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Crocifisso - documento
Disegno di legge del PD sul crocifisso

Un testo che se approvato ci riporterebbe indietro di decenni. Il PD prosegue nella sua rincorsa a destra del governo e dei partiti che lo compongono.


Legislatura 16º - Disegno di legge N. 1947

Senato della Repubblica

XVI LEGISLATURA

N. 1947

DISEGNO DI LEGGE

d’iniziativa dei senatori CECCANTI, CHITI, CHIAROMONTE,
DEL VECCHIO, DI GIOVAN PAOLO, GIARETTA, LUMIA, MARITATI, PINOTTI, TONINI e TREU

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 18 DICEMBRE 2009

Norme generali sulla affissione di crocifissi nelle aule scolastiche sulla base del principio di autonomia delle istituzioni scolastiche, in analogia alla legislazione bavarese e alla giurisprudenza castigliana

Onorevoli Senatori. – La recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo Lautsi contro Italia del 3 novembre 2009 ha rilanciato il conflitto sulla presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche italiane.

Come ha scritto A. Barbera, si tratta di una decisione «sorprendente. Essa fa propria una lettura della laicità che appartiene ad altri ordinamenti, in particolare alla Francia e alla Turchia. Non a caso diverse sono le sentenze in cui la Corte di Strasburgo ha dovuto difendere decisioni di quei Paesi contrarie all’uso, negli spazi pubblici, di simboli religiosi, in particolare il velo islamico. Adottando tale lettura la Corte è venuta meno ai “margini di apprezzamento statale“ nell’applicazione della Convenzione europea; vale a dire è venuta meno a quell’orientamento giurisprudenziale che di norma segue al fine di rispettare le tradizioni costituzionali nazionali» («Bologna Sette» - Supplemento di «Avvenire» dell’ 8 novembre 2009; più in generale, dello stesso autore, sulle caratteristiche specifiche del principio di laicità nel nostro ordinamento rispetto agli altri, si veda il saggio «Il cammino della laicità», in www.forumcostituzionale.it , pubblicato nel volume «Laicità e diritto», a cura di S. Canestrari, Bologna, Bonomia University press, 2007).
    Su tale questione, che si era già posta in alcuni casi negli ultimi anni, si era svolto a Ferrara un approfondito dibattito tra i costituzionalisti italiani il 28 maggio 2004, un «seminario preventivo» rispetto alla successiva sentenza della Corte costituzionale, i cui atti sono pubblicati nel volume «La laicità crocifissa? Il nodo costituzionale dei simboli religiosi nei luoghi pubblici», a cura di R. Bin, G, Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi, Torino, Giappichelli, 2004). Si rinvia in particolare alla relazione introduttiva di S. Ceccanti «E se la Corte andasse in Baviera?», nonché alle sue «Conclusioni». Com’è noto la sentenza di inammissibilità della Corte costituzionale n.  389, del 15 dicembre 2004, decise poi di non affrontare nel merito la questione, ritenendo che si trattasse di norma regolamentare, come tale non rimessa al proprio controllo.
    I conflitti avevano fatto rilevare una situazione normativa piuttosto confusa. La maggior parte degli studiosi ritiene che la norma regolamentare oggi discussa esista ancora nell’ordinamento e sia precettiva, configuri cioè un obbligo, anche se in varie classi scolastiche fosse sin qui disapplicata. Lo status quo, sia nella maggioranza dei casi in cui la norma era applicata, sia nella minoranza in cui era disapplicata, sembrava in larga parte pacifico. Tuttavia la nuova visibilità della questione, specie dopo la sentenza della Corte costituzionale, sta creando ulteriori conflitti o con pressioni per garantire l’effettività della norma dove era disapplicata o con richieste di non applicarla più dove essa era applicata, anche con la possibile presentazione di vari ricorsi alla medesima Corte costituzionale.
    Ora, soprattutto dopo questi fatti, a prescindere dall’esito del ricorso dell’Italia alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, il fatto che una questione che ha da anni acquisito un’indubbia rilevanza sia ancora affidata a una norma regolamentare pre-costituzionale, di una fase storica lontana segnata tra l’altro da un confessionalismo di Stato e da una struttura fortemente accentrata dello Stato stesso, non sembra essere più una scelta minimamente adeguata.
