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www.ildialogo.org Restituire Gesù all’umanità,di Giovanni Sarubbi

Editoriale
Restituire Gesù all’umanità

di Giovanni Sarubbi

I nostri auguri di buon Natale e buon Anno


Siamo di nuovo a Natale ed ancora una volta dobbiamo fare i conti con un Gesù “privatizzato”, un Gesù trasformato in una icona inoffensiva, in un santino da idolatrare, buono per tutti gli usi, soprattutto per quelli più meschini del tipo “se mi guarisci dalla malattia, se mi curi il cancro o la depressione mi converto”. Un santino che può essere idolatrato indifferentemente dal ricco epulone e dal suo schiavo, dal giudice difensore della legge e dal mafioso sanguinario. Un santino che può essere persino agitato da chi sostiene il razzismo e non è successo solo in Italia e solo per opera della Lega Nord. Un santino per soli bianchi ricchi e gaudenti. Un santino proprietà privata delle chiese cristiane, delle loro ideologie e dei loro dogmi. Un santino posto sugli altari, allontanato dagli uomini e dalle donne di tutti i tempi, un santino tutto sommato inoffensivo, non più “dio con noi”, fratello a cui chiedere consiglio ed esempio da imitare per cambiare la propria vita e quella della società. E’ storia vecchia, dura per lo meno da 1700 anni.
Ma “il santino Gesù” è lontano mille miglia dai testi evangelici che ci raccontano tutt’altro: “Gesù allora disse ai suoi discepoli: «In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli». (Mt 19,24)”.E ancora : «Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio» (Mt 5, 21-22). Ma ogni passo dei testi evangelici suonano come una condanna esplicita della privatizzazione di Gesù realizzata da quelli che invece che essere i suoi seguaci si sono trasformati in suoi carcerieri e novelli crocifissori. E così possiamo assistere oggi allo scandalo di una chiesa che santifica persone pluriomicide, che gestisce ricchezze e potere e che si comporta come una monarchia assoluta che non rispetta i diritti umani, che nega il senso stesso del termine “chiesa” che si dovrebbe tradurre in realtà con “democrazia”. Così come nei secoli passati abbiamo assistito ad una chiesa che ha promosso guerre sante, stermini di interi popoli, inquisizioni, antisemitismo e razzismo, che ha trafficato in schiavi. Una chiesa non più assemblea di popolo ma trasformata in casta sacerdotale, come e forse peggio della casta sacerdotale che gestiva il tempio di Gerusalemme, e questo non riguarda solo la Chiesa Cattolica.
Così il Natale serve a vendere panettoni, a fare regali, a spendere la tredicesima, ad essere in definitiva più cattivi del solito, più egoisti e menefreghisti ed il poco che si da ai poveri sono le briciole delle nostre tavole. Paradossalmente dovremmo ringraziare la Lega Nord che con il “Bianco Natale”, cioè un Natale per soli bianchi, promosso dai sindaci leghisti, ha messo a nudo inequivocabilmente il senso vero del “Natale privatizzato”, del Natale dei ricchi e di coloro che aspirano a diventare tali a danno del resto dell’umanità.
Ma non è questo il Natale che ci viene raccontato dai testi evangelici che oggi non inquietano più nessuno (ma è così da molti secoli). Nessuno si scandalizza più del racconto del Vangelo di Luca sull’incontro fra Maria ed Elisabetta, con due donne in primo piano, in una società dominata dai maschi, che si scambiano sentimenti di amore e sorellanza, che annunciano la loro fede in un Dio che “ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi”  e che, soprattutto, ignorano Zaccaria, il sacerdote marito di Elisabetta condannato ad essere muto per non aver creduto all’annuncio di una nuova vita e di un nuovo mondo. Un Natale che è speranza per i poveri in un mondo altro e che interpretano l’avvento di un messia salvatore dell’umanità come inizio della loro liberazione e progetto di una società giusta in cui tutti sono partecipi e nessuna delega viene data a chicchessia. E il Vangelo di Matteo, infatti, ci racconta di una classe politica e religiosa letteralmente terrorizzata dalla nascita di questo bambino, accolto dai pastori che all’epoca erano i reietti, gli emarginati della società ebraica, e da magi stranieri, tutto il contrario di ciò che i “pii religiosi” dell’epoca si aspettavano. I potenti sanno bene di che cosa devono avere paura. E hanno paura soprattutto delle piccole cose, di quelle apparentemente insignificanti, come può essere un piccolo bambino nato in mezzo a persone malfamate.
Coloro che utilizzano i sentimenti religiosi per continuare a mantenere saldo il loro potere economico politico e militare sono convinti oggi, ma è così già da tempo, di non doversi preoccupare del piccolo bambino di Nazareth. Costoro ritengono che il suo messaggio sia stato sterilizzato, neutralizzato, reso innocuo, da una organizzazione religiosa che ha ripercorso la stessa strada dei sacerdoti di Israele, rimettendo in piedi una casta sacerdotale, un culto fatto di regole, rimettendo in moto sacrifici, seppur virtuali, per ottenere perdoni e grazie per conquistare il paradiso nell’aldilà e consentire  ai potenti, ai ricchi, agli sfruttatori di schiavi, salariati o meno che siano, ai distruttori della natura, di poter continuare a fare i loro porci comodi. Così hanno sempre fatto tutti i potenti di tutti i tempi.
