo e le sue radici sono greco-romane e anche germaniche e celtiche). Anche la diffusione che sta avendo l'Islam, unica in crescita tra le religioni monoteiste, può spingere papa Benedetto a reagire come già avvenne al tempo delle crociate, identificando politicamente e  militarmente il Cristianesimo con il continente europeo e l'Islam con i nemici dell'Europa e perciò anche del Cristianesimo, terribile contraddizione con la dichiarata universalità del messaggio cristiano e sostegno alle politiche identitarie  contro le immigrazioni. 
  La logica storica è stringente e non si può prendere la reazione a pezzi: se si ripristina il Sillabo e le corporazioni nella politica sociale e la cristianità costantiniana  nella politica istituzionale, ci si trova poi a fianco di razzisti, fascisti e negazionisti.
  Siccome il papa non è un uomo nè incolto nè poco intelligente (senza scomodare lo Spirito santo) e ha già  collezionato due o tre prove cocenti che la strada reazionaria è chiusa o in discesa  a precipizio, freni subito  e  cambi direzione. Persino per avere un ampio potere politico, che evidentemente gli piace, avrebbe bisogno di  essere meno identificato con le destre estreme. 


Giovedì 04 Febbraio,2010 Ore: 16:37
 
 
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