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www.ildialogo.org Il mercancro,di Mario Mariotti

Editoriale
Il mercancro

di Mario Mariotti

(La malattia e la cura)


Dopo il naufragio dell’utopia della fratellanza, del socialcomunismo e dopo la conseguente caduta del muro di Berlino, esattamente vent’anni fa, nessuno si è preso il disturbo di dare il nome a quello che aveva vinto, a quello che cominciava a globalizzarsi, cioè il capitalismo privato, il mercato, la competizione. Si è pontificato di globalizzazione, ma tutti si sono ben guardati, compresa la Sinistra, di mettere a fuoco quello che si andava imponendo a livello mondiale, la vittoria della trinità maligna ai danni del progetto di una società senza più servi né padroni.
Oggi, dopo vent’anni nei quali si sono manifestati i frutti della vittoria dell’Impero del bene, si parla della globalizzazione della crisi, e si continua imperterriti a non fare il nome di quello che è andato in crisi, provocando la crisi ed i problemi che sono sotto gli occhi di tutti, cioè, sostanzialmente, il capitalismo ed il mercato.
Strano che il cancro si permetta di continuare a lavorare senza che nessuno faccia mai il nome della malattia. Strano fino ad un certo punto, perché, facendo il nome della malattia, si correrebbe il rischio di rispolverare il progetto che ne sarebbe l’antidoto cioè il socialcomunismo. Continuando questo silenzio sulla malattia e sul possibile rimedio, che potrebbe essere risolutivo se accettato in libertà e praticato con amore, il nostro presidente del consiglio può permettersi di continuare tranquillamente a bestemmiare che la crisi è solo un accessorio del sistema, e che lo strumento-principe per uscire dalla stessa crisi è quel mercato che, invece, ne è la causa sostanziale.
“È il mercato che può metterci in condizione di superare la crisi e di creare quella ricchezza che permetterà anche ai poveri di arricchire, e di superare le condizioni di disagio, peraltro di dimensioni contenute, che essi stanno sperimentando” (non a causa della incontenibile avidità dei ricchi, dei ladri e degli speculatori, ma di quella Parola di Dio che dice che i poveri li avremo sempre con noi…).
Fra le ordinarie bestemmie dell’unto di Arcore, questa merita proprio il premio Oscar: vent’anni di liberismo, di mano libera al capitalismo privato ed al mercato, alla speculazione finanziaria, hanno portato la differenza fra le condizioni di vita dei poveri e quelle dei ricchi ad un livello blasfemo, e lui ha il coraggio di attaccare il nastro, e di ripetere l’antica canzone, che è il mercato che ci salverà.
E se qualcuno parla della necessità di innalzare le aliquote delle tasse ai redditi più alti, ai ricchissimi, questo non va.
E se qualcuno dice che, per i disgraziati, c’è l’emergenza abitativa, ecco la risposta: libertà di ampliamento della propria casa a chi la casa ce l’ha già. E se abbiamo carceri fatiscenti, scuole malsicure, molte zone della nostra penisola con l’acqua potabile razionata, tutto questo non importa: ci consoleremo col ponte sullo stretto di Messina. E rafforzeremo la nostra S. Vincenzo militarizzata in Afganistan, e ci dedicheremo al nucleare, con ben quattro centrali di terza generazione, eventualmente mescolando le scorie radioattive fra i rifiuti di Napoli, dato che il risultato del referendum che disse no al nucleare si vede che è scaduto come la mozzarella di bufala…
A questo punto, anche se è la solita canzone, io mi permetto di ripeterla la solita canzone, dato che è una musica misteriosa, e assolutamente non contagiosa…
È il mercato ad essere un “mercancro”, è il mercato a creare le condizioni per cui i poveri continuano ad impoverirsi. E questo, perché esso è la legge del più forte, e questo è perché esso non è mai sostanzialmente libero, perché è sempre il ricco a fare il prezzo, perché è sempre il ricco a dettare le condizioni dello scambio; e la libertà del ricco si risolve in sfruttamento, miseria, ingiustizia e oppressione del povero, che è costretto dalla necessità, dalla non-libertà, ad adeguarsi e a dire di si. E questo meccanismo è strutturale, e nessuno che abbia un minimo di razionalità, di buon senso, di umanità può negarlo, perché la ricchezza blasfema dei ricchi epuloni è sotto gli occhi di tutti, perché la distanza fra il popolo di quelli che saturano le stazioni sciistiche nei mesi pieni di freddo e di neve, e quelli che vivono sotto i cavalcavia, o negli angoli bui degli edifici fatiscenti abbandonati, è enorme, è blasfema, grida vendetta davanti a Dio…
E quando si sentono degli esponenti della ex Sinistra vantarsi di essere riusciti, nelle amministrazioni da essi controllate, ad abbassare le tasse, per me c’è da vomitare. L’enunciato tronco è blasfemo. Le tasse vanno abbassate solo ai poveri, e vanno innalzate ai ricchi, in modo che la fiscalità generale abbia i fondi per migliorare la sanità, la scuola, la giustizia, la sicurezza pubblica di tutti; e gli evasori fiscali vanno messi a rimboschire l’Appennino, e ad innalzare gli argini dei fiumi, dopo averli ripuliti dai rifiuti. E come sperare in un futuro riscatto, se la sinistra non crede più, lei stessa, nel socialcomunismo, nella pianificazione dell’economia, nel progetto di equalizzazione di tutti i cittadini della nostra Repubblica fondata sul lavoro? Come non capire che non è possibile lasciare ostaggi dei ricchi e del mercato i diritti umani al lavoro, alla scuola, alla salute, alla giustizia, all’informazione pulita?
E quelli che si preoccupano delle cellule staminali, quando si renderanno conto che il loro silenzio di profezia sulla trinità maligna è complice della sterminata sofferenza dei piccoli, degli umili, dei perdenti della terra, che vengono sfruttati in modo blasfemo dal mercato, e quando si ammalano debbono morire perché non hanno i soldi per le medicine e le cure che potrebbero salvarli? Come può, in sintesi, il cancro venir usato dai ricchi e dai potenti, e poi, visti i suoi effetti disastrosi, venir proposto per la cura del cancro, per la cura di se stesso?
 
Mario Mariotti
 
 


Venerd́ 14 Agosto,2009 Ore: 23:35
 
 
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