Ma il grido di liberazione degli schiavi che Gesù incarnò nella sua vita non può essere fermato da nessuno, comunque si chiami, e non c’è Evangelo che non sia annuncio di liberazione dei poveri.
Quel Gesù privatizzato che ci viene venduto su tutte le TV a reti unificati in superbe liturgie e film colossali e invitanti pubblicità è un fantoccio, un idolo, è una favola per di più perfida, con un padre che prima lo fa nascere e poi lo fa scannare, e a cui non credono più neppure i bambini e che stride con una realtà quotidiana fatta di violenza e sopraffazione che negano alla radice la vita del Gesù dei Vangeli tramandatoci dalle prime comunità dei suoi seguaci. E i fantocci, gli idoli e i templi, per quanto grandi e potenti possano sembrare, verranno spazzati via perché producono solo mostruosità su mostruosità. E’ successo duemila anni fa e nel corso dei secoli da allora in poi. Succederà oggi in questo nostro tempo se riusciremo a riscoprire lo spirito originario dei primi seguaci di Gesù e a liberarci dalla oppressione di tutti coloro che ne usurpano il nome e credono di averne depotenziato il messaggio. Illusi. Il “Dio con noi” vive nelle lotte dei poveri per la loro liberazione ed il Natale è ancora il grido di speranza cantato da Maria nel suo Magnificat. Non c’è futuro per i ricchi e i potenti e non c’è trono che possa reggere e non essere rovesciato da chi promuove giustizia e pace e condivisione delle risorse.
Per questo abbiamo voluto quest’anno proporre una immagine che mette insieme un simbolo islamico, quale quello di una moschea, con una natività per rappresentare questa ripubblicizzazione di Gesù, questa restituzione all’umanità di un patrimonio di idee, di lotte, di speranze che in quel nome sono racchiuse. Il “dio dei cristiani e delle loro organizzazioni” è di nuovo il dio cupo, terribile, violento, sanguinario contro cui Gesù lottò durante la sua vita ed è ora di liberarlo dalla nuova schiavitù nella quale è stato ridotto.
E quando avremo liberato Gesù dalla sua prigionia e lo avremo restituito all’intera umanità,  allora il Natale avrà un significato diverso da quello mieloso e allo stesso tempo violento che siamo costretti a vivere oggi.
Potremo fare festa perché la giustizia regnerà sulla Terra, perché ci saremo riconciliati con la natura che i seguaci del dio oppressivo cupo e vendicativo sostenuto dalle varie caste sacerdotali stanno distruggendo. Potremo fare festa perché non ci saranno più pochi ricchi epuloni da un lato ed una massa di diseredati e affamati dall’altro e a tutti sarà dato di poter mangiare tutti i giorni, di poter amare condividendo quello che ognuno ha.
E non ci saranno differenze di religioni in lotta fra loro, tutti adoreremo il mistero della nostra vita “in spirito e verità”, nessuno potrà essere più padrone di un dio oppressivo venduto ad un tanto ad indulgenza o assoluzione o a buona azione, tutti potremo guardare in faccia senza paura il mistero della vita che oggi chiamiamo Dio. E un nuovo cielo e una nuova terra sorgerà, e non ci saranno più lacrime e sangue e ogni afflizione sarà sanata.
Ecco questo è il mio sogno di Natale per il quale vale la pena di spendere la propria vita.
Ed è questo l’augurio che faccio a tutti i lettori e collaboratori del nostro sito: che ognuno possa riscoprire il senso vero dell’essere seguace di quel Gesù di Nazareth che non ha esitato ad impegnarsi fino in fondo per realizzare il sogno di una umanità dove regni pace e giustizia.
Buon Natale e Buon Anno.
Giovanni Sarubbi


Giovedì 24 Dicembre,2009 Ore: 09:46
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
Renzo Coletti Genova 27/12/2009 10.31
Titolo: é' natale si può essere di più
Attendendo il messia si ribadisce il concetto di tempo che abbiamo ricevuto in dono come Dogma. Ma il nostro tempo è oltre il tempo della vita, come la vita è oltre il tempo della morte. Testimoni ottusi e ignoranti, vittime inconsapevoli del credo dogmatico e della Fede bigotta, viviamo il natale come si vive la tredicesima e sopratutto come la si spende. Oltre il nostro credere ed il nostro sapere c'è uno spazio che ci attende in un tempo che pulsa al ritmo del nostro cuore. Un cuore che è coscienza e realtà che non osiamo guardare. osiamo dunque e iniziamo il tempo della luce che ci appartiene come l'energia che ci nutre. Noi siamo... e questo basta. Ma vogliamo essere o ci fa paura la nuova dimensione che ci viene svelata dalla coscienza? Il Gesù che è in noi ci attende e ci osserva come il testimone che lo rende parte del tutto e di noi stessi. Forse allora sarà finalmente Natale e luce che si spande e si oppone alle tenebre della mente ancora acerba. Renzo Coletti

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