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www.ildialogo.org PER LA LINGUA ITALIANA, UNA PASSIONE MONDIALE. I risultati di uno studio della Fondazione Rosselli, nella sintesi di Dario Fertilio,a cura di Federico La Sala

Pace, giustizia, e libertà nell’aiuola dei mortali. Per la lingua di Dante e dei nostri Padri e delle nostre madri Costituenti....
PER LA LINGUA ITALIANA, UNA PASSIONE MONDIALE. I risultati di uno studio della Fondazione Rosselli, nella sintesi di Dario Fertilio

Se esiste un libro dei sogni per la cultura italia­na all’estero, questo si trova senz’altro in Giappo­ne: è laggiù che si vede come potrebbe essere la nostra immagine nel mondo, se la sfruttassimo in pieno.


a cura di Federico La Sala


  La ricerca

  Uno studio della Fondazione Rosselli mette in evidenza le richieste di chi vuole imparare la lingua 
  Cresce il numero degli eventi organizzati, ma la distribuzione geografica è da rivedere. Gli esempi della Francia e della Spagna

  Una passione (mondiale) per l’italiano

   Popolarità in aumento: è la quinta lingua più richiesta 
  Il ruolo e le difficoltà degli 89 Istituti di cultura all’estero

  di Dario Fertilio (Corriere della Sera, 09.12.2009)

Uno studio della Fondazione Rosselli, realizzato per il Cor­riere della Sera , porta con sé buone nuove sull’immagine interna­zionale dell’Italia. I dati più confor­tanti riguardano la popolarità e l’inte­resse della nostra lingua: siamo quin­ti nella classifica degli idiomi più ri­chiesti dagli studenti. Il che non cor­risponde, naturalmente, alla diffusio­ne reale (colossi come il cinese o l’hindi viaggiano nell’ordine inarriva­bile delle centinaia di milioni di par­lanti).

Ma se consideriamo il numero di coloro che hanno deciso di legge­re Dante o Pirandello nell’originale, oppure per passione culturale o inte­resse economico si sono iscritti ai corsi, ecco che l’onda lunga di cultu­ra, cucina, artigianato, arte di vivere ci porta in alto: seguiamo a distanza, certo, l’inglese (ovvio), lo spagnolo (quasi altrettanto ovvio), e siamo an­che alle spalle del tedesco e del fran­cese; però, subito dopo, ci siamo noi. Da qui la necessità di consolidare una rete adeguata di Istituti di cultu­ra all’estero.

Ma la ricerca della Fon­dazione Rosselli fotografa una situa­zione ambivalente: da un lato cre­scenti successi promozionali, oltre al­l’aumento degli studenti; dall’altro ri­tardi strutturali e, ancor più, manca­te riforme. Lo studio mette in eviden­za le crescenti richieste di chi vuole imparare l’italiano: settemila sono i corsi «venduti» dagli Istituti durante il 2007. Risalta l’aumento degli even­ti collegati alla promozione annuale della cultura, la «Settimana della lin­gua italiana nel mondo»: si è passati dai 309 del 2001 ai mille del 2005, si­no a sfiorare i 1600 l’anno scorso (quest’anno la tendenza alla crescita appare confermata).

Tuttavia, se si analizza la rete globale degli 89 Istitu­ti, salta agli occhi una distorsione ge­ografica. La maggioranza dei centri culturali (54%) è concentrata in Euro­pa (con una punta di otto nella sola Germania). Un po’ come se la batta­glia politico-culturale si continuasse a combattere lungo la Cortina di fer­ro, e come se non esistessero i pro­grammi Erasmus e uno scambio co­stante fra i cittadini della Ue, si imma­gina ancora che gli avamposti del­­l’Italia debbano trovarsi a Londra, Barcellona o Parigi anziché Rio, Nuo­va Delhi, Shanghai o Kazan.

E infatti l’Africa subsahariana ottiene in tutto il 4 per cento delle presenze, quella mediterranea e mediorientale si fer­ma all’11, mentre il blocco Asia-Ocea­nia raccoglie un modesto 10. Bassa in proporzione (21%) la presenza de­gli Istituti di cultura nell’area cultu­ralmente e linguisticamente più affi­ne all’Italia, quella delle Americhe (in molti Paesi, dal Venezuela in giù, l’italiano potrebbe legittimamente aspirare a vedersi riconoscere il ter­zo posto come lingua ambientale, do­po lo spagnolo e il portoghese).