    Il legislatore nazionale, a cui in materia scolastica la Costituzione vigente affida nell’articolo 117, come novellato dalla legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n.  3, l’emanazione di norme generali «salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche» deve a questo punto fare il suo dovere (sulla legittimità a farlo e sull’incompetenza regionale si vedano le «Conclusioni» di S. Ceccanti al citato volume «La laicità crocifissa?»). Come ha scritto sempre A. Barbera, a chiusura del citato articolo sul supplemento di «Avvenire», dell’8 novembre 2009: «È un tema quindi troppo importante sia per chi è contrario e sia per chi è invece favorevole all’esposizione del Crocefisso, che non può essere lasciato né a fragili circolari o regi decreti né affidato ai soli giudici di Strasburgo. Ben venga quindi un progetto di legge che consenta al Parlamento italiano – sia alla maggioranza che alle opposizioni – di esprimersi solennemente, magari distinguendo fra le aule scolastiche e gli altri edifici pubblici e valorizzando nelle attività scolastiche anche altre culture religiose minoritarie».
    Quale legge è quindi possibile e opportuna nel quadro costituzionale attuale, ivi compresa la modifica dell’articolo 117 della Costituzione, avvenuta con la legge costituzione n. 3 del 2001, che ha per l’appunto riconosciuto per la prima volta il principio dell’autonomia scolastica? Volendo escludere la soluzione tipica di una laicità che faccia proprio il modello francese o turco, col divieto di qualsiasi simbolo (fermo restando che una cosa è il divieto di simboli religiosi per gli alunni, non ammissibile in alcun caso nel nostro ordinamento, un’altra cosa il porsi il problema di simboli che sono esposti dalle istituzioni), non per questo diventa immediatamente legittimo o, quanto meno, opportuno il suo contrario, ovvero l’obbligo di esposizione senza alcuna possibilità di eccezione. Obbligo tuttora vigente, anche se disapplicato di fatto in diverse situazioni scolastiche. L’argomento della lesione del diritto di libertà religiosa altrui nel suo versante negativo, come diritto di non credere, qualora la persona vi individui il simbolo di una confessione a cui non aderisce, non può essere trattato con sufficienza, specie nell’ambito scolastico a causa del ruolo che esso riveste nella formazione della persona.
    Dato che i conflitti restano comunque limitati non sembra ragionevole allontanarsi eccessivamente dalla normativa attuale, ma limitarsi ad alcune correzioni incrementali.
    Una prima soluzione potrebbe consistere, in caso di conflitto, nel ricorso al voto a maggioranza. Le caratteristiche delle obiezioni, che paventano una lesione di diritti, di libertà religiosa o di coscienza e quindi un vulnus al rispetto del pluralismo della comunità scolastica, fanno però ritenere semplicistica e non accettabile tale soluzione.
    Una seconda soluzione potrebbe consistere nel dare un diritto di veto a ciascun singolo soggetto coinvolto, ma qui finiremmo nell’estremo opposto che l’ordinamento non assume neanche per decisioni quali la revisione costituzionale.
    Scartate le soluzione estreme e queste varianti semplificatorie, resta uno spazio ragionevole per soluzioni intermedie che evitino i conflitti tra i diritti, una volta che il Parlamento abbia deciso di assumersi la sua responsabilità, come appare a questo punto doveroso.
    Come proposto nel citato dibattito di Ferrara, oltre che dalla relazione introduttiva, anche dagli interventi di M. Cartabia, I. Nicotra, C. Panzera, S. Prisco e D. Tega e nel saggio già citato di A. Barbera, la soluzione che riteniamo più convincente, ma il dibattito parlamentare potrebbe certo individuarne altre sulla base dei medesimi criteri, è quella che può ispirarsi alla legge bavarese sull’educazione e l’istruzione pubblica, Bayerisches Gesetz über das Erziehungs - und Unterrichtswesen (BayEUG), approvata il 23 dicembre 1995 dal Parlamento del Land Baviera ed entrata in vigore il 1º gennaio 1996, in seguito alla sentenza della Corte costituzionale federale del 16 maggio 1995 (BVerfG, 1 BvR 1087/91 «Kruzifixurteil»), adattandola al nostro contesto costituzionale e ordinamentale.
    L’articolo 7, paragrafo 3, della citata legge bavarese sull’educazione e l’istruzione pubblica, e tuttora vigente recita:

