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www.ildialogo.org «MI BRUCIA IL CUORE»,di Minny Cavallone

«MI BRUCIA IL CUORE»

di Minny Cavallone

La testimonianza di un giovane afghano


Riproduciamo lquesta recenzione dal numero di Novembre 2009 della rivista Tempi di Fraternità di Torino. Ringraziamo la redazione per avercelo messo a disposizione. Per info: www.tempidifraternita.it

Come purtroppo tutti sappiamo, a metà settembre, sei militari italiani sono rima­sti uccisi e quattro gravemente feriti in Afganistan insieme a numerosi civili afgani. Ciò ha reso di maggiore attualità la pubblicazione della testimonianza di Hussain Nazari, prean­nunciata nell’Osservatorio di Ottobre. Il ritiro delle truppe ISAF e italiane da quel martoriato Paese è, a mio parere, urgente come lo è la con­vocazione di una vera conferenza di pace per il Medioriente, in cui l’Europa potrebbe e do­vrebbe giocare un ruolo importante per aiutare Obama ad uscire da quel pantano contro la vo­lontà delle lobby USA che lo condizionano. Ammesso che questo sia il suo intendimento. Tuttavia qui non approfondirò questo tema, ma riporterò, come scritto nel titolo, la testimonianza del giovane Nazari, contenuta nel libro “Mi bru­cia il cuore - Viaggio di un Azara (l’etnia a cui lui appartiene) in Afganistan e ritorno” Ed. SEB 27 - Torino 2009 pp. 156, euro 12,50 e co­municata anche in un interessante incontro te­nutosi in primavera presso il Centro Studi “Se­reno Regis”.
Il libro è stato curato da Paola Tarino, inse­gnante presso il Centro territoriale permanente della scuola Saba, frequentato da diversi ragazzi afgani, ospiti della casa di accoglienza “Auro­ra” o di altre strutture. La prefazione del libro è di Luisa Passerini. I CTP (da non confondere con i CIE, che oggi sono vere e proprie prigio­ni) sono stati istituiti nel 1997 e fanno parte di una serie di iniziative di corretta accoglienza presenti a Torino ed in altre città. Tra esse ri­corderò la Pastorale Migranti ed il Centro ALOUAN visitato, durante il campo politico di Agape dello scorso agosto. Hussain, come altri, non ha l’asilo politico, ma gode dal 2006 della “protezione sussidiaria” per motivi uma­nitari.
Tali iniziative sono nate prima che nel nostro Paese si instaurasse il clima di barbara intolle­ranza in cui purtroppo stiamo ora vivendo… perciò… scaramanticamente incrocio le dita e spero che non vengano gradualmente devita­lizzate e cancellate.
Nazari è nato nel 1990, ha vissuto sotto i bom­bardamenti di ogni provenienza, suo padre -co­munista- è stato ucciso dopo la caduta di Najbullah, lui è andato precocemente in esilio in Pakistan presso uno zio e lì ha studiato, tra l’altro, inglese ed informatica. A Torino, dopo la scuola, ha fatto e fa diversi lavori. Recente­mente si è recato in Afganistan per condurre la madre e la sorella in Pakistan presso lo zio, nel­l’attesa e nella speranza di poter in futuro chie­dere il ricongiungimento familiare in Italia. Il diario di viaggio è nato da quattro incontri, in cui il giovane ha narrato ad amici - ascoltatori attenti - la sua esperienza comunicando anche sentimenti e riflessioni.
La narrazione riguarda in realtà diversi viaggi che si intrecciano; quello dal Pakistan all’Italia (2005-2006) e quello di andata e ritorno dall’Ita­lia all’Afganistan inframezzato dall’accompa­gnamento della madre e della sorella in Pakistan (Ghazni-Quetta via Peshawar), svoltosi nel pe­riodo 11 agosto - 8 settembre 2008. Nel primo, insieme ad altri cinqe giovani, ha attraversato in modo avventuroso ed estremamente difficile, l’Iran, la Turchia e la Grecia correndo i pericoli che abbiamo imparato a conoscere da altre te­stimonianze e reportages. Nel secondo Hussain ha visto ed ascoltato molte cose, che ci aiutano a conoscere la situazione attuale, osservata con gli occhi della gente comune e non dei dotti com­mentatori. Si parla di costumi, di politica, di re­ligione, di rapporti tra etnie, di miserie, di pau­re, speranze e nostalgie. Questo contatto empatico con la cultura afgana è arricchito dalla narrazione dell’esperienza di­dattica di Paola Tarino vissuta nell’anno scola­stico 2006-2007 ed esposta nella seconda parte del libro.
Molte cose ci restano nel cuore dopo l’incontro con questo giovane e con i suoi compagni.
Scopriamo il loro amore per la musica e per la pittura, oltre che la nota abilità nel costruire gli aquiloni, le loro speranze incerte per il futuro: qui o in patria? In Afganistan ci potrà mai esse­re pace e riconciliazione? Un sentimento forte in Hussain è la nostalgia per anni non vissuti, ma conosciuti attraverso i racconti degli anzia­ni: gli anni 70, in cui -forse- nel suo Paese c’era la pace, le etnie convivevano senza scontrarsi e la vita era migliore.
Scopriamo anche un’etnia di cui non aveva­mo mai sentito parlare: gli Hazara appunto, che vivono in una remota provincia governata da una donna, che hanno caratteri somatici diversi da altre etnie afgane, che sono molto fieri del loro passato e che nel presente vengono spesso di­scriminati. Il loro eroe è Abdul Ali Mazari, giu­stiziato dai talebani.
Hussain ci comunica anche altre cose riguar­do alla religione ed alla politica, che sono frutto delle sue esperienze e riflessioni personali. Dice: “In religione l’importante è l’umanità… più importante che andare in ‘chiesa’; nel Corano è scritto: “La gente anche se è colpevole tu non la puoi giudicare, solo Dio può farlo”. Nel collo­quio con un giovane Pashtun si chiarisce una differenza tra sciiti e sunniti, che a noi appare molto strana: l’importanza data alla posizione delle mani aperte o chiuse durante la preghiera e la convinzione dei sunniti che in occasione della cerimonia in moschea in ricordo di Hussain (figlio di Ali), durante i simbolici cinque minuti di buio, gli uomini e le donne si abbandonino a… inammissibili libertà (sic!). Nazari lo con­vince dell’erroneità di questa convinzione… an­che perché gli uomini e le donne sono divisi da una tenda.
Riguardo alla politica, dagli incontri avuti du­rante il viaggio con la gente comune emergono questi punti di vista: diffidenza verso Karzai e convinzione che la presenza dell’ISAF non gio­vi alla pace e che sia perciò necessaria la fine dell’occupazione, anche perché finora i militari non hanno realmente combattuto i talebani (si parla anche di una fazione tenuta su ad arte per giustificare la presenza umanitaria delle truppe straniere) e i signori della droga. Inoltre non si è fatto quasi nulla per migliorare le condizioni di vita della popolazione: mancano luce, acqua, si­curezza e lavoro!
Purtroppo l’Afganistan è il cuore dell’Asia Centrale e troppe potenze hanno interesse a con­trollarlo. Certo, la riconciliazione tra etnie sarà difficile, ma non impossibile.
Hussain, da parte sua, ritiene che i giovani ri­fugiati all’estero possano superare più facilmente le reciproche diffidenze e ostilità e che la scuola possa fare molto… tuttavia la strada è difficile e incerta. Incontri come quello qui descritto pos­sono favorire il cammino in questa direzione.


Giovedì 05 Novembre,2009 Ore: 16:25
 
 
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