Crescono, insomma, le aspettati­ve, ma l’organizzazione non è all’al­tezza. Un raffronto con i «concorren­ti » (soprattutto inglesi, tedeschi e spagnoli) si conferma problematico. Fuori categoria la Francia, con un nu­mero impressionante di sedi ma una politica linguistica del tutto differen­te, la distribuzione degli enti cultura­li, su scala globale, ci vede lontani dal British Council e dal Goethe Insti­tut, anche se davanti al Cervantes.

Re­sta il fatto che la riforma tanto attesa per rilanciare l’azione del nostro Pae­se continua a languire. La Spagna, ad esempio, ha investito molto nel po­tenziamento della sua rete, con l’obiettivo di rafforzare la «strategia Paese». L’Italia, invece, non ha anco­ra messo a punto la sua riforma. Sul­la quale Renato Cristin, che ha guida­to per anni l’Istituto di Berlino tenen­dovi a battesimo Palazzo Italia, ha al­cune idee precise: «Meglio organizza­re meno eventi ma dare maggiore qualità alle manifestazioni; aumenta­re considerevolmente i direttori di chiara fama, con capacità manageria­li e politico-culturali, riducendo il numero dei promossi per anzianità di servizio e in virtù di carriere inter­ne ministeriali; soprattutto è la presi­denza del Consiglio che dovrebbe in­vestire, e mettere il ministro degli Esteri in condizione di includere la cultura italiana all’estero nelle priori­tà strategiche del Paese».

E poi sareb­be necessaria un’azione capace di coinvolgere tutti gli enti che oggi ci rappresentano: i ministeri (Esteri, Be­ni culturali, Turismo), ed Enit, Ice, Camere di commercio. L’obiettivo: puntare su un’immagine unica e una rete di alleanze con le istituzioni cul­turali e scientifiche più prestigiose.

Su un punto, invece, i progressi appaiono sensibili: nella capacità de­gli Istituti di conquistarsi finanzia­menti e sponsorizzazioni locali.

Pur muovendo da risorse limitate e all’in­terno di un quadro normativo invec­chiato, i direttori degli Istituti sono riusciti complessivamente a svec­chiare l’immagine collettiva del Pae­se. E i dati dimostrano come fra il 2005 e il 2007 sia avvenuta un’inver­sione di tendenza: la crescita dell’au­tofinanziamento ha dapprima avvici­nato, poi quasi pareggiato, infine (nel 2007) superato la cifra comples­siva stanziata dallo Stato.

Un dato di cui gli Istituti possono andare orgo­gliosi, soprattutto se accompagnato dall’altro che riguarda il numero del­le sole manifestazioni culturali, cre­sciute del 19 per cento dal 2007 al 2008. Si è passati infatti da 6049 a 7203, ma qui non è tutto oro quello che luccica: perché il moltiplicarsi de­gli eventi potrebbe essere spia di un certo provincialismo. Meglio punta­re sull’eccellenza, ricalcando dove possibile il modello vincente «Italia in Giappone», già replicato nel 2006 in Cina, e negli anni successivi in Vietnam e Corea.



Resta invece irrisolto il problema del ritardo nel promuovere la cultura scientifica e tecnologica. Dovrà esse­re colmato - sottolinea la ricerca- attraverso eventi che mettano a con­fronto scienziati italiani e stranieri, e favoriscano accordi tra università.



Un ultimo capitolo messo in rilie­vo dalla Fondazione Rosselli riguar­da il dialogo proficuo aperto dagli Istituti con le regioni: nel 2008 sette su dieci hanno realizzato manifesta­zioni culturali sul tema delle identità locali. Qui è ormai alle porte un nuo­vo «Brand Italia» variamente articola­to: c’è il turismo accompagnato dal­l’arte enogastronomica, ma anche un nuovo impulso all’esportazione di prodotti locali. L’Emilia-Roma­gna, attraverso un’esposizione sul Made in Italy, ha promosso la produ­zione della moto Ducati a Tokio; la Confartigianato veneto ha organizza­to all’interno dell’Istituto di Ankara un convegno volto alla promozione del tessuto produttivo locale. 


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  Dove imparare la nostra lingua è una moda 
  Giappone, scelta per 500 mila

di D. Fert. (Corriere della Sera, 09.12.2009)

Se esiste un libro dei sogni per la cultura italia­na all’estero, questo si trova senz’altro in Giappo­ne: è laggiù che si vede come potrebbe essere la nostra immagine nel mondo, se la sfruttassimo in pieno. Così infatti è avvenuto nel 2001, in occa­sione dell’iniziativa «Italia in Giappone», quando il paese del Sol levante venne inondato da circa ottocento eventi distribuiti su quindici mesi, con più di cento milioni di contatti. O in occasione di grandi mostre: due anni fa, con l’Annunciazione di Leonardo capace di attirare quasi novecento­mila visitatori; o anche quest’anno, con l’esposi­zione sull’impero romano.