        In considerazione della connotazione storica e culturale della Baviera, in ogni aula scolastica è affisso un crocifisso. Con ciò si esprime la volontà di realizzare i supremi scopi educativi della Costituzione sulla base di valori cristiani e occidentali in armonia con la tutela della libertà religiosa. Se l’affissione del crocifisso viene contestata da chi ha diritto all’istruzione per seri e comprensibili motivi religiosi o ideologici, il direttore didattico cerca un accordo amichevole. Se l’accordo non si raggiunge, egli deve adottare, dopo aver informato il provveditorato agli studi, una regola ad hoc (per il caso singolo) che rispetti la libertà di religione del dissenziente e operi un giusto contemperamento delle convinzioni religiose e ideologiche di tutti gli alunni della classe; nello stesso tempo va anche tenuta in considerazione, per quanto possibile, la volontà della maggioranza.
    Alla stessa ispirazione risponde anche la recentissima sentenza del Tribunale Superiore di Giustizia della comunità autonoma spagnola di Castilla y León, resa nota il 15 dicembre 2009, particolarmente rilevante perché emessa dopo la citata sentenza della Corte di Strasburgo. Essa valorizza il principio di autonomia scolastica (punto 4), segnala che la giurisprudenza della corte di Strasburgo va interpretata, ovvero ponderata senza possibilità di estrapolazione lineare o letterale (punto 6), in relazione alla tradizione costituzionale nazionale, individuando quella spagnola (ma citando nello stesso anche quella italiana) come quella di uno Stato laico, né confessionalista né laicista (punto 4), esclude in assenza di conflitti che si possa procedere a una rimozione che avvenga in modo indiscriminato, generalizzato (punto 7), stante la obiettiva presenza...straordinariamente numerosa...di simboli di connotazione o ascendenza religiosa (punto 6) e consente la eventuale rimozione come deroga solo di fronte a una richiesta esplicita dotata di serietà di motivazioni (punto 8).

