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www.ildialogo.org La strage di Kabul e la strage della libertà di stampa,di Paolo Farinella, prete

Editoriale
La strage di Kabul e la strage della libertà di stampa

di Paolo Farinella, prete

 Oggi alle 13.45
Genova 18 settembre 2009 - . I titoli di quasi tutti i giornali, dei tg e dei commentatori sono unanimi: «Strage di Italiani in Afghanistan: 6 militari uccisi». Ecco il modo ideologico di leggere e dare false notizie per vere. La «strage» riguarda 20 afghani e 6 militari, tutti uccisi nello stesso istante e con le stesse modalità; poi vi sono oltre 60 feriti afghani e 4 militari italiani. I feriti italiani sono stati rimpatriati per le cure necessarie, gli afghani sono rimasti per strada e se non interviene Emergency restano lì ad aumentare il numero dei morti afghani.
A costo di apparire cinico (e non lo sono) non riesco a piangere questi morti «italiani», isolati dal loro contesto reale. Mi dispiace e sono addolorato che qualcuno debba morire così e per le loro famiglie che adesso avranno un vuoto esistenziale e affettivo che nessuno potrà riempire: non le parole d’ordinanza della retorica politica che subito ne ha fatto degli «eroi» in appoggio ad una politica miope, demenziale e incivile che pretendeva di esportare la democrazia con le armi e assicurare la sicurezza seminando morte tra la popolazione inerme afghana. Morti inutili, morti senza senso.
No! Non ci sto! I soldati morti sapevano che potevano morire (fa parte del loro mestiere), ma sono andati ugualmente per scelta e per interesse economico, cioè per guadagnare di più. So anche che molti vanno per il brivido della guerra, per dirla alla popolana, per menare le mani e sperimentare armi nuove e di precisione. Dov’è l’eroismo nell’uccidere sistematicamente, per sbaglio o per fuoco amico, civili che a loro volta sono vittime nel loro paese e vittime degli occupanti stranieri?
Dopo 8 lunghi anni di guerra, quali risultati ha portato la peacekeeping o la peacemaking? Se si chiama «peace» lo sterminato stuolo di mutilati, di affamati, di morti, come si deve chiamare la «guerra» o per dirla alla moderna la «war»? Prima che arrivassero Bush e i suoi valvassini in Afghanistan i talebani erano considerati «occupanti»; ora dopo 8 anni di occupazione occidentale, il popolo tifa per i talebani e potenzia le divisioni tribali che hanno portato ad un aumento di potere dei «signori locali della guerra » che hanno imposto la loro legge, aumentato la coltivazione del papavero e diffuso capillarmente la corruzione.
Dopo 8 anni di «peacekeeping» l’Afghanistan si trova con un presidente fantoccio, Karzai, corrotto e corruttore, che sta lì perché ha imbrogliato almeno un milione e mezzo di schede elettorali, che per vincere e avere i voti dei capi tribù ha introdotto nel diritto «democratico», difeso dalle armi occidentali, il diritto del marito di stuprare, violentare, picchiare e anche uccidere la moglie e le donne in sua proprietà. E’ questo l’obiettivo per cui sono morti i militari italiani, inglesi, spagnoli, tedeschi, e americani? Ne valeva la pena!
Sono morti inutili, morti che dovrebbero suscitare vergogna in chi li ha mandati e lì li ha tenuti e anche in coloro che vi sono andati per scelta libera e volontaria per avere uno stipendio proporzionato. No! Non sono eroi, sono vittime come sono vittime i morti afghani, come sono vittime i talebani usati dall’occidente quando venivano comodo contro i Russi e da questi, a loro volta, armati quando servivano alla bisogna; mentre ora i beniamini di ieri sono i nemici di tutti.
I funerali di Stato di questi sventurati morti per nulla o per la vanagloria dei loro fantocci governanti, come i 19 morti di Nassiriya, sono a mio avviso l’appariscenza di una retorica vuota e colpevole perché incapace di fare politica e politica di pace. Il potere assatanato ha bisogno di carne da macello che poi copre con gli onori di Sato: tanto pagano sempre i cittadini «sovrani» che non contano nulla.
La strage di Kabul, in Italia, ha interrotto «la democrazia», facendo spostare la manifestazione a favore della libertà di stampa di sabato 19 settembre 2009 ad altra data. E’ il segno della mistificazione. Queste morti sono funzionali al governo che così raffredda la piazza, allontana un colpo di maglio sferrato dalla società e il presidente del consiglio, l’amico di Bush e Putin, riprende la scena, mostrandosi afflitto e piangente ai funerali «dei nostri ragazzi», espressione orrenda che nega la verità dei fatti e conferma le ragioni che vi stanno dietro: questi «ragazzi» sono militari di carriera che sono andati da sé in un Paese in guerra e sono andati armati. Non sono «ragazzi», sono consapevoli e responsabili delle loro scelte e delle loro morti.
Spero che i figli e le famiglie non me ne abbiano perché il modo migliore per onorare i morti è continuare a garantire i diritti di tutti, non solo quelli di qualcuno, creando le condizioni perché questi diritti possono essere esercitati. Un pilastro della democrazia è la libertà di stampa e la libertà totale di criticare il governo. La «strage» di Kabul ha colpito in Italia, a 4.000 km di distanza, uccidendo insieme agli innocenti Afghani e ai soldati italiani, quella democrazia che solo un pazzo poteva pensare di esportare. In compenso si è saputo uccidere la democrazia italiana: chi ha deciso di spostare la manifestazione del 19 settembre è diventato complice della strage di Kabul, estendendola fino a noi. Ora la guerra è totale.
Poveri morti, diventati la foglia di fico di un potere inverecondo che si nutre solo di rappresentazione vacua e vuota, effimera e assassina. No! non faccio parte del coro.
Paolo Farinella, prete


