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www.ildialogo.org La solita islamofobia trita e ritrita,di Giovanni Sarubbi

Editoriale
La solita islamofobia trita e ritrita

di Giovanni Sarubbi

A proposito degli scontri in Malesia fra cristiani e musulmani


Quando ho letto le cronache di ciò che sta accadendo in Malesia ho pensato immediatamente ad uno scherzo. Le cronache sia del quotidiano La Stampa che di Le Monde sembrano inverosimili tanto assurda è la questione attorno a cui si sta discutendo e che sta provocando scontri violenti e probabilmente provocherà morti, feriti e distruzioni. Poi sono andato sul sito del giornale cattolico della Malesia al centro di tutta la questione e mi sono reso contro che non si tratta di una bufala carnevalesca.
La questione su cui apparentemente ci si sta scontrando è questa: può una religione diversa da quella musulmana usare il termine Allah per designare Dio?
Da come viene raccontata dai giornali prima citati sembra che gruppi di musulmani della Malesia si siano offesi per il fatto che un giornale cattolico locale ("Herald-The catholic Weekly" sito: http://www.heraldmalaysia.com/ ) abbia usato la parola "Allah" per designare Dio nella sua edizione in lingua Malese. Herald-The catholic Weekly viene edito in quattro lingue, e una di queste è quella Malese. La lingua Malese tradizionale può essere scritta con due alfabeti diversi, uno è un alfabeto che usa caratteri latini chiamato rumi, e l’altro è una scrittura araba modificata denominata jawi. L’alfabeto jawi è un alfabeto derivato da quello arabo usato per scrivere la lingua malese tradizionale. Lo sviluppo di questo alfabeto è connesso all'arrivo dell'Islam che è la religione maggioritaria in Malesia. Consiste principalmente di caratteri arabi, uniti ad alcuni caratteri unici dello Jawi. La lingua malese, sia quella scritta in rumi che quella scritta in jawi è quindi fortemente influenzata dall’islam. (vedi: http://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_malese e http://it.wikipedia.org/wiki/Jawi )
Ciò premsso in arabo il termine “Dio” si traduce con “Allah” e chi vuole dire “Dio” in arabo non può far altro che usare il termine "Allah". Le antiche chiese cristiane orientali, che esistono da duemila anni nei paesi arabi, come quelle esistenti in Iraq o in Egitto, usano nei loro testi liturgici in lingua araba il termine "Allah" come traduzione del termine “Dio” e questo fatto non ha mai provocato guerre.
E in malese come si dice Dio? Da quello che abbiamo letto sulla lingua malese, supponiamo che il termine “Allah” sia ampiamente presente sia nella versione scritta in rumi, che dell’arabo è impregnato, sia in quella scritta in jawi che dall’arabo deriva. Il termine “Allah” è sicuramente un termine ampiamente usato in lingua malese. Dov’è dunque il problema?
In Malesia qualche gruppo di musulmani, che sembrerebbero far parte della moschea di Selangor, sostengono che l’uso della parola "Allah" in lingua malese da parte dei cristiani sia un tentativo di indebolire la posizione dell'Islam nel paese. Ricordiamo che in Malesia il 60% della popolazione è di religione islamica e che i cattolici rappresentano il 9% della popolazione.
La vicenda pone dunque diverse questioni quali quelle del proselitismo e dell’uso o abuso delle parole che, nel mondo della comunicazione globale, sta diventando sempre più esplosivo.
Cominciamo dall’uso delle parole.
Ricordiamo che secondo la tradizione islamica i nomi di Dio sono 99, cento meno uno, e che, come ci ricorda l’edizione Italiana del Corano curata dall’UCOII, tutti coloro che li riterranno nella memoria entreranno nel Paradiso[1]. L’edizione del Corano citata, riferendo delle quattro tradizioni relative al “Nome Sublime di Allah”, riferisce anche della esistenza di “ciarlatani e altri truffatori che pretendono che il Nome Sublime di Allah sia un segreto svelato da Allah a pochissime persone e grazie al quale costoro possono predire l’avvenire, svelare ciò che è nascosto e realizzare opere soprannaturali”. Tali pretese – scrive il curatore del Corano citato - non hanno alcun fondamento nel Corano e nella Sunna, specificando inoltre che “tutti coloro che seguono simili pratiche sono peccatori agli occhi dell’Eterno”[2] .