Del resto, bastano le cifre attuali degli studenti di italiano - che il direttore dell’Istituto di To­kio, Umberto Donati, fornisce senza enfasi - per rendersi conto della portata indiscutibile del fe­nomeno. Seimila iscritti ai corsi trimestrali orga­nizzati direttamente dall’Istituto, con un occhio particolare all’eccellenza e alla «fidelizzazione» degli studenti, insistendo sugli approfondimenti e sui corsi di cultura avanzata. Poi, a un livello più popolare, ci sono le lezioni di italiano orga­nizzate dalla televisione e radio pubblica Nhk (più o meno equivalente alla nostra Rai) rispetto alle quali le vendite abbinate dei testi per la gram­matica e gli esercizi fanno ipotizzare (per difetto) l’esistenza di circa duecentomila studenti.

Ancora: ottantamila giovani studiano l’italiano presso scuole e università che ne prevedono l’in­segnamento (sono centoventi). Aggiungiamo du­ecento scuole private in tutto il Paese, dove trovia­mo altri cinquantamila allievi, e infine coloro che scelgono lo studio solitario della lingua, spesso motivato dalla passione per la musica lirica, la cu­cina o semplicemente perché lavorano nei nume­rosi ristoranti italiani (sono tremila nella sola To­kio). Così si arriva a un dato complessivo compre­so fra i quattrocentomila e il mezzo milione di giapponesi che, a vario titolo e in forme diverse, hanno un rapporto con la lingua italiana.

Esaurito il boom degli anni Ottanta e Novanta, si può forse parlare - spiega il direttore Donati - di un calo dei principianti, ma di un sensibile rafforzamento del legame con l’Italia da parte dei progrediti. Non più dunque, come in passato, corsi brevi e immersioni nella lingua per qualche mese soltanto, ma partecipazione attiva a corsi sulla civiltà classica, l’arte, l’opera, la gastrono­mia, la storia, la letteratura. Con alcuni cammei culturali che danno il senso dell’innamoramento giapponese: corsi di ricamo al punto antico per signore, di chitarra per giovani e poi di incisione e gioielleria. E ancora, sessioni di lingua col kara­oke o con il metodo sperimentale della «sugge­stopedia ». Perché quando si ama una cultura - ecco il ful­cro dell’insegnamento che viene dal Sol levante - si ammira tutto ciò che vi è mentalmente asso­ciato: eleganza, bellezza, raffinatezza, il gusto idealmente «rinascimentale» di vivere. Un sentimen­to abbastanza diffuso da esprimersi visibilmente nel panorama urbano nipponico: l’italiano è usa­to assai spesso nelle insegne degli esercizi com­merciali (ristoranti, bar, negozi) e per battezzare prodotti industriali (l’auto «Serena» della Nissan, i termini «premio», «porte», «passo» per la Toyo­ta; una moto della Yamaha è diventata addirittura «Dio». E non si contano le riviste dai nomi italia­ni: «Uomo», «Ciao», «Grazia», «Viaggio»).

Probabilmente è da qui, da questa passione giapponese e dall’uso non solo pratico della no­stra lingua, che si deve partire per spiegare - co­me sottolinea l’ambasciatore Vincenzo Petrone - il fenomeno degli eventi concepiti dall’Italia ma finanziati prevalentemente sul mercato giap­ponese (soltanto quest’anno per due milioni e mezzo di euro). Succede infatti che i grandi gior­nali come lo Yomiuri Shimbun o le televisioni pubbliche e private organizzino direttamente grandi eventi, si preoccupino di trovare gli spon­sor tra i loro inserzionisti e raggiungano il pareg­gio economico tramite la vendita di biglietti, cata­loghi e merchandising. Significativo qui il ruolo della Fondazione Italia-Giappone, presieduta dal­l’ambasciatore Umberto Vattani, dove convivono enti e aziende pubblici e privati.

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Sul tema, in rete, si cfr.:

DELLA LINGUA E DELLA POLITICA D’ITALIA. DANTE: L’UNIVERSALE MONARCHIA DEL RETTO AMORE. Per una rilettura del "De Vulgari Eloquentia" e della "Monarchia"

PIRANDELLO E LA BUONA-NOVELLA.

 L’OCCUPAZIONE DELLA LINGUA ITALIANA: L’ITALIA E LA VERGOGNA. 

   
 

 



Giovedì 10 Dicembre,2009 Ore: 11:09
 
 
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