    Il comma 1 del disegno di legge qui proposto riprende le scelte di impianto già motivate, nonché i primi due periodi del testo bavarese adattandoli con due concetti già presenti nel nostro ordinamento: il richiamo al «valore della cultura religiosa» e al «patrimonio storico del popolo italiano», utilizzati dall’articolo 9, comma 2, dell’Accordo firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, ratificato ed eseguito con la legge 25 marzo 1985, n. 121. Le ulteriori affermazioni rispondono a quanto affermato recentemente da Augusto Barbera sul significato del contributo dato dal cristianesimo, al di là delle contraddizioni storiche, al costituzionalismo contemporaneo: anche per chi non ha il dono della Fede e non crede che Cristo sia il figlio di Dio non può ignorare che Gesù di Nazaret è comunque un figlio di uomo (“Figlio dell’Uomo“), grande protagonista della storia dell’umanità, il cui sacrificio ha alimentato movimenti religiosi su cui si fondano non solo i valori più profondi dell’Europa ma gli stessi valori del costituzionalismo liberaldemocratico. Essi sono, per larga parte, mirabilmente riassunti nella lettera che Paolo di Tarso inviò ai Galati nel 56 dopo Cristo: la dignità della persona umana, l’eguaglianza fra uomo e donna, la fratellanza fra i popoli, la vocazione alla solidarietà, ma anche la separazione e distinzione fra Dio e Cesare, fra norme giuridiche e precetti religiosi. Nonostante tante drammatiche collisioni, i valori del cristianesimo e quelli della cultura illuminista (che nei primi si ritenne espressamente radicata), hanno contribuito ad alimentare i diritti della persona, ad alimentare la parte più viva del costituzionalismo contemporaneo, ivi compresa la Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
    Nonostante alcune gravi contraddizioni dei processi storici, quale quella legata nel nostro Paese alla questione romana, e le gravi incomprensioni che ne sono derivate sotto forma di laicismo aggressivo o di intransigentismo estremo quale quello espresso dal Sillabo, è innegabile che alla base del costituzionalismo contemporaneo stia un rapporto fecondo tra cattolicesimo e modernità occidentale. Un rapporto che, a partire dal comune impegno nella rinascita democratica del secondo dopoguerra, dimostrando così la conciliabilità storica delle scelte religiose e dell’impegno per il rinnovamento democratico dei Paesi europei, si è riversato nelle nuove Costituzioni, nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni unite il 10 dicembre 1948, nella stessa Convenzione europea per la salvaguardia dei dirtti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e nel Concilio Vaticano II, in particolare nella dichiarazione Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa.
    Il comma 2 riprende il terzo periodo della legge bavarese, che configura la procedura per una soluzione consensuale, adattandolo con la valorizzazione del principio costituzionale di autonomia scolastica e riprendendo il concetto di «comunità scolastica» presente nell’articolo 3 del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n.  297, indicando tra le possibili soluzioni l’aggiunta di ulteriori simboli religiosi.
    Il comma 3 riprende l’ultimo periodo del testo bavarese, ovvero le modalità di soluzione del caso singolo in assenza di accordo. La decisione è presa per la singola classe, ma, data la sua delicatezza e le obiettive ricadute sull’intero istituto scolastico, viene assunta previo parere del consiglio di circolo o di istituto, col metodo della ricerca del più ampio consenso, evitando sia una decisione a ristretta maggioranza sia un potere di veto illimitato concesso al singolo.
    Per questi motivi si auspica un esame in tempi brevi del presente disegno di legge con cui il Parlamento può assumersi pienamente la sua responsabilità, oltre le incertezze normative odierne e i conflitti giudiziari, alla ricerca di un consenso condiviso.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

    1. In considerazione del valore della cultura religiosa, del patrimonio storico del popolo italiano e del contributo dato ai valori del costituzionalismo, come segno del valore e del limite delle costituzioni delle democrazie occidentali, in ogni aula scolastica, con decisione del dirigente scolastico, è affisso un crocifisso.

    2. Se l’affissione del crocifisso è contestata per motivi religiosi o di coscienza dal soggetto che ha diritto all’istruzione, ovvero dai suoi genitori, il dirigente scolastico, sulla base del princìpio di autonomia scolastica, nel rispetto dei princìpi di tutela della privacy e di non discriminazione nonché tenendo conto delle caratteristiche della comunità scolastica, cerca un accordo in tempi brevi, anche attraverso l’esposizione di ulteriori simboli religiosi.
    3. Qualora non venga raggiunto alcun accordo ai sensi del comma 2, nel rispetto dei princìpi di cui al medesimo comma 2, il dirigente scolastico adotta, previo parere del consiglio di circolo o di istituto, una soluzione che operi un giusto contemperamento delle convinzioni religiose e di coscienza di tutti gli alunni della classe coinvolti e che realizzi il più ampio consenso possibile.



Giovedì 28 Gennaio,2010 Ore: 15:55
 
 
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Il crocifisso nelle aule scolastiche e negli uffici pubblici? Facciamo chiarezza

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