Non c’è dunque nell'slam, e non potrebbe esserci, un uso diciamo così “privatistico” del nome di Dio, legato a specifici gruppi o a specifiche religioni o loro componenti, o piccoli o grandi sacerdoti mediatori fra l’umanità ed il divino. Nessuno può appropriarsi di Dio e del suo nome e questa è una delle caratteristiche fondamentali dell’Islam. Così come nessuno, per ritornare all’ambito cristiano, può essere proprietario di Gesù (fra l’altro lo dice lui stesso vedi MC 9,38-40 ) o del termine cristiano, tutte parole che sono diventate invece altrettante proprietà private delle chiese, contraddicendo la stessa dogmatica cristiana che parla della "missione universale di Gesù", che quindi va molto al di la delle chiese cristiane.
Il termine “Dio”, comunque lo si traduca in una qualsiasi lingua, è un termine universale che tutti possono usare, cosa che del resto vale per tutte le parole perché altrimenti esse cesserebbero di essere utili all’umanità come strumento di comunicazione fra le persone.
Verrebbe da dire che “la mamma degli stupidi è sempre in cinta” e chiudere qui l’argomento se non ci fossero manifestazioni di protesta, attentati e, soprattutto speculazione politica in Italia e nel mondo su tale questione.
A noi sembra evidente l’obiettivo di demonizzare o di gettare nel ridicolo la religione islamica o gli islamici in generale che scatenerebbero attacchi contro i cristiani su questioni inesistenti, con i cristiani dunque sempre vittime e martiri innocenti degli islamici, come ha immediatamente sentenziato Umberto Bossi neo crociato antislamico oltre che grande sacerdote del “dio po”.
Ora, ammesso che la vicenda sia avvenuta così come ci viene riferita dai quotidiani occidentali o dal Herald-The catholic Weekly, a noi pare evidente che l’uso della parola “Allah” da parte dei cristiani malesi, ove questa non facesse parte del lessico comune di quella società, sia in realtà un modo per riconoscere la supremazia culturale dell’islam nella società malese e se scontro fisico c’è stato e ci sarà nelle prossime settimane, probabilmente i motivi sono di carattere economici, con la religione che viene usata come pretesto per dare maggior impatto emotivo alle parti in lotta. Ovviamente poco o nulla si sa di tali questioni ma si discute solo di cose apparentemente stupide.
Da quello che si capisce leggendo gli articoli di stampa, la questione centrale è quella del proselitismo che ha probabilmente messo in discussione qualche equilibro economico consolidato. Non conosciamo la realtà malese e quindi la nostra è solo una ipotesi che ricaviamo da quello che le religioni hanno fin qui fatto in termini di proselitismo nel corso dei millenni.
La storia del cristianesimo è del resto piena di fatti simili. Basti guardare a ciò che è accaduto con la scoperta delle Americhe, con gli indigeni schiavizzati e convertiti a forza o uccisi dai conquistatori cattolici o protestanti che fossero e che si sono poi appropriati di tutti i loro beni. Proselitismo religioso che va a giustificare e consolidare la conquista di spazi economici e di potere in aree diverse da quelle proprie. E’ una questione che vede fra l’altro contrapposti cattolici e ortodossi in Russia, con gli ortodossi che combattono fortemente il proselitismo cattolico.
Piuttosto quindi che discutere della possibilità o meno dell’uso del termine “Allah” da parte dei cristiani di Malesia, i giornali occidentali farebbero bene a descrivere fino in fondo le contraddizioni economiche vere della società malese e non solo di essa.
Chi sono i cattolici malesi? Quali forze economiche li sostengono? A quale economia sono legati? Queste le domande che i mass-media dovrebbero affrontare, altrimenti è la solita islamofobia trita e ritrita.
 
Giovanni Sarubbi


[1] Il Corano, a cura di Hamza Piccardo, Newton & Compton Editore, Terza Edizione, pag. 579
[2] Ibidem pag. 581


Venerd́ 15 Gennaio,2010 Ore: 15:53
 
 
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