Venerdì 18 Settembre,2009 Ore: 14:10
 
 
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Autore Città Giorno Ora
Federico La Sala Milano 18/9/2009 15.39
Titolo: ... EDELLA DEMOCRAZIA E DELLA COSTITUZIONE. Napolitano: "Italia manterrà i suoi...
Il capo dello Stato da Tokyo esprime il suo giudizio sulla missione italiana
"Nulla da rivedere. Nel mondo politico non vedo divisioni, almeno dalla parte del Pd"

Afghanistan, verso la transition strategy
Napolitano: "Italia manterrà i suoi impegni"

Berlusconi: "Avevamo già un progetto di riportare a casa i soldati mandati per le elezioni"
Fassino: "Avvilente che dei governanti cavalchino in modo demagogico queste emozioni"

ROMA - "Non credo ci sia nulla da rivedere nella missione italiana in Afghanistan. Manterremo gli impegni presi". Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in chiusura della visita a Tokyo, all’indomani dell’attentato di Kabul costato la vita a sei parà italiani. Aggiungendo di non vedere diviosni, "almeno dalla parte del Pd"

Alla domanda di un giornalista sulle differenti posizioni sulla missione all’interno delle forze del governo, in particolare riferendosi alle dichiarazioni dei ministri La Russa e Bossi, Napolitano ha tagliato corto invitando il reporter a riformulare la stessa domanda in una conferenza stampa del presidente del Consiglio.

Quindi, riprendendo il discorso, ha ribadito come la missione italiana a Kabul sia "un impegno condiviso, confermato e pienamente coerente delle istituzioni italiane". Napolitano ha riferito di averne discusso anche durante l’ultima riunione del Consiglio Supremo della Difesa, in cui è stato confermato "in modo molto determinante l’impegno in Afghanistan come necessità di caratterizzare il nostro contributo tanto sul piano militare quanto su quello civile". Il problema, ha proseguito Napolitano, "non è vedere come rideterminare il contributo italiano che è stato sempre concepito in modo molto equilibrato".

"Io non ho titolo - ha sottolineato il presidente - per prevedere, auspicare, considerare necessaria una discussione in Parlamento. Questo non spetta a me dirlo ma al governo e al parlamento stesso: ritengo che sia comprensibile la discussione su come rimotivare la missione delle Nazioni Unite e non solo la presenza americana in Afghanistan perché quella in Afghanistan non è una guerra americana".

Le divisioni tra le forze politiche sulla missione in Afghanistan "voi le conoscete meglio di come", ha detto Napolitano ai giornalisti che gli chiedevano un commento sulle diverse posizioni delle forze politiche sulla missione a Kabul. "Comunque - ha aggiunto il presidente - ho avuto modo di leggere in rassegna stampa un articolo di un esponente del partito Democratico, il maggiore partito di opposizione, che segue le questioni politiche internazionali, ovvero l’onorevole Fassino, da cui non trapela alcuna divisione che venga, almeno, da quella parte".

Il Pd. Il Partito democratico, in questa occasione, sembra aver ritrovato una consonanza nel dire un secco "No" al ritiro. "Speravo che almeno nel giorno del lutto e del dolore il governo riuscisse a parlare con una sola lingua e un solo accento. Ancora una volta sentiamo invece il presidente del Consiglio e il ministro Bossi esprimere posizioni dissonanti da quelle del ministro della Difesa e del ministro degli Esteri", ha detto l’ex ministro della Difesa Arturo Parisi.

"Capisco l’ondata emotiva - ha aggiunto il responsabile esteri del Pd, Piero Fassino - ma che dei governanti cavalchino in modo demagogico queste emozioni, magari inseguendo dei sondaggi, mi sembra una cosa avvilente. Penso che tutte le forze politiche debbano rifarsi al richiamo alle responsabilità pronunciato dal capo dello Stato".

Berlusconi. Stamane il premier Silvio Berlusconi nel corso di una visita al sacrario dell’Esercito a Roma è tornato a parlare della missione italiana in Afghanistan: "Noi avevamo già un progetto, sempre condiviso con gli alleati, di riportare a casa i soldati che avevamo mandato in occasione del periodo elettorale: e poi bisognerà mettere a punto una transition strategy per caricare di maggior responsabilità il nuovo governo".

La Russa. "Nel Consiglio dei ministri tutti hanno condiviso la linea che ho esposto", ha affermato il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, al termine del Consiglio dei ministri di oggi. Sulle polemiche La Russa ha tagliato corto: "Ora è il momento del cordoglio, della vicinanza e della solidarietà ai nostri ragazzi che hanno sacrificato la vita per il Paese". il ministro ha spiegato che "in queste ore discutere o ipotizzare sull’onda dell’emotività exit strategy o qualsiasi altro tipo di strategia, può essere inteso da alcuni come un momento di debolezza e di vantaggio per il terrorismo. Può portare anche ad un’accresciuta azione di violenza nei confronti dei nostri soldati. Anche il ministro Frattini è d’accordo su questa posizione".

La Russa ha reso nota la linea dell’esecutivo: l’Italia non prenderà decisioni unilaterali in disaccordo con gli organismi internazionali. E’ confermato il rientro entro Natale dei 500 soldati in più inviati per le elezioni. Il rientro completo avverrà quando lo decideranno la Nato e l’Onu, ma la strada è lunga: "Siamo ancora in Kosovo, figuriamoci per l’Afghanistan".

* la Repubblica, 18 settembre 2009

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